A due passi dal suo cuore

di Iaiasdream
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap 1 ***
Capitolo 2: *** Cap 2 ***
Capitolo 3: *** Cap 3 ***
Capitolo 4: *** Cap 4 ***
Capitolo 5: *** Cap 5 ***
Capitolo 6: *** Cap 6 ***
Capitolo 7: *** Cap 7 ***
Capitolo 8: *** Cap 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Cap 1 ***


NDA: *entra fischiettando* vista l’ora, vi augurerei buona notte… ma che diavolo pubblico alle due e mezza di notte? Be… la mia nuova storia!
Non vi liberete di me tanto facilmente.
Sì, sono di nuovo io con questo mio nuovo sfogo di mezzanotte. Scrissi i primi capitoli di questa storia quando avevo ancora il pannolino (WTF). Siccome non l’ho mai dimenticata ho deciso di scriverla e di regalarla al mondo (?). Spero che questa nuova avventura, possa piacervi.
BUONA LETTURA.
 
 
 
 
 
Capitolo 1


 
 
Dalla torre dell’orologio riecheggiarono cinque rintocchi appaiati dal rumore di un carretto trainato da un mulo che attraversava la piccola e inabitata piazzetta.
Dietro una finestra dell’albergo Camerini, Davide Campana osservava la scena in silenzio, abbottonandosi la camicia dal tessuto pregiato. Diede un’occhiata anche all’orologio e facendo una smorfia con le sue labbra carnose, si volse verso la stanza da letto dove una giovane donna giaceva nuda fra le lenzuola disordinate, testimoni di una notte di passione.
L’uomo si avvicinò lentamente per raccogliere la sua giacca dal triclinio e, estratto un sacchetto dalla propria tasca, porse due banconote da cinquecento lire sul comodino.
Volse i suoi occhi azzurri verso la ragazza e accennò un sorriso sghembo prima di recarsi alla porta d’entrata.
<< Ci rivedremo, vero? >> lo fermò una voce roca e innocente.
Davide non si girò e, leccandosi il labbro inferiore, rispose << No. >> poi uscì e la lasciò sola.
Quel diniego non dispiacque alla ragazza, in fin dei conti era pagata profumatamente per il piacere che aveva elargito tutta la notte. Doveva sentirsi onorata per essere stata scelta dall’uomo più ambito di Rovo, e a modo suo lo era, finalmente avrebbe potuto cantar vittoria davanti alle sue compagne di lavoro e vantarsi di aver fatto godere l’affascinante quanto arrogante Davide Campana.
Quest’ultimo scese le scale dell’albergo fermandosi alla portineria per pagare la sua solita permanenza.
La portinaia, una donna di mezza età, era indaffarata a pulire la sala d’aspetto, e quando si vide comparire davanti il giovane, non ebbe alcuna reazione, siccome era abituata alle sue uscite mattiniere.
<< Buongiorno, signora Filomena. >> la salutò il ragazzo sfoggiando un radioso sorriso.
<< A lei, signor Campana. >> rispose la donna poggiano una mano sul grasso fianco. E come da copione, l’ospite lasciava il suo denaro senza aspettare il resto, e la donna rimaneva in silenzio, attendendo di vedere scendere la giovane donna che aveva passato la notte con lui, un’altra. Sì, perché era talmente abituata a vederlo con una ragazza diversa che ormai non si scandalizzava più come solevano fare le sue amiche comari della confraternita.
Aveva imparato anche lei a preferire il vil denaro ai pettegolezzi che giravano fra le vie del paese, soprattutto quelle sulla famiglia Campana.
Tutti, dalla via che dava il benvenuto a quella che ne augurava il ritorno in paese, conoscevano la storia dei Campana, di come avevano perduto ogni ricchezza e di come il figlio maggiore a soli diciotto anni l’aveva riacquistata, forgiando anno dopo anno il rispetto e l’onore di un tempo.
A differenza delle chiacchiere che correvano come il vento, Davide non aveva dimenticato i sacrifici che per cinque anni aveva dovuto sopportare per mantenere in piedi ed espandere la sua proprietà. Col passare di quei lunghi anni quella terra era stata talmente generosa con lui, che si fece avvalere del nome: Selva Reale, grazie alle sue distese verdeggianti e di lotti ricchi di alberi.
Fortunatamente quei faticosi cinque anni erano passati in fretta e per Davide Campana erano diventati solo un lontano ricordo.
Attraversando la piazzetta, giunse alla scuderia dove aveva lasciato il suo frisone, vi montò sopra e si diede al galoppo per uscire dal paese e raggiungere la sua maestosa tenuta.
Ad accorgersi del suo ritorno, fu il vecchio e fedele Giacomo, il maggiordomo. Gli aprì la porta accogliendolo col suo cordiale quanto solito sorriso.
Davide gli porse il pastrano nero e lo salutò sorridendo a sua volta.
<< Signore, vostra madre è ancora sveglia. >> lo avvisò l’uomo con un tono di voce pacato.
<< Dov’è, adesso? >> chiese il giovane.
<< Vi sta aspettando nella sua camera. Permettetemi di dirvi che l’ho vista alquanto preoccupata. >>
Pima di allontanarsi, Davide lanciò uno sguardo curioso al maggiordomo, poi salì le scale per raggiungere la camera della madre. Trovò la porta aperta e vi entrò silenziosamente.
Clara Giuliani, se ne stava seduta sulla grande poltrona accanto al camino quasi spento. Indossava una vestaglia di taffetà chiara, e aveva i capelli biondi, sciolti che le coprivano il petto con ciocche ondulate. Gli occhi grigio azzurri, come quelli di suo figlio, erano piantati su un libro dalle pagine ingiallite sfogliate con non curanza da dita affusolate.
<< Madre. >> la chiamò il giovane posizionandosi al lato della poltrona.
Clara trasalì e alzò istintivamente gli occhi. Il suo viso rammaricato si stese in una contenta espressione che risaltò tutta la sua bellezza.
<< Davide, sei tornato, finalmente! >> mormorò la donna, lasciando il libro sul tavolino adiacente.
<< Perché siete sveglia? È ancora presto. >>
<< In realtà, non ho dormito affatto. >> spiegò lei abbassando lo sguardo come qualcuno che ha colpa. << Ero preoccupata per te. >> aggiunse << ultimamente, passi tutte le notti fuori ed io… >>
<< Madre, non dovete preoccuparvi. So badare a me stesso. >> la interruppe Davide accarezzandole affettuosamente il viso.
<< Lo so. Ma sono io a sentirmi sola, anche se ci sono Angelica e Mattia, loro sono ancora piccoli ed io… >>
<< Mamma, non siete sola. La casa è piena di cameriere e poi c’è Giacomo. >>
La donna sorrise malinconica, e si morse la lingua per non proferire la sua vera preoccupazione, per non far sapere a suo figlio che aveva paura di essere abbandonata anche da lui, che ogni volta in cui il ragazzo usciva, era terrorizzata dal pensiero che non avrebbe fatto più ritorno, proprio come suo padre.
Malgrado quelle parole non furono dette, Davide comprese i mesti pensieri e, afferrando la mano di sua madre, ne baciò il dorso, tranquillizzandola con quello sguardo magnetico, come lui solo sapeva fare.
 
***
 
Dal cielo plumbeo, iniziò a precipitare qualche goccia di pioggia che col passare del tempo si faceva più frenetica, andando a sbattere sui vetri di una finestra che racchiudeva una stanza semplice e povera di mobili: c’erano due letti paralleli, divisi da un comodino con due cassetti, difronte a questi un armadio a due ante strette con affianco un lavabo e uno specchio. Supina su uno dei due letti, una ragazza dai capelli fulvi e ricci osservava il soffitto immersa nei suoi pensieri, più in là, accanto alla finestra, un’altra giovane con la divisa da cameriera fissava annoiata i rivoli di pioggia che si erano formati sul vetro.
<< Non c’è più niente di così noioso della pioggia >> affermò quest’ultima sbuffando
<< Che ci vuoi fare, la pioggia vuole avvisarci che l’estate è terminata, e che un altro, lungo e noiosissimo inverno vuole riprendere la sua parte nel mondo >> continuò la ragazza fulva alzandosi dal letto e recandosi al lavabo. Si tolse velocemente la camicia da notte e, immerse le mani nell’acqua, le tolse subito rabbrividendo << E anche il freddo sta facendo la sua parte >>.
La ragazza vestita da cameriera si volse, guardò la sua amica con i suoi occhi castani e sorrise << Muoviti Marina, fra dieci minuti dovremo trovarci in cucina per preparare la colazione ai signori >> disse rallegrandosi di colpo.
<< Non so come tu, Rebecca, faccia ad essere così allegra, nel preparare la colazione a persone che non conosciamo neppure >> affermò Marina sciacquandosi velocemente la faccia << se lo raccontassi ad un estraneo, dubito che mi crederebbe >>
<< Ti sei accorta che fai lo stesso discorso tutte le mattine? >> chiese scherzosa Rebecca << sono due anni che lavoriamo per questa famiglia, avresti dovuto rassegnarti già da tempo >>
<< Non vedo l’ora che arrivi domenica… >>
<< Ma siamo solo all’inizio della settimana! >>
<< Ed è proprio per questo che mi lamento! >>
<< Ma smettila! >> esclamò Rebecca dandole un affettuoso spintone.
Ormai pronte, le due cameriere si recarono fuori dalla stanza, nel lungo corridoio incontrarono altre quatto colleghe e salutatesi si avviarono insieme nella cucina dove trovarono Agnese, la capo cuoca, con le mani sui fianchi e con quell’espressione severa che rappresentava il marchio del suo carattere intrattabile.
<< Buongiorno ragazze! >> esclamò.
<< Buongiorno Agnese >> risposero le altre, all’unisono.
<< Mettetevi al lavoro, la colazione deve essere servita fra otto minuti esatti >> continuò, poi, volgendosi a Rebecca le ordinò di occuparsi del caffè. La ragazza acconsentì con un gesto secco del capo e si precipitò ai fornelli.
La mattina trascorreva sempre in quella maniera: la cucina era sempre movimentata da cuoche che non smettevano mai di cucinare, che preparavano la colazione, pranzo e cena per persone che, come aveva detto Marina, non conoscevano, di loro sapevano soltanto il nome: Campana.
Fra tutti i servitori della tenuta, solamente le donne che lavoravano nelle cucine non avevano il permesso di entrare nella casa padronale. Soltanto Agnese aveva il permesso di varcare la grande soglia per essere aggiornata dal maggiordomo, sulle nuove disposizioni dettate dai padroni.
Anche la cucina era estranea al palazzo, infatti, era situata a dieci metri di distanza da esso.
All’infuori di Marina, nessun’altra cameriera si era mai lamentata del proprio lavoro, tutte lo prendevano seriamente, soprattutto Rebecca: amava cucinare e quando preparava anche un semplice caffè, ci metteva l’anima.
 
***
 
Come ogni mattina, Giacomo era solito recarsi nelle stanze del padrone per avvisarlo della colazione, dopodiché aveva il compito di aprire le finestre per dare una ventata d’aria pulita alla stanza.
Davide, seduto dietro la sua scrivania, osservava in silenzio le mosse del maggiordomo. << Che orrenda giornata! >> esclamò guardando i vetri della finestra sbavati di pioggia << Spero solo che la merce non si sia bagnata >>
<< Non preoccupatevi signore >> intervenne Giacomo << sono sicuro che il signor Roselli ha pensato a tutto, come sempre >>
<< Lo spero >>
<< Volete che vi porti il giornale? >>
<< No, lo leggerò in sala da pranzo >>
<< Come volete signore. La colazione è pronta >> ripeté.
<< Arrivo subito >>.
Giacomo fece un inchino non visto e uscì dall’appartamento chiudendo la porta.
Davide lo seguì dopo essersi cambiato d’abito. In sala da pranzo, incontrò sua madre e i suoi due fratelli più piccoli Angelica, dodicenne pestifera, ma con la stessa bellezza di suo fratello: capelli lunghi neri e ricci, occhi azzurro cielo e labbra disegnate sempre in un sorriso che la diceva lunga, e Mattina un piccolo e paffutello bambino di cinque anni, biondo come la mamma e dal visetto angelico; era timido, debole di salute ma molto dolce con le persone che gli stavano accanto.
<< Buongiorno fratello >> esclamò più di tutti Angelica.
<< Angelica, contegno! >> la rimproverò sua madre.
<< Buongiorno a tutti >> rispose sorridendo Davide, che prima di sedersi baciò la mano di Clara, poi guardò Mattia intento a mangiare un pezzo di brioche.
<< Mattia… >> mormorò Davide << come stai oggi? >>
<< Bene >> esclamò con voce trillante il bambino. Ed era vero, il suo viso non era pallido come gli altri giorni, ora il bambino aveva un dolce rossore sulle guance, che lo rendevano più bello.
<< Anche oggi hai da fare? >> chiese Angelica al fratello.
<< Sì, Angelica. Devo effettuare una consegna >>
<< Perché non mi porti con te? >>
<< Angelica! >> intervenne sua madre << Non sono cose da femmine! >>
<< Oh, ti prego Davide! >> continuò lei piagnucolando.
<< Mi dispiace, piccola… ti annoieresti di sicuro >> rispose il giovane sorseggiando una tazza di caffè. Al lato del tavolo si accorse che Giacomo aveva appoggiato il giornale, lo prese e, aprendolo, lesse qualcosa per poi prendere l’orologio da taschino e constatare che era giunto il momento di recarsi al lavoro. Alzandosi, ordinò al maggiordomo di far preparare la carrozza, infine, rimise in tasca l’orologio e ripiegò il giornale, diede un ultimo sorso al caffè e si alzò augurando buona giornata a tutti.
<< Ah, Davide? Aspetta un momento >> esclamò Clara.
<< Ditemi madre >> chiese il giovane incuriosito.
<< Ho dimenticato di dirtelo. Ho permesso a zio Nicola di farci visita. Ho fatto male? >>
Davide esitò e digrignò la mascella << Ma no madre >> rispose sorridendo forzatamente, è vostro fratello >> aggiunse con voce roca, poi uscì e recatosi fuori dal palazzo vide che in lontananza la carrozza lo attendeva, accettò l’ombrello da un cameriere, lo aprì e copertosi il capo raggiunse la raggiunse.
Il cocchiere oscillò le redini facendo partire i bruni stalloni. Percorso qualche chilometro, arrivarono ad una masseria, movimentata da uomini che trasportavano casse piene di uva, muli che trainavano carri e un uomo che gridava dando ordini. Fermata la carrozza, Davide scese e si avvicinò a quest’ultimo.
<< Buongiorno signor Roselli! >>
<< Oh, buongiorno signorino Campana >> rispose l’uomo allegro.
<< Allora? Come va la consegna? Problemi con la pioggia? >>
<< Non preoccupatevi, l’uva ha raggiunto la sua destinazione, asciuttissima, questo è il secondo viaggio che facciamo, ne mancano ancora tre >> rispose l’uomo soddisfatto del proprio lavoro << Quest’anno è stata una raccolta molto abbondante >>
<< Lo vedo! >> affermò contento il giovane << Bene, allora buon lavoro. Io mi reco all’azienda Acquaviva. Ci vediamo questa sera per la paga. >>
<< Certo signore. Buona giornata >>
Davide risalì sulla carrozza e ordinò al cocchiere di ripartire. Pochi minuti dopo raggiunsero l’azienda di Gabriele Acquaviva, suo amico d’infanzia, ma soprattutto principale acquirente.
Questo, lo aspettava all’entrata dello stabile e quando lo vide uscire dalla carrozza, spalancò le braccia salutandolo a voce alta.
<< Amico mio! Hai fatto veramente bene a convincermi! Non ho mai visto una raccolta così abbondante in tutta la mia vita! >>
<< Esagerato >> ribatté Campana accettando l’invito amichevole.
Gabriele avvolse le sue spalle con un braccio e lo accompagnò all’interno dello studio. Quando vi entrarono lo invitò a sedere vicino la scrivania e lui, facendo il giro, gli sedette di fronte, aprì un cassetto e afferrò un registro e un blocchetto degli assegni.
<< Allora… >> riprese Gabriele << Con quest’ultima consegna, la stagione dell’uva è finita? >>
<< Sì, finalmente >> rispose Davide sospirando.
<< E così avrai più tempo per te stesso >> continuò l’amico compilando l’assegno.
<< Non direi… tra poco inizierà la raccolta delle olive >>
<< Sai già a chi consegnarle? >>
<< Avrei in mente qualcuno >>. Gabriele sorrise, strappò l’assegno e lo consegnò a Davide che lo prese ricambiando l’espressione. I due rimasero in silenzio per qualche secondo, poi, quando Gabriele finì di aggiornare il registro, volse lo sguardo all’amico e si accorse che Davide aveva un’aria preoccupata, gli occhi grigio azzurri fissavano il vuoto.
<< C’è qualcosa che non va? >> gli chiese facendolo trasalire << ho sbagliato a compilare l’assegno? >> continuò con voce preoccupata.
<< No… no! >> balbettò l’amico << stavo pensando a una notizia che mi ha comunicato mia madre a colazione >>
<< Spero non si tratti di Mattia >>
<< No, non si tratta di lui >> rispose Davide alzandosi e recandosi alla finestra << presto avremo una visita di mio zio, il fratello di mia madre >>
<< E questo ti fa preoccupare? >> chiese Gabriele accendendo un sigaro.
<< Più che preoccupare, mi fa insospettire >>. Gabriele non chiese altro e anche Davide rimase in silenzio.
Quell’invito gli aveva messo strani pensieri nella testa: per quale motivo la madre aveva invitato Nicola Giuliani, suo fratello, e come mai quell’uomo tanto orgoglioso aveva accettato? Davide ricordò che cinque anni fa suo zio si era allontanato dalla famiglia Campana rifiutandosi di aiutarli, arrivando anche a disconoscerli come suoi parenti. Avvolto da quei pensieri, gli tornarono alla mente parole di disprezzo uscite dalla bocca di quell’uomo.
Come aveva potuto accettare?
Perché aveva detto di sì alla madre?
Quei pensieri vennero cancellati dal rumore che emise la porta dello studio in cui si trovavano i due giovani.
<< Avanti! >> esclamò Gabriele Acquaviva. La porta si aprì ed entrò un giovane operaio che, dopo aver fissato e salutato Davide Campana si tolse il basco e si volse a Gabriele con voce tremante << Signore, è arrivato il terzo viaggio di uva >>
<< Bene, grazie ragazzo, puoi andare >>. Il giovane uscì salutando e Davide allontanatosi dalla finestra si avvicinò all’amico per congedarsi.
<< Ti lascio al tuo lavoro, il mio finisce qui >> mormorò sorridendo e porgendogli la mano. Gabriele, allungando la sua e fissandolo negli occhi, si accorse che brillavano e il colore contrastava con quel nero corvino dei capelli, così, prima di salutarlo, disse << Davide, che ne diresti se domenica andassimo a teatro? Danno un concerto di Chopin. >>
<< Va bene >> rispose l’amico sorridendo << A domenica, allora >>. Detto questo si congedò e ritornato in carrozza ordinò al cocchiere di fare un giro per le campagne, e fu un giro breve. Davide non amava ritornare presto a casa sua, ma quel giorno avrebbe dovuto farlo perché aveva un appuntamento con il signor Roselli per la paga e poi doveva andare in banca per depositare il denaro. Fece capolino dal finestrino della carrozza e ordinò al cocchiere di condurlo alla tenuta. Il cocchiere tirate le redini ai cavalli li fece tornare in dietro.
A casa, Campana trovò tante cameriere affaccendate nello spolverare l’intero palazzo, le quali, quando videro il padrone si fermarono per salutarlo. Davide ricambiò con freddezza e ordinò a una di loro di avvisare sua madre che desiderava parlarle privatamente nello studio.
La donna non lo fece attendere e quando entrò nella stanza, trovò suo figlio difronte alla vetrata,
<< Mi cercavi Davide? >>
<< Stavo pensando… >> disse il giovane girandosi e andandosi a sedere dietro la scrivania, in mano reggeva un sigaro << mi è sembrato molto strano questo vostro invito nei confronti di vostro fratello >>
<< Be, è da tanto tempo che non ci vediamo, e allora… >>
<< Sbaglio, o fu lui a voler rompere i rapporti con questa famiglia? >> la interruppe Davide << Se non ricordo male, le sue parole furono queste “La famiglia Campana non è degna di noi Giuliani” >>
<< Davide… io… >> balbettò la madre abbassando la testa
<< No, madre. Non prendetelo come un rimprovero. So che è sempre vostro fratello, e so anche che ora la situazione economica della famiglia Campana permette di far riavvicinare i rapporti alla famiglia Giuliani >> continuò lui appoggiando il sigaro su un posacenere di cristallo << sarò sincero con voi. A colazione ho accettato perché per un attimo, ho visto i vostri occhi splendere di gioia, ma mentre ero da Acquaviva, ho pensato, e i pensieri mi hanno riportato ricordi dolorosi per me e per voi. Io non scorderò mai, come vostro fratello ci ha trattati nel momento del bisogno e come vi ha trattata quando ha scoperto quello che vostro marito aveva fatto >>. Davide fissò gli occhi della madre e si accorse che erano lucidi e rossi, si avvicinò a lei e le accarezzò il volto, Clara appoggiò la sua mano su quella calda del figlio e la premette sul volto chiudendo gli occhi e facendo cadere una lacrima che bagnò l’indice del giovane il quale con voce più serena continuò << Ma se voi avete dimenticato, allora anche io dimenticherò? >>. Lasciò il viso della madre e si congedò uscendo dallo studio.
Clara Giuliani, rimase seduta in silenzio ripensando alle affettuose parole del figlio. Doveva molto a quel ragazzo che aveva abbandonato la sua adolescenza per dar posto al meraviglioso uomo che era diventato affrontando numerosi sacrifici per tenere alto il nome dei Campana. Anche se il padre aveva commesso quell’atto vergognoso, Davide non aveva mai rinnegato quel cognome, in cinque anni lo aveva innalzato e reso importante. No, Clara non aveva dimenticato le orrende parole che le aveva rivolto suo fratello, ma ormai, aveva il desiderio di dissipare ogni rancore e di cancellare i brutti ricordi.

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Capitolo 2
*** Cap 2 ***


Capitolo 2
 



Dato un colpo secco con la stecca, la pesante sfera lucida, bianca rotolò velocemente sul manto verde colpendo altre due sfere colorate che raggiunsero i fori agli angoli del tavolo e scomparvero nel nulla. Davide Campana sorrise soddisfatto, si rialzò, mise l’asta di legno in posizione eretta e si appoggiò a essa, volse lo sguardo grigio azzurro verso la donna che era appoggiata all’infisso con una coppa di champagne e le regalò quel sorriso malizioso.
L’aveva notata da quando era entrato nella casa. L’aveva vista appoggiata al pianoforte a discutere col vecchio musicista e quelle labbra pittate di un rosso sangue avevano catturato la sua attenzione; avevano una forma perfetta: carnose e invitanti si muovevano in sintonia con le parole.
Non aveva aspettato molto perché si accorgesse di lui. A parte un giovane soldato, Davide era l’unico giovane presente in quel salone.
Quella sera, però, non si era presentato lì per appagare i suoi istinti, bensì, anche se molto strano, aveva un appuntamento d’affari con un vecchio acquirente, amante delle belle donne e della vita mondana. Lo aveva invitato al circolo degli agricoltori, e non avevano concluso nulla, poiché Franco Caputi si era rifiutato di accettare l’offerta fattagli dal giovane, e allora quest’ultimo aveva deciso di giocare la sua carta migliore, quella che metteva in atto nei momenti di difficoltà e che alla fine lo faceva raggiungere il suo obbiettivo.
Campana aveva l’abilità di assoggettare ai suoi voleri qualsiasi persona, semplicemente sfruttando i punti deboli e quelli dell’uomo davanti a lui li conosceva e molto bene.
<< Cento >> mormorò con voce di sfida, distogliendo lo sguardo e i pensieri peccaminosi dalla giovane cocotte.
Franco Caputi sospirò continuando a guardare il tavolo da biliardo e, senza dire una parola, appoggiò l’asta sul tavolo, si recò ad una console e, aperta una scatola di legno intagliato, prese un sigaro e lo accese, diede due boccate e si voltò verso il giovane.
<< Novantacinque… >> disse deciso. Davide scosse la testa lasciando anch’egli l’asta sul tavolo; raggiunse l’uomo e accese anche lui un sigaro.
<< Mi dispiace, ho vinto io >>
<< Siete davvero intraprendente, Campana. >>
<< Grazie, signor Caputi. Lo prenderò come un complimento >>
<< Bene >> riprese l’uomo, avvicinandosi a una donna dai capelli neri e ricci che fino a quel momento se n’era stata buona in silenzio a guardare quell’insolita partita, aspettando il suo turno. << L’affare è concluso. Accetto la vostra offerta! >> rispose a voce alta Caputi accarezzando con una mano grassoccia il volto del suo bottino di guerra. Che il giovane lo avesse convinto a comprare i dieci viaggi d’uva non era più la sua priorità, lui aveva vinto qualcos’altro: la perla del bordello, quella che era stata la sua ossessione per tante sere. Come aveva fatto Campana a convincerla? Di certo non se lo chiese e, senza esitare, staccò un assegno e lo porse al ragazzo come caparra. << Avrete il resto a fine consegna >> aggiunse poi.
Davide, ancora una volta, sorrise soddisfatto rivolgendo lo sguardo alla ragazza dal rossetto color sangue che lo fissava con desiderio.
Quando furono soli, fu la giovane a farsi avanti, raggiungendo la consolle per riempire un bicchiere di liquido caramellato e porgerlo al giovane avvenente. Davide accettò volentieri e dopo l’ennesimo sorriso regalatogli dalla cocotte, decise di cedere anche lui al piacere: l’afferrò per un braccio, tirandola a sé con convinzione e strappandole un gridolino di sorpresa, poi le strinse tra le dita il viso ovale e le sollevò il mento quanto bastava per guardarla negli occhi: ciglia lunghe nere cerchiavano due occhioni azzurri leggermente spioventi, dalle palpebre esageratamente dipinte.
<< Avete finito i vostri affari? >> chiese lei atteggiando dei modi innocenti.
Davide schioccò la lingua contro il palato e, leccandosi il labbro inferiore, assaporò quelle labbra carnose e le tirò un morso, dopodiché, la fece voltare di spalle, avvinghiandola con le braccia, le afferrò lo spacco del gonnellone, lo sollevò scoprendole l’intimo candido e, piegandola sul tavolo da bigliardo disse prima di penetrarla: << Tra un po’. >>
 
***
 
Le poche nuvole grigie si rincorrevano spinte dal vento, lasciando il cielo scuro illuminato dalla grande luna che fissava verso il basso l’esteso panorama della notte.
I giorni si susseguirono lentamente e dopo tanta attesa, finalmente arrivò domenica. L’aria si fece più fredda e il sole giocava a nascondino tra macchie di nuvole grigie, Rebecca e Marina erano nella loro camera e si stavano vestendo. La prima indossò un abito rosso scuro casto al petto e l’altra uno verde chiaro con una scollatura a v.
La fulva era molto più contenta del solito e, mentre si preparava, canticchiava una canzone inventata al momento. Rebecca la guardava e sorrideva.
Dopo un po’ bussarono alla porta, erano altre due cameriere che si erano date appuntamento il giorno prima
<< Sì, siamo pronte >> mormorò Rebecca uscendo dalla stanza, aspettando che Marina la seguisse. Percorso un lungo viale, si ritrovarono di fronte a un cancelletto ricoperto di rampicanti, uscirono e si fermarono sulla strada aspettando l’arrivo della solita corriera. Non aspettarono molto, dopo dieci minuti si presentò una lunga carrozza trainata da quattro cavalli scuri, le giovani salirono allegre e, per loro fortuna, trovarono molti posti liberi. Sedutesi iniziarono a chiacchierare facendo progetti su quella giornata. Quando in lontananza si intravide il paese, Marina emise un grido di gioia che fece trasalire il cocchiere.
<< Marina, smettila >> sussurrò Rebecca << ti stai comportando come una bambina che vede per la prima volta un gioco >>
<< Oh, al diavolo il contegno >> rispose Marina sedendosi e sbattendo le mani sul grembo << è da una settimana che aspetto questo giorno, e ora che finalmente è arrivato, voglio godermela tanto >>. A quelle parole, Rebecca scosse la testa divertita.
La corriera si fermò in piazza e le ragazze scesero esultanti, la più allegra di tutte era Marina, che appena mise piede sul marciapiede, fece una giravolta su se stessa facendo gonfiare la lunga gonna, le altre ragazze la guardarono esterrefatte.
<< Ha ragione Rebecca, sembra che tu non abbia mai visto il paese in vita tua! >> esclamò una.
<< Ma che cosa le prende? >> chiese sussurrando l’altra a Rebecca. Quest’ultima fece spallucce e sospirando rispose << Si è messa in testa di trovarsi un uomo che dovrebbe sposarla all’istante e portarla via >>.
<< Mi dispiace per lei >> intervenne una << ma io adesso vado a incontrare il mio di fidanzato, quindi vi lascio! >>
<< Fa’ attenzione >> disse Rebecca << e ricordati che alle venti e trenta passerà l’ultima corriera >>
<< Non ti preoccupare Rebecca, sarò puntuale >> la cameriera le salutò e si allontanò dal gruppo tutta allegra. 
<< Ragazze, fermiamoci da qualche parte, perché questo cestino pesa un quintale >> affermò esausta l’altra cameriera.
<< A due passi da qui c’è un parco, faremo lì il nostro pic-nic >> la rassicurò Rebecca << se vuoi il cestino posso portarlo io? >>
<< Oh, sì grazie >> rispose la giovane contenta.
<< Di nulla Anna >>
<< Dopo il pic-nic… >> intervenne Marina << andremo a caccia di uomini! >>
Giunte al parco, Rebecca e Anna stesero una tovaglia sul prato e l’apparecchiarono di piatti pieni di roba da mangiare, mentre Marina un po’ distante da loro osservava le persone speranzosa di trovare un ragazzo adatto ai suoi gusti.
<< Marina, vieni a fare colazione, i ragazzi non spariscono di sicuro >>
<< Arrivo! >>. La colazione iniziò in silenzio, poi Marina diede sfogo alla sua fantasia descrivendo l’uomo della sua vita. << Deve essere alto e biondo, con gli occhi scuri, anzi, no! Chiari, deve avere gli occhi chiari e poi… deve essere molto ricco >>. Le altre due amiche scoppiarono a ridere. << Cosa avete da frignare voi due? >> chiese Marina fissandole sott’occhio.
<< Niente >> rispose ridendo la sua compagna di stanza.
<< È solo che… sei veramente convita che un uomo ricco possa prendere in moglie una cameriera? >> aggiunse Anna.
<< Be… >> balbettò Marina << convinta non di certo. Ma fatemi sognare! >> esclamò lei addentando una brioche. A poco a poco sentì quell’entusiasmo dissolversi nel nulla, era consapevole che i suoi erano null’altro che sogni, però era un modo per non farle pensare che forse potesse rimanere zitella per tutta la sua vita come la capocuoca Agnese. Aveva deciso di godersi la giornata e dimenticò quell’argomento, ritornando a ridere.
Più tardi, le tre ragazze decisero di fare una passeggiata per il parco, quando vennero interrotte da due ufficiali che si avvicinarono a loro con modi galanti.
<< Permettete signorine? >> disse uno di loro. Le ragazze rimasero zitte e curiose << Non vi abbiamo spaventate, vero? >>
<< Oh, no! >> rispose Marina sorridendo << Cercate qualcosa? >>
<< Veramente, il mio collega ed io vi stiamo osservando da un pezzo, e ci chiedevamo se… potessimo farvi compagnia? >>
Le tre giovani si guardarono in volto per consultarsi, e la più avventata a rispondere fu Marina che acconsentì senza pensarci due volte.
Rebecca le tirò la manica, ma la ragazza fece finta di non aver capito e si scostò dall’amica.
<< Con piacere, Capitano >> rispose sorridendo.
<< Oh, mi dispiace, ma non sono un capitano, siamo solo due sergenti, il mio nome è Amedeo Pansini >>
<< E il mio è Pietro Arcangeli >>
<< Io mi chiamo Marina Agonigi e queste sono Anna Anselmi e Reb… >>
<< Non penso che ai signori interessi il mio nome! >> la interruppe seria Rebecca. Marina la fissò e si accorse che stava parlando sul serio e aveva anche un’aria irritata. I due ufficiali cambiarono discorso e invitarono le tre ragazze a passeggiare con loro, Marina accettò senza pensarci due volte, mentre la cuoca non rispose, Anna esitò fissandola nella speranza di un suo suggerimento.
<< Allora Anna, Rebecca? >> chiese impaziente Marina.
<< Vengo anch’io >> rispose Anna timida. Marina incrociò gli occhi della compagna di stanza e le fece cenno di sbrigarsi.
<< Non preoccupatevi per me >> rispose quest’ultima sorridendo << voi andate pure, io faccio un giro per i negozi, voglio comprare qualcosa. Al ritorno ci incontreremo alla fermata della corriera >>
<< Come vuoi! >> rispose Marina << Allora, a dopo >>. Detto questo il quartetto si incamminò lasciando Rebecca da sola la quale, mentre il gruppo si allontanava, sentì che l’ufficiale mormorò qualcosa a Marina avvicinandosi a lei e quest’ultima sorridendo rispose << È una ragazza all’antica! >>.
No, Marina. Pensò Rebecca, non sono io all’antica, sei tu che sei troppo avventata ed esuberante. Fece spallucce sospirando e guardandosi intorno si incamminò verso i negozietti che si estendevano a schiera per le vie del parco.
 
***
 
Davide Campana lasciò la penna sul tavolo e avvicinate le mani al viso si strofinò gli occhi, poi volse lo sguardo sull’orologio a muro del suo ufficio e si accorse che era già pomeriggio. Prese un campanello e lo scosse velocemente, dopo pochi secondi bussarono alla porta ed entrò Giacomo.
<< Desiderate signore? >>
<< Giacomo, fa’ preparare la mia roba, ho un appuntamento fra un’ora esatta >>
<< Agli ordini signore >> Giacomo uscì dalla stanza, mentre Davide rimase seduto dietro la scrivania, guardò il registro, dopo un po’ lo chiuse sbuffando e si alzò, raggiunse la porta dello studio e uscì. Si recò nella sua stanza dove trovò un’anziana cameriera che appoggiava l’abito da sera sul letto.
<< Ti ringrazio Luisa, puoi andare >>. La cameriera si congedò senza dire una parola. Il giovane si recò nella stanza da bagno e si preparò. Quando fu pronto, scese al piano di sotto e ordinò a Giacomo di far preparare la sua carrozza e ad un’altra cameriera chiese di avvisare sua madre che non sarebbe tornato per cena.
Uscì. Raggiunta la tenuta Acquaviva, si fece annunciare da un cameriere e dopo un po’ fece la sua comparsa Gabriele con il sorriso stampato sulla faccia.
<< Davide, sempre puntuale >> esclamò allegro.
<< Non mi piace far attendere le persone >> affermò il giovane.
<< Allora andiamo >> continuò Gabriele << non vorrai far attendere anche la nostra pianista >>
<< Nostra pianista? >> chiese Davide allibito.
<< Non te l’ho detto? Al concerto suonerà la tua vecchia fiamma: la contessina Virginia Spadieri >> affermò Gabriele con aria strafottente.
<< E perché non dirmelo prima? >>
<< Perché sapevo che non saresti venuto! >>
<< Andiamo, Gabriele, lo sai quello che successe con Virginia… >>
<< Non ti preoccupare, non sono così perfido, non ci vedrà, ho prenotato una cabina molto discreta, e ti prometto che a concerto finito usciremo senza andarci a complimentare con lei >>
<< Lo spero! >>
Uscirono in silenzio e salirono sulla carrozza di Davide, il cocchiere ripartì e in pochi minuti raggiunsero il paese e di lì il teatro. Quando vi entrarono trovarono molte persone eleganti che discutevano fra loro, altre invece consultavano il programma della serata. Davide e Gabriele si andarono a sedere su due poltrone e il primo offrì all’altro un sigaro, quest’ultimo accettò volentieri.
<< Non per tediarti… >> riprese Gabriele << … ma con Virginia non… >>
<< Se vuoi sapere se ci siamo più rivisti la risposta è no >> affermò Davide indifferente << la famiglia Spadieri è una delle tante famiglie ipocrite. I Campana gli hanno fatto comodo fino a quando sono serviti, e Virginia si è dimostrata peggio della sua famiglia >>
<< Scusami se… >>
<< No, amico mio, non ti devi scusare di niente >>. All’improvviso suonò il campanello di avviso e i due ragazzi spenti i sigari si alzarono e si incamminarono verso la loro cabina. Gabriele era stato di parola, il loro posto era molto distante dal palcoscenico e sicuramente nessuno li avrebbe notati. La sala si riempì di sussurri che a poco a poco svanivano all’abbassarsi delle luci e all’innalzarsi del sipario. Il palcoscenico era illuminato e ospitava soltanto un pianoforte nero, lucido, a coda. Davide rimase a fissare serio il grande strumento e trasalì quando sentì il forte applaudire di mani. Forse fu l’unico nell’intero teatro che non accolse Virginia Spadieri in quel modo. La donna entrò, sfoggiando un viso ovale, affascinante e sensuale, dagli occhi cerbiattini tinti di cielo e labbra carnose prive di profumeria. Indossava un abito bianco a stile impero ed aveva riccioli neri alzati e fermati lateralmente da un fermaglio con una piuma bianca. Fece un inchino verso il pubblico, si diresse al pianoforte, si sedette, accarezzò i tasti e dopo un po’, al silenzio della sala si aggiunsero i primi suoni dell’opera del grande Chopin che iniziò con il notturno opera nove numero uno. Davide rimase a fissare impassibile quella donna e si accorse che quelle note che un tempo gli entravano nel cuore, in quel momento non lo scalfirono. Virginia non lo faceva più sognare, non gli faceva più battere il cuore. Quella donna che per anni era stata la sua amica e che per mesi fu la sua fidanzata, adesso era solo un’estranea.
Ad un tratto ricordò il modo indegno con cui, costretta dalla madre, aveva rotto il fidanzamento dopo aver scoperto la disgrazia che aveva colpito la famiglia Campana. Davide trasalì ancora una volta agli applausi non essendosi accorto che la prima opera era terminata. Quel rumore fragoroso che facevano le migliaia di mani lo misero in agitazione, e iniziò a sentirsi mancare il respiro. All’inizio della seconda opera, non resistette più, si alzò e, scusatosi con Gabriele, uscì dalla cabina, lasciando l’amico allibito. Dapprima, Acquaviva stette seduto, poi, preoccupato per l’amico lo raggiunse nella sala principale dove lo vide intento a recuperare il pastrano e il cappello.
<< Davide, aspetta! >>
<< Mi dispiace Gabriele… >>
<< Che ti prende? >>
<< Mi è mancata l’aria >>
<< Ma adesso stai bene? >> chiese l’amico preoccupato.
<< Sì, ma preferisco prendere una boccata d’aria. Tu ritorna in cabina, io ti aspetto fuori >>
<< Mi rendo conto che ti ho rovinato la serata >> affermò desolato Acquaviva.
<< Non ti preoccupare >>
<< Scusami… >>
<< No, scusami tu >> rispose secco Davide e detto questo si recò alla porta d’uscita, dove un valletto gli consegnò un ombrello dicendo che stava per piovere, Davide lo accettò ringraziandolo e uscì dal teatro, lasciandosi alle spalle Gabriele.
Il valletto aveva ragione, il cielo era diventato grigio e qualche nuvola rifletteva luce di un vicino temporale. Faceva freddo, e Davide se lo sentì nelle ossa, affondò il collo nel pastrano e aprì l’ombrello. La sua carrozza era ferma di fronte al teatro e il cocchiere su di essa aveva aperto un ombrello scuro e si era rannicchiato per sentire di meno il freddo. Davide non andò da lui, aveva bisogno di prendere aria e anche se era gelida voleva riempirsene i polmoni. Decise di passeggiare un po’, ma non gli servì a niente: Virginia e la sua musica erano ancora nei suoi pensieri.
Pioveva talmente forte, che la pioggia si era mutata in un velo che annebbiava la vista. Ad un tratto Davide si accorse di essersi allontanato un po’ troppo dalla carrozza e ora si trovava in una strada che non aveva mai visto. Non c’era nessuno, tutti erano andati a ripararsi, tutti tranne uno. Davanti a sé, una figura femminile non tanto alta con le mani giunte in avanti che mantenevano un cesto e il capo chino, permetteva alla pioggia di fermarsi su di essa, Davide si accorse che non aveva un ombrello e giratosi intorno vide che non c’erano palazzi in cui potersi riparare. Dapprima non ci fece caso, poi senza volerlo, si accorse che i suoi occhi si soffermavano sempre su quella donna. In quel momento il giovane non si rese conto che i suoi pensieri avevano cancellato dalla mente Virginia, dando il posto a mille domande che riguardavano quella fanciulla.
Perché rimane sotto la pioggia e non cerca riparo? Si chiedeva Davide Campana. Spinto da quei pensieri, si mosse come un automa e avvicinatosi di fianco a lei la riparò con il suo ombrello.
La ragazza non sentendosi più cadere l’acqua sul suo corpo, trasalì e si volse per vedere che cosa era successo. Vide al suo lato un giovane alto, ben vestito che la guardava sorridendo e aveva negli occhi un colore raro, fece due passi indietro impaurita e il giovane a quel punto la tranquillizzò.
<< Scusate, vi ho vista sotto la pioggia senza riparo, con questo freddo… >>
<< Siete gentile, ma non dovevate preoccuparvi >> sibilò lei. Il ragazzo si accorse che quella ragazza tremava << Vi ho spaventata? >> chiese con dolcezza, la giovane non rispose e abbassò il capo << Mi dispiace, non avevo questa intenzione, se volete posso lasciarvi l’ombrello… >>
<< Cosa? >> trasalì lei volgendogli lo sguardo. Prima di rispondere Davide la fissò e si accorse che aveva dei begli occhi castani a mandorla che addobbavano un bel viso semplice e puro.
<< Sì >> rispose << vi lascio l’ombrello e vado via, la mia carrozza è qui vicino >>
<< Oh, no! >> esclamò la ragazza che adesso non aveva più la voce tremante << potete restare, anche perché tra un po’ andrò via, sto aspettando la corriera >>
<< Bene, visto che non vi faccio più timore, rimango a farvi compagnia >> affermò sorridendo Davide. I due rimasero in silenzio per molto tempo, Davide guardava la strada e la ragazza rimase con il capo chino. << Non vuole smettere >> riprese il ragazzo.
<< Già >> mormorò lei. Ritornò il silenzio fra loro. A un certo punto, Davide si accorse che, senza volerlo, la stava guardando sott’occhio, quando la ragazza alzò il capo, trasalì e ritornò a guardare la strada. Non sentiva più freddo, un dolce calore lo percorse in tutto il corpo, era come se la giovane lo stesse abbracciando, il cuore iniziò a palpitare più forte e ad un certo punto sentì in lontananza una dolce melodia. Nessuno stava suonando, era il suo cuore che lo faceva e lui riusciva a sentirlo. Perché quella strana sensazione? Non riuscì a capirlo. Dopo un po’ sentì che la ragazza aveva detto qualcosa ma lui non riuscì a capire.
<< Come? >> chiese incuriosito.
<< Sta arrivando la corriera >> ripeté lei. Si volse verso Davide e sorridendo gli disse << Vi ringrazio e scusatemi se vi ho arrecato disturbo >>
<< Ma cosa dite? >> mormorò Davide << è stato un piacere >>. La corriera si fermò di fronte ai due giovani, la ragazza salutò il nobiluomo e sollevata un po’ la gonna si accinse a salire sul mezzo, ma una dolce presa la fermò afferrandole il braccio, lei si girò sussultando e incrociò quegli occhi dolci penetranti che la sorridevano, a quel punto, non seppe se avere paura o meno, ma quel sorriso penetrante e quella voce così dolce, la tranquillizzarono per la seconda volta.
<< Vi prego >> disse il giovane << prendete l’ombrello >>
<< Ma signore, io… >>
<< Non smette di piovere, io ho la carrozza, mentre voi verrete lasciata alla fermata. Me lo darete la prossima volta che ci rincontreremo >> affermò il giovane.
<< Signori si parte! >> esclamò il cocchiere. La giovane si affrettò a prendere l’ombrello << ma io vengo in paese solo di domenica >> rivelò lei dispiaciuta. La corriera iniziò a partire.
<< Allora a domenica prossima! >> esclamò Davide per farsi sentire e alzando la mano fece un breve cenno di saluto, poi vide la ragazza uscire dal finestrino ed esclamare un grazie, seguito da un cenno della mano, infine la vide rientrare e rimase a fissare la strada fino a quando la carrozza scomparve. Non so nemmeno il suo nome, si disse. Chissà se veramente la rincontrerò domenica. Fece spallucce, poi, voltatosi indietro e alzato il colletto del cappotto si incamminò velocemente verso la sua carrozza. Girato l’angolo, vide tante persone uscire dal teatro e allora si ricordò di Gabriele, corse verso la carrozza ed entrò. Vi trovò l’amico, pensieroso. << Ma dov’eri? >> chiese questo allibito.
<< A fare una passeggiata >> rispose lui allegro.
<< Sotto questa pioggia? >>
<< Avevo un ombrello >>
<< Avevi? >> chiese ancora Gabriele.
<< Sì, ho dovuto darlo a una giovane che ne era sprovvista >> rispose Davide << volevo ringraziarti, Gabriele >>
<< E perché? >>
<< Perché mi hai fatto passare una bella serata >>.
A quelle parole, Gabriele rimase attonito, non riusciva a capirlo e, senza aggiungere altro, ordinarono al cocchiere di partire.
 
***
 
Rebecca continuava a fissare quell’ombrello gocciolante, e non riusciva a togliersi dalla mente quel ragazzo così ben vestito e tanto gentile. Volse lo sguardo verso il finestrino e si accorse che la corriera stava giungendo a destinazione. Il cielo era ancora nuvoloso, ma la pioggia aveva finito di precipitare da quel cielo pittato di grigio. Si alzò e si preparò a scendere. Quando la corriera si fu fermata, pagò il cocchiere e si incamminò verso la tenuta dei suoi padroni. Appoggiò l’ombrello su un braccio piegato davanti a sé e con l’altra mano sorreggeva il cestino da pic-nic, ancora pieno di cibo poiché le due amiche non erano più tornate da quella passeggiata con i due ufficiali.
L’aria fredda emanava odore di pioggia, quando giunse al cancelletto pieno di piante rampicanti, tirò un lungo respiro. Si recò subito nella sua stanza, appoggiò l’ombrello e il cesto su un tavolino e aperta l’anta dell’armadio, prese da un cassetto un asciugamano, sciolti i suoi capelli se li asciugò con fragore, poi si tolse gli abiti bagnati e si deterse il corpo, indossò una camicia da notte e presa dal cassetto del comodino la sua spazzola iniziò a pettinarsi i lunghi capelli castani. Mentre li lisciava voltò lo sguardo sull’ombrello ormai asciutto e sorrise. Che begli occhi aveva quel ragazzo. Si disse. Chissà come si chiama? Continuarono i suoi pensieri. Posata la spazzola sul comodino, si fece una treccia, poi, accortasi che la stanza era ormai buia, accese una candela e si infilò nel letto, prese un libro e iniziò a leggere qualche pagina e piano piano si addormentò. Si svegliò di colpo, sentendo un forte rumore alla porta. Impaurita e infreddolita, si alzò dal letto e, infilata una vestaglia andò ad aprire: entrarono ridendo Anna e Marina.
<< La vedi? >> esclamò Marina << che ti avevo detto? È ritornata prima di noi! >>
<< Ragazze? >>
<< E tu Anna che pensavi le fosse accaduto qualcosa! >>
<< Be, non ti abbiamo vista alla fermata e allora mi sono preoccupata >> affermò Anna.
<< Allora >> intervenne Rebecca << com’è andata la vostra passeggiata? >>
<< Benissimo! >> affermò Marina tuffandosi sul letto.
<< Non me ne parlare >> disse invece Anna.
<< Perché? Cosa è successo? >> chiese la cuoca.
La risposta la diede Marina che prima scoppiò a ridere, poi messasi a sedere sul letto disse << Anna è stata tanto sfortunata! Quel Pietro Arcangeli voleva portarla in una pensioncina >>
<< Non ridere! >> esclamò offesa Anna sedendosi sul letto di Rebecca << Sono scappata dalla vergogna e dalla paura, menomale che per strada ho trovato Gina, e così mi sono recata con lei alla fermata! >>
<< E hai lasciato Marina da sola con quei due? >> chiese allibita Rebecca.
<< Non ero con quei due! >> rispose Marina << ero con Amedeo. Ah! Amedeo >> sospirò stendendosi sul letto.
<< È inutile che sospiri! >> disse Anna strafottente << Tanto anche quell’Amedeo è come l’altro! Anzi ti conviene stare attenta! >>
<< Taci! >> esclamò Marina rialzandosi << Sei solo invidiosa! Il mio Amedeo non mi ha fatto nessuna proposta sconcia! >>
<< Il mio Amedeo?! >> mormorò allibita Rebecca << Marina! Lo conosci solo da un giorno! >>
<< E con questo? >> chiese lei scettica << un giorno mi è bastato per conoscerlo, e so che è un ragazzo molto gentile e buono, figurati che mi ha dato appuntamento a mercoledì, mi ha detto che mi porterà a fare una passeggiata per i negozi, vuole farmi un regalo >>
<< Mercoledì? >> chiese ancora la sua compagna di stanza << Ma, Marina, sai benissimo che noi il mercoledì lavoriamo! >>
<< Non ti preoccupare, non si accorgerà nessuno della mia mancanza, dirò che ho la febbre e sono a letto! >>
Anna si alzò e poggiate le mani alle orecchie si recò alla porta dicendo << Io faccio finta di non aver sentito. Non voglio entrare in questa storia, buonanotte! >> e uscì.
<< Marina, ti sei ammattita? >> chiese Rebecca, nervosa << come farai se ti scoprono? Non siamo sole, ci sono tanti camerieri qui! >>
<< Non ti preoccupare, il figlio del custode è innamorato pazzo di me, anche se mi scoprisse non parlerebbe >> affermò lei iniziandosi a spogliare. Rebecca l’aiutò a sfilarsi il corsetto e scosse la testa contraria alla decisione dell’amica. Se prima aveva qualche dubbio, in quel momento quella ragazza glielo ebbe confermato: Marina era troppo estroversa e troppo avventata.
Non si dissero più niente. Marina si addormentò sospirando, mentre Rebecca rimase sveglia per tutta la notte.
Fuori, i temporali iniziarono di nuovo la loro opera musicale e la pioggia gli fece compagnia, ai rumori di essa, Rebecca ripensò a quel ragazzo, chissà se era veramente gentile e buono come le era sembrato, poi a poco a poco i pensieri si spostarono su Marina, si voltò dall’altro lato del letto e i suoi occhi si posarono sul suo volto addormentato, la guardò a lungo cercando di allontanare da sé i pensieri e le brutte sensazioni che quel suo comportamento così sconsiderato la assillavano. Quando finalmente il sonno si fece sentire le nuvole nere che coprivano il cielo erano ormai diventate grigio chiaro, prendendo ancora una volta il posto del sole e annunciando il mattino.
 

 

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Capitolo 3
*** Cap 3 ***


Capitolo 3
 





Luisa, la minuta cameriera di sessant’anni, entrò nello studio del signorino Davide Campana e si accinse ad aprire le grandi tende che coprivano le vetrate, per far entrare quel poco di luce che le nuvole permettevano. Quando si voltò per andarsene, trasalì dallo spavento << Signorino Davide! >> esclamò toccandosi il petto.
Il giovane era seduto dietro la sua scrivania e fumava un sigaro. << Scusa Luisa, non avevo intenzione di spaventarti >> disse con voce stanca.
<< Ma signorino, che cosa ci fate qui a quest’ora, e con indosso ancora l’abito da sera? >>
<< Non sono riuscito a chiudere occhio >> rispose lui lasciando il sigaro sul posacenere, poi si alzò e si recò alla finestra << il sole non vuole degnarci di un suo sguardo >>
<< Vi porto la colazione? >> chiese Luisa mentre aggiustava i cuscini sul divano.
<< No, farò colazione in sala da pranzo >>
<< Sarà pronta tra pochi minuti >> annunciò la cameriera uscendo dallo studio. Davide rimase a guardare quel cielo nuvoloso e sorrise. Gli tornò alla mente quella ragazza, e nel suo cuore riecheggiò di nuovo quella dolce melodia. Aveva sentito come se la musica che suonava Virginia avesse raggiunto l’esterno del teatro avvolgendo il suo cuore, dopo aver incrociato quegli occhi così timidi e dolci. Sospirò sorridendo, poi uscì dallo studio e si recò nella sua stanza per cambiarsi d’abito. Quando fu pronto, scese nella sala da pranzo e trovò Luisa che apparecchiava la tavola.
<< Ah, Luisa, stavo dimenticandomene, aggiungi un altro posto >>
<< Un altro signore? >> chiese la cameriera allibita.
<< Sì, perché? >>
<< Perché, per ordine di vostra madre ho già aggiunto il posto per vostro zio >>
<< Ma come, verrà oggi? >> chiese Davide.
<< Così mi hanno detto >> rispose la donna mettendo altri due piattini. Davide rimase in silenzio, poi prese posto a tavola e dopo un po’ un cameriere annunciò l’arrivo di Gabriele Acquaviva. Il giovane si alzò e andò ad accoglierlo. << Buongiorno Acquaviva! >>
<< Buongiorno Campana. Non dirmi che sono in ritardo? >>
<< No! Mia madre e i miei fratelli sono ancora nelle loro stanze >> rispose Davide tranquillizzandolo << intanto noi andiamo ad accomodarci >> continuò facendogli strada.
Quando furono a tavola, dopo pochi minuti scesero Clara con i due figli. Gabriele, da buon gentiluomo, si alzò e salutò la donna con un baciamano.
<< Buongiorno Acquaviva >> rispose Clara << vedo con piacere che non siamo soli questa mattina >>
<< Già >> affermò Davide con un sorriso beffardo << Manca solo il signor Giuliani >>
<< Ma… >> balbettò Gabriele << chiedo scusa, allora. Io non sapevo che avevate già ospiti >>
<< Non preoccuparti >> rispose ancora Davide << anche tu sei un ospite >>
<< E molto gradito >> aggiunse la madre.
<< Vi ringrazio signora >> rispose Gabriele sorridendo.
Dopo un po’ il cameriere annunciò che il signor Nicola Giuliani era arrivato, tutti si alzarono, la prima fu Clara e Davide fu l’ultimo. Gabriele si avvicinò a lui e gli sussurrò << Davide, sei sicuro che non arrecherò nessun disturbo? >>. Invece di rispondere, Davide fece cenno di stare zitto e insieme andarono nel grande salone dove assistettero ai saluti che Clara e due figli si scambiavano con lo zio.
Nicola Giuliani era un uomo di statura alta come sua sorella, ma non le assomigliava molto, soltanto il colore dei capelli era identico. Aveva il corpo robusto con un accenno di pancia. Quando vide entrare Davide, gli volse uno sguardo severo. Il ragazzo lo ricambiò e non salutò, allora Nicola si fece avanti e accennò un sorriso forzato.
<< Davide, come stai? >> chiese con la sua voce rauca.
<< Come potete constatare voi stesso, bene >> rispose il giovane restio. Clara più in là abbassò la testa rattristata, Davide se ne accorse e per farle piacere e non farla preoccupare, allungò la mano verso suo zio, il quale esitò prima di stringergliela.
<< Benvenuto >> mormorò Davide senza cambiare tono della voce.
<< Grazie >> rispose orgoglioso l’uomo il quale, lasciata la mano del nipote, volse lo sguardo verso Acquaviva.
<< Davide, puoi presentarmi il tuo amico? >>
<< Mi presento io >> intervenne Gabriele stringendo la mano dell’uomo << Sono Gabriele Acquaviva, proprietario dell’azienda vinicola Acquaviva >> continuò il ragazzo con voce fiera.
<< Io sono Nicola Giuliani, fratello della madre di Davide >>.
Mentre le presentazioni andavano avanti, la cameriera li interruppe annunciando che la colazione era servita. Tutti si recarono in sala da pranzo, Davide prese il suo posto a capo tavola, Gabriele fece sedere Clara e poi le sedette di fronte, mentre i bambini presero i loro posti abituali, Angelica si sedette di lato a Gabriele e Mattia accanto alla sorella, mentre Nicola Giuliani prese posto accanto a sua sorella.
Nessuno prese più parola, e quando la colazione terminò, Davide chiese ad Acquaviva se voleva accompagnarlo a controllare come andasse la raccolta delle olive. L’amico accettò; si alzarono, salutarono e uscirono.
Nicola Giuliani li seguì con lo sguardo e, quando ebbe la conferma di essere rimasti soli, disse: << È diventato un vero uomo d’affari, tuo figlio >>
<< Sono molto fiera di lui >> rispose la donna << è solamente grazie a lui se adesso siamo qui a condurre questa meravigliosa vita >>.
<< Non per niente è un Giuliani >> aggiunse Nicola portandosi alla bocca la tazzina del caffè.
Clara non rispose, si pulì le labbra e appoggiato il tovagliolo sul grembo guardò il fratello sottocchio accorgendosi che sulle sue labbra era disegnato un ghigno beffardo.
 
***
 
<< Non lo sopporto! >> esclamò Davide mentre cavalcava con l’amico in direzione di uno dei tanti terreni di sua proprietà.
<< Non correre, non riesco a starti dietro! >> urlò Gabriele.
<< E non so per quanto tempo dovrò tenerlo tra i piedi! >>
<< Calmati Davide, e vai piano, mi sta risalendo la colazione! >> ribatté Acquaviva. Davide rallentò e si mise al passo con l’amico.
<< Scusami Gabriele, ma è più forte di me. Non so per quale motivo ho dato il permesso a mia madre >>
<< Perché provi rispetto per lei >>
<< Lo so. Ma non ce la faccio a sopportare la sua presenza, e per di più in casa mia, nella casa che cinque anni fa disprezzò, neanche se fosse stata una fogna >>
<< Abbi pazienza, vedrai che se ne andrà presto >>.
Davide accennò una smorfia e riprese il galoppo.
Il terreno che ospitava alberi di ulivo si mostrò man mano che i ragazzi si avvicinavano. Gli alberi non erano soli, c’erano molti braccianti che raccoglievano i loro frutti in teli molto grandi. Uno degli operai, intravisto il loro padrone fermò il suo lavoro per andargli incontro salutandolo, e afferrato il cavallo dalle briglie lo aiutò a scendere. Acquaviva lo seguì.
<< Buongiorno signor Campana >>
<< Buongiorno Salvatore, allora? Come va con la raccolta? >> chiese Davide
<< È molto abbondante >> rispose il ragazzo << speriamo che non piova più, così potremo finire qui, e iniziare gli altri lotti >>
<< Speriamo >> ripeté Davide << A raccolta finita, recatevi da me, vi indicherò a chi consegnarle >>
<< Non le daremo al signor Marelli? >>
<< No, il signor Marelli ha dichiarato fallimento, e adesso dovremo cercarne un altro… ma non preoccupatevi, ho in mente qualcuno >>
Il bracciante acconsentì, poi congedatosi ritornò al suo lavoro, Davide montò sul cavallo e fatto cenno a Gabriele di imitarlo lasciarono il terreno.
Lungo la strada rimase in silenzio, e fu Gabriele a romperlo, chiedendogli chi aveva in mente per vendere le sue olive.
<< Al circolo, ho sentito dire che un certo Giulio Castelli ha dei collegamenti commerciali con l’estero. Proverò a fare affari con lui. >>
<< Hai detto Giulio Castelli? Il marchese? >> chiese stupefatto Gabriele fermando il cavallo.
<< Sì, perché quella faccia? >>
<< Non ti conviene fare affari con lui >> rispose Gabriele scuotendo la testa.
<< E perché? >>
<< Dicono che sia un demonio. >> continuò Acquaviva facendo ripartire il cavallo, Davide gli fu di fianco. << Ha avuto due mogli, la prima la lasciò perché non riusciva ad avere figli, la seconda invece, la obbligò a sposarlo. Anche se lei non lo ha mai amato. E si dice in giro che non l’amava neanche lui >>
<< E perché se l’è sposata? >>
<< Si dice in giro che l’attuale moglie, prima di conoscerlo, fosse fidanzata ad un certo conte, cugino del marchese, e che dopo una lite seguita da un’offesa da parte del conte, Castelli per sfregio nei confronti del cugino obbligò la donna a sposarlo, lei non accettò e lui… >>
<< E lui cosa? >> chiese incuriosito Davide
<< La disonorò, e la poverina fu costretta a sposarlo >> sibilò Gabriele.
<< Cosa? >> esclamò Davide allibito << questo vuol dire, che l’ha violentata? >>
Gabriele annuì, poi continuò << Il cugino promise vendetta ma… >>
<< Ma, cosa? >>
<< Qualche giorno più tardi, il suo corpo fu trovato inanime sulla riva del pantano. Alcuni dicono che sia stato un suicidio, altri pensano che sia stato proprio il marchese a toglierselo di mezzo. >>
<< Che storia orribile >> affermò Davide storcendo le labbra.
<< Per questo ti consiglio di stare alla larga da lui… si dice in giro… >>
<< Oh, basta! >> lo interruppe Davide infastidito << Sembri una vecchia zitella pettegola. Gli affari sono affari. E poi non è la prima volta che tratto con uomini di questo tipo. Mio zio ne è la prova. >> continuò Davide sorridendo, poi dati due colpi sul ventre del cavallo lo costrinse a galoppare.
Giunsero a casa per il pranzo, Davide invitò Gabriele a rimanere con loro ma lui rispose che aveva da fare in azienda e che avrebbe accettato per un’altra volta.
Si salutarono.
Campana entrò in casa e trovò suo zio seduto su un divano, che fumava un sigaro.
<< Ah, Davide, finalmente sei tornato! >>
<< Vi serve qualcosa? >> chiese serio il giovane.
<< Vorrei parlarti in privato >> rispose secco lo zio.
<< Più tardi, forse. Adesso ho da fare! >>
<< Ora! >> ribatté Nicola. Davide rimase a fissarlo per qualche secondo poi, sbuffando e toltosi la giacca, mormorò di seguirlo nel suo studio. Nicola Giuliani sorrise, spense il sigaro nel posacenere e seguì il nipote. Arrivati alla porta dello studio, Davide l’aprì e lo fece entrare per primo. Nicola si guardò intorno ammirando i bei quadri, i mobili di lusso e le ampie vetrate poi volse lo sguardo verso suo nipote e gli sorrise.
<< Non mi offri da bere? >> chiese beffardo. Davide, seccato, si recò ad una console lì vicino e riempi di liquore un bicchiere di cristallo, porgendoglielo. Nicola diede un sorso e continuò << Vedo con piacere che sei diventato un uomo d’affari e che hai reso ricca la tua famiglia.>>
<< Questo lo devo alle mie sole forze >> disse il giovane.
<< Non di meno hai anche il mio sangue, e sei anche tu un Giuliani >>. Davide alzò le sopracciglia e incrociando le braccia al petto si appoggiò alla scrivania mettendo una gamba sopra l’altra. << Ho notato molti cambiamenti in questa tenuta >> continuò Giuliani dando ancora un sorso al liquore << e hai esteso le terre che la circondano >>.
<< Arrivate al dunque >> lo interruppe seccato Davide, alzando un po’ il tono della voce.
<< Ne ho parlato anche con tua madre >>
<< Di cosa? >>
<< Be, di farvi da tutore >>. A quelle parole Davide iniziò ad innervosirsi, e suo zio continuò << Mi spiegherò meglio. Tu sei ancora giovane, hai tutta la vita davanti… >>
<< Che volete dire? >> chiese ancora Davide tremante di rabbia.
<< Voglio che tu abbandoni gli affari e riprenda la tua vita da ventenne, al resto ci penserò io. Prenderò io le redini di tutto, ne ho già parlato con tua madre e… >>
<< Signore! >> esclamò Davide alterato. Suo zio si zittì trasalendo << io posseggo il novanta percento di tutto quello che avete visto e notato. Il dieci percento è diviso fra Angelica e Mattia, i quali essendo ancora minorenni non possono gestire la loro percentuale, quindi fino alla data della loro maggiore età, la loro proprietà la posseggo io. Mia madre non è padrona di niente per volere suo, ciò vuol dire, che se avete qualcosa da proporre, in futuro dovrete venire direttamente dal sottoscritto. Inoltre… >> soggiunse mentre si distaccava dalla scrivania e scioglieva le braccia facendole cadere ai sui fianchi << Ho finito di essere ragazzino all’età di diciotto anni, essendo costretto dalle circostanze. Come potete credere che adesso, all’apice del mio successo, abbandoni gli affari per cedere tutto quanto a un estraneo che ha abbandonato la propria sorella nel momento di difficoltà? >>
<< Io non sono un estraneo! >> esclamò Nicola << Sono tuo zio, Nicola Giuliani, e anche tu sei un Giuliani! >>
<< Io sono un Campana! >> urlò Davide rabbioso << E porto questo nome con orgoglio, non per rispetto nei confronti di mio padre, ma nei miei confronti! Voi avete smesso di essere mio zio cinque anni fa! Qui a comandare sono io! E ringraziate mia madre se non vi sbatto fuori! >> continuò allontanandosi da lui e raggiungendo la porta << Adesso volete gestire la mia proprietà perché la famiglia Campana e ritornata a far parte dell’élite. Be’, sapete cosa vi dico, tutto questo, tutta la mia proprietà, senza di me, è finita! >>. Detto questo uscì sbattendo la porta e lasciando suo zio livido di rabbia, poi velocemente raggiunse il suo appartamento e chiusasi la porta alle spalle, si recò verso un tavolino, con un colpo violento colpì il vaso facendolo cadere e rompere << Maledetto! >> urlò innervosito, poi tirandosi i capelli all’indietro con le mani, sprofondò sul letto di faccia verso il soffitto e chiusi gli occhi cercò di calmare il respiro, il cuore palpitava molto forte nel suo petto, poi tutta la rabbia a poco a poco svanì e pian piano si addormentò.
Per terra i cocci di vetro rotti scintillarono, colpiti dai raggi del sole che finalmente splendeva nel cielo azzurro ormai libero dalle nuvole. 
 
***
 
Il pane, ormai dorato, fu tolto fuori dal forno e appoggiato sul tavolo, Agnese si avvicinò per guardarlo e, fatta una smorfia di piacere, si congratulò con Rebecca del lavoro riuscito a meraviglia. La giovane sorrise ringraziandola, poi preso un coltello iniziò a tagliare il pane e a poggiare le fette in un cesto. Finito il lavoro si avvicinò a Marina la quale lavava i piatti, mogia, Rebecca dapprima non ci fece caso poi si ricordò delle intenzioni che aveva l’amica e senza rivolgerle la parola si allontanò da lei. Marina iniziò la sua recita, rompendo un piatto e barcollando. Tutti i presenti nella cucina trasalirono e si voltarono verso di lei. Solo Rebecca rimase di spalle.
<< Marina! >> esclamò Agnese << Che cosa fai? >>
<< Scusatemi Agnese >> rispose lei reggendosi la testa << ma non mi sento troppo bene, è da stamattina che ho giramenti di testa, Rebecca ve lo può confermare >>.
La cuoca trasalì ma non si volse.
<< Rebecca, perché non mi hai detto niente? >> chiese Agnese.
<< Mi dispiace Agnese >> rispose Rebecca balbettando e voltandosi verso la capocuoca << ma io… >> continuò guardando Marina << … non ci ho fatto caso >>
<< In tal caso sarà meglio che te ne vada a letto, non vorrei rischiare di far rompere qualche altra cosa >>
<< Sì Agnese >> rispose Marina con voce stanca << per favore, posso farmi accompagnare da Rebecca? Mi gira la testa e non so se riesco a camminare fino in camera mia >>
<< Ma certo >> rispose Agnese mentre continuava il suo lavoro << però fa presto Rebecca, dobbiamo preparare la cena >>. Senza rispondere, la giovane cuoca lasciò le sue faccende e sorretta per il braccio Marina, uscirono insieme dalla cucina. Lungo il corridoio la fulva continuava a barcollare e quando arrivarono nel dormitorio, Rebecca la lasciò bruscamente.
<< Adesso puoi finirla con questa farsa >> affermò gelida. Marina ritornò a camminare bene, e si guardò indietro per assicurarsi che non ci fosse nessuno.
<< Che ti prende! >> mormorò nervosa mentre entravano nella camera << eravamo d’accordo che…>>
<< No, Marina! Tu eri d’accordo, non io! >> esclamò arrabbiata Rebecca lasciando l’amica allibita, poi, con voce alterata continuò << Devi toglierti il vizio di mettermi in mezzo a questi casini! Questa è la tua vita, la tua scelta, non la mia! Se a te di questo lavoro non te ne importa niente, be’ sappi che a me invece sì, non voglio rischiare di essere licenziata per le tue stupidaggini! >>
<< Ma Rebecca, noi siamo amiche… >>
<< Sì, ma fino ad un certo punto. Un’amica non può essere sempre d’accordo con le decisioni altrui >>
<< Ma si tratta del mio futuro! >>
<< Appunto! Io non posso intromettermi nella tua vita, tanto meno tu, non puoi mettere a repentaglio la mia, con la tua furbizia! >>
<< Perché mi tratti così? >> chiese supplicando Marina. Rebecca non rispose.
<< Tu non sei d’accordo con la mia scelta? >>
<< E vuoi anche sentirtelo dire? >>
<< Allora dimmi che sto sbagliando! >> supplicò ancora Marina. L’amica scosse il capo incredula.  << Dimmi che sto sbagliando ed io domani non andrò all’appuntamento! >> continuò la fulva afferrandole le braccia. Quest’ultima si liberò della presa guardandola con occhi severi.
<< Sei tu che devi dirti se è giusto o sbagliato! >> concluse uscendo dalla camera e chiudendosi la porta alle spalle, ne rimase appoggiata e sospirando, sibilò << Perché non ti decidi a crescere? >>, poi si allontanò recandosi in cucina.
A tarda sera, nella stanza, rimasero solo poche cameriere le quali avevano il turno di governare la cucina. A lavoro finito tutte si diedero la buona notte e uscirono, solo Rebecca rimase seduta al tavolo con un bicchiere di latte fra le mani. Aveva in mente tanti pensieri. Non voleva ritornare in camera sua, non voleva incontrare la sua amica. Si chiedeva se anche lei stava sbagliando, o se aveva già sbagliato a rispondere in quel modo alle suppliche di Marina.
Cosa poteva farle? Se le avesse detto di non presentarsi all’appuntamento, forse Marina avrebbe perduto il suo grande amore, ma se invece l’avesse lasciata andare, forse l’amica avrebbe commesso l’errore più grande della sua vita. Marina non era matura, non sapeva badare a se stessa.
Subito la malinconia guizzò nel suo cuore, portandola al ricordo del suo passato, delle scelte che aveva fatto e che forse aveva sbagliato a fare.
Esasperata, incrociò le braccia sul tavolo e vi appoggiò la testa piangendo in silenzio senza accorgersi che a poco a poco, il sonno la stava catturando.
Quando il sole fece il suo rientro e abbagliò la cucina, Rebecca si svegliò di soprassalto accorgendosi di aver passato la notte lì. Si alzò stiracchiandosi e recatasi al lavandino, riempì un secchio d’acqua per lavarsi il volto.
Dopo un po’ entrò Agnese che sussultò nel vederla, ma riuscì come sempre a celare i suoi sentimenti.
<< Buongiorno Rebecca >> le disse infilandosi il grembiule.
<< Buongiorno >> rispose la ragazza asciugandosi il viso.
<< Cos’hai? Non ti senti bene? >>
<< No, è solo che ho dormito male, ma sto bene, non preoccupatevi Agnese >> disse ancora la ragazza prendendo gli accessori per preparare il caffè.
<< E Marina? Come si sente? >>. Rebecca fermò il suo lavoro e guardò nel vuoto. Bella domanda, si disse. << Rebecca? >> esclamò Agnese facendola trasalire.
<< Come? >>
<< Ho chiesto di Marina! >>
<< Non saprei, ieri ero troppo stanca e mi sono addormentata qui in cucina >>.
<< Ah, ecco perché hai dormito male! Va bene, passerai da lei più tardi >>.
La giovane non rispose e continuò a preparare il caffè.
Dopo qualche ora, la colazione era già pronta, e in cucina giunse la solita cameriera che portava il cibo in casa dei padroni, seguita da Agnese che si recò nella tenuta per prendere la lista di quello che avrebbero dovuto cucinare per il pranzo e per la cena. Quando la capocuoca se ne fu andata, alcune cameriere si avvicinarono a Rebecca per avere notizie sulla salute di Marina, la cuoca rispose che non lo sapeva perché aveva passato la notte in cucina e allora una di loro disse << Ci vado io da Marina, voglio… >>
<< No! >> l’interruppe Rebecca esclamando e facendo trasalire la povera ragazza.
<< Come? >> chiese balbettando quest’ultima.
<< Volevo dire, che devo passare io, perché… devo cambiarmi il grembiule >>
<< E allora vai! Metti il caso che Marina si sia sentita male? >>
<< Sì ci vado subito >> rispose Rebecca e con il capo chino uscì dalla cucina tirando un sospiro di sollievo.
Decisa, si incamminò verso la sua camera sperando e pregando Iddio di trovarci la sua collega. Quando vi giunse, fece il gesto di bussare alla porta, ma impulsivamente la spalancò, all’interno non c’era nessuno, la camera era ben riordinata. Rebecca non vi entrò, chinò il capo e chiuse la porta, rimase pochi secondi con la mano sulla maniglia poi sentendo dei passi si voltò incrociando Anna.
<< Se n’è andata, vero? >> chiese questa, quasi con un sibilo. Rebecca sospirò e iniziò a camminare sorpassandola.
<< Ha fatto la sua scelta, non posso farci niente! >>
<< Ma Rebecca… >>
<< Anna! >> l’interruppe esclamando e voltandosi verso di lei << è la sua vita, e noi non dobbiamo intrometterci, io, non devo intromettermi >>. Detto questo, diede un’ultima occhiata all’amica e poi si allontanò.
 
***
 
Davide non scese a colazione, e Giacomo fu costretto a servirlo in camera, ma lui non accettò, non aveva fame, e non aveva neanche voglia di incontrare suo zio, fatto molto strano, si permise di dirgli il maggiordomo lasciando il ragazzo scettico.
<< Il padrone di casa siete voi, non siete l’ospite, quindi non dovete rintanarvi in camera vostra per non vederlo. Oh, mi dispiace signore, non dovevo… >>
<< No, Giacomo, non scusarti, hai fatto bene a dirmi queste cose. Anzi, mi hai dato un aiuto morale >> gli disse dandogli due colpetti sulla spalla e, uscendo dalla sua camera, scese giù in salone dove incontrò la madre.
<< Madre? >>
<< Davide, cosa c’è? >>
<< Devo parlarvi >>
<< Dimmi >>
<< Non qui, andiamo nel mio studio >>
<< Va bene, ti seguo >> rispose la madre incuriosita e allo stesso tempo scettica. Quando entrarono e Davide chiuse la porta, lei si accomodò sulla poltrona e volse lo sguardo verso il figlio guardandolo curiosa.
<< Siete al corrente della proposta fatta da vostro fratello? >>
<< Quale? >>
<< Ieri, mi propose di cedere a lui l’intera gestione di Selva Reale, assicurando che aveva già parlato con voi e che voi avevate acconsentito. È vero questo, madre? >>
<< Be… ci mettemmo a parlare e lui mi disse che desiderava tanto diventare il vostro tutore >> balbettò la madre smarrita.
<< Io non ho bisogno di nessun tutore, né io né i miei fratelli! >> esclamò Davide irritato.
<< Davide io gli risposi che sembrava una buona idea e che… >>
<< Una buona idea? >> chiese il giovane incredulo << Ma cosa state dicendo? >>. Clara lo guardò sbigottita. Davide si incamminò per la stanza smarrito scuotendo la testa e ridendo << No, non ci credo >> mormorò mettendosi le mani in faccia, poi guardò la donna << come avete potuto dirgli questo?! >>
<< Davide… >>
<< Avete dimenticato che l’ultima volta che stette qui, trattò questa casa come un’alcova di prostitute e gli abitanti come topi di fogna? >>
<< Lui era irritato con tuo padre! >> esclamò supplichevole la madre.
<< Mio padre non c’era! E mi ricordo benissimo che si voltò verso di voi dicendo quelle orrende parole! O vi siete dimenticata che convinse vostra madre a togliervi dall’eredità che vi spettava? >>
<< Io l’ho fatto perché voglio rimediare agli errori di tuo padre, dando il suo posto a tuo zio >>
<< Nessuno! >> urlò Davide << Nessuno prenderà il posto di vostro marito! Tanto meno un approfittatore ipocrita e moralista come vostro fratello! Io non ho bisogno di un padre! Noi, non abbiamo bisogno di un padre. Non ho mai sentito i miei fratelli chiamarlo o cercarlo. Vostro marito ha fatto la sua scelta cinque anni fa, e l’ha fatta in modo vergognoso, lasciandovi in cinta per scappare dietro ad una soubrette in cerca di soldi, e lasciandoci pieni di spese e di debiti! Già… >> continuò il ragazzo con voce tremante di rabbia << … non ho dimenticato che aveva un conto alla banca di trenta milioni, intestato a quella svergognata, mentre noi qui rischiavamo di morire di fame! >>.
Clara appoggiò disperata i gomiti sulle ginocchia e affondò il viso sulle mani << Ti prego, basta! >>
<< Ne ho abbastanza di questa gente! >> affermò Davide serio << In cinque anni non avuto aiuto da nessuno, e di certo non lo vorrò adesso che ho ventitré anni! Non ho bisogno di Nicola Giuliani, né come zio né tantomeno come padre… e se lo faccio stare in casa mia è soltanto per voi! >>. Uscì dallo studio senza dire altra parola, lasciando la madre immersa in un pianto silenzioso.
Raggiunto il salone, Davide vide Angelica e Mattia che giocavano. Si avvicinò a loro e sorridendo accarezzò il capo del fratellino il quale lo guardò sorridendogli.
<< Ciao Davide >> mormorò il piccolo. Davide si accorse che il bambino aveva le guance rosse.
<< Stai bene Mattia? >>
<< Sì >> trillò il bambino.
<< Che cosa state facendo? >> chiese incuriosito.
<< Mattia, vuole costruire delle barche per metterle nel laghetto >> rispose la sorella << Non crede che le barche galleggiano >>
<< Certo che galleggiano Mattia >> confermò Davide prendendolo in braccio e dandogli un bacio sulle guance, le sentì calde. Il giovane diventò serio, chiamò Luisa e le chiese di chiamare il dottore Valli e di avvisare la madre, poi si voltò verso il piccolo e gli disse che doveva portarlo a riposare. Il bambino dapprima fece capricci, poi sconfitto, si aggrappò al collo del fratello e si zittì. Giunti nella camera del piccolo, Campana lo stese sul letto, gli si sedette accanto e gli accarezzò il viso pallido.
<< Dimmi la verità, Mattia. Tu non ti senti bene, vero? >>
<< Mi sento un poco stanco >> mormorò il piccino.
<< E null’altro? >>. Mattia scosse il capo. Dopo qualche secondo entrò Clara come una furia.
<< Mattia! Mattia, piccolo mio, che cos’hai? >> chiese disperata accarezzandogli il viso.
<< È solo stanco >> rispose Davide << comunque, per precauzione, ho fatto chiamare Sergio >>. La madre non parlò più, rimase affianco al bambino e lo coccolò.
Mattia, a poco a poco, si addormentò e dopo qualche minuto, la cameriera bussò alla porta annunciando l’arrivo del medico.
Sergio Valli visitò a lungo Mattia, poi asciugatosi la fronte e rivoltosi verso i presenti sospirò sorridendo.
<< Sergio, allora? >> chiese Davide impaziente.
<< Non ha niente, solo un po’ di temperatura. Ma è tutto a posto, non c’è niente di cui dobbiate preoccuparvi. >>
<< Ma per quale motivo è sempre stanco? >>
<< Perché ha poche vitamine, dovrete dargli molta frutta e fargli fare lunghe passeggiate all’aria aperta, senza stancarlo, però >>.
<< Menomale >> sospirò Clara chinandosi verso il bambino e stampandogli un bacio sulle guance. Il dottore si congedò e uscì con Davide, lasciando la madre con Mattia.
Scesero nel salone dove una cameriera annunciò il pranzo. Davide invitò l’amico a pranzare con loro ma il dottore rifiutò dicendo che aveva altre visite da fare. Si salutarono e Davide andò a tavola dove incontrò suo zio che aveva preso posto prima di tutti.
<< Buongiorno >> esclamò.
Davide non gli diede risposta, e l’uomo non perse tempo per stuzzicare la sua rabbia, << È questa l’educazione che ti sei dato? >>
<< Se non vi garba, potete anche ritornare dalla nobile casa da cui provenite >> lo sfidò Davide sedendosi a capotavola. Nicola non rispose ma serrò le labbra livide di rabbia. Dopo poco a tavola si presentarono tutti i componenti della famiglia Campana e il pranzò fu consumato in silenzio.
Quando terminarono, il capofamiglia ordinò a un cameriere di far preparare la sua carrozza.
<< Esci? >> chiese sua madre.
<< Sì >> rispose lui baciandole la mano.
<< E dove vai? >> chiese Nicola senza guardarlo. Davide prima lo fissò, poi rispose << Affari! >> e uscì salutando tutti.
Salito sulla carrozza, ordinò al cocchiere di andare in paese e raggiungere il circolo degli agricoltori. Il viaggio non fu lungo e quando in lontananza si poterono scorgere le case ammucchiate del paese, Davide si affacciò al finestrino e vide quella famigliare strada, nella quale, una domenica piovosa aveva incontrato una giovane ragazza che aveva preso il suo ombrello promettendogli che glielo avrebbe restituito la domenica successiva, chiuse gli occhi al ricordo di quel viso puro, e di quegli occhi disegnati, poi quella nuvola di ricordi si dissolse nel nulla, avvertito dal cocchiere che erano arrivati.
Scese, ordinò all’uomo di andare via e di passarlo a prendere alle venti, poi entrò nel locale, dove una nube di fumo invadeva il soffitto e un mormorio in sottofondo di uomini riecheggiava nell’aria. Davide intravide Gabriele Acquaviva, seduto su una poltrona accanto al camino mentre fumava un sigaro e gli andò incontro, gli toccò la spalla facendolo trasalire.
<< Davide, che spavento! >>
<< Che ci fai qui da solo? Sembri un vecchio pensionato! >> chiese Davide ridendo.
<< Ridi. Sto aspettando il mio acquirente, ha già un quarto d’ora di ritardo >> rispose lui seccato, tirando una lunga boccata al sigaro e rilasciando la nuvoletta di fumo bianco.
<< Ah, chi ritarda di tempo, ritarda anche nel pagamento! >> sentenziò Davide strafottente.
<< Non iniziare a fare l’uccellaccio del malaugurio! Tu, invece, qual buon vento ti porta? >>
<< Sono venuto a incontrare il marchese Castelli >>
<< Sei proprio ottuso, eh? >> chiese Gabriele << Be, mi dispiace dirtelo, ma il Marchese Giulio Castelli, oggi non ci degnerà di una sua visita >>
<< E perché? >> domandò scettico Davide.
<< Perché al circolo si presenta soltanto di domenica, quando non è troppo affollato >>
<< Che uomo strano! >>
<< Io ti avvisai. E ti ripeto di non fare affari con quel tipo >>
<< Ciao! >> esclamò Davide lasciando l’amico di nuovo solo.
Uscì dal locale e quel giorno non prese la solita strada che portava al bordello, bensì s’incamminò verso quella che conduceva alla fermata della corriera, accorgendosi che il ricordo della ragazza conosciuta lì non accennava a voler sfiorire.
Sorrise al pensiero di quegli occhi innocenti e di quelle labbra invitanti.
Nessuna donna era mai stata in grado di attirare la sua attenzione in quella maniera, perché lei sì?
Eppure non si conoscevano, erano riusciti a vedersi per pochi istanti e alla luce di un lampione.
A Davide Campana non bastavano quelle domande, voleva averne la certezza e quel giorno desiderò che la domenica arrivasse velocemente.
 

 

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Capitolo 4
*** Cap 4 ***


Capitolo 4

 
 
Anche quel giorno il lavoro finì all’imbrunir del cielo.
Rebecca ringraziò Iddio di averle dato forza per l’intera giornata, ma la stanchezza si fece presto sentire e la giovane raggiunse la sua stanza il più velocemente possibile per andarsene a dormire.
Prima di aprire la porta, però, esitò, speranzosa di trovare Marina all’interno, ma della fulva nemmeno l’ombra.
La giovane cuoca si passò una mano fra i capelli togliendosi la cuffietta della divisa e sospirando amareggiata.
Andò ad aprire l’armadio e, solo quando si vide cadere addosso un ombrello nero, i suoi pensieri l’allontanarono dall’amica e si concentrarono su quell’oggetto.
Un ricordo vivido prese strada nella sua mente e due occhi grigio azzurri sorridenti e penetranti si delinearono.
“Me lo darete la prossima volta che ci rincontreremo!” aveva detto quel giovane sconosciuto, dall’aria nobile e gentile.
<< Domenica… >> si ritrovò a sibilare Rebecca col sorriso sulle labbra. Rimise a posto l’ombrello si cambiò d’abito e finalmente poté stendersi sul letto. Volse lo sguardo verso il comodino per guardare l’orario; l’orologio segnava le ventidue passate, ripensò a Marina e alla corriera che effettuava l’ultima fermata alle ventuno.
Che fine aveva fatto quella ragazza? Perché non tornava? E se le fosse accaduto qualcosa? Nonostante le mille domande, non ebbe la forza di alzarsi e, vinta dalla stanchezza, si abbandonò al sonno fatto di incubi che l’accompagnarono fino al ritorno del mattino. Si destò di soprassalto, ansimate e con la fronte e il petto imperlati di sudore. La prima cosa che fece fu voltarsi dal lato opposto del letto e, con suo sollievo, vi trovò Marina addormentata, coperta fin sopra la testa; di lei scorgevano soltanto i riccioli rossi, ribelli.
Rebecca si alzò contenta, dimentica ormai degli strani incubi di cui non ricordava le fattezze. La chiamò, come risposta ricevette soltanto dei mormorii incomprensibili.
<< Andiamo, non fare storie! >> insistette tirandole via le coltri.
La cameriera a quel punto si alzò senza dire una parola e in tal maniera si vestì. Rebecca la osservò a lungo accorgendosi che aveva un’aria avvilita: gli occhi erano gonfi e rossi, pareva avesse pianto a lungo.
Che sia stanchezza? Si chiese la giovane, ma non fece domande e insieme si recarono nelle cucine.
Le altre cameriere non appena le videro entrare, corsero contro la fulva chiedendole come si sentisse, ma lei non diede soddisfazione e, congedandole con un secco “meglio”, si recò al suo posto di lavoro, lasciandole allibite dal suo comportamento, ma più di tutte, Rebecca fu l’unica ad intuire che c’era qualcosa che non quadrava e il pensiero che fosse accaduto qualcosa non la lasciò in pace.
Durante il lavoro, Marina fece molti errori. All’inizio Agnese tacque, ma alla fine perse la pazienza.
<< Marina! Ma che cosa ti prende? Oggi stai combinando danni uno dietro l’altro >> esclamò attirando l’attenzione dei presenti.
Marina non rispose, non chiese neanche scusa, fatto molto strano agli occhi di Rebecca che d’istinto si fece avanti per difenderla.
<< Scusatela Agnese, ma non sta ancora bene. >>
<< Che se ne vada di nuovo nella sua stanza, allora! >>
<< L’accompagno subito >> rispose Rebecca chinando la testa, poi, avvicinatasi all’amica, l’afferrò per le spalle e la condusse fuori dalla cucina per raggiungere la loro camera.
Quando vi entrarono, Marina si svincolò bruscamente da quella presa.
<< Si può sapere che diavolo ti prende? Smettila con questa pagliacciata! >> esclamò Rebecca ormai spazientita << Avevi detto che era solo per mercoledì la tua fasulla malattia, non dirmi che vi siete dati appuntamento anche per oggi? Bada, Marina io… >>
<< Non c’è nessun appuntamento >> sussurrò la fulva indurendo la voce.
<< Cosa? E allora perché ti comporti così? >>
<< Vuoi lasciarmi in pace? >> urlò la ragazza coprendosi il volto con le mani.
<< Marina, che significa? >> chiese Rebecca insospettita << Che cosa è successo ieri? >>
<< Niente! >> esclamò l’altra, piangendo e liberandosi il volto << Non è successo niente, ieri non ci fu nessun appuntamento! >> continuò alzandosi dal letto.
<< E allora perché ritornasti tardi? >>
<< Feci una lunga passeggiata! Sei contenta ora? Non mi sono presentata a quell’appuntamento! Sei soddisfatta adesso?! >> le urlò in faccia.
<< Cosa? È per questo che stai piangendo? Perché non ti sei presentata all’appuntamento? >> chiese la giovane dubbiosa.
Marina non rispose.
<< Piangi perché non sei andata dall’amore della tua vita? E pensi anche che io ne sia soddisfatta? Vuoi scaricare le tue presunte scelte sbagliate su di me! Ma chi sei? Non sei in grado neanche di decidere della tua vita e ti aggrappi alle decisioni altrui, dando la colpa delle tue stupidaggini! Chi sei?! >>.
A quel grido, Marina trasalì e Rebecca uscì sbattendo la porta. Si sentiva furiosa da quel comportamento.
Che fine aveva fatto la Marina che rideva sempre, la Marina che stanca di lavorare si lamentava di cose stupide? In quel momento l’aveva vista gelosa, invidiosa, imbrogliona ed era anche diventata meschina.
Arrivata in cucina continuò il suo lavoro fino a tarda sera. Quando ritornò nella sua stanza, trovò l’amica in camicia da notte seduta accanto alla finestra mentre sorreggeva con le braccia le gambe portate al petto. La fissò per un po’, poi toltasi il grembiule cercò di addolcire la voce e disse: << Ho chiesto ad Agnese di darti qualche giorno di riposo, ho detto che dovevi riprenderti >>
Marina non rispose e Rebecca continuò mentre si spogliava << Ha detto che potrai tornare a lavorare lunedì, sempre se ti sentirai meglio. >>.
La fulva tacque ancora. Rebecca continuò le sue faccende e messasi la camicia da notte si avvicinò alla ragazza toccandole la spalla, la sentì tremare, ma vide che non si volse, allora le disse << Marina, scusami per le parole di oggi. Ero arrabbiata >>
Silenzio.
Si distaccò da lei e si avvicinò al letto << E va bene lo ammetto >> esclamò << un po’ sono contenta della tua scelta, ma non giudicarmi male, lo sono perché non voglio che ti succeda nulla, non voglio vederti soffrire. Tu sei la migliore amica che abbia mai avuto in tutta la mia esistenza >>. A quelle parole, Marina mise per terra i piedi e si voltò verso la cuoca. Aveva negli occhi qualcosa di strano, di malinconico, qualcosa che Rebecca non aveva mai visto prima. Sorrideva, e nel sorridere disse con voce rauca: << Ti ringrazio Rebecca, amica mia >>. Si alzò dalla sedia e le corse incontro abbracciandola e, piangendo, continuò << Perdonami tu, sono stata sciocca, mi sono comportata come una bambina stupida. Hai ragione tu, sono un’irresponsabile. Perdonami per le cose che ti ho detto! >>.
Rebecca la rassicurò ricambiando l’abbraccio e accarezzandole la folta chioma rossa, e mentre lo faceva volse lo sguardo verso la finestra dove un cielo notturno esibiva le stelle luminose.
Il giorno dopo, Rebecca si alzò prima del sorgere del sole, perché aveva il turno di pulire la stanza, mentre Marina dormiva profondamente, cercò di non disturbarla. Quando terminò, prese un cesto e lo riempì di roba sporca, raccogliendo anche le cose dell’amica, poi si recò in lavanderia. Iniziò col lavare la roba intima e mentre strofinava, si accorse che il cavallo delle mutande dell’amica aveva delle macchie di sangue. Le guardò attentamente.
Ma come? Si disse. Non aveva avuto il suo periodo una settimana fa? Fece spallucce indifferente e continuò a lavare. Quando finì, i raggi del sole avevano ormai invaso l’intero paesaggio, ritornò in camera e vide con sua sorpresa che la cameriera si era svegliata e aveva indossato la divisa.
<< Che fai? >> le chiese incuriosita.
<< Torno a lavorare >> rispose lei indifferente.
<< Rimani a letto. Agnese ti ha permesso di non lavorare fino a domenica >>
<< Non ce la faccio a stare senza far niente, voglio muovermi >>
<< Fa’ come vuoi. Allora, andiamo? >>
<< Sì >>.
Andarono in cucina e si misero a lavoro.
Durante il pomeriggio, alcune cameriere uscirono nel giardino per ritirare la biancheria che avevano steso. Marina andò a sedersi su una panchina e a lei si avvicinò il figlio del custode che le sedette di fianco. Rebecca si voltò e li fissò sorridendo, ma qualcosa la fece turbare, qualcosa che aveva a che fare con il comportamento dell’amica la quale, dopo che il giovane le si era seduto accanto, si allontanò intimidita; poi vide che il ragazzo si chinò verso di lei, chiedendo che cosa avesse, toccandole il braccio e la ragazza si divincolò bruscamente gridandogli di lasciarla stare e iniziando a picchiarlo. Le altre cameriere si voltarono, ma non si mossero. Rebecca a quel punto fece cadere il cesto e corse verso di lei afferrandola dalle spalle per allontanarla dal mal capitato.
<< Marina, smettila! Ma che cosa ti prende?! >> urlava cercando di farla stare ferma. Quando ci riuscì vide che il giovane sanguinava dal naso.
<< Quella è pazza! >> esclamò il figlio del custode portandosi le dita al naso e allontanandosi dalle due ragazze << è pazza! >> ripeté spaventato, poi si alzò e scappò via.
<< Marina! Vuoi calmarti? >> esclamò Rebecca scuotendola e girandola verso di sé << Che diavolo ti è preso? >>
<< Hai visto anche tu? Mi ha allungato le mani! >> affermò tremante.
<< Ti ha soltanto toccato il braccio >>.
Marina esitò, balbettò qualcosa, poi abbassò lo sguardo tremando. Rebecca si accorse che aveva la fronte madida.
<< Ah, io pensavo… >> mormorò la fulva, smarrita << scusami, ho pensato male >> disse sorridendo << è che quel ragazzo alle volte è così appiccicoso >> continuò allontanandosi.
La giovane cuoca fissò tutti i suoi movimenti, poi fece spallucce e andò a riprendere il cesto che aveva fatto cadere. Non aveva più dubbi: Qualcosa era accaduto quel mercoledì. A quel punto non credette più al mancato appuntamento. Non poteva essersela presa in quella maniera, per aver dato buca a quel ragazzo.
<< Valla a capire… >> sibilò sospirando profondamente.
Due giorni dopo, la domenica fece la sua entrata con un sole luminoso che, però, riscaldava di poco l’aria.
Rebecca si stava preparando per uscire, aveva indossato il suo solito abito rosso scuro e si stava aggiustando i capelli davanti allo specchio. Alle volte volgeva lo sguardo verso Marina la quale dormiva con le coperte tirate fino al capo.
La chiamò dolcemente << Che fai? Non ti alzi? >>.
Marina non rispose.
 << Non dirmi che vuoi stare tutta la giornata nel letto? >> continuò la giovane << Su alzati! >>. Sentì mugugnare qualcosa, poi vide le coperte muoversi e da loro sbucare prima un braccio che le scansò per far uscire una testa rossa arruffata. << Non vuoi venire con me in paese? >> riprese Rebecca.
<< Neanche per sogno >> ribatté Marina con voce assonnata.
<< Perché? >>
<< Non ne ho assolutamente voglia >>
<< Ma come? >> ribatté la cuoca sorridendo << Non vuoi più trovarti un marito? >>.
Marina non rispose e non le volse neanche lo sguardo.
Dal canto suo, Rebecca non chiese più nulla, continuò ad aggiustarsi i capelli e, quando ebbe finito, sì alzò, andò a prendere dall’armadio l’ombrello, rimase a fissarlo per qualche istante, poi voltatasi verso l’amica le chiese cosa avesse intenzione di fare, ma quest’ultima, invece di rispondere si tirò le coperte fin sopra la testa e si girò dall’altro lato. A quel punto, non volle più insistere e se ne andò.
Nel corridoio trovò Gina che, tutte le domeniche, usciva per incontrare il suo fidanzato. Si unì a lei e andarono insieme a prendere la corriera.
Quando furono in paese, si divisero raccomandandosi di giungere in tempo per l’ultima fermata.
Con l’ombrello nero fra le mani, Rebecca prese a camminare lungo il viale che portava alla piazzetta. Cosa poteva fare? Dove poteva andare? Si era recata in paese solo per restituire l’ombrello a quel giovane tanto gentile che aveva incontrato la domenica precedente. Non lo conosceva, non sapeva neanche il suo nome. Sì, si erano detti che si sarebbero rincontrati la domenica successiva, ma dove? Erano solo le dieci e mezza e in lontananza sentì suonare le campane della Cattedrale, decise quindi di andare in Chiesa e di pensare sul da farsi alla fine della Messa.
 
***
 
Era quasi l’ora di pranzo, quando Davide uscì dal suo studio, aveva degli affari da concludere e non vedeva l’ora di recarsi in paese per andare al circolo e incontrare il marchese Castelli che, come aveva detto Gabriele, si presentava lì solo di domenica. E lui aveva deciso di incontrarlo per convincerlo a diventare suo acquirente. Non era preoccupato, benché sapeva di possedere l’abilità di riuscire nel suo intento.
Andò in sala da pranzo e per sua fortuna seppe dalla madre che suo zio era tornato a casa sua per motivi inspiegabili. Davide non fece domande, non gli importava, era contento e sperò che quell’uomo decidesse di non far più ritorno in casa Campana.
Pranzò lieto e sollevato da quella notizia e, dopo che ebbe finito, si congedò dicendo che si recava in paese per i soliti affari.
Quando arrivò al circolo si accorse che la porta era chiusa, per un attimo pensò che non ci fosse nessuno. Decise comunque di bussare. Dopo qualche secondo vennero ad aprire e Giuseppe, il barista, fece capolino.
<< Ah, signor Campana… >>
<< Buon pomeriggio Giuseppe, potrei entrare? >>
<< Ma, veramente… >> balbettò il giovane indeciso.
<< C’è qualche problema? >>
<< Ecco. La domenica il circolo non è aperto al pubblico… >>
<< Lo so >> rispose Davide secco << però so anche che la domenica fate entrare un certo marchese Castelli. Non vorrete farmi capire che un cliente saltuario abbia più elogi di uno assiduo? >>
<< No, no signore. Non voglio dire questo >> rispose il barista quasi spaventato << Prego entrate >> continuò facendo strada.
Il giovane lo ringraziò ed entrò recandosi nella sala fumatori dove vide in lontananza, seduto su una poltrona accanto al camino, un uomo sulla cinquantina, affascinante sbarbato che leggeva il giornale e teneva fra le dita un sigaro.
Senza far rumore, Davide si avvicinò a lui e gli sedette di fronte. L’uomo se ne accorse e lo guardò torvo, poi continuò a leggere il giornale.
Il giovane tacque aspettando una sua reazione.
L’uomo sbuffando piegò la rivista e l’appoggiò sul tavolino, afferrando un bicchiere contenente una semplice bevanda che Davide notò subito.
<< Pensavo che la domenica il circolo fosse chiuso al pubblico >> mormorò guardando il cameriere che abbassò lo sguardo non sapendo cosa dire.
<< Ma io non sono il pubblico >> ribatté Davide sorridendo.
Il marchese gli volse lo sguardo incuriosito e venne catturato dal colore di quegli occhi. << Permette? >> continuò Davide allungando la mano. << Davide Campana >>.
Castelli, prima di concedere la sua, fissò il giovane << Campana? Ho già sentito questo nome. Siete un nobile? >>
<< Non blasonato. Sono il proprietario di Selva Reale >> rispose Davide lasciando esterrefatto il marchese.
<< Voi siete quel famoso ragazzo che è arrivato da solo in cima alla piramide del successo? Cosa può fare un umile marchese come me, per un giovane così altruista? >> chiese quasi beffardo.
<< Voi mi elogiate troppo marchese >> rispose lui con lo stesso tono << Non ho alcuna intenzione di tediarvi. So che venite qui la domenica per non incontrare nessuno >>
<< Più che nessuno, non voglio incontrare scocciatori >>
<< Vi posso assicurare che non sono uno di quelli. Le mie intenzioni valgono ben altro di una seccatura… >>
Il marchese lo fissò incuriosito << Che cosa volete? >>
<< Sarò chiaro con voi >> rispose il giovane recandosi verso il bar e prendendo un bicchiere di whisky e uno di succo di limone, e porse quest’ultimo all’uomo che accettò guardandolo sbigottito.
<< Toglietemi una curiosità… >> chiese Castelli.
<< Dite >> rispose secco Davide.
Il marchese gli allungò il bicchiere del succo di limone e guardò il giovane << Non mi avete chiesto che bevanda preferisco, chi vi ha dato tanta sicurezza nel porgermi questo bicchiere di succo di limone? >>
<< L’odore >> rispose Davide senza esitare.
<< Come? >> chiese ancora il marchese più sbigottito di prima.
<< Quando sono entrato, oltre all’odore di fumo, c’era anche quello di limoni, e ho visto che il barista ne ha un cesto pieno. Nel club ci siete soltanto voi… >> rispose Davide divertito.
Castelli rimase a fissarlo ammirato da tanta intuizione << È la mia bevanda preferita >> si avvicinò il bicchiere e bevve qualche sorso.
Davide riprese: << Avete mai visto Selva Reale? >>
<< Vi dirò… in vita mia, le terre sono state sempre la mia fissazione, purtroppo non ho mai avuto il piacere di vedere quella famosa e bellissima terra. So che è molto vasta e rigogliosa >>
<< Bene > sorrise Davide << Io potrò darvi qualcosa di più del piacere di vederla >>.
Il marchese Castelli rimase in zittito e allo stesso tempo incuriosito dalle capacità e dalle intenzioni di quel giovine.
 
***
 
Era ormai pomeriggio inoltrato, e Rebecca si era rassegnata.
Aveva assistito alla Messa, poi era ritornata alla fermata della corriera, aveva aspettato per un po’, poi aveva deciso di comprare qualcosa da mangiare e si era fermata alla fontana della villetta accanto alla strada della fermata. Aveva aspettato ore e ne erano passate due dall’attesa, si sentiva stanca e infreddolita, guardò l’ombrello e sorrise << Che stupida >> si disse << che cosa se ne fa un ricco di un semplice ombrello? Ma poi, perché ci tieni tanto ad aspettarlo? >>. Fece spallucce, si alzò, si guardò per l’ultima volta attorno e poi iniziò a incamminarsi, ma, mentre lo faceva, si sentì catturare la mano da una presa docile, si girò trasalendo e incrociò due occhi grigio azzurri che le sorrisero, luminosi.
<< Siete venuta? >> disse una calda voce << Mi avete aspettato? >>
<< Io… >> balbettò la ragazza tremante, poi distolse lo sguardo da quegli occhi e guardò l’ombrello << dovevo restituirvelo >> disse porgendoglielo. Il ragazzo sorrise, lo prese e si avvicinò a lei prendendole la mano. La giovane arrossì sentendosi smarrita.
<< È da molto che mi aspettate? >>
<< No, no… >>
<< Siete sicura? Siete così fredda >>
Rebecca allontanò la mano da quella del ragazzo e rispose balbettando << È che, sono venuta da questa mattina in paese per… sbrigare delle faccende >> mentì.
<< Spero niente di seccante >> disse il giovane.
Lei scosse il capo sorridendo.
<< Avete pranzato? >> le chiese ancora
<< Sì, poi ho visto che non venivate e ho deciso di ritornare a casa >>
<< Allora perdonatemi se vi ho fatta aspettare al freddo. Se volete posso offrirvi qualcosa, per sdebitarmi >>
<< Oh, no. Non preoccupatevi. Io dovrei andare, tra un po’ passa la corriera >>
<< Oh, ma certo >> disse Davide dispiaciuto << Se non vi do fastidio posso accompagnarvi alla fermata? >> chiese speranzoso.
Rebecca esitò nel rispondere, ma rassicurata da quegli occhi, accettò volentieri. Si incamminarono verso la fermata uno poco distante dall’altra. La giovane era molto imbarazzata e allo stesso tempo contenta di averlo vicino e non sapeva spiegarsi il perché.
Davide, alle volte, le lanciava occhiate discrete e curiose, cercando di capire cosa stesse pensando.
Si fermarono e Rebecca si sentì spinta da un irrefrenabile voglia di guardarlo negli occhi, ma senza motivo non avrebbe potuto farlo, sapendo che il giovane ne avrebbe chiesto la ragione, così si voltò e gli mormorò << Sono davvero dispiaciuta >>.
Il nobile offrì il suo sguardo incuriosito da quelle parole.
<< E di cosa? >>
<< Mi avete accompagnato fin qui e non vi ho neanche ringraziato >>
<< Non preoccupatevi, sono io che devo ringraziarvi per l’ombrello. Non avrei mai immaginato che, a distanza di una settimana, vi sareste ricordata di me >>
A quelle parole, i pensieri di Rebecca vagarono per la mente dandole la consapevolezza che in tutti quei giorni aveva vissuto col desiderio di rincontrarlo. E con un guizzo di imbarazzo, rispose: << Anche voi vi siete ricordato di me >>
<< Be’… >> continuò il ragazzo << In fin dei conti ci eravamo detti che ci saremmo incontrati >>
<< Già >> rispose Rebecca sorridendo e arrossendo.
<< Soltanto una cosa vorrei da voi >> riprese il giovane serio. Rebecca lo guardò spaventata. << Se mi è permesso, posso sapere il vostro nome? >>
<< Il mio nome? >> balbettò la ragazza sollevata.
<< Sempre se non vi è di disturbo >>
<< Certo che no >> sorrise la giovane << io mi chiamo Rebecca C… >> si bloccò fissando il vuoto. Il nobile la guardò incuriosito. << Soltanto Rebecca? >>
<< S- sì >> rispose lei interdetta.
<< Piacere Rebecca, io sono Davide, potete chiamarmi anche voi soltanto Davide >> disse sorridendo e allungando la mano.
La giovane gliela strinse ricambiando il sorriso.
Da lontano si avvicinava la corriera e Rebecca si preparò distanziandosi dal ragazzo << Eccola che arriva >> mormorò quasi dispiaciuta.
Davide rimase a guardarla a lungo. Il cuore gli batteva forte e si sentì qualcosa che premeva per uscire dalla sua bocca.
Quando la corriera si fu fermata e Rebecca si era preparata per salire, lui le si avvicinò.
<< Rebecca! >> esclamò.
La cuoca trasalì e si voltò, aveva il viso imporporato.
<< Sì? >>
<< Prendete l’ombrello >> disse porgendoglielo
<< Ma perché? Non ne ho bisogno >>
<< Io sì! >> rispose Davide senza esitare << prendetelo, sarà un modo come un altro per incontrarci >>.
Rebecca esitò, aveva chiaro nella mente cosa fare, ma aveva anche paura di farlo, e non capiva perché, ma quel giovane le dava sicurezza e, spinta da quella, prese l’ombrello e rispose sorridendo << A domenica >>
<< A domenica >> ripeté Davide salutandola e guardandola scomparire con la corriera.
Quando il mezzo arrivò a destinazione, Ester non se ne rese conto, fu il cocchiere ad avvisarla. La giovane lo ringraziò e scese con il sorriso sulle labbra, sorriso che dopo qualche secondo si dissolse e diede il posto alla curiosità e alla preoccupazione. Davanti al cancelletto della casa dove lei prestava servizio, c’era una carrozza che le sembrò famigliare e su di essa vide il dottore Valli intento ad andarsene, corse verso di lui e lo fermò in tempo.
<< Dottore? Dottor Valli? >>
<< Oh, Rebecca, sei tu? >>
<< Dottore che cosa ci fate qui? È successo qualcosa? >>
<< Una cameriera ha avuto un incidente, e sono venuto di corsa >>
<< Una cameriera? >> chiese Rebecca incuriosita << E chi? >>
<< Una certa Marina Agonigi >> rispose il dottore. Rebecca trasalì e senza salutare corse dentro senza badare ai richiami dell’uomo. In cucina trovò alcune cameriere e tra queste intravide Anna che le corse in contro non appena la vide entrare.
<< Rebecca, finalmente sei tornata! >> esclamò disperata.
<< Che cosa è successo, ho incontrato il dottore e mi ha detto che… >>
<< Marina! Voleva uccidersi! >>
<< Cosa? Ma che stai dicendo? >> chiese incredula.
<< È la verità! >> rispose una cameriera avvicinandosi a loro due << Voleva pulire la frutta, Agnese le aveva detto che oggi era il suo giorno libero e che non doveva lavorare. Lei aveva insistito e quando Agnese è uscita dalla cucina, ha preso il coltello e si è tagliata i polsi! >>
<< Oh, mio Dio! >> esclamò Rebecca portandosi una mano alla bocca e facendo cadere involontariamente l’ombrello.
<< Per fortuna passavo di lì… >> riprese Anna piangendo spaventata << l’ho vista per terra con i polsi sanguinanti… >> si coprì il volto atterrita << Oh, Dio mio che spavento ho avuto >>
<< Dov’è adesso? >> chiese Rebecca avvilita.
<< Agnese l’ha portata nell’infermeria >>
<< Vado da lei >>
<< Vengo con te >> disse Anna seguendola, nel corridoio incontrarono Agnese con il volto stanco.
<< Agnese… >>
<< Rebecca, hai saputo? >>
<< Come sta? >> chiese la ragazza sibilando.
La capo cuoca esitò nel rispondere poi disse sospirando << Dobbiamo portarla in ospedale >>
<< Perché? >> chiese Rebecca allarmata.
<< Ha perso molto sangue >> rispose l’altra tutto d’un fiato.
Rebecca riprese a camminare intenta a raggiungere l’infermeria.
Agnese l’afferrò per un braccio fermandola. << Dove stai andando? >>
<< Da lei, voglio vederla! >> rispose Rebecca con le lacrime che le sgorgavano dagli occhi come fontane.
<< No. Tu starai con me >> poi rivolgendosi ad Anna disse << E anche tu. Dobbiamo fare in modo che questa storia non arrivi alle orecchie dei padroni. Dobbiamo far tacere le cameriere. Io intanto avverto il dottore per portarla in ospedale >>.
Rebecca non rispose. Mogia, si recò con Anna nella cucina.
Le cameriere promisero di non dire niente, e dopo un po’ arrivò il dottor Valli insieme ad un infermiere per prendere Marina.
Rebecca si allontanò dalle sue compagne e si recò nel corridoio principale aspettando che portassero la ferita, quando vide in lontananza la barella, fece qualche passo per avvicinarsi a loro. Si accorse che tremava e sentì il suo viso freddo e bagnato. Le lacrime si fecero più intense quando vide la sua amica distesa con il viso pallido e gli occhi lividi, aveva i capelli sparsi sul cuscino, sembrava morta. Quando si accorse di averla proprio di fronte fece cenno al dottore di fermarsi e si avvicinò pian piano alla giovane, per un momento guardò i polsi fasciati, le accarezzò dolcemente la mano poi voltò lo sguardo verso il viso avvilito e con voce rauca la chiamò.
Marina non sentì, allora la chiamò di nuovo. A quel punto la fulva aprì lentamente gli occhi e li volse verso l’amica, la guardò con un sorriso malinconico e una lacrima le scivolò lungo la guancia.
<< Reb… >> sibilò sforzandosi di parlare.
<< Marina, ma che hai fatto? >> chiese la giovane cuoca fra i singhiozzi.
<< Io… >> si sforzò ancora Marina << adesso non… >>
Il dottore le interruppe spiegando che dovevano andare, e mentre riprendevano il cammino, Ester li seguì stando accanto all’amica che cercava di dirle qualcosa.
<< Cosa c’è? >> le chiese << Andrà tutto bene Marina, non preoccuparti >>.
La fulva scosse pian piano la testa piangendo.
<< No Rebecca >> balbettò << adesso non mi sposerà più nessuno >> aggiunse tutto d’un fiato mentre veniva messa sulla carrozza.
A quelle parole Rebecca trasalì e rimase ferma come una statua guardando la scura carrozza che si allontanava.
Quell’ultima frase le rimbombò nella mente.
Che cosa voleva dire? Che significava che non l’avrebbe sposata più nessuno? Poi come se un fulmine l’avesse folgorata i ricordi si fecero più chiari, facendole tornare alla mente l'intimo sporco di sangue. In quel momento Rebecca comprese tutto.
<< Non è vero che non l’ha incontrato… >> si ritrovo a sibilare. << Lei è andata a quel appuntamento. L’ha fatto. >> si ripeté stringendo i pugni.

 

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Capitolo 5
*** Cap 5 ***


Capitolo 5




 
 
Davide Campana scese dalla carrozza, allegro. Fischiettava sorridendo e nella mente un unico pensiero: Rebecca. Da quando l’aveva vista non era riuscito più a dimenticarla, non che avesse voluto farlo, ma non sapeva dirsi il perché quelle due volte in cui si erano incontrati erano bastate per far scaturire in lui qualcosa che aveva assopito da tempo. Nonostante fosse cauto a volersi dare una risposta, non vedeva l’ora e il momento di rincontrarla.
Inconsapevolmente si ritrovò nel salone di casa sua e vide seduti sulla poltrona sua madre in compagnia di Gabriele Acquaviva.
<< Buonasera >> balbettò Campana.
<< Davide >> disse la madre << ti stavamo aspettando >>
<< Be, vi avevo detto che avevo un appuntamento di affari >>
<< Già >> intervenne Gabriele alzandosi << con il marchese Castelli. Com’è andata? >> chiese beffardo.
<< Sai Gabriele? >> riprese Davide andando a prendere un bicchiere di liquore dal tavolino accanto alla poltrona << dovresti aver inteso le mie capacità nel fare affari, sbaglio, o te ne ho già dato prova? >> chiese il giovane con lo stesso tono.
<< Questo significa… cioè, vuoi dire che? >> balbettò Gabriele incredulo. Davide annuì sorridendo. << No! Non ci posso credere, ma come diavolo hai fatto? >> chiese Gabriele sbalordito << sei riuscito a fare affari con il marchese? >>
<< Certo, e ti dirò di più… >> rispose Davide << non è affatto come me lo hai descritto! >>. Gabriele rimase allibito, poi preso per un braccio il suo amico lo invitò a raccontargli cosa era successo al circolo. Davide rispose che avrebbe parlato dopo cena, invitandolo a mangiare con loro. Acquaviva accettò con entusiasmo, fervendo dalla curiosità.
Dopo cena, i due si congedarono e si recarono nello studio del giovane Campana. Qui, Gabriele prese un sigaro e si andò a mettere comodo sul divano, aspettando che l’amico iniziasse a parlare. Davide lo fece aspettare: prese anch’egli un avana e prima di accenderlo si andò a riempire un bicchiere di buon whisky, infine si sedette di fronte al suo amico.
<< Allora? Vuoi ancora torturarmi? >> chiese a quel punto Acquaviva, gesticolando nervoso.
<< Ne sei davvero interessato? >> chiese Davide beffardo.
<< Vuoi parlare, o no!? >>
<< Il nostro marchese è molto amante delle terre, fervido nel ammirare la mia Selva Reale, contrada che non aveva mai visto in vita sua… e a quel punto ho estratto dalla mia manica l’asso della vittoria >>
<< Cosa hai fatto? >> chiese Gabriele balbettando.
<< Ho offerto al marchese qualcosa di più del limitarsi a guardare Selva Reale… ho offerto i suoi frutti >>
<< Beh, è quello che volevi. Non vedo cosa ci sia di tanto entusiasmante in questo >>
<< Sarò più elementare. Ho affittato i lotti di uliveto >>
<< Affittato? >> chiese ancora Gabriele che non aveva compreso.
<< Sì. Cioè, lui si appropria delle olive delle mie terre e io mi accaparro l’affitto >>
<< Ma se lui si prende il lavoro, i tuoi operai rimangono disoccupati >>
Davide scosse la testa sorseggiando il forte liquido << Assolutamente no. Non sono un egoista, ho anche ceduto per l’intera stagione i miei operai. Penserà il marchese a pagarli >>
<< Vecchia volpe! Facendo così, per l’intera stagione delle olive, tu non andrai a perdere, anzi, guadagnerai il doppio di ciò che guadagnavi prima. >>.
Davide sorrise soddisfatto, e l’amico si complimentò con lui dicendogli che era un genio << solo una cosa >> riprese Gabriele << il suo amore per le terre ti è bastato a convincerlo? >>
<< No! >> rispose secco Davide << gli ho mostrato il bilancio delle vendite dei miei frutti, e lui, notando che le mie terre portano un buon guadagno ha accettato. Dobbiamo solo firmare il contratto >>
<< I… io sono sbalordito, ma come fai? >> esclamò Acquaviva con fare allegro.
Davide sorrise. Il suo fiuto per gli affari era un dono, e lo aveva reso, con quell’ultimo contratto, il giovane più ricco della contrada.
 
***
 
La giovane cuoca si voltò e rivoltò tante volte nel suo letto. Non riusciva a prendere sonno, il letto vuoto di Marina le faceva impressione, non era la prima volta che dormiva sola, ma quella sera aveva paura, e non sapeva spiegarsi il perché.
Marina quel giorno aveva cercato di suicidarsi, desiderava morire, e tutto questo per amore.
Ma si può arrivare a tanto per amore? Si chiese Rebecca. Non vedeva l’ora di rivedere la sua amica per farsi dare una spiegazione. Quella frase che le aveva detto prima di essere portata via le aveva messo un’angoscia in petto, e i mal pensieri iniziarono a percorrere la sua mente. Se Marina aveva affermato piangendo che nessuno l’avrebbe più sposata, non era per aver tentato quel gesto orrendo, bensì aveva commesso un altro errore. L’intimo sporco e la reazione che aveva avuto quando il figlio del custode le aveva toccato il braccio, diedero conferma ai dubbi di Rebecca, e cioè che Marina si era concessa a quel farabutto, o che magari fosse stata… abusata.
A quel ultimo quanto estremo pensiero, Rebecca ebbe come un gemito, strinse gli occhi e pianse in silenzio pregando Dio di essersi sbagliata.
All’alba si alzò, si lavò e indossò la sua divisa, riordinò la camera e poi si recò in cucina dove c’erano solo due cameriere, cercò Agnese ma nessuno l’aveva vista. Dopo un po’ entrò Anna che salutò con voce rauca le si affiancò.
<< Non ho dormito stanotte >> affermò la giovane appoggiandosi al tavolo. Rebecca le porse una tazza di caffè.
<< Tieni >> disse << ti terrà sveglia >>
La collega ringraziò con un accenno di sorriso.
<< Anche io non ho dormito >> disse Rebecca sbuffando. La loro conversazione fu interrotta da Agnese che entrò in cucina senza salutare, guardò le cameriere per vedere se c’erano tutte e poi battendo le mani esclamò << Sveglia! Bisogna preparare la colazione ai signori. Tu Rebecca vieni con me in magazzino. Il maggiordomo mi ha dato la lista del pranzo e della cena. >>
<< Sì Agnese >> mormorò la giovane.
Le due uscirono e, mentre si allontanavano dalla cucina, Rebecca si accorse che le cameriere avevano dato inizio a bisbigli, rallentò il passo e con il capo chino cercò di capire cosa stessero dicendo, ma le parole di Agnese la fecero trasalire.
<< Stupide! >> esclamò la capocuoca << Le avevo ordinato di tacere. Ma non gliela farò passare liscia >>
<< A proposito di questo >> si permise di dire Rebecca << Agnese… >>. La capocuoca si fermò e si voltò incuriosita verso di lei.
<< Dimmi >>
<< Vorrei chiedervi il permesso di farmi andare a trovare Marina in ospedale, non ha parenti e io per lei sono sempre stata come una sorella >>
<< Va bene, andrai oggi pomeriggio, senza far sapere niente a nessuno! Visto che quelle pettegole non sanno tenere la bocca chiusa. Me la vedrò io per la tua assenza. >>
<< Grazie Agnese >>. Detto questo continuarono a camminare fino al magazzino.
Nel pomeriggio, Rebecca uscì dalla cucina senza salutare e si recò in fretta e in furia in camera sua. Si tolse la divisa, indossò un vestito e messasi la mantellina con il cappello uscì, facendo attenzione a non farsi vedere.
Quando arrivò al cancelletto incontrò il figlio del custode, il quale vedendola le andò incontro.
<< Ciao Rebecca >>
<< Oh, ciao Michele >>
<< Dove stai andando? >> chiese incuriosito ostacolandole il cammino.
<< Sto… uscendo per una commissione >> balbettò lei mentendo.
<< Ma, Marina…? >>
<< Marina, cosa? >>
<< Dov’è? >> chiese lui tutto d’un fiato. Rebecca non sapeva cosa rispondergli, non poteva dirgli la verità, Agnese era stata molto chiara su questo. Marina aveva ragione, quel ragazzo era molto insistente e appiccicoso. Pensò in fretta ad una bugia che poteva andar bene, ma non le venne in mente niente. Poi la corriera si fece annunciare, ma il custode continuava a bloccarle il passaggio. A quel punto la ragazza esclamò infastidita: << Michele… Marina bisogna lasciarla stare in questo periodo. È una ragazza molto fragile di mente e la minima cosa che le capita, lei la prende come un’offesa grave >> disse scansandolo, il giovane però non si arrese e le fu di nuovo davanti.
<< Sì ma io… >>
<< Michele! >> lo interruppe bruscamente la giovane presa dall’ira << Ti ho detto che devi lasciarla stare! >> gli urlò contro prima di correre verso la corriera.
Il giovane rimase allibito e anche un po’ offeso da quella reazione e da quelle ultime parole. Strinse i pugni e sibilò qualcosa a denti stretti, mentre guardava la corriera allontanarsi.
 
***
 
L’ospedale Sacro Cuore si trovava accanto alla chiesa di Sant’Angelo e al cimitero. Era uno stabile molto antico e piccolo, ché più che un ospedale sembrava un palazzo ospitante una famiglia di cinque persone. Purtroppo anche se in quelle condizioni, era molto indispensabile soprattutto alle persone che abitavano il piccolo paese e che non avevano i mezzi per spostarsi.
Rebecca vi entrò esitante, manteneva la borsetta con tutte e due le mani e si guardava intorno, cercando di trovare l’ufficio informazioni.
Era la prima volta che entrava in quel posto, e non riusciva ancora a credere fosse dovuta a causa della sua migliore amica.
In lontananza vide un’infermiera e si avvicinò a lei chiedendo dove poteva trovare la paziente Marina Agonigi. L’infermiera, prima di rispondere, prese una cartella e la sfogliò per qualche secondo, poi trovato il nome disse di recarsi nella stanza ventiquattro.
Rebecca la ringraziò e si incamminò pian piano verso la parte indicata. Quando vi arrivò, rimase ferma, aveva timore di entrare e non sapeva spiegarsi il motivo. Tirò un lungo respiro e poi facendosi coraggio bussò alla porta. Un lieve “entrate” si fece udire e la giovane, messa la mano sulla maniglia, la spinse giù e dischiuse la porta. Fece capolino e vide solo una finestra coperta da una tenda bianca tinta di luce. Aprì di più ed entrò quando sentì quella voce famigliare ripetere l’invito. Chiuse la porta alle sue spalle, e voltato il viso alla sua destra vide un letto bianco che ospitava un corpo supino. Salì con lo sguardo e si fermò su un volto pallido e su due occhi lividi che la guardavano con supplica.
<< Marina >> mormorò trattenendo le lacrime.
<< Oh, Rebecca… >> sibilò la fulva cercando di alzarsi dal letto.
La giovane cuoca non resistette più e, facendo scorrere le lacrime sul viso, corse verso l’amica e l’abbracciò facendo attenzione a non farle male.
<< Oh, Marina! Ma perché l’hai fatto? >> chiese piangendo.
<< Non… non lo so >> balbettò Marina tra i singhiozzi.
I minuti si susseguirono in fretta. Rebecca, dopo gli abbracci, non le chiese nient’altro. L’aveva aiutata a mangiare, perché da sola non riusciva a muovere le mani, le aveva cambiato la camicia da notte e solo quando la vide più riposata iniziò le sue domande.
<< Marina. Non voglio farti soffrire, ma tu puoi fidarti di me. Penso sia arrivato il momento che tu mi dica cosa è successo >> disse guardandola seria. Marina non volse lo sguardo, rimase a fissare il soffitto e permise a qualche lacrima di uscire dagli occhi e percorrerle il viso.
<< Ti dirò tutto. Vi ho fatto spaventare abbastanza >> affermò decisa << tu, tu devi perdonarmi Rebecca >>
<< Per cosa? >> chiese Rebecca con voce rauca.
<< Perché ho tradito la nostra amicizia e perché ti ho presa in giro. Io ti ho mentito fin dall’inizio >>
<< Su cosa? >>
<< Quel… quel mercoledì io… >> Marina esitò. Rebecca trattenne il respiro. << io andai all’appuntamento. La domenica, prima di lasciarci, lui mi chiese se potevamo rivederci, io risposi che doveva aspettare fino alla domenica seguente, ma lui mi afferrò le mani dicendomi che era perdutamente innamorato di me, e che per fargli capire che anche io lo amavo, dovevo dargliene conferma. Lui lo chiamò pegno d’amore. Il mio cuore batteva di felicità e di emozione e allora dissi che ci saremo incontrati mercoledì.
Quel mercoledì, arrivò più in fretta di quanto io potessi immaginare. All’inizio le tue parole mi fecero illuminarono e misero in guardia, ma nella mia mente la frase di lui rimbombava come un tuono. Al solo ricordarmi quelle parole il mio cuore cominciava a battere, e la voglia di rivederlo diventava più bisognosa. Allora decisi di seguire il mio cuore e di presentarmi all’appuntamento. Al cancello trovai Michele che iniziò a farmi domande e io… io lo trattai male, dicendogli che doveva starmi lontana, gli tirai uno schiaffo e fuggii via per prendere la corriera. Quando arrivai in paese, cercai a lungo Amedeo, ma non lo trovai. A quel punto decisi di lasciar perdere e far ritorno, ma da lontano mi sentii chiamare, mi voltai e lo vidi che correva verso di me, era più bello che mai… andammo in una locanda, mi offrì da bere, era molto gentile, mi guardava con occhi dolci. I miei occhi erano ciechi, solo dopo mi accorsi che era tutta una farsa. Usciti dalla locanda, mi prese dolcemente la mano, e correndo mi disse che voleva sposarmi. Me lo chiese e io… accettai senza esitare, lui mi baciò. Inconsapevolmente mi ritrovai nell’albergo dove soggiornava. E lì…>>
<< E lì, cosa? >> chiese Rebecca con voce rauca.
Marina non rispose, strinse le labbra e pianse. Rebecca capì e scosse la testa incredula << lo sapevo >> sussurrò rassegnata.
<< Non giudicarmi male >> singhiozzò Marina << lui mi aveva promesso che alla seconda licenza sarebbe venuto per sposarmi! >> affermò disperatamente.
<< E invece… >>
<< E invece, dopo essermi risvegliata, non lo trovai accanto a me, non mi aveva lasciato neanche un bigliettino, mi vestii in fretta, andai alla portineria e nessuno sapeva niente. Prima di uscire, vidi un paio di coppiette salire e scendere le scale. Iniziai a capire: non era un albergo… mi sentii sporca e mi vergognai di uscire e farmi vedere dalle persone. Camminai a lungo e a sera, lo rividi, era assieme ad una ragazza e rideva. Il suo sorriso, che prima era dolce e gentile, in quel momento lo vidi cattivo. Ebbi il coraggio di affrontarlo, ma lui mi respinse dicendo che non mi conosceva >>.
Rebecca strinse gli occhi sospirando profondamente sentendo un dolore lancinante al petto.
Marina continuò.
<< Mi trattò come una… una, pazza svergognata. Lo vidi mentre si allontanava abbracciato a quella ragazzina. Rimasi lì, come una statua. Il mio cuore non batteva più, mi faceva male. Non mi ricordo come riuscii ad arrivare alla tenuta, ma a tarda sera mi ritrovai di fronte al cancelletto. Da lì guardai la finestra della nostra stanza accesa, non volli entrare, non volevo incontrare il tuo sguardo severo, non volevo darti spiegazioni. Aspettai fuori, con la testa appoggiata alle sbarre del cancello e gli occhi fissi sulla finestra, aspettai fino a che la candela si spense. >> guardò l’amica con supplica e continuò singhiozzando. << Ti prego Rebecca, non giudicarmi male! >>.
La giovane cuoca scosse la testa, ma rimase a fissarla duramente. << No, Marina, io non sono nessuno per giudicarti. Tutti commettiamo degli sbagli… ma la cosa che mi fa più rabbia, è il tuo gesto. Volevi suicidarti! >>
<< Io, non ce la facevo più! Avevo i rimorsi >>
<< Avresti dovuto pregare il Signore! Dio ci ha donato la vita perché noi l’affrontassimo nel bene e nel male. Tocca a Lui solo decidere quando riprendersela. Sai, Marina, lo sbaglio più grande che hai commesso, non è l’esserti concessa a quel mascalzone, è l’aver provato a toglierti la vita. Vivrai con la vergogna di non essere più pura agli occhi degli uomini? Non importa! È Dio l’unico e il solo che deve giudicarti! Credimi, se fossi morta, a quest’ora proveresti vergogna davanti a Dio per quell’atto che Lui non accetta. L’uomo non perdona, ma Dio sì. E tu devi sentirti felice perché sappi che tutti noi, anche io, un domani dovremo dare conto a Dio e a nessun altro >>
<< Oh Rebecca! >> scoppiò in lacrime Marina allungando le braccia per farsi abbracciare. L’amica si alzò dalla sedia e le andò incontro concedendole il gesto. << Grazie >> mormorò Marina.
<< Di nulla. Io non parlerò di questa storia, ma tu devi promettermi che non appena ti riprenderai, tornerai la Marina di un tempo, ma non quella avventata… >>
<< Sì, Rebecca, te lo prometto >>.
<< Ora è meglio che vada, Agnese mi ha dato solo il pomeriggio libero >>
<< Vai pure. La tua sola presenza mi ha tranquillizzata. >>
Si salutarono con un altro abbraccio, poi Rebecca se ne andò e si ritrovò per la strada circondata dal freddo. Si rannicchiò nella mantellina e si incamminò verso la fermata della corriera.
Si sentiva contenta delle parole che aveva detto a Marina, era stato come sentire qualcuno che parlava con la sua voce, e quelle parole le colmarono il cuore di conforto. Sorrise al pensiero e, tirato un lungo respiro, ringraziò Dio. Nel mentre che camminava, però, davanti a sé incontrò una persona a lei famigliare. Parve proprio una coincidenza: un giovane in divisa, abbracciato a una ragazza, si dirigeva verso una locanda. Rebecca lo riconobbe subito. Si sentì tremare di rabbia e il respiro farsi più pesante; senza rendersene conto, si ritrovò nella locanda. Vide l’ufficiale fare lo sdolcinato con quella ragazza, le accarezzava il viso e le mani, e le sorrideva malizioso.
Cieca di rabbia, la giovane cuoca lasciò che a comandarla fosse l’istinto: andò al bancone, ordinò un bicchiere di liquore forte e, quando lo ebbe, si mise davanti a quel uomo, rimase ferma, aspettando che lui le volgesse lo sguardo.
<< Serve qualcosa? >> chiese Amedeo curioso. Rebecca non rispose, manteneva tremante il bicchiere. << Ehi, ragazzina, non ci siamo per caso visti da qualche parte? >>.
<< Sì! >> esclamò la ragazza gettandogli negli occhi il forte liquido. Il ragazzo si fece indietro stringendo gli occhi che iniziarono a bruciargli, gridava dal dolore. La ragazzina che gli era di fronte si alzò e afferrò violentemente il braccio di Rebecca, chiedendole spiegazioni. Quest’ultima fu più forte, si liberò bruscamente dalla presa e scaraventò a terra la ragazzina che non riuscì ad alzarsi.
<< Ma tu sei pazza! >> esclamò Amedeo socchiudendo gli occhi arrossati.
<< Farabutto! >>
<< Ma che vuoi? >>
<< Niente! >> rispose Rebecca, beffarda << Volevo farti assaporare un minimo di dolore che hai arrecato a Marina! >>
<< Ma… Marina? Adesso ricordo, tu sei… >>
<< Tu non mi conosci! E credimi, devi ritenerti fortunato! >>. Esclamò voltandosi per uscire dalla locanda piena di persone che guardavano esterrefatti l’accaduto. Il giovane non si arrese, spalancò gli occhi e, raggiunta Rebecca, le afferrò un braccio, stringendoglielo e voltandola verso di sé. La cuoca incrociò quegli occhi che la guardavano maliziosi.
<< Dovrei avere paura? >> chiese lui con voce beffarda.
<< Lasciami! >> sibilò a denti stretti.
<< Tu sei soltanto una cameriera, una di quelle sgualdrinelle in cerca di polli da spennare, una come Marina! >>
Rebecca indurì lo sguardo e Amedeo a ne ebbe timore, tuttavia continuò beffardo: << Dimmi la verità, hai saputo che Marina si è divertita e vuoi provarci an… >> fu però interrotto da un violento schiaffo che gli tirò la ragazza. Piegò la faccia a un lato e barcollò all’indietro, poi voltò di nuovo il viso verso di lei che lo guardava con odio e sorridendo le si avvicinò per restituirgli il gesto, ma qualcuno da dietro gli afferrò la mano fermandolo.
<< Sta’ fermo… non ti hanno insegnato che le donne non si devono toccare neanche con un fiore? >> disse qualcuno.
Rebecca ebbe un sussulto al cuore, riconobbe la voce, ma volle verificare che si trattasse veramente di lui. Si fece a un lato e incrociò quegli occhi grigio azzurri che la guardavano sorridendo.
<< Chi siete voi? >> chiese Amedeo sforzandosi dal dolore.
<< Non amo presentarmi ai depravati come te. Chiedi scusa alla signorina, e sparisci >>
<< Non devo chiedere nulla a una sgualdrina… >>
A quelle parole Davide strinse la presa torcendogli il braccio e facendolo gridare dal dolore << Ho detto chiedi scusa! >> esclamò nervoso, facendo trasalire le persone che gli stavano intorno. L’ufficiale, vinto dal dolore, si arrese, guardò con occhi socchiusi Rebecca e le chiese scusa, ma la giovane non rispose, ricambiò uno sguardo gelido e pieno di rabbia. Davide lo tirò a sè e lo scaraventò fuori facendolo cadere per terra, Amedeo si alzò in fretta e scappò via inseguito dalla ragazzina che stava con lui.
Prima di andare verso Rebecca, Davide si guardò intorno vedendo tante persone che lo fissavano incuriosite.
<< Allora? Tornate alle vostre faccende, non è successo nulla >> poi, senza aggiungere altro, prese la mano della giovane e la tirò a sé uscendo dalla locanda.
<< Io… vi ringrazio Davide >> balbettò lei arrossendo.
<< Si può sapere che cosa ci facevate lì dentro? >>
<< E’ una lunga storia, e molto triste da raccontare >>
<< Quell’uomo vi ha molestata? >>
<< No, no! >> rispose Rebecca allarmata, poi gli raccontò tutto. Davide ascoltò la storia dispiaciuto e allo stesso tempo sollevato, sapendo che la giovane non centrava nulla. Quando la ragazza finì di raccontare lui sospirò.
<< Be, queste cose sono all’ordine del giorno, la vostra amica doveva aspettarselo. Mi dispiace solo che abbiate diffidenza verso gli uomini. Non tutti sono come quel farabutto. >>
<< E voi come siete? >> chiese Rebecca tutto d’un fiato cercando di guardarlo negli occhi.
Davide si voltò di scatto. << Voi come mi vedete, Rebecca? >> ribatté a bruciapelo.
Rebecca trasalì, e sentì un forte calore inondare il suo viso, non rispose, abbassò lo sguardo e si sedette su una panchina.
Davide la imitò. << Scusatemi vi ho messa in imbarazzo >>.
La giovane scosse la testa.
<< Volete che la dia io la risposta? >> chiese Davide dolcemente.
Rebecca non rispose, allora il ragazzo le afferrò delicatamente una mano costringendola a guardarlo, le sorrise e mormorando disse << Io sono come il vostro cuore mi vede >>.
Il respiro di Rebecca si fece più pesante, iniziò a tremare e non sapeva dirsi il perché, escluse la paura. Cosa poteva essere? Fissò quegli occhi misteriosi che a poco a poco si chiudevano e diventavano più grandi al suo sguardo. Trasalì, accorgendosi della vicinanza che Davide stava imponendo per baciarla. Esitò, all’iniziò rimase ferma pronta a concedergli le sue labbra, poi ebbe come uno scatto e si allontanò da lui.
<< Scusatemi Davide, mi sono ricordata che tra qualche minuto passerà la corriera. Devo andare >> disse voltandosi.
<< Rebecca! >> esclamò Davide alzandosi dalla panchina.
<< Sì? >>
<< Vi ho… vi ho offesa? >> chiese quasi con supplica.
La ragazza scosse la testa sorridendo << No >>. Il giovane sospirò sollevato << Ci rivedremo? >> chiese.
<< Certo! >> rispose lei con un sorriso << A domenica >> e se ne andò.
 
***
 
La vecchia Agnese rimase per molto tempo fuori, aspettando il ritorno di Rebecca.
Il sole era ormai tramontato e l’aria si era fatta più fredda. Avvolta nel suo scialle di lana bianco, la capo cuoca era assorta nei suoi pensieri. In cinquant’anni della sua vita lavorativa, non le era mai capitato di assistere a una scena del genere. Era convinta di avere la situazione sempre sotto controllo, di svolgere bene il suo lavoro e di far regnare la sua autorità con le altre cuoche.
Allora cos’era andato storto, si continuava a chiedere stringendo lo scialle al petto. Doveva essere successo qualcosa di veramente serio a Marina per portarla a compiere quel gesto.
Tirando un lungo respiro che assomigliò ad una piccola nuvoletta bianca dissolta nell’aria, si disse che le risposte sarebbero giunte molto presto, doveva solo aspettare l’arrivo di Rebecca.
Quando la ragazza entrò nel giardino, Agnese si accorse che aveva il viso illuminato e un dolce rossore alle guance. La donna pensò fosse il freddo, ma non poteva immaginare che quell’espressione era la causa di una grande emozione scaturita dal ricordo di una carezza e di un lieve bacio interrotto prima ancora di fiorire.
Rebecca si avvicinò all’entrata della cucina, sorridendo. Non si accorse della presenza di Agnese e, quando la donna la chiamò, lei trasalì, allontanandosi da quel dolce pensiero.
<< Agnese, siete qui? >> chiese balbettando << non vi avevo vista >>
<< Me ne sono accorta >> rispose la capo cuoca con voce rauca << Allora? >>
<< Allora, cosa? >>
<< Come, cosa? Sei andata a trovare Marina, sì o no? >>
<< Ma certo! >> esclamò la ragazza.
<< Non hai niente da dirmi? >>
<< Solo una cosa, Agnese. Vi posso assicurare che non si è trattato di un tentato suicidio >> rispose Rebecca tutto d’un fiato, poi vide la donna allentare la presa dello scialle e tirare un sospiro di sollievo. << Menomale >> sibilò.
<< Già. Così taceranno anche le cameriere e questa storia non si saprà mai >> continuò la giovane con voce malinconica, poi si congedò dicendo che andava a prepararsi per la cena. Agnese non rispose, guardò il cielo con poche stelle e qualche nuvola e sorrise ormai tranquilla.
Quando si recò nella cucina raccontò subito alle sue subordinate il malinteso e ordinò loro di dimenticare per sempre l’incidente. Le ragazze tirarono un sospiro di sollievo e cambiarono ragionamento.
Rebecca le guardò allibita, bastava una sola parola per distrarre i pettegolezzi. Le sue colleghe ormai non avevano di che sparlare sull’incidente di Marina, e ora parlavano solo della domenica che le aspettava alla fine della settimana.
Domenica. Si disse, e alla mente le ritornarono dolci ed emozionanti ricordi che quel giorno le avevano colpito il cuore come una freccia in cerca del bersaglio.
Davide era la freccia che aveva colpito il suo cuore, e ora se lo sentiva dentro di sé, come un inebriante profumo difficile da dimenticare.
Sentì qualcosa nel suo corpo intento a prendere vita. Un formicolio allo stomaco si divulgava sempre di più, inondandola tutta. Le girava la testa. Quella sensazione era troppo grande per lei che non aveva provato mai nulla prima d’ora. Cos’è che aveva acceso quel giovane? Forse sapeva già la risposta, ma aveva timore a darsela. Perché non riusciva ad ammettere che da quando l’aveva incontrato, i ricordi del suo travagliato passato erano rientrati in scena intrufolandosi in quello spiraglio che il sentimento per quel ragazzo aveva aperto nel suo cuore.
Non poteva amare. Non doveva.
Rimase incanta a guardare il tavolo cercando di essere ottimista e di continuare a sognare, ma dovette subito riprendersi, quando una ragazza involontariamente le sbatté contro, per poi scusarsi.
Rebecca non rispose, le regalò solo un sorriso; l’incanto era finito, era ormai ritornata alla realtà e al suo lavoro.

 

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Capitolo 6
*** Cap 6 ***


Capitolo 6


 
 
Quella sera Davide non cenò, era sazio di emozioni e aveva in mente soltanto un nome che esprimeva tutto: Rebecca.
Dopo il primo incontro, il destino si era fatto complice dei due giovani. Mai, Campana, avrebbe potuto immaginare che una sconosciuta potesse entrare nella sua vita come il susseguirsi delle stagioni, come il forte vento che trasporta i profumi della natura. Quel dolce vento che aveva un caro nome aveva inondato il suo cuore coprendolo tutto senza lasciare il minimo spiraglio.
Rivide i suoi occhi luminosi, sentì il suo respiro caldo e ansioso e immaginò un bacio: il mancato sfiorarsi di due labbra giovani e fresche. Chiuse gli occhi cercando di immaginare il sapore che avrebbero potuto donargli quelle labbra rosee e caste. Che fosse attrazione? Ma poteva questa essere tenera, dolce, insaziabile?
Ma forse era qualcosa di più. Quanto desiderava di non investigare oltre il suo cuore nella speranza di qualche altra risposta.
 
***
 
Il giovedì di quella stessa settimana arrivò in fretta e con esso il ritorno a casa di Marina. In quei pochi giorni, la ragazza aveva mutato la sua semplice bellezza: il viso era smagrito e aveva un colorito livido che faceva una strana impressione a chi la guardava, sembrava riemersa dalla neve dopo essere stata seppellita per giorni.
Era molto cambiata, non sorrideva più, non aveva più quel temperamento di una volta, non parlava tanto e non si lamentava più del lavoro, non era più Marina, quell’incidente l’aveva trasformata, si dissero le sue colleghe, ma soltanto Rebecca sapeva che il suo mutamento non era dovuto a quell’episodio, bensì a qualcosa di molto più doloroso.
Cercava di distrarla in tutti i modi e all’inizio ci riuscì. Infatti, la sfortunata sembrava sorridere di più, aveva anche ripreso un po’ del suo colorito, ritornava a parlare con le sue compagne facendo sembrare agli occhi dell’amica che avesse dimenticato la sua triste avventura. Ma le due cameriere non sapevano che il peggio doveva ancora arrivare.
Il sabato mattina, quando le cuoche si recarono in cucina, ebbero una brutta sorpresa. Agnese, la vecchia capocuoca, aveva interrotto i lavori per annunciare una notizia che peggiorò la situazione: Michele, il figlio del custode aveva riferito al maggiordomo che la cuoca Marina Agonigi, il mercoledì passato, aveva menzionato una finta malattia per recarsi indisturbata in paese, provocando in tal modo l’infrangimento delle regole che vigevano in quella casa.
Un mormorio acuto riecheggiò nella cucina, Rebecca trasalì guardando la sua amica la quale, a sua volta, fissava con occhi spenti la capocuoca senza dar segno di emozioni.
<< Silenzio! >> esclamò Agnese verso le ragazze << Fatemi finire. Marina! >>
La giovane trasalì al richiamo.
<< Dati i pieni poteri che consentono al maggiordomo ogni decisione rispetto a tutti quelli che lavorano in questa casa… sei licenziata. >>
Quell’ultima parola trafisse il cuore di Marina come una freccia avvelenata. Rebecca, affannata, sentì il dovere di difendere la sua amica, perché si disse, se Michele aveva fatto la spia era stata soltanto colpa sua, ma quando cercò di prendere la parola, la fulva la interruppe attirando l’attenzione di tutti i presenti.
<< No, Rebecca >> disse balbettando << non importa >>, poi rivolgendosi ad Agnese << me ne andrò oggi stesso >> detto questo si girò e facendosi largo tra le colleghe uscì lentamente dalla cucina. Rebecca la seguì con lo sguardo, poi si voltò verso la capocuoca con supplica.
<< Vi prego Agnese, datele un’altra possibilità! >>
Agnese scosse la testa severamente: << Mi dispiace Rebecca, gli ordini sono ordini, se la facessimo restare, sarebbe la prova che le regole in questa casa non valgono molto, e altre dipendenti potrebbero decidere di infrangerle ogni qual volta lo volessero. >>
<< Ma, Marina non ha nessuno! Come farà? Dove andrà? >> esclamò Rebecca arrabbiata. Agnese non rispose, si limitò soltanto a riprendere il suo lavoro. A quel gesto, la giovane sbatté per terra lo strofinaccio e uscì di corsa dalla cucina, lasciando le compagne immerse in fastidiosi mormorii. Raggiunse in fretta la sua camera, dove trovò Marina intenta a preparare la sua piccola valigia.
<< Marina fermati, si sistemerà tutto, appena dirò che la colpa è stata la mia. Perché è mia la colpa se quel mascalzone ha parlato, l’ho trattato male quando ha voluto sapere di te. Avevi ragione, è molto insistente. Ti prego, perdonami Marina >> disse Rebecca tutto d’un fiato.
Con voce sibilante e tremante Marina le rispose che non doveva assumersi nessuna responsabilità, perché l’unica ad aver sbagliato era stata lei sola, e che meritava quella punizione.
<< Ma dove andrai? >> chiese l’amica con voce di pianto.
<< Io… >> balbettò l’altra, poi lasciando cadere la mantellina, si sedette avvilita sul letto affondando il viso fra le mani << non lo so! >> esclamò tra i singhiozzi << Ho rovinato tutto >>
Rebecca la guardava addolorata, non aveva più parole per confortarla, non sapeva come reagire, pur avendo la possibilità di aiutarla non avrebbe potuto farlo, perché ciò l’avrebbe riportata ad antichi ricordi dolorosi. Durante tutto quel tempo, si era forgiata un personalità non sua, solo per stare lontana dalla sua vita, per farsene un’altra. Si sentiva un’egoista e anche un po’ orgogliosa. Possibile che non sarebbe mai tornata in dietro, neanche per aiutare la sua più cara amica? Abbassò lo sguardo stringendo le palpebre e cercando di scacciare dalla mente il rumore di quel doloroso pianto. Non ci riuscì, e a quel punto senza dire niente lasciò la camera e si recò fuori in giardino dove incontrò una delle cameriere di sua conoscenza.
<< Rebecca? Che ci fai qui? >> chiese allibita quest’ultima << È successo qualcosa? Hai un viso straziato. Hai pianto? >>
<< Federica, devo vedere il maggiordomo >> rispose con voce ferma, la cuoca.
<< Il maggiordomo? Ma Rebecca, sai benissimo che non puoi entrare in casa dei padroni. È…>>
<< Non ho assolutissima intenzione di entrarci! >> esclamò Rebecca interrompendola bruscamente.
<< E allora? >> chiese ancora Federica abbassando la voce.
<< Vai a chiamarlo, digli che sono io a cercarlo. Fa’ presto, per favore >>
<< Va bene >> disse la cameriera acconsentendo a quella richiesta.
Rebecca l’aspettò e dopo qualche minuto la vide ritornare in compagnia del maggiordomo che si fermò fissando la giovane cuoca con sguardo interrogativo.
Fu lei ad avvicinarsi, e l’uomo ordinò a Federica di andare a continuare le sue faccende, poi rivolgendo lo sguardo verso la cuoca disse << Da quanto tempo, Rebecca. >>
<< Giacomo, devo parlarti. >>
<< Non qui, allontaniamoci >> disse il maggiordomo prendendole dolcemente il braccio e allontanandosi dalla casa. Quando furono in un angolo libero da occhi e orecchie indiscrete, le chiese cosa stesse cercando.
<< So che ti promisi che non avrei cercato aiuto a nessuno, e che non mi sarei fatta viva neanche con te lavorando qui, ma… non si tratta di me. >>
<< Lo immaginavo. Non saresti mai venuta da me e da nessun altro se fosse per te. Che cosa succede? >>
<< Annulla il licenziamento >>
<< Licenziamento? Quale licenziamento? >> chiese il maggiordomo incuriosito.
<< Quello che hai dato a Marina per la sua scappatella di mercoledì scorso. Non ha famiglia, non sa dove andare >>
<< Un momento! >> esclamò Giacomo interrompendola << Io non so nulla di questa storia. E mi meraviglia il fatto che non mi abbiano avvisato! >>
<< Cosa? >> esclamò Rebecca allibita << ma allora, significa che… ma certo, Agnese! >>, notando lo sguardo allibito dell’uomo, la giovane si affrettò a spiegargli la situazione dall’inizio fino a quel momento e infine gli chiese di intervenire.
Oltraggiato dal comportamento della capocuoca, Giacomo acconsentì senza indugiare oltre.
Si alzarono e si recarono nella cucina dove trovarono Marina intenta a salutare le sue colleghe. Quando Agnese vide Rebecca con il maggiordomo, si pietrificò, rimase a guardarli.
<< Che cosa sta succedendo qui?! >> esclamò Giacomo attirando l’attenzione dei presenti << Signorina Agonigi per quale motivo non indossate la vostra divisa? >>
<< Ma, signore, voi… >> rispose Marina balbettando.
<< La capocuoca >> intervenne Rebecca << minuti fa, ha riferito a Marina Agonigi, che voi, signor Giacomo, l’avete licenziata >>
<< Sta dicendo la verità, Agnese? >> chiese Giacomo autoritario. Agnese non rispose e si limitò a distogliere lo sguardo. Allora lui continuò << Che io sappia non ho licenziato nessuno, perché non sono al corrente di ciò che accade qui dentro e, ora come ora, non ho mai concesso la mia autorità a voi Agnese di prendere tali provvedimenti, usando il mio nome per giunta. Perché l’avete fatto? >>
<< Perché sapevo che non l’avreste licenziata! >> esclamò rabbiosa la donna << sapevo che vi sareste fatto abbindolare dalla vecchia storia che non ha nessuno al mondo e che, uscita da qui, si sarebbe sentita lasciata al suo destino! >>
<< Voi non avevate il diritto! >> intervenne Rebecca avvicinandosi a Marina per sostenerla.
<< E lei? >> chiese Agnese volgendole uno sguardo gelido che fece tremare la povera Marina << Lei ne aveva per prendersi gioco dell’autorità di un suo superiore? Perché è questo che ha fatto! >> continuò rivolgendosi con supplica a Giacomo << Vi ha preso in giro Giacomo. Ho sbagliato a prendere una decisione senza avvisarvi, ma l’ho fatto solo per far rimanere solide le regole in questa casa >>
<< No, Agnese >> intervenne Rebecca lasciando la sua amica e avvicinandosi minacciosa alla donna << l’avete fatto per voi stessa! Perché avevate timore di aver perso autorità su di noi, e per non essere rimproverata dai padroni, perché sapevate che la colpevole sareste stata anche voi. Marina ha infranto le regole, e anche io l’ho fatto, perché sapevo della scappatella e ho taciuto. Quindi se Marina dovrà essere punita, signor Giacomo dovreste punire anche me >>
<< Anche io lo sapevo >> intervenne Anna balbettando << quindi, anche per me ci dovrà essere una punizione >>.
Marina guardò le sue amiche che si stavano battendo per aiutarla, e a quel punto una lacrima di commozione scivolò sulla sua guancia lasciando un rivolo dritto e luccicante. Voltò lo sguardo verso il maggiordomo il quale non aveva mutato il suo sguardo e tutte aspettarono che prendesse la parola.
<< Va bene, ora basta con questa storia. Signorina Agonigi? >> disse dopo un po’.
<< Sì, signore? >> sibilò Marina facendosi avanti.
<< Per aver trasgredito le regole che vigono in questa casa, non verrete licenziata, ma il vostro salario verrà interrotto per quattro mesi, in più lavorerete anche di domenica, sempre per quattro mesi, e non avrete il permesso di uscire fino a tale scadenza. Nel caso in cui trasgredirete anche quest’ordine farete i bagagli senza che ve lo venga detto. >>
Pur essendo una punizione, Marina ringraziò l’uomo.
<< In quanto a voi due, Anna e Rebecca, per aver nascosto l’accaduto vi verranno detratti due mesi di stipendio >>
Non era un bell’annuncio, ma Rebecca accennò comunque un sorriso di ringraziamento. L’uomo lo ricambiò, poi facendosi di nuovo serio si volse verso Agnese e le disse indurendo la voce << Signora Agnese, non essendo la prima volta che la vostra mania di potere prende il sopravvento facendovi agire in modo errato, ho deciso che da oggi in poi sarete una subordinata come tutte le altre, ma non in cucina, bensì in lavanderia. E ora potete ritornare alle vostre faccende, i signori aspettano il pranzo. Ah, un’altra cosa. Rebecca, da oggi prenderete il posto di Agnese, qui in cucina, >> detto questo uscì lasciando tutte le cuoche esterrefatte, qualcuna esclamò un evviva, altre abbracciarono Marina con affetto, una, invece, si avvicinò alla vecchia capocuoca e con una smorfia le disse << Ora hai finito di regnare! >>. A quella battuta molte di loro scoppiarono a ridere.
<< Smettetela! >> intervenne Rebecca, poi volgendosi verso Agnese << Io vi ho sempre rispettata, ma la vostra superbia vi ha tradita, signora. Vi prego di lasciare immediatamente la cucina, dobbiamo preparare la colazione per i signori. >>
Senza dire una parola, Agnese si tolse il grembiale e uscì con passo lento dalla cucina. Quando se ne fu andata, le ragazze urlarono di gioia, Mariana si avvicinò a Rebecca e l’abbracciò piangendo e ringraziando.
Quest’ultima era contenta per come si era evoluta la situazione, ma in cuor suo sapeva che non avrebbe mai dovuto interpellare il maggiordomo. Mai poteva immaginare cosa le avrebbe riservato il destino.
 
***
 
Davide attraversò il corridoio lentamente, sperando di incontrare il maggiordomo, ma non lo trovò. Decise allora di scendere al piano di sotto, e quando arrivò nel salone, lo vide intento a dare ordini ad una cameriera. Si avvicinò a lui facendogli segno di ascoltarlo. Giacomo congedò la fanciulla e poi chiese al suo padrone in cosa poteva servirlo.
<< Vi sto cercando da un pezzo! >>
<< Sono stato nelle cucine >> rispose impassibile l’uomo.
<< Proprio di questo volevo parlarvi. Per quale motivo la colazione non è stata ancora servita? >>
<< Ci sono stati problemi con la capocuoca e una sua subordinata. Ma non preoccupatevi signore, ho risolto tutto, la colazione sarà pronta fra dieci minuti >>
<< L’importante è che sia tutto a posto. Sapete che non mi occupo di queste cose. >> sospirò il ragazzo guardando l’orologio da taschino << Si è fatto tardi, sarà meglio che vada. Oggi devo mostrare gli altri terreni al marchese. >>
<< Non volete neanche il caffè, signorino? >> chiese Giacomo.
<< No, non preoccupatevi, farò colazione al circolo. Buona giornata, Giacomo >>.
L’uomo ricambiò il saluto e Davide uscì.
Lo stalliere gli fece trovare il suo cavallo di fronte alla porta centrale. Ringraziandolo, Campana salì in groppa all’animale e se ne andò. Quando uscì dalla sua proprietà, in lontananza, intravide la corriera, subito gli ritornò alla mente Rebecca, sorrise al pensiero e spinto da un irrefrenabile desiderio di poterla rivedere, inseguì il mezzo convinto che lì dentro ci fosse la ragazza, quando lo raggiunse e si rese conto che era soltanto una sua speranza, rallentò l’andatura del cavallo e dopo aver guardato la corriera allontanarsi sempre di più, tirò le redini, incitando l’animale a cambiare strada.
Rebecca non si spostò dalla sua mente, lo seguì a lungo come il vento, sentiva di averla a due passi dal suo cuore, sentiva il vento accarezzargli il volto, chiuse gli occhi immaginando che quel tocco fresco e trasparente fossero i baci della fanciulla. Sorrise e quando ritornò in sé si accorse che il paese era ormai vicino e che per il momento avrebbe dovuto rinchiudere Rebecca nel suo cuore, lasciando la mente libera e pronta per affrontare un altro giorno di lavoro.
Quando arrivò al circolo, incontrò un cocchiere e gli sembrò che stesse aspettando proprio lui. Avvicinatosi, l’uomo sollevò il suo cappello in segno di saluto e gli disse che il suo padrone, il marchese Castelli, lo attendeva nella sua tenuta.
Il giovane Campana disse che lo avrebbe seguito, e dalla fretta che notò nel cocchiere, capì che non avrebbe fatto colazione neanche al circolo. Fece spallucce, rimontò a cavallo e seguì la scura carrozza.
Il viaggio non fu affatto lungo, dopo essere usciti dal paese, bastò solo un quarto d’ora di cammino per giungere alla tenuta Castelli.
La dimora del marchese era un castello vero e proprio, uno di quei castelli in stile rinascimentale. Davide si accorse che non era grande quanto il suo palazzo. Questo aveva una facciata con cinque finestre al secondo piano, nove al primo e otto al piano rialzato, dove ospitavano al centro una grande porta in ferro battuto. Ai lati della facciata si innalzavano due torri con i tetti temperati e con una finestra per ogni piano. Mentre entrava all’interno del vasto chiostro, si accorse che guardandolo da un’altra prospettiva, il palazzo era molto più mastodontico di quanto si potesse immaginare, infatti, dietro la facciata, le mura continuavano in un lungo corridoio di finestre, che potevano essere una quindicina per ogni piano, e alla fine di queste, altre due torri chiudevano il rettangolo.
Davide rimase estasiato a guardare anche il vasto parco, con cespugli e alberi di ogni genere.
Il marchese doveva proprio amare la campagna, si disse.
Mentre percorreva la zona, vide in lontananza due figure che lo stavano aspettando: uno doveva essere un servo e l’altro era di sicuro il marchese. Ormai vicini, Davide scese da cavallo e salutò l’uomo il quale ricambiò con un sorriso e una stretta di mano.
<< Vi inviterei volentieri in casa, per un caffè, ma purtroppo non posso. >> annunciò schietto Castelli << Vi sembrerei scortese se vi dicessi che voglio subito vedere le terre? >> 
<< No >> rispose Davide incerto. Gli fece strada e, con i rispettivi destrieri, si incamminarono. Attraversarono il palazzo e quando furono di fronte al grande portone in ferro battuto, Davide si accorse che un’affascinante donna era lì ferma con lo sguardo rivolto verso di loro: precisamente verso il padrone di casa.
Quando le passarono davanti, Giulio Castelli non la degnò di uno sguardo, mentre la donna lo guardava con occhi freddi, poi volse lo sguardo verso il giovane che la salutò con un cenno del capo, ma dalla donna non ebbe nessuna risposta, anzi, la vide voltare di scatto la testa e incamminarsi verso la porta d’ingresso. Campana la osservò fino a quando non scomparve dentro il palazzo.
<< Era mia moglie >> esordì l’uomo, senza voltarsi, rispondendo a una domanda non fatta.
Davide non disse nulla. A quel punto Castelli fece rallentare il cavallo per stare al passo col giovane e, guardandolo, sorrise dicendo: << Sembrate sconvolto >>.
<< E per quale motivo dovrei esserlo? >> chiese il giovane quasi con indifferenza.
<< So cosa dicono di me in paese >> rispose il marche senza cambiare espressione << Voi cosa ne pensate? >>
<< A proposito di cosa? >> balbettò il ragazzo, facendo finta di non capire.
<< Di quello che dicono su di me >>
<< Mi dispiace marchese, ma non sono abituato a dare giudizi altrui. Io mi baso soltanto sugli affari. Non so niente della vita delle persone con cui interloquisco, e francamente, con tutto il rispetto, non m’importa. >>
<< È questo il motivo per cui ho accettato di fare affari con voi >> rispose soddisfatto Castelli, sorridendo.
La cavalcata continuò in silenzio, fino all’arrivo nelle sconfinate terre di Selva Reale.
Quando Davide disse finalmente “Siamo arrivati”, il marchese Giulio Castelli rimase incantato nel vedere quella natura ricca di vegetazione, ai suoi occhi sembrava un grande oceano verde, nel quale non si distingueva la linea dell’orizzonte. Ridendo passò davanti a Davide e affermò: << Volete veramente farmi diventare più ricco di quanto già non sia >>.
Davide ricambiò il sorriso dicendosi che non lo sarebbe diventato solamente lui. Lo seguì, insieme attraversarono tutti i lotti, nei quali molti operai svolgevano il loro lavoro senza mai fermarsi.
Arrivati, però, a un uliveto, il giovane Campana notò qualcosa di strano: due operai, che non aveva mai visto, tiravano le grandi reti che ospitavano quintali di olive verdi, e al suo passaggio, i due lo guardarono sott’occhio, Davide, ricambiò lo stesso sguardo, poi facendo spallucce continuò a seguire il marchese.
I due operai si lanciarono un’occhiata d’intesa: il primo sospirò di sollievo l’altro sorrise, rivelando un ghigno e rivolgendosi al compagno gli fece un cenno con la testa come per dirgli di andare, l’altro acconsentì, lasciarono le reti e si allontanarono discretamente.
Quando Davide tornò a casa nel pomeriggio, gli ritornarono alla mente quei due sconosciuti. Non aveva più pensato a loro durante la giornata, e adesso si chiedeva chi fossero e per quale motivo il signor Roselli non lo aveva avvisato di aver assunto dei nuovi braccianti.
Non è da lui, si disse.
Sfinito, sprofondò sulla poltrona e, preso il campanellino da sopra il mobile, lo scosse velocemente. Dopo qualche secondo entrò una cameriera con la testa bassa, chiedendogli in che cosa poteva essergli utile.
<< Chiama Giacomo, digli che è urgente >> ordinò lui seccato. La cameriera non rispose, fece solo un inchino e uscì.
Giacomo non tardò a raggiungerlo.
<< Giacomo, per caso sapete dirmi se in questi giorni, in mia assenza, è venuto il signor Roselli? >>
<< Venne soltanto il giorno in cui dovevate avvisarlo del contratto con il marchese Castelli >> rispose impassibile il maggiordomo << Se mi è permesso, posso sapere il motivo di questa domanda? >>
<< Niente d’importante. Oggi, mentre accompagnavo il marchese presso gli uliveti, mi è sembrato di vedere operai nuovi, e mi è parso strano che Roselli non me ne abbia parlato. >> rispose fissando il vuoto. Il maggiordomo non disse più niente, aspettò soltanto un ordine del ragazzo il quale, allontanatosi da quei pensieri, si volse verso l’uomo congedandolo con un sorriso e aggiungendo << Andrò domani a fargli visita >>.
Quando Giacomo uscì, Davide si alzò e andò ad affacciarsi alla finestra. L’aria era gelida e un lieve vento era entrato in scena. Il giovane rabbrividì e ritornò dentro ripetendosi nella mente “domani”.
Sapeva che il giorno seguente sarebbe stata domenica e che questo significava che avrebbe rincontrato la ragazza. Dovette perciò ritirare la proposta che si era fatto volendo andare a trovare il suo bracciante. Pensò a lungo a questo, si era sempre detto che prima delle distrazioni veniva il lavoro, ma Rebecca non era una distrazione. Non poteva pensare a lei come ad uno spasso o a una perdita di tempo, come, fino a quel momento, erano state tutte le ragazze del bordello.
Era strano pensare questo verso una donna che non conosceva ancora, ma sentiva che Rebecca faceva la differenza e sentì che quelle emozioni non le aveva provate neanche con Virginia. Di quest’ultima aveva amato soltanto la sua musica, ma di Rebecca sentiva di desiderare qualcos’altro.
A cena, mangiò in fretta, lasciando stupefatti i suoi famigliari quando disse che andava a coricarsi. Fatto molto strano, perché di solito, lui era l’ultimo a ritirarsi, per il semplice motivo che passava qualche ora nel suo studio per aggiornare il registro, o che usciva di casa e ritornava la mattina seguente. Quella sera non lo fece, era molto eccitato per addormentarsi perché sapeva che quando si sarebbe svegliato, i suoi occhi avrebbero visto il nuovo giorno che lo avrebbe fatto incontrare con il suo desiderato sogno.
 
***
 
Ben presto il sole, che in quei giorni aveva illuminato l’intero paesaggio e cercato di riscaldarlo, venne sopraffatto da nuvole minacciose, che prima di fare il loro lavoro, giocarono a rincorrersi, trasportate da un vento freddo e pungente.
Quella domenica si presentò così, ma chiunque avrebbe inteso che ben presto avessero smesso di giocare per dar inizio alla pioggia.
Rebecca si era appena svegliata e stava riordinando la sua camera, Marina, invece, si trovava ancora rannicchiata nel suo letto, cercando di riscaldarsi e guardando incuriosita la sua amica.
<< Ma che fai? >> chiese con una vocina << oggi è domenica. Almeno tu potresti riposarti. >>
<< Lo so >> rispose Rebecca continuando le sue faccende << purtroppo, da quando il maggiordomo mi ha incaricata di gestire la cucina, sono occupata anche a fare l’inventario del magazzino. >>
<< Non vai in paese? >> chiese mogia Marina mettendosi a sedere sul letto e mantenendosi la coperta sul petto.
Rebecca non rispose e Marina continuò << Ultimamente ci vai spesso in paese. Prima non facevi così >>.
Rebecca si fermò di colpo e rimase pensierosa, Marina non si accorse del gesto dell’amica e, alzatasi dal letto, andò velocemente al lavabo per detergersi il volto. << Sei strana >> disse tremando dopo aver toccato l’acqua << dicevi sempre che meno andavi in paese e meglio era… ora invece, non lasci una domenica >>
<< Che cosa intendi dire? >> chiese Rebecca con voce rude.
<< Niente >> rispose allibita Marina << Sono solo contenta di questo tuo improvviso cambiamento >> continuò guardando l’amica che alzò lo sguardo e accennò un sorriso quasi forzato. << Allora? >> riprese la fulva << Che cosa farai oggi? Andrai in paese? >>
<< N-non lo so >> balbettò Rebecca e dopo quella risposta, non ascoltò più le parole della sua amica, poiché la sua mente volò dritta all’indietro verso quella piazza dove la scorsa domenica aveva promesso a Davide che si sarebbero rivisti.
Quel giorno Davide aveva cercato di baciarla. All’inizio lei si era sentita felice, ma poi, ripensando al brutto evento toccato a Marina, aveva avuto paura che anch’essa avrebbe potuto commettere lo stesso errore, e in quel momento tanti dubbi e incertezze si erano impadroniti della sua mente.
Che cosa avrebbe fatto quella domenica? Sarebbe andata all’appuntamento? E se la risposta fosse stata sì, che cosa sarebbe successo? Cosa voleva Davide da lei? Lui era un aristocratico, lo si notava da un miglio di distanza, di donne ne poteva avere a migliaia, che cosa se ne poteva fare di una semplice cameriera?
Ma lei, non era una “semplice cameriera”, almeno non lo era sempre stata. Doveva ricordare ciò che si era ripromessa quel giorno in cui lo era diventata: non avrebbe dovuto avere niente a che fare con gli aristocratici. Era per il suo bene.
Sbuffò infastidita. Perché Davide era entrato nella sua vita? E perché questa continuava a giocare con lei come al gatto col topo?
Non le importava delle intenzioni del giovane, se si fosse rivelato come quel Amedeo, sapeva benissimo che, al contrario di Marina, non si sarebbe fatta ingannare in quella maniera, giacché conosceva quel tipo di uomini. Aveva assistito a situazioni del genere e non solo a causa di Marina, ma quella era un’altra storia.
Con la sua amica era stata categorica nelle sue idee e preoccupazioni, ma allora per quale motivo dentro di sé desiderava rivedere quel ragazzo e magari assaporare quel bacio che per sua scelta non aveva voluto.
Come una folata di vento, quei pensieri vennero scacciati via da una frase rincuorante che le diceva di non preoccuparsi, perché lui non le avrebbe fatto niente che lei non volesse.
Credere, o no a quelle parole?
Era iniziato tutto con un ombrello, l’unico oggetto che manteneva in piedi la possibilità di incontrarsi, ma adesso quello strumento non c’entrava più, si era a poco a poco dissolto nei ricordi dei due giovani, ora si trattava di un desiderio reciproco di vedersi, e Rebecca non se lo sarebbe mai immaginato. Si era allontanata dal paese per rifarsi una vita, e dopo quella fatidica domenica, il suo orgoglio si stava mettendo da parte facendola fermare nei suoi passi.
Pensando e ripensando, non si accorse che nella stanza erano entrate altre due cameriere che ridevano e scherzavano con Marina. Venne attratta da quelle fresche e libere risate, trasalì guardandosi in giro smarrita.
<< Rebecca >> la chiamò una. Lei si girò chiedendole cosa voleva, con un sorriso. << Abbiamo chiesto a Marina di venire con noi in paese, ma lei non ne vuole sapere >>.
Rebecca guardò l’amica, e si accorse che lo sguardo impaurito e inorridito che albergò giorni fa sul suo viso, era ritornato in scena.
<< Non insistete! Non può venire! Dovrà lavorare anche di domenica per quattro mesi. L’avete dimenticato? >> esclamò con voce autoritaria. Le ragazze fecero una smorfia e uscirono dalla stanza. Quando furono sole, Rebecca si avvicinò a Marina e toccandole la spalle le chiese se stava bene.
<< Non ti preoccupare >> rispose quest’ultima con un sorriso malinconico.
<< Sei sicura? >> chiese ancora la capocuoca. Marina annuì e si avvicinò al letto per riordinarlo.
<< Solo una cosa… >> riprese rimanendo di spalle all’amica.
<< Dimmi >>
<< Posso venire anche io in magazzino? Non voglio stare sola, almeno finché non andrai anche tu in paese >>
<< Certo che puoi >> rispose Rebecca sorridendo dolcemente << però devi promettermi una cosa >>
<< Tutto quello che vuoi >>
<< Che quando il periodo punitivo terminerà, non ti rinchiuderai per sempre in questo posto >>
Marina non rispose. Riempì i suoi occhi di tristi lacrime e annuì incerta. Rebecca a quel punto l’abbracciò stringendola per darle forza.
<< Tu invece promettimi che non mi lascerai sola >> balbettò Marina piangendo.
<< Sta’ tranquilla, non lo farò >>.
L’inventario del magazzino durò parecchie ore, nelle quali Rebecca si assicurava sempre di controllare il tempo che scorreva.
Il pomeriggio non si fece attendere e le nuvole si erano accumulate e sovrapposte una sopra l’altra senza lasciare un spiraglio in cui i deboli raggi del sole potessero infiltrarsi, per continuare ad illuminare di poco quella parte del paesaggio. In quel grigiore del cielo, linee distorte e luminose giocavano a nascondino, e un forte boato le seguiva.
Rebecca, dalla piccola finestra del magazzino, guardò tutto questo con la mente rivolta a quel ragazzo. Chissà se è già lì? Si chiese.
L’indecisione continuava ad albergare nella sua mente, e alla fine, la stanchezza la sopraffece facendole decidere di non andare all’appuntamento.
A sera, ormai, pioveva. Marina con altre due cameriere erano rimaste in cucina a discutere del più e del meno, Rebecca invece, messasi uno scialle, uscì fuori appoggiandosi all’uscio della porta che dava nella cucina. Fissava intensamente il paesaggio dominato dalla pioggia, e ripensava alla sua decisione, chiedendosi che cosa stesse facendo Davide, in quel momento. Sorrise pensando che il ragazzo si sarebbe sicuramente ritirato; ma ne era certa? Sospirò rassegnata, voltandosi per rientrare in cucina; ma non appena stava per farlo, venne attratta dal rumore di sue fresche risate che provenivano d’avanti al piccolo cancelletto. Vide scendere Gina e Anna che  dicevano: << Mai vista una cosa del genere >>
<< Che succede? >> chiese incuriosita
<< Ah, ciao Rebecca >> disse Anna << ti è mai capitato di vedere una persona aspettare qualcuno sotto la pioggia per ore >>
<< In paese… >> continuò Gina << C’è un giovane che da questa mattina se ne sta impalato vicino alla fontana, ad aspettare >>
Rebecca sorrise.
<< Da quel che abbiamo constatato deve essere un nobile, lo abbiamo visto bagnato fradicio e gli abbiamo offerto un ombrello e lui sai cosa ha risposto? >>
<< Cosa? >> chiese Rebecca sentendosi inspiegabilmente ansiosa.
<< Grazie signorine, ma sto aspettando la persona a cui ho prestato il mio >>
A quel punto, la giovane trasalì, facendo scomparire il sorriso dal suo volto << È lui >> sibilò senza farsi sentire.
<< Roba da matti >> rise Anna.
<< Per me era ubriaco >> sbottò Gina.
Rebecca non le ascoltò, d’istinto guardò oltre il cancelletto e accortasi che la corriera era ancora ferma a qualche metro di distanza, ebbe come uno scatto: corse verso di essa, facendo cadere lo scialle a metà strada. Non sentì che le sue amiche la stavano chiamando, salì sul mezzo di trasporto con in mente un unico scopo e un’unica speranza: poterlo vedere.
Il corriere la vide salire e sedersi sulla prima panca. Si voltò dicendole che quella era l’ultima corsa e che al paese si sarebbe fermato non ritornando più indietro. Rebecca rispose che andava bene così, non riusciva a pensare ad altro, era troppo ansiosa per immaginare in quale modo sarebbe ritornata a casa.
La corriera partì e alla giovane sembrò che quel tragitto fosse più lungo che mai, si accorse che le tremavano le mani, si guardò le braccia scoprendo che non aveva più lo scialle, portò le mani ai capelli cercando di aggiustare l’acconciatura, la sentì bagnata e allentata dai ferretti che fuoriuscivano, allora la sciolse attaccando con il fermaglio solo le due ciocche dei lati.
Dopo qualche minuto vide davanti a sé il paesello inondato dalla fioca luce dei lampioni. Si sentì fremere, incrociò le mani pregando il Signore di poterlo vedere. Quando la corriera si fermò, salutò in fretta, scese velocemente percorrendo la strada che portava alla fontana. Pioveva a dirotto, e la pioggia ormai aveva inzuppato il suo vestito e i suoi capelli, sentì l’acqua inondarle gli stivaletti raffreddandole i piedi. Il respiro si era fatto più denso uscendo dalla sua bocca come nuvolette soffici. Non riusciva a sentire il freddo pungente, il suo corpo era soltanto invaso dall’ansia, ma continuava a correre decisa. Alcune persone che passavano da lì la videro esterrefatte e scuotendo la testa, e bisbigliando qualche parola di disapprovazione, continuarono il loro cammino. Rebecca non ci fece caso, e quando finalmente fu vicino alla fontana, si fermò per riprendere fiato. Non c’era nessuno, si girò intorno passandosi la mano sul viso, cercando di liberarsi dell’acqua in eccesso. Il respiro affannato non si placava, si guardò un’altra volta in torno, ma non vide nessuno, chiuse gli occhi rivelando un sorriso di rassegnazione << Ma che cosa stai facendo? >> sibilò. Sentì un rivolo bagnato scendergli giù per la guancia, non riuscendo a capire se si trattava di pioggia o di lacrime. Riaprì gli occhi e ripassò la mano sul viso, poi mogia, si avvicinò al bordo della fontana e si sedette esausta, appoggiando le mani sul marmo bagnato e chinando il capo << Stupida, che stupida che sei >> ripeté ridendo beffarda, poi, ad un tratto trasalì, sentendo qualcosa che si poggiava su di lei coprendole la testa e le spalle, si voltò di scatto e, guardando verso l’alto, incrociò gli occhi penetranti e famigliari di Davide che la guardava dolcemente, e in tal maniera le sorrideva. Il giovane, inzuppato dalla testa ai piedi, le aveva appoggiato la giacca per ripararla dalla pioggia, ed era rimasto con il gilet e la camicia bianca che faceva intravedere il colore della pelle e la muscolatura delle braccia.
<< Da… Davide? >> balbettò lei con voce fioca.
<< Io pensavo che questa volta mi avreste riparata voi con l’ombrello che vi ho prestato, ma a quanto pare l'avete dimenticato. Non ho ombrelli, ora. Posso prestarvi solo la mia giacca >> rise lui.
Rebecca si alzò, tolse la giacca dalla testa e se la poggiò sulle spalle chiudendola al petto e rimanendo con il capo chino mormorò: << Mi hai aspettata? >>, accorgendosi di avergli dato del tu involontariamente.
<< Pensavo ti fosse accaduto qualcosa >> rispose lui accettando l’informalità delle parole.
<< Scusami >>
<< E per cosa? >>
<< Per non essermi fidata di te >>
<< Adesso ti fidi? >> chiese lui sorridendo. La ragazza non rispose, alzò solamente il volto e chiuse gli occhi, Davide capì che gli stava offrendo le sue labbra. Pian piano, le toccò le braccia e sotto la sua presa la sentì fremere, ma non la vide reagire, chinò il capo sul suo volto e guardatala un’ultima volta, poggiò lentamente la sua bocca su quella della fanciulla sentendola fresca e morbida. La sua, invece, era bollente.
Rebecca sentì un formicolio percorrerle tutto il corpo e non si accorse che le sue mani avevano lasciato la giacca e si erano poggiate sul petto del giovane, afferrando la stoffa in pugno, per abbandonarsi completamente a quel bacio.
Davide lo capì sentendole dischiudere le labbra, salì con le mani accarezzandole le spalle, poi il collo e infine vi racchiuse il volto caldo e bagnato tirandolo più a sé e dando inizio a qualcosa di travolgente.
Rimasero così, protagonisti di un quadro dalle mille sfumature che la pioggia donava all’oscuro colore della notte.

 

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Capitolo 7
*** Cap 7 ***


Capitolo 7


 
 
Il circolo frequentato dai nobili e dai ricchi commercianti ospitava, ai piani superiori, un piccolo ma elegante albergo. Davide e Rebecca si recarono lì per ripararsi dalla pioggia che non accennava a placarsi.
La ragazza rimase nella sala d’attesa, mentre Davide, alla portineria, ordinava due stanze.
Quando la signora Filomena, seduta dietro al bancone, gli consegnò le chiavi, il giovane andò verso la ragazza porgendogliene una e aggiungendo << Per fortuna c’erano ancora due camere. Andiamo? >>
Rebecca annuì e, permettendo al giovane di prenderla per mano, lo seguì al piano di sopra. Prima di entrare nella sua camera, la ragazza guardò per in attimo la chiave e sorrise dicendo: << Sono stata proprio una stupida a non fidarmi di te >>.
<< Perché dici questo? >> chiese il ragazzo incuriosito.
Rebecca rispose mostrandogli la chiave, facendola ciondolare fra le mani.
Davide sorrise, le si avvicinò e prendendole il volto tra le mani le diede un bacio sulla fronte sussurrando << Te l'ho già detto, non farò mai qualcosa contro la tua volontà, buona notte. >> le lasciò il volto e si girò recandosi verso la porta della sua camera.
Rebecca lo fermò afferrandogli un lembo della manica. Davide, trasalendo, le volse lo sguardo accorgendosi del suo imbarazzo, sentì quella presa tremante e, chinato il capo a un lato, le chiese che cosa avesse. Lei esibì un volto dolcemente arrossato.
<< Davide... io, non ho mai provato mai niente di tutto ciò, prima d'ora. Credo di amarti >> mormorò tutto d'un fiato, stringendo la presa.
Davide la guardò per un po', poi tirò a sé la mano che manteneva il lembo della camicia e avvolse il corpo della ragazza in un abbraccio, la strinse a sé e le sussurrò in un orecchio << Io ne ho la certezza... ti amo, Rebecca >>.
Contro il suo petto, la ragazza sorrise e ricambiò l'abbraccio.
Dopo di ciò i due innamorati si congedarono e ognuno entrò nella propria stanza.
Rebecca, spogliatasi, si accorse che sul letto c'era l'occorrente per asciugarsi e per la toeletta serale. Prese un telo di cotone e si strofinò i capelli, poi indossò una vestaglia di seta profumata e preparò il letto per coricarsi, mentre lo faceva, qualcuno bussò alla porta, andò ad aprire e una minuta cameriera in uniforme fece capolino dall’esterno.
<< Il signore mi ha ordinato di prendere il vostro abito per asciugarlo >> disse a voce bassa. Rebecca non se lo fece ripetere due volte, consegnò il vestito alla ragazza, ringraziandola; quest'ultima si congedò augurandole la buonanotte.
La giovane chiuse la porta e si guardò intorno, sorrise, non riusciva ancora a credere a quello che era accaduto.
Davide l'amava, in quel momento si trovava a due passi dal suo cuore, soltanto una parete li divideva ma lo sentiva talmente vicino da ascoltare il suo respiro, il suo caldo abbraccio e il tocco di quelle bollenti ma dolci labbra. Si accarezzò con le dita le sue, sorridendo al pensiero, poi incapace di abbandonarsi al sonno, andò alla finestra e, apertala, si accorse che la pioggia era cessata; tirò un lungo respiro e rabbrividendo sospirò.
<< Non vai a letto? >> sentì a un tratto. Si affacciò e girando lo sguardo verso destra vide Davide seduto sul bordo in pietra del balcone con in dosso una camicia sbottonata al collo e le braccia conserte. Le sorrideva, i suoi occhi erano illuminati dalla fioca luce delle candele donandogli un colore e un'espressione diversa. Rebecca ricambiò il sorriso, si appoggiò al balcone e con voce serena rispose: << Sto già dormendo, tutto questo per me è un sogno >>.
<< Ma io sono qui >> mormorò Davide << Non credo che possa essere un sogno >>
Rebecca volse un sorriso al cielo e disse: << Sai, ho sempre odiato la pioggia, ma adesso mi rattrista il fatto che si sia fermata. La sento parte della mia vita >> poi voltandosi verso di lui aggiunse << è stato grazie ad essa se ci siamo conosciuti >>.
Davide ricambiò lo sguardo, fissandola a lungo. Guardò i suoi capelli che danzavano al gelido vento, il viso sorridente, il collo nudo e la vestaglia che si muoveva aderendo al petto fiorente. Si sentì fremere, il respiro farsi più pesante e il cuore bruciare in petto. Tossì imbarazzato, poi alzandosi le disse di rientrare se non voleva prendere freddo e, augurandole la buonanotte, rientrò, chiuse la finestra e, appoggiatosi di spalle a essa, sospirò dandosi due colpetti sul petto, poi girò la testa a un lato e sorridendo disse << Che sortilegio mi hai fatto? >>.
Ancora non riusciva a credere di aver detto quelle parole, di aver esposto ciò che sentiva davvero per quella ragazza. Che cosa gli aveva colpito di lei? Forse quegli occhi malinconici e misteriosi ma che rispecchiavano purezza, o quel viso casto e sincero? Possibile che quei piccoli dettagli, dall’apparenza poco importanti avevano infranto la sua freddezza verso le donne?
Con quell’ultimo pensiero, andò a letto addormentandosi dopo qualche ora.
Quando si destò, si accorse che il cielo si stava colorando delle prime luci dell'alba, si alzò e si recò alla finestra, si stiracchiò. Rimase a fissare l'esterno per un po', aspettando che la cameriera gli portasse i suoi abiti asciutti, non aspettò molto, dopo poco tempo, la minuta cameriera bussò alla porta, porgendo all'uomo tutto l'occorrente per fare toeletta e, prima che si congedasse, Campana le ordinò di preparare la colazione per la signorina che dormiva nell'altra stanza e, recatosi ad una scrivania, prese un foglio, scrisse qualcosa, poi lo porse alla ragazza dicendo di consegnare anche quello.
La donna acconsentì, salutò e uscì. Dopo qualche ora, ritornò a quel piano trasportando un carrello e si fermò vicino alla porta della stanza della giovane donna, bussò aspettando che qualcuno le desse il permesso, sentì un lieve avanti e, aperta la porta, vide davanti a se la ragazza che guardava fuori dalla finestra. Trasportò il carrello al centro della stanza.
Rebecca si girò e le si avvicinò.
<< Sapete se il signor Davide si è già svegliato? >> chiese speranzosa.
<< Il signore è già andato via, ha lasciato questo biglietto >> rispose l’altra porgendoglielo.
La giovane lo prese e lo aprì. Prima lesse velocemente, poi rilesse sorridendo:
 
"Dolce amore,
mi dispiace doverti lasciare in questo modo, purtroppo ho un lavoro urgente da svolgere, spero che la domenica arrivi presto, i miei occhi hanno bisogno della tua immagine. Non posso più fare a meno di te, ti amo."
 
Rebecca portò il bigliettino al petto e tirò un lungo respiro di sollievo. Non riusciva ancora a credere a ciò che le era accaduto e una forte ansia la sovrastò, anche lei non vedeva l'ora che arrivasse la domenica per poterlo rivedere. Ritornò a guardare la finestra: i raggi del sole penetravano le soffici macchie di nuvole che si distaccavano accompagnate dal vento gelido.
 
***
 
La masseria del signor Roselli, come ogni mattina, era tutta in subbuglio, molti operai erano indaffarati a riempire le sacche di olive e caricarle sui carri e, quando Davide Campana arrivò, alcuni di loro interruppero le faccende per accoglierlo. Davide scese da cavallo e si avvicinò a loro chiedendo del signor Roselli; gli fu indicato il magazzino della masseria.
Il ragazzo ringraziò e si recò dall'uomo. Lo vide indaffarato a dare ordini su dove posizionare le sacche.
<< Come va il lavoro? >> chiese Davide poggiandogli una mano sulla spalla. L'uomo si voltò e sorrise.
<< Signorino Campana, come mai siete qui? Non avete ceduto gli affari al marchese Castelli? >>
<< Sono venuto per un'altra ragione... Avete per caso assunto altri braccianti a mia insaputa? >>
<< Signorino Davide, sapete che non mi sarei mai permesso. Chi vi ha detto una cosa del genere? >>
<< Nessuno. Ieri, quando feci vedere le terre al marchese, intravidi degli sconosciuti, ma se voi mi state dicendo che non ne sapete niente, può darsi che ho visto male >>.
Il signor Roselli non diede risposta, allargò solo le braccia ignorando l'accaduto, poi lo accompagnò fuori e lo salutò seguendolo con lo sguardo fino a quando non lo vide scomparire all'orizzonte.
Ruggero Roselli lavorava per la famiglia Campana da molti anni, come già avevano fatto prima di lui suo padre e suo nonno. Era un uomo molto affidabile, volenteroso, ubbidiente e generoso con tutti. Talmente generoso, da non accorgersi che le persone che aveva intorno a sé si approfittavano, senza scrupoli, della sua bontà. Uno fra tutti: suo figlio Eugenio. Un ragazzino di diciassette anni, totalmente diverso da suo padre. Non amava lavorare, era invidioso di tutto e di tutti e si lamentava sempre della vita che conducevano, assillando quella povera donna della madre e finendo sempre per litigare.
Ogni qual volta lo faceva, scappava di casa e andava in giro per locande e per bordelli, ritirandosi molte volte, o ubriaco, o malridotto da una delle tante risse che era solito scaturire. Quando il padre lo rimproverava, lui lo aggrediva brutalmente, dicendo che se si conciava in quella maniera, la colpa non era altri che la sua. A quel punto la madre contribuiva a rafforzare quell'inspiegabile odio che il figlio teneva in corpo, elogiando sempre Davide Campana, dicendo che lo avrebbe desiderato come figlio al posto di quello che aveva. In questo modo, Eugenio Roselli aveva indirizzato il suo instancabile odio verso il datore di lavoro di suo padre, arrivando al punto di tradire la fiducia di quest'ultimo, per saziare la sua collera e accaparrarsi qualche soldo in più.
Tutto ebbe inizio il giorno in cui fu trasportata l'uva nell'azienda Acquaviva.
Eugenio, che guidava il carro, si recò nello studio di Gabriele per avvisarlo che il lavoro era stato compiuto. Quando si avvicinò alla porta, sentì Davide Campana parlare dell'arrivo di suo zio Nicola Giuliani, ed essendo questi una persona che Eugenio tanto ammirava decise di dare una svolta alla sua vita, approfittando dell'arrivo dell'uomo in casa Campana, per chiedergli di prenderlo a lavorare per lui.
Quello che il ragazzo sperò giunse dopo che questo aveva promesso che avrebbe contribuito alla rovina di Davide Campana.
Eugenio iniziò a riferire, a Nicola Giuliani, tutti i movimenti del giovane Campana, aggiungendo anche nei minimi particolari tutto ciò che accadeva e si discuteva nella masseria.
Il piano ebbe inizio il giorno della raccolta delle olive.
Davide, infatti, non aveva visto male, quei due estranei erano, appunto, amici di Eugenio Roselli e tirapiedi di Nicola Giuliani, e avevano in mente qualcosa di losco, qualcosa che ben presto avrebbe danneggiato Davide Campana, ma anche tutti i suoi braccianti, compresa la famiglia Roselli, ed Eugenio, accecato dai soldi, ignorava quest'ultimo problema.
Davide all'oscuro di tutto questo, non avrebbe mai immaginato quello che sarebbe accaduto, aveva altri pensieri per la testa, uno dei quali invase la sua mente nel momento in cui ritornò a casa.
Nel soggiorno, seduti su due poltrone, una di fronte all’altro, trovò Gabriele Acquaviva e Clara Giuliani che sembravano aver discusso di qualcosa di così strano da avere una reazione alquanto imbarazzante quando videro entrare il giovane in casa: Gabriele si strofinò le gambe con le mani accennando un sorriso forzato, mentre Clara si alzò di scatto raggiungendo il figlio per accoglierlo, dicendo con voce tremante: << Davide, finalmente sei tornato! Ma dove hai passato la notte? Eravamo tutti in pensiero. >>
<< Ho... ho avuto un contrattempo, sono stato al circolo, ho dormito là >> rispose senza togliere lo sguardo dal suo amico Gabriele il quale continuava a guardarsi in giro smarrito, e trasalire nel momento in cui Davide lo richiamò.
<< Ch-che succede? >> balbettò.
<< C'è qualcosa che non va? >> chiese Davide sospettoso.
<< Certo che no! >> rispose Gabriele sorridendo e alzandosi dal divano << Cosa dovrebbe esserci? >>
<< Vi vedo strani >> ribatté Campana.
Clara e Gabriele si guardarono smarriti, e fu quest'ultimo a rispondere che erano solo preoccupati per lui che non era ritornato a casa la scorsa notte.
Davide non rispose, non ci fece più caso, invitò l'amico a pranzare con loro. Gabriele non accettò dicendo che aveva del lavoro da svolgere in azienda. Salutò e se ne andò, ma Davide si accorse di un atteggiamento alquanto strano: Gabriele, prima di chiudere la porta, aveva lanciato un'occhiata alla donna la quale guardandolo per un po', aveva abbassato subito il capo, rattristata.
<< Dubito che Gabriele fosse veramente preoccupato per me >> mormorò Davide guardando sottocchio la madre, vedendola trasalire << Sa benissimo che quando non torno a casa significa che ho passato la notte all’hotel del circolo >> continuò senza cambiare tono della voce.
<< Era davvero preoccupato… >> balbettò la madre << è tuo amico è normale che sia preoccupato. Con permesso >> se ne andò senza aggiungere altra parola. Davide rimase solo nella grande stanza e continuava a fissare nel vuoto, cercando di capire che cosa poteva essere successo a quei due. Concepì che non voleva pensarci, perché in quello stesso momento, la sua mente aveva figurato l’immagine della sua amata Rebecca, facendogli dimenticare tutti gli altri pensieri.
 
***
 
La porta della piccola camera, che ospitava i due letti e quei poveri mobili delle due cameriere, si aprì lentamente. Da fuori, un viso allegro fece capolino sbirciando all'interno della stanza, assicurandosi che la fulva cameriera stesse dormendo. Quest'ultima non accontentò le sue aspettative. Seduta sul letto rifatto, con le braccia conserte e il viso rivolto verso la porta, com'era plausibile, stava aspettando impaziente e arrabbiata il ritorno della sia amica. Quando la vide entrare, si alzò di scatto dal letto e facendo cadere le braccia penzoloni, mormorò a denti stretti rivolgendole un'occhiataccia: << Si può sapere dove diavolo sei stata? >>
Rebecca non rispose, sorrise soltanto, poi si buttò sul letto rimanendo di faccia all'aria e sospirando felice.
<< Che significa questo? >> continuò Marina fissando l'amica allibita e incuriosita << Che vuol significare la tua fuga di ieri? Anna e Gina mi hanno detto che prendesti la corriera. Dove andasti e a quell'ora per giunta! >>
<< Non preoccuparti >> rispose Rebecca << Non scappai, dovevo solo incontrare una persona >>
<< E potrei sapere di chi si tratta? >>
<< Non ha importanza >> rispose l’amica alzandosi dal letto e andandosi ad aggiustare l'acconciatura.
<< Ma come non ha importanza? Per essere scappata via in quel modo doveva essere molto importante... E poi mi hai fatto preoccupare >>
Rebecca si voltò verso la fulva, le fu vicina e poggiò le mani sulle sue spalle << Non preoccuparti, io so badare a me stessa >>
<< Rebecca >> continuò Marina afferrandole una mano << io non ti farò altre domande, ma tu devi promettermi che starai attenta, perché non voglio che ti accada qualcosa di male. >>
<< Sta’ tranquilla >>
Marina l'abbracciò, facendo scivolare qualche lacrima che si dissolse sulla spalla dell'amica.
Quando andarono in cucina, trovarono Anna e Gina molto curiose di sapere dove si era recata Rebecca a quell'ora tarda e così di fretta.
La nuova capocuoca rispose che aveva avuto un imprevisto per cui non poteva dare spiegazioni, e dopo averle messe a tacere avevano ripreso le loro faccende.
Quella giornata passò molto in fretta, e in fretta ne susseguì un’altra e un’altra ancora. Il lavoro di Rebecca e delle altre era sempre lo stesso, soltanto il giovedì successe qualcosa che fece accendere di felicità gli occhi della cuoca.
Quel giorno la ragazza, per ordine del maggiordomo, doveva recarsi in paese per aggiornare il magazzino. Subito pensò a Davide, immaginando di poterlo incontrare. Ad accompagnarla fu Anna e il figlio del custode che guidava il carro.
Quando furono giunti in paese, passarono davanti al circolo, dove quella domenica sera, i due amanti avevano passato la notte. La ragazza rivolse subito lo sguardo a quel posto sentendo in cuor suo un po’ di malinconia. Per sua fortuna il negozio dove dovevano rifornire il magazzino era lì vicino, così pensò che dopo avrebbe potuto fare un salto per vedere se il suo amato Davide si trovasse lì, ma quando vide uscire un gruppo di nobiluomini cambiò idea rendendosi conto che il solo pensiero rivolto a quel ragazzo le stava facendo perdere il lume della ragione.
Con fare mogio, entrò nel negozio. Quando terminarono il servizio, Anna chiese speranzosa se potevano fermarsi a fare un giro per i negozi.
<< Anna, sai che non è possibile. Dobbiamo ritornare per preparare il pranzo >>.
<< Ti prego >>
<< E va bene, però solo un negozio >>.
A quella risposta Anna fu molto felice, la ringraziò e andò avanti, Rebecca la seguì con passo lento e con la coda dell'occhio sempre rivolta verso il circolo. Qualcuno, però, alle sue spalle catturò i suoi pensieri, lei si voltò trasalendo e vide davanti a sé Sergio Valli, il medico del paesello.
<< Rebecca, che ci fate qui? >>
<< Sergio, sono venuta qui per rifornire il magazzino dei padroni >>
<< È stata una fortuna avervi incontrata, dovevo passare da voi nel pomeriggio per sapere le condizioni di salute di Marina... come sta? >>
<< Direi meglio, anche se alle volte la vedo giù di morale >> rispose Rebecca, sospirando.
<< Mi chiedo cosa le sia veramente successo >>.
La ragazza non parlò, aveva promesso alla sua amica che avrebbe mantenuto il segreto e, anche se conosceva molto bene Sergio e sapeva che poteva fidarsi di lui, non parlò per rispettare la sua promessa.
<< Sergio, io non so cosa sia accaduto, ma vi prego di una cosa: con gli altri, non accennate al tentato suicidio, sapete… tutti sanno che è stato un incidente >>
Sergio la guardò allibito, poi sorridendo rispose che non doveva preoccuparsi. Prima che Anna ritornasse dai suoi affari, Rebecca e Sergio rimasero a parlare del più e del meno, quest’ultimo, però, si accorse che la ragazza non era affatto attenta al ragionamento, aveva gli occhi fissi sulla porta del circolo. Il giovane le chiese che cosa avesse e lei trasalendo accennò un sorriso scuotendo la testa per dire niente; poi il medico se ne andò, e Rebecca rimase bloccata con un unico pensiero nella mente: andare nel circolo con la speranza di incontrare Davide. Fece due passi, poi esitò, alla fine prese tutto il suo coraggio e si diresse verso l’entrata.
Quando vi entrò rivide la sala d’attesa dove, quell’indimenticabile sera, Davide aveva ordinato due camere; rivide la minuta cameriera che trascinava a fatica un carrello contenente piatti e bicchieri.
<< Signorina, per favore… >> la chiamò, fermandola << Sapreste dirmi se il signor Davide è qui al circolo? >>
La minuta cameriera all’inizio non capì, poi riconobbe la giovane alla quale aveva asciugato gli abiti e con un sorriso disse << Mi dispiace signorina ma oggi non l’ho visto >>
Il sorriso di Rebecca svanì nel nulla, la ragazza ringraziò la cameriera e mogia si diresse all’uscita.
A qualche metro da lei incontrò Anna che si guardava in giro smarrita e che quando volse lo sguardo verso di lei, le andò incontro dicendo: << Rebecca, pensavo te ne fossi andata >>
<< Ero solo andata a dare un’occhiata a quelle vetrine >> balbettò lei cercando di mantenere ferma la voce << Possiamo andare? >>
<< Certo >> rispose Anna contenta.
Ritornarono a casa, Rebecca si recò con Marina nel magazzino per riordinare la merce comprata e lì, la fulva si accorse della sua tristezza. Le si avvicinò chiedendo se stava bene.
<< N-non ho niente, Marina. Non preoccuparti >>
<< Perché non mi dici la verità? Sai che puoi contare su di me >>
<< Lo so >> rispose Rebecca, ma non voleva raccontarle la sua situazione, poiché non voleva riaprirle quella brutta ferita << Mi è successa una bella cosa, e ancora adesso non riesco a credere che la felicità questa volta abbia scelto me >>
<< E perché? >> esclamò seria Marina << Tutti abbiamo il diritto di essere felici, anche se siamo delle semplici cameriere. >>
<< Lo so, ma non mi sembra ancora vero >>
<< Posso sapere come si chiama? >> chiese Marina volgendo lo sguardo verso gli scaffali.
<< Chi? >> ribatté Rebecca facendo finta di non capire.
<< Il giovane che ti rende felice >>
<< Ma… come… >>
<< Si vede lontano un miglio che si tratta di questo! Quindi non fingere con me soltanto perché non vuoi ferirmi. >>
Rebecca sorrise, poi appoggiando l’ultima scatola sullo scaffale disse: << Si chiama Davide >>. Le raccontò tutto e, mentre lo faceva, i suoi occhi si riempirono di gioia e serenità.
Marina l’ascoltava sognante e, quando l’amica si interruppe lei sorrise dicendo: << Sono contenta per te, Rebecca, davvero, ma voglio solo che tu stia attenta a non farti ingannare come ho fatto io. Dai miei errori ho capito che non devo assolutamente fidarmi degli uomini, soprattutto di quelli ricchi. Vederti soffrire non è tra le cose che voglio. Io ho sofferto, e non nego che lo faccio tutt’ora, e ti posso assicurare che è una cosa davvero straziante >>.
Rebecca le accarezzò la spalla, dicendo che non doveva più pensarci, e che sapeva cavarsela. D'altronde, si disse, da quando era nata, la vita l’aveva messa a dura prova contro la sofferenza, e lei ne era uscita a testa alta anche nei momenti di sconfitta. Certo, non voleva ritornare a lottare, è per questo che si era allontanata dal suo passato, ma non riusciva a non pensare a quel ragazzo dagli occhi meravigliosi, non riusciva a dimenticare il suo primo bacio, lo sentiva ancora appoggiato sulle sue labbra, non poteva liberare il suo cuore di tutte le emozioni che Davide le stava facendo provare.
Per quale motivo avrebbe dovuto ancora soffrire? Non era forse vero che la felicità questa volta aveva scelto lei, donandole l’amore di quel ragazzo? Lei lo aveva accettato sicura che non avrebbe più sofferto.
 
***
 
La domenica giunse colma di nuvole bianche e sopraffatta dall’aria fredda. Rebecca andò presto in paese e rimase ad aspettare alla fontana in compagnia di Anna, alla quale, decise di raccontare il motivo della sua felicità. Anna ascoltò stupefatta non riuscendo a credere che anche il cuore gelido di Rebecca poteva sciogliersi per amore.
Mentre parlavano di questo, si fece avanti Davide, salutandole come un perfetto cavaliere.
La giovane cuoca trasalì di gioia nel vederlo e Anna rimase allibita e accecata dalla sua bellezza, poi riprendendosi, si congedò raggiungendo un gruppetto di fanciulle, sue amiche. Rebecca la vide allontanarsi e ad un tratto si sentì catturare le mani da quelle calde e ben curate del giovane, gli volse lo sguardo trasalendo, incrociando quei rari occhi sorridenti.
<< Ti ho fatta aspettare molto? >> chiese lui con voce dolce. Lei scosse la testa arrossendo. Davide tirò la mano invitandola a seguirlo, fecero una passeggiata per il parco, più in là videro un fotografo intento a scattare delle fotografie a una famigliola. Il giovane ebbe un’idea, disse alla ragazza di aspettarlo e raggiunse l’uomo. Rebecca lo vide mentre gli parlava e la indicava. Vedendosi osservata, arrossì abbassando la sguardo, poi rivolgendolo un’altra volta ai due, si accorse che Davide la stava raggiungendo.
<< Vieni, facciamo un ritratto >> esclamò lui contento.
<< No, aspetta… >> cercò di fermarlo lei, imbarazzata.
<< Avanti, non voglio che la tua immagine sia impressa soltanto nella mia mente >>. A quelle parole Rebecca sentì il cuore gonfiarsi di un’emozione indescrivibile, concesse la sua mano e insieme raggiunsero il fotografo, si misero in posa, Davide dietro di lei abbassò il viso avvicinandolo a quello della fanciulla e, prima che la polvere da sparo potesse scoppiare per imprimere la loro immagine nella camera oscura, le sussurrò in un orecchio << Ti amo >>.
 
***
 
<< Quando vedrò quella fotografia, penso che scoppierò dalle risate >> affermò Rebecca mentre continuavano la loro passeggiata per il parco.
<< Per quale motivo? >> chiese scettico Davide.
<< Perché vedrò l’immagine di due persone molto vicine, che si amano ma che in realtà non sanno niente l’uno dell’altra >>
<< Possiamo sempre rimediare >> esclamò Davide << inizierò io >> disse invitandola a porgergli la mano. La ragazza esitò non capendo cosa, il giovane, intendesse fare, poi gli concesse il gesto e lo seguì fino ad una carrozza scura. Davide fece entrare prima lei, poi imitandola, disse al cocchiere che poteva partire. Durante il tragitto, Rebecca cercò di vedere l’esterno dove la carrozza li stava portando, ma Davide gentilmente glielo impedì, dicendole che era una sorpresa.
Dopo pochi minuti, la ragazza si accorse che erano usciti dal paese, poiché non si sentiva più il vocio delle persone, poi il mezzo si fermò.
Il giovane fu il primo a scendere, aiutandola ad imitarlo. Quando Rebecca fu finalmente fuori dalla carrozza ciò che vide davanti a sé fu indescrivibile.
Un ampio paesaggio si estendeva all’infinito ricco di fiori e di alberi da frutto.
Rebecca volse lo sguardo verso Davide, e vide i suoi occhi brillare senza che il sole li potesse colpire.
Il ragazzo si inoltrò nel campo aprendo le braccia << Adesso mi conosci! >> esclamò ridendo << Tutto questo è Davide >>
La giovane sorrise guardandolo con dolcezza, lo vide avvicinarsi prenderla per i fianchi, sollevarla, farla girare, rimetterla giù e abbracciarla; l’allontanò dolcemente e la guardò negli occhi
<< Guarda bene, Rebecca. Tutto ciò che vedi rappresenta ciò che sono. Questa è la mia terra, e io che ti sento a due passi dal mio cuore, voglio che tu faccia parte di essa. Voglio aprire gli occhi al mattino e vedere che prima di questo paesaggio accanto a me ci sia tu, voglio riempire la mia vita del futuro che per me rappresenti, per congelarla del passato che ha dovuto vivere prima di conoscerti. So che è troppo presto, che non ci conosciamo ancora, ma io… voglio sposarti >>.
Rebecca trasalì, sentì un formicolio attraversarle la spina dorsale, e quando vide che il ragazzo stava per baciarla lo fermò.
<< Cosa c’è? >> chiese il giovane incuriosito.
<< Queste parole che hai appena detto mi hanno davvero resa felice. In tutta la mia vita, sono le prime parole che il mio cuore abbia accetto… ma adesso tocca a me farmi conoscere. Da quello che ho potuto capire, tu sei un nobile proprietario terriero, e io sono una… >>
<< Cameriera! >> rispose Davide al suo posto << E allora? Che importanza ha? >>
<< Davide, in passato io non sono sempre stata una cameriera… sono diventata tale a causa di alcune circostanze… >>
<< Non m’importa! >> la interruppe ancora il giovane stringendola al suo petto << il passato non conta, io voglio vedere al presente e al futuro, e in quest’ultimo, so che non si può prevedere, ma sono certo che tu ci sarai! >> detto questo si chinò ancora una volta per baciarla, ma non chiuse gli occhi, rimase a guardarla aspettando una sua reazione. Rebecca non la ebbe, ricambiò solo il suo sguardo e, perdendosi in quel colore così penetrante, offrì liberamente le sue labbra accettando di essere travolta da quei sensi mai provati prima d'ora.
Quando rientrarono nella carrozza, il tragitto sembrò lungo e fu silenzioso. Davide guardava la sua amata e la vedeva triste e pensierosa, non riusciva a capirne il motivo. Lui era molto felice, invece lei non tralasciava neanche un briciolo dei sentimenti che in quel momento stava provando.
<< Cos'hai? >> le chiese con dolcezza.
<< Non lo so >> rispose continuando a guardare il paesaggio in movimento.
<< Le mie parole ti hanno turbata? >>
<< Non sono le tue parole a turbarmi, è questa felicità che si è intromessa nella mia vita >>
<< È per questo che non hai ancora risposto alla mia proposta? >>
<< La verità è che ho paura ad accettare. Per la prima volta ho paura ad affrontare il mio destino. In passato non avevo timore di quelle che potevano essere le conseguenze, ma adesso... >>
<< Non devi preoccuparti, non voglio che tu mi risponda adesso, io posso aspettare >>.
Non ne capì il motivo Rebecca, ma quelle parole la rassicurarono.
Il resto della giornata la passarono in tranquillità, Davide la portò a pranzare in un posticino tranquillo, poi a sera l'accompagnò alla fermata della corriera e prima di lasciarla ebbe qualcosa da darle.
<< Posso aspettare una tua risposta, ma non posso aspettare per questo >> disse mentre la girava di spalle. Rebecca cercò di guardarlo incuriosita; vide le mani mettersi davanti al suo petto e poi avvicinarsi ad esso, allargarsi, accarezzarle il collo e unirsi dietro la nuca. Sentì qualcosa penzolarle sul petto, guardò verso il basso e vide luccicare un piccolo ciondolo, lo prese tra due dita e lo avvicinò al suo sguardo.
Questo era un piccolo medaglione argentato di forma circolare con al centro un cuoricino di zaffiro. Rebecca lo guardò meravigliata e allo stesso tempo incantata.
<< Volevo dartelo dopo la tua risposta, ma desideravo vedere come ti stava >>
<< Davide, è bellissimo >> balbettò lei con voce di pianto.
<< Sapevo che ti sarebbe piaciuto >> rispose lui accarezzandole il viso. La ragazza sentì il bisogno di abbracciarlo e, inconsapevolmente, lo fece, ignorando le buone maniere. Davide sentì il calore di quel corpo invadergli il suo, si sentì pervadere da un sentimento indescrivibile, ricambiò quell'abbraccio stringendola forte a sé.
Ben presto però l'incanto fu spezzato dall'arrivo della corriera, i due amati si salutarono, Rebecca salì sul mezzo, gli diede un ultimo sorriso e poi la corriera partì. Davide rimase lì fermo a guardare mentre si allontanava, chiuse gli occhi sospirando profondamente, quando li riaprì la corriera non c'era più, lo sfondo che si estendeva davanti a sé era buio e vuoto, guardò il cielo e capì che presto avrebbe piovuto, si voltò per raggiungere la carrozza, ma ad un tratto fu fermato da una voce in lontananza che lo chiamava, si voltò incuriosito e allo stesso tempo incredulo: da lontano una la figura di una persona correva verso di lui esclamando il suo nome.
<< Ma che... >> mormorò cercando di focalizzare.
<< Davide! >> esclamò ancora una volta la figura che si faceva più vicina.
<< Re-Rebecca? >> balbettò il giovane non credendo ai propri occhi.
La ragazza gli fu davanti, aveva il respiro affannato, ma sorrideva.
<< Rebecca, ma che fai? La corriera... >>
<< Non m’importa! >> esclamò lei facendo spallucce << anch'io non posso aspettare. La mia risposta è che non posso più stare senza di te. Tu sei dovunque, sei nell'aria che respiro, sei la prima immagine che vedo quando apro gli occhi la mattina, sei la cosa più bella che mi sia mai capitata nella vita. Voglio stare con te Davide, voglio essere nel tuo futuro. Ti amo Davide >> detto questo si avvicinò più a lui offrendogli le labbra.
Davide sorrise, le accarezzò dolcemente il viso e poi finalmente poggiò le sue labbra su quelle di lei assaporando quel ormai insaziabile bacio.
La pioggia, ancora una volta, fu loro complice e la prima goccia cadde proprio sulle spalle del giovane avvisandolo della sua entrata in scena.
Per la seconda volta, i due amati passarono la notte nell'hotel del circolo, ma quella volta fu occupata un’unica stanza.
Ad entrare per prima fu Rebecca la quale rimase al centro della stanza ad osservarla, dietro di lei, Davide chiuse la porta e le si avvicinò guardandole le spalle, pian piano le cinse i fianchi e avvicinò la bocca ai suoi capelli appoggiandosi ad essi per poi scendere lentamente sulla nuca e sfiorarla, sotto il suo tocco la sentì fremere, poi portò le mani alle spalle accarezzandogliele, le sbottonò il corpetto e aiutò a farlo scivolare giù, rivelando la nuda spalla. Rebecca si voltò verso di lui rivelando due occhi luminosi e un lieve rossore sulle guance, portò le mani ai capelli togliendosi le forcine che li mantenevano e, facendoli cadere lunghi fino ai fianchi, la ragazza scosse lentamente la testa per permettergli di prendere il loro posto, poi guardò Davide, i suoi occhi erano più penetranti, la luce dell'unica candela accesa riusciva a farli risplendere come diamanti immersi nell'acqua cristallina. Il ragazzo la vide allungare le mani sul suo petto e seguì i suoi movimenti.
Rebecca, un po' intimidita, iniziò a sbottonargli la camicia, poi insinuando le sue mani sotto di essa, sentì la pelle nuda e calda, scostò la seta per rivelare il petto ben fatto del giovane e lasciò che questo si liberasse del bianco indumento. Davide la prese in braccio e la poggiò supina sul letto, le fu di fianco chinandosi su di lei la quale gli prese una mano e la portò sui lacci del corsetto. Davide   iniziò a slacciare l'intimo della ragazza facendo fuoriuscire i due tondi e ben fatti seni. Quando anche l'ultimo laccio fu allargato, scostò i lati dell'intimo liberando finalmente la pelle, rimase a guardarla sentendosi pervaso da un fremito di piacere, le poggiò la mano su un seno morbido e le labbra sul petto. Rebecca le sentì ardere la pelle fresca e mentre quel veemente tocco scendeva più giù, sentì il suo corpo fremere di piacere. Vide Davide allontanarsi e avvicinarsi al suo viso, si baciarono con passione, la ragazza sentì una mano percorrerle l'addome e fermarsi sulla molla dell'indumento intimo; gemette di piacere, sentendo ormai le gambe libere e intrecciate a quelle del ragazzo. Volse lo sguardo verso la candela con la cera consumata e la fiamma, che compiva una danza seguendo i movimenti dei due amanti, si spense per lasciare segreta la loro idilliaca passione.


NDA: Ciaooo... vorrei scusarmi per i miei mancati commenti ad ogni capitolo che pubblico. Ormai dovreste sapere che (anche se è il colmo) sono di poche parole... ^^
Cosa ne pensate di questa storia? Mi raccomando fatemelo sapere.
Vorrei, inoltre, ringraziare chi ha aggiunto la mia storia fra le seguite e preferite. Grazie di <3
Alla prossima!

 

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Capitolo 8
*** Cap 8 ***


 
Capitolo 8
 
Le lenzuola non erano più avvolte dall'ombra notturna, un fascio di luce le illuminava facendo risplendere il candido colore. Sotto di esse il corpo ben fatto e libero da indumenti della giovane cuoca si muoveva incerto dal risveglio. Rebecca distese il braccio lungo il materasso, alla ricerca di quello di Davide, ma sentendo il vuoto davanti a sé, aprì gli occhi e voltò la testa; Davide non c’era, allora si alzò, mettendosi a sedere e si guardò intorno.
<< Sono qui >> udì dalla parte dov’era la finestra << questa volta sono rimasto, non volevo lasciarti sola, volevo salutarti da sveglia >> aggiunse il giovane passandosi una mano fra i capelli.
<< Buongiorno, allora >> rispose lei sorridendo, appoggiando di lato la testa sulle ginocchia raccolte in petto per poi guardare il suo amato con occhi sognanti. Davide ricambiò quel sorriso, si avvicinò a lei chinandosi per baciarla. << Ora dovrei proprio andare >> le sussurrò sulle labbra.
<< Anche io >>
<< Sapere che dovremo vederci solo di domenica mi fa sentire il cuore a pezzi >>
<< Potremmo vederci giovedì, vengo in paese per i rifornimenti del magazzino >>
<< Allora a giovedì. Ci incontreremo giù, nella sala d’aspetto. >>
Detto questo, si alzarono e si prepararono per andar via.
Passando davanti al letto disfatto, lo sguardo di Rebecca fu catturato da qualcosa che spiccava fra le bianche lenzuola: una macchia rosso scuro. Rebecca rimase a guardarla per un po', ricordando la stessa macchia che giorni addietro aveva visto sull'intimo di Marina. Subito venne avvolta da una strana sensazione che ricacciò subito via sibilando << No, lui è diverso >> sorrise, poi usciti insieme dalla camera, scesero e lì Rebecca si accorse che alcune cameriere la guardavano in modo strano, lei fece finta di niente, poi Davide si allontanò recandosi alla portineria. Rebecca lo aspettò guardando con la coda dell'occhio le due cameriere che bisbigliavano qualcosa. Cercò di sentire cosa si stessero dicendo, era certa che stavano parlando di lei perché sentì dire:<< Hai visto? È di nuovo lei. È molto strano perché prima non le aveva mai riportate una seconda volta >>
Quella frase fece trasalire la ragazza che iniziò a guardarsi intorno smarrita cercando di focalizzare il giovane, che dopo un po' la raggiunse sorridendo e invitandola ad uscire, ma lei esitò.
<< Che cos'hai, Rebecca? >> chiese lui preoccupato.
Rebecca lo guardò smarrita, poi balbettando disse che non aveva niente. Davide l’accompagnò davanti alla fermata della corriera, la vide pensierosa e cercò un'altra volta di sapere che cosa la turbasse.
<< Davide, io non sono la prima ragazza della tua vita? >> esordì allora la giovane.
<< Perché adesso mi fai questa domanda? >>
<< Ti prego rispondimi >>
Prima di farlo, Davide la fissò a lungo cercando di capire per quale motivo fosse diventata tutto ad un tratto strana, poi sospirando disse << Ero fidanzato, cinque anni fa. Eravamo sul punto di sposarci, ma non fu così, il fidanzamento durò pochi mesi, poi lei mi lasciò. A causa di un grande errore di mio padre, la sua famiglia non volle avere più niente a che fare con me. Lei non batté ciglio e mi fece capire che non era la moglie adatta a me e che non era neanche la donna che amavo veramente. Dopo di lei ci sono state altre donne, ma erano tutte delle semplici avventure, tu sei la prima e l'unica donna per la quale sento davvero qualcosa di forte, e penso di avertelo dimostrato >>
<< Scusami, non volevo riaprirti alcune ferite del passato, è che ho avuto, per un momento, ho... >>
<< Spero che adesso sia passato tutto >> la interruppe accarezzandole il viso.
Rebecca lo guardò negli occhi, poi sentendosi rassicurata dal quel dolce sguardo grigio-azzurro, e dal calore della sua mano, sorrise annuendo.
 
 
Quando Davide tornò a casa e si recò nel soggiorno, vide con sua sorpresa che la tavola per la colazione era già occupata dalla sua famiglia e a uno dei tanti posti vuoti c'era il suo amico Acquaviva.
<< Non mi sono accorto di aver fatto ritardo >> si giustificò mostrando quel suo sorriso beffardo.
<< Non ti preoccupare Davide >> rispose Angelica << hai solo cinque minuti di ritardo >>
<< Forse ti starai chiedendo che ci faccio io qui? >> intervenne Gabriele.
<< Puoi venire quando vuoi, sei il ben venuto >> rispose Davide.
<< L’ho invitato io >> intervenne la madre << tu hai sempre da fare, e volevo qualcuno che mi accompagnasse in paese. Voglio comprare qualcosa per Mattia >>
<< Mamma! >> esclamò Angelica << posso venire anche io? Ho visto un bel parasole in una rivista, e voglio assolutamente comprarlo! >> disse con supplica.
<< Angelica… >> rispose la mamma << abbi un po’ di contegno. Devi controllarti figlia mia, soprattutto quando ci sono estranei >>
<< Ma ti prego! >>
<< Tu non andrai da nessuna parte signorinella >> intervenne Davide con in mano la tazza del caffè << devi riprendere gli studi, il tuo precettore sarà qui tra poche ore >> continuò sorseggiando fiero la sua bevanda. La sorella lo guardò accigliata, ma non parlò, non ebbe il coraggio di ribattere, perché sapeva che suo fratello avrebbe avuto la meglio, allora non le restò che sprofondare sulla sedia, rassegnata.
Dopo colazione, Clara si congedò, andandosi a preparare per uscire, Angelica filò in camera sua, offesa, seguita dal fratellino e Davide con Gabriele si fermarono nel grande salone a parlare.
<< Oggi ti vedo diverso dal solito >> disse Gabriele << è successo qualcosa? >>
<< No… >> rispose Davide con aria indifferente.
<< Avanti… >> continuò l’amico << a me non la dai a bere, ti conosco fin troppo bene da capire che stai nascondendo qualcosa. Hai un’aria così luminosa da far invidiare il sole. Racconta, cos’è successo? >>
Davide sorrise, poi abbassando lo sguardo mormorò << ho conosciuto una ragazza >>
<< Ma bene, vecchio mio. Hai deciso di piantare radici, chi è la sfortunata? Una contessa, una baronessa, una vecchia ereditiera? >> chiese Acquaviva beffardo.
<< Smettila! Sto parlando sul serio. Ho conosciuto una ragazza, una semplice cameriera >>
<< Ma come, questo significa che non si tratta più di una semplice avventura? Da quando hai lasciato Virginia, non hai fatto altro che darti alla pazza gioia con le ragazze del bordello e se adesso mi stai dicendo che hai conosciuto una ragazza e hai quel viso così luminoso, significa che… ti sei innamorato? E per giunta di una cameriera! >> Gabriele scoppiò a ridere.
<< Abbassa la voce! >> sussurrò Davide << che importanza ha se è una cameriera? È dolce, gentile, sincera e anche generosa. Pensa che la vidi alle prese con un vigliacco nel tentativo di difendere l’onore della sua amica. >>
<< E quando l’avresti conosciuta? >>
<< Quella domenica al concerto, quando uscii per strada, la vidi sotto la pioggia e le prestai il mio ombrello. Da allora ci siamo visti altre due volte. Ci siamo dati appuntamento per domenica >>
<< Come puoi essere sicuro che ciò che provi sia amore? Andiamo! Ti facevo più intelligente. >>
<< Non so spiegarmelo nemmeno io… eppure, dovresti vederla per capirmi. >>
<< E bravo Campana! >> esclamò Gabriele allibito << sono fiero di te, finalmente hai deciso di mettere la testa a posto con le donne >>.
Davide lo interruppe, facendogli segno che la madre era arrivata.
Clara indossava un bel vestito ocra con il corpetto sul celeste chiaro e le maniche a tre quarti ornate di merletti azzurri. Aveva infilato un paio di guanti di pizzo ocra e volto lo sguardo verso Acquaviva lo invitò ad andare. Gabriele dapprima rimase a guardarla incantato, poi dati due colpi di tosse, si alzò e le si avvicinò. Davide lo imitò, salutando la madre con un baciamano e avvisandola che dopo l’arrivo dell’insegnante di Angelica, sarebbe uscito anche lui per chiudere l’affare della vendita delle olive, poi entrò una cameriera annunciando che la carrozza era pronta. Acquaviva e la donna uscirono salutando un’ultima volta.
Arrivati alla carrozza Gabriele l’aiutò a salire, e prima di imitarla, ordinò al cocchiere di recarsi in paese. La carrozza partì. Durante il tragitto i due rimasero in silenzio, Clara fissava il paesaggio in movimento, Gabriele faceva lo stesso anche se alle volte voltava lo sguardo verso la donna guardandola con incanto, senza, però, farsene accorgere.
Quando giunsero in paese, fu lei a dar ordine di fermare la carrozza.
<< Voglio fare due passi >> mormorò al giovane. Senza rispondere, Gabriele acconsentì e sceso dalla carrozza allungò la mano permettendole di fare lo stesso. Passeggiarono a lungo. Gabriele Acquaviva era immerso nei suoi pensieri, e solo dopo qualche ora si accorse che non si erano ancora recati in un emporio di abbigliamento. Volse lo sguardo verso la donna e la vide sorridente, la piccola mano che aveva appoggiata sul suo braccio la sentiva fiduciosa e calda e in quel momento gli ritornarono alla mente antichi ricordi che avevano segnato una parte della sua vita. Ripensò alla notizia di Davide. L’amico, dopo la burrascosa rottura del fidanzamento con Virginia Spadieri, aveva abbandonato ogni interesse per l’amore, congelando a poco a poco il suo cuore e soltanto una semplice fanciulla dopo cinque anni glielo aveva riscaldato.
Gabriele sapeva bene cosa si provava, perché anche lui un tempo era stato innamorato, anche lui aveva provato ciò che adesso stava provando Davide, e anche lui, cinque anni fa aveva dovuto rinunciare a quello che in quel periodo gli stava più a cuore. Rivolse lo sguardo a Clara, e questa volta le chiese per quale motivo non aveva ancora fatto i suoi acquisti. Clara lo guardò sorridendo, poi stringendo dolcemente la presa sussurrò << non lo hai capito? >>.
Gabriele rimase fermo per ricambiare lo sguardo e, fissando quegli occhi, iniziò a comprendere che in cuor suo, qualcosa di assopito si stava risvegliando.
La tavola era stata preparata per il pranzo, una cameriera aspettava soltanto l’ordine di servire, ma purtroppo la famiglia Campana non era riunita. Davide era appena ritornato dal suo lavoro e, seduto sul divano nel salone leggeva il giornale in compagnia di un bicchiere di liquore; in biblioteca, Angelica stava finendo di seguire una noiosissima lezione di geometria e Mattia approfittava del pallido sole assieme a una cameriera.
Davide guardò più di una volta il suo orologio da taschino, meravigliandosi che sua madre non era ancora ritornata. Posò il giornale sul tavolino e si alzò iniziando a camminare avanti e indietro. Nel salone era entrata la cameriera chiedendo al suo padrone se doveva servire il pranzo. Davide rispose di attendere il ritorno della madre, poi spostò la sua attenzione sul maggiordomo che aveva appena fatto la sua comparsa.
<< Giacomo, dove siete stato? Vi stavo cerando >>
<< Ditemi signore? >> chiese l’uomo impassibile.
<< Sai per caso se mia madre e il signor Acquaviva sono tornati? >>
<< Che io sappia, no signore >>
<< Va bene. Per favore andate a chiamare Angelica e mio fratello e ditegli che il pranzo è pronto. >>
<< Certo, signore. >> e detto questo uscì dal salone. Quando uscì anche Davide, la porta d’ingresso si aprì ed entrò Clara Giuliani con il viso afflitto. Il giovane si fermò a guardarla cercando di capire che cosa fosse successo. La donna rimase ferma sulla soglia della porta incantata a fissare il corridoio.
<< Madre? >> esclamò Davide facendola trasalire << cos’è successo? Avete un’aria alquanto strana >>
<< Niente >> mormorò con voce tremante, Clara.
<< Ma dov’è Acquaviva? Non vi ha riportata lui a casa? >>
<< Gabriele aveva da fare in azienda >> balbettò la madre allontanandosi dalla porta << è pronto il pranzo? >> chiese cambiando discorso.
<< Sì >> rispose Davide accettando quel ragionamento ma rimanendo sospettoso. La madre non aggiunse altro, si avvicinò a un tavolino, prese la campanella, la scosse lentamente e attese l’arrivo di una serva per liberarsi degli accessori da passaggio; dopodiché si recò in sala da pranzo prendendo il suo posto a sedere. Era talmente immersa nei suoi pensieri, da non accorgersi dell’arrivo fragoroso dei suoi due figli e della domanda che Mattia le pose, volenteroso di sapere cosa gli avesse comprato.
Davide a quel punto si insospettì ancor di più. Per quale motivo era uscita allegra, e adesso sembrava avvilita? Provò a richiederle che cosa avesse, ma la donna rispose soltanto con un sorriso che era stanca per la lunga passeggiata. Dopo quella risposta, il giovane non ci pensò più, e la piccola famigliola poté consumare il pranzo in silenzio.
Per tutta la giornata, Clara stette silenziosa e assorta nei suoi pensieri, aveva il volto ancora più pallido, quasi cereo, gli occhi sembravano colmi di lacrime pronte per traboccare e dar sfogo a un triste pianto. Nessuno le chiese cosa avesse, neanche Davide, malgrado la sua immensa curiosità, tacque e decise di lasciarla in pace, uscendo per i suoi affari.
La donna rimase sulla poltrona del salone a lungo, fissando il vuoto. Solo verso sera riprese un po’ di colorito e i suoi occhi ridiventarono lucenti e freschi, quando vide ritornare a casa Davide in compagnia del suo amico Acquaviva.
Appena i due entrarono, lei si alzò dalla poltrona, si avvicinò ad uno specchio, si aggiustò l’acconciatura e con le mani si stirò la lunga gonna, poi tirando un lungo respiro, aspettò che i due si avvicinassero, come una ragazzina ansiosa di vedere il suo amore.
Quando Gabriele la vide, il suo sguardo fu gelido, e lo volse subito da un’altra parte, Clara se ne accorse e si rattristò. Davide, invece, non si accorse di nulla, salutò la madre e invitò l’amico ad accomodarsi. Clara ricambiò il saluto, poi voltandosi verso Gabriele disse quasi con preghiera << Buona sera Gabriele >>.
<< Buona sera >> fu la risposta secca, fredda e tagliente di Acquaviva. La donna ebbe come un gemito, le tremavano le labbra, si sentiva la gola bloccata da qualcosa di pungente, gli occhi le bruciavano per quelle lacrime che erano ritornate e questa volta per fuoriuscire per davvero.
Senza dire una parola, uscì dal salone con passo svelto e, quando fu lontana da occhi e orecchie indiscrete, appoggiò la mano sul viso e diede sfogo ad un pianto soffocato.
Gabriele, con sguardo impietosito, fissò la porta, forse aspettando il suo ritorno.
<< Gabriele >> lo chiamò, a quel punto, Davide attirando la sua attenzione << dimmi la verità, è successo qualcosa a mia madre? >>
Gabriele lo guardò sfuggente << ch’io sappia no >> disse balbettando. Poi cercando di scoprire se Davide aveva qualche dubbio chiese il perché.
<< Da quando è tornata a casa, per pranzo, ha un’aria, triste avvilita >>
Gabriele ritornò a guardare la porta con lo stesso sguardo di prima.
<< Di solito… >> continuò Campana << fa così, quando le ritornano in mente ricordi della vita passata con mio padre. Non si è mai ripresa da quell’orrendo abbandono. Mio padre è stato solo un vigliacco, la lasciò in cinta per andarsene dietro a una, una… >> sbuffò al pensiero. Gabriele si girò di spalle all’amico stringendo gli occhi come se stesse contraddicendo tutte quelle parole. Lo lasciò sfogarsi e vagò col pensiero a ricordi lontani, a quei ricordi che erano emersi la mattina di quello stesso giorno e che avevano portato il giovane ad avere un comportamento gelido con Clara Giuliani.
A cena, il giovane Acquaviva accettò a malincuore, senza farlo notare, l’invito del suo amico. Si sedette al suo solito posto, di fronte alla triste padrona di casa e per tutta la serata i due si ignorarono.
Davide alle volte volgeva lo sguardo verso sua madre, notando che i suoi occhi erano gonfi e rossi, intuendo che aveva pianto, e anche molto. Ma per rispetto al galateo, non fece nessuna domanda a proposito del suo stato d’animo. A cena finita, il giovane Campana e Acquaviva si recarono nel salone per consumare un digestivo ed assaporare un sigaro. I bambini si ritirarono nella loro stanza e anche Clara si congedò dicendo che aveva un forte mal di testa, ma il suo barcollante allontanamento non fu ignorato né da suo figlio né dall’invitato che discretamente la seguì con lo sguardo fino a quando non scomparve dietro l’angolo.
I due parlarono di affari per qualche ora, poi Davide invitò l’amico a passare la notte in casa sua, dato che il giorno dopo sarebbero dovuti andare a dare un’occhiata ai rispettivi terreni per controllare come andava la raccolta delle olive. Gabriele acconsentì ma prima di ritirarsi chiese a Davide se poteva prendere qualche libro dal suo studio per combattere l’insonnia. Davide accettò, dicendo che era libero di prendere ciò che voleva.
Quando Gabriele arrivò davanti alla porta, vide una sagoma femminile la cui ombra proiettata sul muro dalla luce della candela, sfoggiava forme seducenti ricoperte da una vestaglia di pizzo e raso color panna.
<< Signora? >> mormorò Gabriele guardandosi intorno << Che cosa ci fate qui? >>
<< Gabriele >> sussurrò lei con voce tremante. Il giovane per non attirare l’attenzione di qualcuno, la prese per un braccio ed entrarono nello studio, dopo aver dato un’ultima occhiata al corridoio, per essere sicuro che non li avesse visti nessuno e chiuse la porta. A quel punto si volse verso di lei la quale appoggiò la candela su un mobiletto e gli si avvicinò.
<< Che cosa volete? >> chiese ancora lui freddamente.
<< Non parlarmi così, Gabriele, te ne prego! >> esclamò buttandosi fra le sue braccia e aspettando di essere ricambiata ma inutilmente << perché fai così? >> chiese disperata.
Gabriele le afferrò i polsi e lentamente la distaccò da sé allontanandosi.
<< Per favore… >> mormorò lui.
<< Ti prego >> lo interruppe << dimmi che è una bugia ciò che mi hai detto questa mattina! Dimmi che stavi scherzando >> pianse cingendogli le spalle. Gabriele strinse gli occhi dal dolore << non stavo scherzando signora >> disse secco.
<< No, ti prego, chiamami Clara. Non darmi anche questo dolore. Chiamami come mi hai sempre chiamata, non farmi questo. >>
Gabriele si svincolò bruscamente, volgendole uno sguardo tagliente << Ma non lo capisci? Ci stiamo soltanto rovinando. Per cinque anni abbiamo tenuto nascosto questo segreto, e che cosa ne hai ricavato tu stessa? Insulti e offese da tuo fratello e bisbigli strafottenti da parte di tutta la maledetta borghesia di questo paese >>
<< Non mi importa niente di quello che pensano le persone! >> ribatté lei.
<< Ed io? Io che cosa ne ho avuto? Rimorsi che mi divorano l’anima. Insonnia che assedia il mio sonno. E la colpa che assilla la mia mente ogni volta che vedo Davide e che lo sento maledire tuo marito. Ma chi sa la verità? Soltanto noi due! E io non posso… >> disse avvicinandosi lentamente alla donna << non voglio, e non ce la faccio a vederti e a non poterti toccare e baciare. Questa è la mia più grande colpa, il più grande peccato che ha lasciato una macchia enorme sulla mia anima: ignorare la ragione e abbandonarmi all’egoismo di saperti mia e di volerti possedere ogni qualvolta che ti vedo o che ti penso! >> detto questo l’afferrò bruscamente dal cinto e la baciò con veemenza. La donna non gli resistette, poiché aspettava quella reazione, con bramosia. Concesse la sua bocca fresca, abbandonandosi a quel tempestoso abbraccio che a poco a poco diventava più dolce e più passionale.
La piccola fiamma della candela si muoveva a ritmo di un’immaginaria danza orientale, illuminando l’intero studio di una luce soffusa e calda che avvolgeva i due amanti in un abbraccio complice, a poco a poco, però quella lenta danza si trasformò in un ballo frenetico, la fiamma venne agitata dal vento entrato dalla porta spalancata da qualcuno che apparve all’improvviso interrompendo il romanticismo dei due amanti colti in flagrante.
Clara trasalì balbettando << Davide! >>.
Gabriele Acquaviva, con respiro affannoso taceva, fissando il suo miglior amico che aveva la luce ballerina della candela sul volto livido, e gli occhi pieni di rabbia e di odio che guardavano ora la madre ora il suo amante i quali aspettarono con ansia una sua reazione.
Il giovane entrò nello studio chiudendosi la porta alle spalle, poi senza togliere gli occhi fissi su di loro chiese con voce rauca << Da quanto? >>
<< Non arrivare a conclusioni affrettate >> balbettò la madre tremante.
<< Da quanto tempo va avanti questa storia!? >> esclamò il giovane con rabbia facendo trasalire la donna, la quale iniziò a piangere. << In casa mia… pensavi che non mi sarei accorto dei vostri comportamenti? >> continuò il figlio << come hai potuto? >> chiese rivolgendosi a Gabriele.
<< Non è come sembra >> affermò serio quest’ultimo.
<< Non è come sembra? >> ripeté Davide strafottente << e allora com’è?  Spiegamelo tu Gabriele, perché non capita tutti i giorni di vedere una madre fra le braccia del migliore amico di suo figlio >>.
Gabriele si preparò a rispondere, ma Clara lo interruppe, dicendo che avrebbe spiegato lei ogni cosa, dicendo tutta la verità.
<< Non serve più a niente mentire >> disse Clara << lo abbiamo fatto per troppo tempo, e prima che Davide arrivi a conclusioni sbagliate, è meglio che sia lui a scoprire per primo la verità >>.
Davide incrociò le braccia al petto, pronto per ascoltare sua madre.
Gabriele rimase lì fermo sentendosi impotente e anche a disagio. Clara, invece, tremava, non capendo se quella che sentiva era ansia o paura. Si allontanò lentamente dal suo scoperto amante e si recò alla grande finestra, rimanendo di spalle ai due giovani, iniziò a raccontare con voce tremante.
<< Io… non ho mai amato tuo padre, e neanche lui amava me. Il nostro è stato soltanto un matrimonio riparatore, come sostenevano mio fratello e mia madre, ma io sapevo benissimo che era soltanto uno di quei matrimoni di convenienza. Vincenzo Campana era molto ricco anche se soltanto un semplice borghese senza titoli nobiliari, aveva ereditato un’intera fortuna, e fortunatamente per i miei parenti, che erano sul lastrico, tuo padre era anche in età da moglie >> si volse verso il figlio e lo guardò con un sorriso malinconico << A mia insaputa, all’età di quindici anni ero diventata la signora Campana. Poiché che ero ancora minorenne, e quindi impossibilitata a firmare, mia madre e mio fratello dovettero farlo al mio posto. >> una lacrima le scivolò su viso, e le labbra iniziarono a tremare << non ebbi neanche il diritto di esprimere il sì che tutte le ragazzine di quell’età sognano di dare all’uomo della loro vita. Ma secondo mio fratello, Vincenzo Campana, era il mio. >> si fermò per riprendere fiato, poi voltandosi di nuovo verso la finestra continuò << ma si erano sbagliati di grosso. Io non provavo niente per quell’uomo, e neanche lui per me, Vincenzo aveva molte amanti, lasciava una per prendersi un’altra, non era mai presente in casa. Mi lasciava sempre sola. E questa storia durò un anno. >> si volse ancora una volta verso il figlio e si andò a sedere su di una poltrona. Prima di continuare, guardò le dita delle sue mani che si intrecciavano fra loro in maniera quasi autonoma, poi continuò col pianto in gola << ormai sei grande, Davide, e certe cose le capisci anche tu >>.
Davide la guardava serio, non lasciava traspirare nessun frammento di emozione, dimentico della presenza di Gabriele, era solo concentrato ad ascoltare la madre che sempre piangendo disse cercando di guardare il figlio negli occhi.
<< Sai in che modo sei stato concepito? Non fu una notte d’amore o per soddisfare i suoi… porci bisogni >> fissò Davide, lasciando che la sua mente vagasse nell’immaginazione per la risposta. Davide capì al volo, ma non lo diede a vedere.
<< Dopo che per un anno mi aveva ignorata, una notte si ritirò ubriaco da una delle sue tante scappatelle… neanche lui ebbe rispetto di me, e dei miei sentimenti… >> si fermò ancora cercando di placare il pianto. Ma non ci riuscì << Avevo solo sedici anni… non avevo nessuno con cui sfogarmi, mia madre e tuo zio non mi capivano, davano soltanto la colpa a me del comportamento che aveva tuo padre. Pensavano solo ad arricchirsi sul mio dolore.
Solo dopo la notizia della tua attesa, Vincenzo sembrava cambiato, era più affettuoso, non usciva più ogni sera, si dedicava solo e soltanto al suo lavoro e a me. Per poco, si fece voler bene, tanto da farmi dimenticare come mi aveva trattata, ma mi sbagliavo. Quel comportamento non era altro che una maschera indossata nel primo tempo si uno spettacolo teatrale fatto a regola d’arte. Dopo la tua nascita, iniziò a comportarsi come il primo anno. Iniziai a chiedermi per quale motivo mi avesse sposata. Al contrario della mia famiglia lui aveva tutto quello che poteva desiderare, questo matrimonio non lo aveva portato a niente. Perché mi aveva sposato, se il lato del suo letto era sempre vuoto, perché l’aveva fatto, se donava il suo affetto ad altre donne? A cosa gli servivo io?
Con il passare degli anni e crescendo, iniziai a capire che lui aveva scelto me come avrebbe scelto qualunque ragazzina gli avessero presentata, soltanto per dare degli eredi al nome Campana, e la famiglia Giuliani, anche se non più ricca, era una delle poche famiglie per bene che si trovavano nel nostro piccolo paesino. Questa storia che era ricominciata dopo solo un anno, continuò per ben cinque lunghissimi anni. Poi arrivò Angelica. Ti starai chiedendo come abbiamo fatto a concepire un altro figlio se tra noi non c’era amore? Beh, successe, perché quando quella notte entrò nella nostra stanza, sembrava ritornato ad essere affettuoso, io non mi opposi alle sue carezze, perché anche io avevo bisogno d’affetto. Quella volta, anche se sapevo che era tutta una farsa, mi sentii un po’ amata. Ma non mi meravigliai di certo quando il giorno dopo l’incanto svanì. E la storia si ripeté anche con l’attesa di tua sorella. Per un certo periodo era affettuoso, poi ridiventò freddo e scostante. Ormai era un monologo che avevo imparato a memoria. Ma non mi sentivo più sola, perché sapevo che c’eravate tu e tua sorella a riempire la mia solitudine e a rendere felice i miei giorni tristi.
Quando ormai mi resi conto che, con tuo padre non c’era più speranza, dopo tre anni dalla nascita di Angelica, tu mi portasti a casa il tuo migliore amico. Me lo presentasti come il tuo maestro degli affari. Gabriele >> disse volgendo lo sguardo verso Acquaviva. << Io avevo ormai ventinove anni e Gabriele ne aveva ventidue, e in lui trovai uno spiraglio di speranza. Essendo coetanei, mi trovavo bene con lui, e quel bene alla fine divenne amore. Con Gabriele mi sentii veramente amata e apprezzata. Ci amammo perdutamente. Tuo padre continuava ad essere assente, ma a me non importava più nulla perché sapevo che il mio vero amore era finalmente apparso nella mia vita >>
<< Noi non vi bastavamo? >> chiese Davide con voce rauca.
<< Perché la fai a me questa domanda? Hai sempre saputo che tuo padre mi tradiva. Perché non l’hai mai fatta a lui? Voi avete riempito la mia solitudine, avete ridato gioia al mio cuore, ma Gabriele, Gabriele è stato l’uomo che l’ho ha fatto palpitare dopo quattordici anni di tristezza e di dolore >>.
Davide si avvicinò alla poltrona e facendo ciondolare le mani si sedette e guardò la madre con occhi seri << Se avevate capito di amare Gabriele, per quale motivo avete accettato di concepire anche Mattia? >> chiese tutto d’un fiato.
Clara trasalì cercando di sfuggire allo sguardo severo del figlio << Mattia… >> balbettò.
<< Mattia è mio figlio! >> esclamò Gabriele volgendosi a Davide esasperato.
A quella rivelazione, Davide sentì in petto qualcosa che si gonfiava per prepararsi ad esplodere, il suo respiro si fece più pesante e i suoi occhi cercarono un luogo lontano da quelle due figure, dove poter trovare appoggio per dare alla mente il tempo di collegare i fatti. Le sue orecchie percepirono qualcosa, una voce femminile che diceva:
<< Dopo due anni passati ad amarci, rimasi in cinta. Non potevo ingannare tuo padre perché sapeva benissimo che il figlio non era suo, e non volevo neanche farlo. Così gli dissi tutta la verità, nascondendola, però, a Gabriele. Facendo così, pensai che tuo padre avesse continuato la sua solita vita dato che della mia e quella dei figli non gliene importava granché. Lo faccio solo perché non voglio far cadere in basso il tuo nome, gli dissi. La reazione che ebbe non me la sarei mai aspettata. Scoppiò in una risata strafottente. Mi tirò uno schiaffo e se ne andò. Solo dopo due giorni scoprii cosa aveva fatto. Si era infangato da solo il suo nome andandosene con quella soubrette e con i suoi stramaledetti soldi. Non si era neanche preoccupato della sorte dei suoi figli. >>
Clara si alzò dalla poltrona recandosi alla finestra << nessuno sa questa storia. Avrei potuto finire l’opera di tuo padre continuando a infangare il nome dei Campana, dicendo che Mattia non era suo figlio. Ma non lo volli fare, e tutt’ora non so il motivo per il quale tacqui la verità. Anche Gabriele venne a sapere solo dopo tre anni la nascita del bambino >>.
Senza dire una parola, Davide si alzò e si recò alla porta. Gabriele lo fermò chiamandolo, Davide si girò con sguardo minaccioso e mormorò freddamente << Io non ho mai sentito questa storia, voi, Acquaviva non conoscete né me e né mia madre e per tanto vi voglio fuori da casa mia e lontano dalla mia famiglia! >> detto questo uscì dallo studio sbattendo la porta. Gabriele rimase fermo mentre Clara uscì correndo per raggiungere il figlio.
<< Davide, Davide fermati! >> lo implorò.
<< Tacete! >> esclamò lui bruscamente aprendo la porta della propria camera.
<< Perché non riesci a capire anche tu? >> chiese la madre entrando e chiudendo la porta.
<< Cosa dovrei capire? Che per tanti anni vi siete presi gioco di me? Vi ricordo che non eravate solo voi a soffrire. In questa maledetta situazione mi trovavo anche io! Avete tradito la mia fiducia! Voi per prima vi siete approfittata dell’amicizia che mi legava a Gabriele per alleviare la vostra solitudine nel lato vuoto del letto. Mio padre è stato un vigliacco, ma voi vi siete messa alla pari! >>.
<< Non parlare così! >> urlò Clara tra i singhiozzi << Tuo padre non ha mai amato le sue amanti! Io invece amo e ho sempre amato Gabriele, e anche lui ama me! >>
<< Non venitemi a dire che mio padre è scappato con quella… puttana, solo per ripicca al vostro tradimento! Siete fatti tutti e due della stessa pasta. Egoisti, e vigliacchi. Avete pensato solo e soltanto a voi stessi, non accorgendovi che accanto avevate due figli e che un terzo era in arrivo, legittimo o no. Avete lasciato tutto sulle mie spalle >>
<< Sei stato tu a voler prendere le redini di tutto da ragazzino e a volerle ancora mantenere>>
<< E a chi avreste dovute darle? A vostro fratello? O pensavate che anche io sarei dovuto essere tanto egoista da pensare soltanto alla mia giovane età!? >>.
<< Hai ragione. Ma ti prego, lascia fuori Gabriele, lui non ha colpa >>
<< La colpa di Gabriele e quella di amare una donna sposata e più grande di lui. La colpa di Gabriele è di avermi ingannato anche lui! Gabriele non ci ha mai conosciuti e Mattia è figlio di mio padre! >> esclamò Davide sbattendo un pugno sul tavolino e facendo tremare il candelabro d’argento.
<< Ti sati comportando come tuo padre! >> ribatté Clara << pensi solo e soltanto a difendere il buon nome della famiglia, pensi solo a te stesso >>.
Davide lanciò un’occhiata minacciosa alla madre, poi avvicinandosi a lei, l’afferrò per un braccio e disse << Per cinque lunghissimi anni, ho ascoltato il nome Campana precipitare nel fango da bocche ipocrite e moraliste, e non mi sono mai interessato di quello che la gente potesse pensare di me stesso. Sono stato cacciato, abbandonato e insultato, ma ho continuato a ricostruire quello che vostro marito aveva distrutto. E adesso voi mi venite a dire che io sto agendo come lui, preoccupato per il buon nome della famiglia? >> spinse bruscamente la madre lasciandole il braccio << guardate madre, sono talmente preoccupato, che vi sto offrendo la possibilità di lasciare questa casa e andarvene anche voi con il vostro amante! Ma vi avverto. Se voi uscite da quella porta, e lo farete da sola, vi assicuro che non vedrete mai più né me né i vostri figli! >> disse serio. Clara non ebbe neanche il tempo di difendersi che il figlio le ordinò di uscire dalla stanza.
Clara tacque. Sapeva che suo figlio aveva ragione e, senza ribattere, si voltò raggiungendo la porta supplicando il figlio di perdonare sia lei sia il povero Acquaviva, dopodiché uscì.
Davide strinse gli occhi sentendo le lacrime bruciare. Esausto sprofondò sulla poltrona e, mantenendosi il viso tra le mani, diede inizio ad un pianto silenzioso. 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9
 
Quel giovedì arrivò in fretta come un folata di vento. Rebecca, accompagnata da Anna, si recò in paese per le solite compere. Quando ebbe terminato, cercò una scusa per allontanare l'amica, poi si recò al circolo indecisa se entrare o meno. Era molto ansiosa di incontrare Davide, da quella domenica sentiva il bisogno di vederlo e di riassaporare i suoi baci, non ce la faceva ad aspettare, entrò nella sala e si guardò in torno. Una delle due cameriere che la domenica scorsa con una sua collega aveva bisbigliato quelle taglienti parole, passò davanti a lei, Rebecca la fermò chiedendo se per caso sapesse di Davide.
La cameriera la riconobbe all'istante e rispose subito che non l'aveva visto, aggiungendo in modo informale: «Comunque non preoccuparti, non penso che lo coglierai con le mani nel sacco».
«Come dite?» chiese Rebecca allibita e allo stesso tempo infastidita da tanta sfacciataggine. La cameriera prima di rispondere si guardò intorno, poi prese per un braccio la ragazza e si avvicinò più a lei sibilando: «Tu sei la prima "amica" che il signorino porta qui una seconda volta, questo non è mai successo... inoltre, se sei venuta qui per tenerlo d'occhio ti avviso che questo albergo non accetta tali scandali»
Rebecca lanciò un'occhiata tagliente alla giovane e, scansato bruscamente il suo braccio, esclamò arrabbiata: «Ma che diavolo state dicendo? Per chi mi avete presa? Imparate a fare il vostro lavoro invece di intromettervi negli affari altrui!»
La cameriera cadde in un imbarazzo profondo, specialmente quando si accorse di aver catturato l’attenzione dei presenti, rimase ferma senza avere la possibilità di muoversi, guardando la giovane allontanarsi e uscire dall’albergo.
Quando Rebecca fu fuori, sentì il cuore scoppiarle in petto, le strafottenti parole di quella ragazza le avevano messo addosso un'ansia, sentì di non riuscire a calmare il respiro e in cuor suo sperò che Davide fosse giunto presto per tranquillizzarla con il suo solito sorriso e quelle rassicuranti parole che era ormai solito dirle.
Guardò l'orologio della piazza che segnava le dieci e un quarto; Anna non era ancora giunta dalla sua breve passeggiata e più in là il ragazzo che le aveva accompagnate si era addormentato, seduto sul carro.
Continuò a guardarsi intorno, poi si voltò di nuovo verso il circolo e dalla porta a vetro che faceva da entrata, vide qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere.
Il suo amato Davide stava fermo alla reception e a lui si era avvicinato una donna. Rebecca rimase impietrita trattenendo il respiro e sentendo il cuore in gola, li vide mentre parlavano, la donna sorrideva, lui sembrava alquanto serio, poi lo vide mentre le prendeva la mano e gliela baciava, vide la donna sorridere ancora e dire qualcosa, per poi allontanarsi ed essere seguita poco dopo dal giovane. Non li vide più.
Rebecca rimase ferma, con gli occhi sgranati, con la gola annodata da un grido disperato che non riusciva a trovare via di fuga per farsi sentire e gli occhi pieni di brucianti lacrime. Si sentì tremare le gambe, vocii incomprensibili invasero le sue orecchie, vide tutto intorno a sé girare e poi il buio.
 
***
 
Entrato dalla porta posteriore del circolo, Davide percorse una sala e poi un corridoio ed entrò nella portineria dell’albergo. Avvicinatosi al banco, chiese all'uomo che stava dall’altra parte se la giovane che la domenica era in sua compagnia, fosse arrivata. L'uomo scosse il capo dispiaciuto, dicendo che non l'aveva vista. Davide lo ringraziò e rimase al bancone immerso nei suoi pensieri.
Dopo il tragico segreto che gli era stato rivelato da sua madre, il giovane non riusciva a stare più in pace con se stesso e in quei giorni solo Rebecca era stato l'unico pensiero che gli aveva alleviato il dolore il quale si era impadronito del suo cuore. Non vedeva l'ora di incontrarla, gli bastavano anche solo pochi minuti nel vederla per attenuare le sue ferite.
Mentre pensava, gli si avvicinò a lui qualcuno chiamandolo per nome. Si voltò di scatto e trasalì nel vedere di chi si trattava. Davanti a lui c'era il passato, quel triste, indimenticabile passato che continuava a intrufolarsi nella sua vita, si presentò con un viso ovale, affascinante, occhi azzurro cielo e capelli ricci neri; era Virginia Spadieri, la donna che cinque anni addietro aveva voluto far parte della vita di Davide e che lei stessa dopo poco tempo lo aveva allontanato dalla sua. Ora era davanti a lui, con il sorriso sulle labbra, e con l'atteggiamento di chi si incontra tutti i giorni.
«È da tanto che non ci vediamo, Davide. Cosa c'è? Sei sorpreso di vedermi?»
«Più che sorpreso, direi incuriosito - rispose il giovane rivelando un sorriso sarcastico - Mi chiedo come mai, la nobile Virginia Spadieri stia rivolgendo la parola al... aspetta, com'era? Ah sì adesso ricordo... depravato, approfittatore, arricchito», a quelle taglienti parole, Virginia abbassò la testa sospirando.
«Volevo solo salutarti, non dovresti farlo anche tu?»
Davide la guardò «Ma certo - disse volgendole un falso sorriso, poi le prese una mano e l'avvicinò alle sue labbra senza toccarla, come si faceva con una dama nubile, - È così che si fa, vero mia signora? - continuò lui beffardo - Vedete madama, un arricchito e depravato certe cose non le immagina nemmeno. Mi chiedo come mai io le sappia».
«Immagino che non avrò mai il tuo perdono» mormorò la giovane.
«E perché mai lo vorreste? Non abbiamo niente che ci leghi per pensare al perdono» rispose lui con voce tagliente.
Virginia non ribatté, sapendo che il ragazzo non aveva tutti i torti, lo salutò con un sorriso, aggiungendo che sarebbe stata contenta se il passato venisse insabbiato e che il futuro sarebbe stato anche piacevole con un incontro accompagnato da un saluto.
«Non pensi che sia troppo tardi?» chiese indifferente Davide.
«Chi lo sa?» rispose lei, poi salutò e se ne andò seguita dallo sguardo di Davide che sbuffò e poi volgendosi all'uomo dietro al bancone disse «Penso che la signorina tarderà, lascerò un messaggio, vi prego di farglielo avere quando la vedrete».
Mentre diceva quelle parole, Davide non si accorse che Virginia si era fermata ad ascoltare, poi con fare indifferente, si era allontanato dalla reception e si era incamminato dalla stessa parte in cui era andata la ragazza, le era passato davanti e senza salutare era entrato nella sala del circolo.
Virginia Spadieri si aggiustò il guanto della mano baciata da Davide e mentre lo faceva, rivelò un sorriso fiero, poi vedendo passare una cameriera, la fermò mettendole qualcosa in mano.
«La donna che doveva incontrare il signor Campana è la stessa che ti ha rimproverata, vero?» le chiese ricordando la giovane vestita con abiti borghesi che aveva attirato l’attenzione dei presenti nonché la sua.
La cameriera sentendosi la mano piena, prima di rispondere, ne guardò il contenuto e vedendo le grandi banconote riempire il suo piccolo palmo calloso, trasalì, guardò allibita la donna, poi sorridendo rispose: «Sì, è lei.»
«Sai chi è e che cosa voleva da Campana?»
«È una ragazza povera, da quello che ho potuto capire deve essere una cameriera, il signor Davide l'ha portata qui due volte, cosa strana...»
«Perché dici questo?»
«Perché il signor Campana non ha mai portato qui la stessa ragazza due volte. Questa è la prima giovane. Figuratevi signora Spadieri, che la prima volta il signor Campana ordinò due camere invece di una. Io sono del parere che facciano sul serio»
«Credi che una sguattera insignificante come te, possa dare dei pareri?» esclamò Virginia lanciandole uno sguardo minaccioso, poi allontanatasi, si recò alla portineria e parlò a voce bassa con il giovane dietro al bancone, allungandogli una banconota.
 
***
 
Quel buio che aveva invaso gli occhi di Rebecca si dissolse a poco a poco, quando le immagini si fecero più nitide, la prima cosa che la ragazza vide furono lo sguardo e le labbra sorridenti di Sergio Valli.
«Dove sono...» balbettò con voce impastata.
«Non ti sforzare, sei nel mio ambulatorio»
«A-ambulatorio? - chiese Rebecca allibita - che ci faccio qui? Che cos'è successo?»
«Ti hanno portata Anna e Michele, hanno detto che sei inspiegabilmente svenuta per strada».
Rebecca iniziò a ricordare la scena che l'aveva portata a perdere i sensi, rabbrividì, poi si alzò dal lettino e si rimise la mantella. Sergio osservò tutti i suoi movimenti, e incuriosito chiese: «Dove vai?»
«Devo ritornare al circolo, devo vedere una persona»
«Rebecca, ti consiglio di ritornare a casa, hai qualche linea di febbre»
«Lo farò dopo aver parlato con quella persona. Grazie di tutto Sergio» detto questo uscì dall'ambulatorio lasciando il dottore incuriosito.
Quando arrivò di nuovo al circolo, ci pensò a lungo prima di entrare. Quello che voleva veramente era chiedere spiegazioni a Davide. Quella di svenire per strada era stata una reazione alquanto esagerata, in fin dei conti oltre al baciamano non aveva visto, ma soprattutto sentito, null’altro di strano. Voleva comunque avere la certezza che le sue paure fossero infondate. Sospirò, spinse la porta, entrò e si guardò intorno sperando che i suoi occhi avrebbero incrociati quelli grigio-azzurro del ragazzo. Ciò che riuscì a vedere fu il giovane portinaio che le faceva segno di avvicinarsi.
I suoi passi, anche se brevi, parvero interminabili, trascinati da uno sforzo sovrumano. Sentiva ancora la testa indolenzita e i sintomi della febbre farsi più vividi. Provò a proferir parola, non appena fu davanti al ragazzo, ma questo la precedé porgendole una lettera.
Rebecca non disse nulla e, con mani tremanti, afferrò il pezzo di carta. La saliva le si pietrificò in gola, sentiva che la paura lottava contro le sue speranze e per un istante non volle leggere. Ma gli occhi agirono autonomi e quando si posarono sul quella scrittura dritta, fredda, e priva di sentimenti, il suo cuore esplose in petto.
 
“Non voglio più vederti. Non cercarmi più.
Davide”
 
Un sospiro mozzato da un singhiozzo udì prima che un rimbombo le catturasse l’udito. Alzò lo sguardo verso il ragazzo che a sua volta la fissava apatico.
«Scusatemi, ma io... devo incontrarlo» disse la ragazza con voce soffocata dal pianto.
«Mi dispiace signorina – intervenne il giovane - ma il signor Davide ha espressamente ordinato di non farvi mettere piede qui dentro, soprattutto se cercate lui». Rebecca sentì quella frase trapassargli il cuore come una lama di un tagliente pugnale. Per un attimo si accorse di non respirare, per un attimo immaginò i dolci occhi di Davide fissarla e sorriderle, ma tramutarsi ben presto in gelido sguardo e accanto a lui vide quella giovane donna avvinghiarsi al suo braccio e portarlo via. Le due frasi scritte su quel foglio le sentì uscire dalle immaginarie labbra del giovane. Sentì brividi di freddo percorrerle tutto il corpo, non percepì più niente, vide soltanto immagini confuse passare nei suoi occhi, poi sentendo il suo corpo tremare, si accorse che era stata buttata fuori dall'albergo. Si guardò intorno smarrita e pianse senza accorgersene.
A lei si fece avanti Anna che la guardò preoccupata, le poggiò una mano sulla spalla e le chiese: «Rebecca, cosa ci fai qui? Ti avevamo lasciata dal dottor Valli, cosa è successo, perché stai piangendo?»
«Po-portami via da qui, Anna» balbettò la cuoca con la voce soffocata dal pianto.
«Ma cosa ti sta succedendo?» chiese ancora l’amica.
«Ti prego!» esclamò la ragazza con supplica. Anna tacque, l’appoggiò a sé, e l'accompagnò al carro. Ritornate a casa, la portò in camera sua senza farsi vedere da nessuno. Come furono entrate nella stanza, Rebecca rimase ferma a fissare il vuoto, Anna non parlava, non aveva il coraggio di chiederle altro, rimase solo a guardarla cercando di intuire i suoi sentimenti.
Rebecca non fece caso a lei, era immersa nei suoi pensieri, e non riusciva a dimenticare l'accaduto. A un tratto sentì che l'ansia si stava facendo più intensa, il respiro più profondo e un forte dolore allo stomaco la costrinse a vomitare.
«Rebecca!» esclamò Anna avvicinandosi a lei preocupata, ma la cuoca la fermò con un gesto della mano, rimanendo curva sul lavabo. «Rebecca ma che cos'hai? Ti prego dimmelo, mi stai facendo venire l’ansia!»
«Non preoccuparti, non è niente» rispose Rebecca sforzandosi di parlare, poi si alzò e preso un asciugamano si asciugò la bocca.
«Ma come non è niente? - continuò l'amica - Prima svieni, poi piangi disperatamente, ora dai di stomaco, che cosa...»
«Ho detto che non è niente! - la interruppe Rebecca bruscamente – Va’ in cucina, avranno bisogno di una mano, io ti raggiungerò presto».
Anna non parlò più, abbassò la testa e voltatasi si recò alla porta, prima di uscire diede un ultima occhiata all'amica poi se ne andò.
Rimasta sola, Rebecca poté sentire il suo respiro dominare il silenzio, si guardò intorno ancora una volta smarrita e, sentendosi la testa rimbombare da quelle crudeli parole, portò la mano alle tempie stringendole e ripetendo «Basta!» poi d'istinto e piena di rabbia diede un colpo al lavabo e lo buttò per terra rompendolo. Cadde in ginocchio sconfitta dal pianto e poggiata la testa sul letto diede sfogo a tutta la sua rabbia e tristezza.
 
***
 
Erano ormai passati giorni da quel tragico lunedì che aveva portato Davide e la madre a non rivolgersi più la parola. Clara rimaneva la maggior parte del tempo nella sua camera. Angelica e Mattia, si erano accorti di quella situazione e ogni giorno che passava si chiedevano: perché la loro mamma si era fatta triste e il loro amato fratello era sempre serio e silenzioso? Si accorsero anche che Gabriele Acquaviva non li andava più a trovare. Ormai in quella casa si respirava un’aria pesante e i due fratelli non riuscivano a capirne il motivo.
Quella domenica arrivò in fretta portando con se una mattina più fredda del solito. Dopo essersi alzato da dormire, Mattia si precipitò giù in soggiorno per la colazione, sperando in cuor suo di trovare tutta la famiglia riunita come ai vecchi tempi, ma non fu così. Il posto che occupava sua madre era vuoto, e il bambino si rattristò. Senza salutare, si recò al suo posto e si sedette con la testa abbassata, aspettando che la cameriera gli servisse la colazione.
Davide si accorse dell’atteggiamento del fratello, e prima di sorseggiare il suo caffè disse con voce autoritaria.
«Non ho sentito il tuo saluto, Mattia», ma il bimbo non rispose, e rimase con la testa abbassata. «Che cos’hai?» chiese allora il fratello bonariamente.
«Perché la mamma non esce più dalla sua camera?»
«Perché non sta bene» rispose Davide ostentando una certa indifferenza.
«E durerà ancora molto la sua malattia?» domandò ancora il bambino. Davide non rispose, e a quel silenzio intervenne Angelica.
«La mamma non scende perché avete litigato, vero?»
«Non sono affari che ti riguardano, Angelica» rispose severamente suo fratello.
«È così! E tu per qualche strano motivo, vuoi nasconderci il perché!» esclamò la ragazzina.
«Smettila Angelica, continua la tua colazione in silenzio!»
«E’ sempre così in questa casa! - strillò Angelica interrompendo il fratello - siamo stanchi dei vostri segreti!»
«Adesso basta!» urlò Davide, scoccandole un occhiata minacciosa che fece trasalire i due bambini e piangere Angelica «Fila in camera tua e non uscire fino a quando non te lo dirò io!».
Angelica si alzò piangendo e recatasi alla porta, si voltò verso il fratello gridando «Tu non sei nostro padre! Sei cattivo!» poi uscì sbattendo la porta. Davide era furioso, ebbe uno scatto d’ira e sbatté la tazzina del caffè sul piattino provocando un rumore fastidioso, sbuffò portando la mano alla bocca per poi passarla sugli occhi massaggiandoseli.
«Non farai più pace con la mamma?» chiese Mattia con un sibilo. Davide allontanò la mano dagli occhi e guardò suo fratello che aveva la testa abbassata e piangeva, si alzò e si avvicinò a lui, gli accarezzò il capo e lo rassicurò dicendo «Non ti preoccupare».
Mattia, senza alzare la testa, abbracciò il fratello e continuando a piangere gli sussurrò in un orecchio «Io so che tu non sei cattivo. Sei meglio tu di papà.»
A quelle parole Davide lo strinse forte a sé, e una lacrima gli scivolò dalla guancia.
 
***
 
Gli zoccoli del frisone scalpitavano sul terriccio lasciando orme calcate. Davide Campana stringeva in pugno le redini e ondeggiando in sincronia coi movimenti del destriero, guardava davanti a sé permettendo al vento gelido di sferzargli il volto. La mattina non era cominciata come lui sperava. Benché era quasi una settimana che nella sua casa regnava quell’aria pesante, fatta di silenzi che celavano tristezza, dolore e rabbia, non aveva ancora fatta l’abitudine.
Il pensiero di andare all’appuntamento con Rebecca era la sua unica via di fuga. Non erano riusciti a incontrarsi il giovedì e con tutto il suo cuore aveva atteso quella domenica. Aveva bisogno di allontanare i suoi problemi famigliari ed era convinto che solamente Rebecca potesse riuscire nel suo intento.
Quando giunse davanti alla fermata della corriera, tirò le redini per fermare il cavallo. Scese e si guardò intorno con la speranza di scorgere la figura della sua amata.
All’arrivo della prima corriera, la sua speranza vacillò. Rebecca non c’era, non giunse da nessun’altra via e soltanto verso il primo pomeriggio decise di ritornarsene a casa sua, poiché aveva aspettato invano. Un guizzo di collera lo pervase a quel punto. Perché non si erano detti nient’altro della loro vita? Avevano giaciuto insieme, perché non le aveva chiesto dove abitasse, o dove lavorasse e lui perché non le aveva raccontato nulla di sé. In quel momento si rese conto che non si erano nemmeno detti i loro cognomi. A quell’ora, lui avrebbe saputo dove trovarla. Come poteva essere stato così accecato dalla passione? Dopo l’esperienza con Virginia, aveva imparato ad usare la logica e non permettere ad altri sentimenti di scalfirlo, ma era bastata quella ragazza per far crollare la sua fortezza. Davide si sentì frustrato, ma a un tratto decise di recarsi al circolo e chiedere al portinaio se almeno il suo biglietto fosse giunto nelle sue mani. Quel giovedì le aveva lasciato un messaggio dove la informava che l’avrebbe aspettata la domenica mattina alla fermata della corriera.
Il portinaio, non appena lo vide, perse la sua aria apatica e con voce indecisa, rispose: «Certo, signore. La ragazza ha preso il suo biglietto lo stesso giorno che lo scriveste, ma… ecco… me ne ha consegnato un altro.»
«Bene.» rispose Davide con tono sollevato «Potresti darmelo, allora.», e allungò la mano verso di lui.
Il portinaio guardò il palmo deglutendo a fatica, poi come se tirato da fili di un marionettista estrasse la lettera dalla tasca e preso da tremolii la consegnò a Campana.
Davide non fece caso a quegli strani comportamenti, afferrò il pezzo di carta sgualcito e lo lesse.
 
“Scordarti che esisto. Non cercarmi più”
 
Per un istante le mani del giovane tremarono.
Gli occhi grigio azzurri puntarono come frecce al bersaglio quelle scritte e dalle sue labbra serrate si udì il suono dei denti digrignati.
Le narici si aprirono per resistere al respiro pungente a causa di quelle lacrime di delusione, di dolore.
Davide strinse in mano il foglietto e senza aggiungere altro uscì dall’albergo. Si ritrovò sotto la pioggia, con lo sguardo rivolto verso la fontana della piazza, dove una notte non lontana aveva ripreso ad amare e dove in quello stesso momento aveva capito di essersi illuso e di essere stato uno sciocco.
Scordati che esisto. Ricordò e con un sibilo di voce disse: «Sarà facile scordarti. Non esisti, l’amore…non esiste»
Sapeva, però, di sbagliarsi.


NDA: Buonaserata a tutti/e. Scusatemi per il ritardo, ma sono ancora preda del blocco dello scrittore e per buttar giù questo capitolo è stata un'impresa. Spero comunque che la storia vi stia piacendo, mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima!

 

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