-Saresti disposto a...-

di Hoshi_10000
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. Ti piaccia o no è così che andrà! ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. Un altro mondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. -Saresti disposto a...?- ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. Mi sei mancato ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: Addio cara vecchia routine ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: Shock ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7: Il peso di una scelta ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8: Indietro non puoi andare... ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9: ... quindi prosegui (Judal) ***
Capitolo 11: *** Capitolo 9: ... quindi prosegui (Ja'far) ***
Capitolo 12: *** Capitolo 10: Stronzo, il marito sono io! ***
Capitolo 13: *** Capitolo 11: Esiste sempre un compromesso ***
Capitolo 14: *** Capitolo 12: Cos'avete combinato? ***
Capitolo 15: *** Capitolo 13: Parola di (futura) mamma ***
Capitolo 16: *** Capitolo 14: E uno è a posto (prime esperienze) ***
Capitolo 17: *** Capitolo 15: Robin ***
Capitolo 18: *** Capitolo 16: (inevitabili?) Cambiamenti ***
Capitolo 19: *** Capitolo 17: Lunga vita al principe! ***
Capitolo 20: *** Capitolo 18: Aiuto ***
Capitolo 21: *** Capitolo 19: Ieri è storia ***
Capitolo 22: *** Capitolo 20: Uno di famiglia ***
Capitolo 23: *** Capitolo 21: Problemi e Problemi, sempre problemi ***
Capitolo 24: *** Capitolo 22: Coesistenza impossibile o ***
Capitolo 25: *** Capitolo 23: Racconti dal fassato e futuri bui ***
Capitolo 26: *** Capitolo 24: L'arrivo di un ospite ***
Capitolo 27: *** Capitolo 25: Precipitazione degli eventi ***
Capitolo 28: *** Capitolo 26: Una strenua resistenza ***
Capitolo 29: *** Capitolo 27: Quando il gatto non c'è i topi ballano ***
Capitolo 30: *** Capitolo 28: Attacco ai confini ***
Capitolo 31: *** Capitolo 29: La dura strada per riappacificarsi ***
Capitolo 32: *** Capitolo 30: Visitatori e nuovi arrivati ***
Capitolo 33: *** Capitolo 31: Dall'altra parte del mondo ***
Capitolo 34: *** Capitolo 32: Anche il diamante si può crepare ***
Capitolo 35: *** Capitolo 33: Non sempre basta lo stucco per riparare una crepa ***
Capitolo 36: *** Capitolo 34: La saggezza dell'esperienza ***
Capitolo 37: *** Capitolo 35: L'ultima spiaggia ***
Capitolo 38: *** Capitolo 36: Pulizie di buon auspicio ***
Capitolo 39: *** Capitolo 37: Far di necessità virtù ***
Capitolo 40: *** Capitolo 38: Non sei conteto di rivedermi? ***
Capitolo 41: *** Capitolo 39: Responsabilità e scelte ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO



-Sin?-
-Ja’far?-
-Non sono un fantasma e non mi è ancora spuntata una seconda testa, cos’è questo tono sorpreso?-
Dal tono seccato che aveva usato si capiva che se fosse dipeso da lui la discussione sarebbe durata ancora un bel po’, ma prima che potesse proseguire si ritrovò stretto in un abbraccio.
-Non fraintendermi, sono felice di vederti qui, ma sono sconvolto: a quest’ora non dovresti lavorare?-
Nessuna risposta da parte del ministro, che ancora stretto tra le braccia dell’altro si limitava a sfregare il naso contro il suo petto e inspirare l’odore di lavanda.
-Dovrei, ma volevo passare un po’ di tempo con te.-
Sinbad sorrise contento: da anni convivevano, però lavorando tutto il giorno si vedevano poco. Non era mai successo che Ja’far decidesse di prendere un giorno di ferie, e certo non credeva che si sarebbe mai allontanato dalla sua amatissima scrivania solo per stare un po’ con lui.
-Ok, ma non intendo restare nel mio ufficio. Potremmo uscire, che ne pensi?-
-Va bene, scegli pure tu, ma scordati enoteche e birrerie.-
-E- fu interrotto sul nascere, a dimostrazione che non importa quanto una persona possa essere ricca ed emancipata, ci sarà sempre qualcuno che avrà in mano le redini della sua vita: per i più sono madri e mogli, per lui era Ja’far.
-E pure le osterie.-
Sospirò. Ja’far lo conosceva troppo bene.
-Ok, che ne dici del ristornate aperto da poco vicino al porto?-
-Sin?-
-Mmh?!- avendo ancora Ja’far avvinghiato al petto non poteva vederne l’espressione e anche la voce gli arrivava smorzata, così andò a sollevare il volto del compagno, scoprendo però che i suoi occhi si erano fatti di ghiaccio, a perfetta imitazione dello sguardo che aveva da bambino.
-A gestire la burocrazia sono io: l’unica licenza per una nuova attività nei pressi del porto registrata negli ultimi tre mesi è un locale dei piaceri. Vuoi forse morire?-
-Capito, fammi pensare a qualcos’altro.-
-Sappi che è la tua ultima possibilità: sbaglia e sarai condannato ad un intera vita di sofferenze, fai una proposta decente e potrai conservare il trono, l’onore e la tua vita.-
Sinbad tossicchiò, si grattò il naso, poggio il mento sul capo di Ja’far e iniziò finalmente a prendere seriamente in conto le varie possibilità.
-Che ne dici di un pic-nic?-
-E dove?-
-Non so. Preferisci la spiaggia o il bosco dietro palazzo?-
-E per il cibo?-
-Potremmo chiedere qualcosa in cucina.-
-Beh, devo ammettere che te la sei giocata bene.-
Il ministro si staccò dall’abbraccio prese il compagno per mano ed inizio a trainarlo verso la porta.
-Non merito proprio nulla? Nemmeno un premio piccolo piccolo?
Ja’far si girò a squadrarlo con aria truce, per poi sbuffare a metà fra l’esasperato ed il divertito.
-Sei proprio un bambino.-
Fece retromarcia senza lasciare la sua mano, gli arrivò davanti, si alzò sulle punte, gli pose un braccio dietro la nuca e lo baciò.
-Ora la pianti di fare i capricci e ci avviamo?- mormorò suadente Ja’far.
-Ok, ma all’arrivo voglio il bis.-
Sbuffò. Era uno stupido. Era il suo stupido.




**********
Il sole in estate a Sindria era qualcosa di insopportabile, che annualmente obbligava Hinahoho a casa moribondo, piegava Masrur e Sharrkan a girare per il castello senza maglia, Yamu a ricoprire la torre di incantesimi refrigeranti, Pisti a stabilirsi in piscina e, cosa più spettacolare, Spaltos a togliersi l’armatura. Da che abitavano sull’isola Sinbad aveva sempre tentato di imitare Masrur e Sharrkan, ma non era mai riuscito a superare l’opposizione di Ja’far, l’unico essere vivente (oltre a Dracoon) che si aggirava per il castello come nulla fosse, per nulla toccato dal clima.
-Se non allunghi un po’ il passo arriveremo domani.-
-Come puoi essere così insensibile?-
-Semplice: sono anni che ti conosco, so che puoi fare di meglio ma preferisci fare i capricci come il bambino che sei.-
-Parlavo del caldo. Come puoi non sentirlo?-
-Oh, ma io lo sento eccome, solo che mica posso andare in giro nudo.-
-Secondo me è un ottima idea, io la approvo!-
Inutile dire che venne fulminato seduta stante.
-Dimentichi che io non ho un mio ufficio.-
-Perché non ti trasferisci nel mio? Passeremmo molto più tempo assieme e non dovresti attraversare mezzo palazzo ogni volta che devi farmi firmare qualcosa.-
-Hai seriamente bisogno che ti risponda o puoi arrivarci da solo?-
-Illuminami, ti prego.-
Sospirò. La stupidità, purtroppo, era una malattia incurabile.
-Ciò che hai detto è giusto, se condividessimo lo stesso ufficio non dovrei passare tutto il giorno a rincorrerti per controllare che tu lavori, ma mi viene difficile credere che con me in ufficio lavoreresti. Temo piuttosto che passeresti tutto il tempo a cercare di saltarmi addosso, e finirei per non riuscire più neanch’io a lavorare. Quindi grazie, ma credo che rimarrò nel mio ufficio comodamente vestito.-
-Però-
-Cosa c’è ancora?- chiese in tono irritato.
-Non sarebbe più comodo per te togliere almeno il velo?-
Ja’far inchiodò e Sinbad impiegò un paio di metri ad accorgersene e a girarsi. Due occhi fra il triste e l’arrabbiato, con sfumature di rimpianto e di rassegnazione lo fissavano. Ringhiò. -Sai perché non posso, quindi non osare chiedermelo ancora e cammina.-
Accelerò il passo fino ad un’andatura di marcia, staccando Sinbad che rimase diversi metri dietro di lui a guardarlo allontanarsi da lui. Aveva esagerato, cercando di forzare Ja’far.
Aveva ragione: era solo un piccolo, viziato, arrogante ed egoista bambino.




****************
-Ja’far, siamo già nel mezzo del bosco, non credi che potremmo fermarci?-
Non ottenne alcuna risposta e per la verità nemmeno un segno che lasciasse ad intendere che era stato sentito, ma se si fosse ripetuto probabilmente sarebbe finito appeso ad un albero a testa in giù per tutta la settimana, così preferì non insistere. E fu un bene, perché il fatto che il compagno stese un telo presso le radici di un albero indicava che l’aveva sentito, ma che ancora gli ribolliva il sangue nelle vene e non aveva voglia di parlargli.
Ja’far si sedette contro il tronco, lasciando ampio spazio vuoto per dare la possibilità a Sin di sedersi, ma non lo invitò a sedersi né si girò a guardarlo.
-Ja’far, mi dispiace.- gli poggiò una mano sulla spalla. Non ottenne alcuna reazione dal ministro, che non si scomodò nemmeno a scostargli la mano. Anni prima avrebbe interpretato la cosa come un segno positivo senza alcun indugio, ma vivendo a lungo con Ja’far aveva imparato che il suo non far nulla indicava di quanto non gli importasse di lui. Ormai conosceva bene la cura del silenzio e la sua efficacia. E la odiava più di qualunque cosa.
-Ja’far, davvero, scusami, mi dispiace, capisco la tua rabbia, ma per una volta che sei venuto a passare del tempo con me saltando il lavoro vorrei festeggiare.-
Il ragazzo girò lievemente la testa a guardare il compagno con la coda dell’occhio, lo sguardo duro, ma la scelta di spostare lo sguardo indicava che la rabbia stava pian piano scemando.
-Non voglio litigare- si sporse in avanti ad andare a baciargli la mandibola -preferirei mangiare, avere il premio che avevamo concordato in ufficio e magari fare quattro chiacchiere con te. Che ne dici, si può fare?-
-Cosa ti sei fatto dare?-
Non era stato perdonato, ma gli era stata concessa una tregua, durante la quale doveva riuscire a convincere Ja’far a concedergli l’assoluzione.
-Abbiamo focaccia al rosmarino, spiedini da far arrostire con abbondante pancetta, come piace a te, una ciotola d’insalata e metà crostata alle fragole. Cominciamo?-
-Da bere?-
-Abbiamo acqua, succo d’ananas e mezza pinta del vino di Sasan.-
-Ti avevo detto-
-Niente enoteche, birrerie ed osterie, lo so. Però ho pensato che una quantità così piccola non basterebbe mai a farmi ubriacare, e il vino di Sasan piace anche a te. Vuoi che te ne versi?-
Un debole sorriso passò sulle labbra di Ja’far. -Grazie, ma non mi va di bere in pieno giorno.-
-Ok, vorrà dire che lo finirò in seguito.-
Da piccolo aveva spesso sentire dire a Rurumu che di tanto in tanto in ogni coppia era necessario un litigio per ristabilire un equilibrio, ma aveva sempre pensato che fosse pazza. Ora, a 10 anni di distanza, comprendeva quanto avesse ragione.




******
-Sin?-
- Sì?-
-Quant’ho dormito?-
-Non so esattamente, dopo mezz’ora che dormivi accoccolato contro un tronco ti ho portato al castello. Fra venti minuti si cena. Se mi consenti, devo dire che per dormire così a lungo dovevi essere veramente esausto. Il buffo è che il pranzo non era così pesante da provocare un abbiocco simile…-
Un tomo dalle 1500 pagine o più atterrò sulla testa di Sinbad.
-Cos’era, un mattone?-
-La costituzione di questo paese, asino!-
-Il detto “leggere fa male” è vero.- rispose massaggiandosi la nuca.
-Te ne farò di più io se non la smetti d’infastidirmi.-
-Ok ok non ti scaldare, ti vedo un po’ pallido. Non avrai preso freddo dormendo?-
-Forse un po’.-
-Farò portare delle coperte nel mio ufficio per ogni evenienza. Dimmi, cosa ti senti?-
-Ho freddo e un forte mal di pancia.-
-Lo immagino, tremi! Aspettami un minuto, vado in camera a prenderti una coperta, d’accordo?-
Annuì.




*****************
-Senti- disse il grande e potente conquistatore dei sette mari ponendo una coperta sulle spalle del suo più devoto seguace -il tuo colorito è peggiorato. Non avrai la febbre?-
-Solo un po’.-
Andò a toccargli la fronte. -Beh per la verità è anche piuttosto alta. Da che ti conosco è la prima volta che ti ammali.-
-Devo essere fortunato.-
-Ho un piano.-
-Questo dovrebbe tranquillizzarmi?- chiese Ja’far con un lieve sorriso derisorio.
Sinbad lo ignorò, accovacciandosi a terra in modo da guardarlo negli occhi. -Adesso ti accompagno in cucina, ti faccio preparare del brodo ed un po’di tisana. Il brodo bevilo subito, la tisana se non ti va la portiamo in camera con noi e la berrai quando più desideri. Appena arriviamo in camera niente doccia, per oggi vai dritto filato a letto e domani non vai al lavoro, così hai il tempo di rimetterti, ok?-
-Mi chiedo sempre più spesso se non soffra di personalità multipla.-
-Sarà. Dai, ti porto io.-
-Dopo 25 anni di vita so camminare benissimo da solo.-
-Non ne dubito, ma in questo specifico momento ti tremano le gambe.-
Prima che potesse ribattere si ritrovò sollevato come una sposa. E, anche se non lo avrebbe mai confessato ad anima viva, la cosa gli piacque.




******************
-Staccati.-
-Perché? Hai caldo? Vuoi che ti metta un fazzoletto bagnato sulla fronte?-
-Grazie, ma con i farmaci di Eliohapt ed i tre litri di tisana che ho in corpo ora sto meglio, senza contare l’aiuto di questo cuscinetto di semi di lino.-
-Posso aiutare anch’io a tenerti caldo.-
-Così ti ammalerai e non andrai al lavoro domani? Idea geniale, ma bocciata.-
-Oggi sei stato di cattivo umore tutto il giorno, che ti prende?-
-È di questo che volevo parlarti.-
-Mi pareva troppo bello che avessi saltato un giorno di lavoro solo per stare con me… avanti, che devi dirmi? Siamo in difficoltà economiche? Kou ci ha mandato un ultimatum? Un paese alleato vuole lasciarci?-
Dallo sguardo si capiva quanto Sinbad si aspettasse che dietro il comportamento di Ja’far ci fosse qualcos’altro, ma anche quanto fortemente sperasse di essersi sbagliato. Ma aveva indovinato, e ne soffriva.
-Sin- lo sguardo basso ed addolorato, Ja’far sapeva di averlo in qualche modo ferito, ma non riusciva a convincersi che chiedergli di passare una giornata assieme fosse stata una pessima idea -sono incinto.-
Ci fu un minuto di silenzio, poi Sinbad soffiò un flebile -Era meglio l’ultimatum di Kou.-










Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte: allora? Ammettetelo, non ve lo sareste aspettato! Ora, a parte la sorpresa iniziale, se la cosa si spiegasse tramite uno degli incantesimi di Yamu andato male, sareste incuriositi e non vi fareste problemi, ma appena scriverò la parola magica la metà di voi sparirà. Puf! Per questo, prima di scegliere se continuare la lettura o fermarvi, vi prego di fare un paio di considerazioni, leggendo tutte le note. Solo questo. Ed ora, la parola magica: Omegaverse. Se non sapete cos’è, qui c’è scritto tutto:
http://zombiemagpie.tumblr.com/omegaversedynamics
Parlando con praticamente chiunque conosco è emerso che la considerazioni che i più hanno dell’Omegaverse è quella di un universo alternativo in cui violenza e classismo la fanno da padroni, ma fermativi un attimo.
I principi cardine sono la differenziazione delle persone in base al loro genere secondario e la sottomissione degli omega agli alpha. Rifletteteci. A cosa somiglia? La risposta che viene istintiva è che somiglia a molti meccanismi del mondo animale, ma se vi fermate un secondo noterete che è la situazione di uomini e donne un centinaio d’anni fa, e per dirla tutta non è che oggi sia molto diversa: discriminazione fra uomini e donne, sottomissione al marito e ad ogni suo capriccio.
Sembra un universo immaginario che non ha nulla a che vedere con il nostro, ma se fate attenzione noterete che molti altri piccoli dettagli sono in realtà accentuazioni di caratteristiche della nostra vita quotidiana.
E poi, diciamocelo chiaro: essendo questa fanfiction a rating giallo-arancio e avendo già io la tendenza ad addolcire un po’ non avete granché da temere. Comunque, a voi la scelta, ma logicamente sarei felice se sceglieste di continuare la lettura.
Hoshi_10000


P.S. mi spiace per Come maritare un generale, ma come potrete immaginare da voi al momento l'ho interrotta. Spero che questa storia non faccia la stessa fine, e ringraziamo (o almeno io di sicuro) l'ora di italiano per avermi finalmente fatto venir la voglia d'iniziare a pubblicare.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. Ti piaccia o no è così che andrà! ***


TI PIACCIA O NO È COSÌ CHE ANDRÀ!



-Com’è successo?-
Ja’far alzò un sopracciglio guardandolo scettico. Dopo una domanda così idiota ogni traccia di empatia aveva abbandonato il suo sguardo, lasciandolo piuttosto contrariato -Hai bisogno di un disegno o pensi di poterci arrivare?-
-Sì, ma perché?-
-Perché cosa, esattamente?-
-Io… non… sono anni che…-
Ja’far lo zittì con un brusco movimento della mano. -Bene, visto che non ti ho ancora sentito dire nulla di sensato adesso fa silenzio e lascia parlare me. Premetto che è tuo, cosa che non mi sembrava necessario specificare, ma pare che sbagliassi. Prima che tu lo chieda sappi che no, non te ne ho tenuto all’oscuro, ma lo so da ieri sera. Te lo avrei detto allora ma dormivi e non mi andava di disturbarti. E, in ultimo, ha qualcosa come un mese e mezzo. Ora, se in questo minuto sei riuscito a farti venire in mente delle domande sensate parla pure, sennò buona notte.-
-Perché proprio adesso?-
-Pensi che io sappia dirtelo?-
-Stiamo insieme da più di 6 anni e per tutto questo tempo nulla, poi così all’improvviso sei incinto? Non trovi sia strano?-
Ogni espressione sparì dal volto di Ja’far. -Definisci “strano”.-
Inspirò profondamente. -Ja’far non-
-Definisci “strano”.-
-Non so cosa dirti.-
-Ti ho detto di-
-Ti ho sentito, calmati. Ho sentito sia ciò che hai detto che la rabbia nelle tue parole.-
Ja’far lo guardò con aria truce, mettendosi a sedere. Si stava preparando ad attaccare, proprio come un cobra.
-Scusa, non volevo offenderti o ferirti. Non pensavo volessi un figlio visto che hai sempre fatto l’impossibile per tenere nascosto a chiunque che sei un omega, ma dalla tua reazione deduco che tu invece ci tenga parecchio.-
-Continua.-
Inspirò profondamente. Non era scritto da nessuna parte, ma era evidente che se avesse detto la cosa sbagliata Ja’far se ne sarebbe andato seduta stante.
-In tutto il tempo che abbiamo passato assieme non è mai successo nulla di simile, quindi stupidamente non ho mai pensato all’eventualità in cui sarebbe potuta accadere, ed ora non so che dire.- spostò unna mano sul lenzuolo fino ad andare a posarla sul ginocchio di Ja’far -Non riesco bene a realizzare la cosa. Più che “strano” è inaspettato. Lasciami un po’ di tempo per metabolizzare. Ne parliamo domani, ok?- concluse in tono dolce.
Ja’far si allungò verso di lui. -Non hai bisogno che ti indichi dov’è il divano.- disse pigiandogli il cuscino sul ventre, per poi dargli le spalle ed infilarsi sotto le coperte.
-Buonanotte Ja’far.- fu tutto ciò che Sinbad gli disse per il resto della sera, dopo avergli baciato i capelli ed aver tracciato con le dita i contorni del morso che il compagno aveva sul collo.




******************
-Yamu hai visto Ja’far?-
-No, perché?-
-Oggi quando mi sono svegliato era sparito.-
-Hai controllato il suo ufficio?-
-Come prima cosa.-
-I magazzini del porto?-
-Ogni centimetro.-
-La mensa?-
-Ho scoperchiato ogni pentolone.-
-La caserma?-
-Perquisita. Ho guardato ovunque, ma sembra sparito.-
-Lasciami indovinare: ieri sera avete litigato.-
-Non esattamente, ma mi ha comunque fatto dormire sul divano.-
-Direi che ti è andata di lusso: hai evitato il pavimento, l’ufficio e l’hotel. Non dev’essere così arrabbiato se si è accontentato del divano.-
-E allora perché è scomparso?-
-Non lo so, chiediglielo quando torna.-
-E se non tornasse?-
-Non dire scemenze, vedrai che tornerà. Tu però ora vai a lavorare oppure appena torna ti tira il collo.-




******************
Ma nonostante le belle parole di Yamu non era riuscito a fidarsi, ed aveva mandato Masrur, Pisti, Hinahoho e Dracoon a cercarlo per tutta Sindria, fissando un incontro in mensa per l’ora di pranzo per conoscere gli sviluppi. Aveva sperato con tutte le sue forze che gli riportassero Ja’far o quantomeno sue notizie, ma i suoi desideri furono vani. Né la vista che Pisti osservava dal cielo sulla città né i fini sensi di Masrur né le accurate perquisizioni e le domande fatte ai cittadini di Dracoon ed Hinahoho servirono a nulla.
Tornò in ufficio abbacchiato. Era il re di Sindria, sempre in mezzo ad importanti quanto rischiose trattative politiche, guerre, bugie e falsità: non avrebbe mai avuto il tempo per un figlio, né tantomeno un posto in cui tenerlo al sicuro non solo dal dolore fisico ma anche da quello emotivo, e per questo non ci aveva mai pensato. Non gli andava di invischiare una creaturina innocente nella sua incasinata vita in cui tutto mutava ad una velocità spaventosa. Ma non poteva neppure rischiare di perdere Ja’far, il suo miglior alleato, il suo compagno ed il suo unico punto fermo. Non doveva permettergli di andarsene, per nessuna ragione al mondo.
-Non mi importa cosa tu ne pensi, io avrò questo bambino.- fu la prima cosa che sentì entrando nel suo ufficio e solo in un secondo momento notò Ja’far seduto sul divano con le gambe raggomitolate al petto.
-Ja’far, dove sei stato?-
-Un immobile vuoto in periferia. Le finestre erano rotte, ci sono potuto entrare senza problemi.-
Sinbad lo abbracciò. -Temevo te ne fossi andato.-
-Non sarebbe stato così facile neppure per me.-
-Ja’far?-
-Mmh?-
-Ci ho pensato. Non sono contrario all’avere un figlio, ma mi pare che tu non abbia ben considerato diversi dettagli.-
-Tipo?-
-Posso sedermi intanto?-
Ja’far si spostò in avanti per fargli spazio e Sinbad andò a sedersi sul divano, aprendo le gambe per far appoggiare il compagno al suo petto.
-Vuoi che cominci dalle motivazioni più deboli o da quelle più serie?-
-Parla e bada a non farmi innervosire.-
-Va bene, mettiti comodo perché prevedo che sarà una cosa lunga.-
-Io sono comodo al momento.-
-Eddai, togli anche questo maledetto velo. Qui non c’è mica nessuno che possa vederti!-
-Non starai prendendo tempo?- chiese con occhi indagatori
-Accontentami ogni tanto.-
-Sei un bambino.- sbottò infine esasperato lanciando il velo sulla scrivania. -Ora prosegui?-
-Come desideri. Hai considerato il lavoro?-
-In che senso?-
-Beh,- iniziò alzando il braccio che prima lasciava penzoloni giù dal divano per massaggiare i capelli a Ja’far - ora come ora lavori per 12 ore al giorno, senza aver mai considerato l’idea di prenderti una vera vacanza. Dove troveresti il tempo per un bambino?-
-Potrei lavorare un po’ meno e chiedere agli altri di fare da baby-sitter ogni tanto.-
-Se un bambino riesce a farti lavorare meno sia lodato il cielo! A saperlo avrei cercato di averne uno anni fa.-
-Ma sta zitto!- disse tirandogli un pugno sul pettorale, con un radioso sorriso in faccia.
-Poi bisogna dire che sei giovane.-
-25 anni giovane! Sin, che hai bevuto oggi?-
-Non sei neanche lontanamente prossimo alla menopausa: ciò fa di te un giovane.-
-Se vuoi dirmi che non sono vecchio posso essere d’accordo, e anzi, se avessi detto che ero vecchio ti avrei ammazzato seduta stante, ma a 25 anni non si può neanche dire che io sia giovane. Semmai ho l’età giusta.-
-Se fossimo altri ti farei presente la questione economica, ma essendo noi non ho nulla da dire su questo punto.-
-E meno male!-
Sorrise. -Non prendermi in giro! Sai che sono uno sciocco.-
-Sì, lo so fin troppo bene. Hai altre cose da obbiettare?-
-Lo spazio.-
-Prego?-
-Pensa al nostro appartamento. È una grossa stanza con un letto, una libreria, un guardaroba un bagno e poco altro. A meno di voler mettere il bambino a dormire nel lavandino sarà un po’ dura.-
-Potremmo prendere un appartamento.-
-Il re di Sindria non può abitare fuori dal palazzo.-
-Fai ristrutturare il piano e costruire un appartamento nel palazzo.-
-Ma la cupola è piena!-
Piegò indietro la testa interrompendo il massaggio di Sinbad. -Non prendermi in giro, è piena di stanze vuote che non occupa nessuno, basta farla ristrutturare.-
-Non ti mancherebbe la nostra stanza?-
-C’è talmente tanto spazio che potremmo anche tenerla intatta e ristrutturare il resto dello spazio.-
-Ma costerebbe uno sproposito!-
-I soldi non ci mancano.-
-Possiamo rifletterci con un po’ più di calma?-
-Va bene, ma continua.- disse andando a sfregare la guancia contro il pettorale del maggiore.
Per prima cosa il grande e impavido conquistatore riprese ad accarezzare la cute del feroce e spietato ministro.
-Poi bisogna citare la sicurezza di Sindria.-
-Che ha che non va? Abbiamo scritto le leggi insieme in modo che non ci siano ingiustizie legali e la polizia è gestita perfettamente da Dracoon. Sul piano legale non ci sono nemmeno disparità fra alpha ed omega!-
-Non è tanto la sicurezza dell’isola che metto in dubbio, ma più che altro la nostra.-
-E cosa pensi possiamo farci?-
-Nulla. Non possiamo fare nulla per difenderci da un potenziale attacco di Rem o Kou.-
-E quindi? Visto che c’è la remota possibilità che in uno scontro noi potremmo rimanere feriti non dovremmo mai avere figli? Uno scontro in cui noi sapremmo comunque come difenderci visto che non siamo proprio le ultime rute del carro…-
-Noi, ma un bambino?-
-Sin, ora non esagerare. Non si avrà mai il 100% della certezza che il proprio figlio sia perfettamente al sicuro, e non si può fare nulla per proteggerlo da ogni singolo pericolo, ma questa non è una buona scusa.-
-Come vuoi. Ora però arriva la cosa che mi lascia più dubbi.-
-Sentiamo.-
-Dirai al mondo che sei un omega?-
Ja’far si sedette diritto e lo guardò gelido. -Che domanda è?-
-In tutti questi anni non hai mai detto a nessuno che non sia io o uno degli altri generali il tuo genere secondario. Al momento hai detto di essere al secondo mese, ma come farai a nascondere la pancia al settimo? O vuoi forse uscire allo scoperto? A me farebbe anche piacere, ma conoscendoti non penso proprio che tu sia disposto ad esporti fino a questo punto.-
Lo sguardo rabbuiato, Ja’far ebbe un attimo di esitazione prima di rispondere. -Non voglio smascherarmi, ma voglio questo figlio e onestamente ne vorrei altri.-
-E come pensi di fare? Non sei come gli Imchack, a te la pancia lieviterà e non potrai nascondere la gravidanza come Rurumu fece più volte con noi.-
-Se non posso nascondermi da tutti posso farlo almeno dai paesani.-
-Non credi che parrà strano? Dopo anni passati in prima linea non farsi più vedere? Susciterebbe parecchie domande e sospetti.-
-Potrei chiedere a Yamu di creare una mia coppia da far apparire in un paio di occasioni ufficiali e per il resto evitare di farmi vedere da chiunque non sia al corrente della mia condizione.-
Scosse la testa. -Potrebbe andare per la maggior parte della popolazione, ma per gli impiegati dell’ufficio? A quanto ne so non sanno di te. E non credo che tu saresti disposto a lasciare il lavoro per tutta la gravidanza, né potresti farlo senza destar sospetti.-
Poggiò i gomiti sulle ginocchia e si sostenne il capo con una mano. -Mi sa che mi toccherà cambiare ufficio.-
-Non basterebbe.-
-E che vuoi che faccia?-
-Non è che io voglia tu faccia qualcosa, solo considera bene la situazione.-
-Cos’è che mi sfuggirebbe ancora, sentiamo.-
-Abbiamo trovato un modo per nascondere la gravidanza, e un problema è apposto, ma poi come pensi di nascondere il bambino?-
Lo guardò offeso. -Io non voglio mica nasconderlo!-
Sospirò esasperato. -Lo so che non vuoi farlo, ma che senso avrebbe nascondere la gravidanza per poi mostrarti sempre al popolo con in braccio un bimbo che ti chiama “mamma”?-
-Non c’è via di scampo, insomma. O rivelo di essere un omega e allora potrò avere il bimbo o dovrò abortire.- disse a capo chino con tono mesto, che spinse Sinbad a cingergli le spalle e tirarlo a sé.
Gli baciò la testa. -Potrebbe esserci una via d’uscita, ma dovresti scendere a compromessi che non ti piaceranno.-
-Sentiamoli lo stesso.-
-Saresti disposto a fingere che il bimbo non sia tuo davanti ad altri?-
-Sì.-
-A farti chiamare per nome e rinunciare a dimostrazioni d’affetto eccessive in pubblico?-
-Ne soffrirei, ma sì, lo farei.-
-In questo caso ce la caveremo.-
-E come?-
-In tutto il regno tutti sanno bene come io sia inaffidabile se ho vicino a me un bicchiere di vino. Basterà che parta tra pochi giorni per un piccolo viaggio d’affari, da una settimana o due, non molto di più e che tra otto mesi ne faccia un altro, a seguito del quale dirò di avere un figlio.-
-In pratica vuoi far credere di aver avuto un figlio da un’estranea a Sindria che te l’ha rifilato appena nato?-
-Che ne pensi?-
-Non mi piace l’idea di ingannare il popolo, ma credo che potrebbe funzionare.-
-Allora accetti?-
-Sì, accetto.- disse con tono titubante, per poi prendere forza -E già che ci siamo sfrutterai davvero quest’opportunità per concludere un affare con una nuova compagnia commerciale. Partirai fra una settimana per una negoziazione con l’impero Kou.-









 
Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte: non è esattamente un capitolo denso di avvenimenti, ma difficilmente con me ne vedrete di simili, come ormai chi ha letto “Come maritare un generale” sa. Non è particolarmente lungo e lo ritengo piuttosto leggero (pensando al tipo d’argomento trattato) benché avrei voluto dargli un tono più serio, ma non è parte del mio modo di scrivere e per quanto m’impegni non mi riesce. Ora, so che il capitolo in sé sembra essere un “vicolo cieco”, una cosa funzionale senza particolari controindicazioni, ma questa decisione di partire avrà su tutta la storia delle ripercussioni fortissime...
E un'altra cosa! Non odiatemi troppo, se potete. Allora, come chi ha la disgrazia di conoscermi sa, sono una rompiballe con una mezza fissa per i dibattiti e i temi che molti ritengono spinosi, tipo aborto o eutanasia, sono fra i miei preferiti. E qui vi starete chiedendo “Ok, ma ora che c’entra?”. Pazientate un attimo, ora ci arrivo. Dunque, so che non si direbbe, ma dietro molte delle cose che scrivo ci sono nascoste delle domande che io mi pongo spesso e che forniscono degli ottimi spunti di discussione. Ora, immagino che per molti non sia molto interessante e che tanto non servirà a farmi ottenere dei commenti, ma, come si suol dire, la speranza è l’ultima a morire. La mia proposta è questa: avete presente la conquista del dungeon di Zepar? Bene, mi piacerebbe fare una cosa del genere. Chi non ha letto “The adventure of Sinbad” sappia che il pezzettino che segue ora in corsivo è spoiler, valutate voi se leggere direttamente o dare la precedenza al manga (non è contenuto nell’anime).
Se ricordate Zepar chiede a Sinbad e Serendine perché pensano di dover essere loro a diventare re a discapito dell’altro, e i due partono inizialmente dal presupposto di aver ragione, ma sentendo le argomentazioni di Serendine alla fine Sinbad cede e lascia a lei il djin, benché come tutti sappiamo alla fine sarà lui a diventare re di Sindria.
Mi piacerebbe una cosa del genere, in cui ognuno dà la propria opinione, sapendo che non c’è giusto o sbagliato poiché le domande che vi porrò non saranno mai cose del tipo “Di che colore è il cielo?”.
Pensavo di porre alla fine di ogni capitolo che ne contenga una, in questo piccolo ed ignorato spazietto, la domanda che si cela dietro al capitolo e se vi andasse di rispondere si potrebbe fare una specie di dibattito nella parte dei commenti. La cosa sul piano prettamente pratico è fattibile, anche se mi preoccupa un po’ (sempre che qualcuno dovesse mai aderire alla mia proposta, ma non ci credo neanche un po’) il fatto che sia contro le regole riprendere i commenti di altri…
Credo che sarebbe divertente perché permetterebbe di confrontarsi e magari fare qualche conoscenza interessante, ma non posso forzare nessuno.
Ora basta con ‘sta parte di spiegazione, che suppongo vi abbia ormai stufato, e vi lascio qui la domanda.

“Molte persone prima di aver figli scelgono di far figli scelgono di sposarsi, avere una posizione affermata, una casa e un cospicuo conto in banca. C’è veramente bisogno di tutto questo o meglio essere in una situazione più precaria ma più giovani e quindi dotati di più energie per poter correre dietro ai pargoli?”

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Capitolo 3
*** Capitolo 2. Un altro mondo ***


UN ALTRO MONDO



Si dice che con il tempo l’acqua sia in grado di spezzare anche le rocce, ma allora perché con Ja’far non funzionava?
-Dai vieni con me!-
-Sin, non se ne parla.- era irremovibile come sempre.
-Non vorrai mandarmi in pasto al nemico tutto solo e senza protezione?- uggiolò guardandolo come un cane bastonato.
-Sin, smetti di fare capricci e fai la valigia che domani devi partire.-
-Ma se la stai facendo tu perché dovrei farla io?-
Ja’far buttò l’abito che stava piegando sul letto e si avvicinò al compagno.
-Lo sto facendo io per il semplice fatto che tu sei seduto su quel divano da mezz’ora e non accenni a muoverti, e preferisco sapere che hai con te dei vestiti piuttosto che preoccuparmi tutto il tempo che tu possa causare un incidente diplomatico perché sei andato in giro nudo per le strade.-
-Perché poi non entri anche tu in valigia?- chiese senza accennare ad alzarsi.
-Perché potrai sopravvivere due settimane senza di me.-
-Ma sarà noioso!- protestò.
-Sin hai trent’anni-
-29.- lo corresse, ma Ja’far lo ignorò.
-Dicevo, trent’anni e-
-Ti ho detto 29!-
-Sin- gli tirò in testa la lampada che poggiava sul comodino -hai 29 anni,- lo accontentò -è ora che impari che non tutto dev’essere divertente, e già che ci sei smetti di comportarti come una donna capricciosa che dal tempo dei tempi dice di avere 20 anni.-
-Ti prego, vieni anche tu!- sia mai che il trucco degli occhi da gatto funzionasse.
-La vuoi smettere?- no, non ebbe effetto, -Se non ti fosse chiaro ho da fare. Chi pensi si occupi della burocrazia? E chi supervisionerà i lavori di ristrutturazione del nuovo ufficio? E che mi dici del nuovo appartamento? Se proprio vuoi compagnia chiedi a Dracoon e Hinahoho.-
Incrociò le braccia al petto e lo guardò seccato -Preferirei chiedere a Spaltos.-
-Che hanno che loro due che non va?- chiese esasperato Ja’far.
-Non lasciano mai le loro famiglie! Se fossero disposti a venire mi accontenterei, ma non lo saranno mai.-
-Se è per questo nemmeno Spaltos lo farà mai. Non lascerà sola Pisti.-
-E se chiedesti a lei? A lei viaggiare piace, verrà volentieri!-
-Sin, non può lasciare solo Sofocle! Ha 6 settimane!- rispose prontamente, fra lo stupito e l’esasperato.
-Tanto comunque non allatta, potrà occuparsene Spaltos!-
-Vuoi che ti lanci addosso anche il comodino?- chiese ponendo una mano alla base.
-Dici che potrei chiedere a Yamu?- rispose guardando un angolo della stanza, spaventato dalla minaccia.
-Sin, ti ho mai insegnato a cosa serve un calendario?-
-Che domanda è?- gli chiese con tanto d’occhi.
-Non preoccuparti e rispondi.- il suo tono era accomodante. Pessimo segno.
-A contare i giorni?- domandò guardando Ja’far come se avesse bevuto, cosa improvabile essendo incinto.
-E ti sei mai chiesto perché ci scrivo sopra tutte quelle cose?-
-No, non ne ho mai capito il senso: hai sempre detto che ti serve per ricordare gli appuntamenti, ma per questo io ho te.- sfoderò un sorrise sornione, che ebbe in risposta solo uno sguardo disdegnato.
-Se lo avessi guardato sapresti che tra tre giorni Yamu entrerà in calore.-
Sin strabuzzò gli occhi. -E tu perché lo sai?-
Per via del marchio non poteva tradirlo con un alpha, ma nulla gli impediva di avere relazioni clandestine con beta ed omega.
-Perché tempo fa le fissai alcuni appuntamenti nei giorni sbagliati. Mi sono scusato con lei per ore ed infine è arrivata a darmi le probabili “scadenze” per evitare inconvenienti simili in futuro.- chiuse la valigia -È da cinque anni che abbiamo istituito questo calendario e funziona a meraviglia.-
-Non lo sapevo.-
-Non mi sorprende. Tieni, questa è la tua valigia.- disse gettandogliela addosso.
-Se chiedessi a Sharrkan?- chiese poggiando la valigia ai suoi piedi, per nulla scosso.
-Non se ne parla, finiresti col tornare davvero qui con un bimbo in braccio!-
-Perché vuoi assolutamente mandarmi da solo?- domandò serio.
-Perché non provi a chiedere a Masrur?-
Incrociò le braccia al petto e guardò il compagno seccato. -Potrei portare una sagoma di cartone e non ci sarebbe la minima differenza.-
Il povero Ja’far sopirò e si sedette accanto al compagno, esausto. -Si tratta di sole due settimane fra il viaggio e le negoziazioni, forse anche meno. Potrai resistere benissimo, non fare troppe storie. Possiamo considerare l’argomento chiuso e scendere a cena?- domandò prendendolo per mano.
-D’accordo.-
-Bravo.- fece per alzarsi, ma venne bloccato.
-Ja’far?-
-Cosa c’è che ancora c’impedisce d’andare a cena? Se non ti fosse chiaro io avrei fame.-
-Mi mancherai.-
Sorrise. -Lecchino. Ora possiamo andare?-
-Andiamo o finirai per mangiare me.- disse alzandosi con un sorriso.
-Terrò a mente la possibilità.-
-Ja’far?-
-Sta passando dall’essere una possibilità ad essere la prossima cosa che farò.- borbottò.
-Dì a qualcuno della gravidanza.-
-Perché vuoi che lo faccia?- chiese irrigidendo tutti i muscoli e guardandolo con aria minacciosa.
-Mi preoccupa sapere che sarò lontano e tu qui tutto solo.-
-Non sarò solo, ci saranno tutti gli altri.- lo corresse.
-Ma non sanno nulla. Parlane con almeno uno di loro.- lo supplicò.
Si girò. -Io vado a cena, tu fa come vuoi.-




******************
Era partito così. L’unica cosa che Ja’far gli aveva detto era ‘buon viaggio’, con voce atona e priva di interesse.
Gli faceva rabbia. Rabbia perché fosse stato per lui il figlio che Ja’far difendeva non avrebbe dovuto esserci, ma se lo desiderava tanto avrebbe almeno dovuto smettere di nascondersi. Invece no. Poteva capirlo: in passato aveva viaggiato ed aveva visto di persona quanto la discriminazione in base ai generi secondari fosse diffusa, ma se avesse accettato di rivelarsi non avrebbe potuto succedergli nulla. Sindria predicava una perfetta equità nel trattamento dei cittadini, nessuno lo avrebbe deriso o considerato inferiore, ed anzi avrebbe finalmente potuto occupare il posto che gli spettava.
Schioccare le dita sarebbe stato più difficile che non dire la verità. Sarebbe bastato che una volta tanto la smettesse di mascherare il suo odore fino a non averne più uno, che camminasse per le strade senza l’odiatissimo velo a coprirgli il collo e che lo lasciasse libero di avvicinarglisi quando più gli pareva. Ed in una settimana, massimo due al castello sarebbe comparso un secondo trono con inciso il suo nome e dei soffici cuscini.
Avrebbe potuto lasciare i duri lavori d’ufficio e dedicarsi di più all’aiuto del popolo, suo principale interesse, dare alla luce tutti i principi che desiderava e ottenere il rispetto che meritava. Ma invece no, perché il cocciutissimo Ja’far aveva deciso così. Come sempre. Era lui a decidere con chi fare affari. Con chi poteva fare un viaggio diplomatico. Quando andare a cena. Quando ristrutturare metà palazzo per ricavarne un appartamento. Quando compiere un viaggio.
Sapeva bene di essere stato lui a cedere le redini a Ja’far e non gli creava problemi sapere che al timone ci fosse il suo omega perché aveva tutte le prove che sapesse condurre una nave magistralmente, ma gli sarebbe piaciuto che lo consultasse. O anche meno, bastava che lo mettesse al corrente con un po’ d’anticipo! Non era chiedere troppo, no?
Invece nulla, non si fidava di nessuno e rifiutava categoricamente di chiedere aiuto… e nell’arco di sette o otto mesi avrebbero avuto un cosetto che urlava in mezzo alla notte e che faceva di tutto per ridurre il già scarso tempo che passavano insieme.
Poco importava cosa la gente avrebbe potuto pensare di lui, non poteva fare a meno di pensarlo: “Odio mio figlio.”




******************
-Benvenuto a Kou signor Sinbad.-
-Grazie. Perdoni la mia ignoranza, il suo nome è?-
-Koumei Ren, secondo principe dell’impero. Ora, se vuole seguirmi.-
Non era degno di un re mostrarsi sorpreso, ma lo era. Negli anni aveva incontrato diversi principi, e gli era capitato spesso di scambiare i rampolli reali per nobili di ceto più basso, ma mai come allora. Aveva sentito dire che i capelli rossi erano un tratto molto comune nella famiglia Ren e di certo le lentiggini non pregiudicavano una persona, ma le profonde occhiaie, il modo di vestire trasandato e le scarse formalità non lasciavano in alcun modo ad intendere che fosse un principe di quell’impero così vasto e pericoloso. E con quel grado poi!
-Venga, la accompagno nella sua stanza.-
Anche il modo di camminare era tutto fuorché regale. Mentre lo accompagnava lungo infiniti corridoi notò che camminava piano, strisciando i piedi per terra con fare pigro e sbadigliando costantemente. Stonava incredibilmente con il maestoso palazzo in legno, i magnifici porticati e gli ampi e curati giardini.
-Questa sarà la sua stanza per tutto il tempo in cui vorrà restare. Spero si trovi bene e per qualsiasi cosa non si faccia problemi a chiedere.-
Fece una pausa per l’ennesimo sbadiglio e Sinbad tentò d’infilarci in mezzo un ringraziamento, ma fallì poiché il principe riprese a parlare. -La sua nave è arrivata più tardi del previsto, direi che non è il caso d’iniziare oggi le trattative. Se per lei va bene aspetterei fino a domani.- Si fermò un attimo e Sinbad annuì, ma non fece in tempo ad aprir bocca che l’altro proseguì. -Essendo io e la principessa Kougyoku gli unici principi attualmente presenti nel castello non avevamo intenzioni di allestire banchetti o cene in compagnia, e se per lei va bene manderò un cuoco a discutere con lei per la cena. Non si faccia problemi e ordini tutto ciò che può venirle in mente. Se preferisce cenare in compagnia lo dica e io o la principessa faremo l’impossibile per accontentare il suo desiderio.-
Era impressionante. Parlava senza mai fermarsi, e visto da fuori sarebbe potuto sembrare dovuto a soggezione o similari, ma guardando quegli occhi rossi cercati da pesanti occhiaie si capiva che era perfettamente abituato a trattare con persone del suo calibro e che la cosa non gli pesava affatto e semmai l’annoiava.
-No, non voglio abusare della- non finì mai la frase.
-Perfetto, allora ordini liberamente al cuoco cena e colazione. Se non sono troppo invadente, a che ora suole svegliarsi?-
Invadente? In realtà no, era una domanda lecita, ma dal tono con cui l’aveva posta si poteva dedurre che la formula di cortesia fosse un proforma e che il principe non aveva mai considerato di sentirsi rifiutare una risposta. Proprio come lui non aveva mai considerato che Ja’far potesse restare incinto.
-Solitamente è Ja’far, il mio primo ministro, a buttarmi giù dal letto quando ritiene io abbia dormito abbastanza, ossia generalmente attorno alle 8:30.-
-Preferisce dormire più a lungo o se le fissassi una visita della città intorno alle 9:30 ci andrebbe volentieri?-
Era davvero incredibile. A dividerli c’erano cinque centimetri di differenza, il vestiario e tanti altri piccoli particolari, quasi tutti concordi nel dire che ad essere superiore era Sinbad, eppure il re dei sette mari non poté fare a meno di sentirsi incalzato da tutte quelle domande.
-Mi farebbe piacere.-
-Bene, allora le fisserò una visita guidata dalle 9:30 fino all’ora di pranzo. Se vuole potrà pranzare in città e far recapitare il conto a palazzo oppure tornare qui a mangiare. Per quanto riguarda gli affari darò ordine alle guardie di accompagnarla in biblioteca alle 15. Per lei va bene?-
-Sì.-
-Bene, allora la lascio.-
Non si perse in convenevoli e se ne andò. La cosa a Sinbad non dispiacque, ma lo preoccupò. Per fama sapeva che erano il primo ed il terzo principe ad essere ritenuti spaventosi, mentre pareva che il secondo fosse innocuo… ignorava la fonte del pettegolezzo, ma se l’avesse scoperta ci avrebbe fatto quattro chiacchiere. Quell’uomo, decisamente non era innocuo, ma anzi, risultava più spaventoso di Zepar.




******************
L’organizzazione in quel palazzo era veramente incredibile. Gli orari che Koumei gli aveva indicato venivano rispettati alla perfezione, per i corridoi si vedevano solo guardie di pattuglia con un atteggiamento serio e concentrato o domestiche laboriose ed obbedienti. Un risultato impressionate.
Anche il giro della città fu fantastico: organizzato alla perfezione per mostrare esempi sulle attività locali, frammenti storici e piccole ed interessanti curiosità. Le sue guide lo conducessero a visitare per lo più luoghi celebri e di sicuro impatto, ma non fecero nulla per impedire che esplorasse le vie in cui si concentravano le case della popolazione o per impedire alla popolazione di avvicinarsi a curiosare, e la cosa fece molto piacere ad una persona a favore delle pari opportunità come Sinbad.
Dopo una breve discussione con i suoi accompagnatori ottenne di poter pranzare in un piccolo locale senza pretese un po’ in periferia, per assaggiare piatti tipici della popolazione e analizzare il comportamento degli altri avventori.
Aveva sentito più volte dire che l’impero Kou sottomettesse con la forza le popolazioni e che vi regnasse ancora la schiavitù e quindi si era figurato uno scenario di malcontento generale e ostilità verso i detentori del potere, ma quando la piccola compagnia fece il suo ingresso nel locale vennero osservati da sguardi incuriositi e un paio di persone andarono loro incontro per scambiare quattro parole con le guardie che li accompagnavano. Era sorprendente. Forse quel grosso e potente impero non era poi così male.
Fecero ritorno a palazzo una decina di minuti prima dell’ora dell’incontro con Koumei e la cosa per la prima volta mise in difficoltà le guardie, in dubbio fra il riaccompagnarlo alla sua camera e poi in biblioteca, rischiando di farlo tardare all’appuntamento ed il condurlo direttamente alla biblioteca, correndo il rischio d’interrompere le attività del principe.
Vennero salvati dalla scelta, perché non appena varcarono le immense soglie del palazzo gli venne incontro il principe stesso che dopo averli pigramente ringraziati per il loro lavoro li congedò e condusse il re di Sindria con sé nella biblioteca, una stanza enorme piena di libri e pergamene dall’aria nuova e antica.
-Prego, si sieda.-
A molti regnanti il modo di esprimersi di quell’uomo aveva dovuto fare un’ottima impressione viste le premure che nascondeva nell’invitare l’ospite a sedersi, ma a ben guardare l’invito celava un preciso ordine, che tuttavia Sinbad eseguì.
-Come si è trovato?- disse accomodandosi di fronte a lui.
Si aspettava quella domanda, così rispose senza troppe esitazioni.
-La stanza era molto comoda, la cucina è ottima e sono impressionato dall’efficienza delle persone che lavorano in questo palazzo.-
Koumei aprì la bocca, segno che evidentemente anche la risposta di Sinbad era abbastanza un cliché, ma questa volta il re non si fece mettere i piedi in testa e proseguì. -Avrei sola una curiosità.-
Lo sguardo del principe era più vitale del solito, segno che non era abituato a vedersi sorpassare così e che la cosa lo aveva lasciato non poco sorpreso e anche piuttosto stizzito. -Mi dica, cos’ha potuto catturare l’intenzione di una persona importante come lei?-
-Durante la notte ho sentito delle urla, dal tono stridulo tipico dei bambini. Per curiosità, se non sono troppo invadente, mi dica, lei ha figli?-
Non era una gran domanda e non era veramente interessato alla risposta, ma aveva bisogno di interrompere i discorsi del principe una volta tanto per dimostrargli che non si sarebbe fatto sottomettere e che per quanto ben organizzato fosse, l’impero non era perfetto.
Koumei non gli rispose immediatamente, esibendo inizialmente uno sguardo seccato, dovuto probabilmente al fatto che Sinbad fosse abilmente riuscito ad evitare la fine trappola che tendeva abitualmente a qualunque ospite del palazzo. E non aveva mai fallito.
Dopo un attimo poggiò un gomito sul tavolo e la testa sulla mano, guardando Sinbad con un lieve sorriso.
-Si figuri, è una curiosità lecita e sarò lieto di risponderle. Avete ragione, a palazzo soggiornano un paio di bambini ed effettivamente sono di sangue regale, ma si tratta di figli delle concubine del terzo principe dell’impero, Koha. Come penso lei sappia, la famiglia imperiale di Kou conta molti membri e ne siamo piuttosto fieri. Ha altre domande?-
Maledetto, non solo si rifiutava di abbassare i toni, ma usava le “critiche” altrui per mettersi in luce, fortificando pian piano il suo incantesimo intimidatorio. Aveva bisogno di qualcosa di più aggressivo, meno facilmente smontabile…
-Non mi giudichi per la mia impudenza, ma ho come l’impressione che non siate poi così uniti come dice.-
Il ragazzo, che all’inizio non si era mostrato offeso nel sentire Sinbad riprendere la parola, spalancò gli occhi e lo guardò sorpreso, lasciando cadere la maschera di perfezione che fino ad un attimo prima si sforzava di indossare.
-Prego?-
Sinbad gongolò interiormente. Un punto per lui.
-Lei dice di essere fiero della sua famiglia, ma parla dei suoi fratelli dando maggior risalto al loro titolo piuttosto che al vostro legame o anche solo al loro nome e nel parlare di quelli che, se ho ben capito, sono suoi nipoti non mostra affetto verso di loro, descrivendoli come figlio del terzo principe e di delle concubine, dando così un’impressione di distacco e d’indifferenza.- si fermò un attimo a guardare Koumei che lo fissava con sguardo incuriosito, in attesa che continuasse. -La cosa appare discordante. Ma, - avrebbe voluto continuare il discorso e in via ufficiale il principe gli aveva dato il via libera a farlo, ma se fosse stato troppo pesante avrebbe potuto dar vita ad incidente diplomatico e Ja’far lo avrebbe senz’altro squartato - la prego di non dar troppo peso alle parole di un profano come me che non può nemmeno vantare di essersi sposato.-
Il principe lo guardò per un po’ come a volerlo esaminare, poi sbuffò divertito e si sedette più comodamente, rinunciando alla posa tanto regale quanto scomoda che fino ad un secondo prima s’era impegnato a mantenere.
-Concede anche a me una domanda?-
Dal suo cambio di postura si poteva pensare che il principe avesse scelto di smettere di tentare d’imbrogliarlo, ma evidentemente prima di darsi definitivamente sconfitto voleva saggiare bene il terreno per capire se non c’era alcuna possibilità di ricondurre la situazione a suo favore. Non poteva negargli quella domanda, ma doveva fare attenzione e misurare bene le parole.
-Prego, mi dica.-
-Cosa l’ha spinta a venire in territorio nemico disarmato?-
Come si era aspettato era una domanda a trabocchetto: se avesse risposto che lo aveva fatto perché si fidava di loro lo avrebbe preso per uno sprovveduto e sarebbe tornato all’attacco; se avesse detto che voleva mantenere la pace fra i due paesi avrebbe lasciato a intendere che in alcun modo voleva dar vita ad una guerra e il principe ne avrebbe approfittato per imporgli tariffe molto più alte sulle merci che voleva commerciare. Nessuna delle due risposte era quella giusta. E poi, a ben pensarci, il principe si sbagliava.
-Ho scelto di non condurre qui una nave da guerra ma un pratico mercantile perché sono venuto per condurre affari, e per lo stesso motivo non ho voluto portare con me guardie ma piuttosto marinai. Tuttavia non posso dire di essermi fidato a tal punto da venire disarmato, come potete osservare.- evidenziò mettendo in mostra tutti i gioielli contenenti djin che indossava. -Ho scelto di presentarmi con le stesse forze di cui il vostro impero dispone, così da non spaventarvi senza motivo, ma avendo con me tutto ciò di cui necessito per combattere ad armi pari.-
Era fiero della sua risposta perché non lasciava in alcun modo ad intendere che in realtà fosse andato lì da solo per il semplice motivo che nessuno dei suoi seguaci se la sentiva di viaggiare, e in qualche modo sentiva di essere riuscito a dire al principe che a dover temere era lui, in barba a ciò che poteva credere.
Il principe sorrise. Non un sorriso perfido, minaccioso, amaro o di scherno; il sorriso di una persona che accetta la sconfitta, ma che ci tiene a fare una precisazione. E in effetti la fece.
-Pensando alle condizioni attuali può tranquillamente dire che se dovesse esserci uno scontro lo vincerebbe lei, ma se l’impero Kou volesse schierare tutti i suoi djin, che recentemente sono saliti a nove grazie al principe Hakuryuu, tutti i propri seguaci integrati, l’esercito ed il nostro magi, sarebbe costretto quantomeno a chiedere aiuto ai suoi alleati, e anche così la lotta sarebbe aspra.- concluse il principe guardandolo placidamente.
Sinbad ponderò di prendere le sue parole come una minaccia, ma nello sguardo dell’uomo non aleggiava la minima traccia di aggressività e sembrava essersi stancato del discorso.
-Che ne direste d’iniziare a discutere d’affari, il motivo per cui siete qui?- propose infatti dopo un minuto di silenzio.
Sinbad annuì, ma non riuscì a trattenersi dal porre un’ultima domanda.
-Scusate, ma dov’è il vostro gran sacerdote?
Lo sguardo di Koumei si assottigliò e si fece sospettoso.
-Da cosa deriva la vostra domanda?-
Sinbad non riuscì a capire il motivo dell’aperta ostilità che ora il principe d’un tratto mostrava e la cosa lo mise in allerta, convincendolo a rispondergli quanto più velocemente possibile.
-Fra noi non corre buon sangue e devo dire che se fosse possibile gradirei non doverlo incontrare, ma a quanto ne so lascia raramente il palazzo e anzi ho sentito dire che va spesso a far visita agli ospiti.-
Koumei si rilassò visibilmente. -Effettivamente al momento Judal si trova a palazzo, ma dubito che verrà a importunarvi essendo chiuso nelle sue stanze a causa di una malattia che sembra avere ogni intenzione di tenerlo a letto per almeno altri 4 o 5 giorni, tempo che spero ci basti per concludere le trattative.-
-Condividiamo la stessa speranza.- disse prendendo le pergamene che gli venivano porte, scacciando una domanda insistente.
Perché chiama i fratelli per titolo e Judal per nome?










Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte: ma quant’è bello questo capitolo? Sono stupidamente orgogliosa di lui, e meno male viste le ore che ci ho messo a scriverlo. Sono felice in particolare perché il primo pezzo è nel mio solito stile: leggero, forse anche troppo; ma il secondo è tutt’un’altra storia, con il nostro Sin che sa essere a tratti intelligente e che si concentra per capire Koumei, cosa non eccessivamente facile (anche se mai come con Kouen).
Ok, dopo aver detto le cose frivole passiamo a quelle più serie come temevo la metà dei lettori (magari, sono ben di più!) ha abbandonato la storia dopo il primo capitolo e certo la cosa mi spiace, ma ringrazio voi che continuate a seguire, spero vi piaccia.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3. -Saresti disposto a...?- ***


SARESTI DISPOSTO A …?



Stettero in biblioteca a discutere d’affari per oltre tre ore e ciò nonostante non riuscirono a concludere nulla: le proposte del principe non erano male e mai una sola volta aveva tentato di estendere nuovamente il suo incantesimo, ragion per cui Sinbad uscì sì stanco dalla trattativa, ma anche piuttosto soddisfatto e positivo.
Si era fatto riaccompagnare in camera sua da una delle guardie, ancora incapace di trovare la strada da solo e uscendo dalla doccia aveva trovato un uomo sull’uscio della camera, che con nonchalance gli aveva domandato cosa volesse per cena per infine ritirarsi nelle cucine. Fra una cosa e l’altra alle otto si era ritrovato solo, ma senza aver sonno, compagnia o qualsivoglia cosa da fare.
Si era girato i pollici per una decina di minuti, poi era uscito per andare a fare un giro. Fra una cosa e l’altra da che era arrivato non aveva ancora avuto modo di osservare nel dettaglio il palazzo. Si perse a lungo ad esaminare i porticati coperti e le colonnine in legno finemente lavorato, le piante esotice e da frutto, i piccoli stagni abitati da decine di pesci rossi e i ruscelletti in cui scorreva un’acqua incredibilmente limpida.
Procedette pian piano lungo i corridoi senza mai incontrare nessuno. La cosa era quantomeno bizzarra: durante il giorno aveva intravisto molte domestiche indaffarate e guardie, ma la sera nulla, neanche un’anima.
Passeggiò senza metà finché non venne colto dal buio, e girandosi capì di essersi perso. Dal suo punto di vista non era nulla di grave, al massimo avrebbe dormito in uno dei cortili, ma se la cosa fosse mai giunta all’orecchio di Ja’far, e lo avrebbe certamente fatto, come avrebbe potuto difendersi dal linciaggio?
Si sedette lungo il muro e si mise a riflettere bene sulla sua situazione. Era in un regno nemico ma come ospite, ragion per cui se avesse incontrato qualcuno probabilmente lo avrebbe aiutato senza problemi, ma in giro non di vedeva nessuno e non sapeva dove poteva trovare qualcuno. Poi si ricordò dei bambini. Era un azzardo, ma poteva solo sperare che le urla della notte prima non fossero un caso isolato, quanto piuttosto una costante, e nel caso le avrebbe seguite e si sa che nelle famiglie ricche dove c’è un pargoletto c’è sempre anche almeno una tata, che avrebbe potuto aiutarlo a ritrovare la via.
Ebbe fortuna, perché in meno di cinque minuti tendendo l’orecchio ebbe modo di sentire un pianto in lontananza. Si mise subito in marcia, ma dopo oltre dieci minuti non era ancora giunto da nessuna parte pur essendosi avvicinato, e la cosa si stava facendo stancante. Penso di evocare un djin e cercare qualcuno dall’alto, ma avrebbe potuto dare l’impressione sbagliata, per cui desistette. Si accasciò lungo il muro premendosi i palmi sugli occhi ed inspirando a fondo.
Se ne accorse solo allora. Da una porta a poco meno di tre metri da lui giungeva un sottile odore di pesche mature. E lo sentiva. Non si tratta di frutti. La parte razionale di lui gli urlava di andarsene, ma l’istinto lo mosse in direzione della porta. Doveva andarsene. Come Ja’far ammetteva quand’era di ottimo umore, lui non era un traditore, ma solo un semplice alpha, e come tale propenso a seguire gli omega che gli stanno vicini e di fronte ad un omega in calore razionalità e buon senso non avevano possibilità di vittoria.
Provò ad andarsene ma le gambe erano disposte ad andare solo verso quella porta scorrevole, che ancora si ostinava a celargli l’identità dell’abitante. Non che lui lo volesse conoscere. Solo che nessuno si sarebbe tenuto un omega in calore a palazzo tanto per sport, e quindi non poteva che essere qualcuno di spicco. Un altro dei motivi per cui doveva assolutamente andarsene.
Ci provò, ma fallì inutilmente e l’unica cosa che riuscì a fare fu poggiare la fronte sulla porta, sospirando sconsolato e cercando di recuperare la forza sufficientemente per andarsene. Tutti i suoi buoni propositi sparirono quando sentì una voce invitarlo ad entrare. Seguì l’invito e si chiuse la porta alle spalle.
Il buio era piuttosto fitto così che non riusciva a capire bene come fosse la stanza o dove fosse chi l’aveva invitato. Ne sentiva solo il dolce profumo e dovette farsi violenza per non aggredirlo.
-Vieni qua o no?- aveva l’impressione di conoscere quella voce, ma il tono basso e provocante lo confondeva.
-Io… -
Improvvisamente la stanza venne illuminata da una fievole luce rossastra.
-Chi sei?-
La voce era bassa e sofferente, ma aveva una sfumatura di rabbia ed aggressività. Ne seguì il suono e si girò. Lunghi capelli neri, un fisico piuttosto atletico, degli inquietanti occhi rossi e una ridicola collana.
-Sinbad?-
-Judal?-
Si fissarono esterrefatti in una sorta di gara di sguardi, fino a che Judal non abbandonò la sfida lasciandosi ricadere all’indietro sul letto, gemendo sofferente. Solo allora Sinbad riuscì a realizzare che l’omega che il suo olfatto aveva individuato era Judal.
Lo guardò spaesato: il fiato corto e il corpo tremolante, non era il Judal che conosceva. L’istinto lottava ancora per convincerlo a sottomettere il giovane omega che si trovava davanti, ma la razionalità in qualche modo riuscì a inchiodarlo dov’era, lasciandogli però la possibilità di parlare.
- Senti, sai- tentò di appaciarsi al ragazzo, che spalancò gli occhi rossi e lo guardò con rabbia.
-Non so perché sei qui, ma vattene.-
Il tono in qualche modo duro nonostante il dolore, i capelli per una volta sciolti appiccicati al corpo sudato e lo sguardo colmo di dolore, rabbia e supplica al tempo stesso… mosse un paio di passi nella sua direzione.
-Vuoi che chiami aiuto?-
Lo sguardo di Judal si fece sofferente. -Lascia perdere, non verrebbe nessuno e Koumei si arrabbierebbe con me.-
Non aveva mai fatto caso a quanto Judal fosse bello. Il corpo magro e le occhiaie trasmettevano un’impressione di debolezza che però era compensata dai solitamente feroci occhi rosso sangue e dall’atteggiamento autoritario. Si avvicinò ulteriormente, arrivando a due passi da lui.
-Avanti, ridi e prendimi in giro, ma poi vattene.- lo invitò girandosi verso il muro.
Lo fissò un secondo, esitante. Poi gli fu addosso.




******************
Riprese coscienza di sé solo alle prime luci dell’alba, e la prima cosa che gli venne in mente fu la bellezza del marmo bianco. Ja’far lo avrebbe ammazzato di certo, quindi meglio lasciar scritte le sue ultime volontà e le istruzioni per la sua sepoltura, sperando che uno degli otto generali le facesse rispettare al compagno.
In risposta ai suoi nefasti pensieri Judal si svegliò e andò a coricarsi su di lui muovendosi in modo piuttosto inequivocabile.
-Judal devo tornare in camera mia.- gli posò le mani sui fianchi per spostarlo, ma quello si ancorò a lui, tenace.
-Non lo vuoi veramente, quindi perché?-
Già, perché?
-Per non provocare uno scandalo o peggio una guerra con Kou.- rispose guardandolo muoversi su di lui.
-Sullo scandalo non garantisco, ma non ci sarò alcuna guerra.- garantì il Magi.
Sinbad lo guardò scettico. -Koumei pare piuttosto legato a te, non so se vedrebbe così di buon occhio la nostra serata.-
Judal scoppiò a ridere, lasciando basito Sinbad. -Stai zitto, cosa dovremmo fare se ci scoprissero?- domandò apprensivo.
Ricevette in risposta uno sguardo condiscendente, poi finalmente anche le sue orecchie poterono udire una risposta degna di tale nome.
-Perché dici che Koumei sarebbe interessato a me?- … solo che non era inerente all’argomento!
-Chiama tutti per titolo e solo te per nome.- rispose rassegnato a non avere una risposta.
Judal si chinò in avanti portando la bocca all’altezza dell’orecchio di Sinbad.
-Sai, c’è un preciso motivo dietro.- disse leccandogli il lobo. Sghignazzò. Poi tornò a sedersi sul bacino del conquistatore e con un luccichio inquietante negli occhi riprese da dove prima si era interrotto.
-Oh sì, Magi!- prego?
-Così Gran Sacerdote!- che diavolo stava facendo?
-Di più Judal!- e che diavolo di motivo aveva di fare quell’espressione oscena?
Poi si fermò lasciando Sinbad a guardarlo confuso, e qui Judal sospirò esasperato.
-Speravo che a 30 anni-
-29.-
-Dicevo, 30 anni e-
-Ti dico 29!-
-Che stress! Va bene, 29!- disse guardandolo arrabbiato.
-Andresti d’accordo con Ja’far.- sospirò pensando all’analogo litigio, riflettendo sul torto che gli aveva fatto. Non lo meritava.
-… quale sceglieresti?-
-Cosa?-
Incrociò le braccia al petto. -A che pensavi?-
-A nulla. Potresti ripetere la domanda?-
-Sì se mi dici a cosa stavi pensando.-
Lo guardò. Che motivo aveva di nasconderlo?
-Riflettevo sui fiori che voglio al mio funerale.-
Judal piegò la testa di lato, in attesa di spiegazioni.
-Non appena metterò a piede a Sindria Ja’far mi ucciderà.-
Continuava a non capire. -E perché?-
Guardò in direzione della porta, pensando a casa. Non avrebbe mai dovuto fare quel viaggio.
-Vorresti dirmi che è un tuo omega?-
Annuì senza guardarlo in faccia.
Judal gli prese il mento e lo obbligò a guardarlo. Ghignava, tremendamente divertito.
-Mai sentito della regola dei 100 chilometri?-
-Non sono in vena, evita per favore.-
Lo fissò con aria delusa, poi tornò alla carica. -Dicevo: fra le tre espressioni quale preferisci?-
Sinbad riportò gli occhi su di lui e lo fissò spaesato per un po’ prima di capire che si riferiva alle tre bizzarre uscite di prima della sua confessione. -Sono tutte e tre incredibilmente ridicole.-
Ricevette un pungo in risposta. E non uno giocoso. -Non ti ho chiesto questo.-
-La terza.- rispose allora guardandolo con astio.
Judal ridacchiò e lo guardò ammiccando, cercando di dirgli qualcosa che gli sfuggiva.
-Non capisco come tu possa avere un omega ed essere così fesso!- sbottò ad un certo punto esasperato. -Quello che cercavo di farti capire è che a furia di scopate il bel principino con cui tu discuti da mattina a sera ha preso confidenza e abbandonato le formalità.-
Gli occhi di Sinbad si illuminarono di comprensione, che poi si trasformò nell’esatto contrario.
-Ma allora perché… perché?-
Judal lo fissò con condiscendenza, come se fosse un bambino. -Stai cercando di chiedere perché passa il tempo a trattare con te anziché a trombare con me? Sei veramente ingenuo.-
Sin lo fissò seccato: non era lì per farsi insultare da un ragazzino di 18 anni convinto di avere in mano le chiavi del mondo. Judal notò il suo sguardò e non poté trattenersi dal ghignare.
-Non verrebbe mai perché non sarebbe d’aiuto e rischierebbe di “farsi contagiare”.- notò lo sguardo confuso di Sinbad e si decise a dire finalmente tutto in modo che non fosse fraintendibile -È anche lui un omega.-




******************
Forse Judal aveva ragione e lui era un ingenuo, ma davvero, fino al giorno prima non si era mai interessato al genere secondario della gente attorno a lui perché, come gli otto generali dimostravano, non era l’essere omega a decretare il fallimento o l’essere alpha a garantire il successo, quanto piuttosto l’impegno.
Fin dai 16 anni si era circondato di persone forti: a differenza di molti eserciti non aveva mai escluso beta e omega per il preconcetto che li voleva succubi del potere di un alpha, e confidava di poter dire che Ja’far e Yamuraiha non erano secondi a nessuno nella loro disciplina.
Quindi perché avrebbe dovuto andare a farsi problemi perché un principe era un omega? Se era abile negli affari e a trattare i nobili valeva il prezzo del biglietto, alpha o omega che fosse. E allora perché durante il loro incontro aveva faticato così tanto a togliergli gli occhi di dosso e a smettere di annusare l’aria attorno a lui per captare qualcosa che lo tradisse, rischiando così anche di arrecare una grave offesa al paese? Cosa gli stava succedendo? Essere tanto lontano da Ja’far era così dannoso per lui? O forse era Judal a fargli quel pessimo effetto?
L’unica cosa che era certa in mezzo a tutto il marasma di domande era che Ja’far gli mancava. Avrebbe tanto voluto poterlo stringere appena tornato in camera, magari dimenticandosi di chiudere la porta e ricevendo per questo una violenta scossa o una scarica di calci, ma che importava? Si era giocato questa possibilità nell’esatto momento in cui si era avvicinato a Judal. Judal! Lo odiava, e allora perché? Stava divenendo membro del club secondo cui ogni buco è galleria? Era pentito. Questo era certo. Avrebbe voluto potersi confessare ma nel vasto impero in cui soggiornava al momento non aveva confidenti e non poteva chiamare i suoi a Sindria perché non ci sarebbe stata Yamuraiha a ricevere la chiamata. E poi non era cosa da dire così.
Rimaneva una sola via: sarebbe tornato a casa, avrebbe confessato tutto a Ja’far, il quale lo avrebbe ripudiato. Sarebbe stato un suo compito fare qualsiasi cosa per chiarirgli il suo pentimento, pregandolo di tornare. Forse l’avrebbe fatto, forse no. Ma non poteva mentirgli né poteva perderlo.
La cosa certa era che lui non avrebbe mai più fatto visita a Kou e non avrebbe mai più fatto un viaggio da solo, per nessuna ragione.
E non sarebbe mai e poi mai tornato da Judal.




******************
-Che domanda è “Com’è iniziata?”?-
-Ti imbarazza rispondere?-
Anche quella sera era uscito per fare una passeggiata e prima di accorgersene s’era ritrovato davanti alla porta di Judal. In qualche modo era riuscito a dare le spalle alla stanza, peccato che poi avesse sentito la porta aprirsi e quell’avvolgente odore di pesche richiamarlo all’interno.
Adesso, dopo lunghe ore passate a soddisfare i desideri del ragazzo sdraiato perpendicolarmente sul letto e su di lui, iniziò a cercare di fare conversazione.
-Non è che m’imbarazzi, - disse scuotendo la testa e guardandolo ghignante -solo che non è mai iniziato nulla fra noi.- rispose semplicemente, guardandolo con i bramosi occhi rossi.
-Io avevo capito che-
-Ecco dove si trova il problema! Non penso tu sia in grado di capire.- lo interruppe col solito tono arrogante -Fra noi non c’è nulla che valga la pena citare. È solamente un omega che cerca compagnia per i calori in attesa che l’alpha a cui punta si accorga di lui.-
In effetti non capiva. E non si fece troppi problemi ad ammetterlo. -Non potevi chiedergli di ricambiarti il favore?-
Judal lo fissò come fosse un moscerino fastidioso. -Non lo conosci. Vedendolo per brevi periodi non si riesce mai a capire che tipo di persona sia. Credi sia altruista e disponibile? Ti sbagli.- lo fissò duro, poi scoppiò a ridere senza il minimo motivo. -Non che abbia importanza.- dall’espressione si capiva perfettamente che Sinbad non fosse d’accordo, ma al tempo stesso il Magi pareva non aver voglia di trattare ulteriormente l’argomento, preferendo dedicarsi ad altro. -E non provare a dire che però mi hai trovato uno straccio, perché è stata un’eccezione.-
Sinbad lo guardò scettico. -Ah sì? E sentiamo, durante gli altri calori come avresti fatto?-
Judal lo guardò ghignando pe poi abbassare lo sguardo. -Se ti rispondo avrò un premio?-
Era decisamente vivace e non era facile gestirlo, ma si era accorto che se gli dicevi sempre di sì era tollerabile. Quindi annuì e ottenne la risposta che voleva.
-Io e lui non abbiamo nulla più che un po’ di scarso sesso occasionale, non ho il minimo obbligo nei suoi confronti, così come lui non né ha nei miei, ragion per cui solitamente sfrutto gli alpha o alla peggio i beta della famiglia, ma purtroppo questo giro erano tutti via e non sono riuscito a convincere nessuno di loro a portarmi con sé, ritrovandomi solo. E ora, se permetti- disse con gli occhi che brillavano avvicinandoglisi.
-GLI alpha?-
Ricevette uno sguardò seccato che prometteva morte. -Perché no? Sai com’è, i vantaggi di essere single.-
-Ma allora quel collare?-
Questo volta si girò veramente arrabbiato. -Senti, se vuoi una romantica serata in cui passi tutto il tempo a parlare di stronzate davanti ad un camino tornatene a casa: io cerco altro e credevo che lo cercassi anche tu.-
Sinbad abbassò gli occhi non riuscendo a sostenere il suo sguardo e Judal esplose. -Sentimi bene- esclamò furente obbligandolo a guardarlo -prima o poi è normale cercar altro. Sei o no un maledetto alpha? E sei un re! Potresti avere un fottuitissimo harem, e invece hai scelto un singolo omega che, permettimi di dirti, non è neanche tutto ‘sto granché! E mi viene difficile credere che compensi a letto, per cui vedi di capire che ‘sta roba è solo una sana scappatella e goditela!-
Sinbad lo guardò senza essere ancora convinto.
-Quale cavolo è il problema? Non hai mica scritto in fronte che l’hai tradito, se non sarai tu a dirglielo non lo saprà mai e intanto tu avrai passato una graziosa vacanza di cui serberai solo un ricordo. E se vuoi ancora saperlo il collare serve proprio a impedire che voi alpha possiate segnarmi come vostro omega, perché non ho intenzione di rinunciare alla mia libertà e al mio attuale stile di vita.-
Lo sguardo del grande conquistatore mutò, fissando ammirato il diciottenne in piedi a pochi metri da lui, intento a guardarlo con serietà ed astio. -Saresti disposto a rinunciare alla tua attuale relazione solo per una sciocchezza?-
Sinbad lo fissò. Gli occhi duri, senza la minima traccia di scherno o minaccia, in attesa di una risposta.
-No, non accetterei mai una cosa simile.- rispose tremendamente serio e qui gli occhi di Judal ebbero un guizzò e riacquistarono la loro strafottenza tipica. Ghignò.
-Perfetto, e adesso dimmi: si tromba o no?-










Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte: alzi la mano chi si aspettava di questa comparsa. Suppongo che ci fosse qualcuno, visto che lo sorso capitolo si chiudeva con lui si poteva supporre che in qualche modo sarebbe stato ripreso, ma mi piacerebbe sapere che cosa vi aspettavate e vedere se si avvicinava a ciò che succede effettivamente...
In questo capitolo c'è uno spunto di riflessione che vi lascio sotto, fatene ciò che volete.

“Commettere errori è una delle caratteristiche degli esseri umani, giustamente parte della nostra natura. Di fronte ad un errore grave (che in questo caso è il tradimento, ma potrebbe essere benissimo anche altro), di cui l’autore è conscio e pentito, come ci si dovrebbe comportare? Confessare tutto rischiando di rovinare tutto o tacere sperando che tutto continui come prima?”

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. Mi sei mancato ***


MI SEI MANCATO



-Hai un’aria terribile, che ti è successo?-
Dopo quasi tre settimane era finalmente tornato a casa. Sulla banchina c’erano tutti. Eccetto il più importante.
-Non preoccupatevi, è solo un temporale che non mi ha fatto dormire.-

-Si sente bene? Ha avuto difficoltà ad addormentarsi?-
-Non si preoccupi, sono solo rimasto sveglio a leggere.-

-Beato te che non hai un bimbo che ti urla nelle orecchie nel mezzo della notte.-
Confrontato a Spaltos e Pisti lui era un bijoux. Ma il loro sorriso era vero, il suo no.
-Siete certi di stare bene?-
-Tranquillo, non è niente di serio.-

-Grazie per avermi fatto compagnia, ma ora è finita, da domani nemici come prima. Vedi? Non era nulla di serio.-

Guardò i suoi amici e dopo un attimo si azzardò a chiedere, con tono insicuro. -Ja’far?-
A parte gli imperturbabili Spaltos e Masrur, gli otto generali si rabbuiarono.
-È una settimana che è isterico- disse Sharrkan.
-Era da tempo che non toccava picchi simili!- annuì mestamente Pisti, priva della sua solita allegria.

-Era da tempo che non mi lasciavano solo, è stata una fortuna che tu sia venuto.-

-Maltratta chiunque gli capiti a tiro.- proseguì Yamuraiha.

-Taci!-
-Sta zitto!-
-Va al diavolo!-

-Non esagerate.- cercò di placarli Spaltos -Ieri durante la pattuglia con Masrur abbiamo sbirciato in camera per vedere come stava, e l’abbiamo trovato rannicchiato sul letto con la testa fra le ginocchia.-
Masrur annuì, e gli diede man forte. -Senza velo.-
Sembrava sciocco, ma chi lo conosceva sapeva che Ja’far spesso non toglieva il velo neppure per dormire.
-Avete litigato?- chiese Dracoon.
Mugugnò. -Non proprio.-
-Va a trovarlo.- suggerì Pisti con un sorriso stanco.

-Siamo stati lieti della sua visita. Perché non torna fra un paio di mesi per farci sapere come si trova e se desidera espandere il commercio?-
-Cercherò di esserci.-

-A quest’ora sarà al lavoro.- lasciò la frase in sospeso, certo che gli amici avrebbero capito.
Hinahoho gli batté una mano sulla spalla. -Porta pazienza, tra un oretta finirà di lavorare e tornerà in camera.-

-Sono contento che tu sia qui.- due calda braccia gli cingevano la vita, la porta dietro di loro ancora aperta… e nessuno si aspettava che venisse chiusa.

Sorrise ai suoi uomini. -Andrò a riposarmi un po’, ci vediamo a cena.-
Tutti levarono una mano in segno di saluto, per poi avviarsi presso le rispettive dimore.




******************
Tornò in stanza e si buttò sul letto. Il viaggio era stato lungo ed ovviamente lo aveva stancato, ma il suo esaurimento era dovuto più che altro ai sensi di colpa. Non era piacevole sentirsi colpevole, così come non lo era non sapere cosa aspettarsi dal proprio futuro. Ma aveva una certezza: qualsiasi cosa fosse accaduta, confessandosi avresti aperto una ferita che avrebbe potuto essere cucita, ma non sarebbe mai completamente guarita… faceva male. Ed è difficile da accettare.
Sentì solo distrattamente il suono della campana che annunciava l’ora di cena, troppo concentrato nelle sue riflessioni, risvegliandosi solo quando la porta, cigolando, si aprì.
Alzò gli occhi su Ja’far. Era stanco, esausto, ma questo non era un novità. Stette fermo a guardarlo, osservando il profilo snello, nascosto dalla larga veste, e i candidi capelli bianchi, celati dal velo. Non era più un assassino da anni, ma non aveva mai smesso di tentare, in un modo o nell’altro, di nascondersi dagli occhi di tutti. E non lo avrebbe mai fatto, per nessuna ragione.
-Ja’far-
Sentendo il suo nome si riscosse, chiuse la porta alle sue spalle ed andò ad abbracciarlo. -Mi sei mancato.-
Erano tre semplici parole. Solo tre. Ma furono una vera pugnalata. Lo fecero sentire sporco, inadatto. E no, non poteva dirglielo così.
Titubante ricambiò l’abbraccio, stringendolo a sé senza dir nulla.
-Mi dispiace.-
Avrebbe preferito esser calpestato da un elefante piuttosto che sentire quelle parole. Avrebbe dovuto essere lui ad essere dispiaciuto, lui ad abbracciarlo, lui a prostrarsi e pregare per il suo perdono. Ma non stava facendo nulla di tutto ciò. E non sapeva se avrebbe mai avuto il coraggio di farlo.
Si staccò da lui e si sforzò di sorridere, guardandolo negli occhi. Era uno sporco verme. -Hai fame?-
-Un po’.- borbottò passandosi una mano sulla pancia.
Era davvero una merda, come aveva potuto abbandonare Ja’far, il suo compagno da oltre 6 anni, per una scappatella? Ora che era incinto di suo figlio, poi!
Gli mise un braccio sulle spalle, avvicinandolo a sé -Andiamo allora.-
S’incamminarono velocemente, spinti dalla fame, ma un pezzo di Sinbad rimase in camera. Un pezzo chiamato coscienza.




******************
-Come sono andate le trattative?-
Alzò lo sguardo dalla bistecca insapore che stava mangiando. -Benissimo, abbiamo impiegato tre giorni per capire quali prodotti potevano essere realmente scambiati e sono riuscito a strappare al principe un accordo davvero molto conveniente.-
Non era mentire, giusto? Ja’far non gli aveva chiesto se lo avesse tradito, o se avesse incontrato Judal, quindi lui non gli stava raccontando bugie, no? E allora perché aveva lo stomaco chiuso?
-Con chi hai concluso l’accordo?-
Il suo interesse era legittimo, e visto che ancora si trovavano in mensa era giusto che non gli rivolgesse domande troppo intime per nascondere il suo coinvolgimento, ma era pesante. Pesava, perché voleva liberarsi da quel peso. Ma sarebbe stato un vero mostro se d’improvviso gli avesse detto “Ehi, ti ho tradito. E con Judal”. Se invece fosse stato casualmente lui a chiedergli se lo avesse incontrato sarebbe stato più tollerabile.
-Koumei.- era difficile parlare.
Il suo sguardo si fece dubbioso. -Quel Koumei di cui ho sentito parlare? Il secondo principe dell’impero, che tende delle finissime trappole a chiunque?-
Annuì. -Solo io quando l’ho incontrato non sapevo neppure chi fosse?-
Ja’far lo guardò esasperato ed ignorò la domanda. -Sei assolutamente certo che non ti abbia raggirato?-
Lo guardò. No, non lo era. O meglio, era certo che nel contratto che aveva firmato non ci fosse nessuna particolare trappola, ma se la trappola fosse stata altro? Tipo Judal?
-Ho controllato bene il contratto e non c’era nessuna irregolarità, sta tranquillo.- era sicuro di ciò che diceva?
-Hai causato incidenti diplomatici?-
No. -Nessuno.-
Sorrise. -Vado a prendere il dolce e poi andiamo.-




******************
Finita la cena Ja’far iniziò subito a ricordargli i suoi doveri di re: lo prese con sé e parlando di responsabilità e carte da firmare lo trascinò fino al suo ufficio. Per poi aprire la porta affianco.
-Non posso lavorare nel tuo stesso ufficio, ma questa stanza era vuota.-
Il re si guardò attorno ammirato. Quando era partito Ja’far aveva preparato il prospetto, ma non aveva ancora trovato una stanza o ingaggiato dei muratori. Doveva essersi dato un gran daffare.
L’ufficio in cui si trovava aveva i muri tinti di bianco da qualche settimana al massimo, una libreria che occupava su tutta la parete dietro la scrivania ed un’ampia finestra, che al momento mostrava un cielo pieno di stelle, ma privo di luna. Sulla destra, delle eleganti poltrone per accogliere gli ospiti.
-Hai già iniziato a lavorarci?-
Il raffinato tappeto su cui poggiava la scrivania era coperto di fogli accartocciati, caduti probabilmente dal cestino, e anche sopra la scrivania c’erano diversi libri e pergamene.
-Certo, cosa credi?-
Alzò le spalle. -Speravo ti fossi preso un giorno di pausa.-
Ricevette in risposta un sorriso. -Domani ti mostrerò il progetto per il nuovo appartamento, intanto andiamo a dormire, ok?-
Laborioso come sempre, mai che si fermasse un momento. Lui invece…
-Sin, stai bene?-
Allungò un braccio verso Ja’far, lievemente tremante, portando il palmo a sfiorargli la guancia. Quello si girò a controllare che la porta fosse chiusa, per poi rilassarsi e chiudere gli occhi, beato.
-Vuoi dirmi che hai?-
Non ottenne risposta, semplicemente Sinbad si fece più vicino e lo abbracciò, ponendo la testa sopra quella di Ja’far.
-Nulla- soffiò.
Non fu convincente, ma Ja’far non ribatté.
-Mi sei mancato.- bisbigliò dopo un po’.
Sorrise. -Anche tu.-










Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte: siamo tornati! Sindria, cara dolce Sindria! È il mio scenario preferito, non immaginate neppure quanto mi sia mancata.
Non credo ci sia bisogno di dirlo, ma, trauma legato al primo commento che ho avuto, lo specifico: le parti in corsivo sono pensieri e ricordi dell’esperienza vissuta a Kou da Sinbad, con Judal o Koumei, suscitati dalle parole degli otto generali.
Della seconda parte potrei dire tante cose, ma non ne ho eccessiva voglia, quindi, se volete, fatelo voi.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5: Addio cara vecchia routine ***


ADDIO CARA VECCHIA ROUTINE



Le giornate ripresero a scorrere come ogni giorno.
Andava in ufficio, firmava pile di documenti, iniziava ad oziare, Ja’far veniva a controllarlo, trovandolo a far nulla lo massacrava, riprendeva a lavorare, oziava, andava a pranzo, lavorava, oziava… tutto come se nulla fosse.
Eppure, se ci faceva bene attenzione, tutto era diverso.
Quando si svegliava Ja’far non era quasi mai accanto a lui, ma in piedi vicino alla finestra a prendere aria.
Lavorava tutto il giorno, ma si prendeva un paio di pause per riposare.
Mangiavano in mensa come sempre, ma Ja’far evitava il più possibile i dolci, la carne rossa e i grassi.
Finito di mangiare il compagno non tornava subito in ufficio, ma faceva due passi nel bosco dietro il castello.
Seguiva i lavori di restauro dell’appartamento apparentemente calmo, ma continuava a chiedere a che punto fossero.
Scherzava volentieri con i colleghi, ma si perdeva spesso ad osservare Pisti e Spaltos.
E ogni sera prima di andare a letto restava a contemplare il suo riflesso allo specchio, mettendosi di profilo e tirando il vestito sulla pancia, per accertarsi che non si vedesse, o forse per il motivo contrario.
A dir la verità, gli faceva un po’ paura questo cambiamento.




-A che mese sei adesso?- gli chiese una sera guardandolo specchiarsi.
-Non sai più contare?- fu l’unica risposta che ottenne, senza neanche che i loro occhi s’incontrassero.
Attese pazientemente, osservando il riflesso di Ja’far da sotto le coperte. Alla fine venne soddisfatto.
-Terzo mese, 15 settimane per l’esattezza.- gli rispose infatti rivestendosi.
Si prese un attimo per riflettere, poi proseguì.
-Di norma non si dovrebbe fare una visita al terzo?-
-È consigliato, ma non obbligatorio.-
-Ma- obbiettò Sinbad -non trovi che sarebbe una buona idea?-
-Per cosa? Rivelare al popolo il mio genere secondario? Passo.-
-I medici sono tenuti al segreto professionale.- lo corresse -Potremmo farti fare una visita qui a palazzo.-
-Sei preoccupato?- chiese avvicinandoglisi.
-Credo solo che sarebbe una buona idea. Pisti-
-Pisti- lo interruppe prontamente Ja’far infilandosi sotto le coperte -è un’alpha. Ha dovuto prendere dei farmaci per poter concepire, ed ovviamente ha dovuto essere seguita. Io- disse ponendosi una mano sul petto -sono un omega nel fiore degli anni ed in ottima salute: non ne ho bisogno.-
Lo guardò torvo. Avrebbe tanto voluto insistere, ma lo sguardo di Ja’far parlava chiaro: non avrebbe cambiato idea.
-Come vuoi.- cedette.
Ja’far sorrise soddisfatto della sua vittoria, spense la luce e andò ad accoccolarsi contro il corpo caldo di Sinbad.
Stava per addormentarsi quando una voce lo riscosse.
-Quando glielo diciamo?-
Non capì bene. O meglio, le parole doveva averle intese, ma gli sfuggiva il senso.
-Che vuoi dire?- domandò rimpiangendo il suo quasi-sonno.
-Non credi sarebbe ora di dirlo agli altri?-
Questo però lo capì. E non gli piacque.
-Sentimi bene- fece per mettersi a sedere ed iniziare ad urlargli contro, ma Sinbad lo tenne vicino a sé con il braccio che aveva avvolto attorno alla sua spalla e proseguì.
-Non sono un esperto, ma da piccolo ricordo di aver sentito dire che il terzo mese è una specie di traguardo.-
Si interruppe un momento, guardando Ja’far che era intento a fissarlo scettico.
-Le donne del villaggio dicevano di aspettare spesso il terzo mese prima di rivelare la gravidanza perché giunti al terzo era “più sicura”.-
Ja’far sospirò e si rimise comodo. -Ti riferisci al fatto che dopo il terzo mese gli aborti spontanei sono rari? Hai ragione, è così.-
-Quindi- tentò di motivare la sua tesi, ma Ja’far lo interruppe.
-Vorresti assolutamente che adesso informassi gli altri, vero?-
Non era una buona idea prendere Ja’far troppo di petto, ma in questo caso voleva essere chiaro.
-Esatto.- confermò.
Ci furono alcuni istanti di silenzio, poi Ja’far sospirò.
-Convocali domani pomeriggio in sala riunioni.-
1 a 0 per lui.




******************
La mattina seguente, prima di andare in ufficio, Sinbad si divertì a cercare gli otto generali per metà regno. Con alcuni fu facile, con altri meno. Ma la cosa divertente, caccia all’uomo/donna a parte, furono le loro reazioni.
Yamuraiha, sfogliando un libro preso da uno scaffale, gli chiese subito che problema ci fosse.
Sharrkan, che aveva passato la notte in birreria, gli domandò se stessero entrando in guerra.
Masrur, svegliato dal suo pacifico sonno, gli chiese il luogo dell’incontro per poi tornare a dormire incurante.
Dracoon ed Hinahoho, intenti a scaricare le navi al porto, gli domandarono chi avesse molestato quella volta.
Spaltos, impegnato ad allenare le reclute in caserma, esibì due profonde occhiaie ma annuì e Pisti, intenta ad allattare il piccolo Sofocle, domandò se non poteva delegare l’incarico al marito.
Ed eppure, nonostante tutti i loro dubbi, si presentarono tutti, in perfetto orario.
Guardandoli Ja’far ebbe paura e se ne fosse stato per la mano che Sinbad aveva poggiato sulla sua schiena, probabilmente li avrebbe rimandati tutti a casa, adducendo qualche scusa.
Quando tutti furono entrati e si furono seduti attorno al tavolo, Sinbad chiuse la porta ed andò a sedersi a capotavola, con Ja’far in piedi alla sua destra, come d’abitudine.
-Perché quest’improvvisa riunione?-
-Problemi di commercio?-
-Qualche alleato è insoddisfatto?-
-Hai generato uno scandalo?-
Non ebbe il tempo di aprir bocca che i suoi amici lo assalirono di domande.
Si sentì offeso dalla loro carenza di fiducia e mise su il broncio, ma Ja’far provvide in fretta a placare i malumori con un semplice “Nulla di tutto questo”, attirando così l’attenzione su di sé.
E poi andò in panico. Non era timido, però…
-Ja’far- lo ammonì Sinbad.
Non fu felice di essere sgridato per un nonnulla, ma questo lo fece parlare.
-Sono incinto.- disse guardando i generali, ma appena questi sentirono la notizia ed iniziarono a strabuzzare gli occhi spostò lo sguardo. Pessima idea, perché dopo un secondo di sbigottimento gli si buttarono tutti addosso, congratulandosi con lui.
-Ma è fantastico!-
-Sofocle non crescerà solo!-
-Finalmente vi siete decisi!-
-Diventerò zia!-
-Vuoi Sofocle per fare pratica?-
-Proveresti a convincere anche Saher?-
Trovandosi in difficoltà cercò l’aiuto di Sin che lo guardava sorridendo, per nulla intenzionato a muoversi. Il bastardo.
Ci vollero diversi minuti perché tutti si calmassero e tornassero a sedersi, smettendo di soffocarlo. A quel punto per prima cosa mollò un giusto pugno in testa a Sin, poi sospirando prese una sedia e si sedette.
-A che mese sei?- chiese Yamu, interessata.
-Al terzo- rispose laconico.
-Da quando lo sai?- domandò Dracoon.
-Due mesi circa.-
-E NON CE L’HAI DETTO FIN’ORA?- gli urlarono tutti in un coro quasi perfetto.
La cosa, oltre a spaventarlo un po’ lo mise a disagio.
-Quindi lo sai da prima che Sinbad partisse.-
-E non ti è venuto in mente di avvisarci?-
-Se ci fosse stato qualche problema?-
-Che avresti fatto?-
Ok, adesso però stavano esagerando!
-So badare a me stesso.- rispose laconico.
Ma fu la risposta sbagliata.
-Non si parla più solo di te.-
-Si parla anche del piccolo.-
-Che faresti se gli succedesse qualcosa?-
Abbassò il capo, conscio che avevano ragione.
Vedendolo pentito, tutti si addolcirono ed iniziarono ricordarsi della presenza di Sinbad.
-Avete già deciso il nome?-
-Preferiste un maschio o una femmina?-
-Ogni tanto potrei fare da baby-sitter.-
Erano parecchio inquietanti, ma al tempo stesso erano molto… dolci? Affettuosi? Premurosi? Be, sì, più o meno.
-Finalmente Sindria avrà un principe ed una regina!- fu però un esclamazione magica, che ebbe il potere di far perdere il sorriso ai due futuri genitori.
-Non è così facile.- bisbigliò Ja’far a capo chino, guadagnandosi occhiate indagatrici da parte dei generali.
-Potrebbe esserlo, se tu non fossi così testardo.- lo corresse Sinbad.
Il diverbio mise a disagio i generali, che iniziarono a muoversi inquieti. Alla fine Spaltos prese coraggio -Che significa?-
Videro la coppia scambiarsi un’occhiataccia, e poi Sinbad, dopo aver apertamente provocato il compagno accusandolo di codardia, si decise a rispondergli -Ja’far insiste a non voler far sapere al popolo che è un’omega.-
Sapevano tutti quale fosse il punto di vista di Ja’far ed un paio di volte avevano provato a fargli cambiare idea, senza mai ottenere successo.
-Senti Ja’far- tentò Hinahoho, ma Yamuraiha lo interruppe poggiandogli una mano sul braccio ed avvicinandosi a Ja’far.
-Capisco la tua posizione,- disse abbassandosi accanto a lui -ma questa volta non posso approvarla. Capisco che tu abbia paura del giudizio del popolo, ce l’ho anch’io,- si capivano, loro due, probabilmente perché la loro natura era la stessa -però, questa volta, credo tu stia sbagliando.- disse prendendogli le mani.
-Forse il popolo non approverebbe immediatamente, ma vedendo il loro re felice, la professionalità con cui ricopriresti il ruolo di regina e la bellezza del principe, perché sarà bellissimo, non solo si adeguerà, ma non potrà fare a meno di amarti.- continuò sorridendogli e accarezzandogli le mani con i pollici.
-Non sono sicuro di voler diventare la regina.-
-Ok, la scelta è tua, ma pensa a questo:- disse fissandolo intensamente -potrai ignorare il bambino in pubblico, nasconderlo o fingere che non sia tuo, ma non sarai il solo a soffrirne. La principale vittima sarà il piccolo.-
Fu una pugnalata. Ma non servì a far cambiare idea a Ja’far, che in fondo agli occhi conservava un’aria di determinazione.
Yamuraiha si alzò con un sospiro. -La scelta è ancora tua. Fa come meglio credi.- gli disse con dolcezza, tornando a sedersi.
Ci fu un attimo di silenzio, poi Dracoon prese la parola.
-Come credi di fare a nasconderlo?-
Questa volta fu Sinbad a rispondere, raccontando del loro piano e chiedendo l’aiuto di Yamuraiha e degli altri generali per le future apparizioni pubbliche. Nessuno fu entusiasta, ma tutti accettarono.
-Vi ringrazio. Sentite, fra due settimane dovrò fare un viag-
-Quale viaggio?- domandò Ja’far.
-Te ne ho parlato. Quello a Kou per discutere con il principe Koumei l’andamento degli affari, ricordi?-
Il suo sguardo si rischiarò. -Me n’ero dimenticato.-
Lo tirò a sé. -Potreste controllare che non si ammazzi di lavoro?-
Sorrisero tutti e si diedero disponibili. -Bada bene di non fare danni durante il soggiorno, chiaro?-
-Per chi mi avete preso?- chiese con un sorriso.
-Un donnaiolo.-
-Ubriacone.-
-Privo di peli sulla lingua.-
-O di decoro.-
-Nonché di discrezione.-
-Per non parlare del pudore.-
-BASTA, HO CAPITO!-
Scoppiarono tutti a ridere.
-Ci mancherai.-
-Non fare cavolate.-
-Non ne farò.- assicurò, sperando di riuscire a mantenere la promessa.










Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte: neanche il tempo di tornare a Sindria che già si riparte, vorrei piangere! Ma ignoriamo i sentimenti personali, che non credo v’importino. Il capitolo nel complesso mi piace, anche se avrebbe potuto essere migliore, ma, ehi!, non chiediamomi troppo.
… in questo caso c’è una domanda! (per la verità due, ma “ha senso evitare le visite mediche per i minimi rischi che queste comportano?” non mi piace, quindi “la evito”)

“Non esiste un momento adatto per dare una notizia, bella o brutta che essa sia, ma è meglio comunicarla quando si ha la certezza o correre il rischio e anticiparla?”

Non è posta benissimo, lo so. Diciamo che in caso i gravidanza si può leggere come “Meglio aspettare il terzo mese per dare la lieta novella, o no?”, ma se volessi applicarlo ad un ambito di investimenti in borsa (non guardatemi male, sto vedendo Spice and wolf) potrebbe essere “Qualora si fosse in possesso di un potenziale ottimo affare, meglio condividere le proprie informazioni con gli amici o tenerle per sé finché non si sarà certi dell’affidabilità della fonte?”

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Capitolo 7
*** Capitolo 6: Shock ***


SHOCK



Due settimane dopo l’annuncio della gravidanza Sinbad partì serenamente: si preparò i bagagli, non litigò con Ja’far e si assicurò che i suoi fedeli generali lo tenessero d’occhio. Anche se, di nuovo, nessuno avrebbe tenuto d’occhio lui.
Il viaggio fu splendido, preoccupazioni a parte, e la nave attraccò nel porto di Kou nel bel mezzo della notte, una settimana dopo esser partita.
Tuttavia, fu presto chiaro che c’era un che di diverso a Kou.
Certo, ovviamente non si aspettava che il principe Koumei stesse ad attenderlo al porto notte e giorno, ma confidava che a seguito della lettera che gli aveva scritto, mandasse almeno qualche servitore di palazzo ad attendere il suo arrivo… invece non trovò nessuno. Dopo aver atteso invano per una mezz’ora che qualcuno venisse a prenderlo si avviò a piedi verso il palazzo.
Il non incontrare nessuno gli parve normale, nel bel bezzo della notte, e si godette la passeggiata fra le case ed i negozi, fino ad arrivare al castello. Lì venne prontamente bloccato da delle guardie, che dopo aver sentito le ragioni della sua presenza lì mandarono a chiamare un valletto che lo accompagnasse in camera, senza fare il minimo accenno all’assenza di una carrozza che lo attendesse al porto.
Il valletto, un ragazzino dall’aria assonnata, gli fece strada fino ad una delle camere per gli ospiti e dopo che fu entrato chiuse la porta alle sue spalle.
C’era qualcosa che non andava, pensò spogliandosi. Già l’assenza di una qualche forma di scorta ad attenderlo al porto non era normale per un impero come Kou, che faceva dell’accoglienza degli ospiti un vanto, ma che anche al suo arrivo ci fosse tutta quella disorganizzazione… che era successo?




******************
Quando la mattina seguente si svegliò, si vestì ed uscì, certo di trovare un servitore o un’ancella in attesa del suo risveglio, pronto a dargli il buon giorno e portargli la colazione, ebbe un’altra strana sorpresa. Non c’era nessuno.
Dopo un attimo di esitazione, sforzandosi per ricordare la strada, s’incamminò verso la sala da pranzo reale, dove aveva cenato l’ultimo giorno del suo soggiorno. Arrivatoci davanti aprì lentamente la porta, trovando all’interno un ampio banchetto, e quelli che, a giudicare dai tessuti pregiati, dovevano essere i principi e le principesse, e che si girarono a guardarlo incuriositi.
-Mei, chi è?- domandò quello che dalla voce doveva essere un principe, dall’aspetto una principessa.
Il cosiddetto “Mei” si alzò e gli andò incontro, ignorando la domanda. -Felice di rivederla, signor Sinbad.- disse stringendogli la mano. Fu bizzarro, ma al vedere quella innocua stretta di mano si sentì un ringhio, che attribuì ad un uomo più o meno suo coetaneo, alto quanto lui e chiaramente alpha ed arrabbiato.
-Kouen, che ti prende?- domandò la donna seduta vicino a lui, una principessa vestita di bianco, con due enormi occhi azzurri e capelli neri.
La sua attenzione venne distolta dalla scena da Koumei, che iniziò a fare le presentazioni. -Questa volta è stato più fortunato, potrà conoscere tutti i principi dell’impero. Le presento Kouha,- disse indicando il principe-principessa, che gli indirizzò un sorriso sghembo, -Kougyoku,- una graziosa principessa dall’aria timida, -Hakuryuu,- un giovane dai fini capelli neri, -Hakuei e Kouen.-
Salutò tutti educatamente, e come da istruzione prese una sedia ed andò a sedersi fra Koumei e Kouha. Dopo il primo saluto Koumei si concentrò sul cibo davanti a lui, mentre il suo vicino iniziò una fitta conversazione.
-Piacere di conoscerla, sono Kouha, generale a capo dell’ala ovest e padrone del djin Leraje.-
Sorrise divertito e tese la mano. -Sinbad, il piacere è mio.-
-Come si è trovato nella sua precedente visita?-
-Magnificamente, vi ringrazio ancora.- Koumei al suo fianco sventolò una mano con fare di sufficienza, mentre Kouen lo guardò truce. Non si poteva certo dire che fosse di buon umore, visto poi che non faceva altro che fissarlo come se gli avesse fatto un torto.
-Per quanto ha intenzione di fermarsi questa volta?- non era la fine trappola che gli aveva teso Koumei al loro primo incontro, non ci si avvicinava neppure lontanamente, ma la loquacità del giovane principe era comunque piuttosto impressionante.
-Non più di un paio di giorni, spero di non esservi di disturbo.-
-Niente affatto! Piuttosto, mi dica: sarebbe disponibile ad uno scontro?-
Prima che potesse anche solo pensare una risposta, un pugno si abbatté sul tavolo, facendo cozzare tutte le stoviglie.
-Dannazione Kouha, piantala una buona volta di infastidire gli ospiti!-
Di nuovo la principessa accanto a lui tentò di calmarlo, ma questa volta non sortì effetto ed il principe se ne andò furente.
Koumei sospirò. -La prego di scusare il suo comportamento, è da tempo che non soggiornava a palazzo e la guerra lo ha provato.-
Scosse il capo. -Si figuri, e anzi mi scusi: non era mia intenzione crearvi problemi.- girò poi il capo verso il principe seduto accanto a lui, che si sporgeva verso di lui con aria curiosa. -Preferirei non eccedere, per cui se vi accontenterete di uno scontro senza ricorrere alla magia mutaforma sarò lieto di farvi compagnia.-
La colazione proseguì tranquilla ed ebbe modo di scambiare due parole con tutti i commensali, ma gli restò un dubbio: perché il palazzo era così disorganizzato? e perché il principe Kouen sembrava odiarlo a morte, senza che si fossero mai incontrati prima?




******************
Passò il tempo che lo separava dal pranzo in compagnia di quel bizzarro principe, che lo trascinò per tutto il palazzo con pretese e richieste quantomeno assurde, cercando di coinvolgerlo in attività quantomeno alternative. Dovette più volte rifiutarsi, ad esempio, di tentare di rasare il pizzetto di Kouen, di truccare Koumei per fargli sparire le occhiaie o di sostituire i bagnoschiuma che erano solite usare le principesse sue sorelle. Ma si divertì, ed ebbe alcune conversazioni piuttosto interessanti. Poi ad un tratto il clima cambiò.
-Durante la sua ultima visita, ha avuto modo d’incontrare Judal?-
In sé per sé, la domanda non sembrava contenere trappole particolari, ma il clima gelido attorno a loro sembrava dire il contrario.
-Si trovava a palazzo?- domandò cercando di dare un tono di vaga sorpresa alla sua voce -Pensavo fosse impegnato anche lui in qualche campagna militare.- come mercante aveva dovuto imparare a mentire, sapeva di essere abile, ma ebbe comunque paura. Se l’avessero scoperto, che avrebbero cercato di fare?
-O no, raramente segue me o mio fratello in battaglia in quest’ultimo periodo.- rispose il giovane principe addolcendo lo sguardo e esibendo un piccolo sorriso. Alzò la testa e avanzò.
Sinbad rimase indietro un secondo prima di riprendere a seguire il principe, con una martellante domanda per la testa: “che Judal c’entri qualcosa con questo strano clima?”




******************
Passò il pomeriggio a discutere con Koumei di tutti i particolari del contratto redatto mesi prima, interrompendosi solo a breve distanza dalla cena. Era stato pesante, ma decisamente proficuo, e procedendo con quel ritmo avrebbe potuto ripartire già la sera successiva.
-Signor Sinbad.- la voce del principe lo spinse a girarsi. Si guardarono un attimo, poi prendendo un profondo respiro Koumei si alzò e gli si avvicinò. -Di nuovo, la prego di scusare il principe per il suo comportamento.- non era stata solo la colazione, ma anche quando a pranzo Sinbad aveva chiesto a Koumei di passargli un piatto, con tutte le cortesie del caso, c’era mancato poco che Kouen non ribaltasse il tavolo. -È stato sui campi di battaglia per circa due mesi ed al ritorno ha avuto una brutta sorpresa. È solo stanco, normalmente non si comporterebbe mai così…-
Sorrise e gli poggiò una mano sulla spalla. -Non si deve preoccupare, capisco ed anzi sono io che mi scuso, mi duole infastidirvi e per tanto spero di poter concludere queste trattative il più velocemente possibile.-
Il principe gli sorrise, uno di quei sorrisi stanchi che gli aveva già indirizzato in un paio d’occasioni. -Ad ogni modo non deve preoccuparsi, dopo il pranzo di oggi gli ho parlato: finché lei sarà qui ha accettato di mangiare in camera sua così che non ci siano altri incidenti.-
-Non deve scomodarsi.-
-È il minimo invece.-
S’incamminarono verso la porta, e Sinbad non poté fare a meno di notare, riflettendo sul discorso appena concluso, un piccolo particolare.
-Mi consente una domanda?-
Il principe richiuse la porta e assentì.
Ci fu un attimo di silenzio, poi Sinbad parlò. -Non vorrei risultare invadente, ma posso chiederle che cos’è successo per turbarlo così?- non specificò l’oggetto, certo che non fosse necessario, ed in effetti lo sguardo incupito di Koumei diede ad intendere che aveva capito, e che la domanda era sgradita. Tuttavia rispose.
-Nulla di cui preoccuparsi, il nostro Gran Sacerdote è incappato in un contrattempo che sta creando qualche problema a corte, ma, come le ho detto, non ha motivo di preoccuparsene.-
Detto questo si girò ed uscì. E fu chiaro come il sole che dietro a quel “non ha motivo di preoccuparsene” era in realtà celato un “non sono fatti suoi”.




******************
La cena fu tranquilla, il cibo ottimo e la compagnia vivace pur se distaccata. Tutti i problemi organizzativi che c’erano stati vennero ignorati, Sinbad fu accompagnato alla sua stanza dal principe Kouha, che dopo avergli augurato la buona notte si ritirò e Sinbad, non avendo altro da fare, decise di andare a letto.
Stava giusto infilandosi sotto le coperte quando la sua porta si aprì. Pensò istintivamente che fosse un servitore, per cui si girò con calma, ma non riuscì a vedere nessuno, a causa di qualcuno che gli aveva coperto gli occhi con le mani.
Il suo primo istinto fu quello di attaccare, e diede immediatamente una gomitata, ma non incontrò ostacoli. Nella sua mente balenò l’idea di ricorrere ad un attacco che sfruttasse il magoi, ma se la persona alle sue spalle avesse avuto cattive intenzioni non si sarebbe certo limitata a coprirgli gli occhi con le mani, quindi ond’evitare incidenti o fraintendimenti non reagì, sentendo la persona dietro di lui soffiargli nell’orecchio un basso “chi sono?”
Non ebbe alcun dubbio. -Judal?- disse spostandogli le mani e girandosi a fissarlo.
Il ragazzo ghignò e si lasciò cadere sul letto alle sue spalle, battendo poi una mano sul materasso come ad invitarlo. Ma Sinbad, per quanto Judal fosse bello e desiderabile con quell’espressione provocante stampata in faccia, rimase al suo posto, fissandolo scettico.
-Ho qualcosa in faccia?- chiese stanco di quel semplice sguardo.
Negò col capo.
-Incastrato fra i capelli?-
Ripeté il gesto.
-Che ti prende?- chiese iniziando a camminare sulle ginocchia, pur senza scendere dal letto, per avvicinarglisi ed essere alla sua stessa altezza.
-Cosa vuoi da me?- gli chiese freddamente.
L’ennesimo ghignò si disegnò sulle sue labbra. -Tu cosa pensi?- replicò avvicinandogli una mano ai pantaloni, ma Sinbad si tirò repentinamente indietro.
Judal lo guardò sorpreso, poi si lasciò cadere all’indietro, rotolandosi sul letto e mordicchiandosi un unghia, mugugnando infastidito. -Vorrei tanto capire chi è il gran bastardo che mi ha fatto quest’orrido tiro.-
Sinbad restò a fissarlo. Peccato che Kou fosse così lontano…
Si diede immediatamente del cretino per quel pensiero, e si fece coraggio. Non poteva ripetere lo stesso errore, e al contempo doveva capire.
-Che ci fai qui?- gli chiese cercando di sembrare distaccato.
La verità era che anche senza tutti i maledetti feromoni che emanava durante il calore era dannatamente attraente…
ma restava un suo nemico!
Mugolò qualcosa di indistinto, poi si degnò di rispondergli. -Cercavo compagnia.-
-Per avere compagnia non è necessario togliere i pantaloni a qualcuno.- lo rimbeccò.
Udì Judal borbottare quello che sembrava un “fanculo” in risposta e lo osservò girarsi a guardare uno dei quadri appesi nella stanza.
Si sedette accanto a lui, non perché avesse voglia di gustarsi la sua compagnia, ma solo perché quello era il suo letto.
-Non avevi alternative migliori?- domandò.
In risposta Judal scosse il capo -Al momento no.-
Si sentì un po’ lusingato, così gli poggiò una mano sulla testa, scompigliandogli lievemente i capelli acconciati nella solita elegante treccia.
-Nonostante al momento suppongo ci siano un paio degli alpha di cui mi parlavi?- non sapeva pressoché nulla delle relazioni di Judal in realtà, ma di sicuro Kouen apparteneva alla famiglia ed era un alpha, quindi nulla escludeva che potesse appartenere al suo entourage.
Annuì, tenendo gli occhi fissi sul quadro. -Sì, nonostante al momento siano a palazzo.- si avvicinò piano a lui, appoggiando una mano sul suo ginocchio.
-Non eri stato tu a dire che sarebbe stato solo un calore?- gli chiese senza risentimento o malizia, solo... rassegnazione.
-Già.- annuì -Non ti chiedo nulla,- disse girandosi a guardarlo, con sguardo pacato -solo fammi restare un po’ qui.-
-Non c’è problema,- assentì avvolgendogli un braccio attorno alle spalle -ma posso chiederti che succede?-
Non erano amici. Non erano amanti. Ma non riusciva ad ignorarlo, e ne era convinto: doveva sapere cos’era successo.
Judal sembrò avere un attimo di esitazione ma alla fine rispose. -Nulla di preoccupante, abbiamo solo litigato un po’.-
Sinbad alzò un sopracciglio guardandolo scettico, e la cosa sembrò ricordare a Judal che per tutto quel tempo aveva avuto un atteggiamento quasi educato, così che riprese a comportarsi come al solito.
-Nulla di cui preoccuparsi,- ghignò allontanandosi e battendogli una pacca sulla schiena -normali scaramucce tipiche di questo tipo di relazioni senza impegno.-
Non era convincente, e Sinbad non si fece problemi a rinfacciarglielo, ma per tutta risposta Judal si alzò e si diresse alla porta, salutandolo sventolando la mano, senza però guardarlo.
-Judal?- lo richiamò, senza saper se lo avrebbe ascoltato o no.
Lo fece. Si fermò e per un attimo smise di respirare. -Spero che riusciate a chiarire.-
Un aria triste attraverso per un attimo i suoi occhi, prima che il ragazzo scoppiasse a ridere in modo falso e rispondendo con un tono di scherno. -Ti hanno mai detto che nel mondo dei grandi non tutto è così semplice?-
Per un secondo fu tentato di mandarlo al diavolo, ma ricordandosi di quel lampo di tristezza si trattenne, sostituendo gli insulti con un “spero comunque che possiate riappacificarvi quanto prima.”
E quelle parole segnarono la fine di qualcosa. O forse il suo inizio.
Judal si lasciò infatti cadere a terra, disegnando dei piccoli cerchi sul pavimento con un dito.
-Non accadrà mai.-
Si alzò per avvicinarglisi e cercare di dargli conforto, ma Judal lo inchiodò. -Sono incinto.-










Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte: voi non avete un piccolo déjà-vu?
Bene questo capitolo mi soddisfa, perché sembra seguire la legge di Murphy, secondo la quale:
se una cosa può andar storto lo farà e se più cose possono andare storte lo faranno nel peggiore degli ordini possibili.
Ecco, questa è stata per lungo tempo la mia filosofia di vita, e adesso grazie ad una magnifica persona questa mia visione pessimistica è cambiata.
Ora, dopo questa graziosa parentesi che dubito vi interessasse, vi dico solo che, con vostra somma gioia, non vi annoierò con delle inutili domande salvo, ovviamente, “Chi aveva previsto tutto o anche solo lontanamente immaginava la cosa?”, limitandomi a dirvi quanto io ami questa fanfiction e che mi fa piacere sapere che ancora la seguite.
E potete maledirmi, perchè adesso per un mesetto rimarrete in sospeso :-)

Hoshi_10000

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Capitolo 8
*** Capitolo 7: Il peso di una scelta ***


IL PESO DI UNA SCELTA



-Davvero?- chiese scioccato con un fil di voce.
Non udì risposta, ma vide Judal annuire lievemente, guardando altrove.
Si lasciò ricadere sul letto. -Direi che dobbiamo parlare.- disse battendo una mano al suo fianco.
-Non ce n’è bisogno.- rispose Judal tremando lievemente e puntando una mano sul pavimento per alzarsi.
-Io direi di sì.- breve pausa -Perché mi pare piuttosto palese che sia mio e-
-Non è un problema, non preoccuparti- lo interruppe spazzandosi i pantaloni. Ancora faceva di tutto per non guardarlo.
Lo fissò con espressione stanca e preoccupata, e per riflesso addolcì il tono della voce, come quando si cerca di avvicinare un gatto diffidente. -Poiché non capisco, potresti venire qui a spiegarmi?-
I modi dolci parvero funzionare, perché Judal ghignò e andò a sedersi accanto a lui. -Bene, mio caro pettegolo, cosa vuoi sapere?-
Ignorò il tono di scherno e la presa in giro. -Tutto, se possibile.-
-Va’ a prendermi una pesca.-
La sensazione di stupore e sbigottimento che l’aveva spinto a preoccuparsi per lui sparì. Inarcò un sopracciglio, scettico. -Che attinenza ha?-
-Ho fame, sono incinto e se non mangiassi abbastanza il bimbo potrebbe nascere con delle malformazioni, quindi vai in cortile e portami una pesca.-
Sospirò esausto. Come ricordava era impossibile stargli dietro. Si fece dare delle precise indicazioni ed uscì, attento a non incontrare nessuno, trovando presto uno degli alberi indicatogli da Judal e tornando da lui con le braccia cariche di frutti.
Dopo aver dato un morso al frutto iniziò a parlare, senza minimamente curarsi della regola secondo la quale non si può parlare a bocca piena. -Sai, è stato piuttosto divertente. Dopo che te ne sei andato Koumei si è ricordato di me e Koha ed Hakuryuu sono tornati a palazzo. Tre settimane fa ho scoperto d’essere incinto, e sono nati i problemi.- sputò il nocciolo sul pavimento, prese un'altra pesca e proseguì -Koumei ha richiamato subito Hakuei e Kouen, e ha tenuto una riunione per dire a tutti dei danni che ho fatto.- fissò il retro della pesca che stava mangiando, e scoprendola attaccata da un bruco la buttò, agguantandone una terza -Nessuno ha ammesso il proprio coinvolgimento a parte Kouha, e comunque non era con me durante il calore, quindi la cosa non ha avuto seguito.- ghignò incurante e si sistemò appoggiando la schiena al muro -Probabilmente se avesse creduto di poter essere il padre mi avrebbe anche preso come suo omega.- si fermò un attimo a guardare il soffitto, poi riprese. -Hanno insistito per giorni per sapere il nome, ma mi sono rifiutato e quindi hanno indagato ogni singolo alpha impiegato a palazzo.-
-Per questo c’è un clima così teso?- gli venne spontaneo chiedere.
Judal sghignazzò. -Sai, mi hanno praticamente vietato di uscire da camera mia, e forse per questo oggi Kouha è venuto a trovarmi. Ho saputo da lui del tuo arrivo, e mi ha anche raccontato degli interessanti siparietti con Kouen.-
Non rispondeva esattamente alla sua domanda, ma forse era meglio lasciar perdere.
-E adesso che faranno?-
-Non possono fare granché. Hanno controllato gli alibi di ogni alpha presente a palazzo e sono in crisi perché pensano che io sia andato fuori e abbia coinvolto qualche cittadino che potrebbe rivelare la mia natura.- fece per allungare la mano verso le pesche, ma Sinbad le allontanò. Lo guardò truce, tentò di prenderne una ma fallì, così si risedette e ricominciò.
-C’è stata una discussione piuttosto pesante. Sai è comico, sono tutti d’accordo: vorrebbero che abortissi.- Sinbad rimase un attimo sconcertato e Judal ne approfittò per far repentinamente volare una pesca fino a sé.
Sinbad, sconfitto, guardò i reduci alle sue spalle e ne prese una, guardandola con fare sospettoso prima di assaggiarla, e la sua faccia compiaciuta sembrò dare grande soddisfazione a Judal, che riprese il racconto. -Ma sai, non mi va. Non perché voglia far la mamma, intendiamoci!- disse agitando le mani davanti a sé -Solo… non so, non mi va di abortire. E sono pur sempre il Magi di corte. Quando nascerà potrei prendermi una balia e affidargli il fagotto, e quando sarà un po’ cresciuto potrebbe essere divertente giocarci. O alla peggio potrei darlo via. Sai, se potessi occuparmene solo una volta ogni tanto sarebbe eccezionale!-
Lo disse con tono sognante, ma le sue parole lasciarono sbigottito Sinbad. Non avrebbe mai associato la maternità a Judal, ed in fondo pareva aver ragione. Ma in qualche modo il moro non sembrava nemmeno voler completamente abbandonare il figlio… non riusciva proprio a capirlo.
-Credi che te lo faranno fare?-
-Non lo so. Sarà difficile. Sai, sarebbe tutto più semplice se il o la mocciosa non vivesse a Kou.-
Il senso del discorso continuava a sfuggirgli, ma era riuscito ad afferrare un punto: Judal voleva che quel bimbo nascesse, ad ogni costo. O almeno così sembrava, ma non ci avrebbe mai messo la mano sul fuoco.
-Che ne diresti di Sindria?-








******************








-Bene, direi che dopo questo qualora dovessero esserci dei problemi potremmo limitarci ad usare delle lettere, non trova?-
Koumei sorrise. Sembrava stanco. -Sono d’accordo, per lei dev’essere stato molto stancante affrontare un viaggio così lungo per questioni così veloci.-
Sorrise, uno di quei sorrisi falsi ma ammalianti che Rurumu gli aveva insegnato a fare. -Si figuri, era necessario e l’ho fatto senza problemi.-
Il principe sorrise con aria stanca, passandosi una mano fra i capelli e spettinandoli ancora più del normale, se possibile. -Venga, il principe Kouha la attende.- di fronte allo sguardo perplesso di Sinbad si spiegò meglio -Ha insistito per accompagnarla personalmente al porto. Venga.- aprì la porta e uscirono, parlando senza troppe preoccupazioni. E per poco Sinbad non andò a sbattere contro Kouen.
Fece subito atto di scusarsi, ma prima che le parole potessero lasciare le sue labbra si ritrovò con l’altro ad un soffio dal viso, intento a ringhiargli contro con una certa veemenza.
-Kouen, lascialo!- Koumei sembrava sconvolto e ciò nonostante la sua voce era ferma, ma non bastò.
-Kouen!- l’alpha davanti a lui sembrava farsi sempre più feroce.
A quel punto Koumei cercò di allontanare il fratello con la forza ma nonostante la differenza d’altezza fosse lieve, quella di forza fisica pareva immensa.
Da una porta accanto comparvero le due principesse e dal fondo del corridoio il principe Hakuryuu, ma nemmeno di fronte alle suppliche delle principesse ed alla forza del principe Hakuryuu Kouen lo lasciò.
-Non so in che modo, ma so che sei colpevole- disse con tutta l’aria di volerlo ammazzare, e con un solo scossone si liberò della presa dei fratelli.
Era un conquistatore di dungeon, il re di una nazione, un feroce donnaiolo, eppure, inutile cercare di mentire, aveva paura. Mai avrebbe pensato di ritrovarsi di nuovo attaccato così repentinamente da un ospite, così che non riuscì a reagire.
-Kouen, ora smettila.- una quantità incredibile di feromoni alpha l’avvolse, e per un attimo temette di morire, senza che avesse nemmeno potuto ricorrere alla magia mutaforma per salvarsi, ma poi fece caso ad un particolare: la presa sui suoi abiti stava perdendo forza.
Seguendo lo sguardo del principe di fronte a lui girò il collo e vide Kouha, fumante di rabbia intento a minacciare di morte il primo principe.
Non appena questi mollò la presa si allontanò lungo il corridoio e solo dopo che ebbe svoltato l’angolo si permise di portare una mano a massaggiarsi il collo. Ne aveva di forza!
-Mi dispiace.- non si diede pena a girarsi, aveva riconosciuto la presenza alle sue spalle.
-Questa volta non posso dire che non sia stato un problema.-
Il principe scoppiò a ridere -Capisco, ce ne faremo una ragione.- disse proseguendo verso quella che Sinbad valutò essere l’uscita, ed in effetti dopo diverse svolte giunsero all’ingresso del palazzo.
Si girò a riguardare la magnifica costruzione in legno e pensare alle persone che ci vivevano. Si soffermò anche sul corridoio, aspettandosi di vedere apparire gli altri principi per salutarlo, ma dopo un paio di minuti che lo fissava Kouha sembrò intuire i suoi pensieri. -Non verranno. Si scusano tutti, ma hanno preferito non correre rischi.-
Annuì, capendo di cosa parlava. D’altronde per tutto il tragitto in quei corridoi bui il principe aveva continuato ad emettere feromoni per tenere lontano il fratello, era logico che anche gli altri cercassero di fare tutto il possibile per tenergli lontano un principe che aveva rischiato di causare un grave incidente diplomatico per un sospetto infondato.
E si sentì in torto, perché il principe aveva ragione: era colpevole.



******************



Il mare quella notte era incredibile: scorreva lento e silenzioso, scuro e tranquillo. Sembrava non avere fine e dava un senso di serenità e pace.
-Ohi, dove sono le mie pesche?- strepitò una voce al suo fianco.
-Ne ho fatti caricare una decina di chili nella schiva, chiedi a Birgit di accompagnartici.- rispose senza girarsi a guardarlo, sapendo che altrimenti la sua pace si sarebbe irrimediabilmente guastata, se già non l’aveva fatto.
-Ehi, perché non mi ci accompagni tu?- sentì un certo peso premere sulla schiena, come se qualcuno ci si fosse sdraiato sopra.
-Non mi va.- per tutta risposta il peso sulle sue spalle aumentò.
-Andiamo stupido re, non farti pregare!-
Si girò, stanco. -Non puoi proprio andarci da solo, eh Judal?-
Per tutta risposta quello fece uno smagliante sorriso. -Indovinato, andiamo?-
Si staccò dalla chiglia. Il viaggio sarebbe stato duro, ma l’arrivo sarebbe stato peggio.



******************



-Sei spaventato?-
-Lo sono.-
-E da cosa?-
Guardò l’altro capo della cabina, rischiarato dalla luce che filtrava dall’oblò. -Dal futuro.- rispose accarezzando piano col pollice il braccio che gli cingeva la vita.
-Il grande conquistatore dei sette mari che ha paura di una cosa come questa?-
-Esatto.- ignorò lo scherno, era troppo stanco per dargli corda.
-Perché?- non c’era traccia di scherno questa volta e la cosa, a ben vedere, lo spaventava.
-Ho paura di perderlo.- nella risposta mancava l’oggetto, ma Judal parve capire.
-Allora perché hai scelto di portarmi con te? Se mi avessi lasciato a Kou non avrebbe mai scoperto nulla. Perché hai voluto complicarti l’esistenza?-
La domanda era interessante: perché l’aveva fatto?
-Non lo so. Sai, forse è stato per tener fede ad una bugia.-
Alle sue spalle Judal scoppiò a ridere -Sei proprio un cretino: si dice tener fede ad una promessa, non ad una bugia!-
-Non in questo caso.- spiegò pacato.
-Come ti pare, non è che m’interessi poi molto. Sai, io preferisco concentrarmi sul fatto che al momento tu sia nudo.-
-Perché tu no?-
-Altroché! E già che ci siamo, potremmo sfruttare la cosa, che dici?-
Erano bastati due giorni di navigazione per capire che c’erano due cose che a Judal non bastavano mai: le pesche ed il sesso. E, in tutta onestà, forse Sinbad avrebbe preferito che si limitasse alla prima.



******************



-Sindria è ancora molto lontana?-
-Non più di un giorno, tranquillo.-
-E meno male, non ci sono più pesche!-
Si girò a guardarlo. Lo aveva costretto a scendere nella stiva, per poi indicargli la cassa dove erano stati i suoi tanto amati frutti, e fargli presente che era vuota, a furia di urla, parolacce e minacce di morte.
-Appena arriviamo ne voglio una cassa.-
-Probabilmente sarà notte.-
-Sei il maledetto re, fa svegliare qualcuno e fatti dare delle pesche!- se sentendo del loro imminente arrivo si era calmato un po’, ora era di nuovo sul punto di scoppiare.
-D’accordo di sicuro nelle dispensa del palazzo ce ne saranno abbastanza per superare la notte.-
-Bene.- annuì soddisfatto sedendosi su una cassa e dondolando le gambe.
Finalmente pace per le sue orecchie.
-Senti…- per carità, che qualcuno gli chiudesse la bocca!
-Dove alloggerò in questi mesi?-
-Non hai motivo di preoccuparti, farò predisporre una stanza tutta per te.- rispose massaggiandosi le tempie. -Siccome rimarrai per tutta la gravidanza farò in modo che non sia troppo distante né dalle cucine né dai giardini, e farò in modo che tu sia adeguatamente servito.-
-Avevo ragione a dire che sei uno stupido!- gli urlò di nuovo contro.
-Cos’è, hai paura del buio? Temi i mostri sotto il letto? Non dirmi che sono i ladri a spaventarti!- prenderlo un pelo in giro era l’unico modo che aveva per vendicarsi: con che coraggio poteva farselo sfuggire?
Si aspettava che reagisse con indignazione e collera, invece un grandioso ghignò gli si dipinse sulla faccia.
-Preferisco prenderlo in culo fisicamente che verbalmente. E ora, se non ti dispiace, scegli fra la cabina e la stiva.-



Rimandarlo a Kou in anticipo non era fra le opzioni?





******************





-Signor Sinbad- il sussurro gli arrivò appena udibile, tanto che ci mise un po’ a capire che non era parte del suo sogno. Aprì un occhio a guardare la porta dove Birgit, senza azzardarsi ad entrare, probabilmente perché spaventato da Judal, continuava a cercare di comunicargli che erano arrivati in porto.
Annuì per segnalare che aveva capito, e quanto il ragazzo se ne fu andato si levò Judal di dosso con tutta l’attenzione possibile per non farlo svegliare, si vestì e salì sul ponte. Come aveva previsto erano arrivati nel bel mezzo della notte. Diede ordine di aspettare a scaricare fino al mattino nella speranza di non svegliare i cittadini che abitavano nei pressi del porto o, peggio ancora, Judal.
Fece calare la passerella e scese a terra, iniziando a dirigersi verso il palazzo, ripassando il discorso che aveva preparato. Le sue ultime parole, insomma.
Sapeva che non appena avesse messo piede nel corridoio che conduceva a camera loro Ja’far si sarebbe svegliato e gli sarebbe andato incontro, e prima ancora che potesse aprir bocca doveva dirgli tutto ed iniziare ad autoflagellarsi, pregandolo però di capire e perdonarlo.
-Sin- gli si gelò il sangue nelle vene. Il piano era fallito.
-Ja’far-
-Bentornato, come- lo interruppe.
-Aspetta devo dirti una cosa.-
-Che è successo, vi siete imbattuti in dei pirati ed avete perso la merce?- il suo sguardo era glaciale.
-No Ja’far ti prego ascoltami!-
-Hai molestato una principessa di Kou?-
-Ja’far ascoltam-
-SINBAD!-
No, no, no… non era possibile!
-DOVE SONO LE MIE PESCHE, EH?!-
Riaprì gli occhi a fissare Ja’far.
-Cos’è che dovresti dirmi?- non era arrabbiato, era furioso ed allibito, perché era chiaro che Judal era stato in qualche modo invitato.
Prese fiato -Signor Judal, si copra o il bambino potrebbe risentirne!-
Rimase paralizzato ad ascoltare Birgit redarguire il magi, vedendo solo le ombre di Ja’far che si allontanava e di Judal che si appoggiava sulla sua spalla, per una volta miracolosamente silenzioso.














Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte: ed eccoci di ritorno a Sindria, con un clima particolarmente sereno... liberi di ammazzarmi, come già detto, ma con questo capitolo ho concluso quella che io considero "la prima parte" della storia, quindi sono piuttosto soddisfatta...

Per chi non lo avesse capito spiego meglio la natura del patto fra Judal e Sinbad:
Judal dice chiaramente di volere il bimbo, ma che non gli interessa vederlo in costanza o averlo vicino, per cui Sinbad, per evitare che i principi lo obblighino ad abortire, lo porta a Sindria con sé, attendono il parto assieme e poi lo lascia tornare a Kou, tenendosi il bambino, dando a Judal la possibilità di andare a trovarlo quando più preferisce.

Spero di rivedervi al prossimo aggiornmento
Hoshi_10000

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Capitolo 9
*** Capitolo 8: Indietro non puoi andare... ***


INDIETRO NON PUOI ANDARE...



-Sinbad-
Non sentiva più nulla.
-Sinbad-
Era come se fosse sott’acqua.
-Sinbad!-
Non gli interessava. Avrebbe potuto morire, se non fosse stato per il regno, che aveva bisogno di un re.
-SINBAD!-
Infine si riscosse, alzando lentamente gli occhi cerchiati di nero su Spaltos, in piedi davanti a lui con un plico di fogli in mano intento ad urlargli contro per attirare la sua attenzione.
-Finalmente! Firma questi.-
Allungò una mano a prendere i fogli, e non appena li ebbe presi Spaltos gli girò le spalle per andarsene.
-Aspetta- mormorò, e Spaltos si fermò, senza però girarsi a guardarlo.
-L’avete trovato?-
-Se così fosse?-
Ricevette la stessa risposta che gli aveva dato Yamu il giorno prima, e lo stesso sguardo incollerito. Nessuno l’aveva risparmiato, nemmeno Sharrkan, che pure era stato il più contenuto, limitandosi a guardarlo con sdegno.
-Sai,- questa era la novità, nessuno prima d’allora gli aveva rivolta la parola se non per rispondere ad un’esplicita domanda -abbiamo giurato di appoggiarti e sostenerti, ma questo non fa parte del patto. Se anche dovessimo sapere dove si trova Ja’far, probabilmente non verremmo a dirtelo.-
Lo guardò sofferente: dalla sera del suo ritorno a Sindria, una settimana prima, Ja’far se n’era andato. Non era tornato a palazzo quella notte, né era andato in ufficio. Dopo il primo giorno aveva fatto controllare tutti gli hotel, e dopo tre gli appartamenti affittati in quei giorni, ma non era servito a nulla. Come rimarcava sempre, era lui che si occupava di tutta la burocrazia, conosceva ogni angolo di Sindria e sapeva dare un nome ad ogni granello di polvere che c’era: se voleva davvero nascondersi, o lasciare il paese, l’avrebbe fatto senza troppe difficoltà.
Gli mancava da morire. Perché si era abituato a vederlo riassettare la stanza o occuparsi di tutti gli affari di Sindria e ora che se n’era andato non sapeva come fare, e per svolgere il suo lavoro aveva dovuto obbligare gli otto generali a prendere ognuno le redini di un campo (Spaltos affari esteri, Yamuraiha burocrazia, Sharrkan sanità, Hinahoho sicurezza pubblica…).
Aveva bisogno di lui. Il regno interno aveva bisogno di lui. Perché non potevano proseguire così.
-Grazie per l’onestà.- disse sorridendogli mestamente, e Spaltos si aprì in un lieve sorriso, ma prima che potesse emetter fiato la porta dell’ufficio si aprì e lo sguardo di Spaltos si fece apertamente ostile.
-Devo andare.-
Judal si appoggiò allo stipite per lasciarlo passare e il generale passandogli accanto non gli risparmiò un’occhiata di puro odio, ma nemmeno gli disse nulla o lo attaccò, come invece avevano tentato di fare sia Yamuraiha che Sharrkan.
-Hai da fare?- domandò semi-serio Judal dopo che il generale ebbe lasciato la stanza.
-Devo solo firmare questi documenti, perché?- rispose senza alzare gli occhi dai documenti.
-Non ho mai davvero visitato Sindria e ho un atroce voglia di bere.-
Alzò un attimo gli occhi, guardandolo scettico. -Tu non bevi.-
-Cosa ne sai tu?-
-Non ho detto che tu abitualmente non beva, ho detto che adesso non berrai.- rispose leggendo un noioso documento sulla necessità di far smantellare alcune delle navi della flotta, che dopo anni di onorato servizio avevano danni irreparabili.
-Non farà male al bambino, è una leggenda.-
-Non m’interessa, non lo farai.- firmò e appoggiò il foglio alla sua destra.
-Come pensi d’impedirmelo?- chiese curioso Judal andando a sedersi sul divano.
-Non dandoti i soldi per comprare liquori.- rispose Sinbad con ovvietà -Anche perché hai appena 18 anni, se speri di crescere ancora vedi di non bere né fumare.-
Sbuffò. -E che dovrei fare tutto il giorno? Tu lavori, io non conosco l’isola, in camera non ho nulla da fare e la gente qui non è molto amichevole.-
Non aveva tutti i torti, anche se sentirlo criticare altri di asocialità era piuttosto ridicolo.
Sospirò esasperato, firmò i documenti rimasti senza neanche guardare di cosa parlassero e finalmente si girò a guardare Judal. -Vuoi venire al mercato con me?-
Si alzò contento ed annuì, prendendogli la mano e seguendolo, cantilenando di come volesse altre pesche, e già che c’era un po’ di banane.




******************
-Copriti.- disse avvolgendogli il proprio scialle sulla pancia, preoccupato per il piccolo.
-È mezzogiorno, a quest’ora non fa mica freddo!-
-Ma è comunque meglio non rischiare, non trovi?-
Doveva riconoscerlo, rispetto alla riservatezza Ja’far, la disinibizione di Judal era un dono, perché non si faceva il minimo problema ad ammettere la sua natura, tanto da non usare alcun sapone mascherante o cercare di nascondere la gravidanza.
Pareva quasi andarne fiero!
-E per questo dovrei indossare vestiti che mi stanno sei volte, o rifarmi un guardaroba nuovo una volta al mese? I soldi saranno anche tuoi, ma preferisco investire in pesche che in vestiti.-
-Guardati intorno, ci sono cose che ti starebbero benissimo!- rispose indicando una bancarella di indumenti poco distante, senza però degnarla veramente d’attenzione.
Per un secondo fu certo di averlo convinto a dare almeno un’occhiata, poi lo vide sghignazzare e sorpassarlo, dirigendosi ad una bancarella su cui erano esposti alcuni filoni di pane alle uvette. -Potevi dirmelo prima che volevi mettessi abiti del genere, li avrei portati con me!-
Interdetto si girò a studiare con più attenzione la bancarella, ed in un tempo pari a zero notò una graziosa serie di perizomini di pizzo che per poco non gli fecero venire un infarto, per sommo divertimento di Judal che a breve distanza si sbellicava dalle risate.
-Fa come ti pare!- gli rispose in un borbottio a stento comprensibile, dandogli in mano una manciata di monete e sorpassandolo, nella speranza che quanto meno la smettesse di torturarlo.
Fu deluso, perché quello, dopo aver comprato tutti i panini che i soldi gli concedevano, tornò a marciare al suo fianco, guardandolo con aria di scherno mentre mangiava con gusto.
-Ohi, stupido re!-
Si girò a guardarlo con occhio seccato, trovandolo con i piedi saldamente poggiati a terra, le gambe lievemente divaricate, le braccia intrecciate e gli occhi giocosi. -Vuoi provare?- domandò tenendo un pezzo di pane fra i denti e guardandolo con fare lievemente derisorio.
Poteva dire ciò che voleva, ma nonostante il dolore che provava per la fuga di Ja’far era felice di avere accanto Judal, che in un modo o nell’altro lo confortava, senza probabilmente nemmeno averne l’intenzione.
Andò a prendersi quell’invitante bocconcino, tirando Judal a sé e pregando per il ritorno di Ja’far, ma al contempo perché Judal non cambiasse il suo atteggiamento: se fosse rimasto com’era, le poche volte che avrebbe rivisto il figlio sarebbe stato una mamma grandiosa.




******************
Nel tardo pomeriggio era più semplice lavorare, perché raramente Judal andava a fargli visita e tutti i generali si dedicavano alle loro solite attività con zelo, come se fossero felici di non dover aver a che fare con lui. Comprensibile, avevano tutti preso le parti di Ja’far.
Per questo rientrando in ufficio dopo una breve pausa rimase sorpreso nel trovare Pisti seduta sulla sua scrivania con Sofocle legato sulla pancia, intenta a dondolare le gambe guardando fuori dalla finestra.
-Posso farti una domanda?- chiese continuando a guardare fuori, ma con un tono pacato. Non ostile, sdegnato o rancoroso, con un pizzico di indifferenza forse, ma privo di qualsiasi sfumatura di giudizio.
-Certo.- rispose serio andando ad appoggiarsi vicino alla finestra, ammirando il mare in lontananza.
-Perché l’hai fatto?-
Si era aspettato una domanda del genere da qualcuno prima o poi, ma non sapeva comunque come rispondere.
-Non voglio necessariamente dire che tu abbia sbagliato, anche se non posso fare a meno di pensarlo, ma vorrei capire. Da alpha ad alpha, perché?-
Voleva bene a quella ragazza, che ad appena 18 anni pareva aver già trovato la sua strada, e con tranquillità ora era lì davanti a lui, che si impegnava a cancellare la sua opinione per conoscere i fatti e le motivazioni.
-Non so bene risponderti. Sai, quand’ero andato a Kou ero arrabbiato, non avevo ancora metabolizzato bene la notizia della gravidanza di Ja’far e ad essere onesto non credevo di volere il bambino. Non potevo che tormentarmi a riguardo, poi una sera vagavo per il palazzo e sono finito invischiato con Judal a causa del calore.- non credeva che Pisti potesse perdonarlo o dargli ragione, ma la sua faccia in quel momento ebbe un breve guizzo di comprensione -Dopo aver concluso l’affare speravo di non doverci più tornare, e mi ero ripromesso di parlarne con Ja’far, ma non ho avuto la forza per fare nessuna delle due.- Pisti prese a morsicchiarsi un unghia con fare pensieroso, senza che però la sua faccia tradisse il minimo giudizio -Poi ho scoperto che Judal ero incinto e che a Kou volevano costringerlo ad abortire e non me la sono sentito di lasciarlo lì in balia degli eventi-
Pisti lo interruppe -Sapevi a cosa sarebbe successo portandolo a Sindria, non potevi semplicemente pagargli un albergo in cui stare fino al parto?-
La guardò con affetto, perché nemmeno in quel momento Pisti sembrava accusatoria, anzi tutt’al più pareva incuriosita. -E il bambino? Judal non lo vuole davvero, quindi ho scelto di portarlo qui perché dopo il parto lui possa tornare a Kou ed il bambino crescere in una famiglia… Capisco che a voi Judal appaia solo come uno stronzo ed un rompicoglioni-
-Sei riduttivo, non ti immagini neanche tutto ciò che Spaltos ha detto di lui.-
Sorrise debolmente, perché per riuscire a suscitare tanta antipatia a Spaltos Judal doveva aver combinato qualcosa. -ma sai- riprese tranquillo -ora come ora non riesco a vederlo così. O meglio, spesso lo affogherei volentieri anch’io, ma sa essere quasi premuroso.-
Pisti scoppiò a ridere fragorosamente svegliando Sofocle, che si mise a strillare per chiarire la sua offesa.
-Capisco che tu non riesca crederci,- disse osservandola giocare con il piccolo nel tentativo di calmarlo -ma quel ragazzo è bravissimo a nascondere fra valanghe di insulti un modo certo per tirarmi su di morale, ed è vero che mi fa spendere una fortuna in pesche, ma non ha paura di camminare al mio fianco per timore di rivelare la sua natura, ed è vero che non posso parlare di argomenti burocratici con lui, ma quando non lavoro mi piace fare altro, e finalmente non devo attendere il calore per sc-
-Alt!- strillò Pisti -Sentirò volentieri tutto ciò che vorrai dirmi su questo punto, lo giuro, ma una volta che non avrò Sofocle con me o Spaltos mi sbrana.-
Sorrise -È dura essere sposati-
Pisti annuì, ma i suoi occhi tradivano una felicità immensa nel giocare con il piccolo, intento a guardarsi in giro incuriosito.
Rimase un paio di minuti a guardarla, prima che la ragazza si alzasse e iniziasse a raccattare tutte le sue cose per uscire. -Cercherò di dare una chance a Judal, ma se puoi tienilo lontano dall’ufficio per non infastidire gli altri.- gli suggerì e Sinbad annuì, andando ad aprirle la porta.
-Ah e sappi che se domani dovessi portarmi una torta alle fragole potrei accidentalmente farmi sfuggire che Ja’far non ha lasciato Sindria.- mormorò in tono casuale, con un sorriso grande quanto Rem.
-Grazie- mormorò commosso.
-Figurati e sappi che se ci aggiungessi una paio di bottiglie del vino di Sasan potresti venire a conoscenza del fatto che è stato Ja’far a mandarmi ad indagare.-




******************
Quella sera, esausto per la lunga giornata e gli infiniti capricci di Judal, crollò prima delle 10, andando a letto con un atroce mal di testa ed un radioso sorriso.
-Che hai da sorridere come un cretino?- s’informò Judal, gattonandogli accanto.
-Ti seccherebbe dover condividere il letto?-
-Sai di solito quando anche tu di addormenti non mi sposto a dormire sul divano, quindi penso di poter dire che lo sto già facendo.-
-Intendo con una terza persona.-
-Se posso stare in mezzo ci metto subito una firma.- rispose ghignando e lasciandosi cadere addosso a Sinbad.
-Non a pancia in sotto, il bambino-
-Sì, sì, capito, capito,- disse alzandosi e stendendosi al suo fianco -ogni tanto penso che se potessi ti faresti lui anziché me!-
Scattò a sedere pronto a rispondergli con sdegno, ma si trattenne per non dargli la soddisfazione.
-Che è successo comunque, perché questa domanda?-
-Nulla, è solo una mia speranza.-
Judal scosse le spalle per poi infilarsi sotto le coperte ed appiccicarsi alla schiena di Sinbad in cerca di calore e mormorare, a mo’ di buonanotte, uno stanco -Spero per te che il nanerottolo torni.-










Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte: questo doveva essere un capitolo triste ed un po’ deprimente: perfettamente riuscito, non vi pare?

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Capitolo 10
*** Capitolo 9: ... quindi prosegui (Judal) ***


... QUINDI PROSEGUI
(Judal)



Da quando lo stupido re aveva lanciato quella interessante proposta non era cambiato nulla: lui passava tutto il giorno in ufficio, ed io mangiando quintali di pesche attendendo il suo ritorno per avere uno scambio di opinioni.
Magari, mi piacerebbe molto fosse stato così! Ahimè, doveva aver fatto qualcosa, quello stronzo, perché ora tutto era cambiato.
La mattina dopo la discussione quella specie di donna alta un metro e una pesca aveva bussato alla porta, ed io, convinto che non potesse essere altri che Sinbad, ero andato ad aprire in boxer con i capelli sciolti ancora umidi dal bagno. E lì ho firmato la mia condanna.
Da che ero arrivato a Sindria non avevo mai provato a fare amicizia con nessuno, e neanche avevo parlato con molta gente, esclusi un paio di venditori al mercato ed il moccioso incaricato di portarmi tutte le pesche che chiedevo, per cui che quella ragazzina fosse lì non poteva certo riguardarmi, anche perché lei e suoi amici parevano odiarmi… anche perché in effetti un paio di dispetti glieli avevo fatti, quindi, forse, non avevano tutti i torti. Non che mi importasse.
-Sinbad lavora, sai?- le avevo detto con aria di superiorità, cercando di evidenziare quanto non fosse nulla più che una bambina e senza attendere risposta le avevo girato le spalle tentando di chiudere la porta, ma quella maledetta nana mi ha preso un polso e tirato in mezzo al corridoio.
Come poteva aspettarsi qualcosa meno di un urlo?
-Si può sapere che vuoi?-
Non era indietreggiata, non aveva sbattuto le palpebre, sussultato… nulla indicava che si fosse spaventata. Al contrario, si era avvicinata di un passo con un fastidiosissimo sorriso. -Andiamo?-
Sono un bastardo figlio di puttana, me lo hanno detto in molti ed hanno ragione, ma non ho mai amato picchiare le donne. Sfidarle, dare loro l’idea di essere un facile avversario e poi mandare in frantumi le loro aspettative con una o due formule è bellissimo, ma non mi sono mai piaciuti quei bastardi che picchiano le donne senza alcuna ragione, per cui non me la sentii di infierire su quella specie di pulcino. -Come scusa?-
Se il sorriso di prima mi aveva dato fastidio, questo era qualcosa che da solo, anche senza tutta l’assurda situazione a fare da quadretto, sarebbe potuto bastare per farmi dar fuoco ad una città. -Vieni con me.-
A quel punto ho deciso che Sinbad non mi avrebbe comprato pesche per minimo tre giorni, ma se la terrorizzavo a dovere non l’avrei più rivista, e ne valeva la pena -Ma si può sapere che vuoi?- con uno strattone avevo liberato il braccio, per poi riprendere a strillare -Che cavolo ti viene in mente di strattonarmi così? Non ti conosco, né m’interessa farlo, e se non ti dispiace avrei da fare, microbo!-
L’intento era quello di spaventarla o offenderla, ma ero talmente livido che non mi era riuscito a dovere.
-Piacere, Pisti.- e aveva teso la mano.
-EH!?-
L’urlo era stato talmente forte che mi aveva fatto venire mal di gola, ma lei semplicemente strizzò gli occhi lievemente infastidita, per poi afferrarmi la destra stesa lungo il mio fianco, e stringerla vigorosamente.
-Non ti ho mai visto in giro, e conosco camera di Sinbad, so che non c’è molto da fare, quindi perché non vieni a fare una passeggiata con me?-
-Ma sei scema?- l’urlo mi era uscito piuttosto rauco, ed aveva avuto il solo risultato di aumentare la mia sofferenza, così che fui costretto ad abbandonare le urla in favore di un tono di voce semi civile -O certo, perché no? Dammi giusto il tempo di togliere anche le mutande e andiamo. Conosci forse un parco giochi?-
Ero certo che darle l’idea fossi un pedofilo avrebbe funzionato, ma lei aveva ignorato completamente l’ironia nelle mie parole ed aveva sorriso, annuendo soddisfatta. -Sicuro, dammi il tempo di andare a prendere Sofocle, mio figlio, e torno a prenderti.-

Non se ne sarebbe andata né avrebbe desistito, che scelta avevo se non seguirla?


Non mi divertii. Sia chiaro a tutti, non fu per nulla divertente. Non importa che quel Sofocle fosse quasi grazioso con quei vispi occhi violacei e quei capelli magenta legati in un minuscolo ridicolo codino; non importa che quella sottospecie di ragazzina (che poi appresi essere un alpha) mi abbia fatto fare una visita del regno come io volevo fare da tanto, non importa che grazie a lei scoprii quanto anche il gelato alle pesche fosse ottimo, né che abbia trovato un maglioncino nero (che comprai) e che da quel giorno non soffro più di mal di pancia atroci perché la sera sto troppo poco coperto.
Tutto ciò non ha alcun peso. Cosa importa che da quel giorno io non passi più tutte le giornate in solitudine, che mi abbia permesso di bere un goccetto di liquore in gran segreto, che da che lei mi saluta ogni mattina gli altri generali abbiano smesso di tentare di gambizzarmi? IO. NON. MI. DIVERTII.




******************
Bastarono tre giorni perché quel buffo esserino mio coetaneo decidesse di narrarmi vita morte e miracoli suoi e dei suoi amici, omettendo accuratamente di fare parola del maniaco del lavoro e, logicamente, tralasciando di rivelare i generi secondari dei singoli.
Né le ridicole liti di maga e spadaccino né le divertenti chicche di tutti gli altri mi fecero divertire, e fu per questo che decisi di raccontarle le cose veramente divertenti che si erano viste a Kou, non certo per condividere esperienze.
Ma questa dimostrazione di magnanimità si rivelò presto per una pessima scelta, poiché in capo ad un altro paio di giorni la biondina decise di aver raggiunto un livello di intimità piuttosto elevato e si sentì libera di iniziare a porre domande e dare opinioni non richieste. Tollerai con pazienza la sua curiosità sui miei gusti alimentari, e accettai anche un paio di critiche sul mio modo di vestire, ma quando una volta le fuggì un “invidio il tuo essere incinto” esplosi.
Cosa c’è di bello nell’ingrassare esponenzialmente, nell’alzarsi con la nausea ogni mattina, nel dover fare attenzione a non prendere freddo, non compiere sforzi eccessivi, non poter dormire come più ti pare, tutto solo perché un coso della dimensione di un fagiolo si diverte a infierire? All’inizio avevo creduto che sarebbe stato bello, che avrei voluto bene a quel bambino perché in fondo era mio figlio, ma non capivo più bene quel modo di pensare, e mi domandavo perché mi fossi opposto a quel modo all’aborto.
Quando finì di urlare a quel modo la vidi diversa dal solito: teneva il capo chino, le mani intrecciate incrociate in grembo, morsicandosi un labbro. Ebbi un moto di tristezza che non so spiegare, nel vederla così abbattuta: certo, era orribilmente invadente e pettegola, ma non volevo vederla così.
-Sai- sollevò lo sguardo, un sorriso mesto in viso -si dice che chi ha il pane non ha i denti e chi ha i denti non ha il pane.- conoscevo quel detto, ma non capii cosa volesse dire. Riprese dopo un attimo -Per te è stato, non offenderti, una banalità, un incidente, qualcosa di imprevisto a cui non avevi mai pensato. Sapevi di poter aver figli e per questo non ci hai mai dato peso, io per averne ho dovuto assumere una quantità di farmaci incredibile, e anche così comunque la mia natura non mi concede di allattare. Scherzi della vita, no?-
Sorrise, ma un sorriso falso, con un velo di tristezza. Mi diedi del cretino, perché avevo dato per scontate tante cose, mentre invece lo sgorbietto davanti a me si era impegnata un mondo per ottenere ciò che voleva.
Alzai una mano ad accarezzarle la testa, scompigliandole lievemente i capelli e dopo un primo secondo di stupore puro si aprì in un vero sorriso.
-Sinbad non mentiva allora, sai davvero essere premuroso.-
-EH?!- mi girai stizzito levando la mano dalla sua testa, ma cedetti di fronte a quegli occhioni sorridenti che chiedevano coccole. Riappoggiai la mano sulla sua testa continuando ad accarezzarla: me la sarei presa con Sinbad, perché si sa che un punchball deve essere alto almeno come il pugile, no?




******************
Ok, forse un po’ la sua vita m’incuriosiva, ma solo perché ero curioso di sapere com’era stare dall’altra parte della barricata, chiaro? Non ero interessato a lei in quanto tale, ma come figura… insomma, quale occasione migliore per scoprire come vivesse una ragazza madre ed un membro degli otto generali? Così siccome il pomeriggio del giorno in cui invase i miei spazi con la delicatezza di un rinoceronte iniziò a piovere, e fuori non si poteva stare, la biblioteca era terreno della maga, la torre dell’ariete bianco piena d’uffici, quella del granchio rosso troppo affollata, quello dello scorpione d’argento troppo fredda… insomma alla fine decidemmo di trasferirci nel suo appartamento.
Era angusto, la stanza di Sinbad era la metà di quell’appartamento composto da quattro stanze più il bagno! Insomma, non potevo nemmeno stendermi sul divano senza finirle in braccio!
Ma, ambienti stretti a parte, non fu male. Il te alla pesca che mi propose si rivelò essere ottimo e poi finalmente chiarii uno dei miei chiodi fissi.
-In quanti cavolo vivete qui?-
Aveva inarcato un sopracciglio e mi aveva sorridendo con condiscendenza, come se fossi un bambino piuttosto sciocco. -Perché non provi ad indovinare?-
Sbuffai infastidito: per i miei gusti quella “casa” non avrebbe dovuto contenere più di una persona, ma mi sforzai d’essere aperto di mente. -Tre?-
Annuì. -A meno che non intenda buttare Spaltos fuori in effetti sì.-
La guardai di sbieco e lei mi fissò di rimando per un attimo, per poi capire il motivo della mia incertezza. -Sei a Sindria da un mese e non conosci nemmeno i nomi degli otto generali?-
Incrociai le braccia guardandola offeso -Sono qui solo da tre settimane.-
-E dopo una settimana in cui hai avuto sotto gli occhi il piccolo che dorme di là non hai notato la sua somiglianza con Spaltos?- ripeté interdetta, facendomi girare il capo. Mi sentivo insultato e non intendevo risponderle. Scoppiò a ridere.
-Ok, penso di poter rimediare. Aspetta un attimo- si alzò avvicinandosi alla finestra dove, me ne accorsi solo allora, erano posate diverse cornici. Le osservò velocemente prima di prenderne un paio e tornare a sedersi sul divano, praticamente spiattellandomisi addosso.



-Qui ci siamo tutti. Per i miei gusti è troppo seria, ma servirà allo scopo. Dunque- si fermò un attimo, come riflettendo, così decisi di dar prova che se non proprio tutti tutti ma almeno un paio sapevo distinguerli, così indicai per primi lei, Sinbad e Ja’far, per poi proseguire indicando la maga sullo sfondo e lo spadaccino in primo piano.
-Non sai i nomi?- mi chiese con un ghigno ed io, nella mia magnanimità, annuì.
Ridacchiò sommessamente, per poi indicarmi Masrur, Hinahoho e Dracoon. Fui tentano di urlarle che ancora si era dimenticata di dirmi due nomi, ma prima che potessi farlo mise da parte il primo dipinto, sollevando il secondo.



-Questo mi piace già di più, è un po’ più spontaneo. Ecco, qui vedi bene Yamuraiha,- scandì bene le lettere, indicando la ragazza dai capelli azzurri -Sharrkan- sollevò lo sguardo per fissarmi, spostando poi meccanicamente il dito sulla terza figura -e Spaltos- attese che annuissi per poi sorridere soddisfatta.
-Da quanto convivete?- come si poteva vivere in quel buco per più di tre giorni?
Guardò un attimo il soffitto pensierosa -Allora, da sei mesi prima che ci sposassimo, quindi circa…- iniziò a contare sulle dita, e quando vidi sorpassare il 15 rimasi interdetto -mah, più o meno due anni, o forse due e mezzo. Judal?-
La mia mascella era pericolosamente vicina a terra -Siete sposati?-
-Sì, perché?-
Non so da dove mi venne la domanda, ma prima che potessi accorgermene le domandai -Quanti anni ha?-.
In prima battuta Pisti scoppiò a ridere, tappandosi subito la bocca per paura che il rumore potesse svegliare il figlio, poi, cercando di non soffocare, indicò un 22 con le dita.
-22?! MA NON È UN PO’ VECCHIO PER TE?-
In un primo scoppiò a ridere, piegandosi in due con le braccia ad avvolgere la pancia, del tutto dimentica del piccolo, poi poco dopo parve ricordarsene e si fermò. Si tirò a sedere, si asciugò gli occhi, e poi dopo aver sbattuto velocemente le palpebre ripartì, più rumorosamente di prima.
-Beh, che c’è tanto da ridere?-
-È il bue che dal cornuto all’asino.- mi girai di scatto, bacchetta alla mano, perché la voce apatica che aveva parlato non apparteneva certo a Pisti, ed infatti sulla porta sostava il padrone di casa. Ecco spiegato il motivo delle risate di Pisti: pensai che appena se ne fosse andato l’avrei strozzata.
-Se a 22 io sono vecchio cosa dovremmo dire di te e Sinbad?-
-Non c’entra niente!- sbottai, e Pisti ripartì a ridere dopo aver commentato che “ero rosso come un peperone”.
-Ah, no? E perché, di grazia?- domandò accostandosi alle spalle della moglie. -Se quattr’anni di differenza per te sono troppi cosa sono allora gli 11 fra te e Sinbad?-
Non apprezzai lo scherno. -Io non l’ho mica sposato.- borbottai guardando altrove: quei due malefici bastardi non erano degni del mio sguardo.
Scosse le spalle -Possibile, ma indipendentemente da ciò direi che fra voi c’è qualcosa e, guarda un po’, ci sono quegli 11 anni!-




******************
Andammo avanti a discutere di ogni scemenza per metà pomeriggio, in cui quel rompipalle continuò a farmi notare quelli che lui pensava fossero i miei difetti. Evidentemente desiderava evidenziare come io al fianco di Sinbad fossi inadatto, come a causa mia Ja’far fosse scappato, eppure non fece il suo nome neppure una volta. E nonostante continuasse a pungolarmi non fu malaccio: si occupò del piccolo al posto di Pisti per lasciarci parlare e non disse mai esplicitamente che ero uno stronzo, anche se era evidente che lo pensasse.
Alle 5 iniziai ad essere stanco così domandai a Pisti di riaccompagnarmi in camera, siccome non avevo ancora imparato la pianta del castello, ma al suo posto si propose il marito.
-Sei meno peggio di quanto credessi.- disse di punto in bianco, dopo che avevamo lasciato casa loro da un paio di minuti.
-A cosa devo l’onore?- mi dava sui nervi: chi era per emettere giudizi?
-Fino ad ora ti avevo visto solo appiccicarti a Sinbad, urlare contro alle persone che lavorano qui e infastidire gli otto generali-
Lo interruppi, furioso -Io infastidire voi? Ma se non avete fatto altro che cercare di ammazzarmi da quando sono arrivato!-
-… ma oggi ti ho visto sotto una luce diversa. Non credevo fossi capace di provare affetto verso qualcuno, ma il fatto che ti sia indignato per la differenza d’età fra me e Pisti, che tu abbia tirato giù le tazze che lei non riusciva a prendere, che le abbia passato un cuscino… pare che anche tu sia capace di affezionarti e trattare bene le persone.-
Sbuffai. -Era così difficile immaginarselo?-
-Sì.- fu la laconica risposta, e da allora restammo in silenzio.




******************
Arrivato davanti alla porta mi limitai ad alzare la mano in segno di saluto, entrando senza curarmi di bussare. Non dico che fu un errore, perché si trattava di camera mia, ma di certo non mi aspettavo di trovarmi davanti quel maledetto albino, con un pancione che iniziava ad essere più grande di lui, intento a discutere con Sinbad.
Vedendomi i suoi occhi si fecero di ghiaccio.
-…puoi giurarlo?-
-Sì!- rispose Sinbad, guardandomi solo di sfuggita, troppo preso a rassicurare il proprio maledettissimo noioso omega, intento a farmi una radiografia. Quando si ritenne soddisfatto infilò le mani nelle ampie maniche ed annuì.
-Hai intenzione di rimanere qui o no?-
Sinbad fissò prima lui e poi me, appoggiato al muro in attesa di ricevere un riassunto della discussione.
-Non ho fatto costruire il nuovo appartamento per sfizio, ma per abitarlo, quindi muovetevi.-
S’incamminò senza badare che Sinbad lo seguisse, ma lui lo fece ed io lo imitai istintivamente.
Ed è così che la nostra convivenza ha avuto inizio.










Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte:
Prima nota: in alcun modo questo capitolo vuole infrangere il regolamento, se leggete bene il discorso di Judal si nota che non inneggia assolutamente alla violenza sulle donne o alla pedofilia (a me sembrava ovvio, ma meglio specificare non si sa mai, non sentitevi offesi, non voglio assolutamente insinuare nulla).
Poi: compare Pisti! Bene, sono contenta, lei e Spaltos mi piacciono molto, e finalmente Judal ha un sostenitore! No ok, più che altro si tratta di un’amica…
E la cosa più importante!: JA’FAAAAAR!!!!!!
Bene essenzialmente ho detto tutto, le immagini le ho prese da Pinterest, la seconda mi piaceva ed avevo troppa voglia di condividerla, ma già che c’ero ho pensato di metterne due…
Ah, quasi dimenticavo! La radiografia non è quella che intendiamo noi, ma una specie di lettura del magoi…

E cosa breve ma importante, tanto per dirvi qualcosa che non vi fregherà a meno che non aveste due curiosità su di me, siccome da oggi fino al 25 le scuole sono chiuse questo capitolo è il mio augurio di Pasqua, niente cioccolata perchè giugno non è lontano, e bisogna iniziare a prepararsi alla prova costume (rido di me stessa, mai fatto in vita mia)
E visto che questo è un "capitolo spezzato", ne arriva un secondo scritto da un idea di najlafullbuster.
The end

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Capitolo 11
*** Capitolo 9: ... quindi prosegui (Ja'far) ***


... QUINDI PROSEGUI
(Ja'far)



Non ho paura dei cambiamenti.
Mai avuta.
Anche da piccolo, quando “cambiamento” significava imprevisto e quindi maggior pericolo, non ho mai avuto paura. A cosa sarebbe potuto servire, se non a far perdere calma e concentrazione? È come aver paura del futuro, o rimpiangere le proprie scelte: non ha senso farlo, logora i nervi e oscura il giudizio. Sono certo di quanto ho scelto.
Sono nato destinato ad essere un’ombra, solo a 10 anni ho visto una luce in grado di non farsi sopraffare dalle tenebre ed ho scelto di seguirla. Ma da questa stessa frase è evidente: la luce non può che essere seguita dall’ombra. Sinbad è luce, io sono ombra. È giusto così.
Come un bravo assassino ho continuato a restare nell’ombra per anni. Come un bravo omega.
Come un fedele seguace ho continuato a supportare il leader in cui credo. Come ci si aspetta da un omega.
Come un compagno innamorato ho sopportato gli sbagli di Sinbad. Come deve fare un omega.
Come un omega ero pronto a svolgere il mio dovere, dargli dei figli. Come un’ombra, sono stato dato per scontato. E dimenticato.
Ma ora basta. Sì, ho scelto io di essere un’ombra. Sì, ho scelto da solo di non volermi scoprire col popolo. Sì, gli ho detto io di partire.
Ma no, non gli ho detto io di gettarmi via.
-Ja’far…-
Scatto come una molla. Conosco quella voce, per quanto sia spezzata ed addolorata io la conosco. E conosco quel passo stanco eppure energico; quello pesante; quello deciso; quello cadenzato; quello strascicato; quello sempre saltellato.
E vorrei piangere. Perché non doveva essere così.
A venti settimane di gravidanza, senza poter più uscire per le strade della città. A quattro mesi e mezzo di gravidanza, a rubare come un ladro in un regno che si fonda anche sui miei sforzi. A quattro mesi di gravidanza, non dovrei essere qui a piangere. Solo, ma in compagnia.
Due braccia calde, profumo di mare e frutta fresca, mi avvolgono incuranti delle lacrime che bagnano le spalle scoperte in qualunque stagione, i capelli azzurri mi accarezzano il viso, ma non è che abbia importanza. Cosa può averne in questa situazione?


-Come mi avete trovato?-
Non chiedo loro se Sin lo sa, li conosco, non mi consegnerebbero mai a Sinbad contro la mia volontà.
Yamuraiha, ancora inginocchiata al mio fianco, scuote le spalle con noncuranza. Un incantesimo, chiaro.
-Ti serve qualcosa?- il freddo pragmatismo di Dracoon: non un come stai o cosa pensi di fare, qualcosa di più concreto.
-Cibo, acqua e qualche coperta.- non mi serve granché, il magazzino che ho adibito a mia base ha più o meno tutto: è sfitto, in una posizione defilata, ma perfettamente in ordine e ben protetto dal freddo. Ho solo bisogno che qualcuno si occupi di portarmi queste tre cose. E per la verità, se anche non lo facessero, me la caverei alla grande, procurandomele io in qualche modo.
Annuiscono tutti e Masrur, quello che in qualche modo è sempre stato non tanto meno sensibile ma per l’agire anziché parlare, imbocca immediatamente la porta per andare a cercare quanto richiesto.
Guardo quelli che sono rimasti. Sono tanti. Il dubbio mi invade, ma non posso porre loro la domanda, sarebbe mancargli di rispetto, eppure vorrei davvero. “Siete certi che nessuno vi abbia visti?”
-Scusaci se siamo arrivati così tardi.- di cosa parli, Spaltos?
-Nonostante gli incantesimi della strega non è stato facile trovarti- mai una volta che tu riesca a non punzecchiare Yamuraiha, eh Sharrkan?
-Prima di venire a cercarti dovevamo assicurarci che Sinbad fosse distratto e non si accorgesse che mancavamo tutti. Puoi stare tranquillo, nessuno ci ha seguiti.- com’è che sai sempre ciò che penso, eh Yamuraiha?
Annuisco. So che con loro posso parlare. So che loro sono dalla mia parte. So che posso fidarmi. Ma so anche che non possono capire ciò che sto provando ora.
E la cosa mi fa tornare a piangere.




******************
-Non ci ho pensato ieri, ma non devi per forza stare qui.-
Alzo lo sguardo su Hinahoho con lentezza, per inerzia più che per vivo interesse, e abbasso lievemente le palpebre come a chiedere spiegazioni.
-Perché no? Da me o da Dracoon. Abitiamo al porto, Sinbad non ti vedrà ma almeno avresti compagnia.-
Un piccolo sorriso mi increspa le labbra, ma la cosa finisce lì. Perché no? Per un infinità di piccoli motivi.
-Andiamo Ja’far,- è sempre stato così Hinahoho, quando non ottiene risposta invade lo spazio vitale altrui per mettere un po’ sotto torchio -non solo avresti compagnia, ma un posto caldo in cui dormire e cibo migliore. E poi a Kikiriku manchi.-
Questa volta è un mezzo sorriso a farsi strada sulla mia faccia, ma resto convinto della mia scelta.
-Prima o poi mi troverebbe.-
-E con ciò?- la fredda risposta di Yamuraiha non è una sorpresa particolare, e neppure gli sguardi austeri degli altri generali. Non l’hanno mai detto chiaramente, ma so cosa pensano: “Va, picchialo, uccidilo. Noi daremo la colpa a Kou, la presenza di Judal a Sindria darà veridicità alla storia”. Ok, forse non così cruento, ma la traccia è quella.
Mi piacerebbe accontentarli, ma boh, dopo tutti gli anni che ho passato con Sinbad, faccio fatica ad ammazzarlo così, però al contempo non lo posso neppure perdonare.
Sono tre giorni che sto qui. Per ora continuerò così, poi vedremo.




******************
Dovrei essere io quello livido. Quello che urla e butta giù i muri. E invece no. Perché troppo stress nuocerebbe al bimbo, per cui ormai vivo di camomilla, però arrabbiarmi mi arrabbio, quello sì.
Dal quarto giorno ho pian piano iniziato ad abbandonare la cappa di disperazione, trasformandola in rabbia, e il cambiamento è stato accolto con gioia da tutti. Perché gestire la rabbia è semplice, parlare di quanto Sinbad sia uno stronzo di più, ma consolare un disperato è un’impresa titanica.
E comunque, ogni volta che vengono a trovarmi la vedo, negli occhi di tutti, la vena d’ira che li spingerebbe a fare a Sin qualsiasi cosa gli chiedessi. Per quanto riguarda Judal, non c’è bisogno neppure che sia io a dirglielo: Sharrkan mi ha raccontato di un paio di episodi nei corridoi, solo che se una parte di me ha gioito nell’udire quei racconti, un'altra si è ricordata del torto subito, e la vena omicida si è presentata aggressiva.
Non che la cosa mi desse fastidio, sia ben chiaro.
Il solo motivo per cui Judal è ancora vivo è che non so di preciso perché è venuto qui e quanto l’impero Kou sia coinvolto, e non voglio rischiare di scatenare una guerra. Per nessun motivo.
Per il bene di mio figlio.


Ma c’è una cosa che va detta, in tutto ciò.
Non tutti i genarli sono arrabbiati o comunque seccati dalla situazione. Pisti è l’eccezione, come sempre.
Non importa cosa gli altri pensino, lei prima di farsi un opinione vuole sentire le ragioni di tutti, ma in particolare vuole capire i motivi. E spesso, dopo averli sentito raccontare da chi vi era coinvolto, finisce per avere un giudizio diverso dagli altri, generalmente più accomodante.
Quindi ora, non che non sia seccata dalla situazione, ma non si esprime con astio nei confronti di Sin né penso partecipi alle zuffe ai danni di quello stronzo di Judal.
E ciò, a ben pensarci, potrebbe tornarmi utile.


-Pisti, ho un incarico per te.- mi accorgo dopo aver parlato di aver usato un tono un po’ brusco, e se non fossi così arrabbiato in questi giorni ora mi starei senz’altro scusando, perché so che le donne di Altemyula sono abituate ad essere trattate come regine. E chissà, forse un giorno lei lo sarà. Ma Pisti sembra non badarci, dondola le gambe dal muretto su cui è seduta e mi guarda con un radioso sorrido, in attesa di maggiori dettagli.
-Vorrei che andassi a parlare con Sinbad.-




******************
Lo stabile che avevo adibito a mio rifugio era sfitto, il proprietario stava trattando con il palazzo per venderlo, e qualora fosse andato in porto l’affare sarebbe stato trasformato in un magazzino merci. Ma per essere un magazzino gli ambienti erano troppo piccoli, sarebbe servito buttare giù alcuni muri: è solo per questo che quando Pisti è venuta a riferirmi i dettagli del colloquio la sera stessa io li aggredii con inaudita violenza, buttandone giù un paio. Non certo per non urlare dalla rabbia. Assolutamente no. Anche perché ho urlato eccome, al punto che Yamuraiha ha preferito silenziare l’area vicino a me per non rischiare di farmi scoprire.
Ecco, dopo 10 minuti di urla sono calmo. No, non è vero, ridatemi un muro. Masrur mi blocca i polsi, ed il mio sguardo dice chiaramente “mollami o te ne pentirai”, ma il suo replica “fa’ pure”, ed in effetti per 5 minuti buoni lascia che io gli prenda a calci le tibie senza dir nulla. Probabilmente neppure se n’è accorto.
Quando sente i primi singhiozzi lentamente allenta la presa, assicurandosi che io sia ben seduto per terra prima di lasciarmi del tutto. E non appena lui molla la presa Yamuraiha mi stringe al petto, e se mi fa piacere da un lato dall’altro preferisco respirare, per cui con delicatezza la allontano.
-Avresti dovuto dirci di questo tuo piano.- non solo Yamuraiha, anche Hinahoho, Dracoon, Spaltos e Masrur non sembrano contenti di ciò che ho fatto. E hanno ragione, è stata una mossa stupida, che mi sta solo logorando dentro.
-Ja’far, proprio non ti capisco.-
Non solo fra gli otto generali, anche fra la popolazione è risaputo quanto Sharrkan sia cretino, ma non mi aspettavo proprio che lo fosse così tanto. Conto sulla forza di Masrur per scavare la sua fossa.
-Partorisce e se ne va. Male non è, se ci pensi a mente fredda.-
-Stai cercando di dirmi che dovrei tornare da lui?- scaccio la mano che Dracoon mi ha porto per aiutarmi ad alzarmi, la pancia sposta il mio baricentro, ma non al punto da impedirmi di alzarmi, e fulmino Sharrkan, svaccato contro un muro con un fiasco di vino in mano.
-No.-
-Però pensaci- ogni tanto c’è da aver paura dell’intesa fra Sharrkan e Pisti, tanto che mi chiedo se non ci sia più intesa fra loro due che non con Spaltos -qualunque cosa tu scelga di fare, qualora dovessi scegliere di tornare, e non ti stiamo dicendo di farlo, sai che non dovrai averlo per sempre fra i piedi. Pensa se l’avesse marchiato.-
Un brivido mi percorre la schiena, le gambe si trasformano in gelatina. La sola idea mi fa tremare di rabbia e paura.
E mi risiedo a terra, tirando le ginocchia più prossime al petto che posso, facendo ben attenzione a non comprimere la pancia.
Non ho paura del futuro, ma vorrei certezze, e ad ora ho solo un grosso vuoto. Sin.










Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte:
Allora, questo capitolo deve in qualche modo la sua nascita a najlafullbuster (grazie), e devo dire che è stato pesantuccio da scrivere, ma sono molto fiera di lui, ed in particolare dell’introspezione all’inizio.
Temporalmente si inserisce fra il capitolo 7 e l’8, fa vedere un po’ proprio le prime reazioni di Ja’far e quelle dei generali, senza approfondire troppo i secondi, che forse in futuro farò, ma non penso, preferisco lasciarvi la libertà d’immaginazione…
Un altro paio di cose: questi due capitoli, perdonate i titoli ma non so perché, io in qualche modo li percepisco non dico come uno solo, ma comunque legati… comunque, dicevo, non so neanch’io bene perché, ma sono venuti fuori in prima persona. Fingiamo sia fatto apposta, diciamo che l’obbiettivo fosse dare maggior risalto ai pensieri di Judal e Ja’far, anziché un mistero per la stessa autrice. (portate pazienza, non ci sto con la testa)
In particolare il tempo di questo capitolo, non capisco proprio perché ma è al presente: portate pazienza, ho anche fatto un test mettendo tutta la prima parte al passato, ma non mi convinceva per nulla, quindi, come sempre, ha vinto lui. Scrivendo questa storia mi trovo a dare via via sempre più ragione a Michelangelo, secondo cui “le sculture sono già delineate nel blocco di marmo, all’artista il compito di aiutarle a venir fuori”: questa storia è così, vorrei, ma non ho il controllo.

Nulla, giuro, ancora buona pasqua a tutti, e se come regalo vi andasse di lasciare un commento salterei talmente tanto che smaltirei tutta la cioccolata... ma non mi piace pressare la gente, quindi vedrò di non farlo troppo, scusate, ormai temo abbiate imparato che ho "la lingua lunga"

Hoshi_10000

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Capitolo 12
*** Capitolo 10: Stronzo, il marito sono io! ***


STRONZO, IL MARITO SONO IO!



Judal adorava la sua vita a Sindria perché nessuno, eccetto Pisti, gli rompeva le scatole, ma anzi era servito e riverito, tutto grazie a quel briciolo di pancia che s’iniziava ad intravedere. Certo, la mattina le nausee erano atroci ma duravano poco. L’unico problema era la sera: non c’era momento peggiore, perché Sinbad e Ja’far tornavano dai rispettivi uffici, e se era quasi felice di rivedere lo stupido re, il fastidioso ministro era uno strazio.
Nel momento esatto in cui avevano messo piede nell’ingresso aveva subito iniziato a dettare regole: “non andare in giro scalzo; le pesche stanno in cucina; non si mangia sui divani; se vuoi andare in giro chiudi la porta e non tornare oltre le dieci…”
Non è che di solito uscisse moltissimo e quando anche lo faceva chiudeva la porta, ma sentirsi trattare come un cretino non gli fece piacere, ed ancor meno gliene fecero tutte le regole riguardanti le sue abitudini alimentari, ma c’era di peggio: gli diede una sua stanza.
Certo, aveva uno spazio tutto per sé, senza dover combattere contro la pancia di Ja’far per un angolino di letto, ma al tempo stesso non aveva nessuno a scaldarlo la notte o ad urlargli contro per ricordargli di non sdraiarsi supino. Ci mise meno di mezza giornata a decidere di contravvenire tutte le regole per ripicca e la sera successiva al loro trasferimento dopo una veloce doccia calda scese le scale per affacciarsi alla porta della camera di Sinbad ed entrarci in tutta tranquillità. Era buio e a dirla tutta la felice coppietta reale era già andata a letto da un po’ così non fu eccessivamente difficile gattonare sul letto scavalcando il ministro ed andando ad appiccicarsi alla schiena di Sinbad. Meno piacevole fu svegliarsi la mattina dopo a causa di una secchiata d’acqua gelida in faccia.
-Ma sei rincoglionito?-
-Hai problemi d’udito, di comprendonio o entrambi?- replicò glaciale Ja’far.
-Non credi d’aver un po’ esagerato?- rispose Sinbad alzandosi e levando la maglia bagnata dalla secchiata d’acqua indirizzata a Judal, ma che l’aveva inevitabilmente coinvolto.
-Un po’ d’acqua gelida non ha mai ammazzato nessuno- replicò -e tu- disse spostando lo sguardo su Judal, che aveva afferrato la bacchetta e aveva iniziato ad asciugarsi con un incantesimo di calore -non avresti dovuto essere qui.-
Judal lo guardò con rancore, per poi metter su un’espressione innocente e rispondere -E dove avrei dovuto essere, di grazia, se non con il padre di mio figlio?-
Dagli occhi di Ja’far partirono fulmini e saette, ma non si degnò di rispondergli, appoggiando il secchio di fianco al letto e andando in cucina a mangiare. Per quel giorno decise di dargliela vinta.
La sere successive la situazione si ripropose, ma ogni volta ci fu un dettaglio in più, un piccolo simbolo della resistenza che Ja’far opponeva a Judal: chiudeva la porta a chiave, ma Judal l’apriva con la magia; cospargeva il pavimento di trappole per farlo inciampare, ma Judal levitava fino al letto; si sdraiava per occupare tutto il letto, ma Judal lo spostava sul tappeto con un incantesimo; quando la mattina lo trovava a letto gli gettava secchiate d’acqua gelida, ma presto Judal imparò a ripararsi con un borg… non c’era modo di cacciarlo, ed anzi la situazione peggiorò.
Fu dopo una decina di giorni che in un modo o nell’altro condividevano la stanza che Ja’far si stufò, e decise di porre fine a quell’assurda situazione: si sedette in un angolo buio, aspettando l’arrivo di Judal. Non dovette aspettare molto, dopo dieci minuti la porta si aprì e Judal fece il suo ingresso: vedevano entrambi piuttosto bene al buio, così non ebbero eccessive difficoltà a riconoscersi, e subito Ja’far indicò a Judal la porta, certo che la sua presenza sarebbe bastata ad incutergli sufficiente timore per farlo andar via. Ma sbagliò.
Tenendo gli occhi fissi in quelli di Ja’far, Judal si spogliò, andando poi a infilarsi sotto le coperte contro la schiena di Sinbad. Un fulmine illuminò la stanza segnando l’inizio di uno scambio di violenti colpi magici che ruppero l’anta dell’armadio con uno schianto, svegliando Sinbad. Non perse tempo a cercare di capire la situazione, che gli apparve subito chiara. In un secondo ricorse alla magia Mutaforma di Baal, afferrando il polso di Judal e le lame di Ja’far. Quello successivo era intento a far loro la predica. -Avete 25 e 18 anni, vi sembra normale litigare a questo modo?-
Gli occhi di Ja’far esprimevano risentimento, quelli di Judal rabbia.
-Si può sapere com’è che non fai nulla? I patti erano che non si sarebbe dovuto intromettere!- strillò Ja’far, subito seguito da Judal -Ho gli stessi diritti che hai tu, maledetto rompipalle-
-Non dire stronzate!-
-Non sono stronzate, i diritti che hai in quanto incinto li ho anch’io perché, se ti fosse sfuggito, sono incinto!-
Ja’far sorrise malignamente, e fu subito chiaro che non ci sarebbe andato per il sottile ed avrebbe fatto tutto il possibile per distruggere l’avversario. -Ah sì? E così sostieni che saremmo pari, eh?- disse lasciando la presa sui fili rossi legati alle sue braccia e iniziando a camminare per la stanza, con uno sguardo sadico -Secondo quanto hai detto devo darti ragione, in effetti aspettiamo entrambi un bambino dello stesso alpha, ma hai dimenticato un paio di dati.- passò una mano sull’armadio, come valutando i danni. -Non mi risulta tu sia stato marchiato- proseguì dando le spalle a Judal, mettendo così in mostra anche il marchio sul suo collo -né che tu sappia di politica, affari esteri, sanità, sicurezza pubblica, tutto ciò che può servire per mandare avanti un paese, giusto per citare due delle differenze fra noi.-
Lo sguardo di Judal si rabbuiò, al contrario di quello di Ja’far, ma la cosa durò un attimo. -Interessante discorso, ma ora, se permetti ti esprimo il mio punto di vista. Per prima cosa, come puoi ben vedere, non serve un marchio per avere figli né tantomeno anni di studi per condividere un letto. Eh, caro ministro, sarai superiore a me in quanto ad istruzione, ma sei un vero pezzo di legno.- concluse con un ghigno sardonico andando a strusciarsi contro il corpo di Sinbad, il quale, vista la palese minaccia negli occhi di Ja’far, lo allontanò da sé, trovandosi costretto a fare da paciere.
-Piantatela di litigare e venite a letto.-
Nessuno dei due si dimostrò entusiasta, ma mentre Judal andò diligentemente ad infilarsi sotto le coperte, Ja’far oppose resistenza. -Mi stai dicendo che-
-Ho sonno, vieni a letto.- era un ordine, e sapeva che Ja’far gliel’avrebbe fatta pagare cara, ma sul momento si limitò a spostare Judal di lato, in modo da poter stare al centro del letto per fare da muro fra i due gestanti.
Non appena Ja’far si fu steso al suo fianco si rilassò certo che il peggio fosse passato. Fu costretto a cambiare idea quando Judal, ancora nudo, si sedette sul suo bacino. Scattò a sedere talmente velocemente che diede una testata a Judal, il quale si piegò lamentandosi per il suo povero naso, e Sinbad approfittò del momento per spostarlo da sé, facendolo sdraiare sul letto prima che Ja’far potesse ammazzarlo.
No, non sarebbe bastato essere un muro.




******************
La mattina dopo Ja’far si svegliò con un atroce mal di testa, che lo fece alzare di cattivo umore. Si diresse in cucina con lo stomaco in subbuglio, e trovò Sinbad intento a preparare del caffè e mangiare biscotti.
-Me ne dai una tazza?-
-Pensavo non ne volessi in gravidanza.- non era contrario, solo ricordava una discussione in cui il compagno aveva dichiarato che non avrebbe toccato né alcolici né caffeina per tutta la gravidanza.
-Ne ho bisogno, passami una tazza.- rispose allungando un braccio verso la credenza per prendere lo zucchero.
Eseguì senza protestare, passandogli la tazza.
-Ohi Sinbad! Si può sapere perché non mi hai detto che quel bagno aveva una vasca idromassaggio?-
-Judal non urlare di prima mattina, ti prego!- se Sinbad fu diplomatico, Ja’far non intendeva esserlo, ma prima che potesse dire altro Judal riprese a parlare.
-No ma davvero, non è corretto! Io che tutto le mattine mi alzo e per prima cosa mangio, poi vomito, poi forse per pranzo riesco a tener giù qualcosa, non è giusto che non possa nemmeno farmi un bagno come si deve!-
-Vado al lavoro!- fu il solo commento di Ja’far mentre si lanciava fuori dalla porta, seguito a breve distanza da Sinbad, intento a cercare di convincerlo a mangiare almeno qualcosa.
Per Sinbad fu stancante, per Ja’far irritante, per Judal splendido. Ah, come cambiano le cose seconda del punto di vista!




******************
Passò la mattina da solo. Aveva pensato di andare a trovare Pisti, ma in realtà da che si erano trasferiti non stava proprio bene, ragion per cui preferiva restare nel comodo appartamento. In fondo non se ne lamentava, era spazioso e molto ben organizzato. In un modo o nell’altro fino a quel giorno era sempre riuscito a trovare qualcosa con cui intrattenersi, e se proprio non aveva voglia di fare nulla dormiva. Una vita da pascià.
Ma se la mattina fu eccezionale, il pomeriggio lo fu meno. A causa dello stress, la carenza di sonno o forse per la mancata colazione a metà pomeriggio Ja’far non si sentì bene e andò a fargli compagnia.
Nessuno dei due fu esattamente entusiasta della news, cosicché in un primo momento si ignorarono, seduti entrambi in salotto agli opposti capi del divano, finché per poco Ja’far non svenne.
Come fece Judal ad accorgersene fu un mistero, fatto sta che, per istinto, quando lo vide piegarsi in avanti e per poco cadere dal divano afferrò la bacchetta e lo fermò. Lo rimise sul divano con un semplice movimento del polso, alzandosi poco dopo per andare a controllare che ci fosse ancora battito.
Constatato che per fortuna (anche se di certo non sua) stava bene, gli levò il velo, poggiandogli un cuscino sotto la testa e slacciandogli un po’ la tunica per farlo respirare meglio, dirigendosi infine in cucina per prendersi una pesca e preparare una tisana.
Non era preoccupato per Ja’far, per niente, non fu certo per quello che preparò una doppia dose di tisana e diede la caccia ad alcuni biscotti secchi.
Tornato in salotto non si stupì di trovare l’altro che cercava d’alzarsi.
-Io non lo farei.-
Era pallido e si vedeva che non stava bene, ma alzò repentinamente lo sguardo per fissarlo con astio.
-Non sono affari tuoi.-
Scrollò le spalle. -Vero, ma se non fosse per me adesso avresti sicuramente dato una bella testata al pavimento, nel migliore dei casi.- poggiò il vassoio sul tavolino di fronte a sé e agguantò una pesca, osservando con la coda dell’occhio Ja’far distendersi sul divano. Ghignò soddisfatto, continuando a mangiare, per poi riempire le due tazze davanti a sé di tisana e allungare una due a Ja’far, senza però voltarsi a guardarlo.
-Grazie.- ebbe un moto di sorpresa nel sentirsi ringraziare, ma coprì tutto con un ghigno, dedicandosi ad un’altra pesca. Doveva stare proprio male per non ricordargli che non si mangiava in salotto.
-Si può sapere quanto zucchero ci hai messo?- ok, neanche troppo.
-Bevi e non rompere.-
-Vuoi farmi venire il diabete?-
Sbuffò esasperato: quante noie per un po’ di zucchero. -Saprai anche tutto ciò che c’è da sapere di sicurezza pubblica, affari esteri, ecc. ecc., ma evidentemente non sai un tubo di medicina.- come poteva non schernirlo un po’? -Sei appena svenuto, poiché siamo a fine ottobre è difficile che sia per il caldo, quindi probabilmente è una carenza di zuccheri. Ora, bevi.-
-Come sai tutte queste cose?- si era aspettato una risposta acida e indispettita, e invece il tono di Ja’far esprimeva pura sorpresa.
-Niente di che, quando ero piccolo sono stato costretto a studiare un pelo di anatomia, è strano piuttosto che uno che vanta di essere il perfetto braccio destro del re non le sappia.-
Si udii un lieve borbottio, ma niente di chiaro. Non investigò, non ne aveva voglia. Riportò le tazze in cucina e buttò i noccioli, per poi tornare a dedicarsi ad un libro di magia che Sinbad gli aveva procurato. Conosceva già tutti quegli incantesimi, non erano nulla di che per lui.
-Grazie.-
Di nuovo?! -L’hai già detto.- replicò sfogliando pigramente il libro fra le sue mani.
Accanto a lui Ja’far sembrò voler dire qualcosa, poi scrollò le spalle e si alzò.
-Sei certo di non cadere? Non ho intenzione di seguirti per controllare che tu non ti faccia del male.-
-Fottiti.-
Beh, evidentemente stava bene. -Da soli è dura, se vuoi farmi compagnia-
Gli volò in faccia un cuscino. Scoppiò a ridere: stava decisamente bene.










Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte: dunque, immagino non ve lo aspettaste, ed invece eccomi qui. Perchè?
Perché, Siccome ho scritto fino al capitolo 16, non mi va di torturare inutilmente me e voi, per cui leggete, io mi impegnerò per pubblicre una volta a settimana circa
Hoshi

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Capitolo 13
*** Capitolo 11: Esiste sempre un compromesso ***


ESISTE SEMPRE UN COMPROMESSO



Per il resto del pomeriggio s’ignorarono: Judal ad un certo punto uscii, mentre Ja’far andò a dormire un po’. Si rincontrarono solo per l’ora di cena e, con sorpresa di Judal, erano ancora soli.
-Ohi, si può sapere che fine ha fatto Sinbad?-
Inizialmente non sembrava volergli rispondere, ma alla luce degli avvenimenti di quel pomeriggio parve riconsiderare la sua decisione. -Oggi aveva un incontro con un mercante, ci sarà uscito a cena.-
Quindi lui avrebbe dovuto restar solo con Ja’far? Sperava di non litigarci, anche se non gli sarebbe dispiaciuto poi tanto. -Cosa si mangia?-
-Che vuoi che ne sappia? Di solito il cibo arriva dalla mensa.-
Strabuzzò gli occhi. -Ma se Sinbad non c’è, chi diavolo lo porterà?-
Ja’far si congelò.
-Vuoi dirmi che non c’avevi pensato?-
-Senti-
La reazione di Judal, che sospirò portando una mano a reggersi la testa, lo fece desistere dal rispondergli -Levati va.- ordinò Judal senza preoccuparsi di suonare scortese, passando accanto a Ja’far che dopo un primo secondo di shock si girò verso di lui praticamente sputando fiamme, mentre l’altro apriva tutti i cassetti della cucina.
-Chi diavolo ti credi di essere?-
Lo ignorò. -Cosa c’è di commestibile?-
Esplose. -Vuoi rispondermi?-
-Vuoi mangiare o litigare?- replicò Judal tirando su una padella, come se la stesse valutando.
Livido di rabbia aprì la dispensa. -Tolto un po’ di riso non c’è praticamente nulla.-
-Quanto riso?-
Lo valutò un attimo. -Direi circa 4 o 5 manciate.-
-Qui introno abita qualcuno?-
Annuì. -Al piano di sotto abita Yamuraiha.-
-Va’ a chiederle un po’ di zafferano.-
-No!- esclamò con gli occhi stralunati.
-Si può sapere che hai? Vuoi forse fare la modella?-
-Non posso andare da basso!-
Sospirò esasperato, appoggiandosi al piano cucina con una padella in mano. -Qual è il problema?-
Non ottenne risposta, così tirò ad indovinare. -La pancia?- Ja’far annuì, facendo sbuffare Judal. -Ti copro io, però vedi di muoverti- disse prendendo la bacchetta.
Ja’far fu tentato di lanciare le sue lame, ma qualcosa di sconosciuto lo bloccò. Non si fidava di Judal, eppure quel pomeriggio il ragazzo aveva dimostrato che non voleva che lui o il bambino si facessero male. -Perché non ci vai tu? E poi non è detto che ce l’abbia.-
-Lo zafferano è utile per alcune magie, quindi è probabile che ce l’abbia.- disse ruotando la bacchetta.
-Perché non vai tu?- ripeté cocciuto Ja’far.
-Perché mi farebbe una pernacchia e mi caccerebbe a pedate.- rispose con ovvietà appoggiando la bacchetta -Puoi andare. Nessuno si accorgerà che sei una specie di balena, se non ti fidi controlla pure ad uno specchio.-
Ovvio che non si fidava! Si avvicinò a Judal per girare la padella che aveva in mano e poté constatare che aveva ragione: se abbassava lo sguardo a guardarsi la pancia la trovava gonfia come nell’ultimo periodo, ma dal suo riflesso non s’intravedeva nulla.
S’incamminò tranquillo. Se il suo orgoglio non glielo avesse impedito avrebbe dovuto davvero baciare Judal: era eccezionale poter camminare tranquilli per i corridoi, senza doversi nascondere ad ogni minimo fruscio.




******************
-Grazie.-
-Di questo passo mi verrà un’allergia a questo maledetta parola. Sei sicuro di essere quello che ieri cercava di ammazzarmi solo per essere entrato in camera vostra?-
Si astenne dal mandarlo a quel paese perché temeva di sentire una risposta che avrebbe potuto non piacergli, preferendo mangiare quel delizioso risotto al litigare. -Com’è che sai cucinare?-
Alzò le spalle. -Avere una flotta di servi che fa da mangiare è comodo, ma non potevo scegliere cosa mangiare, così ho voluto imparare alcuni piatti.-
Quando Ja’far aveva realizzato che probabilmente Sinbad non sarebbe tornato per cena era stato certo che o lui o Judal, uno dei due sarebbe morto, e invece avevano chiacchierato evitando quasi qualsiasi insulto. Finita la cena Ja’far aveva lavato i piatti ed era andato a lavarsi. Era certo che, uscito dalla doccia, avrebbe trovato Judal a letto, invece lo trovò in salotto. Sfogliava un libro con aria palesemente annoiata, e di tanto in tanto controllava la porta.
-Se prometti di starmi distante puoi venire a letto.- non sapeva cosa l’avesse spinto ad essere così aperto, ma in fondo non serve essere onniscienti, no?
Judal lo fissò un attimo, fra il perplesso ed il sorpreso, per poi alzarsi e sorpassarlo. Si buttò di schiena sul materasso, allargando braccia e gambe a mo’ di stella marina. Ja’far non commentò, limitandosi a spostargli un braccio per conquistarsi un po’ di spazio, immergendosi subito dopo nella lettura di un libro.
Era certo che semplicemente Judal si sarebbe addormentato e invece dopo alcuni minuti si sedette, per poi appiccicarglisi addosso. Stava già per tempestarlo d’insulti ricordandogli che aveva promesso di tenere le distanze, quando arrivò la domanda.
-Che cosa leggi?-
Rimase talmente sorpreso che rispose “un libro”, facendo così ridere Judal. -Questo lo vedo, grazie, ma si può sapere di cosa parla?-
-Gravidanza.-
Sorrise. -Non è un po’ tardi per quello?-
-Perché non vai ad usufruire di quella splendida vasca a idromassaggio che t’aveva tanto entusiasmato questa mattina?-
Mugugnò qualcosa di simile ad un “non mi va” tornando a stendersi a debita distanza da Ja’far. Il silenzio che seguì fu solo una breve tregua. -Senti…-
-Cosa?- rispose con uno sbuffo poggiando il libro accanto a sé.
-A ‘sto punto dovresti saperlo no?-
S’irritò. -Dovrei sapere cosa?-
-Il sesso del bambino.-
Si grattò una guancia. -Non lo so.-
-EH? Hai una pancia simile ed ancora non è possibile saperlo?-
Combatté contro l’istinto di mordersi un’unghia. -Con un ecografia sarebbe possibile saperlo, però…-
-… però hai paura che il medico parli con qualcuno?-
Annuì, guardando altrove perché troppo imbarazzato.
Un fiato caldo sul collo lo fece voltare: si trovò praticamente naso a naso con Judal, un tremendo ghigno in faccia.
-Perché non lo scopriamo?-
Rimase interdetto un secondo. -Che diavolo dovrebbe significare? Non prenderti troppe confidenze!-
-Come puoi non essere curioso?- replicò Judal, indifferente a quanto Ja’far gli aveva appena detto, avvicinandosi ulteriormente.
Certo che era curioso, era molto curioso, ma la sua curiosità avrebbe potuto ritorcerglisi contro, per cui la combatteva. Però, in effetti… -Tu sapresti farla?-
Judal strabuzzò gli occhi sorpreso nel vedere la faccia quasi supplichevole di Ja’far, tronando a sedersi. -No, per un mago leggere il magoi è naturale, ma distinguere il sesso dal magoi è piuttosto complesso. Probabilmente partoriresti prima che sappia dirti con certezza se è maschio o femmina.- ammise, e sul volto di Ja’far si vide la delusione. -Però ci sono altri metodi!-
L’albino lo guardò scettico. -Di che stai parlando?-
Judal tornò ad appiccicarglisi addosso. -Maschio.-
-In base a cosa?-
-Non sei particolarmente sciupato, quindi dev’essere maschio.- rispose Judal con ovvietà, e Ja’far si diede una manata in fonte. -Non dirmi che credi a queste cose?-
-No, ovvio che no!- ridacchiò.
Sentendo la risposta Ja’far appoggiò la schiena contro il muro, allungando un braccio per riprendere in mano il libro, ma Judal lo fermò. -Lo so che non è attendibile, però è divertente! Andiamo, perché no?-
-Perché non lo fai su di te?-
-Perché io preferisco quando arriverà il mio momento fare l’ecografia e togliermi il dubbio.- lo guardò speranzoso -Dai, che ti costa accontentarmi?-
-L’unico metodo simile che conosco io è quello dell’anello.- rispose esasperato alzandosi per prendere una scatola in un armadio.
-Che c’è lì dentro?- chiese Judal fissando incuriosito la scatola.
-Ago e filo.-
Il ragazzo lo guardò allibito -Ma non era così!-
A quell’esclamazione Ja’far s’innervosì. -Senti, se proprio dobbiamo fare questi maledetti giochetti almeno vedi di non rompere troppo.- prese un filo alla cui estremità penzolava un ago e vedendolo Judal alzò le mani in segno di resa. -Vai.-
Obbedendo Ja’far diede una scossa al filo, osservando i piccoli ovali che questo descriveva nell’aria. -Femmina.-
Judal annuì. -In questo momento preferiresti una succulenta bistecca o una sfiziosa torta?-
Inarcò un sopracciglio e rispose serafico -Gli zuccheri non fanno bene già normalmente, in gravidanza sono da evitare il più possibile.-
Judal sbuffò infastidito agitando una mano con sufficienza in attesa di un’altra risposta, che infine arrivò -Pagherei qualsiasi cifra per un sano filetto al sangue.-
Questa volta fu Judal a ridere -Maschio. E neanche la carne al sangue fa bene.-
Lo ignorò. -Hai altre idee?-
Ghignò. -Ci puoi contare! All’inizio della gravidanza soffrivi di nausea?-
Annuì -Secondo questo è maschio o femmina?-
-Femmina. E dimmi, a che mese sei adesso?-
Era incredibile come si sentisse tranquillo, non pensava avrebbe mai potuto essere rilassato in sua compagnia, specialmente dopo l’incidente del giorno prima. -Sarà più o meno la ventiduesima settimana.-
Judal alzò lo sguardo assumendo un aria pensierosa. -Hai 25 anni giusto?-
Di nuovo annuì. -3 a 2 per femmina!- esultò Judal e Ja’far scoppiò a ridere di fronte a tale entusiasmo.
-Che razza di metodo è e a che ti servivano i miei dati?-
-Se aggiungendo il numero dei tuoi anni al momento del concepimento e il numero del mese nel quale è avvenuto il concepimento, la somma è un numero dispari il bambino è una femmina, se invece è pari sarà un maschio!-
Risero per diverso tempo. Non sarà stato razionale, ma indubbiamente era stato molto divertente.




******************
Fece di tutto per liberarsi di quel mercante, ma l’uomo sembrava non volerlo lasciar andare e l’affare era troppo importante per essere mandato in fumo come nulla fosse. Era rimasto fino a tardi, poi era finalmente riuscito a defilarsi ed ora correva come un matto dal ristorante verso il palazzo, sperando di non trovare ad attenderlo un cadavere.
Percorse la salita a rotta di collo, per poi stancarsi e mutare il proprio corpo, entrando dal terrazzo del secondo piano e tuffandosi a rotta di collo giù dalle scale, spalancando la porta della camera da letto: Judal e Ja’far erano seduti vicini con le spalle poggiate al muro, con Ja’far che leggeva ad alta voce il suo solito libro sulla gravidanza.
Sentendo tutto il baccano che aveva fatto, dopo aver finito di leggere il paragrafo alzò gli occhi, guardandolo accigliato.
-Bentornato, com’è andata col cliente?-
-Vedi dove sbagli? Urge più calore!- lo criticò Judal.
-Se ti insultassi in qualche modo mi si ritorcerebbe contro, quindi mi limiterò a dirti di tacere così da sentire ciò che leggo.- replicò Ja’far accompagnando la frase con uno pugno in testa.
E Judal, a parte portare una mano a massaggiarsi la testa, non fece nulla!
-Volete dirmi che basta io mi allontani da qui perché voi due andiate d’accordo?-
“Non dire scemenze/stronzate” furono le sue uniche risposte, senza che neppure uno dei due alzasse gli occhi a guardarlo.
Rassegnato andò a lavarsi, e dopo aver chiuso la porta alle sue spalle non poté evitare di chiedersi se quando avrebbe lasciato il bagno avrebbe trovato Judal sdraiato con la testa poggiata sulle gambe di Ja’far.
Tese un pelo l’orecchio curioso di sentire cosa stessero leggendo, e udii la voce di Ja’far scandire “il sesso fra omega in gravidanza…”
Ci mancava solo quello!











Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte:
e per ora mantengo la promessa, pregate in bene perchè ciò continui.
Hoshi

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Capitolo 14
*** Capitolo 12: Cos'avete combinato? ***


COS'AVETE COMBINATO?



Non tutti possono essere fieri del loro passato: Ja’far non lo era, non era certo felice di essere stato un assassino, ma l’educazione che aveva ricevuto tornava utile.
Per potersi avvicinare alle vittime senza farsi notare aveva dovuto imparare a muoversi in perfetto silenzio, fino anche al non respirare ed annullare il proprio odore, cosa che gli era tornata utile negli anni per celare i propri ormoni.
Per sapere come colpire aveva studiato attentamente l’anatomia umana, e la cosa più importante: non dormiva. Certo, chiudeva gli occhi e riposava per 6-7 ore a notte, ma restava sempre vigile ed attento ad ogni rumore.
Nessuno stupore che sentì le strida di un mostro che era penetrato nella zona dei frutteti, nonostante la distanza.
Si tirò a sedere, accusando un lieve capogiro a causa del movimento repentino, e guardando subito alla sua destra. Ignorò Judal, profondamente addormentato, per andare a scuotere Sinbad.
-Sin. Sin. Sin!- non intendeva urlare, perché avrebbe svegliato Judal.
-Sinbad!- non solo lo ignorò, ma scacciò la mano e si portò fuori dalla portata del suo braccio. Fu tentato di usare il proprio strumento del seguace per dargli una scossa, ma, di nuovo, la presenza di Judal lo frenò. Si era abituato a condividerci il letto, che comunque restava enorme anche per tre persone, non aveva problemi col fatto che si fosse infilato fra lui e Sin, perché mentre per lui l’agiarsi nel sonno di Sinbad era un problema a Judal sembrava non importare.
Quando aveva iniziato ad abbracciarlo nel sonno, dopo un primo momento di stizza, ci si era abituato, e ora lo trovava addirittura piacevole, per il semplice fatto che era fine novembre, ed iniziava a fare freddo. Forse perché a differenza di Sin lui non parlava né sbavava nel sonno…
Si sporse in avanti per arrivare a colpire il compagno, non calcolando l’ingombro ed il peso della pancia, cosa che lo fece cadere su Judal. Inspirò, sollevandosi ed alzando poi lentamente lo sguardo verso l’alto, a guardare l’espressione assonnata e seccata di Judal. Gli piacevano quegli occhi rossi, ma non era il momento di soffermarsi a pensarci, ora non doveva più farsi troppe remore.
Fece per superare Judal per dare uno scossone a Sinbad, ma non servì in quanto Judal agì per lui dando un calcio al pigro re di Sindria.
-Che c’è? Perché questa violenza?- piagnucolò dando loro le spalle, ma al non ricevere risposta si girò, vedendoli guardarlo con aria di biasimo.
-Ti si sono rotte le acque?-




******************
In un minuto, dopo una violenta scossa, erano tutti e tre in volo sopra i cieli dell’isola.
Difendere l’isola dai mostri marini era dovere dei generali, per cui era logico che Sinbad e Ja’far dovessero accorrere quando ne appariva uno, e Judal aveva voluto venire.
Atterrarono a breve distanza dal mostro, accanto ai generali già giunti lì in precedenza. La folla attendeva in trepidazione che lo spettacolo avesse inizio, osservando con occhio famelico il mostro, una specie di cavalluccio marino gigante, curiosa di scoprire chi dei generali lo avrebbe abbattuto.
Restava una cosa davvero buffa la reazione della popolazione alla comparsa di uno dei mostri, perché in qualunque altro paese sarebbero tutti scappati a nascondersi, invece al sentirne le strida la popolazione di Sindria accorreva per assistere alla caccia.
-Chi se n’è occupato l’ultima volta?- domandò Sinbad, perché grosso modo facevano a turno e ci tenevano a tenere l’equilibrio.
-Eri a Kou l’ultima volta che ci hanno attaccato.-
-Eravate stati tu e Masrur, giusto Dracon?-
-Già, e se non erro-
-Questa volta non tocca mica-
-A te-
-Ja’far?-
Nove paia di occhi lo fissarono: grazie all’incantesimo di Judal non doveva temere gli sguardi della popolazione, ma gli attacchi del mostro erano pericolosi.
-No, non lo puoi fare.- disse Sinbad -Lo farò io, saranno lieti di vedere il proprio re in azione.-
-Scordatelo- lo bloccò -Potrebbero nascere dei sospetti. Farò attenzione, e andrà tutto bene.-
-Ja’far sii ragionevole- cercò di prenderlo con dolcezza per non irritarlo -è rischioso. Non faranno nemmeno caso ad una sottigliezza simile.-
-Possibile, ma ho comunque bisogno di fare un po’ di moto.- replicò facendo un passo in direzione del mostro, venendo intercettato subito da tutti i generali.
-Non puoi, Sinbad ha ragione. Ce ne occuperemo io e Spaltos.- disse Pisti ponendo una mano sul braccio di Ja’far, sorridendo dolce.
-Sentite- si alterò Ja’far.
-La caccia è a due?-
Gli otto difensori di Sindria si girarono con aria sorpresa ed un po’ spaesata.
Non ricevendo risposta Judal decise da sé la risposta. -Muoviti, forza.-
-Judal, che stai dicendo?- domandò Sinbad osservando Judal prendere Ja’far per un polso e trainarselo dietro, sotto lo sguardo allibito di tutti ed il sorriso complice di Pisti.
Ghignò, girando su sé stesso ed andando ad appiccicarsi a Sinbad, tirandosi sulle punte per potergli dire all’orecchio, con voce in realtà sufficientemente alta per essere udito da tutti “non sei curioso di vedere le tue due splendide scopate fare il culo a quel mostro?”
I generali si strozzarono, Pisti rise, Sinbad divenne terreo e Ja’far anziché attaccare il mostro partì alla carica contro Judal. Ma, alla fine, il mostro fu abbattuto e la popolazione non ebbe alcun sospetto sulla salute del ministro.




******************
-Che figata! A Kou non esiste nulla del genere!- commentò Judal dopo che Ja’far finì di spiegargli il senso della festa di quella sera.
Ja’far sogghignò continuando a camminare diretto alla terrazza che ospitava il tavolo riservato alle maggiori personalità di corte -Un casinista come te si divertirà da morire-.
Judal sorrise seguendolo, felice come un bambino -Io parlo sul serio! Non ho mai sentito di feste organizzate così su due piedi per l’attacco di un mostro! Nel resto del mondo il massimo a cui si può assistere dopo un attacco è qualche funerale, qui invece organizzate una battuta di caccia che sembra uno spettacolo ed una graziosa festicciola. A Kou non ho mai fatto nulla di simile!-
-Kou è un paese più grande ed influente di Sindria, ma è più dispersivo. Essendo Sindria un paese isolato di piccole dimensioni possiamo vivere un po’ più spensieratamente e concederci questi vizi.- esplicitò Sinbad.
-Ma davvero! È come una festa organizzata, solo che non sai mai quando cadrà. È una cosa magnifica!-
La coppia reale scoppiò a ridere e Sinbad si tirò la testa di Judal al petto. -Abbiamo capito che non stai più nella pelle, puoi smetterla di dircelo? Di questo passo ci verrà mal di testa prima ancora di aver toccato un sorso di vino!-
Judal si dibatté come un matto per liberarsi, senza ottenere nulla, finché Ja’far non impose a Sinbad di lasciarlo andare.
-Judal, adesso però piantala di parlare e sbrigati o non troveremo più nulla.- gli suggerì Ja’far, e Sinbad, rimasto fermo dove un attimo prima bloccava Judal, non poté impedirsi di vedere la preda recuperare il terreno perso andando ad affiancarsi al compagno e aggrapparsi al suo braccio, poggiando il mento sulla sua spalla.
Ebbe un secondo di vuoto assoluto. Poi sorrise e prosegui. La festa non sarebbe stata completa se fosse mancato il re, e c’era un barile di birra ad attenderlo.




******************
-Non arrivavate più! Iniziavamo a pensare di dover mandare qualcuno a chiamarvi.-
-Yamu, come puoi essere tanto indelicata, un re ha il diritto di godersi “le sue due splendide sco-
-PIIIIIISTI!-
L’urlo unisono la fermò, facendola scoppiare a ridere in compagnia di Judal e procurando ad entrambi un pugno in testa da Ja’far: Pisti rise più forte, Judal guardò Ja’far con un ghigno e, con stupore dei presenti, per farsi perdonare mimò il gesto di mandare un bacio. Ricevette un secondo pugno, ma il fatto che fosse ancora vivo dimostrava quanto quel pugno fosse più un pro forma che un sentito attacco dettato dalla rabbia.
-Vogliamo sederci e mangiare?- chiese Sharrkan avvolgendo le spalle di Yamuraiha con un braccio e trascinandola sulla panca accanto a lui. Masrur si sedette alla destra della maga, accanto a Dracon, mentre di fronte a loro presero posto Pisti, Spaltos, Hinahoho e Ja’far, mentre Sinbad si diresse a capotavola.
Lo sguardo di Judal vagò per un attimo sulla tavola, rendendosi conto in quel momento che non c’era un posto per lui. Beh, logico. Non era un ospite politico e non aveva un alto ruolo agli occhi dei cittadini, per cui non serviva sedesse a quel tavolo. Spostò gli occhi alla ricerca di un luogo in cui mangiare, girandosi quando una voce lo richiamò.
-Judal vuoi un invito formale o vieni a sederti?- chiese pacato Ja’far facendo segno al suo fianco, un posto forse un po’ stretto che Ja’far gli aveva procurato sedendosi sul bordo della panca, al punto quasi da cadere.
Lo guardò un attimo con espressione dubbiosa, adocchiando con la coda dell’occhio il gigante Himchak a cui sarebbe stato accanto. Aveva senso vagare per un tempo indefinito alla ricerca di un posto in cui mangiare quando poteva semplicemente andare a sedersi ad un tavolo in cui una persona teneva al suo benessere anche solo per non compromettere la gravidanza, una gli era amica per oscuri ed inspiegabili motivi, sei lo odiavano cordialmente e il settimo, quello che più di tutti avrebbe dovuto volerlo morto, lo stesso che lo stava invitando, provava per lui…
Già, cosa provava per lui Ja’far?
Era una domanda molto interessante, ma seconda al “quanto sarà buona quella carne?” per cui incurante di tutto il resto trotterellò verso il posto indicatogli andando a sedersi accanto a Ja’far, il quale non reagì quando per infilarsi al suo posto si appoggiò alla sua spalla, limitandosi poi a fare un gesto ad una delle cameriere perché aggiungesse un posto. Non si scompose nemmeno vedendo Judal prendere la forchetta abbandonata sul piatto e assaggiare la portata, non gli mise fretta quando si perse a degustare il boccone e sorrise vedendolo mugugnare soddisfatto, ma quando lo vide allungarsi a prendere il coltello gli lanciò una palese occhiataccia.
Non contava sortisse effetto, ed infatti dopo averlo guardato un attimo negli occhi Judal riabbassò lo sguardo tornando a dedicarsi al piatto. Sospirò girandosi alla ricerca del cameriere. Dagli un dito e si prenderanno il braccio dicevano i saggi.
Quando sentì Judal battergli col dorso della mano sul braccio si girò e per poco non gli cadde la mascella: stava davvero puntando la forchetta verso di lui offrendogli il suo stesso cibo? Scoppiò in una genuina risata, prima di farsi avanti per raccogliere il boccone che gli veniva gentilmente offerto.




******************
-Andiamo, solo un goccio!- piagnucolò cercando lo sguardo di Sinbad conscio che non gli avrebbe mai vietato un sorsetto piccolo piccolo di liquore alle pesche. Insomma, era una tortura!
-No significa no- ripeté fermo Ja’far, insensibile alle suppliche di Judal.
-Ma va tutto benone, solo un sorso microscopico per placare la sete, ti prego!-
Ja’far spostò lo sguardo sulla tavolata, esausto. Era seriamente tentato di lasciar perdere e concedere a Judal un sorso di liquore (ok, anche un bicchiere intero) purché smettesse, ma sapeva di avere ragione lui: gli alcolici in gravidanza no. Perché se già non erano il massimo di solito, durante la gravidanza potevano portare ad un danno nello sviluppo del bambino e…
Oh insomma, al diavolo tutto, a cosa sarebbe mai potuto servire ripetergli a pappagallo libri e libri di ginecologia quando tutti i loro commensali erano ubriachi fradici? Come poteva vietare a Judal (e a sé stesso) un sorsetto di liquore quando Judal alla sua sinistra doveva continuamente dare pacche sulle spalle a Hinahoho che piangeva disperato perché sua figlia una paio di giorni prima aveva fatto una passeggiata senza avere un uomo della famiglia a farle da guardia del corpo?
O ma lui era ancora fra quelli discreti: Pisti continuava a provarci con Spaltos, dimentica che fosse suo marito e lui continuava a rifiutarla dicendogli che non avrebbe mai potuto tradire sua moglie, e “lei signorina è davvero spudorata, non vede che mia moglie è qui con me?” e nel dirlo abbracciava il piccolo Sofocle, intento a guardare verso Ja’far come in una muta richiesta di soccorso.
Dracon chiedeva scusa alla luna per non essere riuscito a consegnare la missiva che gli aveva affidato re Solomon alle sirene, Masrur era crollato e adesso dormiva con la testa sul tavolo, la guancia a contatto con del vino rovesciato in precedenza, Sharrkan cantava una serenata a Yamu, che per tutta risposta gli accarezzava la testa lodando con Sinbad la fedeltà del suo cane… e Sinbad era il solito, ci provava spaventosamente con qualunque donna gli capitasse a tiro.



Perché doveva essere lui quello responsabile?




******************
-Siamo amici da una vita, non puoi farmi questo!-
-Non vedo perché non potrei.-
-O andiamo Ja’far come se a te non fosse mai capitato di esagerare un po’!-
Li guardò. Uno peggio dell’altro, alle 2 avevano lentamente iniziato a riprendersi dai fumi dell’alcol e ora accusavano un mal di testa atroce e si stavano litigando le due aspirine che Ja’far aveva con sé. Si poteva esser messi peggio? Beh, sembrava di sì, Sin era peggio del solito: di tutto il gruppo era l’unico che ancora non aveva ripreso il controllo di sé ed era impegnato a tessere le lodi della più bella donna che avesse mai incontrato, con fluidi capelli, pelle nivea, figura esile, labbra rosee e carnose, due tette da paura… Elizabeth. Si appuntò di fargli fare un controllo per la vista.
-Ohi ma la volete piantare? Io non ho potuto toccare un sorso di vino tutta la serata a causa di ‘sto mastino e voi vi lamentate per un lieve mal di testa?- Judal aveva preso confidenza col gruppo, o forse è meglio dire che dopo ciò che aveva visto era difficile (per non dire impossibile) avere ancora una qualsivoglia forma di timore nei loro confronti.
Ja’far non apprezzò il paragone, per cui si preparò a combattere una guerra su due fronti, ma con suo stupore quello che credeva essere un sostenitore dei suoi avversari si rivelò essere un suo alleato -Ve la siete cercata, avete ecceduto e questo è quanto, andatevene a letto a dormire- specificò guardando in direzione di Sharrkan e Yamu, un ghigno mal trattenuto sulle labbra -e domani starete meglio.-
I generali presenti si scambiarono uno sguardo: che era successo? Era vero che non avevano mai avuto modo di osservare Ja’far e Judal insieme, ma era davvero difficile capacitarsi del fatto che quei due non solo non si odiavano, ma parevano davvero essere in sintonia. Alla fine Yamuraiha prese timidamente la parola -Ma scusate un attimo- chiese appoggiando il suo peso su Sharrkan -che cos’avete combinato?-
Annuirono tutti fissando i due gestanti ben ritti in piedi sulle proprie gambe, a differenza loro, con Judal che per difendersi dal freddo della sera si aggrappava alla schiena di Ja’far continuando a massaggiarsi la pancia.
Ja’far voltò la testa scambiando uno sguardo con Judal. Era stato abbastanza naturale, ma in effetti in poco tempo il numero delle loro liti era diminuito drasticamente e si erano riappacificati, arrivando a scoprire di avere una certa intesa. Lui si era ammorbidito, concedendo a Judal di mangiare dove più preferiva con la condizione “se sporchi pulisci” e di dormire con loro, e Judal si era fatto meno provocatorio, smettendo di cercare di fare le cose di nascosto e aiutandolo a coprire la pancia. Avevano perfino trovato degli argomenti di conversazione e non si facevano dispetti…
Sorrise Ja’far, osservando il viso dagli occhi cerulei a breve distanza dal suo -Diciamo che siamo diventati amici.-










Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte:
capitolo discutibile, in cui come sempre il povero Sinbad ne prende un sacco e una sporta...
spero ve lo siate goduti, e pensate a me, che pubblico poco dopo aver fatto un prelievo
Hoshi

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Capitolo 15
*** Capitolo 13: Parola di (futura) mamma ***


PAROLA DI (futura) MAMMA



Se c’era una certezza, nel regno di Sindria, era che Ja’far lavorava più di chiunque altro. Si occupava di ogni singola pratica, che si trattasse di accordi internazionali della massima rilevanza o di un comunissimo matrimonio, i documenti sarebbero passati comunque per l’ufficio amministrativo, e dunque per le sue mani. Ma adesso che aveva cambiato ufficio questa certezza cosmica era crollata:
per mantenere segreta la gravidanza aveva voluto un suo ufficio e per impedire che qualcuno lo vedesse si faceva portare tutte le mattine i documenti da uno dei generali. Agli inizi arrivavano plichi altissimi che lo obbligavano a stare chiuso in ufficio tutta la giornata, poi il/la bimbo/a aveva iniziato a richiedere attenzioni: aveva iniziato ad avere sempre meno energie, faticando a seguire troppe pratiche, ragion per cui trascurava quelle più comuni, ed infine arrivò a dire di portargli solo quelle più rilevanti. Il risultato? Gli impiegati allo smistamento pratiche ebbero finalmente modo di svolgere il lavoro per cui erano pagati, e Ja’far iniziò a lavorare sempre meno, giusto un paio d’ore il pomeriggio.
I cambiamenti erano evidenti in “casa”: per abitudine si svegliava intorno alle 7, sgusciava fuori dal letto senza disturbare i dormienti e preparava la colazione per Sinbad, leggeva un po’, poi svegliava il re poltrone (come amava definirlo Pisti) obbligandolo a prepararsi per la giornata, gli faceva compagnia finché non usciva, poi tornava a letto, e fino alle 10 non c’era per nessuno.
Avrebbe ardentemente voluto poter dire che si risvegliasse in modo dolce, con il canto delle cicale nelle orecchie, ma avrebbe mentito. Nel tornare a letto intorno alle 8 incappava sempre in un problema: Judal. Non che il ragazzo russasse, si muovesse o chissà che altro, solo, con una discreta precisione, alle 10 si svegliava ed era costretto a scattare in bagno, lo stomaco sotto sopra, e per una decina di minuti la quiete veniva interrotta dal suo respiro affannoso e da conati di vomito.
A inizio gravidanza aveva avuto anche lui un paio di episodi, ma iniziava ad essere preoccupato, perché al quarto mese pieno non era normale stare tanto male… vero era che nel resto della giornata Judal era un fiore, dopo aver rimesso l’anima si abbuffava di pesche, faceva lunghe passeggiate con Pisti, leggeva, prendeva il sole… ma non aveva un dito di pancia. A quattro mesi. Quattro!
Inutile negarlo, lo invidiava. Aveva una pelle bianca (e se per quello anche lui), degli splendidi occhi rossi (non che avesse nulla da ridire sul grigio dei suoi), dei lunghissimi capelli (che lui non avrebbe mai sopportato), un corpo tonico… il problema era quest’ultimo punto.
Perché doveva essere l’unico ad avere una pancia da balena?! Perché Judal poteva continuare a vestire come suo solito e lui aveva invece dovuto far cucire (a Saher, non avrebbe mai dato l’incarico ad un sarto, per la solita noiosa ragione) un vestito uguale a quello che portava di solito, ma infinitamente più largo?! Cos’era quell’ingiustizia cosmica?
Dopo la festa tenutasi una settimana prima aveva preso una decisione: lo avrebbe fatto ingrassare. Per sfizio. Così aveva preso vita una nuova bizzarra consuetudine: le “cene di famiglia”, ossia cene preparate non più dai cuochi del castello nelle cucine ma nel loro appartamento. Generalmente da Judal. E a cui tutti i generali partecipavano. Tutte le sere.
-Come sarebbe a dire che Yamu non viene?- strillò in direzione di Masrur, che aveva pacatamente portato la notizia, e che strizzò gli occhi in una plateale dimostrazione di fastidio per l’attentato al suo udito fino. Il fanalis si limitò a scuotere le spalle in risposta, e per poco Ja’far non gli saltò alla gola. Ok, gli ormoni gli facevano male.
-Non prendertela con lui- cercò di placarlo Hinahoho poggiandogli una mano sulla spalla -quando l’abbiamo incontrata questa mattina era uno straccio, evidentemente non ce la fa.-
Hinahoho non aveva tutti i torti, ma ciò non servì a placare la sua ira e se non fosse stato per il tempestivo intervento di Sinbad, che appena tornato dal suo ufficio gli aveva prontamente avvolto un braccio attorno al bacino, probabilmente Ja’far avrebbe aggredito i suoi ospiti in mezzo all’ampio salotto.
Spaltos mostrò un lieve ghigno per la buffa situazione creatasi, guardando verso la cucina dove la giovane moglie era intenta ad aiutare Judal a cucinare, e se non fosse stato per la truce occhiataccia di Saher probabilmente Dracoon avrebbe riso.
Percependo la tensione ancora presente in Ja’far, Sinbad pensò bene di spingerlo a sedersi, così che eccezion fatta per i due cuochi, la malata e l’assente ingiustificato, Sharrkan (probabilmente intento ad ubriacarsi in una taverna) si sedettero tutti sul divano, e la semplice domanda di pura curiosità di Saher, posta tanto per fare conversazione, portò il finimondo. “Avete deciso come chiamarlo?”
-Serendine, Rashid o Badr*.- aveva risposto con candore Sinbad, ma Ja’far era scattato come una molla.
-Scordatelo!-
Tempo uno scambio di sguardi ed il litigio fra i due partì, ma in un modo o nell’altro anche i generali vennero coinvolti.
-Serendine è un nome bellissimo!- esplosero insieme Dracoon e Sinbad.
-Non si chiamerà come la tua ex!- ribatté Ja’far, mentre anche Saher fulminava Dracon giurando vendetta.
-Tu con una figlia? Il cielo la aiuti!- commentò invece Hinahoho gettando gli occhi al cielo, Spaltos e Masrur annuirono.
Nacque il caos, e per cinque minuti in cucina arrivarono urla e strepiti prima che Judal e Pisti si affacciassero in salotto per annunciare la cena, ma i loro richiami, per quanto urlati, non ebbero effetto.
Pisti alzò lo sguardo su Judal, ringraziandolo per aver silenziato appena arrivati l’area attorno a Sofocle cossichè il piccolo potesse dormire, e comunicandogli con lo sguardo l’intenzione di gettarsi nella mischia per richiamare il gruppo, ma venne fermata.
Guardò l’amico avanzare fino al centro della stanza, intrecciare le braccia dietro la schiena e come per magia attrarre l’attenzione di tutta la stanza su di sé, con uno stratagemma semplice: iniziò a fare le fusa.
Tutti i generali si girarono verso di lui, avendo distinto il suono pur in mezzo al casino, il respiro che si calmava pian piano, lo sguardo sorpreso, e quando la situazione si fu calmata avanzò verso Sinbad e Ja’far. Guardò entrambi negli occhi, concedendo uno sguardo dolce a Ja’far e avvicinandosi poi a Sinbad, per sfrusciarsi contro di lui (in modo parecchio esplicito) ottenendo di ricondurlo alla calma (se non si contavano le mani che in perfetta autonomia si erano mosse verso il sedere di Judal).
La cosa stava diventando piuttosto imbarazzante per tutti, finché Pisti non intervenne a spezzare la calda atmosfera ricordando con allegria a tutti che la cena era pronta. Judal si girò a guardarla con gli occhi lucidi, la gola che ancora vibrava, staccandosi contrariato da Sinbad per aiutare Pisti a portare i piatti in tavola.




******************
-Che pesce è questo?- chiese Hinahoho, girandosi a destra per guardare direttamente il cuoco, giorno dopo giorno più impressionato dalle abilità culinarie di Judal.
-Tonno, perché?- a Kou non aveva mai incontrato un Himchak, quindi forse (assolutamente no), all’inizio, beh non proprio l’inizio, quando avevano cominciato a parlare senza che volassero insulti o minacce, era rimasto un pelo intimorito dalla presenza di Hinahoho, poi conoscendolo aveva relegato il fatto che fosse un omaccione di 2 metri e 20 in un angolo della sua mente, concentrandosi sul carattere, scoprendo un omone socievole.
La maga era una conversante simpatica, forse un pelo estremista nel contestare tutte le posizioni di Sharrkan, e pareva divertirsi un mondo a chiedergli chiarimenti su alcuni incantesimi inaccessibili per un comune mago, anche se riconosceva che la ragazza fosse dotata.
Lo spadaccino era un Koha con la pelle abbronzata. Ma senza mogli. O mariti. O fidanzate. Con meno soldi. Senza strumento metallico.
E meno alpha.
Dracoon lo stava ancora scoprendo, era una persona abbastanza composta, ligia al lavoro, parecchio permaloso, e come Ja’far ogni tanto sembrava avere dei raptus omicidi nei confronti di Sinbad. Non era particolarmente simile agli uomini che Kouen aveva fatto integrare con lo strumento del seguace solo per fini bellicosi; nonostante il suo aspetto bizzarro, viva una vita normale, quasi monotona.
Il fanalis a mala pena aveva imparato come si chiamasse, non parlava praticamente mai se non per rispondere a qualche domanda, e non sembrava avere interesse per nulla che non fosse dormire. Gli sarebbe tanto piaciuto accompagnarlo in questa sua impresa.
E poi c’erano Pisti, Spaltos e Sofocle, ormai da lui catalogati come “Entità P.S.S.”.
Una vigorosa pacca sulla spalla lo ridestò dalle sue considerazioni.
-Somiglia molto ad un pesce che vive solo nei mari del territorio Himchack, mi ha fatto venie un po’ di nostalgia di quando Rurumu ce lo cucinava nella prima Sindria.-
Personalmente ebbe un momento di disagio, dovuto all’essere in qualche modo complice della morte non solo della moglie di Hinahoho, ma anche del fratello maggiore di Spaltos e di tanta altra brava gente, ma con estrema allegria, quasi che non se ne fosse accorto Hinahoho gli diede un altro colpo, proponendosi di procurare il pesce in questione per farglielo assaggiare.
Annuì, incuriosito dalla sfida che l’ingrediente esotico rappresentava, partendo in una conversazione piuttosto fitta in cui si discuteva di cucina, dando poco peso a Ja’far che lo avvertiva che per una dimenticanza dello stupido re loro due dovevano andare in ufficio per sistemare al più presto un documento urgente, limitandosi ad un gesto di noncuranza con la mano.
Sentì a malapena la porta chiusa, continuando ad elencare i vantaggi del miele, ma si accorse presto del silenzio calato in sala e dell’attenzione che tutti rivolgevano a lui. Si mosse leggermente a disagio sulla sedia, cercando di ignorare la cosa e riprendere il discorso da dove lo aveva interrotto, ma con un pacato cenno della mano Saher cancellò il suo proposito. Dracon si schiarì la gola, ma con somma sorpresa di tutti fu Masrur a parlare, con tono casuale e disinteressato -Sai se sia maschio o femmina?-
Dopo il primo istante di stupore inarcò un sopracciglio, non tanto perché la domanda gli avesse dato fastidio quanto piuttosto perché non si aspettava la domanda, né tantomeno una così scarsa conoscenza in materia da parte di persone che comunque avevano da poco visto un’amica attraversare una gravidanza, ed una gravidanza abbastanza travagliata, per di più.
-Non basta la totale assenza di pancia per far capire che non è possibile saperlo?-
Aveva un tono vagamente canzonatorio, ma non sfrontato o irriverente, e con tutta probabilità se anche avesse appena insultato i suo avi Masrur avrebbe comunque alzato lo sguardo con calma seraficità, lasciandogli ad intendere che la domanda era posta a lui, ma che non stava chiedendo di lui.
Provò un vago senso di delusione per motivi ignoti, scuotendo la testa ad occhi chiusi, e riaprendoli verbalizzò la risposta -Quel mulo di Ja’far non ne vuole sapere, per quanto anche Sin abbia provato a convincerlo non c’è stato verso, non vuole farsi vedere, per cui sarà una sorpresa.- appoggiò la schiena allo schienale, certo che l’argomento fosse chiuso, ma la voce di Dracoon deluse le sue aspettative.
-Dì- esordì con un espressione terrificante, ma che equivaleva ad un sorriso -come vedresti Sinbad con una figlia?-
La faccia terrorizzata di Judal fece scoppiare a ridere tutti quanti, e fu nell’ilarità generale che continuarono la serata, scherzando di come nemmeno un’alpha sarebbe stato una buona idea, perché crescendo rischiava di “pestare i piedi al padre”, e neppure un omega perché per la legge del contrappasso tanto il padre era stato libertino fin dalla tenera età, tanto non avrebbe mai concesso a nessuno di avvicinarsi alla sua progenie.
-Piuttosto, di te si sa nulla o segui l’esempio del cocciuto mulo?-
Era troppo divertito per prendersela a male per la velata presa in giro inflittagli da Spaltos così che non tono gioviale ammise che in effetti no, neppure lui sapeva nulla, perché (è qui cambio espressione, mettendo su una faccia mortalmente seria, ed imitando la roca voce di Kouen) “il sapere troppo può condurre alla morte”, e finse di sguainare una spada dal fodero, saltando sulla sedia in una buffa imitazioni di uno spadaccino che prepara l’affondo. Risero tutti come pazzi (perfino a Masrur sfuggì un grugnito simile ad una risata!), commentando come fosse una fortuna che non ci fosse Sharrkan, o avrebbe iniziato ad insistere di volerlo allenare per correggere la postura completamente sbagliata.
Quando si furono calmati tutti un poco Judal si asciugò una lacrima dovuta al troppo divertimento, per poi sedersi e rispondere con serietà. -No, non ho ancora fatto alcun esame perché non so a chi chiedere per trovare un mago capace in materia di ginecologia, ma è da un po’ che penso di farne. Non mi dispiace mantenere uno stabile baricentro, ma a quattro mesi si dovrebbe iniziare a notare qualcosina.- concluse guardando la pancia piatta e passandoci sopra una mano come in attesa di qualcosa. E qualcosa accadde.
Ma di certo non ciò che si aspettava, (non che si aspettasse nulla o che sperasse in qualcosa, sia ben chiaro!) visto che qualcuno lo abbracciò da dietro, stringendo le braccia sul suo torace. Girò la testa e trovò Ja’far col mento appoggiato sulla sua spalla, gli occhi alzati a fissarlo, con espressione di comprensibile stanchezza ed imprevisto affetto e solidarietà.
-Beh?- domandò, forse a chiedere spiegazione per quell’espressione e quel contatto o forse per sapere com’era andata in ufficio e quante ne aveva date a Sinbad.
Ja’far lo guardò un secondo, poi si spostò al suo fianco sciogliendo l’abbraccio, dandogli un colpetto sul fianco perché gli facesse un po’ di spazio accanto a sé, riappoggiando poi la testa sulla sua spalla.
-Sicuro di volerlo fare?-
Mugugnò una conferma, facendo gesti con il braccio sinistro, quello lasciato libero di muoversi, per chiedere (senza gli abbellimenti di forma come “per favore”) ai commensali di allungargli un po’ della torta che era arrivata in tavola una decina di minuti prima, e che era già prossima a sparire, nonostante la cena non fosse stata leggera.
-Domani chiederò a Yamuraiha di un mago capace, tutte le questioni in qualche modo magiche le gestisce lei.-
Judal assentì, badando di non muoversi troppo per non disturbare Ja’far, avvicinando un boccone di caprese prima alle labbra del visir e poi alzando la forchetta alle sue spalle, verso Sinbad ora intento a massaggiare le spalle ai due omega, Ja’far a occhi chiusi a godersi cibo e massaggio.
-Vuoi fare qui la visita?-
-Non serve, posso anche andare io da lui.- rispose osservando come i commensali si fossero lanciati in altri discorsi, ma come di tanto in tanto lanciassero ancora occhiatine curiose nella loro direzione o, nel caso di Pisti, maliziose.
-Dubito che se ti dessi l’indirizzo ci sapresti arrivare.-
-Se mi dai una cartina forse. Non ho un gran senso dell’orientamento.- disse osservando Sinbad annuire con solerzia mentre si tuffava a pesce sull’ultima fetta di torta per arrivare prima di Masrur, che con la solita flemma di chi agisce per inerzia più che per interesse (anche se dagli occhi si leggeva un pizzico di rimorso per la rinuncia fatta) riportò la mano sulla tovaglia accanto al proprio piatto.
-Se ti perdi che facciamo?-
Appoggiò la testa contro gli addominali di Sinbad, tornato nella posizione precedente ma troppo concentrato a mangiare per dedicare attenzione a uno dei due ragazzi.
-Posso sempre alzarmi in volo e venire così al castello o chiedere informazioni ai passanti, o andare alla visita con una maglietta “se mi vedete portatemi a” e la foto tua o di Sin.-
Ghignò sentendo la risatina trattenuta di Hinahoho al suo fianco, segno che per quanto fossero tutti presi in altre conversazioni li stavano controllando.
-Dicevi che volare ti affatica in questi giorni, e so benissimo che non useresti una maglietta diversa dai tuoi soliti top neri. Metterò sotto torchio Sin perché lavori con un po’ d’anticipo in questi giorni così da poterti accompagnare.-
Ridacchiò nel sentire una punta di scherzoso sadismo nelle parole di Ja’far, a cui Sinbad rispose con un gemito preventivamente sofferente.
-Perché non vieni anche tu?-
Calò il silenzio e Ja’far sembrò ridestarsi, sollevando la testa dalla sua spalla e guardandolo fisso negli occhi, esterrefatto, come tutti, a quanto pareva.
-Sei sicuro?-
Rise. -Pensi forse che mi vergogni o che?-
-No, però sai-
-Non sei costretto, se preferisci lavorare o fare altro nessun problema.-
-No, solo-
Lo osservò con affetto, in attesa che si spiegasse.
-Sei proprio certo che per te non sia un problema?- chiese Ja’far dopo un attimo di silenzio, alzando lo sguardo su Judal solo dopo che ebbe finito la frase.
Scrollò le spalle. -Perché dovrebbe esserlo?-
-Beh sai-
-È solo i primi tre mesi che le visite prevedono la nudità della madre.- informò tutti Pisti, facendosi fulminare da un Ja’far bordeaux, mentre Judal si sbellicava dalle risate.
-Oh, tranquillo, nel caso per me non c’è problema, ma se tu non te la senti nel caso puoi sempre uscire.-
Ja’far abbandonò la sedia di Judal per tornare finalmente sulla sua, stizzito, e solo due minuti dopo riprese l’argomento.
-Sei assolutamente convinto?-
Judal annuì, con un grosso sorriso ed un aria tranquilla.
-Allora penso che potremo andarci insieme.- commentò con un tono ancora perplesso, guardando fuori da una delle grosse finestre della sala, in un palese tentativo di evitare lo sguardo di Judal.
-Lo faremo, parola di mamma.-










Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte:
il titolo è idiota, lo so.
Detto questo, buongiorno a tutti! Ci tengo a rimarcare un altro paio di volte che so che il titolo è idiota, perché è palese, ma non avevo idee, e come “battuta” mi piaceva, quindi ho scelto di mettercelo. Perché sono l’autrice ed ho questo diritto.
Ok, basta parlare del titolo idiota che ho dato al capitolo, concentriamoci su altro: nonostante il titolo idiota mi piace questo capitolo! È allegro, ma anticipa cose.
La parte di Judal che esamina gli otto generali mi è venuta e anche se non c’entrava nulla ce la volevo mettere, perché chiarisce un po’ (in linea di massima) come li vedo io, e mi piace da morire com’è venuta la parte di Sharrkan, anche se quella ovviamente è farina del sacco sì mia ma attraverso gli occhi di Judal, che non si è mai preso la briga di scoprire come molti degli otto generali siano figli di famiglie se non reali spesso comunque nobili.

E ora una piccola parte di chiarimenti che in particolare per chi non avesse visto/letto “Sinbad no Bouken”, ossia “Le avventure di Sinbad” (scusate, ma in italiano per me suona innaturale):
Badr è il padre di Sinbad e Rashid il re di Balbadd, mentore di Sin, Serendine è la prima principessa di Partebia, amica d’infanzia e prima fiamma di Dracoon, che non era esattamente la ragazza di Sin però ci sono state cose…
diciamo che prima o poi pensavo di fare una sorta di spiegazione di come il povero Sin si sia trovato a “sposarsi” (il marchio viene considerato da alcuni una sorta di matrimonio) con Ja’far ed in quell’occasione cercherò di spiegare in che modo questa storia da me inventata si congiunge con il passato che effettivamente Shinobu Ohtaka ha creato.

Inoltre! Sempre per chi non avesse letto “Sinbad no Bouken”, mi sono accorta che compare un po’ di volte nella storia il nome Rurumu, che per me è scontato, magari voi no, quindi infine vi dico, dopo lungo tempo, che è la moglie di Hinahoho, morta in un incidente, per farla breve.
Pure Saher non è una mia creatura, ma l’ennesimo personaggio che compare nel manga che se non avete letto vi consiglio (e di cui ormai dopo la terza volta penso sarete stanchi di sentirvi ripetere il nome, per cui lo chiamerò “voi sapete cosa”). Era un’ancella di Serendine ed è la moglie di Dracoon.
Basta, oggi le note sono infinite, mi vergogno di me no non è vero... abbiate pietà, esco da un'orribile verifica di matematica, per oggi sopportate
Alla prossima
Hoshi

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Capitolo 16
*** Capitolo 14: E uno è a posto (prime esperienze) ***


E UNO È A POSTO
(prime esperienze)



Judal rideva da due giorni.
E a Ja’far iniziava a dare fastidio.
A Sinbad sembrava non importare, o di sicuro non al punto da prendere una qualsiasi posizione.
Ma si poteva prendere in giro una persona solo perché era entrata in camera d’altri dimenticandosi di bussare, trovando la proprietaria nuda in pieno calore, ma in una delle rare fasi di lucidità, per cui la poveretta continuava a cercare di raggiungere l’armadio per raccattare i propri vestiti e invece inciampava continuamente in cuscini e pergamene disseminati sul pavimento?
Mica era colpa sua, come poteva sapere che il calore di Yamuraiha avrebbe infranto la solita regolarità, arrivando così all’improvviso? E poi, gli servivano i dati di un ginecologo non per sé ma per lui, che aveva ancora da rompere?
-Ehi Scarlet, tesoro, sveglia, dobbiamo andare!-
Lo avrebbe ucciso. Il tono dolce che aveva appena usato non sarebbe stata un attenuante, in alcun caso. E neppure il fatto che di tanto in tanto per stuzzicarlo lo chiamasse tesoro. Scarlet perché “era rosso come uno peperone”. Non aveva neppure senso, e di certo non faceva ridere.
-Rapunzel, anziché criticare Ja’far che ne direbbe di pettinarsi così che possiamo uscire?-
Ogni tanto anche Sin si rendeva utile. Sostanzialmente aveva capito che in parte le lamentele di Ja’far erano fondate, ma in parte erano un pour parler, e anche lui alle volte traeva un sottile divertimento dalle prese in giro di Judal. L’arte stava nel saper leggere i momenti e agire di conseguenza.
Judal si girò a guardarlo stizzito al rimbotto, perché amava i suoi capelli, ma quando li lavava dopo aver cenato puntualmente era troppo stanco per asciugarli, solo che la mattina era uno strazio pettinarli e legarli nella consueta treccia a causa dei nodi, e comunque ci voleva un secolo.
-Sin lascia stare, non faremo in tempo.-
-Ti sbagli, Judal ha spostato in avanti le lancette per farti credere d’essere in ritardo.-
Ja’far si girò a guardare il ragazzo carponi sul materasso alla sua destra che sogghignò e mimò un bacio. Lo avrebbe ucciso. Il fatto che avesse dormito più del solito non lo autorizzava a prendersi gioco di lui.
-Io comunque sono d’accordo con Ja’far, vengo così.-
Re e visir si girarono a guardarlo con aria truce. No. Perché sarebbe inciampato. Nei suoi stessi capelli.
-Rapunzel, scordatelo.-
Judal iniziò a fare i capricci come un bambino, e se Sinbad fu paziente, Ja’far no.
-Tagliali.-
Lo sguardo ferito di Judal fu comico, ma Sinbad s’impose di non ridere, disinteressandosi al fatto che nessuno dei due aveva neppure pensato di ascoltare le sue parole, afferrando invece una spazzola e sedendosi sul bordo del materasso, dal lato opposto di Ja’far, raccogliendo una ciocca dei capelli di Judal ed iniziando a pettinarli delicatamente per non irritarlo.
Funzionò.
Ja’far assestò un giocoso pugno sulla spalla di Judal e andò a fare colazione, mentre il magi prese un pettine per dare man forte a Sinbad, sedendosi sui talloni più vicino a lui per essere entrambi più comodi.
In dieci minuti, tutti e tre gli abitanti del lussuoso appartamento erano sazi, vestiti e ben pettinati, diretti verso una nuova avventura, la prima visita ginecologica delle loro vite.




******************
Seguirono le indicazioni di Yamu, arrivando presso un piccolo condominio, dove vennero accolti da una giovane maga che si presentò come Sai Lin, neo-diplomata all’accademia di magia di Magnostadt. Dopo essersi presentata con cortesia la ragazza li invitò a seguirla, portandoli al secondo piano dell’edificio ed indicando loro alcune poltroncine, scusandosi a nome del suo capo, al momento impegnato, e chiedendo loro di pazientare un poco.
Mai nella vita avrebbero immaginato una cosa del genere: da quel che ne sapevano tutti e tre i ginecologi avevano bisogno unicamente del proprio potere magico per operare, per cui erano tutti abbastanza convinti che invitassero in casa propria i futuri genitori, osservassero un secondo il magoi del nascituro grazie ad un incantesimo e congedassero i pazienti, ed invece no.
Quello in cui si trovano era uno studio con due stanzette dedicate alle visite ed una dietro il bancone d’accettazione, destinata ad un indefinito altro, in cui la giovane maga si era dileguata prontamente.
Sinbad e Judal si guardavano in giro con aria incuriosita, Ja’far, nonostante le numerose rassicurazioni, era teso. “E se si accorgessero che aspetto anch’io?” “Per chi mi hai preso? Sono un magi, so come fare incantesimi!”
Sinbad allungò un braccio cingendogli le spalle, e anziché rilassarsi s’irrigidì.
-Andrà tutto bene Ja’far, tranquillo.- cercò di calmarlo massaggiandogli una spalla, ma lui gli spostò la mano, guardandolo con la solita aria da “non in pubblico”. Poco contava che il solo pubblico al momento fosse Judal, che si era alzato per andare a farsi spiegare dalla ragazzina di prima come funzionasse la visita. La poveretta trovandosi davanti un ragazzo intento a tormentarla guardò con nostalgia la saletta da cui era appena uscita, balbettò un paio di parole confuse e tirò un gran sospiro vedendo una delle porte della sala visite fino a poco prima chiuse aprirsi.
Salutò cortesemente la giovane omega in palese stato d’attesa, rivolgendo poi tutta la sua attenzione ad un'altra donna con incredibili capelli biondi lisci e lunghissimi, un viso tondeggiante e dei magnifici occhi grigi. La lunga tunica nera bordata di bianco, il cappello a punta ed il monocolo con lente verde denotavano un modo di vivere sopra le righe, ma era chiaramente una maga. E la loro ginecologa, a quanto pareva.
-Sai Lin, Myres è ancora impegnata?- l’interpellata annuì, guardando la donna con aria di supplica, come a chiedere di non lasciare che Judal la interrogasse di nuovo.
-Quanto pensi ci metterà?- aveva un aria altera, ma sembrava tenerci abbastanza alla ragazzina.
-Temo parecchio, è una delle pazienti ad alto rischio aborto.-
La maga più anziana annuì e si passò una mano fra i capelli, con aria stanca ma pur sempre regale, e infine sospirò.
-Non c’è altra scelta, li seguirò io. Segnalo sul registro.- detto ciò per la prima volta degnò d’attenzione il trio, e il suo sguardo cambiò rapidamente in un misto di sorpresa e sdegno.
-A cosa devo l’onore di ricevere il re di Sindria nel nostro studio?- Sinbad si alzò avvicinandosi all’avvenente donna con aria da cascamorto, facendo per inchinarsi per farle un baciamano, ma finendo con l’accartocciarsi su sé stesso siccome Judal aveva provveduto a stringere il guinzaglio per richiamarlo all’ordine.
La maga, con grande sorpresa di Ja’far, si dimostrò piuttosto divertita dal siparietto. -Immagino di aver capito.- poi si concentrò su Judal -E immagino che sia lei l’omega incinto. Non capita spesso che ci siano due accompagnatori, ma non è certo un problema, prego, entrate.-

La saletta fu un’altra delle sorprese, era piena di oggetti magici che neppure Judal mostrava di conoscere, ma che parevano avere la propria ragion d’essere in quel luogo.
-Prego, si sdrai.- disse la donna dopo essersi presentata come Irene Smirnoff indicando a Judal un lettino al centro della stanza, andando invece a prendere alcune fiale.
Quando tornò verso di loro Judal si era accomodato sul lettino come gli era stato ordinato (senza far storie per una volta!!!) mentre Sinbad e Judal avevano preso posto su un divanetto alla sua sinistra.
-Dunque- cominciò Irene -qualcosa da riferire prima d’iniziare?-
Allo sguardo perplesso di Judal mutò la domanda, con uno sguardo di comprensione. -Primo figlio, chiaro. A che mese è?-
-Non dovrebbe dirmelo lei?-
Lo sguardo della donna si adombrò, così Sinbad intervenne prontamente, rispondendo per Judal, facendo intendere come fosse meglio parlare col padre che non con la madre.
-C’è stato qualche problema?- gli chiese quindi la donna
Sinbad ci pensò un attimo e negò col capo. -Salvo che continua a vomitare.-
La donna annuì, liquidando la cosa come “normale” e dichiarando che se era tutto lì lei avrebbe dato il via alla visita.
Non ottenendo risposte in senso opposto prese una delle boccette che aveva in mano e chiese a Judal di berla, ma il magi non si mostrò troppo collaborativo.
-Che roba è?- volle sapere, così esasperata la donna capì il tipo di rompiscatole che aveva davanti, ed iniziò a spiegare ogni suo movimento.
La pozione che gli aveva dato serviva per migliorare la visibilità del magoi del bambino, due minuti dopo che l’avesse bevuta sarebbe stato possibile osservare il piccolo, e grazie ad un paio di strumenti sarebbe stato possibile renderlo visibile anche a loro. Meglio, se avesse smesso di asfissiarla tramite un incantesimo avrebbe potuto stampare l’immagine su una pergamena.
Questo sedò Judal.
Come promesso, due minuti dopo che ebbe trangugiato la pozione, trovandola pure di suo gusto, stavano tutti e tre osservando la sagoma del piccolo.
-Perché non ci sono i colori?- protesto Judal, e la maga, esausta, lo volle accontentare. Osservando la sua espressione a metà fra lo sconvolto e lo schifato riportò le cose come prima. Vedere le pareti uterine e il liquido amniotico aveva quasi fatto vomitare Judal, schifato Sinbad e toccato lievemente perfino i nervi di Ja’far.
Dopo tutti i tormenti che le avevano dato la maga in cinque minuti (tempo che a Judal non bastò per riprendersi dal trauma) li fece uscire, dicendo loro che il bimbo era un briciolo indietro con lo sviluppo, ma nulla di preoccupante, suggerì a Judal di mangiare più frutta e verdura (non solo pesche) e di più in generale, e li liquidò, con un “No, non è possibile sapere il sesso”.
Beh, sapevano per certo come stesse andando una delle due gravidanze e non erano stati mandati a quel paese. Non era male, quasi una cosa da rifare ogni mese.




******************
La sera dopo la visita erano logicamente stati costretti a raccontare tutto, e mostrare l’immagine del piccolo al mondo intero. Pisti e Spaltos avevano riso dell’ignoranza del gruppo in fatto di ginecologia, Yamuraiha aveva fatto un quinto grado a Judal per capire che strumenti utilizzassero, Ja’far aveva continuato a riempire il piatto di Judal neanche dovesse prepararlo ad affrontare il letargo e il resto del gruppo si era complimentato, semplicemente.
Ma da allora erano passate tre settimane, che attinenza aveva pensarci quando erano tutti riuniti di fronte ad un albero di Natale? Eppure, Judal ci pensava eccome, così come pensava a tutti i momenti che aveva trascorso con quelle bizzarre persone in quei pochi mesi, e non riusciva a smetter di fissare l’enorme montagna di regali ai piedi dell’albero (per così dire, era alta quanto l’albero stesso), e in particolare alcuni pacchetti qua e là con il suo nome sopra. E ci pensavano anche gli otto generali, osservando cassetti di armadi e ante di credenze aprirsi secondo i comandi di Judal e dei graziosi pacchetti con tanto di nastro rosso volargli in braccio. Ci pensava Ja’far, mentre per una volta concedeva a Sinbad di baciarlo nonostante non fossero soli, e ci pensava Sinbad, notando come per la prima volta non gli importavano tanto i pacchetti, ma le persone che erano lì riunite.
Non era nella fornitura di vino regalatagli che Sinbad trovò gioia, né per Ja’far i completini per il/la piccolo/a (aveva il problema che, sempre per non scoprirsi, lui non ne poteva comprare) rappresentarono il clou, né per Judal i libri di cucina etnica con ingredienti rarissimi importati apposta…
Era tutto perfetto. La musica risuonava da uno strumento metallico particolare portato lì da Yamu, Sharrkan per una volta non era brillo e stava parlando senza litigare con la maga di un possibile modo di combinare scherma e magia, Pisti parlava con Dracoon e Saher, lodando le bellezze di essere mamma, tenendo d’occhio Sofocle che gattonava sul pavimento con un buffo completino da renna ed un naso rosso, Masrur, Judal ed i quattro figli di Hinahoho giocavano a carte seduti sul divano, Spaltos e Hinahoho assalivano gli avanzi.
Era tutto perfetto. Davvero.
A parte la pozza ai piedi di Ja’far.










Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte:
bene bene.
Penso che dopo questo finale tutti attendiate il prossimo capitolo con impazienza… e beh, spero di non deludervi!
Importante (tanto che quasi dimenticavo!), sono aperte le scommesse sul sesso… se mandaste anche solo un commentino-ino con “maschio” o “femmina” mi divertirei molto a contare quanti hanno indovinato e quanti no.
Ma mi giocherei la testa che non verrò più di tanto accontentata. Pace e amen!!!!!
Comunque, a presto
Hoshi_10000

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Capitolo 17
*** Capitolo 15: Robin ***


ROBIN



D’un tratto l’aria si era fatta densa, tutto si era fermato, a parte Sofocle che cercava di arrampicarsi sulle gambe del padre con gridolini entusiastici. Poi il panico. I regali erano stati dimenticati, Sinbad aveva immediatamente accompagnato Ja’far in camera, per non dire che ce l’aveva praticamente portato in braccio.
Appena aveva adagiato il compagno sul letto aveva iniziato a smaniare, perché come alpha non era in grado di sopportare l’espressione di profondo dolore del compagno, e come uomo ancor meno. Ignorò i generali che battevano alla porta anche loro tesi e nervosi chiedendo istruzioni, aggirandosi intorno al letto con l’espressione di un leone in gabbia.
L’orologio batté le tre di notte. E Sinbad scattò come una molla verso il muro dov’era appeso.
Tre e un quarto. Ancora i generali bussavano alla porta cercando di farsi aprire vanamente.
Tre e mezza. Ora non bussavano. Stanchi dai gemiti sofferenti di Ja’far, cercavano di buttarla giù a spallate. Sinbad spostò i mobili davanti alla porta.
Le quattro. Aveva provato a discutere con Ja’far perché gli permettesse di aiutarlo in qualsiasi modo, ma non aveva funzionato. Semmai le sue continue insistenze lo avevano innervosito.
Le quattro e un quarto. Ricorrendo al teletrasporto, Judal piombò nella stanza. Non riuscì a muovere un passo verso il letto che Sinbad, mosso dall’istinto, lo gettò a terra.
-Levati.-
Gli occhi iniettati di sangue, Sinbad sembrò non udirlo neppure, e probabilmente era davvero così.
-Sinbad, io lo posso aiutare.-
Non ascoltò. Era come parlare a un mulo. Un grosso mulo incredibilmente più forte di lui, determinato a non ascoltare nessuno e ad impedire a chiunque di avvicinarsi al suo compagno, a qualunque costo.
Se si fosse mosso, lo avrebbe attaccato.
Se avesse provato a parlare, forse lo avrebbe fatto lo stesso.
Se avesse mostrato intenti minacciosi o usato la magia, avrebbe cercato di sicuro di fargli del male.
-Judal-
Al magi giunse un rantolo, Sinbad invece pareva troppo concentrato a schiacciarlo a terra per accorgersene.
Inclinò il capo di lato per scorgere Ja’far che si era tirato su e lo guardava da sopra la spalla di Sinbad. Non aveva la forza di parlare, e comunque con Sinbad così aggressivo era pericoloso. “Falli entrare” mimò con le labbra, prima di piegarsi in due dal dolore.
Ci mise un secondo ad elaborare un piano d’azione, e senza soffermarsi a valutare le possibile pecche lo applicò: evocò repentinamente un borg, che costrinse Sinbad ad allontanarsi da lui, e iniziò a spostare i mobili, lottando contro Sinbad che cercava di opporsi.
Tempo pochi minuti e la porta si aprì. E lì, se ancora avesse avuto dubbi sulle seconde nature di qualche generale, li avrebbe saziati tutti.
Perché quando aveva detto loro “io entro” avevano annuito, forse immaginando la reazione di Ja’far o comunque qualche cambiamento, perché gli alpha del gruppo erano in prima fila dinanzi alla porta, pronti a fare irruzione, seguiti poi dai beta, sicché Masrur, Hinahoho e Pisti costituivano l’avanguardia, mentre per chiarire la loro intenzione di non farsi sottomettere ringhiavano all’indirizzo di Sinbad, e Spaltos, Sharrkan e Dracoon li seguivano a breve distanza, pronti a intervenire in caso di necessità. Yamuraiha, forse consapevole di correre un grosso rischio di fronte alla quantità di ormoni che circolavano, doveva essersi allontanata, ma di certo sarebbe tornata.
Nessuno dei generali era tipo da abbandonare un amico.
Appena li vide, come prevedibile, Sinbad attaccò, ma con un grosso impegno Masrur e Hinahoho riuscirono infine a bloccarlo e trascinarlo fuori, andando a chiuderlo in una delle stanza al piano di sopra, lasciandolo solo al buio in una stanza vuota e privo dei suoi strumenti metallici.
Neanche il tempo di riscendere le scale che questa volta fu Ja’far a cercare di cacciarli.
-Ja’far hai visto come operano quelle donne, ti aiuteranno e non andranno certo a dire i fatti tuoi al mondo.-
-Mai.-
Sordo come il proprio alpha, Ja’far si opponeva con forza a chiamare la ginecologa che aveva visitato Judal a palazzo. Volò la minaccia di portarlo da loro in braccio. Alla fine decadde.
-Chiamate anche Yamuraiha. In qualche modo ce la caveremo senza chiamare nessuno.- Judal era teso come una corda di violino, complici lo stress e la carenza di sonno, eppure si dimostrò sufficientemente lucido da riuscire a spiegare brevemente le sue ragioni.
Erano omega, quindi era più facile che la seconda natura di Ja’far li accettasse vicino a lui, ed erano maghi. Non sapevano nulla di parto, ma sapevano almeno come alleviare il dolore.




Quella notte nessuno tornò a casa propria.
Kikiriku, le gemelle ed il “piccolo” di casa Himchak vennero mandati a dormire in una delle quattro grandi stanze al secondo piano, insieme a Sofocle, mentre i generali si accamparono su sedie, divani, tavoli e cuscini, assistendo i due maghi fornendo loro un’abbondante dose di tè ogni mezz’ora.
Sinbad rimase chiuso in un’altra delle stanze al secondo piano per un paio d’ore, quando infine riuscì a buttare giù la porta e liberarsi, ma sceso in salotto venne immediatamente intercettato da Dracoon, e dopo delle sane minacce alla “o stai buono e aspetti o ti rinchiudiamo di nuovo, e stavolta baderemo che tu non riesca a fuggire” non si poteva esattamente dire che si placò, quello naturalmente no, ma quantomeno cessò di essere violento, percorrendo il salotto in ampi cerchi con passo nervoso.
Alle nove dalla stanza uscì Yamuraiha, che richiusa la porta andò a sedersi su un divano, aiutata da Sharrkan, la testa reclinata all’indietro, il respiro lento, esausto.
-Yamu, dicci qualcosa!-
Gli occhi chiusi, si impegnava a riprendere fiato, osservata da tutti.
-Ce l’abbiamo fatta.-
Partirono urla di gioia che terrorizzarono Sofocle facendolo scoppiare a piangere, ma nemmeno i genitori ci dettero troppo peso, tanto che dopo avergli dato un bacio lo lasciarono piangere. Si sarebbe abituato per forza di cose a quel gruppo di matti. Bastava aver pazienza.
Sinbad fu il solo che non partecipò ai festeggiamenti generali, tuffandosi contro la porta e piombando nella stanza, avvicinandosi subito a Ja’far.
-Come stai?- chiese passandogli una mano fra i capelli, la fronte madida di sudore, usando un tono basso per non disturbarlo.
Ja’far aprì un occhio, in un’espressione di mal celato fastidio. Evidentemente stava per “voglio dormire”.
-Va di là da Judal.-
-Per il nome?- chiese continuando ad accarezzargli i capelli.
Ja’far sospirò, non avevano tempo di deciderlo in precedenza, ora dovevano farlo in quattro è quattr’otto.
-Ne discutiamo dopo, ora non ho le forze.-
Lo guardò con tenerezza, non ce la faceva veramente più. Si chinò a baciargli la fronte e, come gli aveva suggerito Ja’far, andò nel bagno padronale, trovando Judal intento a lavare il bimbo nel lavandino.
-È…- chiese sbirciando oltre le esili spalle di Judal, osservandolo prendere un asciugamano per avvolgere il piccino.
-Un maschio. È piccolo, ma pare godere di ottima salute. Agli occhi di due profani come me e Yamuraiha sembra sia tutto a posto e il suo magoi promette bene.- rispose girandosi verso di lui con il piccolo in grembo.
Aveva la pelle di uno splendido colorito roseo, una tonalità a metà fra la sua quella di Ja’far e dei corti capelli bianchi, teneva gli occhi chiusi e sembrava tranquillo.
-Guarda che non è mica figlio mio, se vuoi puoi prenderlo.- commentò Judal senza guardarlo, troppo concentrato ad osservare il piccolo che gli aveva fatto passare una notte in bianco, lo sguardo che tradiva quanto in realtà fosse commosso, ma appena Sinbad tese le braccia gli passò il bambino senza un lamento.
-Se lo fai cadere dopo ciò che mi ha fatto passare sei un uomo morto, sappilo.-
Sorrise Sinbad. Con tutte le difficoltà possibili, ce l’avevano fatta.
-Grazie.- disse chinandosi a baciare Judal, che con sua sorpresa dopo un secondo lo respinse.
-Va a dare a tutti la lieta novella, Yamuraiha ha giurato che dalle sue labbra non sarebbe uscita una parola di più di “ce l’abbiamo fatta”, gli altri si staranno mangiando le mani dalla curiosità.- non capiva l’atteggiamento di Judal, ma eseguì, fermandosi un attimo accanto a Ja’far.
-Robin.- disse soltanto, e Ja’far tirò fuori il viso dalle coperte, sentendo pronunciare il suo preferito.
Sorrise, per quanto esausto. -Te l’avevo detto che avrei scelto io il nome.-
Come avrebbe potuto Sinbad negargli qualcosa, dopo tutta la sofferenza che aveva patito?
-Dormi prima che gli venga fame.- disse fissando Ja’far con complicità e lasciando la stanza per tornare in sala, dove tutti si spostarono verso di lui, ma con una certa attenzione nel non far rumore.
-Principe o principessa?- chiesero in un bisbiglio sbirciando l’asciugamano da cui spuntava giusto il viso del piccolo.
-Vi presento, Robin primo principe di quella che si spera sarà la numerosa famiglia reale.-
 
 








Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte:
capitolo breve, ma che volete, non si può sovraccaricare così un povero bimbo nato ad appena sette mesi. Ha bisogno di tempo per “acclimatarsi”
Attendete il prossimo capitolo per maggiori sviluppi, e auguri Kuro!
Hoshi

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Capitolo 18
*** Capitolo 16: (inevitabili?) Cambiamenti ***


(inevitabili?) CAMBIAMENTI



Dal 26 dicembre, giorno della nascita del piccolo Robin, cambiarono un mucchio di cose.
Riflettendo a mente lucida, anche Ja’far si convinse che comunque due mesi d’anticipo erano tanti, così quella sera Sinbad chiese udienza alla donna che aveva visitato Judal, e dopo averla fatta accompagnare nelle sue stanze da Sharrkan le mostrò il bambino, chiedendole un parere professionale.
La maga osservò a lungo il piccolo, confermando che per quanto fosse nato prematuro non mostrava di avere problemi, per cui consigliò di tenerlo al caldo e non farlo uscire per almeno due settimane, poi magari di richiamarla per controllare, e assicurarsi che mangiasse, soprattutto.
Il tutto senza mai chiedere chi fosse la madre, e perché non avessero chiamato per farsi assistere nel parto. Se sospettasse di Ja’far o meno era un mistero, ma nel dubbio per tutta la visita i capelli del piccolo apparirono blu come quelli del padre, grazie al consueto aiuto della magia di Judal.
Si decise che le cene, diventate ormai un momento di ritrovo e condivisione per tutto il gruppo, sarebbero calate ad una la settimana, in un giorno variabile.
Una delle stanze del secondo piano, quella più vicina alle scale, venne adibita a nursery e arredata in meno di 12 ore dai generali che corsero come pazzi per tutta Sindria per comprare tutto ciò che poteva servire.
Ja’far prese ufficialmente due settimane di ferie.
E si decise che in capo a metà gennaio Robin sarebbe stato presentato al popolo come principe di Sindria e figlio biologico di Sinbad, con madre ignota.
Tante piccole cose che prima erano normali, divennero un miraggio.
Per quanto il piccolo fosse un angelo che dormiva praticamente tutto il tempo (tanto che per scherzare Sinbad un giorno chiese a Masrur se non ci fosse il suo zampino), i nuovi genitori divennero ansiosi.
Nonostante Robin dormisse sempre, tranne quando desiderava mangiare o un essere cambiato, i neo genitori accusarono comunque il colpo, e nel timore che non mangiasse abbastanza era Ja’far che si alzava ogni tre ore per svegliare il piccolo ed allattarlo, con Sinbad che a distanza di mezz’ora saliva a controllare se ci fosse bisogno di cambiarlo.
Ma le cose non erano così male, fintanto che il popolo non sapeva del piccolo Ja’far poteva tenerlo stretto a sé tutto il tempo che desiderava, ringraziando continuamente gli dei per un dono così bello.
Iniziò perfino a litigare con Sinbad perché “voleva un animale domestico”.
-Abbiamo Judal, che ha che non va?- chiese posando affettuosamente una mano sul capo del ragazzo, seduto sul divano intento a leggere, talmente concentrato che neppure alzò lo sguardo.
-È dimostrato che crescere con un animale previene il rischio di allergie!- ribatté Ja’far irritato dall’ennesimo rifiuto di Sinbad.
-Oh e quindi secondo te dovremmo metterci in casa un animale di cui non sappiamo nulla, che potrebbe far ammalare nostro figlio o addirittura attaccarlo?-
Ja’far sbuffò spazientito. -Basta scegliere accuratamente.-
Per quanto ne discutessero da una settimana, erano in stallo.
 

E Judal in tutto ciò?
Beh, lui divenne trasparente. Dal momento stesso in cui aveva passato Robin a Sinbad, si era eclissato.
Non aveva seguito Sinbad nel salotto per festeggiare con gli altri, aveva salito le scale andando a coricarsi nel letto della stanza degli ospiti che avevano usato prima Kikiriku ed i fratelli, dormendo fino a metà pomeriggio, quando aveva sceso le scale con passo stanco per andare a girare il materasso della camera padronale con un “poi sarà da cambiare, ma intanto basterà girarlo” e cambiare le coperte.
Aveva svolto i lavori in silenzio, aiutato da Sinbad, con sguardo perso nel vuoto. Completato il lavoro, in un momento di distrazione generale aveva raccolto le proprie cose e le aveva spostate al piano superiore, nell’ampia stanza degli ospiti dove aveva dormito.
Attorno alle sette era sceso in cucina preparando un pasto “da ospedale” come si era lamentato Sinbad mangiando le patate lesse ed il riso in bianco, poi preso un libro si era seduto sul divano a leggere fino all’arrivo della maga, quando era sparito altrove, e non era andato a dormire con loro.
Nei giorni successivi questo suo distacco continuò: fisicamente era nel lussuoso appartamento, ma con la mente era distante, passava ore seduto sul divano leggendo con estrema lentezza, e a parte preparare i pasti e fare una breve passeggiata nei giardini del castello il primo pomeriggio, non faceva nulla.
A Sinbad ci vollero tre giorni per accorgersi dell’improvviso distacco di Judal, ma lo catalogò come “sindrome del primogenito spodestato”, per cui iniziò a sedergli accanto quando poteva, lasciandogli tempo per ambientarsi.
Fu Ja’far a lanciare l’allarme, quando dieci giorni dopo il parto trovò delle pesche ammuffite in cucina: Judal che lasciava marcire una pesca? Qualcosa non andava. Ma un’intera cassetta?
Se non ci fosse stato Robin probabilmente si sarebbe buttato anima e copro contro Judal, interrogandolo per ore cercando di estorcergli la verità, e invece fu più moderato. Avvertì immediatamente tutti i generali, che sentiti i sospetti di Ja’far, pensandoci a mente fredda, aggiunsero altri particolari inquietanti.
Dal giorno del parto non era sceso una sola volta da Pisti per fare quattro chiacchere.
Tre giorni dopo aveva passato un’ ora in caserma ad osservare le reclute allenarsi sotto la guida di Spartos.
Quando aveva incontrato Sharrkan per i corridoi una settimana prima lo aveva cortesemente salutato senza guardarlo con la solita faccia saputa.
Aveva prestato a Yamuraiha alcuni libri di incantesimi a cui era talmente legato che li aveva portati con sé da Kou.
In città alcuni giorni prima Masrur l’aveva visto concedere ad un bambino di tormentarlo per dieci minuti nel tentativo di scoprire il segreto dei suoi occhi rossi, e mai una volta gli aveva risposto male, anzi quando la madre tornò a prenderlo ringraziandolo per averglielo guardato abbracciò il marmocchio in segno di saluto.
E Dracoon e Hinahoho lo avevano visto più volte salire su alcune navi e appoggiare i gomiti sulla ringhiera a respirare la brezza marina, guardando l’orizzonte.
 

Qualcosa non andava. E non era scemo, pareva difficile che fosse l’arrivo di Robin ad averlo distrutto visto quant’era stato contento quando appena nato Ja’far lo aveva affidato a lui anziché a Yamuraiha.
Ma allora, cosa lo induceva a questo distacco dalla realtà e allontanamento da tutti?
Cosa lo spingeva in quella sorta di nera depressione?
Era un mistero, ma, decisero tutti insieme, lo avrebbero risolto.
 


 
******************
Dopo la discussione coi generali, Ja’far diede inizio all’offensiva.
-Che ne diresti di organizzare una cena per stasera?-
-Non c’è troppo poco preavviso?- domandò guardandolo con delle occhiaie più marcate del solito e gli occhi spenti, senza eccessivo interesse.
-Ma no, ho chiesto un po’ oggi e-
-Va bene- lo interruppe -ditemi cosa volete mangiare che vado a prendere gli ingredienti.-
-Perché non scegli tu?-
Scosse le spalle con ovvietà, riabbassando lo sguardo sul libro. -Perché l’ho sempre fatto, mi pare giusto che anche voi possiate esprimere la vostra opinione.-
Non era facile parlarci, ma Ja’far non desistette. -Credo che nella dispensa del palazzo ci sia un po’ di carne di mostro marino avanzata, è da tanto che non ne mangiamo.-
-Non ne ho mai preparato, posso provarci ma non posso garantire che venga bene.-
Dov’era il Judal che si accendeva come un fiammifero per una sfida?
-Direi che va benone, ma mi sembri stanco. Perché non vieni a riposare con me? Robin ha appena mangiato, non si sveglierà per almeno un ora quindi-
Judal chiuse il libro e si stropicciò gli occhi. Eureka!
-Grazie, ma non fa niente, devo fare qualche ricerca.-
… forse no. –Dai, la fai dopo, vieni a riposare un po’.-
Scosse le spalle. -Non voglio servire qualcosa di immangiabile.-
Non riusciva a farsi guardare. -Ah, non volevo metterti in difficoltà, andrà bene qualsiasi cosa, davvero!-
-Tranquillo, nessun problema. Vado a cercare qualche ricetta e poi passo a prendere gli ingredienti.- disse passandogli accanto diretto verso la porta, il tono piatto, il passo stanco e svogliato.
-Ci vediamo fra un po’.-
Judal mugugnò. Non era mai stato tanto distante, neppure quando agli inizi si odiavano.
Che cos’era cambiato ora?
 
 


******************
La cena fu pesante. I generali si erano accordati perché con naturalezza un po’ a turno cercassero di fare conversazione con Judal, ma si rivelò impossibile.
Non sentiva le domande, rispondeva a monosillabi, rifiutava gli inviti… era impossibile comunicare, quella sera parlò più Masrur di lui!
Ci fu un secondo, quando Kikiriku andò a chiedergli di giocare con loro a Taboo, in cui tutti i generali si convinsero che avrebbe accettato, che c’era ancora una speranza e invece Judal si alzò, dichiarando di essere troppo stanco per giocare, scusandosi con tutti, salì le scale e andò a letto.
Come si consola una persona triste? E se questa non fosse triste ma arrabbiata? Come si calma un arrabbiato? E se non fosse arrabbiato ma abbattuto?
Come potevano aiutarlo, se non sapevano dov’era il problema?
Sembrava quasi Judal fosse in depressione post-partum, solo che la madre era Ja’far.
 
 


******************
Due giorni dopo Ja’far si rifiutò di allattare Robin. La ginecologa aveva confermato che stava bene, per cui decise che, per quanto meschino fosse, avrebbe usato il suo povero figlioletto per smuovere Judal.
Il suo corpo, abituato a svegliarsi regolarmente ogni tre ore, lo costrinse ad alzarsi un paio di volte in piena notte, ma si rifiutò di salire le scale, in attesa.
E alle 8, dopo un digiuno di una decina di ore, Robin si svegliò, iniziando a strillare. Ja’far fu certo di aver vinto: a Judal piaceva dormire, da che aveva cessato di vomitare ogni mattina non si svegliava mai prima delle dieci e mezza, quindi era solo questione di tempo prima che, spazientito, prendesse il piccolo e lo portasse giù.
Certo, essendo un mago avrebbe potuto silenziare la propria stanza e continuare a dormire, ma non era cattivo, non avrebbe sopportato sapere un bambino solo e piangente senza nessuno ad occuparsi di lui, per cui presto o tardi si sarebbe alzato per andare dal piccolo a controllare.
Faceva male sentire Robin strillare così, ma si sforzò di non farci caso, premendosi un cuscino sulle orecchie.
Contò 407 secondi prima che la porta si aprisse, e si girò, certo di trovarsi davanti Judal con in braccio…
… nulla. Non aveva in braccio nulla.
Perché era semplicemente sceso a cercarlo? Perché non aveva portato giù lui il bambino?
Scostò le coperte e si alzò stizzito, oltrepassando Judal con rabbia, diretto dal figlio. Ma era giunta l’ora di parlare.
Così, non sarebbero andati avanti.
 
 


******************
-Che hai?-
-Nulla.- Non sollevò neppure lo sguardo dal libro. Botanica. L’unico motivo per cui a Judal poteva interessare la botanica, se si escludevano i peschi, era “ha i rami sufficientemente robusti perché io possa dormirci sopra?”.
Ja’far sospirò. Davvero, sperava di non dover arrivare a tanto. Strappò il libro dalle mani di Judal, che non si arrabbiò neppure. -Che cos’è successo?-
-Di che parli?-
Davvero credeva fosse scemo a tal punto?
-Ah non saprei. Fammici pensare.- si era ripromesso di mantenere la calma e non arrabbiarsi, ma fallì. -Dunque, dopo tutta la fatica che hai fatto per trasferirti in camera con me e Sinbad ora improvvisamente ti sposti nella camera degli ospiti. Dal nulla diventi ancor meno loquace di Masrur, cominciando ad ignorare anche Pisti, quando prima le facevi da ombra oversize, perdi ogni minimo interesse per la cucina e lasci marcire delle pesche!- elencò, poi cambiò tono. -Non saprei, davvero, dimmi tu. E non provare a negare quant’ho detto!-
Obbediente agli ordini di Ja’far, non negò. Per la verità, non disse nulla e basta.
-Senti- rinunciò Ja’far dopo un po’ che stava in piedi di fronte a lui in attesa di una risposta -se ti sei cacciato in qualche guaio o che, capita. Giuro, parlacene, e troveremo un modo per aiutarti. Ma non puoi continuare così. Andiamo, se non con me, parlane almeno con Sinbad, o Pisti, o Yamuraiha, chi cavolo vuoi, ma parla!-
Ja’far sollevò la testa, osservando Sinbad, appena rientrato dall’ufficio, annuire, e riportò lo sguardo su Judal, che dopo altri cinque munti di silenzio si passò le mani a palmo pieno sul viso, prendendo fiato per parlare.
-Non sono in grado. L’ho capito quando mi hai dato il piccolo in braccio. Non sarei mai in grado di occuparmi di un altro essere vivente. So cucinare, so rassettare, so le basi di medicina, ma non sono in grado di occuparmi di un bambino.-
Teneva le mani sul viso, rendendo impossibile guardarlo negli occhi, e sembrava stare veramente male.
Sinbad sorrise, mentre Ja’far inspirò e prese la parola.
-Judal, il semplice fatto che tu sia preoccupato di non farcela dimostra che sarai un genitore fantastico. E poi hai tempo, sei solo al quinto mese.- cercò di consolarlo Ja’far poggiandogli una mano sul ginocchio, osservando Sinbad sedersi dall’altro lato di Judal e rincarare la dose.
-E poi non sarai solo: hai visto tu stesso, ci sono almeno una decina di candidati pronti a fare da baby-sitter, quando vorrai staccare un paio d’ore basta che lasci il piccolo a qualcuno.- Sinbad avvolse un braccio alle spalle di Judal che per tutta risposta si alzò, andando a guardare fuori dalla finestra.
Sinbad e Ja’far si guardarono stupiti: doveva essere davvero sconvolto.
-Senti, puoi sempre fare pratica con Robin, non dico che non morda, ma non ha i denti, non ti farà male.- cercò di rassicurarlo Ja’far, restando sul divano a debita distanza.
-Non posso.-
-Judal, che ti prende?- domandò Sinbad facendo per alzarsi e andare da lui, ma Ja’far lo trattenne. Forse si sbagliava, ma sentiva che Judal stava per dirgli tutto, e non voleva che Sinbad lo innervosisse in qualche modo.
-Sarebbe crudele.- disse continuando il discorso, continuando a guardare il cielo, e Ja’far fece segno a Sin di tacere, in attesa del finale.
-Non voglio che si abitui, non resterò qui per sempre.-
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.
.
.
Il mondo sembrò fermarsi per un secondo, e poi cadere nel vuoto.
-Che stai dicendo?- chiese Ja’far con voce nervosa, torturandosi le mani.
-Non sono in grado di accudire un bambino, non ho mai avuto intenzione di farlo. Pensavo che avrei sempre potuto farlo nascere e poi venire a trovarlo ogni tanto, ma quando ho preso in braccio Robin, ho capito che non sarebbe stato giusto. Non si è madri quando fa comodo, lo si è 365 o 366 giorni l’anno, 7 giorni su 7, 24 ore su 24. Non posso decidere di andare e venire quando mi fa comodo, obbligando così un bambino ad assecondare i miei capricci, sarebbe crudele.-
Prese fiato. Sinbad e Ja’far lo guardarono inspirare e seppero che non era finita. Quando lo videro aprir bocca, capirono, prima ancora che parlasse, che ciò che stava per dire Judal li avrebbe mandati in pezzi, e Ja’far strinse la mano di Sinbad.
-Prendetevene cura voi. Non dite neppure a lui chi è sua madre, gli farebbe solo venire dei complessi. Non mentitegli dicendo che la mamma era troppo impegnata, quando sarà abbastanza grande e vorrà davvero capire, ditegli tutto, ma non indorate la pillola. “Purtroppo tua madre, il magi di Kou, un omega, non era in grado di occuparsi di te, non voleva prendersi la responsabilità, così ti ha abbandonato”.- cercò di prendere aria. Aveva gli occhi terribilmente rossi.
-Non è giusto chiedervelo però- disse iniziando a piangere, tirando su col naso, cercando di mantenere la voce ferma -vorrei lo cresceste voi. Sarebbe amato, e avrebbe dei fratelli con cui giocare, un regno pacifico in cui crescere. È più di quanto non possa dargli io.-
Singhiozzò un paio di volte, senza neppure provare a trattenersi. -Subito dopo il parto tornerò a Kou.- annunciò infine, e piangendo silenziosamente lasciò la stanza.
Non era questo che Ja’far voleva sentire. Non dopo tutto ciò che era successo.
Eppure, non mosse un passo quando lo vide allontanarsi, limitandosi ad annuire col capo lasciando la presa sulla mano di Sinbad.
Se era questo ciò che voleva, lo avrebbero fatto.
 









Note d’autore:
dopo questo capitolo proprio non posso usare il consueto titoletto scemo.
Dunque, con questo anche la seconda parte della storia è chiusa, e temo che qualcuno di voi possa dover correre a bere un paio di faldoni d’acqua per reintegrare i liquidi persi, mentre io ho non ho ancora trovato una tuta anti-proiettile… ma a parte le lacrime che ci ho versato l’ho amato, e sono piuttosto certa che nessuno di voi si aspettasse una cosa del genere, e mi piace l’idea di avervi stupito…
Hoshi

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Capitolo 19
*** Capitolo 17: Lunga vita al principe! ***


LUNGA VITA AL PRINCIPE!



Per quanto dopo il discorso con Judal le distanze fra il magi e tutto il resto del gruppo aumentarono, nessuno pensò mai di chiedergli di andarsene prima della scadenza o perlomeno di trasferirsi un’altra stanza del castello. Semplicemente restò una presenza silenziosa, una massa che occupava il divano per metà giornata, che faceva scorrere acqua calda intorno alle 9, e che preparava i pasti.
Non c’era dialogo, ma questo non significava che fra loro ci fossero problemi.
Quando Yamuraiha aveva avuto dei grossi problemi con la barriera magica di Sindria, che d’improvviso era ceduta, lui si era proposto di crearne una finché non fosse riuscita a capire come risolvere il guasto.
Quanto Pisti era corsa da lui chiedendogli di tenerle Sofocle per un paio d’ore perché aveva delle commissioni urgenti si era preso in carico il bambino.
E quando Sinbad gli aveva chiesto se voleva lo accompagnasse dalla ginecologa si era fatto accompagnare, chiedendo perfino a Ja’far se fosse interessato a venire.
Erano tornati a casa con una seconda pergamena, riferendo che andava tutto a gonfie vele, anche se nonostante Judal aveva messo su peso il piccolo restava, appunto, un pelino piccolo, ma nulla di grave.
Eppure, nessuno dimostrò troppo interesse per la cosa.
Era passato così tanto tempo da che Judal era arrivato, si erano tutti abituati a lui, era quasi uno di famiglia ora, e si erano tutti dimenticati dell’accordo iniziale. Insomma, sembrava a suo agio lì, perché andarsene?
Nessuno riusciva a capire e la cosa da un lato li abbatteva. Ma per tirarsi su avevano Robin.
Per quanto il piccolo passasse tutte le sue giornate a dormire, era giunta l’ora di presentarlo al popolo. Discussero a lungo di come presentarlo, e alla fine si decise che non avrebbero potuto alterare il colore dei suoi capelli in eterno, però almeno agli inizi potevano ingrigirli un po’, così che il popolo si facesse l’idea che il bimbo era per metà di Eliohapt e prestasse meno attenzione alla somiglianza con Ja’far.
Fu divertente quando, per motivi sconosciuti, si trovarono a tingere la testa del piccolo principe con prodotti naturali, in vista della presentazione ufficiale per l’indomani.
-Il banchetto è pronto?- domandò Ja’far, che negli ultimi giorni aveva lavorato da casa e per passare più tempo possibile con il figlio (anche se ciò significava solo “stare nella nursery a leggere mentre Robin dormiva”) aveva delegato a loro la faccenda.
-Oh sì, uno dei più grandi eventi che Sindria abbia mai ospitato, sarà forse addirittura meglio di quando inaugurammo la nascita della nazione.-
Sinbad aveva sogghignato, Ja’far lo aveva guardato scettico. -Avete esagerato.-
Ma non era certo di crederci. Perché alla fine aveva passato giorni a sognare di come sarebbe stato, e sebbene soffrisse per l’imminente perdita di una parte dei suoi diritti come madre, era felice per il figlio. Robin, primo principe di Sindria. Suonava dannatamente bene.
-Colpa di Sharrkan, ha voluto occuparsi dell’allestimento.-
Quello bastò a preoccupare anche Sinbad, ma in fondo, che importava? Nessun abitante di Sindria ci avrebbe mai badato, per l’occasione non aveva dato un budget, e di sicuro cibo, vino e birra sarebbero stati serviti a profusione, molte attività commerciali avrebbero chiuso per un paio di giorni per permettere ai proprietari di andare a omaggiare il principe, chiunque sapesse suonare l’avrebbe fatto, chiunque avesse voluto ballare si sarebbe esibito…
L’anima gioiosa di Sindria si sarebbe mostrata agli occhi del giovane principe in tutto il suo splendore, come già in passato era successo, su scala più ridotta, per la nascita di Sofocle, e come sarebbe successo per sempre qualora nascesse un figlio di chiunque degli otto generali.
Sarebbe stato splendido, ma si trattava del giorno dopo.
E senz’altro simboleggiava la nascita di un principe, ma avrebbe segnato la fine delle libertà di Ja’far come madre.




******************
Sinbad guardò il terrazzo davanti a sé, quell’enorme terrazzo che offriva una perfetta visuale sulle vie principali dell’isola, stracolme di gente in attesa di scoprire a cos’era dovuto un simile abbellimento della città.
Sospirò, guardando i generali disposti in due ali rispetto all’esatto punto da cui avrebbe dovuto fare l’annuncio al popolo. Lo guardavano tutti, un gran sorriso d’attesa in volto, attendendo che avanzasse.
Inspirò e procedette. Camminò accanto ai generali, i suoi fedeli amici, soffermandosi solo un secondo su Ja’far, anche lui all’apparenza entusiasta, poi salì sul pulpito. Dalla folla calò il silenzio, così che in tutta l’isola si udì il suo grido, appena amplificato dalla magia.
-Si dia inizio ai festeggiamenti per la nascita di Robin, principe di Sindria.-
Ad alcune manifestazioni dopo un’importante annuncio capita di sentire quell’imbarazzante attimo di silenzio, ma non a quella, e non a Sindria. Il popolo esplose in un boato, e in tre secondi l’intera isola iniziò ad esultare per la nascita di un principe.
Il fatto che non avesse una madre, in quel momento, non importò a nessuno.




******************
Introdurre il popolo ad un nuovo principe era per certi versi simile ad introdurre un bambino all’animale domestico, ma normalmente non c’era la chance che il popolo lo prendesse in odio, se a governare il paese era un buon re. E Sinbad si vantava di esserlo. Così, come sempre, in realtà, lasciò libero accesso alla terrazza del palazzo reale, e in molti subito dopo l’annuncio salirono per andare a congratularsi e vedere con i propri occhi il giovane principe.
In molti chiesero chi fosse la madre, e puntualmente o lui o i genarli rispondevano che era una donna incontrata in un viaggio, che non volendo il figlio lo aveva portato a Sindria e lo aveva affidato al padre, andandosene immediatamente. Per quanto sembrasse strano a molti, nessuno pose troppo domande, tutti troppo concentrati a guardare il bambino adoranti, quasi fosse avvolto da un patina d’oro. Un paio di donne chiesero di poterlo prendere in braccio, e siccome frugando nella sua memoria Sinbad non trovò ammonimenti contrari lasciò loro fare, certo che avrebbero usato la massima cura nel maneggiare il bambino.
Per un paio d’ore tenne il figlio con sé sulla terrazza, poi quando questo iniziò a piangere lamentandosi per non poter dormire si scusò con tutti, annunciando che il principe aveva bisogno di riposo, e lo fece portare dentro, affidandolo a Ja’far badando però bene di non compiere gesti troppo intimi.
L’allontanamento del principe segnò una svolta: non c’era più un bambino piccolo da non spaventare, c’era una nascita da celebrare.
Osservando il cielo al tramonto, tutte le donne corsero a cambiarsi indossando i consueti abiti da festa, gli uomini allestirono i falò e i bambini iniziarono a correre e danzare per le vie.
Il popolo non avrebbe potuto gioire di più.
Nonostante fossero tutti a conoscenza che il principe fosse stato portato a riposare nel palazzo il popolo continuò ad affluire alla terrazza, e anche i bambini, a cui prima i genitori avevano proibito di avvicinarsi, iniziarono pian piano a sgattaiolare segretamente verso il castello.
A Sinbad piaceva quando venivano i bambini, perché per quanto tutti gli abitanti dei bambini fossero aperti, liberi e giocosi, non avevano la stessa spensieratezza dei bambini, e per quanto Sinbad e i generali avevano sempre mostrato di essere lieti di mescolarsi con loro mantenevano una certa distanza, a differenza dei piccoli, liberi di quei rigidi schemi mentali.
-Chi ha scelto il nome?-
-Quando è nato?-
-Porta già la corona?-
-Quando crescerà ci potremo giocare?-
Quando i genitori si accorsero dell’atteggiamento insolente e irrispettoso dei figli si affrettarono a richiamarli e alcuni minacciarono anche di prendere le ciabatte una volta a casa, così Sinbad per chiarire quanto non fosse per nulla offeso o infastidito dall’atteggiamento dei piccoli, ma anzi entusiasta dalla loro voglia di partecipare alla vita del paese presse in braccio uno scricciolo che si nascondeva dietro di lui spaventato dalle minacce della madre, dandogli un bacio e passandolo alla madre.
Nessun bambino sarebbe stato punito per colpe che erano meriti.




******************
Bastava pensare alle feste che si organizzavano a seguito degli attacchi dei mostri marini, che duravano spesso fino all’alba, per capire come la festa di benvenuto per Robin si sarebbe protratta minimo per due o tre giorni. I costi sarebbero stati astronomici, ma potevano permetterselo, e ne valeva la pena.
Osservando la gioia del popolo si capiva che sarebbero stati felici di sapere la vera identità della madre, ma era stanco di fare pressioni a Ja’far, e non gli sembrava corretto. La vedeva, in fondo ai suoi occhi, la sofferenza di non poter andare ad allattare il figlio quando questi aveva fame, ma di dover delegare a lui il compito; la difficoltà di parlare di quella “madre sconosciuta” che aveva abbandonato il figlio…
Ma era stanco, stanco di litigare per questo, stanco dai problemi con Judal, stanco, anche se certo il clima allegro della serata l’aiutò a non pensarci.
A piena notte i generali si spaccarono in due: quelli che restarono, e quelli che andarono a letto.
Dracoon restò a ballare con Saher, Pisti, consapevole che se ne sarebbe pentita, rimase a suonare e partecipare alle danze, salutando allegramente il marito quando questi si ritirò per mettere a letto il figlio.
Sharrkan era troppo ubriaco per tornare in camera, Yamuraiha scelse di restare perché in ogni caso non sarebbe riuscita a dormire per la musica, ed in un lampo di magnanimità fornì a Sharrkan un paio di aspirine con cui riprendersi un po’ dalla sbronza.
Masrur non tornò in camera, si addormentò al tavolo subito dopo aver salutato Hinahoho quando questi andò a casa per controllare che al porto fosse tutto apposto, e Ja’far si defilò con discrezione.
Probabilmente avrebbe viziato Robin portandolo a letto con sé, per poi ricondurlo fuori di buon ora per dare al popolo una scossa e risvegliarlo un po’ dalla notte insonne.




******************
Come previsto, tre giorni dopo nelle strade si respirava ancora di festa, sebbene in modo più contenuto. Molte persone continuavano a radunarsi sulla terrazza ed in piazza per festeggiare, ma un discreto numero di attività avevano riaperto e un certo numero di operai erano all’opera.
Era divertente per Judal camminare per le vie del porto cercando di indovinare a prima vista a che fazione appartenesse una persona.
Per lui, la festa non c’era mai stata.
Il primo giorno era sostanzialmente rimasto chiuso in camera sua, quando Ja’far era rientrato e gli aveva chiesto di occuparsi di Robin in via del tutto eccezionale aveva acconsentito, ma per quando era rientrato Ja’far già dormiva, e la mattina non l’aveva incontrato.
Anche la mattina del secondo giorno l’aveva passata in casa, mentre da quel pomeriggio aveva iniziato a visitare un po’ le strade, tenendosi ben distante dalla terrazza.
La giovialità con cui lo salutavano tutti, pur non sapendo chi fosse, e il sorriso che gli rivolgevano notando la pancia, pur non sapendo chi fosse il padre, la dicevano lunga sulla gentilezza degli abitanti del regno. Una roba del genere, a Kou, non era concepibile.
Vagò per le strada fino alle prime ore del nuovo giorno, finendo a dormire a casa di Hinahoho, su invito dei figli ed approvazione del padre, svegliandosi stranamente di buon ora. Attese che si svegliassero tutti, salutò, ringraziò e uscì.
Secondo i pronostici di Ja’far e Sinbad la festa si sarebbe protratta ancora fino a quella sera di sicuro, alla peggio fino alla sera successiva. Tanto valeva godersi la calma e la sonnolenza con cui gli operai lavoravano al porto.
Di solito era più affollato, ed era difficile concludere la passeggiata senza andare a sbattere contro qualcuno, mentre quel giorno non correva il rischio.
Beh, come non detto, pensò scontrandosi con un uomo, una montagna di un metro e novanta scarso con il volto coperto da un cappuccio. Portò una mano alla spalla, luogo dell’impatto, pronto a scusarsi, quando questi si scoprì.
Cacciò un urlo, e l’unica cosa che riuscì a fare prima che tutto il porto svenisse fu evocare il borg.










Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte:
non vi aspettavate un capitolo oggi, vero? E invece sì, anche se questo probabilmente sostituirà il capitolo ddi lunedì, ma per un motivo importante: con oggi, smetto di essere un'illegale, con oggi, entro nei 18!
Bene, tralasciando la parte dei festeggiamenti in onore di Robin, che spero vi sia piaciuta…
Chi pensate che sia l’uomo con cui Judal è andato a sbattere?
E come ha fatto a spaventare Judal?
Il borg sarà bastato a difenderlo?

E un'altra cosa: ho smesso di mettere domande, quelle si concentravano nella prima parte della storia, ma Youtube è pieno di AMV su magi, quindi ho deciso che alla fine di ogni capitolo metterò il link di uno, giusto per condividere, senza per forza che la canzone abbia alcun legame con il capitolo, afatto, giusto per :)
https://www.youtube.com/watch?v=FxLgCI9An4A

Hoshi_10000

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Capitolo 20
*** Capitolo 18: Aiuto ***


AIUTO

 

-Credevi davvero che scappare sarebbe bastato?-
Aveva una paura blu, mentre fissava l’uomo passeggiare davanti al borg. Per quanto fosse stato rapido ad alzare la barriera era rimasto ferito ad un braccio. Tremava come una foglia, e nel porto non c’era nessuno che potesse aiutarlo, e se anche avesse urlato nessuno lo avrebbe sentito.
L’unica cosa che poteva fare era pregare che qualcuno passasse di lì, lo vedesse e corresse a chiamare aiuto, ma se il poveretto fosse stato visto sarebbe stato probabilmente ucciso affinché tacesse.
-Pensavi che Sindria ti avrebbe fornito un valido aiuto?-
-Speravi che non ti avremmo trovato?-
-Non sai che abbiamo spie ovunque?-
-E dimmi, ricordi cosa facciamo ai traditori a Kou?- domandò Kouen guardandolo con ferocia e minaccia.
Aiuto fu l’unica cosa a cui pensò Judal percependo una presenza correre verso il palazzo, senza nemmeno sapere chi fosse.
-Mah, tutto sommato non abbiamo garanzie, uccidendoti perderemmo il nostro prezioso magi, per cui riceverai un trattamento di favore.-
Stava perdendo parecchio sangue, ma non era un vero pericolo per la sua vita, ed anzi era solo quel dolore a tenerlo presente a sé stesso, per cui strinse i denti e rafforzò la stretta sul braccio.
Ti prego, aiutami, e fa presto.
-Certo, a quanto abbiamo saputo quell’abominio ti sta indebolendo, per cui appena torneremo a palazzo la prima cosa che faremo sarà togliertelo.-
Judal sbiancò per il terrore, mentre il principe si limitò a continuare a girare attorno a lui.
-Se solo tu ti decidessi ad abbassare questa maledetta barriera…- per comprovare le sue parole sferrò un violento pugno al borg, che in relazione al terrore di Judal tremò.
-… ma sei libero di fare come vuoi.- gli diede le spalle, poi si girò con gli occhi colmi di cattiveria -Tanto è questione di minuti prima che arrivino Hakuei, Koumei e tutti gli altri.-
Gemette disperato, fissando il luogo dove prima aveva individuato la presenza di qualcuno.
-E no Judal, fossi in te non conterei in quel ragazzino Himchack, Kouha non gli lascerà raggiungere il palazzo.-
Il borg cedette e Judal cadde a terra. Tutto ciò a cui teneva era perduto.
 
 


******************
Kikiriku correva a perdifiato. Semplicemente correva. Non badava alle bancarelle che mise in disordine al mercato, non badava ai bambini che lo guardavano correre come un pazzo.
Non poteva concedersi questo lusso, perché il padre gli aveva insegnato che il coraggio è la prima dote necessaria ad un guerriero, e che però va combinata con la consapevolezza.
E lui era consapevole che per quanto fosse forte non poteva far nulla per Judal. Non lui.
Saltò un banchetto, ma cadde comunque a terra.
Poggiò le mani sul selciato, flettendo i gomiti per alzarsi incurante dell’affanno.
-Fossi in te non lo farei.-
La voce lo spaventò, facendogli girare lentamente il collo, complice il freddo del metallo che poggiava sulla nuca.
-Sei un giovane coraggioso. Andresti premiato.-
Valutò che l’uomo che lo bloccava a terra era ben più basso di lui, che aveva un aspetto efebico che dava un idea di debolezza, ma uno sguardo che parlava di pazzia, cancellando qualsiasi idea ci si fosse fatti su di lui per via dell’aspetto.
-Faremo così. Se attenderai pazientemente che vengono a chiamarmi non ti ucciderò. Passerò dei bei guai per questo, ma la gioventù va incoraggiata.-
Sorrise in modo a dir poco inquietante.
… e poi c’era la terza regola che distingueva i guerrieri. Non aver paura di nulla, riconosci i tuoi limiti, ma combatti fino allo stremo per ciò in cui credi.
-Non avrete Judal.- disse guardando con sfida il ragazzo sopra di lui, il quale sospirò teatralmente, sollevando la spada pronto a calarla sul suo collo.
-Poi hanno il coraggio di dire che sono spietato…-
 


 
******************
-Sinbad! Sinbad! SINBAD!-
-Ehi ehi, che succede?-
Le gemelle scansarono la guardia. Erano grandi. Ad appena dodici anni erano alte quanto molti uomini adulti, ma piangevano disperate, il terrore nei loro occhi.
Come non aver paura? Avevano seguito Judal per chiedergli di andare a fare un giro ai frutteti con loro, quando Kikiriku le aveva bloccate, e dando uno sguardo alla strada avevano capito perché.
-Correte a palazzo, io prenderò la via principale, voi passate dai vicoli. Per nessun motivo, non vi fermate. Qualsiasi cosa accada. Correte, andate ad avvisare tutti!-
Era scappata loro una lacrima, ma il fratello l’aveva ignorata, spingendole a correre. Quando a un certo punto si girarono capirono perché il fratello maggiore, sempre tanto premuroso con loro, avesse voluto che si separassero: sui tetti correva una persona. Un possessore di djin.
Corsero al massimo delle loro possibilità per arrivare il più in fretta possibile alla terrazza, e ora che erano arrivate non riuscivano a farsi sentire.
Crollarono in ginocchio, e partirono i singhiozzi.
-Papà- lamentarono quasi in coro, e una mano si abbassò di fronte a loro -Che succede?-
Spiattellarono tutto fra i singhiozzi, senza nemmeno far caso a chi stessero parlando. Due secondi Robin e Sofocle vennero lasciati in braccio alle guardie, mentre Sinbad e Ja’far in testa, i generali  al seguito, tutti correvano al porto.
 


 
******************
-Judal.-
Non alzò neppure lo sguardo. Per sommi capi immaginava ciò che avrebbe trovato.
Hakuei avrebbe fatto tutto il possibile per evitare il suo sguardo, Kougyoku avrebbe avuto un’aria oltraggiata, che comunque non era nulla rispetto a quello che c’era sotto la superficie, Hakuryuu furioso e carico di sdegno, Koumei si sarebbe mostrato distante, come sempre, sebbene fosse alterato.
Kouen non gli lasciò il beneficio del dubbio, triandolo su per il braccio sano senza la minima grazia, costringendolo a guardare tutti. 4 su 4, punteggio pieno.
Quello che non si era spettato era lo schiaffo da Koumei, ma non reagì neppure.
-Io mi fidavo di te.-
In un’altra situazione avrebbe riso, invece chiuse gli occhi, attendendo il resto.
Oh, perché non lo avrebbero ucciso, quello no, ma ne avrebbe prese parecchie. Forse in effetti per quando fosse arrivato a Kou non avrebbero nemmeno avuto il problema di farlo abortire, con buona probabilità gli sarebbe bastato far rimuovere la placenta.
Come si era aspettato in tempo zero arrivò un secondo schiaffo, questa volta da parte di Kougyoku, ma neppure la guardò: oh, finché erano loro due neppure li sentiva, il problema sarebbe arrivato con Kouen. E arrivò prestò.
Nonostante la vista appannata dalle lacrime, vide chiaramente Kouen caricare il colpo, ma non ebbe le forze per reagire o forse non ne ebbe il coraggio, perché se avesse cercato di difendersi non avrebbe fatto altro che peggiorare la sua situazione, così incassò il pugno al costato senza tentare di scappare, sentendosi mancare il fiato e indietreggiando a più riprese quando ne arrivarono altri, finché non finì accasciato sul selciato.
Guardò il principe che aveva lungamente conosciuto con occhi vitrei, e non prestò attenzione al calcio diretto al suo volto, pronto a quell’ennesima sofferenza, ma Hakuei si avvicinò a Kouen e poggiandogli una mano sul braccio lo guardò supplicandogli di fermarsi.
Per un secondo ci credette davvero, che Kouen avesse scelto di seguire la richiesta di Hakuei, se non che intravide il bagliore negli occhi del principe, e senza neppure pensare si portò le braccia al ventre, parando almeno in parte un poderoso calcio. Quando si accorse di ciò che aveva appena fatto tremò brevemente di paura, ricordandosi di come qualunque cosa tentasse di fare sarebbe stata vana, e pure non riuscì a scoprirsi pentito: nonostante tutto, quello era suo figlio, e lo avrebbe difeso a costo della vita, o almeno ci avrebbe provato.
Il calcio in viso fu violento ed inaspettato, ma non lo portò ad allontanare la braccia della pancia, e il ringhio di Kouen chiarì quanto ne fu infastidito. Batté velocemente le palpebre, sentendo di avere quantomeno il naso rotto e la bocca piena di sangue, chiedendosi quanto ancora Kouen avrebbe continuato, e dopo aver ingoiato sangue e saliva si preparò ai calci successivi.
Che non arrivarono. Sì sentì stringere il torace da qualcosa di sottile simile a corde e venne sollevato in aria.
Quando riaprì gli occhi era su un tetto, Sinbad che lo stringeva a sé con un braccio mentre con l’altro brandiva la spada, Ja’far che ritirava le sue lame, concentrato sull’attacco, e ciò nonostante notò il sospirò che gli sfuggì.
Quando scivolò cautamente via dall’abbraccio di Sinbad, timoroso che le sue gambe non lo reggessero, vide Yamuraiha su un tetto alla destra, Sharrkan alla loro sinistra, mentre di fronte a loro stavano Pisti, Spaltos e Masrur.
Tutti sembravano congelati, entrambe le parti schiumanti di rabbia, nessuno che sembrava volersi muovere.
A rompere il silenzio fu infine Judal, con un bisbiglio appena udibile riservato a Sinbad e Ja’far, le lacrime che gli bagnavano le guance mischiandosi al sangue. -Posso restare?-
-Dopo tutto ciò che è successo?- chiese Sinbad senza guardarlo.
-E ce lo chiedi pure?- replicò Ja’far, una punta d’ironia nella voce che rassicurò Judal.
-Sai Judal- disse Pisti dal tetto di fronte, continuando a guardare i principi di Kou ai suoi piedi, la voce con una simulata nota di allegria per nascondere la paura e la rabbia di vederlo ferito -dopo lo spavento che ci hai fatto prendere oggi penso che non ti concederemmo di andartene nemmeno se ce lo dovessi chiedere.-.
Sorrise.
Per quanto la situazione fosse orribile, con Kouha che si riuniva al gruppo e tutti i principi di Kou che attivavano le proprie magie mutaforme, per Judal fu naturale sentirsi a casa guardando Dracoon, Hinahoho e Kikiriku raggiungere i compagni e attivare ognuno il proprio strumento del seguace.
Restò un secondo ad osservare la lotta spostarsi in aria e tutti i generali organizzarsi in vari modi per poter prendere parte allo scontro, poi scese a terra, andando ad abbracciare Kikiriku avvolgendolo in un borg con sé.
Gli doveva la vita.
Anzi, per la verità la doveva in qualche modo a tutta l’isola. Estese la barriera.
E per quanto non fosse tempo e luogo, senza che potesse controllarsi, iniziò a fare le fusa, per la prima volta in vita sua senza premeditazione o secondi fini.
 


 
******************
La battaglia scoppiò subito molto violenta, ma con un certo sgomento dei principi di Kou piuttosto paritaria.
Koen aveva immediatamente ingaggiato un violento scontro con Sinbad, seguito da Kouha aveva attaccato Hinahoho deciso a finire lo scontro che avevano iniziato in precedenza, combattendo lungo la spiaggia convinto di avere comunque un abbondante vantaggio sul suo avversario.
Dracoon appoggiò Spaltos nella lotta contro Hakuryuu, notando quando le piante del ragazzo costituissero un problema, mentre Yamuraiha si trovò ad affrontare la gracile principessa Kougyoku aiutata da Pisti, con Masrur che combatteva contro Hakuei con il supporto di Sharrkan.
In tutto ciò il principe-burocrate Koumei cercò di tenersi fuori dallo scontro facendo più che altro da supporto, se non che Ja’far si affrettò ad andare a porgli i bastoni fra le ruote.
Non si poteva definire lo scontro paritario, perché buona parte dei principi per evitare gli attacchi fluttuavano a mezz’aria, ma ciò nonostante i generali si abituarono rapidamente, trovando modi alternativi di attaccare, come Masrur che o saltava per raggiungere Hakuei o lanciava in aria Sharrkan, piuttosto che Pisti che volava in groppa ad uno degli uccelli di Altemyula e Yamuraiha che per lo più lanciava incantesimi levitando a mezz’aria.
Ma la parità in battaglia fu una parentesi iniziale: quando Judal si fu vagamente ripreso, iniziò a dar man forte a tutti i generali, rendendo chiaro ai principi di Kou che non c’erano le condizione per la vittoria, e ciò nonostante ci provarono.
-Kouen!- trovatasi con le spalle contro una roccia e una spada alla gola alla fine Hakuei rinunciò alla lotta, distraendo il fratello che venne prontamente bloccato da Dracoon.
Osservando la disfatta Kouen riappoggiò i piedi a terra abbandonando la magia mutaforma, seguito a breve distanza dal resto dei principi.
Quando anche tutti i generali ebbero riappoggiato i piedi sulla spiaggia dell’isola, pur senza abbandonare un lecito atteggiamento difensivo, Kouen prese la parola.
-Rivogliamo il nostro magi.- disse abbastanza seccamente allontanando la spada di Sharrkan dalla gola di Hakuei, incurante dei tagli che si procurò.
-Judal- disse Sinbad marcando bene il nome -non vuole venire però.-
I generali annuirono. Non lo avrebbero lasciato andare.
Kouen alzò lo sguardo sopra le loro teste, fissando Judal con determinazione, lasciando che Hakuei lo stringesse.
-Avete tre giorni per decidere, sappiate solo che se non riavremo il nostro magi  nulla ci fermerà dal muovere guerra a Sindria.-
La minaccia fu udita chiaramente, ma per tutta risposta Pisti, Spaltos, Hinahoho e Sharrkan fecero un passo avanti.
-Ritenetevi liberi di fare ciò che preferite, ma non ci faremo problemi a convocare l’alleanza dei sette mari. Non vi daremo Judal senza combattere.- dichiarò Hinahoho.
-Lui è un nostro amico, e noi difendiamo gli amici.- rincarò Pisti.
Per tutta risposta Kouen e Kouha ringhiarono con ferocia, così che Koumei ripeté l’ultimatum e con il suo djin aprì un portale che riportasse lui e gli altri principi a casa.
Tirarono tutti un sospiro di sollievo, Judal per primo, incurante del dolore alle costole, levitando fino alla spiaggia, dove prima di poter aprire bocca finì in un caloroso abbraccio.
-Ricordatelo, dopo questa non lasceremo tu vada via.- lo minacciarono tutti, con sguardo affettuoso, scompigliandogli i capelli con delicatezza e informandosi sulle sue ferite.
Quando riuscì a farsi mollare dai generali si avvicinò a Sinbad, la testa china, colpevole di aver rovinato la festa di Robin, averli fatti preoccupare, aver messo in pericolo il popolo… non riuscì a pensarci troppo a lungo quando Sinbad lo tirò a sé poggiandogli una mano sulla schiena per evitare le molteplici ferite, arrabbiandosi con la pancia che gli impediva di stringerlo quando avrebbe voluto. E dal nulla lo baciò. Con foga, possessione, desiderio e paura.
Judal per un secondo scollegò il cervello, poi si accorse della situazione e si allontanò. C’era ancora un punto molto importante da sistemare se voleva restare a Sindria.
-Ja’far, io- non poté terminare la frase, perché questa volta fu Ja’far a baciarlo, con un nugolo di emozioni simili a quelle provate da Sinbad.
Quando Ja’far si staccò Judal lo guardò sorpreso, poi si tuffò fra le sue braccia piangendo nell’incavo del suo collo. Ja’far gli accarezzò la schiena paziente, sotto gli sguardi maliziosi dei generali. Li mandò espressamente al diavolo.
Quando Judal si fu un po’ calmato lo staccò da sé quel tanto che bastava per poterlo guardare negli occhi. Sorrise.
-A questo punto direi che è giunta l’ora tu torni a casa, ora che abbiamo stabilito che resterai dovrai pur far abituare Robin alla tua presenza.-
Alzò una mano ad accarezzare un livido violaceo che iniziava ad intravedersi sulla guancia. -E sarà anche ora che ci spieghi un po’ perché a Kou ti rivogliono assolutamente… ho come l’idea che non sia solo perché eri- disse la parola con un certo orgoglio -il loro magi.-
Judal annuì. Non era la più allegra delle storie, ma neppure era triste. Era solo una storia passata.
-A una condizione però!- disse in un tono che non ammetteva repliche, la faccia che tradiva l’imminente boiata.
I generali, che avevano di comune accordo deciso che sarebbe stato carino sentire la storia tutti assieme, annuirono in attesa di sentire la richiesta.
-Sapete, raccontare storie è impegnativo, bisogna organizzare i ricordi in modo coerente, badare a-
-Vieni al dunque, cosa vuoi?-Judal non fece caso ai modi talvolta un po’ bruschi di Spaltos, ormai lo conosceva.
-Pesche.- disse con un sorriso a 32 denti, guardando Pisti esultare e saltargli al collo e in generale i generali festeggiare: era tornato.
E al diavolo l’ultimatum, nessuno lo avrebbe strappato da lì, mai più.










Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte:
bene, abbiamo scoperto chi è in grado di terrorizzare Judal, e già che c’ero ho voluto inserire un po’ Kikiriku perché un po’ di riferimenti al passato dei personaggi ci stanno sempre bene.
E ora, un tuffo nel passato! Ricordate quando Judal al capitolo 3 dice
Io e lui non abbiamo nulla più che un po’ di scarso sesso occasionale, non ho il minimo obbligo nei suoi confronti, così come lui non né ha nei miei, ragion per cui solitamente sfrutto gli alpha o alla peggio i beta della famiglia, […]
Ecco, vi anticipo che si ripartirà da lì.
Ma intanto, studenti tutti (?) festeggiamo la fine della scuola!

E ora subito una nota triste: questa storia nasce da un'idea venutami dopo aver letto una fanfiction Omegaverse su yuri on ice (non è citata all'inizio perchè mi ha dato sì l'idea ma non hanno praticamente nulla in comune) e ovviamente la scrivo sì per me, ma anche per condividerla, e se da un lato è vero che sopravvivo anche con poche recensioni dall'altro mi piacciono da morire, e qui sorge un problema. Non sto cercando di farvi sentire in colpa, giuro, ma siccome durante l'estate non avrò modo di consultare la mia beta (o almeno non vis-a-vis) non mi sento di pubblicare granchè, sicchè pubblicherò ancora per un po' avendo pronti un'altro paio di capitoli già betati, ma poi sparirò fino a settembre. Ad ogni modo, se qualcuno seguiva Come maritare un generale, sappia che penso di riprenderla un po' in mano, perchè le idee le ho ancora solo che la mia priorità si è spostata su questa storia che incarna di più i gusti.
Nulla, basta, giuro, a presto
Hoshi

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Capitolo 21
*** Capitolo 19: Ieri è storia ***


IERI È STORIA

 

A diverse età, tutti i generali erano incappati in una consapevolezza, una consapevolezza bizzarra, che aveva la forma di una legenda metropolitana, e che pure li aveva sempre affascinati; non era nulla di eclatante, solo una di quelle frasi da vecchi saggi, eppure…
Non esistono le buone e le cattive notizie, esistono solo le notizie.
Usavano spesso la frase per prendersi amorevolmente in giro, ma ne riconoscevano il senso di critica alla cecità del sistema e all’incapacità d’immedesimazione.
Quel giorno se la ripeterono in forma lievemente modificata in attesa che Judal staccasse gli occhi da Robin, che appena erano entrati nell’appartamento gli era stato ceduto da Ja’far.
Non esistono storie tristi o allegre, horror o comiche, solo storie, siamo noi che le concepiamo come felici o deprimenti, terrificanti o esilaranti…
E in fondo, quando Judal finalmente prese la parola, confermò le loro ipotesi: non era triste, non era allegra, era nulla più che una storia.
 
Quando a 11 anni si era trasferito a Kou era un bambino, perfettamente manovrabile dalla Al Sarmen, incapace di occuparsi di sé, ma l’ambiente di corte gli aveva giovato: l’enorme biblioteca sapeva soddisfare ogni sua curiosità, i cuochi del palazzo avevano l’ordine di assecondare ogni suo capriccio, le ancelle lo viziavano in ogni modo, e l’unica cosa che doveva fare per garantirsi questi privilegi era studiare un’oretta di magia al giorno ed essere al servizio dei principi.
Di quando in quando i maghi del palazzo gli chiedevano udienza per discutere della protezione del paese o di strategie militari, entrambi aspetti piuttosto noiosi, ma paragonati all’ozio in cui viveva erano mali tollerabili.
Più o meno sei mesi dopo che si fu stabilito a palazzo l’impero iniziò a fargli capire perché aveva pagato tanto la Al Sarmen per averlo con sé: iniziarono a portarlo in guerra.
Dire che per lui fu un trauma vedere la sofferenza della gente sarebbe equivalso a mentire: la gente che urlava di rabbia, dolore, tristezza, la gente che piangeva, i feriti agonizzanti… era cresciuto con la guerra al fianco, quegli scenari non lo toccavano.
-Per essere un nano di 30 chili incapace di sollevare una freccia ci sai fare piccoletto!- la magia. La magia gli fece guadagnare in nemmeno due giorni popolarità e rispetto: sui campi di battaglia, nei porti, nelle città in capo a poco tempo si diffuse la voce che anche il neo-nato impero Kou possedeva un magi come Rem.
Per Kou fu una fortuna: i popoli sottomessi, in costante rivolta contro il nuovo potere, consideravano i magi interpreti del volere divino, e per questo li veneravano e temevano. Quando seppero che un magi appoggiava l’impero e partecipava alle battaglie, smisero di ribellarsi.
Quello fu il primo traguardo di Judal.
 
Due mesi dopo il suo esordio nelle campagne militari ebbe la sua seconda chance.
-Sei un magi, pertanto hai il potere di evocare dungeon. Fallo- quando si sentì dare quell’ordine, per la prima volta Judal vide Kouen in una luce diversa: era ambizioso, forte, determinato, perfino arrogante.
Il futuro successore al trono di un mastodontico impero.
Frugò nelle conoscenze innate di magi, e trovato l’incantesimo richiestogli evocò il dungeon.
Conquistarlo fu quasi noioso: il candidato re aveva già uno strumento metallico Astaroth, nonché un paio di fedeli seguaci, i mostri del dungeon erano creati per essere pressoché imbattibili da dei comuni umani, così che per un magi non ci fu gioco.
Quando ne uscì, a 12 anni appena compiuti, pregò il principe di ricondurlo sui campi di battaglia, e per diversi mesi restò a militare nell’esercito, finché un ordine non richiamò a corte il principe: il re stava male, era imperativo che tutti i principi accorressero a palazzo.
 
Dalla missiva che era stata inviata si sapeva che il re pareva essere in fin di vita, e in effetti lo trovarono estremamente debilitato, seppure di certo la vita fosse ancora ben lontana dal lasciarlo.
-Andiamo, non puoi voler restare qui a queste condizioni, torniamo al fronte.- di certo il principe Kouen non era legato al genitore, ma non per questo lo assecondò.
La prolungata assenza da palazzo di un’autorità forte aveva infiacchito le guardie e corrotto i ministri.
-Per almeno 3 mesi resteremo qui.-
-E che dovrei fare nel frattempo? Imparare a cucire?-
-Verrai staccato da me, affiancherai Koumei nelle sue mansioni.-
Per quanto tentò di ribellarsi alla fine dovette cedere, e divenne l’ombra del pigro principe ozioso.
 
Non fu sgradevole solo per Judal, nemmeno Koumei sembrava volerlo al suo fianco, e dopo lunghe guerre con il fratello maggiore riuscì a liberarsi del molesto magi, scaricandolo sul quarto principe dell’impero, Hakuryuu.
Se con il burocratico Koumei, Judal non aveva pazienza, con il principino suo coetaneo si trovò a meraviglia: con gli estranei calmo, pacato, dolce, quando non aveva intorno gente diventava furioso e aggressivo. Quel ragazzino gli piacque da subito, ed iniziò a seguirlo un po’ dovunque ricevendo notevoli vantaggi:
in primis, neppure a quel principe pareva andare a genio l’idea di avere un’ombra 24 ore su 24, per cui gli concesse delle ore libere, che pian piano Judal trasformò in giornate, prendendosi la libertà di esplorare la capitale, e in secondo luogo lo avvicinò ai restanti principi.
Con Kouha fu intesa a prima vista: il principe aveva un anno più di lui, aspettava i 16 anni per ricevere il permesso di guidare un plotone in battaglia, amava la violenza. L’unico suo difetto era che no gli piacessero le pesche.
Kougyoku fu il suo giocattolo per mesi: per quando avesse la stessa età di Kouha, era debole. Debole e priva di spina dorsale. Una delle tante “principesse da marito di cui l’impero disponeva”. Il perfetto bersaglio di scherzi e dispetti.
E poi l’ultima principessa, la sorella di Hakuryuu, una ragazza dalla bellezza eterea, lo sguardo caldo, dolce e rassicurante, a 17 anni assisteva di tanto in tanto il cugino ventenne Koumei nelle assemblee, e per il resto del suo tempo si addestrava all’arte della guerra: lei era l’eccezione fra tutte le principesse, la sola con una possibilità di scelta, e da tempo aveva scelto di essere forte e non essere solo un oggetto, di non essere solo una moglie di un re. Lei sarebbe stata regina.
 
Quando otto mesi dopo essere tornato a palazzo Kouen gli disse che intendeva tornare sui campi di battagli, Judal lo lasciò andare da solo. Il principe, memore di tutte le proteste per tornare al fronte, lo guardò in tralice, ma sentendosi rispondere che semplicemente non si sentiva bene da un po’ gli consigliò di aspettare di riprendersi, per poi cambiare aria per un po’ seguendo Hakuei in un campagna differente da quella in cui aveva combattuto in precedenza, ma in cui avrebbe pur sempre avuto modo di rendersi utile.
Due giorni dopo la partenza del principe Judal capì il motivo del malessere che lo perseguitava da una decina di giorni: il suo primo calore.
 
Nella paura, la desolazione, il dolore, quantomeno non accadde nulla di irreparabile, e dopo una settimana di reclusione in un’ala del castello poco frequentata partì con Hakuei per i campi di battaglia.
Tornarci fu come ri-iniziare a respirare: la polvere che volava, i soldati che ridevano, i generali che urlavano ordini… gli era mancato quell’ambiente, gli era mancata la guerra.
Ma l’esercito in cui militava Hakuei era diverso da quello comandato da Kouen: la guerra era guerra, quello sì, e in entrambi c’erano spargimenti di sangue, ma nelle file attuali c’era come una sorte di quiete, le battaglie erano meno truci… era diverso, il modo di fare di Hakuei era diverso, eppure tremendamente funzionale.
-Non hai mai pensato di conquistare un dungeon?- la principessa rise, gli occhi si schiarirono: era in qualche modo inquietante, troppo bella per essere vera.
-Non si trovano dungeon ovunque, ma se ne avessi l’opportunità mi piacerebbe entrare in possesso di una forza simile, sarebbe molto utile all’impero.-
Il giorno dopo loro due soli, per assecondare il capriccio di Judal, partirono alla conquista dell’imponente dungeon evocato dal magi: la principessa non era debole, affatto, ma buona parte delle creature del dungeon ai suoi occhi non apparivano necessariamente minacciose, per cui lasciò che Judal stesse davanti e si divertisse, fino alla camera del tesoro, dove incontrarono Paimon, djin dell’amore folle e del caos.
In qualche modo a Judal la djin non piacque, ma Hakuei sembrò andarci subito molto d’accordo, così che dopo aver stretto un patto con Hakuei uscirono dal dungeon.
Il viaggio non durò molto, e grazie ad un incantesimo Judal fece sì che lui e la principessa non capitassero in luoghi diversi, sebbene non riuscì a stabilire lui la destinazione.
 
Quando finalmente atterrarono, la prima cosa che Judal notò fu il clangore della battaglia attorno a loro, così che non perse tempo a guardarsi attorno, ma saltò velocemente fuori dalla buca, sperando con tutte le sue forze di trovarsi faccia a faccia con l’impero di Kou: fu esaudito.
 
Aveva tredici anni allora, e Kouen, il forte e autoritario principe a capo di un plotone a nemmeno 25 anni era un idolo per lui. Quando lo aveva visto combattere forte e altero, aveva esultato, felice come non mai di tanta fortuna, ma ora dopo che tutto il campo era andato a letto, non era più tanto sicuro della sua scelta.
Quando dopo la battaglia Kouen li aveva accolti organizzando un sontuoso banchetto facendosi raccontare dalla cugina le loro avventure la sua faccia, generalmente difficile da decifrare, sembrò esprimere gioia, così che Judal si convinse fosse anche lui felice della conquista, e quando a tarda sera il principe lo invitò nella sua tenda ci sì recò volentieri, certo che desiderasse ringraziarlo.
E invece, la prima cosa che ricevette fu uno schiaffo.
-Come hai osato mettere a rischio la vita della prima principessa imperiale?-
Non si fermò lì, non ne aveva motivo: pugni, calci, tagli, Kouen non fu delicato, come gli ripeté un altro paio di volte, non doveva mai più osare porre a rischio la vita della famiglia imperiale per passatempo.
Le percosse gli fecero male, certo, e per quanto provò a difendersi con la magia ne prese comunque parecchie, eppure, senza che seppe spiegarsi il motivo, non riuscì a restare in collera con il principe a lungo quando questi gli offrì come dono per celebrare la conquista del dungeon un tappeto volante.
 
Per due mesi restarono sul fronte ovest tutti e tre, poi sotto le insistenze di Hakuei, che assillò Kouen per giorni ricordandogli di come “divenisse selvatico ogni qualvolta passava troppo tempo lontano da palazzo”, decisero di tornare a corte per almeno tre settimane.
Non ci aveva fatto caso al suo primo rientro, ma la prima cosa che Kouen fece quando tornarono a palazzo, prima ancora di andare a sincerarsi delle condizioni di salute dell’imperatore, fu recarsi a salutare Koumei.
Probabilmente se Kouen avesse anche solo sospettato di essere stato seguito lo avrebbe picchiato, ma Judal in effetti non lo seguì, capitò per caso di fronte alla porta della biblioteca, e quando vide Kouen entrare pensò di raggiungerlo per chiedergli un valletto che lo servisse nelle settimane di ozio, ma sbirciando nella porta, lasciata socchiusa, pensò fosse meglio desistere.
Non poteva dire di conoscere Koumei, di lui sapeva solo che aveva 22 anni e pareva sempre assonnato. Si occupava egregiamente di politica, ma come guerriero era discutibile: aveva una tecnica ineccepibile, volendo essere precisi, ma una scarsissima resistenza e, a quanto ne sapeva, non aveva mai partecipato ad una vera battaglia, in cui per vincere sopra una buona tecnica serve un’attenta pianificazione, prontezza e collaborazione.
Comunque, dal breve periodo che aveva passato al suo seguito lo aveva classificato come “rigido pigro brontolone anaffettivo”, motivo per cui restò a bocca aperta. Si era davvero lanciato ad abbracciare Kouen? E davvero Kouen non lo respingeva? Possibile?
I suoi occhi lo stavano certamente ingannando. Non era possibile che Kouen ricambiasse l’abbraccio.
Aveva certamente qualcosa che non andava, e il fatto che una parte di lui spingesse perché facesse irruzione andando a cercare quelle attenzioni per sé doveva essere collegato.
 
Quando due sere dopo il loro arrivo Hakuei andò a trovarlo con una tisana e alcuni farmaci capì perché la ragazza aveva fatto tante insistenze per tornare a palazzo con urgenza: era in calore. A ben pensarci erano passati quattro mesi circa dal primo episodio, per cui era normale, solo che per lui era una novità, quindi non ci aveva mai davvero riflettuto.
-Come lo sapevi?- chiese osservando la principessa bagnare un fazzoletto con acqua fredda nel bagno adiacente per poi passarglielo sulla fronte madida di sudore.
La ragazza sorrise, e Judal quasi si sciolse: come poteva a diciott’anni, dopo aver vissuto gli orrori della vita avere quell’aria così serena?
-C’ero quando ti è successo la prima volta, ho solo fatto due conti. Temevo che non avremmo fatto in tempo, ma per fortuna mi sono sbagliata.-
Si sedette ad una certa distanza, intenzionata a fargli compagnia per un po’.
-Non ti da fastidio?-
-Cosa? L’odore? Sono una beta, lo sento e non ne sono propriamente immune, ma non mi fa perdere il controllo, quindi ho pensato potessi gradire un po’ di compagnia.-
Judal annuì: quella principessa era davvero un angelo sceso in terra, l’esatto opposto del fratello, che di fronte alle prime avversità era crollato.
-Non so molto di queste cose, solo nozioni apprese sui libri, però ho pensato una cosa.-
Judal la guardò in attesa del seguito, anche se una piccola parte di sé desiderava davvero cacciare quella ragazza troppo gentile per poter riposare in pace.
-Questa volta non pensandoci hai corso un grosso rischio, e anche continuando a non usare saponi mascheranti, se non fosse per l’odore del campo di battaglia che ti ha protetto a quest’ora saresti probabilmente già stato marchiato.-
Rabbrividì: lui non voleva un compagno, di sicuro non a 13 anni.
-Ti ho fatto fare questo. È un collare fabbricato con dei metalli particolari trovati nel dungeon di Paimon: una volta indossato si modella sul corpo del proprietario, e solo lui può rimuoverlo. Ho pensato che ti potesse essere utile.- disse tendendo verso di lui un collare alto abbastanza da coprire tutto il collo. Era formato da cinque semplici anelli dorati e la chiusura era sul davanti, nascosta da una grossa pietra rosso cupo.
Lo indossò subito, ringraziando Hakuei, che dopo avergli rivolto un dolce sorriso e avergli lasciato qualcosa da mangiare se ne andò.
 
Non poteva dirsi un esperto, di certo non era abituato ai sintomi pre-calore né conosceva con esattezza i malesseri che si presentavano durante, ma era almeno arrivato ad apprendere, grazie anche ad un’attenta documentazione in biblioteca, che i malesseri come mal di pancia, tremori, carenza di sonno, febbre, nausea erano purtroppo normali per gli omega che, per diversi motivi, trascorrevano il calore senza un alpha.
Come aveva temuto, il suo solito profondo sonno gli era precluso, infatti non solo non riusciva a dormire durante il pomeriggio, come amava fare quando non era in battaglia, ma neppure la notte poteva farsi un sonno pacifico. Eppure, quando quella notte si svegliò, l’istinto gli diceva forte e chiaro che c’era qualcuno, che non era solo vana paranoia, che doveva fare qualcosa.
E qualcosa fece. Scese dal letto, trascinando con sé le coperte, dirigendosi con passo malfermo alla porta: faceva una fatica inaudita a stare in piedi, ma voleva sapere.
Al suo primo calore era stato soccorso da alcune ancelle che gli avevano spiegato come il palazzo fosse progettato perché gli omega durante il calore lasciassero le loro consuete camere per rifugiarsi in un area più dismessa così da non creare disturbi alle consuete attività, ma allora, chi si era preso la briga di andare fin lì in piena notte, e perché?
Aperta la porta si trovò davanti Kouen, e prima che potesse pensare qualsiasi cosa il suo corpo sembrò recuperare un po’ di vigore, muovendosi in autonomia per andare a poggiare la testa sul suo petto e stringersi a lui.
Avrebbe voluto allontanarsi e scusarsi, perché ricordava piuttosto bene la violenza che il principe gli aveva usato senza alcun rimpianto quando aveva condotto Hakuei alla conquista di un dungeon, e ne aveva paura, ma aveva la lingua impastata e la gola secca, e contro quel corpo si sentiva bene.
In fondo, che male c’era? Per Kouen, lui era solo un bambino di dieci anni in meno con straordinari poteri. Non sembrava neppure intenzionato ad allontanarlo da sé, era rimasto immobile, lasciando che Judal si appoggiasse a lui per diversi minuti, prima di spostare lentamente un braccio, rimasto fuori dall’abbraccio di Judal.
Il magi non ci badò neppure, convinto che se non l’aveva respinto fino ad allora di certo non avrebbe incominciato così di botto.
Quando venne spinto nella stanza Judal ebbe un paura, una paura atavica, eppure non tentò neppure di fuggire. Forse perché era debole, o forse per fiducia.
Fissò Kouen entrare e chiudere la porta dietro si sé, lo guardò avvicinarsi e abbassarsi su di lui. Ebbe paura di quello sguardo ombroso, molta, ed eppure continuò a non muoversi, probabilmente per il troppo terrore.
Quando Kouen poggiò una mano in prossimità del suo collo gli si gelò il sangue nelle vene. Sfiorò con le dita il collare che aveva al collo, poi lo sollevò con mala grazia e lo buttò sul letto, le coperte abbandonate sul pavimento.
Forse fu l’impatto della schiena sulle dure molle del letto, Judal aprì la bocca per urlare, ma prima che potesse farlo Kouen gliela tappò con una mano, lo sguardo sempre più scuro.
Quando la spostò Judal riaprì le labbra per urlare, ma prima che potesse uscirne alcun suono Kouen lo baciò e Judal non capì più nulla.
 
Quando si svegliò doveva essere più o meno ora di pranzo, ma anziché avvertire i morsi della fame Judal si stiracchiò, sentendosi una favola.
Non sarebbe durato molto, di minuto in minuto sentiva il benessere svanire, ma si compiacque di essere almeno riuscito a dormire per più di due ore frammentate nell’arco di tutta la notte. E il merito, per assurdo, andava a Kouen.
Non sapeva se ringraziare o piangere, se sospirare al ricordo o tremare di paura.
Perché quanto successo quella notte era uno stupro, non c’erano particolari dubbi in tal senso, ma non gli aveva fatto del male.
La parte razionale, quella sopita dal calore, urlava di terrore vedendo l’uomo, perché a 23 anni Kouen era un uomo, troneggiare sopra di lui, guardandolo mentre impossibilitato a mordergli il collo gli graffiava le spalle, i suoi pantaloni che in un tempo pari allo zero erano volati sopra alle coperte, seguiti dal vestito del principe.
Ma più una metà di sé urlava di terrore e più dalla sua gola uscivano gemiti di attesa e desiderio.
Cercò invano lo sguardo di Kouen per pregarlo di andarsene, perché il principe non incrociò mai il suo sguardo. Semplicemente si approfittò di lui, senza mai chiedergli nulla, con violenza e aggressività, incurante che sotto di lui non ci fosse un omega di mondo avvezzo a quel trattamento ma un ragazzino appena entrato nell’adolescenza, assolutamente privo di esperienza.
E avrebbe potuto dire che non gli era piaciuto, che gli avesse fatto del male, che fosse disgustato dall’accaduto, ma avrebbe mentito. Perché era nato omega, serviva ben altro per fargli del male, e segretamente Judal si ritrovò a pregare che la cosa si ripetesse.
 
L’effetto benefico della presenza di un alpha durò poco, nel primo pomeriggio Judal versava in condizioni peggiori della sera precedente, seduto su una sedia a dondolo con le ginocchia raggomitolate al petto, pregando per un miracolo.
Quando verso sera sentì bussare alla porta sperò che fosse la realizzazione dei suoi desideri, ma non ci crebbe. Quando Hakuei entrò capì di aver avuto ragione, eppure si sforzò di non dar a vedere le sue emozioni per non offendere la gentilezza della ragazza, che gli si avvicinò per accertarsi della sua salute. Non ci fece subito caso, ma quando si ritrovò ad un soffio da viso della principessa quando lei si avvicinò per controllargli la febbre non poté impedirsi di notare gli occhi rossi di lei ed il sorriso tirato, e viste tutte le cortesie che lei gli mostrava gli sembrò doveroso quantomeno informarsi. E per essere onesti la sua preoccupazione era sincera.
-Che cosa è successo?-
Hakuei sussultò, stirando ancora di più il sorriso, gli occhi ancora più tristi. Chi poteva fare del male ad un angelo del genere?
-Non è niente.-
Crederle era impossibile, e dopo lunghe insistenze Judal arrivò a capire: era semplicemente innamorata di un uomo che non era interessato a lei.
Riflettendoci, ecco spiegato perché sembrava in comunione con un djin così bizzarro. Ma davvero, non capiva: lei era semplicemente perfetta, la pelle candida, i soffici capelli scuri, i caldi occhi azzurri, come si poteva rifiutarla?
Perso in quei pensieri, senza farci attenzione, si ritrovò a baciarla. Fu diverso dal bacio che aveva dato a Kouen, non c’era violenza, solo affetto, e pure Hakuei si allontanò.
Alzò una mano a scompigliargli i capelli -Non serve ti preoccupi, me la caverò.- e se ne andò.
 
Judal rimase a rifletterci per ore. Perché se n’era andata? Non sembrava offesa dal suo gesto, semmai rattristata. Lui voleva che fosse felice e allora perché? E chi era il cane che la faceva stare così? A quando aveva capito poi non era una cosa nuova, ma allora perché quando di solito stava bene quel giorno si era ridotta così?
Per quanto ci pensasse, non capiva, ma dopo un po’ il calore sembrò volerlo salvare, facendolo addormentare di mala voglia.
Al risveglio la prima cosa che sentì era il freddo. Aprì un occhio per cercare la coperta, e invece la prima cosa che si trovò davanti furono i capelli cremisi di Kouen. Il freddo poteva passare, le riflessioni essere rimandate, il calore non sarebbe durato in eterno, ma fintanto che lo faceva, preferiva concentrarsi sull’alpha che aveva di fronte a sé.
 
Dopo una settimana poté finalmente uscire dal suo isolamento e tornare a vivere normalmente, e la prima cosa che fece fu andare a cercare Hakuei, che dopo il bacio che lui le aveva dato aveva smesso di farsi vedere. Ma per quanto la cercasse, perlustrando palmo a palmo i luoghi che era solito frequentare, non riusciva a trovarla da nessuna parte. Ebbe perfino il dubbio che fosse tornata in battaglia, ma scartò l’idea e si decise infine a chiedere Seishun Li, il quale ovviamente sapeva dove trovarla.
Si lanciò senza indugi condurre verso la camera di “Kou-qualcosa”, n° principessa imperiale-da-marito e spalancò la porta, senza minimamente curarsi di bussare.
La proprietaria della stanza, una ragazza assolutamente anonima intenta a ricamare, alzò uno sguardo spaventato su di lui, e probabilmente, se non fosse stato per il tempestivo intervento di Hakuei, avrebbe chiamato le guardie, invece la prima principessa la rassicurò immediatamente, alzandosi dalla sedia su cui era seduta e senza terminare la conversazione con l’altra principessa lo condusse fuori.
 
-Ti sei ripreso a meraviglia vedo.-
Sorrideva, e sembrava la stessa principessa solare che aveva sempre conosciuto, però Judal non era disposto ad ignorare la tristezza che aveva visto quella sera. Era un magi, il gran sacerdote di Kou, si sarebbe fare dire il nome del mostro che l’aveva ferita, l’avrebbe trovato e ucciso, o in alternativa gli avrebbe fatto cambiare idea.
Ma per quando la interrogasse, Hakuei continuò a negargli una risposta, non solo quel giorno ma anche nei successivi, e tuttavia la sua perseveranza venne premiata: per quanto Hakuei non fosse disponibile a cedere, ci fu chi parlò per lei.
Quando andando a cena una sera Judal vide Hakuryuu appoggiato ad un palo con fare arrabbiato non se ne curò, liquidando la cosa come normale, ma quando il ragazzo si girò verso di lui e lo sollevò da terra guardandolo minaccioso cambiò idea.
-Non so cosa tu stia facendo, ma lascia stare mia sorella.-
Il timore di Judal si attenuò. In effetti Hakuryuu era aggressivo e irascibile con tutti, tranne la sorella, per cui aveva un forte istinto protettivo.
-Tranquillo, mica intendo farle del male, voglio solo punire il cane che la sta facendo soffrire.-
A quelle parole lo sguardo di Hakuryuu si fece ancora più sospettoso, ma meno minaccioso. -Di che stai parlando?-
-So che c’è qualcuno di cui è innamorata, ma lui pare non ricambiare e la sta facendo soffrire.-
A quella dichiarazione Hakuryuu lo lasciò, guardandolo come avrebbe guadato un insetto. -Stanne fuori, non potresti fare nulla.-
Dovette tormentarlo per un po’, ma alla fine capì: poteva aggredire le guardie, gli ospiti, i popolani, ed in qualche modo i principi avrebbero insabbiato la cosa e lui se la sarebbe cavata con poco, ma non poteva torcere un capello a un principe, o lo avrebbero cacciato. Se quel principe era Kouen, poi, sicuramente lo avrebbero ucciso, e non in modo veloce.
 
Secondo i piani iniziali dopo quelle tre settimane di riposo sarebbero tornati al fronte, Judal con Kouen e Hakuei da sola, ma un paio di giorni prima della partenza arrivò a Kou la notizia che l’impero Rem avesse un nuovo possessore di strumento metallico, così i piani cambiarono e fu deciso che anche loro avrebbero inviato una delegazione a conquistare un dungeon. Obbediente agli ordini, Judal ne evocò uno, e il gruppo partì.
Da quando aveva scoperto il segreto di Hakuei, Judal non era più riuscito a guardare Kouen in faccia, colpevole di aver peggiorato la situazione, e anche se per fortuna la principessa sembrava non sapere nulla di quando accaduto fra loro, il magi non riusciva a guardarsi allo specchio.
Probabilmente se avesse accompagnato il solo principe ci si sarebbe aspettati che i due interagissero, invece nella delegazione c’erano anche Koumei e Kouha, così che Judal passava tutto il suo tempo con loro.
Diversamente dagli altri due dungeon che Judal aveva visitato, questo pareva infinito: erano partiti convinti che la conquista del dungeon sarebbe stata una cosa veloce, almeno dal loro punto di vista, e invece questa sembrava protrarsi in eterno, tanto che dopo un tempo indefinibile istituirono l’abitudine di montare di tanto in tanto delle tende per dormire, e avendo la possibilità di scegliere con chi condividere lo spazio Judal si sistemò con Kouha.
Se le soste fossero state decise da Kouen allora con buona probabilità prima ancora di piantare i paletti per la tenda i due si sarebbero addormentati, ma essendo decisi dai bioritmi di Koumei i due adolescenti si ritrovavano di volta in volta ad avere ancora energie da impiegare, così che passavano parte delle loro “serate” a discutere fra loro.
-Come mai siete venuti anche tu e Koumei se l’obiettivo è che Kouen conquisti il dungeon?-
-Kouen ha deciso di portare Koumei un po’ come si porta un cane, tanto per fargli cambiare aria, mentre io ho chiesto di poter venire per festeggiare i miei 15 anni e la scoperta del mio genere secondario.-
Judal sogghignò, ammirato dalle capacità persuasive del principe.
-Sai, sono felice di essere un alpha perché credo all’impero possa far comodo, ma senza volerlo mi sono già trovato tre mogli.-
Judal lo guardò con tanto d’occhi.
-Devo dire che sono un po’ noiose, troppo servizievoli, ma come maghe ed alleate sono fantastiche. Senza contare che sarò il primo dei principi ad avere figli di questo passo.-
Judal lo guardò scettico, ricordandogli del traffico di donne che avevano i due primi principi, ma Kouha rise.
-Non hai mai notato che nessuna di quelle resta incinta? L’imperatore ne ha provate di tutte, perfino un paio di omega, ma non è che sia servito. Vuoi il mio parere?-
Judal annuì, e Kouha continuò -Da Koumei non ci si può aspettare troppo, come omega è difficile che ingravidi qualcuna, ma Kouen per me non se le fila neppure, le tiene nella propria stanza un paio d’ore giusto per dare l’idea che ne abbia usufruito e poi le caccia. Non si spiega altrimenti che un alpha e degli omega in calore non concepiscano, però vorrei capire perché lo fa. Tu dici che ha qualcuno di cui non sappiamo nulla?-
Judal sussultò, pensando ai propri trascorsi, ma accantonò la cosa e alzò le spalle, ripromettendosi di pensarci in seguito.
 
Quando furono tutti provati dall’attesa e dalle infinite ricerche, sbucarono nella sala del trono, trovandosi di fronte al djin Dantalion, padrona del tempo e dello spazio, che scelse di fare loro una sorpresa scegliendo Koumei come suo padrone, dichiarando che il suo potere era più adatto al modo di fare del secondo principe che non al resto dei presenti. Pur di uscire da lì, nessuno fece storie, al contrario Kouen si congratulò sinceramente con il fratello, pregandolo di scegliere alla svelta uno strumento di metallo per poter lasciare il dungeon.
 
Purtroppo Judal non fu in grado di garantire che tutti tornassero insieme, il gruppo era troppo numeroso e il magoi a sua disposizione troppo poco, così non ci provò neppure con i soli principi e come risultato si ritrovò a viaggiare da solo con Koumei che, stanco per solo lui sapeva quale motivo, dormì tutto il viaggio.
Dopo aver scartato l’ipotesi di orchestrare qualche scherzo, Judal prese la cosa con diplomazia, scegliendo di dedicare quel tempo alla riflessione sul problema di Hakuei e sulla possibilità che Kouen avesse già una compagna, ma prima che potesse immergersi veramente nella riflessione dalle labbra di Koumei uscì una parola, che coniugata con l’espressione beata del viso addormentato del principe valeva più di una conferenza intera.
“Kouen.”
 
Quand’anche atterrarono ci vollero alcuni minuti perché Koumei si svegliasse, e notando l’espressione corrucciata/arrabbiata di Judal desiderò non averlo fatto.
-Sei innamorato di Kouen?-
Sbiancò, poi si alzò nel tentativo di allontanarsi dal boschetto dov’erano atterrati, ma Judal lo rinchiuse in un borg impedendogli di allontanarsi, attendendo una risposta, che come si aspettava, per quando sperasse nel contrario, fu positiva.
-Perché?- chiese quasi come se gli avesse fatto un torto, e lì Koumei andò su tutte le furie.
-Credi che solo per aver combattuto con lui per neanche un anno tu possa capire qualcosa? Che ne sai di quando da piccolo si è sempre curato di me di quando nessun altro sembrava disposto a farlo? Cosa vuoi saperne di quando mi è stato vicino dopo l’attentato all’imperatore perché avevo troppa paura per uscire dalla mia stanza? O perché no, quando prima ancora mi ha portato sul campo di battaglia che avevo 12 anni, e con scioltezza mi proteggeva perché ero pietrificato dalla paura? Del modo dolce in cui ha cercato di incoraggiarmi la sera della mia prima battglia sai qualcosa? O di- e si fermò di colpo, passandosi una mano fra i capelli, l’espressione di chi ha detto troppo.
-Non sai niente.- riassunse infine il principe, ma Judal non sembrava soddisfatto, voleva sapere ad ogni costo perché si era interrotto. In fondo non sapeva dove fossero gli altri ne se fossero già arrivati, così non si fece scrupoli a ripetere la domanda per un paio d’ore finché Koumei non cedette.
-Il primo calore mi ha colto di sorpresa durante una battaglia, così che la metà dei due eserciti si è concentrata più su di me che non sullo scontro, e per tirarmi fuori da lì incolume Kouen ha dovuto combattere non so quante persone, sia alleate che nemiche. Mi ha portato alla base, nella casetta che abitavamo noi principi, e mi ha accusato di avergli mentito, di essere un suicida. Non riuscivo a fargli capire che non era minimamente previsto.-
Judal ebbe un brutto presentimento, ma lasciò che fosse a Koumei a parlare, tanto da lì non se ne poteva andare.
-Non riuscivo a parlare, così ho usato una formula di quand’eravamo bambini, gli ho preso una mano e l’ho poggiata sul mio cuore, e lì ha capito che non mentivo, ma l’alpha ha preso il sopravvento.- una lacrima solitaria fuggì al suo controllo. -Ti basta?-
Avrebbe potuto accontentarsi Judal, perché intuiva la sofferenza che parlare di quei fatti provocava a Koumei, ma sentiva che c’era altro, e a quel punto voleva sapere.
-Ti ha marchiato?-
-No.- la sua espressione tradiva una tristezza infinita, ma era legata a qualcos’altro.
-Rimasi incinto.-
Il borg di Judal crollò, insieme alle resistenze di Koumei, che per la prima volta in vita sua narrò i fatti.
-Lo scoprì due mesi dopo, e l’unica persona a cui rivolgermi per farmi aiutare per assurdo era Kouen. Andai da lui chiedendogli di cercare qualcuno in città che potesse aiutarmi ad abortire, ma lui s’indignò in maniera indicibile: voleva quel bambino, e io che non lo volevo unicamente per non doverlo crescere da solo accettai di buon grado di tenerlo. Leggemmo di straforo ogni libro che trovavamo, lui si spostò a dormire da me senza che nessuno se ne accorgesse, e semplicemente io smisi di mostrarmi in pubblico. La cosa non fu un grosso problema, al tempo Hakuyuu e Hakuren erano ancora vivi, per cui eravamo certi che ce la saremmo potuta cavare, e infatti fu tutto perfetto fino al quinto mese.-
-Vi scoprirono?-
-Abortii.- disse senza più tentare di nascondere le lacrime -Nella notte, semplicemente, qualcosa si ruppe. Quando la mattina ci svegliammo il letto era coperto di sangue. Interpellammo un medico in città fingendoci popolani, e da allora ci allontanammo inevitabilmente. Ad oggi quando siamo soli lascia che mi prenda alcune confidenze che normalmente non concederebbe a nessuno, ma ha paura. Perché sai, ora che siamo grandi potremmo anche sposarci, ma in primo luogo siamo fratelli e poi dopo l’aborto ed in particolare dopo l’attentato il suo cuore si è spezzato in due, metà per me, metà per Hakuei. La sua natura di alpha propende per me che sono un omega, ma la politica attuale non vedrebbe di buon occhio l’unione con un omega, uomo per di più, meglio una docile beta come lei.-
Finito di parlare restarono immobili per alcuni minuti, poi Koumei si asciugò le lacrime e si alzò, cercando di capire dove fossero atterrati, come se nulla fosse successo.
-Ci è andata bene, il palazzo è visibile, con due o tre ore di cammino al massimo riusciremo ad arrivarci. Conto sulla tua magia per trasportare il tesoro.- Koumei si incamminò, senza controllare che Judal lo seguisse, e pure il magi lo fece, sentendosi confuso: dopo quanto aveva sentito, proprio non capiva.
Se davvero Kouen era indeciso fra il fratello e la cugina, perché aveva ripiegato su di lui? E come avrebbe dovuto fare lui ad aiutare i principi? O, più ancora, chi dei due avrebbe dovuto cercare di aiutare?
 
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Tornato a palazzo apprese di come al contrario della loro percezione era passata appena una settimana dalla partenza, e con una certa fatica riuscì a mettersi in contatto con Kouen, atterrato con il resto del gruppo nelle steppe del clan di Kouga.
Dopo il discorso con Koumei faticava davvero ad avere a che fare con Kouen, così chiese di poter prendere un periodo di vacanza, ma la trattativa fallì. Voleva una vacanza? Era anche disposto a concedergliela, ma prima voleva che lo accompagnasse alla conquista di un dungeon, poi poteva concedergli anche un anno intero di ozio!
Come gran sacerdote godeva di notevoli libertà, ma non poteva disobbedire al primo principe senza che ci fossero delle gravi conseguenze, per cui preso il tappeto volante si apprestò a raggiungere Kouen sul confine dell’impero e evocare in dungeon.
Quando si incrociarono non si dissero molto, Judal apprese che Kouha era stato rimandato a palazzo e semplicemente evocò il dungeon, notando solo dopo che furono entrati che Kouen non aveva scorta o seguito, ma che sarebbero stati solo loro due, e non riuscì a nascondere a dovere lo sgomento.
-Che hai?-
Scosse la testa cercando di non dare peso alla domanda e proseguì, ma Kouen lo agguantò per un braccio e sbatté contro una parete, fissandolo in attesa di una risposta, che nonostante ciò non arrivava.
-È perché ti ho scopato?-
Negò a parole, ma le guance bordeaux tradirono il suo reale pensiero, facendo ghignare divertito Kouen.
-Mi pare che non ti sia dispiaciuto, non serve pensi ad altro.- disse lasciandolo andare, ma notando che il magi non si decideva a seguirlo si girò.
-Io…- Judal esitava, e se esisteva una cosa che faceva andare su tutte le furie Kouen era l’indecisione. Fu probabilmente per quello che decise di aiutarlo a prendere una decisione, e nessun metodo si prestava meglio che trascinarlo in un morbido tratto erboso e lavorarselo*.
 
Il dungeon in cui si trovavano era ben differente da quelli che avevano visitato in precedenza, perché non aveva guardiani o prove particolari, solo una rigogliosa vegetazione e ampi sentieri che sembravano indicare la via per la sala del trono, e l’unica cosa che facevano i due era camminare, e lo fecero per quelli che percepirono come un paio di giorni, fermandosi di tanto in tanto sia per stanchezza che per godere della reciproca compagnia.
Phenex, djin della gentilezza e della meditazione, accettò di buon grado Kouen come suo padrone, stabilendosi in una decorazione dell’elsa della sua spada, e li condusse fuori.
Usciti dal dungeon, infine Judal dovette ammettere che quel viaggio gli era servito, che fosse stato necessario per giungere alla decisione di prendere le distanze dal triangolo con al vertice Kouen, o meglio decise di non porsi più questioni etiche a riguardo, ma che avrebbe usufruito senza remore del principe almeno fino a che questo non avesse preso una decisione.
 
Come pattuito prima della partenza, dopo la conquista del dungeon Judal si prese una vacanza, e senza nemmeno sapere quanto tempo fossero rimasti nel dungeon partì verso il palazzo con il tesoro conquistato, deciso a godersi tutto il tempo che gli veniva concesso.
Arrivato a palazzo venne accolto da Koumei, che preso in consegna il tesoro lo liquidò, senza fare il minimo accenno alla confessione che gli aveva fatto tempo addietro, e Judal accettò di buon grado la cosa, dirigendosi alla sua stanza per riposarsi, incontrando Kouha sulla strada, che per primo gli diede un adeguato riferimento temporale, dicendogli che erano stati via tre mesi.
-Ma scusa un po’, tu quando fai i 14?-
Era troppo stanco Judal per dare attenzioni al principe, così lo liquido spiegando come non sapesse la data precisa, ma aveva l’abitudine di festeggiarlo fra la fine di maggio e l’inizio di giugno.
-Ma è maggio sta già finendo! Senti, che ne dici di festeggiare il primo di giugno?-
Annuì stancamente senza pensarci, lasciando Kouha soddisfatto, ma quando nella notte si svegliò capì che avrebbero dovuto rimandare: come potevano festeggiare se lui, tanto per cambiare, era in calore?
 
Rifugiatosi nella stanza divenuta il suo “bunker”, Judal si rassegnò all’idea di dover soffrire come un cane per tutto il calore vista l’assenza di un alpha, essendo Kouen lontano, e anche a passare una settimana solo siccome Hakuei non al corrente che lui fosse a palazzo e neppure era certo che lei fosse lì, e invece tre giorni dopo si trovò Kouha alla porta, che bussava per poter entrare.
-Ti ho fatto preparare una torta per festeggiare.- disse come se nulla fosse, quasi che la situazione non fosse assolutamente paradossale: Kouha sembrava aspettarsi che Judal si levasse improvvisamente le coperte di dosso per andare a sedersi al tavolo con lui, cantando e ballando per la stanza, magari addirittura sperava che si alzasse e andassero a passeggiare in cortile.
-Dunque poiché so che ti piacciono le pesche ho pensato ad una crostata, e devo dire che non sembra male.-
Poggiò il vassoio con la torta incriminata sul tavolo, prese un coltello e ne tagliò due generose fette, porgendone poi una a Judal, che pur con le palpebre pesanti lo osservò alla ricerca di risposte, perché pace per Hakuei che era una beta, ma come poteva lui che era un alpha resistere?
Ignorò l’omega in lui che spingeva per accoppiarsi con il principe, tirandosi seduto e allungando un braccio per prendere il piatto portogli, e a quel punto se ne accorse: Kouha non stava bene, non era immune al profumo di omega, ma in qualche modo vi resisteva, anche se gli tremavano le mani e aveva gli occhi iniettati di sangue.
Judal sospirò. Gli piaceva l’idea di festeggiare il suo compleanno in compagnia, ma non aveva voglia di far soffrire così un amico, che per di più era già impegnato -Ti ringrazio, ma va pure.-
Il principe parve capire, ma non se ne andò, scegliendo comunque di allontanarsi un po’ e sedersi al tavola, la testa china. -Non voglio che tu stia solo tutto il tempo, però non posso semplicemente stare qui fingendo che vada tutto bene, e non voglio andarmene, ma non so quanto potrò resistere.-
Di nuovo, Judal sospirò passandosi una mano fra i capelli, cercando di sorridere -Non sono il tuo tipo, te ne pentiresti.-
Lo sguardo di Kouha esprimeva dissenso e stupore -Su questo sbagli, io adoro le persone forti e indipendenti come te, e so che ti annoieresti e non accetteresti mai, ma ti inviterei volentieri a far parte del mio harem, se non sapessi che, appunto, col tuo carattere deciso non accetteresti mai.-
Fu questione di uno scambio di sguardi, di chimica, ed in un non nulla finirono entrambi a rotolarsi sotto le coperte.
 
A calore finito, Judal decise di prendersi una vera vacanza e fare un piccolo viaggio, magari in una terra con un fiorente commercio come Balbadd o un paese vivace come Rem, tanto per, e si assentò per un paio di mesi.
Al suo ritorno a palazzo apprese come Koumei avesse comunicato a Kouen la sua decisione di viaggiare, e a sorpresa il secondo principe gli disse che il fratello aveva approvato la sua scelta. Sentirlo per Judal fu uno shock, tanto che per ore vagò per il palazzo come in trance, e infatti fu parecchio difficile per Kougyoku farsi sentire e quand’anche ci riuscì farsi ascoltare risultò difficile. Come richiestogli la seguì docilmente, ancora un po’ intontito, entrando nelle sue stanze contro il parere del suo insulso attendente, comunque curioso di sapere il motivo di tanta determinazione.
-Voglio che tu mi aiuti a conquistare un djin.- se ne uscì dal nulla quando la porta fu chiusa, e Judal quasi soffocò. Nonostante fosse passato parecchio tempo da allora, ricordava bene il pestaggio a cui Kouen lo aveva sottoposto quando aveva condotto Hakuei in un dungeon, e non ci teneva a ripetere l’esperienza, per cui si rifiutò da subito.
Ma non importava quanto lui fosse ostinato, nei giorni successivi Kougyoku gli dimostrò di essere molto perseverante, finché a furia di “cosa credi che importi alla gente del modo in cui passa il tempo una principessa da marito?” e “me ne assumerò la piena responsabilità” dopo due settimane riuscì a convincerlo.
 
In assenza di Kouen e spesso anche in sua presenza, era Koumei a registrare i movimenti di principi e principesse, così che prima di poter partire doverono organizzare la cosa. Con una certa sorpresa di Judal, Kougyoku fa parecchio abile a ideare un buon piano: lui sarebbe andato in una terra poco lontana e, in un luogo difficilmente raggiungibile, appartato, avrebbe evocato il dungeon. Dopo un paio di giorni sarebbe passato a prenderla e lei, dando a credere a Koumei che semplicemente intendeva farsi una vacanza al lago, avrebbe conquistato il dungeon, tornando a palazzo solo a cose fatte.
Obbediente Judal evocò un dungeon in un’impervia valletta poco distante dalla capitale e sulla strada per andare al lago, dormendo nei dintorni per tre giorni, poi tornò a palazzo ed elusa la sorveglianza di Koumei con la scusa prestabilita partì con la principessa e Koubun Ka.
Kougyoku era raggiante, continuava a chiedergli dettagli sul luogo in cui si trovava il dungeon e sull’architettura della costruzione, così che, quando arrivarono e al posto della maestosa costruzione trovarono un sorridente Sinbad e il suo gruppo, Judal andò su tutte le furie, e solo dopo che il gruppo fu riuscito a scappare, con molta pazienza, Kougyoku riuscì a convincerlo ad evocarne un altro, magari effettivamente vicino al lago dove si supponeva sarebbero stati.
Quando due giorni dopo arrivarono Judal evocò un secondo dungeon, e dopo che Koubun Ka chiarì che lui sarebbe rimasto fuori ad attenderli per “controllare i movimenti all’esterno” i due ragazzi entrarono.
Per la prima volta, Judal ebbe modo di divertirsi, in quanto nonostante Kougyoku fosse animata da molta buona volontà non era addestrata all’uso delle armi, per cui sconfiggere le creature del dungeon divenne un suo compito, dandogli modo di ripassare un po’ d’incantesimi altrimenti di rara applicazione, finché non giunsero da Vinea, djin della tristezza e dell’isolamento, che in un non nulla sembrò legare con la principessa stabilendosi nel suo fermaglio per capelli.
Ora, la cosa difficile sarebbe stata far accettare la conquista a Kouen magari, ma c’era un problema più imminente, apprese Judal una volta usciti dal dungeon, per loro fortuna nello stesso luogo da cui erano entrati: o si sbrigava a tornare a palazzo e nel caso poteva sperare in della sana compagnia, o di nuovo il calore lo avrebbe colto impreparato.
 
Parlando con Kouha durante il precedente calore aveva avanzato una teoria interessante, un metodo innovativo per intorpidire i malesseri dovuti al calore, e ora che ne aveva la possibilità scelse di testarlo.
Non fu difficile, semplicemente doveva ubriacarsi: in condizioni normali una sbronza può provocare vomito e vertigini, ma erano sintomi comuni al calore, così Judal decise di provare, e sia mai che fosse fortunato e anziché cose nefaste gli capitassero un sano intorpidimento degli arti e ridotta percezione del dolore, con magari anche una buona dose d’inconsapevolezza di sé e euforia.
Funzionò a meraviglia. Passò una settimana in un costante stato d’incoscienza e quando si risvegliò una mattina a calore finito non ricordava nulla di quanto avvenuto in quei giorni, ma non è che ci diede peso, rotolandosi per non dover vedere il sole filtrare dalla porta e poter dormire, senonché rotolò su un corpo.
A quel punto un po’ si pentì di non ricordare nulla, ma diede poco peso alla cosa, riflettendo su come ora che era cosciente non doveva far altro che ringraziare e andare. Ma ringraziare chi? Il poveretto su cui si era rotolato dormiva ancora beatamente e l’unico tratto che vedeva di lui erano i capelli rossi, tratto comune sia a Kouen che a Kouha, se non che non ricordava che nessuno dei due fosse mai rimasto a dormire con lui fino al suo risveglio, per cui gli parve ben strano, ma alzandosi dal letto notò la cosa che più lo sorprese: o Kouen si era rimpicciolito di botto o Kouha in un mese aveva messo su venti centimetri.
Scostò le coperte con uno strattone, svegliando un indisposto Koumei.
-Judal pianatala una buona volta e ridammi immediatamente quella coperta o te ne pentirai.-
Rimase a bocca aperta: no, a giudicare dalle parole di Koumei e dall’orribile stato del copriletto non aveva vagato nel castello tutta la notte rifugiandosi in quella stanza per un qualche caso del destino, e non aveva passato un casto calore neppure quella volta.
-Mi vuoi ridare la coperta o no?-
Lasciò ricadere il lenzuolo fissando ancora Koumei con due occhi da triglia, e lì il principe sembrò capire. -Alla buon ora ti è passata la sbornia. Vuoi un riassunto?-
Annuì sentitamente. -Per farla breve quando sei arrivato hai sbagliato stanza, ma non te ne volevi andare, così abbiamo finito per convivere per una settimana. E non fare quella faccia, mica ti ho ordinato io di restare, eri talmente ubriaco che sopra i tuoi feromoni si sentiva la puzza di alcool!-
Come gli uscì la domanda era un mistero, forse ancora un po’ di alcool da smaltire -Possiamo rifarlo?-
Il principe lo fissò come a valutare quante rotelle gli mancavano, ma annuì.
-Per quanto non sia la cosa più comune del mondo è piuttosto pratica, penso si possa fare.-
Judal sorrise, in fondo da un bradipo dello stampo di Koumei non ci si poteva aspettare chissà che, per cui dopo essersi vestito se ne andò, certo che in un paio d’ore, giusto per non destare sospetti, Koumei avrebbe a sua volta liberato la camera e si sarebbe spostato in biblioteca, ma nel frattempo lui aveva modo di capire se anche Kougyoku li avesse raggiunti o se al contrario fosse ancora al lago.
 
Prima di partire per il suo vagabondaggio per il mondo Judal aveva avuto la brillante idea di fare scherzi e dispetti a alcune delle principesse più piccole di Kou, le quali indignate per l’ennesimo affronto, la semplice sostituzione di degli innocui ragni al posto delle loro spazzole e altri innocui giochetti, avevano ottenuto che Judal venisse bandito dall’ala del palazzo dove si trovavano le loro camere, di modo che ora l’ingresso era sorvegliato da un paio di guardie e lui poteva accedervi solo se accompagnato da una qualche principessa. Essendo il suo obbiettivo scoprire se Kougyoku fosse a palazzo la cosa si rivelò scomoda.
Provò a lungo a spiegarsi con le guardie, ma quelle parevano sorde alle sue motivazioni e neppure erano disposte a dirgli semplicemente se Kougyoku fosse o no a palazzo.
-Judal, cercavi qualcuna?- si girò di scatto: non la vedeva da oltre 6 mesi, e pure lei non era cambiata affatto, aveva sempre lo stesso sorriso in grado di far tenerezza al più truce degli assassini, la stessa voce più dolce del miele, lo stesso sguardo carico d’affetto.
-Cercavo Kougyoku.- quando era stato più piccolo aveva creduto di essere innamorato di lei, poi crescendo aveva capito che in qualche modo era impossibile non amarla, ma che il suo era solo affetto, venato da un pizzico di attrazione fisica al massimo, ma comunque di certo non l’amava, eppure tutte le volte che la vedeva restava un attimo paralizzato.
-È tornata giusto ieri sera, vuoi che ti accompagni da lei?-
Annuì, portando un braccio a cingere la vita di Hakuei e facendo una linguaccia alle guardie mentre le sorpassava. Non trovarono Kougyoku in camera, ma Hakuei colse l’occasione per invitarlo a fermarsi un po’ da lei a fare due chiacchere, e Judal accettò di buon grado.
Fu divertente parlare del più e del meno, seduti vicini sul letto di Hakuei.
-La guerra?-
-A meraviglia.-
-E la magia mutaforme?-
-Ho imparato a usarla a perfezione.-
Era davvero bello vederla così spensierata.
-Sai Judal, è sorprendente vedere come tu mi abbia fatto per lungo tempo un quinto grado per scoprire di chi fossi innamorata e poi tu abbia perso ogni interesse, si direbbe quasi che qualcuno abbia cantato, e penso di sapere chi.-
La faccia di Judal mutò in un miscuglio di senso di colpa e semplice “oddio-mi-ha-scoperto”, facendola ridere. -Non preoccuparti, non c’è alcun problema, non sono arrabbiata né con te né con Hakuryuu, so che eravate preoccupati per me, ma ora va tutto bene.- disse accarezzandogli una guancia, cosa che le permise di accorgersi del suo serrare la mascella.
Sorrise, spostandosi per guardarlo a dovere negli occhi. -Non c’è bisogno che siate gelosi, non ho mica detto che sia sbocciato qualcosa fra noi, solo che per il momento sarebbe brutto se con i prossimi lieti eventi io mi concentrassi sui miei problemi.-
Judal era perplesso: che lieti eventi?
-Non lo sai?-
Scosse il capo -Sapere cosa?-
-Kourin si sposa fra due giorni, per cui siamo stati tutti richiamati a palazzo. Io sono arrivata due giorni fa, Kougyoku ieri sera, tu e Koumei vi siete ripresi giusto in tempo e Kouen dovrebbe arrivare fra non più di un paio d’ore. È un mese che in tutto l’impero non si parla d’altro, si può sapere dove sei stato?-
Judal si dette del cretino: uscito dal dungeon era corso a rifugiarsi a palazzo e non aveva chiesto nulla a nessuno di ciò che era accaduto in sua assenza, rischiando di farsi scoprire anzitempo.
-Kougyoku me ne ha certamente parlato, ma non è che avessi molta voglia di starla a sentire.-
Hakuei assunse un’aria di vago rimprovero per il suo atteggiamento, ma prima che potesse aprire bocca un ruggito bestiale gelò il castello.
-JUDAAAAL!!!-
Al magi si gelò il sangue nelle vene: al diavolo il “prendersi tutte le responsabilità”, Kouen lo avrebbe ucciso.
Sentì dei passi di marcia nel corridoio e per istinto si aggrappò a Hakuei, e quando vide una sagoma fermarsi di fronte alla porta per poco non svenne.
-PERCHÉ NON HAI PORTATO ANCHE ME???-
Kouha entrò come un tornado nella stanza, raggiunto poi da Kouen e Kougyoku. Il magi li guardò spiazzato: perché aveva ancora la testa attaccata al collo?
-Non pensavo fossi in grado di conquistare un dungeon Kougyoku, complimenti.- Kouen non era arrabbiato? Perché? Solo perché non era Hakuei non gli importava nulla della vita della sorella?
-E NON FARE QUELLA FACCIA, PERCHÉ NON MI AVETE INVITATO?-
Scoppiò a ridere, di fronte all’espressione di ceca furia di Kouha.
Gli mancavano alcuni tasselli per capire a dovere cosa fosse successo, ma fintanto che testa e collo rimanevano attaccati poteva togliersi la curiosità più avanti.
 
Quella stessa sera a cena ebbe modo di sapere che, comunque, le sue azioni non sarebbero rimaste impunite: aveva chiesto una vacanza, e l’aveva avuta, ma già che aveva trovato le forze per portare Kougyoku in un dungeon, dopo il matrimonio poteva evocarne un altro da far conquistare a Kouen, ma da far quantomeno visitare anche a Kouha, che da tutta la giornata non lo degnava di uno sguardo, oltraggiato.
Tenne d’occhio Kouen per tutto il tempo, temendo che appena fosse stato solo si sarebbe sfogato a dovere, e quando lo convocò nella sua camera Judal ci andò con un espressione funesta, pronto a tutto, ma l’unica cosa che ricevette fu una pacca su una spalla -Complimenti Judal, hai compiuto un’impresa che credevo impossibile, ora, se sopravvivrai al matrimonio, mi aspetto da te lo stesso impegno per il prossimo.-
Rimase incredibilmente sorpreso, proprio non si aspettava una reazione del genere, ma fu lieto di notare il buon’umore di Kouen, e ancor più di passare la serata in sua compagnia.
 
Come in qualche modo Kouen aveva annunciato il matrimonio fu piuttosto noioso, una lunghissima cerimonia in cui l’officiante non  faceva che parlare di amore e prosperità, quando era la prima volta che i due sposi, una principessina di 18 anni di Kou e il re trentenne di un paese vicino, si incontravano, e a dirla tutta lo sposo a causa del velo non la vide fino alla fine della cerimonia. Quando infine il matrimonio finì Judal era fiducioso li aspettasse un banchetto luculliano, ed invece seguirono alcune ore in cui i principi e tutti gli ospiti del palazzo ripetevano formule di congratulazioni vuote, prendendosi con gli sposi confidenze che non avevano, e lui dovette starsene buono buono ad aspettare, o gli era stato chiarito che se avesse osato in qualche modo interferire ci sarebbero state delle ripercussioni, e in particolare lo sguardo di Kouen sembrava dire percosse.
Dopo tutte le congratulazioni finalmente poterono lasciare la sala delle cerimonie, e Judal si alzò di buon grado per recarsi nella sala dei banchetti, se non che Koumei lo agguantò per una spalla portandolo da tutt’altra parte: prima del banchetto lo sposo e la sposa dovevano recarsi a firmare il contratto di matrimonio ed un trattato che, leggendo fra le righe, poneva il paese dello sposo sotto il controllo di Kou. Questioni di mezz’ora/un’ora al massimo, poi li avrebbero raggiunti nel salone e a quel punto sarebbero potuti andare a pranzare.
Judal per poco si mise a piangere, alle tre di pomeriggio avevano il coraggio di dirgli che doveva attendere ancora: mai più avrebbe partecipato ad un matrimonio, piuttosto meglio il calore!
 
Arrivato nel dungeon Judal si calmò, cercando di dimenticare il magro banchetto fatto di stuzzichini, l’orchestra che suonava e la sfilata, perché dopo il matrimonio gli sposi avevano attraversato la capitale in carrozza seguiti da tutti gli invitati, con tutti gli abitanti della città ai due lati della strada ad applaudire il matrimonio di una principessa di cui non conoscevano nemmeno il volto. Quando alla fine gli avevano chiesto di lanciare un incantesimo qualsiasi che benedicesse la coppia aveva pensato di vendicarsi in qualche modo rovinando loro non la prima note di nozze ma almeno il primo mese, se non che non ne valeva la pena: alla fine, a mezzanotte tonda tonda, lanciò il primo incantesimo amichevole che gli venne in mente, facendo crescere dei fiori sulla balaustra della nave e gli sposi partirono.
Si sforzò di concentrarsi sull’ambiente circostante, un tunnel roccioso che somigliava ad una miniera se non ché non occorrevano lampade per vedere, perché qua e là dei cristalli luminosi e del muschio fluorescente illuminavano la strada. Incontrarono spesso dei mostri dal corpo esile eppure dotati di un’incredibile forza, ma di certo per un possessore di tre djin, un magi ed un principe portato per la guerra come Kouha non erano un problema, al massimo lo era per la delegazione che li accompagnava, ma giunsero alla sala del trono talmente in fretta che i mostri non fecero in tempo a mietere vittime.
Dire che il djin, o meglio la djin, fosse diversa da quelle incontrate in precedenza poteva sembrare una ripetizione, ma c’era davvero una cosa che rendeva difficile non guardarla con tanto d’occhi per Judal: era vestita. Paimon, Phenex, Dantalion, nessuna di loro indossava nulla di più coprente di alcune collane, e invece questa aveva non solo dei veli ma anche un’inusuale corazza a coprirla.
Kouen si fece avanti, ma prima che potesse dire qualcosa la djin buttò fuori il fumo dalla pipa che teneva fra le labbra, chiarendo da subito che non le interessava cosa loro volessero, non sarebbe mai e poi mai diventata il quarto djin di un rubacuori come Kouen, ed in un rapido quanto inspiegabile precipitare degli eventi Kouha guadagnò il suo primo djin.
 
Se c’era una cosa che a Judal non andava troppo giù della sua vita, beh, quella era indubbiamente la Al Saremen, che si ostinava a vantare su di lui diritti che di fatto non aveva, manco fosse un oggetto: senza bisogno di spenderci le giornate a chiacchierare a chiunque appariva chiaro che non erano delle belle persone, ma che perseguivano unicamente i propri obiettivi, senza curarsi minimamente dei sentimenti delle persone.
E questo a Judal in generale andava anche più che bene, benissimo finché non si riferiva a lui, ma appunto la cosa coinvolgeva anche lui, rendendogli quindi quella meschina organizzazione insopportabile.
Forse per questo gli piaceva tanto stare lontano dal castello ti tanto in tanto, ragion per cui il fatto che avessero conquistato il dungeon in meno di sei ore gli risultava insopportabile e probabile spiegazione del perché, sentendo Kouen dire a Kouha che, beh, “ora che possedeva anche lui un djin chi se ne fregava dei 16 anni, poteva pure entrare nell’esercito in anticipo”, decise di accompagnarli almeno per un po’.
Tornare sui campi di battaglia non lo entusiasmò come si era aspettato, in quell’annetto di riposo che si era preso doveva essersi rammollito, ma se non fosse stato per la possibilità di andare nelle tende dei due principi, a sere alterne per non far torto a nessuno, probabilmente dopo neppure una settimana avrebbe rinunciato e sarebbe tornato a palazzo.
Accadde cinque settimane dopo il loro ritorno sui campi, in un’orrida mattinata di pioggia che rendeva il terreno scivoloso e quindi la battaglia difficoltosa, ma soprattutto i capelli di Judal crespi, che Hakuryuu si presentò alle porte dell’accampamento pretendendo di entrare. Non si può dire che l’esercito non si entusiasmò inizialmente vedendo tre dei quattro principi in uno stesso battaglione, ma non appena Kouen andò a prendere Hakuryuu cambiarono idea, notando l’aria truce del loro comandante.
Kouen non fece neppure in tempo a portare il quarto principe nella casupola che usavano per pianificare le battaglie, ed in cui Judal si era rifugiato per ripararsi dall’umidità, che iniziò ad interrogarlo.
-Perché sei venuto qui? Perché non ti sei fatto accompagnare? L’hai almeno comunicato a Hakuei? E a Koumei? Da quando sei interessato a combattere?-
A Judal venne da ridere, ma fu obbligato a trattenersi, perché secondo il suo calendario quella sera toccava a Kouen e se lo avesse in qualche modo deriso gliel’avrebbe fatta pagare, così allungò semplicemente una mano a bloccare Kouen per dare ad Hakuryuu il tempo di rispondere.
-Ho lasciato una lettera a Koumei, Hakuei non era a palazzo per cui non ne sa nulla, non mi sono fatto accompagnare perché so difendermi da solo ed una scorta mi avrebbe rallentato, inoltre non mi interessa combattere…- snocciolò guardando senza timore Kouen, anche quando questi divenne livido dalla voglia di pestarlo e se non lo fece fu probabilmente più per Hakuei che non per Hakuryuu, che dopo averlo guardato negli occhi senza timore per un po’ si apprestò a rispondere all’unica domanda che fino ad allora aveva ignorato, continuando il discorso interrotto in precedenza -… ma nonostante ciò voglio uno strumento metallico.-
Judal smise di osservare con attenzione i propri capelli, scrutando Hakuryuu con curiosità e sforzandosi di non ghignare per la faccia sempre più furente di Kouen, che aprì bocca pronto ad urlare contro al fratellastro tutti i peggiori improperi che gli venivano in mente, se non che Judal lo procedette.
-Potresti sempre avere uno strumento del seguace, perché  vuoi proprio un djin?-
Non è che per Judal fosse un problema evocare un dungeon e condurcelo, tutt’altro, solo era incuriosito dall’autorevolezza che il principino arrabbiato col mondo ma privo di voglia di combattere stava dimostrando.
Hakuryuu sembrò pensarci un secondo, poi assunse un’aria di sfida e guardò fisso Judal, ignorando Kouen.
-In primo luogo è un mio diritto, in secondo non voglio essere l’unico principe a non possedere un djin.-
Kouen ringhiò frustrato e anche Judal guardò il principe deluso: davvero? Non che gliel’avrebbe negato, ma davvero desiderava un djin per motivi così futili? Quando riprese a parlare Kouen sembrò valutare di prenderlo per l’orecchio, caricarlo a forza su un cavallo e rimandarlo a palazzo, se non che questa volta il principe fornì una motivazione molto più valida. -E voglio sconfiggere la Al Sarmen.-
A sentire quelle parole Kouen indossò la sua solita maschera apatica, ma Judal scoppiò a ridere. Nessuno sapeva del suo astio nei confronti dell’organizzazione, cosa faceva credere ad Hakuryuu che lo avrebbe aiutato? Oh, lo avrebbe fatto, ma volle almeno divertirsi un po’.
-Cosa ti fa credere che ti aiuterò a distruggere la Al Saremen, l’organizzazione che mi ha cresciuto?- chiese guardando Hakuryuu con espressione beffarda per rendere la sua recita credibile: si aspettava che Hakuryuu vacillasse o avesse qualche ridicola reazione, ma non accadde nulla di ciò.
-Il fatto che tu non mi creda capace di dar seguito alle mie parole, per cui non vedi in me una minaccia, e consideri osservare una mia battaglia con quella gente un potenziale intrattenimento.- lo guardò senza timore, ma anzi con sfida, gli occhi chiari carichi di decisione, e quando staccò lo sguardo da lui non lo fece per paura, solo per andare a dare ordine di preparare le provviste per il viaggio.
Judal rise, ignorando lo sguardo truce di Kouen: in teoria avrebbe dovuto porre ancora la domanda del “perché vuoi sconfiggere la Al Sarmen?”, ma a palazzo tutti i principi, o almeno tutti quelli maschi, sapevano di come fosse stata al Al Sarmen ad uccidere il precedente imperatore ed i suoi due primogeniti, e non aveva dubbi che se davvero Hakuryuu avesse dato il via ad una simile battaglia avrebbe trovato parecchia gente che lo avrebbe sostenuto, sebbene per motivi diversi, sicché magari ci sarebbe voluto del tempo, ma era cosa certa che la Al Sarmen sarebbe stata sconfitta, e trucidati i membri sarebbe stato il turno di Gyokuen.
Si alzò, battendo una mano sulla spalla a Kouen.
-Assicurati che non gli succeda nulla.-
Si fermò, poi si girò a guardare il truce principe con un sorriso di scherno. -Se non ti conoscessi bene direi che c’è qualche motivo speciale per cui tieni molto alla sua incolumità, tipo Hakuei, ma so che sei un cazzone a cui non interessano certo le donne.-
Dovette correre per evitare le fiamme. Ok, se anche si fossero fermati quella notte prima di partire era meglio non andare da Kouen o l’indomani non avrebbe potuto muoversi, causa un atroce mal di culo dovuto ad un’eccessiva attività sessuale la notte precedente.
 
Alla fine Hakuryuu e Judal erano partiti alle prime luci dell’alba a bordo di un tappeto volante per non doversi preoccupare dei cavalli, andando ad evocare il dungeon su un’isoletta disabitata. Viste le esperienze avute con Dantalion e Phenex portarono con loro zaini pieni di cibo e un paio di coperte, e dopo che Judal riuscì a scaricare la sua parte di bagaglio al principe, entrarono.
Benché attraversarono il portale nello stesso momento arrivarono separati, e al suo arrivo Judal trovò Hakuryuu a parlare con un buffo djin simile ad un fiore.
-Hakuryuu, ma davvero? Vuoi farmi credere che hai conquistato il djin prima ancora che io arrivassi?-
Era un po’ offeso, lui voleva combattere mostri, fare sfoggio delle sue abilità, mantenere la promessa fatta a Kouen e proteggerlo, e lui faceva tutto da solo così in fretta?
-No- disse guardando la materializzazione del djin sparire disinteressato -quel pavone è venuto solo a dirmi che non ha intenzione di avere un padrone, per cui farà del suo meglio per ammazzarci. Forza Judal, mettiamoci in marcia.-
Da quando era così freddo? E perché quel disprezzo del pericolo e quella cieca determinazione lo rendevano così sexy? Gli era così difficile rinunciare al sesso dopo un mese in cui ogni sera aveva un alpha?
Con una certa difficoltà staccò gli occhi dal culo del principe e gli trotterellò accanto. Beh, rischiava la morte a chiedergli così di punto in bianco di scopare, ma se avesse trovato una qualche buona scusa forse…
Ghignò. Si sarebbe divertito.
In un primo momento il dungeon fu un grazioso boschetto, le cui creature alla loro vista scapparono, poi iniziarono a presentarsi mostri sempre più forti ed aggressivi, e Judal cercò di sfruttare la cosa, ma senza successo.
Faceva del suo meglio per abbattere i mostri ma magari inciampare accidentalmente addosso a Hakuryuu, o per sbaglio gli camminava davanti e dal nulla si piegava per guardare un’orma, ma il principe proprio pareva non capire. Che diavolo, aveva pur sempre anche lui 14 anni e mezzo, possibile non sentisse il richiamo degli ormoni? Ok, sapeva che fosse più interessato alle donne che non agli uomini, ma ehi, rifiutava le donne che l’imperatore gli mandava, dove traeva tutta quella forza d’animo? Ed era forza d’animo o innocenza? Possibile non avesse notato i suoi palesi inviti?
-Senti- Judal saltò come una molla e si girò a guardare il principe -cosa ne pensi davvero della Al Sarmen?-
I suoi sogni a luci rosse si infransero.
-Non vanno particolarmente a genio neppure a me.- rispose laconicamente riprendendo la marcia.
-Perché non mi aiuti quando scoppierà la guerra? Tu sei obbligato a stare con noi in quanto “adepto” di quell’organizzazione, se venissero sconfitti saresti libero.-
Il magi sorrise: non è che gli dispiacesse l’idea di ribellarsi alla Al Sarmen, ma il ruolo di gran sacerdote in realtà gli faceva pure comodo, non aveva la minima intenzione di andarsene.
-Ci penserò.-
 
Alla fine, Judal ottenne ciò che desiderava, sebbene con fatica, e in realtà ancora se ne chiedeva il motivo.
A un certo punto erano arrivati a vedere in lontananza la sala del trono e dal nulla era riapparso il djin. Judal si era avvicinato a lui con scioltezza, ma Hakuryuu, memore forse dell’avvertimento che il djin gli aveva dato all’ingresso del dungeon, si parò davanti al magi, iniziando uno scontro con il djin che non fu né equo né leale, ma quando Judal cercò di aiutarlo venne spinto indietro.
Aveva un po’ di timore a guardare il principe scontrarsi da solo con quel cocciuto djin, e quando Hakuryuu cadde e batté la testa contro una parete non resistette più e corse in suo aiuto, disperdendo il magoi nell’aria così da impedire la materializzazione di quel demonio, correndo in soccorso del principe. Kouen lo avrebbe ucciso.
Usò tutti gli incantesimi di guarigione che gli vennero in mente, perfino un paio contro i dolori mestruali per non farsi mancare nulla, e quando il principe rinvenne ignorò l’espressione truce che aveva in volto, tirando un grosso sospiro di sollievo. Il fatto che due minuti dopo Hakuryuu lo tenesse con il busto attaccato ad una parete e cercasse di mordergli il collo, ripiegando sulla spalla a causa del collare, non intaccò affatto la gioia di Judal nel vedere il principe calargli le braghe.
Se al principe fossero rimaste delle cicatrici o banalmente se Kouen lo avesse scoperto, Judal non dubitava che ne avrebbe prese parecchie, ma al tempo stesso confidava nel fatto che Hakuryuu non fosse propenso ad ammettere di essere stato sconfitto, per cui si godette il momento, senza dare il minimo peso ai morsi e ai graffi che si moltiplicavano con velocità allarmante.
 
Quando spalancarono le porte i due si presentarono pronti a combattere per ottenere quel malefico strumento del seguace, a costo di soggiogarlo con la forza, ma non fu necessario, perché a sorpresa il djin si presentò loro come Zagan, custode di lealtà e purezza, ed accettò senza troppe storie di sottomettersi ad Hakuryuu, stabilendosi nella sua lancia dopo aver offerto ai due degli unguenti per curare i lividi, guardandoli con espressione ambigua. Il pensiero che sorse a Judal fu che se per farselo amico bastava offrirgli un po’ d’intrattenimento si sarebbe mosso prima per offrirgli un triangolo, ma accantonò l’idea spalmandosi gli unguenti sotto gli occhi maliziosi di quel pavone blu, giusto per evitare che le ferite si infettassero, ma senza curarle con la magia: evidentemente era masochista, ma quei morsi gli piacevano.
 
Usciti dal dungeon riapparvero sull’isoletta deserta e la prima cosa che fece Judal fu chiamare Koumei a palazzo per capire quanto tempo aveva prima di finire bloccato dal calore e scoperto che gli mancavano ancora due mesi propose ad Hakuryuu di restare lì ad allenarsi con lui per arrivare a padroneggiare la magia mutaforma in un tempo minore, e il principe accettò di buon grado.
Per un mese restarono lì, isolati dal mondo, cacciando uccelli, pescando pesci e raccogliendo frutta dalla natura, o meglio, dai semi che loro sessi avevano piantato: un djin come Zagan aveva poteri affascinanti, di difficile utilizzo in battaglia allo stato grezzo, ma valeva la pena di dargli una possibilità ed esercitare al meglio le sue capacità, per cui in un mese scarso piantarono tutti i semi che riuscirono a trovare e il principe li fece crescere tutti, trasformando l’isolotto in una giungla. Una magnifica giungla dove di sera battezzavano i nuovi alberi cresciuti durante la giornata.
Eppure, per quanto fu molto divertente, dopo un mese Hakuryuu e Judal raccolsero i semi di alcuni incroci che avevano creato loro e saliti sul tappeto volante fecero ritorno al continente. Vedendo i campi di battaglia scorrere sotto di loro Hakuryuu ebbe come un’illuminazione e chiese a Judal di accompagnarlo dalla sorella, e dopo essersi lamentato a lungo che “gli allungava il viaggio così”, alla fine il magi lo accontentò, ma dopo averlo scaricato in prossimità dell’accampamento preferì tornare immediatamente a palazzo.
Come da tradizione per prima cosa andò in biblioteca a cercare Koumei per avvisarlo del suo rientro, ma non lo trovò seduto al suo solito scranno, vedendo però Kougyoku in un angolo poggiata contro un muro in consultazione. Non era Koumei, ma magari sapeva dirgli dov’era.
Si avvicinò alla principessa, ma prima che potesse proferire verbo lei alzò la sguardo su di lui e le si illuminarono gli occhi, come a un predatore in piena caccia, e un brivido attraversò Judal, che valutò di lasciar perdere, girare le spalle e andarsene.
-Judal, quindi alla fine Koumei ti ha richiamato!-
Il magi la guardò torvo: perché avrebbe dovuto farlo?
-Gli ho chiesto a lungo dove fossi, avevo bisogno di parlarti.-
Non era cosa comune vedere le ben educate principesse di Kou esternare a quel modo il loro entusiasmo, e in particolare Kougyoku non era mai stata una di quelle che quando non erano sotto l’occhio critico di qualcuno si lasciava andare a slanci d’affetto o atteggiamenti privi di grazia, quindi perché in quel momento appariva così concitata e non gli lasciava più la mano? Quel cambiamento repentino lo spaventava, e non poco.
-Che fine ha fatto Koumei?-
Allontanò brevemente una mano da quella di Judal per agitarla con noncuranza -Non riusciva a contattare Hakuei per avvisarla che fra un mese ci sarà un matrimonio per cui è andato sul campo di persona per avvertirla.-
Il magi parve valutare di chiedere direttamente a Kougyoku cosa le prendesse, ma prima che potesse farlo vide l’entusiasmo sparire dal volto della principessa con la velocità di un battito di ciglia e la sua faccia farsi seria, senza che però lasciasse la sua mano.
-Desidero parlarti.-
Sempre più intimorito dagli sbalzi d’umore della ragazza Judal annuì, ma lei diede segno di disagio finché non le propose di spostarsi in una delle loro stanze, e in particolare tornò a saltare dalla gioia quando Judal accettò di farla entrare nella propria camera.
Vi si diressero senza attendere altro, e forse per il rischio di incrociare qualcuno, ma finché la porta non fu chiusa alle sue spalle Kougyoku tornò ad essere la solita principessa rispettosa dell’etichetta. Che poi a ben pensarci non era stata proprio sempre sempre ligia all’etichetta, perché la conquista del dungeon dimostrava che…
-Voglio restare incinta.-
A Judal quasi prese un infarto. Come? Cosa? Quando? Perché? Ma soprattutto, chi?
Cosa era successo mentre lui era via?
-Kougyoku, che ti prende?- per quello era così allegra prima? Perché si era innamorata? A quanto Judal aveva capito il matrimonio non era il suo, quindi perché tanto entusiasmo? Era felice per lei, ben inteso, ma la sua posizione di principessa di Kou non le concedeva di sposarsi con chi più le pareva, possibile non se ne rendesse conto?
E fra tutti, perché ne parlava proprio con lui?
-Sono felice per te, anzi per voi, ma non è che io sappia come aiutarti…-
L’entusiasmo della principessa non venne minimamente intaccato, al contrario le sfuggi una risatina -Voi chi?-
A quella domanda Judal piombò in confusione: cosa cavolo cercava di dirgli?
Vide Kougyoku portare una mano sulla sua guancia, ma era troppo concentrato a dare un senso alle sue parole per badare ai suoi gesti, almeno finché la ragazza non fu a un soffio dalle sue labbra -Judal, fa un figlio con me.-
A sentire quelle parole si svegliò dallo shock e trovò le forze per afferrarle le spalle e allontanarla dalla proprie labbra.
Avrebbe voluto essere arrabbiato, ma più che altro era ancora confuso: gli erano arrivate le intenzioni della principessa, forti e chiare, ma ancora non gli era chiaro il motivo.
-Kougyoku, spiegami che stai dicendo.-
Sospirò, rassegnata, poi assecondò la richiesta di Judal decidendosi a spiegare.
-Cosa ne hai pensato del matrimonio? Insostenibile vero?-
Per quanto Judal fosse seccato dal divagare di Kougyoku mugugnò il suo assenso, osservando il modo in cui la principessa continuava a torturarsi le mani.
-E ti sei mai chiesto cosa ne pensasse Kourin?-
Judal la guardò un attimo spaesato prima di capire che Kourin era evidentemente il nome della principessa che si era sposata, e scrollò le spalle in un evidente “No” di fronte al quale lo sguardo di Kougyoku si fece mesto.
-… non ricordi neppure come si chiamava…-
Lo sguardo di Judal se possibile si fece ancora più stranito: era solo una principessa da marito, che c’era di male se…
-Non vuoi essere come loro…-
-Hai indovinato- rispose con espressione sofferente, gli occhi liquidi nello sforzo di trattenere le lacrime -Vedi, a Kou ci sono ben otto principesse e quattro principi, e la cosa è una bella opportunità. I matrimoni sono da sempre uno dei migliori sistemi per legare due parti in conflitto, e Kou sfrutta alla grande la cosa, dando in moglie le proprie principesse a uomini che siano validi alleati per l’impero per lasciare libertà ai principi, che si ritiene siano gli unici in grado di contribuire alla crescita del paese.-
Si fermò un attimo, passandosi una delle ampie maniche sugli occhi per tamponare le lacrime che premevano per uscire.
-Ho voluto conquistare un djin nella speranza che Kouen e Koumei vedessero in me più di una principessa da marito, speravo che iniziassero a considerarmi non dico loro pari, però almeno non un oggetto. Volevo solo una possibilità di dimostrare quanto valgo.-
Le sfuggì un singhiozzo, ma proseguì imperterrita il discorso. -Ma non ha funzionato. Per salvare le apparenze è importante che una delle principesse abbia libertà di scelta, ma non serve che sia più d’una, ed è palese che sarà Hakuei.-
Dirle “ma che dici, non è vero!” non sarebbe servito a nulla, perché purtroppo Kougyoku stava semplicemente esprimendo la realtà dei fatti.
-Sai il matrimonio di cui ti ho fatto un accenno prima?  La principessa che si sposa ha tre mesi più di me. Il fatto che io abbia conquistato un dungeon conta ben poco, al massimo mi terranno per ultima, ma non cambia il mio destino.- aveva smesso da un po’ di trattenere le lacrime, per cui quando alzò lo sguardo su Judal gli occhi apparvero gonfi ed arrossati.
-Ci hanno addestrate ad essere mogli ideali, sappiamo tutte cantare, ballare e cucinare, ma io vorrei poter essere libera, qualcosa di più di una regina-madre, io voglio combattere per Kou.-
Non era un tipo facilmente emozionabile Judal, per niente, però aveva freddo per cui ritenne comodo andare ad abbracciare Kougyoku.
-Ma c’è una condizione ovvia che pongono i re, talmente ovvia che non viene mai neppure menzionata: ogni futura regina deve arrivare vergine al matrimonio. Se avessi un figlio ora, io…-
Al diavolo, il discorso di Kougyoku fu straziante, perfino per un bastardo come Judal, tanto che alla fine la accontentò, valutando che lei non voleva un padre per suo figlio né tantomeno voleva un figlio, desiderava soltanto un modo per restare, e l’unico modo che aveva era un bambino. E non lo voleva fare sesso con lui né avrebbe voluto farlo con altri, glielo si leggeva negli occhi, però lo fece lo stesso.
Per seguire un suo sogno.
Per essere libera.










Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte:
ok, dopo questa cosa che è cinque volte i capitoli normali, alcune note sono d’obbligo.
Dunque, un capitolo in cui Judal narrava il suo passato prima o poi lo avrei dovuto fare, e se lo avessi fatto tenendo dento anche i generali sarebbe stato senz’altro più breve, però sarebbe stato molto meno coinvolgente, credo, per cui ho scelto di fare un lunghissimo flash back…
E quando avevo appena iniziato a scriverlo la mia beta aveva letto la parte di introduzione, ed era partita con i coretti “angst, angst, angst” e l’ho voluta accontentare… è stato faticosissimo!!!!!
Però è venuto bene (e grazie al cielo, ci sono stata su 10 giorni per scriverlo!)


Poi, per i sintomi del calore ringrazio sempre la mia beta, che quando l’ha letto mi fa “hai preso il mio ciclo per fare il calore di Judal?” quand’ho annuito ha detto che proverà ad ubriacarsi e se funziona me lo dice così faccio brevettare il metodo XD


Il compleanno di Judal fissato il primo giugno è autobiografico, poiché Ohtaka non ha detto nulla e mi andava, fatevene una ragione, qui è così…
Inoltre, cosa che non è vitale ma ci sono rimasta un po’ di sale quando l’ho letta e poi ho pensato a ciò che io volevo scrivere: Kouen e Koumei non sono fratellastri, sono proprio fratelli-fratelli!!! Altro che incesto!
Ho cercato di tenere età e fatti allineati, di modo che l’incendio in cui sono morti Hakuyuu e Hakuren (citato da Koumei) è davvero avvenuto quando Hakuryuu aveva 6 anni e quindi rispettivamente Kouen 16, Koumei 14, Kouha e Kougyoku 7. Allo stesso modo, è vero pure che fino ai 9 anni, ossia quando Koubun Ka è diventato suo attendente, Kougyoku era una timida principessina. In sintesi, apprezzate il fatto che io lavori come un mulo per tenere i dati corretti (scherzo, giuro, è solo masochismo mio), e se vi interessa sapere che l’hobby di Koumei è nutrire piccioni cercate “Magi characther wikia”, è in inglese ma se lo capisco io può farcela chiunque abbia un briciolo di conoscenze, davvero.
 

* E ultima cosa, un giochetto per testare le vostre proprietà lessicali:
-Io…- Judal esitava, e se esisteva una cosa che faceva andare su tutte le furie Kouen era l’indecisione. Fu probabilmente per quello che decise di aiutarlo a prendere una decisione, e nessun metodo si prestava meglio che trascinarlo in un morbido tratto erboso e approfittarsi di lui/lavorarselo/raggirarlo.
Vi spiego: questo passaggio è stato scritto con una certa difficoltà, che arriva al culmine in questa frase. Il gioco è stabilire quali fra le tre espressioni chiarisce meglio il dissidio interiore di Judal e pure che neppure è uno stupro… se avete altre proposte sono ben accette, ma anche lavorandoci in tre linguisti (le figure ideali per una cretinata simile XD) non abbiamo trovato una soluzione che ci soddisfacesse appieno…
Hoshi

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Capitolo 22
*** Capitolo 20: Uno di famiglia ***


UNO DI FAMIGLIA

 

Durante tutto il racconto nessuno osò interrompere Judal, ma non appena questi si fermò Pisti esplose in un -Vuoi dire che ti rivogliono indietro solo come giochino sessuale? Che gran figli di buona donna!- venendo rimproverata da Spaltos.
-In buona parte ti direi di sì- ammise semplicemente il magi, tenendo lo sguardo sul piccolo principe che da un po’ dormiva beato sul suo grembo. Non aveva omesso nulla (beh ok, le descrizioni degli atti in sé sì) ne aveva mentito, ed era certo della sua scelta, ma temeva che il suo passato da casanova, o per essere proprio precisi da puttana, potesse far cambiare idea alle persone che ora lo avevano accolto, eppure… meritavano di sapere, semplicemente.
Eccezion fatta per la spontanea uscita di Pisti, nessuno dei generali emise un fiato, in attesa del verdetto di Sinbad e Ja’far, decisamente più coinvolti nel racconto di quanto non lo fossero loro, e infine Sinbad si staccò dal muro per andare accanto a Judal e piegarsi alla sua altezza, prendendogli il mento con due dita per farsi guardare, l’espressione seria, ma prima di proferir parola lo osservò un attimo.
-Beh, li potrei pure capire.- disse aprendosi in un sorriso, e Ja’far lo fulminò, iniziando a urlargli contro tutti gli improperi che gli venivano in mente, finché non si accorse della risata di Judal, ma per buona misura tenne Sinbad legato a testa in giù a frollare per un po’.
-Devi averci perso il cervello un pezzettino per volta in quei dungeon.- disse fra le lacrime il magi, ancora piegato in due dalle risate e forse in parte anche dal dolore al costato.
Ja’far guardò il proprio alpha, poi senza il minimo avvertimento lo liberò, facendogli battere la testa.
Judal sogghignò, cullando appena il piccolo che continuava a dormirgli in braccio grazie al consueto incantesimo silenziatore, sorridendo a Ja’far con aria ancora dubbiosa, visto che formalmente lui non si era ancora espresso.
-Poco prima che scoprissi di essere incinto Hakuryuu ha attuato il piano di anni fa e sfidato la Al Sarmen: ha perso un braccio, ma metà dell’organizzazione o più è stata sconfitta, solo che formalmente al potere siede ancora sua madre. Penso che fra le altre cose mi vogliano lì per poterli aiutare nella lotta contro quella gente, però…- scosse le spalle, non sapeva neppure perché avesse iniziato a parlare, forse semplicemente il silenzio lo disturbava…
-Judal, come vanno le ferite ?-
Apprezzava che Ja’far si preoccupasse per lui, non aveva mai osato sperare tanto, però non era ciò che voleva in quel momento, in quel momento voleva… beh non lo sapeva esattamente, ma di certo non quello.
Judal annuì per riassicurarlo, riabbassando il capo per evitare il suo sguardo, e senza che se ne accorgesse Ja’far si pose davanti a lui, abbracciandogli il capo e stringendoselo contro la pancia, ora tornata pressoché piatta. Gli accarezzò i capelli sfuggiti dalla consueta ordinata treccia, sussurrando qualcosa che non udì, o forse semplicemente, soffiando per cercare di calmarlo -Va tutto bene, va tutto bene, tranquillo.-
Per tutto il tempo del racconto non si era soffermato sulle sue emozioni nel rivivere tutti quegli eventi e nemmeno in quel momento si era abbassato a chiedersi cosa gli facesse provare l’aggressione sventata quella mattina, ma vedendo davanti agli occhi solo il tessuto bianco e sentendo il calore di Ja’far raggiungerlo iniziò silenziosamente a piangere, sfogando lo stress e la paura, concentrato sulla mano che continuava ad accarezzargli i capelli delicatamente, senza fretta, lasciando che si sfogasse.
-Non aver paura.- soffiò piano Ja’far nel tentativo di calmarlo, guardando Sinbad avvicinarsi e sedersi al fianco di Judal per accarezzargli delicatamente la schiena.
-Sai Judal, un tempo sono stato uno schiavo, e quando sono tornato ad essere a capo della compagnia commerciale Sinbad avevo ancora una paura blu, non riuscivo a godermi ciò che avevo… tu non l’hai mai conosciuta, ma se fosse qui, ora indubbiamente Rurumu ti direbbe ciò che disse a me allora: “ieri è storia, domani è un mistero, ma oggi... è un dono. Per questo si chiama presente.”-
Hinohoho annuì, sorridendo a vedere l’affetto con cui la moglie era ricordata -“Sta a noi imparare ad essere felici.”-
-“E non è facile, no davvero, anche essere felici richiede energie, ma ne vale la pena.”- continuò Dracoon, e Masrur concluse -“Non puoi e non devi cancellare il passato, perché ti ha reso ciò che sei. Per noi non è irrilevante ciò che hai vissuto, ma non ti giudichiamo su quello, noi ti vediamo per come sei ora”.-
-E ti amiamo tutti.- dissero praticamente in coro i generali e a Judal scappò una mezza risata, seguita da un singhiozzo. Spostò Robin poggiandolo sui cuscini accanto a sé, senza che il principino si svegliasse, alzando un braccio per abbracciare Ja’far e l’altro per stringere Sinbad, trovandosi in piedi un minuto dopo, la testa poggiata ancora sulla spalla di Ja’far ma stretto da tutti i generali.
-Te l’abbiamo detto al porto: non ti lasceremo più andare, il tuo passato non cambia le cose.-
 


 
******************
Passarono il resto della pomeriggio così, a coccolare lo sconsolato Judal cercando di infondergli tranquillità, e solo verso sera, quando lo videro sufficientemente tranquillo, si azzardarono a proporgli di controllare lo stato effettivo della salute sua e del piccolo, chiamando a palazzo la ginecologa.
Si erano tutti in buona parte ripresi dallo shock del pomeriggio, ma indubbiamente la visita della maga aiutò a migliorare il loro umore.
-Dunque sentiamo, cosa c’è questa volta? Una nuova gravidanza? Un altro neonato abbandonato dalla madre? Non mi dica che era per fare un controllo tanto per, perché non amo essere disturbata durante il tempo libero, e capisco la gioia dell’essere genitori, ma-
Le risate dei generali la fecero inviperire non poco, e con buona probabilità se Ja’far non si fosse mantenuto serio spiegando subito la situazione sarebbero volate fior fior di magie offensive, invece semplicemente individuò Judal tornare dalla cucina con un pesca in bocca e Robin in braccio e lo squadrò con occhio critico, facendogli segno di guidarla dove preferiva essere visitato.
-Senta, avrei una richiesta.-
L’espressione della maga si fece indagatrice, preoccupata forse, ma sentendo “è possibile farla qui?” annuì. Che c’era di difficile?
Quando Judal si stese sul divano i generali fecero per levare le tende, se non che vennero richiamati -Non voglio obbligarvi, ma se volete restare- non finì la frase, perché prima che potesse farlo Yamuraiha era seduta sul bracciolo ai suoi piedi, Sharrkan e Masrur alle spalle della maga, Dracoon, Saher, Hinahoho ed i figli dietro la testata del divano, Pisti gli faceva segno di alzare la testa per sostituirsi al cuscino e Spaltos si sedette sul divano adiacente. In pratica erano rimasti fuori dal cerchio solo Sinbad e Ja’far, che con nonchalance si sedettero ai suoi piedi, in attesa della visita.
-Sentite- lo sguardo di Irene lanciava fulmini e saette, pareva cercare il modo migliore per trucidarli tutti per quella presa di libertà -si può avere della malva e del miele?- terminò, lasciando trapelare come volesse essere conciliante, ma se fosse dipeso da lei, li avrebbe anche uccisi.
-Ce ne sono in cucina, terzo scaffale in alto per la malva e credenzone, anta centrale, seconda fila, per il miele.- rispose Judal, prima di interrogarla per scoprire l’utilizzo delle due cose, a cui la maga rispose scuotendo le spalle, spiegando come semplicemente dopo la visita gradisse essere ricompensata per l’incomodo e come avesse voglia di una bevanda calda e che l’aiutasse a recuperare le energie. Il gruppo, Judal e Yamuraiha in testa, la guardarono male: ok, un incantesimo poteva richiedere energie, ed in effetti le tisane erano utili per rimettersi in forze, ma non stava esagerando un po’?
-Che ci crediate o meno, visualizzare l’immagine di un bambino senza l’aiuto di strumenti magici particolari è piuttosto complicato, ma immagino che non ci rinuncerete facilmente.- rispose piccata, guardando le loro facce stralunate: davvero avrebbe mostrato il bambino a tutti loro? Speravano solo di sentirsi dire se andava tutto bene, erano incredibilmente contenti che Judal li avesse accettati in un momento comunque piuttosto privato, non chiedevano nulla di più, però, se gli veniva offerto a quel modo…
Respirando profondamente per non farsi innervosire da quella piccola (ma nemmeno troppo) folla, la maga si avvicinò al divano estraendo la bacchetta dalla manica e iniziando a passarla sulla pancia di Judal. Per un paio di minuti non fece altro che continuare a passargliela sul ventre, così che inevitabilmente tutti si preoccuparono.
-Sano come un pesce.- disse dal nulla -Il battito è perfetto, sta crescendo una meraviglia.-
-In bianco e nero, la prego!- si ricordò d’improvviso Judal sollevando di scatto la testa dalle gambe di Pisti e quasi urlando per timore di non fare in tempo, facendo ridere di gusto Sinbad e Ja’far al ricordo.
La maga sorrise, fingendo un espressione di sorpresa per la richiesta, poi spiegò loro come più che altro pensava di ricreare un immagine tridimensionale del bambino mediante dell’acqua, se erano disposti a portargliene quattro o cinque litri, e Ja’far dovette urlare a Masrur ed Hinahoho di lasciar stare la vasca per evitare che i due la riempissero e trascinassero in salotto, mentre il resto del gruppo si affrettava a riempire qualsiasi cosa d’acqua.
Pisti, Judal, Ja’far e Irene risero parecchio vedendo tutta quella gente affaccendarsi con ciotole, bicchieri, portapenne, anfore, … a lavandini, rubinetti, soffioni della doccia o correre verso Yamuraiha perché lei richiamasse acqua con cui riempirli. In due minuti neppure in salotto ci furono come minimo un centinaio di litri d’acqua, e Ja’far quasi valutò come sarebbe stato meglio lasciare che Dracoon ed Hinahoho riempissero la vasca che doversi poi trovare a sistemare quel macello, ma lasciò perdere osservando la maga strofinare velocemente le mani fra loro, per poi poggiare la mano con bacchetta a palmo pieno sulla pancia di Judal. Recitò un paio di formule, e parte dell’acqua raccolta nelle vicinanze cominciò a fluttuare sopra la pancia di Judal, andando a riprodurre la sagoma del piccolo, in un’imitazione fedelissima.
Il moto di sorpresa di tutti fu sincero, nessuno si aspettava un portento del genere, e vedendo i più giovani degli Himchack allungare una mano per toccare la figura fluttuante, Irene sorrise, annuendo col capo per accordare loro il permesso di fare pure, osservando al contempo con un sorriso luminoso gli sguardi lucidi dei presenti. Ecco, per quello amava il suo lavoro.
-Se volete giunti al quinto mese è possibile sapere il sesso.- disse pacatamente, vedendo il gruppo dividersi a metà, chi con un’espressione estasiata chi orripilata. Osservando Yamuraiha tirare i capelli a Sharrkan che per comparazione le tirava le guance, Dracoon e Kikiriku litigare con il padre ed i fratelli, Spaltos e Masrur combattere una guerra di sguardi contro Saher e Pisti, Judal strillare contro Sinbad e Ja’far, si domandò quanto la sua proposta fosse stata appropriata.
Poi un movimento catturò l’attenzione di tutti. Ci fu un secondo di silenzio, poi di nuovo. pum. Attesero tutti allibiti, fissando la riproduzione d’acqua. pum. Possibile che si muovesse?
-Non l’avevate capito? È una copia in tempo reale del bimbo, tutto ciò che fa il piccolo l’acqua lo imita.-
Gli sguardi dei generali si fecero sospettosi, poi abbassarono lo sguardo sul viso di Judal: no, a giudicare dalle lacrime che gli correvano lungo le guance, la mano a carezzarsi il ventre, non era uno scherzo.
Per cinque minuti ancora Irene portò pazienza, mantenendo con le sue forze l’immagine, poi si stancò e troncò l’incantesimo, troncando l’atmosfera magica e riportando i generali bruscamente alla realtà, mentre Sinbad, Ja’far e Judal ancora si attardavano nel mondo dei sogni, le mani di tutti e tre poggiate sul ventre di Judal per sentire i calci del piccolo.
-Verrà su parecchio vivace.-
-Basta che dorma la notte.-
-Oh, beh mal che vada ci divideremo i turni.-
-Quali turni? Col cavolo, occupatevene voi, io la notte voglio dormire!-
-Sei il padre, dai venti minuti all’inizio poi non fai nulla per nove mesi, il minimo è che lo segui tu!-
-Ohi adesso piano coi termini, è normale che siano le madri ad occuparsene dopo la nascita già che lo hanno fatto per nove mesi.-
-Sinbad guarda che le prendi! Già fai poco con Robin, non pensare neppure di-
Una risata cristallina li fermò. -E voi vorreste nascondere al popolo di chi è il principino di là? Vi consiglio di fare qualche buon corso di recitazione!-
Ja’far si gelò a guardare Irene, che per tutta risposta sorrise, promettendo di tenerlo per sé, e presa una generosa tazza di malva se ne andò, seguita a breve distanza dai generali.
 
 


Rimasti soli, Sinbad, Judal e Ja’far si guardarono. Ok. Una persona estranea, che in realtà non conoscevano, ora sapeva del genere secondario di Ja’far. Oddio. Oddio.
-Ohi, ho sonno, andiamo a letto.- arrivò provvidenziale Judal a sottrarre Ja’far dalla cappa di terrore in cui stava crollando, stropicciandosi un occhio, sempre tenendosi Robin stretto al petto e avanzando verso la camera da letto. La loro camera da letto.
-Intendi tenere qui Robin a dormire?- domandò Sinbad dirigendosi verso il bagno per lavarsi velocemente prima di raggiungerli, e Judal annuì, poggiando il piccolo sul letto.
-Non lo viziare Judal o poi non riusciremo mai a rimetterlo nella sua culla.- obiettò Ja’far osservando il figlio dormire con un’espressione di relax in volto.
-Solo per questa notte. Andiamo, sarà un eccezione, giuro che domani lo lascio su, ma almeno visto che questi giorni sono stati pesanti per tutti e anche voi siete stanchi non dovrete fare avanti e indietro in piena notte. Lo tengo io, giuro, non correrai il rischio di finirgli addosso e-
-Va bene Judal, va bene, tranquillo, ma solo per oggi eh.- concesse Ja’far, capendo come Judal lo volesse assolutamente lì quella notte evidentemente per paura di svegliarsi e scoprire che era stato tutto un sogno, che Kou lo aveva rapito e che il bimbo che portava in grembo era morto. Come avrebbe potuto negargli quella sicurezza? E per cosa poi? In fondo, anche a lui era mancato passare del tempo con suo figlio.
Con assoluta scioltezza diede le spalle a Judal, sfilando il vestito da lavoro e indossando la vestaglia, entrando sotto le coperte, osservando Judal che dopo un attimo di esitazione sfilò il top e i pantaloni buttandoli su una poltroncina e con solo i boxer addosso gattonò per raggiungere il suo posto.
-Non avrai freddo?-
Scosse le spalle, perché in effetti fino ad allora aveva sempre preso una delle magliette di Sinbad per dormire. -Non penso, ed alla peggio posso sempre attaccarmi a Sin, è una stufetta umana!-
-Rischio di darti calci e ti si devono ancora rimarginare bene tutti i lividi, meglio se eviti.- commentò pacato la stufa, andando a sdraiarsi al suo posto senza dire altro, ma dopo he si fu sdraiato sembrò ricordare qualcosa, perché si sollevò su un gomito, sporgendosi verso Judal a baciarlo, per poi guardare Ja’far, che con uno sbuffo divertito accettò, in via del tutto eccezionale, il bacio della buonanotte.
In fondo, non aveva motivo di imbarazzarsi, Judal non era più un estraneo, ma uno di famiglia.
-Buonanotte.- disse guardandolo negli occhi prima di spegnere la luce, rosso pomodoro all’idea di dare un bacio anche a lui. Per gradi. Uno di famiglia, ok, ma con calma.
Ridacchiando, Judal spostò una mano fino a raggiungere quella di Ja’far per intrecciare le dita. C’era tempo per tutto. Una vita intera.
Per ora gli bastava dormire così, le mani di tutti poggiati sulla sua pancia nella speranza di sentire altri movimenti.
Solo quella sera tardi, quando furono belli che addormentati, sorse loro una domanda: “ma quindi, è maschio o femmina?”
 









Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte:
ok, mi sto appassionando alle visite ginecologiche, per cui volevo infilarcene una e comunque dopo un pestaggio era importante, e i generali partecipano, come tante brave suocere.

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Capitolo 23
*** Capitolo 21: Problemi e Problemi, sempre problemi ***


Problemi e Problemi, sempre problemi

 

Nota preliminare: trovate un link nel capitolo: se non vi disturba leggere e ascoltare assieme io consiglio di farlo, non serve prestiate attenzione alle parole, anche perché non c’è alcuna relazione col testo, ma l’accoppiata merita, a mio giudizio, ed è stata scritta e calibrata su quella traccia.
 
 
 
 
Molti scrittori antichi definivano piacevole il rapporto con la natura, descrivendo puntualmente ambienti caldi e solari per simboleggiare il buon umore e freddi e piovosi per simboleggiare tristezza e depressione. Il risveglio con il sole a rischiarare la stanza ed il cinguettio degli uccellini nelle orecchie era ormai un cliché, il simbolo vivente di questa quantomeno particolare interpretazione del meteo. Ma cosa c’è di bello se alle 7 di mattina, dopo una giornata atrocemente pesante, vieni svegliato dai maledetti raggi del sole e dal bisticciare di stormi di uccellini che si ammassano a scagazzare sul terrazzo al piano di sopra? Lunga vita alla natura, ma che lo lasciasse dormire! Beh, non che in realtà quella notte avesse dormito granché…
Si rigirò tastando le coperte ancora calde, tirandosi il lenzuolo sul viso. Era così stanco! Con uno scatto di reni si rigirò, maledicendo mentalmente la pancia che non gli concedeva di mettersi supino, portandolo ad agitarsi come un’anima in pena. Valutò che Sinbad e Ja’far non dovessero essere lontani, per cui se avesse deciso di abbandonare il tepore delle coperte avrebbe anche potuto raggiungerli, ma per fare o dire cosa?
Si spostò in centro al letto, aprendo braccia e gambe come una stella marina, mugugnando infastidito. Restò a fissare il soffitto finché non sentì la voce di Sinbad oltre la porta.
-Vado a salutare Judal e arrivo.-
-Neanche per sogno, lascialo dormire.-
-Dormirà tutta la giornata, perché non posso salutarlo?-
Cosa fosse accaduto oltre la porta era un mistero per Judal, ma il fatto che non venne nessuno lo rasserenò. Per sicurezza attese un paio di minuti prima di abbandonare l’atteggiamento da persona addormentata, infine si accostò al bordo del letto, poggiando i piedi a terra prima di mettere una mano sulla schiena e alzarsi. Sbadigliò sonoramente stendendo le braccia per riattivare la circolazione e, dopo la prima capatina al bagno della giornata, uscì finalmente dalla propria camera. E lì iniziò una di quelle spinose quanto quotidiane lotte interiori:
Sinistra= cucina, cibo, colazione, pancia piena;
Destra= scale, salire, faticaccia, Robin= compagnia ----> scendere le scale, colazione;
 

https://www.youtube.com/watch?v=zBwXi6V6arM
Con un sospiro rassegnato si attaccò al corrimano ed iniziò a salire, senza per questo rinunciare ad un po’ di sana sceneggiata per abitudine, finché non si trovò con il piccolo in braccio, che, forse per fastidio o magari al contrario con gratitudine, aprì gli occhi a guardarlo, alzando le mani nel tentativo di prendergli i capelli.
Con un sorriso dipinto in faccia, Judal spostò i capelli dietro le spalle per poi sollevare di più il bambino e stampargli baci sulle guance, facendolo sorridere. Era bello, davvero bello vederlo sorridere. Non più solo nel sonno: da una settimana circa Robin aveva imparato a sorridere, rendendo i suoi genitori fieri di lui, specie perché aveva scelto il momento perfetto per iniziare.
Era stato un balsamo per Judal, che quel giorno, il successivo alla scadenza dell’ultimatum, l’aveva passato seduto davanti ad una finestra ad osservare la neve cadere in una tristezza profonda dovuta ad una lettera fattagli recapitare da un emissario Kou, in cui i principi notificavano il suo bando a vita dal loro territorio. Era lieto che si fosse evitata una guerra, quello sì, ma non avrebbe mai potuto far ritorno a casa, mostrare al suo bambino i luoghi in cui era cresciuto, il castello che lo aveva visto crescere, le persone che lo avevano assistito… non importava cosa fosse successo un paio di settimane prima o negli anni passati, nel profondo lui voleva bene ai principi di Kou, perché gli avevano offerto compagnia, avevano creduto in lui, spingendolo a diventare il ragazzo forte ed indipendente che era. Se non fosse stato per loro non avrebbe mai avuto il coraggio di affrontare la sfida che ora gli si parava davanti.
Si stava sciogliendo nel dolore quando Sinbad lo aveva chiamato a gran voce dal piano di sotto -Judal, corri, corri!-
Gli era sembrata una frase cretina: come poteva correre, per di più sulle scale, in discesa, con il pancione? -Robin sorride!- era letteralmente volato giù dalle scale, arrestandosi fluttuante sulla soglia del salotto, vedendo il bimbo appena staccatosi dal petto di Ja’far sorridere all’indirizzo della madre. Non è che non lo avesse mai visto sorridere, nel sonno lo faceva spesso, ma mai, mai, aveva sorriso quando era sveglio.
Già solo vedere quel sorriso lo aveva fatto quasi piangere, ma quando poi Robin si era girato nella sua direzione ed era sembrato illuminarsi, agitando una manina nella sua direzione, gli erano davvero scappate le prime lacrime e l’unica cosa che era riuscito a fare era stato sorridere di rimando al piccoletto, lasciandosi alle spalle tutti i suoi precedenti problemi, riappoggiano i piedi a terra e andando ad abbracciare Sinbad.
Poi, beh, le cose si erano un po’ incrinate. Perché, è noto a tutti, i neonati non hanno la vista più acuta del mondo e nelle prime settimane tengono prevalentemente gli occhi chiusi, per questo tendono ad affidarsi molto anche agli odori, ed in particolare identificano prima l’odore dei genitori che non la loro figura... ma cosa avrebbe mai potuto succedere se uno dei due genitori proprio non avesse avuto un odore?
Lui, purtroppo, ne aveva fatto esperienza: il piccolo Robin non riconosceva Ja’far.
Judal ci aveva fatto caso nei due giorni successivi alla serata del primo sorriso: in effetti, il piccolo passava tutta la sua giornata con lui, quindi poteva anche essere comprensibile che gli rivolgesse parecchi sorrisi, quando la sera Sinbad e Ja’far tornavano e lo portava sulla soglia a salutare sorrideva, idem dopo che veniva nutrito, ma, se non in questi sporadici momenti, ai genitori raramente dedicava grosse attenzioni.
E la cosa, per quanto riguardava Sinbad, era abbastanza comprensibile: un alpha, per definizione, ha un odore forte e permeante, spesso prevaricatore, un odore fatto per chiarire il proprio dominio, ma come poteva un odore simile risultare rassicurante per un bambino? Col tempo il piccolo impara che quell’odore non era una minaccia per lui, semmai una protezione, ma i primi tempi fa paura, e infatti era capitato un paio di volte che quando Sinbad si era avvicinato sudato al piccoletto quello fosse scoppiato a piangere, come la fatidica sera di alcuni giorni prima in cui Sinbad si era tuffato a prendere in braccio il figlio prima di cambiarsi. Saggezza popolare insegna che se il piccolo piange con il padre lo si dà in braccio alla madre. Pura e semplice organizzazione familiare.
Ma per quanto Ja’far lo cullasse, Robin continuava a piangere, finché Judal, richiamato dalle lacrime del piccolo, non si era avvicinato. Aveva preso ad accarezzargli con delicatezza i capelli, e tempo un attimo, Ja’far glielo aveva scaricato dicendo solo che “andava a sistemare un paio di cose per la cena coi generali”, alias “sono stanco, porta pazienza ma non mi va di stare a sentire urla”. Non era una cosa solita, per cui semplicemente Judal prese il bimbo, che nel giro di una decina di secondi cessò di piangere.
Se fosse stato un episodio unico nessuno ci avrebbe dato peso eccessivo, ma la scena si ripeté quando quella sera si ruppe un piatto e Sharrkan cacciò un urlo vedendo un ragno: non importava chi e come cercasse di consolarlo, l’unica era darlo in braccio a Judal. Quando avevano notato la cosa, erano tutti rimasti sbigottiti, poi discutendo tutti insieme avevano capito: i bambini al momento della nascita identificano l’odore della madre e lo tengono come punto di riferimento, ma quand’era nato Robin aveva sentito tre odori: Sinbad, Judal e Yamuraiha.
L’odore di un alpha parla di paternità, ed in effetti, anche Pisti aveva argomentato come i primi tempi Sofocle sembrasse non capire dove fosse finito e solo dopo un paio di mesi pareva aver capito che la madre era lei, per quanto ad avere un odore più delicato fosse Spaltos… ma il punto era che Robin aveva sempre visto Ja’far allattarlo, pur sentendo in giro per la casa l’odore di Judal, così che per lui c’era la figura “biberon ambulante” e la figura materna disgiunta.
E per quanto Ja’far avesse detto e ripetuto che era disposto a non farsi trattare come una madre in pubblico, non essere neppure riconosciuto dal proprio figlio faceva male.
 
 
Scosse la testa. Aveva già un umore altalenante tendente alla depressione anche senza volerci aggiungere i sensi di colpa, per cui strinse per bene il piccolo contro il petto e si diresse in cucina per saziare lo stomaco. Sfruttando un’innata dote da cameriere che fino ad allora gli era sconosciuta preparò un vassoio con qualsiasi cosa la cui vista gli facesse gorgogliare lo stomaco e si spostò in salotto, poggiando tutto sul tavolo ai piedi del divano, dopo aver infilato Robin nel passeggino con la solita promessa “Faccio colazione, mi vesto, ti imbacucco e facciamo una passeggiata così cambi aria”.
Sorrise al bambino ed addentò una pesca, ignorando una fitta al ventre ben nota e non di certo dovuta alla gravidanza, storcendo il naso guardando il resto del carico che prima gli faceva venire l’acquolina. Divorò le pesche, gettando uno sguardo rassegnato ai cereali e ai biscotti e li riportò in cucina, per poi andare a vestirsi e lavare i denti, afferrando dal proprio armadio un paio di copertine ed una giacchetta che era solito mettere a Robin quando uscivano, per ripararlo dal freddo di metà febbraio. Quando il piccolo arrivò ad assomigliare ad un pupazzo di neve, Judal si ritenne soddisfatto e si incamminò per i corridoi del palazzo, tenendolo in braccio e tirandosi dietro il passeggino.
-È inutile che fai quella faccia, so che hai caldo, ma se mai la tua mamma dovesse avere il dubbio che ti ho fatto prendere freddo mi uccide. E ringrazia che non pretenda ti copra occhi e bocca lasciandoti libero giusto il naso per respirare, con Ja’far potrebbe anche accadere.- rispose alle smorfie ed ai versi di disapprovazione di Robin.
-Se ti può consolare con ‘sta malefica giacca che ha mi ha preso Sin anch’io muoio di caldo e sta pur certo che se potessi me la leverei e userei un pratico incantesimo di calore per tenere al caldo tutti e due, ma la tua mamma mi ha fatto storie quando l’ho fatto.-
Gli piaceva parlare al bambino, sebbene non pensasse che questo potesse capirlo, credeva che sentirlo parlare lo calmasse e lo preparasse a parlare. E nei suoi discorsi non mancava mai di parlare al principino di Ja’far, sottolineando le parole la tua mamma per chiarire la differenza.
-Ah, no, i capelli no, te l’ho già detto! Aspetta che arriviamo in fondo alle scale e poi scendi, e lì allora saranno capricci perché fino alle 9 ormai vuoi coccole tu… Su, guarda, l’ultima rampa e poi siamo fuori.-
Poggiato il passeggino in piano ci infilò Robin, sordo alle sue proteste, spingendolo per entrare nel cortile innevato. Per un’isola con un clima semi-tropicale come Sindria la neve era quasi una leggenda, eppure stranamente quell’anno ce n’era parecchia, a detta di Sinbad che solo un paio di altre volta l’aveva incontrata.
“Evidentemente anche il meteo vuole festeggiare i nuovi arrivati” commentava Yamuraiha, artefice segreta se non della neve stessa per lo meno del cielo nuvolo degli ultimi giorni che stava preservando la soffice distesa bianca.
-Dunque Robin, dove vuoi andare di bello oggi?- domandò Judal abbassando il viso verso il bimbo, lasciandosi mettere le mani sugli occhi -Io propongo il giro breve, visto che oggi Pisti ha detto che ci lascia Sofocle da compagnia per metà mattina, per cui o restiamo nel cortile interno, o circumnavighiamo il castello,- e qui fu costretto a fermarsi un attimo per togliere le mani del piccolo dalla propria bocca -o se proprio vogliamo esagerare ed andare a vedere un bel paesaggio possiamo andare a vedere i frutteti.-
Rimase un attimo a guardare da vicino lo sguardo pimpante del bimbo, privo per una volta dalla minima traccia di sonno, e tirò un gran sospiro, raddrizzando la schiena e stampandosi in faccia un sorriso -E allora vada per i frutteti! -
Ignorò il senso di pesantezza al ventre e iniziò a spingere il passeggino -Così però tu non vedi molto eh? Aspetta, vediamo se la magia può tornarmi utile.- si chinò un attimo a lato del passeggino e mormorata una breve formula rese la stoffa ad altezza degli occhi trasparente così che anche Robin potesse guardare fuori. -So che la prospettiva da cui vedi tu le cose le rende un po’ bizzarre, ma più di così io non posso fare, mi spiace.- e si rimise a spingere camminando in silenzio fino a che non arrivarono di fronte ai frutteti.
-Guarda, adesso vieni fuori e osserviamo un po’ il paesaggio seduti qui, io sul muretto tu in braccio. Vedi che bello avere un baby-sitter incinto? Hai pure un soffice cuscino!-
Poggiò la schiena al muro e tacque. Per quanto ci avesse provato quell’orribile sensazione restava, e lui non poteva fare gran che per mandarla via. O meglio, avrebbe anche potuto, però… scosse la testa, guardando le cime degli alberi coperte di neve. In estate, dopo il parto, avrebbe potuto prendere i due bambini, infilarli un passeggino e portarli con sé nel frutteto. I due bambini sarebbero rimasti giù a dormire, o a giocare, o a succhiarsi i pollici, mentre lui avrebbe potuto arrampicarsi su un ramo e sonnecchiare. Per sicurezza avrebbe posto un incantesimo nella zona che lo avvisasse in caso una qualsiasi minaccia si avvicinasse a loro, o forse avrebbe evocato un borg sufficientemente grande da proteggerli tutti e tre, o magari avrebbe fatto entrambe le cose…
L’estate… pareva così lontana…
Quando qualcosa picchiettò la sua spalla per poco non saltò in aria rischiando di farsi e fare del male a Robin.
-Masrur, che ti salta in mente di farmi spaventare a questo modo?-
Il fanalis non lo guardò neppure in volto, andando a sedersi accanto a lui con le braccia dietro la testa a fargli da cuscino. Perfino in inverno indossava sempre la solita armatura, come se il clima non lo toccasse affatto, e probabilmente era davvero così.
-Posso?-
Per poco Judal non soffocò a sentire quel tono così inusuale per il generale. Quasi inespressivo, ma più basso del solito e con un pizzico di incertezza. Per cosa poi? Senza la minima esitazione gli passò il bambino. Non ricordava che avesse mai espresso il desiderio di tenerlo in braccio, da che ne sapeva era la prima volta che lo prendeva ed il contrasto fra il gracile esserino reso tondo da strati di vestiti e il mastodontico generale perennemente in armatura leggera fece ridacchiare Judal, sebbene riportò subito gli occhi sugli alberi e sul mare in lontananza.
-Tutto bene?-
Judal staccò a fatica gli occhi dall’orizzonte per fissarli su Masrur. Un occhio guardava lui, l’altro teneva d’occhio Robin. Non si prese la briga di rispondere, certo che il generale non avrebbe ripetuto la domanda né avrebbe preteso una risposta, però aveva voluto dargli la possibilità di parlare. Da quello che pensava di aver imparato su di lui, Judal era piuttosto sicuro che non si sarebbe preso l’onere di dare giudizi o consigli, tutt’al più avrebbe demandato la questione a qualcun altro. A una persona del genere a Kou avrebbe stressato l’anima per giorni in attesa di una qualche reazione violenta giusto per, ma non è che in quel momento avesse voglia di litigare.
Una parte di lui strillava: “diglielo!”,  l’altra, più razionale: “sei scemo? A parte che moriresti tu dalla vergogna, ma proprio con un alpha? Oh, potresti riuscire a sorprenderlo al punto da farlo strozzare con il suo solo respiro, grande idea, provaci va, vediamo fino a che punto è imperturbabile! Imbecille”.
-Nulla di cui preoccuparsi.- rispose agitandosi lievemente sul posto, certo che avesse captato la menzogna ma al contempo che avrebbe accettato la sua decisione, e non sbagliò perché di fatto Masrur semplicemente gli riallungò Robin e si alzò. La cosa strana fu che prese il passeggino.
-Te lo porto su per le scale.-
Per poco a Judal non cadde la mascella ma si limitò ad annuire e ringraziare: scendere era facile, ma salire…
-Contento piccoletto? Si torna a casa al calduccio! Vediamo un po’, siamo stati fuori…- Judal si gelò è cacciò giù un molto aggraziato “cazzo” correndo poi a tapparsi la bocca -Se non ci sbrighiamo Pisti non troverà nessuno.-
Senza prestare troppa attenzione a Masrur affrettò il passo nel tentativo di non sforare il tempo: sì, la strada era lunga, ma aveva pur sempre 15 minuti, ce la poteva fare, ma doveva sbrigarsi. Camminò a passo spedito finché non mise piede a palazzo, sentendo comunque i passi di Masrur che con la carrozzina sotto braccio lo aveva seguito senza alcuno sforzo, mentre lui aveva un fiatone da record. Se glielo avesse chiesto li avrebbe portati su per le scale in braccio…? Si dette uno schiaffo con la mano libera e afferrò la propria bacchetta per evitare il gravoso inghippo delle scale e arrivò alla porta dell’appartamento giusto per le nove.
-Scusami Pisti, scusa, ma mi sono perso via e-
-Non fa nulla Judal, figurati, solo ti lascio Sofocle e scappo o faccio tardi.-
Annuì frettolosamente tirando fuori le chiavi dalle tasche e aprendo la porta a Pisti e Masrur.
-Bene, fa il bravo amore di mamma, io ora vado al porto a dare una mano con i nuovi arrivi da Rem, ci vediamo per pranzo.- disse dando un bacio in fronte al figlio.
-Se vuoi posso fare io.-
Se fu più sorpresa Pisti o Judal era impossibile dirlo. Ma cosa aveva assunto Masrur per comportarsi così?
-Davvero?!- domandò speranzosa Pisti, e Masrur scrollò le spalle, adducendo come spiegazione un semplice -Fa freddo- riferito al fatto che un qualsiasi comune essere umano fuori sarebbe gelato, mentre pochi eletti, fra cui logicamente lui, non avevano problemi con quelle temperature polari.
-Ti ringrazio!!!- strillò con allegria, per il disappunto di Robin, saltando in spalla a Masrur che noncurante si incamminò verso la porta con uno zainetto biondo in spalla.
-Beh, allora penso resterò qui a farti compagnia se per te va bene.- concluse Pisti buttando la giacca su una poltrona.
Sorrise. In fondo per quanto non stesse bene, o forse proprio per quello, un po’ di compagnia gli faceva piacere.
-Vuoi qualcosa da bere?- chiese non appena ebbe sistemato Robin e la ragazza annuì con semplicità.
-Tè.-
Annuì dirigendosi meccanicamente verso la cucina, e non appena Pisti prese la tazza in mano lo gelò -Cosa c’è che non va?-
Ma era così evidente? A lui sembrava di dissimulare piuttosto bene… -Nulla di che.-
-Ossia?- insistette Pisti.
Judal guardò il tappeto a suoi piedi poi si alzò andando in camera a spogliare il maglione che aveva ancora indosso nella speranza che Pisti smaltisse la curiosità.
-Fammi indovinare. Scommetto che anche Masrur ti ha chiesto se andava tutto bene prima.- domandò seguendolo, con un sorriso saputo, gli occhi chiusi e un indice poggiato sulla fronte, e Judal strabuzzò gli occhi. Lei questo come lo sapeva?
-Non penserai che Masrur abbia rinunciato alla sua pennichella con leggerezza? Se si è proposto di prendere il mio posto al porto è evidente che riteneva io fossi più utile in qualcos’altro. E in effetti a differenza sua io ti torchierò finché non mi dirai cos’hai, perché è il mio dovere di tua migliore amica.-
Mise su una finta espressione di sdegno -E chi te lo dice?-
-Il tuo modo di fare con me. E non pensare, non mi distrarrai dalla domanda principale. Judal, cosa c’è che non va?- ripeté tranquillamente guardandolo buttare il maglione sul letto e poi andare a sdraiarsi su un divano con un braccio a coprirgli gli occhi. Senza la minima esitazione si sedette cavalcioni sulle sue ginocchia, ripetendo ancora la domanda per un non ben definito numero di volte, finché Judal non estrasse la bacchetta, puntandola contro Pisti, senza che questa si preoccupasse in alcun modo, finché non sentì qualcosa premere contro le sue spalle.
Girò il busto e afferrò un voluminoso libro, che secondo i movimenti del polso di Judal raggiunse una ben precisa pagina. Il magi sollevò la schiena e le indicò un paragrafo preciso, e lei partì a leggere, silenziosamente, senza porre domande. Quando finì di leggere chiuse il libro guardando Judal senza capire -Mi spieghi che c’è di difficile? Basta chiedere, no?-
-La fai semplice tu.-
-Scusa, perché Sinbad non dovrebbe accontentarti?- chiese inclinando la testa con aria perplessa.
-Ti rigiro la domanda, perché dovrebbe farlo?-
Iniziò una sorta di gara di sguardi, seguita da una lunga discussione, che comunque non portò a nulla. Il problema restava.
 
 
******************
-Mi ripeti che fine ha fatto Ja’far?-
-Senti Judal, non l’ho ben capito neanch’io, è una sorta di cena fra colleghi o qualcosa di simile credo.- sbottò Sinbad, stanco di sentirsi ripetere quella domanda.
Judal scrollò le spalle, asciugando gli ultimi piatti usati per la cena mentre Sinbad lo guardava dalla porta con un asciugamano avvolto ai fianchi dopo un sano bagno rilassante.
-È un modo di dirmi che ti manca?- chiese con un ghigno maligno Sinbad, attendendosi una qualche reazione violenta. E invece, senza esser visto, semplicemente Judal si morse un labbro e chiuse gli occhi -No.-
Sinbad sospirò. Nell’ultimo periodo le occhiaie di Judal si stavano facendo più marcate e lui sembrava stanco ed abbattuto, e la cosa lo dispiaceva.
-Ehi, lo sai che non è colpa tua, vero?- chiese Sinbad poggiandogli le mani sui fianchi e accarezzandogli la pancia coi pollici.
-Questa è solo una delle controindicazioni delle scelte di Ja’far. Se almeno avesse avuto un odore, anche solo uno da beta, probabilmente ora non ci sarebbe il problema.-
-Se io non ci fossi stato di sicuro non sarebbe apparso il problema.- ribatté Judal, muovendosi a disagio intrappolato fra il corpo caldo di Sinbad ed il lavello.
-Non è detto che lo avrebbe riconosciuto.- cercò di consolarlo Sinbad.
-Ma almeno non ci sarebbe stato qualcuno a rubargli il ruolo.- rispose mestamente cercando di allontanarsi da lì, ma Sinbad lo abbracciò, intrappolandolo definitivamente.
-Tu non stai rubando nulla, Judal. Sei qui perché tu lo vuoi e noi ti vogliamo qui. Vedrai che crescendo l’equivoco si chiarirà.- argomentò Sinbad baciandogli le tempie.
-Mh- rispose Judal poco convinto -va bene però ora lasciami.-
-Se ti dicessi di no?-
-Eh?- urlò Judal -Che storia è mai questa?-
-Scherzavo scherzavo. Dai, vai a prepararti e poi se vuoi dormire non c’è problema, vai pure, io aspetto Ja’far.-
Judal approfittò del fatto che Sinbad lo avesse lasciato per allontanarsi -Ti faccio compagnia.-
Non scorse il sorriso di Sinbad, troppo concentrato a cercare quello che era diventato il suo pigiama sotto il cuscino, né si fermò a cambiarsi in camera, preferendo andare in bagno per finire di prepararsi, uscendo poco dopo vestito di tutto punto.
-Fra un po’ inizierai a portare il velo anche tu di questo passo.- uggiolò Sinbad cercando di strappargli un sorriso.
-Non essere sciocco, io ho già il collare.- rispose invece prendendo un interessante libro di narrativa iniziato quella mattina e stendendosi al fianco di Sinbad, senza però toccarlo.
-Cosa leggi?-
-Eragon.-
-L’ho letto un paio d’anni fa, ma non ricordo molto tutti i dettagli…- meditò ad alta voce Sin -Senti, perché non ti metti qui e leggi ad alta voce?- domandò con innocenza mostrando come poteva benissimo sedersi fra le sue gambe e appoggiarsi al suo petto per leggere. Judal tentennò e rifiutò, ma di fronte alle reiterate suppliche di Sinbad infine cedette e lo accontentò. Non ci mise molto a trovare una posizione comoda, con la schiena contro il petto di Sinbad, la testa sulla sua spalla.
Per Judal fu nuovo sapere che non gli dispiaceva leggere ad alta voce per qualcuno, non si sarebbe aspettato che si stesse così bene a contatto con il corpo caldo di Sin, con il battito a cullarlo, e se non avesse avuto il compito di leggere ad alta voce probabilmente si sarebbe già addormentato.
Doveva aver letto almeno venti o trenta pagine prima che Sin per qualche motivo ignoto scivolasse lievemente più in basso iniziando a soffiargli aria calda sul collo, facendogli venire i brividi. Chiuse il libro, facendosi sfuggire il primo singhiozzo -basta- pigolò, mandando in confusione Sin quando sgusciò dal suo abbraccio e andò a rintanarsi in bagno, ripetendo solo -basta-.
-Judal, scusami.- non è che avesse un’idea del cosa, del come o del perché, ma doveva aver fatto qualcosa che aveva innescato quella violenta reazione.
-Judal, mi dispiace, te lo giuro. Aprimi e spiegami.-
-Judal-
-Judal!-
-Judal, andiamo!- nessuna risposta dal bagno, l’unica cosa che sentiva erano i singhiozzi di Judal, ma per quanto tentasse di aprire la porta non ci riusciva, segno che evidentemente Judal l’aveva chiusa con la magia.
Non riusciva a capire. Forse Ja’far avrebbe capito, pensò mestamente, ma scacciò quel pensiero, conscio che di certo Ja’far non sarebbe tornato prima di un paio d’ore.
Fu un azzardo, ma l’unica cosa che gli venne in mente di fare di fronte a quello strenuo rifiuto di comunicare fu chiamare Pisti, sebbene qualcosa di estraneo in lui urlasse contrariato davanti a quella decisione.
Arrivata nell’appartamento Pisti provò a bussare alla porta del bagno, ma di nuovo la sola risposta fu “basta”.
-Judal, sono Pisti, fammi entrare.-
Nessuna risposta.
-È per ciò che mi dicevi questa mattina?-
Classificò la più totale assenza di reazione, escluso un singhiozzo, come una conferma.
-Potresti pure avere ragione, ma perché non puoi vederla come una sfida? A vedere le cose da qui, dubito di aver sbagliato. Comunque non ti posso costringere a uscire per cui-
-Ma Pisti- si lamentò Sinbad, sconsolato alle sue parole, ma la ragazza gli fece  intendere come neppure lei fosse onnipotente, zittendolo al contempo con un gesto.
-Il fatto che i principi di Kou ti abbiano rifiutato non significa che lo faranno tutti.- disse poggiando una mano sulla porta, prima di girarsi lasciandoli con un ultimo -Buonanotte.-
Sinbad guardò la porta da cui non proveniva più alcun suono, aprendo la bocca per dire qualcosa, ma poi ripensò all’ultima frase di Pisti e desistette.
Si era formato una mezza idea, ma non aveva la minima certezza e se avesse mal interpretato, dicendo la cosa sbagliata avrebbe rovinato il lavoro di Pisti, per cui semplicemente poggiò la fronte contro il legno della porta pregando che Judal aprisse.
E quando la porta si aprì, scattò per abbracciarlo, ma si fermò per paura di farlo scappare di nuovo. In piedi di fronte a lui, le spalle curve e gli occhi rossi e gonfi, stava l’ombra del Judal che conosceva, e non sapeva come approcciarsi. Boccheggiò alla ricerca di qualcosa da dire, desideroso di chiedere spiegazioni, ma abbastanza cauto da trattenersi.
Fu Judal ad avvicinarsi con passo incerto, poggiandogli una mano sulla spalla perché si abbassasse e baciandolo con un’insicurezza attribuibile solo ad una sorta di atavica paura. Gli concesse il suo tempo, cercando di assecondarlo e incoraggiarlo senza però spaventarlo infondendogli fretta o chissà che altro.
Portò le mani sui suoi fianchi, senza abbracciarlo e stringerlo a sé per paura di spaventarlo. Fu Judal a farlo indietreggiare lentamente, finché non inciampò nel letto. Rimase incantato ad osservare Judal gattonare sopra di lui e gli venne spontaneo invitarlo e sedersi, se non che quando gli appoggiò le mani sui fianchi spingendo delicatamente per farlo sedere e poter parlare Judal oppose resistenza.
-Peso.- obiettò con sguardo triste, e lì Sinbad pensò di capire. Il problema era che Judal si vergognava del suo aspetto? Se sì, se non fosse stato per lo stato pietoso in cui versava, gliene avrebbe dette tante ma tante per avergli fatto perdere quarant’anni di vita. Incurante dell’obiezione di Judal aumentò la pressione finché non lo portò a sedersi a cavalcioni sulle sue gambe, senza che i suoi 65 chili scarsi gli dessero alcun fastidio.
-Cosa c’è che non va? Dimmelo Judal, possiamo cercare una soluzione assieme.- disse carezzandogli le guance, osservandolo chinarsi in avanti per quanto la pancia gli concedeva.
Lo osservò certo che desiderasse avvicinarsi al suo orecchio per essere certo che nessun altro potesse udirlo, ma capì che sbagliava quando il ragazzo incastrò la testa sotto la sua gola, al contempo facendo scendere una mano gelida nei suoi pantaloni.
….
Quello era ciò che lo aveva devastato portandolo a chiudersi in bagno per più di mezz’ora?
Lo avrebbe ammazzato.
Ma dopo.
Avevano cose importanti da fare prima.
 
 
******************
-Vuoi dirmi che la crisi di prima era dovuta a semplice astinenza?-
Annuì guardando altrove: di fronte ai problemi con il piccolo Robin quello che aveva passato lui era nulla, ne era consapevole, però vista dall’interno, con gli ormoni a mille e tutto il resto non era una cosa così banale.
-Judal si può sapere da quanto ti covavi questo malessere?- domandò Sinbad guardandolo dall’alto della sua posizione seduto contro quella sdraiata del compagno.
-Una settimana.- rispose poggiando la testa sulla coscia di Sin e fissando lo sguardo sulle finestre.
-Sei un cretino.- commentò accarezzandogli i capelli sciolti per non si sapeva bene quale motivo -L’avremmo potuta risolvere molto prima se tu me ne avessi parlato.-
Si rannicchiò meglio contro Sinbad avvolgendogli la vita con le braccia.
-Mi dispiace, ma sai, avevo paura.-
-Il grande magi oscuro che ha paura? E di cosa?-
Ignorando lo scherno, Judal sorrise. -Quando ero a Kou ho visto Kouha con le sue varie mogli: appena avevano un accenno di pancia smetteva di toccarle, dicendo come rischiasse di rovinare il bambino o comunque di coinvolgerlo. Temevo di essere rifiutato.-
-Come se a te si potessero rifilare scuse simili…- borbottò fra sé Sinbad, facendo ghignare Judal: in effetti a sentirsi opporre scuse simili lo avrebbe ammazzato.
-Ad ogni modo, non lo fare mai più! Dillo, sarò ben lieto di aiutarti! Piuttosto che ripetere scene simili vieni in ufficio, annullerò tutti gli appuntamenti e-
-E morirai subito dopo.- concluse Judal guardandolo sorridente, le palpebre appesantite dal sonno.
-Ma morirò felice e soddisfatto.-
Si addormentarono così, ridendo di battute cretine, abbracciati. Non servì specificare le motivazioni addotte da Judal fossero le ultime delle preoccupazioni, era ben chiaro che il problema fosse un altro. Ma prima o poi avrebbero dovuto affrontare l’argomento, solo non quando Ja’far ancora era in lotta con se stesso per impedirsi di odiare Judal, per l’ennesima volta.
 

 








Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte: no, non vi do il mio indirizzo per venire a picchiarmi nè vi darò nome ecognome per maledirmi, dovrete darvi da fare e trovarli da soli, o preferibilmente rinunciare.
Il titolo boh, è sciocco, ma non sapevo cosa mettere ed in realtà ritengo ci stia bene
Se vi state chiedendo a gran voce "Perché?", urlando contro il ventilatore per la profonda disperazione e perchè è la sola vostra compagnia, sappiate che non ve lo so ben dire, mi andava, è tremendamente da Judal, e volevo sfruttare un po' le libertà che il ratings mi permette (le ho, come non usarle ogni tanto?).
Ja'far verrà a saperlo? Ovvio che sì! Li ucciderà? Ah boh, probabile, lo scopriremo :)
Non moritemi dal caldo, a presto
Hoshi

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Capitolo 24
*** Capitolo 22: Coesistenza impossibile o ***


COESISTENZA IMPOSSIBILE O “SEMPLICE” GELOSIA?

                                                          


               
Correre, è l’unica cosa che riesco a fare. Correre, è un istinto. Per allontanarmi, cercare di non pensare.
Oh, come se potessi riuscirci.
Forse è incoerente, di sicuro la mia reazione è spropositata e irrazionale, ma non è che possa farci molto.
E poi, perché dovrei essere io a starci male? Io mica ho fatto nulla di sbagliato! Che poi, si può definire sbagliato o sleale? Rallento la corsa.
Non lo so.
Insomma, ho accettato che Judal restasse e gli ho aperto le porte di casa, diciamo pure che nello specifico ho accettato restasse con Sin e crescessimo i nostri figli assieme.
Ma c’è modo e modo!
E questo è un modo che di sicuro mi sta facendo soffrire.
 


 
******************
Cazzo.
Semplicemente, merda!
Perché, perché è dovuto accadere?
-Prima o poi ne avremmo dovuto comunque parlare, Judal, ha solo accelerato un po’ i tempi.-
La fai facile, Sin.
Oh, possibile abbia ragione tu, in fondo conosci Ja’far molto meglio di me, ma dalla mia posso dire che ho visto i mutamenti del suo sguardo, i rukh che aleggiavano attorno a lui passare dalla sorpresa, allo sbigottimento, al fastidio ed alla rabbia.
Al suo posto avrei agito in maniera ben peggiore.
Ma non ho potuto fare nulla, non ho nemmeno fatto in tempo a realizzare ed aprire bocca che Ja’far era corso via, senza che neppure potessimo inseguirlo.
Poteva andare peggio di così?
 
 


******************
Fra i miei incubi, negli ultimi 10 giorni, c’è sempre stato il recarmi in ufficio.
Oh, a parte le storie che racconta Ja’far lavorare mi piace anche, e Judal che tutti i pomeriggi veniva a trovarmi era un piacevole pausa. Per quello l’avevamo pure studiata bene: da che Robin è nato tutti i pomeriggi Ja’far intorno alle due si stacca un attimo dal lavoro per andare ad allattarlo, e vista la distanza fra il nostro appartamento e l’ufficio ci vuole mezz’ora solo per andare e tornare, un tempo forse non abbondante, ma quantomeno sufficiente per una ripassatina veloce a Judal, tanto perché non torni isterico o depresso.
Come piano era geniale, Ja’far non si era mai preoccupato dell’assenza di Judal, avevamo provveduto a fargli credere che verso quell’ora andasse al largo della costa per allenarsi con la magia senza rischiare di coinvolgere nessuno… e allora come ha fatto Ja’far a essere qui così presto?
-Dal tuo sguardo sembri più seccato che preoccupato.-
 Possibile tu abbia ragione Judal, ma ti garantisco che ho paura, una paura blu.
E se scappasse di nuovo? Cosa mi fa pensare che questa volta tornerebbe da me? Cosa gli impedirebbe di andarsene e rifarsi una vita con un altro? Il semplice marchio gli impedisce soltanto di avere rapporti con un altro alpha, ma potrebbe sempre trovare un beta o un’omega. E Robin? Lo porterebbe con sé o lo lascerebbe qui?
Se glie ne avessimo parlato prima cosa sarebbe potuto accadere?
Perché sono così cretino da rifare sempre lo stesso errore?
 



******************
Calcolando il freddo che c’era due settimane fa questo sole è allarmante. Scalda le ossa e sembra voler bruciare la pelle, ma non riesce minimamente a intaccare il mio umore.
 
Dopo aver sbattuto quella porta ho avuto come l’impressione di vagare senza meta per il palazzo, ed invece mi sono ritrovato nella vecchia stanza mia e di Sin. Beh, in teoria di Sin e basta, io avrei una mia camera, sebbene non ci abbia mai abitato, ma serviva per non attirare sospetti.
… c’è mai stato qualcosa di mio? Da che sono nato, esiste qualcosa che fosse unicamente mio?
A ben pensarci, non saprei.
La mia vita apparteneva prima agli Sham Lash e poi a Sin. Si può dire che io abbia scelto di unirmi a lui, ma è opinabile, vista la situazione.
La mia tecnica e le mie conoscenze in fatto di anatomia appartengono al passato, ma non sono veramente cose che io ho appreso, quanto piuttosto cose che l’organizzazione mi ha trasmesso affinché fossi in grado di svolgere al meglio il mio lavoro.
Perfino le mie abilità attuali in ambito politico non si può dire che mi appartengono: mi sono solo state trasmesse da Rurumu affinché le utilizzassi al servizio di Sinbad.
A cosa servo in questa società?
… la mia stessa natura lo dice: non sono altro che un utero per molti, un semi-umano destinato a essere scelto da qualche alpha come compagno. O come ornamento.
Spalanco le porte del balcone, senza prestare attenzione alla lieve brezza, sedendomi su una delle poltrone poste fuori, guardando la città che si estende ai piedi del palazzo, continuando a riflettere.
Perché è successo quello che è successo? Cosa ho fato per meritarmelo? Avrei potuto evitarlo in qualche modo?
Sono tutte risposte che non ho, e non penso nemmeno di volere una risposta, perché temo potrebbe essere molto dolorosa.
Soffermandosi sulle leggi che regolano il nostro mondo Sin è nel giusto. Un omega ha il dovere di sottomettersi ad un alpha, e un alpha ha il diritto di sottomettere un omega. Semplice e lineare.
Sebbene tremendamente ingiusto.
Ho seriamente pensato di prendere Robin e andarmene un paio di giorni da qualche parte per smaltire questo indistinto groviglio di sentimenti, ma non ce l’ho fatta. E vorrei dire che non so perché, sarebbe semplice, ma so benissimo il motivo. Semplicemente, non posso lasciare Robin, ma lui considera Judal come sua madre, non capirebbe.
Quant’è ridicolo, una madre che si fa dare ordini dal figlio di due mesi scarsi…
Ignoro la lacrima che scende lungo la guancia, tirandomi le ginocchia al petto.
Per quanto tempo ancora mi farò mettere i piedi in testa? Perché non posso semplicemente affrontare la cosa e mettere Sinbad di fronte a due scelte?
Perché hai paura che scelga lui mi sussurra una vocina maligna, ma non riesce davvero a ferirmi. Eppure, mi chiarisce il nocciolo della questione.
 
 


******************
Non è piacevole osservare il così detto “leone in gabbia”, il che fa sì che per assimilazione caratteriale non è bello vedere Judal marciare avanti e indietro di fronte alla porta.
-Judal-
-Lo so, lo so, ho io le chiavi, ma non sono convinto di aprire. Cioè, sai, non vorrei mai che-
Per quanto sia anch’io molto preoccupato, devo dire che in qualche modo il terrore di Judal è adorabile: non mi aspettavo iniziasse a straparlare e gesticolare a questo modo se messo alle strette, e vederlo comportarsi in modo così insicuro, in un’altra circostanza, mi avrebbe fatto sorridere, lo avrei stretto e strapazzato, ma ora… per quanto mi sia stato d’aiuto per mantenere un contegno, ho paura anch’io.
-È comprensibile.- non ho voglia di deriderlo per queste sue esitazioni, preferisco piuttosto aprire la porta ed affrontare il problema. Gli scompiglio appena i capelli, cosa che so lo infastidisce parecchio in situazioni normali, e per quanto la sua reazione sia ben più discreta del solito basta per rubargli le chiavi dalla tasca e aprire la porta.
-Forza, vieni.- gli porgo una mano, e vedo che ha paura, ma nonostante questo, dopo aver preso un profondo respiro, entra.
 


 
 ******************
La prima cosa che noto è il buio. Non una luce accesa, non un rumore, non un movimento, e siamo in quel particolare momento della sera in cui il sole è calato ma ancora non è apparsa la luna, né tantomeno si vedono le stelle. Pure, grazie ad un briciolo di allenamento e ad una buona conoscenza dell’ambiente mi muovo bene.
Ho pensato di accendere le candele, ho pure lanciato un incantesimo se per quello, ma non ha sortito effetto, segno che probabilmente sono state tolte. Certo, potrei fare luce lo stesso con un incantesimo, ma sarebbe impegnativo, e la sparizione delle candele è un chiaro segno che Ja’far evidentemente preferisce il buio.
-Ja’far, sei in casa?-
Scuoto piano la testa, sconsolato. Sin, possibile tu non sappia leggere l’atmosfera?
Non una parola in risposta, non un suono, un movimento. Se non vedessi i rukh penserei che la casa sia vuota, e invece so bene che Robin dorme di sopra, anche se a giudicare dall’agitazione dei rukh si sveglierà fra non più di 10-15 minuti, e c’è una persona appena fuori dalla cucina.
Senza dire una parola afferro il polso del babbeo padre di mio figlio e me lo tiro dietro fino in cucina. Fino a lì mi segue senza opporre resistenza, ma appena faccio per muovere un passo nella stanza mi blocca e mi tira indietro.
Perché? Nessun dubbio che ha visto la sagoma sulla porta del terrazzo, ma allora
-Non hai visto i fili? Se fosti inciampato che avremmo dovuto fare?-
Strizzando gli occhi ci faccio caso: fili piccoli e sottili in tutta la stanza impediscono il passaggio, e in fondo non mi sorprendono.
 


 
******************
Mai, mai, nemmeno sotto tortura, ammetterò di aver avuto l’impulso di ritirare tutti i fili quando ho visto che Judal rischiava di inciamparci. Eppure avevo già iniziato a tirare i capi, anche se immagino che nessuno di loro se ne sia accorto essendomi posto in contro luce.
-Mi dispiace.- è poco più che un sussurro, ma in quanto ex-assassino ho imparato ad udire anche gli ultrasuoni, figuriamoci i bisbigli.
Non mi degno di rispondere. Il fatto che non desideri Judal o il bambino si facciano del male non significa che accetterò una scusa del genere con semplicità.
-Ja’far, possiamo parlarne?-
-Mi pareva che steste parlando fino ad un attimo fa, e non vi ho uccisi, quindi suppongo possiate ancora parlare.-
Nonostante abbia avuto quattro o cinque ore per sbollire la rabbia il mio umore non è molto migliorato.
-Non puoi togliere questi fili per parlare faccia a faccia?-
-No.- puoi provarci finché vuoi Sin, ma al momento non ti voglio vicino. Oh, voglio proprio sentire cosa avete da dire, eccome se lo voglio, ma preferirei mi steste ad una debita distanza.
Sento uno di fili andare in tensione.
-Sta attento Sinbad, alcuni fili sono innocui, altri nascondono diverse trappole.-
La tensione del filo avvolto sul mio pollice diminuisce, segno che evidentemente ha desistito. Ottimo.
-Mi dispiace, la colpa è mia.-
Oh, beh, ci mancherebbe solo che fosse mia!
-Le croci si fanno con due bastoni, e allo stesso modo da soli non si scopa.- non presto attenzione al tono velenoso che mi esce, in fondo non sono io quello in torto marcio, e Judal sembra saperlo. Oh, sarebbe facile dargli tutta la colpa, in qualche modo immagino che lo aiuterebbe a sentirsi meno sporco, ma non mi va di rendere le cose semplici.
-Ja’far, andiamo, non essere sciocco. Il punto non è di chi sia la colpa, ma piuttosto immagino tu voglia sentire le motivazioni, anche per liberarti tu da ogni possibile dubbio su una tua parte di responsabilità.-
A sentire una stronzata del genere inizia ad uscirmi fumo dalle orecchie e mi parte un sibilo in tutto e per tutto simile a quello di un serpente a sonagli. Incurante di buona parte dei fili che per un secondo si allenta lancio uno dei coltelli, che si conficca nel muro alle spalle di Sin dopo avergli adeguatamente graffiato un orecchio.
-Com’è iniziata?-
-6 mesi fa a Kou con il calore.-
-Non intendo questo Sinbad e lo sai benissimo!- praticamente ruggisco, incurante per una volta di informare Sindria della nostra relazione. Ammesso che perduri.
-Due settimane fa. Da un po’ la gravidanza mi dava alla testa e…-
Judal si azzittisce, e io volto la testa osservando il sorgere della luna. Quando sarà alta nel cielo vedranno le trappole appese qua e la e di sicuro Sin verrà qui, trainandosi dietro Judal.
-Mi dispiace, mi dispiace; lo so che non avrei dovuto, di fronte ai problemi che stai avendo tu con Robin questo è una roba da nulla ma-
-Hai ragione, in effetti è stato proprio un colpo basso.-
-Ja’far- non capita spesso che Sinbad si arrabbi, ma quando lo fa non ci sono mezze misure: tira fuori il tono perentorio tipico di un alpha, e diventa dura disobbedirgli, come se già non bastassero i feromoni che spande in giro. Odio la mia fottutissima natura di omega, tutte le volte che Sin fa così inizia a premere affinché mi chini ai suoi piedi e mi scusi.
Col cavolo, non questa volta.
Facendomi violenza raddrizzo le spalle, osservando con sfida Sinbad e notando solo ad una seconda occhiata Judal che cerca di rabbonirlo. Possibile che a lui che gli è pure più vicino non facciano effetto quei dannatissimi feromoni?
-Non sbagli nel dire che io e Judal siamo colpevoli-
Finalmente!
-ma non puoi escluderti da colpe, per come la vedo io.-
Coglione.
-E di cosa sarei colpevole? Sentiamo.-
-Uno.- inizia, con voce chiara e netta, priva della minima esitazione -Non più tardi di un mese fa hai accettato di far restare Judal a Sindria, aggiungendo che era parte della famiglia.- apro la bocca per ribattere, ma intuendo le mie intenzioni mi precede -Non venirmi a dire che ti attendevi uno sviluppo platonico o che desideravi una volta terminata la gravidanza se ne andasse. Mentiresti, e il fatto che tu, proprio tu, abbia invitato Judal a “tornare a casa” dopo lo scontro con Kou lo dimostra.-
Soppeso il coltello che ho in mano: potrei lanciarlo, ma non è detto che riuscirei a ritirarlo, e rimarrei senza.
-Due. Hai espressamente parlato più volte del crescere Robin con il piccolo che verrà, e non solo, non più tardi di tre settimane fa, prima che scoppiasse lo scandalo di Robin hai espressamente detto, tenendolo in braccio “fra poco più di 3 mesi sarai il fratello maggiore”.-
-In che modo queste sarebbero colpe?- mi viene da ridere: se queste sono le argomentazioni di Sin allora
-Non lo sono.- risponde pacato.
-Eh?! Ma ti rendi conto che hai parlato per nulla, che-
-Non sono “colpe”, ma invalidano la tua rabbia.-
-Stronzate.-
-Affatto.- la luna è salita abbastanza per illuminare la stanza, e nonostante ciò Sinbad non si muove. Resto incantato dal suo sguardo. Decisione, fermezza, caparbietà. Lo sguardo di quando ha rifondato Sindria. Di quando mi ha esortato a vivere per me stesso. Lo sguardo di chi crede in ciò che dice.
-Sei arrabbiato perché ritieni sia tradimento, ma nei tuoi gesti dimostri in realtà che eri consapevole della strada che avevamo intrapreso.-
Lo odio. Odio ammettere che in qualche modo ha ragione. Manca solo l’ultimo pezzo.
 
 


******************
Detesto dover arrivare a fare la voce grossa e piegare a me Ja’far ricorrendo ad un trucco meschino come il vantaggio offerto dall’essere alpha, ma non avevo altro modo.
E la cosa non è finita, perché, giunti a questo punto, è giusto terminare il discorso con la sua logica conclusione.
-Il fatto che tu sia qui, vicino eppure irraggiungibile, assieme alle precedenti considerazioni, porta a una sola risposta.- sono sicuro di ciò che sto per dire, so di essere nel giusto, lo so con talmente tanta certezza che stringo i fili vicino a me in una mano e tiro -Tu non sei arrabbiato per il tradimento, sei solo geloso perché sei stato escluso.- cadono a terra mollemente, tutti.
Avanzo deciso, piantandomi di fronte a Ja’far, in attesa. Non da segno di vita, ritto in piedi con la testa china e lo sguardo vago. L’atteggiamento da “Ho sbagliato, lo sappiamo entrambi, finiamola qui.”
Io lo so che è questo, lo capisco, perché lo conosco bene, stiamo insieme da anni, e normalmente, le rare volte in cui sono io ad essere nel giusto, gliela do buona, ma non oggi.
-Ja’far.- mantengo un’intonazione dura, pura degli ordini.
-È vero.-
-Più forte.-
Ripete, ma con un tono più basso ancora.
Prima che possa impedirmelo, ringhio infastidito.
-È vero.-
Questa volta è andata, si è sentito. Lo sguardo di Judal è attonito. Con passo malfermo si avvicina, titubante, come se avesse paura di essere cacciato o rifiutato di nuovo, e beh, visti tutti gli alti e bassi degli ultimi tempi non posso dargli torto.
Con titubanza prende la mano che gli porgo, tenendo d’occhio Ja’far come se potesse scattare da un momento all’altro. Quando non nota alcuna reazione, sospira.
-Mi dispiace.- ripete comunque, per buona misura, tenendo gli occhi fissi su Ja’far.
-Sei duro d’orecchi?- risponde con perplessità, facendomi ridacchiare. Me ne pento nel ricevere due pestate di piede degne di due pachidermi.
-No, solo troppo felice per crederci.- si spinge avanti appoggiando la fronte a quella di Ja’far, i nasi che si sfiorano.
Sorrido. Per quanto non convenzionale, immagino che questa sia definibile come “famiglia”. Avvolgo le braccia attorno ai due finalmente sereni, e anche loro liberano un braccio per allargare l’abbraccio.
Poi mi torna in mente una cosa. Non è proprio il migliore dei momenti, ma c’è un piccolo sassolino che desideravo togliermi dalla scarpa da un po’.
-E non puoi aspettarti nulla se non ti fai toccare che durante il calore.-
Due ginocchiate, una negli stinchi una al ginocchio, mi piegano in due.
Facevo meglio a tacere.










Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte: ora, questo è un capitolo allo stato grezzo: scritto in un italiano che boh, con sicuramente alcuni piccoli errori quà e là, e uno svolgimento orribile. Perché è così? Perché la santa donna che beta è in vacanza e mi sono rifiutata anche solo di chiederle. Comunque a settembre finite le vacanze credo glielo propinerò e vedrò di migliorarlo, ma intanto...
nulla, buone vacanze
Hoshi

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Capitolo 25
*** Capitolo 23: Racconti dal fassato e futuri bui ***


Racconti dal passato e futuri bui

 



La domenica era per molti un giorno santo, in quanto significava week end, e dunque niente lavoro.
Questo se non eri re, ministro di un paese o comunque un alto funzionario. In quel caso, presto arrivavi a dimenticare cosa significasse “vacanza”, ma prima o poi arrivava il momento di rispolverare il proprio vocabolario.
-Dai dai, passa Dracoon!-
E visto che loro tre non erano i soli a necessitare di vacanze e per essere ai primi di marzo faceva insolitamente caldo avevano deciso di trovarsi in spiaggia con tutti i generali.
-Hinahoho non siamo in battaglia, non cercare di uccidermi!-
-Scusa Pisti, è la differenza d’altezza.-
La ragazza mise su il broncio.
-Mi dispiace, io non lievito.- disse col sorriso -Meglio se evito la pallavolo, Spaltos passami Sofocle, vado a fare compagnia a Judal.-
Con semplicità si allontanò dal cerchio, andando a sedersi accanto a Judal, osservando i generali passarsi la palla ad una velocità spesso ai limiti dell’umano.
-Grazie per aver proposto la spiaggia, è stata una trovata geniale.-
-Non ci ero mai stato e visto che Robin si era preso il raffreddore mi ero parsa la scelta migliore.-
Pisti annuì. -Si vede che avete fatto pace. Non è che mi racconteresti i dettagli?-
Judal aprì appena la bocca -Non pensarci neppure! Tu dalle i dettagli e ti butto fuori dal letto fino a data da destinarsi.-
-Mi arrendo!- annunciò Judal a voce forte e chiara sorridendo, osservando la partita continuare.
-Che guastafeste, volevo solo fare un po’ di conversazione.-
Era tutto così tranquillo, calmo, rilassante perfino. Non lo avrebbe mai detto, ma gli piaceva quella normalità, era bello stare semplicemente seduto all’ombra a guardare le persone a cui, a diverso titolo, teneva.
Poi, beh, ovvio che al settimo mese, con le caviglie gonfie, la pancia a suo dire di una balena, una costante stanchezza sulle spalle e un appetito per quattro, preferiva sedersi ad un tavolo a mangiare e chiacchierare.
-Che ne pensi della partita?- domandò Saher, ponendo una mano sulla spalla di Judal.
-Quando avrai partorito probabilmente faranno giocare anche te.-
Judal impallidì -Ehi, ehi, piano! Io avrei paura a giocare con Dracoon ed Hinahoho, ma c’è pure Masrur! Neanche morto!-
Scoppiarono tutti a ridere -Potremmo sempre mandarlo via.- sogghignò Pisti.
A quelle parole l’espressione di Judal mutò facendosi curiosa. -Volevo giusto chiedervelo- iniziò con un espressione di finta casualità -Dove sono andati Yamuraiha e Masrur?-
-Yamuraiha è a Magnostat-
Saher si interruppe di fronte allo sguardo perso di Judal -…immagino tu non sappia che è la figlia adottiva del rettore.- disse con il solito caldo serafico sorriso.
-Mentre Masrur,- intervenne Pisti, guardando Judal di sottecchi con aria di complicità -è da Myron per un paio di settimane.-
-Dovrei saper chi è?-
-Perché, non lo sai?- chiesero i restanti generali avvicinandosi al tavolo e osservandolo scuotere le spalle.
-È la sua fidanzata.- disse pacatamente Spaltos allungandosi al fianco da Judal per prendere dell’acqua, del tutto impreparato al suo improvviso scatto, con il quale gli affetto i baveri del vestito trascinandolo alla sua altezza.
-Come sarebbe a dire? E voi fino ad ora non mi avete detto nulla? Dopo oltre quattro mesi che sono qui arrivate a dirmi che anche Yamuraiha è una sorta di principessa e Masrur è fidanzato?-
-Judal, non strozzare Spaltos.- intervenne Ja’far allungandosi sul tavolo ponendo le mani su quelle di Judal e carezzandogli il palmo.
-Rimediamo ora se vuoi.- sorrise Hinahoho dando un paio di pacche sulla schiena a Spaltos, intento a massaggiarsi il collo -Dunque, il viaggio di Masrur era programmato da un bel pezzo, ogni sei mesi va a trovare Myron, mentre Yamuraiha è stata una sorpresa per tutti.-
-Da un giorno all’altro ha detto che aveva sentito il padre, sembrava preoccupata e ansiosa ma non ha voluto dirmi nulla.-
Judal annuì alle parole di Sinbad, accettando il piatto colmo di carne che questi gli porgeva, la voglia di gossip che predominava sula fame.
-Chi sarebbe Myron?-
Il sorriso di Pisti si fece sornione e gli occhi sprizzarono gioia, a indicare la gioia di poter narrare quella che evidentemente riteneva essere una gran bella storia.
-È stato 6 anni, io ancora non c’ero ma…
 

A Rem, le cose non erano facili. Dal morale ai minimi storici, alla carenza di personale, alle solite beghe diplomatiche, per non parlare del debito che avevano contratto con Partebia o della scomparsa di Sinbad, tutto sembrava nero.
Eppure con lo sforzo di tutti, avevano reclutato e formato nuovi impiegati, Ja’far prese le redini della compagnia seguendo i precetti di Rurumu, mentre Masrur, Sharrkan ed Hinahoho si occuparono di gestire il commercio e Pipirika, Dracoon e Saher facevano rotta verso Eliohapt, Altemyula, Sasan, le terre Imchack e Balbadd, recando le tragiche notizie.
Con determinazione, coraggio e speranza, in sei mesi la compagnia commerciale Sindria si rimise in piedi, arrivando a navigare se non in acque proprio pacifiche quantomeno a breve distanza dalla costa, rendendo possibile a tutti rilassarsi in minima misura.
 

-Al tempo né io, né Spaltos e Yamuraiha ci eravamo uniti al gruppo, e ancora Sharrkan non aveva uno strumento del seguace. Dracoon e Saher stavano insieme da poco, Hinahoho aveva quattro figli piccoli a cui badare e Pipirika dopo aver informato il capo-villaggio aveva scelto di restare a casa, Ja’far aveva fatto del lavoro la sua missione di vita, Sharrkan era un viziato principino quattordicenne e Masrur…
 

Masrur era, in un certo qual modo, quello che non appena i lavori urgenti erano finiti si era lasciato andare di più.
Cresciuto come uno schiavo, aveva visto in Sinbad un sole abbagliante per cui lottare, una persona in cui credere, e la sua scomparsa lo aveva profondamente ferito.
Ormai dormiva. La sola cosa che non era mutata in lui era il sonno, sempre vigile e pure di ottima qualità, privo di sogni. Tranne che per mangiare ed allenarsi dormiva, da mattina a sera, incurante del luogo e del tempo, rifiutando qualsiasi invito, limitandosi ad eseguire gli ordini ed aiutare chi glielo chiedeva espressamente.
 

-Era una sorta di fantoccio.-
-Hai ragione Sharrkan, ma è stato allora che ha incontrato Myron.-
 

Nonostante la giornata fosse incredibilmente scura e il cielo promettesse pioggia, nonostante avesse una propria stanza, quel giorno Masrur si era appisolato all’ingresso del negozio con il capo poggiato su una colonna, le braccia in grembo e le gambe stese, come una sorta di statua.
L’unico difetto che aveva quella locazione erano i clienti che entrando nello stabile, nel migliore dei casi, portavano quantomeno con sé il loro odore, per non parlare del rumore dei loro passi, dello spostamento d’aria e del seppur minimo tremolio del pavimento, che comunque mettevano Masrur in lieve stato d’allerta, ma non al punto da svegliarlo.
Era improvabile che venissero attaccati, e comunque soli pochi sciocchi avrebbero attaccato un Fanalis di punto di bianco, per quanto addormentato.
Sentirsi scuotere delicatamente la spalla da una mano piccola e morbida, con unghie curate che gli sfioravano la pelle e un profumo di fiori lo colse impreparato. Un estraneo non avrebbe mai toccato un Fanalis con tanta confidenza, e al contempo nella compagnia solo Ja’far e Sharrkan avevano mani così piccole, ancora da bambini che si stanno appena trasformando in adolescenti, ma c’erano troppe differenze perché fosse uno di loro.
Più per indolenza che per curiosità aprì gli occhi, trovandosi di fronte una ragazzina all’incirca della sua età seduta sui talloni accanto a lui, intenta a scrutarlo con degli splendidi occhi cremisi, di una tonalità appena più scura di quella dei capelli. Seppure fosse fasciata in un abitino bianco e rosa all’apparenza piuttosto scomodo risultava evidente che fosse una Fanalis.
-Chi sei?-
La domanda lo sorprese: sapeva di non essere famoso, ma lui era in un certo senso a casa sua, sarebbe stato più corretto se fosse stato lui a porle la domanda, ma senza formalizzarsi più di tanto gli disse il suo nome.
La ragazzina annuì, tirandosi in piedi con un fluido movimento. -Perché stai qui fuori a dormire?-
Scrollò le spalle, non sapendo cosa rispondere alla domanda. Stava lì perché dormiva, ma perché dormiva lì fuori?
-Aspetto il mio padrone.- disse con noncuranza, saltando lateralmente quando la vide cercare di afferrargli un braccio.
La osservò circospetto mentre lei lentamente alzava le mani in segno di resa, un piccolo sorriso rassicurante in volto. Non avrebbe saputo identificare il motivo, ma c’era qualcosa di strano nella sconosciuta, dall’odore al portamento, sembrava essere fuori posto. Ad occhio valutò che la tonicità dei muscoli di lei era inferiore alla sua, così come pure i suoi riflessi vagamente più lenti.
-Andiamo Masrur, vieni con me.- disse la ragazzina con voce soave abbassando lentamente le braccia ed allungando una mano nella sua direzione, lo sguardo ora serio e colmo d’aspettative. La guardò con sospetto.
-Sta per piovere, non vorrai mica bagnarti, no? Dai, non ti mangio mica!-
Dopo un secondo di riflessione in cui odorò per bene come l’aria promettesse davvero pioggia nel giro di massimo 15 minuti annuì, abbandonando la posa da battaglia senza però far cenno a voler accettare la sua mano, cosa che la sconosciuta accettò con una scrollata di spalle mettendosi in marcia in silenzio, senza commentare la sua scelta di seguirla ad un paio di metri di distanza.
 

Arrivarono fino all’imponente piazza di Rem, quella dove spesso la domenica Masrur si recava per entrare al Colosseo ad osservare i duelli per perfezionare la propria tecnica.
La bambina passò davanti all’imponente costruzione come se nulla fosse, lasciando che le prime gocce di pioggia le cadessero sul naso, arricciandolo appena, infastidita quasi fosse stata un gatto.
Poi dal nulla accelerò gradualmente il passo fino a correre attraverso le vie della città scavalcando i passanti con lunghi salti o correndo su un muro, e Masrur le andò dietro, assicurandosi che lei non gli sfuggisse di vista ed insieme che non lo stesse attirando in una trappola.
Infine dopo una corsa che li aveva condotti di fronte ad una delle ville nobiliari la ragazza saltò sul patio e bussò alla porta. Masrur si arrestò sotto la lieve pioggia esitante, e rimase veramente sorpreso quando la porta si aprì ed una cameriera diede ad intendere come la ragazza fosse la sua padrona, chiamandola signorina, rimproverandola per la sua fuga, affrettandosi a procurarle un asciugamano.
Masrur la guardò, lo stupore che trapelava dai suoi occhi, notando come si comportasse in modo incredibilmente dimesso di fronte alle accuse della cameriera. A essere onesto, non se lo sarebbe aspettato.
Seguendo l’invito della ragazzina entrò in casa, ricevendo a sua volta un asciugamano chi si passò sul viso e sui capelli mentre ascoltava le recriminazioni che la domestica faceva alla ragazza. Che restava muta. Non un fiato usciva dalle labbra, non uno sguardo esprimeva dissenso, fissava il pavimento con la testa bassa e gli occhi tristi, le spalle curve a indicare la sua colpevolezza. Ma solo con lui era stata così sfacciata ed arrogante? Insomma, gli aveva fatto attraversare l’intera città senza nemmeno avergli detto il suo nome!
-Myron, hai preso ciò che ti avevo chiesto?- la voce veniva da un salotto adiacente all’ingresso, da un ragazzo sui 20 anni, con lunghi capelli rossi, occhi cremisi e una tunica tipica delle riunioni fra senatori o comunque fra importanti funzionari politici lì a Rem. E anche lui aveva quello strano tratto, una caratteristica particolare difficile da identificare ma impossibile da non registrare.
-Muu!- urlò Myron scartando la domestica e saltandogli in braccio, con un sorriso a dir poco radioso.
Dopo 6 mesi di solitudine ed abbandono, senza che riuscisse a capirne il motivo, si sentì in qualche modo leggero ed in pace.
 

-Deve essere stato molto divertente, perché in pratica Myron aveva inteso che Masrur fosse uno schiavo lasciato dal proprio padrone ad attenderlo fuori e credeva di averlo reclutato.-
-Muu deve aver riso come un dannato.-
-Puoi dargli torto?-
Nessuno rispose.
-Per fartela breve,- prese parola Ja’far -Masrur ha rifiutato di unirsi all’armata Fanalis, ma ha iniziato ad allenarsi al Colosseo in compagnia di Myron e altri ex-schiavi liberati da Muu.-
-Per quando Sin è tornato un anno dopo era cotto di Myron, anche se lei sotto quel fronte lo ignorava.-
-Mentre Sin ha iniziato a viaggiare per trovare un’isola in cui insediarci si è dichiarato, e poco prima che abbandonassimo Rem si sono messi assieme.-
Judal annuì, curioso però di sapere ancora alcuni dettagli. -Lei che tipo è?-
-L’opposto di Masrur.- risposero, facendo ridacchiare Judal, finché Sinbad non decise di spiegargli meglio -Ha madre Fanalis e padre nobile di Rem, passa le giornate fra ricevimenti, incontri politici e sporadici allenamenti al Colosseo. Con chi non la conosce ha dei modi molto ricercati, se ti conosce invece può diventare parecchio violenta.-
-La conoscete bene?- domandò Judal con voce lievemente preoccupata, forse pensando alle implicazioni dell’avvicinarsi ad un Fanalis aggressivo.
-Affatto, quelli di noi che erano a Rem allora l’hanno vista spesso, ma non ci abbiamo mai veramente parlato e lei in tanti anni non si è mai mossa da Rem.-
-Una relazione a distanza eh? Beh, i miei complimenti.-
Per uno come lui, affamato di costanti attenzioni, bisognoso di costante compagnia, sarebbe stato impossibile sopportare le distanze, anche stando vicino alle persone a cui teneva riusciva a fare danni, ma in fondo, pareva cavarsela bene anche così.
 
 


******************
Definire “vacanza” un singolo giorno di non-lavoro per Ja’far era eccessivo, ma vedere Judal e Sinbad vagare per casa felici come una pasque fin dalla sera prima per una cosa così semplice era divertente, e per quanto ancora Robin riconoscesse Judal come mamma, aveva elevato il suo stato, probabilmente perché non appena aveva un momento libero dal lavoro lo trascorreva fra le braccia di Sinbad con Judal, aiutando in cucina, concentrandosi su qualche complicato tomo spalla a spalla con Judal… in pratica era in costante contatto con i suoi genitori, il che lo aveva portato almeno a “terzo-genitore-non-meglio-identificato”. Pur sempre un miglioramento.
L’idea della gita in spiaggia poi era stata ottima, perché con il gran freddo di febbraio, nonostante tutti gli accorgimenti presi, Robin si era ritrovato con un brutto raffreddore e il pediatra aveva consigliato di tenerlo al caldo e fargli respirare aria pulita. Il mare poi combinava queste due richieste con la voglia dei generali di divertirsi un  po’ insieme.
Era stata una trovata brillante, e a parte Sharrkan che era stato distante e piuttosto nervoso sin dalla partenza di Masrur e Yamuraiha, si erano tutti divertiti a praticare i più svariati sport da spiaggia in compagnia.
Ma per quanto fosse stato divertente, era risultato anche piuttosto stancante, e appena tornati a casa la prima cosa che fecero tutti e tre pressoché in sincronia fu accasciarsi sul divano, uno più morto dell’altro.
-Ja’far stai bene?-
Annuì ad occhi chiusi, respirando l’aria fresca di casa loro. -Tutto a posto Sin, solo un po’ di stanchezza.- rispose spostandosi per appoggiare la testa sulla spalla di Sinbad, seduto fra lui e Judal sul divano.
-Sicuro? Ti stanno venendo occhiaie peggiori di quelle di Judal.-
-Ringrazia che sono stanco o non l’avresti passata liscia.- commentò Judal scivolando contro lo schienale, facendo sorridere Ja’far -La cosa avrebbe una spiegazione- disse con tono un sospiro allarmando i compagni che aprirono gli occhi, scattando ben vigili -Sin, quanti mesi ha Robin ora?-
-10 settimane, perché?-
-Non ti pare sia mancato qualcosa fino ad ora?-
Per quanto divertente e rilassante fosse stato quel pomeriggio e nonostante la relativa calma delle ultime settimane, lui non si era dimenticato del mondo in cui vivevano. Ci sono cose da cui non si può scappare.
Di fronte alle facce preoccupate dei due sospirò, decidendo di toglierli dal dubbio -Non hai nulla di cui preoccuparti Sin, normale stanchezza pre-calore.-
Sulle loro facce si stampò un’aria di comprensione e insieme d’insicurezza.
-Quindi… che facciamo?-
Sospirò, stropicciandosi gli occhi con le mani -Che senso ha parlarne ora? Razionalmente vi direi di occuparvi di Robin e che per il resto gradisco la compagnia di entrambi- altro sospiro -ma sapete com’è… le parole dette fuori dal calore perdono valore quando poi ci arrivi-
-Ehi, Ja’far- disse Judal allungando una mano a toccargli un gomito -non preoccuparti.-
Nonostante le parole di conforto lo sguardo di Ja’far restò buio.
-Comunque una dose di feromoni troppo forte potrebbe indurre il parto, meglio che io me ne tenga alla larga.-
-… voi due avete l’abitudine di dimenticarvi che ci sono anch’io. Dovrei essere geloso?- chiese giocosamente Sinbad, ma non ottenne risposta.
D’altronde, spesso i fatti contano più delle parole.










Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte:
ehi, sì, è da agosto che non aggiorno, avete tutte le ragioni di odiarmi, ma fra la mancanza d'ispirazione, l'assenza della mia beta (a cui per la verità non ho avuto il tempo/la voglia di far controllare nemmeno questo), la ripresa della scuola (per altro nell'anno della maturità, come tutti amano ricordarmi), lo studio per la atente (tutt'ora incompleto) e altre piccolezze non ho avuto il tempo e la voglia di mettermici. E qui ora vi vorrei dire "Ma è tutto finito, tranquilli", se non che per non mentirvi non lo farò.
Se potete perdonatemi, se no me ne farò una ragione, ma vi giuro che, per quanto sporadici possano essere gli aggiornamenti, non intendo abbandonare questa storia
Promesso
Hodshi

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Capitolo 26
*** Capitolo 24: L'arrivo di un ospite ***


L'ARRIVO DI UN OSPITE

 



Seduto sul divano in mezzo a Ja’far e Sinbad tesi come corde di violino e pronti a scattare al minimo movimento sospetto Judal sospirò, facendo loro distogliere lo sguardo dal nuovo arrivato per puntare gli occhi su di lui mentre si lasciava cadere all’indietro ad appoggiare le spalle sullo schienale del divano.
In un primo momento la loro furia e la loro ansia erano giustificate, e in effetti non è che la situazione fosse piacevole, però stavano esagerando.
-Judal, non prenderla sotto gamba.- ringhiò Ja’far continuando a reggere il coltello davanti al proprio volto, pronto a scagliarlo in qualsiasi momento. Sinbad annuì, la mano poggiata sull’elsa della sua spada, pronto ad estrarla e scattare in piedi in qualsiasi secondo.
Alzò le mani a stropicciarsi gli occhi, incurante delle parole dei compagni: dicessero ciò che volevano, ma erano eccessivi.
-Allora, cosa vuoi?- chiese con voce calma, cosa che infiammò ulteriormente la rabbia di Ja’far e Sinbad, ma li ignorò, concentrandosi sull’ospite seduto sulla poltrona di fronte a loro.
Senza djin, strumenti metallici o armi non può farci del male.
 
 


-Tu che tipo di omega sei?-
-Che razza di domanda è?!-
-Guarda che a dispetto di quel che credi ha senso!- sghignazzò combattendo l’istinto di girarsi a pancia in giù -Perché vedi, il fattore comune a tutti gli omega è il calore ma non si presenta a tutti nello stesso modo.- argomentò sotto lo sguardo basito di Ja’far mentre Sinbad se la rideva alle spalle del ministro: meglio così, se lo vede lo ammazza -Ci sono quelli che perdono completamente se stessi, quelli che diventano dei ninfomani ma hanno dei momenti di lucidità dopo aver scopato,- e qui lo sguardo di Ja’far lo fulminò, ricordandogli che Robin stava mangiando e che a Ja’far non piaceva usasse parolacce o termini volgari, tanto più se c’era il piccolo in giro. Proseguì imperterrito -e poi a Kou c’era questa principessa terrificante che andava in giro come se nulla fosse, solo che comunque l’odore dei feromoni la seguiva ovunque e quindi alla fine la rinchiudevano lo stesso.-
-E con questo cosa vuoi dire?- chiese Ja’far guardandolo accigliato.
-Ho idea che non voglia sorprese.- commentò Sinbad con un piccolo ghigno rivolto a Judal, mentre continuava a massaggiare le spalle a Ja’far. Di sicuro non ci si annoiava mai con quei due in giro.
-Non ho intenzione di dirtelo.- rispose piccato, ancora seccato per la battuta che aveva fatto quel pomeriggio quando erano andati al porto ad accogliere Myron. Ma lui mica voleva offenderlo eh!
-Diventa permaloso.- s’intromise Sinbad, facendo girare il capo al compagno ad una velocità tale che per poco non li si svitò la testa.
-Più irritabile del solito- se avesse abbassato lo sguardo sugli occhi di Ja’far sarebbe certamente morto, ed essendone consapevole badò bene di non farlo -e acido. Non mangia, praticamente non dorme e diventa gelosissimo. Però non ti parla mai di lavoro, se non per dirti “chi se ne frega di quella cagata”- ovviamente qui ricevette un pizzicotto ad una coscia: ma possibile che nessuno si ricordasse mai del piccolo? -e farai fatica a crederci, ma ha un odore.-
-Ma veramente?!-
-Cosa c’è di così strano?- domandò con fare piuttosto stizzito, dimostrando il “permaloso e irritabile”.
-Che viviamo insieme da più di 3 mesi e non hai mai avuto un odore?!- domandò con fare retorico.
-Beh si da il caso che io abbia un odore, annusa.- lo invitò agitando una mano, passando Robin a Sinbad.
Se fosse stato una persona normale, con un sano istinto di sopravvivenza, si sarebbe avvicinato cautamente annusando l’aria attorno a sé con discrezione, ma era Judal e quando qualcosa lo entusiasmava diventava tutto fuorché cauto e discreto: gattonò sul divano, avvicinandosi a Ja’far e appoggiandogli direttamente alla base del collo, allungandosi il più possibile verso la nuca.
Ed in effetti un aroma di fiori e albicocche gli solleticò le narici, talmente lieve che quasi credette di sognarlo e solo premendo senza troppa vergogna il naso su quel punto della nuca dove spiccava vistoso sulla carnagione altrimenti lattea il marchio si convinse.
-Dannazione, ma non mi prendevate in giro, esiste veramente! Pensavo fosse tipo l’intelligenza di Sharrkan o la debolezza di Masrur!-
Due sonore risate si liberarono nell’aria.
-Già, in effetti è difficile da credere… ma non pensare, non diventa mai più forte di così, quello è veramente un miraggio.- ammiccò Sinbad accarezzando la schiena al figlio, che sazio gli sbadigliò in faccia.
-Ehi Ja’far, ma se proprio certo che non sia figlio di Masrur?- chiese osservando il piccolo socchiudere gli occhi.
La versione permalosa all’ennesima potenza di Ja’far non prese bene la domanda, e vedendo l’uragano arrivare l’alpha cercò di porre rimedio alla propria gaffe, o almeno di mettere in salvo gli innocenti, per cui affidò velocemente il piccolo a Judal perché lo portasse a letto e si sedette accanto a Judal.
-A differenza tua, Sin, io non sono un bastardo fedifrago: non sono stato io a mettere incinto Judal, per cui non ribaltare su di me le tue colpe.-
-Ja’far, scherzavo.- cercò di rabbonirlo carezzandogli una guancia, ma Ja’far in  in pre calore non era ragionevole.
-E sentiamo, quando e perché avrei dovuto metterti le corna? E come avrei fatto a farlo con un altro alpha? Sono marchiato, di sicuro non vado a toccare altri alpha, non sono masochista, io.-
Negli anni si era abituato alla rabbia di Ja’far in quei momenti, per cui risolse nel modo più semplice e funzionale che avesse collaudato.
-Scusa Ja’far, stavo scherzando e-
Qualcuno bussò alla porta.
-Vai.- gli intimò Ja’far indicando la porta, stringendosi un cuscino al petto. Sorridendo. Aveva detto che era bipolare o se n’era dimenticato?
Sinbad gli diede le spalle per nascondere un sorriso compiaciuto andando ad aprire, curioso di scoprire chi fosse a cosa voleva. La servitù del castello non si spingeva fin lì per suo preciso ordine, nessun impiegato sapeva quale fosse la sua stanza e comunque non era ora di lavoro, il popolo doveva comunque chiedere udienza prima di poter accedere a palazzo e dunque non restavano che gli otto generali.
Aprì la porta con una certa curiosità, pronto ad ascoltare i problemi dei suoi seguaci e migliori amici.
Se non che il sangue gli si gelò nelle vene, per poi infiammarsi immediatamente.
Portò istintivamente la mano alla cintola alla ricerca dell’elsa della spada e non trovandola non ricorse a mezze misure, ricorrendo alla magia mutaforme di Valefor.
Attaccava senza tregua, senza dare tempo all’avversario di parlare, con ferocia.
Perché un principe di Kou a palazzo non poteva significare nulla di buono.

 
 


-Cosa sei venuto a fare a Sindria?- ripeté la domanda Sinbad quando Judal non ottenne risposta, con una voce carica di rabbia e minaccia per nulla mascherata.
-Se anche ve lo dicessi non mi credereste.-
Ja’far, che vedendolo era scattato esattamente come Sinbad, lanciò il coltello che reggeva in mano, intenzionato a colpire il bersaglio. Fu Judal a bloccare l’arma.
-Smettetela.-
-Koumei, cosa vuoi?-
Il principe sospirò. Sembrava invecchiato, i vestiti stropicciati, la pelle pallida e le occhiaie più evidenti che mai. Aveva abbandonato la spada non appena Sinbad aveva smesso di attaccarlo (non certo per sua scelta) e quando gliel’aveva chiesto aveva mollato subito il ventaglio.
In pratica era indifeso, avrebbero potuto ucciderlo da un momento all’altro, eppure non se ne curava.
Non era uno stupido, sapeva che potevano farlo, era consapevole di cosa un alpha è disposto a fare per la propria famiglia.
-Koumei, cos’è successo a Kou?-
-Abbiamo sconfitto la Al Sarmen.- rispose fissando Judal, seduto sulla poltrona con le mani giunte e i gomiti poggiati sulle ginocchia.
-Hakuryuu ha perso un braccio ed una gamba, ma ce l’ha fatta.-
-Sai che-
-Non è ciò che vuoi sapere, già. Hai ragione, scusa.- sospirò, stanco e privo di qualsivoglia verve -Kouen ha deciso di conquistare il mondo come voleva a 18 anni, ed ha lanciato una campagna militare. Ci vorranno almeno sei mesi prima che miri a Sindria, ma arriverà. Ho pensato di avvisarvi.-
Koumei era sempre stanco, ma non abbandonava mai la cortesia, eppure gli parlava in tono piatto. Bloccò le domande di Sinbad con una mano.
No, c’era dell’altro.
Ciò che gli aveva detto Koumei rispondeva sola alla domanda “cos’è successo?” ma non al “perché sei qui?”.
Attese, pestando un piede a Sinbad quando provò ad alzarsi, e senza farsi troppo notare lanciò loro un incantesimo, avvicinandosi con cautela al principe.
-Cos’è successo con Kouen?-
Era un idiota, quando aveva sentito le urla di Sinbad per prima cosa aveva lanciato incantesimi protettiti alla culla di Robin, e ora invece eccolo a sollevare il volto a Koumei, mentre questo lo guardava esausto, svuotato.
-Tu non lo tradiresti mai.-
Conosceva Koumei: sì, loro due erano “stati insieme” per anni, ma mai il principe aveva abbandonato il sogno che il fratello tornasse da lui.
Il ragazzo si morse un labbro guardandolo con profonda tristezza e allungando una mano, lentamente.
Gli afferrò il polso, duro.
-Vacci piano, Mei.- intimò guardando le dita dell’altro sfiorargli il ventre tondo.
Il principe desistette, allontanando la mano, sollevando gli occhi a guardarlo. E come più volte era successo, cadde.
-Si sposa. Ha scelto Hakuei. Lo capisco, i matrimoni fra cugini sono ritenuti normali ed è normale che sia una donna ad essere regina, però- non concluse la frase, si conoscevano abbastanza per capire.
-Perché proprio Sindria?- domandò ancora, guardandolo.
Perché da quella risposta dipendeva molto.
Sospirò, stanco, lanciando uno sguardo a Ja’far e Sinbad, impossibilitati a muoversi dal divano dall’incantesimo, che ancora lo guardavano come fosse il diavolo in persona.
-Quando te ne sei andato è scoppiato il panico: credevamo ti avessero rapito o che fossi scappato per conto tuo, e abbiamo lanciato intere squadre di ricerca per tutto il regno. Hakuei e Kouha erano preoccupatissimi, e dopo tre settimane di ricerca Kouha era disposto a tutto pur di riaverti a palazzo.-
Prese aria stringendosi il ponte del naso.
-Un giorno a pranzo disse come gli mancavi e fosse disponibile a tutto per riaverti lì, che ti avrebbe sposato ma non imposto il marchio, che avresti potuto continuare a fare ciò che volevi, e che ti avrebbe lasciato tenere il bambino. Non ha fatto a tempo a finire la frase che Kouen gli mollato un ceffone, dicendo come eri una proprietà di Kou e che di sicuro quello che avevi fatto non era decoroso. Quando abbiamo scoperto che eri qui ci ha fatto partire immediatamente e sai com’è andata.-
-Mei, stringi, stare in piedi troppo a lungo è impegnativo con questa pancia e se non libero Sin e Ja’far a breve poi me li subisco io.-
Il principe annuì, senza fare commenti né alzare lo sguardo -Quando era scaduto l’ultimatum Kouen voleva partire ad attaccare Sindria, ma Hakuryuu si è dissociato: “prima la Al Sarem poi Judal”. Li abbiamo sconfitti, e quando Hakuryuu ha preso la testa di Gyokuen Kouen ha chiesto ad Hakuei di sposarlo. Ovviamente ha accettato.-
Sospirò, stanco, il tono basso da cui traspariva la difficoltà di trattenere le lacrinme -Sai, sono anche felice per loro, e vorrei poter dire che mi rifarò una vita con qualcun altro, ma la verità è che non posso. Un omega femmina può essere data in sposa ad un alpha, ma un omega maschio in una casata reale è un disonore. Non posso sposare un alpha con il rischio di finirne succube e rivelare segreti scomodi e non posso sposare un uomo, ma nemmeno posso evitare di sposarmi, perché sarebbe disdicevole. In pratica devo scegliere fra una beta o un’omega. E ho pensato alla tua fuga: non credo ti trovassi poi così male a Kou, avevi soldi, servi e potere, eppure hai scelto di andartene e quando ci siamo rivisti hai difeso con tenacia un bambino non ancora nato. Un tempo non l’avresti mai fatto, eri troppo egoista, ma hai capito anche tu quanto un bambino possa dare gioia. E-
-Perché sei a Sindria?- chiese Sinbad, forzando il corpo a muoversi nonostante l’incantesimo di Judal, la voce minacciosa ed il tono autoritario da alpha, impossibile da ignorare per qualsiasi omega.
Un fremito attraverso la schiena dei presenti, i feromoni che esercitavano l’effetto desiderato non solo sul principe di Kou ma anche sui suoi compagni.
Con espressione rassegnata, triste ed intimorita Koumei alzò lo sguardo, fissandolo negli occhi del re di Sindria -Per chiedere ospitalità politica.-

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Capitolo 27
*** Capitolo 25: Precipitazione degli eventi ***


PRECIPITAZIONE DEGLI EVENTI

 



Come ogni essere umano, Judal era pieno di difetti.
Era vanitoso, arrogante, spregiudicato e spigliato, e poi c’era quella grossa voglia alla base della schiena. Quello era il peggiore, dal suo punto di vista. La pigrizia, invece, no. Quello per lui certo non era un difetto.
Si stiracchiò sbadigliando, allargandosi nel letto vuoto. Osservò le tende bianche con le palpebre socchiuse per proteggersi dai raggi del sole, particolarmente potenti quella mattina.
Girò pigramente il capo ad osservare la culla di Robin dove il piccolo dormiva sereno, ponderando di rimettersi a dormire finché il bambino non lo avesse richiamato, ma il proprio stomaco si oppose all’idea, con un sonoro borbottio.
Sbadigliando senza assolutamente curarsi dell’eleganza si alzò, raccattando dall’armadio un paio di pantaloni, rigorosamente neri, in cui ci sarebbero state due persone di corporatura media e una maglietta bianca, rubata a Sinbad qualche settimana prima.
Indugiò in corridoio ponderando le proprie possibilità: scendere alla mensa per prendersi da mangiare o cucinarsi qualcosa? Aveva voglia di qualcosa di caldo, ma cucinare qualcosa di caldo implicava fuoco, e fuoco implicava sudore, però andare in mensa prevedeva scale. Molte scale. Decisamente preferiva cucinare.
Tirò fuori una padella, deciso a prepararsi una crepes (beh non proprio una, forse meglio sei o sette), e prevedibilmente venne interrotto da qualcuno che bussava alla porta.
-È aperta!- strillò prendendo latte, uova e farina e iniziando a cucinare.
-Judal, è vero?-
-Vero cosa?- chiese girandosi con la frusta in mano e la ciotola con gli ingredienti poggiata contro la pancia. Almeno a qualcosa era utile.
-Hai veramente dato il tuo consenso? Come puoi fidarti dopo quello che ti ha fatto?-
-Ah, parlate di Mei.- rispose sollevando brevemente lo sguardo sugli otto generali, più interessato all’impasto che non alla discussione -Sì in effetti ho dovuto litigare non poco con Sinbad.-
-Ma ti ha dato di volta il cervello?- inveì Yamuraiha, parecchio furiosa, ma non ottenne grandi reazioni.
-Sapevo che Sindria fosse nata come un paese che accoglie chi è in difficoltà, e Mei è in difficoltà.- scrollò le spalle, innervosendo non poco i generali.
-Hai forse dimenticato ciò che è successo non più tardi di due mesi fa? Come puoi fidarti di lui?-
-Lo conosco da anni- minimizzò -è un abile stratega e un eccellente bugiardo. Per quello sarebbe capace di ingannare chiunque, ma ha un suo codice morale. Non importa le circostanze, non racconterebbe mai una palla simile. Dice la verità.-
-E se anche fosse vero? Cosa vuoi fare Judal? È un possessore di djin, lui-
-Mi ha lasciato il suo strumento metallico nel momento in gliel’ho chiesto.- replicò Judal, aumentando lo scontento di Pisti.
-E lasceresti che un individuo simile si avvicini a Robin?-
Sospirò, poggiando la ciotola sul ripiano alle sue spalle e voltandosi verso i generali. -Mi fido di Koumei, credo a ciò che dice, ma nonostante tutto no, non lascerei mai che si avvicinasse ai bambini. Il patto che ho fatto con Sinbad prevede proprio questo: può restare, ma non ha alcun diritto di tenere un arma, nemmeno un coltello, può uscire dalla sua stanza solo se sorvegliato a vista da delle guardie e non può avvicinarsi a Robin.-
I generali storsero il naso, per nulla convinti dalle sue parole, e Judal sospirò. -Sentite, veramente, non è necessario. Se non mi credete andate a parlargli, è innocuo. Non ha armi né soldati di Kou da comandare qui, non ci farò del male.-
In risposta ricevette solo una gran quantità di sguardi seccati e aggressivi. -Non siamo noi il suo bersaglio, sei tu, possibile che non ci arrivi?-
Judal sospirò, accarezzandosi stancamente la pancia in un gesto divenuto abbastanza abituale negli ultimi tempi, contemplando il vuoto di fronte a sé.
-Koumei ha perso un figlio, sa quanto può fare male, e so che mi ha aggredito, lo ricordo, ma credo che non si fosse mai soffermato a pensare alle sue azioni. Probabilmente Kouen ha ordinato l’attacco e lui l’ha seguito. È un manipolatore, ma non è che sia tanto più subdolo di Sinbad.- disse, e capì di aver detto la cosa sbagliata quando alzò gli occhi sui generali. Decisamente non avevano gradito l’ultimo pezzo.
-Quello che voglio dire- riprese con tono incerto e nervoso sotto gli sguardi taglienti come lame dei generali, i suoi amici -è che so difendermi. Non ha armi con sé, io sono un Magi, sono io stesso un arma. Non penso voglia ferire i bambini, ma per precauzione comunque non intendo farlo avvicinare. E- disse con tono conclusivo, guardando tutti con sguardo fermo e freddo, in risposta alla loro ostilità -se non volete chiedermi, beh fategli ordinare da qualche alpha di dire la verità, o magari, perché no, chiedetegliela voi.-
Passò lo sguardo da Pisti a Masrur, che pur non essendo di natura permalosa presero molto male l’ultimo suggerimento, e mentre Pisti produsse un basso ringhio di gola Masrur gli diede le spalle e se ne andò.
-Sei uno stronzo Judal.- insultò Yamuraiha guardandolo schifata, e Judal scrollò le spalle -La stessa sentenza che ha dato Sinbad questa mattina.- minimizzò, e lì tutti gli diedero le spalle furibondi e se ne andarono.
 

 
 
-Judal, sei qui?-
Domandò Sinbad entrando nell’appartamento, stanco per il lavoro e nervoso, per la mancanza di sonno e il litigio. Non ottenne risposta, per cui ispezionò le stanze una ad una. La cucina era vuota, con un piatto poggiato sul tavolo ed una piastra ancora sui fornelli. In camera loro tutte le coperte erano spiegazzate, e la culla di Robin era accanto al letto, vuota. Figurati se lo lasciava dormire in pace borbottò seccato, ispezionando anche il bagno, logicamente vuoto.
-Judal!-
No, non era di buon umore, già in condizioni normali avrebbe espulso Koumei da Sindria senza pensarci, perché anche se fossero stati tutti e tre insieme sarebbe stata una situazione pericolosa, ma in quel momento poi… Ja’far era in calore segregato in una stanza tutto il giorno, lui un po’ lavorava e si occupava di Ja’far, poi doveva ritagliarsi del tempo per andare a controllare Judal e il piccolo.
Quindi o Judal gli faceva il piacere di saltar fuori immediatamente o lo avrebbe sbranato.
-Judal!- ripeté uscendo sul terrazzo, e guardando sulla sdraio subito fuori dalla porta vide l’oggetto delle sue ricerche sdraiato al sole, la pelle resa più pallida e traslucida dalla crema, in boxer perché “così era più comodo”, e con Robin sulla pancia.
Se non fosse stato arrabbiato con lui avrebbe certamente sorriso intenerito.
Si abbassò a scuoterlo per una spalla, facendogli aprire gli occhi pigramente. -Ah sei tu.- rispose stropicciandosi gli occhi con una mano, senza togliere l’altro braccio dal corpo di Robin per paura che potesse cadere.
-Tutto bene?-
Sinbad annuì, chinandosi al suo fianco per riuscire a guardarlo meglio -Voi?-
-Ce la caviamo.- minimizzò, sussurrando quasi per paura di svegliare Robin -Oggi sono venuti i generali, e sono riuscito a litigare anche con loro.-
-Beh sì, in questo sei davvero bravo.- replicò Sinbad velenoso, e Judal sbuffò una mezza risata, gli occhi socchiusi, un sorriso simulato.
-Lo so, ma non posso farci molto, e non dico che tu dovresti essere dalla mia parte, ma puoi per favore fingere di essere neutrale?-
Oh, certo perché accogliere a palazzo un principe che aveva cercato di rapirlo e costringerlo ad abortire non era nulla di che, doveva giusto sorridere e dirgli che aveva avuto una splendida idea, vero?
-Devo andare.- disse piattamente alzandosi, accarezzando appena la testa a Robin, senza salutare Judal, andando da Ja’far di umore nero.
La sola cosa buona in tutta la situazione, anche se lo faceva sembrare un mostro e un’insensibile, è che poteva avere tutto il sesso che voleva per calmare i nervi.
 
 
 

-Allora Robin, cosa vogliamo fare questa sera?- chiese Judal guardando il bimbo protendere le manine verso il dito che agitava sopra di lui.
-Non hai fatto molto oggi, nemmeno la tua solita passeggiata.- col caldo che faceva durante il pomeriggio non aveva avuto voglia di portarlo fuori, e il piccolo si era lamentato finché non erano usciti sulla terrazza a respirare un po’ d’aria fresca.
-Che ne pensi se andassimo un po’ fuori adesso?- domandò, agitando il dito a suggerire al piccolo un moto d’assenso, sorridendo soddisfatto quando il piccolo imitò il movimento con il capo.
In fondo era appena calato il sole, faceva fresco ma non freddo, e camminare, fra le altre cose, era un’attività consigliata in gravidanza. Ma le scale proprio no. Già scenderle era faticoso, ma risalirle poi…
Afferrò il proprio bastone e prese in braccio Robin. Si avvicinò al bordo del terrazzo, si sedette sul bastone ed iniziò a scendere lentamente, tenendo Robin in braccio in modo che non facesse caso alla sua furba scorciatoia: se Sinbad lo avesse visto come minimo lo avrebbe ammazzato, rifletté calandosi nei giardini interni del palazzo e poggiando i piedi a terra.
Perché Ja’far e Sinbad erano riusciti a fargli perdere diverse brutte abitudini, ma andare in giro a piedi nudi proprio no. Sentire la terra fredda sotto i piedi e l’erba umida, il ruvido pietrisco ed il liscissimo marmo dei pavimenti del palazzo, erano cose troppo belle, a cui proprio non riusciva a rinunciare.
Erano a marzo ormai, i fiori cominciavano a sbocciare e da quello che aveva letto Judal aveva saputo che avvicinare i bambini a forti potenzialmente allergeniche già dalla tenera età preveniva in parte il rischio di allergie, per cui si avvicinò ai folti cespugli di ortensie.
-Guarda Robin- disse mostrando al bimbo i fiori azzurri, osservandolo allungare una mano curioso, per cui strappò un paio di fiori, piccoli ed appena sbocciati, avvicinandolo al naso del piccolo, che incurante dell’odore cercò piuttosto di mangiarlo.
Judal scoppiò a ridere -Adesso non esagerare, è un fiore, se hai fame poi ti do del latte.- commentò lasciando cadere il fiore e punzecchiando giocosamente il naso a Robin.
-Signor Judal, è lei?- domandò un uomo alle sue spalle, una delle guardie con cui aveva parlato in un paio di occasioni, una persona piuttosto comune, quasi mediocre, ma con una lealtà degna dei migliori cavalieri di Sasan.
-Portavo fuori il piccolo, Ithnan.- rispose gioviale, addirittura felice di poter fare una conversazione con la prima persona della giornata che non era arrabbiata con lui.
Si girò con l’intenzione di proporre un tè o qualcosa al Ithnan, ma desistette immediatamente: perché il soldato stava facendo, insieme al taciturno Vittel, da scorta a Koumei.
-Come sta il principe?- chiese la guardia, e Judal tentennò prima di rispondere “bene”.
-Potrei… ecco, sì… non è che potrei…?-
Annuì, tenendo d’occhio Koumei, che come pur fingendo di guardare altrove lo controllava con la coda dell’occhio.
Indossava una semplice tunica bianca stretta in vita da una cintura di stoffa spessa una quindicina di centimetri, e più che il fiero principe dell’impero di Kou sembrava un prigioniero. Aveva i capelli pettinati, le occhiaie marcate ancora quanto la sera precedente e lo sguardo vacuo.
Non tentò nemmeno di rivolgergli la parola.
-È veramente bellissimo, diventerà un principe forte e coraggioso, proprio non capisco come la madre abbia potuto abbandonarlo.- commentò Ithnan osservando il piccolo che teneva in braccio e Judal rabbrividì, vedendo Koumei ancora fermo accanto a Vittel roteare gli occhi.
In qualche modo ingannare gli abitanti di Sindria era stato facile, ma Koumei non era stupido sapeva benissimo chi era la madre di Robin, e se avesse parlato sarebbero stati grossi guai.
-Sì, beh, avrà avuto paura. Sa, depressione post partum e quelle cose lì.- risposte allungando le braccia per farsi ridare il bimbo con la scusa di metterlo a letto.
Se credeva che le cose non potessero andare peggio, aveva appena scoperto che erano scivolate ancora più in basso.
 
 
 

Addormentarsi da solo fu strano. Ormai era abituato a condividere il letto, all’odore di Sinbad e al calore di Ja’far, non averli sdraiati lì, accanto a lui, fu strano. Strano e in qualche modo sbagliato.
Iniziò la giornata con il piede sbagliato, con un mal di schiena fastidioso e senza la benché minima voglia di cucinare. Se era iniziata male, inoltre, si poteva dire che proseguì peggio. Sinbad non passò a trovarlo dopo pranzo, come aveva fatto il giorno prima, mandando Pisti al suo posto.
Di solito si sarebbero seduti, avrebbero chiacchierato e riso un po’, invece la ragazza bussò e quando andò ad aprirle, dimostrando che era vivo, chiese di Robin e non appena ebbe ottenuta la risposta se ne andò.
Quando nel pomeriggio fece un salto a prendere un libro in biblioteca, appena lo vide Yamuraiha raccolse le sue cose spostandosi altrove.
Era come essere retrocessi a cinque mesi prima, in cui Sinbad lavorava, i generali lo evitavano e Ja’far non si faceva vedere. Era orrendo.
Quella sera, pur avendo già fatto una lunga passeggiata nel pomeriggio, decise di andare a guardare il mare, perché in qualche modo lo trovava rilassante, così prese il passeggino, Robin ed il bastone e si avviò.
L’andata era in discesa, per cui decise che fala a piedi avrebbe potuto giovare alla sua schiena e camminò, incontrando ben pochi passanti per la via della città e senza davvero far caso a loro.
L’isola di Sindria non aveva delle vere e proprie “spiagge”, c’era una minuscola porzione di sabbia, incastrata fra il porto e i campi, ma nulla di più, per cui Judal scelse di salire sulla scogliera, il “muro difensivo di Sindria”, se così la si poteva chiamare e di osservare il mare da lì.
Tirava un vento non particolarmente forte ma nemmeno esattamente delicato, per cui, pur sapendo che Robin non rischiava di sentire il freddo grazie ad un incantesimo di calore applicato a tutte le sue tutine, lo prese in braccio, cullandolo mentre guardava l’orizzonte. Stette così per un po’ a contemplare la vastità dell’Oceano, quando all’improvviso Robin cominciò a lamentarsi, ed in un attimo stava piangendo disperato.
Provò a cullarlo, controllò se dovesse essere cambiato, provò a dargli del latte che aveva portato con sé, ma nulla lo calmò.
Allarmato, raccolse il bastone da terra, lasciando lì il passeggino e volò a palazzo.
Cos’avrebbe dovuto fare?  Non sapeva poi granché di bambini, poteva provare a contattare Sinbad, ma non sarebbe servito a molto, e Ja’far era da considerarsi irreperibile. Cosa si faceva in quelle situazioni?
Non aveva la più pallida idea di cosa fosse preso al piccolo, non sapeva come funzionasse la sanità a Sindria, e non sapeva se ci fosse bisogno o meno di un medico, e anche così l’unico medico che lui conosceva era Irene, che però era una ginecologa, non una pediatra.
-Pisti! Pisti!- batteva alla sua porta disperato, con Robin fra le braccia che piangeva e piangeva, mandandolo sempre più in panico. -Pisti aprimi!-
Infine Spaltos aprì la porta guardandolo rancoroso, troneggiando su di lui nonostante normalmente fra loro ci fossero si e no una decina di centimetri. Ignorò il suo sguardo e nel momento in cui il cavaliere notò Robin abbandonò almeno temporaneamente le ostilità. -Pisti!- richiamò alzando la voce, ed al suo richiamo la ragazza apparve immediatamente dal corridoio, come se fosse stata dietro la porta ma non avesse avuto voglia di vederlo.
-Che succede?- chiese vedendo Judal in lacrime per la paura e Robin che strillava.
-Io non lo so! E-eravamo a guardare il mare, e poi-poi ha iniziato a piangere, e stare male, e, e n-non so perché. Non riesco a farlo smettere, e non posso chiamare Sinbad e Ja’far, e-
-Spaltos, va a chiamare gli altri. Judal, ha avuto qualche sintomo prima?-
Scosse il capo, porgendo il bambino a Pisti -No, io non so cosa gli succeda, è accaduto tutto all’improvviso.-
La ragazza provò a calmarlo, ma non ottenne risultati. -Cosa facciamo?- chiese Pisti, ormai in panico quando il magi, appoggiando il bambino sul divano e guardandolo in apprensione
-Io… io non lo so.-
-Mi scusi, va tutto bene qui?- domandò una voce alle loro spalle, e vedendo Vittel, Ithnan e Koumei Judal si sporse verso di loro alla ricerca d’aiuto, mentre Pisti lo bloccò allungando un braccio e ringhiando con ferocia verso le guardie e Koumei.
-Abbiamo sentito il pianto dal cortile e-
-Andate via.- disse Pisti praticamente tremando di rabbia, minacciando in modo per nulla velato il principe, che succube dei potenti feromoni era piegato in due.
-Può darsi che-
A Judal non servì altro. Non si fidava pienamente di Koumei, ma se c’era una possibilità che sapesse cosa aveva Robin, gli avrebbe permesso di farsi valere.
Bloccò Pisti all’interno di un borg, allungando un braccio per prendere il polso a Koumei e lo tirò vicino al divano, sottraendolo alla tutela diretta delle guardie, che provarono a opporre resistenza, motivo per cui erse un secondo borg attorno a sé, al principe e Koumei.
-Posso?- chiese il principe indicando il bambino che Judal aveva preso in braccio, ben sapendo come né lui né i genitori erano favorevoli all’idea di fargli toccare il bambino, ed in fondo lui avrebbe fatto lo stesso.
Judal tentennò, stringendosi il bambino al petto -Non voglio fargli del male, so che è chiederti molto, ma fidati di me.- disse con occhi limpidi e sinceri, animati dalla generale preoccupazione nei confronti del piccolo.
In mezzo a lacrime di profonda disperazione Judal gli passò il bambino, vedendo Koumei appoggiarselo contro il torace come lui aveva fatto poco prima, accarezzandogli la schiena con piccoli movimenti circolari, attivando poi la manipolazione del magoi e continuando ad accarezzare la schiena al piccolo, con Judal che rilasciò il borg, lasciando che tutti i presenti, a cui ora si erano aggiunti pure Masrur, Myron e Sharrkan, ringhiassero con aggressività, indipendentemente dal proprio genere secondario, addosso al principe, senza però osare fare una sola mossa per non rischiare di coinvolgere Robin.
-Mettilo subito giù altrimenti-
-Oh, state un attimo zitti.- replicò il principe, guardando il viso del bimbo concentrato, e i suoi pianti si acquietarono. Passò il bambino a Judal, e non appena lo ebbe lasciato andare si ritrovò spiccicato contro al muro da Masrur, mentre ancora ringhiava tenendogli tirandogli i capelli perché non chiudesse gli occhi o provasse a guardare altrove.
-Cosa gli hai fatto?-
-L’ho solo aiutato.- rispose con difficoltà Koumei a causa della carenza d’aria, e incurante di ciò Masrur aumentò la pressione sulle sue spalle -Cosa.Gli.Hai.Fatto?-
-Aveva le coliche, ho solo cercato di aiutarlo.-  ripeté, e Masrur lo lasciò andare di botto, mentre Koumei cadde a terra tossendo.
-Coliche hai detto?- domandò Pisti, guardandolo dall’alto in basso, ed il principe annuì.
-I figli di Kouha ne hanno avute spesso, questo era l’unico modo per placarli che avevamo trovato dopo mesi di notti insonni- rispose massaggiandosi la gola dolorante e la nuca, dove le ghiandole del marchio risiedevano.
Pisti annuì, alzando lo sguardo sulle due guardie e facendo loro segno che lo portassero via, e Judal non poté che osservare inerte, con le guance rosse per il pianto e la tensione, mentre le de guardie prendevano Koumei sotto le ascelle e lo trascinavano via senza il minimo riguardo.
Era davvero per quello che Koumei se n’era andato da Kou? Lui era corso da loro per avvisarli dell’imminente attacco, aveva abbandonato il suo strumento metallico appena gli era stato chiesto ed accettato in silenzio di essere sorvegliato a vista, per quello?
Aveva dato una mano, cercando di alleviare le sofferenze di un bambino e ora per questo Pisti avrebbe probabilmente dato ordine, almeno in attesa che Sinbad tornasse, che lo ammanettassero e che non lo facessero più uscire dalla sua stanza, nemmeno per andare in bagno?
Un fiero principe d Kou, abituato ad abiti della seta più delicata e dai colori sgargianti, si era abbassato ad una divisa di lino bianca ed una cintura, ad essere sorvegliato a vista da degli estranei, solo per aver chiesto di restare a Sindria, e quando aveva provato ad aiutarli, era finito schiacciato contro un muro da un  Finalis maschio alpha!
Lievemente più lucido guardò i presenti, che a loro volta guardavano lui: ora che l’emergenza era rientrata, il problema era tornato, e l’ostilità era ben presente nei loro sguardi mentre dal suo sguardo era sconvolto dalla violenza con cui avevano reagito. Il bilancio, al netto delle due cose, era in attivo.
Si sistemò Robin in braccio più comodamente e fece per uscire, ma Spaltos, tornato poco prima con Yamuraiha, gli bloccò la strada.
-Dove stai andando?-
-A letto, dove vuoi che vada a quest’ora?-
-Robin resta qui.- disse una voce, quella di Pisti, alle sue spalle.
Si girò lentamente, come scottato.
-Prego?-
-Robin resta qui.- ripeté ferrea -Hai infranto la promessa fatta a Sinbad, l’hai messo in pericolo. Fra voi ve la vedrete in separata sede, ma per ora ci occuperemo noi di lui.-
-Non potete… lui… io… noi…- boccheggiò indietreggiando, trovando Spaltos e Sharrkan a bloccargli la strada.
E poi arrivò la pugnalata, quella che gli fece capire che se prima credeva le cose andassero male, beh, non aveva ancora visto nulla -Tu non sei sua madre, lascialo qui e vattene.-
E così fece: diede il bambino  a Pisti e se ne tornò nella propria camera, buttandosi su quel letto troppo grande per una sola persona e piangendo, abbracciandosi la pancia e quel bambino non ancora nato, l’unico che fino ad allora sembrava avere fede in lui, l’unico con cui, fino a quel momento, non aveva ancora fatto casini.

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Capitolo 28
*** Capitolo 26: Una strenua resistenza ***


Una strenua resistenza

 



Aveva sempre ritenuto svegliarsi alle prime luci dell’alba “brutto”, ma decisamente, si ritrovò a constatare, non addormentarsi proprio era peggio. Molto peggio.
E non gli era nemmeno mai piaciuto essere stracarico di cose da fare, ma non avere proprio uno scopo era peggio.
Si asciugò le lacrime con una mano, controllando il proprio riflesso allo specchio: era pallido, con gli occhi rossi, aveva la gola secchissima e una sete tremenda, motivo per cui si piegò attaccando le labbra al rubinetto e bevendo, per poi accendere una doccia e sistemarsi.
Perché, si ripromise, non avrebbe passato un solo altro istante senza Robin. Forse non era suo figlio, possibile, ma lui, lui era sua madre.
E non c’è cosa più sbagliata di provocare una madre.
 
 


Quando uscì di casa non erano neanche le sei, ma incurante del pancione Judal marciava verso la camera temporanea di Ja’far e Sinbad, con i capelli raccolti nella consueta treccia ed i vestiti, scomodi ma indicativi di battaglia, di quando era arrivato a Sindria.
Bussò con decisione e quasi con ferocia, avvertendo i mugolii di Sinbad, ragione per cui aumentò la forza dei colpi, ed in un attimo la porta si aprì.
Ignorò bellamente Sinbad che sbadigliava, evidentemente svegliato dal suo bussare, e l’asciugamano che gli cingeva i fianchi, suo unico indumento, puntandogli un dito al petto e cominciando ad accusarlo.
-Si può sapere dov’eri ieri?-
Sinbad lo guardò con cipiglio che voleva-essere-incazzoso-ma-era-troppo-stanco-per-esserlo-davvero -Ho avuto da fare.- replicò trattenendo uno sbadiglio, e Judal non potè che inarcare un sopracciglio scettico e storcere le labbra.
-Oh lo vedo.- rispose alludendo alla stanza, che sembrava aver ospitato un ciclone tant’era a soqquadro. -Senti,- disse con un sospiro, pentito della sua ultima uscita: cosa si poteva aspettare da un alpha e un’omega in calore? Lui mica sarebbe stato tanto meglio. -Andrò dritto al punto: dì a Pisti e agli altri di piantarla.-
-Piantarla di fare cosa?- chiese Sinbad, sinceramente confuso.
-Tanto per iniziare, due giorni fa sono venuti a farmi storie per Koumei,- disse alzando una mano a bloccare qualsiasi possibile obiezioni di Sinbad: non era lì per discutere, era lì per ottenere -e abbiamo litigato. Mi hanno tolto il saluto e mi evitano come la pesti, e questo passi, almeno non mi fanno i dispetti come quando ero arrivato. MA- disse alzando il tono di un’ottava per mettere ben in evidenza la cosa -ieri c’è stato un problema con Robin E- continuò sempre bloccando qualsiasi possibile intervento -solo perché Koumei ha dato una mano ora Pisti mi ha portato via Robin. Quindi, per favore, fammi il piacere di chiarirle, visto che non mi lascia avvicinare, che l’essere alta come una bambina di dieci anni non le da il diritto di comportarsi come tale, e di smettere di fomentare gli altri.-
-Cos’hai fatto?- chiese Sinbad, abbandonando il tono stanco ed assumendo un’aria dura e ostile.
-Io.Non.Ho.Fatto.Niente.- sillabò -Ma Robin piangeva da mezz’ora, non c’era modo di farlo smettere, nessuno sapeva cosa fare, e dato che Koumei ha individuato il problema per primo e non aveva intenzione di nuocere a Robin sì, ho lasciato che desse una mano. E per aver aiutato si è ritrovato schiacciato contro un muro da Masrur!-
Sinbad lo guardò freddo -E con ciò?-
-“E con ciò?”- gli fece il verso, stralunato.
-Ma ti rendi conto del pericolo a cui hai esposto Robin?-
-Non era in pericolo!- urlò esasperato -Credi davvero che metterei mai Robin in pericolo? Ci tengo a lui, nel caso non te lo ricordassi, io l’ho letteralmente visto nascere! Come puoi credere che-
Un’ombra catalizzò la sua attenzione, e fu un bene perché se non l’avesse vista e non si fosse spostato immediatamente probabilmente Ja’far lo avrebbe fatto cadere, e per un gestante cadere non era mai un bene.
-Ja’far, senti ieri- cominciò incurante della tentata aggressione, quasi che non l’avesse notata, ma questo non bastò a far dimenticare la cosa a Ja’far, che gli risaltò prontamente addosso.
-Ja’far ma cosa diamine- chiese con tono allarmato, retrocedendo all’interno della camera, guardando il compagno, con i capelli bianchi sporchi e scompigliati, che completamente nudo si aggirava con ferocia per la stanza, senza nemmeno i coltelli da lancio assicurati ai polsi, le pupille talmente dilatate che non si vedeva il colore dell’iride.
E non di meno pareva avercela a morte con lui.
-Ti avevo detto che diventava solo istinto. Non serve che gli parli, capisce ben poco di quello che gli dici e raramente agisce di conseguenza. Vattene fuori di qui, e non ci tornare, direi che il responso e chiaro: Ja’far non ti vuole qui, ed al momento neanch’io.-
Judal lo guardò, alzando il capo in aria di sfida, ergendo un borg attorno a sé, cosa divenuta piuttosto abituale di quei tempi, ed uscì dalla camera sibilando un seccato “come vi pare”.
 

 

Il bello di fare le cose per qualcuno è che non hai bisogno di sentirti dire grazie. Dai per scontato che in qualche modo la persona per cui lavori riconosca il tuo impegno e ne tenga conto, e così lavorare per qualcuno per lui era sempre stato bello.
O meglio, i primi tempi lavorare per la Al Sarmen lo era stato, e così gli era piaciuto pure lavorare per Ja’far e Sinbad, occupandosi di Robin, ma quel tempo pareva essere finito. E la cosa non gli andava giù.
Nel corso della notte Dracoon e Hinahoho erano passati per il suo appartamento, prendendo le cose di Robin e portandole via.  Non aveva mosso un muscolo. Ma ora intendeva andare a riprendersi il bambino.
Le camere dei generali erano tutte vicine fra loro, e a breve distanza da quella un tempo di Sinbad, per cui caricando come un toro si diresse verso il minuscolo appartamento di Pisti, e arrivato in prossimità si fermò.
Oh, non che gli mancasse il coraggio quello proprio no, ma un pianto, il pianto di Robin, lo fece bloccare in mezzo al corridoio. Perché anche nei pianti ci sono delle sfumature, e quella era la peggiore che avesse mai sentito.
-Non capisco, non sono nemmeno le coliche, oggi piange e basta!- aveva un buon udito, lo aveva sempre avuto, e sentì perfettamente, pur sotto il pianto di Robin, le parole di Spaltos.
-Ma ha dormito un po’?-
-Sì Yamuraiha, te lo assicuro. Poi all’alba si è svegliato per la fame: gli abbiamo dato il latte, l’ambiamo cambiato e l’abbiamo rimesso a letto, e un ora dopo BAM, è partito a piangere peggio di una sirena!-
-Siete proprio convinti che non siano le coliche?-
-Siiiiiiiiiiii, abbiamo provato a manipolare il magoi come aveva fatto quel fottuto principe ieri sera ma non è servito a nulla.-
-A questo punto chiamiamo un medico.- vide la maniglia abbassarsi e stupidamente si nascose dietro la porta.
-Avete provato a darlo alla madre?- la maniglia si rialzò.
-È in calore, non lo riconoscerebbe e anzi è pure possibile che lo attacchi.-
-Non sto parlando della madre biologica, se davvero non riconosce Ja’far come madre tanto vale.-
Ci fu un secondo di pausa, in cui Judal trattenne il fiato.
Non sapeva quale fosse la causa del pianto, ed era dispiaciuto per Robin, ma una piccola parte di lui, quella abbietta e meschina, sperava che funzionasse. Forse non sarebbe servito a nulla, ma chissà, forse anche sì. Pregò ardentemente che le parole di Myron facessero effetto, perché solo un’estranea-ma-non-troppo al gruppo poteva averle pronunciate, e forse visto che era la fidanzata di Masrur le avrebbero dato ascolto.
Attaccò l’orecchio alla porta, per sentire meglio, e sentì chiaramente il -Mai.- sibilato da Pisti.
Furibondo marciò al piano superiore, in quello che ancora ostinatamente definiva anche il suo appartamento, prendendo una maglietta e tornando giù furibondo: nulla era cambiato, nonostante fossero trascorsi almeno una decina di minuti.
Non si curò di una cosa come bussare, praticamente spalancò la porta, buttando addosso a Pisti la maglietta che fino a poco prima aveva indossato.
-Credevo avessi un cervello ed un cuore, credevo lo aveste tutti, invece avete solo un sacco di orgoglio. Andate a farvi fottere.- si allontanò prima che chiunque di loro potesse replicare, udendo il pianto di Robin acquietarsi velocemente, e per quanto non poteva averne la certezza, rimase convinto della sua tesi.
La mamma è la mamma, e dal punto di vista di Robin, quella maglietta magari non ne aveva il calore, però c’era sopra perlomeno l’odore.
Da due mamme a zero, hai fatto proprio un bell’affare, Pisti.
 
 

 
Quando anni addietro Kougyoku era andata da lui dicendo di sentirsi in gabbia e compagnia bella, pur non comprendendola appieno aveva cercato di aiutarla.
Ora, ad anni di distanza, comprendeva perfettamente cosa volesse dire sentirsi in gabbia.
Era corso al mare, in barba al fatto che per un gestante correre fosse severamente vietato, e si era arrampicato sulla scogliera, iniziando a urlare verso il mare, la voce coperta dal vento, lanciando incantesimi casuali contro il mare, spaventando fra l’altro un mostro marino metà murena e metà pesce.
Il suo antistress divenne attaccare l’acqua in prossimità della coda del mostro perché questo si allontanasse dall’isola: il mostro probabilmente non lo capiva, ma gli stava salvando la vita.
Anche quando il mostro se ne fu andato continuò ad attaccare l’acqua per quelle che gli parvero ore, fin quando le ginocchia non minacciarono di cedere e la gola iniziò a fargli male.
Si sdraiò sulla nuda roccia indifferente alla durezza della stessa, massaggiandosi il polso che aveva agitato per lanciare incantesimi e guardando la vastità dell’infinto cielo azzurro.
Quando anni addietro aveva viaggiato con Hakuei lei gli aveva insegnato a giocare con le nuvole. “Guarda,” gli diceva, indicando il cielo con un dito mentre cavalcavano nelle lande desolate “quella nuvola non ti sembra una balena? Quella invece pare una lumaca, e quella un cane che abbaia.”
Quando viaggiava con lei alla fine la ragazza riusciva sempre a fargli vedere cose che non c’erano, grazie al suo carattere oltremodo dolce e conciliante, e invece ora che era solo, pur essendo il cielo pieno di chiare nuvole bianche come la panna, non riusciva a vedere nulla.
Non una palla, non un lombrico, nemmeno le cose più semplici.
Sentì dei passi alle sue spalli. Passi per nulla affaticati dalle lunghe rampe di scale, almeno tre persone, anche piuttosto gioviali. Di certo non erano i generali, forse qualche cittadino che voleva fare una passeggiata, pensò, non curandosene e chiudendo gli occhi, occupando tutto le spazio che gli era possibile, aprendo braccia e gambe come se fosse una stella marina.
Non si aspettava certo che qualcuno andasse a sedersi accanto a lui, scuotendogli una spalla.
-Judal, tutto bene?-
Aprì un occhio girando il capo alla sua destra -Kikiriku? Cosa ci fai qui?-
Il giovane Imuchack sorrise. -Siamo venuti a cercarti. È da due giorni che papà è furibondo: ci ha vietato di avvicinarci a palazzo, borbotta sempre qualcosa, e oggi ci ha detto che potrebbe capitarci di doverci occupare di Robin per una notte.-
-E quando gli abbiamo chiesto cosa ti fosse successo per cedere Robin così l’ha presa molto male, dicendoci che Robin per noi deve essere una sorta di cugino e che non vuole sentire storie.-
Poggiò le mani sulla roccia nel tentativo di alzarsi, e gentilmente Kikiriku gli diede una mano, mentre Yuyuko e Naname si spostarono sedendosi composte alla sua sinistra e Sasanato* restava timidamente semi nascosto dietro le spalle di Kikiriku.
-Eravamo un po’ spaventati, così abbiamo chiesto a Saher- spiegò Yuyuko, sorridendo allo sguardo perplesso di Judal: sapeva di conoscerla ma aveva un attimo di vuoto -È la moglie di Dracoon, si tiene ben a distanza dai riflettori, ma sa comunque sempre tutto ciò che accade a Sindria. Quando Ja’far se ne va per periodi più lunghi di due settimane è lei che si occupa di tutto.-
-Comunque, per fartela breve, ci ha raccontato dell’arrivo di Koumei e del litigio.- concluse Naname, e Judal spostò lo sguardo su Kikiriku.
-E a voi sta bene?- domandò.
-In che senso scusa?- chiese il ragazzo guardandolo sorridente, facendo aggrovigliare lo stomaco a Judal per il senso di colpa.
-Quando hanno attaccato a gennaio anche voi siete stati coinvolti nell’attacco: vi sta davvero bene che Koumei stia qui?-
Le due ragazze si mossero lievemente a disagio alle sue spalle, mentre Kikiriku scosse il capo, guardando il cielo in lontananza, sereno.
-Anni fa tu eri un alleato di Partevia, quando era nata la prima Sindria. Non credo tu lo sappia, ma nostra madre è morta in quella guerra. Sono l’unico che la ricorda, anche se solo il suo volto e la sua voce. Era una brava madre. Ma è andata così, è morta in guerra per difenderci, e indubbiamente tu sei in parte colpevole della sua morte, però non ti odio.- staccò lo sguardo dal cielo, riportandolo su Judal -Non ti conoscevo al tempo, non so perché tu lo abbia fatto, e molti direbbero che ho tutto il diritto di odiarti, ma non avrebbe senso. Mamma era una persona molto saggia, lo dicono sempre tutti, e probabilmente se fosse qui ci direbbe di valutare le persone per come sono nel presente, e non per ciò che hanno fatto.-
-Tu sei carino con noi.- disse timidamente Naname, sembrando solo una bambina di dieci anni rinchiusa in un corpo troppo grosso per la sua età.
-A Natale hai giocato con noi quando nessuno era disposto a farlo e non ci tratti come se fossimo solo dei bambini. E poi sei una buona mamma per Robin.- riprese Yuyuko, e Sasanato annuì.
-Grazie.- disse sorridendo e stendendosi di nuovo, mentre i quattro fratelli sorrisero.
-Prego-
Restarono in silenzio per un po’.
-Vuoi parlarne?- chiese Kikiriku, guardandolo premuroso, mentre Naname e Yuyuko guardavano il mare con le testa appoggiate l’una all’altra e Sasanato si era spostato per fare  una treccia alle sorelle.
Scrollò il capo, guardando quei ragazzi con affetto e Kikiriku gli appoggiò una mano sul braccio -Va bene.-
Alle volte non servivano le parole, quelle spesso erano più utili per litigare che per fare pace. Per stare bene con qualcuno erano molto più importanti i gesti, e alle volte era addirittura sufficiente la semplice compagnia fisica.
 


 
Alla fine era talmente stanco per la notte in bianco che si era addormentato sulle rocce, e Kikiriku era rimasto lì con lui fino a sera, ad assicurarsi che non gli capitasse nulla. Diavolo, a 13 anni quel ragazzino era più maturo di molti adulti, era veramente ammirevole.
Quando si era risvegliato era sera, aveva saltato non solo la colazione ma anche il pranzo quel giorno, ed era a dir poco nero di fare. Erano scesi dalle mura, ritrovandosi così in prossimità dei frutteti, e Kikiriku aveva colto un paio di frutti da un albero per passarglieli, sotto lo sguardo del proprietario del campo. Aveva pagato di tasca sua per qualcosa che non era destinato a lui. Quel ragazzo sarebbe diventato davvero molto popolare.
Lo aveva riaccompagnato fino alle prossimità del palazzo ed era tornato indietro.
Era praticamente il principe azzurro, solo che era ancor più alto di quanto tutte le bambine sognavano e aveva i capelli turchini anziché biondi.
Si rigirò nel letto. Era piena notte ormai, ma non riusciva a dormire. Per quanto fosse stanco, proprio non ce la faceva: come i bambini dopo un incubo, non era più capace di dormire da solo.
Sospirò, stropicciandosi gli occhi, e si alzò. Ravanò un po’ nell’armadio fino a quando non trovò un lungo accappatoio bianco, che Sinbad usava durante l’inverno, e se lo mise. Era un pelino lungo, ma in compenso si allacciava molto bene sulla pancia, che era la cosa più importante.
Con passo silenzioso lasciò l'appartamento, mettendosi le scale in tasca e facendo, per l'ennesima volta, quelle maledettissime scale.
Aveva voglia di compagnia, e visto che i generali erano determinati a tenerlo a distanza sarebbe andato altrove.
-Non può passare.- ebbe però il coraggio di rispondergli Vittel, che evidentemente doveva avere il turno serale per tutta la settimana, e Judal lo guardò, freddo.
-Non posso?- chiese guardando scettico la guardia, che spostò lo sguardo sul compagno di turno, un uomo che onestamente non conosceva.
-Pisti ha detto di non far passare nessuno.- disse in sua difesa, rinunciando ad ottenere qualsivoglia tipo di sostegno dal suo compagno.
Gli scappò una risata, bassa di scherno, poi si ricompose. -Bene, permettimi però di farti una domanda: ti sembra sensato ciò che stai facendo? E dimmi, ritieni che l'uomo che stai sorvegliando sia un pericoloso criminale? Se sì, perché non l'hai messo in cella, se no, perché non posso vederlo? E per finire- disse vedendo il soldato che ancora esitava -a chi faresti ascolto, al compagno del tuo re o ad un generale?
Ignorando la protesta del novellino accanto a lui Vittel abbassò la lancia con cui gli aveva precedentemente sbarrato la strada, aprendogli la porta.
A stare con lo zoppo si impara a zoppicare, ed allo stesso modo a furia di stare con dei bastardi manipolatori si impara a manipolare.


 
 
La guardia chiuse la porta alle sue spalle, non volendo comunque sbandierare la propria insubordinazione agli ordini di un generale, e Judal non gliene fece una colpa, fermandosi giusto un attimo per abituare gli occhi alla poca luce che entrava nella stanza da una finestra coperta da pesanti tende. Tendendo l’orecchio individuò il letto su cui Koumei dormiva, respirando regolarmente e dandogli le spalle.
Gli si avvicinò cautamente, controllando che sul pavimento non ci fosse nulla che potesse farlo inciampare, e arrivato accanto a lui si piegò, non senza qualche difficoltà, andando a scrollare il principe.
-Cosa vuoi?- chiese il principe nel momento in cui il magi gli sfiorò una spalla. Figurarsi se dormiva, quell’imbroglione.
Allontanò la mano, senza aprire bocca, e Koumei si rigirò, appoggiando un gomito al materasso e sollevando il busto.
Lo guardò inquisitorio e silenzioso per un po’, per poi sbuffare con una traccia di divertimento.
-Un tempo facevi così quando volevi fare sesso. Venivi in camera mia, mi sfioravi una spalla e ti arrampicavi sul mio letto.- guardava il soffitto, pensieroso e distante. -Adesso cosa vuoi?- chiese abbassando lo sguardo, fissandolo freddo e seccato.
Appoggiò le mani sul materasso, sedendosi sul bordo del letto, mentre Koumei spostò le gambe per fargli spazio.
-Volevo solo parlare.-
-Se io non volessi?- chiese il principe reclinando il capo, e lasciando che i capelli cremisi gli scivolassero sulle spalle.
-Mei…- sospirò Judal, scuotendo il capo.
-Non provarci, questa volta non attacca.- replicò lasciando che Judal continuasse a parlare con la sua gola più che con lui.
-Mi dispiace-
-Oh ti dispiace? E per cosa?- chiese con cattiveria, guardandolo senza minimamente tentare di nascondere la rabbia e l’offesa.
-Per ciò che stai passando.- rispose, prevendo l’imminente aumento della rabbia di Koumei.
-Non mi cambia nulla che ti dispiaccia. Per quanto possa dispiacerti resto un prigioniero: non ho fatto nulla, ma solo per il fatto di essere legato ad eventi spiacevoli vengo segregato e maltrattato.-
-Koumei, mi dispiace, ho provato a parlarne con Sinbad ma-
-Ma non ti ha dato ascolto, già.- sospirò, stropicciandosi gli occhi -Lascia perdere,- disse il principe con un sospiro, abbandonando la rabbia che lo animava -ti perdono, tornatene in camera tua e fammi dormire.-
-Tu non stavi dormendo.- osservò Judal, a cui Koumei replicò prontamente -Prima che tu arrivassi dormivo.-.
-Menti.-
-Sì, in effetti sì.-
Sorrise. Generalmente era una persona molto seria, ma ogni tanto poteva divenire piuttosto gioviale.
-Grazie.- disse Judal sorridendo, appoggiandogli una mano su una coscia, e Koumei inarcò un sopracciglio, sistemandosi più comodamente contro il poggiatesta.
-Per…?-
-Per aver aiutato Robin.-
Alzò le spalle al punto da sfiorarsi le orecchie. -Figurati, sai che in generale mi piacciono i bambini.-
Oh altroché se lo sapeva, si occupava più lui dei figli di Kouha che non il padre stesso, che alla nascita delle bambine aveva detto una sola frase “Oh diventeranno forti, oppure usatele per i matrimoni”.
-Lo so, mi spiace di aver dubitato di te.-
Koumei sbuffò, facendo un mezzo sorriso -Non serve che ti scusi anche per questo, hai fatto bene a dubitare. Ho effettivamente cercato anch’io di trascinarti a Kou per costringerti ad abortire, hanno ragione qui a non fidarsi. Vorrei solo che prendessero una decisione e la smettessero di trattarmi da “ospite/prigioniero”.-
Anche Judal appoggiò la testa al muro, prendendo un cuscino da mettersi dietro la schiena.
-Vorrei poter fare qualcosa per te, ma pur essendo il compagno di Sinbad non ho grandi giovamenti.-
-Il?- chiese Koumei ironico, e Judal agitò una mano con noncuranza -Va bene, uno dei due. Ma-
-Non dirò nulla, tranquillo.- era sempre così perspicace -Non ho ben capito la situazione, ma non ci tengo neppure.-
Judal sorrise, levandosi l’accappatoio e appoggiando le mani sul pancione, accarezzandolo dolcemente. Quasi in risposta alle sue carezze il piccolo scalciò.
-Mei, dammi una mano.-
-Come scusa?-
Sbuffò, afferrandogli un polso dal materasso su cui poggiava, trascinandoselo all’altezza dell’ombelico.
Non ci fu bisogno di attendere, il tepore della mano di Koumei bastò, agli occhi del piccolo, per scalciare di nuovo.
Restarono in silenzio per un po’, mentre Koumei ripiegò le gambe sistemandole nella parte alta del materasso e accucciandosi accanto a Judal, senza spostare la mano. Aveva un aria incredibilmente rilassata.
-Ehi, posso farti una domanda?- chiese dal nulla il principe, parlando a bassa voce, come se non volesse rompere quella bolla di tranquillità, e Judal annuì.
-Ho sempre sospettato di non essere l’unico, ma quando te ne sei andato è apparso piuttosto palese. Con quanti degli altri principi sei stato?-
Ecco, questa di certo non se l’era aspettata. Guardò il principe stralunato: ma davvero? Sì, a giudicare dallo sguardo davvero.
-Vuoi il numero o i nomi?-
Il principe titubò, e Judal sorrise, divertito. Porre le domande può prevedere ricevere risposte, e non è detto che queste piacciano.
-Tutti i principi dotati di djin, salvo Hakuei.-
A Koumei per poco non cadde una mascella. -Wow.-
Judal sogghignò divertito: prendere un po’ in giro la gente, leggere lo shock sui loro volti era sempre divertente, farlo dicendo la verità poi ancora di più.
-Posso farti una domanda anch’io?- Koumei annuì, titubante.
-Posso dormire qui con te?-
Koumei aggrottò le sopracciglia e strinse le labbra, gli occhi che tradivano un discreto divertimento.
-Questa è una richiesta, non una domanda.-
-E non rompere!- replicò Judal buttandolo sul materasso con una spallata. Ehi, aveva pur sempre 18 anni quasi 19, mica doveva essere sempre sempre serio.
Risero entrambi, divertiti.
-Mi hanno portato via Robin.- riprese quando lo scroscio di risa si fu placaro,  Non hanno preso bene il fatto che ti abbia lasciato avvicinare al piccolo, e Sinbad è d’accordo con loro. In pratica  l’unico che non si è ancora espresso è Ja’far, ma non serve nemmeno che lo faccia, non me lo faranno più vedere finché non sarà maggiorenne, o comunque di sicuro non lasceranno che io me ne prenda cura.-
Koumei gli accarezzò i capelli, in uno di quei gesti intimi che un tempo erano stati normali per loro. -Va bene.- disse  spostando le coperte e raccogliendo un cuscino -Ma il letto è quello che è.-
-Andrà bene, almeno sarò al caldo.- rispose Judal scendendo dal letto e appoggiando l’accappatoio ad una sedia.
-E se volessi farti del male?- chiese il principe mentre Judal sistemava le ciabatte ai piedi del letto.
-Non ti saresti commosso per i calci del piccolo.- obiettò spostando le coperte e sedendosi sul materasso.
-Se avessi solo finto?-
-Oh piantala!- sbuffò girandosi sulla schiena per guardarlo in faccia, mentre sistemava le coperte e sprimacciava il cuscino -Con i se e con i ma non andiamo da nessuna parte, se hai sempre questo atteggiamento poi sfido che non dormi! Su, ora piantala.-
Koumei ridacchiò: era raramente sereno, ma quando le era, era fantastico.
-Sei uno stupido.-
-Me lo hai detto spesso, sì.-
Il principe ridacchiò, allungando lentamente un braccio e avvolgendolo attorno alla vita di Judal, tirandoselo al petto. Con il pancione che si ritrovava dormire abbracciato ad una persona era diventato piuttosto difficile, per cui non si poteva dire che fossero proprio abbracciati, ma condividevano il letto. Koumei era schiacciato con le spalle contro al muro per lasciare che Judal potesse stare comodo, a dispetto delle sue parole, e probabilmente anche quel braccio attorno alla sua vita era una sorta di garanzia per assicurarsi che non cadesse.
Mugolò soddisfatto, incuneando la testa sotto il mento di Koumei, che senza protestare si spostò un po’ più in alto sul cuscino.
-Grazie per credermi, Judal.-
Il magi non sentì le sue parole, ma percepii la vibrazione della sua gola, simile a lievi fusa, e si addormentò non certo felice, ma perlomeno sereno.
 








 
* i nomi sono stati decisi in modo molto casuale, visto che non ne hanno, ma si tratta solo degli altri tre figli di Hinahoho e Rurumu: Yuyuko e Naname= gemelle 10 anni, Sasanato= figlio minore 9 anni

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Capitolo 29
*** Capitolo 27: Quando il gatto non c'è i topi ballano ***


Quando il gatto non c'è i topi ballano

 



-Ho bisogno di entrare.-
Mugolò: entrare dove? Che razza di sogno era quello?
-Gli ordini dicono di non far passare nessuno.-
Una rivisitazione della serata precedente? Interessante, ma non abbastanza da ottenere la sua attenzione, rifletté, strofinando il naso contro la superficie calda e soffice che aveva davanti, con buona probabilità la gola di Koumei.
-Sì sì lo so, “Pisti ha ordinato che non facessimo passare nessuno”, ma un’eccezione è consentita, no?-
Lui però non aveva quella voce, e aveva fatto un discorso molto più figo.
-Sono spiacente, ma gli ordini sono-
-Fanculo i tuoi ordini!-
Lo schianto della porta e l’urlo lo svegliarono. Scattò a sedere, guardando l’ampia stanza alla ricerca di indizi: le finestre erano chiuse e le tende tirate, per cui non filtrava troppa luce, la scrivania era ordinata, giusto un paio di pergamene e un pennello. Spostò lo sguardo alla sua destra, osservando Koumei raddrizzarsi senza degnarlo di uno sguardo: non è che lo stesse ignorando, ma sembrava preoccupato da qualcosa. Sapientemente scelse di seguire la traiettoria dei suoi occhi, e soffermatosi per la prima volta sulla porta capì.
Quelle voci non erano parte di un suo sogno, ma la realtà.
-Nelle favole la bella addormentata è bionda, fuori dal letto.-
Fanalis contro soldatino fresco fresco di caserma, quel poveretto non doveva aver capito molto bene le regole del gioco, e infatti eccolo spuntare dietro le gambe di Myron, evidentemente incosciente.
-Non mi hai sentita? Fuori.-
Sbuffò, contrariato.
-Che razza di ore sono?-
La ragazza assottigliò lo sguardo e serrò il pugno, per nulla contenta della scarsa considerazione che Judal le stava dando.
-Sono le sette, e non sei il solo che avrebbe voluto dormire- disse stringendo ulteriormente il pugno, le ossa le scricchiolarono, quando Judal osò sbadigliare impunemente -e fidati, lo avrei fatto se solo il marmocchio non avesse preso a urlare come un dannato un’ora fa.-
Judal si bloccò, la bocca ancora spalancata, lo sbadiglio a metà. Riabbassò le braccia, e guardò la Fanalis preoccupato.
-Che cos’ha?-
-Non ha NIENTE. È solo un maledetto moccioso che cerca il seno della mamma, come tutti i poppanti, ma piuttosto che usare un po’ di buon senso Pisti ha deciso di non farmi dormire per il resto della settimana. Stronza.-
Se non fosse stato preoccupato per Robin, avrebbe sorriso e avrebbero iniziato una discussione su quanto Pisti avesse bisogno di farsi curare, ma prima del rancore per la ragazza veniva la preoccupazione per Robin.
-Fosse per me l’avrei preso e te lo avrei portato, puoi farci quel che vuoi per quanto mi riguarda, ma non ho intenzione di litigare con Masrur. Quindi, dammi quella maglietta che la porto a quella malefica scimmia urlatrice.-
Sollevò le braccia, sfilando la maglietta e dandola alla Fanalis, mentre Koumei guardava altrove.
-Domattina voglio un’altra maglietta, il più sudata possibile, deve proprio farmi venire il vomito per la potenza dell’odore, chiaro?-
Judal annuì. Quando Masrur gliel’aveva presentata aveva mostrato un carattere completamente diverso, scoprire che in realtà era una sorta di rude scaricatrice di porto fu una sorpresa.
-Oh dimenticavo- disse rigirandosi e puntando lo sguardo su Koumei, che a sua volta sollevò lo sguardo su di lei -non mi interessa cosa voi due facciate, ma non fatevi beccare o giuro che vi ammazzo.-
E se ne andò, scavalcando il corpo esanime della guardia e richiudendo la porta con nonchalance. Rimasero in silenzio per un po’, poi Koumei si batté le mani sulle cosce, guardando Judal con serietà.
-Non so te, ma io andrei in bagno finché quella guardia è svenuta, non amo che degli sconosciuti mi osservino.-
Judal annuì: avevano ricevuto ordine di non farsi beccare, non di non infrangere le regole.
 


 
Ai bambini si insegnava che esistevano 5 sensi, e che questi servivano per indagare il mondo, ma in realtà i sensi erano nove. Ora, pareva nulla, ma il più della gente era convinta che vivere senza vista e udito fosse impossibile.
Ma non era la verità.
Pur aprendo gli occhi, tutto ciò che vedeva era buio. Non c’erano grossi rumori, eccetto il suo tranquillo respiro e quello addormentato di un’altra persona.
Gli odori erano vari, c’era lo stantio di una stanza rimasta chiusa troppo a lungo che permeava il tutto, ma pure il forte odore di un alpha e quello più floreale tipico degli omega.
Il gusto in effetti non gli diceva nulla, mentre il tatto gli rimandava la sensazione di qualcosa di morbido, molto malleabile ad altezza del viso e sapeva di essere sdraiato, grazie al lavoro congiunto di equilibrio e propriocezione.
Non provava dolore ma un discreto senso di appagamento ed era al caldo.
Conclusione finale?
Era in una stanza chiusa, al buio, a letto con Sinbad, dopo una settimana di calore.
Pur non vedendo nulla conosceva la disposizione della stanza, non aveva bisogno della luce per muoversi, per cui senza fare rumore andò in bagno a lavarsi.
Una settimana di sesso senza lavarsi né nulla si sentiva, magari non con tutti e nove i sensi, ma con almeno cinque di sicuro.
 



Quando tornò in camera trovò le ante della terrazza spalancate, Sinbad fuori che guardava la città. C’era un forte vento più autunnale che primaverile e aria di tempesta, il che era piuttosto ironico perché non solo il tempo ma anche la faccia di Sin promettevano guai.
-Cosa è successo?- chiese abbracciandolo da dietro e poggiando una guancia contro la sua schiena. Dopo un calore restava sempre piuttosto dolce e premuroso per un paio di giorni.
Sinbad non rispose immediatamente, guardando il mare in lontananza, pensieroso, poi riassunse brevemente i fatti, e dal nulla la relativa dolcezza e premura di Ja’far sparirono.
Ora erano in due ad avere una tempesta dentro.
 
 


Vestito dei suoi soliti abiti da lavoro marciava per i corridoi del palazzo come un toro infuriato, tanto che Sinbad alle sue spalle doveva affrettare notevolmente il passo per raggiungerlo, come se fra loro non ci fossero 20 centimetri di differenza.
Non badò alle guardie o agli impiegati che incontrarono, né alle cameriere intente a pulire, e pure quando incrociò Pisti la ignorò, finché non raggiunse l’appartamento.
Ovviamente la porta era chiusa, e ovviamente piuttosto che fermarsi a prendere le chiavi la buttò giù.
-Judal!- ruggì, e sentendo un singulto proveniente dal salotto vi si diresse.
Ed eccolo, il potente magi, seduto sul divano a sfogliare un libro di ricette, terrorizzato dall’ira di un ex-assassino.
-Che cosa ti è saltato in mente?-
Se l’urlo pareva averlo spaventato, la domanda parve ridargli vita, perché appoggiò il libro sul divano e si alzò, determinato.
-Non è successo nulla.- ribatté con voce calma, come se stessero parlando di rompere un piatto, perdere un libro o altri incidenti di piccola entità.
-Ma tu ci pensi alle cose? Cos’è il tuo cervello non funziona più per colpa del peso dei tuoi capelli?-
Non si mostrò offeso, continuando a rispondere con calma: se avesse alzato la voce le cose sarebbero solo peggiorate. -Mi dispiace di non aver rispettato gli accordi, ma ho agito solo nell’interesse di Robin.-
-Mettere in mano mio figlio ad un assassino è agire nel suo interesse? Raccontala a qualcun altro.-
Strinse i pugni, cercando di contenersi. Non poteva urlare. Non.Poteva.Urlare. -Non è un assassino. Sa molto di bambini, praticamente fa lui da balia alle figlie di Kouha, non avrebbe mai fatto del male a Robin.-
Ja’far cambiò colore, diventando bordeaux, cosa molto rara per lui vista la carnagione pallida -Tu hai dato mio figlio in mano ad un estraneo.-
-Oh, perché voi cosa avete fatto al banchetto di presentazione eh? Tutto il popolo si passava Robin come se fosse una palla: e se fra loro ci fosse stato qualcuno di pericoloso?- aveva perso. Aveva iniziato ad urlare, ed ora non intendeva smettere -Non gli ho dato Robin per fargli vedere quanto fosse bello o perché avevo voglia di farmi un bagno senza dover pensare ad occuparmi di lui, l’ho fatto solo perché lo aiutasse. Ok, io ho sbagliato, ma cosa avrei dovuto fare, venire a chiedervi consiglio?-
-Potevi aspettare cazzo!- urlò Sinbad, prendendo parte alla conversazione per la prima volta -Ti comporti come se fosse l’unica soluzione praticabile, come se non ci fosse stata lì anche Pisti, come se non stesse per arrivare aiuto!-
Judal spostò lo sguardo su di lui, aprendo e riserrando i pugni per la rabbia -Facile per te parlare, vero? Tu dov’eri quando Robin piangeva disperato? Ti sei mai sentito impotente, incapace di aiutare qualcuno a cui tieni?-
-Qui non si parla di noi, si parla di te!- ruggì Ja’far, e Judal scoppiò a ridere, di quelle risate cattive volte a ferire la gente -Certo che si parla di me, mi pare ovvio, perché se si parlasse di voi poi dovreste ammettere di non essere perfetti, vero? Qui abbiamo tutti ucciso, tu sei un ex assassino e tu non ti sei certo tirato indietro di fronte a chi minacciava Sindria.-
-Ho difeso il mio paese, era giusto che lo facessi!-
-E Koumei ha combattuto per Kou, è la stessa cosa!- abbassò il tono, massaggiandosi i polsi e risedendosi: stare in piedi con una pancia da ottavo mese era veramente un’impresa.
-Sentite, chiamate Yamuraiha, fatele lanciare un incantesimo che obblighi a dire la verità e chiedete a Koumei quali siano le sue intenzioni. Non posso cambiare ciò che ho fatto, e ritengo di aver agito per il meglio, quindi nemmeno lo farei.-
Ci fu un attimo di silenzio, l’unico suono che si udiva era quell’assurdo vento che ancora imperversava fuori, rotto dalla voce dura di Sinbad -Perché sei qui?-
Judal alzò lo sguardo, i gomiti poggiati sulle ginocchia -Come scusa?- chiese non tanto sorpreso, ma piuttosto con rabbia.
-Ti sei introdotto qui, abbandonando l’impero a cui hai giurato fedeltà, e ora cerchi di far passare un principe di Kou, un nostro nemico. Che cosa vuoi da noi?-
Si udì un sonoro crack, ed il ramo di un albero andò a sbattere contro la porta finestra del terrazzo. Il secondo dopo la finestra era aperta e quel ramo era puntato alla gola di Sinbad.
-Io mi sono introdotto qui? Tu mu ci hai portato! Non provare a dire che è tutta colpa mia, che ho orchestrato chissà quale complotto. Vogliamo mettere tutte le carte sul tavolo? Bene, facciamolo. Tanto per iniziare, parliamo del fatto che mi hai stuprato.-
Le pupille di Sinbad s’ingigantirono a dismisura, mentre Ja’far andò in confusione, iniziando a spostare lo sguardo da Judal a Sinbad, da Sinbad a Judal, alla ricerca di spiegazioni.
-Questa mi piace proprio, tu smaniavi di avermi.- disse Sinbad sottolineando ogni parola e caricandola di veleno, facendo un passo verso Judal e retrocedendo trovandosi l’appuntita estremità del ramo puntata contro la gola.
Judal rimase tranquillo, abbandonando la schiena contro lo schienale, le gambe spalancate, il pancione più evidente che mai.
-Io non volevo te, volevo qualsiasi cosa o persona in grado di aiutarmi. Se mi avessero dato un dildo me lo sarei fatto andare bene. Non ti ho chiesto di restare, al contrario sono piuttosto certo di averti detto di andartene.- sibilò il magi guardandolo furibondo. Fu molto soddisfatto nel notare che Sinbad fosse offesso.
-Mi hai portato qui per pietà, per permettermi di avere il bambino e lasciarlo qui, con l’idea che poi tanto me ne sarei andato dopo un paio di mesi e tutto sarebbe tornato alla normalità.-
-Adesso stai esagerando.-
Judal reclinò il capo oltre la testiera, scoppiando a ridere -La verità fa male, eh? Ma non ho finito. Mi hai portato qui, e dopo mesi di lavoro, quando finalmente mi sono ambientato e tutto, molli. Decidi che non ne vale la pena, che in fondo sono solo un bastardo, che tanto non hai bisogno di me.- si alzò, andando a fronteggiare Sinbad.
-Sai cosa, hai ragione.- soffiò praticamente sulle sue labbra, affascinante come un cobra -Non hai bisogno di me, ed io non ho bisogno di te.-
Si girò con tutta l’intenzione di andarsene, ma uno schiaffo lo bloccò.
-Torna su quel divano.- intimò Ja’far, parlando ad una lentezza esasperante tale per cui praticamente fece lo spelling di ogni parola -Sin, porta qui i generali e Koumei. Ora.-
Secondo tutti i libri esistenti, era l’alpha a comandare, ma per la verità forse l’alpha comandava in situazioni standard o durante il calore, per il resto un omega poteva raggiungere il controllo con facilità.
E se Ja’far voleva che radunasse i generali e un principe che tenevano prigioniero per la loro sicurezza, Sinbad l’avrebbe fatto.
 
 
 

Fuori ormai imperversava la tempesta. Il cielo era grigio, si sentivano i tuoni e si vedevano i tempi, grossi nuvoloni portavano con loro una pioggia torrenziale che avrebbe certamente rovinato i campi, ma in quel momento nessuno se ne curò.
I Generali erano arrivati, Pisti aveva reso Robin a Ja’far e Koumei era stato messo al centro di un cerchio formato dai generali, tutti intimidatori, e ciò nonostante il principe li ignorò abilmente, mantenendo un’espressione stoica.
Ja’far vedendo il figlio parve dimenticarsi momentaneamente del contesto in cui si trovava, iniziando a baciarlo come se non ci fosse un domani, mentre Robin, pur non disprezzando quella buona dose di attenzione, protendeva le manine verso Judal.
Il magi guardò il gruppo, e una sola parola gli attraverso la mente nello scorgere, sbirciando fra i fianchi di Myron e quelli di Yamuraiha, perché ovviamente lui era stato escluso dal cerchio, Koumei ritto con la sua solita aria svogliata, le occhiaie meno marcate per il riposo forzato che gli aveva imposto in quei giorni con la sua presenza. Avevano avuto anche il coraggio di legargli le mani dietro la schiena, non fosse mai che qualora gli prudesse il naso potesse grattarselo.
Sbuffò furioso, poi notò un lieve movimento di Myron… si dondolava perennemente verso Masrur, lasciando sul lato destro uno spazio tale per cui avrebbe potuto infilarsi nel cerchio, e con la scusa di grattarsi una spalla gli faceva segno di andare avanti.
Non era mai andato pazzo per le donne, preferiva di gran lunga gli uomini, ma quella Fanalis sboccata gli piaceva. Almeno non faceva segreto di avere una doppia personalità ostile e vendicativa come qualcun altro di cui non intendeva fare il nome. Pisti.
Per rendere la recita creativa e non metterla nei guai dovette muoversi piuttosto in fretta e di malagrazia, così badò bene di dare una buona spallata alla ragazza, la quale per buona misura gli urlò addosso imitando un attacco ai suoi danni. A voler ben vedere c’erano due grosse falle nella loro recita:
1- Non era possibile che lui riuscisse a spostare un Fanalis determinato a restare con i piedi ben piantati a terra senza far uso della magia, per cui avrebbe normalmente avrebbe dovuto irrompere abbattendo Yamuraiha, ma nessuno parve farci caso;
2- In un certo senso la reazione di Myron era necessaria, ma nell’altro rischiava di smascherarli: un gestante non può essere fatto cadere, si rischiava di procurare dei danni al bambino, e con buon probabilità Myron questo lo sapeva.
Comunque poco importava, decise prendendo il capo di Koumei e tirandoselo su una spalla.
I ringhi furono immediati, ma essendo lui incinto avevano le mani legate: la cosa poteva tornare molto utile, alle volte.
-Judal, vieni qui.- la voce stentorea di Ja’far non bastò a smuoverlo, e nemmeno ci riuscì il tentativo di Sinbad di strapparlo da lì.
Tutti contro uno era bullismo, ma due contro uno, pur non essendo equo, era più prossimo alla definizione di litigio.
Fissò gli occhi in quelli di Ja’far, che dopo aver mollato Robin a Sinbad si avvicinava deciso. La guancia dove prima aveva ricevuto quello schiaffo pulsava e con buona probabilità si stava gonfiando, ma non fu abbastanza per convincerlo ad allontanarsi.
Ja’far che scioglieva i nodi della stoffa con cui erano fatte le manette di Koumei lo fu.
Non erano molto professionali, erano indubbiamente stretti, ma parevano più due stretti bracciali legati fra loro.
Sciolto il nodo che in qualche modo univa le due mani Koumei lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, e Ja’far si spostò di fronte a lui, facendo segno di fargli largo, prendendogli una mano ed esaminando con attenzione quella fitte rete di nodi per un secondo.
-Ja’far, che stai facendo?- chiese Pisti tesa, osservando il principe che le dava la schiena, pronta ad attaccare in qualsiasi momento.
Ja’far scrollò le spalle senza alzare lo sguardo dal groviglio che aveva per le mani.
-Kou è un nostro nemico, trattare come prigioniero un principe che si è presentato come ospite non ci aiuterà a risolvere nulla.-
-Non è un ospite, nessuno l’ha invitato.- replicò rudemente Sharrkan.
-Ed è scappato da Kou, non vedo perché dovrebbero aiutarlo.- proseguì Dracoon, ma Ja’far non gli diede peso, iniziando piuttposto a sciogliere i nodi.
-È scappato, ma non è stato diseredato, è possibile che ad un certo punto vorranno venire a riprenderselo. Sarà la nostra cartina al tornasole, se lo trattiamo non dico con garbo, ma non eccessivamente male la cosa potrebbe giovarci.- poi, prima che qualcun altro potesse interromperlo, alzò lo sguardo su Koumei.
-Perché sei qui?- chiese, e il principe sospirò, annoiato, come se quella situazione non lo preoccupasse affatto.
-Mi serviva un posto dove stare, e speravo di poter trovare degli alleati qui.-
-E non credi che possano scoprire facilmente che sei qui? Non era meglio un posto meno appariscente, magari più lontano?-
Koumei alzò le spalle, scompigliandosi i capelli con una mano ancora ammanettata, mentre Ja’far continuava ad occuparsi dei nodi della mano sinistra.
-Ho gestito la burocrazia di Kou da solo per anni, gli altri principi non hanno idea di dove mettere le mani. Hakuei è l’unica che sa qualcosa di come si governa un regno, ma tutti gli altri conoscono solo le strategie militari. Ho mandato tutte le spie di Kou ad investigare su uno strano incidente dalle parti di Katargo e ho fatto in modo che contattarli sia impossibile.-
-Come ti è venuto in mente di scegliere proprio Katargo?- ringhiò Sharrkan, e il principe rispose senza fare una piega.
-Era il posto più lontano da qui e più difficilmente raggiungibile. Mandare tutte le spie di Kou lì in una volta confonderà le idee ai principi, ed essendo un gruppo numeroso saranno più facilmente identificabili. Non sono sicari, solo spie, né Eliohapt né i Toran corrono eccessivi rischi.-
Le labbra di Judal si arricciarono lievemente in un mezzo sorriso: Koumei era senz’altro un mostro, ma sentire tutti i suoi ragionamenti era illuminante, ogni volta.
-Cosa vuoi da noi?- domandò allora Sinbad, liberando il primo polso e prendendo il secondo.
Koumei sospirò -Dopo che vi avrò detto per l’ennesima volta che non intendo farvi del male cosa cambierà? Ciò che conta non sono le mie reali intenzioni, ma quelle che voi credete io abbia: se intendete credere ad ogni costo che io vi stia mentendo non posso fare nulla per farvi cambiare idea.-
Ja’far sorrise, serio. -Vero- constatò alzandosi e tirando fuori un coltello dalla manica: Judal fece per scattare in avanti, ma Masrur fu lesto a bloccarlo mettendogli le mani dietro la schiena. Gli bastava tenerlo con una mano, non gli costava il minimo sforzo, maledizione.
Koumei, al contrario, non mosse un muscolo. Sospirò e chiuse gli occhi, abbassando il capo, rassegnato, per nulla intenzionato a lottare, come se desiderasse morire da martire. Imbecille.
-Grazie.- riaprì gli occhi.
La prima cosa che vide furono i pezzi di stoffa che gli avevano legato i polsi a terra, tagliati da una lama. Ispezionò il cerchio: tutti erano sbalorditi quanto lui. Poi notò una mano pallida protesa nella sua direzione, e lo sguardo serio, ma non ostile di Ja’far.
Protese la mano, esitante. -Niente magia per controllare che non abbia mentito?-
Ja’far sorrise, canzonatorio. -Non l’hai fatto. Credi davvero che slegarti i polsi fosse pura gentilezza? Le parole mentono, le espressioni pure, ma il battito cardiaco o la temperatura corporea  non ingannano mai.-
Koumei non fece una piega, chiudendo gli occhi e scompigliandosi i capelli, senza stringere la mano tesa di fronte a lui.
Ja’far sbuffò, seccato. -Capisco che tu abbia tempo, ma io ho del lavoro da fare, ci muoviamo?-
Il principe riaprì gli occhi, allontanando la mano dalla propria stretta ed andando a stringere la mano di Ja’far, che annuì soddisfatto.
I generali guardarono la scena sbalorditi, e appena quella stretta di mano terminò Judal scattò, approfittando dello shock di Masrur, e stringendo Koumei in un abbraccio.
-Ah Judal.- disse Ja’far dalla porta, girando il capo a guardarlo -Decidi dove vuoi dormire. Per quanto mi riguarda non serve che occupi ancora un letto monoposto costringendo il nostro ospite a diventare una sogliola, ma parlane con Sin.- alzò una mano in segno di saluto e se ne andò.
Demonio. Solo lui poteva capire che aveva passato la settimana a dormire con Koumei solo dall’odore di una persona.
 










Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte:
non fate l'abitudine a tutti questi aggiornamenti così frequenti, non so quanto dureranno. Questo capitolo, nello specifico, è per festeggiare il mio sette in storia, il primo voto datomi con razioncinio dalla prof dall'inizio dell'anno.
Parlando di cose serie, invece, credo che in otto/dieci capitoli al massimo la storia giungerà al termine.
 

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Capitolo 30
*** Capitolo 28: Attacco ai confini ***


 Attacco ai confini

 



Ovviamente appena Ja’far gli aveva voltato le spalle aveva iniziato a litigare con Sinbad, come era logico che fosse. I generali avevano subito sgombrato la piazza, sconvolti dall’esito finale della discussione e Myron passandogli accanto gli aveva dato una spallata non eccessivamente delicata: se fosse per complimentarsi o per ripicca era difficile dirlo.
Rimasti soli (in realtà non sapendo dove andare Koumei si era messo a fare il soprammobile in mezzo al salotto, ma dettagli), erano partiti dall’insignificante dettaglio che rappresentava il fatto che avesse dormito con Koumei: spiegare ad un alpha geloso che aveva solo dormito con un suo ex non era cosa facile.
Esauriti gli argomenti di entrambe le parti sul primo punto lo scontro fu etichettato come pareggio e passarono al secondo, ossia “la sua inesistente capacità di fare da baby sitter”, a cui Robin prese parte iniziando a strillare come un assatanato.
Quello fu già più divertente, perché stanco di urlare ad un certo punto Judal cedette e propose una sorta di sfida a Sinbad. Doveva solo occuparsi di Robin fino a sera.
Facile: i pannolini li aveva, le tutine idem, per il latte bastava che portasse Robin a Ja’far affinché lo allattasse. Non resistette due ore.
Con uno dei peggiori mal di testa che potesse immaginare si allontanò dall’ufficio con il passeggino di Robin in testa, meditando seriamente di assumere la forma di Zepar e fare una gara di urla con il figlio. Rinunciò, spaventato dall’idea di perdere contro un bambino di pochi mesi.
Trovò Judal seduto al tavolo della cucina a mangiare pesche e giocare a battaglia navale con Koumei: non trovò nemmeno la forza di opporsi o protestare, prese Robin sotto le ascelle e glielo passò. Se a Ja’far stava bene, lui si sarebbe adeguato.
 
 


Un paio di giorni dopo aveva iniziato il duro lavoro di integrazione.
Non ne aveva parlato a Sinbad o Ja’far, certo che il primo non sarebbe stato d’accordo, mentre il secondo avrebbe approvato: dopo un calore pareva essere più dolce, meglio segnarselo per il futuro.
Dopo che Pisti lo aveva “rinnegato” e dopo il pesante litigio con i generali riallacciare i rapporti non era così semplice, e pretendere di aggiungere un elemento in più all’equazione non avrebbe fatto altro che rendere il tutto ancora più difficile, così scelse di prenderla alla larga ed iniziare appunto dalla persone ai margini del gruppo che parevano non essere arrabbiate con lui.
Quindi, appena scoprì i turni di lavoro di Dracoon non perse tempo e trascinandosi Koumei dietro, passando per infinite vie laterali, raggiunse casa sua e della moglie.
Bussò cautamente alla porta, un po’ preoccupato: Kikiriku gli aveva detto che lei era informata su tutti i dettagli della vicenda, ma non aveva specificato se aveva o meno un’opinione in merito.
Quando sentì dei passi avvicinarsi alla porta fece per darsela a gambe, ma la gravidanza lo aveva reso lento, così non fece a tempo a scappare.
-Oh Judal, da quanto tempo.-
Ecco, era fregato.
Cercando di apparire tranquillo, si rigirò verso la donna.
-Ciao Saher, tutto bene?-
La donna annuì, composta ed elegante come sempre. -Volete una tazza di té?- chiese con cortesia, e parte della tensione di Judal si sciolse: per invitarli a entrare non doveva essere troppo rancorosa nei confronti di Koumei. Era un buon inizio.
 


 
Saher non era l’esempio della loquacità, il che per i suoi scopi era orribile perché siccome neppure Koumei si prodigava in lunghi discorsi faceva un po’ fatica a farli interagire. A un certo punto tentò di lasciarli da soli con la scusa di andare in bagno -scusa un corno, all’ottavo mese ormai andava in bagno ogni mezz’ora- ma al suo ritorno, quando si fermò subito dietro la porta della cucina, senza farsi vedere, nulla era cambiato. Sentì l’irrefrenabile impulso di mettersi a dare testate al muro.
Poi Robin scoppiò a piangere, il pianto da pannolino sporco.
Aprì la porta con rassegnazione, e invece ebbe una sorpresa.
Perché di certo quei due non stavano parlando, ma Saher aveva preso il piccolo dal passeggino e lo stava dando a Koumei. La moglie di un generale, in qualche modo zia del bambino in questione, stava dando Robin in mano a qualcuno che il resto del gruppo pareva ritenere pericoloso.
Ghignò soddisfatto: ormai Koumei lo aiutava nella gestione di Robin, ma a parte Ja’far che pareva fingere di ignorare la cosa, il resto del gruppo veramente ne era all’oscuro, specie Sinbad, che se lo avesse saputo gli avrebbe tirato il collo.
Cedette volentieri l’ingrato compito a Koumei e tornò a sedersi al tavolo.
-Perché sei venuto?-
La domanda lo colse impreparato. Si era aspettato il silenzio, di bere tranquillo il proprio te, invece Saher lo scrutava, con educazione, ovviamente, da sopra la sua tazza di tè.
-Non mi interessa la politica. Per quanto mi riguarda è solo un’ospite. Se a voi sta bene, a me sta bene.-
Con la stessa velocità con cui aveva iniziato il discorso lo chiuse. Ma per quanto celere fosse stato, era portatore di buone notizie: aveva guadagnato il primo alleato.
 


 
Subito dopo Saher, tentò di avvicinare Myron.
Trovarla in un momento libero fu più impegnativo, tanto che alla fine rinunciò e semplicemente la bloccò con la magia.
-Volevo ringraziarti.- da che si era stabilito a Sindria parole come “grazie, prego, scusa o per favore” erano diventate molto più di uso comune per lui, ma ancora gli bruciava un po’ la gola a dire grazie.
Alla Fanalis di fronte a lui, d’altro canto, non pareva piacere che la gente usasse la forza con lei.
-Lasciami.- sibilò talmente piano che Judal non capì, e non capendo non eseguì l’ordine: il risultato fu che Myron si mise a fare sfoggio di tutta la sua forza cercando di abbattere il borg a calci, e se questo fosse stata opera di un semplice mago di sicuro ce l’avrebbe fatta.
Preoccupato che qualcuno potesse sentirli rilasciò la barriera e prima che potesse farci caso si ritrovò la ragazza ad un palmo dal naso, bloccata da Koumei che con una velocità assurda era riuscito a frapporsi fra loro due.
-Non l’ho fatto per te, il marmocchio mi rompeva, ma tu prova a bloccarmi di nuovo a quel modo e ti giuro che me la pagherai.- e se ne andò.
 
 
 

Persa la possibilità di attirare Myron dalla sua parte, Judal fermò il piano per un paio di giorni.
Di certo con il solo aiuto di Saher non sarebbero andati lontani, ma la mossa successiva nel suo teorico piano era pericolosa.
Perchè Saher era una donna adulta e vaccinata, e se Dracoon fosse venuto a conoscenza del fatto che le aveva parlato prima di andare ad aggredirlo si sarebbe scontrato con la moglie, e la cosa con un pizzico di fortuna sarebbe morta lì.
Ma se avesse parlato con i figli di Hinahoho? Agli occhi del padre e del resto del gruppo erano solo bambini, ancora col moccio al naso e il pollice in bocca: se li avesse usati per il suo tornaconto e Hinahoho lo avesse scoperto, cosa che dopo un po’ di tempo sarebbe certamente accaduta, lui sarebbe morto tra atroci sofferenze.
Però non poteva neppure rinunciare così: quei ragazzi erano ancora banditi dal palazzo, abbandonati a loro stessi la maggior parte della giornata, e parevano credere in lui.
L’importante era confessare di propria iniziativa il misfatto a Hinahoho e poi correre a chiedere ospitalità a Rem alla cara vecchia Sheerazard.
 



Casa di Hinahoho era grande, come ovvio per degli Imchack, con un ampio cortile che Yuyuko e Naname avevano riempito di fiori e altre piante decorative e decisamente troppo in vista: come in precedenza aveva fatto per Dracoon, si era assicurato che anche Hinahoho lavorasse, ma nonostante tutto preferiva non correre rischi.
Era un pomeriggio atrocemente assolato dei primi di aprile quando tentò di introdurre il principe, convenientemente scaricato ad un bar lì vicino, ma quando bussò alla porta di casa Imchack e Sasanato andò ad aprirgli ebbe una brutta sorpesa.
-Se cerchi Kikiriku non c’è- lo avvertì Yuyuko dal salotto, intenta a piegare i panni come una perfetta donna di casa.
D’improvviso affogarsi in mare per combattere il caldo divenne una prospettiva molto allettante agli occhi di Judal: certo, anche senza Kikiriku avrebbe potuto benissimo iniziare a fare le presentazioni, ma tolto il maggiore le gemelle diventavano molto guardinghe e diffidenti, per Sasanato, con o senza non faceva differenza: lui non pareva fidarsi di nessuno, era a suo modo equo.
-Sapete dov’è?- chiese asciugandosi il sudore dalla fronte e lanciando intorno a sé un paio di incantesimi rinfrescanti: a Kou gli avrebbero già detto di non usare la magia per cose improprie, ma andassero al diavolo non potevano vederlo e poi loro non stavano scarrozzando il giro dieci chili di scalciante ciccia.
-Prova in armeria.- suggerì Naname, scendendo le scale con una cesta del bucato tra le braccia -Di solito quando papà lavora tutto il giorno e le reclute hanno l’addestramento va lì.- il tono confidenziale parve ben strano alle orecchie di Judal, ma l’afa lo aiutò a metterlo in secondo piano e dimenticarsene.
Ringraziò, e sudato e stanco andò a riprendersi Koumei: non gli disse una parola, il principe parve capire tutto dalla sua espressione, lanciò giusto una moneta alla barista e uscirono. Robin dormiva tranquillo nel proprio passeggino, lasciato in custodia a Koumei, e il caldo pareva non toccarlo affatto.
Se il segreto era nel passeggino, allora se ne sarebbe comprato uno all’istante.
Stanco, oltremodo sudato e di cattivo umore, marciò all’interno della caserma, e la trovò vuota: generalmente si sarebbe posto non poche domande e preoccupate non poco di una simile falla nel sistema difensivo di Sindria, ma non in quel momento. In quel momento, l’unica cosa che voleva era farsi un bagno, e perfino le pesche erano in secondo piano. In terzo c’era trovare Kikiriku per poter tornare al fresco del proprio appartamento a lavarsi e mangiare.
Le chiavi dell’armeria non erano al loro posto, probabilmente qualche guardia le aveva con sé, ma Judal non vi diede peso, decidendo che piuttosto avrebbe scardinato la porta: se Myron e Ja’far potevano farlo, d’altronde, perché lui no?
Con suo grande rammarico, tuttavia, non ci fu bisogno di scardinare alcuna porta, essendo questa aperta.
La stanza era una sorta di grosso cubo, con una sola finestra orientata a sud. Le pareti erano di un bianco sporco angosciante, nascosto per lo più da una gran quantità di armi di tutti i tipi allineate contro i muri o infilate in delle casse. Era molto spaziosa, ma pure molto disordinata, e una spolveratina non sarebbe guastata.
Ma Kikiriku pareva non badarci, intento ad aggredire un nemico immaginario armato solo di una lancia, talmente concentrato da non accorgersi di loro.
-Che stai facendo?- chiese curioso, dimenticandosi per un attimo del caldo, e il ragazzo saltò terrorizzato, scattando all’indietro e battendo la testa contro una rastrelliera, fortunatamente vuota.
Quando vide che era Judal tirò un sospiro di sollievo, portando una mano a scompigliarsi i disordinati capelli azzurri -Judal, non farlo mai più.-
Il magi sorrise, e ripetè la domanda.
Kikiriku si morse un labbro, a disagio: allora aveva ragione a sospettare che ci fosse qualcosa sotto.
-Mi alleno con la lancia.- ripose in imbarazzo e Judal ridacchiò, divertito.
-Questo lo vedo, ma perché qui, nascosto da tutti? Non puoi allenarti assieme alle reclute? Sei alto e forte almeno quanto loro, non credo ci saranno problemi.-
Scrollò il capo -Papà non è molto favorevole. Non è che ha paura della armi, ma vuole insegnarci lui, solo che poi è sempre preso e alla fine non lo fa mai. Tradizionalmente a *16 anni ogni Himuchak deve abbattere un *unicorno rabbioso, per dimostrare di essere un adulto. È solo un rito di passaggio, ma comunque mi piacerebbe farlo.-
Così maturo e così tenero, sperava proprio che suo figlio/a venisse su esattamente così. Anche a costo di avere quei capelli e quell’altezza, pure un preciso clone di Kikiriku gli stava bene. Però aspetta, doveva partorirlo lui. Quanto era grande un neonato Himuchak?
Comunque, si stava distraendo.
-Beh non credo sia difficile, sali su una nave che ti porti a casa e affronta la prova, no?-
Kikiriku lo guardò con occhi tristi, un sorriso mesto in volto. -Non è il come arrivare a farlo la parte difficile: quando papà lo saprà probabilmente farà salti di gioia alti sei o sette metri almeno, chiamerà la zia e si metteranno d’accordo sulle modalità. Però non sono pronto. Non so usare una lancia, non ho mai affrontato una persona, figuriamoci un mostro marino. Mi farà a pezzi.-
Ripiegò le ginocchia al petto, nascondendo il capo fra le braccia: era piuttosto buffo vedere una persona di quella struttura fisica raggomitolata su se stessa, non lo faceva davvero così dolce. Dopo quello, voleva almeno tre Kikiriku. Anzi quattro, meglio quattro.
-Tieni la lancia in modo completamente sbagliato.- girò la testa di scatto, talmente veloce da procurarsi una fitta, e guardò Koumei come fosse un alieno: si era dimenticato che lui era il motivo per cui aveva patito tutto quel caldo, e si era dimenticato perfino la sua presenza, se per quello.
-Le mani sono troppo distanti fra loro, così non riuscirai a fare bene forza. Salti troppo, in uno scontro su degli iceberg galleggianti la cosa ti si ritorcerebbe contro, faresti fatica a tenere l’equilibrio, e anche sulla terra se ti colpissero mentre sei a mezz’aria sarebbe più difficile difenderti. Non hai visione d’insieme, e non cogli ancora i pericoli esterni, come dimostra il fatto che non ti sei accorto di noi. Inoltre, per il poco che ho visto, metti poca forza negli affondi, mentre sei molto veloce e preciso nelle roteazioni. Non so cosa preveda di preciso questo rituale, non lo conosco bene, ma più che per la lancia a mio giudizio saresti portato per l’ascia.-
Ecco. Addio possibilità di far andare d’accordo Koumei e i figli di Hinahoho! Addio, è stato bello averti inseguita.
Kikiriku era attonito, guardava Koumei con tanto d’occhi, la bocca spalancata come un pesce lesso. Koumei dal canto suo, era ritornato nel suo mondo, o per meglio dire visto il silenzio che era calato dopo il suo bel discorso si stava addormentando in piedi.
Del tutto privo di tatto, senza curarsi di nascondere la cosa, Judal gli assestò una potente gomitata nel fianco: Koumei non era cattivo, non lo era mai stato, poteva essere pigro e svogliato, ma era una persona con dei forti valori, un grande senso della famiglia, e degli obiettivi. Solo era un malefico topo di biblioteca che non sapeva quando era il caso di tacere.
Il modo in cui aveva parlato era molto arrogante, perfino un ceco l’avrebbe visto, ma il principe l’aveva fatto senza pensarci, Judal non aveva dubbi su questo, quindi forse se si fosse scusato Kikiriku l’avrebbe perdonato.
-Mi puoi insegnare?-
Riportò lo sguardo sul giovane Imchack. Aveva due occhi colmi di speranza, e guardava Koumei con devozione, come fosse un dio.
Il principe, intento a massaggiarsi le costole, guardò il ragazzo di fronte a lui, determinato. Forse non era il legame che Judal voleva instaurassero, almeno per iniziare, ma sarebbe andato bene lo stesso.
-Non posso.-
Oh, puoi eccome invece. Non mi sono fatto tutta la strada da palazzo al porto e dal porto a qui per nulla, chiaro?
-Ti prego. Solo una volta a settimana. Sarò obbediente, non mi lamenterò degli esercizi, ti pagherò se vuoi.-
Ma poteva esistere qualcosa di più innocente di quel ragazzo? Pagare un principe, era così carino.
-Non posso insegnarti, se tuo padre lo scoprisse mi ucciderebbe.-
Beh questo era vero, ma come si faceva a dire di no a quegli occhioni d’oro?
-Potremmo allenarci qui come ho fatto finora. Sono tre anni che lo faccio, ho una copia delle sue chiavi, non mi ha mai scoperto.-
Occhi d’oro e cervello arguto, ottime qualità.
-C’è troppo poco spazio, è difficile allenarsi qui, e poi in realtà non sono molto ferrato con la lancia.-
-Non importa, sai più cose di quante ne sappia io, ti prego!-
Ecco, vedere un Imchack che avanzava verso di te in ginocchio supplicando era inquietante, perché pure così Kikiriku arrivava più o meno alle loro ascelle come altezza. Ed aveva solo 14 anni.
Irremovibile, ma con una traccia di dispiacere negli occhi cremisi, Koumei scosse il capo -Ho solo un’infarinatura di ogni arma, come si confà ad ogni principe, non so insegnare e veramente la lancia richiede spazio, molto più di una spada.-
Kikiriku parve prendere nota mentalmente, e ormai arrivato di fronte a loro afferrò le mani di Koumei. Se avesse avuto un anello probabilmente lo avrebbe baciato con devozione, invece ne fece a meno.
-Andiamo sulle mura. Non ci va mai nessuno, e da sotto non si vede se su c’è gente. Per quando ci alleneremo Judal potrebbe far crescere un po’ di nebbia. Ti prego-
Guardò Kikiriku stralunato: va bene tutto, ma chi gli aveva dato il permesso di coinvolgerlo nei suoi loschi affari?
E invece, Koumei annuì.
Maledetto principe, non sapeva proprio capire certe cose.










Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte: la puntualità ultimamente è veramente alta, non trovate? Una volta a settimana "BAM", capitolo.
Meriterei quasi un premio

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Capitolo 31
*** Capitolo 29: La dura strada per riappacificarsi ***


La dura strada per riappacificarsi





-Judal, che ne dici di cucinare qualcosa questa sera?-
Aprì un occhio, per nulla interessato ad aprire anche il secondo: erano sì e no a metà aprile e faceva un caldo infernale, tanto che iniziava a rimpiangere Kou.
-Perché scusa il resto della settimana che ho fatto?- chiese permaloso, sistemandosi più comodamente nella vasca e raccogliendo un po’ di schiuma da lanciare addosso a Ja’far.
-Intendo per tutti. Questo litigio è durato anche troppo, è tempo che la finiate, quindi questa sera daremo una cena per chiarire la situazione, d’accordo?-
Il magi sospirò, seccato, lasciando che la schiena scivolasse contro il bordo della vasca finché non fu completamente immerso nell’acqua. Gli piaceva il tepore dell’acqua e il senso di estraneazione dal mondo che dava, senza contare i suoi lunghi capelli neri sciolti che si allargavano nell’acqua come fossero dotati di vita propria.
-Judal, rispondimi.- lo incitò Ja’far, immergendo una mano nella vasca e pizzicandogli il naso per costringerlo a riemergere.
-Va bene, per quanti?- borbottò, ancora troppo stanco per carburare a dovere.
-17.-
Annuì. Erano solo le sette e già non ne poteva più, che fortuna.
Ja’far ridacchiò divertito, ricacciandogli la testa sott’acqua.
-Devo andare al lavoro, fa il bravo con Koumei.- e se ne andò, non curandosi di chiudere la porta del bagno e anzi lasciando che Koumei entrasse liberamente e si mettesse comodo.
Non aveva fatto propriamente pace con Sinbad, ma avevano smesso di litigare: se avesse scoperto quanto “intimi” erano lui e Koumei sarebbero scorsi fiumi di sangue, ma occhio non vede e cuore non duole.
-Judal muoviti, Kikiriku ci aspetta sulla mura.-
E ti pareva, mai un attimo di pace, altro che intimità.
 


 
-Più vicine quelle mani. No, di meno. Ah, così.- Koumei non era nato per essere un’insegnante, non aveva esattamente l’energia o la voglia necessaria a seguire un ragazzo che stava appena imparando, ma ci provava.
-Vai, prova.- lo incoraggiò monocorde come al solito, e Kikiriku eseguì, concentrato ed evidentemente molto felice di avere qualcuno che gli insegnasse.
-No no no. Non ci siamo, aspetta.-
Imparare l’arte del combattimento senza un avversario, però, non era cosa semplice. Tiro con l’arco si poteva imparare da soli, ma l’arte della scherma, della lancia o della mazza si imparavano battendosi con dei maestri più forti.
Koumei sospirò. Non aveva mai amato il combattimento, e la lancia non gli era mai piaciuta, ma a quel ragazzo serviva un maestro, e lui pareva essere l’unico con abbastanza tempo libero.
Si piegò a raccogliere il secondo bastone da terra, impugnando la “lancia” ad una mano.
-Prova ad attaccarmi.- ordinò socchiudendo gli occhi infastidito dal sole -Beh? Non preoccuparti di ciò che faccio io, tu attacca.-
Kikiriku obbedì, caricando come avrebbe fatto un toro, senza saltare per non farsi riprendere nuovamente almeno su quello, ma il principe respinse l’attacco con facilità, senza fare alcun passo.
Gli fece volare la lancia, lo colpì di piatto sulle dita, spostandosi di giusto un passo lo fece cadere sulla roccia. Non c’era scontro, solo una continua umiliazione dell’allievo: il morale di Kikiriku, all’inizio alla stelle, ora era ai minimi storici. Era avvilito, teneva la testa basta e i suoi attacchi mancavano d’intensità e passione.
Non pretendeva di battere il suo maestro, ma era più grosso di lui, contava di avere almeno un pizzico di confronto.
-Non preoccuparti Kikiriku, migliorerai.- tentò d’incoraggiarlo Judal, ma Koumei non colse il tentativo e Kikiriku restò fermo in attesa, ad osservare il suo maestro battersi pigramente la lancia sulla spalla mentre guardava il cielo sopra la nebbia creata da Judal.
-Iniziamo dalla difesa. Pronto?-
Il ragazzo annuì, alzando la lancia intimidito, con scarso entusiasmo.
Poi dal nulla Koumei parve prendere vita e attaccò.
Si teneva sempre ad almeno cinquanta centimetri/un metro dall’allievo, mandando avanti la lancia, mentre Kikiriku pur in difficoltà e tutto, parava gli attacchi.
Poi cercò di saltare indietro e Koumei lo mandò a gambe all’aria.
Annuì, soddisfatto -Non saltare.- ripeté e Kikiriku annuì.
C’era margine di miglioramento, tutto stava nel dare tempo al tempo.
 
 


-Cosa mangiamo di buono questa sera?-
-Insalata di riso, tramezzini al salmone e finocchi.-
-Ti sei proprio superato oggi.- lo schernì Ja’far osservandolo tagliare i finocchi e decorare la crostata. Alle pesche ovviamente.
-Col caldo che fa di certo non accendevo il forno.- replicò senza girarsi, mentre Robin giocava in braccio a Sinbad in salotto e Ja’far si allungava sopra di lui per prendere i piatti e apparecchiare.
In qualche modo erano davvero organizzati, alle volte. Lui cucinava, Ja’far apparecchiava e Sinbad si spupazzava Robin.
-Tutto bene? Sembri stanco.-
Dopo aver assistito agli allenamenti di Kikiriku tutta la mattina, aver preparato il pranzo e la cena, aveva pur il diritto di essere stanco, no? E poi era alla 36esima settimana, che cavolo! In tre settimane si sarebbe ritrovato a tenere le cosce in aria e spingere per far uscire dal suo utero un bambino con la testa di dimensione di una noce di cocco. Ma a quello preferiva non pensare.
Sentì bussare alla porta e con suo grande sollievo Sinbad andò ad aprire, mentre Ja’far finiva di apparecchiare e lui appoggiava la torta in forno, in attesa di cuocerla alla fine della cena. Torta calda era meglio di torta fredda.
-Ciao Dracoon.-
Sentendo le parole di Sinbad Judal ghignò: in quelle due settimane era andato spesso a parlare con Saher e ormai si poteva dire che andavano d’accordo.
Non era male come persona, faceva parte anche lei dei maghi di Sindria, ma pur essendo più vecchia di Yamuraiha e dotata di una discreta esperienza si accontentava di ricevere ordini, e lavorava per lo più da casa come medico e maga a servizio del popolo.
Dracoon era una persona sensata, allo stesso modo, e con buona probabilità l’unico motivo per cui non avevano fatto pace fino a quel momento era l’imbarazzo.
Ma Judal non intendeva chiedere scusa perché non sentiva di doverlo fare, e lo stesso valeva per i generali: il vantaggio stava nel fatto che non erano costretti a farlo, bastava solo che passassero oltre.
-Cos’abbiamo qui?-
-Insalata di riso, tramezzini al salmone, finocchi e crostata alle pesche.-
-Buoni.-
Già, il cibo era un ottimo modo per lasciarsi le cose alle spalle.
 


 
Il menù era semplice, neanche lontanamente elaborato come quelli precedenti, ma i generali non commentarono, concentrandosi sulla cena e sulla compagnia.
All’inizio della cena, mentre Sinbad e Ja’far servivano in tavola per non far alzare Judal, suddetto magi si era attardato un po’ ad osservare i commensali.
Masrur pareva sonnolento come al solito, ma anche in qualche modo teso; Myron era vestita con grande eleganza e chiacchierava con Yamuraiha alla sua sinistra con tono affabile: anche lei non era in vena.
Yamuraiha pareva tremendamente a disagio, continuava ad accarezzarsi le spalle con fare nervoso, osservando Sharrkan di fronte a lei mordendosi il labbro, per poi spostare subito lo sguardo su Myron.
Lo spadaccino era allegro, discuteva con Dracoon e Saher, e al suo arrivo lo aveva salutato come se nulla fosse, battendogli una mano sulla spalla e chiedendo informazioni sull’imminente nascita con allegria. In qualche modo il suo essere stupido alle volte era utile, pareva aver scordato i dissapori.
Hinahoho, al contrario, pareva ricordarlo molto bene, e quando aveva scoperto il tranello organizzato da Ja’far aveva pure tentato di andarsene, ma i figli si erano opposti: per loro il fatto che Koumei fosse presente non rappresentava un problema, accettavano la cosa e anzi le gemelle parevano esserne felici. Per qualche strano motivo da quando lo avevano incontrato avevano subito sviluppato una grande adorazione per il principe, mentre Sasanato si dimostrava non più timido del solito e Kikiriku allegro e disponibile come al solito, anche se un pelo più impacciato, come ogni bambino di fronte al proprio maestro.
-Judal, hai scoperto il sesso del bambino alla fine?- chiese allegra Naname, saltellando sul posto e guardando Koumei quasi con devozione: più che fare una domanda a lui sembrava cercare una scusa per rivolgere la parola al principe che ufficialmente non conosceva, fortuna che Hinahoho parve non notarlo.
Scosse il capo, battendo una mano sulla coscia a Koumei e fornendo alle due ragazze il primo argomento che gli venne in mente come scusa per attaccar bottone con il principe.
-Come farete con due neonati?- chiese Sharrkan con un ghigno bastardo a decorargli il volto.
-In qualche modo faremo.- rispose Ja’far distrattamente, sedendosi e attendendo che Sinbad gli passasse la ciotola comune.
-Ah sicuro, già vi vedo con le occhiaie sotto i piedi, un bambino tenuto su con un braccio e uno con l’altro, due piccoli urlanti, uno affamato uno da cambiare. Decisamente non credo di volere figli.-
Judal scrollò le spalle -Per ora non è andata male, Robin perlopiù dorme, è quasi monotono occuparsi di lui.-
All’altro capo del tavolo Spaltos sbuffò. -Dorme, sì, come no.-
Di tutti i generali, era forse il più guardingo. Non alzava quasi gli occhi dal proprio piatto, fingendo di non notare la presenza di Koumei. Non sembrava arrabbiato, ma ascoltava con grande attenzione tutte le differenti conversazioni che si svolgevano attorno al tavolo, come nel tentativo di formarsi un giudizio.
Alzò le spalle con indifferenza: dopo la settimana in cui avevano dovuto tenerlo, Spaltos e Pisti non si erano più fatti vedere.
In effetti, Pisti nemmeno si era presentata.
Avvertì una fitta di tristezza stringergli lo stomaco: fino a poco tempo prima erano amici, andavano d’accordo, perché così d’improvviso si rifiutava di parlargli con tanta ostinazione?
Boccheggiò, piegato in due dal dolore.
-Judal, stai bene?- chiese Koumei al suo fianco, allarmato, e Judal annuì.
Era solo una fitta di mal di pancia, molto intensa forse, ma anche molto breve, di fatto in un secondo era passata, o almeno il peggio lo era, così non ci fece caso, raddrizzandosi e riprendendo a mangiare.
-Judal, sei certo che vada tutto bene?-
Domandò Sinbad allarmato, poggiandogli una mano sulla spalla mezz’ora dopo, vedendolo piegato in due per l’ennesima volta, pallido e boccheggiante.
Scosse il capo, tremando. -Credo abbia deciso di anticipare.-
Ci fu un orribile suono stridulo di sedie che strisciavano sul pavimento, e quando sollevò il capo vide tutte le persone in precedenza sedute al tavolo in piedi, che si guardavano allarmate.
Perfino coloro che sembravano serbargli ancora ancora accantonarono le ostilità, guardandolo con preoccupazione. Sinbad iperventilava più di quando non facesse lui.
-Ogni quando sono le contrazioni?- chiese Ja’far pragmatico, allungandosi sopra il tavolo, mentre Koumei gli poggiava le mani sulle spalle, anche lui talmente pallido che si sarebbe potuto credere fosse il padre.
-Più o meno cinque minuti.- rispose soffiando come tutti i libri di gravidanza consigliavano, appoggiando le mani al tavolo e cercando di alzarsi.
-Judal, siediti.-
-Che facciamo?-
-L’ospedale è dall’altro lato dell’isola, loro sapranno cosa fare.-
-Non possiamo fargli attraversare tutta la città, il bambino finirà per nascere per le strade!-
-Sì ma non può partorire in casa, non c’è assistenza qui!-
Sharrkan suggerì di far fare nuovamente a Yamuraiha da ginecologa, ma come in risposta la ragazza corse in bagno a vomitare.
Nella follia generale arrivò una nuova contrazione.
Cazzo, se non fosse stato così doloroso Judal avrebbe probabilmente riso per la sua condizione.
-Se portassimo qui un’ostetrica?-
-Sono le dieci di sera, dove la troviamo?-
-Irene e Myers abitano sopra lo studio, non lontano da qui.- suggerì Spaltos, avendo ben presente il luogo a seguito della gravidanza di Pisti.
-Vado a prenderla.-
Le tre parole più belle che Judal avesse mai sentito.
Quando staccò la fronte dal tavolo vide solo la schiena di Masrur che si dirigeva verso il terrazzo e il giovane Fanalis aprire la finestra e saltare giù dal terrazzo senza timore.
Un bravo amico si sarebbe preoccupato per la sorte del Fanalis, una persona in travaglio, come Judal, lo avrebbe implorato di fare in fretta.
 
 

 
Dieci minuti più tardi, Masrur piombò nell’appartamento come un tuono, tenendo in braccio Irene che urlava e strepitava, offesa per il modo in cui era evidentemente stata strappata al suo letto e trascinata lì contro la sua volontà.
-So volare anch’io, non c’era bisogno di saltare a questo modo sopra tutta la città! E darmi almeno il tempo per cambiarmi sarebbe stato oltremodo elegante, dannazione.-
In un altro momento avrebbe compreso, in quel momento ansimava come un bue, seduto sul divano scosso dalle contrazioni e tormentato in ogni momento dal dolore.
La maga sospirò con il volto ancora arrossato dalla rabbia, sistemandosi velocemente i capelli e avvicinandosi a Judal.
-Le contrazioni hanno un intervallo di circa cinque minuti, e sono iniziate circa un’ora fa.- la informò Ja’far e la maga annuì.
-Quanto tempo fa si sono rotte le acque?-
Judal alzò il capo. Non era abituato al dolore, non a quel tipo di dolore, per cui continuava ad ansimare con la fronte grondante sudore.
-Non lo so, non le ho sentite rompersi.-
Irene tentennò -Quando hai detto che sono iniziate le contrazioni?-
-Un’ora fa circa.-
-E gli intervalli sono sempre stati di cinque minuti?-
Annuì.
-Il dolore è aumentato progressivamente?-
Scosse il capo, spaventato: cioè sarebbe diventato peggio di così?
La maga sospirò, storcendo un labbro e poggiandogli le mani sulla pancia. Sembrava allarmata.
-Non so come dirtelo- disse tormentandosi le mani -ma sono solo false doglie. Sono piuttosto frequenti prima del parto, servono al corpo come preparazione.-
Tutto il gruppo la guardò -Vuol dire che il bambino non sta nascendo?- chiese Sinbad, e Irene annuì.
-False doglie?-
-Cioè in pratica sono una presa in giro?- di nuovo, la maga annuì.
-Ok,- disse Judal, quasi rantolando -come si fa a farle passare?-
False o meno, l’unica cosa che gli interessava era che finissero.
-Non esiste alcun modo.- disse Irene -Puoi solo attendere che passino da sole.-
E lì, Judal desiderò morire: se quello era il prezzo, dopo quel primo figlio avrebbe imparato ad andare in bianco.
 

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Capitolo 32
*** Capitolo 30: Visitatori e nuovi arrivati ***


Visitatori e nuovi arrivati





-Ja’far sbrigati, la nave di Rashid ci aspetta!-
Ja’far sbuffò seccato, alzando lo sguardo su Sinbad. -Sin, piantala. Rashid ci aspetta al largo, non ha intenzione di scappare, fammi allattare.-
Judal ridacchiò, svaccato sul divano con un libro aperto poggiato sulla pancia, più interessato all’eccitazione di Sinbad che alla lettura.
Quella mattina era iniziata come qualunque altra, con Ja’far che dava da mangiare a Robin, lui che preparava la colazione e Sinbad che si vestiva.
Poi avevano bussato alla porta, e Sinbad era andato ad aprire, mentre Judal restava in cucina e Ja’far badava bene a non farsi vedere.
“Un messaggio per lei” aveva detto un giovane paggio, porgendogli una lettera con riverenza, quasi con rispetto. Dall’atteggiamento così devoto pareva evidente che fosse nuovo. Sinbad ringraziò educatamente, chiudendo la porta e raggiungendo Ja’far sul divano, aprendo la busta.
C’era un silenzio piacevole, rovinato solo dal poppare di Robin, finché Sinbad non balzò in piedi, nello stesso momento in cui Judal entrò in salotto con un vassoio con la colazione.
-Ja’far, Ja’far!- strillò il re di Sindria scrollandolo per una spalla, e ricevendo una ben poco delicata sberla sulla mano: stava allattando, che diamine!
Sinbad non darci peso, esibendo un grosso sorrido -È di Rashid. Passerà qui vicino questo pomeriggio con una nave, non ha il tempo per passare di qui, ma propone d’incontrarci al largo dell’isola.-
Ja’far alzò gli occhi sull'alpha, allungando una mano per prendere la tazza di tè che Judal gli porgeva -Vai a salutarlo, è da molto che non lo vedi.- suggerì Ja’far senza particolare inflessione, concentrandosi più sulla colazione che su Sinbad, ma di nuovo l’alpha non se la prese a male, avanzando e prendendo Ja’far per le spalle.
Sembrava un bambino emozionato all’idea di rivedere un parente particolarmente generoso nel dare mance, ma se non avesse smesso al più presto di infastidire Ja’far mentre allattava sarebbe morto fra atroci sofferenze.
-Ja’far andiamo, Rashid è uno dei pochissimi che sa di noi, devi venire anche tu, e dobbiamo portare pure Robin.-
Ja’far appoggiò la tazza sul divano, scostandogli le mani con attenzione, badando a non dare fastidio a Robin.
-E chi resterà qui? Pensi che quando i generali sapranno che Rashid è qui non vorranno andare a salutarlo?-
Sinbad non ci badò, ancora troppo entusiasta -Pisti e Spaltos non lo conoscono quasi, non credo gli interessi venire, e poi saremo a breve distanza, se ci saranno problemi torneremo qui in un secondo. Andiamo!- implorò inginocchiandosi ai piedi del divano e prendendogli la mano in atteggiamento di supplica.
Ja’far lo guardò truce, seccato per il fatto di non riuscire a mangiare in pace, e sottrasse la mano dalla stretta.
-Come pensi di arrivare a quella nave? Prendere una nave apposta vuol dire rallentare i commerci o la pesca, non se ne parla. Tu puoi arrivarci in volo con la magia mutaforma, ma noi abbiamo bisogno degli uccelli giganti di Altemyula, e l’unica a saperli comandare è Pisti.-
Sinbad non parve interessato dalla cosa -Judal, pensi che Koumei avrebbe problemi a sorvegliare per un giorno l’isola?- domandò e Judal scosse il capo. -Non credo.-
Sinbad sorrise soddisfatto -Ottimo, così ti potrò presentare Rashid.-
Ecco, lì gli oppositori divennero due -Sinbad, stai scherzando vero? Io non vengo. Nel caso te ne fossi dimenticato sono oltre il nono mese, Irene dice che il bambino potrebbe nascere in qualsiasi momento, di certo non vado a bordo di una nave a chilometri e chilometri da qui. Conoscerò Rashid in un’altra occasione.- disse secco, e Sinbad si rabbuiò. Lui avrebbe visto Rashid, e sul suo orgoglio di alpha uno o meglio ancora entrambi i suoi omega lo avrebbero accompagnato.
 



-Dai Ja’far, muoviti!-
L’omega ringhiò irritato, sistemandosi la tunica e prendendo in braccio Robin, imbacuccato con un cappottino fin troppo pesante per essere maggio.
-Andiamo, Pisti e gli altri sono già qui fuori ad aspettarci!-
Ripetendosi mentalmente “di solito ami questo pirla, non puoi ammazzarlo” scaricò il figlio in braccio a Sinbad con decisa fermezza, salendo a prendere la borsa con tutte le cose del bambino.
-Judal, sei certo che vada bene?- domandò per l’ennesima volta, ignorando i generali che lo attendevano tutti sul terrazzo, gli enormi uccelli di Altemyula appollaiati sulla ringhiera di pietra, in attesa di trasportarli alla nave.
Judal annuì, non particolarmente sorpreso di sentirsi porre quella domanda per la quarantesima volta, chiudendo il libro con dentro l’indice per tenere il segno.
-Tranquillo, sono già una settimana oltre il termine, se il bambino ha atteso fin ora può aspettare ancora un pomeriggio, e nel caso decidesse di nascere chiamerò Yamuraiha e vi avviserò.-
Ja’far sorrise, mentre alle sue spalle Sinbad scalpitava per andare. Il magi ghignò -Koumei sarà qui fra poco, vai.- e si raddrizzò baciandolo all’angolo della bocca.
Bastò perché Ja’far diventasse color peperone e se ne andasse.
 


 
-Rashid, che bello rivederti, quanto tempo è passato?- domandò Sinbad atterrando sul ponte e abbracciando l’uomo, il re di Balbadd, il suo mentore e suo secondo padre.
Quello sorrise, quello sguardo sempre saggio, staccando una mano dal bastone da passeggio e poggiandola sulle spalle di Sinbad.
-Un re ha i propri impegni e una facciata da mantenere, se ti facessi vedere troppo spesso in mia compagnia i tuoi alleati potrebbero diventare gelosi.-
Sinbad sogghignò, come i generali atterrati alle sue spalle.
-Tutto a posto a Balbadd?-
-Oh sì, c’è anche un matrimonio in programma a breve.-
-Davvero? Beh, congratulazioni.- si complimentò Sinbad, attendendo che anche Rashid gli ponesse la medesima domanda. Non dovette attendere molto.
-E a Sindria come va?-
Sinbad ghignò, e Sharrkan rispose prontamente al suo posto.
-Benone ora, anzi, penso che questi due abbiano qualcosa da dirti- disse dando una violenta manata sulle spalle a Ja’far che non aspettandosi una mossa simile incespicò nei propri piedi senza comunque cadere, ma girandosi di scatto ed afferrando Sharrkan per le catenelle che portava al collo, la punta di uno dei coltelli premuta contro la sua gola.
-Tu fammi cadere ed io ti ammazzo.- minacciò Ja’far, mentre Rashid domandò spiegazioni a Sinbad, piuttosto incuriosito da tutta la vicenda.
-Beh, non è una gran cosa- disse Sinbad con voce minimalista, allungando una mano alle proprie spalle verso Ja’far, che sospirò liberando Sharrkan ed avvicinandosi ai due re.
-Ho giusto avuto un figlio.- completò come se nulla fosse, prendendo il piccolo dalle braccia di Ja’far e mettendolo sotto il naso di Rashid.
L’altro re quasi si strozzò con la propria saliva, fissando sorpreso il principino che si guardava intorno curioso, storcendo il naso forse infastidito dall’aria salmastra.
-Scrivermi ti pareva così impegnativo?- chiese il vecchio alpha avvicinando un dito alle mani di Robin, che prendendolo per un nuovo gioco lo strinse, cercando subito di portarselo alla bocca.
Sinbad sorrise e così Ja’far -Mi dispiace, sono stato un po’ preso.-
-E pensa quanto lo sarai fra una settimana o due.- rise Hinahoho alle sue spalle, facendo aggrottare le sopracciglia a Rashid: per un uomo composto e serio come lui quel giorno si stava rivelando decisamente pieno di sorprese.
Accarezzandosi la nuca con fare lievemente imbarazzato diede la seconda grossa news al re -Aspetto un secondo figlio.-
Ancor più perplesso di prima Rashid lo squadrò in attesa di spiegazioni, sottraendo delicatamente il dito dalla presa di Robin.
E così il racconto ebbe inizio.
 
 

 
-Sono andati tutti? Ma cosa gli passa per il cervello?-
Judal non gli rispose troppo concentrato sulla respirazione.
-Hai provato a chiamarli?-
-No- disse fra i denti, masticando insulti verso Koumei, che in piena crisi di panico continuava a fare avanti e indietro per la stanza, causandogli anche un gran mal di testa.
-Spaltos dovrebbe essere rimasto qui con Sofocle, e credo che anche Myron sia qui.- disse quasi annaspando, in un momento libero dalle contrazioni.
Koumei si buttò a terra, praticamente ai suoi piedi, completamente fuori di sé -Judal, cosa facciamo?-
Beh, o la piantava o Judal gli avrebbe dato uno schiaffo, tanto per iniziare.
Prese un profondo respiro, poi un secondo, e quand’ebbe aria a sufficienza espose il suo piano a Koumei.
 
 


-Mh, comunque Rashid, chi è che si sposa?-
-Il mio terzo figlio, Alibaba. Dopo anni ha rincontrato un suo vecchio amico dei bassifondi, e si sono messi insieme. Adesso stanno combattendo per migliorare la vita della classe povera, e devo dirti che stanno facendo un ottimo lavoro.-
Sinbad sorrise, un gomito poggiato sul tavolo e il mento nel palmo della mano.
-E pensi di cedere loro il trono?-
Rashid scrollò le spalle -Non ora, ma con il tempo si vedrà. Sono giovani, prima di dover governare lascia che si divertano un po’.-
 


 
-Judal, continua a respirare.-
-Koumei, non rompere i coglioni e sbrigati.- ansimò appoggiandosi al muro, tormentato dall’ennesima violenta contrazione. Decisamente sapevano essere più dolorose di quelle false.
-Non lo trovo.- si lamentò il principe, continuando a spostare con malagrazia spade, gioielli e altri preziosi.
Del tutto spazientito si staccò dal muro, entrando nella camera del tesoro di Sindria e richiamando con un incantesimo il ventaglio di Koumei.
-Ora, prendi quel fottuto coso e muoviamoci, se mi fai stare qui ancora un secondo ti ammazzo.-
 


 
-Sicuro che non sia un problema?-
-No, avevo preventivato di fermarmi di meno, ma c’è un bel vento, possiamo permetterci di cenare con tutta calma, se voi non avete urgenza di rientrare.-
Fermarsi anche a cena, a lui sarebbe pure piaciuto, però…
-Scusa Rashid, ma non possiamo lasciare solo Judal così a lungo.- s’intromise Ja’far, e Sinbad sorrise mestamente.
Poi ci ripensò -Ma Ja’far, perché no scusa?-
L’omega lo guardò storto -Sin, non fare storie: no. Se Judal avesse qualche problema?-
-Avrebbe chiamato Yamuraiha.-
-Oh sì, Yamuraiha che è devastata dal mal di testa?-
Sinbad lo guardò speranzoso, poggiandogli una mano sulla spalla -Ti prego.- disse solo, e Ja’far sospirò, cedendo.
 


 
-Ci siamo, inizia a spingere.-
-Cosa? Non posso Irene, non posso, loro non-
-Non puoi fermare un parto solo perché il tuo alpha non è qui!-
Una nuova contrazione lo aggredì, ed istintivamente strizzò gli occhi e strinse i denti, stritolando al contempo la mano di Koumei.
Nonostante avesse provato più volte a chiamare Yamuraiha, quella non aveva mai risposto, mettendolo in quell’orrida situazione.
-Non puoi aspettarli, non essere scemo, spingi!- intimò la donna, piegata ai piedi del lettino a controllare i progressi del bambino, mentre Koumei al suo fianco cercava di sostenerlo, e probabilmente per farlo si era guadagnato una necrosi alla mano.
Respirava per modo di dire, erano più rantoli e affanni che non respiri. Allentò appena la stretta sulla mano di Koumei, con grande sollievo del principe, poi sopraggiunse un’ennesima contrazione, e di nuovo Judal strinse la presa, rifiutandosi ancora di spingere.
-Senti- disse Irene, alzandosi e guardandolo a dir poco incazzata -che tu spinga o no le contrazioni continueranno e il bambino uscirà lo stesso, ma se spingerai durerà meno e il piccolo rischierà meno problemi: tu cosa preferisci?-
Alla contrazione seguente, infine il magi spinse.
 


 
-Grazie Rashid, sono felice di averti rivisto.-
-Pure io- sorrise il re al lume delle torce poste sul ponte, reggendosi in piedi con il sostegno del fedele bastone -Per quando avremo concluso l’affare prometto di passare da Sindria, così mi presenterai anche il tuo secondo figlio.-
Sinbad sorrise, mentre Ja’far si sistemò meglio il piccolo Robin in braccio, beatamente addormentato.
-Allora spero di vederti presto.-
-Lo spero.-
Ja’far sbuffò: quando vedevano Rashid puntualmente Sinbad s’incantava e pareva non voler più tornare alla realtà. Era dolce come cosa, ma non era quello il momento per trattenersi. Aveva una brutta sensazione, come se ci fossero guai in vista, e purtroppo il suo istinto sbagliava di rado.
-A presto Rashid.- ripeté prendendo Sinbad per un gomito e trascinandolo verso l’uccello.
Con un agile balzo il re saltò in sella all’animale, mentre lui protese la mano libera verso il compagno, che capita l’antifona lo tirò su, facendolo sedere di fronte a lui e stringendogli un fianco attorno alla vita così che potesse dedicarsi unicamente a reggere Robin.
Si udì un acuto fischio, frutto del flauto di Pisti, e tutti gli uccelli presero il volo, riportandoli verso casa.
 


 
-Vedo la testa, ci sei quasi!- lo incoraggiò Irene e Judal affannato rise: il dolore faceva strani effetti.
-Forza Judal, ci sei quasi, fatti coraggio, sei-
-Se tu parli ancora Koumei- ringhiò -io farò di te un uomo morto.- poi una nuova contrazione, e la voglia di parlare lo abbandonò.
Cominciò a spingere, del tutto dimentico dei propri amatissimi capelli che avevano vita propria, sudati e appiccicosi come mai prima di quel momento, la faccia viola per lo sforzo di spingere sommato all’apnea.
-Ci sei quasi!- lo incoraggiò di nuovo la donna, e Koumei spostò il capo con il chiaro intento di sbirciare, ma Judal lo afferrò per una manica strattonandolo velocemente verso di sé, obbligandolo a portare il viso alla propria altezza.
-Tu prova a sbirciare- ansimò -ed io ti giuro che ti rispedisco a Kou a calci nel culo.-
Pallido Koumei si raddrizzò, limitandosi a guardare Judal aggrapparsi quasi con disperazione alle sbarre del letto e spingere. Poi un pianto riempì l’aria.
Ci fu un brevissimo istante di silenzio, in cui Irene raccolse la creaturina e la sollevò, avvolta in un asciugamano ben più grande di lei.
-È una bambina.- lo informò sorridente, mentre Judal si lasciò ricadere sul cuscino a peso morto, stremato a dire poco.
Non fece troppo caso a cosa la donna facesse, chiudendo gli occhi e portandosi un braccio sulla fronte, del tutto esausto, mentre Koumei gli mise premurosamente un lenzuolo sulla pancia e si sedette accanto a lui.
Ci fu un secondo di silenzio.
-Stai bene?-
Non rispose né fece segni che potessero rispondere alla domanda continuò semplicemente a respirare, ma Koumei non si offese decidendo che la risposta era un “sì”.
-Sei stato eccezionale.- si congratulò, stringendogli appena un polso con la mano, muovendo il pollice in dei micromovimenti simili a delle carezze.
-Davvero eccezionale.- rincarò, il tono esausto, chinandosi a baciare la fronte di Judal in un gesto di affetto totalmente inaspettato.
Se fossero rimasti ancora da soli probabilmente Judal lo avrebbe guardato torvo e gli avrebbe chiesto spiegazioni ma quando alzò lo sguardo su Koumei vide la solita persona semi-glaciale e perennemente assonnata che era abituato a conoscere, e poi Irene che tornò in camera con sua figlia aveva la priorità.
Protese le braccia verso la donna, esausto, e quella subito gli passò la bambina.
-Per darle un nome puoi attendere una settimana.- lo avvertì -Inoltre adesso ti vedo stanco, resta pure qui a dormire.-
Koumei ringraziò, mentre Judal fissava incantato la bambina, sua figlia, contando le dita delle mani ed esaminandola in generale per assicurarsi che andasse tutto bene.
Era perfetta, fu la sola cosa che riuscì a pensare mentre se la teneva stretta al petto, piombando in un sonno esausto, del tutto dimentico della realtà al di fuori da quella camera.
 


 
-L’hai trovato?-
Ja’far scosse il capo: erano tornati a casa, avevano messo Robin a letto e poi avevano cercato Judal, sorpresi che non fosse andato ad accoglierli, ma non l’avevano trovato.
-Se fosse in camera di Koumei?-
-Ci sono le scale, non le farebbe mai di sua spontanea volontà.- obiettò Ja’far, riflettendo sulle varie possibilità, cercando d’ignorare la brutta sensazione che ancora gli attanagliava lo stomaco.
Accese la luce e lanciò un’occhiata al divano dove lo avevano lasciato e solo in quel momento notò un dettaglio, una grossa pozza ai piedi del divano.
-Sin- disse con urgenza nella voce tirandogli una manica, indicandogli la chiazza d’acqua sul pavimento.
Si guardarono congelati.
-Non è che è successo qualcosa?-
-Perché non ha chiamato?-
Senza bisogno di parlare si fiondarono giù per le scale, correndo per i corridoi deserti del palazzo verso lo studio di Irene.
Eppure, qualcosa ancora non lo convinceva.
 


 
Sin bussò alla porta con insistenza, non badando al fatto che fosse ormai piena notte e che nella via ci fosse gente che dormiva, e se qualcuno non si fosse affrettato ad aprirgli non si sarebbe fatto problemi a mettersi ad urlare per attirare l’attenzione delle padrone di casa o abbattere la porta. i soldi per pagare i danni tanto li aveva.
Per fortuna invece una donna andò loro ad aprire. Era alta, con lunghi capelli viola scarmigliati e una camicia di notte molto trasparente e molto succinta.
-Che volete?- chiese assonnata, eppure ben ritta. La collega di Irene, una maga ex-militare che aveva scelto la carriera di ginecologa per motivi ignoti.
-Judal è qui?-
-Chi?- mugugnò e Sinbad provò il forte istinto di prenderla per le spalle e scuoterla finchè non gli avesse risposto, ma resistette.
-Judal, è un paziente di Irene. Era al nono mese, doveva partorire da giorni, non credevamo sarebbe successo questo pomeriggio, ci siamo allontanati e-
-Parlate del magi?- chiese grattandosi il capo, e Sinbad annuì convulsamente.
-Ha partorito mezz’ora fa- lì informò scostandosi e lasciandoli entrare -Era piuttosto stanco, quindi Irene ha deciso di tenerlo qui per la notte. Credo stia dormendo, come stavamo facendo tutti noi.- e qui non gli risparmiò un’occhiataccia -Se volete vederlo lo trovate di sopra, poi andatevene e chiudete la porta. La chiave lasciatela lì.-
E se ne andò, lasciandoli da soli.
Dopo un secondo di sbigottimento Ja’far si rigirò le chiavi in mano per chiudere la porta come ordinatogli, mentre Sinbad si fiondò su per le scale verso lo studio. Guardò con foga le tre porte che aveva davanti, notando solo in un secondo momento Koumei seduto su una delle poltroncine della sala d’attesa, intento a massaggiarsi una mano.
Si tuffò su di lui -Dov’è Judal?- domandò con agitazione, e con quella calma, quella perfetta flemma che gli aveva visto usare a Kou, il principe gli indicò la terza porta, su cui Sinbad si tuffò.
-Judal- urlò con urgenza, senza badare al buio della stanza, notando una figura alla sua destra sobbalzare.
-Judal, va tutto bene?- domandò rassicurato, notando nella penombra il fagottino poggiato sul petto dell’omega, avvicinandosi con cautela.
L’omega annuì, stringendo il piccolo con fare protettivo.
Tempo addietro aveva letto una cosa del genere, del tipo che alcuni omega dopo il parto non permettono a nessun alpha di avvicinarsi ai figli, quindi cambiò direzione, andando a sedersi accanto alle testata del letto anziché avvicinarsi direttamente al piccolo, e ciò nonostante Judal spostò il bambino il più lontano possibile da lui.
-Tutto bene?- chiese spostandogli una ciocca di capelli dalla fronte, e Judal annuì cautamente.
-È una femmina.- lo informò, senza comunque abbassare la guardia, e Sinbad annuì.
-Posso vederla?-
Judal tentennò, stringendo la bambina, e Sinbad attese, paziente, finché il magi non evocò una debole sfera di luce, capace di rischiarare appena l’area attorno a loro, di modo da non disturbare la piccola.
Sinbad si sporse sul letto, piegandosi verso il viso della bambina.
Il secondo dopo la porta sbatté con violenza.
Judal cominciò a piangere, in silenzio, mentre Ja’far entrò nella camera, guardando preoccupato verso il letto.
-Cos’è successo?-
Il magi singhiozzò, alzando il globo di luce e intensificandolo, permettendo a Ja’far di capire cosa aveva provocato la rabbia di Sinbad e la sua improvvisa fuga.
Perché la bellissima bambina che Judal teneva in grembo aveva dei magnifici capelli cremisi.

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Capitolo 33
*** Capitolo 31: Dall'altra parte del mondo ***


Dall’altra parte del mondo

 



-Potete andare.- disse autoritario, e tutti i ministri furono sufficientemente abili da tradurre quel “potete andare” come un “andatevene”.
Rimasto solo batté un pugno sul tavolo: maledetti esseri, fingevano di fare l’interesse dello stato, di collaborare con loro, mentre in realtà facevano solo i propri interessi. Li avrebbe ammazzati tutti molto volentieri, nessuno di loro era capace d’impugnare un arma, trattare con degli ospiti o conquistare un dungeon, ma nel loro ambito erano abili. Viscidi, ma abili.
Sentì bussare alla porta e immediatamente si alzò, celando la rabbia dietro una fredda maschera di semplice autorità.
-Posso entrare?- chiese una voce dolce, che ricordava la primavera e lo zucchero.
Abbandonò quella scomoda finta maschera di eleganza e potere, lasciando in bella vista la rabbia che lo dominava nell’ultimo periodo -Avanti Hakuei.-
La principessa entrò, elegante e discreta come sempre. Aveva una dolcezza tutta sua, Hakuei, mai stopposa, mai invadente, sempre dolce e almeno in apparenza serena. Sarebbe stata una principessa da marito eccelsa, ma non avrebbe mai saputo rinunciare a lei.
-Com’è andata la riunione?- chiese conciliante sedendosi al suo fianco, sistemando il cuscino prima di inginocchiarcisi con eleganza, lisciando la gonna.
-Sono tutti un branco di canaglie, che ci restano fedeli solo per paura, ma intanto pensano ad un modo per distruggerci.  Vorrei tanto tagliar loro la testa, dal primo all’ultimo, ma non servirebbe a molto. Non conoscono la gerarchia dell’esercito, non sono interessati alla grandezza di Kou, gli interessa solo il loro tornaconto. Per loro il fatto che Koumei sia scappato è sintomo di debolezza, erano abituati a lui e non hanno intenzione di sottomettersi ad un nuovo capo. Luridi bastardi.-
Per nulla turbata da quelle ingiunzioni violente Hakuei sorrise mestamente, poggiando una mano sopra quella del primo principe di Kou, nel tentativo di placarlo.
-Saputo nulla di Koumei?-
Come per magia, la rabbia scivolò lentamente via dal suo volto lasciando il posto alla stanchezza: non si sarebbe mai permesso di mostrarsi stanco con nessuno, solo con lei o con il fratello.
-No, non sappiamo nulla. Koumei ha fatto convergere tutte le nostre spie a Katargo e fatto in modo che non possiamo comunicare con loro né richiamarle. Ho mandato Shou En a riprenderle, ma ci vorrà almeno un mese, perché tornino qui, e forse anni prima che si reinseriscano a dovere nelle loro vecchie posizioni. Doveva aver pianificato la fuga ed essersi organizzato, probabilmente ci ha nascosto tutto per mesi.-
Hakuei si morse l’angolo del labbro.
Era probabilmente la cosa più bella che gli fosse mai capitata, pensò guardando l’anello d’oro bianco all’anulare di Hakuei, e riflettendo sulla sua situazione: per motivi a lui ignoti, Hakuei sapeva bene cosa ci fosse stato fra lui e Koumei, o perlomeno pareva sapere del suo cuore diviso a metà, e ciò nonostante restava al suo fianco, sinceramente dispiaciuta per la scomparsa del secondo principe.
Era dolce e comprensiva, affettuosa e forte. Senza di lei non avrebbe saputo cosa fare.
Si girò verso di lei, allungando le braccia e tirandosela al petto. Non era bassa, non lo era mai stata, ma era una donna, e come tale era più minuta di un uomo e nel caso specifico una quindicina di centimetri più bassa di lui.
Vagamente sorpresa dal gesto Hakuei alzò le braccia, avvolgendole attorno alla sua schiena, senza dire o fare niente, offrendo del semplice conforto con la sua presenza.
Era così bella, così elegante, così desiderabile.
Prima di farci caso si era lievemente distanziato da lei, iniziando a baciarle la mandibola e spostandosi piano verso le labbra. La principessa era sconvolta: lo guardava allibita, senza sottrarsi o allontanarsi, gli occhi già d’abitudine grandi in quel momento erano proprio enormi, carichi d’incomprensione.
Sentì qualcosa morderlo da dentro all’altezza dello stomaco, ma lo ignorò: se c’era una cosa che aveva imparato negli anni è che l’attività fisica era il miglior modo per distrarsi da pensieri nefasti.
Le labbra di Hakuei erano sottili, morbide e perfettamente curate, meglio di quando avrebbe mai osato sperare, ma ancora la principessa non partecipava.
Con l’orgoglio e l’arroganza che lo contraddistinguevano, marchio di fabbrica di ogni alpha, aprì le labbra, e per uno qualche strano riflesso Hakuei fece la stessa cosa, così che in un secondo quel bacio divenne una specie di gioco di lingue, in cui lui proponeva o ancor meglio intimava e lei timidamente lo seguiva.
No, forse Hakuei non sarebbe mai stato una buona principessa da marito, perché quelle ragazze dovevano saper essere molto spigliate, pronte ad acconsentire a qualsiasi desiderio del proprio sposo, ed Hakuei probabilmente quello non lo avrebbe mai fatto, o di sicuro non con un uomo qualunque scelto da altri per lei.
Senza staccarsi dalle labbra di quella che in breve tempo sarebbe diventata la sua futura moglie stacco le mani dalle sue braccia, avvicinando le mani al fiocco che le stringeva l’abito in vita, slacciandolo e facendolo scivolare sul pavimento.
Aveva sempre pensato che il bianco le donasse, trasmetteva bene tutta l’idea di purezza che Hakuei emanava, e senza quel fiocco a stringerle la vita Hakuei appariva ancora più simile ad un angelo. Era strano a dirsi, perché la morbida casacca di seta ora le cadeva vagamente larga, non mettendo più ben in evidenza il contrasto fra i fianchi magri e il seno prosperoso, ma le stava divinamente.
-Kouen, cosa- iniziò a chiedere con tono basso ed esitante, ma non le lasciò il tempo di parlare. Parlare voleva dire condividere, e affrontare i problemi, e lui in quel momento tutto voleva fuorché quello.
Come poteva d’altronde accettare che suo fratello, colui che dirigeva tutto lo stato da solo, l’uomo che possedeva metà del suo cuore, fosse scappato? Come poteva affrontare quella situazione senza essere almeno un po’ anestetizzato? Era un uomo forte, certo, ma tutti hanno bisogno di uno sfogo.
Staccò le mani da terra, prendendo Hakuei per i fianchi e tirandola verso di sé: come aveva potuto resistere a quel corpo per tutti quegli anni? si chiese inalando il dolce profumo di fiori di Hakuei, carezzandole delicatamente il seno. Era passato così tanto tempo da quando era stato con una donna…
La principessa era bordeaux, guardava ovunque, qualunque cosa, tranne che lui, lasciando che agisse come preferiva, e lasciandosi sdraiare contro il parquet, rabbrividendo appena per il freddo, o forse per altro.
Senza pensarci su, Kouen aprì la casacca che Hakuei portava, esponendo quella pelle bianca che gli dava il capogiro.
Era così bella, pensò sfiorando delicatamente i due abbondanti seni e scendendo verso l’addome piatto, privo di qualsiasi imperfezione.
Così sensuale, così attraente. Le mani ormai lambivano i fianchi, i pollici che s’infilavano sotto il bordo della gonna.
Così calda, così innocente. Fece scivolare lentamente la gonna verso il basso, fermandosi non appena intravide l’elastico degli slip.
Chiuse gli occhi, stringendo i denti e scuotendo il capo infastidito, la morsa allo stomaco che lo dilaniava da dentro. Hakuei rimase interdetta, riportando timidamente lo sguardo sul suo futuro sposo, notando subito il suo umore cupo.
Dimentica dell’imbarazzo si sollevò da terra, abbracciando silentemente le spalle del principe, il capo poggiato sulla sua spalla mentre guardavano nella stessa direzione, scorgendo entrambi lo stesso muro.
Rimasero in silenzio in quel modo per un po’, finché Hakuei non starnutì, rompendo quella bolla di mestizia e desolazione.
Kouen scivolò fuori dal suo abbraccio, girandosi verso di lei con sguardo criptico, riallacciando la casacca e aiutandola poi anche a sistemare il fiocco, prima di uscire dalla stanza e dirigersi verso le proprie stanze.
Perché se c’era una cosa che aveva imparato negli anni era che le persone non hanno tutte lo stesso valore, non con tutte si può agire allo stesso modo, e in quel caso lui non poteva usare Hakuei come avrebbe usato Judal.
Per il semplice fatto che evidentemente era innamorato di lei, come non lo era mai stato di nessuno.
 
 
 

-Senti, non puoi fare meglio di così?- domandò con scarso interesse, continuando a guardare il soffitto anziché la moglie.
-Certo mio sire.- rispose invece prontamente la donna, gonfiando il petto con orgoglio e tornando a dedicarsi alla sua precedente attività.
A parer di Kouha, era un’incapace: cosa c’era di tanto difficile nello scopare? Insomma, con Judal si divertiva da morire, avevano studiato tutto il Kamasutra, eppure non si annoiava mai, mentre con Jinjin, Reirei e Junjun era una cosa oltremodo noiosa. Mancavano di fantasia, di carattere, d’iniziativa, mancavano di tutto.
Cosa non avrebbe dato per essere su un campo di battaglia a combattere in mezzo al fuoco ed alla polvere, sotto la pioggia o il sole cocente, di giorno o di notte, ed invece era lì, segregato a palazzo per ordini di Kouen.
Dannazione, ma dovevi proprio andartene Mei?
Se a scappare fosse stata una delle tante inutili sorelle probabilmente non ci avrebbero dato peso, magari l’avrebbero giusto fatta cercare per trovarla ed ammazzarla per aver tradito Kou, ma se si parlava di un possessore di djin le cose cambiavano.
Con tutto che nessuno di loro aveva mai avuto motivo di voler tradire Kou, Kouen era il capo dell’impero, dirigeva l’esercito ed era il più alto principe, se se ne fosse andato probabilmente i piani di conquista ai confini si sarebbero fermati, per un po’, almeno sul fronte occidentale.
Se Hakuei fosse stata in qualche sorta di pericolo, lontana dal suo controllo probabilmente Kouen avrebbe distrutto chiunque e qualsiasi cosa per ritrovarla, ed allo stesso modo avrebbe agito se a scomparire fosse stato Hakuryuu, non tanto perché i due fossero fortemente legati ma perché Hakuei era legata a lui, e se Hakuei era triste la cosa si rifletteva sempre anche su Kouen.
Forse la perdita minore sarebbe stata Kougyoku: le voleva bene, per carità, non era totalmente inutile come le altre, ma aveva ancora numerosi punti deboli. Probabilmente nel suo caso molto sarebbe dipeso dal motivo della sua assenza: se si fosse trattato di un rapimento o simili avrebbe avuto una piena assoluzione, ma se fosse stato una fuga c’erano concrete probabilità che ricevesse lo stesso trattamento di qualunque altra principessa da marito.
Ma non era nessuno di loro ad essersene andato, no, era Koumei.
Loro infondo erano tutti simili, tutti comandanti dell’esercito, tutti utili solo sul campo di battaglia: se anche uno di loro mancava ad uno scontro poteva presentarsi a quello successivo, ma lo stesso non valeva per Koumei.
Il loro secondo principe era il burocrate, il diplomatico, colui che da solo si occupava di gestire un impero immenso come Kou con successo, scoraggiando le rivolte, potenziando i commerci, pianificando le alleanze e gestendo i rapporti con i funzionari delle varie province.
Il lavoro che lui svolgeva da solo permettendo a tutti loro di espandere i confini senza doversi preoccupare di null’altro loro lo svolgevano in cinque, e non erano nemmeno lontanamente prossimi al suo grado di efficienza.
-Kouha, entro.-
Ghignò: a Kouen le buone maniere non avevano mai fatto impazzire, era un vero capo dell’esercito, non chiedeva mai “posso entrare?”, quand’era di buon umore al massimo diceva “sto entrando”, oppure entrava senza assolutamente avvisare. C’era di buono da dire che nessuno di loro due aveva granché da nascondere.
Kouen entrò dunque in camera sua come se nulla fosse, senza batter ciglio trovandolo occupato, al contrario di Jinjin che diventò bordeaux tuffandosi su di lui per nascondere il più possibile.
-Vai.- le intimò seccato di trovarsela troppo appiccicata, e la ragazza lo guardò sconvolta, in cerca di una conferma, ma obbedì, raccogliendo le proprie cose in fretta e scappando dalla stanza.
-Allora Kouen, di cosa volevi parlarmi?- chiese alzandosi dal letto in tutta tranquillità, prendendo un paio di mutande dall’armadio ed i pantaloni da terra e rivestendosi come se nulla fosse.
D’altronde era la sua famiglia, lui mica sarebbe scappato per quello.
 
 
 

Con fare annoiato Kougyoku alzò lo sguardo sul muro, controllando l’orologio. Appena le 19 eppure era già tutto così buio…
Sospirò, aprendo un cassetto del basso tavolino e tirando fuori un piccolo fiammifero con cui accendere la candela posata al suo fianco. Ecco, ora ci vedeva perlomeno, peccato solo che non avesse nulla da fare o nulla da vedere. Scoraggiata si accasciò sul tavolino, battendo le unghie lunghe e curate sul liscio legno, producendo uno snervante ticchettio: si annoiò subito anche di quello.
Guardò esasperata i propri capelli sparpagliati sul tavolo, e finalmente trovò il modo di fare qualcosa di utile. Separò una piccola ciocca dal resto dei capelli ed iniziò ad esaminare tutte le punte.
No, no, no, no,… eccola! Una maledetta doppia punta. Esaminò con attenzione quel singolo capello. Mh, era rovinato solo alla fine, il resto era ben tenuto, per fortuna. Soddisfatta prese una delle punte, tirando finché non cadde e riesaminò il capello. Ecco, finalmente era perfetto.
Esaltata dal grande risultato iniziò un’operazione su larga scala, disseminando il tavolo di piccole punte rosse. Era strano, perché una parte di lei era orgogliosa per il lavoro ben fatto che stava svolgendo, l’altra piangeva disperata pensando a quanto in realtà i suoi capelli fossero rovinati.
-Principessa Kougyoku, la vostra cena.-
Girò il capo verso Koubun Ka, non particolarmente attratta dall’idea di cenare, senza mollare il capello che aveva fra le mani.
-Cosa state facendo?- chiese l’assistente sedendosi al suo fianco, e lei scrollò le spalle, come a sminuire il tutto.
-Mi libero delle doppie punte.-
Koubun Ka la guardò perplesso, e la principessa si riaccasciò sul tavolo, priva di qualsiasi voluttà: non voleva spiegargli, non voleva parlare, non voleva mangiare, non voleva dormire. Non voleva fare nulla.
In effetti, l’unica eccezione era forse ammazzare Judal. Finché lui era stato a Kou tutto era andato (per modo di dire) bene: aveva compagnia, considerazione e attenzioni, mentre ora aveva solo incarichi diplomatici da svolgere e mal di testa da combattere.
Decisamente se se lo fosse ritrovato fra le mani avrebbe ammazzato Judal.
 
 


-Hakuei, sei ancora sveglia?-
Alzò il capo, colta di sorpresa, distraendosi dal ricamo e pungendosi un dito. Senza un lamento portò il polpastrello alle labbra, succhiando per disinfettare la puntura, mentre Seishun Li la guardava perplesso.
-Va tutto bene?- chiese vagamente preoccupato, notando la venatura di tristezza negli occhi di Hakuei.
Hakuei non era quasi mai triste, e quand’anche lo era si impegnava al massimo per nasconderlo a tutti, per il semplice fatto che non voleva nessuno si preoccupasse per lei.
-Sto bene, la giornata è stata lunga, mi stavo giusto prendendo una pausa.- assicurò, ma l’attendente continuò a guardarla inquisitorio, per nulla persuaso dalle sue parole.
-Perché non vai a letto?-
Sorrise, uno dei suoi sorrisi capaci di convincere chiunque a seguirla -Non ho sonno.- rispose con semplicità e candore, ripiegando la stoffa che stava cucendo e richiudendola in una scatola.
Faceva sempre così quando qualcosa la stressava, tirava fuori un piccolo set da cucito e cuciva. Era perfin brava, a dire il vero.
Di solito si confidava con lui, perché oltre ad essere il suo attendente era il suo miglior amico, ma in quel caso pareva veramente sotto shock.
-Sicura che non vuoi parlarmene?- domandò addentrandosi nella stanza, ma la principessa scosse il capo con un grazioso sorriso in volto. Ora che le si era fatto più vicino riusciva a leggerla meglio: a ben vedere i suoi occhi non erano tanto tristi, quando piuttosto... arrabbiati… no, non erano arrabbiati, piuttosto dispiaciuti. Ecco, dispiaciuti, non tristi, dispiaciuti.
-Ti ringrazio Seishun, ma va tutto bene. Non sono più tanto abituata a passare lunghi periodi a palazzo, tutto qui.- lo rassicurò, ed il ragazzo annuì, fingendo di crederle: se non voleva parlargli non poteva costringerla.
-Anzi, sai cosa?- domandò la ragazza sorridente, come se avesse appena avuto una splendida idea -Potrei provare a fare una torta. Se verrà bene la potremmo mangiare per colazione che ne dici?-
E come per magia, dal preoccuparsi per lei il ragazzo fu costretto a preoccuparsi per se stesso ed il resto dei principi, perché nulla era più pericoloso della cucina di Hakuei, nemmeno la conquista di un dungeon.
 


 
Con passo silenzioso si aggirava per il castello, evitando tutte le assi scricchiolanti dei porticati ed i tratti di giardino resi scivolosi dalla pioggia. Conosceva quel castello, ci era nata e cresciuta, muoversi senza farsi sentire né vedere era naturale per lei. Il suo nome d’altronde significava Cristallo bianco e come Hakuryuu le aveva detto una volta esprimeva molto bene la sua personalità: era elegante, discreta, mai inopportuna, silenziosa e capace di immedesimarsi negli altri.
In qualche modo a detta di molti ciò la rendeva una bella persona, nobile non solo di nascita ma anche d’animo. Secondo il suo parere, erano tutti troppo buoni con lei.
Svoltò a sinistra, in quell’aria del palazzo seminascosta in cui alloggiavano tutti i domestici e dove si trovavano le cucine e gli altri servizi: a suo avviso era un po’ triste che ci fosse il bisogno di nascondere le cucine o la lavanderia, o in generale le aree più “vissute” del palazzo, non dimostrava la minima gratitudine verso tutte quelle persone che lavoravano per loro, permettendogli di vivere in tutto quel lusso.
Guardò verso le cucine, la sua destinazione, e notò subito che la luce era accesa. Quelle povere donne, nonostante tutto ciò che facevano per loro ottenevano così poco in cambio…
Si avvicinò con cautela, senza fare rumore per non spaventarle, facendo scorrere lentamente la porta.
Restò immediatamente colpita dal silenzio e dall’ordine che regnava in quella stanza in cui quasi mai aveva messo piede, notando al contempo che era vuota.
Poco male, si disse, avranno dimenticato la luce accesa.
Chiuse la porta alle sue spalle, avvicinandosi al lungo ed immacolato bancone in marmo, riflettendo su cosa fare. In effetti non era molto portata per la cucina, mangiava un po’ di tutto ma non sapeva preparare nulla, nemmeno del riso, e preparare qualcosa che potesse piacere a tutti i principi era una cosa complessa:
Kouen amava il cibo piccante o speziato, mentre detestava il dolce, Kouha andava pazzo per i fichi solo quanto Judal lo faceva per le pesche, ma odiava al contrario ciò che Kouen preferiva, a Kougyoku la frutta piaceva ma non la verdura, e Hakuryuu… Hakuryuu in effetti non lo sapeva, lo aveva sempre visto assaggiare di tutto, senza mai essere particolarmente schizzinoso, e non gliel’aveva mai chiesto.
-Che fai qui?-
Si girò di scatto, sorpresa di non essersi accorta della sua presenza.
-Avevo pensato di cucinare la colazione.- disse riprendendo subito a sorridere, guardando il fratello avvicinarsi al piano da lavoro con un paio di mele in mano -Ho pensato che potrebbe essere bello mangiare tutti la stessa cosa per una volta, potrebbe aiutare a sentirci meno soli, e poi non c’è come il cibo fatto con amore, non trovi?-
Un lungo brivido freddo attraverso la schiena del principe sentendo queste parole, ma Hakuryuu dissimulò la cosa alzando le spalle e sciacquando le due mele, porgendone una alla sorella.
In sé il proposito era molto carino, ma la realizzazione era un problema: capiva le intenzioni di Hakuei, non credeva che quel gesto fosse necessario ma era dolce di sicuro.
-Cosa pensi di fare?- domandò prendendo un coltello da un cassetto e sbucciando la propria mela con precisione e velocità, senza fare sprechi, mentre Hakuei masticava pensierosa.
Non sarebbe certo stato creare un legame più solido fra i principi a far tornare Judal e Koumei a palazzo come per magia, ma comunque poco male, magari poteva dare un po’ di conforto alle anime inquiete degli altri principi.
-Non lo so.- ammise la principessa alzando i grandi occhi su di lui -Mi potresti dare qualche consiglio?-
Hakuryuu assunse un cipiglio pensieroso, sedendosi al lato opposto del tavolo rispetto alla sorella e pensandoci su.
Alla maggior parte di loro la mattina piaceva mangiare cose dolci, mentre Kouen andava sempre sul salato. Doveva essere qualcosa di neutro, quindi.
Kouen beveva caffè, Hakuei latte di cavalla, Kougyoku e Kouha succhi vari: se fosse stato possibile sarebbe stato bello inserire anche quello nell’equazione…
-Che ne dici delle crepes?- domandò tagliando l’ultima fetta di mela e poggiandola su un piatto, per poi buttare le bucce ed il centro con i semi nel cestino che sapeva essere sotto al tavolo.
Hakuei annuì sorridente, senza dire nulla, facendo apparire abbastanza chiaramente che non aveva la più pallida idea di cosa fossero.
Sorrise, scuotendo il capo divertito.
-Ti aiuto a farle.- annunciò deciso, prendendo una fetta di mela e coprendosi la bocca con la mano mentre parlava -Non sono tanto difficili, sono un piatto povero di Balbadd che in base alla farcitura può essere dolce o salato. Ora, per farle ci servono uova, latte, farina e burro.- spiegò e quando finì di parlare Hakuei si alzò, andando a prendere quanto elencato nel magazzino, fiduciosa del suo giudizio.
Sospirò, il cervello che pensava a diverse cose.
Avrebbero potuto preparare l’impasto quella sera, ma se lo avessero cotto in anticipo e riscaldato sarebbe stato un fallimento, quindi dovevano cuocerle la mattina.
Doveva avvisare i cuochi, oppure rischiavano di fare tanto lavoro per nulla, e non gli piaceva sprecare il cibo.
Poi avrebbe dovuto far fare un po’ di cose anche ad Hakuei o si sarebbe sentita inutile, ma se non l’avesse controllata a dovere tutti i principi sarebbero stati avvelenati, quindi doveva assicurarsi che non potesse nuocere troppo.
Per cuocerle la mattina avrebbero dovuto alzarsi lievemente prima, e se avessero dovuto mangiarle in sala da pranzo le crepes si sarebbero completamente raffreddate lungo la strada, quindi doveva anche far scendere i principi in cucina, e ultimo ma non meno importante doveva convincerli che non erano velenose.
Se fosse stato a palazzo Judal non si sarebbe mai fidato, e anche Kougyoku avrebbe di sicuro fatto non poche storie a riguardo, Koumei avrebbe assaggiato con molta diffidenza prima l’impasto non farcito, Kouen avrebbe insistito sulla presenza dei cuochi a palazzo e su come non fosse necessario che lei cucinasse e Kouha sarebbe stato di certo quello che avrebbe fatto meno storie ad assaggiare, ma poi avrebbe detto schiettamente cosa ne pensava, che comunque era un pericolo notevole. Lui era insieme felice e terrorizzato di poter mangiare qualcosa fatto da Hakuei.
La guardò tornare in cucina con una quantità spropositata di latte e farina, e prese a seguire tutti i suoi movimenti.
La osservò appoggiare con delicatezza gli ingredienti sul tavolo di fronte a lui, avvicinandosi poi al muro per prendere un grembiule suppergiù della sua misura che riparasse gli abiti e mettersi a cercare una ciotola ed una frusta (ovviamente dovette spiegarle cosa fosse prima che potesse cercarla, ma quello fu un problema che risolvette abbastanza in fretta).
Mandò giù l’ultima fetta di mela, prendendo un colino che passò ad Hakuei affinché setacciasse la farina, impegnandosi per inventare un motivo per cui la cosa fosse di vitale importanza per la buona riuscita finale (ed in effetti se ci fossero stati grumi sarebbe stato sgradevole), e vedere Hakuei così concentrata sul suo compito, assorta, fece sorridere anche lui.
Perché finalmente la Al Sarmen era sconfitta e sua madre morta, e per quanto lo riguardava in quel momento l’integrità di Kou era quasi completa. Dovevano solo imparare tutti quanti a vedere il bello nelle piccole cose, e se proprio recuperare Koumei.
Judal, invece, poteva andarsene a fare in culo, tanto non è che di solito gli dispiacesse.

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Capitolo 34
*** Capitolo 32: Anche il diamante si può crepare ***


Anche il diamante si può crepare

 



Un pianto lo ridestò alle prime luci dell’alba.
Dire che avesse dormito era un eufemismo, più che altro aveva pianto in silenzio con gli occhi chiusi, tenendo la piccola ancora senza un nome stretta a sé come se da quello dipendesse la sua vita, mentre Ja’far dormiva, o forse semplicemente riposava, nella poltrona al suo fianco.
Si passò velocemente una mano sugli occhi, cercando di non guardare Ja’far: lui era quello forte ed un po’ stronzo, l’omega indipendente abituato ad avere anche più di un alpha, non poteva piangere così solo perché Sinbad lo aveva rifiutato.
-Sh, va tutto bene.- sussurrò alla bambina, cullandola appena con un braccio, mentre con l’altro sollevava lo stretto top aderente che portava dalla sera prima.
-Hai fame, non è vero? Mangia, mangia.- disse avvicinandola ad un capezzolo, a cui la piccola si attaccò istintivamente, succhiando vorace.
-È carina, sai?- disse la voce di Ja’far alle sue spalle, e lui sorrise, senza staccare lo sguardo da quelle guance rosee ricoperte di lentiggini.
-Ha preso da te.-
-Sì, e dove?-
-In generale.-
Judal sbuffò in un modo simile ad una risata. In generale, certo, come no.
Osservò quella piccola creaturina, completamente in balia del suo volere, e non poté che sorridere amaramente. Ja’far aveva ragione, quella bambina era bella, di una bellezza tutta sua, un po’ come tutti i neonati, anche se era ben diversa da loro.
I neonati standard avevano la pelle incredibilmente rosea, le guancette rubiconde, dei cosciotti cicciotti e al momento della nascita perlomeno avevano tutti i capelli biondi e gli occhi azzurri.
Ma lei no, fin dalla nascita aveva per modo di dire scritto in fronte “principessina di Kou”: guardò con affetto i capelli, rossi come il tramonto ad eccezione di alcune minuscole ciocche nere, gli occhietti chiusi in un espressione di beato appagamento, le palpebre che celavano due occhi lilla, grandi e caldi come quelli di Hakuei.
-Quando crescerà ci toccherà un bel lavoro per allontanare tutti i suoi pretendenti.- commentò Ja’far, continuando a sbirciare la piccola da sopra la spalla del magi, che guardando la bambina con infinita dolcezza scosse il capo.
-Per me che si diverta pure, può fare ciò che vuole, sarebbe ipocrita da parte mia proibirglielo, ma se qualcuno proverà a farle del male garantisco per la sua morte. E sarà dolorosa.-
Ja’far sorrise, appoggiando la guancia sulla spalla di Judal, restando in silenzio.
Fingere che tutto andasse bene, che a distanza di anni si sarebbero divertiti ad allontanare da casa tutti i possibili o le possibili pretendenti era bello, ma irrealistico. Cosa sarebbe successo nel momento in cui anche solo avessero lasciato quella stanza era un mistero, immaginarsi la vita a più di dieci anni di distanza una mera utopia.
-Perché sei ancora qui Ja’far?- chiese senza guardarlo, fissando sempre la bambina, vittima innocente di tutti i disastri che lui aveva combinato.
-Perché ho un cervello.- rispose immediatamente Ja’far, con convinzione, per poi articolare meglio la sua risposta, avvolgendo un braccio attorno alle spalle di Judal, la mano che accarezzava lentamente la schiena della piccola.
-Non ero presente a Kou, non saprò mai esattamente cos’è successo fra voi, ma mi sta bene così. Non m’interessa chi sia il padre, che importanza ha? Sono sempre stato convinto che più che il DNA contino la presenza effettiva ed il legame.- disse sfregando il mento sulla sua spalla, facendogli un lieve solletico.
-Ad esempio, tu sei la mamma di Robin, pur non avendo legami di sangue con lui. Allo stesso modo non vedo perché Sin debba fare tutte queste storie: non è come se tu lo avessi tradito, è più che hai un figlio da una relazione precedente, tutto qui.-
Judal sbuffò obbiettando prontamente un -Non è proprio così, io ero certo fosse suo.- a cui Ja’far rise.
-E chi non lo era? Se è vero che sei stato con lui per tutto il calore è normale credere che lui fosse il padre, d’altronde per un omega le possibilità di concepire al di fuori del calore sono rasenti lo zero.-
-Sì ma non posso chiedergli di crescere la figlia di dei suoi nemici come se fosse sua, sarebbe-
-Judal- lo interruppe Ja’far, spostandosi dalla sua precedente posizione per sedersi a metà del letto, di modo da poterlo guardare -i bambini non hanno mai le colpe dei genitori, mai. Lei- disse indicando la bambina -non è né te né i principi di Kou. È una vita a parte, che ha origine da voi, ma che crescerà in maniera differente, con un carattere si spera migliore del tuo e una sete di conquista se il cielo vuole minore di quella di Kou. Non possiamo sapere come crescerà, ma farsi problemi per questo è stupido. Nessuno dice che diventerà regina di Sindria, ma non è nemmeno detto che lo diventi Robin. Per quanto ne sappiamo crescendo potrebbe voler fare il contadino!- esclamò con convinzione, e Judal scoppiò a ridere, senza più riuscire a fermarsi.
-Non preoccuparti per Sin, a lui ci penso io.- lo rassicurò Ja’far poggiandogli una mano sul polso, con un rassicurante sorriso in volto, che lo spinse a sollevare giusto un angolo della bocca in una timida imitazione di un sorriso.
-Comunque- chiese poi Ja’far, colto da un improvvisa epifania, guardando fuori dalla finestra il cielo tingersi dei colori dell’alba -giusto per curiosità, sai chi è il vero padre?-
Judal scosse il capo -Non ne ho idea.- ammise senza alcuna preoccupazione, e quella fu la frase che segnò l’inizio ufficiale della loro giornata, quando anche Koumei aprì la porta della stanza e li raggiunse, unendosi alla conversazione.
Non sapeva chi fosse il padre ma c’era una scelta fra un numero ristretto d’individui.
 


 
Verso le otto Irene fece capolino sull’uscio della camera.
-Dormito bene?- domandò cortese, guardando scettica le occhiaie di Judal attraverso la lente verde del monocolo, eppure senza insistere quand’annuì.
-Hai avuto qualche problema durante la notte?-
-No.-
La donna annuì, come se stesse prendendo mentalmente appunto delle sue risposte, senza entrare nella stanza, guardando seccata l’assembramento di persone che vi si era riunito.
-Allora visto che non ci sono problemi puoi andare.- concluse come se nulla fosse, staccandosi dallo stipite della porta e sparendo dalla loro visuale.
-Ma veramente?- chiese Judal attonito, guardando verso Ja’far e Koumei, sbigottiti quanto lui -Cioè così, senza nulla.-
Koumei arricciò un labbro, inorridito -A Kou dopo un parto ogni bambino viene affidato ad una tata che lo guarda giorno e notte, che roba è questa?-
Ja’far lo guardò truce, offeso dal paragone, iniziando immediatamente una contesa sul sistema migliore per crescere i figli.
Era impressionante, perché di solito Koumei e Ja’far andavano d’accordo, forse perché di base svolgevano lo stesso lavoro e sotto sotto avevano valori simili, ma alle volte le persone per quanto simili possono scannarsi per un nonnulla.
Sospirò rassegnato, alzandosi dal letto e aggirando i due, diretto verso la sala d’attesa.
-Irene- disse bloccando la donna per un braccio -se ci fossero dei problemi posso tornare, vero?-
La risposta sembrava scontata, ma a chiedere alle volte si fa più bella figura.
La maga lo guardò cupa -Ma tu credi che io non abbia di meglio da fare? Sono una ginecologa, non una levatrice, già ciò che ho fatto ieri esula dal mio ambito di competenze, ma occuparmi di un neonato proprio è ben lontano. D’ora in avanti se hai dei dubbi farai meglio a consultare un pediatra. Ed entro una settimana fai registrare il nome di quella bambina.- disse andandosene seccata, lasciando Judal sorpreso e perplesso.
Se quello era un segno, allora desiderava ardentemente spararsi preventivamente per non vedere il seguito.
 
 


Camminarono per la città senza dirsi nulla, proseguendo piano verso il palazzo dato che Judal aveva difficoltà a camminare, in attesa dello scoppio della tempesta.
Arrivati a palazzo Judal si fermò, sedendosi sulla prima sedia che trovò e guardando con esasperazione le scale: non ce l’avrebbe mai fatta, non era abbastanza in forze da usare la magia, neanche come magi aveva la forza per lanciare un incantesimo di levitazione e non poteva chiedere a Koumei o Ja’far di portarlo su in braccio, né si sarebbe mai abbassato a tanto e poi non avrebbe mai lasciato sua figlia in braccio ad altri per così tanto tempo, non in quel momento.
Ja’far gli poggiò una mano sulla spalla con fare compressivo: erano omega, già dovevano affrontare un calore ogni tre o quattro mesi, ma che dopo il parto li attendesse anche un mese di ciclo era una vera tortura.
Cercò di infondere una calma che in realtà non possedeva ai propri respiri per dare l’esempio a Judal, ma non era la calma ciò di cui il magi aveva bisogno, quanto la forza ed il coraggio, e quelli non era preparato a darglieli.
Dopo cinque minuti l’affanno era scomparso, ma era stato sostituito dall’iperventilazione, e per quanto ci provassero fra Ja’far e Koumei stavano facendo più danni che vantaggi.
“Andrà tutto bene”, “Sin era solo stanco, vedrai che capirà”, “Non è la fine del mondo”, “Sei un magi, puoi farcela”, … tipiche frasi d’incoraggiamento, a cui non credevano nemmeno loro nel mentre che le dicevano, come poteva crederci lui?
-Ohi, cos’è questa cosa, volete levarvi dal corridoio?-
Ja’far e Koumei si girarono a guardare Myron, scambiandosi uno sguardo di reciproca comprensione.
-Senti, non è che potresti-
-No- replicò secca senza nemmeno starli a sentire, avvicinandosi comunque a loro.
-Ohi- disse guardando Judal dall’alto in basso, e quando fu chiaro che non le avrebbe risposto lo afferrò per un gomito tirandolo in piedi di mala grazia, senza curarsi affatto della bambina.
-Sentimi bene, le tue lagne mi danno noia, quindi smetti immediatamente di piangerti addosso è fa qualcosa cazzo.-
Il magi la guardò sperduto, e Ja’far non poté non pensare che quell’espressione non gli si addicesse per nulla.
-Qual è il problema stavolta, hai venduto informazioni di stato, ti sei scopato una guardia o hai perso il fottuto marmocchio e stai cercando di sostituirlo con un altro che neppure gli assomiglia? Nessuna di queste? E allora che cazzo, piantala di fare il morto che cammina e levati dai coglioni!-
Ok, forse Myron non era una così buona idea, d’accordo la schietta onestà ma c’era un limite quando una persona stava già male di suo.
Ja’far tentò di prenderla per un gomito ed allontanarla da Judal, ma con la velocità caratteristica dei Fanalis la ragazza gli tirò una gomitata allo stomaco, lasciandolo tramortito.
Quando alzò il capo notò che quei due avevano iniziato ad urlarsi contro, con sgomento della bambina che era stata appoggiata sulla sedia ed aveva un espressione di paura dipinta in viso, eppure non faceva un solo verso tanto era preoccupata.
-Ma cosa cazzo vuoi tu che hai più muscoli che cervello?-
-Ah io eh? Ma guardati, sei un debole magi incapace perfino di salire delle banalissime scale, fossi in te non criticherei tanto questi muscoli, anche perché sono più che sufficienti per romperti quella testa di cazzo.-
-Ma fammi il favore, che minchia vuoi saperne tu che un momento sei una nobile dama di corte e quello dopo il peggior scaricatore di porto?-
-Ne so che evidentemente ti mancano i coglioni!-
-Vuoi controllare stronza?-
-Certo, scommettiamo che ne ho di più io?-
Koumei era atterrito, e nemmeno Ja’far scherzava: sapeva, o meglio aveva notato, che Myron avesse una doppia personalità e che potesse essere molto brusca ed un po’ volgare, ma non credeva così tanto!
-Oh, e già che scommettiamo, vogliamo aggiungere anche il fatto che non sai farti questa singola rampa senza sputare i polmoni, maledetta checca?-
-Senti brutta troia facciamo così, io faccio quelle fottute scale e tu provi ad infilarti un melone in culo e farlo uscire, mh? Poi vediamo se avrai ancora il fiato per tritarmi i coglioni.-
Decisamente stavano andando oltre.
-Sentite, non esagerate siamo-
-Fanculo!- urlarono in perfetta sincronia, lasciando Ja’far decisamente basito.
-Se hai tutto questo fiato per urlare inizia a salire, forza!-
-Ma allora oltre che demente sei sorda! Non.Ce.La.Faccio.Ho.Appena.Partorito!-
-Mi ha decisamente rotto, adesso piantala!-
-Ma senti questa, come se avessi iniziato io poi!-
Myron gli alzò il medio, badando bene di sventolarglielo davanti agli occhi, e con molta maturità Judal le fece l’ombrello.
Il secondo dopo i suoi piedi erano stati sollevati da terra, e si trovava niente meno che in braccio alla Fanalis.
-Mettimi immediatamente giù puttana!-
-Inculati finocchio.- replicò invece lei in tono collerico ma a volume semi umano -Tu,- disse indicando Koumei con un secco movimento del capo, senza scomodarsi ad usare il suo nome -dagli lo sgorbietto e andiamo.-
Lo sgomento abbandonò il volto del principe lasciando spazio alla solita indolenza con cui raccolse la piccola senza un nome e la depositò fra le braccia di Judal, deciso a continuare a guardare Myron con un espressione di puro odio identica a quella con cui lei guardava lui.
Non appena Judal strinse a sé la bambina la Fanalis iniziò a salire le lunghe scale, seguita a ruota da Ja’far e Koumei.
-Questi due sono peggio di Sharrkan e Yamuraiha- borbottò Ja’far, guardando la schiena di Myron ed i muscoli dei polpacci guizzare senza sforzo nel portare su per le scale una settantina buona di chili aggiuntivi.
-Sembra l’inizio di una battuta scema, del tipo “quattro omega sulle scale-
-Prova a dire un’altra sola parola e ti ammazzo principe, bada bene.- ammonì Myron e Koumei s’azzittì.
Perché più che temere gli alpha quelle da temere erano sempre le donne, quale che fosse il loro genere secondario, il loro status o il loro carattere.
 


 
-Vuoi scendere o ti sei incollato?-
-Non ti ho chiesto io di portarmi su in braccio.-
-No in effetti no, sei troppo cafone per farlo.-
-Io sarei un cafone? Ma ti sei mai sentina parlare? No perché-
-Piantatela, tutti e due!-
Tutto il maledetto viaggio così, a battibeccare sul nulla.
La Fanalis guardò Ja’far con aria di sdegnosa superiorità, riappoggiando Judal a terra e alzando una mano in segno di saluto, andandosene senza una parola, e nel momento in cui svoltò l’angolo Judal parve ricordarsi dei suoi problemi, iniziando ad iperventilare piegandosi su se stesso, la bambina schiacciata fra la pancia ed il torace.
Koumei fece un passo nella sua direzione con l’intenzione di aiutarlo, ma prima che potesse farlo il magi alzò una mano facendogli segno di mantenere la distanza, cercando di fare i famosi respiri profondi tanto consigliati, fra le altre cose, per il parto o le situazioni di crisi.
-Va bene, andiamo.- disse dopo un paio di minuti pallido e vagamente tremolante ma con una voce piuttosto risoluta.
Ja’far annuì, aprendo la porta dell’appartamento ed entrando prima di lui: dire che sarebbe andato tutto bene era facile, ma non ne era certo, visto soprattutto che Sin alle volte sapeva essere un vero stronzo.
Meglio che nel caso carichi me che non Judal.
Non trovando nessuno ad attenderli, decisero di tacito accordo di entrare in silenzio e controllare la casa.
Camera da letto era vuota, in salotto Robin dormiva beato nel box giochi ed in cucina trovarono Sinbad, attorniato da carte e livido di rabbia.
-Sin- chiamò Ja’far mentre Judal faceva un incerto passo avanti, fermato subito da un’occhiataccia omicida dell’alpha.
-Cosa preferisci?- chiese senza mezza termini, senza specificare a cosa si riferisse e per istinto Judal strinse a sé la bambina. Non aveva permesso a Kouen di ferirla, non lo avrebbe lasciato fare nemmeno a Sinbad.
-Altemyula, Sasan, Imuchack, Eliohapt o Rem?-
Voleva mandarlo via.
-Sindria.- disse deciso, e Sinbad ringhiò, ripetendogli in tono minaccioso -Altemyula, Sasan, Imuchack, Eliohapt o Rem?-
La convinzione di Judal vacillò -Sindria- ripeté con minore convinzione, e Sinbad si alzò dalla sedia, appoggiando i palmi sul tavolo e guardandolo minaccioso.
-Sindria non è fra le opzioni. Puoi scegliere liberamente fra i vari paesi parte dell’alleanza dei sette mari, e posso anche chiedere a Yamuraiha d’intercedere perché tu possa trasferirti a Magnostat, ma entro tre giorni te ne devi andare da quest’isola.-
-Sin non puoi farlo!-
-Oh tu dici? E perché no? Mi basta scrivere a Rametoto, Mira o magari Darius e ti accoglieranno senza fare storie. Mi accorderò perché tu abbia due mesi per sistemarti, poi dovrai trovare un lavoro. Oh, e per inciso, vale anche per te.- disse spostando lo sguardo carico di rabbia e risentimento su Koumei.
-Sin andiamo, non puoi fare sul serio!-
-Lo sto facendo- disse con tono di sfida, indicando le carte sparse sul tavolo, guardando Judal con freddezza -Non ho bisogno di un traditore in casa mia, governare una nazione è già difficile anche senza tutte le cazzate che ti porti dietro.-
Il magi boccheggiò, spiazzato -Non puoi dire che ti ho tradito, io non lo sapevo!-
Sinbad assottigliò pericolosamente lo sguardo, le pupille talmente piccole da assomigliare a punte di spillo -Scopare con altri come lo chiami?-
-Non è come se ci fossimo giurati fedeltà, così come non ho mai provato ad incastrarti non ho mai creduto di restare incinto. E non sono stato io a dire che fosse tua!- sottolineò forzando la voce ad uscire, nascondendo quanto tremasse.
-Non ti ho mai nascosto di essere stato con altri, ma ero convinto che fosse tuo perché concepire fuori dal calore è assurdo e impraticabile. Non ti ho manovrato, sei tu che hai fatto supposizioni- disse alzando gli occhi verso il soffitto per nascondere le lacrime che premevano per uscire. Maledetti ormoni.
Sinbad non batté ciglio, limitandosi a raddrizzare la schiena incrociando le braccia al petto.
-Hai ragione, lo credevo. Ma sbagliavo, lo ammetto, anch’io posso sbagliare. Ho sbagliato fin dall’inizio con te, per questo ora voglio che tu te ne vada.-
Trattenne i singhiozzi, per quando debole non avrebbe ceduto fino a quel punto, pensò ridendo amaramente, sistemando meglio la bambina su un braccio e asciugandosi gli occhi con l’altra mano.
-Sinbad, sparisci.-
Judal alzò il capo, guardando Ja’far puntare un coltello alla gola di Sinbad.
-Sei un ipocrita ed un bastardo. Hai portato Judal a Sindria mesi fa pensando solo a te stesso, come una sorta di ripicca perché non volevi figli, ed ora dopo tutto questo tempo decidi che non sei disposto a crescere una bambina non tua. Bene, ma che dovrei dire io? Mi hai portato in casa una altra persona, un estraneo, un nemico giurandomi che se ne sarebbe andato lasciando qui il bambino. Quella bambina- disse roteando un braccio in direzione di Judal, senza smettere di fissare Sinbad con ira glaciale -di certo non era mia, eppure io ho accettato, ed ora tu ti tiri indietro? Sai una cosa Sinbad? Va bene, fallo,- concesse abbassando il pugnale, lo sguardo più tagliente di qualsiasi lama -ma io non permetterò che mio figlio cresca con un esempio simile. Intanto esci di qui, torna nella tua vecchia camera, decideremo dove andare e quando saremo pronti ce ne andremo. Non volevi figli, perfetto non ne avrai. Vattene.- soffiò l’ultima ingiunzione con una tale lentezza che era possibile esaminare ogni singolo movimento della lingua e Sinbad lo guardò atterrito, prima di sbattere un violento pugno sul tavolo di fronte al quale Ja’far rimase impassibile mentre Robin dalla stanza accanto attaccò a piangere.
Quando la porta sbatté con violenza Ja’far abbandonò la rigida postura che aveva mantenuto tutto il tempo, massaggiandosi le palpebre per ragionare e riprendersi.
-Judal non ti fa bene stare in piedi troppo a lungo, è probabile che ti vengano le vertigini e potresti addirittura svenire, vatti a sedere. Koumei prepara qualcosa di caldo per tutti per favore, io provo a far calmare Robin.-
Judal e Koumei eseguirono diligentemente le istruzioni di Ja’far, riunendosi poi sul divano, ognuno con una tazza di te in mano.
Ja’far pareva stanco, teneva in braccio il figlio che lo guardava ora piuttosto perplesso ora come a chiedergli spiegazioni circa il fagottino che Judal teneva in grembo. Ed in effetti, Judal era angosciante.
Aveva lo sguardo basso, gli occhi completamente vacui fissati in apparenza sulla figlia, e non rispondeva più di tanto a stimoli esterni.
-Judal- tentò di nuovo di chiamarlo Ja’far, sortendo lo stesso effetto che avrebbe sortito su un sasso.
-Judal non fare così, vedrai che-
Fu interrotto da qualcuno che bussava alla porta con discreta convinzione. Sospirò amareggiato, rifilando Robin a Koumei senza troppe cerimonie ed andando ad aprire. Malefici paggi, arrivate sempre nei momenti peggiori.
Aprì la porta con uno scatto secco, senza preoccuparsi di apparire scortese, ma ritrovandosi di fronte tutta la combriccola dei generali rimase con un palmo di naso.
-Cosa ci fate qui?- domandò sorpreso ed una risata vagamente sguaiata riempì l’aria, mentre Myron si fece avanti.
-Tre omega e due neonati non sono una accoppiata.- disse solo, mentre Pisti alzò speranzosa lo sguardo su di lui.
-Possiamo entrare?- chiese trepidante e Ja’far tentennò un attimo poi annuì, facendosi da parte a e guidando i generali in salotto dove Judal continuava a fissare la bambina senza dare segni di vita, cosa che pietrificò non poco i nuovi arrivati.
-Ma che ha?- chiese Hinahoho direttamente a Ja’far, il quale scosse il capo sconsolato consigliandogli di avvicinarsi e dare un’occhiata alla bambina.
I generali si avvicinarono cautamente, come se fossero in presenza di qualcosa di molto fragile e molto prezioso, senza che Judal muovesse un muscolo finché Yamuraiha non arrivò a meno di venti centimetri dalla piccola. Strinse la bambina al petto, rannicchiandosi sul divano e emettendo una specie di basso ringhio, di fronte al quale tutti i generali si fermarono, alzando le mani in segno di resa.
-Ja’far, l’ha già fatto anche con voi o ce l’ha proprio con noi?- domandò cautamente Sharrkan e Ja’far scosse il capo, quanto mai sorpreso da una reazione simile, mentre Koumei si grattò la nuca con fare annoiato.
-Non ce l’ha con voi, è solo che in questo momento è dominato dall’istinto. Un’omega non marchiato in natura è una preda ambita, ci sono alpha che pur di ottenerne uno uccidono tutti i figli e rapiscono la madre. Il suo alpha l’ha appena ripudiato, dategli del tempo e ci si abituerà.- spiegò Koumei guardando in direzione del magi che continuava a stringere la bambina emettendo un basso ringhiò di gola, simile più ad un lamento che a un verso intimidatorio.
I generali guardarono Koumei con tanto d’occhi, sconvolti dalla notizia e da un piccolo dettaglio: perché Sinbad se ne sarebbe dovuto andare?
-Se noi ce ne andassimo si calmerebbe?- domandò Pisti, indicando semplicemente se stessa, Masrur e Hinahoho con aria noncurante, gli occhi che tradivano un certo dispiacere. Essere considerati il nemico da una persona a cui vuoi bene non è mai bello.
Il principe scosse il capo. -Ne dubito, in questo momento è vulnerabile, pur non avendo reagito così male con noi nemmeno a me o a Ja’far ha concesso di prendere in braccio la bambina. Gli passerà col tempo.- disse scrollando le spalle, spostandosi sul divano per arrivare a massaggiare il collo a Judal.
-Non esiste un vero e propri metodo per accelerare il processo- proseguì, -ma esiste un trucco per calmarlo, anche se non è dei più semplici. Se non vi fa avvicinare è perché è dominato dall’istinto, quindi se placato l’istinto torna a governare la parte razionale. Basta massaggiare bene le ghiandole sulla nuca ed è fatta.- concluse guardando il magi girare il collo nella sua direzione stordito, come se non riuscisse a capire dove si trovasse, poi scorse i generali attorno a sé, ed il suo sguardo fu attraversato da un lampo di comprensione e di tristezza.
Abbassò le braccia, senza dare la figlia a nessun ma permettendo che la vedessero, facendo loro segno di avvicinarsi.
-Com’è piccina!-
-È un amore.-
-Ma guarda tu che occhioni!-
Furono tutti abbastanza bravi nel non menzionare l’ovvio e giusto ad un paio di loro sfuggirono delle plateali occhiate a Koumei.
Vista da fuori il top fu probabilmente Hinahoho, che per arrivare all’altezza di Judal fu costretto a inginocchiarsi, sovrastando comunque il magi.
-Ti assomiglia sai? Ha lo stesso sguardo da esserino dispettoso.- disse con fare canzonatorio, avvicinando sovrappensiero un dito alla faccia della piccola.
I generali scattarono preoccupati dalla reazione di Judal, invece quello non si mosse, lasciando che la bambina prendesse l’indice di Hinahoho nel tentativo di infilarselo subito in bocca.
-Ha anche la tua stessa voracità.- lo schernì e Judal sorrise, mestamente ma sorrise.
-E come si chiama?- domandò con semplicità Yuyuko alla destra del padre mentre Kikiriku accarezzava piano quella testolina bicroma, cercando di dare una pettinatina ai corti capelli un po’ radi tipici dei neonati.
-Veramente per ora non-
-Hanako- intervenne Judal -Hanako, Fiore di Kou.-
Naname annuì -Le sta bene.-

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Capitolo 35
*** Capitolo 33: Non sempre basta lo stucco per riparare una crepa ***


Non sempre basta lo stucco per riparare una crepa





Non aveva mai avuto problemi d’insonnia. Come assassino aveva dovuto imparare a farsi bastare anche solo un paio di ore di sonno a notte, o ad abolirle anche per giorni interi, ma da quando era diventato mamma la cosa gli pareva molto più complessa.
Guardò il soffitto esausto, disteso sul letto con le braccia spalancate ad occupare più spazio possibile. Di tutte le cose che non aveva voglia di fare, alzarsi in quel momento era la prima della lista, e ciò nonostante lo fece.
Uscì dalla camera da letto, massaggiandosi il collo  dolorante, scostando le dita quando sentì i segni di quel morso.
Sospirò, dandosi dello scemo e dirigendosi verso le scale per prendere Robin ma la voce di Koumei lo bloccò -Se cerchi tuo figlio ce l’ho io.-
Staccò la mano dal corrimano, girando su se stesso e raggiungendo il principe in cucina, prendendo il bambino che questi gli allungava.
-Si è svegliato mezz’ora fa insieme ad Hanako- spiegò pacatamente allungandosi verso la teiera e versando del te in due tazze, passandone una a Ja’far -L’ho cambiato, e penso che fra un po’ gli verrà fame.-
Ja’far annuì, reggendo il figlio con un braccio e la tazza di tè con l’altra mano.
-Anche oggi ore piccole.- commentò piatto, e il principe annuì con quella sua solita area esausta, più che giustificata per una volta.
-Sei particolarmente pallido questa mattina- replicò senza curarsi della forma, e Ja’far sospirò -Sto pensando di restare a casa oggi.-
-Niente lavoro?-
-Niente lavoro.- confermò. Come poteva lavorare in quello stato? Erano almeno tre giorni che non si lavava, in quel momento aveva decisamente un odore, e decisamente non era gradevole. Non che Koumei di fronte a lui fosse messo molto meglio.
Avevano delle occhiaie inguardabili, i capelli unti, la pelle di un insano colorito grigiognolo: pur essendo in tre non riuscivano a star dietro a due bambini.
-Judal?- chiese interrogativo Ja’far, e Koumei scosse il capo in un espressione d’incredibile mestizia.
Loro due in effetti se la passavano male, ma Judal era peggio. Dopo l’abbandono di Sinbad era scivolato in una orribile depressione post partum, per cui non parlava con nessuno e mangiava solo lo stretto indispensabile per il latte della figlia, ignorando anche le pesche decisamente invitanti che la stagione gli offriva.
Vagava per quell’enorme appartamento come un fantasma, senza mai, mai, mettere giù la bambina: che dovesse cucinare, lavarsi, andare a letto, qualunque cosa facesse non la mollava mai.
Lasciava che chiunque la guardasse, ma la culla comprata per la bambina due settimane prima non aveva ancora mai trovato un utilizzo.
Abbassò lo sguardo su Robin, intento ad allungare le manine verso la scollatura del suo abito. Ora della pappa, giustamente.
Tolse la maglietta buttandola di malagrazia sulla sedia accanto a lui, del tutto indifferente alla presenza di Koumei. Non che a quel punto avesse ancora poi molto da nascondere, in fondo.
L’unica cosa che in effetti celavano ancora era lo stato di Judal a quello che era il suo alpha, ma chissà quanto sarebbe potuto durare ancora, si chiese Ja’far.
-Non si sa nulla di Sinbad?-
Bella domanda. Sì, sapeva qualcosa di Sinbad. Che era un bastardo, ad esempio. Che continuava a lavorare come se nulla fosse, ed al contrario aveva pure avuto le palle di rompere i coglioni ai generali perché lui aveva smesso di consegnargli i documenti di persona.
Che andasse al diavolo, lo aveva giurato: se avesse fatto stronzate, lo avrebbe ucciso.
Ma non ne aveva il coraggio. Si era rammollito, tutto ciò che poteva fare era lasciarlo, e pregare in silenzio che Judal si riprendesse.
 


 
Tutti i giorni i generali passavano da loro.
Fin quando c’era stato solo Robin nonostante il pancione Judal aveva amato passeggiare per le vie della città, mentre adesso non lo avrebbe fatto per tutto l’oro del mondo, troppo spaventato dall’ignoro che le vie di Sindria rappresentavano.
Così gli otto generali erano diventati il loro unico legame con il mondo esterno. Ma non solo quello.
In effetti era un po’ uno scandalo che in tre non sapessero occuparsi di due bambini, Hinahoho si arrangiava con quattro… però davvero loro non ci riuscivano.
Oh, con Robin da solo non sarebbe stato poi così male, e in effetti di Hanako si occupava Judal tutto solo. Per quanto poteva.
Come se non bastasse la depressione post partum, la bambina non stava bene: mangiava sempre di gusto, ma vomitava poco dopo, piangeva tutta la notte e aveva coliche tremende che nemmeno la magia di Judal riusciva a placare completamente. “Nulla di grave, sta bene” ripeteva il pediatra, ed ogni volta che se ne andava Ja’far dava di matto, sfoggiando una lunga lista di insulti per quell’inutile cieco caprone corrotto e alcolizzato.
Hanako era un po’ un piccolo ricettacolo di problemi, eppure Judal la guardava sempre come se fosse la creatura più bella del mondo, senza mai separarsene. In effetti più che per affetto pareva farlo per non crollare a pezzi.
-I vestiti da lavare?-
Ja’far si riscosse dal torpore, sollevando la testa verso la giovane Imuchack, che a braccia tese aspettava il carico giornaliero.
Si alzò dalla sedia trascinandosi lentamente verso la camera da letto, seguito a breve distanza da Naname.
Quando Hinahoho aveva fatto loro quella proposta l’aveva bocciata categoricamente, ora ringraziava tutte le forze esistenti per l’aiuto che quei ragazzi fornivano: occuparsi di lavare, stirare, ordinare e così via, oltre che ai due bambini non era pensabile. Il patto fatto col padre era che avrebbero ricevuto una paghetta maggiore se solo si fossero occupati di pulire e rassettare, e mentre Sasanato si era rifiutato gli altri tre ragazzi avevano accettato volentieri.
Raccattò da terra i vestiti del giorno prima, buttandoli nella cesta preposta mentre Naname si occupava di rifare il letto. Era impressionante come praticamente non dormissero eppure distruggessero quotidianamente il lavoro certosino fatto dalle due ragazze…
Restò a fissare Naname raddrizzare velocemente le lenzuola, togliendo ogni piegolina con movimenti rapidi e precisi.  Rimase incantato, non riusciva più a staccare gli occhi da quel materasso gigantesco, morbido e fresco, quelle soffici lenzuola, quel cuscino che
-Sdraiati.-
-Come?-
-Dormi un po’. Io e Yuyuko staremo qui almeno per un oretta, i lavori da fare e i posti delle varie cose ormai li sappiamo, se i bambini avranno bisogno ci penseremo noi. Su, sdraiati.- disse accarezzando con una mano il materasso, e, sentendosi un po’ vile, Ja’far obbedì, buttandosi sul materasso e chiudendo gli occhi immediatamente. Certe opportunità non andavano perse.
 
 


-Non vuoi andare a riposare un po’ anche tu?-
Scosse lentamente il capo, soffiando un basso -Sto bene, ti ringrazio.-
In effetti per lui non dormire la notte non era strano, quelle occhiaie e la pelle grigiastra per la mancanza di sonno altro non erano che vecchie amiche, solo che a Sindria ovviamente non lo sapevano.
Spostò lo sguardo sul balcone, dove Judal sedeva tenendo in braccio la figlia, per una volta tanto placidamente addormentata.
-Metti i piatti da parte, poi li asciugo io.- disse alla ragazza passandole accanto senza ascoltare la sua replica, andando a sedersi accanto a Judal, fissando il cielo limpido e sereno senza dire una parola.
Era bella Sindria, Sinbad aveva fatto un’ottima scelta. Chiuse gli occhi, respirando a pieni polmoni l’aria salmastra e godendosi il sole sulla pelle.
Era un posto così semplice, in cui vivevano persone tanto diverse da apparire incompatibili, eppure al contrario in quel clima persone opposte finivano per diventare complementari, cose abominevoli finivano per addolcirsi e in generale ad un primo sguardo pareva non poterci essere che gentilezza su quell’isola. Chissà cos’avrebbero detto di Kou, e chissà com’era dopo che lui se n’era andato…
-Mei, cosa vuoi?-
Aprì gli occhi, girando il capo alla sua destra per guardare Judal.
Cosa voleva? Bella domanda, ma avrebbe saputo rispondere, non con piena certezza?
Voleva che le cose si sistemassero, certo, ma in che modo? Non era così ingenuo da credere che potesse sempre bastare chiedere scusa per risolvere qualsiasi problema, ed in quel caso se anche Sinbad lo avesse fatto le cose non sarebbero magicamente andate a posto, perché in ogni caso la testolina della piccola era di un cangiante color rosso scuro.
Come la sua.
Scrollò le spalle, spostando lo sguardo dalla bambina di nuovo all’immensità del cielo.
-Che ne dici di volare un po’?- propose senza guardare il magi, concentrato su una nuvola solitaria nel tentativo di individuarci qualche figura, sapendo che infine avrebbe accettato, perché Judal amava fluttuare. O almeno un tempo di certo avrebbe accettato.
-Non adesso Mei. Se ci vedesse in giro per il cielo di Sindria, Sinbad potrebbe prenderla per una provocazione, lascia perdere.-
-Se ci teletrasportassi oltre le mura?-
-C’è la barriera di Yamuraiha, c’individuerebbero.-
-Forse Yamuraiha, ma dubito che andrà a fare la spia, su.-
Che dovesse essere lui quello energico e proattivo indicava che il mondo stava per finire, poco ma sicuro.
Si alzò lentamente, come i vecchietti, guardando la tunica che portava. Alla fin fine non era poi così male, era leggera e comoda, adatta per l’estate, e ora che legato alla cinta c’era il suo ventaglio si sentiva molto più a proprio agio.
Aprì un varco che li potesse condurre alla propria meta, allungando una mano verso Judal. Il magi lo guardò esitante, poi raccolse il proprio bastone da terra, alzandosi senza poter prendere la sua mano e attraversando il varco.
 

-Non trovi che qui ci sia un clima più gradevole?- domandò il principe, accarezzandosi sovrappensiero le lunghe corna, guardando in direzione di Judal con la coda dell’occhio.
Il magi stava buttando giù la pancia ad una velocità allucinante, ma non lo aveva mai visto messo peggio: non quando in calore implorava l’aiuto di chiunque, non quando lo avevano attaccato dopo la sua fuga, non nel momento del parto.
Aveva perso non solo la sua arroganza e l’insolenza, ma pareva che pure la voglia di battersi si fosse allontanata da lui. Non era interessato a cosa potesse capitargli, l’unica cosa che pareva essere degna della sua considerazione era Hanako, che guardava il mare con quei suoi enormi occhioni, curiosa.
Lentamente il magi scese di quota, seguito a breve distanza da Koumei, arrivando a pelo d’acqua, dove sporadici schizzi riuscivano talvolta a raggiungerli.
La piccola sembrava estasiata, continuava a puntare il mare con le paffute manine, desiderosa di raggiungerlo.
Judal sorrise, senza che nessuno potesse vederlo, alzandosi in piedi sul bastone, troppo sottile per una mossa del genere, senza comunque cadere, abbassandosi lentamente quei larghi pantaloni neri che per anni erano stati i suoi preferiti, poggiandoli a metà del costume.
Koumei lo guardò stranito, senza porre domande, mentre quello si risedette appoggiando la bambina alle proprie gambe e togliendo anche a lei la tutina.
-Judal è una scemenza, non farlo.- lo ammonì, ma quando mai il magi aveva ascoltato qualcuno?
Portò il bastone a pelo d’acqua, toccando la superficie increspata dalle unghie con un piede e poi scivolandoci dentro senza paura.
-Se si ammala poi che farai?-
Prima energico e propositivo, ora mamma chioccia: decisamente qualcosa non andava in lui quel giorno.
Judal lo ignorò, immergendo la bambina nell’acqua a poco a poco, inebriato dai suoi urletti eccitati e dal suo scalciare contento.
-Le si infradicerà il pannolino.-
Va bene che i panni li lavavano Naname e Yuyuko per loro, ma dargli lavoro in più così non era elegante.
Immersa quasi completamente nell’acqua, la piccola faceva smorfie di gran godimento, ancora incapace di sorridere,  battendo le braccia contenta.
Quando Judal sfilò le mani da sotto le ascelle della bimba a Koumei prese un colpo.
Si precipitò verso l’acqua per prenderla, ma Judal lo bloccò semplicemente alzando una mano, mostrandogli la piccola che con goffi movimenti delle gambette e delle corte braccia nuotava a rana con la testa beatamente immersa nell’acqua.
-Tirala fuori se ingoia acqua?-
Cazzo, sembrava veramente che la madre fosse lui.
-Non può, le ho lanciato un incantesimo apposta per questo.-
-È troppo presto perché nuoti, il sale potrebbe farle male alla pelle, e il nuoto non è consigliato prima dei tre mesi. Se prende freddo poi che facciamo?- proseguì imperterrito, per nulla intenzionato a calmarsi, così semplicemente Judal scelse d’ignorarlo.
-Judal. Parlo sul serio. Non le fa bene, andiamo, vomita tutto ciò che mangia e ha le coliche, se le aggiungi un mal di pancia da freddo o un raffreddore la ammazzi!-
Roteò le pupille senza alzare lo sguardo su Koumei, nuotando a fianco della bambina.
-Se arrivasse un mostro marino, o la pungesse una medusa, o magari fosse allergica a qualche alga?-
Stava diventando davvero ridicolo. Insomma, aveva vissuto in dell’acqua per gli ultimi novi mesi, mica in cima ad un monte dove la più grande pozza d’acqua che avesse mai visto era una pozzanghera!
-Judal tira fuori subito, è anche mia figlia cazzo!- urlò, e per la prima volta Judal smise d’ignorarlo.
Si fermò, allungando le braccia per riprendere la bambina, girandosi a guardarlo con tanto d’occhi.
-Come scusa?-
Koumei boccheggiò, preso in contropiede dalle sue stesse parole spostando ripetutamente lo sguardo da Judal alla piccola, ora molto impegnata a tirare l’orecchio della madre.
Fece un profondo respiro, ripristinando la calma e quel suo sguardo sempre un po’ annoiato -È anche mia figlia.- disse fissando Judal con serietà.
Per un attimo il magi restò paralizzato a fissarlo, poi richiamò a sé il bastone, salendoci e iniziando ad asciugare Hanako con la magia, senza degnarlo d’attenzione.
-Judal guardami.-
-Judal. Judal porca vacca- gli afferrò il mento, costringendolo a guardarlo -Non negare l’evidenza. È mia figlia-
 Il magi lo guardò con occhi inquisitori, poi scoppiò a ridere, con cattiveria, come ai vecchi tempi, quasi ribaltandosi dal bastone.
-Io negerei l’evidenza? Affatto, lo ammetto, è di sicuro figlia di un Ren, hai ragione, ma le probabilità che sia tua onestamente-
-Sono il 25%-
-Certo.- disse con una smorfia derisoria -forse il 2, se volgiamo andare larghi. Vuoi sapere di chi è figlia secondo me? Al 45% Kouen, un altro 45 per Kouha e forse 10 per Hakuryuu. Tua ne dubito proprio.-
-Perché, perché sono un omega?-
-Esatto.- disse con chiara sfida, gli occhi rossi carichi di gratuita cattiveria, come quando a 12 anni era un bambino arrabbiato col mondo.
-Non so chi sia il padre, e se vogliamo ingannarci dicendo che tutte le persone con cui ho scopato hanno le stesse possibilità di esserlo allora forse hai il 25, ma se vogliamo metterci dentro anche la frequenza, o magari dettagli più specifichi Kouha o se proprio Kouen. E se anche fosse cosa vuoi? Tu dov’eri quand’avevo bisogno di te? Non ci sei mai stato per me in tutti questi anni e ora vuoi esserci per lei? Vaffanculo, non ho bisogno di te, e nemmeno lei ne ha.-
Prese la bacchetta dal top, aprendo lui stesso un varco e tornando a palazzo, senza badare a Kikiriku, spalancando la porta della camera da letto infuriato. Guardò Ja’far dormire sereno come un bambino, sdraiato su un fianco, i capelli a coprirgli gli occhi, il respiro regolare.
Si buttò al suo fianco senza la minima delicatezza, trascinando la bambina con sé e seppellendo il naso nei suoi capelli.
Non aveva bisogno di altra gente che stesse con loro solo per pietà, se ne sarebbe andato e avrebbe trovato un lavoro e lui e la piccola avrebbero vissuto una vita serena. Fanculo Kou e qualsiasi alpha.
 

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Capitolo 36
*** Capitolo 34: La saggezza dell'esperienza ***


La saggezza dell'esperienza





La conoscenza popolare e i vecchi detti hanno sempre un fondo di verità, gli ripeteva Rurumu anni addietro. Non si può generalizzare, ma per lo più nascono da osservazioni durate anni ed anni, quindi magari non sanno spiegarti i motivi, ma spesso le conclusioni sono corrette o comunque le superstizioni hanno delle motivazioni.
A pensarci bene non sbagliava.
Quando le vecchie comari del paese basandosi su dati assolutamente futili annunciavano che l’indomani avrebbe piovuto, ecco che spesso pioveva, o quando sua madre lo avvertiva di prestare attenzione ai gatti neri lo diceva basandosi unicamente su una diceria popolare, ma nel corso degli anni aveva visto numerose persone spaventarsi a causa degli occhi dorati dei felini, ed a dire il vero pure dei suoi.
In quel periodo aveva avuto modo di sperimentare in prima persona l’affidabilità di un diffuso modo di dire, lo aveva sempre ritenuto stupido, perché insomma, Pisti e Spaltos dimostravano che non si poteva generalizzare, però su di lui a quanto pareva aveva fatto effetto…
“Moglie e buoi dei paesi tuoi”
Non aveva mai avuto a che fare in prima persona con la compravendita o l’allevamento di bovini, quindi aveva ridotto la cosa alla prima parte.
Essere vissuto per anni insieme a Ja’far faceva sì che si conoscessero, sapeva cosa poteva aspettarsi da lui, com’era fatto, mentre Judal era cresciuto a Kou. Già il clima di sospetto e inganno che regnavano in quel luogo avrebbero dovuto suggerirgli qualcosa, e invece no.
Se lo avesse conosciuto prima si sarebbe risparmiato tutti quei problemi. Era evidente che non poteva funzionare, da che era arrivato non avevano fatto altro che litigare e litigare, sempre, comunque e con chiunque.
Quella creatura altro non era che l’ennesima prova di ciò: semplicemente Judal doveva andarsene.
Sospirò, rigirandosi nel letto. Quello era forse il momento più bello della sua giornata, in cui girandosi all’interno di quelle fresche lenzuola con un braccio a coprirsi gli occhi si poteva illudere di trovare Ja’far al suo fianco, ancora addormentato oppure concentrato a guardare le nuvole.
Presto se ne accorgerà e tornerà da te, vedrai.
La calma durava in media dieci-venti minuti al giorno, subito dopo essersi svegliato, poi subito subentrava la rabbia. Il suo orgoglio di alpha continuava ad essere ferito dai recenti avvenimenti, lui aveva avuto fiducia in Judal sebbene si fossero odiati per anni, lo aveva portato a Sindria, gli aveva dato tutto ciò che desiderava, lo aveva presentato ai generali, ed ecco come lo ripagava, tradendo la sua fiducia e portandogli in casa altri principi di Kou.
Sospirò, passandosi una mano sul volto, sentendo un principio di barba affiorare sulle guance. Sorrise amaramente, fissando il bianco soffitto, pensando alle sue miserie.
Cosa credevano che avrebbe dovuto fare? Crescere un figlio non suo? Che figura ci avrebbe fatto, come uomo e come re?
La porta si aprì e Sahsa entrò, chiudendo la porta dietro di sé e facendo una riverenza nella sua direzione.
-Buongiorno Sire, avete dormito bene?-
-Come al solito.- rispose senza spostare lo sguardo.
-Cosa desiderate mangiare oggi?-
-Qualsiasi cosa andrà bene.-
La ragazza annuì, restando ferma nello stesso punto -Cosa desiderate indossare?-
-Il solito- rispose monocorde, guardandola dirigersi verso l’ampio armadio, prendendo dai cassetti quando indicatole.
Si sedette sul bordo del letto, prendendo dalle sue mani i vestiti freschi di bucato, ringraziandola educatamente. La ragazza non rispose, piegando nuovamente il busto in segno di riverenza, dandogli le spalle in attesa.
Si alzò senza dir nulla, sfilando i boxer del giorno precedente e infilando il paio poggiato in cima alla pila di vestiti e i pantaloni, risedendosi poi sul bordo del letto.
Percependo il cigolio delle molle del letto Sahsa si girò, prendendo con delicatezza la maglietta e aiutandolo ad infilarla. Sfilò i suoi lunghi capelli intrappolati sotto la maglietta senza in alcun momento sfiorare la sua pelle, pettinandoli con delicatezza.
Non aveva mai voluto servi alle sue dipendenze, non che ci fosse qualcosa di male nel tenerne, ma era cresciuto come un figlio di pescatori, farsi servire fino a quel segno gli era sempre parso ridicolo. Ma da quando c’era stato quel litigio tutto era precipitato, lui si rifiutava di vedere Judal o d’interessarsi a lui, Ja’far non si faceva più vedere, evitando nel modo più assoluto di vagare per i corridoi o di varcare la porta del suo ufficio.
Che Ja’far fosse arrabbiato con lui era evidente, ma la cosa era reciproca.
Non era sempre stato lui a dirgli che nel caso di re e altri celebri personaggi la vita privata è strettamente legata a quella politica? Si era sempre rifiutato di rivelare al popolo di Sindria di essere il suo omega per non compromettere la sua credibilità, e poi gli chiedeva di crescere un figlio illegittimo.
Era un controsenso bello e buono: come avrebbe potuto pensare di ottenere il rispetto del popolo, portandosi a spasso una bambina palesemente non sua? Avrebbe solo fatto la figura dello scemo, e gli scemi al massimo si compatiscono, non gli si porta rispetto.
Aspettò che Sahsa finisse di allacciargli le collane ed i braccialetti e poi si alzò, dirigendosi in ufficio mentre la cameriera si dirigeva verso le cucine.
Erano anni che non si vedeva costretto a cavarsela da solo, e non gli era mai capitato di essere isolato da tutti. Era decisamente sgradevole. A parte Ja’far ora neanche i generali e le loro famiglie lo volevano vedere.
L’assunzione di Sahsa era una delle uniche pratiche che avesse mai svolto scavalcando Ja’far, perché era disperato. Voleva qualcuno che gli parlasse, che stesse al suo fianco e che non lo guardasse con quel palese disprezzo negli occhi, qualcuno che non sapesse di Judal o di Ja’far, e che potesse fare da tramite fra il suo ufficio e quello di Ja’far, e questo ed altro Sahsa lo faceva senza problemi.
Si sedette alla scrivania, analizzando un paio di documenti lasciati lì di prima mattina da qualche altro attendente, in attesa della propria cameriera e della colazione.
-Sire, vi ho portato del tè.-
Era strano avere una cameriera (si rifiutava di usare il termine serva, Sahsa lavorava per lui, ma era una persona anche senza quel lavoro), non ci era proprio abituato.
Aveva assunto quella ragazza per il capriccio del momento, per poter dire di avere una cameriera più che per farle fare un lavoro… aveva semplicemente dato l’incarico ad una guardia del palazzo di trovare da qualche parte a Sindria una persona che avesse esperienza in quel campo.
Il giorno dopo aver fatto quell’insolita richiesta era stato svegliato da quella ragazza, presentatasi come Sahsa, figlia di mercanti ed ex cameriera presso la corte di Qihsan.
Non aveva saputo cosa dire, era rimasto scioccato, mentre la ragazza, seguendo il protocollo che usava con i precedenti datori di lavoro, aveva iniziato con quella sequela di domande.
Cosa desiderate mangiare?, Cosa desiderate indossare?, Desiderate portare dei gioielli particolari?, Ci sono pulizie che desiderate io svolga?
La cosa più sconvolgente era stata scoprire le abitudini dei sovrani di un altro regno: ma veramente esisteva gente adulta che sentiva la necessità di farsi aiutare perfino ad indossare delle mutande? Aveva chiarito una linea di demarcazione con la ragazza, specificando che era perfettamente in grado di vestirsi da solo, con tono offeso e anche piuttosto irato, e la ragazza si era mostrata contrita, iniziando un’infinita serie di riverenze e ripetendo mille scuse.
Per non farla sentire inutile era giunto al compromesso di occuparsi da solo della metà inferiore del corpo, facendosi aiutare per il resto. Dopo averlo aiutato a vestirsi quella prima mattina la ragazza gli aveva domandato a capo chino per l’ennesima riverenza quali compiti specifichi desiderava assegnarle.
Ci aveva riflettuto su, per poi risponderle semplicemente “fammi compagnia”.
La guardò, ritta alla sua destra, lo sguardo fissato sulla porta. Era esattamente come Ja’far i primi tempi, se non che lei pareva perfettamente a proprio agio in quel ruolo, ma ciò non toglieva che lui non lo fosse.
-Siediti Sahsa.- ordinò indicandole il divano posto accanto alla porta, e la cameriera si inchinò, eseguendo l’ordine.
Finì di mangiare con calma, spostando il vassoio alla sua destra e lasciando a Sahsa il compito di riportarlo in cucina, iniziando a lavorare.
Richiesta d’ampliamento per l’ospedale, piani, progetti e costi, necessari miglioramenti della flotta e richiesta d’asilo.
Era un lavoro utile e necessario, certo, ma lungo e gravoso.
Guardò la propria cameriera, tornata dalla cucina e seduta sul divano immobile da oltre un’ora.
-Non ti annoi?-
-No, Sire.-
-Non hai qualcosa da fare?-
-No, Sire, a meno che voi non abbiate qualche incarico per me-
Scosse il capo, come sempre sorpreso dall’approccio della ragazza.
-Non hai dei passatempi o degli hobby?-
-Sì, Sire.-
Rispondeva alle domande, ma non si allargava mai: era sempre educata e non si faceva mai prendere la mano, mantenendo sempre una certa distanza.
-Posso chiederti di cosa si tratta?- chiese con garbo, badando bene di non apparire invadente ma nemmeno seccato o arrabbiato ond’evitare di farla ricadere in quei mille inchini.
-Mi piace cucinare e cucire, e in generale mi è sempre piaciuto occuparmi della casa e delle persone.-
Le sorrise,  non poi molto sorpreso dalle sue parole: dal modo in cui lavorava s’intuiva che occuparsi degli altri le piacesse.
-Ti andrebbe di parlarmi un po’ di te?- chiese cordiale e la ragazza, senza alzare la testa da quella posizione riverente, chiese con il solito tono dolce e servizievole -Cosa desiderate sapere?-
Era davvero spiazzante alle volte provare a parlarle.
-Non saprei, se hai una famiglia, un compagno, dei fratelli, cosa desideri fare nella vita, … dimmi solo ciò che ti senti di dire, e se non te la senti dillo pure.-
Sahsa alzò lievemente il capo, attenta comunque a non esagerare e a non guardarlo negli occhi, parlando con tutta calma, gli occhi illuminati di gioia.
-Sono figlia di due carovanieri, e per anni ho viaggiato con loro aiutandoli nella vendita, per quanto in mio potere. Quand’ho compiuto quattordici anni hanno aperto una piccola bottega a Qishan, e per aiutare con le spese di avvio ho iniziato a lavorare presso la corte nel reggente Jamil. Sei mesi fa mi sono trasferita qui a Sindria con la mia compagna, e ora abitiamo in una piccola dimora vicino al porto.-
Annuì alle sue parole, confermando la sua idea della ragazza. L’unico dettaglio che non si aspettava era il sesso della sua compagna, e non gli era sfuggito come non avesse mai menzionato il proprio genere secondario, ma anche così in realtà lo si poteva supporre benissimo.
Un omega sembrava essere per natura dolce e servizievole, e mai in vita sua aveva incontrato creatura più gentile di quella ragazza.
-Figli?-
-No, Sire. Non ne ho attualmente e non credo che ne potrò mai avere, ed è il motivo per cui sono venuta a Sindria.-
Alzò il capo sulla ragazza, parecchio sorpreso dalla risposta: era la prima volta che si dilungava nel rispondere.
-È lecito chiederti di spiegare?- non voleva essere invadente, ma pareva chiaro che ci fosse qualcosa dietro, impossibile dire cosa con degli elementi così scarsi.
Sahsa annuì, il primo gesto semi-umano da che lavorava per lui, ovvero due settimane -Siamo entrambe beta, Sire, non potremo mai avere figli, e le unioni che non possono generare figli non sono ben viste ai nostri tempi.-
-C’è di peggio, purtroppo.-
-Non nella mia esperienza, Sire.-
-Per quanto ho visto io invece- disse felice di aver trovato qualcuno disposto a discutere, accantonando le carte su un lato della scrivania -dovunque sia coinvolto un omega finisce sempre col scoppiare un disastro. Esistono famiglie reali che li uccidono appena scoprono il loro genere secondario, alpha che marcano un gran numero per poi abbandonarli al primo problema, gli stupri sono frequentissimi e la schiavitù conta fra le proprie fila perlopiù omega.-
La ragazza annuì, di nuovo, appoggiando i palmi sulle gambe, lisciando la gonna senza guardarlo.
-Se premettete Sire- disse lentamente, guardandolo con fare timoroso da sotto le lunghe ciglia, in attesa di un suo segno d’assenso che le desse la libertà di proseguire -non sono pienamente d’accordo. Gli omega sono il genere più perseguitato, su questo non posso darle torto, ma le relazioni che coinvolgono gli omega non sono sempre le peggiori.-
Inarcò un sopracciglio, guardandola scettico, riprendendo a parlare prima che lei si sentisse in colpa per averlo contraddetto e cominciasse a parlare: stavano facendo un confronto d’opinioni, non un esposizione, non c’era una risposta esatta, solo idee e punti di vista.
-In tutti i regni che ho visitato si segue ancora la vecchia gerarchia, gli alpha in testa, i beta in centro e gli omega in fondo alla gerarchia sociale. I beta sono la maggior parte della popolazione, e si tende a dare per scontato che un beta sposi un beta per rispettare le leggi di natura, ma per quanto sia normale si tende ancora a discriminare le coppie miste di alpha e omega. Non è una cosa che succede sempre, tanto più un alpha è influente e amato e tanto più si accetteranno le sue scelte, ma ciò significa che un alpha debole e senza solidi legami finisce spesso per non essere in grado di difendere la propria relazione. Se non è tremendo questo non so cosa lo sia.-
La ragazza lo guardò mordendosi un labbro, fin quando non le fece segno con la mano di parlare.
Con fare incerto la ragazza riprese a esporsi, portando degli ottimi argomenti e esempi fondanti a favore della sua tesi.
Se gli alpha erano a capo della società, i beta li seguivano perlopiù come una massa obbediente, seguendone l’atteggiamento. Per spiegare le dinamiche diffuse in tutti i regni bastava guardare le strutture che si creavano a palazzo. Il presupposto che Sahsa fece a quel unto fu di accomunare la figura del re con quella dell’alpha, per una questione di banale concentrazione del potere, perché così come l’alpha era a capo della gerarchia naturale il re lo era di quella sociale.
Tutti quei re che si mostravano sprezzanti dei più deboli, sfogando la loro rabbia e la loro aggressività sugli omega finivano sempre per avere un paio di concubine omega e una moglie beta, talvolta perfino alpha. Per definire la scala gerarchica delle coppie nella società bastava pensare al ruolo che i figli delle varie coppie avrebbero avuto all’interno della corte.
Essendo le regine beta, in cima alla gerarchia c’erano  i loro figli, e quindi ovviamente questo tipo di relazioni, da cui venivano partoriti i successivi regnanti, seguita da quelle dei loro seguaci, e quindi quelle fra due beta che virtualmente avrebbero originato i futuri ministri.
Si sarebbe potuto pensare che in ultima posizione ci fossero i figli illegittimi dei re, frutto delle unioni alpha-omega, e invece la scala gerarchica era ancora lunga. In terza posizione si trovavano i figli di due alpha, tanto rari quanto temuti, indicati per convenzione con il termine gamma.
A queste rara anomalia del sistema seguivano i figli illegittimi del re, e quindi ecco che anche le povere concubine riacquisivano un minimo di potere, in barba al fatto che la natura in origine le aveva designate come compagne naturali degli alpha…
Ad occupare i gradini più bassi della società erano i figli che, tenendo bene a mente l’ipotetico scenario di corte, erano generati da un tradimento, e quindi i figli di lascive concubine che seducevano retti ministri, i delta, figlie di coppie beta x omega, e in ultima posizione, anche loro scarsamente considerati per via della loro rarità, anche loro indicati con il termine gamma, i figli di due omega.
-Quest’immagine, se mi è concesso dirlo, Sire, mostra abbastanza bene la gerarchia generica delle relazioni. La specie vuole la sopravvivenza, è disposta a tutto per perpetrarla, e infatti questa struttura è valida soltanto per coppie di genere misto, logicamente due alpha maschi o un alpha e un beta non possono generare, così come due omega femmine, due beta o una beta ed un omega. Se per questo ci sono anche dei forti tabù sul fatto che siano le alpha a ingravidare e gli omega maschi a restare incinti, un altro giudizio umano che non tiene assolutamente in conto la naturale predisposizione di ognuno di noi a ricoprire un ruolo piuttosto che un altro, ma per quanto ho sperimentato sulla mia stessa pelle le maggiori discriminazioni le subiscono le coppie che non hanno la chance di concepire.
Sono venuta qui perché Sindria mi era stato descritta come la terra promessa, in cui nessuno critica gli altri per le scelte del cuore e invece-
-Sei rimasta delusa?-
Sahsa sorrise, scaldandogli il cuore. Era una brava oratrice, aveva idee chiare e la capacità di esporle in maniera semplice, con degli esempi facilmente comprensibili per chiunque, rispondendo alle critiche senza prendersela a male.
-No, Sire, non lo sono. Siamo ancora guardate con sospetto e diffidenza, ma quando tempo fa siamo state attaccate da dei marinai stranieri la popolazione si è schierata in nostra difesa, anche coloro che avevano mostrato di non approvare le nostre scelte. Né io né la mia compagna abbiamo mai creduto alle leggende che dicono esista un posto su misura per ciascuno di noi, e Sindria non sarà perfetta, ma è un paese in cui la gente s’impegna per comprendere prima di criticare. Non sarà il paradiso, ma ci piace.-
Sahsa sorrise, guardando la faccia assorta di Sinbad fissarla con le mani intrecciate fra loro, i gomiti poggiati sulla scrivania e le labbra serrate celate dietro le dita.
Parve ricordarsi solo in quel momento che era nulla più di una cameriera, e subito ripiegò il capo in segno di riverenza.
-Perdonatemi Sire, ve ne prego, non era mia intenzione esprimermi in modo così arrogante, sono desolata.-
Sinbad strizzò gli occhi, guardandola attonito.
-Non hai nulla di cui scusarti, mi ha fatto piacere parlare con te.- disse con un sorriso, riprendendo le carte precedentemente abbandonate e cercando di tornare a lavorare, ancora troppo concentrato sulla discussione appena conclusasi.
Sbirciò Sahsa, ancora seduta nello stesso punto, e non poté che cercare di iscrivere sé stesso e lei nel mondo che lei aveva descritto.
Era certo di essere un re migliore di quello che lei aveva illustrato, ma anche lui, indipendentemente dal motivo, non aveva mai ammesso il suo coinvolgimento con un omega e ora solo perché una persona aveva disatteso le sue aspettative stava cercando di liberarsene senza alcuna remora.
Era davvero migliore di quel re descritto dalla ragazza? A parole difendeva i diritti e le libertà degli omega, ma per il solo fatto che Judal non avesse vissuto tutta la sua vita in sua paziente attesa ora lui lo stava ripudiando.
No, non era certo di potersi definire un così buon re.
Portò lo sguardo sulla ragazza, immerso ancora in quei difficili pensieri.
-Cosa ti piace leggere?- chiese con gentilezza, deciso a darle un’attività più appagante che non il semplice guardarlo lavorare, ma la giovane chinò il capo, tenendo le mani giunte in grembo -Non so leggere, Sire, se avete bisogno di qualcuno che sappia farlo me ne andrò subito cosicché possiate assumere qualcuno di più adatto a ricoprire la mia carica.-
-No, no, era solo per chiedere. Rimani, non credo che potrei trovare una consulente migliore.-
-Non sono che una cameriera, Sire, non sono abile in questo ruolo, ma se desiderate farò del mio meglio.- rispose piegando ancor di più il busto
-Chiamami Sinbad. E alza lo sguardo, non c’è bisogno che tu guardi il pavimento. Hai fatto un discorso fantastico, l’ho molto apprezzato, e per questo vorrei il tuo consiglio.-
-Non credo di essere adatta Maestà, io-
-Io invece penso tu sia perfetta. Non ti voglio costringere, se non te la senti non ti obbligherò, ma ho fatto delle… scelte, ecco, che mi hanno provocato dei problemi, e ora non so come uscirne. Non ti chiedo di risolvere il problema al posto mio, vorrei sollo sapere cosa faresti tu se fossi al mio posto.-
Sahsa alzò lentamente lo sguardo, ancora incerta. Si ritrovò a fissare il nero profondo dei suoi occhi nell’oro di quelli di Sinbad, e dopo essersi convinta della sua sincerità parlò cautamente.
-In quale veste chiedete il mio aiuto?-
-In veste di uomo.-
Sorrise, sciogliendo l’intreccio delle mani e muovendosi appena sul divano, assumendo una posizione vagamente più comoda.
-Farò il possibile per aiutarvi, Sinbad-

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Capitolo 37
*** Capitolo 35: L'ultima spiaggia ***


L'ultima spiaggia





-Sahsa, sei riuscita a parlare con i generali?-
La ragazza annuì, infilandogli la camicia.
-Cos’hanno detto?-
-Hanno accettato, tutti quanti. Perdonate se ci ho messo tanto, non è stato facile trovarli e convincerli.- aveva smesso di chiamarlo sire, ma si ostinava a usare il voi e a prenderlo con le pinze, scusandosi per ogni cosa e parlando solo se le veniva chiesto qualcosa.
-Hai avuto problemi?-
-Non più del previsto, le informazioni che mi avete dato su di loro si sono rivelate molto utili.-
Sinbad annuì, prendendo dalle mani di Sahsa la collana ospite di Valefor e allacciandosela con gesti meccanici.
-Pensi che funzionerà?- chiese allungando le mani per farsi infilare i bracciali, guardando Sahsa stringersi nelle spalle.
-Onestamente non ne posso essere certa, da quanto mi avete raccontato di loro penso che ci sia qualche possibilità, ma non ho mai avuto il piacere d’incontrarli.-
“Il piacere d’incontrarli”… non era certo che a una ragazza buona e semplice come lei sarebbero piaciuti, Ja’far forse, a parte il carattere troppo deciso, ma Judal, per quanto si fosse ammansito, restava un discreto stronzo.
Eppure stava facendo tutto quello per ritornare da loro, sebbene Ja’far, il suo teorico omega, non solo non lo venerasse come molti si sarebbero aspettati, ma gli aveva giurato di ucciderlo se avesse fatto stronzate, e Judal, un magi forte, indipendente e assolutamente deciso a vivere la sua vita nonostante tutto e tutti, un omega che sarebbe stato benissimo capace di abbandonarlo in un secondo momento “perché gli andava”.
-Volete che vi vada a prendere qualcosa da mangiare in cucina?-
-No grazie, ho la nausea.-
-Un farmaco anti-reflusso magari?-
Scosse il capo. -La sola cosa che riuscirà a farmi passare il mal di stomaco immagino sia andare fino in fondo.-
La ragazza annuì, prendendo un foulard e legandoglielo in testa per ripararlo dal sole.
Si passò stancamente la mano sul viso, in cerca di una sicurezza e una risolutezza che non possedeva.
-Ho fatto, potete andare.-
Si alzò dal letto senza una parola, raggiungendo la porta, fermandosi con la maniglia in mano e girandosi a guardare la cameriera.
-Cosa farò se non funziona?-
La ragazza sorrise debolmente -Non vedo perché non dovrebbe.-
-Per un’infinità di motivi. Perché ho esagerato, perché sono un cretino, perché non hanno bisogno di me-
-In queste quattro settimane ho visto spesso il signor Ja’far- lo interruppe Sahsa, cosa che mai aveva fatto prima -non ho il piacere di conoscerlo, ma mi è parso stanco e giù di tono. Non posso garantirle che l’ascolterà, ma deve almeno provarci. Ha compiuto degli errori, ma nessuno nella vita vede subito con chiarezza le cose, sbagliare è normale, ora non si fasci la testa prima di essersela rotta.-
Decisamente adorava quella ragazza.
-Grazie Sasha.- disse sorridendole, e lei annuì, tendendo la mano verso di lui. La stinse -Buona fortuna, Sinbad.-
Uscì dalla camera persuaso dalle sue parole, rendendosi conto solo dopo che se tutto fosse andato a posto non l’avrebbe mai più rivista.
 



-Da quanto tempo è che non andiamo tutti in spiaggia?-
-Almeno marzo, sembra un secolo!-
Ja’far guardò Pisti saltellare in cima al gruppo accanto a Sharrkan, impaziente di arrivare. Roteò gli occhi sul resto del gruppo. A Pisti e Sharrkan era sempre piaciuto andare in spiaggia, e anche Yamuraiha alla vista di tanta acqua aveva sempre un momento di commozione, mentre Spaltos e Masrur li accompagnavano quasi per dovere, portando  rispettivamente Sofocle e una quantità d’asciugami che sarebbe bastata per asciugare un lago.
Spostò lo sguardo alla sua destra, su un Judal leggermente meno imbronciato del solito, a differenza di Hanako, legata sulla sua pancia con una bizzarra fascia, per nulla convinta da quel nuovo mezzo di trasporto.
-Vuoi che la porti io? C’è abbastanza spazio anche per lei qui- propose accennando al passeggino con il capo, ma Judal declinò l’offerta.
Non ci diede peso, comunque avevano fatto dei grandi passi avanti in quei giorni. Ancora la culla della piccola era intonsa, ma quando dovevano dormire la metteva in mezzo fra loro due, e non più sul bordo in modo che fosse vicina unicamente a lui, e sebbene ancora non permettesse assolutamente che la piccola restasse sola perlomeno la dava in braccio a tutti i generali senza il minimo problema. Quanto avevano riso quando aveva provato a passarla a Dracoon e quello pur di evitarlo si era arrampicato sul divano fino a farlo rovesciare! O Masrur, che la teneva in punta di dita, come fosse un fazzoletto sporco, oppure Sharrkan, che molto stupidamente aveva avvicinato il naso al pannolino da cambiare…
L’unico in effetti che Judal ora non voleva molto vicino alla figlia era Koumei, che dal dormire con loro e essere il “terzo genitore” dei due bimbi aveva attraversato una fase in cui era stato sbattuto sul divano senza una parola, con il divieto di avvicinarsi troppo ad Hanako.
Fortuna che almeno in parte era passata.
-Yamuraiha, stai bene?- a posare lo sguardo su di lei ci si accorgeva che aveva la pelle di un colorito orrendo, tipico di chi non dorme da giorni.
-Lasciala in pace, quando gliel’ho chiesto io c’è mancato poco che mi mordesse.- suggerì Sharrkan girandosi a guardare la maga con sguardo astioso, ricevendo in risposta odio distillato condito con manifesti intenti omicidi.
Si ripromise d’indagare in un momento più tranquillo, sbucando finalmente sulla terrazza di Sindria, inspirando a pieni polmoni l’aria limpida e pulita dei primi di luglio, così diversa da quella chiusa e un po’ pesante di casa loro.
-Ja’far.-
Si bloccò, senza nemmeno espirare, girando lentamente il capo verso destra.
-Judal.-
Rimase pietrificato per un istante, guardando Sinbad venire verso di loro. Per un secondo fu preso in contropiede, rimase come congelato a fissare la spada di Sinbad battergli sulla coscia, poi quando fu a circa cinque metri di distanza si riscosse. Se fosse dipeso da lui probabilmente sarebbe rimasto fermo ad ammirare come incantato la figura di Sinbad avvicinarsi a loro perché, inutile negarlo, gli era mancato, ma un forte soffio lo costrinse a voltarsi verso Judal. Pareva a dir poco incazzato, soffiava esattamente come un gatto e se avesse avuto il pelo o anche solo i capelli sciolti probabilmente sarebbero stati ritti come se un fulmine lo avesse colpito. Aveva un braccio avvolto attorno alla vita di Hanako, mentre l’altro era teso a reggere la bacchetta verso il volto di Sinbad.
Da quella gola che ormai spesso vibrava in flebili fusa atte a consolare Hanako quando aveva le coliche o mal di pancia, o qualsiasi altro problema in quel momento non uscivano che chiari ringhi d’avvertimento.
Sinbad si fermò, mostrando i palmi in segno di resa e slacciando la spada dalla cintola, provocando un nuovo violento soffio. Il grande re di Sindria depositò la spada a terra, slacciando poi anche le collane, i bracciali e tutti gli altri ornamenti. Disarmato riprese a camminare nella loro direzione, e Ja’far gli si tuffò contro, puntandogli un coltello alla gola per bloccarlo.
Saggiamente Sinbad si fermò, guardando dapprima Ja’far e poi Judal, notando la gran quantità di rukh radunatisi attorno a lui: erano così tanti che probabilmente l’intera Sindria riusciva a vederli.
-Cosa vuoi?-
Se si fosse trattato di un incontro casuale non avrebbe cercato di attirare la loro attenzione, né si sarebbe liberato di tutti i djin, quindi la domanda non era se quanto piuttosto cosa.
-Solo parlare.-
Nemmeno questo era credibile, se avesse solo voluto parlare non avrebbe chiesto ai generali di bloccargli la via di fuga, come invece Dracoon e Hinahoho stavano facendo, tuttavia c’era pur da dire che se tutti avevano accettato di attirarli fin lì un valido motivo doveva pur esserci.
-Di cosa?-
Non spostò di un millimetro il coltello dalla gola di Sinbad, pur sapendo che difficilmente sarebbe davvero riuscito a fargli del male e che con buona probabilità se avesse voluto Sin lo avrebbe già sorpassato.
-So di aver sbagliato- come a confermare le sue parole Judal soffiò per l’ennesima volta: era come Ja’far in calore, solo che Judal non era in calore ed era incazzato non con altri ma con lui -ma vorrei rimediare.-
Come introduzione faceva pena, sembrava preso da uno scadente romanzetto rosa e copiata paro paro.
-Perché?-
Non era tanto con lui che Sinbad desiderava parlare in quel momento, questo era evidente, ma siccome Judal non pareva aver voglia di ascoltare né tantomeno ragionare non gli restava che fare da portavoce della sua causa.
-Perché il sangue non è la sola cosa che conta, l’importante è l’affetto.-
Judal ringhiò, avvicinando la mano libera ad una delle tasche dei pantaloni, ma preoccupato Masrur lo bloccò, schiacciandogli le braccia ai lati del corpo semplicemente bloccandogli i gomiti. Quella stretta parve fare magie, siccome lentamente Judal smise di ringhiare, abbassando il capo su Hanako.
Si sarebbe quasi perfino potuto credere che fosse disposto a partecipare al dialogo se non fosse stato per l’immensa nube di rukh oscuri che si agitava sopra le loro teste, talmente densa da filtrare la luce del sole.
Alzò la testa torcendo il collo in modo da riuscire a guardare Masrur negli occhi, e il suo sguardo fu talmente carico di rabbia ma soprattutto di determinazione che il generale lentamente lo mollò.
Torcendo un braccio dietro la schiena Judal sciolse il fiocco che teneva Hanako assicurata alla sua pancia, passando la bambina a Masrur con tale convinzione che al Fanalis non restò che prenderla, accantonando il timore di farle del male.
-Non sparare stronzate. L’importante è l’affetto? Ma ti senti?- chiese avvicinandosi a lui come avrebbe potuto fare un toro, più incazzato di una vipera -La gente chiama stronzo me, ma io sono rimasto, per quanto mi abbiate maltrattato, giocando al tira e molla, io sono rimasto qui. Robin non è mio, eppure mi pare di essermene sempre preso cura, cazzo, io c’ero quando lui è nato, possiamo anche dire che l’ho tirato fuori io, mentre tu eri a dare di matto perché le cose non stavano andando come avevi previsto tu. Be, spiacente, il mondo non è fatto come vorremmo, non puoi pretendere che tutto si muova attorno a te.-
Sinbad scostò il coltello di Ja’far con una mano, prendendolo di modo da non tagliarsi, raggiungendo Judal in poche falcate.
-Lo so, sono uno stato uno stronzo, mi dispiace, ma dammi la possibilità di rimediare.-
Judal scoppiò a ridere, gli occhi rossi venati di pura follia, molto simili a quelli di Kouha, capaci di provocare incubi per giorni -Non tutto si può riparare.-
-Allora possiamo provare a ricominciare.-
-Per cosa, perché tu rifaccia tutto da capo? Ho già dato, grazie. Voi alpha siete convinti di avere il mondo ai piedi, di poter calpestare gli altri come se fossero formiche. Beh mi dispiace, mi sono rotto i coglioni di essere una fottuta formica, da oggi sarò un cazzo di scorpione: schiacciatemi pure, prego, ma io vi pungerò, e se voi farete del male a me io ne farò a voi.-
Sinbad lo guardò, ferito ma non sorpreso: illudersi che Judal avrebbe mandato giù tutto lo schifo che gli aveva fatto mangiare con due parole di scuse non era possibile, era preparato a quello, almeno in teoria.
-Cosa ti fa credere che io abbia bisogno di te, o di chiunque altro? Sarò pure un omega, su questo hai ragione, ma non significa che io abbia bisogno di un alpha per essere appagato. Non ho bisogno di te, né della tua carità. Non mi occorre che tu scriva a tutti i tuoi alleati per trovarmi un posto, non sono un fottuto soprammobile, posso decidere da solo dove stare e fidati che non avrò grosse difficoltà a trovarmi un posto in cui vivere. Troverò un regno che meriti me e mia figlia e lo rafforzerò come ha fatto Sheerazard, o viaggerò come quel senzatetto di Yunan.-
Lo sguardo di Sinbad era velato di tristezza, ma gli occhi parlavano di una persona che ancora non vuole arrendersi.
-Posso almeno rivedere la bambina?-
Credeva che Judal non potesse sembrare più incazzato di così, ma scoprì a sue spese di sbagliarsi quand’osò porgli quella domanda.
-Cosa vuoi da mia figlia?-
-Solo guardarla, e sapere come si chiama.- per quanto Judal fosse dieci centimetri più basso di lui si scoprì ad averne un ceco terrore quando se lo ritrovò di fronte, una mano stretta attorno alla maglietta, l’altra in tasca serrata sulla bacchetta.
Il magi lo scrutò, leggendogli probabilmente dentro l’anima con quegli occhi di brace, poi di punto in bianco lo mollò, caricando i generali e riprendendo la figlia dalle mani di Masrur.
Era terrorizzata, ma per quanto i grossi occhi viola fossero colmi di lacrime non fece un verso, mentre Robin e Sofocle piangevano guardando verso il cielo terrorizzati.
-Lei è Hanako, principessa di Kou mancata e onta vivente al tuo orgoglio di alpha, ti basta come presentazione o vuoi anche una stretta di mano e il certificato di nascita?-
Fissò quello scricciolo, tanto piccolo quanto tenace, deciso a non cedere alle lacrime, e sorrise, nonostante la situazione a dir poco di merda, sorrise, allungando un dito verso la bambina, che lo afferrò, stringendolo.
La cosa non parve piacere a Judal, che riprese a ringhiare, guardandolo truce.
-Lasciala andare immediatamente.-
-Non sono io che l’ho presa, e lei che ha catturato me.-
Judal amava fare ironia, ma subirla lo faceva spesso incazzare.
-Non ti chiedo di perdonarmi così a gratis,- proseguì accarezzando il dorso della mano della piccola -ti prego solo di darmi una chance di dimostrarti che so essere meglio di così.-
-Perché tu possa ferirmi di nuovo? Te l’ho già detto, no-
-Un’ultima volta, ti prego.- implorare non piaceva a nessuno, ma esistono casi in cui ne vale la pena.
-Perché dovrei fidarmi, che prova ho io che non farei esattamente ciò che hai sempre fatto?-
Era arrabbiato, ma vacillava. In fondo a quello sguardo carico di collera si scorgevano fiumi di speranza e paura, paura che fosse tutto ancora solo un altro scherzo.
Sospirò.
-Posso promettertelo, ma nemmeno io mi fiderei delle mie parole giunto a questo punto, quindi farò dell’altro, ma ho bisogno che tu mi dia Hanako per un minuto.-
Judal ringhiò, ritirando la bambina a sé e Sinbad ripeté la propria richiesta -Non le farò del male. Voglio solo dimostrarti come posso che ci sarò, non solo per te, ma anche con lei.-
Sfilò il dito dalla presa della bambina.
-Non sono infallibile, anzi. Negli ultimi tempi voi due- disse riportando lo sguardo anche su Ja’far, fermo ad un paio di metri di distanza, intento a calmare Robin come meglio riusciva -avete messo al mondo due creature, due bambini eccezionali, mentre io non ho fatto altro che essere un egoista e un bastardo. E mi è venuto dannatamente bene, ma ho fondato un regno basandomi solo sui miei sogni, ora vorrei creare un futuro basandomi sulle persone che ho davanti.-
Sia Ja’far che Judal fecero due identiche smorfie schifate mentre il diabete gli schizzò alle stalle.
Il magi fissò Sinbad in silenzio per un minuto buono, studiandolo sospettoso, poi gli allungò la bambina -Se proverai a fare scherzi morirai prima di riuscire a farle del male.-
Sinbad annuì, prendendo la bambina sotto le ascelle, come Judal gliel’aveva passata, e si incamminò verso il palco al bordo del terrazzo.
-Che cosa cazzo credi di fare?- ringhiò Judal, guardandolo salire i gradini, avvicinandosi come un fulmine per riprendere la figlia, seguito da Ja’far, determinato quanto lui ad allontanare la bambina da lì.
Ma quando arrivarono sul palco accanto a Sinbad rimasero di sale. Con lentezza e solennità, Sinbad sollevò Hanako sopra la testa, mostrandola a tutta la folle sottostante, prendendo un profondo respiro e poi annunciando deciso.
-Vi presento Hanako, figlia di Judal e prima principessa di Sindria.-
Il magi rimase attonito, guardando Sinbad stralunato, mentre il boato della folla scoppiò incontrollato. Aveva davvero osato presentare sua figlia a tutta l’isola come principessa di Sindria? Non sapeva se essere incazzato o cos’altro, un miliardo di pensieri gli vorticavano per la mente.
Dare un titolo del genere indicava ovviamente che non avrebbe più potuto fare il bello e il cattivo tempo, non avrebbe più potuto cacciarli con facilità, ma al tempo stesso anche per loro era più complesso andarsene.
Non l’aveva presentata al popolo come sua figlia, aveva solo detto che lui era la madre, e ciò nonostante le aveva conferito il titolo di principessa. E il più importante di tutti. Sinbad aveva usato quella cosa per cercare di convincerlo, aveva fatto una grossa dichiarazione, ma nulla gli impediva di prendere Hanako e andarsene, e se l’avesse fatto la sua credibilità come re sarebbe andata completamente in frantumi.
-Ti sei bevuto completamente il cervello?- chiese afferrandolo per un gomito costringendolo a girarsi verso di lui, e Sinbad sorrise, ripassandogli la bambina che mugugnò stanca di essere trattata come una palla.
-Non posso fare più di così, potrei prometterti che non tradirò di nuovo la tua fiducia o potrei anche proporti di marchiarti  per dimostrarti che intendo tenerti con me, ma non ti piacerebbe sentirtelo chiedere, l’unica cosa che posso fare è vincolarmi di fronte a tutto il popolo.-
-Sei completamente scemo, ti rendi conto di ciò che hai fatto?-
Sinbad girò il capo verso Ja’far, intento a fissarlo stralunato un paio di gradini più in basso rispetto al podio, e allungò una mano, giocando con il bordo del velo.
-Vieni qui su.-
-Come?-
-Vieni- ripeté incoraggiante, allungando una mano, e Ja’far la prese, ancora deciso a continuare ad insultarlo.
-Non ho fatto danni solo con Judal, anche con te, per cui vorrei scusarmi.-
-Non è questo il problema ora, da dove ti è venuta quella maledetta idea?-
Sinbad si grattò il capo, vagamente imbarazzato, guardando Ja’far mantenersi ad una distanza tale da lui da non comparire agli occhi della folla.
-Me l’ha suggerito un’amica. E per la verità ho preso anche un’altra decisione…- lasciò la frase in sospeso, afferrandogli un polso e tirandolo verso di sé, sotto gli occhi di tutti, incollando le proprie labbra a quelle di Ja’far. L’omega rimase ghiacciato per un momento, pensando a quanto fosse un’azione tipica di libri e romanzi, quasi un cliché, l’uomo che bacia la sua bella sotto gli occhi di tutti per dimostrarle il suo amore dopo aver agito come uno stronzo, lei che rimane impalata dapprima, poi lo schiaffeggia e infine si chiariscono e fanno pace, iniziando a baciarsi come se non ci fosse una fine.
Ma lui, la fine l’aveva davanti agli occhi. Non riusciva a smettere di chiedersi come avesse fatto Sin a nascondergli all’inizio di aver riunito tutto il popolo senza che fiatassero, ma da quando aveva annunciato la nomina di Hanako a prima principessa di Sindria era scoppiato il putiferio: in quel momento, invece, tutto era silenzio. I generali dietro di lui, la folla, Sinbad.
Posò lo sguardo su Judal, fissando quei suoi occhi rossi, che come per magia parvero parlare con lui “vuoi che lo ammazzi?”.
Piegò il busto, allentandosi da Sinbad pronto a girarsi verso il palazzo e scappare. Aveva lavorato tutti quegli anni per tenere il segreto, per non rovinare tutto, ed ecco che Sinbad per un discorso fatto con una qualche anonima spogliarellista in un qualche locale mandava tutto a puttane. Diede le spalle al balcone e alla folla sottostante, desideroso solo di sparire, ma un fischio lo bloccò, ed in un secondo giunsero gli applausi e i cori, come non se ne vedevano da anni. La folla sembrava esplodere di gioia, vedeva le teste muoversi come le onde, le mani sopra la testa della gente che continuava ad applaudire.
-Credo che te la dovrò presentare.- disse Sinbad avvolgendogli la vita con un braccio, parlandogli in un orecchio -L’hai già incontrata, è stata la mia cameriera in questo periodo. Abbiamo discusso spesso, ed è grazie a lei che ho compreso di aver sbagliato, non solo ora, ma in tutti questi anni. Un regno costruito su delle solide basi è un regno forte, e quindi mentire sulla tua identità può essere parsa una buona idea, ma un paese costruito su una menzogna non può essere forte. Abbiamo costruito tutto ciò che volevamo, non c’è motivo di temere. Ce la caveremo, vedrai.- gli strofinò le braccia, sorridendo poi in direzione di Judal, allungando una mano verso di lui.
-Mi darai la chance di riprovare?-
Judal lo guardò, inquisitorio e sospettoso, poi annuì. -Prova a fare altre stronzate e sarai  morto.- lo ammonì soltanto, e Sinbad rise.
-Cos’è, il modo omega di dichiararsi? No perché lo stesso inizio per tutti e due è un po’-
-Taci.-
La sincronia tra Judal e Ja’far fu sorprendente, come i loro sguardi complici e le espressioni sornione dei generali. Non era la pace forse, ma era un armistizio, e in quella sorta di soap opera che era la vita di Sinbad, Ja’far e Judal ce n’era proprio bisogno.










Piccoli scleri di cui (volenti o nolenti) finirete per far parte: non sono fierissima di questo capitolo, contiene ogni frase fatte dei più squallidi romanzetti rosa, lo so, mi dispiace, ma meglio di così proprio non riuscivo a fare, ho cercato di stemprare un pelino ma non mi è venuto molto bene.
Comunque sia portate pazienza, giunti a questo punto maca davvero poco alla fine della storia, penso fra i 4 e i 5 capitoli
Non saltate troppo di gioia, fate almeno finta che vi dispiaccia, giusto per darmi il contentino
Hoshi

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Capitolo 38
*** Capitolo 36: Pulizie di buon auspicio ***


Pulizie di buon auspicio

 



-Si può sapere come hai fatto? Coinvolgere tutti i generali e organizzare la cosa senza farmelo sapere, vedi che quando vuoi sei in grado di lavorare?-
All’annuncio pubblico erano seguiti dei grandi festeggiamenti, come da abitudine di Sindria, ed ecco che subito, appena finita la festa, i due omega erano partiti con le domande.
Sorrise, guardando Ja’far mettere a letto Robin mentre Judal al piano di sotto continuava a camminare in cerchio in salotto allattando la figlia: ufficialmente gli aveva dato un'altra chance, però ancora da lì all’aver fatto pace ne passava, era un po’ diffidente, ma riusciva a comprenderlo.
-Ho fatto applicare alla folla una barriera anti-rumore. Gli incantesimi di suono sono abbastanza economici, certo ergere un muro così esteso non è banale, ma nemmeno era troppo impegnativo.-
-Sì, ma com’è possibile che Judal non se ne sia accorto? I maghi sentono l’uso della magia, avrebbe visto una simile quantità di rukh da chilometri.-
Sinbad sorrise, allacciando il pigiama a Robin -Diciamo che ho dovuto pianificare un po’ la cosa. Yamuraiha era accanto a voi, di certo se fosse stata lei a reggere l’incantesimo lo avrebbe notato, per cui ho domandato a Saher di farlo. Sai, è un peccato che non voglia ricoprire incarichi di prestigio, come maga è molto capace, ha pure eretto una sorta d’incantesimo dissimulatorio per non far vedere la barriera ad un mago.-
Ja’far lo guardò truce -Ma allora davvero semplicemente non vuoi lavorare! Se tu ti applicassi anche solo un decimo al tuo dannato lavoro saremmo a cavallo.-
Sinbad scosse il capo, sorridendo divertito -Il lavoro non è divertente, questo sì.-
Ja’far aprì bocca pronto a dar battaglia, ma di fronte al sorriso sornione di Sinbad lasciò perdere, almeno per quel giro.
-Come ve la siete cavata in questo mese?- chiese quando furono usciti dalla camera, bloccando Ja’far sulle scale, prima di raggiungere Judal.
L’omega lo guardò, indicandogli poi una delle camere vuote, sedendosi sul pavimento a gambe incrociate e facendogli segno d’imitarlo.
-Le prime settimane sono state le più dure, Judal non parlava quasi e non mollava mai Hanako, mentre io e Koumei ci occupavamo di Robin e lui, ma poi le cose sono cambiate. Non so dirti se in peggio o in meglio, sono solo cambiate. Hanno litigato, e Judal ha iniziato a non volerlo più vicino: non l’ha esattamente sbattuto fuori, ha lasciato che restasse per dare una mano con Robin, ma l’ha spedito sul divano senza una parola, e quando gli si avvicinava troppo ringhiava. Non metterci becco, ho provato a chiedergli una volta, ma l’ha presa molto male.-
Sinbad annuì, fissando Ja’far in attesa -Sai cos’è successo?-
-Te l’ho detto, non mi ha voluto dire nulla.-
Sinbad sbuffò, in un verso simile ad una risata -Magari Judal non ti avrà detto nulla, ma non tentare di farmi credere che non sai cosa sia successo.-
Ja’far sorrise, massaggiandosi il lobo di un orecchio -Ovviamente lo so, è bastato chiedere a Koumei per sapere tutto.-
-Eh?-
Ja’far lo fissò, valutando se rispondergli o meno, poi appoggiò i gomiti alle ginocchia, il mento nei palmi, guardando Sinbad pronto a bloccare eventuali reazioni eccessive -Ha provato a prendersi la paternità di Hanako, e Judal ha dato di matto. Se tu oggi avessi provato a dire di voler essere il padre della bambina con buona probabilità ti avrebbe strappato un braccio, fortuna l’hai evitato. È molto geloso della piccola, non la molla mai, a nessuno. Preparati, perché in barba al non viziarli lei dorme nel letto, e quell’unica volta che sono riuscito a convincere Judal a metterla in un passeggino ha pianto come se la stessero sgozzando.-
-Ho fatto un bel danno, eh?-
Ja’far annuì, senza tentare d’indorare la pillola.
-Gli passerà, ma ci vorrà tempo. Ora su, a letto.- disse battendogli una mano sulla coscia e alzandosi. -Domani tu lavorerai, e se t’impegnerai meno di quanto mi aspetto ti aspetterà una morte orrenda.-
Sinbad sorrise, alzandosi e scendendo le scale dietro a Ja’far. Dividere di nuovo il letto con due persone (anzi tre), fu strano, ma non quanto l’atteggiamento di Judal. Comprensibile, ma strano.
Rifiutò l’offerta di Ja’far di sistemarsi a lato del letto, occupando il suo solito posto al centro, in mezzo a loro due, dandogli fermamente le spalle. Restò sveglio a lungo, addormentandosi solo verso l’alba, tremando vagamente di freddo a causa di quel suo brutto vizio di dormire mezzo nudo.
Guardò le sue spalle alzarsi e abbassarsi al ritmo del suo respiro, cercando lo sguardo di Ja’far oltre la sua spalla, trovandolo pacificamente addormentato.
Osservò la bambina, dormire a pancia in su, con il capo poggiato sull’avambraccio di Judal. La piccola stava bene con il pigiamino giallo e il corpo coperto dal leggero lenzuolo, ma lo stesso non si poteva dire della madre, che continuava a tremare debolmente.
Gli allacciò un braccio alla vita, avvicinandosi a lui, facendo attenzione a non svegliarlo, sfiorare Hanako o attaccarsi alla sua schiena, e inaspettatamente dopo un paio di minuti udì delle basse fusa.
Col tempo, quasi di sicuro sarebbe riuscito a passarci sopra, se non a perdonarlo, non occorreva avere fretta.
 
 


-Dove diavolo vuoi portarci?-
-A fare una gita, ve l’ho detto no?-
Judal sbuffò, sistemandosi meglio Hanako su una spalla.
-Vagare per tutte le stradine secondarie di Sindria non è una gita, è uno spreco del mio tempo e per voi due schivare il lavoro. Possiamo tornare indietro ora?- chiese strattonando la mano per cui Sinbad lo trascinava, rifiutandosi di girare l’ennesimo angolo.
Il re sospirò, girandosi a guardare Judal con infinita pazienza, come se fosse un bambino parecchio restio a fidarsi. In una settimana non era arrivato a perdonarlo, ma le cose erano molte migliorate. Pian piano Judal stava iniziando a mollare Hanako, con grande scontento della bambina, mentre le cose con lui progredivano lentamente. Quando provava a baciarlo si scostava, quando gli proponeva di fare qualcosa nicchiava, ma lentamente iniziava a fidarsi, e il campanello di ciò era sempre la figlia. Così come non era troppo confidente nel farsi toccare da Sinbad logicamente non era neppure troppo propenso ad affidargli la bambina, ma se aveva modo di tener d’occhio la scena allora riusciva ad accettare la cosa, lasciando che la prendesse in braccio, che la cambiasse, perfino che la mettesse a letto.
Avere a che fare con due bambini così piccoli non era molto semplice, rubavano tutto il tempo libero, catalizzando tutte le attenzioni degli adulti su di loro.
Hanako migliorava, pian piano le coliche le stavano passando, ma proprio quando si erano convinti che finalmente sarebbero riusciti a dormire sereni tutta la notte ecco che a Robin avevano iniziato a spuntare i primi denti.
Avevano bisogno tutti e tre di una pausa da pannolini, pianti e poppate, per cui aveva deciso di portarli fuori, ma ecco che entrambi si lamentavano.
-Siamo, quasi arrivati, su, fatevi forza.- mollò la mano di Judal, appoggiandola invece alla base della schiena dell’omega e sospingendolo a proseguire, mentre Ja’far attendeva con i gomiti poggiati al passeggino, anche lui parecchio perplesso da quella gita.
“Siamo quasi arrivati” significava che dunque avevano una meta, e se da un lato era curioso, dall’altro non ci teneva poi molto a sapere dove Sinbad volesse portarli e con quale scopo.
-Ci siamo.- disse fermandosi di fronte a un anonimo palazzo, nascosto in fondo ad una via. Era nuovo, come tutti gli edifici di Sindria non aveva nemmeno dieci anni, eppure l’intonaco era qua e là rovinato, da un edificio all’altro correvano dei fili per stendere i panni, e una banda di ragazzini sedeva in un angolo giocando a dadi passandosi un consunto sigaro.
-Sin, si può sapere che vuoi fare qui?- chiese Ja’far guardando quei ragazzi vagamene allarmato, mentre Sinbad fissava quegli sporadici sprazzi di cielo non celati da quell’intricato intreccio di fili.
-Sinbad!- lo richiamò e Sinbad scosse il capo tornando a guardare prima lui e poi Judal con un espressione pensierosa, rendendo chiaro a entrambi che nemmeno lui era mai stato in quel quartiere.
-Perché ci hai portati qui?- chiese di nuovo, tirando il passeggino più vicino a sé: Sindria era un bel paese, certo, e il tasso di criminalità era molto basso, ma come qualsiasi posto aveva le sue scaramucce, e quello così ad occhio pareva proprio uno dei quartieri poveri.
-Vi devo presentare una persona.- disse semplicemente, avvolgendo al contempo il braccio libero attorno alla vita di Ja’far, iniziando a trascinare anche lui, indifferente alla recalcitranza di entrambi gli omega.
-Avanti, le scale mica si salgono da sole.- li incitò entrando in uno dei palazzi, privo di porta con solo delle tende di perline, altra cosa che fece loro storcere il naso, molto poco convinti.
Judal lo guardò scettico -Ti dirò francamente che non ho mai frequentato un luogo così squallido, prega che ne valga le pena o mi sentirai.- lo ammonì mettendo piede sui primi gradini, guardando quei ragazzi seduti fuori dalla porta, ancora intenti a giocare fra loro, del tutto disinteressati al loro arrivo.
-Come dovrei portare questo su per le scale, Sin?- domandò Ja’far con fare retorico, indicando il passeggino e ottenendo di mettere il compagno in difficoltà.
-Potete lasciarlo qui.- disse un ragazzino di all’incirca 15 anni, affacciandosi all’interno del palazzo con un espressione saputa, un avambraccio poggiato sullo stipite, il resto del gruppo fuori dalla loro visuale che rideva tonante, ad indicare che quel ragazzino era probabilmente il loro leader.
Ja’far osservò con fare scettico quel ragazzino dai capelli verdi, a sinistra lasciati lunghi, legati in una coda e a destra rasati, lo sgargiante orecchino e vari tatuaggi, sia sul torace che sul viso, ma soprattutto osservò il braccio destro poggiato allo stipite della porta, privo di mano. Tutto il quel ragazzino urlava “teppista”.
Prima che avesse modo di dire o fare qualcosa Sinbad annuì, prelevando Robin dal passeggino e spingendo lo stesso in un angolo di modo che non bloccasse le scale, subendo indifferente lo sguardo sconvolto.
-Abbiamo problemi di fiducia o sbaglio?- chiese il ragazzino, rivolgendosi apertamente a Ja’far e ridendo divertito, staccandosi dal muro.
-Puoi stare tranquillo- disse avvicinandosi beffardo -abbiamo tutti un lavoro, nessuno di noi ha bisogno di chiedervi la carità, e di sicuro se volessimo rubare qualcosa a qualcuno non saremmo così scemi da rubare al tanto amato re di Sindria, e di certo non ruberemmo un banale passeggino.-
Era basso, almeno una trentina di centimetri in meno di Ja’far, e non aveva neppure un aspetto particolarmente terrificante, pareva più un magro ragazzino abbastanza anonimo, con grande probabilità un beta, eppure in qualche modo aveva un alone di pericolo attorno a sé.
Ad ogni modo, quando Sinbad lo prese per un gomito e lo trascinò su per le scale lasciò perdere, escludendo dai suoi pensieri quella risata sprezzante, facendosi ripassare Robin da Sinbad.
-Questo giro ha ragione Judal, sarà meglio che ne sia valsa la pena, Sinbad.-
Salirono le prime due rampe in silenzio, guardando le porte di ogni appartamento, le scarpe e gli ombrelli posti fuori in completo disordine, le finestre sporche, i corrimano scheggiati e un paio di scarafaggi rincorrersi in un angolino.
Arrivati al terzo piano Sinbad li fermò, bussando ad una delle quattro porte presenti su quel piano, l’unica di fronte alla quale non erano buttate le più varie cianfrusaglie.
Dovettero attendere solo alcuni secondi prima che una donna andasse ad aprirgli, con una pratica maglietta bianca con una notevole scollatura e uno striminzito paio di pantaloncini.
L’espressione allegra con la quale aprì la porto mutò non appena li vide, trasformandosi in una scettica.
-Oh, il re di Sindria e i suoi omega, cosa posso fare per voi?-
Non mollò nemmeno la maniglia, guardandoli con fare dichiaratamente ostile.
-Cercavo Sahsa, è in casa?-
Chiese bloccando Ja’far che la guardò truce alla parola “omega”. In effetti non era una cosa molto educata tirare in ballo il genere secondario della gente a quel modo, ma gli riusciva difficile credere che l’intento della ragazza fosse in qualche modo discriminatorio o offensivo, più che altro pareva avercela con lui per qualche motivo sconosciuto.
La ragazza staccò la mano dalla maniglia, intrecciando le braccia sotto al seno e facendosi da parte per farli passare, continuando a guardarlo con chiara ostilità.
-Sahsa, ci sono ospiti per te.- disse rivolta verso una stanza attigua, chiudendo la porta alle spalle di Judal e lasciandoli soli.
Incuriosito Sinbad si mise a valutare la stanza in cui erano stati “gentilmente accolti”: era veramente piccola, in effetti l’intero appartamento doveva essere più piccolo delle stanze per gli ospiti che avevano a palazzo, arredato con un gusto decisamente superato per due ragazze così giovani. In quella stanza che fungeva da salotto e anche la cucina, i muri erano tappezzati di quadretti di varie dimensioni, il tavolo aveva una grossa tovaglia ricamata e tutte le superfici dei mobili erano coperte di centrini in pizzo. Decisamente fuori moda.
-Signor Sinbad, non credevo l’avrei più rivista.- disse una voce alla sua destra, e Sinbad distolse lo sguardo dalla porta che dava su un minuscolo balcone per portarlo su una delle due padrone di casa.
-Ti trovo bene Sahsa.- commentò guardando la larga casacca bianca che portava e la lunga gonna verdognola: non importava cosa indossasse, quella ragazza trasmetteva sempre un’idea di dolcezza.
-Prego, sedetevi.- disse indicando con dolcezza un divano che pareva avere almeno 40 anni: possibile che in quella via tutto paresse decrepito? Sindria non era un paese nuovo?
-Ti trovo bene.- valutò Sinbad, sorridendole incoraggiante e la ragazza rise.
-Posso offrirvi qualcosa? Magari un tè, una tisana o forse del caffè?-
Judal passò, mentre lui e Ja’far accettarono due tazze di caffè.
-Lascia, ci penso io.- intervenne Leila, passando alle spalle di Sasha, sfiorandole un fianco e iniziando ad armeggiare con la credenza.
-Eravate usciti a fare una passeggiata?-
-Una specie, sì. Visto che nessuno di loro esce molto di casa ho pensato di fare una gita.- disse sorridendo, poggiando una mano su un ginocchio a Ja’far, che per buona educazione evitò di fulminarlo, rimandando la cosa a dopo, concentrandosi su Robin che continuava a protestare, non molto propenso a stare in braccio.
-Ho pensato di passarti a trovare per fare due chiacchere, visto che non ce n’è mai stato modo. Spero di non aver disturbato.-
Lo annoiavano quelle formalità, se avesse potuto le avrebbe saltate a piè pari, ma non gli pareva il caso, Ja’far lo avrebbe ammazzato se ci avesse provato.
-Affatto, non si preoccupi- rispose la ragazza, ignorando la compagna che alle spalle degli ospiti la guardava con espressione che diceva chiaramente “non li voglio qua, mandali via” -Attualmente non ho alcun impiego, mi fa piacere ricevere ospiti, ma come vedete lo spazio è poco.-
Si fermò, interrotta da un mezzo urlo seccato di Robin, desideroso di libertà, e guardò il bambino con simpatia.
-La prego di scusarmi, non è molto collaborativo in questi giorni.- si scusò Ja’far, e lei sorrise, tenendo i gomiti poggiati al tavolo di fronte a loro.
Avrebbe avuto tutti i diritti di cacciarli, non c’era veramente spazio per cinque persone in quella casa, il divano su cui erano seduti poteva andar bene per due persone, in tre già erano un po’ stretti e lei alla fine aveva finito con lo stare in piedi.
-Nient’affatto, si figuri, anzi mi perdoni per non averci pensato.- si avvicinò a loro, prendendo il basso tavolino di fronte al divano e addossandolo al muro.
-Non abbiamo giocattoli adatti ad un bambino o simili, ma se vuole può lasciarlo lì.-
Ja’far osservò un momento il figlio, non molto persuaso, poi all’ennesimo calcio contro la sua gamba sbuffò esasperato, appoggiandolo su quel basso tappetino per la gioia del piccolo, che prese ad avanzare spedito verso il lato opposto, veloce come una lepre.
-Se sarà un piacere non lo so, ma come puoi vedere ho trovato il modo di presentarti i miei compagni e mio figlio.- disse rivolto a Sahsa, inginocchiata sul pavimento per impedire al piccolo di superare i limiti del tappeto.
Di fronte allo spettacolo di quella giovane ragazza e del proprio figlio che indomito si scontrava contro i suoi palmi, cercando di sgattaiolare via alla scoperta del mondo non riuscì a non sorridere, sbirciando Ja’far fare altrettanto, rilassando le spalle.
Finalmente almeno uno dei due iniziava a rilassarsi, ottimo.
-Il caffè.- proferì una voce abbastanza secca alle sue spalle, facendo sbucare accanto alle loro teste due tazze fumanti.
Proprio non riusciva ad immaginare il motivo di tanta ostilità: Sahsa gli aveva sempre descritto la ragazza come una persona diffidente, quello era vero, ma fra la lecita diffidenza e l’ostilità c’era una bella differenza…
Cercò a lungo di sondare il terreno, ma la ragazza eluse le sue domande, lasciando sempre che fosse la mora compagna a rispondere, in un atteggiamento schivo e riservato molto simile a quello di Saher volendo. Alla fine vi rinunciò.
-Sahsa, vorrei farti una proposta.- esordì, e d’improvviso sia Ja’far che Leila si fecero ben attenti, sospettosi, mentre Judal restò indifferente, come da che erano arrivati.
-Se le cose si sono sistemate è merito tuo, mi sei stata davvero di grande aiuto. Il tuo discorso è stato fenomenale, una capacità d’analisi notevole, a palazzo non c’è posto per una cameriera come te, sei troppo portata per fare solo questo.-
Sahsa era confusa, lo guardava in attesa mentre Robin sedeva con la schiena poggiata alle sue ginocchia, succhiando e mordicchiando un cucchiaio di legno, unico gioco a prova di bambino piccolo che erano riuscite a fornirgli.
-La perfezione non esiste, ma esiste sempre la possibilità di migliorare, sebbene non sia semplice, e servono persone in grado di pensare a mente lucida. Vorrei istituire il ruolo pubblico di ministro dell’integrazione dei generi, ed ho pensato a te. Mi serve una persona che abbia toccato con mano le ingiustizie, ma che sia capace di pietà anche verso coloro che hanno commesso degli errori-
-Non credo di-
-Invece sei perfetta. Hai ascoltato il mio racconto senza mai dare un tuo giudizio, hai solo ascoltato e cercato di trovare una soluzione, sebbene la cosa andasse a tuo svantaggio. Quindi non dire di non essere adatta, la modestia è una gran dote, ma ho sempre preferito l’autoconsapevolezza.-
La ragazza tacque, spostando lo sguardo spaesata fra Sinbad e Leila.
-Il solo problema che esiste per ora è che tu non sappia leggere. Ci saranno delle procedure da seguire e nel tempo ti troverai probabilmente ad avere a che fare con importanti cariche politiche, ma per quel che ho potuto constatare sei molto portata in quello, basterà solo che tu tolga i “Sire” e gli altri vari appellativi.- disse sorridendole.
-In concreto, ti propongo di iniziare da domani delle lezioni per imparare anzitutto a leggere e scrivere, e poi le varie etichette politiche, una base di economia e altre cose del genere. Sei una ragazza molto intelligente, in sei mesi so che imparerai.-
Non fece a tempo a finire di parlare che Leila si alzò, facendo stridere la sedia sul pavimento provocando un orrido tonfo quando questa cadde, svegliando Hanako.
-E come crede che dovremmo vivere, sentiamo? Siete tutti uguali voi regnanti, fate le cose per capriccio e appena vi annoiano le buttate. Ha voluto una cameriera, ma appena non le è più servita l’ha licenziata senza alcun motivo. Adesso vuole un nuovo ministro, ma come crede che possiamo mantenerci per sei mesi con un solo stipendio? Sindria sarà un paese ricco e i prezzi sono abbastanza buoni, ma non possiamo vivere solo con uno stipendio da cameriera.-
Sinbad guardò la ragazza bionda fulminarlo con odio, i palmi ben piantati sul tavolo e la sedia crollata alle sue spalle. Finalmente capiva perché lo odiasse tanto, ma non era stato lui a licenziare Sahsa, bensì la ragazza a lasciare il lavoro.
Si rivolse direttamente a Leila, esponendo le sue ragioni e modificando la proposta offrendo loro da subito un appartamento a corte, ma ecco che di nuovo la ragazza scoppio a ridere prim’ancora che finisse di parlare.
Non voleva pietà, voleva lavorare e guadagnarsi le cose: conosceva il tipo, sapeva quanto fosse difficile da accontentare, ma terribilmente tipico di quei ragazzini di nemmeno 18 anni.
-Quante palle per nulla.- sbuffò Judal spazientito -Non vuoi la carità altrui, ma vuoi una vita agevole. Si tratta di soli sei mesi, io ci ho messi ben di più prima di approdare a Kou. Nessuno ha chiesto a te, per iniziare, si parlava con lei,- quando Judal stava zitto troppo a lungo poi di solito esplodeva, come in quel momento -comunque, facciamola semplice. Sin, vuoi un ministro? Bene, da domani queste due abitano a corte, ti istruisci il tuo futuro ministro e quando avrà finito l’apprendistato le tratterrai due mesi di stipendio per l’affitto e via, ci stai?- chiese rivolgendo lo sguardo su Sahsa azzittendo Leila senza l’uso della magia, con una semplice occhiataccia.
La mora guardò sconvolta prima Judal, poi Ja’far e infine Sinbad. Ci fu un attimo di perfetta immobilità, poi annuì, e Sinbad rilasciò il fiato sollevato, incurante delle unghie che Ja’far gli piantò nella carne.
Quando fossero tornati a palazzo gli avrebbe urlato addosso per ore per aver preso una decisione simile senza di lui, ma era certo della sua scelta.
Nulla può essere perfetto, quello era impossibile, ma tutto poteva migliorare, e lui voleva che Sindria migliorasse. Come Sahsa gli aveva confermato vedeva in Sindria una grande apertura e un’incredibile libertà, ma l’atteggiamento che Sinbad aveva tenuto per anni dimostrava un difetto radicale: il pregiudizio.
Ancora la gente vedeva gli omega come esseri deboli, bisognosi di un alpha per essere felici, e la cosa aveva purtroppo un suo fondamento naturale, ma la gente continuava a ricamarci sopra. Non si può sradicare un pregiudizio solo con qualche legge, sarebbe stupido crederlo, non è con le parole che si cambiano le cose ma con i fatti.
L’esempio che lui offriva ora al popolo era già un passo avanti notevole, ma non sarebbe bastato da solo. Per le masse loro erano un mondo esotico, distante, una sorta di sogno: serviva un ponte di collegamento.
-Momento molto bello, carino il sentimentalismo, ma, dove sarebbe il bagno in questo buco?-
Scosse il capo sconsolato, in fondo anche Judal alle volte diventava solo il 19enne stronzo che aveva a lungo finto di essere. Attese che fosse uscito dalla stanza, scaricando Hanako in braccio a Ja’far, per rivolgersi nuovamente a Sahsa.
-Ho anche un altro incarico per te.-
Leila sbuffò, raccogliendo le tazze di caffè poggiate ai piedi del divano e andando a riporle nel lavello -Neanche cinque minuti da che hai acconsentito e già parte a dare ordini.-
-Avrei una richiesta per te.- riformulò, e prima che la compagna potesse ribattere nuovamente Sahsa annuì, accettando l’incarico a busta chiusa.
 
 


-Non sono d’accordo.-
-E ti pareva, su cosa lo sei?-
Come si fosse fatto incastrare era un mistero.
Quando dal nulla Sinbad aveva deciso di fargli fare da maggiordomo si era abbastanza arrabbiato, partendo a sbraitargli contro che non si sarebbe mai abbassato a tanto, e invece Sinbad, a parte rinfacciargli che faceva ben di peggio, tipo cambiare quotidianamente pannolini, aveva vinto. Ma per quanto quelle pesche offertegli come ricompensa fossero sensazionali non era certo che ne fosse valsa la pena. Insomma, mostrare a Sahsa e Madame-Rompicoglioni il loro nuovo loft non era una cosa poi tanto gravosa, ma com’era finito a discutere dei massimi sistemi con un’ex-cameriera?
-Non potresti dargli una chance?-
Sicuro come l’oro c’era in mezzo lo zampino di Sin, anzi come minimo tutto il torace: una perfetta estranea che si metteva a dirgli di lasciarsi andare con Hanako, chiedendogli di dare una chance niente meno che a Koumei?
-Sicuro, e magari gli do anche un paio di mazze da baseball, oppure la appendo ad un paglione e gli do arco e frecce, perché no?-
-In concreto ha mai cercato di farle qualcosa di male?-
Rise, guardando Hanako stritolare il proprio peluche, mordendo un orecchio a quel povero orso.
-A parte tergere il sudore dalla fronte di Kouen quand’era stanco di prendermi a calci in pancia? No, nulla di che.- disse con ironia, guardando con sufficienza.
Quando il giorno prima Sinbad l’aveva trascinato a forza a casa sua non gli era dispiaciuta troppo, ma in quel momento desiderava solo andarsene.
-Da quando è nata ha mai fatto qualcosa per nuocerle?- insistette imperterrita, e Judal sospirò.
-No, non le ha fatto niente, ma ehi, aspetta, non si è neanche mai avvicinato abbastanza per riuscire a fargliene!-
Diavolo, quanto odiava il cieco ottimismo di quella ragazza!
-Tu non hai avuto una sola delusione dalla vita o sbaglio? Sembri una di quelle a cui mamma e papà non hanno mai fatto mancare nulla, che è nata e cresciuta come cameriera, ma che brama solo di staccarsi da un lavoro del genere. Non so quanto Sinbad ti abbia pagato per farmi la paternale, ma risparmiatela, non cambierò idea.-
Fece per alzarsi dal divano e recuperare Hanako, ma qualcosa lo fermò, forse la sola domanda che nessuno gli aveva mai posto.
-Perché continui a nasconderti a questo modo?-
Si girò lentamente a guardarla, celando velocemente dubbi e incertezze dietro la solita maschera e scoppiando a ridere.
-Nascondermi, e quando mai lo farei? Fino a prova contraria sono piombato qui sbattendo in faccia ad un ex-assassino di essere incinto del suo alpha, se questo tu lo chiami nascondersi non dovevi essere un granché a nascondino.-
Sahsa scosse il capo.
-Stai mentendo a tutti. Hai gli occhi di una persona a cui manca casa, le vecchie abitudini, perfino i litigi. I miei genitori sono così da che sono riusciti ad aprire un loro negozio, gli manca viaggiare. Nel tuo caso non hai la faccia di uno a cui manca un posto, quanto piuttosto delle persone.-
-Dì un po’, sei una psicologa o un futuro ministro?-
Si risedette, appoggiando le braccia sulla spalliera del divano, aprendo le gambe sfacciatamente, deciso a metterla a disagio per farle chiudere la conversazione, ma lei non demorse.
-Sinbad mi ha chiesto solo di parlarti, non mi ha pagato per farlo né me l’ha ordinato, me l’ha solo domandato. Non ti voglio dire cosa fare o non fare con tua figlia, non è mai stata mia intenzione, scusa se ti è parso le cose stessero così.- chinò il capo in un lieve inchino, il primo dall’inizio della loro conversazione. Non era scortese, la scortesia era tutt’altra cosa, ma non era nemmeno il servilismo incarnato come con Sinbad.
-è solo che se posso mi piace aiutare. Capisco le tue ragioni, ritengo che tu stia agendo in maniera molto ragionata, e ti ammiro per questo, vorrei avere la tua stessa determinazione, ma ne sono sprovvista. Non conosco il principe, non ho mai-
-Se provi a dirmi “non ho mai avuto il piacere” o “la fortuna” giuro che finirai appesa a quel muro. A testa in giù.- la interruppe con gli occhi rossi oscurati dalla rabbia, e Sahsa si fermò un attimo, presa in contropiede.
-Pensi che la perfezione esista?- gli chiese alla fine, tagliando il discorso, e Judal scrollò il capo in un moto di diniego.
-Credi nella bontà dell’animo umano?- scoppiò a ridere sonoramente.
-Credi nella malvagità, quella cieca ed assoluta?-
La guardò, sospettoso, e di nuovo negò: bianco e nero non erano mai assoluti, lui ne era una prova abbastanza lampante.
La ragazza si alzò, guardandolo con quell’espressione da “e con questa ho vinto io” -Credi nella redenzione?-
La fissò, senza che per una volta lei abbassasse lo sguardo, rosso sangue nel nero.
Se ne andò senza risponderle.
 
 


Seduto sul letto, con le spalle appoggiate al muro, continuava a fissare quella stupida definizione.
19 verticale: mancanza di casa.
Nostalgia.
Era una parola così semplice, così innocente, aveva pure un bel suono, ma comportava cose terrificanti.
Poggiò il cruciverba sul comodino, scivolando lungo il muro: è stupido come a volte non si riesca a comprendere nemmeno i propri pensieri finché qualcuno non ce li mostra. Lui, facendo un semplice gioco da una rivista, in attesa di prendere sonno, aveva scoperto di provare nostalgia di casa, nostalgia della sua famiglia,  nostalgia della sua vecchia vita.
Gli mancava la pressione di avere un compito, l’aspettativa, i subdoli ministri convinti di poterlo aggirare. Gli mancava Hakuei, sempre con quel sorriso dolce, Kouha con i suoi raptus omicidi, Kougyoku con il suo desiderio di rivalsa e Kouen con il suo fare ruvido. A Kou aveva una vita, dei legami, delle attività, a Sindria ora “godeva” della compagnia dei generali e del disprezzo più assoluto da parte di Judal.
Se fossi rimasto a Kou sarebbe stato meglio.
Non avrebbe mai visto, non sarebbe mai venuto a sapere, avrebbe vissuto in una serena ignoranza. Un principe come lui, amante della conoscenza, che desiderava l’ignoranza…
Sussultò, sentendo qualcuno bussare alla porta con insistenza: erano le due di notte, chi poteva volere qualcosa da lui?
Aprì la porta, basito di trovarsi di fronte Judal.
-Che cosa-
Non fece a tempo a completare la frase che Judal gli mise in braccio Hanako senza troppe cerimonie.
-Vuoi fare il padre? Eccoti accontentato. Qui- disse sollevando un grosso borsone che poi gli buttò in camera -hai biberon, pannolini e pupazzetti, non dormirà se non ti sarà attaccata e se troverà un lembo di pelle scoperta ti riempirà di succhiotti. La rivoglio per domani a mezzogiorno, tarda di un solo minuto e ti farò buttare a mare. Buona notte Mei.-

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Capitolo 39
*** Capitolo 37: Far di necessità virtù ***


Far di necessità virtù





Una settimana dopo
 
Judal strabuzzò gli occhi, fissando Sinbad che si aggirava per il salotto inquieto e sconvolto, mentre Ja’far al suo fianco pareva ugualmente inalberato. Senza bisogno d’impegnarsi poteva dire di comprendere le loro ragioni.
-Kou ha mandato un ultimatum a Balbadd?-
Ja’far annuì, mentre Sinbad s’infilò le mani nei capelli, angosciato.
-Balbadd non fa parte dell’alleanza dei sette mari, non posso chiedere agli altri alleati d’intervenire, solo noi potremmo farlo, ma per essere d’aiuto dovremmo muoverci tutti, lasciando Sindria scoperta. Allo stesso tempo però Balbadd non ha un esercito capace di fronteggiare Kou, verranno spazzati via in neanche un giorno, senza nemmeno bisogno che schierino i principi sul campo di battaglia se noi non andiamo. Non posso lasciare che accada, la nascita di Sindria è anche merito di Rashid, ma come li possiamo aiutare?-
Si fermò, guardando Ja’far in cerca di consiglio.
Era una gran brutta situazione, dove nessuno vedeva via di scampo.
-Balbadd non ha mai agito contro Kou, e per di più i loro territori non sono nemmeno confinanti, non hanno motivo di attaccarli.-
-Che importa se hanno un motivo o meno, se non troviamo una soluzione fra un mese Balbadd passerà sotto il dominio di Kou!-
-Sinbad- tentò d’intervenire Judal, ma Sinbad lo ignorò, continuando a vaneggiare circa la loro impotenza.
-Sinbad!- urlò per attirare la sua attenzione, riuscendo finalmente nell’intento.
-Non siamo del tutto impotenti.-
Il re lo guardò, amareggiato -Lo siamo-
-Senti, ascoltami per una volta buona. Non so molto di politica, ma conosco i Ren: hanno delle brame di conquista incredibili, ma non hanno mai condotto battaglie lontani dai loro confini, una colonia sarebbe più difficile da difendere in caso d’attacco altrui. Balbadd è un importante polo commerciale, snodo marittimo vitale fra Rem e un sacco di altri paesi, ma a Kou ora sono rimasti solo principi guerrieri, nessuno di loro s’intende d’economia o di commercio. Ora che Koumei se n’è andato saranno probabilmente tutti impegnati a palazzo a cercare di gestire cose che comunque non sanno fare, trattare con avidi ministri e cercare di mandare avanti commerci fiorenti ma non sempre semplici. Hanno un impero immenso, ma la loro economia conta molto sulla guerra, senza, sono in difficoltà. Non possono allontanare i principi da palazzo per lunghi periodi, l’impero imploderebbe, ma guarda caso Balbadd è un paese piuttosto ricco e facile da prendere.-
-Cos’è cambiato? Le tue sono solo ipotesi, e anche se ora sappiamo il motivo, comunque non possiamo aiutarli.- ricadde sul divano, prendendosi la testa fra le mani e tirandosi i capelli, ormai ridotto ad un groviglio di nodi.
-Ti sbagli Sinbad, noi abbiamo un’arma capace di fermarli.-
-Se li attaccassimo noi per primi attireremmo la guerra su di noi, rendendo Sindria un luogo pericoloso. Non ho messo al mondo un figlio per farlo vivere in un regno in guerra.-
Arrivato di fronte a lui, Judal gli abbatte un pugno in testa, non molto delicatamente.
-Mi fai parlare, maledetto stronzo?-
Se non fossero stati in stato di emergenza probabilmente Ja’far avrebbe sorriso.
-Cos’hai in mente Judal?-
Il magi ghignò.
-Non abbiamo bisogno di dichiarargli guerra, basterà solo che li aiutiamo a risollevarsi.-
-Hai detto che non sanno gestire le loro risorse, se anche noi ora li aiutassimo non possiamo sostenere la loro economia in eterno.-
-Sinbad, taci.- lo frenò Ja’far, guardando Judal interessato, sedendosi a sua volta sul bordo del divano, accanto a Sinbad. -Cosa hai in mente? Al di là di tutto Sinbad ha ragione, non possiamo far loro un corso di gestione di un paese come ora stiamo facendo a Sahsa un corso per imparare a leggere.-
Judal sorrise -No, ma possiamo dargli esattamente ciò di cui hanno bisogno, una volta per tutte, senza che a noi costi nulla.- fece una pausa ad effetto, abbassando le braccia e stringendosele al petto, tamburellando con un dito sul proprio gomito.
-Ridiamogli Koumei.-
 
 


Annuì, tenendo in braccio Hanako e facendola leggermente rimbalzare sulle proprie ginocchia.
-È probabile Judal, ma non credo che le difficoltà economiche siano il solo motivo. A quant’ho sentito in effetti pare che l’economia di Kou sia in crisi, ma pensa anche ad un’altra cosa: tutti i principi sono a palazzo, questo te lo so dire per certo, e sono lì da oltre tre mesi. Tutti, quindi anche-
-Kouha! Cazzo, Kouha a palazzo da tre mesi?-
Ja’far e i generali aggrottarono le sopracciglia, guardandoli scettici: di che diavolo stavano parlando?
-Kouha è completamente matto.- gli spiegò il magi -Con la famiglia è sempre stato molto premuroso, ma è assolutamente pericoloso per tutti gli altri. È un grande alpha, incredibilmente potente, e un possessore di djin eccezionale. Ha grande talento e un suo esercito privato, ma degli sbalzi d’umore ingestibili: se davvero lo hanno tenuto a palazzo per tre mesi hanno bisogno che vada in guerra per sfogarsi, o esploderà.-
-Esatto- concordò Koumei -Quindi se anche io tornassi avremo comunque il bisogno di tenerlo impegnato in qualche modo.-
-Non possiamo lasciare che si calmi da solo?- azzardò Sharrkan, e Koumei scosse il capo.
-È una mina pronta a esplodere. Ti ricordi a Kou, quando hai portato via Judal?-
Un brivido attraversò la schiena a Sinbad, facendolo scuotere leggermente e Koumei annuì -Kouha è un alpha fra gli alpha, per nostra fortuna generalmente non se l’è mai presa con nessuno di noi, ma come hai avuto modo di vedere è comunque in grado di sottomettere a sé perfino altri alpha. Sarei felice di aiutarvi, ma la cosa è piuttosto complicata. Potrei sempre far partire una campagna su un confine qualunque, ma il problema è che non avrò tempo. Per arrivare a Kou per nave ci vorranno almeno due settimane, e il calore ormai per me è alle porte.-
-Non puoi teletrasportarti direttamente a palazzo usando Dantalion?- tentò Ja’far, e Koumei scosse il capo.
-Kou non ha più la barriera di Judal, se non attorno a palazzo , per cui potrei arrivare al massimo alla città vicina. Fisicamente lo potrei fare, ma se mi vedessero delle guardie potrebbero prendermi per una minaccia e tentare di uccidermi. Sindria è un paese piccolo, tutti conoscono il volto del re e del suo seguito, ma Kou è immenso, e per mia scelta il popolo non ha idea di che faccia io abbia.- disse ripassando Hanako a Judal, semi-sdraiato al suo fianco.
-Hai un djin per dio, usalo!- sbottò Sinbad, e il principe lo guardò con sufficienza.
-Un omega in calore non ha una gran quantità di magoi, e un odore forte che attrae gli alpha. Non posso semplicemente viaggiare per mezza Kou, sarebbe comodo, ma non posso. Come minimo avrei bisogno di una scorta, ma vedendomi arrivare a palazzo in compagnia di sconosciuti aumentano le probabilità che Kouha possa attaccare.-
-Parlate di questo principe come se fosse il diavolo in persona, onnipotente e onnipresente.- cercò di sdrammatizzare Hinahoho, fallendo miseramente.
-Se anche riuscissimo ad aggirare Kouha, ci sono comunque anche tutti gli altri principi.-
-Credi davvero che potrebbero attaccarti?- domandò Pisti, allucinata da un’idea simile: di dissapori ce ne sono in ogni famiglia, ma uccidere per un’alzata di testa…
-Mei, se ti accompagnassi io? Kouha non mi attaccherebbe mai, e se anche lo facesse ho sviluppato almeno una parziale resistenza ai suoi feromoni, potrei quantomeno trattenerlo per un po’.-
-Stai scherzando Judal, vero?-
-Non puoi andare da solo!-
-Ti farai ammazzare.-
-Dobbiamo ricordarti cos’è successo l’ultima volta con Kouen?-
-Oh, non rompete. Sono un magi, so difendermi da solo-
Ja’far e Sinbad scossero il capo -Non puoi andare a Kou in questo modo, tu ancor più di Koumei saresti in pericolo. È fuori discussione una cosa del genere.-
-A meno che non ci portiate con voi.-
Girarono tutti il capo verso Ja’far, sconvolti.
-Non ha senso che Koumei torni lì da solo a difendere una causa non sua, potrebbero anche non ascoltarlo, e a quel punto saremmo veramente fregati. Per preparare una nave per il viaggio ci vorranno non più di cinque o sei ore, potremo partire domattina, e arriveremo in due settimane. Se davvero Judal può occuparsi di trattenere Kouha, Koumei avrà una discreta libertà di movimento, ma nulla esclude che non cerchino di catturarvi o che.-
-Cosa gli vieta di catturarli comunque?- domandò Dracoon, facendo sfoggio del suo noto pessimismo.
-E come ve la caverete con i bambini? Non li potete portare con voi.-
-Prenderemo due balie e li lasceremo sulla nave.-
-Tre.- li interruppe Pisti, staccando lo sguardo dagli occhi del marito, alzandosi e spostando lo sguardo su tutti i generali, carica di determinazione. -Noi verremo con voi. So che sembra una scemenza- interruppe prontamente le critiche -ma, in realtà è una cosa abbastanza sensata. L’alleanza dei sette mari è tenuta a intervenire solo in caso Sindria venga attaccata, se voi andrete a Kou, indipendentemente dalle vostre buone intenzioni, sarà come se voi aveste attaccato loro, quindi non potrà fare nulla. Ma io e Spaltos siamo eredi di due importanti paesi, attaccare voi non coinvolge l’alleanza nella disputa, attaccare noi sì. Faremo da deterrente, per modo di dire.-
Continuarono a discutere fino a tarda notte, vagliando ogni possibilità, ogni possibile alleanza, e alla fine giunsero alla comune decisione che il piano aveva davvero una sua logica. Una nave pronta alla partenza per Balbadd fu ridestinata per il viaggio verso Kou, alleggerita semplicemente da buona parte delle merci. Una cabina per Sinbad, Ja’far, Judal e i due bambini, una per Pisti, Spaltos e Sofocle e una per Koumei.
Di sicuro fin da subito si erano inimicati i marinai.
 
 
 
*********




-Volete mettere un guinzaglio a questo marmocchio?- sbraitò Bhrol, ritrovandosi Sofocle in mezzo ai piedi, ancora barcollante nell’incertezza dei primi passi, mentre i genitori si godevano il sole ed una buona lettura.
-Sofocle, torna qui!- richiamò Pisti sollevando il cappello di paglia per guardare il piccolo, ed il bambino si girò a guardarla: era incredibilmente intrepido, anche senza i genitori se gli veniva lasciato campo libero si spostava senza tanti problemi, esasperando l’equipaggio della nave che finiva per ritrovarselo perennemente davanti.
-Sofocle, vieni qua!- richiamò Pisti, cercando di utilizzare un tono più autoritario, ma di nuovo il piccolo la ignorò, proseguendo per la propria strada verso la balaustra.
-Ma non potete tenervelo in cabina? Che cazzo, c’è gente che lavora qui, questa non è una crociera, è una nave mercantile.-
-Adesso non facciamola tanto tragica, è solo un bambino!- si offese Pisti, e con lei i marinai.
-È proprio questo il punto, non è solo un bambino, sono tre! Uno cammina, uno gattona, una prende il sole sul ponte e tutti è tre strillano nel bel mezzo della notte! Non siamo baby-sitter, siamo marinai. Avete preso le cabine, avete sgombrato il carico, vi comportate da padroni ma non fate nulla per aiutare. Il carico, la nave e quel che volete sarò anche vostro, ma noi siamo pagati per sportare casse e gestire una nave, non trasportare ospiti.-
Neanche 24 ore dalla partenza, e già si scannavano. Pisti non era un tipo aggressivo, non aveva mai scatenato grandi problemi, ma stava davvero tirando un po’ troppo la corda con quegli uomini. Certo, Sinbad era il re di Sindria e aveva il potere di ordinare loro di smettere di lamentarsi, ma in coscienza capiva quegli uomini, e al loro posto anche lui avrebbe volentieri strozzato Pisti.
-Voi siete pagati da Sinbad, e Sinbad non ha problemi che Sofocle cammini un po’, visto che non fa nulla di male!- ribadì Pisti, incurante del marito che cercava di placarla, così come i marinai lo erano ai richiami del loro capitano.
-Ah non fa nulla di male eh? E che ne dite di-
Gli unici a poter placare gli animi sarebbero stati probabilmente lui e i suoi compagni, ma non avevano diritto di parola in quella disputa: fortuna che sulla nave ci fosse anche una loro vecchia conoscenza.
-Brhol, Yon, Alon, Birgit, basta.-
Le capacità di leadership non sempre sono collegate all’età, alla classe sociale, al genere secondario o alla bella presenza di una persona, possono presentarsi insieme, ma sono fattori slegati.
Rurumu gli aveva ripetuto quella frase come una filastrocca per anni, e lui l’aveva sempre ritenuta una cosa ridicola, ma era la verità: in mezzo a quel branco di teppisti mancati, riciclatisi come scaricatori di porto (e marinai), il capo era il più piccolo, il più basso, quello con una mano amputata. Olba, il piccolo teppista che continuava a indisporre Ja’far solo con la propria esistenza, era a quanto pareva un valido marinaio, l’unico capace di tenere a bada l’equipaggio della Xylvia, forse perché quasi tutti i ragazzi che vi erano a bordo erano arrivati a Sindria insieme a lui dopo una vita da pirati, ma in ogni caso la sua influenza restava indiscussa.
-Dov’è ora il mio piccolo amico rosso?- domandò agli amici, riferendosi a Sofocle con il soprannome che gli aveva affibbiato alla partenza, basandosi unicamente sul colore dei capelli, e individuato il piccolo, intento a cercare di arrampicarsi su delle casse, lo raggiunse, prendendolo in braccio e sequestrandolo senza chiedere nulla a nessuno.
-Che ne dici rosso, mi aiuti al timone?-
Sinbad sorrise, divertito, guardando il ragazzino giocare con il figlio dei generali, sotto lo sguardo vigile di Spaltos e il più totale disinteresse di Pisti, che pareva fidarsi ciecamente di lui, al contrario di Ja’far.
-Ohi, perché non facciamo un bagno?-
-Un bagno?- si girò a guardare Judal. In quei giorni lamentava delle vampate di caldo terrificanti, per cui aveva arrotolato i pantaloni fino al ginocchio e abbandonato l’amato top nero in cabina, con discreto disappunto suo, di Ja’far, Koumei e anche un pizzico di disagio da parte di Spaltos. Ok, più che un pizzico un mare, ogni volta che lo incrociava il cavaliere di Sasan fingeva un atroce interesse per l’oceano o per la propria lettura.
E sì, anche Sinbad lo avrebbe volentieri ripreso perché non era il caso che andasse in giro a quel modo, tanto meno in fase d’allattamento, ma se ci avesse provato avrebbero ripreso a litigare, ed era l’ultima delle cose che voleva ora che Judal pareva averlo perdonato.
-Dovremmo fermare la nave e siamo in pieno oceano, non mi pare una grande idea.- obiettò ragionevole, ma Judal smontò velocemente le sue difese: poteva sempre far montare lui un bel vento che spingesse la nave per recuperare il tempo perso, e pur essendo in pieno oceano erano in un tratto scarsamente popolato da mostri marini.
Gli si avvicinò, sinuoso come un gatto, sedendosi sul bordo della sua sdraio e guardandolo furbescamente, incuriosendo Ja’far sdraiato accanto a loro a leggere.
-Se non fai fermare questa nave ORA- gli bisbigliò all’orecchio, sogghignando in direzione di Pisti, intenta a leggere il labbiale -io ti garantisco che non mi limiterò a girare a torso nudo su questa nave. Girerò proprio nudo, e toccherà a Te scrivere al signor re di Sasan perché suo figlio si è suicidato buttandosi in mare con l’armatura addosso ed un macigno al piede. Quindi, Sinbad che vuoi fare?- chiese ironico, pizzicandogli il naso e sorridendo ferino a Pisti: il secondo dopo si sfilò elegantemente i pantaloni, buttandoli alla rinfusa sul ponte, tuffandosi in acqua per raggiungere la ragazza.
Sospirò, guardando avvilito verso Ja’far -Credi che riusciremo mai a insegnarli le buone maniere?-
-Impossibile.-
Annuì, alzandosi e appoggiandosi al parapetto per guardare meglio Judal e Pisti giocare a schizzarsi, mentre anche il resto dell’equipaggio della nave si tuffava in mare, seguendo l’esempio di Olba, tuffatosi con Sofocle, incurante delle urla del capitano.
-Sin, reggi.-
Allungò meccanicamente un braccio, raccogliendo il velo che Ja’far gli passò, senza badare al resto, almeno finché non lo vide sedersi sulla balaustra.
-Mi prendi in giro per caso, anche tu?-
-Beh, fa caldo, Judal ha ragione. E puoi dire ciò che vuoi, ma muori dalla voglia di buttarti anche tu.-
Scosse il capo. Ja’far aveva ragione, e quindi perché attendere?
-Spaltos, andiamo.- per essere seri avrebbero avuto tempo, ma intanto potevano divertirsi e dimenticare per un po’ i loro problemi.
Quelli, in ogni caso, li avrebbero pazientemente attesi.










Note: mi dispiace per la lunga attesa, specie ora che siamo a un passo dalla fine, e del capitolo molto sconclusionato, ma tant'è, è venuto così, pultroppo conviene farsene una ragione. Per i prossimi capitoli, mi dispiace, ma non ho nulla di pronto e benché io nuoti in un mare di ispirazione in quest'ultimo periodo questa storia pare essere impermeabile, anche se in compenso sto lentamente lavorando a un altra cosa su Magi.
In definitiva, prometto (sperando di riuscire a mantenere le mie intenzioni) di tornare al più presto, ma dubito di farcela prima della fine degli esami, questa dannata didattca a distanza mi esaurisce...
Nulla, a presto
Hoshi

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Capitolo 40
*** Capitolo 38: Non sei conteto di rivedermi? ***


Non sei contento di rivedermi?



Camminare di nuovo per le vie di Rakushou dopo tutto quel tempo aveva un che di irreale, sbagliato. Osservava le persone procedere nelle proprie attività come se nulla fosse, inconsapevoli del fatto che a pochi metri da loro o talvolta solo pochi centimetri, camminavano il re di Sindria, il secondo principe di Kou, l’ormai ex-Magi dell’impero e un paio di principi di paesi stranieri.
Era vissuto in quella città per anni, recandosi al mercato ogni giovedì per accompagnare Kougyoku e vessare i venditori, tanto per passare il tempo, e ora che era stato lontano per un anno non riusciva quasi a capacitarsi di come tutto fosse identico a come lo ricordava: gli stessi banchi, gli stessi articoli, gli stessi bambini vocianti che correvano da una parte all’altra, agitando spade di legno e giocando alla guerra, fingendosi sempre il valoroso Kouen o l’abile Kouha, mentre tutte le bambine cercavano di imitare la più bella, dolce e ambita delle principesse di Kou, Hakuei.
Erano invecchiati tutti di un anno, eppure se non guardava alle sue spalle o alla sua sinistra poteva ancora fingere che nulla fosse successo, che quello passato fosse stato solo un anno sabbatico, tanto per cambiare un po’ aria e farsi due risate. Per un secondo ripensò alle proprie caviglie gonfie, alle continue notti insonni e alle ragadi che l’allattamento gli aveva procurato, e si figurò questo scenario, prima di sentire la vocina acuta di una bambina, attaccata alla gonna della madre, intenta a implorare affinché la donna la prendesse in braccio.
La sua vita era completamente diversa rispetto a quello di nemmeno un anno prima, aveva rinunciato a molto, ma aveva anche ottenuto molto.
-Non distrarti Judal.- lo ammonì Koumei, in testa al gruppo insieme a lui -Non è questo il momento per farsi prendere dalla nostalgia.-
Annuì, continuando comunque a guardare con la coda dell’occhio la bambina di poco prima pur di fingere di non vedere il tetto del palazzo spuntare da sopra le cime degli alberi oltre la collina: la resa dei conti era arrivata.
 
A ogni passo che facevano verso il castello sia lui che Koumei si facevano più nervosi: all’interno del popolo non erano mai state diffuse immagine sue o di Koumei, per cui vagare per la città era stato relativamente facile, ma avvicinandosi al palazzo le guardie si facevano sempre di più, ed era solo questione di tempo prima che qualcuno li riconoscesse: cosa avrebbero fatto quando questo fosse avvenuto restava un mistero.
Iniziò ad aprire e chiudere i pugni per cercare di calmarsi, sbirciando il gruppo alle sue spalle: erano tutti tesi, forse per riflesso, e parevano pronti a far scattare le mani alle armi in qualsiasi momento.
Incrociò lo sguardo di Sinbad e Ja’far, sbirciando brevemente le loro mani intrecciate mentre camminavano: non si sarebbe certo messo a pensare che sarebbero stati meglio senza di lui proprio in quel momento, però certo che la cosa con buona probabilità era vera. Sinbad tentò di sorridergli, risultando scarsamente credibile, mente Ja’far mimò uno “stai tranquillo” che comunque non raggiunse l’obbiettivo, ma lo convinse a girarsi: se fossero stati attaccati lui e Koumei sarebbero stati i più utili, perché conoscevano le tecniche di addestramento dei soldati e i loro punti deboli. Non poteva garantire per la propria sicurezza, ne tantomeno per quella del resto del gruppo, ma in caso di necessità avrebbe fatto tutto il possibile per concedere loro almeno il tempo di scappare.
Arrivarono al cancello del palazzo senza che nessuno li fermasse o ponesse loro alcuna domanda, avanzando con la maggiore sicurezza possibile nel tentativo di entrare a palazzo come se fossero attesi, e magari trovare Kouen per chiarire prima che chiunque li notasse.
Se lo avessero trovato da solo, in biblioteca magari, e gli avesse spinto Koumei fra le braccia senza farsi vedere le cose sarebbero andate lisce come l’olio, perché non credeva possibile che dopo essere stato combattuto per oltre diec’anni dal dubbio “Hakuei o Koumei?” ora improvvisamente Kouen avesse scelto, rinunciando a una grossa parte della propria storia.
Se avesse visto lui, Sinbad o chiunque altro probabilmente li avrebbe ammazzati, incurante della guerra che ne sarebbe susseguita, ma Koumei…
Sentì una mano stringergli il polso in una morsa e la ghiaia scricchiolare in maniera sinistra, e girandosi trovò gli occhi castani di un ragazzo, una giovane guardia, che li guardava minaccioso.
-Dove credete di andare?-
Fece per rispondere “a palazzo”, ma Koumei lo scavalcò -Dobbiamo conferire con il principe Kouen.-
-Il reggente Kouen, vorrete dire.-
Annuì, cercando di apparire convincente, ma il ragazzo gli strinse il polso, per nulla persuaso dalle parole di Koumei, e dovette alzare il braccio libero per intimare a Sinbad e il resto del gruppo la calma prima che quel ragazzino facesse una brutta fine.
-Avete un invito scritto?-
-No.- rispose Koumei, accogliendo tranquillo l’occhiata sbalordita di Judal, salutando con un cenno del capo un altro paio di guardie di cui non aveva memoria. Per cosa diavolo avevano preparato allora quel dannato falso allora, se Koumei non intendeva usarlo?
-Sei nuovo di qui?-
-Sì, e con ciò?-
-Nessun problema, ma se potessi farci la gentilezza di condurci dal capo delle guardie ti potrà confermare che siamo ospiti abituali, veniamo qui un paio di volte l’anno, e non hai nulla da temere.- disse perlustrando il corridoio con lo sguardo, facendosi aria con una mano.
-Non potete entrare senza autorizzazione.-
-Perché non ci scorti tu allora?- propose con calma, prendendo il proprio ventaglio dalla cintola: Mei era bravo a recitare, ma avrebbe molto gradito se avesse smesso di fingersi accaldato per trovare invece una soluzione pratica, il polso gli iniziava a fare piuttosto male, per avere forse 15 o 16 anni quel ragazzo aveva una gran forza.
-Potrei ma- la frase restò a metà, mentre il ragazzo spariva, trasportato chissà dove da un varco dimensionale.
-Sei fuori di testa?- scattò Ja’far, prendendo i bavari del vestito di Koumei -Piombi qui dopo mesi e ti metti subito a fare sparire le guardie del palazzo? Penseranno che vogliamo dichiarare guerra!-
Il principe lo ignorò, spostando lo sguardo su Judal, parlando carico d’urgenza -Chiama Chuu’un. Sono certo che è qui a palazzo, e se ha imparato qualcosa da me in questi anni saprà per certo le attività di tutti i principi e come farci incontrare Kouen quando è solo.-
Sbattè le palpebre, improvvisamente consapevole: se avessero dovuto cercare personalmente Kouen, o cercare di convincere le cameriere che erano attesi sarebbe stato difficile farsi credere, ma Chuu’un era l’unico seguace di Koumei, il suo migliore amico probabilmente, e se era a palazzo (e di certo lo era) avrebbe di sicuro saputo tutto di tutti, non solo i principi e le principesse, ma anche ogni guardia, camereiere e sguattero. Li avrebbe potuti nascondere così da renderli introvabili o al contrario scortarli, e fintanto che avrebbero incontrato solo nuove leve nessuno li avrebbe riconosciuti. Almeno per infiltrarsi tornava utile il fatto che nei tre giorni di rivolta contro la Al Sarmen erano morti quasi tutti i lavoratori di palazzo non dotati di djin o strumento del seguace.
Annuì, facendo segno al gruppo d’infilarsi in una stanza e chiudersi dentro mentre cercava di mettersi in contatto con Chuu’un.
Guradò la stanza del generale, tamburellando nervosamente a terra con un piede: nessuna traccia dell’assistente di Koumei.
-Cosa facciamo?- chiese scuotendo la sfera di cristallo nella speranza che Chuu’un apparisse, senza risultato.
-Aspettiamo. Le stanza così vicine all’ingresso sono quelle del personale di cucina, saranno troppo impegnati a cucinare per accorgersi di noi almeno fino a sera.-
Sinbad e Pisti guardarono il principe risentiti, per nulla convinti dalla cosa: preferivano l’azione, anche una sana battaglia se necessario, ma nascondersi e attendere non era da loro. Spaltos prese il polso di Pisti, costringendola a sedersi al suo fianco e rimasto il solo a fronteggiare ostinatamente la porta alla fine anche Sinbad cedette, sedendosi accanto a Ja’far e facendo segno a Judal di avvicinarsi.
Se fosse dipeso tutto solo dalla loro capacità di attendere ce l’avrebbero fatta, in un modo o nell’altro, ma la sfortuna purtroppo non concordò.
Kouha era imprevedibile, e questo sul campo di battaglia lo rendeva pressoché invincibile, ma era anche infantile, e aveva sempre bisogno di qualcosa da fare, ragion per cui quando restava chiuso a palazzo troppo a lungo poi iniziava a fare i capricci finché non trovava qualcuno capace d’intrattenerlo, e una delle sue attività preferite era nascondino. Lo sentirono avvicinarsi all’urlo di -Yuliya, Yalila, dove siete?- e gli si gelò il sangue nelle vene. Si scambiò uno sguardo con Koumei, tirando al contempo fuori la bacchetta mentre il principe si spostò davanti alla porta.
Quando quella si aprì ci fu un secondo di silenzio e immobilità, poi una quantità di ormoni tali da stordirli, in un secondo.
-Da quanto siete qui?- chiese roco, gli occhi furibondi, superando Koumei senza la minima difficoltà, avanzando verso il resto del gruppo: Spaltos e Ja’far erano piegati a terra, una mano sulla gola nel tentativo di respirare, e anche Sinbad, Pisti e Judal incontravano non poche difficoltà a farlo.
-Cosa volete?- domandò allungando un braccio per afferrare la treccia di Judal e costringerlo a terra, incurante del ringhio di Sinbad.
-Non lo toccare.-
-E perché mai? Non è il tuo omega, non hai diritti su di lui.- replicò con occhi di ghiaccio, mettendo mano all’elsa della spada.
Avrebbe potuto essere l’inizio della fine, e in un certo senso lo fu, ma almeno quel gesto bastò a far attivare la magia mutaforma a Sinbad, sottraendolo al giogo dell’altro alpha.
-State bene?- chiese tuffandosi verso Spaltos e Ja’far, e i due annuirono.
-Cosa diavolo è successo?-
-Ve l’avevamo detto che Kouha è potente.- ricordò Koumei, anche lui ansimante nello sforzo di riprendere fiato -I normali alpha non hanno influenza sui familiari, sugli omega già marchiati e ne hanno ben poca sui beta, ma Kouha è un alpha fra gli alpha, un cosiddetto primario, capace di piegare a sé perfino altri alpha. Dobbiamo aiutare Sinbad, finché avrà la magia mutaforma attiva è abbastanza al sicuro, ma se la interromperà sarà in serio pericolo.-
Annuì a confermare le parole di Koumei, seguendo il resto del gruppo quando questo si tuffò nel cortile interno del palazzo sopra il quale i due combattevano.
Pisti richiamò il gigantesco uccello di Altemyula che aveva portato con sé mentre Judal trasmise la capacità di volare anche a Ja’far, schizzando in aria per aiutare Sinbad.
-Kouha non siamo venuti qui per combattere, vogliamo solo parlare!-
-Avreste potuto scrivere per quello.- ringhiò continuando a menar fendenti rivolti alla gola del re di Sindria, parati con difficoltà.
Koumei ritentò l’approccio diplomatico, fallendo altrettanto miseramente, e prima che potessero accorgersene alla battaglia si aggiunsero anche Kouen, Hakuei, Hakuryuu e Kougyoku, attratti dal rumore. Quando li avevano affrontati a Sindria avevano vinto, erano riusciti a costringerli a ritirarsi, ma il miracolo non si ripeté. Gli equilibri della lotta cambiarono, Kouen contro Sinbad, Hakuei contro Koumei, Kougyoku contro Pisti e Spaltos, Hakuryuu contro Ja’far e lui contro Kouha: fu il primo a ritrovarsi con le spalle al muro, con un braccio di Kouha a stringergli la gola.
-Cosa ti fa credere di avere il diritto di tronare?- domandò il terzo principe, ignorando le urla di Sinbad e di Ja’far. Comprese in quel momento che non solo non avrebbero vinto, ma se avessero insistito sarebbero stati tutti uccisi.
Aveva una sola possibilità, che avrebbe potuto condurre ad una strage o alla salvezza di tutti, ma si parlava di un tiro alla cieca, e d’altronde qual era l’alternativa?
Strinse gli occhi, impegnandosi per utilizzare il teletrasporto senza l’aiuto della bacchetta. Appoggiò una mano sulla pancia di Kouha, cercando di staccarselo di dosso. La sua voce uscì bassa e roca a causa della mancanza d’aria, ma abbastanza forte perché almeno il principe di fronte a lui sentisse.
-Non ferire tua figlia.-
Kouha storse il naso, senza capire, poi abbassò il capo, aspettandosi di trovare le testoline cremisi di Yulia, Yalila o Ylenia, pronto ad ammazzarlo sulla fiducia per aver toccato le proprie figlie, e invece si trovò di fronte due grandi occhi lilla che non aveva mai visto.
Allentò appena la presa sul collo di Judal, quel tanto da tenerlo ancorato al muro ma lasciandogli la chance di respirare. Girò la spada, avvicinando al volto di Hanako l’indice proteso, guardando la bambina allungare una manina nel tentativo di afferrarlo nonostante il clangore delle armi circostanti.
Al grido di -FERMI!- proferito da Kouha tutti si fermarono, guardandolo rinfoderare lentamente la spada e riappoggiare i piedi a terra. Kouen parve sul punto di urlargli di combattere ma le parole gli si mozzarono in gola quando Judal superò il porticato, reggendo Hanako fra le braccia e fissandolo deciso. Quei capelli, quegli occhi, quelle lentiggini…
-Vi presento Hanako, vostra nipote.-

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Capitolo 41
*** Capitolo 39: Responsabilità e scelte ***


RESPONSABILITÀ E SCELTE





-Se è un tentativo d’ingannarci ti farò ammazzare, hai la mia parola.-
Scosse il capo, guardando Kouen con onestà. -Non sono così scemo da tentare una cosa simile.-
-Posso assicurarti che non c’è nessun trucco Kouen, ero presente quando è nata.-
Il principe sbuffò, ignorando deliberatamente le parole di Koumei, continuando a non rivolgere la minima attenzione alla bambina.
-Judal, posso prenderla in braccio?-
-Non ora Kouha- ripeté per l’ennesima volta, incurante del broncio del principe seduto sul pavimento di fronte al divano sul quale sedeva con Ja’far e Sinbad, come fossero di fronte ad una corte marziale.
-Ma è anche figlia mia, ho tutto il diritto di prenderla in braccio!-
-Non sono certo lo sia.-
Lo sguardo affilato di Kouha lo trafisse come una lama -Come sarebbe a dire che non ne sei certo? Guardala, la sua faccia urla Kou in ogni modo possibile, di certo non è di questo idiota.-
-Per quanto ci è dato sapere- lo interruppe Koumei, evitando che Sinbad combinasse una catastrofe -potrebbe essere anche mia.-
Tutti i principi si girarono a guardare il secondo principe con tanto d’occhi, troppo sorpresi per ricordarsi di essere freddi e sospettosi nei confronti dei nuovi arrivati.
-Mei, ma tu non eri un omega?-
-Lo sono- rispose con semplicità, scrollando le spalle -Ma questo non vuol dire che non possa essere figlia mia, solo che è estremamente difficile.-
-Comunque, chi credi sia il padre?- insistette di nuovo Kouha, senza badare allo sguardo allusivo che rivolse a Hakuryuu e Kouen fin quando i due principi non distolsero lo sguardo, poi scosse le spalle.
-Come ho detto Kouha non saprei, non voglio sbilanciarmi.-
-Ma io lo voglio sapere! Mi piacerebbe avere una quinta figlia!-
Sinbad lo guardò stralunato: quinta?!
Lui aveva 30 anni e ne aveva due di cui una non sua, quel ragazzo forse 20 e ne aveva quattro?
-Per cosa sei venuto? Se sei qui è palese che vuoi qualcosa.-
Sorrise, appoggiando più comodamente Hanako contro il proprio petto.
-Noi- disse Ja’far calcando bene la parola, ignorando lo sguardo truce del primo principe -vogliamo che ritiriate l’ultimatum contro Balbadd, e che firmiate un trattato di pace con l’alleanza dei sette mari.-
-Perché dovremmo accettare?-
-Perché in caso lo facciate- intervenne Koumei -riprenderò il mio posto a palazzo, e voi potrete tornare alle vostre vite. Niente più scartoffie e scemenze burocratiche, tornerete ai vostri posti al fronte, e Kou potrà tornare il florido paese che era. In caso contrario Sindria scenderà in battaglia al fianco di Balbadd, e sai bene che non ci conviene, Kouen.-
Il principe parve pensarci per un po’ con un’espressione tetra in volto.
-Sedetevi dietro una scrivania e organizzate la cosa.-
Se non fosse stato costretto a darsi un contegno probabilmente Sinbad sarebbe saltato al collo di Ja’far per festeggiare.
-Volevate altro?- domandò irritato vedendoli ancora tutti lì, e Judal annuì: secondo i loro piani quello era il punto di stop, chiedendo di più rischiavano di tirare troppo la corda e far recedere Kouen dall’accordo, ma era fiducioso nelle buona riuscita del suo piano, e fatto 30 tanto valeva far 31.
-Vorrei che Hanako potesse venire qui. Non tutti i giorni, non con costanza, non per forza in mia compagnia, ma vorrei che quando crescerà possa visitare il palazzo.-
Kouha si mise a saltare contento, lanciando la sua candidatura come cicerone e Kouen scosse una mano spazientito, indifferente alla cosa.
-Abbiamo finito?-
-Sì, direi che non c’è altro.-
-Allora fuori dal mio ufficio.-
Sorrise, prendendo la mano di Sinbad con l’intento di uscire dietro a tutti gli altri principi, ma la voce autoritaria di Kouen lo fermò.
-Vorrei fare due parole con te da soli, se non è un problema.-
Sinbad emise un basso borbottio di gola, simile a quello dei gatti a cui le bambine insistevano a mettere i vestiti della bambola, e pure Ja’far si esibì in un’espressione palesemente contraria, ma Judal annuì.
-Non c’è problema. Kouha, che ne diresti di presentare Hanako a Yuliya e Yalila?- domandò sporgendo il capo fuori dalla porta e dando la figlia in braccio al principe, felice come una pasqua di poter far interagire le proprie figlie con la nuova sorellina.
-Judal, non puoi-
-Non mi accadrà nulla, e non penso Kouha farà del male ad Hanako, ma voi seguitelo, non farà obiezioni.-
Sorrise, baciando la punta del naso a Sinbad e una guancia a Ja’far, chiudendo la porta.
Non aveva mai preso in seria considerazione l’idea di parlare con Kouen da solo, e ogni volta che si era immaginato uno scenario del genere aveva sempre pensato che la sua risposta sarebbe stato un secco rifiuto, e invece, con sua sorpresa, si trovava ad avere piena fiducia in Kouen.
-Perché non hai detto figlia?- chiese il principe senza attendere che tutti si fossero allontanati, lasciando Judal tanto stordito quanto sorpreso.
-Come scusa?-
-Prima. Hai detto nipote, perché non figlia?-
Scoppiò a ridere, facendosi cadere sulla sedia di fronte a quella di Kouen, ignorando il suo sguardo omicida.
-Perché non so di chi possa essere.- rispose allegro, con la sola conseguenza che Kouen si arrabbiò ancora di più, battendo un pugno tale da incrinare il tavolo
-Non dire stronzate, sai benissimo che potrebbe essere di tutti noi, e allora perché hai detto nipote?-
Aveva la voce alta e ferma che usava in battaglia, segno che non poteva permettersi di tirare la corda, così si arrese.
-Per Hakuei.- disse lasciandolo spiazzato -Non penso sappia di te e me, o di te e Koumei, e non spetta a me dirglielo. Non credo sia incapace di accettarlo, è una persone forte e matura, ma saperlo all’alba delle nozze non sarebbe gradevole. Puoi non dirglielo, puoi mentirle, o potrai dirle la verità, sta a te deciderlo, ma sai che è intelligente, se le mentirai lo capirà-
Erano anni che sperava di poter fare quel discorso a Kouen, così quando lo vide risedersi ne approfittò per proseguire.
-Sai, non mi va di sembrare melenso, non mi si addice, ma lei ti ama, come ha sempre fatto Koumei. Non ho mai invidiato la tua situazione, e so che scegliere non dev’essere stato facile, ma sono felice per voi, e vi auguro una lunga e felice vita assieme.-
Lo sguardo del principe era diffidente, pareva non credergli, come se non credesse che quello fosse davvero lui, così decise di dargliene la prova.
-Ah, e figli alpha!-
Per poco non gli volò un trattato di storia antica in testa, ma quando scoppiò a ridere Kouen non mosse un muscolo per farlo smettere, girando il capo per nascondere quella punta di soddisfazione nello sguardo.
Sarebbe stato un buon marito, e pure un buon padre.
 
 
******
 
Prima di tornare da Ja’far e Sinbad aveva voluto fare una passeggiata per il castello, vedendolo con occhi nuovi.
In passato per lui era stato solo un’enorme costruzione in legno, con l’ovvio difetto di essere facilmente infiammabile, ma dopo quasi un anno di assenza ne comprendeva la magnificenza, nell’intarsio dei pilastri, nei dipinti sulla carta-riso, nella cura nei giardini.
La nostalgia produceva strani effetti.
-Cerchi qualcuno?-
Si girò verso Kougyoku, sorridendole. -No, facevo solo una passeggiata.-
-E non vuoi assicurarti che non accada nulla a tua figlia?-
Scrollò le spalle.
 -Non mi è parso qualcuno volesse farle del male, e poi sono stato mamma per due mesi non stop, merito una pausa.-
La principessa incurvò un labbro, avvicinandoglisi. Se così poteva dire, Kouha lo aveva perdonato, e Kouen non pareva intenzionato a linciarlo per i fatti passati, ma Kougyoku aveva ancora negli occhi una ben evidente traccia di rancore, eppure parlò con tono incredibilmente calmo.
-Sei felice a Sindria?-
Annuì. Non aveva mai ritenuto Kou un luogo triste, ma in qualche modo la sua vita lì era sempre stata malinconica, e Kougyoku era forse l’unica persona a cui l’aveva mai confessato.
La principessa si tirò indietro, sforzandosi di sorridere.
-Almeno uno di noi due ha raggiunto l’obiettivo, sono contenta per te.-
Ricambiò il sorriso, abbracciandola dopo tanto tempo.
-Accompagnami a riprendere Hanako, così te la presento.-
-Certo, vieni. Parte del palazzo è andato distrutto, quindi per ora Kouha abita in un’altra ala del palazzo, per cui farai meglio a-
Non ascoltò tutto il monologo di Kougyoku, limitandosi a camminare al suo fianco e guardarla parlare. Lui era uscito dalla sua vita malinconica e ripetitiva, e sapeva bene come far uscire anche lei.
-Immagino che Koumei o qualcun altro ti ha riferito a grandi linee il patto fra Kou e Sindria che abbiamo concordato, ma dubito tu sappia dell’accordo fra me e Koumei.-
Lei non si girò neppure a guardarlo, quasi fosse decisa a non farsi coinvolgere: tanto peggio per lei, perché era proprio lei che il patto riguardava.
-Ho negoziato la tua libertà.-
L’atteggiamento di Kougyoku mutò, facendosi sospettoso, e lui le spiegò ben volentieri i passaggi del suo accordo con Koumei.
-Kou ha già un gran numero di alleanze ottenute tramite matrimonio, per cui Mei ha accettato di lasciarti libera di scegliere se e chi sposare, a condizione che tu continui a combattere.-
-Basta davvero così poco? Non ci posso credere, cos’altro hai dovuto dare a Koumei?-
-Nulla.- le assicurò, ma lei non gli credette neppure per un secondo, e a ragione.
Alzò le mani in segno di resa, sorridendole giocoso -Abbiamo solo parlato da persone adulte ragionevoli e-
-Che cosa gli hai promesso?- il tono secco con cui parlò Kougyoku somigliava molto a quello di Kouen, e aveva le stesse implicazioni.
-Solo che potrà venire a Sindria in qualsiasi momento: non puoi immaginare quanto sia attaccato a Hanako. Mi è sembrato accettabile, e se, come immagino, dovessi mai aver voglia di fare la zia sei la benvenuta.-
La principessa lo guardò scettica per qualche altro istante, in cerca di altri possibili dettagli non detti, e quando si convinse che non ci fosse altro scoppiò a piangere, abbracciandolo per la gioia.
-Grazie Judal, grazie di tutto.-
Sorrise, ricambiando l’abbraccio.
-Sempre detto, che non c’è nessuno più saggio delle mamme.-
 
 ******
 
Nei piani originali non avevano previsto di fermarsi a Kou neppure per una notte, specie perché nessuna loro previsione era stata così ottimistica, ma alla luce delle insistenze di Kouha, Kougyoku e Hakuei accettarono di trattenersi per qualche giorno per fargli conoscere la nipote, che dopo una sofferta decisione aveva preso il cognome Ren e anche il titolo, diventando così Hanako Ren, prima principessa del regno Sindria e quinta principessa dell’impero di Kou.
E, tanto per smorzare l’atmosfera molto seria che si era creata dopo l’incoronazione di una principessina, tenuta lontano dagli occhi di tutti, si erano riuniti tutti in un’ampia sala a discutere di sciocchezze e perder tempo, quasi fossero vecchi amici.
-A Sindria nevica?-
-Quasi mai, l’ha fatto forse due volte da che è stata fondata.- rispose brevemente Sinbad, come sempre a disagio in presenza di Kouha.
-Allora quest’inverno dovete venire a trovarci, così le bimbe potranno giocare con Hanako a fare pupazzi di neve!-
Judal ridacchiò, scambiandosi un occhiata d’intesa con Ja’far. Le bambine, come no, semmai tu pensarono guardando le tre principessine affaccendarsi ai piedi del padre, incredibilmente ben educate per la loro età.
-Sarà troppo piccola per giocare con la neve, ma la porterò volentieri se ciò ti fa piacere.-
Kouha annuì con tale foga che temette potesse staccarglisi la testa.
-Veramente Judal non so se sia il caso, pensavo che-
-Oh ti prego Sin caro, falla venire!- lo implorò il principe tuffandosi ai suoi piedi, accrescendo in Sinbad il senso di disagio. Era fantastico vederlo saltar via come una cavalletta ogni volta che il terzo principe provava anche solo ad avvicinarglisi, rendendo il suo timore talmente evidente che ormai Kouha pareva averci preso gusto e non perdeva occasione per agganciarsi al gomito di Sinbad o tuffarsi ai suoi piedi.
-Non si preoccupi principe, verremo di sicuro.- garantì Ja’far con la solita cortesia, accarezzando la testolina di Robin e sillabando mutamente a Sinbad “è per l’alleanza”, sforzandosi di celare il divertimento.
-Sicuri che non sarà un problema se verremo a Sindria?-
-Assolutamente no, siete la benvenuta.-
-Perché Hakuei sì e io no?- s’indignò Kouha, praticamente sedendosi sulle ginocchia di Sinbad, con il risultato che lui diventò pallido come un lenzuolo mentre Judal e Ja’far non riuscirono più a trattenere le risate.
L’alleanza con Kou aveva una base incrollabile, ben più forte della convenienza economica o delle minacce, e  per la prima volta dopo mesi non avvertivano più la presenza di una minaccia incombente alle loro spalle ma al contrario la rassicurante presenza di un nuovo sostenitore al loro fianco, ed il merito di tutto andava a quello che inizialmente era stato la fonte del problema.
-Così piccola e già così importante, sei la cosa migliore che mi sia capitata Hanako.- sussurrò riprendendola dalle braccia di Kougyoku e baciandole il capo, con molto più amore di quello che credeva di poter donare.
Sinbad sorrise, guardando gli occhioni di Hanako socchiudersi per la stanchezza e liberandosi di Kouha con un vago gesto della mano.
-Se volete scusarci, adesso la nave ci aspetta.-
I principi annuirono comprensivi, salutando cordialmente lui e Ja’far e abbracciando brevemente Judal, baciando il capo dei due piccoli con affetto o comunque simpatia, accompagnandoli fino al porto.
-Dite che è andata bene?- domandò Sinbad dopo aver messo a letto i bambini, guardando il capo bianco di Ja’far poggiato sulla sua spalla sinistra e quello nero di Judal alla sua destra, mentre osservavano tutti assieme brevemente le stelle prima di scendere sotto coperta a coricarsi.
-Direi di sì.- rispose asciutto Judal, trattenendo uno sbadiglio, mentre Ja’far sorrise, guardando la luna quasi ipnotizzato. -Io invece direi solo che sono felice, a dispetto delle premesse di tutta questa storia, e che devo ringraziare voi per avermi fatto trovare il coraggio di vivere davvero senza aver paura di tutto.-
Aveva pensato innumerevoli volte di non farcela, aveva preso delle decisioni, se n’era pentito e le aveva rinnegate o cambiate, agendo nell’interesse suo, in quello di Sindria, per suo figlio o per altri motivi ancora.
Aveva pianto, si era arrabbiato, aveva agito per gelosia, commettendo errori e passi falsi, giungendo dov’era in quel momento fiero di poter dire che sì, aveva dei rimpianti per alcune delle scelte che aveva compiuto, forse per molte, ma che anche se ne avesse avuto la possibilità non avrebbe cambiato nulla di quell’ultimo anno, pronto a prendersi le responsabilità delle scelte sue, di Sinbad, di Judal e dei loro figli, come avrebbe fatto una famiglia

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