Tex-Zagor: La valle nascosta

di Il Moro
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Zagor ***
Capitolo 3: *** Tex ***
Capitolo 4: *** Zagor ***
Capitolo 5: *** Tex ***
Capitolo 6: *** Zagor ***
Capitolo 7: *** Tex ***
Capitolo 8: *** Zagor ***
Capitolo 9: *** Tex ***
Capitolo 10: *** Zagor ***
Capitolo 11: *** Tex ***
Capitolo 12: *** Zagor ***
Capitolo 13: *** Tex ***
Capitolo 14: *** Zagor ***
Capitolo 15: *** Tex ***
Capitolo 16: *** Zagor ***
Capitolo 17: *** Tex ***
Capitolo 18: *** L'autore ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


Questo racconto è un'opera di fantasia basata sui personaggi di Tex e Zagor, i cui diritti appartengono alla Sergio Bonelli Editore e ai rispettivi autori. 
Non detengo i diritti di sfuttamento dei personaggi. Quest'opera è stata pubblicata senza fini di lucro.
  
Questo racconto vuole essere un personale omaggio a due dei principali eroi del fumetto italiano, nonché a una buona parte della mia infanzia.
Sui gruppi Facebook a loro dedicati gira da tempo la domanda: “Perché non li fanno incontrare?”
Io sono uno di quelli contro un incontro tra i due. Ma ciò non vuol dire che non possano comparire nella stessa storia. Una storia come questa. 
Spero che vi divertiate a  leggerla come io a scriverla. 
 
Sul blog dell'autore trovare approfondimenti, articoli sul western, numerosi racconti in ebook e molti altri argomenti interessanti: 
http://storiedabirreria.blogspot.it/ 

In particolare si possono trovare approfondimenti specifici sulla nascita di questa storia in questa pagina:
https://storiedabirreria.blogspot.com/2016/03/tex-zagor-la-valle-nascosta.html
  
La copertina l'ho realizzata da me con un disegno che rappresenta una cintura wampum come quella di Tex ma con il simbolo di Zagor al posto di quello dell'aquila, e con una grafica che vuole riprendere quella delle ristampe Tutto Tex e Tutto Zagor.

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Capitolo 2
*** Zagor ***


Il piccolo messicano sente le guance cascare per la stanchezza, la grande pancia che sbatte ritmicamente su e giù, mentre si inerpica su per il sentiero montano.
«Uff... basta, basta, facciamo una pausa!»
Si piega sulle ginocchia e si appoggia ad un pino bianco appena nato, posando la mano su un nodo grande quasi quanto il tronco. L'albero si piega sotto il peso fino a sfiorare la terra con le fronde.
Il gigante vestito di rosso si gira verso di lui con un sorriso. «Già stanco, messicano?»
«Già stanco?! Sono ore che camminiamo! Dovevamo proprio sobbarcarci quest'altra faticaccia?» 
«Sai che non posso mancare al raduno dei capi Cherokee. Satko nella sua lettera accennava al piano governativo per spostare tutta la nazione nell'Altopiano d'Ozark, e se non mi presento per mediare la pace i capi più violenti...»
«Non parlarmi di quella lettera! Quell'impiastro di Drunky Duck mi è costato un nuovo bagno nella palude e un'intera coscia di maiale!»
«Beh, ammetto che annunciare il suo arrivo suonando un trombone non sia stato il più delicato degli approcci... ma non è colpa sua se stavi finendo di sbafarti le provviste per tutta la settimana sulla canoa!»
«Stavo cercando di comporre una canzone, e il dondolio dell'acqua aiuta l'ispirazione!»
«E anche quella coscia di maiale...»
«L'ispirazione non viene mentre lo stomaco brontola!»
«In ogni modo, non è stato carino rincorrerlo sparando.»
«Acc... Dannaz... Ma la prossima volta imparerà! Senti, quanto manca alla civiltà? Non vedo l'ora di posare le mie stanche membra su una diligenza... magari dopo essere passato dal ristorante.»
«Il trading post dovrebbe essere a mezza giornata di cammino.»
«MEZZA?... Malediz... e cosa vuol dire “dovrebbe”?»
«Non sono mai passato da queste parti. Anzi, non ci è mai passato praticamente nessuno, tranne un paio di trapper con cui ho parlato all'ultimo randez-vous. Dalle loro descrizioni, mi è parsa una buona scorciatoia.»
«Ma non avevi calcolato che avremmo dovuto inerpicarci su quest'accidente di montagna!»
«Esagerato! Non dobbiamo mica arrivare in cima, solo marciare lungo il fianco per un po'.»
«Sarà. Ma al trading post dovrai offrirmi una cena coi fiocchi!»
«Non mancherò. Ma nel frattempo muoviamoci, o dovremo passare la notte fuori. E le provviste le hai finite mezz'ora fa.»
«Acc... Dannaz...»

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Capitolo 3
*** Tex ***


Tiger Jack sfrega le dita della mano destra l'una contro l'altra, facendo volare via la cenere. È fredda. La loro preda ha un vantaggio di due, forse tre giorni.
Tex appoggia la schiena a un grande pino bianco, con un nodo a mezza altezza grande quasi quanto il tronco, ed estrae il tabacco dal taschino. Si arrotola la sigaretta con calma, dando ai cavalli il tempo di riposare. Arrampicarsi su quei sentieri montani è una dura prova per i loro garretti.
James Mardsen è quasi riuscito a sfuggirgli per tre volte, ma in quella zona non ci sono altri sentieri dove possa far perdere le tracce. È stata una caccia molto lunga, e raramente ha dovuto spingersi tanto a nord, così lontano dalla sua giurisdizione.
Ma certe cose si possono fare anche senza una stella. E tocca a lui vendicare i morti, se tra i cittadini di Howe sopravvissuti non c'è nessuno che possa farlo.
Accende la sigaretta e inspira lentamente, lasciandosi invadere i polmoni dal fumo rilassante. La frustrazione per il prolungarsi della caccia e la rabbia per le colpe della sua preda rischiano di fargli perdere la calma, ed è una cosa che non ha mai potuto permettersi.
James Mardsen, prestigiatore, saltimbanco, ciarlatano e truffatore. E ora anche assassino.
Doveva essere davvero bravo con le parole, se è riuscito a vendere il suo intruglio miracoloso a metà degli abitanti di Howe. Non altrettanto bravo a mescere bevande, purtroppo. Il tentativo di aggiungere un'erba dagli effetti afrodisiaci, per spingere i clienti a tornare, si è risolto in un disastro.
Sei persone sono morte la notte dopo il primo spettacolo di Mardsen, altre quattro il giorno seguente, vomitando sangue. Nel frattempo il ciarlatano, vista la mala parata, era già sparito dalla circolazione.
Quando Tex e Tiger, che si trovavano nelle vicinanze per caso, avevano lasciato il paese per dare la caccia a Mardsen, le vittime erano salite a dodici, e dal dottore c'erano ancora due pazienti in condizioni gravi.
Accortosi di essere braccato da Tex Willer, Mardsen si era lanciato in una fuga precipitosa. Hanno trovato il suo carro abbandonato sulla pista una settimana fa. Sta scappando senza meta, con il solo scopo di far perdere le sue tracce.
Ma Tex ha promesso a vedove, vedovi e orfani che avrebbe trovato l'assassino dei loro cari e lo avrebbe consegnato alla giustizia, vivo o morto. E lui mantiene sempre le promesse.
Lancia via la sigaretta con uno schiocco delle dita e fa un cenno a Tiger. Rimontano in sella all'unisono, come un ingranaggio ben oliato.

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Capitolo 4
*** Zagor ***


«Io dico che ci siamo persi.»
«D'accordo, pancione, forse questa scorciatoia non è stata una buona idea.»
«Ah! Allora lo ammetti!»
Zagor si ferma e gli fa cenno di tacere. Osserva la fitta foresta sopra e sotto di loro, attento, cercando qualcosa. Non sa cosa. Qualcosa fuori posto.
«Zagor, cosa c'è ade...»
«Ssh!»
Lo sguardo si perde tra le fronde degli alberi e le lontane cime degli Appalachi, offuscate dalla distanza. La foresta si estende a perdita d'occhio, sia verso valle che verso la cima della montagna. Si odono versi di decine di animali diversi, ma nessun segno di vita umana. Si ha l'impressione di essere soli al mondo.
Zagor chiude gli occhi, e sente la foresta. I suoni, gli odori, il vento sulla pelle: la foresta gli parla.
Rimane in ascolto per qualche minuto, finché Cico non si spazientisce.
«Embè?»
Zagor sbatte gli occhi, come riavendosi da un sogno. «Sì... scusa. È che...»
«Non dirmi che hai un brutto presentimento!»
«Ehm...»
Cico si copre gli occhi con la mano. «Oh, no! Di nuovo! Non è che potresti sbagliarti, una volta ogni tanto, con questi presentimenti?»
Zagor ride. «Non sarà niente, dai. Andiamo avanti, sento odore di fuoco.»
«Fuoco? Ma non vedo fumo.»
«Chi l'ha acceso non deve tenerci molto a rivelare la sua presenza.»
«Incoraggiante... Non è che senti anche l'odore di un arrosto sopra quel fuoco?»
«Ah ah, sei sempre il solito... andiamo a vedere, tanto è lungo il sentiero.»
I due camminano fino ad arrivare in vista dell'ingresso di una caverna. «L'odore viene da lì.»
«Sì, ora lo sento anch'io.»
«Cerchiamo di non farci sparare addosso.» Zagor mette le mani a coppa intorno alla bocca e chiama, a gran voce: «Ehi! C'è nessuno? Tranquilli, siamo amici!»
Deve ripetere l'appello altre due volte prima che una voce roca si degni di rispondere.
«Chi c'é?»
«I popoli del nord mi conoscono come Za-Gor-Te-Nay, Lo Spirito Con La Scure! Io e il Piccolo Uomo Dal Grande Ventre, che è con me, veniamo in pace!»
«Za-Gor-Te-Nay. Sì, si, ho sentito parlare molto di te.» Un indiano ormai anziano, probabilmente uno Shawnee a giudicare dai grandi anelli alle orecchie e al naso, esce dalla caverna per accogliere i nuovi venuti. È terribilmente magro, e ha l'aria stanca di chi ha avuto una vita difficile.
«Venite pure avanti. Venite, venite dentro. Condividerò volentieri il mio fuoco con voi.»
Lo Shawnee rientra nella caverna e Zagor e Cico lo seguono.
«Non è che avresti anche qualcosa da metterci sopra, a quel fuoco?»
«Ma, Cico! Un po' di rispetto!»
«Oh, Piccolo Uomo dal Grande Ventre, la tua fama è giunta anche fino a questa valle sperduta!» dichiara il vecchio. «Purtroppo, la mia età non mi consente più di cacciare. Vivo di frutta che mi viene regalata dalla foresta, di pesci pescati al torrente poco più a valle e del poco che le mie trappole riescono a catturare. Ma sarò comunque lieto di condividere con voi il pesce che ho preso ieri l'altro.»
Cico fa per ringraziare, ma Zagor lo sgomita, prima di sedersi accanto al fuoco. La caverna è ampia e alle pareti ci sono gli attrezzi e le decorazioni tipiche delle capanne shawnee, ma è anche molto umida.
«Assolutamente no, non abbiamo bisogno di cibo. Non dare retta al mio grasso amico, se i suoi denti fossero abbastanza duri mangerebbe anche le pietre.»
L'indiano ride di gusto. «Oh, quelle non mancano, in questa caverna!»
Cico si siede brontolando, accontentandosi di pescare l'ultimo pezzo di carne secca dal fondo della sua borsa e masticarlo lentamente.
«Il mio nome è Mongaela. Ho scelto di vivere quassù, isolato, dopo la morte della mia donna, ormai molte lune or sono. »
«Non capisco...» chiede Zagor.
Lo sguardo di Mongaela si fa sognante, malinconicamente perso in un passato che non tornerà. «Lei non era Shawnee, ma Seneca. Antichi odi ci dividevano, a quei tempi. Non venne mai accettata, finché decidemmo di vivere la nostra vita per conto nostro. Avevamo occupato una piccola valle, più giù, lungo le pendici di questa montagna... mi è dispiaciuto abbandonare la nostra capanna, dopo la sua morte.»
«E non potevi rimanere là?» interviene Cico.
«Eh... no. I wendigo sono stati più forti dei ricordi.»
Cico sbarra gli occhi. «Wendigo?!»
«Da quando sono rimasto solo le notti si sono fatte lunghe. Il respiro di una persona sola non è sufficiente a riempirle. Allora ho iniziato a sentirli.»
«Sentire... chi?»
«Sussurravano, tenendosi lontani, ma io li sentivo. Non sono mai riuscito a capire la loro lingua. Ma si facevano sempre più vicini, ogni notte. Molte volte mi sono alzato e ho imbracciato il mio tomahawk, pronto a combattere seppur tremante di paura. Qualche volta, li ho visti.»
Cico sente rizzarsi i capelli sulla nuca. «Oh, mamma... e com'erano?»
«Erano tanti, ma silenziosi. Non disturbavano gli animali notturni. Ma non potevano evitare di spostare i rami e le foglie. E le ho viste spostarsi, molte volte, anche quando non c'era un alito di vento. Li sentivo sussurrare nella foresta. Vedevo brillare i loro occhi e i loro artigli. A volte intravedevo la loro forma, di sfuggita, quando si spostavano da una zona d'ombra all'altra. Piccoli e su due zampe, ma veloci come gazzelle. Sono arrivato al punto di dormire di giorno, per poter vegliare di notte. Poi, una notte senza luna, ho sentito i loro artigli raschiare l'esterno della capanna.»
«Gulp!» Cico trasalisce, e cerca di fermare il battito dei denti infilandoci in mezzo le dita.
«Ho gridato, sfidandoli, anche se ero paralizzato dal terrore. Ma è stato sufficiente, e se ne sono andati. Non appena è sorto il sole ho raccolto le mie cose e ho lasciato la mia casa.»
«E perché non sei tornato dalla tua tribù?» chiede Zagor.
«Eh... questo vecchio è troppo orgoglioso e ostinato per tornare con la coda tra le gambe da coloro che aveva rinnegato. E poi, non dispero di riuscire a tornare là dove ho vissuto giorni felici, prima o poi. Se i wendigo sceglieranno di preferire un altro territorio di caccia. Ma temo che dovrò spostarmi ancora. Già da due notti ho ripreso a sentire i loro sussurri...»
Zagor appoggia una mano sulla spalla del terrorizzato Cico, per tranquillizzarlo, con il solo risultato di farlo scattare come una molla. «MAMMAIUT... Zagor, accidenti!»
«Ah, ah, stai calmo, pancione mio. È ancora giorno, e i wendigo non possono nuocerci.»

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Capitolo 5
*** Tex ***


Tiger solleva un braccio a indicare un punto dove gli alberi si aprono rivelando la parete rocciosa, più avanti lungo il sentiero. Tex annuisce, e ferma il cavallo. Smontano e si avvicinano a piedi, tenendo i cavalli per le briglie.
Se c'erano tracce davanti alla grotta, ormai il tempo e gli elementi le hanno cancellate. Ma il luccichio del sole su un vecchio tegame di rame a terra, sulla soglia, indica comunque che è stata abitata.
Tex entra per primo. È costretto a chinare la testa, ma dopo l'ingresso la caverna si amplia e prende l'aspetto di un'abitazione shawnee, a giudicare da ornamenti e suppellettili.
Un ingresso così piccolo rende la caverna facilmente difendibile, ma non è servito al suo abitatore: lo scheletro sul terreno non è morto di vecchiaia, come rivelano le numerose costole spezzate, e soprattutto il cranio sfondato, forse da una scure.
È vestito in abiti shawnee, così come shawnee è la scure caduta poco più in là, sul pagliericcio che usava come letto. Le braccia incrociate davanti al volto rivelano che ha cercato di difendersi fino all'ultimo.
Le sue povere cose sono sparse ovunque per la caverna. Sembra che l'assalitore, o gli assalitori, non abbiano portato via nulla, e che il disordine sia dovuto solo alla lotta. Doveva essere una questione personale.
Ancora più strano, sebbene l'uomo sia morto da molto tempo, nessun animale sembra aver mai fatto il nido dentro la grotta, né sullo scheletro sembrano esserci segni di denti. Come se gli animali preferissero evitare quel posto.
Non c'è niente di interessante per loro lì dentro. Tex fa un cenno a Tiger e tornano fuori, a riprendere la caccia.

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Capitolo 6
*** Zagor ***


Zagor e Cico proseguono per la loro strada dopo aver salutato Mongaela.
«Hai s-s-s-sentito quello che ha detto? Wendigo!» esclama Cico, mordendosi nervosamente le unghie.
«Non si riferisce sicuramente al wendigo che conosciamo bene. E non è la prima volta che abbiamo a che fare con un indiano che scambia per uno spirito dei boschi qualcosa di ben più terreno. Ricordi quel ragazzo cresciuto nella foresta? Anche lui era stato scambiato per un wendigo.»
«Va bene. Ma qualcosa che si può scambiare per un wendigo comunque in giro c'è! Lo sapevo io che questa scorciatoia era una pessima idea...» 
«Esagerato. Probabilmente il vecchio Mongaela è rimasto da solo per troppo tempo. Non penso che un branco di demoni silvani si farebbe scrupoli ad attaccare un vecchio solo...»
La marcia prosegue tra le invettive di Cico, finché Zagor interrompe il fiume di lamentele dicendo: «Temo che il buon Mongaela ci abbia fatto fare tardi. Non credo che riusciremo a raggiungere il trading post prima che faccia buio.»
«COOSA?! E me lo dici così? Hai dimenticato che qui in giro ci sono...»
«Sì, sì, va bene. Ora però è meglio cercare un posto per... aspetta.»
«Cosa? Cosa? Sono i wendigo? Sono qui intorno, vero? Oh, lo sapevo che...»
«Ma smettila. Se pure esistessero, dovrebbero essere silenziosi, no? Invece, questo è il passo di un uomo bianco.»
E infatti qualche istante dopo sbuca dalle fronde degli alberi un bianco grande e grosso, alto quasi quanto Zagor ma reso ancora più imponente dal berretto di pelo, dal vestito pieno di frange, dalla barba lunga fino al petto e dalla pancia prominente. Porta un lungo fucile da caccia allacciato alla schiena e un gran sorriso stampato in faccia, oltre a tre conigli appesi alla cintura.
«Oh, avevo sentito bene, allora! Buongiorno!» il vocione del trapper rimbomba contro la parete di roccia. «Se siete trapper anche voi, sappiate che questa è la mia zona... ma non mi sembrate trapper, in effetti.»
«Non lo siamo. Il mio nome è Cico Felipe Cayetano Lopez y Martinez...»
Zagor arresta lo sproloquio di nomi posando una mano sulla spalla dell'amico. «...detto Cico. Io, invece, sono Zagor.»
Il trapper rovescia all'indietro la testa e scoppia in una risata fragorosa, sufficiente a far scappare qualsiasi animale stesse cacciando nel giro di un miglio. «Ah, ah! Siete simpatici, voi due! Quindi, non siete cacciatori? Bene, bene! Ma dove state andando? Queste non sono piste molto battute, di solito...»
«Ci avevano detto che sarebbe stata una scorciatoia, dobbiamo arrivare al trading post di Stuart Lincoln...»
«Continuando da questa parte ci arrivate, ma chi vi ha detto che è una scorciatoia è un cretino o vi ha fatto uno stupido scherzo.»
«E io che avevo detto?» commenta Cico, imbronciato.
«Quindi dici che non riusciremo ad arrivarci prima di stanotte?»
«Oh, no, decisamente no!»
«Mmmh...» Zagor si gratta una guancia, pensoso. «Beh, è andata così. Non sarà la prima volta che dormiamo all'aperto.»
«Ma non se ne parla!» il trapper indica un punto più a valle. «La mia capanna è da quella parte. È piccola, ma c'è abbastanza spazio per due pagliericci in più.»
«Non so è il caso...» inizia Zagor, ma Cico lo interrompe.
«Zagor! Non vorrai offendere il nostro gentile ospite, vero?»
«No, no, certo... ma, amico, non ti conviene offrirci anche la cena, o Cico ti finirà tutte le provviste per l'inverno.»
La risata del trapper risuona di nuovo in tutta la valle. «Dovrò chiudere a chiave la dispensa, allora! Ma non c'è problema, le mie trappole oggi hanno fruttato questi bei tre conigli, quindi a domani ci arriviamo!»
«Non esserne così sicuro...» dice Zagor, sorridendo.
«Ah ah ah! A proposito, il mio nome è Moses Ferretti.»
«Spagolo?» chiede Cico, mentre si incamminano.
«Italiano. Cioè, mio nonno. Io sono nato a Boston, ma la mia famiglia si è trasferita più a est quando...»

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Capitolo 7
*** Tex ***


Il sentiero si fa sempre più impervio. Da molto tempo nessuno lo usa più. A tratti sparisce, sepolto dall'erba e dai rami degli alberi che si protendono cercando di strappare via il cappello a Tex.
Mardsen non è un professionista della fuga. Le tracce che lascia sono evidenti, per chi sa cosa cercare. Una pietra ribaltata, un filo d'erba spezzato, una zolla di terra smossa: segni evidenti come parole in un libro, che indicano che il fuggitivo è passato da qui.
Ma ci sono anche altre tracce, non tutte dovute all'antico abitatore della caverna. Non sono così vecchie, e i piedi che le hanno lasciate sembrano piccoli, come quelli di donne o ragazzini.
Tex vorrebbe accelerare l'andatura per guadagnare terreno, ma non può permettersi di sbagliare: se Mardsen avesse un'alzata d'ingegno potrebbe anche decidere di abbandonare il sentiero nel tentativo di far perdere le tracce.
E il tempo gli da ragione: se non fosse stato prudente quel ramo spezzato gli sarebbe sfuggito.
Ferma il cavallo alzando la mano aperta, e Tiger si ferma dietro di lui. Esaminano meglio la zona, ma non c'è niente che distingua il pezzo di foresta in cui Mardsen si è inoltrato dal resto. Deve aver scelto a caso.
La foresta è fitta, ma non tanto da impedire ai cavalli di andare avanti al passo. Tex dà di sprone e abbandona a sua volta il sentiero, seguito da Tiger.
La foresta si fa ancora più fitta. Questo rende più difficile avanzare, ma anche più facile trovare tracce. Tex e Tiger sono così intenti a osservare il terreno che quasi non si accorgono del simbolo intagliato nell'albero.
È, vecchio, sbiadito, quasi del tutto cancellato dalla crescita della pianta. Ma è evidentemente opera dell'uomo.
Il disegno di un uccello stilizzato, ad ali spiegate, inscritto in un cerchio con quattro piccole punte rivolte verso l'esterno.
Tex rivolge uno sguardo interrogativo a Tiger, che scuote la testa.
Continuano a seguire la pista di Mardsen, imbattendosi ancora nello stesso simbolo. Il più delle volte quasi cancellato dal tempo, tranne i casi in cui è inciso sulle rocce. Solo un paio di volte ne trovano versioni più recenti, comunque vecchie di qualche anno. Sembra che che li ha tracciati sia piccolo, vista l'altezza a cui si trovano.
Il simbolo è ripetuto molte volte, e diventa presto chiaro che Mardsen ha scelto la sua strada seguendo proprio quella tracciata da questi disegni. Si fanno più frequenti.
Più avanzano, più Tex ha la sensazione che si stiano cacciando in qualche tipo di trappola. Ormai sta calando la sera, e forse sarebbe il caso di tornare indietro, sul sentiero, o comunque trovare un posto più facilmente difendibile. Tra poco non riusciranno più in ogni caso a seguire le tracce.
Ferma il cavallo e alza la testa di scatto. È sicuro di aver sentito qualcuno sussurrare.
 

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Capitolo 8
*** Zagor ***


Continuano a parlare del più e del meno camminando dietro a Moses fino a quando arrivano alla capanna. Effettivamente è piuttosto piccola. Ha tre sole pareti di legno, la quarta è sostituita da una prominenza rocciosa che prosegue allargandosi fino a congiungersi alla parete della montagna. Un cavallo bruca l'erba in un recinto proporzionato alla casa. Sulla porta è appeso un acchiappasogni Cheyenne con le piume e l'intreccio dei fili disposti a indicare la professione del padrone di casa, in questo caso un cacciatore.
Il trapper li fa entrare nella capanna, addirittura più spoglia della grotta di Mongaela. C'è una sola sedia accanto al tavolo, quindi invita i suoi ospiti a sedersi sul letto. «Più tardi prenderò della paglia per ricavarne dei giacigli per voi. Intanto mettetevi comodi mentre cucino una di queste bellezze!»
«Perché non due?» chiede Cico. La risata di Moses sembra riempire la capanna fino a farla strabordare.
Alla fine Cico riesce a convincere il cacciatore a cucinare anche metà del secondo coniglio, nonostante i rimproveri di Zagor. Ovviamente la seconda metà finisce tutta nel suo stomaco, sul quale batte poi le mani soddisfatto. «Oh, perfetto! Ci voleva proprio! Adesso manca solo un...»
«Cico, non osare chiedere un dolce!» 
Il padrone di casa sghignazza. «Ah ah, tanto non ne ho! Però ho una bottiglia di whisky che posso condividere con voi per mandare giù la cena, se non vi formalizzate per il fatto che è già aperta!»
«Ma ci mancherebbe! Amico, mi sei sempre più simpatico!»
Cico accetta di farsi riempire il bicchiere due volte, come il loro ospite, mentre Zagor assaggia solo un sorso del suo bicchiere.
«Bene, è ora di andare a dormire! È scesa la notte, e domani dovrò alzarmi presto per andare a piazzare le mie trappole...»
«Non c'è problema.» risponde Zagor. «Anche noi dovremo alzarci presto, se vogliamo arrivare in tempo al campo dei Cherokee.»
«Zagor, spero che tu non voglia costringermi a un'altra levataccia!»
«Se tu non avessi mangiato come un maiale non avresti paura di non riuscire ad addormentarti!»
Moses esce a prendere della paglia per i giacigli, seguito da Zagor. «In effetti, ho molto sonno. La pista deve essere stata più dura del previsto.»
«Ah ah, queste valli sono traditrici! Ti sembra di aver camminato in pianura, invece sei stato su una leggera salita tutto il tempo!»
Portano abbastanza paglia per un giaciglio, sul quale posano una coperta, poi escono a prenderne altra.
«Cos'è stato?» chiede Zagor, dopo essersi fermato di colpo con la paglia in braccio.
«Cosa?»
«Mi è sembrato di aver sentito... non so... un sussurro.»
«Io non ho sentito niente.»
«Ora non sento più nulla neanch'io...» Devo essermi lasciato suggestionare dai racconti di Mongaela, pensa, poi spalanca la bocca in un grande sbadiglio. Gli si stanno chiudendo gli occhi per la stanchezza. 
Rientrando nella capanna trovano Cico già sdraiato sul letto improvvisato, intento a russare sonoramente.
«Accidenti, è proprio crollato!...» commenta Zagor soffocando un altro sbadiglio.
«Ah ah, lo credo bene, si è bevuto doppia razione di sonnifero!»
«Cosa...» Zagor lascia cadere la paglia e si volta, ma il sonno lo rallenta, e il pugno del trapper lo coglie in pieno volto. Normalmente ci vorrebbe ben altro per stenderlo, ma ora sente le sue gambe farsi molli, e crolla sul pavimento. Prima di perdere i sensi sente ancora la risata fragorosa di Moses.
 

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Capitolo 9
*** Tex ***


Estrae il winchester dalla fondina da sella con un movimento fluido, ed è solo quello a togliere la sua testa dalla traiettoria della freccia che sente fischiare accanto al suo orecchio.
La foresta è troppo fitta per mandare i cavalli al galoppo. Tex spara un colpo alla cieca nella direzione da cui è provenuta la freccia e salta giù. Anche Tiger spara due colpi senza mirare, saltando a terra mentre due frecce passano sopra di lui.
Scelgono una direzione a caso e aprono il fuoco per liberare la strada, iniziando nel contempo a correre. Devono spezzare l'accerchiamento, subito.
Tex supera un cespuglio e quasi inciampa in uno dei loro assalitori, che si rotola a terra cercando di fermare il sangue che sgorga da una ferita a una spalla. Dovrebbe gridare per il dolore, invece sibila a denti stretti.
Tiger viene attaccato da un altro di quegli uomini, che balza verso di lui brandendo un'ascia di pietra dall'aria primitiva. I suoi vestiti sono altrettanto primitivi, limitati a un gonnellino di pelle sfrangiata e stivali ottenuti avvolgendo intorno ai piedi diversi strati di pelle e tenendoli fermi con della corda. Come il primo, anche lui ha capelli neri sporchi e lunghi fino a metà schiena, ed è molto basso: arriva a malapena al petto del navajo.
Tiger non rallenta la sua corsa e non cerca di indietreggiare, preferendo infilarsi sotto l'assalitore e rialzarsi di scatto sollevandolo da terra e facendogli fare una capriola in aria. Cade davanti ai piedi di Tex che lo supera con un salto.
Altre due frecce fischiano, arrivando perfino a strappare alcuni capelli di Tiger. Un altro pigmeo, in tutto simile ai primi, tanto che potrebbero essere tutti fratelli, compare al fianco di Tex, che deve abbassarsi per evitare il Tomahawk che gli fa saltare via il cappello. Lo afferra al volo con la sinistra e se lo calca in testa, mentre agita il fucile all'indietro colpendo con la canna rovente il volto del suo assalitore.
Altre frecce cadono intorno, ma gli alberi sono troppo fitti per mirare con precisione, e ormai l'accerchiamento è spezzato. Sentono i pigmei correre dietro di loro, e accelerano il passo per quanto glielo consenta la vegetazione.
Giungono in una piccola radura, l'attraversano a testa bassa, rientrano tra gli alberi e lì si fermano, voltandosi e spianando i fucili in attesa che i pigmei compaiano per farsi impiombare.
Per tutto l'attacco nessuno di loro, nemmeno i feriti, ha emesso un suono più forte di un sussurro.
Solo un urlo solitario risuona, un grido di guerra, da una singola gola:
«AAAHYAAKK!!»
 

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Capitolo 10
*** Zagor ***


La prima sensazione al risveglio è il mal di testa. Zagor la scuote, togliendosi i capelli sudati dagli occhi e recuperando un po' di lucidità.
Non si trova più nella capanna. Sotto il fianco sente un pavimento irregolare, duro e umido. Da qualche parte gocciola dell'acqua.
Ha i polsi legati dietro la schiena. C'era da immaginarlo. Si mette seduto e scuote ancora la testa, mentre la vista gli si rischiara. Si trova in una grotta, una camera apparentemente naturale, al contrario della porta di rami legati e intrecciati che è anche l'unica via d'uscita. È al buio, ma attraverso la porta filtra luce di torce. Luce che viene oscurata quando la sagoma di una testa coperta da un berretto di pelo si staglia attraverso uno spiraglio tra i rami.
«Ehi, il nostro marcantonio si è svegliato!»
«Tu, bastardo! Che ne hai fatto di Cico?»
La risata di Moses rimbomba, segno che dall'altro lato della porta ci dev'essere una camera ben più grande. «Oh, non preoccuparti, lo raggiungerai presto!»
Zagor si alza in piedi e si avvicina alla porta. «Aspetta! Dimmi cosa sta succedendo!»
«E perché dovrei?»
«Perché ti piace prendermi in giro.»
«Ah ah ah! È vero, è vero. Beh, posso anche spiegarti quale fine ti aspetta. Le caverne sotto queste montagne sono abitate da un popolo di pigmei. Mi danno l'oro che scavano da un qualche braccio laterale delle loro caverne in cambio di una vittima sacrificale, di tanto in tanto.»
«Vittima... sacrificale?»
«Hanno un dio, che vive al fondo di un abisso, che pretende sacrifici continui. Temono che se non buttano giù qualcuno ogni tanto venga fuori a prendersi uno di loro. Pensa che parlano sempre a bassa voce proprio per non farsi trovare da questo dio, ah ah ah, che idioti! Un tempo se la cavavano da soli... c'è stato un periodo in cui questa cella era sempre piena di gente, ah ah! Ma ultimamente la loro fobia per la luce del sole è peggiorata, e si è sparsa la voce che questa valle sia infestata dai fantasmi... bah. Ho dovuto andare a cercare le vittime fino nei villaggi vicini. Ma voi siete stati così gentili da cascarmi tra le braccia, ah ah ah!»
Zagor deglutisce, preoccupato. «Quindi, Cico...»
«Oh, è ancora vivo, tranquillo... ma non per molto, ah ah! Non ho ancora capito in base a cosa scelgono il giorno del sacrificio, comunque ce ne vogliono più o meno un paio al mese... al tuo amico tocca stanotte. Per te, ci sarà tempo tra una settimana o due, ah ah ah!»
«Stanotte... e quando?»
«Eh? Oh, direi che manca poco al sacrificio. Una mezz'ora.»
«Allora fammelo vedere!»
«Oh, è in un'altra cella più vicino all'abisso dei sacrifici... e poi, non sei in condizione di chiedere un bel niente. E ora addio, bello, vado a ritirare il mio premio e me la filo... o magari mi fermo per guardare il tuo amico che grida mentre lo buttano nel buco, eh? Ah ah ah!»
Moses si volta e si allontana continuando a ridere, mentre uno dei pigmei si siede su una roccia sotto la torcia appesa alla parete, di guardia.
Le corde che bloccano i polsi di Zagor cedono proprio mentre l'ultimo eco della risata si perde in lontananza.

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Capitolo 11
*** Tex ***


I primi tre pigmei che si sbucano nella radura vengono abbattuti da colpi precisi. Due di loro portavano un primitivo giubbetto di pelle conciata con disegnato sul petto il simbolo dell'aquila nel cerchio.
Frecce volano nella loro direzione, ma si piantano nel terreno o negli alberi. Tex e Tiger sparano ancora qualche colpo mirando verso le foglie che sembrano muoversi o verso quelli che potrebbero essere i pallidi riflessi della luce lunare sulle armi, poi abbandonano la posizione, togliendosi di li prima di venire di nuovo circondati.
Corrono cercando un punto da cui sia possibile difendersi, consci che non riusciranno a far perdere le loro tracce. Tex nota sui tronchi degli alberi altri simboli dell'aquila e decide di proseguire nella direzione in cui si fanno più fitti, sperando che li portino a un tempio o qualcosa del genere.
Tiger rischia di inciampare quando una freccia gli si infila tra i piedi. Piroetta facendo fuoco, e uno dei pigmei che si stava facendo troppo sotto cade. Gli altri si tengono al riparo o non sono così vicini.
Sbucano in un'altra radura con al centro una piccola capanna di tronchi, dal soffitto crollato, evidentemente inutilizzata da molti anni. Ha solo tre pareti, la quarta è sostituita da un ammasso roccioso che prosegue fino a ricongiungersi col fianco della montagna.
La porta è di traverso, appesa a un solo cardine. Tex la stacca con una spallata e si affretta poi a rimetterla su, appoggiandola su un fianco e usandola come barricata. Tiger invece salta dentro attraverso l'unica finestra e usa poi il davanzale poi come appoggio per il Winchester.
La capanna è stata chiaramente l'abitazione di un bianco, ma sembra che sia stato solo il tempo a causarne la rovina. Nessun animale è mai entrato a reclamare i resti di cibo ormai mummificato negli scaffali della dispensa e, seppure ci siano le tracce del passaggio di piedi piccoli come quelli dei pigmei che vogliono ucciderli, pare che si siano limitati a passare senza toccare nulla, se non per tracciare i numerosi simboli dell'aquila di tutte le dimensioni sulle pareti.
Da fuori risuona ancora il grido di guerra. «AAHYYAAAK!!»
«Hai idea di a quale tribù possa appartenere questo grido, Tiger?»
«Nessuna che io conosca.»
«Beh, lascia che quell'uccellino tiri fuori il becco e vedi come glielo stacco.»
Il grido risuona ancora, e Tex ha una rapida visione della sagoma di un uomo di altezza normale con indosso una casacca rossa e gialla, con il disegno dell'aquila, tra le piante. Spara, ma chiunque fosse è già sparito.
Un nugolo di frecce si pianta nelle pareti della capanna ed entra attraverso la finestra e la porta, costringendo Tex e Tiger a mettersi al riparo.
«È fuoco di copertura!» esclama Tex. «Arrivano!»
Quando riescono a riaffacciarsi una decina di pigmei è già uscita dal riparo degli alberi ed è in corsa verso la capanna. I fucili iniziano a ruggire.
Sei pigmei cadono prima di arrivare alla capanna, senza emettere un suono. Uno riesce ad affacciarsi alla finestra, ma viene ributtato fuori da una fucilata di Tiger prima di riuscire ad entrare. Due si buttano contro la porta messa di traverso. Tex non riesce a contenerli e cade, rimanendo schiacciato sotto la porta e il peso dei due uomini. Para col fucile un colpo di scure, e Tiger abbatte l'altro assalitore prima che anche lui possa vibrare il suo attacco. Con solo un pigmeo a pesare sulla porta Tex riesce a sollevarla sbilanciando e facendolo cadere di schiena attraverso l'uscio. Tex si alza puntando il fucile ma il pigmeo sta già sgattaiolando via.
«La prima ondata è respinta... Quante munizioni ti restano?»
«Temo che potrò sparare solo più a colpo sicuro.»
«Peste! Io non sono messo meglio...»
«Tex! Guarda!»
Tex segue la direzione indicata da Tiger. Una coperta di fattura indiana appesa alla parete di roccia è stata trascinata per terra da una freccia, svelando una spaccatura abbastanza grande da permettere il passaggio di un uomo.
Tex va a controllare mentre Tiger tiene d'occhio l'esterno. «Sembra l'imbocco di una caverna. Mi sembra di sentire una corrente d'aria. Potrebbe essere una via d'uscita.»
«O una trappola per topi.»
«No, è sicuramente qualcosa. Intravedo la luce di torce accese.»
«Non sarà un rifugio di questi tizi? Rischiamo di trovarcene altri di fronte.»
«Ma rischiamo anche che usino questa via per prenderci alle spalle. Io dico di entrare. Se è la loro casa, non è possibile che l'unico ingresso sia la capanna di un bianco.»
Si infilano nel cunicolo inseguiti da quello strano grido di guerra.

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Capitolo 12
*** Zagor ***


Il pigmeo di guardia alza la testa di scatto, spaventato, quando la porta della cella viene scossa da un colpo violento che fa saltare alcuni legacci e cadere delle schegge di legno. Si alza in piedi mentre un secondo colpo fa piegare la porta e saltare altri legacci. Indietreggia puntando davanti a sé la lancia, più come uno scudo che come un'arma. Al terzo colpo la porta cede con uno schianto, spargendo ovunque rami spezzati e corde. Zagor la supera come un proiettile lanciato da una catapulta, finisce a terra, si rialza con un'agile capriola e afferra la lancia dello stupefatto guardiano strappandogliela di mano, usando poi la parte in legno come una clava sulla sua testa.
Scavalca il corpo del guardiano prima ancora che finisca di accasciarsi e continua a correre. Si trova in un'ampia caverna su cui si affacciano diversi cunicoli di varie grandezze. Solo tre di essi sono illuminati da torce appese alle pareti. Zagor si ferma un istante ad ascoltare. I pigmei sussurrano invece di parlare, ma se sono tanti tutti insieme e sono eccitati per il prossimo sacrificio: l'eco dovrebbe arrivare lo stesso.
Niente. Zagor sta per scegliere un cunicolo a caso, quando finalmente arriva un rumore: la risata di quel bastardo di Moses. Corre dentro il cunicolo di destra digrignando i denti per la rabbia.
Un pigmeo nel cunicolo si volta sentendolo arrivare. Zagor gli scaglia la lancia in mezzo alle gambe, facendolo incampare, e passandogli vicino prima che cada gli mette una mano in faccia e lo manda a sbattere contro la parete di roccia. Il pigmeo scivola a terra mentre Zagor continua a correre, a testa bassa. Il cunicolo in molti punti non è abbastanza alto per permettere il passaggio di un uomo in piedi.
Sente la voce di cico.
«...mammaiut... ZAGOOOOR!!»
Aumenta ancora il passo. Il cunicolo sfocia in una camera più grande. Un pigmeo all'uscita del cunicolo si volta verso di lui al rumore dei suoi passi, in tempo per prendere un pugno che lo fa volare all'indietro. Zagor gli strappa dalla cintura l'ascia di pietra scheggiata prima che tocchi terra.
Cico, legato a un palo dietro la schiena, sta venendo trascinato da due portantini alle estremità del palo verso un pozzo nero. Tutt'intorno un centinaio di pigmei, forse più, osserva la scena in assoluto silenzio. L'unico rumore sono le urla del messicano.
«ZAGOOOOR! AIUUUTO!!»
Zagor si lancia nella caverna, lanciando il suo grido di guerra e mulinando l'ascia.
«AAAHHYYAAAAAKKK!!!»
Tre, quattro, cinque dei pigmei vengono abbattuti nell'attimo stesso in cui si accorgono di essere attaccati. L'arrivo del colosso furibondo getta la comunità nello scompiglio. Alcuni indietreggiano, spaventati, altri, i più lontani, sfoderano le armi, ma non riescono ad avvicinarsi. Le donne cercano di scappare, mettendo in salvo i loro bambini. Eppure, nessuno emette più di un sussurro. Zagor crede di intuire qualche parola in un dialetto simile al cherokee.
«Zagor! E vai!» esulta Cico, un attimo prima di essere lasciato cadere dai suoi portantini e sbattere il naso per terra.
«AAAHHYYAAAAAKKK!!»
Zagor si fa strada attraverso la folla di piccoletti, il più alto dei quali gli arriva a malapena al petto. Alcuni si fanno avanti per cercare di fermarlo, ma non possono arrestare quella furia scatenata.
Uno sparo riempie l'aria di echi, e una pallottola sibila sopra la testa di Zagor. Si gira e scaglia l'ascia quasi senza mirare. Moses grida quando viene colpito al braccio, e la pistola gli salta via di mano.
Zagor solleva di peso un pigmeo che stava cercando di infilzarlo con una lancia e lo usa come un'arma improvvisata, buttando a terra altri due suoi simili. Zagor raccoglie la scure di uno di loro e finalmente raggiunge Cico al centro della caverna. Taglia le corde con un colpo preciso e aiuta il messicano a rialzarsi, per poi fronteggiare i pigmei. Ma sono troppi.
Il popolo della caverna non li attacca, ma si stringono intorno a loro armi in pugno. Zagor e Cico sono costretti a indietreggiare, verso l'abisso.
«Maledetti mostriciattoli!» sibila il messicano, tra i denti. «Ma sono umani? Non hanno gridato nemmeno mentre li colpivi!»
Nel silenzio della folla il ringhio di Moses rimbomba come un grido. Il trapper si sta precipitando di corsa verso di loro, a testa bassa e con un'espressione folle sul viso, tenendo il braccio attaccato al corpo.
«Mi hai spezzato un braccio, figlio di...»
Moses si lancia verso Zagor con l'intenzione di spingerlo nell'abisso, ma lo spirito con la scure ha gioco facile nello spostarsi di lato. Incapace di arrestare il suo lancio, Moses si precipita verso l'abisso mentre la rabbia sul suo volto si trasforma in terrore.
Colto da un'improvvisa intuizione, Zagor si allunga ad afferrare il cacciatore per la cintura un attimo prima che cada nel buco nero, e lo tira repentinamente all'indietro mandandolo a rotolare in mezzo ai suoi amici. Grida come un folle tenendosi il braccio rotto.
«NO!» grida Zagor, in cherokee, sperando che il popolo della caverna riesca a capirlo.
«Basta vittime! È finito il tempo dei sacrifici!» Si erge in tutta la sua statura e alza l'ascia verso la volta in un gesto di sfida. «Ed è finito il tempo di questo dio oscuro! Io sono Za-Gor-Te-Nay, Lo Spirito Con La Scure! È iniziato il MIO tempo!»
Si sporge sull'abisso, gridando la sua sfida al buio infinito sotto di lui.
«Mi senti, dio oscuro e pauroso, che temi a tal punto la luce da nasconderti nei recessi del terreno? Io sono lo Spirito Con La Scure! Io ti sfido! Vuoi difendere il tuo diritto a ricevere sacrifici? Vieni su, dunque, e provaci! Altrimenti rimani nascosto nel tuo buco, e non venire mai più, mai più a tormentare questo popolo coraggioso! Popolo che ora è sotto la MIA protezione!»
Zagor alza lo sguardo sulla folla, studiando l'effetto delle sue parole. Il silenzio è totale, eccezion fatta per i lamenti di Moses. Gli occhi che lo squadrano sono sgranati dallo stupore e dall'ammirazione. Se riuscirà a convincere il popolo delle caverne che non c'è nessun dio a cui fare sacrifici, forse questa catena di sangue si potrà interrompere, e le persone come Moses non potranno più approfittare dell'ingenuità di questi poveretti.
«Allora?!» grida ancora, verso il pozzo nero.
I pigmei, vedendo che il loro dio non raccoglie la sfida, si guardano tra di loro, dubbiosi. Le armi iniziano ad abbassarsi. I volti si rilassano.
Poi, un gemito sale dall'abisso.

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Capitolo 13
*** Tex ***


Corrono superando torce accese e altri segni che le caverne sono abitate, ma senza incontrare nessuno. Il simbolo dell'aquila è ovunque, a volte inciso nella roccia, più spesso disegnato su coperte e teli appesi.
«Qua rischiamo di perderci!» esclama Tiger, alla seconda biforcazione scelta a caso.
«Non possiamo perderci se non abbiamo idea di dove siamo, no? Avanti, da qualche parte sbucheremo.»
Entrano in una camera più ampia, dove una serie di tende divide gli scomparti di una decina di famiglie di pigmei. Ci sono solo donne, che si nascondono sotto le coperte o si infilano in altri cunicoli, spaventate, trascinando dietro di loro i pochi bambini.
Tex e Tiger proseguono la loro corsa. Il rumore degli stivali di Tex sulla roccia è sufficiente a coprire quasi del tutto quello emesso dai loro inseguitori, che hanno i piedi nudi o fasciati di pelli, e non emettono suoni più forti di un sussurro. Solo l'eco di quello stupido grido riempie di tanto in tanto le caverne, rimbombando in un'eco che rende difficile capirne la provenienza.
Giungono infine in una camera più grande di tutte quelle che hanno superato, ben illuminata, con le pareti laterali quasi del tutto ricoperte dai teli con il simbolo dell'aquila. Al centro si spalanca un pozzo naturale nero come la pece. Intorno all'abisso ci sono numerosi trespoli con appoggiate altre pelli decorate con il solito simbolo.
Fanno per proseguire, ma dal cunicolo che stavano per imboccare sbuca un pigmeo armato. Sparano entrambi, abbattendolo e costringendo il secondo a indietreggiare. Scelgono un altro cunicolo, ma anche da lì si affacciano un paio di pigmei. Nel giro di pochi secondi tutte le uscite della camera sotterranea sono bloccate, impossibile sapere quanti pigmei ci siano dietro i primi.
«Che facciamo, Tex?»
«Scegliamo un cunicolo a caso e lo riempiano di piombo.»
«E finendo le munizioni.»
«Idee migliori?»
Ma i pigmei non attaccano, rimangono fermi agli imbocchi dei cunicoli, come se avessero paura di entrare. Alcuni sussurrano qualcosa ai loro vicini.
Una voce rimbomba da uno dei cunicoli. Impossibile capire quale.
«Ah, finalmente ti ho fregato, ranger!»
«Marsden! Eri tu a lanciare quegli urli? Credevo che questi selvaggi ti avessero già fatto fuori.»
«Oh, credo che ne avessero l'intenzione. Ma quando ho visto questo simbolo dappertutto ho raccontato loro che sono la reincarnazione dello Spirito Con La Scure.»
«Di chi?»
«Io sono nato a nord, nei pressi della foresta di Darkwood... Le storie su Zagor da noi si raccontano ai bambini. Questi selvaggi sembrano prenderle molto sul serio. Mi hanno portato questa casacca vecchia e stracciata, e che potrebbe addirittura essere appartenuta davvero a Zagor, e mi hanno acclamato come loro nuovo capo. Quando si dice la fortuna!»
Tex e Tiger girano lentamente su loro stessi, cercando di individuare la direzione da cui proviene la voce.
«La tua fortuna è finita, balordo. Abbiamo già conosciuto un ciarlatano come te, che è riuscito più volte a far leva sulle superstizioni di poveri popoli primitivi convincendoli a farsi ammazzare per lui. Ma, confronto a lui, tu vali meno di uno sputo. Perché tu non riuscirai mai a essere niente di più di un ciarlatano.»
«Ah, è così? Vedremo tra poco se avrai ancora voglia di insultarmi!»
Mardsen lancia ancora il grido, ma i pigmei esitano. Spostandosi Tiger urta uno dei trespoli e lo fa cadere. Il telo finisce a terra con il simbolo verso il basso. Il mormorio che passa tra i pigmei stavolta è chiaramente avvertibile, e ha un tono spaventato.
Seguendo un'intuizione, Tex abbatte altri due trespoli colpendoli con la canna del fucile. Un altro brusio, e un'espressione di terrore si dipinge sui volti dei pigmei, che iniziano ad arretrare lentamente nei cunicoli.
«Tiger! Tira giù tutti questi maledetti simboli!»
Il navajo non se lo fa ripetere, e iniziano ad abbattere sistematicamente i trespoli e a strappare i teli dalle pareti. Il brusio si fa sempre più forte, poi cessa del tutto, quando l'ultimo dei simboli è stato abbattuto. Tex e Tiger si guardano intorno: non ci sono più occhi spaventati a osservarli dai cunicoli. I pigmei sono spariti.
«Ehi, cosa... No, fermi, fermi! Aspettate, fer...»
Mardsen viene gettato di peso nell'ampia camera, rotolando fino a giungere quasi ai piedi di Tex. Porta una casacca rossa strappata e di due misure troppo grande sopra la camicia.
Tex sorride. «Sembra che i tuoi nuovi amici non siano più tali, eh?»
Tex si china e afferra Mardsen per il colletto della camicia, prendendogli la colt dalla fondina. Poi, un gemito sale dall'abisso.

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Capitolo 14
*** Zagor ***


Il gemito si fa sempre più forte. È il grido sofferente di un bambino che piange, ma moltiplicato mille volte. È il fischio di un treno che morde le rotaie, inarrestabile.
Cico si tortura le dita con i denti. «Zagor... cosa...»
Zagor non risponde. È occupato a osservare il riverbero delle torce che si riflette su qualcosa che si avvicina, risalendo la parete dell'abisso. Sono occhi. Molti occhi. Troppi.
Il dio dell'abisso emerge. Il suo gemito è un grido di rabbia e sofferenza. La sua fame è tale da oscurare la luce delle torce. La sua forma è incomprensibile.
Grande ora tre, ora sei volte un uomo, la sua forma cambia come una goccia d'inchiostro caduta in un bicchiere d'acqua. La sua pelle è così nera da assorbire la luce, rendendo impossibile coglierne la forma per più di un istante. Un corpo tozzo, con un numero indefinibile di tentacoli e altri arti. Ovunque, senza alcuna logica, piccoli occhi dai riflessi arancioni.
E, da qualche parte, la bocca che sta emettendo quel grido che sembra di dolore. La bocca con cui ha divorato tutte le precedenti vittime sacrificali.
Risale con calma fluida, fino a torreggiare su Zagor e Cico. I pigmei arretrano e cercano di addossarsi alle pareti della caverna, ammassandosi gli uni sugli altri.
Zagor stringe la presa sulla scure che stava per sfuggirgli. Il mostro cannibale si protende verso di lui. Zagor porta la scure dietro la testa. Il dio dell'abisso emette il suo gemito. Zagor lancia il suo grido di sfida.
«AAAHHYYAAAAAKKK!!!»
Il dio e lo spirito si lanciano l'uno contro l'altro. Due protuberanze simili a tentacoli saettano verso Zagor, che le schiva di misura con un colpo di reni. La scure si abbatte sul mostro, trovando una consistenza molliccia con dietro qualcosa di duro, come colpire un cuscino posato su una roccia.
Il mostro barcolla ma non indietreggia, ed estroflette un altro tentacolo che Zagor schiva abbassandosi di scatto. Zagor colpisce ancora, dal basso verso l'alto, e il tentacolo che torna indietro per venire riassorbito dalla massa scura gli striscia sulla spalla. È caldo come l'inferno e ruvido come carta vetrata, e porta con sé un po' della pelle dello Spirito Con La Scure.
«Ah!» Zagor asseconda la forza del tentacolo e ruota su sé stesso, colpendo l'essere così forte da farlo indietreggiare verso l'abisso. Un altro tentacolo schizza verso di lui, ma lo devia con un colpo della scure che ne taglia via un pezzo, un angolo d'oscurità solida che si perde tra le rocce. La scure colpisce ancora, e un occhio del mostro scoppia come un palloncino spandendo fluidi arancioni.
Con un nuovo gemito il mostro si fa avanti, e una decina di tentacoli schizza fuori. Zagor non riesce a evitarli, stavolta, e viene stretto in un abbraccio rovente. I tentacoli ruvidi lo spellano lentamente, strappano i suoi vestiti e cavano sangue da mille minuscoli graffi.
«Argh!» Zagor grida nella stretta che minaccia di spaccargli le ossa e lotta con la furia di un orso ferito per liberare il braccio armato.
«AAHYAAAKK!!!» la scure si libera strappando pezzi d'oscurità. Zagor la alza e la cala con tutte le sue forze, facendo esplodere un altro occhio e sentendo finalmente cedere anche la parte dura sotto la scorza morbida del mostro.
«AAAHYAAAAK!!!» ancora la scure si alza e si abbassa, togliendo un altro occhio al mostro, e ancora, e ancora, fino a che il mostro è cieco per metà, e barcolla all'indietro, sui tentacoli che si fanno molli.
«No! Zagor!» Cico sfida il terrore che lo sta attanagliando e si lancia verso l'amico, afferrandone il braccio alzato un attimo prima che il mostro lo trascini con sé nell'abisso.
Zagor e il mostro scivolano giù. Cico batte la pancia su una roccia e rimane senza fiato, ma non molla la presa e infila i piedi in delle rientranze per non farsi trascinare giù a sua volta.
Zagor grida mente i tentacoli del mostro gemente si svolgono lentamente dal suo corpo, lasciandovi altre poco profonde ma innumerevoli e dolorose ferite, fino a che il peso estraneo scompare. Zagor cerca il dio dell'abisso con lo sguardo, ma l'oscurità e il silenzio lo hanno già inghiottito.
«Zagor! Non ce la faccio più!»
Zagor trova degli appigli per i piedi e si issa verso l'alto, accolto dal sospiro di sollievo di Cico che rotola sulla schiena, sbuffando. I pigmei intorno, invece, osservano in assoluto silenzio, stupefatti e ammirati. Nonostante il bruciore delle ferite, Zagor vede la possibilità di far cessare i rapimenti nella valle. Rivolge all'abisso un nuovo grido di sfida
«Io sono Za-Gor-Te-Nay! Io sono Lo Spirito Con La Scure!» grida, rivolto più ai pigmei che al mostro scomparso nel buio che lo ha generato. «Io ti comando di tornare nel tuo abisso, mostro!»
Si batte una mano sul petto. «E questo, questo è il mio simbolo!»
Zagor si sfila la casacca stracciata e la appoggia a terra, sul ciglio dell'abisso.
«Finché il mio simbolo sarà qui, tu sarai relegato nel tuo abisso! Questo ti ordino! Non tornerai mai più a tormentare questa gente!»
I pigmei accolgono il discorso nel solito silenzio.
Zagor aiuta Cico rialzarsi e si dirige verso Moses, che è ancora riverso a terra, dolorante. Lo solleva di peso e gli sibila in faccia la sua rabbia. «Tu ora ci guiderai fuori di qui. Subito.»
Moses annuisce, spaventato e rassegnato, e inizia a camminare scegliendo un cunicolo con sicurezza. Il silenzio e gli sguardi che li accompagnano fuori dalla caverna hanno un che di religioso.

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Capitolo 15
*** Tex ***


 
Il gemito si ripete, più forte, un grido di sofferenza ma anche di bramosia, un grido che esprime una fame insaziabile e un dolore infinito. Poi, sorge.
Come se l'abisso avesse partorito un figlio d'oscurità, una creatura così nera da assorbire la luce delle torce emerge dal pozzo. Una forma incomprensibile, un ammasso di tentacoli i cui contorni svaniscono in quel nero assoluto, punteggiato solo qua e là da numerosi occhi arancioni, sparsi a caso.
Tex e Tiger non perdono altro tempo per cercare di capire cos'hanno di fronte. Il riverbero del fuoco rapidissimo dei fucili illumina le pareti, ma la forma della cosa rimane incomprensibile. Brani di oscurità vengono strappati via e cadono tra le rocce, formando piccole pozzanghere di buio.
La cosa rallenta la sua avanzata, ma non si ferma. Tex e Tiger indietreggiano, ma nei cunicoli li aspettano ancora i pigmei (a meno che non siano abbastanza furbi da essere già scappati a gambe levate). Mardsen, dietro di loro, grida di paura e si infila correndo a quattro zampe nel cunicolo da cui è arrivato, ma viene subito ributtato nella camera. I pigmei ci sono ancora.
I cani dei fucili scattano a vuoto. Tex estrae la colt di Mardsen e la scarica sul mostro mentre Tiger ricarica il Winchester. La creatura inizia ad accusare la pioggia di piombo che le cade addosso. Barcolla e si sposta di lato, non con un passo ma ruotando su sé stessa, come se non avesse una posizione diritta. Il gemito che non ha mai smesso di emettere si fa più stridulo.
 Tiger finisce di ricaricare e apre di nuovo il fuoco, mentre Tex lascia cadere il fucile e la pistola di Mardsen ed estrae entrambe le sue.
Indietreggiando hanno quasi raggiunto Mardsen e la parete. Il mostro continua ad avanzare con un'andatura sempre più simile a un rotolamento. «Allarghiamoci!»
Si separano sperando di confondere le idee del mostro. È lento, ma se le pallottole continueranno a non avere effetto avrà tutto il tempo di prenderli quando le avranno finite. E, infatti, i grilletti di entrambi scattano di a vuoto nello stesso momento.
«Tex! Non ho più niente!»
«Dannazione...» Tex rinfodera una pistola e prende a ricaricare febbrilmente l'altra, senza distogliere lo sguardo dalla creatura. Barcolla, incerta, mentre altri brani di oscurità si staccano dal suo corpo, ma è ancora viva.
Poi, prima che Tex possa finire di ricaricare, il gemito del mostro cessa di colpo, e la caverna piomba in un silenzio improvviso, rotto dal grido di paura di Mardsen. Ora che Tex e Tiger si sono spostati la creatura è proprio di fronte a lui, se pure quel coso ha un davanti e un dietro.
L'essere oscuro ricomincia a gemere, un gemito più profondo, cupo. E non avanza più. Anzi, indietreggia.
«Per Manito!» esclama Tiger. «Ha paura di Mardsen?»
«O forse del simbolo che indossa... Svelto, aiutami!»
Tex si precipita verso il terrorizzato Mardsen, imitato da Tiger, e insieme lo sollevano per le braccia bloccando i suoi tentativi di scappare. Fanno un passo verso il mostro, tenendo il bandito davanti a loro come un amuleto. Funziona. La creatura rotola all'indietro, il gemito si fa sempre più cupo.
Mardsen è folle di terrore, gli occhi sbarrati, la bava alla bocca, ma i due pards lo tengono stretto e avanzano di un altro passo, un altro ancora. Il mostro indietreggia verso l'abisso da cui é uscito.
«Com'era il grido? Com'era quel grido che lanciavi, bastardo?»
Mardsen non risponde. È in preda alle convulsioni, e Tex e Tiger devono usare tutta la loro forza per trattenerlo.
«Me lo ricordo!» esclama Tiger. «AAHYAAAK!!»
Tex grida a sua volta. «AAAHYYYAKK!!»
«AAHHYAAK!!»
«AAAAHYYAAKK!!»
Gridano e avanzano, e il mostro indietreggia, fino a trovarsi sul ciglio dell'abisso. Lì esita, cercando di opporre un'ultima resistenza a questo esorcismo improvvisato. Allora Tex estrae la colt e pianta le sue ultime pallottole nella creatura, mirando agli occhi.
Un ultimo istante di esitazione, e l'essere ricade nel buio.

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Capitolo 16
*** Zagor ***


Raggiungono l'uscita senza altri intoppi, spingendo davanti a loro l'ormai rassegnato Moses. Fuori, il sole sta cominciando a sorgere.
«Credevo che non l'avrei più visto!» esclama Cico. «Zagor, cosa vuoi fare adesso con il popolo delle caverne?»
«Non lo so.» risponde Zagor, cercando nella capanna l'occorrente per steccare il braccio di Moses e dell'alcool per disinfettare le sue ferite. «Si sono resi colpevoli di molte morti. Ma ora che il mostro è stato abbattuto non hanno più motivo di effettuare nuovi sacrifici. Cosa posso fare? Snidarli da queste caverne potrebbe voler dire la fine di un popolo, e ho già visto abbastanza genocidi. Chiederò ai Cherokee di tenere d'occhio questa zona, e se succederà di nuovo qualcosa me lo faranno sapere...»
Nella sua capanna, Moses ritrova un po' della sua baldanza.
«Se non denuncerete questi selvaggi alle autorità, non avrete niente in mano per cui io possa essere giudicato da un tribunale bianco! Lascerete anche me in mano ai Cherokee?»
«Ti tratterebbero meglio di quanto faresti tu con loro. Ma lo sceriffo di Bigsby è un amico. Sono sicuro che mettendoci d'accordo con lui riusciremo a trovare un modo per farti finire sotto chiave per il resto della tua vita. Intanto stai fermo.»
Una volta steccato il braccio e medicate le ferite i tre si mettono in marcia, tornando dalla strada da cui sono venuti.
Passando davanti alla grotta di Mongaela lo chiamano a gran voce, senza ottenere risposta. Cico entra a controllare, uscendo poco dopo con la faccia scura.
«Tu ne sai qualcosa?» Chiede Zagor, strattonando la corda con cui Moses è legato. Quello esibisce un sorriso fiero, sotto gli occhi rassegnati.
«Era da tempo che i miei piccoli amici tenevano d'occhio quell'indiano. Per non so quale motivo avevano deciso che non era idoneo al sacrificio. Troppo vecchio, forse. Lo avrebbero lasciato stare, ma io vi stavo già osservando quando vi siete fermati a parlare con lui, e vi avevo sentito dire che siete amici dei Cherokee. Volevo evitare che, sapendo che eravate spariti, andasse a chiamare la sua gente per cercarvi.»
La rabbia di Zagor esplode in un pugno che quasi disarticola la mascella di Moses, sollevandolo da terra e mandandolo a cadere a sei passi di distanza.
«Era uno Shawnee, idiota! Non sarebbe mai andato dai Cherokee! Un'altra vittima che si aggiunge alla tua lista!»
«Calmo, Zagor.» Cico appoggia una mano sulla spalla dell'amico.
«Già... Già. Forse sarebbe il caso di dargli le esequie secondo le usanze Shawnee... Ma potrebbe volerci troppo tempo. Non voglio trovarmi ancora in questa valle dopo il tramonto. Non sono così sicuro che il popolo delle caverne non si rimetterà in caccia. In piedi, verme!»
Si lasciano mestamente alle spalle la caverna di Mongaela, tornando verso il mondo che conoscono.

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Capitolo 17
*** Tex ***


Tex e Tiger si affrettano a rimettere in piedi i trespoli con le pelli col simbolo dell'aquila intorno al pozzo nero, mentre Mardsen si rotola per terra, sconvolto da spasmi incontrollabili.
Solo quando hanno rimesso in piedi l'ultimo trespolo si accorgono che la caverna si è riempita di pigmei, silenziosi come sempre. Si allontanano dal buco, dirigendosi con calma verso le loro armi ormai inutili, ma i pigmei li ignorano. Si accalcano invece intorno a Mardsen.
Lo raccolgono da terra e lo legano a dei pali che qualcuno di loro ha portato da un cunicolo, fino a che sembra la parodia di una crocifissione. Poi lo sollevano, sussurrando tra loro, lo mettono dritto e lo portano vicino al pozzo. Lì abbassano la rozza croce in modo che le estremità dei pali poggino sulle sponde. Mardsen, a faccia in giù, guarda nel profondo dell'abisso.
Tiger bisbiglia, ma in confronto ai suoni emessi dai pigmei il suo è comunque un grido. «Tex... Dobbiamo lasciarglielo fare?»
«Sì. Guarda bene.» Tex indica Mardsen. Il suo volto è immobilizzato in una smorfia di terrore. «È andato. Il suo cuore non ha retto. Se può tenere chiuso nell'abisso quell'affare, il suo corpo è più utile qui che in una fossa.»
Senza dire altro se ne vanno, cercando di ritrovare il cunicolo da cui sono entrati. I pochi pigmei che incrociano si limitano a farsi da parte, osservandoli in silenzio. Quando finalmente riescono a trovare l'uscita, attraverso la capanna in rovina, trovano ad attenderli l'alba.
«Tex, tu hai capito cosa è successo?»
«Forse... No. Direi di no. Ma i pigmei senza Mardsen a incitarli sembrano pacifici. E la vita che si sono scelti, chiusi nelle stesse caverne in cui abita quel mostro, mi sembra una punizione sufficiente per qualsiasi peccato. Andiamo a cercare i cavalli e poi torniamocene in fretta alla riserva. Ho voglia di sedermi intorno a un fuoco con Carson e mio figlio, passandoci una borraccia di whisky, e di parlare di qualsiasi altra cosa che non sia questa nottata.»
Tiger annuisce, e si inoltrano nella foresta senza guardarsi indietro.
 
 
 
FINE

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Capitolo 18
*** L'autore ***


Nato nell´agosto del ´78 in un paese della provincia di Torino, la lettura è sempre stata la sua passione, e non si stancherà mai di ringraziare suo padre e lo scatolone con i suoi vecchi numeri di Tex che ha trovato in un sottoscala quand´era piccolo, che hanno dato il via a tutto. Da allora ha continuato a leggere, fino a diventare un fanatico divoratore di parole scritte. La sua collezione di libri e fumetti ha ormai raggiunto un peso preoccupante per il pavimento su cui poggia, e meno male che hanno inventato gli ebook.

 Fin da piccolo ha sempre pensato di essere più in gamba degli altri, e leggendo una storia pensava "io l´avrei fatto finire così" oppure "qua mi sarebbe piaciuto di più se fosse successo questo". Visto che nessuno gli dava retta, si è messo a scrivere storie tutte sue, e ora provate a farlo smettere, se ci riuscite. 

Oltre alle storie, come se non avesse di meglio da fare, tiene anche un blog sulla fantascienza, l´universo e tutto quanto, dove raccoglie anche suoi racconti: storiedabirreria.blogspot.it.



Di seguito una selezione degli altri suoi lavori:


SUPERMIKE - UNA NOTTE A NEW YORK

 Può succedere di tutto, nella notte di New York... anche che gli agenti della principale agenzia statunitense per il controllo del paranormale chiedano l´aiuto di un poco di buono, per fronteggiare qualcuno che solo lui si è dimostrato in grado di affrontare in passato.

Ormai da tempo molti fan di Zagor chiedono a gran voce un ritorno del "villain" classico Supermike nelle storie del loro bieniamino. Nel mio piccolo, ho cercato di ovviare a questa mancanza con questo racconto, scritto in collaborazione con i membri del gruppo Facebook "Mike Gordon alias SUPERMIKE".

Tutte le informazioni a riguardo e i link per il download sono disponibili a questo indirizzo: 
https://storiedabirreria.blogspot.com/2018/11/supermike-fanfiction-una-notte-new-york.html




ATTENTO TRINITA´... ARRIVANO I VAMPIRI!

 Nel vecchio west, tra sceriffi e rapinatori di banche, indiani e diligenze, nemici del sapone e pistoleri dal grilletto facile (solitamente vestiti di nero), si muovono anche esseri provenienti da terre al di là dell´oceano, e che non temono il potere del piombo! Trinità e Bambino, loro malgrado, si trovano ad affrontare i non morti! Saranno all´altezza? 

Sedici (più due) film insieme,e non ne ho ancora abbastanza. Ma, visto che ormai è impossibile rivederli sullo schermo, ho deciso di porre rimedio a modo mio con questa fanfiction che li vede nei panni dei loro personaggi più famosi, alle prese con dei vampiri cinesi... 

Tutte le informazioni al riguardo e i link per il download sono disponibili a questo indirizzo:

http://storiedabirreria.blogspot.it/2014/11/attento-trinita-arrivano-i-vampiri.html



CHAVEYO
 

 Nella tradizione Hopi, il Chaveyo è lo spirito vendicatore con il compito di punire chi contravviene agli ordini degli anziani e alle usanze dettate dalla tradizione. Il suo nome viene invocato per spaventare i bambini e chiedere obbedienza. 

Sembra accogliente, la cittadina in cui è giunto Liam Calavera. Disposta ad accoglierlo, senza chiedergli conto del suo passato.
Ma il passato non ti molla. Il passato ti insegue. A volte sotto forma di un mortale spirito vendicatore.
Liam Calavera è l´ultimo sulla lista del Chaveyo. Gli altri hanno già trovato la loro giusta punizione.
 Liam Calavera pensa di aver trovato una casa. Non sa che si sta portando dietro l´inferno. 

Chaveyo è un romanzo thriller-western scritto a quattro mani da Moreno Pavanello e Luigi Iapichino, nel quale un nemico misterioso e implacabile colpisce uno dopo l´altro degli uomini legati da un passato comune.

Tutte le informazioni al riguardo e i link per l´acquisto su: 

https://storiedabirreria.blogspot.com/2018/05/chaveyo-e-uscito.html




EVERGLADES 

Everglades è un racconto contenuto nell´antologia a tema western Storie di frontiera – 1, risultante dal contest Scrittori del west indetto dal sito farwest.it, il primo portale italiano dedicato all´ovest americano e alla sua epopea. 

Il mio racconto, Everglades, narra di una spedizione dell´esercito americano nella suddetta zona paludosa della Florida, durante la guerra con i Seminole. Questo tipo di spedizioni furono una tremenda prova per i muscoli e i nervi dei soldati americani, costretti a confrontarsi sia con la natura avversa che con un nemico apparentemente invisibile. E questa spedizione in particolare si rivelerà come una tremenda odissea.

Tutte le informazioni al riguardo sono disponibili a questo indirizzo:

http://storiedabirreria.blogspot.it/2014/06/il-mio-racconto-everglades-su-storie-di.html



IL DIARIO DELL´AMNESIA

 Il diario dell´amnesia è una raccolta di quattro miei racconti di genere “weird” pubblicata in ebook da Edizioni Hypnos.

 Nel dettaglio, questi sono i racconti: 

Il suo sguardo: un Dio che dà all´umanità un´altra possibilità e un´umanità che non impara dai suoi errori. E la rivelazione di come la misericordia di Dio non sia infinita.
 Speranza Perduta: la primavera araba, la tragedia di un paese, e un terrore dal passato che si aggiunge a quanto c´è già di terribile sulle rotte dei migranti.
 Diario dell´amnesia: la storia di un uomo che si ritrova a vivere nel futuro... ma senza viaggiare nel tempo. Una mente fragile in un mondo alieno, dove tutto quello che conosceva è cambiato.
 Quell´unico viaggio: questa sì, è una storia di viaggi nel tempo. Di un viaggio. Ma nella realtà non funziona come al cinema. Non si possono scrivere delle regole e poi infrangerle. Gli errori di sceneggiatura non sono ammessi.  

Tutte le informazioni al riguardo sono disponibili a questo indirizzo:

http://storiedabirreria.blogspot.it/2016/03/il-diario-dellamnesia.html




UCRÒNIA

Sembra il nostro passato, ma non lo è.

Ma non è nemmeno il futuro.

L´anno è il 1200 dell´era cristiana. Ma qui questo calendario, e questa religione, non hanno mai preso piede.

Sono passati 1970 anni dalla fondazione di Roma. Gli spettacoli dei gladiatori bionici sono lo spettacolo televisivo più seguito di un impero che si estende dal vallo di Adriano alle terre nere di Kush, dalle coste dell´oceano Atlantico ai monti Urali.

Qui i legionari romani sono impegnati a contenere la pressione delle truppe mongole di Gengis Khan che, grazie ai naniti che li potenziano e ai misteriosi poteri del loro signore, hanno sottomesso l´intero continente asiatico.

Il Giappone è disabitato, unica testimonianza della presenza di una fiorente civiltà sono le rovine che ha lasciato dietro di sè. Nessuno sa dove siano andati i suoi abitanti, ma di certo non sono semplicemente scomparsi.

Il popolo vichingo è stato scacciato dalle sue terre d´origine dalla potenza di Roma, e ora vaga per gli oceani sulle immense navi-montagna, in cerca di una nuova terra da chiamare casa.

L´impero Maya di Theotihuacan parla con i suoi dei offrendo loro sacrifici, e gli dei rispondono donando agli uomini il potere di dominare la materia inerte.

Il califfato arabo domina il potere del fuoco e del petrolio, piccolo in un mondo di giganti eppur sicuro della sua forza.

Il popolo pellerossa nel nord del continente americano ha accolto dentro di sè i doni del cielo, che ha trasformato i loro corpi rendendoli tutt´uno con qualcos´altro.

E c´è ancora molto altro da scoprire.

Ucrònia (con l´accento sulla O) è un ciclo di racconti, attualmente al settimo volume, di genere ucronico-fantascientifico.

Ambientato nel 1200, tra un impero romano che ha resistito oltre la sua fine naturale impegnato a resistere alle orde mongole di Gengis Khan, un fiero popolo vichingo costretto all´esilio in mare e un Giappone che domina i cieli con la sua luce solida, un impero Maya al massimo splendore e i misteriosi abitanti del nordamerica, in Ucrònia la storia non assomiglia per niente a quella che conosciamo. Arti bionici, città volanti, navi grandi come montagne, pietra vivente: questo e altro vi aspetta in Ucrònia. Con l´accento sulla o.

Ogni racconto è leggibile a sé stante, ma tutti insieme vanno a comporre un grande affresco di questa storia passata e futura al tempo stesso.

Trovate non solo tutti i racconti fin´ora pubblicati, ma anche una serie articoli di approfondimento sull´ambientazione e sulla realtà storica che è stata piegata al volere degli autori, sul sito:

http://ucroniasaga.altervista.org/

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