Lucky Feathers

di Sette Lupe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tratto dalle acque ***
Capitolo 2: *** A volte ritornano ***
Capitolo 3: *** Un comodo posatoio ***
Capitolo 4: *** Masyaf ***
Capitolo 5: *** Gita ***



Capitolo 1
*** Tratto dalle acque ***


1. Tratto dalle acque
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“Questa volta no, Kadar. Non intendo permetterlo”
 
“Ma Maliiiik guardala! È così fradicia e sfinita, non può volare in questo stato!”
 
Certo che Malík la vedeva; la vedeva anche troppo bene: era dall'inizio della videochiamata che quel vile essere che un ingiusto fato gli aveva assegnato come fratello continuava ad inquadrare l'animale tremante rannicchiato sul fondo della barca da pesca.
Ora, di norma, a lui non seccava nemmeno troppo questa mania di Kadar di raccogliere e portare a casa qualunque bestia malconcia trovasse durante le sue numerose gite, era una seccatura certo, ma nulla di ingestibile. Questo però era tutto un altro paio di maniche: quella sul fondo della barca era una maledettissima aquila!
 
"Assolutamente no. Credo, tra l'altro, sia illegale portarsi a casa un'aquila. Inoltre non sta male, è solo molto bagnata; lasciala sulla riva: si asciugherà al sole e se ne volerà via quando sarà pronta a farlo" 
 
L'immagine dello schermo ruotò bruscamente per inquadrare il volto imbronciato di Kadar: "Oh, certo!" sbuffò il ragazzo: “Se prima non finisce nella pancia di qualche cane randagio o di qualche altro animale! Santo cielo Mal, non li guardi i documentari?!"
 
"La dura legge della natura Kadar, cosa vuoi che ti dica..." rispose lui, irremovibile, roteando gli occhi: “Un’aquila così stupida da non capire la differenza tra un lago ed il ramo di un albero non avrebbe comunque una vita molto lunga. E se li hai guardati bene, i documentari, dovresti sapere che non è giusto interferire con i meccanismi della natura; avrai già fatto una cosa sufficientemente buona portandola a riva"
 
"Dillo ai suoi pulcini, uomo senza cuore" replicò Kadar bruscamente:" Stai pur certo che mamma e papà sapranno come hai condannato a morte un'intera famiglia di aquile con il tuo egoismo"
 
Eccolo di nuovo: la minaccia di raccontare tutto a mamma e papà era quella preferita dal suo subdolo fratello minore; presentata con un elaborato corollario di lacrimosi occhi da cucciolo e pietose esagerazioni, di norma era sempre capace di convincere tanto i genitori quanto Malík ad accettare qualunque assurda richiesta da parte di Kadar. Ma non questa volta. Questa volta Malík non intendeva cedere: non avrebbe permesso questa follia:" Certo" ritorse con un ringhio:" anzi, sai cosa ti dico? Glielo dirò io stesso. E dirò loro anche che le arance, quando finirai in galera per detenzione di un animale protetto, te le porterò molto volentieri. Bada Kadar, se quella bestia varca il cancello di casa io chiamo la polizia" 
 
"Ti sfido a farlo"
 
"Ed io ti aspetto con il telefono in mano" intimò Malík chiudendo bruscamente la chiamata. 
Riappoggiò il telefono sulla sua scrivania ed emise un sospiro esasperato; perché quel pazzo di suo fratello non poteva limitarsi a soccorrere leprotti e passeri come qualunque persona assennata? 
 
Eppure il tarlo del senso di colpa aveva già cominciato a rodere la sua anima (accidenti a Kadar e alle sue arringhe), impedendogli di tornare alla relazione che voleva terminare entro sera per potersi godere il fine settimana in pace. Certo portarsi a casa un'aquila non era fattibile, e quasi certamente nemmeno legale... avrebbero potuto finire in seri guai... Ma se davvero quell'uccello avesse avuto un nido di pulcini ad attenderlo? Se fosse finita nel lago perché troppo disperata nella ricerca di cibo per i suoi piccoli per badare alla prudenza? Era stagione di riproduzione per i rapaci? La situazione era plausibile? Ma soprattutto, perché toccava sempre a lui avere a che fare con questo genere di situazioni?! 
 
Malík si stropicciò furiosamente i capelli nel tentativo di sgombrarsi la testa e proseguire nel suo lavoro, ma l'immagine di una nidiata affamata che pigolava sempre più debolmente continuava a tormentarlo. Maledetto uccello! Lo odio! Pensò, rinunciando definitivamente al suo proposito di lavorare alla sua relazione per prendere il cellulare e avviare una ricerca su internet, cercando di capire cosa fare per salvare quella stramaledetta aquila e non finire dietro le sbarre al tempo stesso. 
 
C'è un rifugio con clinica veterinaria per uccelli rapaci a circa un'ora di macchina da qui. Di seguito ti mando il link. Contattali. Ti diranno loro cosa fare. Scrisse in un messaggio a Kadar. Era tutto quello che poteva fare. 
Questo e sperare che suo fratello non fosse troppo indispettito per leggere altri messaggi da parte sua, che non decidesse ugualmente di portarsi dietro quella maledetta bestiaccia fino a casa, o che almeno sarebbe riuscito ad udirlo arrivare in modo da poterlo fermare prima di combinare qualche altro disastro convincendolo magari a recarsi direttamente al rifugio per rapaci. 
 
Sbagliato, sbagliato e sbagliato: troppo impegnato sulla sua relazione, non sentì la macchina di Kadar arrivare, almeno non finché un tremendo caos esplose al piano di sotto; trovò il fratello appoggiato ansimante alla porta che dava verso la rimessa, le braccia coperte di tagli e graffi, la maglietta strappata in più punti e un sorriso imbarazzato sul volto: "ahem… L'avevo messa nel baule ma è sicuramente imparentata con Houdini… Ho letto solo ora il tuo messaggio fratellone" ridacchiò:" È una magnifica idea!" 
 
Malík lo osservò torvo per quasi un minuto (minuto che impiegò per ricordare a sé stesso che l'omicidio è un crimine più grave della detenzione senza permesso di animali selvatici) prima di annunciare con un basso ringhio: "chiamo la polizia" 
 
"No aspetta!" gemette Kadar: "Abbi pietà Malík! Senti, chiamiamolo ora il santuario dei rapaci! Prometto che non tenterò di tenerla!" 
 
"Ci mancherebbe anche questo. Quando questa storia sarà finita giuro che ti rispedisco subito da mamma e papà: stavolta hai davvero esagerato" sentenziò Malík in risposta, troppo infuriato per essere sensibile alle pietose suppliche del fratello, lo sguardo già concentrato sullo schermo del suo telefono da cui stava attivando la chiamata verso il centro rapaci. 
 
"Centro per la tutela dell'avifauna Lionheart" rispose una voce baritonale dall'altra parte dopo un paio di squilli: "Come posso aiutarla?" 
 
"Buongiorno, sono Malík Al-Sayf. Mio fratello ha raccolto un uccello che era caduto in un lago. Crediamo che sia un'aquila, volevamo portarvelo direttamente, ma purtroppo è riuscita a liberarsi e ora sta facendo un macello nel garage" 
 
L'uomo dall'altra parte ridacchiò: "Sì, beh, di solito sconsigliamo sempre di tentare la cattura di un animale selvatico se non si è esperti, sarebbe stato sufficiente tirarla fuori dall'acqua e portarla sulla riva per poi segnalarci la zona dove era stata avvistata... Avremmo fatto il resto noi. Comunque se mi dà il suo indirizzo verrò a prenderla il prima possibile"
 
Malík non poté esimersi dal roteare gli occhi con uno sbuffo esasperato: "Quando arriva potrebbe ripeterlo anche a quel cretino di mio fratello?" 
 
L'uomo dall'altro capo della linea rise bonariamente: "Immaginavo che ci fosse di mezzo un bambino: è sempre così" 
 
"Più che di bambino parlerei di ritardo mentale" sbuffò Malík procedendo poi a dettare al gentile falconiere l'indirizzo di casa sua. 
 
"Comunque, giusto per prendere l'attrezzatura corretta, potrebbe descrivermi l'uccello in questione?" 
 
"Sì, dunque, è un uccello grande, sarà lungo mezzo metro o anche più dalla coda alla testa… Becco grigio e zampe marroni... Ah, ed è bianca" rispose Malík sforzandosi di ricordare più dettagli possibili su ciò che aveva visto durante la videochiamata con Kadar; ad entrare in garage non ci pensava nemmeno, almeno finché non fosse stato affiancato da qualcuno di competente. 
 
"Bianca?" gli fece eco l'uomo all'altro capo della linea: "assomiglia al gufo di Harry Potter?" 
 
"No no, è un rapace simile ad un'aquila, solo che è bianca con striature ocra e sulle ali..." 
 
"Per la misera!" esclamò l’uomo: "Avete per le mani un Priore!" esclamò: “Fantastico! È un animale estremamente raro, lo sa? Non si preoccupi comunque, non è un animale selvatico: le Aquile Nizarite sono una razza domestica di aquile e sono tutte abituate al contatto con l'uomo."
 
"Dal casino che sta combinando di là non si direbbe" commentò Malík scettico. 
 
Il falconiere rise ancora e chiuse la chiamata raccomandando di prestare attenzione ma di non preoccuparsi: sarebbe arrivato nel giro di un'ora. 
Kadar era salito al piano di sopra per ripulirsi e cambiarsi… E probabilmente anche per avere un po' di privacy così da poter inveire e lamentarsi con sé stesso riguardo crudeltà del fratello maggiore. 
 
Malík rimase quindi solo davanti alla porta del garage da cui finalmente non si udivano più rumori. 
Finalmente un attimo di quiete. Fu il primo pensiero, accompagnato da un sospiro di sollievo. 
 
Oddio, e se quella bestiaccia si è uccisa? 
 
Malík aveva questo brutto vizio di aspettarsi sempre conclusioni catastrofiche per ogni situazione che gli capitasse di affrontare e quindi farsi perseguitare dal timore che qualcuno potesse soffrire a causa della sua mancanza di azione… Altri l'avrebbero definita bontà d'animo, lui stupidità. 
 
Accidenti. Potrebbe essersi impigliata da qualche parte, o essersi tirata addosso qualche scatolone pesante…. Quanto odio quella bestia! 
 
A perseguitarlo ora non c'era più solo l'immagine di pulcini morenti ma si aggiunse una nuova tremenda visione della loro madre che soffocava lentamente schiacciata da una pila di scatoloni, quindi Malík non poté esimersi dall'ignorare il proprio buon senso e socchiudere la porta per controllare cosa succedeva nel garage scarsamente illuminato. 
 
L'aquila giaceva scomposta sul pavimento, in effetti, ma non era schiacciata da nulla grazie al cielo. Le sue zampe e un'ala erano tuttavia impigliate in un groviglio di lacci di cuoio. Poverina… Oh, accidenti a lei: non posso certo lasciarla così legata per oltre un'ora… Dio quanto la odio! Finirò per lasciarci un dito! Gemette tra sé e sé. 
 
Si fece coraggio prendendo un profondo respiro e attraversò la soglia avendo cura di chiudere subito la porta dietro di lui: "Ok ragazza, ora fai la brava: io ti voglio fuori di qui tanto quanto tu vuoi andartene, ma dobbiamo aspettare il tuo chauffeur e tu non puoi restare così per un'altra ora o anche più. Cerchiamo di essere civili e collaborare fino ad allora, va bene?" mormorò avvicinandosi lentamente con le mani aperte perché sperava in tal modo di mostrare all'animale le sue buone intenzioni. L'aquila lo fissò per tutto il tempo con meravigliosi occhi color ambra, seguendo ognuno dei lenti movimenti con cui procedette a sbrogliare la matassa di lacci di cuoio. I nodi che legavano le cinghie alle zampe richiesero un po' di lavoro, ma in pochi minuti Malík poté allontanare le mani trionfante. L'aquila continuò a restare immobile fissandolo con la testa inclinata in quel curioso atteggiamento che hanno gli uccelli quando guardano qualcosa che li attira. Malík piegò di lato la testa imitandola: "Allora aveva ragione quel tizio" mormorò incapace di impedire ad un leggero sorriso di tirargli le labbra:" sei davvero una brava ragazza. Brava e anche bella, devo ammettere" aggiunse prendendo coraggio e allungando nuovamente una mano per sfiorare lo splendido piumaggio. L'animale ancora restava immobile, e Malík dedusse che le carezze non le dovevano dispiacere. 
 
Era a metà della seconda carezza quando l'aquila decise di aver osservato il comportamento dell'umano abbastanza a lungo: torse il collo in un colpo troppo veloce perché lui potesse ritirarsi e assestò una beccata abbastanza potente da aprire un profondo taglio sull'anulare del poveretto. Malík si afferrò la mano ferita e scattò all'indietro mentre il suo aggressore si rialzava e, con un singolo battito d'ali, raggiungeva un armadio dall'altra parte del garage per poi ricominciare a fissarlo. 
 
"Maledetta puttana!" ululò Malík dimenticando all'istante ogni pensiero positivo riguardo a quel demonio alato:" spero ti facciano presto al forno!" aggiunse prima di uscire in tutta fretta dal garage sbattendo la porta.
 
Quando il campanello suonò entrambi i fratelli erano intenti a medicare le rispettive ferite, uno in bagno e l'altro in cucina, ancora arrabbiati l'uno con l'altro. 
" Buongiorno, sono Robert, Robert De Sable, del centro Lionheart, abbiamo parlato prima al telefono" si presentò cortesemente il falconiere sulla soglia, un gigante pelato talmente imponente da dover piegare la testa per entrare dalla porta. 
 
"Buongiorno, io sono Malík, mentre questo è mio fratello Kadar. Prego l'aquila è da questa parte" tagliò corto Malík che non aveva proprio voglia di perdersi in smancerie finché quel demonio alato soggiornava in casa sua, mentre Kadar sembrava aver deciso di rifilare a Robert l'infinito ed accorato discorso che probabilmente aveva in origine preparato per i genitori, tallonando l'uomo durante i suoi preparativi così da vicino che in un paio di occasioni rischiò di farsi pestare.
 
"Eccola, è sopra quell'armadio" sussurrò Malík al falconiere una volta che i tre si furono intrufolati in garage. 
 
Robert fu molto meno furtivo nell'approccio: "Altaïr!" tuonò abbastanza forte da far vibrare i muri:" cosa ci fai qui?" rise subito dopo. 
 
L'aquila parve riconoscerlo anche se non sembrava affatto felice di vederlo: allargò ali e coda con fare minaccioso ed emise un acuto stridio. 
 
"Giovanotto, ora posso dirti con certezza che non ci sono nidiate in procinto di morire di stenti: Altaïr non è in riproduzione e… non è nemmeno femmina temo" ridacchiò Robert dando una leggera pacca sulla spalla di Kadar: " inoltre tuo fratello aveva ragione a dirti di lasciarlo stare: è un tipo piuttosto scontroso sai?" concluse strizzando l'occhio a Malík che sentì un improvviso slancio di simpatia verso il gigante. 
 
"Niente pulcini?" guaì Kadar deluso guadagnandosi uno schiaffo sulla nuca dal fratello. 
 
"Quindi conosce il suo proprietario immagino" 
 
"Certo, glielo porterò direttamente appena l'avrò preso: non è la prima volta che questo lestofante scappa…Uhm… per caso non avete notato dei lacci di cuoio legati alle sue zampe?" 
 
"Oh, sì. Sono stato io a toglierli perché se li era arrotolati addosso fino a non riuscire a muoversi, le chiedo scusa" 
 
"Nessun problema" lo rassicurò Robert: "avrebbero reso più facile prenderlo certo, ma credo di poterlo gestire ugualmente senza problemi" aggiunse estraendo da un sacchetto un pezzo di carne cruda che attirò immediatamente l'attenzione di Altaïr. 
 
Grosso errore. 
 

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Capitolo 2
*** A volte ritornano ***


Venti punti. 
 
Venti maledettissimi punti di sutura! 
 
Malík non poteva crederci. Nemmeno in quel momento, con la mascella serrata nel disperato tentativo di non gridare mentre un'infermiera (con ovvi trascorsi da cavatore di tufo a giudicare dalla delicatezza delle sue mani) stava applicando le ultime medicazioni al suo braccio sinistro. Davvero era incredibile quanti danni avesse causato quella gallina troppo cresciuta! 
 
Kadar, l'altro colpevole di quel disastro oltre ad Altaïr, era appollaiato su uno sgabello poco distante con una borsa di ghiaccio premuta sulla testa. Il ragazzo aveva almeno la buona creanza di starsene nel suo angolo con aria contrita, a differenza del suo complice che aveva lasciato la casa di Malík stridendo ed agitandosi ferocemente dall'interno di un trasportino per gatti. 
 
Robert aveva lasciato loro i suoi recapiti, e si era profuso in una pletora di scuse dicendo loro che era assicurato e che sarebbe stato assolutamente disponibile a risarcirli di tutti i danni, ma Malík non intendeva chiedere nemmeno uno spicciolo: non riteneva il gigantesco falconiere responsabile dell'accaduto, quanto piuttosto il suo stupido fratello e il suo compare pennuto. 
 
" Mal" uggiolò Kadar appena l'infermiera ebbe terminato il suo lavoro: " Credi che potemmo chiamare Ezio? Per tornare a casa intendo… sai, per non dover prendere l'autobus… A me gira la testa…" si ammutolì però immediatamente quando incontrò lo sguardo omicida del fratello: "L'autobus va benissimo" si corresse prima di rannicchiarsi ancor di più sul suo sgabello. 
 
Il viaggio di ritorno sarebbe sicuramente stato più confortevole se avessero chiamato il loro amico Ezio per accompagnarli con la sua lussuosa automobile, specialmente per Malík il cui braccio sinistro era bloccato contro il petto da un tutore ed era quindi inutilizzabile, ma lui non era dell'umore di dover conversare con il chiassoso italiano. 
Appena arrivato a casa recuperò, non senza difficoltà, dalla sua tasca sinistra il cellulare e compose il numero dei genitori; non aveva più rivolto la parola al fratello e Kadar sapeva bene come non fosse il momento di tentare una delle sue arringhe: Malík raramente si infuriava a tal punto, ma quando succedeva era molto meglio non intralciarlo in nessun modo. 
 
"Pulcino!" trillò dall'altro capo della linea la voce della madre dei due: "Da quanto tempo! Sono così felice di sentirti! Cosa mi racconti di bello? Come stai?" 
 
"Non molto bene in effetti" esordì Malík con voce piatta: “dovreste venire a prendere Kadar. Il prima possibile se non vi dispiace" 
 
"Malík…. Avete litigato di nuovo?" 
 
"Non posso più ospitarlo da me. Quando potete venire?" 
 
La donna sospirò pesantemente, conosceva suo figlio abbastanza bene per capire dal suo tono che era successo qualcosa di grave:" Va bene… immagino che tu preferisca tenere la macchina se non lo hai fatto tornare da solo, quindi perché non lo accompagni? Venite entrambi a cena qui e poi torni a casa con la macchina. A papà manca tanto avervi tutti e due a casa, me lo stava dicendo proprio ieri…" 
 
"Nessuno dei due può guidare al momento" 
 
Il tono prima condiscendente e paziente della donna mutò all'improvviso: "Mio… Cos'è successo? State bene? Siete in ospedale?" 
 
"No, siamo già tornati. Kadar ha una leggera commozione celebrale, nulla di grave se riesce a restare fuori dalla mia portata finché non arrivate voi, io ho il braccio sinistro inutilizzabile. Nessuno dei due può guidare e non voglio mio fratello qui" 
 
"In che senso inutilizzabile? Malík, per favore vuoi dirmi cos'è successo?" 
 
Malík sospirò, giusto, doveva una spiegazione alla povera donna che sembrava in effetti sull'orlo di una crisi di nervi. Accantonò la rabbia per il bene della sua mamma e cominciò:" Questa mattina Kadar ha portato a casa un'aquila e l'ha liberata in garage. Abbiamo chiamato un falconiere per catturarla, ma quella bestiaccia l'ha attaccato e Kadar ha avuto la brillante idea di lanciarsi nella mischia. Durante la lotta hanno urtato la scaffalatura che c'è in garage e me l'hanno fatta cadere addosso."
 
"Oh Malík! Quella scaffaliera è enorme!" 
 
"Sì, e molto pesante. C'erano anche le travi di riserva del gazebo appoggiate lì contro e cadendo hanno colpito Kadar in testa, ma fortunatamente hanno anche bloccato l'aquila in un piccolo spazio da cui è stato più facile catturarla" 
 
"E tu? Eri ancora là sotto?" 
 
"Già… Sono stato abbastanza fortunato: ho solo il polso slogato e alcuni tagli" 
 
Dall'altro capo della linea Malík sentì un singhiozzo soffocato; si sentì immediatamente in colpa: "Mamma, stiamo bene entrambi e di danni non ce ne sono stati poi così tanti" tentò, la rabbia ed il rancore verso Kadar completamente dimenticati di fronte alla disperazione della donna: " È solo che io ho bisogno di un po' di pace: con Kadar in giro non riesco a lavorare e adesso sarà ancora più dura… Ho davvero bisogno di stare un po' da solo" 
 
"Certo pulcino. Papà finisce di lavorare tra un paio d’ore: appena arriva a casa partiamo. Arriviamo prima possibile, va bene?" 
 
"Ok, a dopo, grazie" 
 
"Figurati, ciao pulcino"
 
Fu solo verso sera che il campanello suonò finalmente, annunciando l'arrivo dei genitori dei ragazzi. Questa volta le patetiche scuse di Kadar non servirono a risparmiargli una severa strigliata e Malík poté aggiungere la soddisfazione di quello spettacolo al piacere di assaporare nuovamente la cucina della madre, che per consolarlo diede il meglio di sé ai fornelli. Tutto sommato non poteva negare che, in un certo senso, finire sotto la gigantesca scaffaliera per colpa di quel maledetto uccellaccio, non era stato poi così negativo considerato quanto aveva ricevuto in cambio. 
 
La casa era meravigliosamente silenziosa nei giorni successivi, e Malík poté crogiolarsi nella quiete per circa tre giorni...prima che il suo nuovo peggior incubo si materializzare nel suo salotto. 
 
Facendo la cacca sul divano per giunta. 
 
Di ritorno dalla cucina con una ciotola appena riempita di patatine, se lo trovò infatti appollaiato sulla spalliera del divano intento a guardarsi attorno come se cercasse qualcuno. Una grossa pozza di guano umidiccio faceva bella mostra di sé sui cuscini della seduta. 
 
"TU?!" Ruggì Malík tra l'indignato ed il furioso: "Cosa ci fai qui?! Sciò! Vai via!" tentò. 
 
"Cip!" Ciao Malík!
 
L'innocente gioia che Altaïr mostrò nel vederlo lo lasciò un attimo spiazzato, ma Malík non intendeva permettere a quell'incubo alato di distruggere ulteriormente la sua esistenza e la sua casa con la sua presenza. Appoggiò bruscamente la ciotola sul primo ripiano a portata di mano e corse a prendere una scopa per spaventare l'uccello e farlo scappare attraverso la finestra aperta che aveva evidentemente usato per entrare. 
 
"Fuori di qui bestiaccia!" esclamò brandendo la sua arma: "o giuro che ti… ti… Spazzo a morte!" 
 
Malík aveva un disperato bisogno di rivedere il suo arsenale di minacce. 
 
Altaïr lo osservò attentamente con la testa inclinata di lato; quindi, dopo qualche momento si chinò ad afferrare con il becco i nuovi geti legati alle sue zampe e li strattonò un po' per poi tornare a guardarlo. Il messaggio sembrava chiaro: levameli!
 
"come osi venire qui a chiedermi una cosa simile?" stridette Malík in risposta (?!) all'aquila: "vattene! Non ti voglio in casa mia!" 
 
Levameli! Levameli! 
 
Malík avrebbe davvero desiderato essere crudele quanto prometteva la sua lingua e quindi colpire duramente con la scopa quella brutta seccatura appollaiata sul suo divano; la triste realtà tuttavia era che non aveva davvero la forza per colpire un animale che in fondo non poteva capire il disastro che aveva provocato qualche giorno prima. 
 
Restava il fatto però che Altaïr non era il benvenuto a casa di Malík. 
 
"Non te li levo quegli affari, quindi rassegnati e torna da dove sei venuto" ritentò con voce autoritaria: "Avanti, sciò" aggiunse parlando lentamente e usando la punta della scopa per spingere delicatamente l'animale sul petto, dato che colpirlo proprio non riusciva nemmeno a pensarlo; magari parlando lentamente e sollecitandolo fisicamente lui avrebbe capito che doveva andarsene: gli uccelli non sono particolarmente intelligenti, si sa, quindi forse aveva solo bisogno di essere aiutato a capire… 
 
Altaïr guardò Malík, guardò la punta della scopa che affondava nel morbido piumaggio del suo petto ritraendosi però appena entrata in contatto con la pelle sottostante, quindi tornò a guardare il buffo bipede. Di umani strani ne aveva incontrati un sacco durante la sua vita, ma questo li batteva tutti. 
 
Visto che con gli esseri umani bisogna essere molto pazienti perché si sa come non siano creature particolarmente intelligenti, Altaïr ripeté in maniera più plateale e lenta la sua richiesta appena il bipede allontanò la punta della scopa dal suo petto. 
 
Levameli! 
 
Malík rimase interdetto un istante: "Aspetta, sarebbe a dire che non vuoi andartene finché non te li levo?" 
 
Altaïr ruotò la testa dall'altra parte per ravviarsi le piume in un gesto che lo aveva sempre aiutato a pensare: l'umano non aveva capito. Non completamente, anche se almeno alla faccenda di levargli i geti ci era arrivato, non intendeva affatto andarsene dopo essere stato liberato da quei fastidiosi lacci. 
 
"Non intendo scendere a patti con un pennuto" 
 
Altaïr avrebbe riso se l'anatomia del suo becco l'avesse permesso: era piuttosto lui a non avere intenzione di scendere a patti con un misero mammifero. Cosa diavolo c'era di così complicato nello sciogliere un paio di nodi con quelle strane appendici tentacolari che avevano in dotazione? Lo aveva già fatto qualche giorno prima, quindi ne era capace… che quello sciocco se la fosse presa per una misera beccatina? Impossibile, era sicuramente una questione di altro genere, del resto cosa poteva aspettarsi, se non una beccata, dopo aver fatto in modo che il metallo del suo braccialetto riflettesse una lama di luce solare direttamente nei suoi occhi? Era stato un dispetto bello e buono. Forse semplicemente non voleva obbedire. 
 
Beh, se era una gara di testardaggine quella che voleva l'umano, Altaïr era non solo prontissimo, ma anche quasi certo di avere la vittoria già in tasca… Per dirla come l'avrebbe detta un umano. 
 

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Capitolo 3
*** Un comodo posatoio ***


Vile, scorretto e subdolo. Insomma un comportamento inqualificabile. Con che coraggio si sarebbe potuto mostrare in pubblico Malík dopo un'azione simile? Invece di affrontare la tenzone onorevolmente aveva di nuovo chiamato Robert! Ed eccoli dunque, entrambi a squadrarlo parlottando tra loro in quello strano linguaggio tipico degli esseri umani. Nonostante li frequentasse da quando era un pulcino, ancora faticava a comprendere tutto quello che dicevano. 
 
Robert tentò un passo verso di lui, e Altaïr non perse tempo a mostrare il suo più feroce atteggiamento: questa volta il trasportino intendeva continuare a guardarlo da fuori come stava facendo ora, e proprio non intendeva tollerare che quelle sue grandi manacce si chiudessero di nuovo sulla sua preziosa livrea. L'umano parve capire il messaggio e si ritrasse prudentemente. 
 
"Sai Malík, devo ammettere di essere un po' incerto sul provare a prenderlo, visto come sono andate le cose l'ultima volta" 
 
L'altro sbuffò infastidito, ma non poteva negare la saggezza delle parole del falconiere: "Quindi? Io in casa non ce lo voglio. Forse potremmo chiamare il suo proprietario" propose. 
 
"Il signor Al-Sinad non guida e ci vorrebbe troppo per andare a prenderlo e poi riportarlo… Senza contare che non è detto che Altaïr dia retta nemmeno a lui: è un uccello molto testardo, sai?" 
 
"Ma non mi dire… e allora? Che si fa?" 
 
Robert si prese un attimo per riflettere: "Hai detto che non è scappato quando lo hai minacciato con la scopa, giusto?" 
 
"No, ha detto che non si sarebbe mosso finché non lo avessi liberato di nuovo da quei lacci" 
 
"Altaïr te lo ha detto?" 
 
"Sì, cioè…" Malík gemette e si stropicciò il ponte del naso; se sembrava pazzo anche solo la metà di quanto si sentisse dopo aver ripensato a quanto era appena uscito dalla sua bocca, era davvero un miracolo che Robert non fosse già fuggito. Quell'uomo doveva essere un santo. 
 
Il falconiere dal canto suo ridacchiò e accantonò il tutto con uno sventolio della mano: "esattamente cos'ha fatto? Per comunicare intendo" 
 
"Mi ha guardato fisso, poi, assicurandosi che io seguissi quello che stava facendo, ha beccato e strattonato i lacci…" 
 
"Geti" 
 
"Quello che è. Li ha stropicciati un po' e poi mi ha guardato di nuovo. Quando non ho reagito ha ripetuto tutto, lo ha fatto per tre volte" 
 
Robert annuì pensieroso: "ma non ti ha attaccato, eh?" 
 
"Non credo di avergliene dato motivo" si strinse nelle spalle Malík. 
 
Robert annuì tra sé e si chinò ad afferrare dal suo borsone uno spesso guanto da falconiere che tenne aperto come se volesse che Malík ci infilasse la mano. 
 
"L’ultimo dipendente del signor Al-Sinad si è ritrovato con mezza faccia distrutta per aver minacciato Altaïr con una scopa. Quindi se non ti ha attaccato quando lo hai fatto tu, potrebbe voler dire una sola cosa: non è mai stato nelle sue intenzioni nuocerti in alcun modo. Credo che tu gli piaccia"
 
Malík sbuffò incredulo e squadrò con diffidenza il guanto. 
 
"Sono quasi sicuro che ti permetterà di prenderlo, e forse è l'unico modo di risolvere la faccenda senza danni" 
 
Questa volta l'espirazione di Malík fu a causa della rassegnazione: "Sei sicuro di quello che stai facendo?" 
 
"Vuoi una bella bugia o una brutta verità?" 
 
Malík infilò la mano destra nel guanto: "segnatelo, così poi non rischi di dimenticarlo: sulla mia lapide voglio un epitaffio che reciti l’avevo detto che non era una buona idea" 
 
Robert ridacchiò nervosamente: "Non sei un'ottimista per natura, vero?" 
 
"Un ottimista è solo un pessimista male informato" 
 
Robert ridacchiò ancora mentre Malík si avvicinava cautamente all'aquila ora molto interessata a quanto stava accadendo. 
 
Non è che una singola buona idea avrebbe mai redento l'omone agli occhi di Altaïr, ma era anche vero che lui era un'aquila magnanima ed onorevole (oltre che modesta) quindi fu con regale distacco che riconobbe a Robert di aver agito bene nel dare a Malík uno dei guanti che servono per diventare un posatoio più confortevole e quindi di suggerirgli di avvicinarsi così che Altaïr potesse accomodarsi. Certo, i geti a quanto pare se li sarebbe dovuti tenere purtroppo, ma era curioso di provare com'era essere tenuto sul pugno da Malík e sperava che la sensazione sarebbe stata sufficientemente piacevole da ripagarlo del fastidio dei legami. 
 
Malík si avvicinò seguendo le istruzioni di Robert e continuando a visualizzare nella sua mente una serie infinita di catastrofici esiti della situazione attuale. 
 
"Bene, ora avvicina la mano alle zampe e premi leggermente contro di esse per spingerlo a salirti sul polso. Non ti spaventare: potrebbe aprire le ali e sventolarle un po' per mantenersi in equilibrio" 
 
Con grande sorpresa di Malík invece non successe nulla del genere: appena avvicinò la mano guantata a sufficienza, Altaïr ci salì sopra con eleganza, osservandolo con quella che pareva un'espressione soddisfatta e compiaciuta. 
 
Robert annuì e applaudì:" Congratulazioni, ottima cattura; ora stringi nella mano i geti: serviranno a tenerlo nel caso tenti di nuovo la fuga" 
 
Malík obbedì e osservò per qualche secondo l'animale posato sul suo pugno incapace di trattenere un sorriso: wow, era una sensazione elettrizzante avere così vicino un animale di tale imponenza, anche attraverso lo spesso guanto di cuoio poteva sentire la forza della presa dei grandi artigli ricurvi. Desiderò intensamente non avere la mano sinistra bloccata dalle medicazioni per poter sfiorare quella magnifica livrea: "È pesante" ridacchiò: " ma molto meno di quanto si potrebbe credere" 
 
"È un uccello" gli ricordò Robert con un caldo sorriso: "Ti piace? È una bella sensazione quella di avere una animale simile posato sul braccio, vero?" 
 
Malík annuì senza riuscire a cancellare il sorriso dal suo volto o staccare lo sguardo dal meraviglioso rapace: "Non credevo potesse essere così" 
 
"Senti Malík, ti andrebbe di venire con me? Per accompagnare Altaïr a casa intendo: se la tua presenza lo tranquillizza magari se ne starà buono e non farà troppi capricci" 
 
Malík si prese qualche secondo per ponderare sulla proposta, in fondo non aveva nulla da fare ed era curioso di vedere che aspetto aveva la bocca infernale capace di rigurgitare quel genere di demoni pennuti a cui apparteneva Altaïr. 
 
Finì per acconsentire e in breve si ritrovò ad inerpicarsi per una stretta strada che si snodava in un impressionante paesaggio di picchi e strapiombi, punteggiato qua e là da rovine imponenti che coprivano un arco storico che andava dall'epoca romana fino al medioevo. 
 
La macchina di Robert era un grande e comodo fuoristrada grigio chiaro che il falconiere guidava con delicata fermezza, tanto da rendere il viaggio piacevole nonostante le asperità della stradina che avevano imboccato. Altaïr, dal canto suo, pareva abituato a viaggiare standosene in braccio a qualcuno: si accoccolò sulle gambe di Malík appena questi ebbe preso posto, ben attento a non usare gli artigli per stringere la sottile stoffa dei suoi pantaloni e la tenera carne sottostante, quindi allungò il collo per guardare fuori dal finestrino con compassata compostezza. 
 
"È un vizio che gli ha dato il signor Al-Sinad. Quello di viaggiare in braccio o nel sedile del passeggero intendo" 
 
Malík si riscosse bruscamente dalla trance ammirata in cui era scivolato, rendendosi conto solo in quel momento di aver passato almeno un quarto d'ora ad osservare incantato Altaïr. Sorrise imbarazzato: "Non pensavo che le aquile potessero comportarsi così" 
 
"Oh, di solito non lo fanno mon amie. É un atteggiamento tipico solo delle Aquile Nizarite: sono creature molto intelligenti ed il loro modo di fare è più simile a quello di un cane che a quello mostrato dagli altri rapaci."
 
Malík annuì: "Hai detto che sono aquile domestiche, è per questo che sono così?" 
 
"Esatto" 
 
"E le altre? Voglio dire, credevo che tutti i rapaci usati al giorno d'oggi fossero nate in cattività…. Cioè…" 
 
Robert ridacchiò come sembrava fare praticamente in ogni occasione:" Lo sono, lo sono: ma vedi, c'è una differenza enorme tra l'addomesticamento e l'ammaestramento. I normali rapaci sono animali ammaestrati, ossia conservano sia i tratti somatici che quelli comportamentali di un animale selvatico, ma vengono cresciuti ed addestrati abituandoli all'uomo e alla vita a contatto con esso. Le aquile Nizarite invece hanno subito una selezione mirata, sia dal punto di vista fisico che caratteriale, atta a renderle diverse dai loro conspecifici e più adatte di essi a relazionarsi con gli umani. Un po' come quello che è successo a cani, mucche e cavalli per intendersi"
 
Malík annuì: "Sembra un uccello completamente diverso ora, rispetto a quello che ha tentato di ucciderci tutti nel mio garage" osservò poi. 
 
"Sì, beh, con Altaïr è sempre così: se gli vai a genio e fai le cose come piace a lui è un angelo. Se ti prende in antipatia invece è finita… Io ne sono un esempio lampante purtroppo" ammise con una punta di tristezza Robert. 
 
" E di quali nefandezze ti saresti macchiato per guadagnarti un simile rancore, se posso chiedere?" 
 
Robert ritornò alla sua risata bonaria; Malík onestamente non capiva come, una persona dolce e solare come Robert, potesse essere il bersaglio di tanto astio da parte di un animale. 
 
" Oh, una serie di nefandezze vorrai dire. La più grave credo sia stata rubargli il suo Frutto dell'Eden" 
 
"Il suo cosa?" 
 
"Sì insomma, la sua Mela del Paradiso" 
 
Malík passò stordito lo sguardo da Robert ad Altaïr che si era voltato come se stesse seguendo la conversazione e gli rivolse uno sguardo che sembrava voler dire ebbene sì, Malík: ha osato tanto. 
 
" Si tratta di un giocattolo" Spiegò Robert divertito:" È il suo preferito: una pallina dorata che sembra vagamente una mela. Oh, devi vederlo quando ci gioca! È come se fosse in paradiso; è per questo motivo che abbiamo cominciato a chiamarla il suo Frutto del Paradiso o cose simili. Io gliela prendo per spingerlo ad avvicinarsi a me abbastanza da acchiapparlo quando devo catturarlo per sottoporlo ai controlli veterinari di routine… E ovviamente sono sempre io a tenerlo fermo durante queste procedure. Vedi, il signor Al-Sinad ha ormai una certa età e Altaïr è molto forte, quindi spesso, noi del centro Lionheart, andiamo al suo allevamento per aiutarlo a gestire lui ed i rapaci più problematici. Quel vecchio strambo ed il suo compare qui presente sono riusciti a far fuggire tutti gli assistenti che lavoravano all’allevamento ed ora Rashid è solo ad accudire le aquile"
 
Malík ridacchiò:" Ah, ora capisco: sei davvero un uomo crudele… ed io che ti credevo così gentile! " scherzò. 
 

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Capitolo 4
*** Masyaf ***


4. Masyaf
 
 
Il guano degli uccelli non è una macchia facile da ripulire, specialmente se si trova sul tessuto di un divano ed è stato dimenticato lì per diverse ore. 
 
Specialmente se ci si è seduti sopra essendo rientrati in casa senza accendere le luci e ci si è lasciati cadere, dimentichi della macchia in questione, proprio sopra. 
 
Fortunatamente non c'era nessuno in casa che potesse testimoniare le orribili cose che uscirono dalla bocca di Malík nel momento in cui realizzò quanto accaduto e, successivamente, quando dovette impiegare ore per smacchiare pantaloni e tappezzeria. 
 
Per tutto il tempo nella sua testa era risuonato l'assurdo avvertimento dello strambo proprietario di Altaïr: "Fin dai tempi più antichi gli allevatori di queste creature hanno scoperto che esse sono potenti talismani. Compiacerle e venerarle porta grande fortuna al suo proprietario; al contrario, grandi sfortune si abbatteranno su coloro che mancano loro di rispetto"
 
Che idiozia: a lui Altaïr aveva portato solo guai, gratuitamente per giunta. 
 
Quando finalmente riuscì a sistemare il pasticcio sul divano e quello dentro la sua mente si prese un caffè e si sedette sulla veranda per ripensare alla giornata. 
 
___
 
L'allevamento di cui aveva parlato Robert era niente di meno che una maestosa cittadella fortificata, con tanto di mura e minacciosi cancelli rinforzati da bande di metallo. Malík si era sentito precipitare in un’altra epoca, tanto che non si sarebbe stupito più di tanto se avesse incontrato qualche bislacca apparizione vestita con armatura e brandendo una scimitarra o qualcosa del genere. Peccato solo lo stato di misero abbandono in cui versava: se infatti da lontano Masyaf conservava inalterato il suo austero splendore, da vicino si poteva vedere bene quanto inclemente il tempo era stato con i suoi edifici chiaramente disabitati da anni. Nessuno si aggirava per le viuzza tortuose, nessuno sostava nelle piazzette invase dalle erbacce che avevano ormai divelto con le loro radici gran parte del lastricato, molti degli scuri pendevano precariamente da cardini corrosi, accanto a finestre che nessuno si preoccupava più da anni di sistemare; al posto di molte porte si aprivano solo tristi bocche di ombra, congelate in un grido a cui solo i venti invernali che vi si intrufolavano restituivano una parvenza di voce. 
 
Eppure un tempo doveva essere stata una città ricca e prospera anche se non molto grande perfino per gli standard dell'epoca; furono tanti piccoli deliziosi particolari a raccontarlo a Malík: una piccola statua accoccolata nella nicchia di una casa, l'architrave di un balcone i cui bassorilievi accuratamente scolpiti erano ancora visibili sotto i viticci rinsecchiti di un rampicante ormai morto, il mosaico di un'abitazione che mostrava ancora la scritta “cave canem” sotto all'immagine di un grosso mastino nero, i numerosi frammenti di affreschi che facevano capolino laddove la sporgenza di un tetto o un cornicione li avevano protetti dalle inclemenze metereologiche. Malík provò un misto di tristezza e stupore per la vista di quel luogo. 
 
L'unico attuale abitante di Masyaf si era ricavato una modesta abitazione in quello che sembrava essere stato un magazzino di qualche genere. Rashid Al-Sinad era un uomo severo, con un lato del volto devastato da un'impressionante cicatrice che doveva averlo privato della vista da quell'occhio, almeno a giudicare dalla patina opalescente che copriva la pupilla deformata. Li attendeva nel piazzale del castello in cima alla cittadina, serio, composto, apparentemente fatto della stessa pietra delle mura. 
 
"Lascia libero mio figlio" fu l'unico saluto che espresse, rivolto a Malík che stava tentando di uscire dalla macchina e al tempo stesso di calmare un Altaïr improvvisamente e inspiegabilmente agitato. 
Grazie al cielo Robert accorse ad aiutarlo, districandolo dalla lunghina e dai lacci del guanto: "Puoi lasciare la presa sui geti" lo istruì:" vedrai che non andrà lontano: è abituato a starsene libero all'interno della fortezza" 
 
Le dita di Malík avevano appena allentato la presa quando sentì i geti scivolarvi attraverso, trascinati dalle zampe di Altaïr che si staccavano dal suo polso, lasciandogli una sorprendente sensazione di perdita. In meno di un'istante l'aquila aveva attraversato il piazzale, compiuto un giro attorno al suo accigliato proprietario e si era involato così alto da scomparire quasi alla vista. 
 
Era stato allora che Rashid si era avvicinato a Malík, pronunciando la frase più lunga di quell'intero pomeriggio mentre lo squadrava dal basso all'alto: " Altaïr è un animale sacro, l'ho allevato come fosse figlio del mio sangue. Così come allevo e chiamo figlio ognuno degli esemplari di cui sono custode. Non osare mai più tentare di trattenerlo dal raggiungere suo padre." Sentenziò; quindi proseguì (interrompendo le spiegazioni di Robert su come Malík non fosse un falconiere e su come semplicemente non avesse capito che Altaïr aveva intenzione di involarsi):" Fin dai tempi più antichi gli allevatori di queste creature hanno scoperto che esse sono potenti talismani. Compiacerle e venerarle porta grande fortuna al suo proprietario; al contrario, grandi sfortune si abbatteranno su coloro che mancano loro di rispetto. Io sono l'ultimo custode di questa tradizione. Rispetta la storia e le tradizioni della tua terra, ragazzo, o preparati ad affrontarne le conseguenze."
 
Il resto della conversazione fu portato avanti principalmente da Robert, gioviale e assolutamente refrattario all' apparente astio del vecchio. Malík si limitò a starsene seduto rigidamente su una delle vecchie sedie della piccola cucina (che faceva anche da salotto) della casa di Rashid. Non si era mai sentito così a disagio in vita sua e si appuntò mentalmente di non accettare mai più un invito a visitare la fortezza. 
 
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Ora, accoccolato sul divano, in una casa finalmente silenziosa, con le ombre che strisciavano facendosi sempre più lunghe e scure con lo sfumare del tramonto nella notte, Malík ebbe modo di fermarsi a pensare anche su un altro particolare che sul momento aveva tralasciato: Rashid lo aveva ammonito di non impedire mai più ad Altaïr di raggiungerlo, definendosi suo padre e quant'altro, ma in effetti l'aquila non era andata da lui. Si era limitato a compiere un volteggio attorno alla sua figura poi era subito scomparso. Perché si era comportato a quel modo? 
In effetti aveva evitato il vecchio tutto il pomeriggio, anche al momento del pasto: aveva afferrato la sua porzione di pollo e si era subito allontanato. Robert aveva supposto con un certo rammarico che forse era colpa sua: Altaïr non sembrava intenzionato a perdonarlo e forse non si fidava a mangiare in sua presenza. Che peccato. L'omone gli faceva un po' compassione: avere una creatura così straordinaria vicino e sapere che non si sarebbe mai lasciata nemmeno sfiorare di sua spontanea volontà… lui al contrario aveva avuto fortuna con Altaïr, se quanto gli era stato raccontato a proposito del l'uccello era corretto: aveva ancora la faccia e le mani attaccate al corpo nonostante lo avesse toccato diverse volte. La sua pelle formicolava ancora al ricordo della sensazione del contatto con l'animale; era qualcosa di quasi alieno, così distante da qualunque animale che gli fosse capitato di toccare in vita sua: gli uccelli rapaci sono diversi da tutti gli altri animali, pensò gustandosi il ricordo del viaggio in macchina con Altaïr a coccolato in grembo. 
 
Le sue labbra si distesero in un sorriso quando, facendo un collegamento bislacco, la sua mente gli ricordò che in effetti aveva in un certo senso tenuto in braccio un dinosauro. Non ci si pensa mai perché un pappagallino o un piccione non rispondono a sufficienza allo stereotipo acquisito del dinosauro che tutti hanno, quindi non risvegliano mai il pensiero; ma un uccello da preda è un'altra cosa, specie quando ha la stazza di Altaïr. 
 
Un dinosauro appollaiato sul mio pugno…
 
Gli era dispiaciuto vederlo volare via. Doveva ammetterlo, sentire il cuoio dei geti scivolargli tra le dita senza che lui potesse far nulla per impedirlo, lo aveva lasciato con una sensazione di vuoto che non si sarebbe aspettato… chissà com'era invece sentirlo atterrare sul proprio braccio. Oh, doveva essere fantastico: una creatura così potente, così selvaggia e straordinaria che decideva di scendere da oltre le nubi in risposta al suo richiamo…. 
 
Malík si riscosse all'improvviso dal suo sogno ad occhi aperti scuotendo la testa e stropicciandosi faccia e capelli: "Ma che diavolo stai pensando?! Sei forse impazzito?" si rimproverò da solo ad alta voce. Giusto: quella bestiaccia doveva starsene sulla sua montagna, mentre il posto di Malík era da tutt’altra parte. Malík non era un falconiere, non gli era mai interessato e non gli interessava diventarlo; inoltre, in tutti i piani che aveva fatto per la sua vita, proprio non c'era posto per un animale impegnativo e dispendioso da mantenere come un'aquila. Magari un pappagallo, o meglio un canarino se proprio avesse voluto; e fu ripetendosi questo e come lui non amasse i rapaci ed il loro strano mondo che andò a dormire. 
Ma a quanto pare non era un oratore così capace quando si trattava di convincere il suo subconscio, dato che i suoi sogni erano tutti piume d'oro e d'avorio, stralci di cielo terso e artigli d'acciaio che stringevano il suo polso senza ferirlo, scesi dal cielo al suo richiamo accompagnati da lucenti occhi d'ambra.
 
 E accidenti a lui se non erano maledettamente belli.



 

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Capitolo 5
*** Gita ***


5. Gita
 
 
"Allora, sei ancora un ricamo ambulante o te li hanno tolti quei benedetti punti?"
 
Malík allontanò con uno scatto il telefono di una buona decina di centimetri dall'orecchio: Ezio aveva questa orrenda abitudine di parlare a voce troppo alta al telefono, eppure non poteva dirsi infastidito nel sentire la voce squillante dell'amico: "Sono lieto di comunicare che sono ufficialmente un uomo libero da giovedì scorso" rispose allegramente.
 
"Bene! Allora domani sei impegnato: siamo solo noi due, più mio fratello e mia sorella. Prendiamo il Serpentone e arriviamo fino al recinto di Nove Secondi, facciamo un paio di attraversamenti e poi ci fermiamo a pranzo da Adal. Ritrovo da me alle otto e mezzo con i motori già caldi!"
 
Malík ridacchiò:" Ok, allora alle nove sono lì, così devo aspettare il vostro ritardo solo mezz'ora"
 
Ezio scoppiò nella sua calda risata e concluse la telefonata con le solite promesse di come, questa volta, sarebbe invece stato super puntuale. Promesse sempre uguali a loro stesse tanto quanto l'abitudine di infrangerle.
 
Malík rinfilò il telefono in tasca e si diresse canticchiando tra sé e sé verso il garage dove custodiva il suo più prezioso tesoro per prepararlo alla gita dell'indomani. La carena blu elettrico della sua moto lo salutò con bagliori color zaffiro appena ebbe rimosso il telo protettivo strappandogli un sospiro che non sarebbe stato fuori luogo tra le labbra di un innamorato che salutava la sua bella dopo una lunga separazione.
 
Era stata decisamente una settimana fantastica: la seconda di libertà dal suo seccante fratello, al lavoro non era stato poi così tanto vessato dal suo capo, nessun intruso piumato era giunto a distruggerli casa, il giorno successivo lo aspettava una gita in moto lungo una delle strade più belle della zona per un motociclista (il "Serpentone" era un nomignolo che gli amanti delle due ruote avevano affibbiato al percorso per via delle numerose curve sinuose che lo caratterizzavano) e per giunta era previsto un tempo splendido per tutto il weekend. Anche l'idea proposta dal suo scapestrato amico di far visita a Nove Secondi era da annoverare tra le gioie che lo attendevano quel fine settimana in effetti: il vero nome di Nove Secondi non lo avevano mai scoperto, e quello affibbiatogli di comune accordo dalla combriccola di motociclisti di cui Malík faceva parte, era stato ispirato da una serie di grandi cartelli affissi ad intervalli regolari sulla staccionata del suo recinto che recitavano "Potete attraversare questo pascolo solo se impiegate meno di otto secondi a farlo. Perché al toro ne servono nove”
 
Sì, Nove Secondi era un enorme toro. Giovane, veloce, nonché straordinariamente territoriale ed irascibile. I cartelli erano apparsi dopo una sola settimana dal suo arrivo in quel pascolo (Probabilmente dopo qualche incidente con turisti troppo amanti degli animali e troppo poco istruiti sull'etologia bovina) e fino alla loro affissione in nessuno della compagnia di motociclisti aveva destato il minimo interesse.
 
Ma un cartello simile non poteva essere ignorato: a partire da quel momento, le visite al suo recinto erano diventare uno dei loro passatempi preferiti, e sembrava che anche Nove Secondi avesse finito per trovare divertente partecipare a quelle sorte di corride de recortes improvvisate… Probabilmente anche per via del fatto che veniva puntualmente ricompensato per il divertimento fornito con grandi manciate di zuccherini, frutta e verdura che venivano buttati nel recinto dai ragazzi al momento di congedarsi.
 
A proposito di animali pestiferi, chissà come se la passava Altaïr…
Malík scrollò bruscamente la testa: doveva smetterla di pensare a quell'uccellaccio. Altaïr stava bene dove stava, e il fatto di non rivederlo assicurava salute e pace ad entrambi.
 
La pace di Malík era indubbia, per quanto riguardava Altaïr invece, quelle erano state due settimane di duro lavoro: come molti animali che convivono a stretto contatto con gli umani, Altaïr aveva una seppur vaga idea di cosa significasse lavorare. Sapeva che Il Padre nutriva lui ed i suoi simili con galline, piccioni conigli e porcellini d'india che lui stesso allevava; sapeva anche che però, per crescere e nutrire questi ultimi, Il Padre scambiava il cibo che loro mangiavano con dei pezzetti di carta che otteneva facendo fare ad Altaïr alcune cose: in quelle due settimane in particolare avevano spaventato uccelli. Ad Altaïr piaceva rincorrere piccioni e storni (non li prendeva quasi mai perché Il Padre diceva che mangiare le loro carni avrebbe potuto farlo ammalare e gli portava via immediatamente ogni preda che riuscisse ad acchiappare); Il Padre lo svegliava prima dell'alba, lo metteva in macchina nel suo posto preferito e gli faceva guardare il panorama mentre lo portava in giro fino al tramonto. Visitavano frutteti, campi appena seminati, aeroporti e anche qualche magazzino dove il compito di Altaïr era sostanzialmente fare il bullo finché gli uccelli indesiderati non avessero pensato che quello ora era il suo territorio di caccia, decidendo quindi che era meglio abbandonare la zona per non cadere vittima dei suoi attacchi.
 
Divertente, ma anche molto stancante.
 
Finalmente, dopo quella che gli era parsa un'eternità, l'automobile che veniva tutti i giorni a prendere lui ed Il Padre non arrivò più e quest'ultimo si presentò a mattino inoltrato ad aprire le porte delle voliere senza chiamarlo. Era il segnale che il lavoro era finito e Altaïr poteva andare dove gli pareva. Rimase ugualmente nei paraggi per un paio di giorni per assicurarsi che Il Padre non avesse davvero più bisogno di lui, perché era ben conscio del fatto che lui in particolare era una delle principali fonti di guadagno del Padre, ed era quindi sua responsabilità primaria fare quanto in suo potere per il sostentamento della Famiglia.
 
Malík però ora poteva tornare ad essere nei suoi pensieri, quindi, il terzo giorno di inattività della rocca, scelse la corrente d'aria più adatta a raggiungere la casa del ragazzo e si allontanò rapidamente dalle alte mura della sua casa.
 
Trovò il suo obbiettivo nel vialetto di casa, intento a preparare per la partenza uno di quei buffi mezzi di trasporto su cui gli umani talvolta amano salire a cavalcioni; stridette un saluto ma Malík lo ignorò platealmente e, senza guardare verso il cielo nemmeno una volta, si infilò una specie di uovo di plastica in testa ed accese il motore della motocicletta (giusto, moto, era così che si chiamavano quegli affari). La prima reazione dell'aquila fu di indignazione e di rabbia: come osava ignorarlo in maniera tanto insolente?! Poi però ricordò Rauf, una delle aquile più esperte ed anziane della Famiglia, e come lo avesse istruito sulle limitate capacità degli umani: le povere creature avevano un pessimo udito ed erano praticamente cieche; inoltre non avevano l'istinto di levare lo sguardo al cielo per rilevare eventuali pericoli provenienti dall'alto, del resto avevano pochissimi predatori, quindi solo gli umani addestrati a prendersi cura del loro popolo controllavano regolarmente quanto accadeva sopra le loro teste. Era pertanto plausibile che Malík non lo avesse udito e ancor meno visto.
Poco male decise: lo avrebbe seguito dall'alto e gli avrebbe fatto una bella sorpresa appena si fosse fermato in qualche punto dove fosse stato facile atterrare.
 
La prima sosta di Malík non offriva una tale possibilità: la grande casa davanti a cui aveva parcheggiato la moto era in un punto dove il vento formavano fastidiosi vortici d'aria a bassa quota; in più il giardino era presidiato da una sgangherata e rumorosa banda di cagnacci di grossa taglia che avrebbero scatenato sicuramente un pandemonio nel vederlo e gli avrebbero rovinato la sorpresa. Tanto più che Malík era entrato subito nella costruzione che non presentava finestre aperte accessibili. Quindi all'aquila non rimase che restare in quota descrivendo pigri circoli sopra la magione e tenendo d'occhio la motocicletta di Malík.
 
Dopo quasi un'ora, Altaïr aveva quasi perso le speranze di vedere il suo nuovo umano preferito uscire da quella maledetta casa quando eccolo sbucare accompagnato da altri tre bipedi che saltellavano e zigavano come conigli in amore. La strada che scelsero di percorrere lui la conosceva abbastanza bene, e sapeva come avrebbe dovuto attendere parecchio prima di trovare un posto per atterrare.
 
Non aveva abbastanza pazienza per questo, quindi decise che avrebbe cambiato strategia: scese di quota prendendo velocità, ed al momento giusto si tuffò tra gli alberi che formavano una volta sopra la strada per sbucare alle spalle del piccolo gruppo di motociclisti.

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