Dal passato

di EleWar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un figlio ***
Capitolo 2: *** Chi sei? ***
Capitolo 3: *** Insieme ***
Capitolo 4: *** Riportamelo a casa ***
Capitolo 5: *** Una casa, una famiglia ***
Capitolo 6: *** Confessioni notturne ***
Capitolo 7: *** Un momento tutto per noi ***
Capitolo 8: *** Verso Shizuoka ***
Capitolo 9: *** Io sono Akiko Munemori ***
Capitolo 10: *** Un amore segreto ***
Capitolo 11: *** Diventare grandi ***
Capitolo 12: *** Figli e padri ***
Capitolo 13: *** Cambiamenti ***



Capitolo 1
*** Un figlio ***


…E finalmente venne alla luce del web questa mia long. Ma, come sempre, prima di iniziare a postare, le fic le finisco e quindi… eccoci qua. Al solito spero che vi piaccia e vi ringrazio fin da ora per la fiducia che mi accordate. Buona lettura, vi aspetto per le rec…ah dimenticavo! Un grazie doveroso a chi legge in silenzioso, perché ovvio non siete obbligati a recensire e se leggete e basta mi fate felice lo stesso <3


CAP. 1 Un figlio
 
Kaori si girò su un fianco, allungò una mano e sentì che accanto a lei mancava qualcuno. Sospirò.

Poi si accorse di essere osservata: lentamente aprì gli occhi e mise a fuoco la figura che, rannicchiata, la stava fissando.

“Hai intenzione di passare lì tutta la notte? Perché non vieni a letto con me?”

“Non riesco a dormire… e di solito guardarti mentre dormi mi rilassa, mi calma. Ma stavolta non funziona”.

“Vuoi parlarne?”

L’uomo seduto per terra, con le spalle al muro, si mosse appena, ed entrò nel tenue fascio di luce che filtrava dalla finestra. Il suo viso era teso ed emaciato, sembrava che qualcosa lo tormentasse: i suoi occhi neri erano un tutt’uno con la notte, che avanzava lenta fuori da quella stanza.

La ragazza si tirò su, appoggiandosi ad un braccio; non ebbe bisogno di accendere la lampada per vedere il viso del suo uomo nella penombra. Con la mano gli fece segno di avanzare, battendo leggermente sul letto, come a intendere “vieni qui”. Gli disse:

“Dai, forza, o prenderai freddo” la voce della donna era dolce e traboccava amore. A lui si strinse il cuore: lei inconsapevolmente gli rendeva tutto più difficile. Però, allo stesso tempo, aveva un disperato bisogno di lei, non poteva più farne a meno; trattenne a stento un singulto.

Attraverso il buio poteva sentire gli occhi della sua compagna scrutarlo: erano occhi benevoli che quando si posavano su di lui, gli regalavano sempre comprensione, stima, amore, e anche quando sprizzavano rabbia e risentimento, nel profondo lui poteva scorgervi sempre il buono che era in lei. Kaori non era capace di odiare. E lui, che l’amava, era convinto che le stesse dando l’ennesimo dispiacere, e si malediceva per questo. E lei, ancora una volta, era lì, pronta ad accoglierlo fra le sue braccia, a prendersi cura di lui.

Mai prima d’ora si era sentito così totalmente sperso, nemmeno quando, bambino, si era ritrovato a vagare da solo nella giungla, dopo l’incidente aereo in cui aveva perso i suoi genitori. Eppure, la sua salvezza era lì, letteralmente ad un passo da lui, in quello che era diventato da poco il loro letto; solo la donna che viveva accanto a lui da quasi dieci anni, e che lo amava senza riserve, avrebbe potuto aiutarlo e alleviare le pene che affliggevano il suo cuore.

Combattuto e confuso, in preda a sentimenti contrastanti, si decise a raggiungerla. Si spogliò lentamente e s’infilò sotto le coperte con la stessa sensazione di quando si torna a casa dopo un lungo viaggio. Lei lo attirò a sé e lo abbracciò senza dire una parola. Lui sospirò affranto.

Quella era un’altra prova che dovevano superare, e come sempre lo avrebbero fatto insieme.

Kaori aspettò che lui si decidesse a parlare, mentre, impercettibilmente, lo cullava come fosse una mamma che consoli il suo bambino terrorizzato da un brutto sogno.

Ryo, che aveva affondato il viso nel suo collo, alzò finalmente il viso a guardarla e le sussurrò:

“Sugar, mi dispiace” con un tono di voce così carico di dolore che Kaori si sentì morire.

Anche lei stava soffrendo, certo, ma evidentemente non era niente in confronto a quello che stava passando il suo uomo, e l’intensità del suo sentimento la esaltò e spaventò allo stesso tempo, perché intuiva che gran parte di quel dispiacere fosse dovuto alla convinzione di starle facendo un torto, l’ennesimo, e proprio ora. In maniera assurda e contorta, Kaori constatava quanto lui l’amasse e tenesse a lei.

“Non devi dire così, non è colpa tua…” gli rispose lei, accarezzandogli i capelli.

“Kaori, ho sempre pensato che se mai avessi avuto un figlio, è con te che l’avrei fatto… Sei tu la mia famiglia. Lo sei sempre stata… Ma ora… ” non finì la frase.

“Ryo, non è cambiato proprio niente fra noi; io sono ancora la tua famiglia, sono la tua donna ormai, e a meno che tu non voglia lasciarmi, se vorrai un figlio da me, be’, potremmo sempre provarci lo stesso un giorno… Non sai che felicità mi stai dando, dicendomi queste cose”.

“Oh Kaori, ma come fai a non capire? È cambiato tutto, invece!”

“Ryo, ascolta…”

“No, fammi finire, ti prego. Ho aspettato tanto a dimostrarti i miei sentimenti, a dirti che ti amo più di me stesso; stiamo insieme da quando? Un mese? Il mese più bello della mia vita, ed ora arriva… arriva quello a rovinare tutto! Io non voglio un altro figlio! Non voglio lui!

A Kaori parve che una mano le stritolasse il cuore. Se da un lato era al settimo cielo, scoprendo la potenza del suo amore per lei, dall’altro lato doveva ammettere che, quel figlio ritrovato, poteva in qualche modo diventare una spina nel fianco nella loro storia d’amore appena cominciata. Era un peso a cui si sarebbe dovuta abituare, una realtà da accettare. Però più di tutto era turbata dallo spettro di quell’altra donna, la madre di quel ragazzino, che avrebbe potuto portarglielo via definitivamente, fosse anche solo per il senso di responsabilità che legava Ryo ad essa, e a suo figlio in particolare. Quella paternità inattesa cambiava di nuovo le carte in tavola. Kaori inghiottì quel nodo che le si era formato in gola; niente era facile per loro, mai. Ancora una volta avrebbe dovuto essere forte, per lei, e per entrambi. Invece, al contrario, avrebbe tanto voluto egoisticamente gridare che non era giusto, che quella era la sua storia d’amore, che era finalmente arrivato il suo momento di essere felice, che non c’era posto per gli altri, ma la sua bontà e la sua onestà non glielo avrebbero mai consentito; come sempre, del resto. Se quel Ryoichi era veramente il figlio di Ryo, la sweeper non avrebbe permesso che crescesse da solo, orfano di padre, anche se era il frutto dell’amore per un’altra donna. Ambedue sapevano molto bene cosa volesse dire essere orfani, e Ryo non poteva di certo tirarsi indietro.

Prima che il silenzio rivelasse più di quello che voleva far trasparire dal suo cuore, Kaori, con quanto più amore avesse dentro, gli sussurrò:

“Amore mio, nulla potrà cambiare il fatto che io ti amo, neanche la possibilità che… che tu sia il padre di un ragazzo avuto… da un’altra donna…”

“Non dirlo nemmeno!” l’interruppe lui, agitandosi a disagio; poi riprese più sommessamente:

“Non siamo sicuri che sia mio davvero, dobbiamo ancora scoprire cosa c’è sotto.”

“Ma Ryo, perché dici così? Che motivo avrebbe lui di mentire? E poi… ” e qui la ragazza fece una pausa, aspettando che l’ondata di tristezza e gelosia che l’aveva appena assalita, le passasse; riprese:

“Ryo, l’hai detto tu stesso che hai avuto un sacco di donne, perché… perché non potrebbe essere?”

“No, no e poi no! Me lo sentirei! E poi… ci sono stato sempre attento. Sarò anche stato un grande amatore, ma non un imprudente, io!” disse con veemenza. Poi si fece improvvisamente più titubante e aggiunse:

“E comunque… non ho avuto tutte quelle donne che ti ho fatto sempre credere… ci ho provato con tante quello sì, ma concluso…”

Kaori non riusciva a capire se con quell’ammissione lui cercasse di non farla soffrire, minimizzando il numero delle sue amanti, o se lui fosse realmente sincero. Decise che non le interessava scoprirlo, nonostante il tarlo del dubbio e della gelosia, provasse in tutti i modi a darle fastidio. Avevano cose più importanti da discutere.

“Ma Ryo, non vedi come ti somiglia? Siete due gocce d’acqua! Anche certi atteggiamenti sono uguali… a differenza tua però, con me ci ha provato fin da subito” ridacchiò infine, anche per allentare la tensione.

“Ah sì? Bene, allora vado subito di sotto a dirgliene quattro, a quello sconsiderato! Figlio o non figlio, non può insidiare la mia donna, e farla franca!” rispose lui, sforzandosi di scherzare, e accettando quel velato invito a stemperare i toni.

Lei ribatté:

“Tranquillo! So ancora piazzare delle belle trappole anti-visita notturna. Infatti, visto che mi hai lasciato sola, ho dovuto provvedere da me alla mia incolumità, e sono ricorsa ai vecchi metodi, che con te funzionavano sempre. Dopo i primi kompeiti e le prime esplosioni, ha lasciato perdere. Ora riposa beato, e rassegnato, nella camera degli ospiti”.

“La mia ragazzaccia!” rispose lui un secondo prima di baciarla, il primo bacio della serata.

Poi tornati seri, la ragazza disse:

“A parte gli scherzi, Ryo, dobbiamo accettare il caso e scoprire perché ti sta cercando. Che mi dici di sua madre? Te la ricordi?” chiese infine lei, cercando di ignorare quel sottile dolore, che la pungolava già dalla mattina.

“No, non me la ricordo, ecco perché dico che non può essere mio figlio. Io ricordo sempre una donna, soprattutto se…  e il suo nome comunque non mi dice niente, assolutamente niente, figurarsi farci un figlio!”

“Ma… magari è stata l’avventura di una notte!” le costava tantissimo dirlo, ma se non parlavano chiaro ora, una volta per tutte, non ne sarebbero più usciti.

“Ti ripeto che non sono io il padre, e che questa tipa non la conosco! Devi credermi, ti prego!” concluse in tono accorato.

“E va bene” finì per concedere la ragazza “e non ti obbligherò nemmeno a fare il test del DNA, se tu non vuoi, però promettimi che ci occuperemo del caso, e che faremo il possibile per scoprirne di più su questo Ryoichi Munemori e su sua madre Akiko”.

“E  va bene, tesoro!” sospirò lo sweeper.

“Bravo bambino!” lo canzonò lei ridendo, prima di stringerlo più forte, e baciarlo per tutto il viso; poi, fra un bacio e l’altro prese a dirgli:

“Ah… dimenticavo… il ragazzo… ovvio… starà in casa da noi… E dai! Non fare quella faccia!” E smise di baciarlo all’improvviso, poi guardandolo severamente proseguì:

“Non pretenderai che lo mandiamo in giro, così senza un tetto sulla testa? Si può dire che è scappato di casa per cercarti, è pur sempre poco più di un bambino!”

Ryo protestò mugugnando:

“Ok, ok, tu e la tua grande generosità…”

“Ma sentilo! Ah, un’altra cosa: quando oggi al Cat’s eye non ti sei presentato, e anzi te ne sei andato via senza salutare…” e gli tirò un orecchio.

“Ahia! Mi fai male!”

“Dicevo…” riprese lei “sono stata costretta a dirgli che… che sei mio fratello”.

“Che cosa????”

“Shhhh! Non urlare o ti sentirà!” lo redarguì la ragazza, poi riprese: “… quindi per il tempo della sua permanenza qui, lui dormirà nella stanza degli ospiti e tu… con lui” poi, posandogli un dito sulle labbra a prevenire le sue proteste, “Non possiamo certo farci vedere dormire insieme noi due!!”

“Quindi, mi vorresti dire che mi stai sfrattando dal mio stesso letto?” piagnucolò, “Che non potrò dormire con la mia innamorata nemmeno una notte?”

“Esattamente Mr. Makimura! Ah, il nome puoi mantenerlo se vuoi, ma il cognome… sarà il mio! ” gli disse lei strizzandogli l’occhio.

“Ma sei crudele!! Il povero Ryuccio costretto a dormire con una simil-replica di sé stesso, invece che con la sua dea dell’amoreeeeee! ” continuò a piagnucolare.

“E dai! Non fare l’idiota! Nemmeno a me fa piacere questa sistemazione… però… potresti sgattaiolare da me appena il bel pupo si addormenta, e ritornare a dormire da lui prima che si svegli” suggerì maliziosa.

“Ah, socia, questa proposta mi piace proprio!” e si sciolse sulle sue labbra, regalandole un bacio appassionato e dolcissimo; dopo un poco però, guardandola con fare sornione le disse:

“Hai ritirato fuori uno dei tuoi pigiamoni, vedo. Ne sentivo quasi la mancanza” commentò sarcasticamente.

“E certo! Se mi lasci andare a dormire da sola, poi sento freddo e devo coprirmi. Che ti aspettavi? Di trovarmi qui, discinta e pronta per te? Sei sparito dalla circolazione ore fa, e non ti sei fatto più sentire né vedere… non ti meriti troppe attenzioni”.

“Hai ragione tesoro, devo proprio farmi perdonare” rispose, riprendendo possesso delle sue labbra e iniziando a vagare con le mani sotto la casacca del pigiama.

La ragazza ridacchiò divertita, allora lui le soffiò all’orecchio:

“Non puoi lontanamente immaginare quanto ti trovi sexy con questi cosi addosso”.

“Ma smettilaaaa!” rispose sempre ridendo lei.

“Comunque, mi piaci di più senza…”

“Be’ a questo possiamo rimediare subito!” disse allegramente lei, e si sfilò velocemente casacca e pantaloni, aiutata da lui, in un groviglio di indumenti e lenzuola. Poi le risate cedettero il posto ai sospiri e ai gemiti, e per il resto della nottata non si parlò più, ma si giocò all’amore.

 
Quando parecchie ore dopo, sazi d’amore e appagati, si addormentarono, uno nelle braccia dell’altra, pensieri inconfessabili attraversarono per un attimo le loro menti:

Quello non è mio figlio, e lo proverò”.

Ryo ha un figlio da un’altra”.

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Capitolo 2
*** Chi sei? ***


Ed il cap. 2 è servito! Ryo ha un figlio? da un’altra poi??? Che storia! E adesso come la mettiamo? Spero che avrete la pazienza di leggere e scoprirlo. Intanto ringrazio Valenicolefede, Briz65, prue halliwell, mrsdarcyfan, MaryFangirl, Fanny Jumping Sparrow, Kaory06081987, Stellafanel87, 24giu e tutti quelli che hanno letto, o sono passati di qua ^_^ vi lovvo <3



CAP. 2 Chi sei?


All’alba Kaori si svegliò e volse lo sguardo al suo uomo che, finalmente, riposava tranquillo, sul suo seno.

Allungò una mano ad accarezzargli i capelli, cercando di rassicurarlo ancora una volta, senza svegliarlo.

Si era agitato parecchio nel sonno, durante le ore precedenti, disturbato dal pensiero ossessivo di quel figlio ritrovato. E lei lo capiva perfettamente.

Anch’essa aveva dormito poco e male, e ripensò a come era iniziata quella storia che rischiava di rovinare la loro felicità appena conquistata e così tanto sofferta.

La mattina del giorno prima si era recata come sempre alla lavagna, per controllare se ci fosse qualche messaggio per City Hunter; un po’ a malincuore si era alzata dal letto che ora divideva con Ryo, gli aveva posato dolcemente un bacio sulla fronte, scostandogli appena i capelli scomposti e gli aveva sussurrato:

“Ci vediamo dopo”

E lui aveva mugugnato:

“Torna presto” sorridendo ad occhi chiusi e stiracchiandosi.

Era così bello quando era rilassato e felice come in quel momento, che aveva provato un’ondata d’amore invaderle il cuore.

La consapevolezza che lui l’amasse veramente e si fosse deciso ad esternare i suoi sentimenti, la faceva sentire leggera e appagata. Ora aveva tutto quello che più desiderava dalla vita.

 
Si era diretta alla stazione quasi saltellando, piena di gioia e in armonia con il mondo; dispensava sorrisi a tutti quelli che incontrava e molto di più delle altre volte; si fermava a parlare con chi conosceva, con i reietti della città che popolavano il suo mondo, e aveva un moto di generosità e dolcezza per ognuno di loro.

Da sempre era considerata la parte migliore di City Hunter, e se Ryo era quello da temere e a cui ricorrere per risolvere i casi più disperati, usando la violenza se era il caso, a Kaori si avvicinavano anche solo per ricevere una buona parola, un consiglio, o per sfogarsi un po’, e lei ascoltava e consolava tutti, trovava sempre il modo per aiutare gli altri.

Quindi incontrarla così serena per strada, piuttosto che in preda alle sue epiche crisi di rabbia e gelosia, era il segno evidente che finalmente i due soci avevano deposto le armi, in quell’eterna battaglia di amore non corrisposto, ed avevano deciso di arrendersi all’evidenza che erano fatti l’uno per l’altra.

E se Ryo, per tanto, troppo tempo, aveva temuto che cedere ai sentimenti avrebbe indebolito la sua forza e messo ulteriormente in pericolo la sua amata, alla fine aveva dovuto ricredersi, perché la loro sintonia si era affinata ed ora erano in tutto e per tutto una mente e un’anima sola. Di più, la notizia che i due erano diventati anche una coppia nella vita, aveva messo sul chi vive i vari criminali perché, ora più che mai sapevano che se avessero messo i bastoni fra le ruote ai due, o danneggiato la sua donna, Ryo sarebbe stato implacabile e non ci sarebbe stato scampo per nessuno.

Seppur fossero passati anni, ormai, dall’ultima volta, era ancora vivo il ricordo dell’Angelo della Morte e nessuno, che non fosse così pazzo o sconsiderato, avrebbe provato a nuocere alla coppia di sweeper. Certo, purtroppo i criminali avrebbero sempre continuato a fare i loro loschi affari, ma si guardavano bene dall’incrociare la strada del fatidico duo.

Per contro, gli abitanti del quartiere, soprattutto quelli che vivevano nell’ombra o ai margini della caotica vita cittadina, si sentivano maggiormente protetti e, di riflesso, beneficiavano della felicità dei due.

Quella, per Kaori, sembrava la solita giornata, una come tante, da poco più di un mese a quella parte. Sveglia, doccia veloce, preparare la colazione per Ryo e passare in stazione a controllare la lavagna, eventualmente andare da Miki. Di diverso c’era solo, si fa per dire, che tutte le mattine si svegliava fra le braccia del suo compagno, dopo aver passato una dolce notte a fare l’amore con lui, e che quando rientrava in casa e andava a svegliarlo, magari tornavano a farsi le coccole, passavano molto più tempo insieme e di sicuro in modo diverso; erano più complici e la vita aveva davvero preso un’altra direzione.

Quando giunse alla stazione di Shinjuku, la ragazza vide subito le inequivocabili lettere dell’alfabeto occidentale XYZ, tracciate col gessetto sulla lavagna; sussultò sorpresa e contenta: ci voleva un po’ di lavoro per rimpinguare le loro finanze sempre in sofferenza, anche se Ryo non usciva più come un tempo, e non scialacquava i risparmi messi insieme così caparbiamente dalla socia.

Avvicinandosi lesse anche il messaggio completo: “Vediamoci oggi a mezzogiorno al Cat’s eye.” con la data odierna e la firma Akiko Munemori.

La prima cosa strana che notò fu il luogo dell’appuntamento; forse era un caso, si disse, ma chi poteva sapere che City Hunter solitamente si riuniva proprio lì in quel bar di amici? Però, magari, così come avevano trovato il loro nome per vie traverse, avevano anche scoperto i luoghi che i due sweepers frequentavano. Poco male, pensò la ragazza; anzi, con Miki e Falcon come guardia spalle, sarebbero stati decisamente più al sicuro.

L’altra cosa che notò fu che, anche stavolta, si trattava di una donna.

Per attimo si sentì punta dalla gelosia, ma cercò di scacciarla subito e di pensare che quello sarebbe stato solo lavoro.

Nella sua carriera, come assistente prima, e collega poi, del grande Ryo Saeba, aveva dovuto abituarsi a lavorare solo per clienti donne, possibilmente bellissime, e continuamente insidiate dal suo socio in perenne fregola. E aveva dovuto anche ingegnarsi in mille modi - e non solo scagliandogli dietro martelloni e kompeiti quindi - per tenerlo a bada nei suoi slanci da perverso, sia perché non si comportasse da maiale maniaco qual era, mandando all’aria l’ingaggio, sia perché era talmente gelosa e possessiva di Ryo che proprio non poteva nemmeno lontanamente immaginare una qualsiasi storia fra lui e una di loro.

Malgrado tutto, le clienti alla fine cadevano innamorate, lo stesso, di quell’uomo bellissimo, quando finalmente lui si decideva ad essere serio e professionale, e si calava nel ruolo di giustiziere senza macchia e senza paura.

L’immagine dell’eroe invincibile e dal cuore puro vinceva su tutto, anche sulle avances pesanti e i tentativi di abbordaggio selvaggio.

E nonostante si venissero a creare le premesse per l’instaurarsi di una relazione seria fra i due, nessuna di quelle storie d’amore era mai decollata; e per una cosa o per l’altra, Ryo tornava sempre da lei, e non mollava tutto per stare con la bellona di turno. Vi era andato forse vicino con la principessa Yuki, che l’aveva colpito più delle altre, ma alla fine proprio lui l’aveva riportata all’ambasciata di Arinamia, costringendola ad accettare il suo destino.

In ogni caso, sempre Kaori aveva sofferto, e aveva temuto ogni santa volta che lui potesse abbandonarla per un’altra, più bella, più affascinante, più in gamba di lei.

Avevano chiesto il loro aiuto cantanti, attrici, modelle, presentatrici, piloti di Cessna, fotografe, veterinarie e tante altre, e Ryo ogni volta aveva perso la testa per la cliente in difficoltà.

Ma quando lui si era finalmente deciso a confessarle il suo amore, era stato come un aprire gli occhi all’improvviso; tante cose erano andate al loro posto: quelle mezze ammissioni che lui le aveva fatto nel tempo, quelle verità incomplete, quelle frasi strane, quasi incomprensibili, tutti i suoi silenzi che ora urlavano quanto lui l’avesse sempre amata, anche se in maniera dolorosa e contorta. Tutto tornava.

Lui aveva giocato a fare il gran seduttore, il maniaco, ma era solo l’ennesima maschera che aveva indossato, perché non voleva veramente stare con nessun’altra che non fosse lei. E il suo era stato un assurdo teatrino, montato ad arte, per distrarla e per non farle capire quanto invece si sentisse attratto da lei e quanto la desiderasse.

Le parole accorate che Ryo le aveva rivolto quel giorno, erano riuscite a spazzar via tutto il dolore fin lì sofferto, le umiliazioni e le delusioni, perché finalmente sentiva, con tutta sé stessa, che era lei l’unica donna della sua vita, ed ora non aveva più dubbi.

Ma quella mattina, vuoi per un presentimento o per un riflesso condizionato, quando lesse quel nome femminile, ebbe un moto d’inquietudine. Era anche il primo caso che gli capitava dopo che si erano messi insieme, e questo sarebbe stato il loro banco di prova.

Voleva con tutta sé stessa dare fiducia a Ryo; vedeva che era cambiato, che non faceva più lo stupido come un tempo, nemmeno con la bella Miki, o se lo faceva era solo per ridere un po’ e stuzzicare Umi, però…

Avanti, Kaori” si disse “non fare la stupida, lui ti ama e non devi avere paura”.

 
Persa nei suoi pensieri, si accorse che non mancava tanto all’orario dell’appuntamento e, prima di correre da Miki, si diresse ad un telefono pubblico per avvertire Ryo e farsi raggiungere al locale degli amici. Quella mattina non avrebbe avuto diritto alla sua razione doppia di coccole, e sorrise pensandoci, ma era anche troppo felice di poter indulgere in tali considerazioni, impossibili fino a poco tempo prima; e componendo il numero di casa, già pensava a cosa dirgli, divertita.
 
***
 
 
Seduta al bancone del bar, Kaori discuteva con Miki, e la sua amica le stava dicendo:

“E quindi il nostro Saeba si è deciso…”

Kaori arrossì leggermente e prese a rigirarsi la piccola fedina dell’anulare sinistro.
Era un regalo di Ryo, risalente giusto a pochi giorni prima; era un semplice anello che lo sweeper aveva fatto realizzare con il primo proiettile sparato dalla ragazza. Lui l’aveva recuperato e conservato per tutto quel tempo, ed era stato allora che aveva deciso che, mai e poi mai, Kaori sarebbe diventata un’assassina. Pur avendole consegnato la pistola dell’amato fratello, questa l’aveva manomessa affinché lei non uccidesse mai nessuno intenzionalmente e, nel regalarle l’anello, l’uomo le aveva spiegato cosa rappresentasse per lui quel proiettile; aveva anche aggiunto che:

“Sugar, non hai mai avuto una gran mira, però hai fatto centro nel mio cuore”.

La ragazza a quel punto era scoppiata a ridere, perché le era sembrato che quelle parole fossero state pronunciate con accento fin troppo melodrammatico; lui, lì per lì, aveva messo il broncio, e con aria offesa aveva aggiunto:

“Guarda che sono serio! Ti stai prendendo gioco dei miei sentimenti?”

Ma più parlava e più lei continuava a ridere così, prima di iniziare a farle il solletico, la minacciò:

“Piccola impertinente, ora vedrai cosa ti faccio!”

Ricordava benissimo come era andata a finire, il solletico era stato solo l’inizio, e a quel pensiero avvampò ancora di più. Per poi sentirsi stupida subito dopo, ma ancora non si era abituata a quel loro magnifico, nuovo, menage di coppia. Sospirò.

A Miki, che se ne era accorta, vedendola così assorta e felice si riempì il cuore di gioia, commossa. Era contenta che anche la sua migliore amica avesse trovato finalmente l’amore, come lei con Umi; o meglio, l’amore ce l’aveva sempre avuto lì a portata di mano, sotto il suo stesso tetto, ma era l’altra metà della mela, quello zuccone di Ryo, che non si era mai lasciato andare a quel sentimento per la bella socia. Se ci pensava bene, però, per tutto quel tempo, entrambi erano stati due caproni ottusi, ed ognuno aveva le sue colpe. Ma ora stavano finalmente insieme, ed il resto non aveva importanza. Avevano tutta la vita davanti per recuperare il tempo perso.

Kaori rialzò lo sguardo, per controllare l’orologio da parete che segnava pochi minuti a mezzogiorno. Ryo non era ancora arrivato e quando sentì il campanellino della porta del locale, si voltò entusiasta verso l’entrata, sicura che fosse lui.

Il suo viso s’illuminò di un sorriso radioso, solo al pensiero di vederlo e, infatti, disse:

“Finalmente! Sei arrivato!”

E per un attimo rimase accecata dal sole di mezzogiorno, che impietoso entrava dalla porta e le impediva di vedere chiaramente chi fosse il nuovo avventore.

Quando questi fece il suo ingresso nel locale, Kaori spalancò gli occhi nel vedere, anziché Ryo, un ragazzo sui tredici, quattordici anni, decisamente alto per la sua età, con una folta chioma corvina indisciplinata, e due occhi neri e profondi che si fecero acuti quando si puntarono su di lei.

Fatti pochi passi, non perse tempo a guardarsi intorno, si fiondò sulla bella sweeper, saltandole letteralmente addosso, con gli occhi a cuoricino e ripetendo:

“Ma lei è bellissima! Mi darebbe il suo numero? Vorrebbe uscire con me?”

Kaori rimase giusto un attimo pietrificata da quel comportamento, poi non perse tempo e istintivamente estrasse uno dei suoi martelli che, vista l’età era solo di 5t, e glielo scagliò in testa, tramortendolo.

Miki, che aveva seguito tutta la scena fin dall’inizio, era rimasta basita e guardava ora l’amica, ora il baby-maniaco spiaccicato, con tanto di occhi, incapace di dire niente.
Nemmeno la sweeper aveva spiccicato parola, troppo sconvolta dall’atteggiamento da depravato del ragazzotto, per poter ragionare lucidamente.

Comunque, il malcapitato riemerse ridacchiando dalla massa legnosa, un po’ acciaccato; si spolverò i jeans alla moda, si risistemò la felpa e controllò che lo zaino fosse al suo posto; poi alzando gli occhi verso Kaori, le disse, grattandosi la testa:

“Mi scusi veramente tanto, ma sa, è così bella…” e già i suoi occhi avevano ripreso a brillare, “…che non ho resistito” concluse con un sospiro.

Kaori arrossì come un pomodoro maturo. Non immaginava di poter fare un tale effetto ad un adolescente appena incontrato, e di sicuro non si sentiva così bella e desiderabile tanto da mettere in subbuglio gli ormoni di quel poppante. Però lei era pur sempre sensibile ai complimenti, e quel ragazzino la rimirava con occhi talmente innamorati, che non sapeva se le facesse più tenerezza o piacere che la guardasse in quella maniera.

Nel mentre, Miki si schiarì la voce per attirare l’attenzione; di solito il suo bar non era frequentato da studenti ed adolescenti, visto che il suo gigantesco marito a volte terrorizzava i clienti più impressionabili, inoltre il comportamento del tipino era stato quanto mai incivile e lei era pur sempre la proprietaria. Ma quando il ragazzo si voltò verso di lei, tornò in modalità maniaco e con un balzo felino e improvviso, scavalcò il bancone per raggiungerla, al grido:

“Amoreeeeee!!”

I riflessi della bella ex mercenaria l’avevano già spinta sulla difensiva, nonostante non avesse percepito un reale pericolo in quel rappresentante del sesso maschile in piena tempesta ormonale, ma Umi, che era giusto uscito dal retro in quel momento, prese al volo un vassoio di plastica, vista la tenera età del pargolo, e lo frantumò sul musetto di quella rana volante.

L’adolescente rovinò a terra, e sia Miki che Kaori gli si fecero incontro, preoccupate che la forza di Falcon gli avesse cambiato per sempre i bei connotati.

Lo sollevarono di peso e lo fecero distendere sul primo divanetto a disposizione. Miki si voltò a guardare suo marito e gli disse:

“Tesoro, c’era proprio bisogno di usare tutta quella potenza? È solo un bambino!”

Falcon grugnì e arrossì fino alla sommità della capoccia, dove iniziò a fumare come una ciminiera: non si era ancora abituato a sentirsi dare del tesoro da sua moglie, e per giunta in pubblico. Sparì nel retro per poi ricomparire poco dopo con una borsa del ghiaccio.

Nel frattempo il ragazzino, curato amorevolmente dalle due donne, si stava lentamente riprendendo e, appena riaprì gli occhi, si trovò su di sé i loro visi preoccupati e bellissimi. La sua faccia assunse un’aria ebete e beata allo stesso tempo e Kaori preoccupata disse:

“Oddio! Mi sa che abbiamo esagerato! Guardalo, Miki, che faccia che ha!”

“Eppure mi ricorda qualc…”

Ma troncò di botto la frase quando si accorse che una mano malandrina stava tastando il suo seno. Abbassò lo sguardo e seguendo il braccio attaccato alla mano, si avvide che era di quel bamboccetto semi-tramortito steso sul divano.

Kaori stava giusto dicendo:

“Tu dici? Perché io ho pensat… ” che s’interruppe all’istante, quando vide una mano solitaria palparle il seno: le era toccata la stessa sorte dell’amica.

Quella piovra umana era impossibile. Le due ragazze si strapparono di dosso con violenza le sue mani indecenti, e gli urlarono contro così forte che i capelli gli si fecero temporaneamente biondi; e tanta fu la potenza di quelle urla, che chiuse gli occhi peggio che se si fosse trovato in mezzo ad una tormenta di neve sull’Everest!

Una buona mezz’oretta dopo, calmatesi un po’ le acque, si ritrovarono tutti e tre seduti ordinatamente ad un tavolino del bar a sorseggiare silenziosamente del tè.

Il ragazzo era tornato l’avvenente adolescente di prima, quasi timido in compagnia di adulti, che mal celava l’impazienza tipica della sua età. Assorto nei suoi pensieri, sorbiva la bevanda con la mente altrove e i suoi occhi si erano fatti cupi e insondabili. Kaori lo guardava rapita: perché gli ricordava qualcuno? Poi, di colpo, si avvide che Ryo non era ancora arrivato e guardò con una punta di ansietà la porta.

Come richiamato dal suo pensiero, lo sweeper fece il suo ingresso nel locale, bello come sempre, sicuro e spavaldo; lei si sentì invadere da un’ondata d’amore e istintivamente gli sorrise grata e felice. Lui cercò subito con lo sguardo la sua compagna e le restituì il sorriso; degnò Miki di un saluto appena accennato. Si appoggiò mollemente al bancone, dove Umi gli servì un caffè bollente.

Kaori si decise a domandare a quel turbolento adolescente:

“Insomma, si può sapere chi sei?”

“Oh, mi scusi, signorina, mi sono comportato veramente da gran villano” e stavolta sfoderò un sorriso da seduttore. La ragazza pensò fra sé e sé:

Ci mancava anche questa! Ma chi si crede di essere? Se ricomincia come prima, questa volta Ryo lo sbatte fuori a calci nel culo!”

Il ragazzo riprese:

“Io sono Ryoichi Mumemori, e sto cercando City Hunter”

A quell’accenno, Kaori si ricordò all’improvviso che per mezzogiorno aveva un appuntamento con una cliente con quel cognome: una donna, però, di nome Akiko. Stupita, la ragazza lo guardò intensamente: quello sembrava tutto tranne che una donna, anzi! Era proprio un bel ragazzo, e seppur in viso si riconoscessero ancora i tratti fanciulleschi, si vedeva già che uomo sarebbe diventato: mascella squadrata, zigomi pronunciati, fronte larga… Si ritrovò a pensare che se avesse avuto anche lei tredici o quattordici anni, sarebbe finita per prendersi una cotta colossale, per un tipo come lui. Si redarguì mentalmente e, cercando di assumere un tono professionale, replicò:

“Io stavo aspettando una donna: Akiko Munemori. Non mi sembra che sei tu!”

“Ha ragione, sono io che ho scritto il messaggio alla stazione; ho messo il nome di mia madre perché proprio lei mi disse, una volta, che il grande City Hunter tratta solo con le clienti donne, e non volevo che vedendo il mio nome non mi avesse preso sul serio!”

“Ah” fece la sweeper, poi impercettibilmente alzò lo sguardo verso Ryo che, fermo al bancone, seguiva i discorsi in silenzio, bevendo il suo caffè; le fece segno di continuare.

“Se stai cercando City Hunter, ce l’hai qui davanti” disse fiera la ragazza.

“Davvero? Ma-ma… è… lei?” e si coprì il viso con le mani, in preda alla vergogna e iniziò a dire: “Mi scusi, mi scusi, mi scusi tanto… Oddio e adesso come farò? Mi perdoni, ma lei è così bella… Oh, che disastro che ho fatto” e finì per piagnucolare. In fondo era pur sempre un bambino.

Kaori, mossa a compassione, gli si fece vicino e, prendendogli le mani, che lui continuava a premere sugli occhi inondati di lacrime, gliele scostò dolcemente, ma con decisione. Gli disse:

“Su, dai, adesso calmanti. Non è successo niente… sono cose che succedono”.

Lui la guardò con uno sguardo da animaletto abbandonato, e Kaori ebbe un tuffo al cuore. Cosa mai poteva volere, un bambino come lui, dai famigerati City Hunter?

Il ragazzino si perse negli occhi caldi e rassicuranti della sweeper e si sentì invaso dalla sua dolcezza; sorrise e si asciugò le lacrime con la manica della felpa, scesa giù fino a coprire il polso, e tirò su col naso: poteva atteggiarsi a gran seduttore e giocare all’amore ma era pur sempre poco più di un fanciullo.

Incoraggiato dall’atteggiamento materno di Kaori, Ryoichi riprese a parlare:

“Io sono scappato di casa perché voglio ritrovare mio padre. Sono cresciuto con mia madre, Akiko Munemori, e lei non ha mai voluto dirmi il vero nome di mio padre, pur parlandomene sempre bene. Diceva che era un uomo fiero e coraggioso, rispettato e temuto da tutti, che amava la giustizia e le belle donne” e gli scappò un sorrisino malizioso, che subito fece sparire appena sentì su di sé lo sguardo gelido delle due donne.

Riprese:

“Sono venuto su con il mito di mio padre, e più passava il tempo e più facevo domande a mia madre su di lui. Volevo sapere perché non fosse lì con noi, dove fosse adesso, e soprattutto volevo sapere il suo nome. Alla fine, esasperata, lei me l’ha detto e, mettendo insieme tutte le informazioni che negli anni ho raccolto, sono partito alla volta di Tokyo, destinazione quartiere di Shinjuku, con l’idea di ingaggiare City Hunter. Mia madre mi aveva parlato molto di loro, dicendomi che erano due sweeper professionisti che aiutavano la gente in difficoltà, e che una volta vi si era rivolta anche lei. Quando ne parlava le brillavano gli occhi e mi sono convinto che fossero delle persone speciali. Ecco perché li sto cercando: perché di loro ci si può fidare e perché voglio ritrovare mio padre”.

“Allora, caro Ryoichi, hai davanti a te City Hunter in persona! Direi che ci hai appena trovato. Io sono Kaori Makimura e lui è…” iniziò a dire voltandosi verso Ryo, ma il ragazzino l’interruppe al colmo dell’entusiasmo:

“Davvero è lei City Hunter??? Che bello, che bello, che bello! Allora mi aiuterà a ritrovare mio padre? Lui dovrebbe abitare in questo quartiere, e si chiama Ryo Saeba!”
 

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Capitolo 3
*** Insieme ***


Bene, eccovi il 3 cap. Il caso che stanno seguendo i nostri sweepers preferiti, è il più difficile della loro vita, ma c’è solo un modo per risolverlo… come sempre… insieme! Buona lettura!!!
Nel frattempo ringrazio veramente di cuore <3 tutte le lettrici che hanno commentato, quelle che leggono silenziosamente, quelle che per vie traverse mi fanno giungere la loro stima ecc ecc. Sapere che ho scritto una storiella accattivante è una grande soddisfazione per me. GRAZIE all’infinito EleWar




Cap.3 Insieme
 
Il ricordo di quella rivelazione improvvisa e sconvolgente, fece sussultare Kaori violentemente, come quella mattina, tanto che Ryo quasi si svegliò, e le disse:

“Ti prego non mandarmi via!” Ancora addormentato, con un tono di voce che rasentava la disperazione.

Per calmare il suo cuore impazzito, che rischiava di farla soffocare, e per consolare Ryo, lei che avrebbe tanto voluto gridare la sua frustrazione e la sua rabbia, si costrinse a sussurrare:

“Ssshhh, stai tranquillo, ci sono io qui con te” continuando ad accarezzarlo.

Lui si acquietò e finì per mormorare:

“… insieme”.

Già, insieme” commentò fra sé, quasi amaramente, la ragazza.

Però Ryo aveva ragione: ora più che mai i problemi li avrebbero dovuti risolvere insieme. E poi, non poteva fargliene di certo una colpa se spuntava un suo ipotetico figlio dal passato.

Lui era stato… quello che era stato, e lei era la sua donna da poco più di un mese; tecnicamente non l’aveva tradita, e il fatto che lui non accettasse questa paternità che veniva da lontano, e che soffrisse anche per lei, era più di quello che potesse aspettarsi dal suo uomo.

Perfino in questo le dimostrava quanto l’amasse, e si costrinse a tenerne conto, sempre, anche quando la sua fiducia o la sua sicurezza avrebbe vacillato durante i prossimi giorni, e fino a quando non avrebbero risolto il caso.

C’era comunque sempre la speranza che quel ragazzino non fosse veramente il figlio di Ryo, anche a ciò bisognava pensare.

E in ultima analisi, ammesso che Ryo lo riconoscesse come tale, non era detto che la lasciasse per mettersi o rimettersi con la madre di quel figlio; lui poteva essere il padre di Ryoichi e il compagno di Kaori, una cosa non escludeva l’altra.

Un po’ rinfrancata da questa constatazione, iniziò a muoversi lentamente, ma decisa: era ora per lei di alzarsi e Ryo doveva, ahimè, andarsene.

Così facendo finì per svegliarlo e lui, guardandola con occhi assonnati, le chiese:

“È già ora che me ne vada?”

Lo sguardo infantile e tenero che le rivolse, ebbe il potere di stringerle il cuore e, per un attimo, pensò a come sarebbe stato avere un bambino da Ryo e se questo gli sarebbe assomigliato; se avrebbe avuto quell’espressione imbronciata e dolce, come lui in quel momento.

Forse anche Ryoichi era stato così un tempo, quando era più piccolo.

Quel pensiero le fece mancare un battito, poi però si ricordò che, giusto qualche ora prima, il suo compagno le aveva confessato che desiderava un figlio proprio da lei e che, se avessero voluto, avrebbero potuto sempre provarci, un giorno.

Finalmente il suo cuore si sciolse in un’ondata d’amore, e prendendogli il viso con entrambe le mani, lo baciò lievemente sulla bocca socchiusa.

Il tocco delle sue labbra ebbe il potere di svegliarlo completamente e, sorridendole, lui le chiese impudentemente:

“È forse, questo, il bacio dell’addio?”

“Dai, non fare l’idiota!” rispose lei sorridendo.

Gli era grata di aver, involontariamente, sdrammatizzato, perché l’angoscia stava rischiando di prendere il sopravvento.

Ryo si mosse e si tirò su a sedere, con le spalle appoggiate alla testiera del letto.

Si guardarono, poi lui le rivolse quel suo sorriso, che sempre la mandava in confusione, e le chiese:

“Allora vado?” ma non si muoveva.

E lei, restituendogli un dolce sorriso accondiscendente:

“Sì, tesoro mio, direi che è ora che torni di sotto. Dai, così magari riesci a dormire un altro po’. Ci aspetta una lunga giornata…”

“Ma io non ho voglia di andare a dormire nella camera degli ospiti insieme a … a quello!”

“Su, dai, ora non fare il bambino anche tu! Ne abbiamo già parlato, no?”

“Meglio, vado a dormire sul divano del salotto!” rispose leggermente stizzito.

“Ufff… sei proprio testardo!” sbuffò la ragazza esasperata, e poi aggiunse:

“Fai come vuoi, ma ora… smamma”.

Poi Ryo si fece improvvisamente serio:

“Sugar? Cosa faremo ora?”

Kaori fu colpita dal cambiamento di tono dell’uomo; veramente, il problema di Ryoichi, stava diventando un assillo.

Non l’aveva mai visto così indeciso e insicuro per quanto riguardava un caso, ma quello, dovette ammettere, non era un semplice caso, un lavoro; ne andava della loro stessa vita, del loro privato.

E anche il fatto che si confidasse con lei, che le esprimesse le sue perplessità, la diceva lunga.

La ragazza non seppe cosa rispondergli e lo attirò a sé, lo strinse in un abbraccio che voleva dire tante cose, principalmente che lei ci sarebbe sempre stata, per lui, e che lo amava profondamente.

Quasi trattenne un singhiozzo.

Lui capì.

A quel punto Ryo le prese il mento delicato con le dita e la fece voltare verso di lui, la guardò intensamente e le sussurrò:

“Ne verremo fuori, troveremo una soluzione… per me ciò che conta è stare con te, avere te” e prima che la ragazza potesse commuoversi ulteriormente, la baciò con estrema dolcezza: anche lui voleva farle capire che l’amava sopra ogni altra cosa, e che le apparteneva.

Nulla li avrebbe più divisi.

La socia si perse in quel bacio struggente, e finirono per amarsi ancora, quasi disperatamente, fino a quando il sole nascente non li sorprese ancora abbracciati, costringendoli, infine, ad affrontare quel nuovo giorno che gli si presentava davanti.
 
***
 
La ragazza scese in cucina, dopo una doccia sbrigativa, e prese ad armeggiare ai fornelli per preparare la colazione; si chiese come fosse abituato quel ragazzino, e se avesse un appetito formidabile come suo… non riuscì a finire il pensiero.

Scosse la testa e si redarguì mentalmente; se si fosse fatta prendere troppo dall’emotività, le sue capacità di sweeper ne avrebbero sofferto.

Doveva restare lucida e distaccata il più possibile.

Poco dopo fece il suo ingresso un Ryoichi ancora mezzo addormentato, con i capelli arruffati e gli occhi gonfi di sonno; sbadigliò rumorosamente, per poi portarsi una mano alla bocca e scusarsi con Kaori.

Suo malgrado, le venne da sorridere: quel ragazzo era comunque adorabile, e le faceva anche tanta tenerezza.

Lui si sedette al tavolino della cucina esclamando:

“Wow, quanto ben di dio! Si sentiva un profumino fin dalla camera da letto! Signorina Makimura, lei cucina benissimo!”

E le rivolse un sorriso radioso, a cui la ragazza arrossì leggermente.

Poi lui fece per tuffarsi sul cibo, ma si bloccò all’improvviso e chiese, timidamente:

“Ma-ma… suo fratello? Non viene a fare colazione con noi?”

Kaori represse una risatina: almeno quest’aspetto era, in un certo senso, esilarante.

Lui la guardò interrogativamente, e lei fu costretta a rispondere:

“Oh, lui ha i suoi orari, le sue abitudini… magari scenderà… cioè, arriverà più tardi”.

Si stava impappinando, ma tanto lui non l’ascoltava già più; meglio così. Poi, con tono gentile, lo esortò:

“Avanti, mangia, se no si raffredda”.

Lui non se lo fece ripetere due volte, e si buttò con gioia sulle pietanze preparate da Kaori.

Mugugnava con la bocca piena, felice e beato; assaggiava tutto e ogni cosa era di suo gradimento.

Lei lo guardava soddisfatta, con i gomiti sul tavolo e il viso appoggiato sulle mani.

Era anche divertita.

Quel ragazzo era così pieno di energia e vitalità, mangiava come un bue e di sicuro, fra un paio d’ore, avrebbe avuto di nuovo fame! Era una gioia per gli occhi.

Per un attimo si dimenticò chi fosse in realtà, conquistata dal suo modo di fare, dalla sua fresca presenza.
Ad un tratto però, lui si fermò, con il boccone a metà, e la guardò spalancando gli occhi; inghiottì e le chiese:

“Ma lei, signorina Makimura, non mangia?”

“Ah, sì, ho sbocconcellato qualcosa prima mentre cucinavo… Mi ero persa a guardarti mangiare”  e gli sorrise.

Lui, incredibilmente, arrossì fino ai capelli e abbassò lo sguardo. Poi quasi con un filo di voce disse:

“Signorina…”

Al che la ragazza lo interruppe:

“Chiamami semplicemente Kaori”.

“Ka-Kaori…” riprese lui timidamente, “volevo scusarmi per il mio comportamento di ieri al locale… ma sai, appena sono entrato e ti ho visto… non ho saputo resisterti. Sei così bella!”

Alla sweeper morì il sorriso sulle labbra, improvvisamente imbarazzata.

Ma che le succedeva?

Si emozionava per un complimento fatto da un moccioso?

Si schernì a disagio, con frasi smozzicate che lui prontamente interruppe, rialzando la testa e dicendo, con decisione:

“Ma è vero! Sei la ragazza più bella che abbia mai incontrato! Quando ti ho visto… quando ti ho visto ho sentito un non so che in fondo allo stomaco!”

Kaori, sempre più turbata, non sapeva più cosa dire, fino a quando si ricordò all’improvviso che era saltato addosso anche a Miki e, ripresasi in tempo, ribatté sarcasticamente:

“Vorrei farti notare che sei anche letteralmente volato in direzione della proprietaria del locale, la mia amica Miki… anche di lei ti sei innamorato?”

“Eh eh eh eh eh eh” fece lui, grattandosi la testa in imbarazzo, poi riprese:

“È vero, anche la tua amica è decisamente carina, ma con te è stato diverso” finì lui.

La ragazza sospirò.

Ci mancava solo di mettersi a discutere con un adolescente in preda agl’innamoramenti repentini della sua età.

Ma lui riprese:

“Anche la mia mamma è molto bella, sai? Vorresti vedere una sua foto?”

La ragazza fece senno di sì con il capo, e già un nodo le serrava la gola.

Il ragazzino estrasse dal portafoglio un’istantanea un po’ sgualcita, che raffigurava una giovane donna, dai lunghi capelli neri, un ovale per viso, la bocca atteggiata in un sorriso mesto, due occhi scintillanti di un nero profondo. Era davvero affascinante, e la sua bellezza traspariva da quella semplice foto che non lasciava vedere molto di più.

Kaori inghiottì amaro; non poteva biasimare Ryo se si era innamorato di una ragazza così attraente e dai lineamenti perfetti.

Nella sua ingenuità e, ovviamente, all’oscuro delle inquietudini della sua ospite, Ryoichi le chiese, speranzoso ed entusiasta:

“Allora? Ti piace la mia mamma?”

“Sì, è davvero bellissima” dovette ammettere la ragazza, a malincuore, sforzandosi di essere gioviale e disinvolta.

Poi, per mascherare il suo marasma interiore, si spostò velocemente ai fornelli, a controllare una cosa qualsiasi, pur di sfuggire a quegli occhi infantili e ancora innocenti, ma così tanto indagatori.

Così facendo, però, si accorse che Ryo era disteso sul divano del salotto e che, sveglio, aveva sentito tutto.

Si guardarono e lui le sorrise incoraggiante; lei allora, rincuorata, gli fece un breve cenno col capo e, avendo ritrovato un po’ di sicurezza, tornò dal ragazzino.

“A proposito di mamma… ieri hai detto che sei scappato di casa. Non ti sembra ora di chiamarla e dirle dove sei?”

“Ma-ma io…”

“Niente ma! Ieri nella confusione del momento sei riuscito a farmela, ma adesso devi chiamare tua madre, o il martello che hai assaggiato ieri sarà solo un fuscello, in confronto a quello che ti arriverà in testa, se non lo farai!” concluse la sweeper arrabbiata.

“Ok, ok! Ora la chiamo!” Finì per capitolare il giovane, terrorizzato dalla sua espressione.

Schizzò via, al telefono in salotto, così velocemente che nemmeno si accorse di Ryo stravaccato sul divano, il quale, appena fu sicuro che il moccioso fosse fuori vista, si diresse al tavolino della cucina e prese la foto della mamma di Ryoichi, per vedere chi fosse questa misteriosa donna.

La guardò con attenzione, mentre Kaori tratteneva il fiato.

Ryo taceva, e alla socia quei pochi secondi parvero un’eternità.

Lo sguardo della ragazza andava ansiosamente dalla foto alla faccia di Ryo, che non tradiva emozione alcuna.

Poi lui esordì dicendo:

“Ma questa è Akiko Munemori!”

“Allora l’hai riconosciuta?”

“No, ma è così che si chiama la madre di Ryoichi, no?”

La socia cadde all’indietro, mentre uno stuolo di corvi le svolazzò sopra.


NOTA DELLA SCRIBAROLA (Briz65 docet)
Mi scuso per la brevità del capitolo e per il fatto che apparentemente la trama non va avanti, però un capitolo così mi
serviva… GRAZIE ancora e …a presto! <3

 

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Capitolo 4
*** Riportamelo a casa ***


Dopo una settimana esatta ecco a voi il cap 4. Spero che questa storia non vi sembri troppo noiosa… però è nata per andare ‘lenta’, in uno scoprirsi continuo ma costante. In ogni caso un MEGA GRAZIE a tutte le commentatrici, nuove e vecchie, a chi legge, a chi lascia un commento, a chi passa e va. Grazie grazie grazie


Cap. 4 RIPORTAMELO A CASA


“Idiotaaa” gli gridò Kaori incollerita, quando si fu ripresa da quella sua uscita infelice.

“Io sto qui con il cuore in gola e tu fai lo stupido?” e già aveva brandito un martello con la scritta “Non cambierai mai” quando Ryo, incredibilmente, le afferrò il braccio per bloccarle il movimento, e lei ne rimase totalmente spiazzata: nella sua lunga carriera di lanciatrice di martelli, solo pochissime volte lui l’aveva fermata o schivata. Spalancò gli occhi allibita.

Lui, sempre tenendole il braccio, le si fece più vicino e addolcì il suo sguardo, fino a che divenne malizioso e sornione; le regalò uno di quei suoi sorrisi irresistibili, e progressivamente, come per magia, il martello di Kaori si rimpicciolì, diminuendo rapidamente di tonnellaggio. Una parte di lei si era ormai arresa alla malia con cui la stava avvolgendo il suo ragazzo, mentre l’altra le gridava di non farsi fregare in quel modo, da quell’impudente che ora usava il suo fascino anche con lei. Infatti, lui le disse, sussurrandole con calore e passione:

“Sugar, te l’ho mai detto che quando t’infuri sei così sexy che non so resisterti?” e già si sporgeva per baciarla; le loro labbra si stavano ormai sfiorando, quando un grido stizzito di Ryoichi li richiamò all’ordine e li fece sobbalzare. Kaori allora constatò improvvisamente che lui era quasi riuscito nel suo intento di sedurla, perché era stata lì lì per cedergli. Gli diede comunque il martello in testa, già che c’era, ma fu poca cosa: solamente 5t.

La botta ebbe solo il potere di farlo vacillare, ma si fermarono entrambi in ascolto, seguendo gli strepiti del loro ospite che, di là, stava dicendo al telefono:

“No, non torno a casa, hai capito? Ho il diritto di sapere chi è mio padre!”

Gli sweeper, immobili, si erano come congelati, impegnati a non perdersi nemmeno una parola del ragazzo che continuava a strillare; Ryo, con ancora il martello in testa, teneva per il braccio Kaori, e lei, che gli stava davanti, era rimasta con entrambe le braccia sollevate sopra il capo nello sforzo dello slancio. Ambedue con i visi rivolti verso la porta del salotto.

Poi si voltarono a guardarsi e sospirarono, e poco prima che il martello scomparisse del tutto, Kaori si avvicinò a Ryo e gli stampò un bacio frettoloso sulle labbra, dicendogli:

“È meglio che vada di là a vedere”.

L’uomo, che non se lo aspettava, ne rimase profondamente turbato; lui, che voleva sedurre, era stato sedotto. Quel bacio a fior di labbra lo aveva piacevolmente sconvolto.
Sorrise beato e soddisfatto: era davvero un piacere stare con una donna fantastica come lei.
Si riscosse e fece per raggiungerli.

Ryoichi aveva già riagganciato il telefono e si sfogava con Kaori: aveva litigato con sua madre, che non solo era morta dalla paura non trovandolo a casa, ma era anche contrariata e arrabbiata per il fatto che fosse partito così all’avventura, per andare a trovare suo padre.

Kaori cercava di calmarlo e di farlo ragionare. Gli stava giusto spiegando che non ci si deve comportare così con la mamma, che non bisogna farla soffrire, e che era fortunato ad averne una premurosa come la sua, quando si bloccò di colpo; stava stringendo a sé Ryoichi e questo aveva preso a vagare con le mani fino al suo fondoschiena. Quando lei l’allontanò da sé, quel tanto per guardarlo in viso, pronta a redarguirlo, lo trovò che già la guardava con aria sognante e adorante.

Sospirò rassegnata.

Stava per dire: “Tale padre, tale figlio” quando si autocensurò.

Ryo, che aveva seguito tutta la scena, si era avvicinato ai due silenziosamente e, schiarendosi la voce, richiamò la loro attenzione.

Ryoichi si voltò di scatto a guardarlo, con aria colpevole: lo sweeper gli indirizzò uno sguardo gelido e penetrante che fece subito abbassare quello del ragazzo. Questi prese a scusarsi al colmo della vergogna.

Poi l’uomo, rivolgendosi a Kaori, con un tono di voce che avrebbe voluto essere meno freddo, le disse:

“Kaori, è meglio che usciate a fare una passeggiata. Girando per il quartiere potrete trovare più informazioni che stando qui chiusi in casa. Io vi raggiungerò più tardi”.

Lei lo guardò intensamente, cercando di capire cosa nascondesse sotto quella sua espressione impenetrabile: era davvero scocciato e geloso per il comportamento di quel ragazzo? O aveva in mente qualcos’altro?

Di fronte a quei suoi grandi occhi dolci, il viso di Ryo si distese in un sorriso affettuoso: volle tranquillizzarla facendole l’occhiolino.

Si capirono, come sempre.

Così Kaori disse, rivolta al ragazzo che si era andato a sedere sul divano sprofondato fra i cuscini, con le braccia conserte, in un misto di imbarazzo, disprezzo, ribellione, e incomprensione:

“Ryo ha ragione: su, vestiti che usciamo”.

Il ragazzino rialzò il viso verso di lei, speranzoso, e in un attimo perse l’aria imbronciata e irritata. Si rianimò tutto, e corse in camera sua a cambiarsi e poi in bagno a finire di lavarsi.
 



Appena Kaori e Ryoichi furono usciti, Ryo si diresse al telefono del salotto e, premendo il tasto della ri-selezione automatica, si mise in ascolto.

Il telefono squillava libero, poi una voce di donna, alterata e severa, proruppe con:

“Spero per te, Ryoichi, che ci abbia ripensato e che tornerai a casa, subito, altrimenti non sai cosa ti faccio!”

“Pronto?” fece Ryo di rimando.

Silenzio.

Dall’altra parte del telefono la donna rimase senza fiato: quella voce, quella voce, la conosceva.

Poi Ryo, per rompere quel silenzio che si stava prolungando inutilmente, disse:

“Io sono Ryo Saeba, con chi ho il piacere di parlare?”

Ancora silenzio.

Ryo incalzò:

“Tu sei Akiko Munemori, o così ti fai chiamare ora, ma io voglio sapere il tuo nome, quello vero…” disse in tono perentorio e freddo.

“Hai ragione” rispose quella, dopo una pausa: “Hai ragione di voler sapere chi sono in realtà; ma non per telefono”.

“Allora vieni a riprendere tuo figlio e ne parliamo… Evidentemente mi conosci, e magari sai anche dove abito…”

“No, mi dispiace, non posso tornare a Tokyo, è troppo pericoloso per me”.

“D’accordo, non metterò inutilmente in pericolo una donna. Allora dimmi: dove posso trovarti?”

Pausa.

“Allora? Tu sai cosa significa il fatto che Ryoichi è venuto qui cercando suo padre, cercando me. Direi che ho il diritto di saperne di più non credi? Ora ho una compagna, e anche lei vuole sapere…”

“Ah, ti sei trovato una donna… fissa?”

“Sì”.

“Allora deve essere una donna davvero speciale!”

“Sì, lo è” e poi: “Ma non parliamo di lei… è già troppo coinvolta. Allora?”

“E va bene. Per telefono non posso dirti altro, ma chiedi a Ryoichi dove abita e vediamoci qui, diciamo fra… un paio di giorni? Riportamelo a casa, ti prego, lui è… è tutta la mia vita”.

“Vedrò quello che posso fare”.

E riattaccò senza salutare.

Ryo si passò una mano fra i capelli, frustrato. Nemmeno quella voce gli diceva niente, e poi la situazione si stava complicando. Possibile che non ricordasse una donna, una bellissima donna come lei, che fosse stata costretta a lasciare Tokyo per sfuggire ad un pericolo, e che questo fosse ancora così reale da non voler svelare la sua attuale posizione, nemmeno per telefono per paura di essere scoperta?

Si buttò la giacca sulle spalle e si decise a raggiungere Kaori e il ragazzo. Avrebbe dovuto guadagnarsi la sua fiducia per farsi dire da dove veniva, senza che avesse il benché minimo sospetto che era sua intenzione riportarlo a casa. Pensandoci, da che era comparso nella loro vita, l’aveva sempre accuratamente evitato. Il suo senso di rifiuto non gli aveva permesso di instaurare un qualsiasi rapporto con lui. Anche se non fosse stato suo figlio, e lui era sicuro che non lo fosse, avrebbe dovuto parlarci, conoscerlo lo stesso, e invece… In realtà, sotto sotto, ne era anche un po’ geloso: tutte quelle libertà che si prendeva con la sua Kaori! Certo lei non perdeva tempo e sapeva come difendersi, con tanti anni di allenamento fra lui e Mick, però quel Ryoichi era davvero intraprendente! Ed era anche avvenente, doveva ammetterlo… “Tutto suo padre” si ritrovò a pensare. Poi si pentì all’istante di questo pensiero balzano. Ryoichi non era suo figlio, nonostante tutto.

Sbuffò pesantemente.

Aveva bisogno di vedere Kaori, di essere coccolato dal suo sguardo amorevole; aveva bisogno che gli dicesse che sarebbe andato tutto bene. Poi insieme avrebbero pensato al da farsi. Però, se quel moccioso esuberante avesse ancora allungato le mani su di lei, gliel’avrebbe fatta pagare!
 
 
****

 
Come si aspettava, li ritrovò al parco e, appena Kaori lo vide da lontano, con quella sua aria rilassata e vigile allo stesso tempo, col passo dinoccolato e le mani in tasca, si rianimò tutta e alzò il braccio richiamando la sua attenzione. I suoi capelli fiammeggiavano alla luce calda del mattino, e il suo sorriso era solare e avvolgente. Lui si sentì rimescolare tutto: non si sarebbe mai abituato all’effetto dirompente che le faceva quella ragazza, anche ora che stavano insieme. Era quello essere innamorati?

Lui già sorrideva al solo pensiero di vederla e lei gli venne incontro. Lo guardò significativamente e si scambiarono un muto dialogo: Ryo le avrebbe spiegato le novità, ma non adesso e non in presenza del ragazzo. Fiduciosa, la socia annuì impercettibilmente.
Lo sweeper pensò che fosse ora d’interagire con il mocciosetto e propose, in attesa di riportarlo a casa:

“Senti Ryoichi, mi è venuta un’idea: per oggi potremmo visitare i posti più frequentati del quartiere…” e Kaori lo guardò in tralice: non aveva forse intenzione di portarlo nei Love Hotel o nei locali a luci rosse del posto? Ma lui eluse il suo sguardo e proseguì:

“E mentre tu farai un po’ il turista, io e Kaori potremmo fare delle domande ai nostri informatori, ma così, senza dare troppo nell’occhio. Tu mi capisci vero? Questo è il nostro lavoro, un lavoro per City Hunter!”, concluse ammiccando, con un’aria che la sapeva lunga.

“Fantastico!” proruppe il ragazzo “Sì, sì, si capisce che dovete fare le vostre indagini senza destare sospetti… siete due investigatori privati, due sweeper, e la discrezione è il segreto del vostro successo, dico bene?”

Ryo annuì, poi intercettò lo sguardo della socia e le strizzo l’occhio, come a dire “lascia fare a me”. Kaori, per un attimo, pensò e sperò che non s’inventasse qualcosa di assurdo, ma aveva già stabilito di dargli fiducia e fece spallucce, decisa a reggergli il gioco.

Il socio proseguì:

“Bene, ora che siamo intesi, io direi di andare, intanto, al luna-park; sai, mischiati fra la folla, sarà più facile per noi rimanere nell’anonimato e al contempo guardarci intorno”.

Ryo era sicuro di averlo in pugno: infatti, al ragazzino s’illuminarono gli occhi dalla gioia. Avrebbe partecipato ad una vera indagine di City Hunter e, in più, si sarebbe divertito sulle varie attrazioni.


Finì che passarono la giornata al parco dei divertimenti, fra svaghi ed abbuffate colossali. Finalmente Ryo si era lasciato andare, e i tre si divertirono come matti. Ad un certo punto Kaori, che si era allontanata per comprare degli hot dog per tutti, ritornando verso la panca di legno su cui i due erano stravaccati e ridevano scompostamente, rimase quasi senza fiato osservandoli insieme. A guardarli bene, non solo si assomigliavano fisicamente e anche in certe movenze, ma, più di tutto, pensò che insieme, sembravano una vera famiglia. Lei la giovane mamma, che aveva avuto quel figlio prestissimo, dall’uomo che amava; lui il padre affettuoso e giocherellone, che si dilettava a scherzare col figlio; Ryoichi l’adolescente, che ancora non si vergognava di uscire con i suoi genitori. Una famiglia come tante che era andata al parco, per passare semplicemente una giornata spensierata.

Ebbe un’incomprensibile stretta al cuore.

Ora non era più gelosa della mamma di Ryoichi, ma vagheggiava di esserlo lei.

Era forse il suo incredibile e incontenibile senso materno, che la spingeva a provare una tale sconvolgente reazione? Era il suo desiderio di avere un legame completo con il suo Ryo, un bambino, che potesse cementare la loro unione?

Se quel ragazzino fosse stato anche orfano di madre, lei lo avrebbe accolto come figlio suo e di Ryo, proprio come era pronta a fare quella volta con la piccola Shiori.

Si scoprì a pensare che, se il suo compagno avesse accettato la sua paternità, lei avrebbe amato lo stesso quel ragazzino come figlio di Ryo e, pur non sostituendosi alla madre naturale, lo avrebbe accolto e si sarebbe presa cura di lui ugualmente, anzi! Si era già affezionata, l’aveva conquistata.



 
***
 

 
Sulla via del ritorno, Ryo, guidando, buttò lì quasi per caso:

“Allora, ragazzo, non ci hai ancora detto da dove vieni. Che posto è quello in cui vivi?”

Ryoichi quel giorno si era immensamente divertito con i fratelli Makimura, che passavano il tempo a bisticciare, a farsi scherzetti e che lo avevano ricoperto di attenzioni, facendolo sentire amato e benvoluto, ed era finito per affezionarsi a loro, come se li conoscesse da sempre. Stava così bene in compagnia di quei due pazzi, che oltretutto facevano un mestiere così tanto pericoloso e affascinante, che quando, di sfuggita, pensava al momento in cui sarebbe inevitabilmente tornato a casa, sentiva già che gli sarebbero mancati terribilmente. Ma poi si consolava ripetendosi che, nel giro di qualche giorno, avrebbe scoperto chi era suo padre e magari lo avrebbe anche incontrato, e sempre grazie a loro. Più conosceva Ryo, poi, e più sperava che suo padre fosse come lui… Erano solo fantasie da bambino, le sue? Si chiedeva.

Quando Ryo gli aveva fatto quella domanda, apparentemente innocente, per un attimo il suo sguardo si era offuscato, ma poi la naturale fiducia e l’affetto che provava per Ryo e Kaori, lo spinsero a rispondere senza remore. Disse:

“Provengo da un piccolo villaggio di pescatori, nei dintorni di Shizuoka”.

“Conosco la zona” disse Kaori “Quando ero piccola una volta, insieme a mio fratello, siamo andati ad Omaezaki a visitare il Faro…” concluse la ragazza sorridendo e perdendosi nei suoi ricordi, ma Ryoichi subito puntualizzò:

“Sei andata con Ryo, allora?”

La sweeper sobbalzò, colta sul vivo, e farfugliò un:

“Sì, sì certo… e con chi sennò?” e pensò: “Dannazione, stavo per tradirmi… a questo qui non sfugge niente… Dovremmo stare anche più attenti io e Ryo a non farci scoprire, soprattutto quando…” e ripensò a quella mattina, quando lui la stava per baciare, e che poi va be’ l’aveva baciato lei, a tutti quei baci che si erano rubati al luna-park, nei posti e nei momenti più disparati, all’insaputa del ragazzo. Sospirò mentalmente. Proprio non riuscivano a resistere nemmeno una giornata, senza!

Si voltò a guardare il suo socio: lo sorprese a sorridere sotto i baffi, e fu certa che anche lui stesse pensando le stesse cose. Le venne da ridere.

Certo, se avessero detto subito che non erano fratelli, ma fidanzati, la situazione sarebbe stata più facile da gestire, soprattutto ora; ma, nel bene o nel male, presto avrebbero fatto chiarezza e sarebbero venuti allo scoperto anche con lui.

In ogni caso Ryo riprese, chiedendogli ancora:

“Quindi vieni da una località di mare… ecco perché la tua carnagione è così scura: hai una bell’abbronzatura”.

“Oh, sai che non ci avevo mai pensato? In realtà anche mia madre è così, in questo assomiglio molto a lei”.

Entrambi gli sweeper memorizzarono l’informazione, e cercarono di ricordarsi la foto che avevano visto quella mattina: quella donna affascinante, effettivamente non era così chiara come una ragazza di città. L’incarnato era roseo, quasi bronzeo: segno di chi sta molto all’aria aperta, oppure era naturalmente così il suo colorito? Anche Ryo aveva quel tipo di pelle, lo stesso di quella donna.
 
 
Il resto del viaggio verso casa, lo passarono chiacchierando del più e del meno. Stavano bene insieme, quei tre, anche se i City Hunter continuavano a provare una punta di amarezza in fondo al cuore; un miscuglio di sentimenti che li frenava un po’ e gli impediva di affezionarsi totalmente a quel ragazzino innocente, che era venuto fino a Tokyo in treno, per trovare e conoscere suo padre, animato da una tenace speranza. In condizioni normali non si sarebbero risparmiati per uno come lui; ma, pur non lasciando nulla d’intentato, i due soci temevano di scoprire la verità.
 

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Capitolo 5
*** Una casa, una famiglia ***


5° capitolo… qualcosa si sta muovendo, di sicuro nei cuori dei nostri eroi, ma… da domani si scende in campo!  GRAZIE  a chi è arrivato fino a qui, e a chi ha deciso di vedere come andrà a finire. Vi lovvo <3




CAP.5 Una casa, una famiglia

Quando arrivarono a casa, era già ora di cena; le ombre si allungavano sonnolente sulla città, e il cielo si colorava dei caldi toni del tramonto. La casa era inondata di luce e mai come in quel momento era apparsa ai suoi abitanti il posto più bello del mondo, così accogliente e così casa. A fare da eco ai pensieri benevoli dei soci, Ryoichi entrando sospirò forte, dicendo:

“Come si sta bene qui da voi! Mi sento come a casa” e si lasciò cadere sul divano, con aria beata e felice.

Kaori ebbe un tuffo al cuore.

Quel ragazzino era adorabile, e lei si sentiva già irrimediabilmente legata a lui, anche se sentimenti contrastanti le agitavano il cuore. Quasi si commosse davanti a quella scena. Desiderare che fosse suo figlio piuttosto che di quella sconosciuta; sperare che non fosse il figlio di Ryo; non volergli già così bene; dovergli dire addio quando avrebbero risolto il caso… E, ancora, imparare a considerarlo uno di famiglia, qualcuno che avrebbe potuto avere un posto fisso nella loro vita… Questo ed altro tormentava il suo cuore, e per un attimo rimase senza parole, sopraffatta dalle emozioni. Si voltò verso Ryo, istintivamente, forse in cerca di un sostegno morale, per specchiarsi nei suoi occhi cupi e neri.

Anche lui la guardò intensamente, intuendo i pensieri della sua amata, dilaniato dai suoi stessi dubbi e da altre insidiose paure. Poteva combattere quanto voleva, contro l’idea che quello non fosse suo figlio, ma doveva ammettere che il ragazzo era veramente in gamba: era aperto, solare, fresco e leale. Non aveva ancora tutta la meschinità dei grandi, la malizia nei modi… tranne quando i suoi ormoni esplodevano ed era incontenibile nei suoi slanci, ma era poi da considerarsi un difetto? Non era così anche lui? E non c’era bisogno di avere lo stesso sangue focoso per essere esuberanti, no? Anche Mick lo era, eppure era addirittura americano!!  Ryoichi era poco più che un bambino, ma aveva già dimostrato coraggio, partendo all’avventura sulle tracce di un fantomatico padre, di cui vagheggiava l’esistenza e mitizzato dai racconti della madre. Ed era anche divertente e intelligente. A dispetto di tutto, Ryo sentiva che si stava affezionando, e questo era un fatto. Tutti quegli anni accanto a Kaori gli avevano insegnato a lasciarsi andare ai sentimenti, all’amore; la prova era che quando aveva deciso di fare il grande passo verso di lei, verso l’amore della sua vita, aveva provato una felicità mai nemmeno immaginata prima. Amare non era mai sbagliato, questo era l’insegnamento della sua donna, e doveva ammettere che aveva ragione. Solo che… adesso, avrebbe voluto avere ancora un po’di quel cinismo che, con tanta tenacia, aveva coltivato nel tempo, così sarebbe riuscito a non legarsi a quel moccioso, che era entrato nella loro vita, già fin troppo sgangherata, sconvolgendola. Eppure… come uomo, pensava che qualsiasi padre si sarebbe sentito orgoglioso di un figlio come lui.

Ryoichi, colpito da quell’improvviso silenzio quasi imbarazzato, guardandoli, ora uno ora l’altro, proruppe con un innocente:

“Che c’è? Ho detto qualcosa che non va?”

Gli sweeper si riscossero e Kaori gli sorrise amorevolmente, poi gli disse:

“Ma no, che dici? Piuttosto, preparo qualcosa per cena, magari di leggero, viste le abbuffate di oggi?”

“Non aspettavo altro che lo dicessi!” rispose di getto il ragazzo, abbassando però immediatamente la testa a disagio, poi riprese:

“Ad essere sincero sto morendo di fame, ma sono vostro ospite e non mi sembrava il caso di chiedervi niente. Ho anche finito i soldi che mi ero portato dietro…”

Poi, come a ricordarsi improvvisamente di una cosa:

“A proposito di soldi… Io ieri sono arrivato qui, e vi ho subito chiesto di indagare per me, ma… non ho mica pensato di chiedervi a quanto ammonta il vostro compenso!” e si confuse ulteriormente.

Allora Kaori gli andò incontro e si sedette accanto a lui, mentre Ryo si appoggiò mollemente allo schienale del divano, alle sue spalle. La sweeper gli prese le mani, e lui a quel punto rialzò lo sguardo verso di lei, e annegò nei suoi occhi pieni di amore e comprensione. Si sentì svenire. Lei gli disse, dolcemente:

“Non importa, i soldi non sono importanti. Io e Ryo siamo felici di poterti aiutare, anche se non potrai pagarci”.

Il ragazzo si voltò speranzoso verso lo sweeper, e questi gli fece un cenno con il capo, a voler confermare ciò che aveva appena detto la socia. Allora Ryoichi tornò a guardare la ragazza e le saltò fra le braccia, soffocando un singhiozzo nel suo collo. Lei lo strinse a sé, materna, e lui, che era indeciso se piangere o fare il duro e trattenersi, riuscì a bofonchiare solo:

“Come potrò mai ringraziarvi?”

Ma Ryo a quella scena, si accigliò leggermente: possibile che quel poppante non perdesse occasione per appiccicarsi alla sua Kaori, tra l’altro proprio mentre lui non poteva? Subito pensò che se quella fosse stata un’altra mossa per palpare e insidiare la sua donna, lo avrebbe impacchettato con un bel futon, e lo avrebbe appeso come un salame dalla finestra, altro che casa accogliente! Intercettò lo sguardo della socia, che gli fece un cenno rassicurante da sopra la spalla di Ryoichi, e lui sbuffò. Kaori sperava solo che quel ragazzino, tutto ormoni e cuore, non facesse qualcosa di azzardato di cui doversi poi pentire.

Per fortuna si sciolse dall’abbraccio di Kaori senza guizzi da maniaco, però s’incantò a guardarla, con aria adorante, e sospirando le disse:

“Oh, Kaori! Se io fossi più grande, o tu più piccola, ti chiederei di uscire con me, di essere la mia ragazza!”

“Ma che dici, sciocchino!” arrossì suo malgrado, lei.

“Però sicuramente tu sei già impegnata, vero? Una ragazza affascinante e buona come te, immagino che un fidanzato già ce l’abbia, vero?” e adocchiò la fedina all’anulare sinistro.

Ryo, a quell’uscita, si schiarì la voce, mentre la partner ridacchiava a disagio; lei fu capace soltanto di dire:

“Come sei impertinente! Quante ne vuoi sapere… eh eh eh eh eh”

Riuscì a venir fuori da quella situazione lievemente imbarazzante dicendo:

“Senti, Ryo, perché non gli fai vedere la casa mentre io preparo qualcosa da mangiare? Così poi potremmo andare a letto presto…”

“Ottima idea!” colse al volo il socio; e, rivolto al ragazzo:

“Vieni, ti mostro la mia collezione migliore di…”

“Di cosa, Ryo?” s’intromise la ragazza con tono alterato e perentorio.

“Di… di…” iniziò a balbettare lui, “Di armi. La mia collezione di armi! Seguimi, andiamo di sotto al poligono” e, facendosi precedere da Ryoichi, scomparvero dietro la porta. Ma, un secondo prima di chiudere l’uscio alle sue spalle, l’uomo rimise dentro la testa nel salotto e, ridacchiando, le disse:

“Ma cosa avevi capito, eh eh eh eh eh!” e poi le mandò un bacio con la mano, giusto per rabbonirla e ingraziarsela.

Lei, che aveva seguito tutta la scena con le mani sui fianchi, si addolcì all’istante e scoppiò a ridere divertita. Quell’idiota non sarebbe cambiato mai.
 

 
***
 
 

Poco dopo erano di nuovo tutti e tre riuniti e, seduti in soggiorno, stavano mangiando la cena preparata dalle sapienti mani di Kaori. Gli uomini mangiavano con gusto e, anzi, si rubavano il cibo dal piatto, ridendo a più non posso, con grande disperazione della ragazza, che li tacciava d’inciviltà e maleducazione, ma che non riusciva più di tanto ad essere seria, visto che quei due erano davvero buffi e finiva per riderci anche lei.

Erano così rari quei momenti tanto leggeri e spensierati, che sarebbe stato davvero un peccato non approfittarne. E poi, il fatto che stessero spolverando tutto quello che lei aveva cucinato, era il più bel complimento che potessero farle.

Al termine di quel pasto allegro e confusionario, Kaori avvertì:

“Ryoichi, fra poco vai a farti una doccia e fila a letto, intesi? Non sia mai che tua madre ci accusi di averti dato dei vizi!”

“Ma mamm… ehmm Kaori, è ancora presto! Non posso vedere un po’ di tv prima?”

La sweeper trasalì al lapsus del ragazzo: stava per chiamarla mamma! E lei era lì lì per sciogliersi in lacrime, quando la voce di Ryo si fece sentire:

“Kaori ha ragione: domani ci aspetta una lunga giornata e dobbiamo andare a letto presto”.
Sembrava veramente il tono di voce di un padre, risoluto ma non austero.

Il cuore di Kaori si contrasse. E le continue lamentele del ragazzino non migliorarono di certo la situazione. Quella sembrava una classica scenetta familiare. Infine, lei concesse:

“Ok, potrai guardare un po’ di tv finché io lavo i piatti e sistemo la cucina, poi via! Senza se e senza ma!”

Ryo si stava per fiondare anche lui sul divano, accanto al suo giovane amico, intenzionato a vedere qualcosa di educativo, quando la voce della socia lo fece sobbalzare sul posto.

“Ryo?”

“Sì?” e già un gocciolone scendeva lungo la sua tempia; come faceva quella benedetta ragazza a prevedere sempre le sue mosse?

“Vieni un attimo qui in cucina, ti devo parlare” quasi ordinò.

Lui schizzò in piedi e la raggiunse come un cagnolino richiamato dal padrone.

“Dimmi, cara…”

Però, quando furono soli in cucina e accertatasi che Ryoichi non potesse sentirli, immerso com’era in un programma per ragazzi che lo faceva ridere e contorcere, lei sussurrando gli disse:

“Stasera dopo che si sarà addormentato, raggiungimi di sopra…”

“Oh, tesoro mio, non sai quanto ho aspettato questo momento…” e già allungava le labbra per baciarla.

“Ma che hai capito! Dobbiamo parlare, no? Cosa hai scoperto oggi quando ci hai fatto uscire? E cosa hai intenzione di fare?”

“Ah, era questo ciò che intendevi?” rispose deluso, sgonfiandosi come un palloncino, con le braccia ciondoloni lungo i fianchi.

Alla ragazza scappò un sorrisetto divertito, ma, prendendogli le mani e costringendolo a guardarla, con amore gli disse:

“Dai, lo sai che anche io non vorrei solo parlare” e fece una pausa ad effetto. Il viso dello sweeper si rianimò, i suoi occhi presero a scintillare di aspettativa e desiderio.

Lei riprese:

“Pensi che mi siano bastati quei pochi baci che ci siamo rubati oggi? Non sai quanto mi manchi, ma finché c’è lui qui… E poi lo so, che oggi hai scoperto qualcosa” concluse, inclinando il viso di lato, con un’espressione che chiedeva conferma e che allo stesso tempo esprimeva totale fiducia.

Ryo sospirò; quella donna veramente lo conosceva fin troppo bene, potevano capirsi anche senza parlare, a volte. Quanto era stato fortunato ad incontrarla lungo il suo cammino? Tanto, veramente tanto. E lei sempre tanto gli dava.

“Hai ragione, Sugar. Appena siete usciti ho ricomposto il numero fatto da Ryoichi e mi ha risposto sua madre e…”

“Ryooooooo? Dai vieni a vedere questo comico! Mi fa morire dalle risate!” lo interruppe il ragazzo.

“Arrivo!” rispose l’uomo, dopo aver sbuffato frustrato. Guardò la sua donna e fece spallucce e, prima di tornare da Ryoichi, non resistette e le lasciò un leggero e dolcissimo bacio sulle labbra, sussurrandole sulla bocca:

“Allora, a dopo!” e raggiunse il suo piccolo ospite.

Kaori si riscosse; Ryo era una piacevole scoperta, giorno dopo giorno. Non si stancava mai di farle capire quanto l’amasse, in mille modi diversi; piccole cose, ovvio, perché lui non era e non sarebbe mai stato per le manifestazioni d’affetto eclatanti, però, proprio perché venivano da lui, quelle tenerezze erano ancora più preziose. Durante il giorno trovava sempre il modo di sfiorarle una mano, il viso con una carezza leggera, e amava baciarle i capelli e aspirarne il profumo, mentre quando voleva comunicarle ben altro, le sue attenzioni erano più mirate e le suscitavano emozioni elettrizzanti; ma il suo comportamento era lontano anni luce dalle bestialità che combinava quando faceva il maniaco e il pervertito. Era come se la volesse sedurre ogni volta, conquistarla, e lei era la donna più felice del mondo nell’essere l’oggetto della sua venerazione. E non era facile nemmeno per lei rinunciare alle sue attenzioni, o frenarsi lei stessa in quelle che avrebbe voluto riservargli. C’erano state un paio di volte, in quella lunga giornata, in cui le sarebbe tanto piaciuto volargli fra le braccia forti e grandi, affondare le mani nei suoi capelli color d’inchiostro, oppure rubargli quel suo sorriso sghembo direttamente dalle labbra con un bacio di fuoco, oppure, oppure…

Ops! Meglio calmarsi!” si disse la ragazza, altrimenti quando lui l’avrebbe raggiunta in camera non avrebbero parlato affatto! E nonostante ora fosse libera di esprimere il suo desiderio per lui, e l’amore ora fluisse libero fra loro, si ritrovò ad arrossire come ai vecchi tempi. Si sarebbe mai abituata?




La serata passò in un lampo: Kaori irruppe ciabattando in salotto e, spegnendo la tv, intimò a Ryoichi di prepararsi per andare a letto; non cedette alla tentazione di guardare Ryo negli occhi, poiché da quando si erano parlati in cucina, non era più tanto sicura di riuscire a trattenersi senza farsi scoprire dal ragazzino.

Ryo però protestò dicendo:

“Ehi, ma hai spento la tv! Io non sono un moccioso, è ancora presto per me!”

“Se mi prometti che non uscirai stasera, la riaccenderò” rispose lei, anche se era sicurissima che lui non sarebbe uscito; non lo faceva quasi più, e quelle rare volte era solo per fare un giro di ricognizione della città.

In ogni caso quello era solo un teatrino a beneficio del ragazzo: in realtà, entrambi non vedevano l’ora di ritrovarsi da soli.

Quando Ryoichi tornò dalla doccia, frizionandosi i capelli bagnati, istintivamente e inaspettatamente Ryo gli si fece incontro e, prendendogli l’asciugamano, finì per asciugarglieli lui. L’uomo fu il primo a stupirsi di quest’improvviso gesto affettuoso che, seppure inedito, non fu né goffo, né rude. Gli disse semplicemente:

“Vieni qui che ti aiuto io, altrimenti prenderai freddo”.

A forza di strofinare, Ryo aveva quasi asciugato per intero la folta zazzera del ragazzo senza nemmeno bisogno dell’asciugacapelli e, quando tolse la salvietta, Ryoichi aveva una massa informe in testa che gli cadeva anche sugli occhi facendolo assomigliare ad un barboncino; ridacchiarono divertiti.

Poi Ryo disse:

“Ora fila a letto, ok? Domani ci aspetta una giornata d’indagini e non possiamo permetterci di perdere tempo. Riposa bene”.

“Va bene, City Hunter!” rispose impettito il ragazzo; e Ryo s’intenerì.


 
***

 
Quando fu sicuro che il ragazzino dormisse della grossa, Ryo sgattaiolò dalla stanza degli ospiti, quella che avrebbe dovuto dividere con il ragazzo, e si diresse verso la sua camera da letto.

Kaori aveva aspettato tanto, cercando di restare sveglia, e si era pure messa a leggere un manga divertente, ma la noia e il dolce tepore delle coperte, l’avevano vinta. Quando il socio entrò nella stanza, lei era ormai addormentata, con le spalle appoggiate alla testiera del letto, mollemente abbandonata su due cuscini; la lampada sul comodino, ancora accesa, disegnava sul suo viso delicato un gioco di luci e ombre che si sposavano benissimo con i suoi lineamenti rilassati e sereni. Il libro abbandonato in grembo, le dita allentate ma ancora nell’atto di stringerlo. L’uomo trattenne il fiato, pentito di aver fatto fin troppo rumore; gli sembrava di assistere al sonno di una creatura soprannaturale, di essere di fronte ad un angelo che si era per un attimo seduto a riposare e che invece si era addormentato. E ancora una volta si chiese se il solo fatto di toccarla, e come la toccava ora, potesse sporcare la sua anima, la sua purezza, quel suo innato candore. L’amore di Kaori lo sovrastava, lo vivificava e lo colmava di pace, ma lui, sarebbe mai stato capace di meritarselo pienamente fino in fondo? Lei che lo aveva raggiunto fin laggiù, nel suo personale inferno, e lo aveva riportato alla luce e, soprattutto, aveva preso ad amarlo con tenacia e semplicità, così come se fosse la cosa più naturale del mondo. E nonostante lui avesse superato i suoi sensi di colpa e tutte quelle remore che lo avevano tenuto lontano da lei e dal suo amore immenso, e infine le avesse aperto il suo cuore, permettendole di prendervi dimora, c’erano ancora delle volte in cui certi dubbi tenaci tornavano a tormentarlo, e si riaffacciava nel suo animo quella fastidiosa sensazione di inadeguatezza di fronte a lei… Però, poi, bastava che lei lo guardasse con i suoi occhi d’ambra fusa, o gli sorridesse con amore, o lo prendesse per mano, che tutto svaniva in un soffio e si sentiva autorizzato ad amarla, l’unico che potesse farlo veramente.

In quel momento, preda delle sue emozioni e ormai senza più difese, rimase trasognato a guardarla. Gli era sempre piaciuto osservarla dormire, ma ora, quell’immagine di totale innocenza, quasi lo stordì.

Eppure non riuscì a non ridere, dentro di sé, constatando che, da quando si erano messi insieme, mai una sola volta lei era andata a letto con un fumetto o con un libro; non aveva mai avuto tempo e modo di leggere, visto che avevano sempre altro da fare, pertanto quella era una situazione nuova; forse in futuro sarebbe potuta diventare la quotidianità, ma lui scacciò subito quel pensiero. Loro due sarebbero restati giovani per sempre, giovani e vitali, e le loro notti sarebbero state sempre movimentate – non fosse altro per tutto il tempo che dovevano recuperare! – e se proprio un domani, tornando a casa, l’avesse trovata a leggere, be’… poi l’avrebbe convinta a… smettere.

Ma in quel preciso istante pensò che gli sarebbe andato bene anche così: di rimanere lì, in piedi, imbambolato, tutta la notte; non sarebbe stato certo lui a svegliarla, nemmeno per chiederle di fare l’amore. Aveva l’impressione che se si fosse avvicinato troppo, avrebbe commesso un sacrilegio, avrebbe rovinato la sacralità di quel momento.

Fu Kaori a svegliarsi invece, da sola, e con gli occhi assonnati; sbattendo più volte le ciglia, lo guardò con un sorriso da bambina e sussurrò:

“Scusa, mi ero addormentata”.

Ryo rispose, sempre con un filo di voce, emozionato:

“Non fa niente”.

E finalmente si decise a raggiungerla sul letto. Si sedette sul bordo, dalla sua parte, e accarezzandole i capelli le disse, a bassa voce:

“Eri così bella, che non volevo svegliarti”.

“Però dobbiamo parlare… mi devi raccontare, hai detto ch…” ma lui smorzò le sue lamentele con un bacio dolcissimo.

“Sshhhhhh” le sussurrò sulle labbra “Adesso pensiamo a noi… Kaori ho bisogno di te!” le disse con voce calda e carezzevole.

La ragazza stava per lasciarsi andare a quell’inequivocabile invito, quando d’improvviso si ricordò che prima, in cucina, lui le aveva detto di aver parlato con la madre di Ryoichi, e un certo disagio s’impadronì di lei. Pur non respingendolo nei suoi baci e nelle sue carezze, s’irrigidì leggermente e lui, sempre attento ai cambiamenti di umore della sua partner, a malincuore si staccò da lei per guardarla, in attesa. Gli occhi di Ryo erano così pieni di desiderio e amore che ancora una volta Kaori si sentì fortunata ad essere lì, fra le sue braccia, ma voleva sapere; doveva sapere! Ne andava della sua tranquillità.

Ryo capì che, per quanto non avesse in testa che lei, Kaori aveva bisogno di essere rassicurata, prima come amante e poi come compagna di lavoro. Si passò una mano nei capelli, e sospirando si decise a parlare:

“Dicevo che oggi, quando voi siete usciti, ho richiamato la madre di Ryoichi. Non ha detto molto, anzi, e non ha voluto svelarmi il suo vero nome, né dove si trovi adesso. Dice che è troppo pericoloso, per lei, tornare a Tokyo a riprendersi il figlio, e anche parlarne al telefono lo è. Mi ha chiesto di riportarglielo, magari nel giro di un paio di giorni”.

“Ecco perché gli hai fatto tutte quelle domande sul posto da cui viene!”

“Esatto. Più tardi saprà che ho intenzione di riportarlo a casa, e meglio sarà”.

“Quindi domani che faremo?”

“Andremo al mare!” rispose furbescamente lo sweeper.

“Intendi a Shizouka?”

Ma già Ryo aveva ripreso a baciarle il collo e le spalle, ben deciso a porre fine alle spiegazioni; ma lei rincalzò:

“E… e… quella donna?” provò a chiedere timidamente, un po’ distratta dalle attenzioni del suo uomo e un po’ in imbarazzo nel dimostrargli la sua insicurezza.

Ma lui rispose, fra un bacio e l’altro mugolando:

“Quella donna, quale?”

“Quella… quella Akiko Munemori!”

“Ah, quella?”

“Avanti, Ryo! Fai un ultimo sforzo!” gli disse lei, bloccandogli il viso con entrambe le mani e costringendolo a prestarle attenzione.

Lui a quel punto si fermò, sbuffando, ma consapevole che se non fugava tutti i dubbi della ragazza ed esaudiva tutte le sue domande, non sarebbe andato lontano.

“Che c’è ancora?” chiese lui.

“Volevo sapere…” e prese a tormentarsi le dita e a mordicchiarsi il labbro inferiore che, se non fosse stato un segno di nervosismo da non sottovalutare, sarebbe stato tremendamente sexy. Riprese:

“Volevo sapere… che effetto ti ha fatto?”

“Nessun effetto. Non ho riconosciuto la sua voce, e davvero non riesco a ricordarmi chi sia. Anzi, ti confesso che mi fa anche un po’ rabbia… Aver detto a Ryoichi che sono suo padre…” poi improvvisamente si bloccò, e sussurrando ancora di più di quanto avesse fatto fino a quel momento, le disse:

“Senti? C’è qualcuno…”

Un secondo dopo si udirono dei colpetti leggeri alla porta, e una timida voce di ragazzino chiedere:

“Kaori? Ci sei? Posso entrare?”
 

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Capitolo 6
*** Confessioni notturne ***


Ed eccomi qui, con un leggero ritardo sulla tabella di marcia ^_^ vi eravate accorti??? ahahahahha :-D è che la RL è quello che è e non sempre va tutto liscio. Intanto però RINGRAZIO tutti quelli che sono giunti fin qui a leggere, chi ha lasciato un commento, chi ha letto e basta, chi ha messo la mia storiella fra le seguite, le ricordate, le preferite. Vi lovvo <3





Cap.6 Confessioni notturne

Toc toc…

“Kaori? Sei sveglia?”

“Ryo, che facciamo?” sussurrò, così piano che lo sweeper si aiutò con il labiale della sua amante per capire. Con la stessa levità le rispose:

“Mi nasconderò qui, sotto il letto. Fallo entrare, o s’insospettirà” e pensò “Ma se solo fa il marpione e allunga le mani, scappo da qui sotto e lo uccido!”

“Avanti, Ryoichi. È aperto!” rispose infine la ragazza, a voce alta.

Il ragazzino fece qualche passo titubante, ed entrò in quella che pensava fosse la stanza della sola ragazza, ed era troppo assonnato per notare che, invece, era la camera da letto di due adulti in generale. Se avesse saputo, piuttosto, com’era prima! I poster di nudo che tanto amava Ryo, erano stati tolti già da un pezzo, ed era stato rimosso ogni orpello di dubbio gusto che denotasse la spregiudicata predilezione per le donne, di chi abitava quel luogo fino a qualche mese addietro. Ora si notavano, in qua e in là, piccoli dettagli dal sapore tutto femminile e, comunque, regnava innanzitutto l’ordine – che era innato in Kaori - poi c’erano un paio di piante in più, dei quadretti con paesaggi appesi alle pareti, molti più libri e, ovviamente, dei vestiti da donna sulla poltrona, ripiegati e sistemati, e sulla consolle vicino alla finestra c’era qualche trucco, delle creme e un portagioie discreto. Kaori si guardò intorno e compì un rapido controllo visivo della stanza, e si accorse che sulla sedia erano rimasti i pantaloni neri del socio e un paio di calzini buttati alla rinfusa, che erano sfuggiti al suo attento riassetto: quella era pur sempre anche la camera di Ryo, e non avrebbe mai immaginato, giusto due giorni prima, che sarebbe arrivata al punto di doverne nascondere la presenza! Fulminea pensò che, per fortuna, Ryo non si era ancora spogliato, quando era giunto da lei e che, nemmeno se lo sentisse, lei aveva di nuovo indossato un pigiama.

La sweeper si rallegrò mentalmente, poi, di aver chiuso bene le ante dell’armadio e riordinato meticolosamente tutto, e che insomma, se Ryoichi non fosse andato troppo per il sottile, non si sarebbe accorto di niente. E comunque, per la cronaca, Ryo era suo fratello e ci poteva stare che ci fosse qualcosa di suo nella camera della sorella.

Piuttosto, si stupì di questa visita inaspettata del ragazzino. Non aveva attivato le trappole anti-maniaco, come la sera prima, perché tanto Ryo era in casa, e anzi lui sarebbe andato da lei appena il ragazzo si fosse addormentato. Forse aveva commesso una leggerezza, ma Ryoichi non dava l’impressione di essere arrivato fin lì con intenti libidinosi, anzi. Sembrava un bambino, nel suo pigiama dell’Uomo Ragno, e con quel visetto corrucciato e gonfio di sonno, le faceva tanta tenerezza.

Kaori gli fece segno di avanzare, e lui timidamente accettò l’invito; le disse ancora sussiegoso:

“Ti disturbo?”

Ci stava girando talmente tanto intorno che la ragazza intuì che potesse esserci qualcosa sotto; gli sorrise incoraggiante e gli rispose:

“Certo che no. Dai su, dimmi, cosa c’è che ti preoccupa?”

“È che… mi sono svegliato e Ryo non c’era…”

E lo sweeper aguzzò le orecchie, sempre più incuriosito dal motivo per cui Ryoichi avesse deciso di raggiungere la sua amata; quasi tratteneva il fiato. Era steso proprio in corrispondenza della socia, e il materasso era leggermente infossato sotto il suo peso leggero. Gli venne da ridere, ripensando a quante sollecitazioni lo avessero sottoposto ultimamente, e che, nella sua lunga carriera d’amante, più o meno fortunato, non si era mai ritrovato sotto il letto di una donna, aspettando che un moccioso lasciasse il campo libero. Però, quando si accorse che il materasso si era deformato anche in un altro punto, e cioè dove avrebbe dovuto essere lui in quel momento, con una punta di gelosia e stizza, realizzò che il moccioso in questione vi era salito sopra. Uno strano prurito lo raggiunse alle mani e si agitò. Non poteva sopportare di essere stato interrotto sul più bello e dover correre a nascondersi come un ladro, come se quella non fosse la sua donna e non avesse il diritto di stare con lei, nella sua camera da letto per giunta! Peggio, non poteva nemmeno immaginare che qualcuno potesse prendere il suo posto anche se, ne era più che certo, non sarebbe mai stato in grado di eguagliarlo per tutto il resto. E a quel pensiero si gonfiò d’orgoglio. Poi si riscosse; possibile che fosse geloso di un bambino? Che, seppure intraprendente, aveva ancora la bocca che sapeva di latte? E poi, che bassa stima aveva della sua Kaori, se la riteneva capace di farsi infinocchiare da un ragazzetto in piena tempesta ormonale! Lei sembrava più la sua mamma affettuosa che, alla bisogna, sapeva stenderlo con un martello dei suoi senza problemi.

Perso nei suoi pensieri, si era distratto e non aveva sentito quello che aveva detto il mocciosetto, però sentì quello che gli rispose la ragazza:

“Capisco. Ma non devi vergognarti. Questa è pur sempre una casa di estranei, e tu sei lontano dalla tua. È normale sentire un po’ la nostalgia. Forza, vieni qui” e Ryo vide il materasso deformarsi e l’avvallamento cambiare posizione.

Infatti, Kaori aveva fatto avvicinare il ragazzino, e adesso anche lui era seduto sul letto con le spalle appoggiate alla testiera vicino a Kaori. Lui riprese:

“Sai, da che ho memoria, io ho avuto solo mia madre con me. Stavamo sempre insieme e lei ha fatto sia da madre che da padre. Non mi è mai mancato nulla, però… crescendo ho iniziato a chiedermi perché tutti avessero un papà ed io no. Anche quelli dei miei amichetti che lavoravano fuori città o stavano via tutto il giorno, prima o poi tornavano a casa. Invece, io…”

A Kaori il cuore si contrasse e Ryo s’incupì. Il ragazzo riprese:

“Ho iniziato così a fare domande a mia madre, volevo sapere perché non ci venisse a trovare mai nessuno e noi non andassimo mai a far visita a qualcuno. Lei diceva che i miei nonni erano morti, e che gli unici parenti rimasti erano lontanissimi. Ma a me, più di tutto, interessava sapere di mio padre, e tanto insistetti e pregai che qualcosa mi disse; solo piccole informazioni, però, che mi facevano star bene lì per lì e calmavano per un po’ la mia curiosità. Che rinasceva poco dopo, ed io ricominciavo da capo. Quando parlava di mio padre, la mamma diventava triste ed io mi sentivo sempre un po’ in colpa, per averla costretta a ricordare, ma la mia voglia di conoscere era più forte”.

Fece una pausa e gli sweeper, sopra e sotto il letto, rimasero in attesa. Poi Ryoichi riprese:

“Mia madre mi confidò di aver amato molto mio padre” e a quelle parole, Kaori si sentì trafiggere il cuore; Ryo, dal canto suo, avrebbe tanto voluto poterla toccare, magari prenderle la mano per rassicurarla, allora chiuse gli occhi ed espanse la sua aura. Kaori, malgrado il dolore che l’aveva invasa, e nonostante li dividesse una sottile barriera, percepì la forza dell’amore del partner, e si rincuorò. Poco prima lui aveva giurato di non conoscere quella donna, e forse era una magra consolazione, ma anche se fosse stata l’avventura di una notte, lei non aveva lasciato traccia nel cuore e nella mente del suo amato.

Ryoichi, che stranamente aveva colto un leggero trasalimento nella sua ospite, aveva fatto una pausa; non sapeva molto di donne e pensò che forse lei, come tutte le femmine, amasse i racconti romantici, e si fosse immedesimata. Quando Kaori si accorse che il ragazzo la guardava in attesa, gli sorrise e lui continuò quella strana confidenza.

“Diceva che all’epoca passavano tanto tempo insieme, che era forte e coraggioso, e aveva un animo nobile. Difendeva i più deboli e non si tirava mai indietro quando c’era da aiutare gli altri. Io allora mi sentivo orgoglioso di avere un tale padre, e le chiedevo, speranzoso, se gli assomigliassi. Lei sorrideva, e scompigliandomi i capelli rispondeva che ero un bravo bambino e che dovevo continuare così, che mio padre sarebbe stato fiero di me. Poi a volte mi guardava, con i suoi occhi neri neri, e diventava un po’ più triste, e un po’ felice insieme, e aggiungeva, accarezzandomi il viso, che sì, gli assomigliavo un poco”.

Kaori si accorse di trattenere il fiato: con tutta la sua empatia, poteva sentire la sofferenza provata da Ryoichi, quando aveva sentito prepotente il bisogno di saperne di più su suo padre; non erano forse gli stessi sentimenti di rabbia, curiosità e dolore, quelli che aveva provato anche lei, quando aveva interrogato l’amato fratello Hideyuki sulle sue origini? Quindi lo capiva benissimo. Dall’altro lato però, non poteva ignorare il fatto che i genitori del ragazzino si fossero amati e tanto.

“Col passare del tempo, però,” proseguì il racconto “queste poche cose non mi bastarono più ed iniziai ad avvertire come un senso di abbandono. Se era vero che i miei genitori si erano amati ed erano stati bene insieme, perché mio padre non era lì con noi? Perché non tornava mai a casa? Che razza di lavoro faceva, per lasciare a casa da soli me e mia madre? Provai più volte a metterla alle strette, farla parlare, ma si chiudeva in un ottuso mutismo e mi rispondeva solamente ‘quando sarai grande capirai’. Mi assaliva allora un senso d’impotenza e frustrazione che non ti dico!! Volevo spaccare tutto! E mi chiedevo quando sarebbe venuto il momento, quando sarei stato grande, finalmente!” s’infervorò.

La sweeper, che l’aveva lasciato parlare tutto il tempo, lo attirò a sé e gli mise un braccio sulle spalle; quel gesto affettuoso calmò il ragazzo, che finì per accoccolarsi fra le braccia di Kaori. Ryo percepì la variazione di aura della partner, farsi più dolce, e immaginò la scena che si stava svolgendo sopra la sua testa, ma non ne fu geloso: ancora una volta pensò a quanto grande fosse il cuore della sua dolce socia, capace di amare tutti senza riserve. Chiuse gli occhi.

Lei, quasi cullandolo, disse:

“Sai, Ryoichi, a volte ci sono cose che non possiamo comprendere, almeno non subito, e non sempre la verità è piacevole o come ce l’aspettavamo. Spesso si rimane delusi, e dopo preferiremmo non aver mai saputo niente, essere rimasti nell’ignoranza…”

“Ma io voglio sapere perché si sono lasciati!” l’interruppe lui, “Se non avessi insistito tanto, mia madre non mi avrebbe rivelato nemmeno il suo nome! Appena mi ha detto che si chiamava Saeba, Ryo Saeba, sono scappato di casa, deciso a trovarlo!” concluse con veemenza, agitandosi di nuovo.

Kaori, che aveva preso ad accarezzargli i capelli, si fermò all’improvviso, ma riprese subito per non tradirsi. Avrebbe voluto che Ryo fosse lì accanto a lei, e non relegato fra il pavimento e il materasso, ad ascoltare quelle parole senza poter dire niente, ma più di tutto avrebbe voluto poterlo vedere in viso, sondare i suoi cupi occhi neri, ricevere un sorriso che la rassicurasse. Perché più andava avanti, e più quella situazione le sembrava assurda, e le sarebbe occorsa tutta la sua proverbiale pazienza, e forza, per far fronte a quella tempesta emotiva che si stava abbattendo su di lei, ma temeva di non averne più abbastanza. Quanto avrebbe resistito ancora? Ryo le aveva detto che quella Akiko Munemori non la conosceva, ma era forse vero? Era sull’orlo di un abisso e aveva bisogno di Ryo; istintivamente lasciò cadere la mano sinistra, penzoloni fuori dal letto, e lui pronto l’afferrò con la sua, in un tocco caldo che la consolò, riempiendole il cuore. No, lei non era sola, il suo uomo era sempre con lei, e sapeva benissimo cosa stesse provando in quel momento: soffriva anche lui, e solo per un attimo lo aveva dimenticato.

Un sorriso triste le si disegnò sul viso in penombra.

In ogni caso, il giorno dopo sarebbero partiti alla volta di Shizuoka e, nel bene o nel male, avrebbero saputo la verità, forse. Ma proprio come aveva detto poco prima al ragazzo, non sempre la verità è piacevole e, a volte, sarebbe meglio non conoscerla. Come sarebbe stata questa verità?

E, mentre i due sweeper combattevano contro le emozioni suscitategli dalle confidenze di un adolescente, che soffriva la nostalgia di casa e che, ingenuamente, gli aveva aperto il suo cuore, lui si era leggermente assopito, cullato dal calore della bella sweeper e dalle sue mani amorevoli. Con la voce impastata dal sonno, Ryoichi parlò di nuovo, facendola quasi trasalire e strappandola dai suoi mille pensieri. Disse:

“Sai? Mi piace tanto tuo fratello Ryo. È divertente, sa un sacco di cose, m’ispira forza e fiducia. Sto bene con lui. Vorrei… vorrei che mio padre gli assomigliasse…” concluse con uno sbadiglio.

Altro colpo al cuore della povera Kaori.

Per Ryo non fu da meno.

Si sentirono annientati.

Nella ridda di sentimenti contrastanti che imperversavano nelle teste dei due, c’era così tanto struggimento, incomprensione, un senso d’ingiustizia, di rifiuto anche, che si scontravano con l’affetto che era nato per questo ragazzino coraggioso e sfortunato, che avevano avuto la ventura d’incontrare… quando? Appena il giorno prima.

Era sceso uno strano silenzio nella stanza, e Kaori non fu in grado di spiccicare una sola parola. Ben presto però si accorse, dal respiro lento e profondo di Ryoichi, che si era infine addormentato; la ragazza pensò ironicamente che, fra i tre, probabilmente lui sarebbe stato l’unico, quella notte, che avrebbe dormito. Poi il senso pratico della sweeper prese il sopravvento, e si disse che loro due non avrebbe potuto dormire insieme, non tanto perché poi, con Ryo, lei avrebbe fatto chissà che cosa – anzi, per come si sentiva, le era passata anche la voglia – ma non era decoroso che una giovane donna dormisse con un giovane maschio come lui, soggetto per giunta a quegli attacchi d’innamoramento folle. E in ogni caso, aveva bisogno di rimanere da sola, di raccogliersi nei suoi pensieri, di fare un po’ di chiarezza, ammesso che ci fosse riuscita.

L’udito fine di Ryo aveva già percepito, nel silenzio, che il ragazzo era sprofondato nel sonno e, senza che la socia gli dicesse niente, cautamente era uscito dal suo nascondiglio. Lo sguardo che le rivolse era da stringere il cuore: lui, che aveva sempre taciuto i suoi sentimenti, e indossato la maschera del cinico impenetrabile uomo di mondo, ora la guardava con occhi imploranti; tutto in lui esprimeva il bisogno di essere scusato, perdonato, per una colpa che… era poi la sua? Un senso d’impotenza aveva colto i due giovani e Kaori trattenne un singhiozzo. Avrebbe voluto saltargli addosso o allargare le sue braccia per accoglierlo e stringerlo a sé fino a soffocare, ma ancora una volta, e non solo metaforicamente, Ryoichi era fra di loro, gli impediva di amarsi, di raggiungersi.

Si guardarono significativamente e, in un muto dialogo, si amarono con gli occhi; poi la ragazza abbassò il viso verso quella testolina nera che riposava appoggiata alla sua spalla. Ryo capì e, facendo il giro del letto, si ritrovò sull’altra sponda: lentamente staccò il ragazzino da quel nido caldo che era il corpo di Kaori, e lo prese sulle braccia. Il suo fisico slanciato e magro non pesava niente, e tra le braccia di Ryo, così addormentato, sembrava veramente il bambino che ancora era. Nonostante la confessione di poco prima avesse straziato il cuore di entrambi, gli sweeper non poterono impedirsi di pensare che quella fosse una scena intima e familiare, in cui il loro bambino si era addormentato nel lettone, in seno alla mamma, e veniva riportato a letto dal suo papà.

Ryo, tenendo in braccio il ragazzino e voltandosi per uscire, lanciò uno sguardo alla sua donna: quella notte avrebbero dormito separati? Sarebbe stata la prima da che si erano messi insieme, ma in quelle condizioni forse non sarebbe stato il caso. L’uomo avrebbe tanto voluto tornare indietro e raggiungere Kaori, dopo aver depositato Ryoichi nel suo letto, ma, mentre era lì fermo, questi si mosse nel sonno e disse:

“Ryo, sei tornato? Finalmente…” e sorrise.

Questo decise per tutti.

Lo sweeper, incredibilmente, si sentì sopraffatto da un’ondata di affetto per quel mocciosetto adorabile, e sorrise, più felice di quanto si sarebbe aspettato. Era anche la prima volta che si affezionava ad un rappresentante di sesso maschile, seppure giovane, e che avesse con lui un atteggiamento paterno; quando avevano conosciuto il piccolo Takuya, lui si era divertito ad insegnargli come essere uomo, a modo suo, quindi era stato più un fratello maggiore che un padre; ma con Ryoichi era diverso. Pur opponendosi con tutte le sue forze alla possibilità che lui fosse il frutto dei suoi lombi, allo stesso tempo finiva per comportarsi come un padre.
Con il cuore in subbuglio, si girò verso la sua Kaori e le sorrise con amore, e le disse:

“Buona notte Kaori-chan” a voce alta, per poi aggiungere, solo con le labbra “Ti amo!

Poi uscì, portando il ragazzino con sé. Appena scomparvero dietro la porta, Kaori sospirò. Si distese e spense la luce, sperando in un sonno che, suo malgrado, sarebbe arrivato parecchie ore più tardi, poco prima che suonasse la sveglia.

Lungo il tragitto dalla camera di Kaori a quella degli ospiti, Ryoichi, ancora mezzo addormentato, disse a Ryo:

“Mi sono innamorato. Tua sorella Kaori mi piace tantissimo, non credi che sia adorabile?”

“Oh sì, lo è!”

E quando lo depositò sul letto, il ragazzino si girò su un fianco sospirando:

“Kaori… amore mio”.

E Ryo non poté impedirsi di pensare:

Ma guarda questo! Amore mio! No, amore mio!

Anche Ryo s’infilò nel letto sospirando, e si augurò di dormire almeno un po’; l’indomani li aspettava una giornata campale. Però gli rincresceva di stare da solo, non era più abituato, e la sua compagna gli mancava di già. Si addormentò molto dopo, pensandola; e, nel sonno, continuò a sognarla.

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Capitolo 7
*** Un momento tutto per noi ***



Piano piano è arrivato anche il cap. 7.
A differenza degli altri qui un po’ di “azione” c’è, chissà se l’apprezzerete? :-D
Grazie come sempre alle mie fedelissime, che mi seguono e commentano, a chi legge e va, a chi ha messo questa umilissima storia fra le preferite/ricordate/seguite. Vi adoro <3



Cap.7 Un momento tutto per noi
 
Kaori, stanca di rigirarsi nel letto, si alzò ben prima che suonasse la sveglia. Le sembrava di rivivere l’ansia di quella notte, prima dello scontro con Kaibara, ma almeno quella volta, e inaspettatamente, c’era Ryo con lei, e l’avevano passata vegliando, a parlarsi, consolarsi, farsi forza a vicenda. Ed era stato uno dei momenti più intensi che avessero mai condiviso. Adesso invece, che erano finalmente una coppia, per uno strano scherzo del destino, stavano passando quelle interminabili ore d’attesa, separati.

Scesa dal letto, andò all’armadio in fondo alla stanza, lo aprì e si incantò a guardare i suoi vestiti appesi accanto a quelli di Ryo, e pensò che ancora non le sembrava vero. Allungò una mano a scorrerli come fosse una carezza e, in mancanza del proprietario di quelle camicie, si accontentò di accarezzare solo quelle. Anzi, ne prese una e se l’avvicinò al viso, ne aspirò il profumo e, pur essendo questa pulita e fresca di bucato, portava comunque traccia dell’inconfondibile odore di Ryo. Ed ora i loro vestiti erano lì, insieme, pigiati a stretto contatto uno con l’altro, e anche i loro profumi personali si mescolavano; e questo era, nella sua semplicità, meraviglioso.

In punta di piedi, si diresse al piano di sotto, dischiuse la porta della stanza degli ospiti e guardò dentro. Ryoichi dormiva beato e disordinatamente, in un ammasso di cuscini e lenzuola, nell’innata incoscienza della gioventù; il primo pensiero che le venne in mente fu: “Ma dorme tutto scoperto! Così prenderà freddo!” e quasi sarebbe andata a coprirlo, se non si fosse ricordata che era estate, e che probabilmente aveva caldo e si era scoperto per quello. Poi volse lo sguardo verso il suo amore di sempre. Lui era disteso, supino, con un braccio ripiegato mollemente sopra la fronte. Anche lui era scoperto, senza il lenzuolo ad impedirgli i movimenti, ma fortunatamente aveva avuto il pudore, per rispetto del ragazzino, di non dormire nudo. Indossava però solo i pantaloni del pigiama. La lama di luce proveniente dal corridoio gli arrivava quasi sul viso, e socchiuse un poco la porta affinché questa non lo disturbasse tanto da svegliarlo, ma il chiarore era comunque sufficiente per mostrarle la bellezza di quel viso tanto amato. Sentì nascere dentro di sé un moto d’affetto fortissimo, e sorrise a quella visione; si poteva amare più di così un essere umano, come faceva lei? Ryo era tutta la sua vita, gli si era votata anima e corpo e non poteva più immaginare un’esistenza senza di lui. Il suo amore finalmente corrisposto, era esploso senza più barriere, e se prima era solo gelosa e insicura, perennemente spaventata al pensiero di perderlo, ora sapeva che il suo cuore non avrebbe retto al colpo di perderlo sul serio. Provò l’istinto di raggiungerlo, d’intrufolarsi nel suo letto, e stringersi a lui; aveva un disperato bisogno di sentire il suo calore, la sua presenza. Si sarebbe accontentata di trascorrere ciò che rimaneva di quella notte, lì così, accanto lui. Ma non poteva. Sospirò.

Richiuse la porta silenziosamente e si diresse in cucina. Svogliatamente si preparò un caffè forte, vi mise un sacco di zucchero, proprio come piaceva a lei, e le venne da sorridere: Sugar, il motivo per cui l’aveva chiamata così. Non era iniziato così tanto tempo prima? Il loro amore tormentato non era forse nato quel lontano giorno in cui lei era scappata di casa, e l’aveva spiato e poi successivamente conosciuto? Gli aveva subito confidato i suoi problemi di ragazzina ribelle, gli aveva rivelato di sapere che non era la vera sorella di Hideyuki, ma che era stata adottata… Perché proprio a lui? E lui? Cosa ne sapeva di lui? Niente. Le era parso subito un ragazzo strano, una via di mezzo fra un criminale, uno dei tanti che combatteva, e un poliziotto come Maki; una persona dalla vita disordinata, che non aveva nemmeno una vera abitazione, con dei veri mobili, perché quando l’aveva portata lì, a casa sua, si erano seduti per terra fra le casse di legno e gli scatoloni. Eppure… perché si era comunque fidata? E perché lui non era stato scortese con lei, non l’aveva scacciata? Di sicuro era lontana anni luce dalle donne che, ne era certa, lui frequentava.

Prese la sua tazza di caffè bollente, con una vistosa K disegnata sopra, e si diresse in terrazza. Le era sempre piaciuto osservare il sorgere del sole sopra la città: le dava speranza, le infondeva forza ed energia. Lei era una ragazza che preferiva prendere di petto le cose della vita, non le piaceva stare troppo a rimuginare sui problemi, principalmente su quelli che aveva con Ryo, almeno fino a qualche mese fa; quindi, ogni volta che si sentiva vacillare nel suo proposito di restargli accanto nonostante tutto, di continuare ad amarlo contro ogni più rosea previsione, andava fin lassù e si perdeva in quel liquido rosso mare, che sorgeva ad oriente. Chiudeva gli occhi e si faceva invadere dai raggi del sole nascente, che la liberavano dalle angosce e dalle paure della notte, vivificandola. E se il sole rinasceva ogni giorno, perché non poteva farlo anche lei? Era quella la sua forza. Ricominciare ogni giorno.

Anche quella mattina era salita in terrazza con il medesimo scopo: oggi avrebbero conosciuto la verità, avrebbero scoperto, forse, se Ryoichi era o meno il figlio naturale di Ryo, e lei aveva bisogno di tutta la sua energia. Doveva ricaricarsi, recuperare il suo innato ottimismo. Però perché, nonostante fosse estate, e il sole iniziasse allora a dispiegare sul mondo i suoi tiepidi raggi, lei rabbrividiva? Si strinse contro il corpo la camicia di Ryo ma, un secondo dopo, si sentì avvolgere da dietro in un caldo abbraccio, e socchiuse gli occhi grata e felice.

“Ti ho svegliato, prima?” sussurrò lei.

“No, ero preda di un fastidioso dormiveglia, già da un po’. Ti ho sentita arrivare, ma non ho detto niente, perché temevo che Ryoichi si svegliasse” e le appoggiò il viso nell’incavo del collo, aspirandone il profumo, e chiudendo a sua volta gli occhi.

Poi le sfilò dalle dita la tazza e se la portò alle labbra, sorseggiò la bevanda e disse:

“Zucchero! Ma quanto ne hai messo?”

“Il giusto! È così amara la vita!” poi però, scoppiò a ridere lei per prima, di questa sua uscita seriosa. Voltò il viso verso Ryo e gli sussurrò sulle labbra, prima di baciarlo:

“Grazie di essere venuto”.

“Ho sentito che avevi bisogno di me… o meglio, sono io che ho bisogno di te” e le restituì il bacio.

Kaori si girò completamente, fino a trovarsi di fronte a lui, stretta nel suo abbraccio forte e dolce insieme: quello era il suo uomo, e non doveva temere di perderlo; e lui, nemmeno riuscisse a leggere nei suoi pensieri, guardandola intensamente, con occhi neri e adoranti, le disse:

“Amore mio, ho scoperto troppo tardi che mi avevi rubato il cuore, e non è servito a niente sfuggirti e tenerti lontana da me. Io ti appartengo da sempre, come tu sei mia, e non sarà questa fantomatica Akiko a dividerci, a portarmi via da te. Non so perché ha detto, a quel povero ragazzo, che sono suo padre, perché io, ti giuro, non la conosco… e non solo non ricordo il suo nome, ma nemmeno il suo viso mi dice niente”.

Ryo tacque, perdendosi negli occhi luminosi di Kaori, mentre il sole alle sue spalle l’investiva con i suoi raggi, facendole risaltare il colore naturale dei capelli. Lui si accorse, allora, che il suo amore per lei era così grande che quasi sentiva male al cuore; avrebbe voluto proteggerla da tutti i mali del mondo, avrebbe voluto che fosse sempre felice, e provò uno struggimento così forte al pensiero di perderla, che si sentì quasi soffocare. Niente era mai stato facile per loro, non erano due persone come le altre; ma in quel momento, erano due semplici amanti, sul tetto di un palazzo, al sorgere del sole, che si stringevano in un abbraccio potente e consolante. E allora seppe che avrebbe sempre lottato per il loro amore, fino allo stremo delle forze, che quello era il solo scopo della sua vita, l’unica ragione per continuare a vivere.

Le ciglia di quegli occhi meravigliosi che lo incantavano, brillavano di piccolissime, timide lacrime, ma lo sguardo di Kaori era radioso e fiducioso; esprimeva così tanto amore e riconoscenza che Ryo si sentì perso e realizzato allo stesso tempo.

Si fusero in un bacio meraviglioso, al sapore di amore e di caffè.

Se anche non avevano potuto passare la notte insieme, almeno quello era un momento dolcissimo tutto loro. Poco dopo, allontanandosi leggermente, Ryo la guardò con aria provocatoria e le disse:

“Sugar, da quando sei diventata una ladra? Quella non è forse la mia camicia? Direi che la rivoglio!”

Ma lei, che nel frattempo si era sciolta dal suo abbraccio, gli rispose, ormai ad un passo da lui:

“Ah sì? Se proprio ci tieni, vieni a riprendertela” e schizzò via, correndo e ridendo, per la terrazza.

Ryo, che non se lo aspettava, credendo che avrebbe potuto sfilargliela come niente fosse, e beneficiare della vista di quel suo corpo armonioso e seducente, ne rimase interdetto. Un attimo prima era lì, fra le sue braccia, ed ora voleva farsi rincorrere come una bambina; una bellissima bambina però, con un sedere perfetto che, seppure imprigionato in una semplice mutandina che le evidenziava le forme, giocava a nascondino sotto i lembi della camicia svolazzante.
“Bene” si disse “il gioco si sta facendo interessante!” e poi, non era il suo passatempo preferito correre dietro alle donne? Questa però, era sicuro, voleva farsi prendere, e già pregustava il seguito. Quindi scattò anche lui dietro la socia sghignazzante, che per la corsa era già diventata tutta rossa in viso, e i suoi occhi rilucevano di gioia e voglia di vivere. Si disse che di lì a poche ore ci sarebbe stata una sorta di resa di conti, forse, e che magari la loro vita sarebbe cambiata per sempre; ma loro erano lì, ora, e come al solito volevano approfittare di ogni più piccolo momento passato insieme.

La distanziò volutamente e non la raggiunse subito, anche se avrebbe potuto farlo in un baleno, con quattro falcate delle sue e con tutta la sua potenza e agilità, ma era così bello correrle dietro e schivarsi, rincorrersi, fare capolino dietro i comignoli e i ripostigli sul tetto; sembravano due bambini e si divertivano enormemente con poco.

Ad un certo punto, con un balzo, Ryo riuscì ad acciuffarla perché Kaori glielo lasciò fare, e lui l’attirò a sé; entrambi ansavano e si guardavano col desiderio negli occhi, dimentichi di Ryoichi che dormiva ignaro qualche piano sotto di loro, del viaggio verso Shizuoka che fra breve avrebbero dovuto intraprendere, di Akiko Munemori, di tutto il mondo. Erano giusto arrivati davanti alla porta di metallo di uno di quei ripostigli sul tetto, e Ryo vi si appoggiò con le spalle poderose; ma l’apertura cedette di schianto e caddero lunghi distesi, dentro il magazzino polveroso. Subito ci fu un gran frullo d’ali, e qualche piccione scappò via svolazzando in un turbinare di piume, penne e polvere. Kaori si ritrovò stesa sopra il socio, che ancora la stringeva, e ripresisi dallo stupore e dalla caduta, lui le disse ridendo:

“Signorina Makimura, ma quanta esuberanza!! Se mi voleva così tanto, bastava chiederlo!”

E lei, sempre ridendo, gli rispose:

“Idiota, stai zitto e baciami!”

“Agli ordini!” e si riappropriò delle sue labbra.

Finalmente erano completamente soli, e in un posto in cui non li avrebbe trovati nemmeno Ryoichi; magari non era uno dei più romantici o comodi, l’odore non era invitante, ma loro non ci fecero troppo caso.

Se avessero dato retta alla frenesia e all’urgenza che sentivano scorrere nelle proprie vene, sarebbero finiti per fare tutto in fretta, ma si costrinsero a rallentare per assaporare quel loro momento magico.

E dopo un bacio interminabile e appassionato, si staccarono senza fiato. Ryo teneva le mani possessivamente sui glutei della compagna, quasi a spingerla e a far aderire maggiormente i loro corpi; Kaori si era avvinghiata a lui: lo aveva avvolto con le braccia, sul collo e sulla nuca, affondando le mani nei suoi capelli corvini e deliziosamente spettinati. Lui la fissò con sguardo furbo e le ripeté, scandendolo:

“Voglio. La. Mia. Camicia.”

“Prendila” le rispose lei in un sussurro, con la voce roca, velata dal desiderio.

Allora Ryo spostò le mani da quel delizioso e morbido sederino e risalì la schiena della compagna, intrufolandosi sotto il tessuto della camicia, in una carezza infinita e delicata, ma piena di sottintesi inequivocabili, che accesero brividi elettrizzanti nel corpo della ragazza. Ryo raggiunse le spalle e con un movimento fluido le abbassò le spalline e le sfilò le maniche; Kaori lo lasciò fare, affascinata dallo sguardo tenero e adorante del suo compagno. Si stupiva ancora della delicatezza che sapeva usare con lei; era questo un aspetto nuovo della sua personalità, che la mandava in visibilio.

Gettata da qualche parte la camicia, in quel nido d’amore improvvisato, la ragazza afferrò le mani del compagno e le guidò al suo seno, ancora prigioniero di un reggiseno di pizzo bianco, e con un filo di voce gli chiese:

“Vuoi anche questo?”

La voce di quella donna, certi toni che riusciva a modulare, erano per lui un potente afrodisiaco, più delle parole e del loro significato; Ryo si sentì travolgere da una potente ondata di vertigini. Non gli era mai successo di perdere totalmente la testa per una donna come con Kaori; era completamente alla sua mercé ed era felice di esserlo, come se tutto quel tempo non avesse vissuto che per quei momenti, per essere completamente suo.

L’uomo appoggiò le mani sul seno superbo della socia, il quale non chiedeva altro che di essere liberato dal tessuto sottile che lo conteneva, e si sentì infinitamente grato di poterla toccare, lei, la sua dea, con venerazione. Fece scorrere le dita sulla stoffa e con un tocco da maestro fece saltare i gancetti. Ed ecco, si emozionò a quella vista meravigliosa.

Si sorrisero, poi Kaori si abbassò su di lui e coprì la sua bocca, dalle labbra carnose e voluttuose, con la propria, dando il via alla loro personalissima, intima, danza.

Si amarono come fosse la prima volta, riscoprendo nuovamente il corpo dell’altro, in un crescendo di voluttà e desiderio, di amore e complicità. Ripercorsero i sentieri tracciati nei giorni scorsi e ne aggiunsero degli altri, senza perdere mai di vista la meta finale, che rimaneva sempre la stessa, e cioè ricoprire d’amore l’altro, donandogli più piacere possibile.
 
 
***
 
 
 
Quando si riscossero dal leggero assopimento in cui erano caduti dopo aver fatto l’amore, sospirando si preparano a scendere di sotto, pronti ad iniziare la loro nuova avventura. Scoppiarono però a ridere, guardandosi, perché avevano i capelli arruffati e qualche piuma era rimasta impigliata nei ciuffi scomposti. La polvere era praticamente dappertutto, e la famosa camicia non era più così pulita come all’inizio. Urgeva una doccia ma, per ovvi motivi, decisero di farla separatamente.


 

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Capitolo 8
*** Verso Shizuoka ***


Salve gente! Eccoci qui al cap.8. Solo dopo mi sono accorta che è cortino, ma non avrei potuto fare altrimenti. ;-)
Come sempre ringrazio TUTTI chi legge, chi commenta, chi passa e va. Vi ammiro per la vostra pazienza  e dedizione ahhahaha :D




Cap. 8 Verso Shizuoka


 
Dopo aver lasciato il bagno libero al suo compagno, mentre lui si lavava, Kaori tornò in camera a vestirsi e a riempire un borsone con dei vestiti per loro due; non sapeva quanto sarebbero stati via, ed ufficialmente andavano al mare, così avevano detto a Ryoichi, ma meglio prepararsi ad ogni evenienza.

Poi scese di sotto a preparare la colazione, ma prima volle passare a svegliare il ragazzino. Entrando nella camera degli ospiti disse:

“Ryoichi? Forza, è l’ora di alzarsi!” e si diresse alla finestra a tirare le tende. Il chiarore improvviso invase il bel viso del ragazzo e questi si voltò dall’altra parte, affondando la faccia nel cuscino. Mugugnò un:

“Dai… ancora un altro po’, mamma!”

Kaori trasalì nuovamente. Si sarebbe mai abituata a queste scappate del ragazzo? Per impedirsi di approfondire la questione, decise di risolvere la cosa a modo suo; si diresse verso di lui dicendo:

“Ma che mamma e mamma! Io sono Kaori! Su, forza, sbrigati che dobbiamo prepararci!”

“Kaori… amore mio…”

Un corvetto impertinente svolazzò sopra la sweeper, mentre un gocciolone di sudore le colava a lato della tempia. Si riscosse e, piantando le mani sui fianchi, aumentando il tono della voce, riprese:

“Ryoichiiiiiiiiiiii??? Muoviti! Abbiamo un caso da risolvere!” poi facendo violenza su sé stessa:

“Lo vuoi trovare sì o no, ’sto Ryo Saeba?”

A quelle parole il ragazzo saltò su, subito sveglio. Scese dal letto ciabattando e si mise a girare per la stanza come un forsennato, mentre la donna lo guardava perplessa. Con voce atona gli disse:

“Ryoichi? Il bagno e là” indicandogli la porta. Lui si fermò di colpo, ad un passo da lei e la fissò senza dire una parola.

La guardava attentamente, ma non emetteva fiato; il tempo passava e Kaori iniziava a sentirsi a disagio, e finì per sbottare con un:

“Ma insomma, si può sapere cos’hai?”

“Kaori dimmi, ma… ma… cosa ti è successo? Ti sei fatta male per caso?”

“Che stai dicendo? E perché poi?”

“Perché hai uno strano segno rosso sul collo…”

Kaori sbiancò, e automaticamente si portò la mano dove sapeva che c’era… un succhiotto.
Dannazione” pensò “Ci voleva anche questa. Ryo, Ryo, Ryo… è sempre colpa sua!” e se normalmente le avrebbe anche fatto piacere la cosa – anzi, fino a poco tempo prima nemmeno se lo sognava di poter andare in giro a sfoggiare il marchio dell’amore del suo socio – adesso era a dir poco imbarazzante. Iniziò a ridacchiare:

“Eh eh eh eh eh, ma niente, mi ha punto… mi ha punto un calabrone, sì, sì!” e si augurò che il ragazzino fosse digiuno di certe cose e non lo riconoscesse per quello che era, perché rincarò la dose dicendo:

“Ma quando è successo? Stanotte? Perché ieri sera non ce l’avevi… diversamente me lo sarei ricordato.”

Accidenti! Questo mi guarda un po’ troppo!” pensò, però rispose: “Sì, mi ha punto stamattina… su di sopra, in terrazza” che poi, a pensarci bene, era anche la verità, rise mentalmente.

“Ah, che peccato… ma ti fa molto male?”

Il ragazzo proprio non mollava l’osso. Kaori, quasi spazientita, tagliò corto con:

“No, no, va tutto bene! Su, avanti, fila a lavarti che la colazione ti aspetta.”

Finalmente Ryoichi lasciò cadere l’argomento ma, passandole vicino, si allungò appena sulle punte e le schioccò un bacio sulla guancia.

La ragazza ci rimase di stucco, poi sorrise divertita, scuotendo la testa.

Sentì il ragazzino in salotto salutare Ryo, che evidentemente era sceso anche lui, e dirgli:

“Ryo, ma lo sai che Kaori stamattina è stata punta da un calabrone sul collo?”

Kaori inghiottì a vuoto: ed ora? Cosa avrebbe risposto Ryo? Che razza di situazione! Il ragazzino proseguì:

“Sì, stamattina, in terrazza! Poverina, chissà che male le ha fatto! Ma… ma… sei stato punto anche tu? E nello stesso posto poi!”

Kaori decise di uscire allo scoperto e di interrompere quei discorsi, prima che il tutto degenerasse. Ci mancava solo che il socio gli spiegasse che quello era un succhiotto, e come si facevano e perché, e soprattutto prima che lui si vantasse di averlo ricevuto da… da… chissà chi. Già sudava freddo.

Entrò a passo di carica, dicendo:

“Su, dai, non perdere tempo, vai vai!” e fece il gesto con le mani di indirizzarlo verso il bagno.

Appena il ragazzino scomparve dietro la porta, i due soci si guardarono e ridacchiarono. Poi Ryo disse:

“Un calabrone, eh?”

“Sì, bello grosso e fastidioso” rispose lei.

“Ah, sì? Eppure non mi era parso che t’infastidisse così tanto… cara la mia apina” e le sorrise con sguardo da seduttore.

Ecco che stavano ricominciando a flirtare di nuovo, ancora ebbri dall’avventura nello sgabuzzino. Ora però non potevano arrischiarsi di lasciarsi andare un po’ troppo, con Ryoichi sveglio e in giro per casa; raffreddarono i motori, preferendo rivolgere i discorsi e l’attenzione a problemi più concreti e meno eccitanti.

Stabilirono che, fino all’ultimo, non avrebbero detto niente al ragazzo, e che cioè era loro intenzione andare direttamente da sua madre a chiedere spiegazioni. Certo, il caso era il loro ed erano padroni di svolgere le indagini come meglio credevano, ma perché inimicarselo per niente? C’era troppo in ballo, per stare lì a discuterne e spiegargli le loro ragioni.


 
Poco prima di scendere in garage, dopo una sostanziosa colazione, Ryo fece in modo di trovarsi da solo con Kaori nella loro stanza, dove lei era salita per prendere il borsone. Lei si stupì di trovarselo alle spalle mentre armeggiava con la chiusura lampo; lui accostò la porta e le sussurrò all’orecchio:

“Hai preso il costume da bagno?”

“Ma che… ma davvero andremo al mare?”

“E perché no? Il ragazzo ha detto che abita in un villaggio di pescatori, e lì a Shizuoka ci sono spiagge meravigliose!”

Lei lo guardò sorridendo, e scrollando la testa rassegnata; Ryo non sarebbe davvero cambiato mai: anche nel bel mezzo di una battaglia, nella situazione più tesa e drammatica, avrebbe sempre trovato il modo per fare battute e soprattutto per godersi la vita. Lo conosceva fin troppo bene, ormai, per sapere che non era quel superficiale che voleva a tutti costi apparire: anche lui era preoccupato, ma non voleva che questo rovinasse loro la giornata. A che pro iniziare a preoccuparsi fin da subito? Li aspettava un viaggio in macchina di più di due ore, quindi…

Chiese di nuovo:

“Allora? L’hai preso il costume da bagno? E se sì, quale? Quello intero monospalla? O quello sgambatissimo che avevi quella volta? Oppure… oppure quel favoloso bikini che…” e già i suoi occhi si inumidivano di desiderio, ma lei l’interruppe dicendogli:

“Ma sentilo!! Non ti facevo così attento! Vedo che ti ricordi benissimo tutte le volte che ho indossato un costume.”

“Tesoro, e come avrei potuto fare diversamente? Tu sei uno schianto di donna, e credimi, ho veramente fatto i numeri per non saltarti addosso ogni volta!”

“Che idiota!” rispose lei, arrossendo di piacere e di stizza; se ripensava a quanto l’aveva fatta penare, a quanto l’aveva disillusa e tacciata di essere un travestito, un mezzo uomo senza nessuna forma e attrattiva! Poteva considerarsi contenta, ora? Be’, sapere che l’aveva sempre desiderata, alla fine era una bella soddisfazione. Sospirò.

Lui riprese:

“Comunque, mi fai impazzire in costume, ma… ti preferisco senza!”

“Ma smettila!” rispose lei, ridendo, anche se sapeva che… diceva la verità.

Poi lui si fece improvvisamente più serio e le chiese:

“Kaori, sei pronta?”

Anche lei si fece seria e, guardandolo intensamente negli occhi, rispose:

“Sì, sono pronta. Andiamo.”

 
***

 
Scesero tutti e tre in garage, e Ryoichi rimase sbalordito dal parco macchine di Ryo e Kaori. Lì dentro c’era di tutto: oltre alla Mini rossa, c’era un’Autobianchi A 112 Abarth, una Toyota Sports 800, addirittura un camion Quad Gun Tractor, la Mazda Carol 360 di Hideyuki, e l’Honda Ballade Sports CR-X blu e bianca di Kaori. Ma soprattutto, quello che più attirò l’attenzione del ragazzino, fu la moto, una nera Harley-Davidson WL.[1] Vi si avvicinò come se fosse un idolo di metallo, gomma e pelle; sfiorò appena la sella e il manubrio e, volgendosi a guardare Ryo, con brillanti occhi neri, chiese:

“Ma… ma è tua?”

Ryo annuì soddisfatto. In realtà l’usava pochissimo, perché gli preferiva la Mini, più versatile e più comoda per gli spostamenti, soprattutto da quando City Hunter era diventato un duo – e cioè da quando Kaori era entrata nella sua vita – anche se si ricordava benissimo che effetto gli aveva fatto, quell’unica volta che erano andati via insieme con la moto. E già si perdeva nei suoi pensieri piccantini… anzi, si ripromise che era ora ormai di ritirarla fuori e andarci a fare, magari, una gita al mare o in montagna, lui e la sua fidanzata. Si riscosse quando il ragazzino gli disse:

“Ryo, è bellissima! Mi porteresti a farci un giro, giorno?”

Lo sweeper trasalì. Stava per rispondere di getto:

Ma certo figliolo”, poi però il suo cuore si contrasse; lui non era il suo figliolo, non in quel senso, almeno. Di sicuro avrebbe potuto esserlo, come età e come tutto, ma no, non era suo padre. E comunque, anche se non fosse stato suo figlio veramente, lo stavano riportando a casa, a più di 110 km da lì, insomma… Si confuse ancora di più.

Kaori, avendo capito i pensieri che si stavano agitando nella mente del suo uomo, gli venne incontro e, prima che Ryo riuscisse a dire qualcosa, lei incalzò con:

“Forza ragazzi, non perdiamo altro tempo. Visto che il viaggio sarà lungo, prenderemo la mia macchina, la CR-X! Che ne dici Ryo, vuoi guidare tu?”

Lo sweeper annuì e salirono in macchina in silenzio; poi però, Ryo si sentì in colpa vedendo la faccia delusa del ragazzino: non gli aveva ancora risposto, e lui l’aveva preso come un rifiuto. Si voltò verso di lui, che sedeva dietro, e gli scompigliò i capelli dicendogli:

“Te la farò guidare quando avrai l’età per farlo, ok?”

Questo era molto di più di quello che avrebbe potuto sperare Ryoichi, anche se… quanto ancora avrebbe dovuto aspettare? Però si rincuorò all’istante, e con aria sognante chiese:

“Promesso?”

“Promesso!”

Ryo mise in moto, e finalmente presero la via di Shizuoka.

Poco dopo erano già sull’autostrada e chiacchieravano allegramente. Dal di fuori sembravano veramente una famiglia felice in gita.

 
***
 


Era già passata un’ora dalla partenza, ed erano quasi a metà strada. Complice il caldo e la noia, Ryoichi aveva finito per addormentarsi, e i due sweeper, guardandolo con affetto, tacquero, chiusi nei loro pensieri; nonostante tutto, erano abbastanza sereni. Ryo allungò una mano a sfiorare quella della compagna, e lei gli sorrise con gratitudine e affetto. Insieme, era ciò che in quel momento pensavano.

Quando Ryo giunse in prossimità del confine con la prefettura di Shizuoka, un’auto che si era immessa a tutta velocità nella corsia accanto alla loro, gli tagliò la strada, e lo sweeper fu costretto a sterzare bruscamente per schivarla. L’improvviso sballottamento della vettura svegliò di soprassalto il ragazzino che, appena riprese i contatti con la realtà, fece giusto in tempo a vedere scorrere sopra di loro il cartello con la scritta “Benvenuti nella prefettura di Shizuoka”. A quel punto saltò su e, quasi urlando, disse:

“Mi state riportando a casa!!”

“Ryoichi…” iniziò a dire la ragazza.

“No, no e poi no! Perché mi state riportando a casa!? Io mi fidavo di voi!” iniziò a strepitare.

“Ragazzino…” provò a dire Ryo.

“No, non vi ascolto! Mi avete ingannato. Mi avete preso in giro tutto il tempo. Non credete che esista mio padre e non volete aiutarmi, ecco perché mi riportate a casa!”

Il ragazzo stava urlando e non sentiva ragioni, era preda di una crisi isterica. A quel punto Ryo accostò su una piazzola di sosta e inchiodò. Quella brusca frenata, ebbe il potere di zittire il ragazzino.

“Stammi bene a sentire, mocciosetto!” iniziò lo sweeper “Tu ci hai ingaggiato per trovare tuo padre, e noi lo troveremo. Le indagini le facciamo noi, e noi stabiliamo le regole. Ora, stiamo andando da tua madre per farle delle domande, non ti stiamo riportando a casa. Quindi smettila di frignare e falla finita!” concluse recisamente Ryo. In realtà non voleva essere così duro, ma seppur lui e la socia facessero di tutto, per tenere a bada il nervosismo che tutta quella maledetta storia gli stava provocando, questa era stata la scintilla che aveva innescato la sua esplosione; la tensione c’era, ed era subdola, sotterranea, ma palpabile. In ogni caso Ryoichi ammutolì, e abbassò la testa dispiaciuto. Riuscì a dire:

“Scusa, hai ragione.”

Ryoichi non poteva sapere quanto la sua comparsa, e soprattutto la sua richiesta, avessero sconvolto la vita dei due, però aveva reagito in maniera impulsiva, da ragazzino quale era.

Kaori, che non aveva osato interrompere il suo compagno, allungò una mano a toccare il ginocchio del ragazzo, che si sentì stupido e si vergognò ancora di più; lei lo chiamò dolcemente e, a quel tono carezzevole e quasi implorante, rialzò il viso. Di nuovo fu rapito dai suoi occhi buoni e comprensivi e sentì che l’avevano perdonato. Girò lo sguardo verso Ryo, un po’ titubante, ma l’uomo lo fissava con un mezzo sorriso incoraggiante. No, non ce l’avevano con lui, non erano arrabbiati. Si sentì sollevato.

“Bene, allora” disse infine lo sweeper “Ora che sai con esattezza dove siamo diretti, dovrai essere tu a guidarci, a dirci dove andare” e già Kaori era scesa per cedergli il suo sedile davanti. Si scambiarono velocemente di posto e, passandole vicino, Ryoichi le disse:

“Ma non ci hai messo niente su quella brutta puntura? Sta diventando viola!”

E la sweeper per poco non cadde a terra a gambe all’aria.
 
 
[1] Questo lungo elenco del parco macchine del duo City Hunter, l’ho preso direttamente da un approfondimento apparso in un volumetto dell’edizione Panini del manga ;-)

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Capitolo 9
*** Io sono Akiko Munemori ***


E finalmente conosciamo questa fantomatica Akiko Munemori…
Per il resto che dire? Vi ringrazio per le belle rec, sentite e partecipate: vuol dire che vi state appassionando a questa storiella e la seguite volentieri *.* GRAZIE!
Grazie anche a chi legge silenziosamente, a chi ha messo la mia fic fra le ricordate, preferite e seguite… <3





Cap. 9 Io sono Akiko Munemori
 
“Ecco, questa è la mia casa” disse Ryoichi allo sweeper, facendolo fermare davanti ad una casetta di due piani, in stile tradizionale giapponese, con tanto di piccolo giardino di fronte.

Il ragazzino scese dalla macchina, titubante, e si guardò indietro per accertarsi che i suoi nuovi amici lo stessero seguendo.

Ritornare a casa non era per niente facile per lui: era pur sempre scappato, e sua madre, quando l’aveva chiamata al telefono, era furiosa; temeva di venir punito e soprattutto non voleva che lo sgridasse davanti a City Hunter.

Ryo gli fece un cenno d’incoraggiamento, affinché proseguisse.

Il ragazzo prese allora le chiavi di tasca e aprì il cancelletto d’entrata, e, appena messo piede dentro, si sentì una voce femminile gridare di gioia:

“Ryoichiiiiii! Sei tornato! Dio ti ringrazio!” e una donna uscì, quasi correndo, dalla casa.

I due sweeper, rimasti rispettosamente indietro, non la videro subito, perché la figura del ragazzino la nascondeva ai loro occhi. La donna, visibilmente commossa, si lanciò ad abbracciare il figlio, che alla fine scoppiò a piangere anche lui; fra i singhiozzi le ripeteva:
“Scusami, mamma! Perdonami, mamma”.

Kaori, sempre sensibile a certe scene, sentì inumidirsi le ciglia e vi passò le dita a togliersi le lacrime, prima che rotolassero giù. Ryo, invece, era chiuso in un silenzio impenetrabile.

Esaurito l’entusiasmo di essersi ritrovati, Ryoichi disse alla madre:

“Mamma, questi sono i miei amici. Ti presento City Hunter” e nel dirlo si voltò verso di loro, indicandoli con un ampio gesto del braccio.

Kaori sobbalzò impercettibilmente, sentendosi chiamata in causa, al cospetto della famosa Akiko Munemori, pensando a cosa avrebbe potuto rappresentare per lei, per loro.
Il ragazzino si fece da parte e rivelò la persona di sua madre.

Tanta fu la sorpresa dei due soci, quando constatarono che la donna era vistosamente in stato interessante, che quasi ne rimasero a bocca aperta. Anche lei trasalì vedendoli, ma un secondo dopo gli disse:

“Prego, entrate, non state sulla porta” e gli andò incontro. Percorse il piccolo sentiero lastricato con andatura pacata, impedita un po’ nei movimenti dal pancione. Era vestita con abiti ampi e premaman, i capelli raccolti in una coda di cavallo volutamente spettinata e, pur essendo il viso e il corpo sformati dalla gravidanza, lei appariva comunque come la bella donna qual era, anzi! Il suo stato la rendeva radiosa e in definitiva bellissima.

Kaori non riusciva a riprendersi dalla sorpresa, e un misto di emozioni le turbinava in testa.
Si domandava perché Ryoichi non le avesse detto che sua madre, presto, gli avrebbe dato un fratellino o una sorellina. Perché non gli avesse detto che, evidentemente, la donna si era rifatta una vita e aveva un nuovo compagno. Ma soprattutto, la sweeper era combattuta fra il sollievo di non doverla considerare più una rivale in amore, e un vago senso di gelosia per il momento magico che stava vivendo, come futura madre.

Ryo invece taceva, e nemmeno Kaori riusciva a capire fino in fondo cosa stesse pensando, in quel momento, il suo uomo; lui le aveva confidato che quella donna, in un certo senso gli faceva rabbia, perché aveva fatto credere a Ryoichi che lui fosse suo padre; forse anche lui si sentiva sollevato che questa Akiko avesse trovato un altro uomo, e che non avrebbe preteso niente da lui… come del resto aveva fatto in tutti quegli anni.

“Mamma, loro sono i fratelli Makimura.”

“I fratelli …Makimura…?” rispose perplessa quella, con una strana impressione dipinta sul viso.

Ryo allora si decise ad avanzare, mano in tasca e passo dinoccolato, con la solita flemma, sicuro e noncurante come sempre; Kaori invece era rimasta indietro di un passo, preda di un’improvvisa e immotivata insicurezza, più titubante di quello che avrebbe voluto essere, e nonostante la recente rivelazione. Ma Ryo, sentendo che lei non lo raggiungeva, e volendola al suo fianco, si fermò e l’aspettò, e quando furono vicini le mise un braccio intorno alle spalle, in un gesto pieno di sottintesi. Voleva trasmetterle un po’ della sua sicurezza, e rassicurarla ancora una volta sul suo amore, mentre alla donna che li stava aspettando, voleva dimostrare che Kaori era la sua compagna, e non solo la sua partner di lavoro.

Quando i due furono di fronte a lei, questa s’inchinò leggermente e disse:

“Io sono Akiko Munemori, ma questo lo sapete già. Perdonate Ryoichi, che è venuto a disturbarvi per… per niente.”

Kaori, che malgrado tutto non aveva dimenticato le buone maniere, e rinfrancata oltre ogni dire dal comportamento protettivo del suo socio, le porse la mano e le rispose:

“Io sono Kaori Makimura, piacere di conoscerti”.

“Makimura come… come… Hideyuki? Hideyuki Makimura?”

“Sì, lui è… era mio fratello.”

“Ma come Kaori? Avevi anche un altro fratello?” l’interruppe il ragazzino, proprio mentre lei stava per presentare Ryo alla donna.

La ragazza trasalì e si confuse, ma svelta rispose:

“Sì, avevo anche… un altro fratello.”

La loro ospite in qualche modo capì che c’era sotto qualcosa e, rivolgendosi a suo figlio, gli disse:

“Bene, Ryoichi, ora che sei tornato, vai di sopra dalla tua sorellina Shinobu, che non vedeva l’ora che tu tornassi” e poi, rivolgendosi ai due:

“È così attaccata al fratello, che da quando se n’è andato, non ha voluto più mangiare, né dormire” e poi ancora, al figlio:

“Forza, vai da lei, lo sai quanto ti vuole bene! Però non credere che sia finita qui, sai? Hai un mucchio di compiti da fare, sei rimasto indietro; quindi, fila!” gli ordinò col sorriso sulle labbra, e per assicurarsi che gli adulti rimanessero da soli, almeno per un po’, aggiunse:

“Ma prima di fare i compiti, che ne diresti di portare tua sorella a prendere un gelato? Almeno mangerà qualcosa e la farai contenta. Mi raccomando però, non farla ingozzare, che poi dopo sta male!”

I due soci si guardarono in un muto dialogo: Ryoichi non gliel’aveva raccontata tutta; in quei due giorni che erano stati insieme, avevano parlato tanto, di tutto, ma mai una sola volta aveva accennato al fatto di avere una sorellina, che sua madre fosse incinta e che, evidentemente, ci fosse già una figura paterna nella sua vita.

Tante cose andavano chiarite, e la situazione si presentava più ingarbugliata del previsto.

Finalmente entrarono in un piccolo salottino e la donna li fece accomodare sugli zabuton[1], disposti intorno al kotatsu[2], e prima di inginocchiarsi faticosamente a sua volta, chiese se gradivano del te e andò a mettere sul fornello il bollitore.

Quando furono tutti e tre seduti al tavolo a sorseggiare il tè, davanti a dei biscottini fatti in casa, Ryo, che non aveva aperto bocca per tutto il tempo, esordì con:

“Direi che ci devi delle spiegazioni, Akiko Munemori, o come ti chiami in realtà.”

“Hai ragione, Ryo” rispose la donna, traendo un profondo respiro; poi riprese:

“Non avrei mai pensato che le cose avrebbero preso questa piega ma, evidentemente, mi sbagliavo” e sorrise amaramente, poi aggiunse: “Il passato torna sempre, non è vero?” e nel dirlo, piantò gli occhi in quelli neri dello sweeper che, imperterrito, non mosse un muscolo.

“E va bene” riprese lei dopo una pausa: “Vi racconterò tutto, non fosse altro che siete venuti fino a qui, e dopo che un ragazzino impertinente è piombato nella vostra vita chiamandoti padre!”

“Veramente… lui non sa niente” si arrischiò a rispondere Kaori, “Gli abbiamo fatto credere che siamo fratelli, che lui è mio fratello… quindi ancora non sa chi sia, Ryo Saeba, in realtà”.

“Ah” rispose Akiko, e sembrava quasi che questa rivelazione l’avesse in qualche modo delusa.

Kaori, in quell’espressione così tanto infantile, ci rivide Ryoichi e i suoi innumerevoli bronci, e pensò che effettivamente madre e figlio si assomigliassero parecchio; a guardarla bene, avevano lo stesso taglio di occhi, e l’incarnato… e poi, ovvio, c’era dell’altro: i tratti del padre…

Ma non si perse in fantasticherie; moriva dalla voglia di sentire il racconto della bella Akiko: tutto dipendeva da lei e da quello che avrebbe detto. Infatti, lei stava giusto iniziando, dicendo:

“È vero, il mio vero nome non è Akiko Munemori, ma Koyuki Ito.”

E si mise a raccontare che, circa quindici anni prima, lavorava come spogliarellista in un famoso night di Tokyo, proprio nel quartiere di Shinjuku, e rivolgendosi a Ryo gli chiese:

“Forse tu mi conoscevi più per il mio nome d’arte. All’epoca mi facevo chiamare Hot Cherry” e un sorriso indecifrabile le spuntò all’angolo della bocca; l’uomo allora rispose:

“Sì, è vero, ora mi ricordo di te. Ma eri molto diversa a quel tempo… i tuoi capelli erano una cascata di rosso ciliegia, e ci andavi giù pesante con il trucco.”

La donna accusò il colpo: forse aveva sperato di smuovere i ricordi del grande stallone di Shinjuku, di richiamargli alla mente immagini conturbanti di lei, durante uno dei suoi spettacoli, e invece…

Kaori inghiottì a disagio, e anzi bevve un sorso di tè per mascherare il suo turbamento; Ryo, che se ne accorse, si voltò brevemente verso di lei e le sorrise.

In ogni caso, la donna riprese:

“A quei tempi la vita era facile, il lavoro mi piaceva, e si guadagnava bene; i clienti non erano la solita feccia di squattrinati sempre in cerca di distrazioni a basso costo, le persone per cui mi esibivo erano ricchi uomini d’affari, politici, faccendieri, mafiosi. Era difficile riconoscere chi vivesse lecitamente e chi no. Ma a me andava bene così. Le mance fioccavano ed ero bella, giovane e senza pensieri. Ammetto anche di essermi concessa, diciamo, qualche avventura. Mai per soldi, però, di quelli non ne avevo bisogno. Potevo scegliere fra gli uomini più belli della città” e guardò intensamente lo sweeper. Lui però non tradì emozione alcuna.

Riprese:

“Di certo non mi aspettavo di fare quella vita per sempre; la bellezza sarebbe sfiorita prima o poi, e vivere in maniera così sregolata, a volte mi pesava. C’erano dei momenti in cui sognavo una casa come questa, con un bel giardino, dei bambini che vi giocassero, un uomo che si prendesse cura di me.”

Fece una pausa, ma questa volta, almeno, ebbe il buon gusto di non rivolgersi a Ryo, e Kaori, in maniera contorta, gliene fu grata.

La sweeper stava soffrendo come mai prima d’ora, e a mano a mano che la donna parlava, le sfilavano nella testa bizzarre, ma allo stesso tempo verosimili, immagini di Ryo che sbavava, sotto il palco su cui Akiko si stava esibendo; lei che, se era bella adesso, dopo tutti quegli anni, e dopo due gravidanze, anzi tre, quanto doveva esserlo allora? Kaori si sentì stupida, e anche brutta. Constatò, inoltre, che quando Ryo e Akiko-Koyuki erano già due giovani disinibiti, che amavano sollazzarsi sotto le lenzuola, lei era poco più di una ragazzina, aveva da poco finito il liceo e credeva ancora nelle favole. Fortunatamente però, poco prima che potesse immaginarseli a letto e insieme, riuscì a frenarsi in tempo; non voleva, né doveva, focalizzarsi su quella scena, altrimenti non avrebbe retto un secondo di più. Tutti i suoi buoni propositi di essere forte, di accettare questo vecchio amore di Ryo e il frutto che ne era scaturito, si stavano sciogliendo come neve al sole, e lasciavano il posto all’angoscia e al dolore. Cercò anche di convincersi che Akiko non fosse completamente maliziosa, con tutti quei suoi ammiccamenti e sguardi verso Ryo; che lei non lo faceva apposta a rivolgersi così a lui, anche se, se era vero che erano stati insieme, magari quello era il suo modo per ricordare certi bei momenti, la loro storia, con nostalgia.

Iniziò a tormentarsi le dita e abbassò lo sguardo; si sentiva preda di un forte malessere e non voleva che gli altri se ne accorgessero minimamente. Anche se ormai era la compagna di Ryo e aveva avuto le sue esperienze, di fronte a quella sensualissima donna, che parlava con disinvoltura delle sue avventure amorose e dei suoi trascorsi, continuava a sentirsi inadeguata, una povera sprovveduta. Si sentiva anche, in un certo senso, esclusa dalla vita di Ryo, dal suo passato, anche se, ovvio, era inevitabile.

Ma mentre era ripiegata su sé stessa, una grande mano calda andò a posarsi sulle sue, a fermare in qualche modo il suo lavorio. Lentamente rialzò lo sguardo, e incontrò il viso sorridente e dolce di Ryo; fu per lei l’incoraggiamento più grande che potesse ricevere, e sorrise a sua volta. Non si dissero niente, ma ancora una volta si capirono.

Anche Akiko aveva notato l’atteggiamento mesto della ragazza e il suo disagio, e si stupì enormemente della tenerezza che l’uomo le riservava. Lei non se lo ricordava così, il grande Ryo Saeba, il play boy sciupa femmine, colui che passava da una donna all’altra con la spavalderia di chi vuole solo provare piacere. Il ricordo che aveva di lui era quello di un giovane uomo, attraente e prestante, - e constatò che il tempo era stato davvero generoso con lui - un uomo che prendeva ciò che voleva, che impazziva quando vedeva una bella donna e che quasi viveva solo per quello. La notte, con tutte le sue luci sfavillanti di night e locali per adulti, era il suo regno, tutti sapevano chi fosse: un amante instancabile e volubile; e Akiko aveva conosciuto donne che si vantavano di aver passato anche solo una notte con lui, mentre altre speravano solo di essere notate.

Akiko dovette riconoscere che quella Kaori Makimura era lontanissima dal tipo di donna che piaceva a Ryo, (sempre ammesso che ce ne fosse stata una categoria, ché davvero bastava che la pollastrella fosse bella e disponile, e che non volesse legami o impegni, perché diventasse l’oggetto dei suoi desideri) anche se… guardandola bene e per la prima volta, si accorse che era bellissima anche lei. Una bellezza affatto sfacciata, ma fresca e naturale. I suoi capelli corti non toglievano niente, anzi, se mai aggiungevano maggior risalto, ai lineamenti delicati e armoniosi del viso. Il suo corpo era proporzionato e tonico, come di chi è avvezzo a fare attività fisica, a tenersi in forma. Si ricordò all’improvviso che anche Kaori era City Hunter, e che quindi era in grado di maneggiare delle armi, di sapersi difendere. La rivalutò all’istante e anzi, in un certo senso, ne fu gelosa. Quando al telefono aveva scoperto che Ryo aveva una compagna, lui le aveva anche detto che questa era una donna speciale, e doveva esserlo veramente, per essere stata capace di rubare il cuore a quello spirito libero che era Ryo Saeba, e di legarlo a sé. Si ritrovò ad essere curiosa di questa ragazza dall’aria sbarazzina e dolce, e a volerne sapere di più.

Spostò lo sguardo verso quell’uomo, bello per quanto enigmatico, e si prese del tempo per soppesarlo: era ancora voltato a guardare la socia-compagna, e i suoi occhi brillavano d’amore; s’irradiava da lui come un senso di protezione, di apertura verso quella donna, e si vedeva che tra i due c’erano profonda sintonia e intesa. Da quando erano arrivati, non avevano parlato poi molto fra loro, eppure si erano capiti lo stesso: usavano un linguaggio intimo e privato che escludeva tutti gli altri, e che era proprio di chi si appartiene e si fida totalmente del partner.

Provò una fitta al cuore.

Neanche lei all’epoca era riuscita a conquistare quell’uomo sfuggente e irraggiungibile; la sua bellezza non le era bastata, e nemmeno le sue grazie procaci.

Di più: quei due avevano un tale grado di compenetrazione, che si chiese se anche lei e il suo uomo fossero a quei livelli; istintivamente si toccò la pancia e pensò ai figli che insieme avevano generato, e sperò con tutto il cuore che anche loro due fossero come quella coppia di bellissimi sweeper.

Decise di riprendere la narrazione.

“Fu in quel periodo che conobbi Sanshiro Kangetsu, del clan del Drago di Giada. Anche se apparteneva alla malavita, e la sua famiglia era una delle più in vista, lui era diverso. Era un giovane attraente e pieno di sogni e ideali, uno studente che sognava di cambiare il mondo. Il locale in cui mi esibivo in quel periodo era della sua famiglia, e ovviamente, al piano di sopra, si trovava il quartier generale della sua banda. All’inizio, quando ci incontravamo non mi guardava nemmeno, ed io pensavo che fosse il solito figlio di papà strafottente, e che quel suo ignorarmi fosse solo perché non aveva nessuna intenzione di aver a che fare con una spogliarellista di dubbia moralità come ero io. Non che i frequentatori di quel posto fossero migliori di me, in generale, ma finii per credere che lui fosse abituato a frequentare altre signorine” e le sfuggì un sorriso amaro, di biasimo per sé stessa.

“Comunque tutte le ragazze avevano una cotta per lui, ma nessuna poteva vantarsi di aver ricevuto le sue attenzioni, o anche solo di averci parlato. Poi una sera, o meglio una mattina, che era ormai l’alba ed avevo appena finito il mio turno di lavoro, uscendo dalla porta sul retro, mi ritrovai a passare nel solito vicolo poco illuminato, e fui aggredita da degli sconosciuti. Già questo era un fatto eccezionale perché, paradossalmente, lì non si verificavano crimini, essendo quello il regno del clan del Drago di Giada; tutto era regolato da loro, e nemmeno i clan rivali si azzardavano a farci delle scorribande notturne, meno che meno aggredire una semplice spogliarellista come me. Però successe. Erano ubriachi e probabilmente avevano dimenticato dove si trovassero: mi accerchiarono, erano in tre, e volevano abusare di me. Come spesso accade, pensavano che, visto che mostravo impunemente il mio corpo, fossi automaticamente una puttana, o peggio, una donna da usare senza nessun riguardo.”

A quelle parole, Kaori la guardò con passione; a dispetto di ciò che aveva provato per quella donna fino ad un secondo prima, si ritrovò a condividere la sua angoscia e la sua paura, e ad essere solidale con lei. La sweeper odiava la violenza di qualsiasi tipo, e chi abusava delle donne, della loro fragilità e del loro essere indifese, scatenava in lei una tale ondata di rabbia che sarebbe stata capace di fare una strage. Idealmente stabilì un contatto con la donna che era ora, e con la ragazza dai capelli rosso ciliegia che mostrava il suo corpo in cambio di soldi, di tanto tempo prima.

Akiko-Koyuki continuò:

“Provai a difendermi e urlare, ma le poche persone in giro a quell’ora preferirono passare oltre e non immischiarsi. Tipico…” finì per dire con amarezza e disprezzo.

“Mi avevano sbattuto a terra e proprio non ce la potevo fare… Mi stavo preparando al peggio, quando all’improvviso mi sentii liberare dal peso di quello che mi stava addosso, e capii che veniva scaraventato lontano da me; colsi la palla la balzo e, seppure stupita, ripresi a divincolarmi, e ben presto anche le mie braccia vennero lasciate libere dalla stretta degli altri due. In una gran confusione di corpi che lottavano, grida, insulti e lamenti, in breve tempo mi ritrovai stesa sull’asfalto bagnato, ma libera. Ancora sotto shock, mi guardai intorno: ero sola, e mi accorsi allora che stavo tremando, i vestiti a brandelli, avevo il viso inondato di lacrime e il corpo dolorante. Nella penombra del vicolo vidi una mano tendersi verso di me e sentii una voce dolce e gentile dirmi “È tutto a posto, sei al sicuro ormai”. Afferrai quella mano, e mi tirai su a sedere. Era il giovane Sanshiro Kangetsu.”  
 
[1] Grande cuscino sottile su cui ci si siede nelle stanze provviste di tatami.
[2] Basso tavolo sotto il quale solitamente si tiene un braciere o una stufetta, ricoperto da una trapunta. In questo caso essendo estate, non c’è né la trapunta né il riscaldamento.

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Capitolo 10
*** Un amore segreto ***


Bene, eccoci a questo 10° capitolo; il finale si inizia ad intravedere. Alcune cose si chiariranno, altre si ingarbuglieranno, ma spero con tutto il cuore che questo pezzettino di storia, sia come ve lo aspettavate, o magari anche meglio ^_^
Un sentito GRAZIE a TUTTI nessuno escluso! Vi lovvo <3

 
 
 
Cap. 10 UN AMORE SEGRETO



Akiko era visibilmente scossa dal ricordo dell’aggressione subita, ma allo stesso tempo i suoi occhi si erano accesi di una strana luce, ripensando al suo salvatore, a Sanshiro Kangetsu.

Kaori tirò un impercettibile sospiro di sollievo, al pensiero che, per fortuna, non si era consumata nessuna violenza sessuale, per quanto la ragazza ne fosse uscita comunque abbastanza malconcia.

Ryo invece annuì, soddisfatto che la spogliarellista fosse stata salvata in tempo. Odiava gli uomini che perpetravano violenza sulle donne, di qualsiasi tipo, e ogni volta che vi s’imbatteva, li puniva dolorosamente e implacabilmente; nessuno gli scampava, ed erano pochi quelli che avevano potuto raccontarlo. Anche il solo sentirne parlare, a distanza di anni, aveva acceso dentro di lui una rabbia sorda e una smania tale che, se avesse potuto, li avrebbe castigati anche in quel momento.

La donna sospirò, poi riprese il racconto della sua vita:

“Sanshiro mi riportò a casa, e si prese cura di me. Da quel giorno iniziammo a frequentarci con assiduità, ma il più segretamente possibile. Volevamo tenere nascosta la nostra relazione, perché ci eravamo subito innamorati, e non volevamo che il mondo che ci circondava potesse, in qualche modo, sporcare il nostro amore… Come tutti gli amanti, credevamo che il nostro fosse puro, sincero, unico.”

Fece una pausa e piantò gli occhi sui due sweeper, come a volerli sondare nelle profondità dei loro cuori. Anche il duo pensava che il loro amore fosse puro e sincero?

Kaori, intuendo il motivo di quello sguardo disincantato e indagatore insieme, arrossì, e fu sul punto di abbassare la testa a disagio; poi però fu presa da un guizzo improvviso e, anzi, le chiese:

“Perché, non lo era, forse? L’amore è sempre l’amore, in qualsiasi posto fiorisca.”

E la sweeper per prima si stupì della sua uscita così decisa, e della fermezza con cui aveva affermato una verità lampante e ovvia; ma era ciò che lei provava veramente, ciò in cui credeva da una vita ormai, e il suo legame con Ryo ne era la prova.

Seppure Kaori si fosse limitata a quelle poche parole, la donna ne capì ugualmente il significato profondo, e dovette ammettere che la ragazza aveva ragione: il risultato era lì davanti a lei. Akiko-Koyuki annuì, e con un filo di voce rispose:

“Sì, lo era… non mi pento di niente.”

Riprese:

“Dicevo che il nostro amore lo tenevamo per noi; io continuavo a lavorare nel locale della sua famiglia, e quando lui veniva lì non ci parlavamo neanche, dissimulavamo, e Sanshiro seguitava ad ignorarmi come faceva prima. Nonostante tutta la nostra riservatezza, ogni tanto qualcuno ci beccava, o intuiva qualcosa, ma non faceva domande perché, in un certo senso, anche io ero di proprietà della famiglia; lui era uno dei figli del boss e poteva trattarmi come voleva. Potevo essere il suo trastullo per un po’, e nessuno avrebbe avuto da ridire. E a noi andava bene che la pensassero così, piuttosto che fargli capire che, invece, facevamo sul serio.”

Più parlava e più Kaori iniziava a capire la personalità di quella donna, il suo vissuto, e si ritrovò ad essere solidale con lei, a comprendere certe sue scelte; la stupiva però la disillusione con cui raccontava di certi fatti, come se non li avesse vissuti lei sulla sua pelle, ma un’altra persona. Anche se aveva detto che si era goduta la vita, forse non era stato propriamente così. A guardarla bene, non era tanto più grande di lei, eppure sembrava più vecchia.

“In ogni caso” riprese la donna, “Sanshiro voleva terminare gli studi e dare un taglio netto con la sua famiglia, andarsene da lì, da Shinjuku, e un giorno mi propose di fuggire con lui. All’inizio mi stupii tantissimo ed ebbi paura. Lui era pur sempre il figlio del patriarca Kangetsu, per giunta maschio, e non lo avrebbero lasciato partire così facilmente. Io poi ero solo una semplice spogliarellista, che si guadagnava da vivere esibendosi nei locali notturni. Non sapevo fare altro. Lui ritornò più volte sul discorso e, alla fine, per quanto quel progetto mi apparisse folle, mi convinse. Quando ne parlava i suoi occhi brillavano di aspettativa, non lo avevo mai visto così entusiasta, ed io ero così innamorata che non avrei potuto immaginarmi lontana da lui nemmeno un giorno; sarei andata anche all’inferno, con lui e per lui.”
Fece una pausa, e per la prima volta abbassò lo sguardo, sulle mani intrecciate mollemente in grembo, poi riprese:

“Nel frattempo scoprii di essere incinta…” e si accarezzò il pancione “Non sapevo come dirlo a Sanshiro, mi chiedevo come avrebbe preso questa cosa. Non l’avevo previsto, ed era anche da pochissimo che stavamo insieme. Pensai che avrei aspettato, fatto passare un po’ di tempo; volevo vedere come andava fra noi, e poi se ne era appena uscito con questa storia di fuggire… non fu facile per me.”

Si mosse a fatica e si alzò in piedi. Senza pensarci anche Kaori si alzò e le disse:

“Lascia che ti aiuti!”

Ma la donna si voltò e le rivolse un largo sorriso, luminoso e riconoscente: forse il primo da che erano arrivati lì a casa sua. Rispose:

“Oh, grazie, sei molto gentile, ma non fa niente.”

Si diresse quasi caracollando verso un cassettone, rovistò brevemente fra carte e documenti e ne estrasse una foto; tornando dai suoi ospiti, gliela mostrò. Vi era raffigurato un uomo dall’aspetto avvenente: folti capelli neri, occhi profondi e acuti, un sorriso enigmatico; lo sguardo aveva un piglio sicuro. Era davvero un uomo molto bello, e Kaori pensò che le ricordava qualcuno… Ryoichi? O forse assomigliava a Ryo? Istintivamente si voltò verso il suo uomo, che in quel momento stava guardando la fotografia che lei stessa gli aveva passato. Una tenue speranza rinacque in lei: che il ragazzino non fosse il figlio di Ryo, anche se, innegabilmente, loro due erano molto simili, e certi modi che lui aveva, poi…

Inaspettatamente, Ryo prese la parola; lui, che aveva taciuto per tutto il tempo, e aveva sì e no annuito o fatto brevi cenni del capo.

“Conosco quest’uomo, mi ricordo di lui. Non ho mai avuto il piacere di averci a che fare, ma ne ho sentito parlare sempre molto bene; sì, in effetti non era tagliato per fare lo yakuza. Troppo buono forse, e non che fosse un debole, ma non era della stessa pasta di quelle merde. Si meritava molto di più della fine che ha fatto…”

“Ryo, ma che vuol dire?” scattò Kaori allarmata. Ma lui non rispose, anzi disse:

“Akiko, continua, ti prego.”

“Bene: un giorno ci incontrammo al solito posto, un caffè fuori dal giro dei locali che frequentavamo abitualmente, soprattutto la notte. Era in una zona neutra, non sottoposta al controllo di nessuna famiglia della mala: si chiamava Cat’s eye, ed era gestito da tre sorelle molto carine. Esiste ancora?”

“Sì, ma adesso è di proprietà di due nostri amici” rispose Kaori “Tra l’altro è lì che ci ha dato appuntamento tuo figlio. Gli avevi parlato anche di questo?”

“Può darsi. È sempre stato un bambino molto curioso, e negli anni mi ha fatto sempre un sacco di domande sul mio passato e su… suo padre.”

“Lo sappiamo” disse reciso Ryo, “Vai avanti.”

“Sanshiro disse di aver trovato la soluzione per poter sparire dalla circolazione: si era rivolto ad una coppia di esperti e aveva preso accordi con uno di loro. Questi si occupavano di casi strani, al limite della legalità, non erano poliziotti, e nemmeno semplici investigatori privati; aiutavano la gente in difficoltà, gente come noi, e si facevano chiamare City Hunter. Quello stesso giorno, conobbi Hideyuki Makimura che promise di aiutarci.”

A quelle parole, Kaori trasalì. Allora davvero quella donna aveva conosciuto Maki! Ecco perché si era stupita quando si era presentata: Akiko aveva conosciuto Maki e anche Ryo. E certo! Perché si stupiva? Anche Ryoichi gliel’aveva detto, appena due giorni fa, eppure sembrava passato un secolo! Il suo cuore ebbe una stretta: quanto poco sapeva di suo fratello, quante cose ignorava… e l’aveva perso così presto… Si rattristò improvvisamente, e provò a consolarsi pensando che, anche in quel caso, il suo amato fratellone aveva aiutato qualcuno: quei due poveri amanti.

Ryo, intuendo i pensieri della sua amata, per la seconda volta allungò la mano a prendere le sue, e gliele strinse. Il cuore di Kaori si sciolse: quanto amore c’era in quel racconto, e quanto gliene dimostrava il suo uomo?

Akiko notò quel gesto affettuoso e proseguì:

“Makimura garantì di averci trovato un luogo sicuro dove poterci rifugiare, dei documenti falsi con cui poter cambiare identità e ricominciare una nuova vita. Per me sarebbe stato relativamente facile, perché ero una semplice spogliarellista come ce n’erano tante, e la mia scomparsa non avrebbe interessato nessuno. Più difficile far sparire Sanshiro, ma, ci disse, aveva trovato il modo. Sembrava tutto deciso, però… le cose precipitarono di lì a poco” si fermò un attimo, poi sospirando riprese il racconto:

“Qualche giorno dopo, Sanshiro si trovò a passare in un quartiere che non era controllato dalla sua famiglia, e si accorse che un negoziante stava subendo una rapina da un teppistello, e che questi lo minacciava con una pistola, e lo riconobbe subito come uno degli affiliati. Corse in soccorso del pover’uomo e cercò di disarmare il delinquente: nella colluttazione partì un colpo e il negoziante, ferito, cadde riverso per terra, perdendo conoscenza. I due continuarono a lottare: Sanshiro sembrava aver la peggio poi, non so come, riuscì ad afferrare la mano dell’altro, quella che stringeva la pistola, e a rivolgergliela contro. Ma la pistola sparò di nuovo… e lo uccise.”

Akiko tacque, turbata, e abbassò lo sguardo.

Kaori, allora, si sporse sopra il kotatsu e le sfiorò leggermente la mano che aveva appoggiato stancamente sul ripiano. La donna quasi sobbalzò, a quel tocco gentile e inaspettato; rialzò il viso e le sorrise con gratitudine. Questo le permise di riprendere la narrazione:

“Sanshiro avrebbe potuto fuggire, far perdere le sue tracce, tanto in circolazione non c’era nessuno. La famiglia avrebbe provveduto a sistemare le cose, l’avrebbero fatta passare come la solita rapina finita male e nemmeno la polizia avrebbe indagato a fondo. Ma lui non avrebbe mai potuto abbandonare il negoziante ferito, che stava perdendo molto sangue. Chiamò l’ambulanza e aspettò i soccorsi, senza mai smettere di assistere il poveretto, e quando arrivò anche la polizia, non ci misero molto a credere che fosse lui il colpevole di quella rapina, e che avesse fatto fuori il suo complice per avidità. Il suo cognome era noto, e subito capirono con chi avessero a che fare: aveva stampato in faccia il marchio del delinquente. Quando suo padre venne a sapere del fatto, profondamente deluso dal suo comportamento altruista, e a danno di un affiliato poi, si sentì offeso e disonorato, e lo gettò in pasto alla polizia. Benché accusato ingiustamente, la famiglia lo abbandonò alla sua sorte, voltandogli le spalle, e non si prese la briga di difenderlo o aiutarlo in nessun modo. Lui si ostinava a non parlare, non raccontò mai come fossero andate realmente le cose, e preferì finire in prigione che difendersi. Nell’unica volta in cui riuscii ad incontrarlo in carcere, prima che lo trasferissero, lui mi disse che era contento, che così facendo aveva tagliato i legami con la sua famiglia d’origine e per lui, paradossalmente, andare in prigione, era stata una liberazione. E poiché non aveva fatto nomi o parlato, esponendo la famiglia, l’avrebbero lasciato in pace, e non temeva per la sua vita. Io ero distrutta, non potevo sopportare di stare senza di lui, di saperlo chiuso dietro le sbarre, innocente. Il negoziante, nonostante tutto, morì senza aver mai ripreso conoscenza, e non poté mai dire che il suo angelo custode era stato Sanshiro; a quel punto, la sua posizione peggiorò ulteriormente. Per fortuna non gli diedero l’ergastolo, in quanto, seppure riconosciuto responsabile, quelle morti furono definite come omicidi colposi.”

“Per te fu un brutto colpo” commentò Kaori che, all’iniziale disagio che provava per quella donna bellissima e ambigua, aveva sostituito la comprensione, e si era appassionata alle sue tragiche vicissitudini.

“Già” ammise sconsolata la donna “E poi aspettavo Ryoichi ed ero rimasta sola. I miei genitori erano morti da tempo, per fortuna, perché di sicuro non avrebbero mai approvato la mia vita, diciamo così, dissoluta” ammise amaramente. Poi continuò:

“E poi iniziai a temere fortemente per la vita del nascituro, che la famiglia Kangetsu potesse in qualche modo nuocermi, o volersi appropriare del mio bambino, credendolo figlio di Sanshiro. Non potevo sopportare che me lo portassero via!” concluse con veemenza, e aggiunse subito dopo “Voi mi capite vero?”

“Certamente” concesse Ryo, che non interveniva mai.

Riprese la donna:

“Rintracciai Makimura e gli spiegai la situazione. Se non poteva più aiutare Sanshiro, almeno finché stava in prigione, per me poteva ancora fare qualcosa. I documenti erano pronti, il luogo era già stato stabilito; spettava a me la decisione. Mi aiutò, quindi, a rifugiarmi qui, in questa casa accogliente e che, nemmeno lo avesse saputo, era il sogno della mia vita. Ma all’inizio non fu affatto facile: i miei risparmi bastarono appena, poi fortunatamente trovai un lavoretto come fioraia, a pochi passi da qui, con cui riuscii a sopravvivere. Portai a termine la gravidanza e nacque Ryoichi. Lui era tutta la mia famiglia. Eravamo soli al mondo.”

“Ora però, è evidente che hai un altro uomo” fece notare pragmaticamente Ryo “I bambini non si fanno da soli” terminò quasi in maniera pungente. Nonostante avesse seguito con attenzione il racconto della donna, e doveva ammettere che era stata sfortunata nella vita, non poteva ancora perdonarle totalmente il fatto che avesse detto a Ryoichi che lui ne fosse il padre.

“Hai ragione. Ho incontrato Ken circa sei anni fa, ci siamo messi subito insieme, e poco dopo è nata Shinobu. Lui lavora sui pescherecci d’altura e sta via anche settimane intere, ma, in vista dell’arrivo del bambino, ha chiesto ed ottenuto di lavorare al porto per starmi più vicino; con tre figli, ormai... Dovrebbe tornare oggi, in giornata.”

“E… scusa se te lo chiedo” esordì Kaori, quasi timidamente “Ken, sa… conosce il tuo passato?”

“Sì. Lui sa tutto di me, e mi ha accettata così come sono” e volse inspiegabilmente il viso verso Ryo.

Alla sweeper non sfuggì lo sguardo che la donna aveva lanciato al suo uomo: forse voleva comunicargli qualcosa, stabilire un contatto… Dannazione, da quando erano arrivati non c’era stato un solo momento in cui Kaori si fosse sentita sicura e a suo agio in quella casa; stava iniziando a stancarsi di tutta quella tensione che aleggiava nell’aria. Perché aveva la spiacevolissima sensazione che, nonostante avessero parlato per ore, non tutto fosse stato detto? Inoltre a lei premeva sapere, in particolare, se veramente Ryo fosse il padre di Ryoichi oppure no; e questo dubbio, che li aveva accompagnati per tutto il tempo e trascinati fin lì, rischiava di farla esplodere. Per un’impulsiva come lei, era già tanto che non fosse ancora esplosa: si era trattenuta fin troppo. Inoltre era sicura che anche Ryo fremesse dentro di sé, nonostante fosse più bravo di lei a nascondere il suo scontento e la sua ansia.

Fu il turno di Akiko di chiedere:

“Dicevate che Ryoichi non sa chi è Ryo Saeba, vero?” chiese la donna ai due sweeper.

Kaori rispose per i due:
“No, gli abbiamo detto solamente che lo avremmo aiutato a cercarlo; ma non sa che lo aveva già conosciuto quando… quando ha conosciuto noi.”

“Non sa che sono io” concluse il suo socio.

A quel punto Kaori non resistette più, e fece l’unica domanda che valeva la pena fare:

“Ryoichi è figlio di Sanshiro?” chiese recisa.

Era decisa a farla finita in un modo o nell’altro: quella era l’ora della verità.

Akiko Mumemori la guardò intensamente e rispose:

“Sì.”

Si udì uno schianto, e la porta scorrevole venne aperta con violenza.

“Bugiardi!! Siete tutti dei bugiardi!” Ryoichi era lì, all’entrata del salottino, stravolto, con il viso grondante lacrime.

“Mamma, mi hai mentito! Tutti mi avete mentito! Vi odio!” poi, rivolgendosi a Kaori, con uno sguardo così addolorato da stringere il cuore:

“Kaori… anche tu… anche tu mi hai mentito.”

La ragazza si alzò in fretta e fece per andargli incontro:

“Ryoichi aspetta, aspetta che ti spieghi!” provò a dirgli lei.

“No, non c’è niente da spiegare!” e scappò via.

“Ryoichi!!!” gridò la madre, che però non era nelle condizioni di potergli correre dietro. Ma non ce ne fu bisogno, perché già la sweeper aveva infilato la porta al suo inseguimento.

Anche Ryo si era alzato, e ora più che mai torreggiava sulla donna; la guardò severamente e le chiese:

“Perché gli hai detto che io sono suo padre? Potevi dirgli la verità!”

“Non volevo che sapesse che era figlio di un malavitoso, di uno yakuza.”

“E perché proprio io?”

La donna tacque e per un attimo abbassò lo sguardo; poi lo risollevò, e gli occhi con cui lo inchiodò erano decisi; con aria di sfida rispose:

“Perché ero innamorata di te, un tempo.”

Lui non si scompose, e non commentò; le diede le spalle e imboccò la porta, con la solita flemma, ma si bloccò quando sentì la donna domandargli:

“E tu? Perché non ci hai mai provato con me?”

Senza voltarsi, Ryo rispose:

“Semplice: perché a me piacciono solo le rosse naturali!”
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** Diventare grandi ***


Bene, nel capitolo precedente tutti abbiamo tirato un sospiro di sollievo, constatando che Ryoichi non è il figlio di Ryo ;-) ma la storia non è ancora finita, e spero che anche questi ultimi capitoli siano interessanti per voi. Buona lettura e GRAZIE <3




Cap. 11 DIVENTARE GRANDI
 
 
Kaori si era lanciata all’inseguimento di Ryoichi e gli gridava dietro:
 
“Ryoichi! Fermati! Ti prego!”
 
Ma lui, sconvolto, rispondeva disperato:
 
“No, vattene!”
 
Il ragazzino era veloce, ma la sweeper riusciva a stargli dietro, allenata com’era. Solo che ogni volta che era ad un passo dall’acciuffarlo, lui cambiava improvvisamente direzione, scavalcava un muretto, una siepe, e davvero era difficile non perderlo di vista. Lui, dalla sua, aveva il vantaggio innegabile di conoscere il posto e sapeva dove andare e come muoversi, la ragazza non poteva anticipare le sue mosse.
 
Ad un certo punto, sbucando nell’area giochi di un parco pubblico, Kaori s’imbatté in un bambino piccolo che caracollava nel vialetto; per non investirlo, virò bruscamente a destra e si sbilanciò pesantemente. Perse l’equilibrio e finì a terra sul lastricato.
 
“Ahi!” si lamentò cadendo, e subito si portò le mani al ginocchio che aveva strusciato sulle pietre; Ryoichi, che con la coda dell’occhio aveva seguito la scena e l’aveva vista cadere e, soprattutto, sentendo che si lamentava, si fermò di colpo e tornò sui suoi passi:
 
“Kaori, stai bene? Ti sei fatta male?”
 
“No-non è niente” e trattenne una smorfia di dolore.
 
Quel giorno portava la minigonna, e cadendo la pelle scoperta delle ginocchia si era sbucciata come niente. Aveva una bella abrasione, e già un po’ di sangue colava dalla ferita. Alla vista del sangue il ragazzino s’impressionò e, preoccupato, iniziò a ripetere:
 
“È colpa mia, è colpa mia!” ed era sul punto di mettersi a piangere; ma Kaori gli sorrise per tranquillizzarlo e gli disse:
 
“Ma dai! Non mi sono fatta niente! Su, aiutami ad alzarmi, piuttosto, e portami alla fontanella, così ci metto un po’ di acqua fresca.”
 
In realtà sarebbe stata capace di rialzarsi anche da sola, ma voleva farsi aiutare, cosicché lui si sarebbe sentito utile; a lei invece, questo sarebbe servito per riconquistare un po’ della sua fiducia. Voleva che si sentisse l’uomo della situazione.
 
Ryoichi le diede la mano e, prendendola sotto braccio, la tirò su; lei si spazzolò la gonna e gli sorrise di nuovo; anche se lui aveva smesso di piangere, i suoi occhi neri erano gonfi di pianto, era rosso in viso e sembrava davvero un fanciullo spaurito e sconvolto. Kaori provò per lui una potente ondata di affetto, e prima allungò una mano a scompigliargli i capelli, poi lo attirò a sé in un abbraccio pieno d’amore. Il ragazzino si lasciò consolare e affondò il viso nella spalla di Kaori.
 
“Bravo bambino” gli sussurrò la ragazza, e lui singhiozzò.
 
Ryoichi si sentiva tradito: tutto quello in cui aveva creduto e sperato, era stato spazzato via dalle parole di sua madre. Il suo mondo idealizzato era miseramente crollato nell’arco di poche ore: aveva sperato di trovare quel padre mitico e affascinante, quasi perfetto, e invece aveva scoperto… cosa? Che suo padre, il suo vero padre, era un mafioso; che sua madre era una spogliarellista disinibita; che il grande Ryo Saeba era… era Ryo Makimura e che… non era il fratello di Kaori!
Aveva passato gli ultimi sei anni della sua vita a combattere contro il suo patrigno, che di punto in bianco era comparso nella loro vita idilliaca, quella che conduceva con sua madre; e pretendeva di comandarlo, di dirgli quello che doveva e non doveva fare, gli aveva rubato l’affetto di sua madre, aveva avuto una figlia con lei! E anche se lui stravedeva per quella sorellina, Ken proprio non gli andava giù.
 
Riprese a piangere sommessamente. Non sapeva più chi fosse, e si sentiva confuso e abbandonato.
 
Kaori lo lasciò piangere finché non si fu calmato a sufficienza; poi gli chiese:
 
“Ryoichi?”
 
“Sì?”
 
“Si può sapere perché la tua mano mi sta palpeggiando il sedere?”
 
“Eh… eh eh eh eh eh, veramente non saprei” ridacchiò lui, ritirando la mano all’improvviso.
 
“Ah, ecco! Mi pareva che volessi assaggiare un altro dei miei martelli!” concluse lei; poi, scostandolo dolcemente, riprese:
 
“Va un po’ meglio?”
 
“Sì, grazie.”
 
“Bene, allora portami alla fontanella, così mi tolgo un po’ di polvere e sangue dalle ginocchia.”
 
A quelle parole, il ragazzino si riscosse del tutto e si ricordò che Kaori era ferita: la prese per mano e la condusse poco distante, dove lei poté ripulirsi un poco; poi, raccogliendo l’acqua con una mano, sciacquò il viso del ragazzino con un gesto energico e dolce insieme. Ma lui, preso alla sprovvista, si ritrasse:
 
“Ma-ma che fai?”
 
“Ti tolgo le lacrime. Sei più bello così!”
 
“Ma non sono un bambino, faccio da me!” si piccò lui arrossendo; però Kaori non poté impedirsi di sorridere e pensare:
 
Vuoi fare il grande, ma sei ancora un bambino. Non aver fretta di crescere, che essere adulti non è così bello come credi.”
 
E la ragazza ripensò alle ultime ore, agli ultimi giorni vissuti, a tutta la sua vita da adulta. Scacciò quei pensieri molesti e propose:
 
“Senti, ti va se parliamo un po’?” e gli fece segno di seguirla. Il parco giochi era deserto; si sedettero sulle altalene abbandonate, e presero a dondolarsi mollemente, trascinando i piedi sulla sabbia del terreno.
 
Tacevano, mentre le ombre si allungavano lentamente intorno a loro, e il cielo si tingeva delle tinte calde del tramonto.
 
Fu la ragazza a rompere il silenzio:
 
“Perché non ci hai detto che avevi una sorellina? A quanto ho capito, siete anche molto legati tu e lei. E che mi dici di Ken, e di tua madre che sta per dare alla luce un altro fratellino? Mi hai dato della bugiarda, ma anche tu… non sei stato da meno.”
 
“Mmmm… hai ragione, avrei dovuto parlartene” fece una pausa, e abbassò il viso sui jeans strappati e prese a tormentarsi gli sfilacci dello squarcio; riprese:
 
“La verità è che io odio Ken, proprio non lo sopporto. Finché eravamo io e mia madre soltanto, non m’interessava più di tanto sapere chi fosse mio padre; vivevo bene con lei, io e lei da soli. Poi è comparso lui, dal nulla. Si è messo con lei ed è rimasta subito incinta… Io mi sono sentito improvvisamente messo da parte. Lui ci ha provato tanto con me, ad essere simpatico, a farmi da padre, ma io l’ho respinto ogni volta. Mi sono sempre opposto, non gli ho mai lasciato spazio nel mio cuore. Non mi sono mai voluto affezionare a lui anche se, devo ammetterlo, da quando è arrivato, mia madre è cambiata e ha ripreso a sorridere, mentre prima era spesso triste e si chiudeva in silenzi impenetrabili. In quei momenti sembrava lontanissima, e nemmeno io riuscivo a raggiungerla. Invece ora con Ken è rinata, è sempre di buon umore, i suoi occhi brillano ed è ancora più bella. Non so spiegarti perché io ce l’abbia tanto con lui, in fondo dovrei essere contento che lui la faccia felice no?”
 
“È normale Ryoichi: questa si chiama gelosia” rispose dolcemente Kaori.
 
“Comunque sia, non potevo sopportare che un semplice pescatore diventasse il compagno di mia madre, dopo che aveva amato tanto un uomo eccezionale come mio padre, fiero, coraggioso, temuto… Insomma, cosa aveva lei da spartire con uno come Ken? Più passava il tempo e meno lo digerivo, quel tipo; uno così ordinario, quasi anonimo… Un gran lavoratore, certo, e che non ci fa mancare mai niente. E non fa differenza fra me e Shinobu, che è sua figlia a tutti gli effetti; però io... Quando infine la mamma mi ha rivelato il nome del mio vero padre, ho deciso che volevo a tutti i costi incontrarlo, che non potevo perdere ancora dell’altro tempo dietro a loro. Non pensavo certo di abbandonare la mia famiglia, sarei tornato da lei; ma, mi dissi, se avessi conosciuto il grande Ryo Saeba, mi sarei sentito meglio, sarei riuscito a sopportare la convivenza con Ken… forse.”
 
Tacque per un attimo, poi riprese, stavolta guardandola un po’ di sottecchi:
 
“Quando sono venuto a Tokyo e vi ho conosciuto, ero al colmo della felicità, perché voi esistevate davvero! City Hunter esisteva davvero, e non era un’invenzione di mia madre: eravate lì, in carne ed ossa, e avete pure deciso di aiutarmi. Capisco solo ora che non è stato facile per voi, quando sono piombato lì e vi ho detto di essere il figlio di Ryo Saeba… insomma di Ryo.”
 
“Sei un ragazzo intelligente e in gamba, Ryoichi…”
 
“Sì, come no? Ho fatto un gran casino… chissà cosa penserà ora Ryo di me! Lui mi piace veramente, e avrei tanto voluto che mio padre fosse come lui…” poi scoppiò a ridere: “E pensare che Ryo Saeba è proprio lui! Però nemmeno lui è il mio vero padre, peccato…”
 
“Ryo non giudica mai le persone. Può sembrare freddo e distante a volte, quasi severo, ma non lo è. Anche lui si è affezionato molto a te, e capisce come ti senti. Scoprire, così all’improvviso, storie sconvolgenti sul proprio passato, non è mai facile…”
 
“Parli bene, tu, ma che ne sai? Io ho appena scoperto che mio padre, quello vero, era di fatto uno yakuza… non c’è di che esserne fieri. Sono marchiato a vita anch’io!” Concluse con disprezzo.
 
“Ti sbagli. Io lo so molto bene invece, cosa si prova a scoprire una cosa del genere.”
E Kaori si voltò verso di lui, fermando l’oscillare dell’altalena e costringendolo a fare altrettanto; lo guardò intensamente, e Ryoichi si perse nei suoi occhi così profondi e così colmi d’amore e comprensione:
 
“Anch’io sono figlia di un criminale[1], ma lui non era buono e giusto come il tuo, almeno così dicono. Non so perché decise di rapirmi alla mia stessa madre; so che mi portò con sé e, durante un inseguimento, mentre era braccato dalla polizia, ebbe un incidente e rimase ucciso sul colpo. Io ero in macchina con lui, ero molto piccola, poco più di una neonata, e il poliziotto che mi trovò fra le lamiere, miracolosamente illesa, mi prese e mi portò con sé. Mi adottò e mi diede il suo cognome: Makimura, appunto. Crebbi felice in quella famiglia fino a quando non persi i miei genitori adottivi[2]. Rimasi sola, con quello che ritenevo e amavo come un fratello: Hideyuki. Anche lui faceva il poliziotto, e in seguito divenne il socio di Ryo. A quel tempo avevo già scoperto di essere stata adottata, ma non sapevo altro né m’importava più di tanto: i Makimura mi avevano dato tutto, e non potevo di certo lamentarmi. Persi anche Maki, all’incirca ai tempi della tua nascita, e probabilmente quello di tua madre fu uno degli ultimi casi a cui lavorò. Io presi il suo posto accanto a Ryo, e quando, anni dopo, scoprii tutta la verità, fu per me una rivelazione devastante. Io, che combattevo i criminali, ero… figlia di uno di loro. Andai in crisi e mi sentii, in un certo senso, dannata. Eppure mi conosci: lo diresti che razza di padre fosse il mio?”
 
Ryoichi, totalmente affascinato da quel racconto, scosse la testa, in senso di diniego. Allora la ragazza proseguì:
 
“Sai che odio le ingiustizie, che non posso non aiutare gli altri, e lotto a fianco di Ryo perché il bene vinca sempre. Non conta chi ci ha messo al mondo, Ryoichi: conta chi ci ha allevato e come decidiamo di vivere noi la nostra vita, le scelte che facciamo, le decisioni che prendiamo ogni singolo giorno. E nonostante si possa cadere in errore, a volte, perché è inevitabile, è nostro compito impegnarsi a rimediare ai propri sbagli, sempre” concluse Kaori con passione.
 
“Anche Ryo ha un passato tormentato, e non sarò io a raccontarti la sua storia; ma anche lui ha trovato la forza e il modo di riscattarsi, perché si può sempre cambiare, migliorare. Basta solo volerlo.”
Lei fece una pausa, che permettesse al ragazzino di digerire quelle parole, e a lei di riordinare le idee; poi gli chiese:
 
“Quanto hai sentito dei nostri discorsi?”
 
“Abbastanza… credo l’essenziale.”
 
“E allora avrai anche capito che tuo padre era nato nella famiglia sbagliata, che non era disonesto come gli altri. Era un uomo leale e onesto, ed è corso in aiuto di tua madre prima, e di quel negoziante poi, e ha pagato una colpa non sua. È andato in prigione da innocente! Sarà stato uno yakuza, ma il suo cuore era puro, e tu dovresti essere fiero di essere suo figlio!”
 
Ryoichi trasalì, e stupito spalancò la bocca. A quello non ci aveva proprio pensato, troppo impegnato a sentirsi tradito, e in preda delle emozioni del momento. Era vero, suo padre era diverso: quel Sanshiro Kangetsu non aveva nulla da spartire con quella banda di balordi, se non il cognome, e, infatti, la sua stessa famiglia l’aveva abbandonato al suo destino, senza preoccuparsi di lui, proprio perché aveva disatteso i propositi criminali del clan. Come si era sentito quel pover’uomo, si ritrovò a pensare il ragazzo, vittima di una profonda ingiustizia, lui che si era prodigato per aiutare quel commerciante, e che ci era andato di mezzo? Che stupido era stato a giudicarlo così, senza sapere, senza pensare...
 
Kaori, vedendo che il ragazzino stava iniziando a capire, proseguì:
 
“Non giudicare troppo severamente tua madre. Ha avuto una vita un po’ movimentata, diciamo così, ma ha profondamente amato tuo padre e ha lottato per lui fino alla fine. Avevano deciso di scappare da quel mondo malato, di rifarsi una vita. È fuggita e ti ha portato in salvo, ha rinunciato alla sua identità e al suo nome per sottrarti a quei malvagi. Ha fatto dei sacrifici, ma è stata una brava mamma. Ti ha educato in maniera sana: sei un ragazzo buono e assennato e tutto questo lo devi a lei. E allora vedi? Se tu non avessi saputo la verità, saresti stato diverso?”
 
Il ragazzo taceva, travolto dal significato delle parole di Kaori. Suo malgrado, in quel momento, era diventato grande, era cresciuto di colpo: non era più un bambino innocente e spensierato, ora sapeva tante più cose che facevano la differenza. Si ricordò improvvisamente del discorso che gli aveva fatto Kaori giusto la sera prima, quando lui non riusciva a dormire ed era andato da lei: a volte la verità non è come ce l’aspettavamo, e ci delude, e allora avremmo voluto non conoscerla affatto. Era indubbiamente più facile quando non sapeva niente, quando immaginava di essere il figlio di un padre fantastico e perfetto, che nonostante, per qualche motivo, avesse lasciato soli lui e sua madre, continuava ad esistere come un essere mitico e irraggiungibile. E invece… quanto avevano sofferto i suoi genitori? Quando avevano dovuto separarsi pur amandosi tanto; quando sua madre, incinta e sola, era stata costretta a fuggire senza avere più notizie del suo uomo; e lui, suo padre, come aveva vissuto senza la sua Akiko, anzi no, la sua Koyuki, chiuso in una cella, privato della libertà e della donna che amava, senza poterla nemmeno più vedere? Inoltre, lo sapeva di avere un figlio? Sentì il suo cuore stringersi in una morsa d’angoscia. E lui, Ryoichi, era cresciuto inconsapevolmente felice e amato, nonostante sua madre portasse un gran peso sul cuore e non potesse parlarne con nessuno. Fino a quando non aveva conosciuto Ken, che l’aveva accettata così com’era, con un passato pieno di ombre e con un figlio, nato non solo da un’altra relazione, ma da… Si sentì improvvisamente sciocco. Aveva preteso di sapere, di mettere il naso nelle faccende dei grandi… e cosa aveva ottenuto? Voleva essere grande anche lui, e invece ora si sentiva più bambino di prima.
 
Guardò Kaori con un’espressione indescrivibile, quasi volesse essere assolto. La ragazza gli sorrise teneramente e seppe che aveva capito. Infatti, Ryoichi trasse un profondo respiro, prima di dire:
 
“Bene, direi che è ora di tornare a casa. Dovrò parlare con mia madre.”
 
“Sì, ma vedrai che andrà tutto bene. Lei ti ama, e se ti ha tenuto all’oscuro di tutto, è stato solo per proteggerti.”
 
“Hai ragione. A lei va tutto il mio rispetto… ed ora guarderò con altri occhi anche Ken” e fece per alzarsi; poi, voltandosi improvvisamente verso di lei, disse:
 
“Però una cosa bella c’è stata in tutto questo marasma” e la guardò con sguardo furbo.
 
“E sarebbe?”
 
“Che ti ho conosciuto, e che… be’, mi sono innamorato di te” e inaspettatamente le schioccò un bacio all’angolo della bocca.
 
Kaori sobbalzò sorpresa e fece giusto in tempo a pensare:
 
Ma tu guarda questo!” che lui si era già messo a camminare; poi però, si voltò verso di lei e le disse:
 
“Comunque l’avevo riconosciuto quello” e indicò il suo collo “Quello è un succhiotto!” e le strizzò l’occhio.
 
Kaori arrossì e prese fuoco fino alla punta dei capelli, mentre il ragazzino ridacchiava allontanandosi.
Ripresasi dallo shock, si alzò a sua volta e, correndogli dietro, balbettò:
 
“As-a-aspettami!”
 
[1] A questo punto della storia ho immaginato che anche Kaori sapesse tutta la verità sul suo passato e sulla sua famiglia. ^_^
[2] Non si parla mai della madre adottiva e allora ho voluto mettere genitori adottivi anziché solo padre adottivo perché mi sapeva strano che lui l’avesse presa e portata via con sé, avendo un bambino ancora piccolo a casa, senza una figura materna di riferimento.

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Capitolo 12
*** Figli e padri ***


Ebbene siamo quasi alla fine di questa storiella, e precisaemente al penultimo capitolo. Il tempo di mettere in ordine tutte le tessere mancanti e il puzzle andrà finalmente a posto.
A questo punto vorrei ringraziare le mie fedelissime, che non mi hanno abbandonato mai e cioè: Kaory06081987, briz65, Valenicolefede, Stellafanel87, Fanny Jumping Sparrow e Kalandra, che mi hanno sempre gratificato con bellissime rec. Grazie a tutti i lettori silenziosi e non. Ma ciancio alle bande, ops, bando alle ciance e…buona lettura
Eleonora

 
 
 
 
Cap . 12 FIGLI E PADRI
 
 
Appena Ryoichi era scappato di casa, inseguito da Kaori, anche Ryo era uscito.
Aveva bisogno di una boccata d’aria e soprattutto di una sigaretta, la prima dopo ore.
Proprio non sopportava di restare ancora in quella casa, davanti a quella donna.
 
Frustrato, si appoggiò alla parete esterna, con lo sguardo perso nel giardino ordinato, dove un triciclo abbandonato e una palla colorata, testimoniavano che lì vi abitava un bambino.
 
Nonostante tutto, sorrise.
 
I bambini!
Non portavano sempre scompiglio nella vita degli adulti?
Si chiese perché tutti, arrivati ad un certo punto, li desiderassero.
Insomma, a volte giungevano quando non erano attesi, creando un sacco di problemi, peggio se erano il frutto di una relazione clandestina o di una notte di bagordi; a volte li si desiderava così tanto, che se non arrivavano si andava in crisi, minando addirittura la solidità della coppia.
E poi le donne, per nove mesi, avevano ogni sorta di problemi: sbalzi d’umore, dolori, nausee, mal di schiena, per non parlare del fatto che si sformassero diventando enormi!
Perdevano quei fisichini da favola che lui amava tanto.
E i dolori del parto?
Aveva sentito dire che fossero dilanianti… in fondo si trattava di far passare da un neonato che, per quanto piccolo, era fin troppo grande!
Ryo, istintivamente, strinse le gambe con una smorfia.
E comunque, malgrado tutto, fatto un figlio, alcune donne ne desideravano un altro; si chiese quale forza o quale incoscienza le spingesse a ripetere un tormento del genere, volontariamente.
E quando finalmente venivano alla luce, quelle bestioline frignanti che sapevano solo succhiare latte – aveva visto certe mammelle che… Si redarguì mentalmente; possibile che si eccitasse pensando anche al seno prosperoso di una mamma in procinto di allattare? – … succhiare latte, dormire e fare la cacca.
Quei giorni in cui si erano occupati della piccola Shiori, era stato costretto a cambiarle pure il pannolino, perché la bimba scoppiava in un pianto disperato ogni qual volta le si avvicinava Kaori… Che storia, quella!
La piccola si calmava solo in braccio a lui, perché il suo odore le era familiare: sapeva di polvere da sparo, come sua madre, figlia di armaioli e armaiola lei stessa, mentre Kaori… be’, Kaori aveva il suo solito magnifico profumo, che però non piaceva alla piccola.
A proposito di profumo, quei pannolini erano delle vere e proprie bombe al napalm, armi di distruzione di massa, se ci pensava gli veniva il voltastomaco.
I bambini!
Gli avevano raccontato che, quando hai un bambino in casa, la tua vita si stravolge: non si dorme e non si mangia più come una volta, alcuni non trovano più né il tempo né la voglia di fare l’amore!
Impossibile per lui, per il grande stallone di Shinjuku, rinunciare al supremo piacere della vita!
Eppure, eppure… prima o poi tutti ci cascavano.
Volevano fortemente dei figli.
 
E lui?
Giusto qualche sera prima, il giorno stesso in cui Ryoichi era piombato nella loro vita con la potenza di un uragano, aveva confessato a Kaori che se pensava di avere un figlio, era da lei che lo voleva; ma sarebbe stato un buon padre?
Per tanti anni aveva rifiutato il sentimento che provava per lei, il suo amore, che non si era mai spinto troppo oltre ad immaginare un futuro insieme, con tanto di bambini.
Nel loro mondo, farli nascere, non sarebbe stato da incoscienti?
Ma soprattutto, lui, sarebbe stato in grado di crescere ed educare un figlio?
Che riferimenti aveva avuto, chi avrebbe mai potuto imitare come figura paterna?
Quell’essere ambiguo di Kaibara, che si faceva chiamare padre, e che poi aveva sperimentato su di lui una delle droghe più potenti in circolazione?
E che, anni dopo, era tornato per ucciderlo, anzi per ucciderli, perché voleva far del male anche a Kaori?
No, lui non era tagliato per fare il padre.
Però sapeva quanto Kaori amasse i bambini, con quanta tenerezza si occupasse degli orfani di quell’istituto…
Lei non glielo aveva mai confessato, ma nel suo futuro si vedeva madre.
Aveva sacrificato tanto, per stare accanto ad uno come lui.
Gli si strinse il cuore.
Anche se la prospettiva di diventare padre lo spaventava non poco, voleva farla felice.
Se mai avessero deciso di avere dei piccoli Saeba in giro per casa, lui ce l’avrebbe messa tutta per essere il padre che non aveva mai avuto; si sarebbe lasciato guidare dalla sua dolce Kaori, perché gli avrebbe insegnato come fare, così come gli aveva insegnato come amare.
Soprattutto, sarebbe stato sempre sincero con i suoi figli: gli avrebbe raccontato tutto; certo non subito, e sicuramente per gradi, ma non avrebbe avuto segreti con loro.
I suoi figli non avrebbero mai imparato la verità da altri, in maniera traumatica, come era successo a Ryoichi.
 
La sigaretta gli si era spenta fra le dita, troppo preso nei suoi pensieri per fare altri tiri; si riscosse.
Tutta quella situazione li aveva messi di fronte a scenari inimmaginabili solo fino ad un mese prima.
 
Guardò in direzione del cancelletto, dove aveva visto per l’ultima volta la sua amata scappare di corsa, e si chiese dove fosse finita; il tramonto placido e infuocato presto avrebbe lasciato il posto ad una calda sera d’estate, e si sentì percorso da un brivido.
Pur non temendo il peggio per lei e Ryoichi, non vedeva l’ora di riaverla accanto; gli mancava, aveva bisogno di lei.
Di sicuro non sarebbe rientrato in casa ad aspettarla lì, al cospetto di quella donna che, inspiegabilmente, lo metteva a disagio. Inoltre, ancora ce l’aveva con lei; e comunque, ora che avevano chiarito una volta per tutte che non era il padre di Ryoichi, era impaziente di lasciarsi quella storia alle spalle, e di andarsene il prima possibile.
Ma Kaori ancora non tornava.
 
Fu riscosso dai suoi cupi pensieri da una vocetta, che gli chiese:
 
“Ehi, signore?”
 
“Sì?”
 
“Come ti chiami?”
 
“Ryo, e tu?”
 
“Shinobu.”
 
Poi, la piccola, guardandolo con la sfacciataggine tipica dei bambini, riprese, dopo un attento esame:
 
“Lo sai? Sei bello come il mio papà!” sentenziò.
 
“Direi che hai buon gusto” rispose lo sweeper, con un sorriso a metà fra l’ironico e il divertito.
 
“Ryo?”
 
“Dimmi piccolina.”
 
“Perché Ryoichi è fuggito di nuovo? E perché piangeva?”
 
“Forse voleva sgranchirsi le gambe con una corsetta” ma glissò sul perché stesse piangendo; non si sentiva pronto a risponderle adeguatamente; lei riprese:
 
“E perché gli è corsa dietro quella ragazza?”
 
Tutte quelle domande lo mettevano in imbarazzo, e non voleva prenderla in giro con le sue risposte leggermente strampalate, ma ovviamente la situazione era molto più ingarbugliata di quello che sembrava, e come spiegarlo ad una bimbetta di poco più di cinque anni?
Si costrinse a rispondere:
 
“Forse voleva farsi una corsetta anche lei.”
 
“Mi piace la tua fidanzata!” esordì lei convinta.
 
“E tu cosa ne sai, che è la mia fidanzata?”
 
“Lo so… e basta” rispose Shinobu allargando le braccine, come a cercare di spiegare una cosa ovvia; poi aggiunse:
 
“Si vede da come vi guardate: nello stesso modo di mamma e papà.”
 
A quella semplice constatazione, a Ryo venne da sorridere di nuovo.
Una volta pensava che lui non avrebbe dovuto far trasparire i suoi sentimenti per Kaori, i suoi reali pensieri, perché sarebbe stato pericoloso; per lui, che si esponeva, e per lei che sarebbe potuta diventare il bersaglio preferito dei malvagi, più di quello che non fosse già.
Ma ora non aveva più importanza: questo loro amore, ormai vissuto alla luce del sole, lo aveva reso più forte e anzi, era così felice che avrebbe voluto gridarlo al mondo intero.
 
Per un attimo s’impensierì, immaginandola ancora a rincorrere quel mocciosetto: chissà dove erano finiti?
Subito dopo, dovette ammettere che solo lei sarebbe stata in grado di far ragionare e consolare il ragazzino; le veniva sempre dannatamente bene, era tagliata per questo e poi… il moccioso aveva una tale cotta per lei!
Si mosse a disagio: odiava anche essere geloso di un poppante.
Però, quando li vide varcare finalmente il cancelletto, notò subito l’escoriazione al ginocchio della socia e, con più foga di quella che ci si sarebbe aspettati dalla gravità del momento, le corse incontro preoccupato e le chiese:
 
“Kaori, sei ferita? Che è successo?” e subito rivolse uno sguardo inceneritore al ragazzo, che tremando iniziò a discolparsi:
 
“No-non è colpa mia, scusami.”
 
Allora la ragazza prese amorevolmente il socio per un braccio e lo rassicurò:
 
“Tranquillo Ryo, non è niente, è solo un graffio. È colpa mia, che sono la solita maldestra che è ruzzolata a terra, e da sola, per giunta!” precisò ridacchiando.
 
Lo sweeper tirò un rumoroso sospiro di sollievo: lei, a quel punto, intenerita e divertita insieme dalla reazione del suo Ryo, si avvicinò a lui e non poté impedirsi di schioccargli un bel bacio sulla guancia.
Lui gongolò beato e lei sorrise soddisfatta.
Amava questo nuovo aspetto del suo partner, così premuroso e apprensivo, come non lo era stato mai… o meglio, come non lo aveva dimostrato mai.
Questa cosa le faceva indicibilmente piacere, e ne era deliziata; sperò solo che lui non diventasse, al contrario, una chioccia iperprotettiva.
 
Si riscosse quando sentì una vocina dire:
 
“Ecco, visto? Siete come il babbo e la mamma!” puntualizzò la piccola Shinobu.
 
Ryoichi fece capolino da dietro la bella Kaori, se possibile ancora più titubante della prima volta che era tornato a casa; Akiko, riconoscendo la voce della sweeper, era uscita speranzosa e, senza dire una parola, avanzò verso suo figlio; si abbracciarono in silenzio, e stavolta fu il turno della donna di chiedergli perdono.
 
Di fronte a quella scena commovente, Kaori si strinse di più a Ryo, ed entrambi pensarono che le cose, finalmente, si stavano sistemando.
 
“Ehi, che succede qui?”
 
Una voce maschile, bassa e modulata, fece voltare tutti verso il cancelletto.
 
“Papà, sei tornatooo!” gridò di gioia la piccola Shinobu, che volò fra le braccia del padre: un uomo alto e ben piazzato, con una maglietta a maniche corte bianca che metteva in risalto i pettorali e le braccia abbronzate e muscolose.
Per prendere in braccio la figlia, aveva lasciato cadere un borsone di tela e, nell’impeto dell’assalto, gli era volato via il berretto con visiera rivelando una massa scura di capelli, ormai spettinata, con qualche spruzzatina di grigio sulle tempie.
 
Kaori trattenne il respiro al cospetto di quell’uomo affascinante; a parte il suo Ryo, non si interessava molto agli uomini, però doveva ammettere che quello, appena entrato nel suo campo visivo, era davvero notevole.
I suoi occhi neri poi, scintillavano di felicità, nella gioia di essere tornato a casa e di aver ricevuto un così caloroso bentornato.
 
Quando mise giù la bambina le chiese:
 
“La mamma? Sta bene? E Ryoichi?” solo allora parve ricordarsi degli ospiti, che per tutto il tempo erano rimasti in disparte, per non disturbare quel quadretto familiare.
Ma la sua attenzione fu catturata da Ryoichi che lentamente, scioltosi dall’abbraccio di sua madre, avanzò verso di lui e lo chiamò:
 
“Ken?” disse titubante.
 
“Che c’è, ragazzo?” e già il bel viso abbronzato dell’uomo aveva assunto un’aria preoccupata.
 
Il ragazzino si fermò ad un passo da lui, e prostrandosi in un profondo inchino gli disse:
 
“Ti chiedo di perdonarmi.”
 
Ken trasalì dalla sorpresa, e per un attimo tacque allibito; poi gli si fece incontro e aiutandolo a risollevarsi gli chiese:
 
“Ragazzo… ma che significa?”
 
Ma Ryoichi gli si gettò addosso abbracciandolo.
 
Ken non fece domande perché aveva capito, e rimasero in silenzio per un po’; l’uomo chiuse gli occhi commosso.
 
Quando lì riaprì, da sopra la spalla del ragazzo, guardò quella coppia discreta e scambiò un cenno d’intesa con lo sweeper; stava per aggiungere qualcosa, quando lui lo precedette dicendo:
 
“Bene, per il momento vi lasciamo. Credo che stasera avrete molte cose di cui parlare.”
 
“Ma… non vi fermate da noi?” chiese a quel punto Akiko, titubante.
 
“Ti ringrazio, ma preferiamo fare un giro per la città e andare a letto presto; ho visto un alberghetto carino venendo qui che…” forse rifiutare la sua ospitalità era sconveniente, però a quel punto Ryo e Kaori sarebbero stati di troppo, e il duo aveva bisogno di starsene da solo, dopo quella giornata interminabile.
 
Intuendo il vero motivo che si celava dietro quella scusa, la padrona di casa non insistette, e propose:
 
“Però domattina vi aspetto per colazione. Non potete mancare! Staremo in giardino e vi delizierò con la mia cucina.”
 
“Sei molto gentile Akiko” rispose Kaori “Stai tranquilla che ci ritroverai qui.”
Poi il suo sguardo cadde su Ryoichi che, fatti pochi passi, raggiunse la coppia di sweeper:
 
“Verrete?” chiese in tono implorante.
 
“Ma certo” rispose la ragazza, sorridendogli con quei suoi occhi caldi e luminosi, e lui si sentì arrossire.
 
“Certamente, ragazzo” fece Ryo, scompigliandoli la zazzera nera “non ce ne andremo senza salutare, stai tranquillo” poi, abbassando la voce: “E poi ci devi ancora il compenso: noi il caso lo abbiamo risolto.”
 
Ryoichi sobbalzò, e Kaori, rifilando un buffetto al socio, lo sgridò:
 
“Ma che dici??? Ryo, ma… ti pare?”
 
Lui ridacchiò divertito, la socia allora si rivolse al ragazzino:
 
“Non starlo a sentire, lui scherza sempre” e gli fece l’occhietto.
 
In ogni caso Kaori aveva capito che, come al suo solito, il suo compagno aveva voluto sdrammatizzare. Ma il ragazzo, ripresosi dalla sorpresa, disse all’uomo:
 
“Ah, a proposito, quello” e indicò il suo collo “Quello non era un calabrone, e so chi te l’ha fatto.”
 
Ecco ci risiamo!” pensò la ragazza, portandosi una mano alla fronte, esasperata, mentre i due scoppiavano a ridere sguaiatamente dandosi reciprocamente grandi pacche sulle spalle, come vecchi macachi, e non c’era verso di farli smettere.
Quel siparietto demenziale stava durando un po’ troppo per i gusti di Kaori, che era al limite della sopportazione.
Il suo viso si fece via via una maschera di rabbia  e vergogna, gonfiò i polmoni e poi, con quanto fiato aveva in gola, proruppe in un urlo che aveva la potenza di un boato:
 
“Volete smetterlaaaaaaaaaaa???” e poi: “Siete due idioti!”
 
I due rovinarono a terra, investiti dalla potenza di quel grido quasi sovrumano, quindi la ragazza, prendendo per il colletto il socio, lo trascinò via, ancora infuriata.
 
Un secondo prima di uscire dal giardino, in vista della macchina, si fermò e, guardando indietro – in direzione dei padroni di casa, che erano rimasti allibiti di fronte a quella scena surreale – si ricompose e, fatto un breve inchino, disse:
 
“Vogliate scusarci. Buona sera e a domani.”
 
E i due scomparvero richiudendosi il cancello alle spalle.
 
 
 
 
 
Rimasti soli a bordo della macchina, i due sweeper si guardarono e si lasciarono sfuggire un sospiro sconsolato.
 
“Non sarei riuscito a resistere un minuto di più in quella casa” disse lui.
 
“A chi lo dici” fece eco lei.
 
“Bene, ora non ci resta che trovare un albergo per la notte; per domani vedremo. Il più credo che lo abbiamo fatto.”
 
“Hai ragione, socio. Sono affamata e sfinita. Andiamo.”
 

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Capitolo 13
*** Cambiamenti ***


Ed eccoci arrivati alla fine di questa mia storiella, con la quale ci siamo tenuti compagnia. L’avete letta in tanti, perché le visite mi hanno fatto la spia (altra fissa delle scribarole, andare sempre a controllare :D) e in tanti avete recensito. Quando l’ho scritta, mesi fa, non credevo che sarebbe stata così apprezzata, ma ne sono felice perché io l’ho amata tanto e la sento molto mia. Anche questa era nata per essere senza pretese, e lo è ancora, però le vostre recensioni mi hanno riempito il cuore. Non posso che ringraziarvi con tutto il mio affetto.
Ma ora basta, gustatevi il finale e spero che non vi deluda ;-)
Vi lovvo
Eleonora

 
 
 
 
Cap.13 CAMBIAMENTI
 
 
 
I due sweeper si diressero verso la costa, e presero una stanza nel primo albergo che trovarono, troppo stanchi per cercare oltre.
Questo era piccolo, discreto e decoroso; scelsero la stanza più in alto possibile, per deformazione professionale e, lasciato l’esiguo bagaglio in camera, scesero nel ristorante dell’albergo e ordinarono la cena.
Per tutto il tempo non avevano parlato poi molto, ognuno troppo preso a riflettere sulla giornata appena trascorsa; ma non era un silenzio imbarazzato, era solo un raccogliere le idee.
 
Il profumo del cibo li rianimò e dopo i primi bocconi tornò loro il buonumore, anzi, solo allora si accorsero di essere affamatissimi: quel giorno avevano mangiato veramente poco.
La cena fu una delizia, passata fra chiacchiere leggere, battute e scherzetti; la tensione li stava progressivamente abbandonando, e si gustarono in tranquillità anche la serata.
 
Risalirono in camera molto presto, decisi a concedersi, finalmente, un po’di meritato riposo.
A turno fecero una doccia veloce, e quando Kaori uscì dal bagno con un candido accappatoio, asciugandosi e frizionandosi i corti capelli, s’incantò a guardare il suo compagno.
Questi indossava dei comodi pantaloni neri con cordino in vita, e una camicia sbottonata di lino; stava fumando sovrappensiero, sul balconcino della camera, e lei si ritrovò a pensare a quanto fosse bello. Ammirava il suo corpo scolpito da anni di attività fisica; i pettorali, le spalle larghe che sempre le davano un senso di protezione, le braccia, che ora la stringevano con amore e passione, gli addominali senza un filo di grasso nonostante lui mangiasse come un maiale.
Le venne da sorridere: e sì che anche lei gliene preparava, di prelibatezze, e in che quantità!
Si soffermò sulle grandi mani callose, capaci di stendere un malintenzionato con un solo pugno, ma anche di riservarle le più dolci carezze.
Poi risalì ad osservare quel viso tanto amato, il suo profilo sfuggente e così maschio, gli occhi neri come la pece, che si accendevano di vita quando la guardava, che nascondevano segreti e sofferenze, e che lei aveva imparato a decifrare.
Anche se era pensieroso, come in quel momento, poteva intuire la natura del suo rimuginare.
E lei avrebbe potuto restarsene lì, seduta sul letto, ad osservarlo anche tutta la notte; e non avrebbe dovuto farlo di nascosto, come un tempo: ora poteva permettersi di guardarlo con occhi sognanti, colmi di desiderio e passione, o anche solo con tenerezza e affetto, senza paura di essere respinta.
Sospirò.
 
Contemporaneamente, lui, sentendosi osservato, si voltò verso di lei, e il suo viso, dapprima chiuso in cupe elucubrazioni, si addolcì con un sorriso da far mancare la terra sotto i piedi.
La ragazza si sentì morire: non si sarebbe mai abituata a quel suo sguardo così sincero, eppure così magnetico; il cuore le prese a battere all’impazzata.
Era così innamorata!
 
Ryo, vedendola in accappatoio e per paura che prendesse freddo, entrando fece l’atto di chiudere la portafinestra, perché dalla marina risaliva una brezza fresca e umida; ma lei lo fermò dicendo:
 
“No, lascia.”
 
Lui gettò la cicca e la raggiunse.
 
Il letto era proprio di fronte alla finestra, aperta e con le tende tirate che si muovevano appena, sospinte da qualche refolo di vento; si poteva vedere la baia, in lontananza, scintillare di tante piccole lucine. Sdraiati sul letto, con la schiena appoggiata alla testiera, si accoccolarono al meglio.
Ryo cinse con un braccio le spalle della socia e lei reclinò appena la testa sul suo petto; lui le depositò un dolcissimo bacio sulla fronte inspirando il suo profumo, frammisto a quello del bagnoschiuma, che saliva dai capelli umidi e dalla pelle calda di doccia.
Per un attimo socchiuse gli occhi: si sentiva in paradiso.
 
Al buio, si godevano la pace di quel momento fuori dal mondo.
 
Fu Kaori che, quasi con un filo di voce, per paura d’infrangere quel silenzio ovattato e magico, parlò:
 
“Ryo?”
 
“Mmmm?” mugugnò lui che si stava quasi addormentando.
 
“Posso farti una domanda?”
 
A quelle parole, il socio drizzò le orecchie: viveva insieme a lei da abbastanza tempo per sapere che, quando gli chiedeva il permesso di fargli una domanda, era una cosa seria, serissima; altrimenti avrebbe esposto i suoi dubbi senza girarci troppo intorno, e sarebbe andata dritto al punto. Cautamente rispose:
 
“Certo. A che proposito?”
 
“Akiko… o meglio Koyuki… insomma di quando si faceva chiamare Hot Cherry.”
 
“Cosa vuoi sapere?”
 
“Quando lei ha rivelato di essere stata una spogliarellista e tutto il resto, tu alla fine l’hai riconosciuta, ma…”
 
“Vuoi sapere se c’è mai stato niente fra noi?” l’interruppe lui, traendola dall’impaccio.
 
“Sì” rispose quasi in un sussurro.
 
Arrivati a quel punto lei aveva bisogno di sapere. Magari Ryoichi non era figlio di Ryo, ma lui e sua madre si erano conosciuti, e lei non aveva fatto altro che fare allusioni, guardarlo intensamente… Doveva sapere, per poter voltare pagina, una volta per tutte.
 
“È vero, l’ho riconosciuta e l’ho anche vista esibirsi un sacco di volte; mi piaceva, certo, il suo corpo non era niente male e ci sapeva fare… Ma non ci ho mai provato, né mi sono mai avvicinato a lei sbavando” e le sorrise, immaginando cosa stesse pensando il suo amore in quel momento.
 
Dopo una breve pausa, Kaori chiese di nuovo:
 
“Ma se ti piaceva, perché non ti sei fatto mai avanti? Mi è parso di capire che non le fossi indifferente; sarebbe stato così facile!”
 
“Sai, quando siamo rimasti da soli oggi, appena sei corsa dietro al figlio, mi ha chiesto la stessa cosa.”
 
“Ma-ma come? Vuoi dire che…”
 
“Vuoi sapere cosa le ho risposto?”
 
La socia annuì impercettibilmente, ancora stupita; le sembrava impossibile che il grande seduttore si fosse lasciato scappare un bocconcino così allettante.
Aspettò la risposta al colmo della curiosità:
 
“Lei, all’epoca, portava una vistosa parrucca rosso ciliegia, giusto? Be’, io le ho risposto che a me piacciono solo le rosse naturali.”
 
E tacque, dandole il tempo di recepire il messaggio.
 
Un secondo dopo, lei disse:
 
“Davvero? Davvero pensavi questo?”
 
“Certamente! In tutta la mia vita non ho mai conosciuto altre donne come te, con la tua stessa sfumatura di capelli, e anche se quando ci siamo incontrati per la prima volta eri ancora una ragazzina, sono rimasto letteralmente affascinato dai tuoi capelli, e ho pensato che… be’, insomma…” era finito per impappinarsi.
 
Lui la sentì sorridere nel buio. Ma subito dopo lei gli disse:
 
“Ho capito” e si strinse di più a lui.
 
Rimasero un poco in silenzio, gustandosi la reciproca vicinanza, cullati dal vento che, discreto, penetrava in quella semplice stanza d’albergo, con un sottofondo di rumori che giungevano attutiti e indistinti, come un brusio lontano.
Si stavano assopendo quando, stavolta, fu Ryo a prendere la parola. All’improvviso colto da un dubbio, le chiese:
 
“Sugar?”
 
“Mmm, sì?”
 
“Come è andata oggi col mocciosetto? Come sei riuscita a convincerlo a tornare e a fare pace con la sua famiglia?”
 
“Ah, sì” rispose, riscuotendosi e svegliandosi completamente; si sistemò meglio, raccolse le idee e disse:
 
“In realtà non ho fatto molto. Se non fossi caduta al parco, per evitare un bambino piccolo che mi sono trovata davanti all’improvviso, Ryoichi mi avrebbe seminato. Correva come un ossesso, ed io riuscivo a stento a tenergli dietro; conosceva il posto in cui si muoveva, ovvio, e cambiava sempre direzione, svicolava… insomma, quando mi ha vista cadere si è allarmato ed è tornato sui suoi passi.”
 
“Mi dispiace che ti sia fatta male… Vuoi che ti dia un bacino sulla bua?” disse ridendo piano.
 
“Scemo! non ce n’è bisogno” rispose lei divertita.
 
Poi tornata seria proseguì:
 
“Questo, comunque, gli è servito per calmarsi, e dopo abbiamo parlato un po’. Sai, lui era cresciuto da solo con la madre, e quando è arrivato Ken, si è sentito messo da parte, e la gelosia ha preso il sopravvento. Era venuto su con il mito di suo padre e non poteva accettare, oltretutto, che questo nuovo compagno fosse un semplicissimo pescatore… Anche se… hai visto come è bello e affascinante?”
 
“Ehi, che stai dicendo? Ora sono io il tuo uomo, non devi fare la farfallona!” rispose piccato lui, fra il serio e il faceto.
 
“Oh, guarda, fai il geloso! Adesso provi anche tu come mi sono sentita io tutti questi anni!” e gli fece la linguaccia, poi aggiunse:
 
“E comunque gli occhi ce li ho anch’io, e so ancora riconoscere un bell’uomo sai?”
 
Ma sentendo che lui si stava immusonendo, e non volendola tirare troppo per le lunghe, concluse:
 
“Infatti, sono innamorata di te” e gli posò un bacio sul petto.
 
Questa piccola schermaglia amorosa, innocua, sotto sotto li divertì, come al solito.
 
La sweeper riprese il suo racconto:
 
“Ryoichi ha talmente stressato sua madre per sapere il nome del suo vero padre che, non appena gliel’ha detto, è corso a cercarti. A proposito… perché Akiko ha fatto il tuo nome, se nemmeno eravate mai stati insieme?”
 
“Se te lo dico, prometti di non arrabbiarti?”
 
“Che vorresti dire? Che sono una ragazza irascibile e manesca? Io?” ma non riusciva nemmeno lei a rimanere seria; finirono per ridacchiare.
 
“Dai, su, avanti, dimmelo: non mi arrabbierò” concluse.
 
“Lei gli ha detto che ero io perché… era stata innamorata di me…”
 
Kaori accusò il colpo, ma fu solo una leggera puntura di gelosia: in fondo erano passati tanti anni e Ryo le aveva appena detto che non ci aveva nemmeno provato, perché non gli piaceva.
Si mosse leggermente a disagio e lui, immaginando i suoi turbamenti, le chiese, con un soffio di voce:
 
“Tutto bene?”
 
“Ma sì, certo…” e fu rincuorata dalla sua premura.
 
Da che l’aveva conosciuto era sempre stata tanto gelosa di lui, e terrorizzata al solo pensiero di perderlo; tutte quelle belle donne che gravitavano intorno a loro, lui che non perdeva occasione di corteggiarne qualcuna, e le clienti che finivano per innamorarsi di lui… insomma, non stava mai tranquilla.
Ma mettersi a soffrire anche per le donne che aveva o non aveva conosciuto, prima che la incontrasse, era davvero impensabile!
E comunque, per come era iniziata quell’avventura, poteva dirsi fortunata, invece, per come fosse andata a finire!
 
Poi improvvisamente, con un repentino cambio di ragionamento, gli chiese:
 
“Piuttosto, Ken è chi io credo che sia?”
 
“Intendi dire che Ken è Sanshiro Kangetsu?”
 
“Esattamente!”
 
“Sì, è lui. Nonostante gli anni passati, e la prigione, l’ho riconosciuto subito; e lui a me. Stava per dire qualcosa a riguardo, ma io, volutamente, l’ho bloccato. Ora spetta a loro chiarirsi; Ryoichi è un ragazzo sveglio e merita di sapere la verità.”
 
“Hai ragione. Noi, in ogni caso, saremmo stati di troppo.”
 
“Comunque capisco perché si sia messo a fare il pescatore!” disse Ryo, quasi ridendo “Dopo tutti quegli anni chiuso in gattabuia, credo che ora preferisca solo gli spazi aperti” concluse, e risero entrambi.
 
Dopo un poco Kaori riprese:
 
“E quindi è stato Hideyuki ad aiutarli. E tu non ne sapevi niente?”
 
“No, era uno di quei casi che poteva risolvere anche da solo, forse me ne avrà anche parlato, ma non me lo ricordo… Può darsi che fossi impegnato in qualche altra faccenda… non-non fare quella faccia! Non pensare sempre male!” concluse a disagio.
 
“Sì sì, come no?” e subito dopo “Va bene, dai” concesse, e dopo una pausa domandò, più a sé stessa che a Ryo:
 
“Chissà come ha fatto a rintracciare Akiko?”
 
“Forse aveva ancora i documenti che gli aveva procurato Maki, l’indirizzo di quella casa, tutto l’occorrente. Magari Sanshiro li aveva nascosti in un posto sicuro, prima che venisse arrestato.”
 
“Può darsi…” e la sua voce si perse in un sospiro.
 
Quindi la ragazza aggiunse:
 
“Sono stati coraggiosi, all’epoca, Akiko-Koyuki e Ken-Sanshiro, a scegliere di mollare tutto e cambiare vita.”
 
“Già” fu la laconica risposta del socio.
 
Però, un secondo dopo, le chiese, con un senso d’urgenza che stupì lui per primo:
 
“Senti, Kaori… pensi mai a come sarebbe stato vivere un’altra vita? Cioè, se non avessi conosciuto me, o… o che ne so? Vorresti cambiarla, ora?” si era impappinato di nuovo.
 
Quando doveva fare le domande serie, andava in confusione totale; fortunatamente la sua amata era molto più perspicace di lui.
 
Lei infatti aveva capito perfettamente, e per dare più enfasi a quello che gli stava per dire, si tirò su a sedere e si girò verso di lui.
Voleva che lui la vedesse bene in viso e non avesse dubbi o fraintendimenti.
Prese un bel respiro e rispose:
 
“Se mi stai chiedendo se mi sono mai pentita di essere rimasta con te, la risposta è no. Nella maniera più assoluta” e lo guardò intensamente; nonostante la semioscurità, Ryo poté vedere i suoi occhi brillare di decisione e di forza, quella che le aveva sempre invidiato.
 
Kaori riprese:
 
“Quando ho scelto di prendere il posto di mio fratello, potevo solo immaginare a cosa andassi incontro; ma la mia vita di prima era comunque già finita, distrutta per sempre, con la sua morte, quindi, anche se una parte di me la rimpiangeva, non avevo scelta, non potevo tornare indietro… ma non rinunciavo a niente per stare con te: ero sola al mondo, e in quel momento sentivo che era giusto così. Sappi però, che non è stato un ripiego e non ho mai avuto ripensamenti. Ti sono sempre rimasta accanto perché… volevo rimanerti accanto, e non perché non avessi un’alternativa. Lo capisci?”
 
Ryo, profondamente commosso, annuì in silenzio.
 
“Per quanto riguarda cambiare vita ora, sarebbe impensabile… Io voglio stare con te, e se cambiare vita significa starti lontano, perderti, allora no, non accetto!”
 
“Ma io intendevo… cambiare modo di vivere, insieme, come hanno fatto loro. Sparire dalla circolazione, cambiare nome, lavoro… tutto. Saresti contenta?”
 
Kaori spalancò la bocca al colmo dello stupore.
 
“Intendi… intendi… non essere più City Hunter?” ma non ci fu bisogno che Ryo rispondesse, perché la sua espressione decisa, parlava per lui.
 
A Kaori sfuggì un singhiozzo, inghiottì a fatica e si costrinse a chiedere:
 
“E tu… tu cosa vorresti?”
 
“Non lo so… o meglio non lo so ancora, però tutta questa storia mi ha fatto pensare… Loro hanno avuto il coraggio di cambiare, di ricominciare… ma io voglio solo quello che vuoi tu.”
 
“Oh, Ryo…” e la ragazza gli gettò le braccia al collo, con la stessa enfasi di quando l’aveva visto riemergere dal mare dopo l’affondamento della nave di Kaibara, quando lui aveva mantenuto la promessa ed era tornato da lei.
Stavolta non c’era un motoscafo stipato di ex mercenari sopravvissuti per miracolo: c’era un anonimo letto, di un anonimo albergo, che accoglieva le confessioni di due semplici amanti.
 
Finirono lunghi distesi, Kaori sopra il suo uomo, e nascondendo il viso nel suo collo, si lasciò andare a un pianto liberatorio, che conteneva tutta la tensione dei giorni precedenti, quando non sapevano ancora se Ryoichi fosse o meno il figlio di Ryo; quando temeva di perdere l’amore della sua vita per un ritorno di fiamma per la bella Akiko; quando aveva fatto fronte a tutte quelle emozioni contrastanti, non ultimo il desiderio di essere madre; e poi quella giornata interminabile, ricca di confessioni e sorprese, e infine il sollievo, e soprattutto la certezza, di essere amata dal suo compagno con la stessa potenza con cui lei lo amava.
Ryo, per lei, era disposto anche a cambiare vita, pur di averla accanto e saperla felice.
Quale altra magnifica dichiarazione d’amore poteva farle?
 
Ryo, sopraffatto dall’abbraccio di quella piccola furia che amava così tanto, la strinse forte a sé e prese ad accarezzarle i capelli.
La lasciò piangere.
 
 
 
 
 
 
Molto dopo, asciugatesi le lacrime, rinacque in loro il desiderio prepotente di darsi l’un l’altra, di fondersi in un unico corpo e in un’unica anima, e si amarono con passione, amore, e profonda tenerezza.
Non si risparmiarono carezze e gesti d’amore, con la naturalezza di chi ama ed è riamato, e con la consapevolezza che niente li avrebbe più divisi.
 
Si addormentarono all’alba, quando i sogni avevano già preso il posto di quella fantastica realtà.
 
 
 
 
***
 
 
 
Il mattino dopo, i due sweepers si presentarono a casa di Ryoichi che, vedendoli arrivare, gli corse incontro. Si respirava un’aria diversa, più rilassata; il clima familiare era notevolmente cambiato, e si stupirono non poco quando udirono il ragazzino chiamare Ken papà.
Fecero tutti colazione in giardino, come promesso da Akiko, ed era bello stare lì tutti insieme.
Le tensioni del giorno prima sembravano un ricordo lontano.
Le chiacchiere erano oziose, ridevano divertiti per le buffe facce che faceva Shinobu, mentre il fratello la rimproverava di fare la ragazzina a modo; era in tutto e per tutto il classico fratello maggiore, e Kaori rivide in loro lei e suo fratello Hideyuki.
 
Nonostante la bella atmosfera, però, Ryo e Kaori sentivano di doverli lasciare, e presto venne l’ora dei saluti.
Alzatisi in piedi, Kaori chiese alla mammina per quando fosse previsto il lieto evento, e lei rispose che finiva il tempo dopo la metà di novembre; la sweeper promise che le avrebbe telefonato per sapere come fosse andata, perché, anche se aveva quasi finito per detestarla, in sostanza non poteva avercela con lei.
Akiko, grata dell’atteggiamento aperto e spontaneo di Kaori, la prese in disparte e le disse:
 
“Grazie, Kaori!” e la ragazza stupita rispose:
 
“E per cosa?”
 
“Per tutto! Per avermi riportato Ryoichi, ed esserti presa cura di lui quando è piombato nella vostra vita. Immagino che non sia stato facile per voi… per te; grazie di averci fatti ritrovare tutti, e sai cosa intendo. E grazie anche perché… perché non mi odi” e fece una pausa carica di significato.
 
La ragazza ribatté:
 
“E perché dovrei odiarti? Perché hai detto a tuo figlio che il padre era Ryo? Posso capirlo sai? O pensi che, visto che poteva esserci stato qualcosa fra voi due, io ti avrei odiato? Tutto questo appartiene al passato, ormai, e da esso possiamo solo trarre insegnamento, farcene carico e andare avanti… come hai fatto tu, come ho fatto io, come abbiamo fatto tutti, del resto” e le sorrise.
 
La donna si commosse.
 
Nel frattempo, anche Ken si era avvicinato discretamente a Ryo e gli aveva chiesto:
 
“Tu mi avevi riconosciuto ieri… Perché non hai detto niente?”
 
“Non erano affari che mi riguardavano” gli rispose con un sorriso sghembo “Ero già troppo dentro i vostri segreti familiari. Toccava a te fare il passo successivo. Ryoichi è un gran bravo ragazzo, devi esserne fiero.”
 
“Oh, ma lo sono… ed ora, grazie a voi, lui lo è anche di me: di com’ero e di come sono.”
 
“È questo l’importante” concluse Ryo.
 
“Allora… addio.”
 
“Sì, addio. Abbi cura di te, e di questa bellissima famiglia che ti ama.”
 
“Lo farò” e si strinsero vigorosamente la mano.
 
Poi i genitori di Ryoichi fecero in modo di allontanare Shinobu dal fratello con una scusa, per permettergli di salutare i suoi amici.
Dapprima il ragazzo si diresse da Ryo, che attendeva in disparte poiché non amava gli addii, e gli chiese:
 
“Ryo, allora mi lascerai davvero guidare la tua Harley, quando avrò l’età giusta?”
 
“Certamente! A patto che tu non insidierai mai più la mia fidanzata!” gli rispose, guardandolo in tralice e terrorizzandolo a morte; poi Ryo scoppiò a ridere, e gli diede una bella pacca sulle spalle.
Anche il ragazzino scoppiò a ridere e questo gli servì ad inghiottire il nodo che gli si era formato in gola; riprese:
 
“Volevo ringraziarti, Ryo, per tutto quello che hai fatto per me. Sei una persona in gamba e mi sarebbe tanto piaciuto essere tuo figlio; io credo che tu saresti un padre perfetto.”
 
A quelle parole lo sweeper si sentì stringere il cuore, e stavolta il nodo in gola si formò a lui; cercò di mascherare l’imbarazzo dicendogli:
 
“Su, ora va’ a salutare Kaori, che non vedo l’ora di portarla al mare.”
 
“Ah, sì, certo! Ma attento ai calabroni!” rispose lui.
 
Ryoichi fece per allontanarsi, poi ci ripensò e, tornando indietro, lo abbracciò forte. L’uomo dapprima ne fu stupito, poi lo strinse a sua volta, con gratitudine e affetto; il ragazzino gli sussurrò:
 
“Mi mancherai.”
 
“Anche tu, mocciosetto!”
 
Kaori, che aveva assistito alla scena, aveva già gli occhi inondati di lacrime; avevano detto addio a tanti clienti, ma non era mai stato così difficile come ora.
Quando il ragazzino le fu ad un passo, lei accorciò la distanza e gli andò incontro con le braccia aperte, e lui vi si rifugiò.
 
“Su, Ryoichi, non piangere” gli disse la ragazza appena si accorse che stava singhiozzando, “O farai piangere anche me.”
 
“Kaori… Kaori… io sono innamorato di te, lo sai! Sei e resterai il mio grande amore” le disse con i lacrimoni; e con lo sguardo traboccante sentimento, aggiunse: “Come farò senza di te?”
 
“Dai, non dire così. È estate, ci sono un sacco di ragazzine carine in giro… Se non farai il maniaco, vedrai che troverai anche tu una fidanzatina. Sei così bello!” le disse lei, strizzandole l’occhio.
 
“Dici davvero? Allora un po’ ti piaccio?”
 
“Ma certo che mi piaci!” scoppiò quasi a ridere lei, benevolmente “Però sai che sono impegnata” gli disse mostrandogli la fedina “E il mio fidanzato è un tipo piuttosto geloso” aggiunse con aria maliziosa.
 
“Hai ragione. Non posso niente, contro il grande Ryo Saeba” disse lui in tono serioso, e poi: “Kaori, mi mancherai.”
 
“Mi mancherai anche tu, piccoletto” e gli scompigliò i capelli “Però puoi sempre venirci a trovare quando vuoi.”
 
“Lo farò.”
 
“Bene, ragazzi, è ora di andare” esordì Ryo “Buona fortuna a tutti” e messo un braccio sulle spalle della sua donna, si salutarono tutti in un coro di “Arrivederci”, “Tornate a trovarci”, “Buon viaggio”…
 
 
 
 
 
 
Di nuovo da soli, in macchina, chiudendosi lo sportello dietro, Kaori sospirò, e Ryo disse:
 
“Anche questa è andata!”
 
“Già, ora possiamo tornare alla nostra vita.”
 
“A proposito…” esordì l’uomo “Ieri sera si parlava di cambiamenti. Ma… non dobbiamo decidere subito. Cioè… vediamo come va, e magari facciamo un passo alla volta. Che ne dici?”
 
“Tesoro mio, te lo ripeto: l’importante è stare insieme. Poi, quello che sarà, sarà.”
 
“Hai ragione. Be’, nel frattempo, se non possiamo cambiare vita da un giorno all’altro, potremmo farlo per qualche giorno…”
 
“Cosa vuoi dire?”
 
“Che non c’è fretta di rientrare. Siamo qui, c’è il mare, è estate; e poi… voglio davvero vederti in costume da bagno!”
 
“Ma sentilo! Sei sempre il solito!” e non poté impedirsi di ridere.
 
“E poi vorrei portarti in un posto qui vicino. Al Faro di Omaezaki[1], dove c’è il Santuario degli Innamorati e un parco dedicato all’armonia tra mare e terra.”
 
“Ma-ma-ma… è magnifico, Ryo!”
 
 
“Lo so” fece lui, soddisfatto.
 
“Tu guarda, che mi diventi anche romantico! Avevi pensato a tutto, vero?”
 
“Be’, diciamo di sì.”
 
“Ok, allora! Andiamo!”
 
“Sì, ma prima voglio andare al mare, e vederti in costume, e prendere il sole, spalmare la crema per tutto quel tuo corpo da favola, che… uuuuuhhh, se ci penso! E fare il bagno, magari nudi, e poi fare l’amore in spiaggia, e poi ancora…” e già era entrato in modalità maniaco, con un accenno di bava alla bocca.
 
“Ehi, frena!” e Kaori gli rifilò una martellatina di appena 10t.
 
“Perché? Che ho detto?”
 
“Non siamo ancora partiti… e… guarda lì, e guarda lì” e indicò rispettivamente il cavallo dei suoi pantaloni, che aveva ripreso vita quasi magicamente, e fuori dal finestrino abbassato, dove sostava allibito Ryoichi, al colmo dell’imbarazzo, con in mano un cestino.
 
Un corvetto passò sulla testa dei tre gracchiando.
 
“Eh eh eh eh” ridacchiò lo sweeper, con la testa infossata nelle spalle.
 
Ryoichi a quel punto balbettò:
 
“Io-io volevo… volevo darvi questo da parte della mamma… per il viaggio…”
 
 
 
 
E tutti e tre scoppiarono a ridere come scemi!
 
Dopo aver ringraziato Ryoichi per il dono ricevuto, finalmente Ryo si decise a mettere in moto, e partì sgommando.
 
Kaori si lasciò scappare un:
 
“Sei sempre il solito idiota, ma… non cambiare mai, intesi?”
 
“Nemmeno tu, socia! Mi piaci come sei!”
 
 
[1] NOTA DELLA SCRIBAROLA DELIRANTE!
Fin dall’inizio, avevo pensato di far vivere Akiko e Ryoichi in una località di mare, a circa un paio d’ore da Tokyo, visto che volevo che R&K potessero raggiungerla in macchina, così mi sono andata a documentare. E cercando cercando ho trovato la prefettura di Shizuoka che faceva benissimo al caso mio, e soprattutto al suo interno comprendeva Shizuoka, la città, e il Faro di Omaezaki non molto lontano da lì che è… il posto dove sorge una fortezza segreta nel cui sottosuolo giace il potente Drago Spaziale del robot Gaiking (Daiku Maryu Gaiking). Ovviamente il Drago Spaziale e il Gaiking non esistono veramente, esistono solo nella realtà del manga-anime sopracitato, e oggetto di una bellissima fan fic che la mia adorata Briz65 ha scritto tempo fa e che sto leggendo. E siccome lei fa tanto per me, volevo in qualche modo legare la sua fic alla mia. Ah anche Sanshiro è un personaggio del Gaiking, e il fatto che dopo si chiam Ken era perché mi piaceva l’accostamento con Kenshiro (Sanshiro-Ken-Shiro ahhahahaha :D )
Esistono per davvero, però, il Santuario degli Innamorati e il parco dedicato all’armonia tra mare e terra, che ho scoperto documentandomi appunto, e ci cascavano a fagiolo.

 

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