La melodia della neve

di MaikoxMilo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La prima missione ***
Capitolo 2: *** La valle sigillata (prima parte) ***
Capitolo 3: *** La valle sigillata (seconda parte) ***
Capitolo 4: *** Ciò che non può più tornare ***
Capitolo 5: *** Creazione e distruzione (prima parte) ***
Capitolo 6: *** Creazione e distruzione (seconda parte) ***
Capitolo 7: *** Dissapori generali ***
Capitolo 8: *** Nero Priest ***
Capitolo 9: *** Separazione ***
Capitolo 10: *** Lo squarcio dentro di te ***
Capitolo 11: *** Il Principio Primo di Tiamat ***
Capitolo 12: *** Contatto ***
Capitolo 13: *** Una giornata quasi ordinaria ***



Capitolo 1
*** La prima missione ***


CAPITOLO 1: LA PRIMA MISSIONE

 

17 ottobre 2011, notte

 

“… e quindi, come vi raccontavamo prima, quando Michela e Marta si sono perse nel bosco, siamo riuscite a localizzarci proprio grazie all’ausilio del cosmo. Naturalmente io sapevo già cosa esso comportasse, ma avevo l’obbligo di tacerlo, così accantonammo quello strano fenomeno, relegandolo da qualche parte all’interno di noi” spiega Francesca, sorridendo leggermente nel fissare lo scoppiettio del fuoco che le rischiara il volto, unica fonte di luce nel buio intorno a noi.

“Capisco… - prende parola Hyoga, l’autore della domanda rivolta a noi – Quindi il cosmo si è manifestato tardi in voi...”

“Non è proprio così, Hyoguccio, in verità facevamo cose strane già da prima… - interviene Michela, arpionandosi come solito al braccio del suo fidanzato e facendolo arrossire ben benino – E’ successo anche nella gita a Parigi di terza media, e ancora in altre situazioni, soprattutto in Marta. Lei… causava strani fenomeni, sai? Quando si arrabbiava contro qualcuno, o voleva difendermi dai bulli, o ancora era agitata, produceva degli strani bagliori tutti intorno che spaventavano la gente. La chiamavano ‘il mostro dagli occhi blu del demonio’ e scappavano a gambe levate. Per questa ragione non aveva amici oltre a noi e a...”

“Michela!!! Può bastare! Se permetti i fatti miei sono io a raccontarli agli altri quando mi aggrada, non tu! Penso che puoi capirlo...” la intercetto, visivamente a disagio, guardando altrove nel buio della notte che tutto affoga con le sue spire.

Michela sussulta, accusando il rimprovero e zittendosi contemporaneamente, poi si appoggia nuovamente a Hyoga, assaporando l’aria quasi frizzante della sera.

Sbuffo contrariata, ancora offesa dalla parlantina della mia amica che spesso, complice la sua ingenuità, non si rende conto di star oltrepassando un confine pericolosissimo. Dopo il mio rimprovero, c’è stato un subitaneo silenzio da parte di tutti, persino da parte di Sonia e Hyoga che ci hanno chiesto come abbiamo utilizzato inconsapevolmente il cosmo prima di approdare al Santuario, ma Michela, al solito, non la ferma nessuno e quindi ha trovato idilliaco raccontare i fatti miei che preferirei fossero taciuti e seppelliti per sempre. Istintivamente rannicchio le ginocchia contro il mio petto, lasciando indietro quel passato che non mi piace per tendere la mente ai giorni scorsi, ripercorrendo quindi i passi che ci hanno condotto qui, sul greto del fiume Scrivia nelle vicinanze di Montoggio.

E’ la nostra prima, vera, missione affidataci da Shion, il Grande Sacerdote. Ancora stento a crederci abbia scelto noi, impiegandoci per la ricerca di un nemico che pare sia in grado di distorcere il tempo interno di una persona. Rabbrividisco simultaneamente a quel pensiero. E’ vero che abbiamo l’ordine tassativo di indagare senza ingaggiare battaglia, ma le testimonianze arrivate al Grande Tempio dagli informatori, che giurano di aver visto i vecchi ringiovanire miracolosamente e le donne al nono mese di gravidanza stare male per poi partorire dei feti, mi rendono inquieta e apprensiva come non mai. Mi sembra di essere costantemente spiata qui, ogni fruscio causato dalla fauna locale ci mette sul chi vive, i nervi a fior di pelle.

Siamo in missione da tre giorni, quando siamo arrivare a Genova non c’è nemmeno stato il tempo di salutare le nostre madri, subito abbiamo preso una corriera e ci siamo recati a Torriglia, paese dell’entroterra ligure non lontano dal lago artificiale del Brugneto, da lì, seguendo il torrente Laccio, abbiamo proseguito raccogliendo testimonianze, fino ad arrivare a Montoggio, dove il torrente Pentemina e il Laccio si incontrano per formare lo Scrivia. Non siamo molto lontani dalla mia valle, la Valbrevenna, eppure ho una strana sensazione sempre più sinistra ed enigmatica, quasi… oscura, indefinita, sfuggevole…

E’ come se… se rammentassi appena il luogo basilare della mia infanzia, quasi come se… se il suo ricordo si offuscasse mano a mano che mi avvicini.

Fino ad ora, a dispetto dei dispacci degli informatori, non abbiamo incontrato nulla di strano. La gente di questi luoghi è tranquilla, vive la sua vita come sempre, tra lavoro, portare i bimbi a scuola e la coltivazione del proprio orticello. Il tempo scorre come sempre, indifferente a noi, né più né meno. Domani sarà la volta di indagare su Montoggio e Casella, per il momento ci riposiamo nei pressi di un ponte dietro una grossa siepe sul greto del fiume. Abbiamo acqua per sostentarci e un bel cinghiale appena fatto arrostire per merito di Hyoga, che, a suo dire, utilizzando le tecniche tramandategli da Camus, lo ha catturato per noi. Se ci penso mi dispiace un po’ per l’animale, ma, in fondo, è quasi più equilibrato catturare una preda così che non tenerla negli allevamenti intensivi e poi portarla al macello.

Certo che… vorrei diventare sciamano come mio fratello, ma non so bene cosa esso comporti, visto che non mi ha ancora allenato su quello, Hyoga dice che Camus gli ha insegnato come cacciare senza far soffrire la preda e che questo sia il prezzo di vivere a stretto contatto con la natura, ma non ha approfondito più di questo, lasciandomi con una strana inquietudine e in piena fibrillazione. E’ davvero ciò che voglio disvelare la ‘melodia della neve’? Quali altre strade mi sono concesse?

“Chissà cosa gli è saltato in mente a Shion di mandare noi altre… proprio non capisco! E’ una persona saggia e giusta, non è da lui spedirci in una missione così pericolosa, lui ha a cuore tutti noi!” si chiede sospirando Sonia, guardando il cielo stellato sopra di sé. Il suo disappunto neanche troppo velato, permette alla mia mente di concentrarsi su questioni più concrete.

Effettivamente, nonostante il parere contrario di ben quattro Cavalieri d’Oro, non c’è stato verso di schiodarlo dai suoi propositi, quasi come quei vecchietti che, una volta superata la soglia degli ottant’anni, si fissano su cose, concetti e persone, come se la loro mente perdesse la capacità di mettersi in discussione.

“Non mi ci far pensare… che se mi immagino ancora quella scena mi assale una paura ancestrale! Menomale che almeno Hyoga è riuscito a offrirsi volontario per seguirci in questa pazzia, lui che ha ben più esperienza di noi. Non è vero, amore mio? Ti siamo immensamente grati, sai?” rumoreggia Michela, strusciandosi contro il Cigno, il quale, già paonazzo in volto, comincia a annaspare nelle parole come il suo mentore

“Mi-Michela, ti prego… queste effusioni in pubblico mi imbarazzano oltremodo!” biascica, visibilmente agitato.

“Orsù, non fare il timidino, tanto lo sanno che siamo una coppia, che male c’è?!” ribatte Michela, sogghignando sorniona. Il resto sono lamenti di Hyoga e moine da parte della mia amica.

Sorrido mestamente tra me e me, ripensando alla scena in cui Shion ci ha affidato questa missione, subito le immagini di quel particolare frangente mi investono la mente, facendomi rivivere quei momenti e, in particolare, la reazione di mio fratello, che non avrebbe mai voluto affidarci un simile, gravoso, compito e che più di ogni altro ha provato ad opporsi con tutte le sue forze, purtroppo inutilmente. Sospiro sonoramente, mentre una brezza fredda mi scompiglia i capelli, portandomi istintivamente a guardare gli astri sopra di me.

 

“… Marta! Francesca! Michela! Sonia! Sarete voi ad indagare in quei luoghi arcani. Vi affido la missione, partirete fra cinque giorni una volta che i preparativi saranno ultimati!”

Rimango inebetita a guardarlo mentre, con passo un po’ più pesante del solito, si volta e si dirige verso il trono, sedendosi teatralmente su esso e prendendo un profondo respiro, come se si fosse accavallato un enorme peso sulla coscienza.

Mi ritrovo ben presto a tremare e ingoiare a vuoto, un insetto nella tela del ragno che può solo attendere l’avvicinarsi dell’aracnide. Nella mia testa borbotta solo un continuo ‘perché?’ che sbatte dolorosamente nelle pareti del mio cervello, trasmettendomi, ad ogni secondo, la consapevolezza di un qualcosa di ineluttabile.

Per… perch...” trovo infine il coraggio di pigolare, ma una voce ben più potente della mia, mi mozza le parole in gola.

MA SIETE TOTALMENTE USCITO DI SENNO?!?”

I presenti si voltano stupefatti verso l’artefice di quella esclamazione, sussultando pesantemente non tanto per il tono informale, quanto per la sorpresa di constatare a chi appartenga quell’esclamazione così sprezzante e ingiuriosa. Inconcepibile! Per i presenti è semplicemente inconcepibile che sia stato lui. Passi Death Mask, abituato a farsi beffe di tutto e tutti, passi anche Aiolia che spesso e volentieri si oppone alla gerarchia precostituita, ma lui no, un comportamento simile non è per niente da lui! Anche io lo guardo sconvolta, quasi spaventata.

Camus, posso capire che...”

Non capite niente, invece! State ordinando alle mie allieve e a Sonia di finire ammazzate da un nemico che, si vocifera, possa manipolare il tempo interno!!!”

Altra frase infelice. Quel tono, quell’accusa… conosco bene le regole del Santuario, cosa può rischiare Camus, mio fratello, ad opporsi così strenuamente, in un simile linguaggio, ad un ordine tassativo del Grande Sacerdote?!? Di colpo, una paura ben più atroce si impadronisce di me: il terrore di causare dei grossi guai alla persona a me più cara, che rischia così di essere punita brutalmente. Rabbrividisco ulteriormente, ma non ho ancora il coraggio di aprir bocca.

Camus… uff, sapevo sarebbe stato difficile...” sospira il vecchio Shion, massaggiandosi le tempie. Non sembra avere propositi bellicosi, ma non sembra neanche intenzionato a ritrattare.

Ditemi perché… perché volete mandarle in una missione così difficile e potenzialmente mortale, perché non mandare uno di noi Cavalieri d’Oro?! Nel caso, mi offro io per...”

Voi mi servite qui. Le ragazze invece, almeno tre di loro, conoscono il luogo, possono muoversi con maggior destrezza e passare inosservate con più facilità. Ecco il motivo della mia scelta. Ti basta?”

No! Perché io non vi permetterò di...”

Fratellino, ti prego, fermati! - lo richiamo, prendendolo per il braccio sinistro con entrambe le mani – Se questa è la decisione di Shion, io… io andrò. Non devi temere nulla, non mi accadrà niente!” biascico, tesa.

Camus mi fissa per qualche secondo, il nostro è uno scambio di sguardi veloce ma intenso, quanto basta per tranquillizzarlo un po’.

Marta...”

Annuisco, tentando di sorridere.

Fidati di me, mi sono notevolmente irrobustita in questi mesi e… anche Michela e Francesca, per non parlare di Sonia. Insieme ce la faremo, come abbiamo sempre fatto!”

Cerco di essere il più convincente possibile, ma Camus deve vedere la paura dietro il mio sguardo, perché, con la mano libera, avvicina la mia testa al suo petto, in un fugace, quanto profondo, gesto di affetto.

Marta… è mio dovere, in quanto maestro, proteggervi. Non permetterò la vostra partecipazione a questa follia, né in questa vita né in nessun’altra. Voi non andrete! Il Santuario ha osato troppo in questi anni, io stesso ho perso tanto, troppo, ma non mi sono mai pienamente ribellato. Ora il tempo è giunto, ho più di un motivo per oppormi… - mi sussurra dolcemente all’orecchio, prima di lasciare la presa su di me e tornare ad affrontare, con lo sguardo fiero, colui che l’autorità precostituita impersona – ...In un modo o nell’altro!” dice veemente, assottigliando gli occhi, ora gelidi come non mai.

Non posso convincerti in alcun modo, Camus?” chiede Shion, rassegnato.

No, mi oppongo con tutte le forze in mio possesso. Avete detto che vi serviamo qui, giusto? E allora mandate qualcun altro, non le ragazze, o io...”

Camus, adesso calmati, non è da te un comportamento simile! - interviene Mu, assottigliando a sua volta lo sguardo nei confronti del parigrado – Posso capire che vuoi bene alle tue allieve, ma questa è scarsa fiducia nei loro confronti! Se il Sommo Shion ha scelto di mandare loro significa che si fida della loro forza. Perché opporti? Sei sempre stato tra i più giudiziosi Cavalieri di Atena, perché ora...”

Le cose cambiano, Mu! - lo interrompe quindi Camus, freddo come il ghiaccio – Shion è tuo maestro, comprendo che sei schierato dalla sua parte, ma abbiamo due modi diversi di vedere le cose. Drasticamente!”

E sarebbe?”

Avverto il cosmo di Mu brillare di una luce intensa, pronto a intervenire in caso di necessità. Automaticamente mi metto le mani tra i capelli, mentre Michela, Francesca e Sonia si avvicinano a noi, spaventate. Mi ci manca che ora Camus litighi con i suoi compagni. No, no, dannazione, no!

Tu hai sempre avuto un debole per seguire pedissequamente gli ordini di una autorità da te riconosciuta, nonché per... ‘mandare avanti gli altri’, che sia stato per fiducia assoluta, o altro, non mi interessa. Lo hai fatto nella battaglia Dodici Case, inoltre so che hai agito nella stessa maniera durante lo scontro contro Poseidone, impedendo ad Aiolia e Milo di dare manforte ai Cavalieri di Bronzo, lo so, anche se io non ero fisicamente presente… Se a te piace non intervenire in prima persona mi sta bene, ma abbi anche l’accortezza di non intrometterti in faccende che non ti spettano! Shion non ha chiesto a Kiky di finire ammazzato da questo misterioso nemico, ma alle mie allieve, ed io ho il preciso dovere di impedirlo!” esclama mio fratello, sempre più minaccioso.

Camus… ti rispetto e ti ho sempre stimato, non voglio quindi discutere con te, ma… se permani ad essere così agitato, io...”

Aspetta, Mu, apprezzo il tuo intervento, ma lasciami chiarire direttamente con lui! - lo ferma Shion, chiudendo e riaprendo gli occhi per prepararsi a porre una nuova domanda all’oppositore – Camus, le tue allieve e Sonia ti hanno salvato la vita quando eravate nel 1741, giusto? Non è impresa da poco quella che sono riuscite a svolgere con Dégel e Cardia… perché quindi non riesci a credere in loro? Perché hai così poca fiducia nei loro confronti?!”

Non è poca fiducia, è...”

Ma di che diavolo state blaterando!? Poca fiducia?!? Qui non si tratta di quella, è un suicidio bello e buono, è più che normale la reazione di Camus!” lo affianca Milo, trattenendosi appena.

Milo… grazie, tu… tu mi aiuti sempre in queste situazioni!” mormora dolcemente Camus, gli occhi luminosi nel sorridere al suo amico. Lo Scorpione annuisce beffardo, scambiandogli un’occhiata di intesa.

Sono con te! – gli dice, passando lo sguardo brevemente su di noi prima di fronteggiare quello di Shion – Sono con lui, come sempre! Dovrete passare sui nostri cadaveri prima di poter mandare Sonia e le altre al macello!” sentenzia, deciso.

Milo… non ho intenzione di mandarle al macello, anzi, hanno l’ordine tassativo di non ingaggiare battaglia, solo di investigare. Vedrete che non le succederà niente, solo...”

MA NON SE NE PARLA NEANCHE!!!” ruggisce Aiolia, ancora più perentorio degli altri due.

Oddei, qui non ne usciamo più… Atena, ti prego, dammi la forza!” biascica Shion, non potendone più di quel battibecco sforzato.

Le cose, al Grande Tempio, stanno cambiando, non so bene da quando, ma sembra che buona parte dei Cavalieri d’Oro stia cominciando a mettere davanti al volere della dea Atena i propri affetti personali. Questo è senza ombra di dubbio sbagliato, ma, in fondo, come non biasimarli?! Degli ideali così utopici, per i quali molti dei Cavalieri d’Oro sono dovuti soccombere, stanno cominciando a perdere valenza, diventando gretti e obsoleti. Tutti loro hanno già sofferto le pene dell’inferno… forse il desiderio di trascorrere una vita in apparenza normale sta cominciando a prendere piede nelle loro menti, estromettendo il resto.

Non fraintendetemi, così come Camus e Milo, anche io sono a favore di un intervento per fermare questo mostro che manovra il tempo, nonché il Mago che vuole governare le dimensioni, ma… ma è proprio necessario sacrificare i nostri affetti? - si domanda il giovane Leone, pensieroso, stringendo i pugni – In particolare Camus ed io siamo stati costretti, per anni, a stare lontani dalle nostre rispettive sorelle, e ora ci dite che devono andare a rischiare la vita in una missione suicida quando sono qui da pochi mesi. Non importa i loro meriti, non importa il loro cosmo sfavillante, non importa neanche che si tratti di una semplice indagine, ma rischiano la vita, ed è questa la ragione perché ci stiamo opponendo!”

Camus annuisce silenziosamente, discostando lo sguardo, mentre Milo continua a guardare con insistenza Shion, desideroso di fargli cambiare idea. Siamo in una situazione di stallo.

Aiolia… - interviene la voce di Aiolos, rimasto inginocchiato per terra, scocca un’occhiata di rimprovero al fratello più piccolo, quanto basta per farlo indietreggiare – Ciò che state facendo è molto grave e assolutamente non degno del vostro ruolo di sacri custodi del Tempio, ma io mi rivolgo in particolare a te: dovresti ben sapere che il nobile Shion vede molto più in là del nostro naso; tutti noi Cavalieri d’Oro gli dobbiamo assoluta obbedienza, e la cosa adesso non è cambiata, malgrado ci siamo incontrati nuovamente con i nostri affetti. Lui ha scelto Sonia e le altre per una ragione precisa, non sta a noi opporci!”

Ma Aiolos!!! - ringhia Aiolia, furente – Mi vuoi forse dire che non ti importa se questo può coinvolgere nostra sorella?!? Ne ha già passate tante, non...”

Mi fido del giudizio di Shion, semplice! Dovresti farlo anche tu!” sancisce il Sagittario, facendo intendere che la discussione è finita.

Aiolia stringe con foga i pugni, non sapendo come argomentare per obiettare quell’insana follia.

Lia, tuo fratello ha ragione – gli sussurra Mu, posandogli una mano sulla spalla per rincuorarlo – Fidatevi delle ragazze, sono molto più forti e scaltre di quel che pensiate!” conclude, mentre i fedelissimi del Grande Sacerdote, quali Saga, Shura e Shaka, annuiscono a loro volta.

Non è umano...”

Come?”

Non è umano! Due anni fa abbiamo mandato avanti i giovani Cavalieri di Bronzo, ora siamo arrivati a mandare al patibolo delle ragazze innocenti a cui siamo legati profondamente. Saremmo quindi dei difensori della giustizia?! MA PER FAVORE!” esclama, con disprezzo, allontanandosi di qualche passo.

Tra i presenti ricade il silenzio, mentre le mie amiche ed io ci scambiamo uno sguardo rassegnato. La faccenda sembra chiusa, ma un nuovo protagonista entra in scena.

Aiolos! Mu! Vedo che le cose non sono cambiate per niente, eh?! Avete sempre la faccia da santarellini e l’obbligo togale da dover rispettare, ma se volete la mia, e forse neanche dovrei parlare, visto il mio passato, siete tutti dei ratti privi di spina dorsale!”

Deathmask!” lo guarda incredula Francesca, gli occhi che brillano come non mai.

Mi vuoi dire che sei contrario anche tu, Deathmask?” chiede un sempre più rassegnato Shion, radunando tutta la pazienza di cui dispone.

Per forza! Che le mandiamo a fare, ‘ste qui, nella tana del nemico?! Conosceranno due attacchi in croce, sono lente e soprattutto inesperte, e noi facciamo i ganzi spedendole, con tanto di raccomandata, ad indagare, nemmeno fossimo in Detective Conan, dove un bambino si ritrova contro dei crudeli assassini… ma siamo diventati ammattiti nel cervello?!” bercia, indicando con l’indice la tempia sinistra e facendo smorfie.

Ma Masky, nel cartone di Conan, se non sbaglio, il protagonista non è davvero un bambino, ma un adulto trasformato in marmocchio, o no?” chiede ingenuamente Aphrodite, divertito dal paragone.

Tu zitto, era per far capire l’assurdo! Devo spiegarti sempre tutto, eh!”

E quindi cosa consigli, Cavaliere del Cancro?”

Di mandare me! Io posso agevolmente spostarmi da un punto ad un altro grazie alla breccia nel mondo dei morti che posso creare io stesso. Sono il più indicato per lo scopo”

Bene, vorrà dire che, visto le tue doti, ti manderò a salvare le ragazzine se si dovessero trovare in pericolo! Non cambio idea sulla mia scelta!” taglia corto Shion, un poco infastidito da tutta quella ribellione in atto.

Eh?! Cosa?!?”

Deathy…” sospira rassegnata Francesca, sorridendo però nella sua direzione. Ci ha provato, almeno!

Mi dispiace, io… ho tentato!” farfuglia il Cancro, corrucciato da non essere riuscito nei suoi intenti.

Potete dire o fare quello che volete, mi servite qui, mentre io veglierò mentalmente sulle ragazze. Ho un piano preciso, le loro doti, il loro potenziale, il fatto stesso di aver viaggiato nel tempo, sono abilità che sono indispensabili. Mi dispiace, la decisione è presa!”

Ma è ancora Camus a opporsi a lui, del tutto dimentico del suo ruolo.

Se cercate qualcuno che ha viaggiato nel tempo, possiamo andare anche Milo ed io, non c’è alcun bisogno di...”

ADESSO BASTA, CAMUS! - lo zittisce con enfasi, perdendo per la prima volta l’autocontrollo – Non tornerò sui miei passi, ragazzo! Mi è costato fare questa scelta, proprio per questo sono così sicuro. Garantisco io per la loro incolumità, non hai di che angustiarti!” trancia il discorso Shion, dichiarando poi, con un gesto della mano, chiusa la riunione.

Tutti i Cavalieri d’Oro fanno per andarsene, ma è di nuovo mio fratello ad intervenire, arreso all’ineluttabilità degli eventi ma mai arrendevole.

Perché dovete farmi anche questo?!? Tutto ciò che mi avete strappato non vi ha ancora soddisfatto?!? Dovete, ancora e ancora, privarmi degli affetti uno a uno?!” sibila, fremendo visibilmente.

Automaticamente tutti gli occhi sono puntati su di lui, compresi quelli, ora profondamente tristi, di Shion.

Capisco… in fondo non hai mai smesso di odiarmi da quel giorno che ti separai da tua sorella… Camus...- mormora, affranto – Sei sempre stato un ottimo Cavaliere d’Oro, hai sempre seguito gli ordini con il massimo dell’impegno e del dovere, fiero del tuo ruolo, ma… dentro di te, la rabbia per essere stato strappato dalla tua famiglia non si è mai esaurita. L’hai soffocata, con tutto te stesso, ma essa è diventata parte integrante di te e ora, proprio ora, con tutte le pene che hai patito, con tua sorella ritrovata, non sei più disposto a ritrattare. Questo è dunque il vero te stesso, non Aquarius, che è stato formato qui, che è un maneggiamento ad hoc, ma Camus… il puro e genuino Camus nella sua essenza più intima!”

Mio fratello non dice niente, ma continua a guardarlo torvamente, l’astio nei suoi occhi e i pugni serrati, come la mascella. E’ di nuovo il Grande Sacerdote a prendere parola.

Mi dispiace, Camus… quel giorno ho dovuto farlo, eri un pericolo non solo per tua sorella infante, ma anche per te stesso e gli altri. Allo stesso modo ora devo mandarle in missione. Il bene del pianeta va oltre gli affetti personali… non gli succederà niente, te lo giuro solennemente”

Non me ne faccio niente della vostra promessa, non le manderò in questa missione suicida, non...”

Camus, ascoltami per una buona volta...”

Non lo farò! Ho già perso Isaac, non permetterò che il dramma si ripeta, e il Santuario certamente, in questo, non può darmi garanzia alcuna!”

Camus… sai meglio di chiunque altro che non c’ero io dietro il gravoso compito che ti è stato affidato, come non c’ero io quando ti è stato chiesto di uccidere l’allievo perdente! Che poi le cose siano andate come sono andate, non è colpa di nessuno, nemmeno tua, che continui a biasimarti per il tuo pupillo dopo cosi tanti anni! La sua morte non è stata colpa tua, non è stato un tuo fallimento come maestro, né tanto meno come uomo, Isaac ha reagito così, sacrificandosi per Hyoga in nome dell’affetto che provava per lui, null’altro!” ripete con pazienza Shion, abbattuto.

Lo fisso senza capire, chiedendomi il vero significato di quel discorso, non sapendo perfettamente gli altarini prima della scalata delle Dodici Case; di certo è stato Shion a portare via Camus da noi, ma ad affidare Isaac e poi Hyoga a mio fratello non può essere stato di nuovo lui. Nello stesso momento noto, in tralice, il volto di Saga farsi più scuro, fino a coprire le iridi verdi con la sua stessa ombra. Già, c’era già lui come Grande Sacerdote, eppure Camus sembra avercela a morte con il vecchio Shion, ma… per quale motivo? Perché è stato il fautore della nostra separazione?!

Non mi interessa! I metodi del Santuario non sono mai cambiati, ed io sono stanco… stanco di obbedire ad ordini assurdi che mettono in pericolo le persone a me più care! Ho devoluto le forze della mia prima vita seguendo gli ordini e combattendo per la giustizia, ma… ero dalla parte sbagliata, quando me ne resi conto con certezza non potevo far altro che affidare tutto a Hyoga, il mio degno successore. Ho scelto di schierarmi falsamente dalla parte di Hades nella seconda, fugace, vita, al solo scopo di servire nuovamente la dea e l’ho fatto, tra indicibili sofferenze. Sono così arrivato alla terza vita e ho conosciuto mia sorella e le altre, ma ancora, repentinamente, il calore stava per essermi strappato via a forza, se non fosse stato per loro: le mie preziosissime allieve! - spiega, con enfasi, sinceramente concitato, riuscendo ad ammutolire tutti i presenti, non abituati a vederlo sotto questa luce, poco dopo riprende e conclude il discorso, un sorriso amaro a solcargli il viso – Posso dire di essere arrivato alla quarta vita, giusto? Ebbene, non toglietemi di nuovo il calore e la luce che faticosamente ho riacquistato, loro sono tutto ciò che mi è rimasto, non permetto più a nessuno di strapparmi qualcos’altro!”

Il silenzio continua a dilagare intorno a noi, così innaturale dopo il sentito monologo di Camus, che più di ogni altro non è abituato a parlare per esprimere emozioni, ancora meno se in pubblico. Tutti siamo sinceramente colpiti dalle sue parole, io e le mie amiche persino emozionate, ma è comunque ancora Shion a parlare, malgrado il dispiacere tangibile.

Capisco le tue motivazioni, Camus, tu hai sofferto molto in questi anni, è lecito il tuo desiderio, ma, ancora una volta, l’ennesima, mi ritrovo impossibilitato a ritrattare. Fattene una ragione… loro andranno in missione nell’entroterra di Genova, questo non significa che rischiano la vita, veglierò io su di loro, è una promessa!”

Camus fa per ribattere per la milionesima volta, assolutamente intenzionato a non cedere, ma un nuovo intervento del tutto inaspettato ricambia le carte in tavola.

Aspettate, per favore, vorrei fare una controproposta, mio signore!”

Fisso sgomenta Hyoga, colui che ha parlato, mentre lo guardo accennare qualche passo in direzione del trono e inginocchiarsi rispettosamente. E’ stato zitto fino ad ora, ma sembra avere una motivazione forte per prendere parola. Forse tale motivazione dipende espressamente dalle parole del suo mentore.

Parla, Cavaliere del Cigno”

Avete detto che vi servono i Cavalieri d’Oro, e avrete le vostre buone ragioni, immagino. Tuttavia questo fatto mi esclude, se non sbaglio, perché non appartengo a questa casta!”

Dici benissimo, anche se il tuo valore è pari ai Dodici, lo hai ampiamente dimostrato!”

Bene… allora lasciate che accompagni io le ragazze in questa missione!”

Spalanco la bocca sorpresa, mentre un urletto di gioia, proveniente di sicuro da Michela, riecheggia nei dintorni.

Perché vorresti andare con loro, giovane Hyoga?” chiede Shion, improvvisamente interessato.

Perché sono grossomodo un loro coetaneo, se escludiamo Francesca, perché ho più esperienza e so come si combatte, inoltre la mia presenza qui non è indispensabile, a differenza dei Cavalieri d’Oro. Se vado con loro posso proteggerle meglio dagli attacchi, sarei una garanzia in più” spiega pratico, determinato come non mai.

Hyo-Hyoga!”

Non preoccupatevi, Maestro, so quel che faccio, ormai sono grande! Non permetterò… non permetterò che ciò che è successo al vostro amato Isaac si possa ripetere con loro! Stavolta sarò io a vegliare sulle mie compagne di addestramento!” gli sorride di riflesso il Cigno, avvertendolo preoccupato. Camus rimane immobile a guardarlo, quasi raggelato nel sentire pronunciare il nome dell’allievo deceduto. Vorrebbe aggiungere qualcosa ma freme e abbassa il capo.

Dimmi, Camus… se mando anche Hyoga con loro, saresti più sereno?”

Io… - lo sguardo di mio fratello naviga, per pochi secondi su tutti noi, soffermandosi poi tra le mie iridi, io provo a fare un movimento con la testa allo scopo di tranquillizzarlo, cosa che fortunatamente avviene – Io… sì! Mi fido del ragazzo e conosco il suo valore, so che non accadrà niente se c’è anche lui!”

Bene… allora ti affido la missione, Hyoga, confidiamo in te! Partirete fra 5 giorni, prima di quel tempo preparatevi scrupolosamente!” stabilisce Shion, poco prima di andarsene e tornare nelle stanze private del tempio.

Solo in questo momento, nel momento in cui la mia muscolatura si scioglie, mi rendo conto di essere stata tesa fino ad adesso. E’ quasi come tornare a respirare.

Hyoga… grazie, io… io non so cosa mi sia preso! Non era da me una reazione così esorbitante e per niente ponderata!” sussurra Camus, massaggiandosi le tempie.

L’allievo annuisce, criptico. C’è qualcosa di non detto nell’aria, una tensione tra loro, la avverto più da parte del Cigno che non da quella di mio fratello.

Non biasimarti, Camus… - lo rincuora Milo, sbuffando – Abbiamo comunque vinto a metà, perché intanto sono costrette comunque ad andare. E’ stato molto umana la tua reazione, Cam, degna dell’uomo straordinario che sei. Eri il vero te stesso in quel momento, senza più alcun filtro!”

Sei stato fantastico, Hyoga, ancora una volta in più, so perché io mi sia innamorata di te!!!” strepita intanto Michela, correndogli incontro e buttandosi letteralmente tra le sue braccia.

Mich...” fa per opporsi Hyoga, tenendola lontana, ma tutto e vano e se la ritrova, scalpitante, tra le braccia, in una manifestazione di affetto forse per lui eccessiva.

Infatti poco dopo, sempre garbatamente ma con gesto deciso, la allontana, totalmente rosso in viso. C’è qualcosa che non va in lui, un malessere, lo percepisco appena, ma non lo comprendo.

Michela, ne abbiamo già parlato… queste manifestazioni di affetto non quando ci sono gli altri e, soprattutto, non durante una riunione importante!” la avverte, scuro in volto.

Ma la riunione è già...”

Michela, sai cosa intendo!” esclama, scoccandole uno sguardo gelido e distante che la blocca completamente.

Ho l’impressione che il Cigno si vergogni a farsi vedere da noi e dal suo maestro in questa tenuta da innamorato, per questo si comporta in maniera così scostante, tuttavia c’è dell’altro, è certo: Hyoga ha reagito così da quando il suo maestro ha tirato fuori il nome di Isaac!

E’ umano, ma non so cosa mi sia preso, è davvero la prima volta che succede!” ripete uno sconfortato Camus, totalmente incredulo dal suo comportamento precedente.

Amico mio, lo hai detto tu, no? E’ la tua quarta vita, questa! Non fartene un cruccio, Cam, con tutto quello che hai passato sei cambiato, o forse, sei tornato come avresti sempre dovuto essere. Sono semmai gli altri della risma di Shaka e Mu a comportarsi in maniera altisonante tutt’ora, ma loro non sono emotivamente coinvolti!” lo rincuora Milo, sbuffando comunque nel pronunciare il nome degli altri due.

Do un breve scambio di sguardi a Francesca e Sonia (Michela è troppo mortificata per essere ricettiva!) imprimendo tutta la paura e le parole taciute che non riesco ad espellere fuori di me. So che i loro pensieri sono i miei, che andremo in questa missione, lo sappiamo, ma che non ne capiamo la ragione… è sempre tutto così oscuro qui al Santuario!

Marta… - interviene mio fratello ad un certo punto, posandomi le mani sulle spalle per catturare la mia attenzione, non posso apparire frastornata e spaventata, lo devo fare anche per lui – Perdonami… volevo lasciarti fuori da tutto questo e invece sono stato a stento capace di spiegare ciò che provo, non riuscendo comunque a impedirvi di essere mandate in questa missione. Scusami, io… ti ho promesso che ti avrei protetta, ma pare che dovrò restare qui...” mi spiega, affranto.

Sorrido per incoraggiarlo, ben sapendo quanto gli costi lasciarmi andare un’altra volta.

Non hai di che scusarti, fratellino… sei intervenuto in nostro favore e non hai ceduto di un passo per il nostro bene, hai fatto più di chiunque altro, solo… solo cerca di essere un po’ più prudente la prossima volta, non voglio che ti accada qualcosa per… per colpa nostra!” gli confido, abbracciandolo e ritrovando, come sempre, il suo profumo. Camus esita un solo attimo, giusto il tempo per capire se può permettersi di essere solo e soltanto Camus, non il Cavaliere d’Oro dell’Acquario con i suoi doveri, poi sinuosamente ricambia il gesto, posando il palmo della mano destra tra i miei capelli per accorciare le distanze tra noi. Sorrido rasserenata.

Sarò più prudente, te lo prometto, piccola mia! Cerca di esserlo anche tu nella missione e… tornate qui sane e salve. Vi aspetterò!”

 

“Beh… in ogni caso ormai è inutile chiedersi le motivazioni dietro alla scelta di Shion, ormai siamo qui, se dobbiamo ballare, facciamolo! - interviene risoluta Francesca, riportando la mia mente al presente – Piuttosto, pensiamo a dormire, che domani ci attende l’esplorazione della zona rossa secondo le testimonianze degli informatori!”

Tutti conveniamo con lei, annuendo meccanicamente e spegnendo il fuoco, in modo che il buio, attenuato solo dalle luci lontane del paese di Montoggio, ci circondi con le sue pacifiche spire.

Mi acquatto nel mio sacco a pelo, trovando piacevole il calore che emana, del resto siamo nella seconda metà di ottobre, se in Grecia è ancora tiepido, lo stesso non si può dire dell’Entroterra di Genova, vessata già dal fresco che spira dai monti e a cui si unisce un piacevole profumino di caldarroste che al solo annusarlo ti entra in gola, facendoti desiderare di essere rintanato in una casa al calduccio.

Nell’ombra completa intorno a noi, avverto il respiro di Michela farsi sempre più profondo fino diventare un vero e proprio russare sempre più intenso. Congratulandomi mentalmente con lei per la sua tempestiva dote di dormire subito, sorrido tra me e me, chiudendo a mia volta gli occhi. Nello spazio tra il dormiveglia e il vero e proprio sonno, rivolgo il mio ultimo pensiero a mio fratello Camus, immaginandomelo fuori dal tempio dell’Acquario a contemplare le stelle lontane a lui tanto care. Il suo pensiero è rivolto a noi, così come il mio a lui, questo mi rincuora e mi rende felice.

“Buonanotte, fratellino! Non temere per noi, andrà tutto bene, è una promessa!” biascico, addormentandomi completamente.

 

 

* * *

 

 

18 ottobre 2011, mattino presto

 

 

Le ore di luce si stanno notevolmente accorciando in tutto l’emisfero boreale, per questa ragione, anche se ci siamo svegliati all’alba, in verità, è già una certa ora. Non abbiamo tempo da perdere!

Dirigendoci, a passi svelti, verso la piazza centrale del paese di campagna, tentiamo di apparire come degli ignari escursionisti pronti a fare una gita qualsiasi su uno dei monti che abbracciano Montoggio; cosa che in verità ci riuscirebbe anche bene, se non fosse che Hyoga, al posto dello zaino, ha uno scrigno di bronzo sulle spalle, di certo non proprio una roba da tutti i giorni, stante anche le occhiate confuse dei villici.

“Ma dico, non hai un altro recipiente più anonimo?! - esclama Francesca, in un frammisto di divertimento e rassegnazione – Cioè, siamo nel 2011 e ancora girate con quei bauli pesanti?!”

“Non ci sono altri modi per portare le nostre sacre armature… non abbiamo mica dei ciondoli o roba simile!” ribatte Hyoga, lesto.

“Andiamo proprio bene… Missione anonima, eh?!”

Nel mentre che loro mi vengono dietro, accelero il passo in direzione di due signori anziani che fissano, borbottando tra loro, il necrologio. Mi avvicino a loro per chiedere una informazione casuale, visto che sono io la più idonea a muovermi in questi posti che mi hanno visto crescere, allo stesso tempo cerco di carpire qualche indizio che mi possa permettere di ricollegarmi alle descrizioni degli informatori, sempre mantenendo un profilo più basso possibile.

“Ehm, scusate… mi sapete mica indicare il sentiero per raggiungere il paese abbandonato di Camponevoso?” chiedo cordialmente, un pizzico di timidezza.

Il signore più attempato dei due, quello con più rughe, mi fa un cenno di riverenza, sorridendo sotto i baffi, prima di dare un occhio ai monti alle mie spalle e apprestarsi a rispondere. Di primo acchito non sembra esserci fisicamente nulla di strano in lui, ma le parole che mi rivolge sono enigmatiche.

“Avventurieri alla ricerca dei paesi abbandonati che orbitano qui intorno, eh? Siete i primi, dopo giorni, che sono interessati a quel mucchio di case abbandonate da decenni, tutti gli altri vogliono andare al Santuario di NS della Vittoria!”

A questo punto interviene Sonia, presagendo, come me, qualcosa di strano nel suo dialogo.

“Mi scusi… noi non siamo di qui, ci potrebbe spiegare meglio di questo Santuario?”

“Non siete di qui?! Strano, la tua amica ha una certa patina di genovese nel linguaggio, anche se è frammisto ad altro… - parla l’altro signore, incuriosito – Comunque si trova sul passo del Pertuso, in posizione dominante nella Val Polcevera, ed è in provincia di Mignanego. Per raggiungerlo proseguite sulla strada statale fino alla deviazione. Molti di noi, tra Montoggio, Casella e Busalla, si stanno recando là per rendere grazia all’Altissimo per i numerosi miracoli che sta compiendo”

“Miracoli? Che genere di miracoli?!” lo interroga ancora Francesca, tesa.

“Ah, ma non sapete proprio niente, eh, venite dalla città?!? - ci canzona allegramente, probabilmente credendo di far il gran amatore, poi si avvicina a noi, abbassando notevolmente il suo tono – La gente sta ringiovanendo, non lo sapete? Inspiegabilmente… ma tutti siamo certi che centri il nostro amato Signore Gesù Cristo. I parroci di questi luoghi, fin dal XVI secolo, avevano profetizzato un qualcosa di simile che sarebbe accaduto nel momento più buio del Cristianesimo… e quando potrebbe essere, se non ora?! Ora, che gli uomini hanno cominciato a perdere fiducia in Iddio, ora che siamo ad un passo dall’anarchia. Ora!”

“Se volete un consiglio, lasciate perdere i paesi abbandonati, quelli ormai sono avvolti dall’edera e dalle erbacce! Recatevi piuttosto in pellegrinaggio al Santuario e pregate per i vostri nonni, se ce li avete ancora. Se Dio non li ha ancora recati a sé, potranno riacquistare la forza perduta!” ci consiglia l’altro, amichevole.

Rimango sbigottita a guardarli, più o meno come si confà nei confronti di due pazzoidi scatenati. D’accordo la religiosità, ma questi sono completamente usciti di senno, non è possibile che nel XXI secolo siano ancora ridotti così! Ho frequentato questi posti fin da piccola, ben so le credenze locali, ma mai nessuno si è messo a raccontare tutt’altre castronerie che non c’entrassero nulla con la domanda posta. Cosa diavolo…?

Michela intanto inarca un sopracciglio, nervosa e allibita, decidendo di fare il primo passo falso della giornata.

“E dei neonati che, al momento del parto, erano dei feti e quindi che sono morti subito, cosa mi dite?! Anche quelli lì sono dei miracoli?!”

Non abbiamo il tempo di bloccarla, se non a domanda conclusa. Michela non regge simili discorsi strampalati, è in buona fede, lo so, ma dovevamo essere il più anonimi possibili. Più o meno nello stesso momento, vedo i due signori irrigidirsi di botto e scambiarsi occhiate terrorizzate, i muscoli contratti e l’espressione del topo all’angolo.

“Oh… uh… bazzecole! Non ci crederete davvero, mi auguro, razza di sempliciotti cittadini!” borbottano, allontanandosi in fretta e furia, non prima di darci delle vere e proprie occhiate in tralice.

“Fantastico, Michela, brava! - si congratula sarcasticamente Sonia, mettendosi le mani nei capelli – Suggerirei di andarcene prima che ci internino da qualche parte!” propone la più giovane tra noi, sinceramente preoccupata.

“Sono loro che devono essere internati, li avete sentiti quei due idioti?!?” ribatte, dura.

“Qui c’è qualcosa che non va… Abbinano questo fatto ad un miracolo del loro dio Cristiano, ma parallelamente sanno anche dei neonati morti in quella maniera atroce, altrimenti non avrebbero reagito così!” si domanda Hyoga, pensieroso.

Mi sento di concordare con lui, decidendo di prendere la parola per concretizzare anche i miei dubbi.

“Inoltre… cosa c’entrava il Santuario di NS della Vittoria con la domanda che gli ho posto?! E’ vero, le genti di qui sono sempre state molto religiose, lo ricordo fin da piccolissima quando frequentavo la...”

Ma mi blocco, come in tranche…

“Ohi, Marta, che succede?” mi domanda Francesca, cercando di acciuffare il mio sguardo ora vuoto.

Io… cosa frequentavo quando ero piccola?

“Noi… perché siamo in questa missione?” chiedo, totalmente assorta, percependo un grande vuoto insinuarsi nella mia testa.

“Siamo qui per il Santuario di NS della Vittoria, no?” esclama Michela, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Gli altri annuiscono a loro volta.

“No… quel nome lì è saltato solo ora, prima era… era… era altro!” continuo, convinta delle mie certezze, ma parallelamente non avendo nulla a cui aggrapparmi.

“Ehm, Marta… ci stai facendo preoccupare, tutto bene?” chiede Francesca, tastandomi la fronte.

No… no che non va bene! Shion non ci ha mandato qui per… per quel Santuario di NS della Vittoria, non lo ha nemmeno nominato nella riunione, era altro, solo che… che non lo ricordo più! Cosa era ‘quel qualcosa’ che mi ronza nella testa?! Perché questa dissonanza dentro di me?!?

“In ogni caso è meglio allontanarci dalla piazza centrale del paese, stiamo attirando troppo l’attenzione. Propongo di tornare sul greto del fiume, ok?” suggerisce pratico Hyoga, facendoci un cenno verso la stradina che scende fino al torrente e mettendosi quindi alla guida del gruppo.

Mi convinco a seguirli, la testa sempre più pesante e la nitida sensazione di aver dimenticato qualcosa di importantissimo.

Camminiamo a passo ancora più svelto in direzione di Casella, parlando il meno possibile tra noi a causa delle cogitazioni frenetiche che spietatamente ci avvolgono. Siamo tutti agitati, eppure nessuno ha lo stesso turbamento che avverto io, ancora convinta che la ragione per cui siamo qui sia un’altra rispetto a quella che hanno professato loro. Mi sento di stare per impazzire, sono certa di quello che dico, ma, allo stesso tempo, è come se non lo fossi, poiché più ci penso e più mi sento come risucchiata da un vortice scuro.

Montoggio e Casella distano relativamente poco tra loro e, almeno in macchina, si raggiungono in un pugno di minuti. Noi però siamo a piedi e quindi, anche se manteniamo una velocità di movimento più alta della norma, raggiungiamo la località di Avosso, paese vicino a quello di Casella, in una mezz'oretta buona di percorso. Avosso è la porta, l’entrata, di… di qualcosa di molto importante per me. Ho perso il conto delle volte in cui, in auto, ci sono passata per… per raggiungere quel posto, ma… ma di quale posto sto trattando? Non ricordo, io…

Senza nemmeno rendermene conto, arrivando sull'ansa del fiume Scrivia che delinea e circonda la frazione di Avosso, inciampo nei miei stessi piedi e finisco a terra, sbucciandomi i palmi delle mani. Le mie amiche accorrono immediatamente.

“Accidenti, Marta! - mi recupera Francesca, apprensiva, aiutandomi ad alzarmi – Che ti succede? Da quando abbiamo parlato con i due signori a Montoggio, è come se non fossi in te!”

Non dico niente, mi limito ad inspirare ed espirare diverse volte nel tentativo di calmarmi un poco.

“Aveva ragione Camus? Forse era meglio non farti venire, visto che sei legata a questi luoghi e quindi meno distaccata!” asserisce Sonia, preoccupata a sua volta.

La guardo sorpresa, come se avesse detto una cosa ovvia ma allo stesso tempo che stavo rischiando di obliare. Già… sono legata a questi luoghi, per questo che mi sento così confusa e spaesata: le forme intorno a me, l’ambiente… non era affatto così prima, ora ne sono completamente certa!

In quell'esatto momento, sull'ansa del fiume Scrivia, che so per certo riceveva un affluente esattamente qui, mi guardo confusamente intorno, avvertendo la mancanza di un elemento famigliare e imprescindibile. Perché, sì, Avosso era l’entrata di quel dato posto, e ora non lo è più, sparito nel nulla, scomparso. Lo Scrivia è privo del suo più affascinante affluente.

Pochi istanti dopo, la mia attenzione è catturata da dei riflessi argentati che, previa luce del sole, brillano quasi simultaneamente. Mi avvicino a essi quanto basta per riconoscerne la forma, appurando che quei bagliori tanto belli sono in verità pesci morti abbandonati sulle rocce, a bizzeffe.

Mi avvicino cautamente, studiandoli da lontano e analizzandoli alla ben meglio, lo stesso fanno i miei amici.

“Oh, poverini… deve esserci stata una epidemia o qualcosa del genere, perché ce ne sono tantissimi!” dice Michela, dispiaciuta, stringendo di riflesso la mano di Hyoga come accade soventemente quando è inquieta.

“No, Michy….” sussurro, in tono grave, inginocchiandomi vicino a tre di loro, nello specifico un barbo e due cavedani con la bocca aperta e gli occhi spalancati, come se fossero morti per asfissia. E infatti così è…

“Cosa vorresti…?”

“E’ come se… se fossero stati tirati fuori dall'acqua e lasciati lì, a soffocare...” tenta invece Hyoga, capendo i miei dubbi.

“Non sono stati loro ad essere stati tirati fuori dall'acqua… è l’acqua che gli è stata strappata, privandoli così dell’ossigeno disciolto in essa!” affermo, certa delle mie convinzioni.

Mi fissano tutti stupiti, ma non ci do peso, dirigendomi invece verso il ponte sopra di noi e che, almeno in linea teorica, dovrebbe indicare la presenza di un altro torrente che si immette direttamente nello Scrivia, ma che in verità è coronato semplicemente da un alto e possente muro su cui passa la strada carrabile. Osservo con attenzione la costruzione, seguendola poi con lo sguardo fino alla sua base, laddove ci sono i pesci morti. C’è sempre stato un laghetto qui, lo so, ci vedevo gli aironi cenerini che cacciavano, le garzette, e naturalmente tutti i cavedani e barbi che giacciono morti qui intorno. Non sono stati loro ad essere stati tirati fuori dall'acqua, ma quest’ultima ad essersi completamente vaporizzata!

“Marta, hai forse una pista?” mi interroga Hyoga, raggiungendomi nuovamente insieme alle altre, sempre più preoccupate dalla mia reazione.

“Qui c’era un torrente che si immetteva nelle acque dello Scrivia, e proprio qui era sito un laghetto verde pieno di pesci, ecco perché ce ne sono così tanti morti qui intorno” spiego, pratica, continuando a fissare sopra di me.

“Un affluente? Ma qui… qui c’è solo un muro e… e la strada là sopra...” si oppone Sonia, in evidente difficoltà.

Non mi aspetto che capisca, del resto non c’è mai stata qui, ma Michela e Francesca, che mi continuano a guardare come se fossi preda di una insana follia, dovrebbero invece saperlo perfettamente.

Senza aspettare un’eventuale intervento delle mie amiche, complici anche le mie doti fisiche notevolmente incrementate grazie all'allenamento, spicco un grosso balzo allo scopo di raggiungere la strada posta sopra. Non raggiungendola in un colpo solo, mi aggrappo con la mano ad uno dei piloni, dandomi poi, con un colpo di reni, la spinta sufficiente per atterrare sull'asfalto.

Una donna che tornava da fare la spesa urla al mio apparire, facendo cadere a terra i sacchetti spaventatissima. Non ci do peso, andando dritta per la mia via. Attraverso la strada a tutta birra, fermandomi però subito nel vedere due case di color rosato chiudersi innaturalmente ad angolo. Rimango fissa a contemplarle, ancora più certa che non dovrebbero essere così e che stonino con l’idea mentale di quel luogo che avevo precedentemente. Automaticamente la mia mano si posa tra i muri delle due case, mentre un formicolio intenso si insinua tre le dita e mi attraversa tutto il braccio. Gelo…

“Martaaaaa!!! Si può sapere cosa ti frulli nella testa?!? Dovevamo passare inosservate, ricordi?! - mi raggiunge Francesca, strattonandomi per un braccio – Non puoi dimostrare così le tue doti sovrumane, non è normale, capisci? Attira l’attenzione su di noi e...”

“Fra… - la chiamo, in tono strano, non da me, la mia amica si immobilizza, ancora più frastornata dal mio comportamento – Ricordi quando, nell'Iliade, intervenivano le divinità? C’era quella nebbiolina che non faceva vedere nulla ai mortali, vero? Puoi… puoi riprodurla?!”

L’occhiata allucinata che mi regala è emblematica sui suoi pensieri correnti. Tossicchiò brevemente, cercando di darmi un contegno per apparire il più convincente possibile nel mio discorso.

“Fra, e tutti voi amici... non vi chiedo di capirmi, solo… solo di fidarvi di me, ancora una volta! C’è… c’è qualcosa qui, o meglio, c’era, sono sicura che le case non fossero poste così precedentemente e che qui ci fosse un’entrata per la valle, quella valle che tanto vi dicevo, la mia valle! - asserisco, tesissima – Non mi spiego perché, ma qualcuno deve aver manomesso i nostri ricordi, tuttavia lo sento, qui nel mio cuore, sento questo qualcosa che mi continua a sfuggire ma che so per certo esserci!”

Abbasso lo sguardo, timorosa. Volevo fare un bel discorso per convincerli ma ho prodotto solo vaneggiamenti. La mia mente non è assolutamente in grado di ricostruire il luogo dei miei sogni, è come se mi fosse stato strappato con la forza e cacciato nell'oblio della dimenticanza. Guardo di sottecchi le altre, preparandomi a ricevere un netto rifiuto, ma sorprendentemente è Hyoga stesso che interviene in mio favore.

“Ha ragione… non so se lo percepite anche voi, ma nell'insenatura delle due case si avverte con distinzione spirare un’aria gelida e tetra. E’ come se… - prova a spiegare, poggiando una mano sopra essa ma ritraendola subito, totalmente arrossata per il freddo – E’ come essere davanti allo stipite di una porta, non poterci entrare, ma avvertire distintamente la corrente spirare dall’interno verso l’esterno!”

Lo guardo con gli occhi spalancati, un moto di gratitudine che mi pervade. Sono felice che riesca a percepire qualcosa anche lui, pur non conoscendo il posto, riesce a trasmettermi la sicurezza necessaria per aggrapparmi alle mie, sempre più fievoli, convinzioni. E’ come dice lui e, allo stesso modo in cui l’aria aspira da questa fessura, anche le mie ultime rimembranze stanno facendo la stessa fine. Svaniranno tra breve, me lo sento, se non sforzo subito l’entrata, i miei ricordi svaniranno, sostituendosi ad altri, meno dolorosi ma fallaci.

“Io continuo a non avvertire niente… - confessa Francesca, occhieggiando Michela e Sonia che annuiscono a loro volta – Ma se mi dite che avete questa percezione… beh, non posso fare a meno di credervi. Farò quanto hai chiesto, Marta… nel frattempo, tu e Hyoga cercate un modo per forzare questo cancello. Ci fidiamo di voi!”

La vedo darci le spalle, concentrandosi per richiamare nebbia a sé in modo da essere tutte celate alla vista. Il fenomeno è strano già di suo, visto la limpida giornata autunnale, ma sarebbe ancora più assurdo vedere due ragazzi, alis me e Hyoga, lanciare colpi congelati a velocità folle.

Mi fermo un attimo, ripensando a come mi sia balenata in mente questa idea, è forse il mio istinto a reagire prima del cervello? Perché sto pensato di sfruttare l’aria congelante come chiave della serratura?! Perché sento di poterlo fare?!

“Lo avverti anche tu, vero, Marta? - mi chiede Hyoga, affiancandomi, una luce sinistra negli occhi – Il mio braccio formicola, desideroso di assestare un colpo… è come se sapesse, lui per primo, che per sforzare l’entrata serva l’aria congelante che io e te siamo in grado di produrre. Tuttavia… mi chiedo se anche questa non sia un qualche tipo di trappola. E’ tutto troppo ovvio… fila via liscio, come l’olio!”

Non rispondo immediatamente, trovandomi invece a soppesare il monologo del Cigno. E’ vero, la sensazione che provo io è dannatamente uguale alla sua. Se non sto ben attenta il mio braccio destro è capacissimo di muoversi da solo senza seguire le direttive del cervello. Questo formicolio mi preoccupa e, insieme, mi offre una concreta speranza di recuperare ciò che sento di star perdendo, ma… a quale prezzo?!

Che ci sia di nuovo il Mago dietro a tutto questo?

“Hyoga… - prendo un profondo respiro, incoraggiandolo con lo sguardo – Condivido le tue impressioni e i tuoi tremori ma, mi chiedo, qui e ora, ormai… che senso ha esitare? Un secondo in più e tutto potrebbe sfumare nell’aria, sparire, come un’onda gravitazionale, o come una supernova che collassa su se stessa. Siamo qui, l’unica cosa che ci resta è agire!” mi preparo, alzando il pugno. Il Cigno mi sorride di rimando, soddisfatto della mia risposta.

“E’ così… del resto, niente incertezze in battaglia, giusto? Esitare significherebbe solo creare un maglio e renderci indifesi, invece in queste situazioni è necessario rigettare indietro tutte le insicurezze, è così che ci è stato insegnato, no?” mi dice, pratico, rammentando gli insegnamenti del maestro.

Sorrido di rimando, volitiva più che mai: già, via le incertezze che ostacolano il cammino, via!

“Lo facciamo insieme?” chiedo, alzando il pugno sinistro, lo stesso fa Hyoga con il destro.

“Mi sembra logico!”

“E allora… DIAMOND DUST!!!” urliamo nello stesso momento, sfoderando la nostra tecnica di base nello stesso identico punto, ovvero la fessura tra le due abitazioni. Il colpo non rimbalza indietro e neanche produce effetti visibili nei dintorni, semplicemente, una volta incrociati i due attacchi, tutto sparisce nel nulla, come risucchiato.

Rimaniamo stralunati e un po’ delusi, indietreggiando inconsciamente di qualche passo. Sembra quasi di non aver lanciato neanche le nostre mosse, assolutamente nulla, è… è inconcepibile.

“Non ha… non ha funzionato?!” prorompe Sonia, non spiegandosi nemmeno lei dove siano finiti gli effetti del potere congelante.

“Io non… non...” ma non ho il tempo di finire la frase che uno strappo nella regione ombelicale, mi fa cadere in avanti, insieme ai miei amici. Non abbiamo il tempo di alzarci, perché un vento furioso e insolito, ci attrae verso l’insenatura, come un tornado. Tentiamo di resistere, acquattandoci al suolo, ma la corrente non accenna a diminuire, anzi, è sempre più intensa, esattamente come un’onda gravitazionale che tutto porta a sé.

“Tutto questo non… non è normale!!!” prova ad urlare Michela, superando il frastuono intorno a noi. Non ho comunque il tempo di voltarmi verso di lei, né tanto meno di risponderle, perché mi sento sollevare da terra, del tutto in balia degli eventi, mentre l’immensa forza di risucchio mi trascina a sé, facendomi volteggiare più volte. Non credo di sbattere da nessuna parte, perché non avverto dolore, ma un’ombra scura copre i miei occhi e, successivamente, le mie facoltà mentali, facendomi perdere coscienza immediatamente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

E dopo un qualcosa come 5 anni dalla fine della seconda storia, eccomi finalmente qui con la terza: ‘La melodia della neve’! Che il viaggio abbia quindi inizio!

Dunque, malgrado l’avvertimento OOC qualcuno di voi troverà sicuramente strana la ‘ribellione’ di alcuni Gold per impedire che le ragazze vengano coinvolte in una simile missione. Ebbene, posso capire, sicché sono difensori della giustizia, ma per come sto portando avanti le cose in questa serie, è un passaggio pienamente funzionale e capibile. Trovo infatti che dopo tutte le cose successe nella serie classica (tradimento di Saga, morte, battaglia contro Poseidone e poi Hades, di nuovo morte), e la successiva rinascita dei Cavalieri d’Oro con il ritrovamento degli affetti più intimi, un cambiamento così drastico per alcuni di loro sia necessario ed emblematico; che poi, parliamoci chiaro, parliamo di cambiamento, ma nella mia visione delle cose neanche tanto: Camus ha sempre agito per il bene dell’allievo anche nella serie classica, figurarsi se non lo può fare per al sorella, Michela e Francesca, Aiolia è sempre stato volitivo negli interventi, non è certo tipo da stare con le mani in mano, Milo idem e Death Mask… beh, Death Mask è innamorato, non fa testo XD Per questa cagione la loro opposizione è emblematica della strada che ha portato lì ognuno di loro; come è altresì emblematica delle attitudini di Aiolos e Mu, che invece in Shion hanno fiducia assoluta. Neanche starlo a dire, Shion ha le sue motivazioni per scegliere di mandare le ragazze in questa missione, vedrete! ;)

Dove porterà questa storia? Ebbene, la carne al fuoco è molta, gli argomenti tanti, pertanto sarà una storia parecchio lunga, forse persino più di Sentimenti che attraversano il tempo, anzi, quasi sicuro. Sappiamo dalla Sonia’s side story che da qui ad un anno (da ottobre 2011 a ottobre 2012) succederà qualcosa; qualcosa che ci sfugge ancora e che scopriremo passo per passo. Sono aperta ad un’infinità di possibilità e, anche se la struttura basilare è già ben chiara nella mia mente, altrettanto non posso dire sui vari argomenti che, all'occorrenza, saranno diluiti o dilatati a seconda della mia ispirazione. Una cosa è certa: questa storia darà più importanza ai Gold del presente, non solo Milo e Camus ma un po’ tutti, chi più chi meno, anche se ovviamente il focus rimarrà su questi due che, come avrete capito, sono i miei preferiti.

Che dire ancora, spero mi seguirete anche in questa avventura, grazie a tutti! :)

 

P.S: ovviamente, per capire meglio, chi non lo avesse ancora fatto può leggere il prologo della Melodia della Neve, che è una one shot a sé stante che troverete sulla mia pagina. Ho fatto questa scelta perché altrimenti il prologo sarebbe stato più lungo del primo capitolo di questa storia, quindi ho pensato riuscisse meglio così!

Saluti!

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Capitolo 2
*** La valle sigillata (prima parte) ***


Capitolo 2: La valle sigillata (prima parte)

 

 

La Valbrevenna. Una valle laterale dello Scrivia disseminata di paesi e parrocchie diverse. Circa 800 abitanti nel XXI secolo, molti di più nel corso della storia umana. Purtroppo ha sofferto molto l’abbandono delle campagne avvenuto nella seconda metà del ‘900, risultando quindi semi-abbandonata per molti anni, prima di un recupero parziale che ha visto rifiorire, almeno in parte, quella porzione di territorio a cui è sempre stato difficile strappare un po’ di terreno fertile; del resto, le pendenze dei rilievi sono esaustive, il clima non è dei più rosei. Qui il grano non vi cresce, se non in pochissime località, la farina alla base del sostentamento è quella di castagne, mentre i prodotti disponibili sono pochi altri.

Le condizioni di vita sono dunque proibitive per chi si arrischia a viverci tutto l’anno, per chi invece viene qui nel periodo estivo, come me, la valle offre, con i suoi ruscelli, laghetti e i boschi di castagni e roverelle, un luogo idilliaco per scappare dalla calura cittadina.

Ma… non mi basta!

Io, da grande, quando Stevin ed io avremo un lavoro, voglio trasferirmi qui, non importano le difficoltà, né i rigori invernali. Noi due, lo abbiamo promesso, non permetteremo che questa valle possa venire abbandonata e dimenticata. Noi due, Stevin ed io, saremo dunque il ponte che collega questo luogo al resto del mondo.

Le recupereremo; recupereremo le memorie passate disseppellite negli archivi parrocchiali!

Oh, Marta! Sapevo di trovarti qui, stai aspettando Stevin, vero? Per questo sei concentrata in direzione della strada che conduce a Cerviasca!”

Una voce alle mie spalle, che non udivo da un po’ e che stavo quasi per dimenticare, mi riscuote dai miei pensieri. Voltandomi, vedo mia nonna, i panni tenuti in una cesta e un sorriso ampio e roseo. La vedo avvicinarsi a me, io sono come ammutolita, mentre il suo profumo alla rosa mi investe le narici. Gli occhi mi si inumidiscono: questa è la prova che è veramente lei!

E di colpo, spalancando gli occhioni, mi rendo conto di essere tornata bambina, nello specifico a quando avevo 9 anni e sembravo un soldo di cacio appena munto. Mi guardo sbalordita le manine mentre, fuori di me dalla gioia, corro ad abbracciare la mia dolce nonna. Davvero… mi stavo per dimenticare di lei, del suo odore, del suo timbro vocale, non so come possa essere stato possibile!

E ora cosa è questa estrema manifestazione di affetto? Non ne avrai combinata una delle tue, vero?”

Ti voglio bene, nonna!” dico tutto d’un fiato, colta da una inspiegabile frenesia di averla ancora lì.

Anche io, cuore mio, sei il nostro piccolo tesoro, mio e di tuo nonno!” ribatte lei, indicandomi con un gesto dietro di sé, dove scorgo proprio il nonno in procinto di avvicinarci. Senza pensarci due volte, mi butto a capofitto su di lui, il quale, più burbero, non ricambia subito il gesto, chiedendosi, molto più concretamente, cosa mi passi per la testa.

Voglio bene anche a te, nonno!” affermo, stringendolo. Non so perché, ma mi sembra importante dirlo.

Urgh… c-certo, lo so… lo so, piccola peste! - ribatte, arruffandomi i capelli – Ma non ti devi vedere con Stevin oggi? Non perdere tempo con due vecchi come noi!” mi consiglia, sospingendomi un poco via, come ad incentivarmi di non fermarmi con loro. Le manifestazioni di affetto lo imbarazzano oltremodo e deve serbare il ritegno di un uomo, a suo dire, ma so che, in fondo, gli fanno piacere.

Sì, devo vedermi con lui, ma prima mi sembrava importante dirvi quanto io tenga a voi! Mi avete fatto crescere e… e, se solo potessi, vorrei che stessimo sempre insieme!” biascico, tutta timorosa.

Non so davvero cosa mi prenda oggi, ma ho come la sensazione che, se non li confesso ora i miei sentimenti non avrò mai più altre occasioni.

Loro non dicono niente, ma mi sorridono con calore, i loro volti non mi sono mai apparsi così luminosi e fieri come in questo momento.

 

Marta!!! Il cos… usa il cos...”

 

Mi appoggio istintivamente al muraglione del mio giardino, colpita da uno spietato capogiro. Mi metto una mano tra i capelli e mi guardo intorno, disorientata sopra ogni dire. Non c’è nessuno intorno a me, se non i miei nonni, di chi era quindi quella voce? Mi scrollo, provando a concentrarmi su altro per evitare di finire a terra, perché davvero mi sto cominciando a sentire male e so che, dando peso alle voci, tutto questo sparirà.

Nel frattempo vedo mia nonna stendere i panni in giardino, mentre mio nonno dà da mangiare ai conigli nella conigliera. Corro al suo fianco, ammirando quei batuffoli che muovono ritmicamente le coniglie e il musetto. Sono meravigliosi! Dovrei incontrarmi con Stevin, è vero, a metà percorso tra Carsi e Cerviasca, rispettivamente il paese in cui si sono trasferiti i miei nonni e il paese natale del mio amico Stefano e di suo nonno Mario, unico famigliare rimastogli in vita, ma… penso che non si arrabbierà se tarderò un poco. Oggi, non so perché, ho voglia di stare più tempo con i nonni e non sgattaiolare via alla prima occasione. Mi sono… così mancati!

I miei nonni si chiamano Dante e Ines e sono i genitori di mia madre. Appartengono alla mia unica famiglia, non ho padre. Semplicemente li adoro! Sono vicini agli ottant’anni, eppure non li dimostrano affatto, perché sono ‘super’ e perché vivere in campagna, a contatto con la natura, ne sono sicura, allunga la vita. In verità non ho molto in comune con loro, i miei occhi sono diversi rispetto a quelli grigio chiari di mia nonna e a quelli nocciola di mio nonno e che ha ereditato mia madre, perfetta fotocopia sovrapposta sia di uno che dell’altro; io invece… pare che abbia preso gli occhi dal mio defunto padre e, anche se lo odio, senza saperne nemmeno il motivo, sono contenta di avere le iridi color blu scuro, mi piacciono molto!

 

Marta!!! Se non usi il tuo cosmo, ti prosciugherai! Ti prego, svegliati! Svegliat...”

 

Mi massaggio nuovamente la testa, confusa. Stavolta ho individuato la voce, è la mia amica Francesca, più grande di me di 3 anni e mezzo. Probabilmente vuole giocare con me e mi sta chiamando, ma io… ho da fare qui, non posso andare con lei.

 

Marta!!! Il cosm...”

 

Oddei, che insistente, però! Non voglio! Ho qui tutto quello che mi occorre, non voglio perdere tempo; tempo prezioso per stare con i miei nonni!

Mi dispiace, Fra… giocheremo un’altra volta, intesi?” dico, un poco scocciata, chiudendo le orecchie a quella voce.

Hai detto qualcosa, cara?” chiede mia nonna, udendomi.

Oh, no… mi stavo chiedendo cosa volesse Fra”

La tua amica Francesca è a Genova, giusto? Verrà qui il week-end, se non sbaglio!” afferma mio nonno, un poco dubbioso.

Lo guardo senza comprendere appieno quella frase, sbattendo le palpebre come se fossi improvvisamente consapevole della certezza di quel fatto.

Uh, si, è vero… non so cosa ho detto, ahahaha!” rido, divertita dal mio errore.

Già, Francesca e Michela sono ancora a Genova, saliranno con mia madre in macchina. Devo avere avuto le traveggole.

Marta, non ti crucciare di darci una mano, se devi andare con Stefano vai pure, ok? Qui ce la caviamo egregiamente io e tuo nonno!”mi incita la nonna, sorridendomi con affetto.

Prima finisco di nutrire i conigli e di strappare le erbacce, poi vado, non vi preoccupate!”li tranquillizzo, mettendomi i guanti e apprestandomi a lavorare. Inaspettatamente nonno Dante scoppia a ridere, andando a prendere il rastrello dalla cantina e tornando subito dopo.

Hai sentito, Ines?! Nostra nipote prima pensa a darci una mano e poi allo svago, alla faccia di Camus che sostiene che pensa solo a Stevin, ahahah!!!”

Stavolta mi paralizzo, mentre il sacchetto per le erbacce cade a terra, la mano ancora protratta nell’atto di strappare un ciuffo di vitalba nascente.

CAMUS?! C’è… Camus, qui?!

Come se si trattasse di una evocazione, vedo mio fratello uscire dal salotto che da sul giardino e avvicinarsi a noi con quel solito passo baldanzoso e un pizzico pieno di sé. Sbuffo contrariata, discostando lo sguardo nella speranza che passi oltre e non mi parli, giacché ieri abbiamo litigato aspramente e non ho voglia di starlo a sentire. Camus ha 5 anni più di me, quindi va già alle Superiori in un liceo Scientifico, contrariamente a me che sono ancora alle Elementari. Ha ottimi voti ed è una cima, ma non ha molti amici e quando si convince di aver ragione è impossibile fargli cambiare idea. Lui pensa di sapere tutto, anche cosa sia meglio per me, perché, per sua stessa detta, ‘è il primogenito e quindi sa lui cosa fare’. E’ davvero irritante! Gli voglio bene e lo adoro ma non sono poche le volte in cui desidererei essere figlia unica. Cerco di passare inosservata, ma la piattola, la percepisco, si avvicina a me con passo calzante. Ci risiamo, uffi!

Se mi vuoi dire, per l’ennesima volta, di non frequentarmi con Stevin, farò orecchie da mercante, perché non esiste proprio e non puoi decidere per me!” affermo risoluta, non degnandolo di uno sguardo.

In effetti, lui e Stevin non vanno molto d’accordo, anche se in verità è solo da parte sua, fosse per il mio amico, buono come il pane, non ci sarebbero problemi, ma mio fratello, no, deve fare il geloso. Bah!

No, stavolta vengo in pace, osserva!” mi rassicura, inginocchiandosi vicino a me e mostrandomi una cosa tra le mani. Ci butto giusto un occhio per educazione, convinta che sia uno scherzo, anche se effettivamente mio fratello non è il tipo, ma quando i miei occhi si incrociano con i suoi, la mia bocca si spalanca , manifestando la mia meraviglia.

Camus sorride soddisfatto, preparandosi a spiegare.

Ieri, dopo la nostra litigata, ho trovato per terra questo rondone. Non ha nulla di rotto ma devi sapere che questo tipo di uccello non è in grado di spiccare il volo da fermo, pensa che passano la loro vita a volare quasi incessantemente!”

Oh, no! E allora cosa facciamo?” chiedo, mortificata.

Vieni con me, non ha nulla che non vada, lo faremo volare dalla strada che conduce a Gherfo, l’abitato, ormai in stato di abbandono, sopra il paese di Carsi, per andare poi sulla Costa della Gallina” mi propone, alzandosi in piedi. Lo seguo a ruota, senza fiatare, totalmente carpita, ancora una volta, dai suoi modi.

State attenti, mi raccomando!” ci suggerisce la nonna, con il solito, largo sorriso. Subito corriamo su per la strada che porta al paese in questione, frenetici e un poco emozionati da quell’evento. Una volta arrivati, Camus si prepara a lanciare il rondone, ma io, ancora un po’ titubante, lo blocco, apprensiva.

Camus, sei sicuro che non si farà male?” chiedo, poggiando la mano sul suo braccio.

Fidati di me e osserva...” asserisce solo, apprestandosi a lanciare il giovane rondone. Mi sento totalmente sulle spine, ma mi tranquillizzo immediatamente quando lo vedo spiccare il volo nel cielo, libero da ogni peso e fidandosi unicamente delle sue ali, la sua certezza. Compie due brevi giri sopra di noi, poco prima di allontanarsi verso Cerviasca. Sono talmente euforica che corro ad abbracciare Camus, dimenticandomi di essere arrabbiata con lui. Mio fratello, molto più alto di me ma mingherlino come pochi, quasi si sbilancia a causa del mio gesto. Ed è subito lamentela.

Ehi, vacci piano che mi tiri tutti i capelli!” fa il prezioso, giusto per far vedere che il mio gesto non gli fa né caldo né freddo, ma so per certo che non è così.

Per forza! Ce li hai lunghi come una Quaresima! Accorciarteli un po’, no?! Sembri una ragazzina!” lo pizzico sottile, non passandomi neanche per l’anticamera del cervello di staccarmi da lui.

E tu invece dovresti farteli crescere! Sembri un maschietto!” ribatte lui, alludendo alla mia acconciatura sbarazzina. Nello stesso momento però mi accarezza delicatamente la testa, sorridendo leggermente. La discussione tra noi sembra finita.

Definire corti i miei capelli non è proprio corretto, certo, non sono neanche lunghi, ricadendo solo sulle spalle, ma non sembro, né mi sento, un maschietto. Per Camus deve essere diverso invece, lui, con le ciocche che gli scendono sul petto e quello strano ciuffetto a forma di cespuglietto che movimenta i suoi capelli altrimenti completamente lisci, deve avere un’altra visione sulla questione. Pazienza, non è la prima volta che accade!

Sogghigno tra me e me, ben contenta di averlo rabbonito. Camus sembra cosi scostante e impenetrabile, certe volte, non mi è sempre facile capire cosa gli passi per la testa. Ha un viso chiaro, serio e maturo; molto più maturo della sua età, è aggraziato e pulito, ben diverso dai maschi medi che invece si azzuffano e fanno gli scemi. Lo apprezzo molto, anzi, si può dire che lo ammiri… quando non parla male di Stevin, lì allora è guerra!

Cosa hai da guardami tutta trasognata? Sei nel tuo mondo?! Non sarebbe la prima volta!” mi provoca, fissandomi intensamente negli occhi. Blu… esattamente come i miei!

Spiritoso! Ero solo contenta di averti addolcito… ehe, ci riesco sempre!” affermo, tutta risoluta e piena di me, perché davvero che Camus mostri ciò che sente, come fa con me, è cosa rara e motivo di vanto.

Tze… è difficile non darti attenzioni, sembri un cucciolo bisognoso di coccole!” esclama, regalandomi un buffetto sulla guancia, poco prima di prendermi da sotto le ascelle e farmi accomodare sulle sue ampie spalle da nuotatore.

Uh-oh! Mi dai un passaggio?” chiedo, divertita, spettinandogli intenzionalmente i ciuffi a forma di guscio di castagna. E’ così bello toccarli e sentirli palpabili tra le dita, sembra di accarezzare qualcosa di morbido e vellutato.

Sì, se non scomponi la mia chioma, in caso contrario ti mollo in mezzo alla strada e cammini con le tue gambe!”

Non lo faresti mai!”

Mmm, effettivamente forse no… - ci pensa un po’ su, ridacchiando poi con dolcezza - E ora andiamo, piccola peste!”

Sorrido e annuisco di rimando, mentre ci incamminiamo lentamente verso casa. Io mi abbarbico a lui, al suo collo, poggiando il mento sopra alla spalla destra e socchiudendo gli occhi, gelosa di quel contatto. Questo è il mio posto e non me lo può togliere nessuno, sarei disposta a difenderlo con le unghie e con i denti, non importa quanto ci scorneremo in vita. E’ il mio unico fratello, gli voglio un bene dell’anima!

Stringo le manine nel tessuto della sua maglietta, percependo calore e una intensa sensazione di benessere. L’aria è già di per sé calda, poiché siamo in estate, ma l’ambiente intorno a noi non ha nulla da vedere con il tepore che avverto percepire da mio fratello. La sua pelle… è così morbida e delicata! Quando sono così vicino a lui mi verrebbe sempre da dormire, protetta e al sicuro da ogni male, quasi vorrei che anche quest’attimo durasse in eterno, quasi vorrei rivivere questo mondo che mi è stato strappato. So che, per farlo, dovrei addormentarmi qui, così facendo potrei…

Improvvisamente un cambio di luce mi spiazza, disturbando le mie intenzioni, anche il passo di Camus si arresta immediatamente, intorno comincia a farsi buio, come una notte anticipata.

Dischiudo le palpebre, affacciandomi in direzione frontale, oltre la testa di Camus, e quello che vedo mi disorienta ancora di più.

Ce l’ho fatta, anf, anf… appena in tempo!”

Spalanco le iridi, meravigliata, nello scorgere la figura di una Francesca più grande proprio davanti a me. La Francesca che conosco io dovrebbe essere adolescente, è ancora piccola e con il caschetto, ma questa… questa sembra adulta. Io non…

Marta, io… ti posso capire! Posso capire perché tu ti sia rifugiata qua: la tristezza per i nonni perduti, il forte desiderio di vivere la tua vita con anche la presenza sicura di tuo fratello e, non in ultimo, la malinconia di un luogo che ti è caro come la tua stessa vita. Tuttavia… QUELLO CHE VEDI INTORNO A TE, E’ FALSO!!!”

Mi urla con tutte le sue forze, pur rimanendo ferma vicino al recinto che delimita la strada sterrata che collega Gherfo a Carsi e viceversa. Non capisco bene quello che mi dice, ma provo una spietata, quanto insensata, paura.

Nego con la testa, le lacrime agli occhi, stringendomi a Camus che tuttavia non percepisco quasi più.

No, ascolta, stai sbagliando, io… li ho visti oggi i miei nonni e stanno bene, non può essere come dici!” provo ad oppormi, sempre più disorientata.

Marta… ciò che stai vedendo ora è frutto unicamente della tua mente, non esiste realmente, non è mai esistito! Ricordi? Abbiamo aperto il varco per entrare nella valle, è stato merito tuo e di Hyoga, altrimenti noi… l’avremmo dimenticata!”

Sono sempre più spaventata e vorrei fuggire via, vorrei che mio fratello mi abbracciasse, che mi dicesse che va tutto bene, ma è immobile, ed io… io vorrei solo correre a casa e rivedere i miei nonni. Mi mancano troppo!

So quanto è difficile ma… ma tutto questo è un illusione; un illusione data dalla Valbrevenna stessa. E’… è stata sigillata e… e noi ci siamo finiti dentro. Se non ti svegli subito, il tempo immobile prosciugherà tutto il tuo cosmo. Devi… bruciarlo, rammenti? Come ti ha insegnato Camus!”

Camus?!? Camus mi avrebbe insegnato a… un sibilo sinistro mi attraversa i timpani, spingendomi a tapparmi le orecchie. Senza accorgermene finisco a terra e rabbrividisco per il freddo, come se il terreno fosse ghiacciato. Riaprendo gli occhi noto, terrorizzata, che è davvero così. Tutto intorno a me è congelato e brinato, ma non si tratta di un ghiaccio candito, immacolato e puro, no, quello intorno a me è opaco, tendente allo scuro come l’opale nero.

Mi guardo intorno sempre più spaventata, quasi piangendo. Ho ancora le sembianze di una bambina e mi trovo nel luogo che mi ha visto crescere, ma esso è completamente trasformato, come se la materia che imprigiona tutto l’ambiente filtrasse la luce. Non so che fare, io…

Marta, devi svegliarti! Brucia il cosmo!”

Mi ripete la ragazza con le sembianze di Francesca ma più adulta. Io… non so neanche cosa significa questo, non so dove aggrapparmi per…

Aggrappati al pensiero di tuo fratello, quello reale, e brucia il cosmo come non mai… io sarò appena fuori dal sogno a riacciuffarti. Non avere paura, noi siamo con te!”

“Io… io dovrei…?”

Conosci la strada, è dentro di te! Percorrila e potremmo fare finalmente qualcosa tutti insieme! Tu, io, Michela, Sonia e Hyoga, ma anche gli altri Cavalieri d’Oro e, sopra a tutti, tuo fratello Camus. Non vi siete conosciuti da piccoli, è vero, molto probabilmente il mondo che hai designato con la tua mente sarebbe stato quello reale se non aveste posseduto un cosmo, ma se ora non ti risvegli, perderai anche il mondo che hai creato grazie alla tua scelta. Coraggio, il vero Camus e noi tutti ti aspettiamo là fuori!”

Mi incoraggia ancora, baluginando davanti a me. Non fa nulla per avvicinarsi, probabilmente non può, ma le sue parole sono riuscite, in qualche modo, a riscattarmi dal torpore. Sono ancora confusa e spaventata, alcune lacrime capricciose mi bagnano le guance, ma so cosa devo fare adesso. Con un titanico sforzo, raccolgo tutte le mie energie, concentrandole in un punto definito del petto, che ora è caldo come non mai. Eccolo lì, il cosmo, è fiacco e appena percettibile ma c’è e non esito a farlo sgorgare fuori da me. Apro di scatto gli occhi, stringendo i pugni con foga. Lo avverto sprizzare fuori prepotentemente, avvolgendo il mio corpo e illuminando tutti i dintorni. Il resto è tutto in discesa...

 

 

* * *

 

 

“Aaaaaaaaaaaaaarrrrrrghhh!!!” grido dal profondo della gola, come se stessi riemergendo dalle tenebre degli abissi. Faccio per alzarmi in piedi di scatto, ma la mia testa picchia violentemente contro qualcosa, rifacendomi cadere a terra. Sgrano gli occhi spaventata, mentre sento il cuore rimbalzarmi in bocca da quanto batta velocemente. Il mio respiro è mozzato. Panico. Paura. E poi incredulità. Sono totalmente fuori di me, ma molto presto mi accorgo di percepire il freddo sotto, e sopra nient’altro che un bianco latte, che quasi da fastidio ai miei occhi. Mi guardo intorno nel tentativo di alzarmi, rendendomi conto che il cosmo è debole, dimezzato, e mantenerlo fulgido mi costa una fatica atroce.

“Me-menomale, Marta! - prende un respiro di sollievo Francesca, seduta davanti a me, si sta massaggiando la fronte, probabilmente dove l’ho colpita involontariamente – Ancora una volta non è stato facile penetrare nella tua testa dura e inaccessibile, ma… ce l’ho fatta! Ora… ora mantieni acceso il tuo cosmo, so che è difficoltoso ma è l’unico modo per…”

La vedo zittirsi, abbassando lo sguardo rattristato. La fisso senza comprendere pienamente a cosa si riferisca, ma ben presto i miei occhi sono catturati dai movimenti che intravedo poco dietro di lei. Ho ancora il respiro corto e non sono in grado di alzarmi, ma noto Hyoga e Sonia, sono a poca distanza da noi a bocconi per terra, anche loro non perfettamente in sé. Respirano a scatti e il loro cosmo è debole almeno quanto il mio.

“Cosa… cosa è successo?” chiedo, avvertendo un cerchio alla testa. Nonostante questo, mi trascino, non senza difficoltà, nella loro direzione, alzandomi poi cautamente in piedi malgrado le gambe mi reggano appena.

“Magari lo sapessimo… - interviene Michela che, al contrario nostro, sembra sprizzare inspiegabilmente energia da tutti i pori – Francesca si è svegliata per prima e ha ridestato tutti noi, ma tu sembravi irrecuperabile, Marta, ci siamo spaventati perché non riuscivamo a svegliarti e allora la nostra amica ha dovuto penetrare nel tuo inconscio”

“Penetrare?! E tu come diavolo fai ad essere così briosa, se pure Hyoga, ben più esperto di noi, è stremato?!”

“Ah, non ne ho la minima idea...”

“Marta… a quanto pare Michela non sa di bruciare il cosmo anche quando dorme, per questo che non le si è consumato. Comunque non è il momento di parlarne… guardati intorno!”

Abbandonando le futili questioni, faccio quanto chiesto da Francesca, e quel che vedo mi terrorizza, se possibile, ancora di più. Siamo davanti al cartello che indica l’entrata nel Comune di Valbrevenna, ma, proprio come nella parte finale del mio sogno, tutti i dintorni sono coperti da uno spesso strato di brina e ghiaccio del colore dell’opale nero. Nessuna luce, solo il cielo schermato di bianco che da fastidio agli occhi, tutto il resto è del colore della tenebre ghiacciata.

“Io non… un secondo! Avete ricordato!” biascico, tentando un ultimo appiglio. Mi sento frastornata e sempre più confusa, mi massaggio la testa, divaricando un po’ le gambe per evitare di cadere di nuovo sul terreno brinato.

“Abbiamo ricordato perché abbiamo sforzato la serratura, se fossimo rimasti fuori anche tu, presto o tardi, avresti rimosso questa valle. E’... è stata sigillata, Marta!”

“Che… che significa, Fra?!?”

“Che non esiste più nel mondo reale, ma solo in una frattura dello spazio tempo, un luogo distorto dove le leggi della fisica non valgono più…”

“Non può… non può essere!” esclamo, profondamente turbata.

No, deve esserci un’altra spiegazione, questa non posso proprio accettarla!

Zampetto a stento verso l’uscita della valle, ma poco dopo il cartello delle indicazioni, non c’è altro che un mare di nebbia che, al solo contatto con le mie amni, si compatta a formare un solido muro. Bloccati. Qui. Nella valle delle mie memorie.

Sto quasi per crollare a terra, vinta dall’evidenzia, ma, innalzando il mio cosmo, mi accorgo di una cosa ancora più preoccupante. Sbarro gli occhi, voltandomi verso i miei amici, tuttavia prima di proferire parola, è Hyoga a prenderla al mio posto.

“Anf…. Te ne sei accorta anche tu, vero? Non avvertiamo i cosmi di nessun altro oltre al nostro...” sussurra il Cigno, sfinito.

Altroché se me ne sono accorta! Sembra di essere in un’altra realtà, persino a concentrarmi con tutte le forze che possiedo non sento più l’energia vitale di Camus e degli altri, più li cerco più non li trovo. Niente. Nessuno Nulla. Non importa quanto mi dibatta nell’operazione.

Se noi non percepiamo niente… può significare solo una cosa.

“Non siamo più nel nostro mondo… anzi, è meglio dire che questo luogo non appartiene più al pianeta chiamato Terra. Non importa quanto sia forte e incrollabile la nostra virtù, siamo separati, il che vuol dire che nulla entra e nulla esce, comprese… le nostre emanazioni!” dice per me Francesca, ingoiando a vuoto.

“Fra, vuoi forse dire che… che come noi non sentiamo i cosmi dei nostri amici Cavalieri d’Oro anche loro non avvertono più noi?!” deduce Sonia, ancora mezza stramazzata a terra, tentando di darsi un tono.

“Già… significa che nell’esatto momento in cui abbiamo forzato l’entrata, la nostra aura cosmica, per il mondo di fuori, ha cessato di esistere. Per dirla in altri termini: è come se fossimo un aereo sparito dal radar!”

“Oh, no! Questo significa che il Maestro Camus e gli altri penseranno che noi siamo… - Michela tace, visivamente sconvolta, prima di trovare la forza di continuare – Oh, no! No! NO!

Stringo con forza i pugni, sempre più soverchiata da questa situazione ben al di là delle nostre capacità. Non è solo il non poterci più percepire che teme Michela; in verità è ben peggio di così: come ne usciamo?! Saremo costretti a vagabondare qui finché non moriremo di stenti?!

“Hyoga, se provassimo di nuovo...”

“Non funzionerà, Marta! - mi blocca Francesca, posandomi una mano sul polso. Tremo io e trema anche lei, non posso non notarlo malgrado lei tenti di rimanere concentrata così come le ha insegnato il maestro – Prima ha funzionato perché ci siamo mossi da un luogo in perenne movimento ad uno statico, per questo avete creato una breccia, ma qui siamo in un luogo statico i cui atomi sono completamente fermi. Non basterebbero le energie di tutti i dodici olimpi messi insieme per uscire di qui!”

Rabbrividisco, mentre sento le mie amiche singhiozzare, una volta sola. No, non sono affatto disposta ad arrendermi così, no! Una soluzione ci deve essere, un modo, una via, c’è sempre! Non ho conosciuto Camus e gli altri per poi finire così, a morire per sfinimento.

“Ci vuole una enorme forza anche per fermare gli atomi, non è forse così? - chiedo retoricamente, squadrandole una a una – Eppure i Cavalieri di Atena fanno miracoli, solo così possono definirsi tale. Non intendo gettare la spugna! Siamo riusciti ad entrare, possiamo anche uscire in qualche modo!” dico determinata, alzando il pugno.

“Hai ragione! - mi segue immediatamente Hyoga, alzandosi in piedi, si regge a stento anche lui ma riconosco quella luce negli occhi – Io e i miei amici Cavalieri di Bronzo abbiamo compiuto imprese disperate; imprese in cui le probabilità erano contro di noi, eppure ci siamo riusciti. Sono con te, Marta!”

Michela e Sonia annuiscono a loro volta, mentre la prima, ancora in forze, regge la seconda, per nulla intenzionata ad arrendersi a dispetto della spossatezza.

Francesca sorride a sua volta, avvicinandosi a me.

“Non ho mai avuto intenzione di arrendermi, cara Marta… solo… mantenete vivo il vostro cosmo e fatelo bruciare, se si dovesse spegnere anche una sola volta, sareste imprigionati per sempre, e già avete perso buona parte delle vostre energie...” ci avverte, serissima.

“Questo ce lo hai detto già appena svegliate, ma perché...”

“Perché al momento ci stiamo muovendo nel tempo fermo, Sonia, una facoltà non concessa agli esseri umani, noi siamo un’eccezione perché scorre del divino in noi, ma… facciamo presto!” asserisce, lasciando volutamente il discorso in sospeso.

“Pure presto?!? Siamo già in una situazione difficile e dobbiamo pure sbrigarci?! Che ingiustizia!!!” esclama Michela, facendosi prendere dall’ansia.

Non aggiungo nient’altro ma ho captato il messaggio silente della mia amica più grande: certo, dobbiamo muoverci, il tempo qui è fermo, imperituro, senza principio né fine, ma lo stesso non si può dire di noi; noi siamo esseri essenzialmente temporali, come diceva Heidegger, non abbiamo l’eternità per stare qui, le nostre riserve di cosmo sono limitate, se dovessero finire… noi saremmo imprigionati qui, senza alcuna possibilità di riscatto. Allora sì… allora sì che potremmo essere definite completamente morte.

Mi scrollo di dosso i pensieri nefasti, ma un sostrato di paura permane… poco importa! Mi sarà necessaria per reagire a questa terribile situazione, perché noi ci usciremo di qui, in un modo o nell’altro, INSIEME!

“Marta, tu conosci questa valle meglio di chiunque altro, te la senti di prendere il comando della spedizione?” mi chiede Hyoga, guardandomi negli occhi.

“Io conosco questa valle come le mie tasche, sì, tra un centinaio di metri si dovrebbe raggiungere l’abitato di Prele, primo paesino della valle. Non servirà a nulla stare qui fermi e aspettare di morire di inedia, propongo di andare verso Nord, dritto di fronte a noi, giacché non si può tornare indietro” suggerisco, indicando la via.

I miei compagni e amici si ritrovano d’accordo con la mia idea, apprestandosi a seguirmi. Io mi posiziono alla cima del gruppo, un brivido nel corpo e una sensazione di pesantezza sul cuore, ma non ci do peso, rigettando indietro tutte le incertezze come mi è stato insegnato.

Fatti pochi metri, come profetizzato, si raggiunge il piccolo paese di Prele, adagiato in sponda destra del torrente Brevenna e contraddistinto da una piana, su cui passa anche la strada carrabile, delimitata da ampi orti e spazi aperti. Silenzio surreale intorno, tutto è perfettamente fermo, incastonato nello spazio-tempo che però è immoto. Non si ode né vento, né lo zappare del contadino, né tanto meno il cinguettare degli uccellini. E’ dura… è davvero dura vedere la mia valle ridotta così, che davvero sia stata eradicata via dal mondo? E le persone che ci vivevano, dove…?

Anche i miei amici si guardano intorno, guardinghi, anche loro hanno i nervi a fior di pelle, quasi si aspettassero un attacco improvviso. Con un cenno della testa, mantenendo così il silenzio, indico di proseguire per entrare nel paese e vedere cosa si celi all’interno. Gli altri mi seguono quatti quatti, mantenendo meno spazio possibile tra uno e l’altro per coprirci le spalle vicendevolmente.

Arriviamo al centro del paese e continua a non esserci nessuno, la Valbrevenna non è mai stata densamente popolata, men che meno alla fine del secolo scorso e agli inizi degli anni 2000, ma rimane il fatto che Prele, stante la posizione ben a solatio e non molto distante dalla strada principale che porta all’uscita della valle, è sempre stato tra i paesi più popolosi. Non vedere nessuno qui, mi da una sensazione di straniamento allucinante, ho quasi il magone.

Con la coda dell’occhio vedo Michela allontanarsi di qualche passo, forse attirata da qualcosa di non ben definito, mentre il mio cervello si perde in diecimila congetture diverse.

Perché proprio la piccola e insignificante Valbrevenna?! Perché un destino simile proprio a lei?!? Non è mai stato un luogo turistico né degno di nota, ma è di basilare importanza per me. Perché?!? Solo… solo una persona, anzi un’entità, può avere avuto il potere di fare ciò, al solo scopo di colpire direttamente me… questo essere ha nome e cognome, ma può essere chiamato con un unico appellativo: il Mago!

Deve esserci quel bastardo in tutto questo, deve essere lui l’artefice di questo scempio, ma… quale è la ragione?!? Può aver voluto colpire me, è vero, ma, lo conosco, non si sarebbe mai limitato a…

“Aaaaaaaaaaaahhh!!! Là dentro, guardate là dentro!!!”

L’urlo di Michela, in corsa verso di noi, azzera i miei pensieri, spingendomi in posizione difensiva, ma a ben guardare non c’è alcun nemico qui intorno, deve essere stato altro a spaventare la mia amica.

“Michela, cosa ti è successo?” le domanda Hyoga, soccorrendola, mentre la ragazza lo abbraccia di slancio, tutta tremante. Le mani del Cigno le circondano le spalle, ma la sua mente, come la nostra, ancora non ha compreso la gravità della sua esclamazione.

“G-guardate là, nella casa di pietra… l-là!” ci balbetta, indicando l’abitazione in questione.

Francesca ed io ci avviciniamo a quel luogo con andatura titubante, cercando invano di mantenere quel poco di autocontrollo che abbiamo più della nostra amica, ma esso si spezza nell’esatto momento in cui distinguiamo, nella finestra della casa, ciò che ha terrorizzato così tanto la nostra compagna.

“U-urgh...” biascico, trattenendo un conato di vomito, per un solo istante il mio cosmo vacilla ma non si spegne.

“Non solo la valle… anche i suoi abitanti sono stati sigillati!” arriva alla dolente conclusione Francesca, indietreggiando di qualche passo.

“A-anche lassù, guardate...” ci avverte Sonia, indicandoci uno degli orti altolocati.

Senza esitare oltre, ci dirigiamo proprio lì, mantenendo comunque una certa distanza di sicurezza da quella forma umana che tuttavia ha perso gran parte della sua umanità. Solo io mi arrischio ad andarci più vicino, ingoiando a vuoto e tremando freneticamente.

Non era che un contadino, lo si riconosce grazie alla zappa che tiene sollevata sopra alla sua testa, ma è indistinguibile dalle altre statue che si possono trovare qui intorno, un po’ come i calchi di Pompei, con la differenza che questi uomini sono stati sigillati improvvisamente nelle attività che stavano compiendo in quel preciso istante, non hanno avuto neanche il tempo di terrorizzarsi per un evento catastrofico così superiore a loro. Esattamente come i calchi, hanno, sì, parvenza umana, ma è assai difficile scorgerne i lineamenti, le peculiarità; sembrano quasi… saponificati sul posto! Davvero terribile!

“Deve essere stato il Mago, ha manomesso il tempo di questa valle, bloccando lei e i suoi abitanti in un giorno qualsiasi di ottobre. Impossibile capire da quanto tempo siano così, ma la materia di cui sono composti, ovvero di ghiaccio rassomigliante però all’opale nero, mi fa pensare che il nostro nemico sia riuscito davvero ad attingere al potere che stava anelando!” spiega Francesca, tesa.

Mi volto verso di lei, incredula, il mio cuore perde un battito.

“Cosa vai dicendo, Fra?! Camus è al Grande Tempio e sta bene, non...” la intercetta Sonia, del tutto intenzionata a non lasciarsi abbattere.

“Può darsi che non sia l’unico modo per seguire i suoi fini, può darsi che… che abbia trovato una soluzione alternativa...”

Tremo vistosamente, ricordandomi delle parole che mi aveva rivolto faticosamente Dégel quando era riuscito a manifestarsi davanti a me. Impossibile! L’unica riserva di potere alternativa a quella di Camus è nei corpi di Dégel e Seraphina siti ad Atlantide, se quello che prospetta Francesca corrisponde al vero, può significare solo che… OH NO!

“Non è comunque Potere della Creazione questo… - continua enigmatica Francesca, appoggiando delicatamente la mano sopra la statua del colore dell’opale nero – Non so bene che potere sia, di certo è legato al tempo e quindi a sua volta al ghiaccio. Occorre di certo una grande forza per perpetrare una simile contaminazione su una scala che, seppur ridotta, incide ampiamente su moltissime vite, ma, statene certi, non è...”

“DIAMOND DUST!!!”

Non ho nemmeno il tempo di tirare un sospiro di sollievo che vedo Hyoga girarsi di scatto e sferrare il suo potente colpo in una direzione definita ma a noi sconosciuta. La sferzata che tira è in grado da sola di smuovere i nostri capelli.

“Hyoga, che diavolo!!!” lo rimprovera subito Francesca, in un tono che ricorda paurosamente il maestro Camus, il Cigno infatti, istintivamente, sussulta, voltandosi poi nuovamente verso di noi.

“Scusate, ho avvertito una presenza dietro di noi, e...”

Ma non ha nemmeno il tempo di finire che un fastidioso rumore, come di denti che digrignano tra loro, si fa strada nei nostri timpani, spingendoci a tapparci le orecchie. E’ un rumore più forte della norma, come se si elevasse al metro cubo e si espandesse con sempre maggior intensità. E’… è dentro alla mia testa, non riesco a resistergli!

“G-guardate sopra di noi… c-cosa?” ci riesce ad avvertire Sonia, utilizzando il cosmo. Portiamo la nostra attenzione nel punto indicato, prima di vedere, nell’immenso bianco dell’infinito, alcune nuvole nere raggrupparsi e farsi sempre più grosse, come se fossero attirate dalla nostra presenza.

Sbatto più volte le palpebre, cercando di metterli a fuoco per distinguerli dalla risma, nello stesso momento il rumore fastidioso di prima cessa subitaneamente. Li fisso incredula sopra di me, cominciando a distinguerli come entità a sé, mentre un nuovo clamore, di diversa origine, si diffonde nei dintorni. Questa volta è uno sbattere frenetico di denti, come quando si ha freddo, ma è assurdo, visto che…

“MA SONO DISSENNATORI!!!” esclama Michela, urlando a squarciagola. Da buona estimatrice della saga di Harry Potter deve aver ricondotto queste creature che ci sovrastano e sbattono i denti, avvolte da un mantello nero pece, agli esseri più oscuri del mondo magico.

“Dissennatori?!? A me sembrano più la quintessenza dell’idea umana della morte, quella che è disegnata anche nei dipinti, infatti hanno anche la falcetta!” la corregge Sonia, attonita.

“Più importante di tutto… cosa fanno qui?!” chiedo retoricamente, sconquassata dalla paura e dal tremore. Ho una bruttissima sensazione…

Intanto gli esseri continuano a riempire il cielo incolore con ampi movimenti circolari che richiamano gli altri, rassomigliando a tanti avvoltoi in procinto di piombare sulla carcassa. Poi… accade! Nell’arco di un baleno li vedo abbattersi su di noi con una foga inaudita, la falce ben alzata per colpirci. Immediatamente ci separiamo gli uni dagli altri allo scopo di non essere facile bersaglio, ma sono veramente troppi e, ancora più importante, non ci danno un attimo di requie, impedendoci di contrattare. Siamo costretti a schivare e basta.

“Ma-maledizione! - sento imprecare Francesca, mentre, con la coda dell’occhio, la vedo evitare un colpo di scure per poi salire sopra uno di questi esseri e saltare in alto per recuperare una posizione di svantaggio – Prendete questo!” esclama, estraendo la folgore.

Sorrido beffarda mentre, focalizzando le mie energie, tengo lontani i cosi da me: è di sicuro un ottimo colpo, il nemico non lo può scansare, è spacciato… o almeno così credo finché, sgomenta, non vedo l’attacco di Francesca trapassarlo da un lato all’altro senza però provocare alcun danno, quasi come se fosse inconsistente. Ora lei è sotto e l’avversario, nuovamente pronto a colpire insieme agli altri due, sopra: la situazione si è irrimediabilmente capovolta.

“Fraaaaaaaa!!!” urlo, spaventatissima, accorrendo a tutta birra, ma una ventata gelida è ben più veloce di me, colpisce il nemico in piena schiena e investe anche gli altri due, che si mettono a sibilare e latrare orribilmente.

“Hyo-Hyoga!” lo chiamiamo all’unisono io e la mia amica, sorprese e ammirate.

“State bene, ragazze? Ora io...” ci prova ad avvertire il Cigno, ma non ha il tempo di reagire che un’orda di nemici, tutti quelli presenti, si avventa su di lui, totalmente incuranti di me e e delle altre.

“HYOGAAAA!!!” urla Michela, correndo verso il suo ragazzo con i pugni infuocati. Attacca alla cieca, tentando di percuoterli con tutte le sue forze. Niente da fare, esattamente come prima, il colpo, qualunque sia essa l’origine, non li sfiora.

“Mi-Michela, allontanati e raggiungi le altre. Questi sono affar mio… ugh!” biascica il Cigno, schivando alla meglio le falci e bloccando i più vicini a lui grazie al koliso. Tuttavia è chiaramente affaticato, per quanto non sia stato ancora ferito, avverto il suo cosmo vacillare e sublimare più volte. Il tempo è eterno, noi no.

 

Sai, Marta… non ho sempre avuto un bel rapporto con Hyoga, anzi, all’inizio non riuscivamo a capirci, eravamo… troppo distanti! Lui per me rappresentava ciò che, nella vita di un Cavaliere era aberrante e meritevole di essere dimenticato, per lui invece ero un punto irraggiungibile e lontano, troppo freddo per riuscire a curare le ferite nel suo animo, ma allo stesso tempo sufficientemente caldo per rappresentare uno dei suoi pilastri esistenziali. Hyoga non era, non è mai stato, come il fiero e impavido Isaac, è sempre stato molto insicuro sulle sue capacità, non ha mai avuto una volontà ferrea di giustizia, avvinghiato com’era al ricordo della defunta madre, l’unica ragione che lo muoveva e che non lo faceva cedere. Io… io ho sbagliato tutto con quel ragazzo, fin dal principio, e ho continuato a sbagliare fino alla fine. E’ stato… il mio fallimento come maestro, ma anche… il mio successo, la mia speranza, la mia gioia, e il mio orgoglio. Sono… fiero del ragazzo che è diventato e, anche se il passato non può più essere cancellato, anche se abbiamo fatto fatica a capirci e continuiamo a zoppicare su questo versante, non cancello nulla di quello che è stato tra noi, dei motivi e degli ideali che ci hanno condotti qui. Forse continueremo a non capirci, lo faremo senz’altro, ma il bene che gli voglio non sarà mai cancellato, lo so. Lui è quanto di più vicino abbia all’idea di figlio. E so che ti sembrerà strano, piccola mia, lo percepisco dalla tua espressione, del resto non ho che 5 anni più di te, sembra davvero bizzarro definirlo così, vista anche la poca differenza di età tra me e lui, ma credimi... credimi quando ti dico che, davvero, anche solo una manciata in più di anni, per un Cavaliere fanno molto, più di quanto dovrebbe. Ogni tanto mi sento così vecchio e stanco, talmente tanto che vorrei solo chiudere gli occhi e riposare. Essere Cavaliere di Atena ti costringe a guardare soventemente indietro, a ciò che hai fatto, a ciò che non hai fatto... e tutta la tua vita è sottoposta al vaglio della bilancia, se cioè i tuoi meriti sono stati superiori alle colpe, se la tua esistenza è stata degna di essere vissuta. Ebbene, Hyoga è ciò che mi risolleva lo spirito. Se penso a ciò che hanno fatto lui e i suoi compagni per garantire la giustizia su questa Terra, se penso che, in parte, ho contribuito anche io, allenandolo e formandolo, subito mi si riscalda il petto e i dubbi e le paure volano via. In fondo, sono morto prima di poter affrontare Hades, sono morto prima di ultimare il mio ruolo, ma Hyoga lo ha fatto per me, Hyoga… che ho cresciuto io! Allora, pensando a lui, so per certo che la mia prima vita ha avuto un senso!

 

“Stupido Hyoga, non ti permetto di rischiare di morire, né ora ne mai!” urlo, correndogli appresso nello stesso esatto momento in cui Sonia allontana Michela dal marasma degli incappucciati neri.

Durante la mia folle corsa, sento le mie amiche urlare il mio nome dietro le mie spalle, anche il Cigno mi grida qualcosa, perché vedo le sue labbra muoversi, ma tutto ciò non mi interessa, presa come sono dai miei obiettivi. Raggiunti pochi metri di distanza, uso la mia Diamond Dust, ma non nella direzione dei nemici, bensì verso la strada provinciale, in modo da costruire una formazione ghiacciata informe ma abbastanza grossa da destare il loro interesse. Così infatti avviene, perché subitaneamente mollano Hyoga per andare verso il mio operato e cominciare a mangiarselo, un po’ come le iene che spolpano una carcassa di gazzella.

“Ma che cosa?!” chiede retoricamente Hyoga, lasciandosi cadere a terra, incredulo. Ha un grosso e profondo taglio sulla guancia sinistra e numerosi altri sulle zone non protette dall’armatura, ma sta bene. Michela accorre nella sua direzione, precipitandosi ad abbracciarlo, ancora più spaventata rispetto a prima.

Nel frattempo gli incappucciati continuano a mangiare la formazione ghiacciata, accalcandosi come se non si nutrissero da un bel po’. Effettivamente ho agito d’istinto sulla base di una intuizione, ma non ho avuto sufficiente tempo per ponderarla dignitosamente, potrebbe anche essere stato uno sbaglio, questo, poiché potrebbe potenziarli.

“Ma guardali là, ora sono del tutto disinteressati a noi, quindi perché prima ci hanno attaccato loro per primi, accalcandosi sopra di noi?!” chiede Sonia, stranita.

“E’ stato inconsciamente Hyoga con il suo primo colpo... - dico in tono pesante, sorprendendo tutti – Ma non potevi fare diversamente… tu hai avvertito una presenza dietro di te, giusto?” chiedo, seria in volto.

“Sì, è così… è stato come uno squarcio nel tempo, io...”

“Lo supponevo…” trancio il discorso, guardando furente il cielo latteo sopra di noi.

“Marta… stai pensando a Lui, vero?” ne deduce Francesca, condividendo la mia impressione.

“Lui… già, non può che essere quel bastardo del Mago, ma ora allontaniamoci di qui in fretta!” asserisco, desiderosa di distanziare i loschi figuri prima che finiscano il loro pranzetto a base di ghiaccio.

Ricominciamo quindi a correre, risalendo la valle ma rimanendo sulla ex strada carrabile, che è più agevole ma ci rende più distinguibili. Comincio quindi a spiegare la mia intuizione sul fatto che il solo potere del ghiaccio possa colpire gli incappucciati, il perché non lo so, ma dopo averli visti piombare così su Hyoga dopo aver usato il suo colpo ghiacciato, ho avvertito come una scossa dentro di me che mi ha spinto ad agire in quella maniera e, fortunatamente, è stato un successo. Non so chi o cosa siano, quegli esseri, ma se tutti i colpi, ad eccezione del gelo, sono vani, siamo allegramente fottuti, visto che sono pochi i Cavalieri in possesso di una tale abilità.

“Se davvero è come dici, e da come hanno reagito è veramente così, siamo in grossi guai: di persone che possono disporre del potere del ghiaccio ci siete giusto tu, Hyoga e Camus… e se fosse davvero così… No! Dobbiamo uscire di qui e parlarne ai Cavalieri, a tutti i costi, è una minaccia troppo seria, se si dovesse irradiare al mondo là fuori sarebbe la fine!” manifesta il mio pensiero Francesca, tentando di disporlo sotto il vaglio dell’autocontrollo, ma si percepisce la sua agitazione.

Annuisco solamente, a corto di fiato, stiamo procedendo nelle profondità della valle, ma non abbiamo alcuna garanzia di uscirne, le nostre forze sono esigue e il cosmo è sempre più fiacco.

“Quindi sono… mangia-ghiaccio, giusto?” interviene ad un certo punto Michela, ancora trillante e piena di vita, beata lei.

“I mangia che?!?” esclama Sonia, inarcando un sopracciglio, scettica.

“Mangia-ghiaccio! Li ho ribattezzati io! Pensavo sempre ad Harry Potter e ho fatto l’associazione Mangiamorte e Mangia-ghiaccio, mi sembrava un nome carino!”

Mi ritrovo, mio malgrado, a ridacchiare, rinfrancata dalla battuta di Michela in un momento in cui gli animi di tutti erano di nuovo rasoterra.

“Sei veramente unica!” dico di tutto cuore, sorridendole con affetto, lei arrossisce un poco, ridacchiando a sua volta. Anche io faccio per aggiungere qualcosa, ma in quell’esatto momento il ricordo di quello che le era successo pochi giorni prima di partire, ovvero la paralisi del sonno, mi tronca per un attimo il respiro, riportandomi all’apprensione e alla paura.

Varypnas… potrebbe significare anche presagio!

Mi scrollo dalla testa quella parola spietata, decidendo arbitrariamente di concentrarmi sulla missione. Presagio o non presagio, proteggerò Michela, costi quel che costi!

“Marta… come ci muoviamo adesso? Dove possiamo andare?” mi chiede Hyoga, non distinguendo altro intorno che vecchi boschi ormai raggelatisi e in lontananza vecchie case troppo distanti per essere individuate con precisione.

Mi guardo velocemente intorno cercando di raccapezzarmi in quel paesaggio famigliare e desolato che, ai miei occhi, è stato snaturato così orrendamente. Individuato un punto riconoscibile, mi appresto a parlare.

“Abbiamo superato il bivio per Nenno e ora, come forse intravedete, il torrente Brevenna è sulla nostra destra… A questo punto, visto i borghi che abbiamo passato, non dovrebbe mancare molto al bivio che porta al paese situato a mezza costa di Frassineto. Sono dell’opinione che sarebbe meglio salire per vedere la valle dall’alto e...”

Ma non ho il tempo di finire il discorso che una improvvisa onda d’urto mi proietta contro la parete rocciosa posta a sinistra con immane forza. Riesco a malapena a proteggermi la testa con le braccia, prima di rimbalzare indietro e trovarmi a testa in giù a precipitare nel greto del torrente. La vista è per un attimo offuscata, ma trovo comunque la forza per rimanere vigile e, nel farlo, scorgo il corpo di Michela, proiettato come il mio, che cade nel vuoto.

“Mi… Michela!!!” urlo, acciuffandola alla ben meglio per proteggerla dalla caduta. Non ho il tempo di fare altro che l’impatto con le rocce sul greto del fiume, pur congelate, mi tronca il respiro. Mi ritrovo così a sputare saliva e a tossire selvaggiamente, mentre il corpo di Michela, steso sopra di me, è del tutto immobile. Vorrei sincerarmi al più presto delle sue condizioni ma impiego diverso tempo per tornare a muovermi. Prima un dito. Poi il braccio. Poi infine le gambe, mentre, tutta dolorante, adagio la mia amica per terra e la controllo.

“Mi-Michela… dai, forza… non è il momento giusto per… ugh” mi piego su me stessa, percependo dolore alla pancia e alle articolazioni, nonché bruciore su praticamente tutta la pelle. La mia amica respira con regolarità e non sembra ferita gravemente, nonostante alcuni tagli, ma devo svegliarla, altrimenti…

“Michela… forza, dai...” la provo a scrollare, preoccupata. Le ho attutito la caduta con il mio corpo, ma rammento ancora le parole di Francesca a proposito di utilizzare il cosmo. Se questo non avviene, si rimane bloccati.

“MICHELA!!!” strepito, paranoica, prima di accorgermi che la mia amica… russa!

Rimango scettica e sconcertata a guardarla del tutto ammutolita, certa di aver percepito male l’emanazione del suo cosmo, eppure esso c’è, davvero è pienamente attivo nonostante lei sia nel mondo dei sogni a seguito della botta presa.

“A-assurdo… davvero… davvero usa il cosmo senza accorgersene, questa è nuova! - commento tra me e me per stemperare la tensione – Inconcepibile! Aspetta che lo dica al Maestro Camus, amica mia, e vedi come comincerà da subito ad allenarti persino di notte!!!” ridacchio nervosamente, alzandomi in piedi, malgrado sia traballante.

Il pensiero di mio fratello mi da coraggio e mi permette di tornare a concentrarmi intorno a me, ma non c’è nessuno, solo io, una Michela dormiente e… una voragine enorme sulla strada che ancora fuma. Spalanco le iridi, incredula: ecco il motivo di quell’onda d’urto che ci ha spazzati via e… e… e sopra di loro…

“I mangia-ghiaccio!” esclamo, facendo mia l’espressione propria di Michela.

Effettivamente ci sono una decina di incappucciati sopra le nostre teste, ma non ci stanno calcolando, limitandosi, come prima, ad assaporare le schegge ghiacciate che un tempo formavano la strada della Valbrevenna.

Nessuna traccia degli altri, mi sento cadere a terra, ancora frastornata, ma rimango vigile, cominciando a valutare un piano.

Quel fascio di energia… no, non sono stati i Mangia-ghiaccio, quel fascio di energia viola lo conosco bene, è stato il Mago!

“Ti diverti a giocare ad acchiapparello, eh, bastardo?!? - urlo, inviperita, ben ricordando l’odio che provo per lui – Te ne stai nella tua dimensione e ogni tanto compari, spingendo questi esseri ad attaccarci!” ne deduco, mentre mi tolgo la felpa e la poso delicatamente su Michela, ancora beatamente addormentata di fianco a me. Non voglio che prenda freddo e qui, essendo tutto ghiacciato, si può morire di assideramento.

Poco dopo mi allontano un poco da lei, certa come non mai che sarà al sicuro lì, che presto torneranno gli altri, perché, sì, ho un piano e ho tutte le intenzioni di attuarlo.

Mi fermo al centro del greto, sorridendo sorniona, mentre alzo gradualmente il braccio destro, dal quale scaturiscono cristalli di ghiaccio. Simultaneamente gli incappucciati smettono di mangiare, voltandosi nella mia direzione ma rimanendo fermi, come confusi sul da farsi.

“Stavolta non andrà come vuoi tu… - dico a denti stretti, minacciosa – DIAMOND DUST!!!” grido poi, richiamando tutte le energie che possiedono per poi innalzare un colpo in direzione del cielo etereo, fino ai limiti della mia portata. Subito vedo decine e decine di esseri dirigersi verso la direzione del mio colpo, che in questa maniera permetterà anche agli altri di capire dove ci troviamo, o meglio, dove si trova Michela, e di soccorrerla, perché io non sarò più qui…

Quando il colpo scema, riducendosi di gittata e di potenza, esattamente come avevo pensato, i nemici, gelosi di avere alla loro portata un serbatoio di energia, si fanno in quattro per raggiungermi, ma a questo punto scatto con tutte e mie forze in avanti, distanziandoli di netto e facendomi inseguire.

“Ma che bravi! Venite, venite! Vediamo se sarò io, che conosco questa valle a menadito, a vincere, oppure voi, che siete così tanti. Se vogliamo giocare ad acchiapparello facciamolo bene, no?!” ironizzo, temeraria, raccogliendo tutte le mie energie nelle gambe per correre il più velocemente possibile. La partita è aperta, vediamo chi ne uscirà illeso!

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Ben ritrovati a tutti con questo secondo capitolo della “Melodia della neve” (prometto che presto aggiornerò anche la Sonia’s side story, anche se, dato l’argomento trattato e la mia situazione, ho avuto non pochi problemi nello scriverlo).

Dunque, stavolta sarò breve perché c’è davvero poco da aggiungere in questo capitolo che comincia ad essere lungo (ho il vezzo di dilungarmi molto, penso ve ne sarete accorti). Come dicevo, non c’è molto da aggiungere, se non, per dovere di completezza, che anche se non è specificato, l’armatura del Cigno è la V3, quella di Hades, per intenderci. Eh sì, lo so che è andata danneggiata nell’Elisio ed è rinata come divina, ma preferisco usare quella standard e, semmai, farla diventare divina solo quando Hyoga brucia con forza il cosmo e affronta nemici molto superiori a lui. Per la stessa ragione, quando Francesca dice che scorre del Divino in loro, adducendolo come motivazione al loro muoversi nel tempo fermo, ricordate che l’armatura in questione è stata bagnata dal sangue di Atena che, per certi versi, protegge anche il Cavaliere del Cigno. Per Marta, Michela e Sonia il problema non si pone, essendo semidee, e per Francesca, essendo una divinità figlia di Urania, ancora meno.

Spero abbiate apprezzato il capitolo, la trama comincia già ora ad entrare nel vivo, ma ci saranno molti altri sconvolgimenti e accadimenti, quindi non mi resta che sperare nel vostro coinvolgimento.

Saluti a tutti!

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** La valle sigillata (seconda parte) ***


Capitolo 3: La valle sigillata (seconda parte)

 

 

 

Corro con tutte le mie forze sul greto ghiacciato che un tempo vedeva scorrere il torrente Brevenna. Non ho bisogno di voltarmi per sapere con certezza che quegli esseri mi stanno inseguendo, perché sento distintamente il loro battere di denti compulsivo, come alla perenne ricerca di un gelo che li fa rabbrividire ma che al contempo li attira fatalmente. Non so con precisione quanti siano, ma sono bel felice di avere buone gambe per muovermi velocemente e così distanziarli.

In ogni caso, sto continuando a perdere energie, non posso permettermi di scappare ininterrottamente, devo in qualche modo reagire e… attaccarli! Butto un occhio dietro di me, contandoli mentalmente, devono essere minimo una decina qui, ma non vorrei che aumentassero, attirati così dal mio potere… devo passare al contrattacco ora, non c’è un secondo da perdere. Mi guardo frettolosamente intorno, accorgendomi di trovarmi in un anfratto, vicino all’ansa del fiume. Decido in un lampo. Cogliendo a mio favore la genealogia del terreno, viro improvvisamente a destra, nascondendomi tra le fratte. Gli esseri che mi inseguono si fermano un attimo, confusi (che abbiano una visuale limitata?!?) ma è soltanto un espediente mio, dopo pochi istanti salto fuori dalla vegetazione brinata, preparandomi all’assalto.

“BLUE IMPULSE!” urlo, alzando il pugno e colpendone tre di loro, mentre l’attacco si infrange sulla strada. I mostri colpiti sibilano sinistramente, prima di accasciarsi a terra tra le convulsioni e sparire; cinque di loro invece, sufficientemente vicini alla formazione ghiacciata che ho creato, ci svolazzano immediatamente sopra, apprestandosi, proprio come prima, a mangiarla. I restanti invece continuano il mio inseguimento.

Appena atterrata non ho neanche il tempo per recuperare il fiato, che subito mi ritrovo nuovamente a correre, braccata.

Tento di immagazzinare più aria possibile nei polmoni, che proprio ora mi stanno cominciando a dolere, non ci do peso, ma sono consapevole trattarsi di una lotta impari: le loro riserve sono illimitate, le mie no. Devo trovare una soluzione e anche subito, prima di erodermi a tal punto di essere presa per sfinimento. Devo pensare a qualcosa, devo…

Proprio nell’esatto istante in cui sto per farmi prendere dal panico, noto di aver raggiunto un bivio a me sin troppo famigliare, quello che, dalla strada provinciale, porta alle abitazioni di Carsi e Cerviasca, dove ho trascorso la mia infanzia. Senza rendermene conto nitidamente allento la mia andatura, facendomi così raggiungere da uno degli incappucciati, me ne accorgo solo quando il suddetto, vicinissimo a me, prova a sferrare un colpo di falce, che io per fortuna evito, ma che avverto dallo spostamento d’aria. Devono essere attirati dalla mia riserva di potere congelante che percepiscono nitidamente tramite le sfumature del mio cosmo, non c’è altra spiegazione!

“Merda! - impreco, rabbrividendo, prima di sferrare un nuovo colpo dinnanzi a me, al massimo del potere che mi è concesso – Diamond Dust!!!”

Il mio attacco, di forte intensità, impatta contro il greto, costruendo una enorme stalagmite di ghiaccio, subito, guidata dall’istinto, mi getto a terra, riducendo al minimo l’aura cosmica, mentre i Mangia-ghiaccio, esattamente come prima con Hyoga, vanno a mangiare l’immensa costruzione. Non penso più, non decido. Passata la prima ondata, mi rialzo, svoltando a destra, nel bivio tanto dolente. Corro ancora per una serie di minuti, prima di rallentare la mia andatura e prendere finalmente respiro. Non mi stanno più seguendo, posso finalmente rifiatare e decidere il da farsi. Passeggio quindi sulla strada, cercando di fare meno rumore possibile. A questo punto penso e spero che gli altri abbiano raggiunto Michela svenuta, ma io non posso tornare indietro sulla strada, mi ritroverei i Mangia-ghiaccio ancora davanti, forse persino potenziati dopo aver mangiato tutto quel potere congelante. Che fare quindi? Ancora è lo sconforto la prima reazione che provo, nonostante lo stia ricacciando indietro. Mi fermo stringendo i pugni, tesa. Dove sto sperando di andare?! Le energie prima o poi finiranno, non possiamo comunicare con l’esterno quindi siamo isolati… se non troviamo un modo per fuggire ci esauriremo, e se ciò dovesse accadere in questo tempo fermo, saremmo imprigionati anche noi in questo marasma di immobilità.

Le mie gambe tremano con forza. Ho… ho paura! Vorrei… vorrei soltanto… tornare a casa, da mio fratello e dagli altri.

Sto per cadere ginocchioni per terra, ma un fruscio poco distante da me, mi mette immediatamente sul chi vive. I Mangia-ghiaccio non frusciano, allora chi…? Un altro frascheggiare più forte di prima mi fa fare un balzo indietro, nuovamente agguerrita. La mia mente va immediatamente al Mago, ben sapendo che ci deve essere lui dietro tutto questo, il solo pensiero mi fa montare di rabbia, dandomi una nuova stilettata di vita. Se attaccare lui è l’unica garanzia di avere una via di fuga, non esiterò a farlo. Attendo ancora pochi istanti, percependolo sempre più in avvicinamento, caricherò al primo assalto, nessun errore concesso. E’ la mia unica chance di colpirlo, non la sprecherò!

Una figura si palesa sulla strada, ha sembianze maschili, anche se non ho il tempo di scorgergli bene il viso, allo stesso modo, lui non riesce a vedermi nitidamente, barcollante com’è, non importa, in battaglia non si esita. Mai! Gli salto addosso con tutta la mia forza, buttandolo a terra. Purtroppo essendo sul ciglio della strada, ci ritroviamo ben presto a rotolare per diversi metri tra gli arbusti congelati, passa qualche secondo prima che mi sia possibile recuperare una posizione di vantaggio: io sopra, l’essere sotto, pronto per essere centrato dal mio attacco. Quasi indemoniata come un animale che da il tutto e per tutto per salvarsi la vita, carico un pugno pieno di cristalli ghiacciati di morte, prima di farlo calare inesorabilmente su di lui.

“Maledetto negromante, facci uscire di q...”

Ma il mio braccio si ferma a metà strada, incapace di colpire. Io stessa mi blocco, ricominciando a tremare più forte per un grosso sconvolgimento emotivo. Non ho comunque il tempo di reagire nuovamente a quegli occhi azzurri, perché lui, rendendosi finalmente conto di chi sono, mi spinge brutalmente via, colpendomi alla gola con una forza mai mostrata prima. Neanche in questo momento reagisco, del tutto inerte e preda dei sentimenti, semplicemente mi sento rotolare via, prostata, finendo nelle fratte ghiacciate che già prima avevano tagliato la mia pelle. Tuttavia ora tutto ciò è assolutamente irrilevante, se paragonato alla persone che mi ritrovo davanti e che disperavo di rivedere.

“Era alla buon’ora che arrivassi! Ti ho aspettato, sai? Per tanto, troppo, tempo! - mi dice, come se niente fosse, rialzandosi in piedi e dandomi un’occhiata di fuoco, ricolma d’odio che acceca – Marta… mi avevi detto che ci saresti sempre stata per me, perché… perché mi hai abbandonato proprio in un momento simile?!? Perché?!?” mi accusa, rancoroso.

Lo fisso. Immobile. Riesco appena a razionalizzare quanto dice, l’ambiente intorno a me è sparito, io stessa non mi rendo più conto di quale posizione abbia assunto, ma so per certo che le mani sono da qualche parte intorno al busto, lo circondano, ma sono inerti. Io stessa mi sento svuotata. Totalmente.

“Rispondi! Perché non sei venuta?!? Io… avevo bisogno di te, lo sapevi! Sapevi quanto tenessi a mio nonno!”

Ma cosa sta dicendo ora… cosa? Di che parla?!? Possibile che si stia riferendo proprio a QUEL giorno? Al giorno in cui la nostra amata valle franò sui nostri stessi piedi?!? E perché proprio ora? Come… come può essere ancora vivo?! Anzi… è davvero lui?!? Non può… non può essere!

“Di… di cosa parli?” chiedo, vuota e sgomenta, ingoiando a vuoto.

“Lo sai… mio nonno è morto! Era tutta la mia vita, è stato colui che mi ha fatto crescere e… e anche per te era come un secondo nonno… perché non sei mai venuta?! Perché mi hai lasciato da solo?!?” mi interroga ancora, sempre più spietato.

Sì, quel che vedo è odio… inequivocabile, come inequivocabile è la consapevolezza che le sembianze sono le sue, ma… lo è per davvero?. Non… posso… crederci…

Non va bene… le mie difese da guerriera stanno calando, così come ogni velleità battagliera… non devo! Se mi distraggo… il nemico…

“RISPONDI!”

A questo punto implodo, accartocciandomi su me stessa, le lacrime agli occhi è una paura sviscerale, incomprensibile, tra l’esofago e l’addome.

“Come puoi dirmi di averti abbandonato quando… quando la mattina seguente, malgrado l’alluvione che ha colpito la nostra amata valle, ho saltato scuola per venire qui da te! Come puoi dirmi questo, Stevin?! - gli urlo di rimando, singhiozzando, lui si immobilizza all’istante – Eri… eri scomparso, inghiottito dalla terra! Il tuo corpo non è più stato ritrovato e… e… sono passati due anni da allora! DUE ANNI! Tutti abbandonarono le ricerche, ma io non potevo farlo in alcun modo, perché non riuscivo credere che non fosse rimasto nulla di te, il mio migliore amico d’infanzia!!! Ti ho cercato.. disperatamente... per giorni, settimane, mesi… alla fine persino io gettai la spugna, arrendendomi all’evidenza. E ora… ora sei qui, davanti a me, come se nulla fosse… o-oddio, io non...” non vado più avanti, non riesco.

Lo vedo rabbuiarsi, prima di indietreggiare di qualche passo, sconvolto. Si guarda intorno, spaesato, come se si fosse reso conto solo in questo momento di essere circondato dal ghiaccio, vedo i suoi occhi azzurri vagare smarriti, mentre i capelli neri a cespuglietto, pur in mancanza d’aria, ondeggiano appena.

“Due… due anni?!?” sussurra, preso in contropiede. Annuisco solo, meccanicamente, incassando la testa fra le spalle. Era il 10 ottobre quando successe; il 10 ottobre del 2009, lo ricordo bene, impossibile dimenticare.

Lo vedo afflosciarsi a terra, sopraffatto e tremante, non ha mai avuto la costituzione muscolosa, ma neanche un fisico statuario, era semplicemente un ragazzino idealista e arruffato, lo ricordo bene, perché non avrei potuto in alcun modo dimenticarlo.

“Sono passati… due anni? Siamo nel… 2011?!” mi domanda ancora, totalmente incredulo. Annuisco meccanicamente, cercando di asciugare le lacrime capricciose che mi appannano la vista.

“Non può… essere! Come… come è potuto accadere e… e dove sono?! Questa non è… non è la Valbrevenna?” si domanda ancora, guardandosi intorno tutto tremante alla ricerca di risposte; risposte che non ho, anzi, al momento le mie domande sono molto più ampie delle sue. Non so… non so nemmeno se mi posso fidare, io… non… oh, amico mio, che diavolo ti è successo in questo lungo periodo?

Chiudo disperatamente gli occhi in un estremo tentativo di far sparire quella visione davanti a me, perché non può essere altri che un’illusione, non può essere realmente qui, non può… era…. era morto, quel lontano giorno del 10 ottobre 2009, morto, affogato nei tempestosi turbini del Brevenna, mentre la terra crollava sotto i suoi piedi… Sì, un ragazzino non può in alcun modo salvarsi da uno sfacelo simile, lo sapevo razionalmente anche allora, malgrado il mio non volermi arrendere all’evidenza. Non può quindi essere realmente lui, ma… forse un suo fantasma, una illusione… può essere tutto, ma non Lui, il mio caro amico!

Non posso proprio permettermi di non reagire a tutto questo, il tempo stringe e le mie forze si prosciugano, devo scacciare via le tristi ombre del passato, come mi ha insegnato Camus, devo! Al bando le emozioni che distolgo il pensiero dalla lotta! Mors tua, vita mea… esattamente come in natura!

Faticosamente mi alzo in piedi, tenendo gli occhi chiusi, mentre dal mio pugno destro escono cristalli congelati e abbaglianti. Nessuna esitazione...

“Stevin, mi sei stato tanto caro… perdonami, se puoi, ma non posso credere a questo insperato miraggio, sebbene così tanto meraviglioso. O-ora… ti devo...” gli dico, riaprendo gli occhi e apprestandomi a colpirlo, ma un sinistro svolazzio sopra i suoi occhi ancora increduli, che mi guardano sgomenti, attira la mia attenzione, facendomi rabbrividire. Subito un singulto sfugge dalla mia bocca nel vedere il Mangia-ghiaccio, sbucato da chissà dove, impugnare la falce e buttarsi a capofitto sul mio amico d’infanzia con tutte le intenzioni di ucciderlo.

Un urlo sviscerale mi raschia la gola, mentre il mio corpo agisce prima rendermene perfettamente conto: scatto in avanti a velocità assurda, con tutte le intenzioni di anticipare l’assalto del nemico, ci riesco, utilizzando tutte le energie del mio corpo per deviare Stefano dalla traiettoria, ma non altrettanto per impedire ad un bruciore netto e profondo di lacerarmi, nel vero senso della parola, la pelle in prossimità della schiena, tra le spalle e le due scapole. Trattengo a stento un latrato di dolore, mentre, con Stevin ancora scioccato da tutto questo, mi ritrovo a rotolare diversi metri più in là, raggiungendo nuovamente il greto sottostante: dobbiamo essere precipitati ben bene prima di arrivare nuovamente sul Brevenna, e questo significa che siamo nuovamente in pericolo, perché sul torrente c’erano i nemici assatanati dal potere congelante.

Mi alzo immediatamente, anche se a fatica, tenendo il mio amico dietro di me allo scopo di proteggerlo. So che i Mangia-ghiaccio ci raggiungeranno presto, è solo questioni di attimi. E così è. Dopo pochi istanti, quello che voleva colpire il mio amico è il primo a raggiungerci battendo i denti, pronto nuovamente ad assaltarci, ma non glielo lascio fare.

“DIAMOND DUST!!!” grido, colpendo frontalmente con precisione. L’essere urla, poi sibila, poi languisce, prima di contorcersi su sé stesso e dileguarsi, lasciando solo un liquido nero al suo posto.

Fisso incredula il mio operato, li avevo già attaccati questi mostri, ma non mi ero soffermata a vederli spirare ed è davvero terribile. Una sensazione angusta copre il mio cuore, facendo pesare il mio gesto al vaglio della coscienza. Un dubbio mi avvolge prepotente: li abbiamo chiamati nemici, perché ci hanno attaccato, ma se… se invece fossero altro? Vittime… vittime innocenti?

“Che diavoleria è?!?” esclama Stefano dietro alle mie spalle, ancora più scioccato, aiutandomi comunque a recuperare involontariamente le redini della ragione. Non c’è tempo per i dubbi, me lo ripeto per l’ennesima volta.

“Li abbiamo battezzati Mangia-ghiaccio...”

“No, non loro, TU! Che diavoleria hai fatto?!?”

A questo punto mi sento ferita e furibonda al tempo stesso. L’astio che Stefano prova per me è tutt’altro che calato; nella sua ottica, lo posso anche capire, ma trattarmi così mentre questi esseri ci stanno provando a fare la pelle mi sembra uno spietato, quanto inaudito, colpo basso.

“Fammi capire… questi ti hanno attaccato, io ti ho difeso e qui il mostro sarei io?!?” ribatto, imbestialita, scoccandogli un’occhiata furibonda.

“Loro sono sempre stati qui, li conosco uno ad uno e non mi hanno mai attaccato prima di adesso! Ma tu… santo cielo, Marta! Ora uccidi anche le persone con quello strano raggio ghiacciato, sei… sei stata tu a ridurre così la valle?!?”

Pe-persone?! Le ha chiamate… persone?! E poi… veramente crede che…?!?

“Stevin, non penserai davvero…?”

“Ti ricordavo come una ragazza timida e riflessiva ma con la voglia di vivere a mille! Non avresti mai fatto male ad una mosca, ai tempi, sei stata tu, sebbene più piccola di me di due anni, ad insegnarmi ad amare le meraviglie di questa valle, come gli uccellini, le lucertole, persino un germoglio nascente… Ora invece tu… TU!!! - balbetta, sempre più confuso e diffidente – Chi diavolo sei diventata?!? Ho un mostro davanti ai miei occhi, non ti riconosco più!”

Un mostro… io?!?

Contro ogni previsione, scoppio a ridere; una risata amara e pietosa, ma è l’unico modo per sbollire l’immenso peso che avverto senza scoppiare per l’ennesima volta a piangere. Lo sento il suo sguardo su di me, palpabile, è distorto e schifato, per non dire nauseato. Nessuno dei due riconosce più l’altro, nessuno… ciò che c’è stato tra noi, la nostra amicizia, si è disintegrato in pochissimo tempo, e i cocci non possono più essere ricomposti.

“FINISCILA!!!” mi urla, terrorizzato dalla mia reazione, e fa per aggiungere altro, ma sono io a prendere la parola per zittirlo a mia volta.

“NO, FINISCILA TU, RAGAZZINO! - esclamo a voce alta, trattandolo come un bambino malgrado sia lui il più grande. E’ il mio turno di sputargli tutta la rabbia che covo dentro – Tu non sai assolutamente nulla di cosa ne ho fatto della mia vita in questi due anni, nulla!!! Quel mostro ti stava per attaccare per chi sa quale motivo e ho agito istintivamente, come i miei sensi da guerriera mi permettono! Guerriera, esatto, Stevin… sono diventata una guerriera, e sai perché l’ho fatto?!? Maledizione, sai perché???” lo accuso, faticando non poco a non singhiozzare.

Stefano è ammutolito, entrambe le sue sopracciglia scure sono inarcate, i suoi battiti cardiaci, lo so, più veloci del normale.

Sono sull’orlo delle lacrime, di nuovo, tanto che, vinta da un nuovo dolore oltre a quello, più concreto, che percepisco tra le spalle, mi lascio cadere a terra, quasi allo stremo.

“Era… è stato per… per per impedire che potessi perdere qualcun altro, oltre a te, in quella maniera così atroce. E’ stato per… per desiderio di protezione dei miei cari, per questo sono diventata forte, perché non si ripetesse più, MAI PIU’! - biascico, chinando il capo talmente tanto da sfiorare le rocce congelate sotto di me – Per cui… sì, Stevin, chiamami mostro, o in qualunque altro modo tu voglia, la faccenda non cambierà! La Marta che conoscevi tu è morta; è morta quel lontano giorno del 10 ottobre del 2009, all’età di 15 anni… non importa quanto ci dibatteremo, non si tornerà più indietro ai quei giorni!”

Stefano non dice più niente, avverto il suo sguardo su di me e vorrei continuare a parlargli ma le forze mi mancano e il dolore è sempre più intenso. Il mio cosmo va velocemente ad esaurirsi e ancora non ho trovato una soluzione per uscire di qua.

Tento di alzarmi faticosamente in piedi, visto che mi ritrovo a gattoni, non dimentica del fatto che non posso in alcun modo gettare la spugna, non foss’altro perché adesso ho una nuova ragione per sopravvivere a questo mondo immoto, ed è il rivedere mio fratello Camus, che sicuramente mi sta aspettando al Tempio in apprensione; so ancora così poco di lui, e lui di me, non posso permettermi di morire qui, dopo averlo ritrovato. Pertanto, ottusamente testarda, stringendo i denti, provo a mettermi su dritta, ma è ancora una volta l’espressione terrorizzata di Stefano a procurarmi apprensione. Tuttavia essa non è più diretta a me, il suo sguardo è invece catturato da un affollarsi sinistro nel cielo sopra le nostre teste. Non ci vuole molto a capire cosa lo spaventi così tanto, perché, nello stesso istante, anche i miei occhi saettano in alto, spalancandosi al limite dell’umano possibile. Incespico nei piedi, prima di ricadere a terra, seduta. Una decina, anzi forse un centinaio, di Mangia-ghiaccio si stanno riunendo proprio sopra di noi, sbattendo i denti e volando a circolo, un po’ come le streghe. Alcuni sono quelli che ho seminato, altri si stanno aggiungendo proprio adesso. Ad ogni giro, una già immensa sfera di energia si accresce sempre di più, ineluttabile.

Con un nodo ingarbugliato alla gola, innalzo il mio cosmo, preparandomi a riflettere il colpo, ma so già che l’azione sarà vana, troppa disparità di potenza, ormai il mio cosmo è ridotto al lumicino.

“Ste… - farfuglio, tentando di calmarmi, non so ancora come, né perché, ma in un frangente simile il mio pensiero va a lui – Ce la fai a correre via? Se non ne sei in grado provaci comunque, io li tratterrò finché posso...”

“Cos…? Mi stai dicendo di lasciarti qui e voltarti le spalle?”

“Non c’è tempo per parlare, tu fallo e basta!”

“No!”

“Ste… non siamo più dei mocciosi, fallo o...”

“No, ascolta… io posso parlarci in qualche modo, non ne sono sicuro, ma fammi fare un tentativo, se va a buon fine, io...”

“Ma che cazzo stai dicendo, ora???”

“Forse posso controllarli, prova a fidarti di...”

“…di te, che non so neanche da dove sei uscito?!? Non se ne parla neanche! Prima uno di loro ti ha attaccato e ti voleva uccidere, direi che la diplomazia non serve con loro, men che meno la tua!” commento, avvertendo la pressione del colpo sempre più intensa.

Stefano non dice niente ma mi guarda, di nuovo, con quell’espressione di astio che mi uccide dentro. Oddio… come… come siamo arrivati a questo?! Eravamo così legati in gioventù, come è stata possibile questa deriva?!?

L’ho creduto un fantasma fino a poco fa, forse sarebbe stato meglio così, ma non posso più negare la realtà degli eventi: colui che ho davanti è il ragazzo che due anni fa scomparve nella piena del Brevenna che distrusse parte di questa meravigliosa valle, non può essere altro che questo, sì, perché lui… perché Stevin è davvero rimasto a quel maledetto 10 ottobre del 2009! La sua mente ha condiviso il destino di questo luogo: è stata sigillata!

“Non c’è tempo per parlare… vattene da qui, Ste! - gli ripeto, cercando di mantenere l’autocontrollo, nel frattempo la sfera viene lanciata – BLUE IMPULSE!!!” strepito, sferrando precocemente il mio attacco contro l’ammasso dei Mangia-ghiaccio. I primi che subiscono il colpo muoiono seduta stante ma, proprio come supponevo, non è abbastanza per fermare il colpo, che cala inesorabile su di noi. Mi sento cadere a terra, priva di energia, mentre la sfera violacea si avvicina con lentezza costante. E’ ineluttabile, proprio come avevo pronosticato! Stupidamente, l’unico pensiero che riesce a partorire la mia mente in un momento di grave crisi come questo, è che mi sembra di essere piombata nel cartone animato di Dragonball, dove la sfera assassina lenta e impetuosa distrugge quasi sempre il pianeta in questione. Forse è un po’ anche così, questa è la fine del mondo chiamato Valbrevenna, non sopravvivrà nessuno a questo...

Accecata dalla luce purpurea, chiudo gli occhi, esausta, non trovando altre scappatoie, ma è proprio in un momento simile che un grido si eleva da qualche parte non ben definita, rimbombandomi nelle tempie.

“CRYSTAL WALL!!!”

Ho appena il tempo di capire che la voce e l’attacco appartengono a Mu dell’Ariete, che un bagliore fulmineo ci investe in pieno, quasi accecandoci. Nessuna esplosione, nessun grido, solo l’immensa sfera che viene assorbita dal Muro di Cristallo e che scompare come neve al sole. Apro gli occhi, incredula e quello che scorgo mi fa piangere immediatamente dalla gioia. Le labbra tremano e ingoio a vuoto, felice come non mai di veder affiorare, dal fascio luminoso, lo sguardo gentile dell’Ariete d’Oro.

“M-MU!” singhiozzo, respirando a scatti, vinta dalla tensione di tutti gli avvenimenti precedenti. Non so come sia possibile, ma è veramente lui!

“M-Marta! Appena in tempo, noi… oh, perdonateci, né io né il Maestro Shion avremmo mai pensato che potesse accadere anche solo lontanamente una cosa simile! Credimi… non era nostra intenzione farvi combattere, ma i fatti sono precipitati improvvisamente, non abbiamo potuto impedire nulla: il vostro cosmo si è dileguato istantaneamente, non sapevamo dove potevate essere finite, non sapevamo proprio... - si prende una breve pausa, affranto, anche lui respira a scatti, forse in pena per noi - Menomale che grazie a Death Mask, che ha avuto una intuizione geniale, siamo riusciti a...”

Non gli do il tempo di finire che mi fiondo tra le sue braccia, sentendomi una bimba sperduta e avvertendo tutta la tensione accumulata farsi sempre più strada nel mio corpo.

“Non importa! Non importa!!! Ora, ti prego, troviamo gli altri e riportaci a casa, al tempio, abbiamo così tanto da raccontarvi!!!” dico a raffica, con evidente difficoltà nell’esposizione, da quanto sono soverchiata dalle emozioni.

“Vi riporterò senz’altro al tempio, ma...”

La mano gentile di Mu, ammantata d’oro, mi sfiora le spalle nel tentativo di tranquillizzarmi, nel farlo nota la ferita.

“Accidenti! Stavi combattendo con questa?! Perdonaci, non avremmo mai dovuto abbassare così la guardia e farvi partecipare a questa missione; la colpa è nostra ma ci sarà il tempo per chiarire quando saremo al sicuro. Ora dimmi: dove sono gli altr...” mi sussurra dolcemente, facendo per avvolgermi con il mantello, ma nel compiere quel gesto nota Stefano a poca distanza da me e subito la sua espressione cortese vira drasticamente su una più furiosa e violenta. Irriconoscibile.

“Ma chi diavolo…? STURDUST…”

“NO, MU!!! ASPETTA! ASPETTA!!!” lo blocco, posizionandomi tra lui e il mio amico, assolutamente impotente di fronte agli eventi che stanno accadendo davanti ai suoi occhi.

“Marta, chi diavolo è la persona che...”

“E’ un mio amico d’infanzia...”

“Un… amico?! Qui, nel tempo fermo?!?”

Annuisco, apprensiva, temendo per le sorti di Stefano che potrebbe diventare polvere stellare con un solo schiocco delle dita dell’Ariete Dorato.

“Non ti chiedo di capire… non capisco nemmeno io, solo… non fargli male, ti prego...”

“Marta… so che ti stai rendendo conto della situazione, sei una ragazza molto sveglia e tuttavia mi dici di risparmiarlo… - mormora a bassa voce, abbassando il pugno ma rimanendo con i muscoli rigidi – Sai perfettamente che non è normale che il tuo amico si riesca a muovere qui. Noi Cavalieri d’Oro abbiamo impiegato diverso tempo solo per rintracciarvi, mentre per sfondare la barriera e raggiungervi, c’è stato bisogno di incanalare due forze cosmiche, quella di Death Mask e la mia, per aprire un varco nel mondo dei morti e teletrasportarmi dal tempio a lì, e poi ancora da lì a questa valle. La stessa forza è richiesta per uscirne, se non di più, e tu mi fai una simile richiesta! Il tuo amico….”

“Ha un cosmo, sì… lo so… - lo intercetto, frenetica – Per favore, fidati di me… ne parleremo direttamente con lui al momento giusto!”

“Marta… uff, va bene… - acconsente, placido, tuttavia un attimo dopo sento un urlo provenire da Stevin, che si accascia a terra, ora impossibilitato a muoversi. Fremo spaventata, cercando di raggiungerlo ma venendo trattenuta dallo stesso Ariete – Però, per il tempo che saremo qui, lo immobilizzerò con la psicocinesi. Non odiarmi, te ne prego, è una precauzione sia per la nostra incolumità che per la sua” mi rassicura, sospirando.

Acconsento a mia volta, permettendomi di rilassare i muscoli, se non c’è altro compromesso, va bene anche così, l’importante è che lui non venga ferito. Non ho idea di come si voglia muovere Mu, ma il Muro di Cristallo è ancora attivo intorno a noi, gli esseri ci cozzano dentro nel tentativo di oltrepassarlo. Faccio per chiedergli delucidazioni, ma una nuova voce mi risuona nelle orecchie, insperata.

“Mu? Mi senti? Hai trovato qualcuna delle pesti? Dimmi di sì, oppure rischiamo di dover affrontare una insurrezione totale qui al Grande Tempio...”

“DEATH MASK!!!” grido, al culmine della felicità, quasi non credendoci nemmeno.

“M-Marta?!? Oh, menomale!!!”

“Death Mask!!! Non sono mai stata così felice di sentire la tua voce, ti abbraccerei, se ti avessi qua!!!”

“Gggggggh, poche ciance, piccola peste, ci sei solo tu? E le altre? Dove è Francesca?!”

“Siamo state separate...”

“Merda!”

“Ma, fino a quando ero con loro, stavano bene, Deathy! Francesca ha salvato la vita a tutti nel dirci di bruciare il cosmo, senza di lei non ci saremo più svegliati, rimanendo imprigionati qui!” provo a rassicurarlo, colta da una rinnovata speranza. Alcuni secondi di totale silenzio in cui giurerei di averlo sentito prendere un profondo respiro di sollievo, prima di riprendere a a parlare.

“Beh… visto che ci sei solo tu qui parlerò a te, ascoltami bene, siete in un… - ma si blocca nel discorso con me per strigliare qualcuno vicino a lui, la sensazione che ne ho è come di una voce al telefono che si stacca dalla cornetta per parlare ad una persona nelle vicinanze – Ghiacciolo, giuro che se non la smetti di sproloquiare parole in francese e non torni a parlare in un gergo unitariamente capibile, ovvero il greco o l’italiano, ti rifilo un colpo in testa, così svieni e la smetti di scassare le balle!”

“Deathy, c’è… c’è mio fratello lì con te?” chiedo, emozionata, gli occhi che brillano. Il male sulla schiena ormai è un lontano ricordo.

“Ahimé, c’è! E’ da quando il vostro cosmo è sparito che non fa che parlare e imprecare in francese, quasi si fosse dimenticato che nessuno di noi qui lo comprende. Per la miseria, sembra in costante fibrillazione, non è assolutamente in sé, panico totale, penso avesse paura di avervi perduto, ma io sinceramente quasi lo preferivo quando era un algido stronzo che se ne fregava di tutto e tutti!” mi dice, falsamente disgustato, come è nei suoi modi di fare.

Inavvertitamente rido nell’immaginarmi la scena, finalmente serena. Mio fratello dimentica tutte le altre lingue e ricorda solo il francese quando è molto agitato, un lato del suo carattere che ancora mi sfuggiva completamente. Chissà quante altre cose ancora devo scoprire di lui! Questo semplice pensiero è in grado, da solo, di rasserenarmi totalmente, mi sento così leggera adesso, quasi avverto le energie tornarmi, in parallelo allo scemare del dolore.

“Allora, andavo dicendo che...”

“DEATH MASK!!! LE HAI TROVATE???”

“Per la miseria che palle...”

Questa nuova voce prorompete la abbino immediatamente a Milo. E’ passata ben chiara nelle mie orecchie, trasmettendomi la speranza che anche io possa comunicare con loro.

“Milo!!!”

“Non ti può sentire… e tu non potresti sentire loro, ma lo Scorpionide ha sganciato un urlo talmente viscerale che probabilmente è passato anche a te in maniera minore. A me personalmente ha sturato le orecchie! - mi avverte, sbuffando – Torniamo a noi, dicevo… EH NO BASTA VOI TRE, NON TI CI METTERE ANCHE TU, LEONCINO, CHE ALTRIMENTI NON RIESCO A COMUNICARE UN PIFFERO!!!” sbraita Deathy, totalmente snervato dai continui interventi dei parigrado.

Io non ce la faccio più, mi tengo la pancia con le mani da quanto mi viene da ridere, ma so che se iniziassi, non smetterei così facilmente, e mi trovo, pur sempre, sul campo di battaglia.

“Allora, calmatevi un attimo, voi tre, altrimenti vi rendo momentaneamente inagibili e inattivi nei mille e uno modi che conosco per farlo! Sto parlando con Marta, se voi mi interrompete ogni nanosecondo, non andiamo da nessuna parte, e loro sono ancora in pericolo! E… e sì, ghiacciolo, sto parlando con tua sorella, non farmi quella faccia sbigottita e incredula, è viva e sta bene, contrariamente a te che se non la smetti ti rifilo un gancio sinistro, l’ho già detto?!? Allora, peste, ti stavo dicendo che… oh, bravo, Camus, hai ripreso a parlare nella lingua di noi comuni mortali, complimenti! Ora però stai zitto, e voi due con lui!”

“Death Mask, la Valbrevenna… la Valbrevenna è sigillata, qui tutto è ghiaccio, persino gli abitanti e...” lo aggiorno, riportandomi a forza nella serietà.

“Lo sappiamo! - mi blocca lui, con un pizzico di timore – Ce ne siamo accorti troppo tardi, pulce, non avremmo dovuto mandare voi, abbiamo sbagliato. Tuttavia l’anomalia di quel tempo fermo è giunta fino a noi proprio perché avete penetrato quel mondo immobile, altrimenti sarebbe rimasta silente ad espandersi piano piano. E’ stato maledettamente difficile individuarvi con precisione e, ancora più difficoltoso permettere a Mu di giungere fino a voi, ho dovuto forzare io l’apertura e ora… ora ho bisogno di rifiatare un attimo e di raccogliere il cosmo per permettervi di sfuggire da lì, ma occorre tempo, tanto tempo...”

“Quanto di preciso?” interviene Mu, deciso.

“Non lo so… voi, se potete, ricongiungetevi con gli altri, al resto ci penso io… resistete ancora un po’, il più è fatto!” ci incoraggia a suo modo, pragmatico. Il suo tono comunque non mi piace, sembra ci voglia nascondere qualcosa.

“Death Mask, farò quanto in mio potere per proteggerle, diglielo anche a Camus e gli altri, le farò tornare sane e salve, è una promessa!” dice solennemente l’Ariete dorato, pacato ma determinato allo stesso tempo.

“Oh, glielo dirò senz’altro, altrimenti Milo, Camus e Aiolia non ci faranno più vivere!” ironizza ancora il Cancro, intenzionato a chiudere la comunicazione. Proprio in quel momento mi viene in mente che, come ricognitrice, non ho detto la cosa più importante. Tento di rimediare adesso.

“Deathy, mi sono dimenticata di dirti una cosa importante, ascolta ancora un attimo: gli attacchi, qualunque attacco, non ha effetto su questi mostri, vengono colpiti solo da...”

Ma un boato assordante causa l’interruzione improvvisa della linea, mi guardo frastornata intorno, notando che i Mangia-ghiaccio sono riusciti a formare una breccia nel Muro di Cristallo, che è collassato su sé stesso, rendendoci nuovamente un bersaglio facile.

Mu si affretta a posizionarsi davanti a me, ordinandomi di stare indietro e di non fare movimenti bruschi, e fa per attaccare con il suo inimitabile colpo.

“STURDUST REVOLUTION!!!”

“No, Mu, fermati, il colpo non fa nient...” ma non ho il tempo di finire di parlare che l’attacco dell’Ariete d’Oro oltrepassa l’inconsistenza degli esseri, sfumando nell’aria tra una fitta pioggia di polvere brillante.

“C-cosa, ma…?” biascica, incredulo, ricreando un altro Muro di Cristallo per proteggersi dall’avvento di una manciata di quegli esseri che stavano per raggiungerlo. Salta elegantemente all’indietro, prima di atterrare di fronte a noi e alzare un braccio, sempre con l’intenzione di difenderci.

“Mu… qualunque tipo di attacco li passa da parte a parte senza suscitare la benché minima reazione, solo il potere congelante può nuocergli!”

“Cosa?!? Se fosse così stiamo rischiando davvero grosso… se questi mostri dovessero uscire da questa valle, pochissimi Cavalieri sarebbero in grado di opporre resistenza. Non siete in molti a possedere la capacità di rallentare il moto degli atomi anziché spaccarli… potrebbe significare la rovina del mondo!” dice Mu, allarmato, mantenendo ben saldo il potente Crystal Wall. Siamo costretti a una posizione difensiva, l’arrivo tempistico di Mu non può comunque ribaltare le sorti di questa lotta disperata, e ora anche il suo cosmo si sta piano piano sublimando. Solo io posso qualcosa in questa circostanza, ma… ho abbastanza energie per farlo? Temo di non aver scelta…

“Mu, puoi… puoi farmi da protezione con il tuo Muro di Cristallo?” gli chiedo, ingoiando a vuoto.

“Posso. Ma non vorrai combattere da sola, Marta! Sei ferita e...”

“Ho fiducia che Hyoga e le mie amiche possano raggiungerci! Ho lasciato una scia distinguibile per condurli qui, si tratta solo di resistere fino al loro arrivo e all’occasione che ci offrirà Deathy, no?!”

“E corretto quanto dici, ma… la ferita che hai sulla schiena, sebbene non profonda, continua a perdere sangue e il tuo cosmo è ridotto ai minimi termini. Non posso permettere di farti correre un simile rischio, sei essenziale, Marta, e sei la sorella di un mio amico e compagno, non posso chiudere un occhio mentre ti getti contro quegli esseri, rischiando la vita!”

“Mu, ho abbastanza forza, ora, per proteggere chi mi sta a cuore… permettimi di dimostrarlo! Inoltre sono la più indicata per tenerli occupati. Questi esseri mangiano il ghiaccio e sono attirati da questo potere. Non so spiegarne la ragione, tuttavia quel che è certo è che io posso avere buon gioco contro loro. Fammi provare!” affermo con risolutezza, guardandolo negli occhi, ora più luminosi che mai. Mu ricambia lo sguardo assolutamente imprescindibile, eppure fa trasparire una velata espressione di sorpresa. Stefano, costretto all’immobilità a terra, mi scocca forse il primo sguardo non rancoroso da quando ci siamo incontrati, e questo mi convince ancora di più nelle mia azioni.

“Va bene allora… creerò una barriera che ti protegga, tu sentiti pure libera di attaccare come credi, ma ricordati: prudenza! Sono tanti, troppi, nemici!”

Gli sorrido di rimando, grata dell’occasione che mi sta dando e della fiducia che ripone in me.

“Marta… hai una forza di volontà e una determinazione senza eguali, la stessa che ho sempre scorto in Camus... - sussurra ancora, fiero – Non puoi davvero che essere la sua sorellina minore!” mi loda, utilizzando poi il suo cosmo per formare una barriera di protezione. Io brucio, ancora una volta, il mio cosmo, temeraria, fomentata dalle sue parole: finalmente ho il potere di proteggere chi mi sta intorno e una nuova ragione per non cedere, non mi arrenderò!

Immediatamente corro incontro ai Mangia-ghiaccio e spicco un poderoso balzo che li sovrasta, apprestandomi a lanciare il mio colpo basilare.

“DIAMOND DUST!!!” urlo, colpendoli a mezz’aria con impeto e spavalderia. Cinque di loro spariscono all’istante, ma di contro gli altri, golosi del potere, si azzuffano per avermi. Mi ritrovo così a finire a terra e muovermi però tempestivamente, impossibilitata ad avere requie. Schivo con una capriola una falciata, quasi cadendo addosso ad uno di loro se non fosse inconsistente. Ho comunque il tempo di rialzarmi, di nuovo, tremante ma non ancora esaurita.

“Dietro di te!!!” mi avverte Mu, apprensivo.

Grazie al suo avvertimento, mi butto a terra sulla a sinistra, evitando un nuovo colpo. Non sono ancora esaurita ma poco ci manca, pertanto penso velocemente ad un colpo risolutivo, trovandolo nell’eredità di Dégel. La mia mente pensa vorticosamente alle contromisure da adottare per attaccarne il più possibile con un unico colpo. Aspetto quindi che l’ammasso ben costituito di Mangia-ghiaccio mi approcci, che il battere dei denti sia vicinissimo alle mie orecchie, prima si coniugare tutte le mie forze in un ultimo, disperato, attacco.

“GRAN KOLISO!!!” affermo, alzando la punta del dito indice sopra di me, dalla quale scaturiscono i riconoscibilissimi anelli di ghiaccio che circondando gli incappucciati. Essi, come da copione, sibilano, poco prima di contorcersi in attesa di defluire.

“Quell’attacco…. Ti deriva dal tuo viaggio nel tempo nel passato, vero?! - esclama ammirato Mu, genuinamente sorpreso – Il mio Maestro Shion me ne parlò, è davvero un colpo elegante e devastante al tempo stesso, esso arriva a temperature vicinissime allo Zero Assoluto, applicando una pressione senza eguali!”

Sorrido tra me e me nel vedere l’attuazione di quell’attacco, totalmente rinfrancata, sebbene stia per sbattere a terra. Dégel mi ha salvato un’altra volta, indirettamente. Deevo così tanto a lui, se solo…

Ma c’è qualcosa di strano, sebbene gli esseri continuino ad attorcigliarsi gli uni sugli altri, non spariscono affatto, come quelli di prima, anzi, battono i denti con ancora più intensità. Con le ultime forze che mi restano, sollevo il capo e, per la prima volta, data la vicinanza, li vedo in faccia oltre al cappuccio, il che mi terrorizza selvaggiamente.

Quegli esseri…. Quegli esseri che ora mi guardano con i denti storti, putridi, hanno faccia umana, sebbene sembrino come saponificati, le braccia rachitiche, la puzza della morte in loro. Le articolazioni paiono schiacciate e distorte, come se il ghiaccio le avesse strette tra le sue spire, un po’ come i cadaveri sull’Everest, assediati e imprigionati in una morsa sempre più stretta.

Caccio un urlo a quella visione, tentando di discostarmi, il Muro di Cristallo, non so perché, è di nuovo in mille pezzi e avverto appena l’apprensione viscerale di Mu coniarsi in un ululato di puro terrore, perché quelle stesse mani rachitiche, che pure poco fa mi hanno afferrato con impeto, ora mi schiacciano contro il terreno congelato. Latro, rantolo… provo ad inspirare per trattenere più aria possibile, ma il dolore estenuante alla schiena, ora appesantita dagli esseri, che al momento sono tutto tranne che inconsistenti, mi strappa a forza un altro grido. Finirò a pezzi… so che andrà così se non reagisco, ma… ma non riesco, vengo prosciugata delle forze, del respiro. I polmoni sussultano, una sola volta, le orecchie fischiano insistentemente, prima di captare qualcosa di famigliare.

“AURORA EXECUTION!!!”

I colori dell’aurora riempiono le mie iridi, mentre, finalmente, la pressione intorno a me viene spazzata via in un unico, sfavillante, turbinio. Ciò nonostante, uno di quegli esseri è ancora sopra di me, affonda le sue mani tra i miei capelli, rischiando di farmi annegare in un inferno di ghiaccio. Lo percepisco su di me, tremo, ricercando ancora le forze per oppormi, ma prima che io possa riuscirci l’essere viene tranciato in due, di netto.

Sbatto le palpebre nel mettere a fuoco la figura ora davanti a me, riconoscendola negli occhi verdi e nei capelli lunghi e corvini, in quella della mia amica più grande.

“Fra...” la chiamo, rauca, notando che tiene tra le mani una spadona di ghiaccio che riflette i colori dell’aurora. Meravigliosa!

“Marta!!! - esclama, spaventatissima, temendo per la mia sorte – Scusa il ritardo, noi… abbiamo trovato Michela ma ci abbiamo messo più tempo ad arrivare a te perché ci hanno attaccato durante il tragitto!”

Le sorrido senza aggiungere niente, troppo stremata per farlo. La spada che porta tra le mani deve essere stata forgiata grazie a Hyoga; il Cigno ha dato l’energia congelante, lei ha formato un’arma in grado di danneggiare gli esseri, perché lei, e solo lei, può ricreare qualsiasi cosa se è in possesso del materiale. Non è potere della Creazione come invece ha mio fratello ma gli si avvicina molto, è davvero ammirevole!

A poca distanza da lei, avvolto dal sacro cosmo del cigno, vi è invece Hyoga, che anche se un po’ ammaccato sembra abbastanza in forma per continuare la lotta.

“Marta!!!” mi sento chiamare anche da Michela e Sonia, che mi raggiungono in corsa. La prima mi aiuta ad alzarmi e mi sorregge, la seconda fa lo stesso, rimettendomi così in piedi.

“Michela, stai bene?” le chiedo, preoccupata, ricordandomela priva di sensi.

“Oh, sì, magnificamente! Dovresti ben sapere che ho la testa dura!” ribatte lei, facendomi l’occhiolino. Intanto Sonia, zampettando con me e Michela nella direzione di Mu, osserva la mia schiena, rabbrividendo nello scorgere probabilmente il sangue.

“Miei dei, Marta… come ti sei conciata, non… devi avere un male dell’anima, accidenti!”

“Il Gran… Koliso… - biascico per tutta risposta, affranta – ero certa di averlo eseguito bene, ma… si è dissolto nell’aria...”

“Marta, cosa stai…?”

Ma Sonia è costretta ad ammutolirsi nel vedere Michela, a sua volta, fermarsi, sconvolta fin dal profondo. L’allieva di Milo non capisce a cosa sia dovuto questo momento tra noi, ma io lo intuisco in un lampo, prima che la stessa Michela me lo possa confermare con il suo tono squillante di sempre.

“Marta!!! Ma c’è Stefano… è proprio lui, come… come è possibile?!?”

Chiudo gli occhi e discosto lo sguardo, non avendo risposte.

“Chi???” chiede Sonia, puntando nella stessa direzione dell’amica e scorgendone un ragazzo dai capelli folti, neri, costretto all’immobilità per terra.

“E’…o meglio, era… era un carissimo amico di Marta che viveva proprio in questa valle, ma… ma lui dovrebbe essere… morto… non… che diavolo sta succedendo?!?”

Diniego con la testa, mordendomi il labbro inferiore. Non ho, ancora una volta, le risposte, solo un gran mal di testa.

“M-morto? Ma se è là, davanti a noi e… aspetta, siamo in un tempo fermo, come è possibile che sia qua senza conseguenze?”

Di nuovo una domanda a vuoto, che rimbomba nella mente di tutti, mentre Mu, alzandosi in piedi, viene verso la nostra direzione. Stevin non è una minaccia per lui, non così immobilizzato, gli preme di più vedere il nostro stato di salute.

“Ragazze, sono lieto di vedervi sane e salve. State tutte bene?” chiede, affabile, sorridendo per incoraggiarle.

“Ah, Mu!!! - lo chiama Michela, allegra, a testa alta – Noi sì, stiamo bene, ma non c’è stato possibile fare niente...” ammette, corrucciata.

“Sì, gli attacchi passano da parte a parte, solo il ghiaccio può scalfirli. Ma non c’è stato possibile capire se questa immunità sia data da barriere o da altro!” aggiunge Sonia, abbattuta.

“Non è colpa vostra, neanche un attacco dei Dodici potrebbe qualcosa contro questi mostri, anzi, siete state davvero brave a resistere fino al nostro intervento. Del resto, siete allieve di Cavalieri d’Oro!”

Le mie amiche sorridono rassicurate, nuovamente a loro agio e rinfrancate dal sapere di avere un sacro custode dalla nostra parte in questo mondo che fugge alle leggi della fisica. Nel frattempo il ronzio alle orecchie che già percepivo prima, riprende più incessantemente che mai, facendomi ansimare.

“Marta!!!” mi sento nuovamente chiamare con apprensione, finché non è Mu stesso a passarmi una mano tra i capelli e farmi appoggiare delicatamente a terra per sorreggermi meglio.

“Marta… sei stata eccezionale, non rimuginare a cosa sia successo al tuo ultimo colpo, pensa piuttosto ai meravigliosi miglioramenti che hai avuto in questi pochi mesi!” mi incita, in tono gentile.

Sono vicino al collasso, la testa mi gira, il mio corpo fa fatica a muoversi, le energie rimanenti le sto devolvendo per bruciare quella poca scintilla di cosmo che strenuamente resiste. Ho la sensazione di essere in forte deficit cosmico, se ne devono essere accorte anche le altre, oltre a Mu, perché avverto la loro aura avvolgermi e abbracciarmi.

“Marta, non permettere al sonno di avere la meglio, non svenire… ci siamo quasi ormai, tra poco sarà tutto finito e ti riporterò da tuo fratello Camus e dagli altri. Resisti!” mi sprona infatti, mentre Sonia e Michela si siedono di fianco a me, stringendomi le mani.

“Non… mi arrenderò per nulla al mondo, Mu… dobbiamo uscire di qui e… e ci sono delle cose che devo sapere, non posso permettermi di soccombere!” biascico, stringendo i denti e le dita. Sarebbe molto meno faticoso abbandonarsi al buio dell’incoscienza, ma non devo, non ora, ci sarà il tempo per farlo!

“Brava! Ottima risposta!” si congratula lui, prima di creare un altro Muro di Cristallo, l’ennesimo, per proteggere Hyoga e Francesca, ancora intenti a combattere.

I due intanto formano una perfetta accoppiata: il gelo del Cigno riesce a raggiungere i nemici più lontani, mentre la mia amica, impugnando la spada di ghiaccio, trancia di netto quelli più vicini senza un minimo di esitazione. Sono perfettamente avvezzi alla lotta, tanto da sembrare non risentire dell’immenso dispendio di energia, ma così non è, lo so bene. Anche se resistono strenuamente, la stanchezza comincia a farsi sentire, i loro movimenti sono sempre più fiacchi e i nemici… i nemici, attirati dal gelo di Hyoga, non fanno che aumentare esponenzialmente. L’unica speranza è riposta in Death Mask, ma non ho idea di quanto ci possa ancora mettere. Non abbiamo alternative se non confidare in lui con tutti noi stessi.

“Maledizione, non possiamo fare proprio niente?” si interroga Michela, la più riposata tra noi, fremendo vistosamente.

“No, ragazze… rimanete vicino a me e fidatevi dei vostri compagni! Conosco molto bene il valore di Hyoga, inoltre Francesca è una divinità, ha molta più forza di noi comuni mortali. Ci… siamo quasi!” ci rassicura Mu, fisso a guardare lo scontro. Proprio in questo momento Francesca, con una rapida giravolta, degna di uno spadaccino, muove un affondo verso una delle creature, liquefacendola istantaneamente. Ma è stanca e a corto di fiato, non durerà in eterno anche se continua magistralmente a dibattersi con tutte le forze in suo possesso. Hyoga è nella sua stessa situazione, il taglio sulla guancia non ha mai smesso di sanguinare e sul suo corpo sono presenti numerose escoriazioni e lividi. Per quanto mi fidi di loro non riesco a condividere l’ottimismo di Mu, vorrei fare qualcosa, ma non posso muovermi per niente, sento che, se tentassi di farlo, potrei svenire seduta stante per lo sforzo.

Come se le mie supposizioni strepitassero dalla voglia di avverarsi, ad un certo punto vedo uno di quegli esseri colpire Francesca, la quale si para con la spada, che però , nel giro di pochi secondi, finisce a pezzi. Con un titanico sforzo, la vedo rotolare di lato per evitare l’attacco così’ brutale, ma strillo nel vederla in forte svantaggio e accerchiata dai mostri che non le danno requie, stavolta prendendo per la prima volta un essere umano non in possesso del potere del ghiaccio come bersaglio. Non posso fare nulla, anche se il mio cervello vorrebbe scattare ad aiutarla, riesco solo a vedere Hyoga precipitarsi verso di lei per soccorrerla e proteggerla, desideroso com’è di mantenere la promessa fatta al suo maestro. Tutti ci pietrifichiamo seduta stante, come se il tempo fermo stesso ci avesse contagiati tra le sue spire.

Non possiamo fare… assolutamente… nulla!

“Eccomi, ragazzi, ci sono quasi, uaaaaaaaa!!!”

“Death Mask!!!” strepito, avvertendo nuovamente il suo cosmo sfavillante.

“Sarebbe meglio che lo facessi subito, Deathy, siamo al limite, Francesca e Hyoga….” gli comunica telepaticamente Mu, in apparenza imperturbabile.

“Che si fotta il Cigno, ma cosa sta accadendo a Francesca?!?”

“Siamo… ai minimi termini, amico mio...” ammette Mu, sospirando.

Nel frattempo Sonia, ancora relativamente carica, sfrutta le sue doti di utilizzare il vento per spostare di qualche metro sia Hyoga che Francesca, ormai completamente alla mercé dei nemici che si affollano per colpirli con spietatezza. Tuttavia poco dopo anche la mia amica più piccola è costretta a cedere, totalmente stremata.

“Porca di quella puttana, ma dirmelo prima?!? Non permetterò che le succeda qualcosa, dannazione!!! - sento imprecare Death Mask, cominciando a concentrare una forte riserva di energia tra le sue mani – Mio cosmo, elevati e sfavilla sopra ogni altra cosa, raggiungi i limiti di questo mondo, oltrepassali, sono io che lo ordino, il custode delle Porte dell’Inferno… UOOOOOOOOOOO!!!”

Nello stesso momento anche Mu si concentra, elevando la sua aura fino ai limiti estremi della sua costellazione, la abbraccia, quasi. Lo avverto stringermi a sé, mentre tiene Michela e Sonia a contatto con la sua armatura, il più vicino possibile.

“Che tutti… che tutti i qui presenti vengano teletrasportati nel mondo là fuori, al Sacro Tempio della Divina Atena… mio cosmo, compi il miracolo e oltrepassa i confini spazio temporali seguendo la scia della costellazione del Cancro, ora!!!”

Mi sento avvolgere da una intensa luce dorata, calda e accogliente, ma lo strappo che ne deriva non ha nulla di delicato e gentile, anzi, è doloroso e, almeno per me, devastante per la mia già spossata costituzione. Non mi accorgo comunque dello spostamento spaziale, quasi come se fossi rimasta sempre ferma, ma percepisco un forte cozzo collettivo con il marmo sottostante, la luce solare che riscalda, l’aria che finalmente oscilla ed è palpabile su di noi. Nello stesso istante il mio cosmo si spegne, facendomi sussultare e cominciare a respirare affannosamente, più di quanto già non facessi prima. In questa maniera il mio corpo subisce tutte le conseguenze dello sforzo prolungato, mi accascio per terra, sebbene delle ampie braccia non mi permettano di picchiare contro il marmo del pavimento. Non ho aria nei polmoni, devo recuperarla, ma lentamente e fortunatamente comincio a percepire il nuovo ambiente attorno a noi.

“Ehi! Ehi! Francesca, vacci piano, però eh, è il mio ragazzo quello che stai allegramente palpando!!!” avverto l’esclamazione di Michela in tono acuto, quasi mi stura le orecchie, convincendomi così a dischiudere le palpebre.

“Michela, ma cosa stai dic… oh! Ops… SCUSA!!!”

Il primo tentativo di aprire gli occhi non va a buon fine, perché subito il sole mi acceca, facendomi, di contro, tossire e richiuderli, troppo pesanti per rimanere aperti a lungo. Finalmente, alla terza volta ci riesco, anche se, per una serie di secondi, vedo tutto sfasato.

Francesca, di capocollo, si è ritrovata spanciata di brutta maniera su Hyoga, il quale rosso come un pomodoro, è rimasto impietrito a terra. Del resto, erano vicini quando siamo spariti dalla Valbrevenna per riapprodare qua, e pare che il movimento sia stato abbastanza brusco, anche se noi, qui vicino a Mu, siamo state protette dal Cavaliere.

La Valbrevenna, già… abbiamo lasciato quel luogo sigillato da dio e siamo al tempio, alla tredicesima casa, l’ho potuto appurare dalle colonne greche che ho intravisto… la Valbrevenna… ora che me sono andata di nuovo mi dimenticherò di quel luogo a me tanto caro? Della mia infanzia? Dei… miei ricordi?

Nonno… nonna… Stevin! Nonno Mario!

Come se il fluire dei ricordi e dei pensieri fosse tornato spietatamente dopo essere stato messo da parte durante la battaglia, mi trovo nuovamente e contrariamente a piangere, nascondendomi la faccia con le mani. Non ho avuto il tempo per pensare alle conseguenze di ciò che ho visto per colpa dell’andirivieni sfrenato da quando siamo rimasti bloccati nella valle. Non c’è stato il tempo per fermarsi, non c’è stato il tempo per niente, ma ora alla consapevolezza di dover sopravvivere a qualunque costo, si è sostituita quella che il luogo della mia infanzia è stato distrutto per sempre, che Stevin, per qualche ragione, è vivo e, sempre per qualche ragione, mi odia. Tutto il mio passato… tutto il mio passato si è infranto sugli scoglio, ed io con lui, ho solo voglia di piangere ora. Singhiozzo disperata.

Una mano sopra la mia testa e il cosmo di Mu che mi prova a rassicurare ancora una volta.

“Marta… è tutto finito ora… sei a casa!”

“NO! Non è finito niente, invece, è appena iniziato e già… e già non ce la faccio più!!!” ribatto, nascondendomi ancora di più per non farmi vedere dagli altri in simili condizioni.

Mu fa per dirmi qualcos’altro, ma dei passi frenetici e ritmici lo bloccano, portando ad alzare lo sguardo nell’avvertire il fiato corto della persona appena sopraggiunta.

“Camus...”

“Mu… cosa le è successo?” chiede mio fratello concitatamente, poco prima di inginocchiarsi al nostro fianco e prendermi la mano sinistra tra le sue, nel tentativo di riscuotermi.

“Mi spiace, Camus, alla fine avevi ragione tu… non dovevamo farle andare, la prova era al di là delle loro forze!”

“Non mi interessa avere ragione a posteriori, quando il danno è già stato fatto! Piuttosto cosa le è successo per renderla così sconvolta?!?”

Vorrei alzarmi per vederlo dritto negli occhi, ma davvero non ho più forze in corpo, solo quella di piangere ininterrottamente, proprio qui, davanti a lui, eppure avevo giurato a me stessa che non mi avrebbe più visto in simili condizioni...

“Mi dispiace veramente… - ripete Mu, prostrato, poco prima proseguire nel dialogo – Sarà lei a dirtelo quando vorrà, ma è in forte deficit cosmico per averlo usato ad oltranza. Credo che lo avesse esaurito da un pezzo, ma la sua forza di volontà è stata tale da spingerla a continuare. La sua forza di volontà, è la stessa che scorgo in te, per quanto può valere… devi essere fiero di lei!”

“Lo sono, ogni giorno di più… ma non posso dire altrettanto di voi, io mi ero opposto a questa scellerata decisione, perché conosco i limiti della mia sorellina e delle mie allieve, ma voi avete forzato la mano e ora questo è quanto! Se non avessimo trovato un modo per forzare l’apertura, cosa ne sarebbe stato di loro?!? Mu, Sono molto deluso da voi, non immagini quanto!” esclama aspramente, ancora rancoroso.

A questo punto l’Ariete d’Oro sospira, accenna un movimento, poco prima di posarmi tra le ampie braccia di mio fratello e alzarsi così in piedi.

“Hai ragione ad esserlo, ma… non è questo il momento per discutere di nuovo. Marta ha bisogno di te, confortala… solo tu puoi riuscirci!”

E senza aggiungere altro se ne va, avvicinandosi agli altri Cavalieri d’Oro che hanno ritrovato i loro rispettivi affetti.

Camus mi stringe immediatamente a sé, accarezzandomi nel tentativo di farmi uscire dal guscio, giacché continuo a nascondermi e a a piangere silenziosamente, in un vero e proprio tracollo psicologico.

Ma petite, conte moi ce qui est passé… - poi si accorge che sto perdendo sangue da dietro la schiena – Tu es blessé et épuisé… parle moi, s’il vous plait! J’etais tellement inquiet pour toi!” (“Piccola mia, raccontami quello che è successo… sei ferita e stremata... parlami, per favore! Ero così preoccupato per te!”)

Mi parla interamente in francese, forse desideroso di ritagliare uno spazio intimo tra me e lui, malgrado tutto il chiasso intorno a noi. Raccolgo tutte le mie forze per rispondergli nella stessa lingua, non smettendo però di aver gli spasmi nel petto.

Camus… c’était scellè! La vallée de mon enfance… quelqu’un l’a complètement scellé!!! (“Camus... era sigillata! La valle della mia infanzia… qualcuno l’ha completamente sigillata!!!”)

Riesco infine a dirgli, non sapendo neanche se ho coniugato i verbi giusti da quanto sono fuori di me. Ciò che conta però è che capisca il messaggio, cosa che avviene, perché infatti sgrana immediatamente gli occhi.

“La Valbrevenna?!?

O-oui...”

Mi nascondo ancora di più contro il suo petto, mentre un nuovo singhiozzo più forte degli altri mi sconquassa dal profondo. Ancora una volta sono preda di qualcosa di ben più forte di me.

Perdonennez-moi, je ne voulais plus pleurer, mais j’ai échoué!” (“Perdonami, non volevo più piangere, ma ho fallito!”)

“Marta… ora sei qui, troveremo una soluzione, insieme! Asciugati quegli occhietti gonfi di lacrime, sai quanto mi faccia male vederti in questo stato… è tutto finito, sono con te, non permetterò più a nessuno di ferirti!” mi prova a tranquillizzare, tenendomi stretta contro di lui. Nonostante il freddo metallo dell’armatura, mi sento immediatamente rassicurata da quel contatto. Quei battiti un po’ agitati del suo cuore hanno su di me un effetto calmante, mi permettono di tornare a respirare con maggiore regolarità. Prendo un profondo respiro, sforzandomi di guardarlo negli occhi.

“Bene così, piccola mia! So quanto sei forte e lo hai dimostrato ancora una volta!” mi sorride, accarezzandomi la fronte per poi scendere fino alla guancia. Devo essere in condizioni pietose e lui deve essersi preoccupato da morire nel non percepirmi più, me lo ha detto poco fa in francese e lo posso ben vedere io stessa, ma cerca al contempo di non darlo troppo a vedere in presenza degli altri. Per tutti questi secondi mi è sembrato di essere isolata dal resto del mondo, c’eravamo solo io e lui e il mio sollievo nel vederlo e percepirlo qui davanti a me, ma il tutto è stato di breve durata!

“E questo chi diavolo è?!?” esclama di colpo Milo nello scorgere una figura non riconosciuta.

Mi volto nella sua direzione, trovandolo di fianco ad Aiolia, teso anche lui verso un punto non ben definito. Di fianco a loro c’è Sonia che, anche se stremata, si regge ancora bene in piedi. Probabilmente sia lo Scorpione che il Leone sono corsi immediatamente da lei nel rivederla, un po’ come Camus ha fatto con me.

In ogni caso, so per certo l’oggetto dell’interessamento ancora prima di vedere la scena, perché infatti Stefano, ancora immobilizzato dal colpo di Mu, tenta di alzarci ma non ci riesce.

“E’ meglio se non ti muovi… o non posso garantire la tua incolumità – lo avverte Mu, criptico, un brivido scorre lungo la mia schiena – Non so chi sia, ma l’ho trovato nella Valbrevenna insieme a Marta, lei mi ha detto che è un suo amico d’infanzia…” spiega poi ai parigrado, in un velato tono incerto, e incerte sono le sue intenzioni.

Temendo per il mio amico, mia alzo faticosamente in piedi nonostante i tentativi di mio fratello di fermarmi e muovo i primi passi traballanti in direzione del gruppo.

“Aspettate, vi prego!!! E’ come dice lui… non fategli del male… non fategli del male!!!” li imploro, spaventata.

“Cosa?!? Questo è un tuo conoscente, Marta? - mi interroga Milo, già con il dito indice puntato verso di lui – Non è possibile, non...”

“Ha ragione lei, è Stefano, un suo amico di infanzia, possiamo garantirlo anche Francesca ed io!” aggiunge Michela, desiderosa di darmi manforte.

Anche Francesca annuisce, ma vi è un’ombra sinistra nei suoi occhi.

“Mu… lo hai trovato nel tempo fermo?” chiede il Grande Sacerdote Shion, incurante degli interventi miei e delle mie compagne. Sembra si fidi solo dell’allievo, forse perché non emotivamente coinvolto, ma è comunque un brutto colpo per me.

“Sì… volevo attaccarlo, perché ho pensato… ho pensato potesse essere il nemico, ma Marta si è frapposta tra me e lui e allora ho deciso solo di immobilizzarlo, conducendolo poi qua. A Voi la decisione sul destino del ragazzo...” spiega Mu, pratico.

Io non posso chiedere alle mie orecchie, malgrado quello che sto tentando di dire nessuno mi ascolta. Agiscono come se io non fossi nient’altro che una mosca insulsa.

“A-Aspettate, ho detto...”

Tutto inutile, i fatti continuano ad accadere senza che io possa oppormi.

“Un ragazzo che si muove nel tempo fermo e che possiede un cosmo… - rimugina Shion, apparentemente neutrale ma visibilmente teso – Potrebbe essere una minaccia per questo luogo e per noi, sarebbe il caso di eliminarlo...”

“NO!!! MALEDIZIONE, NO!!!”

Stefano è innocente, è sempre stato buono come il pane, non possono davvero pensare che lui, con quei due occhi da cerbiatto innocente che si ritrova, sia veramente il colpevole… deve essere stato il Mago… IL MAGO, DANNAZIONE!!!

“Tuttavia… potrebbe esserci utile e in possesso di informazioni che noi non abbiamo ancora, non ho quindi altra scelta… Death Mask!”

“Sì, mio Signore?”

Lo vedo inginocchiarsi in segno di rispetto, anche se il sopracciglio è inarcato e i muscoli rigidi, Francesca, al suo fianco, come se avesse già capito l’antifona, discosta lo sguardo e socchiude gli occhi.

“Sai cosa devi fare…”

“Eh… beh, io...”

Mi scocca un’occhiata impercettibilmente contrita, come di colpa non espressa ma acuta, tuttavia poco dopo si alza e lo vedo dirigersi verso il mio amico. Che diavolo vuole fare?!?

“Rinchiudi il ragazzo a Capo Sounion per almeno tre giorni, che nessuno si avvicini a quel luogo, dopo vedremo il da farsi...”

“Tze...”

Borbotta Death Mask, avviandosi lentamente nella direzione che lo condurrà a Stefano. Vorrei agire e fermarlo; vorrei fermare tutti in questo momento, ma non ho le forze, posso solo tentare di urlare per attirare l’attenzione, ma invano.

Un istante dopo, lo vedo centrare con un pugno spietato e assassino lo stomaco d Stefano, il quale dopo un breve baluginare degli occhi, cade a terra svenuto. Nessuno si è curato di impedirgli di sbattere a terra, come se fosse un sacco di patate insulso e rotto.

Ed è proprio in un simile momento che arguisco la triste verità che era sempre stata davanti ai miei occhi ma a cui non volevo credere: ovvero che si parla tanto di amicizia e di solidarietà tra compagni, ma la verità è che qui in questa sede siamo tutti sacrificabili per il bene superiore; il bene pattuito da una dea talmente distante ed eterea da essere puramente metafisica, ai miei occhi.

Mi sento ribollire di rabbia, mentre stringo i pugni. Questa Atena che tanto vanno decantando i 12 Cavalieri d’Oro… chi l’ha mai vista in questi mesi, al di là di Sasha nel 1741 che, per lo meno, era presente al tempio?!? Non c’è stata quando Camus è stato ferito gravemente al torace, non c’è stata quando siamo finiti indietro nel tempio, e non c’è stata quando abbiamo combattuto con Crono Malvagio governato dal Mago; non c’è quindi MAI stata! Davvero, per una pallida idea di giustizia stiamo perpetrando tutto questo?!? Ora ne sono convinta più che mai, per il presunto bene di questa dea e della sua utopica idea di giustizia, la relatività del mondo, le sue innumerevoli forme, vengono spazzate via per nient’altro che un ideale, persino una persona buona come Stefano!

“Siete soddisfatto ora?!? - bercia Death Mask, scoccando un’occhiata di fuoco a Shion – Ho fatto ciò che volevate, dignitosamente come il mio ruolo di aguzzino mi impone… le cose non sono affatto cambiate, eh?! Non importa che si ci sia Saga o ci siate voi, sarà sempre e per sempre così!” dice aspramente, furente.

“Mi dispiace… ognuno ha un proprio ruolo qui, il tuo è questo e non potrà mai cambiare… - ribatté Shion, affranto, poco prima di proseguire, rivolto a tutti i presenti – Non potete capire… siete ancora troppo giovani e inesperti!”

“BELLA ROBA! Se devo capire un simile fatto e non posso farlo perché sono giovane, ebbene spero di crepare prima di comprenderlo!” risponde a tono, prendendo Stefano con un braccio in stile sacco di patate.

“E-ehi...” biascico, osservando la scena, la rabbia sempre più cieca in me.

“Anche io ero come voi, da giovane… il mio Maestro Hakurei ha sempre detto che solo il tempo, le responsabilità e la crescita possono rendere leggibile l’indecifrabile… quel tempo per me è arrivato, per giungere a questo stadio ho dovuto affogare anni e anni di idealismi e belle speranze… e ora sono ciò che sono!”

“BELLA ROBA, E DUE!” si arrischia ancora Death Mask, frenetico, non accorgendosi però di star trasportando una persona incosciente.

“E-ehi… piano… Stefano non è… non è un oggetto!” tento ancora, sillabando le parole, ma gli altri continuano a non ascoltarmi.

“Portalo a Capo Sounion senza cibo né acqua… in queste sere la marea è bassa, è quindi un luogo idoneo per renderlo momentaneamente inoffensivo senza che rischi la vita, poi, a seconda di come reagirà, valuteremo il da farsi”

“Con tutto rispetto, Sommo Shion, non è una soluzione un po’ troppo drastica per quel giovane? Sopportare i rigori di quella prigione, anche senza l’alta marea, non è da tutti e non mi pare che il ragazzo sia violento, al dire il vero non ha fatto assolutamente nulla da quando è qui, se non… subire i colpi!” interviene Aphrodite, benevolo.

“Comprendo i tuoi dubbi, Cavaliere di Pisces, ma siamo in una situazione di emergenza, l’unica alternativa a questo sarebbe la pena marziale… e non voglio arrivare a tanto! Dobbiamo interrogarlo, prima di tutto e, a seconda di come reagirà, sarà da valutare anche in quale maniera farlo… mi intendi?

A questo punto non mi trattengo più, pesto tre volte i piedi per terra, iraconda, alzando poi lo sguardo di fuoco verso gli aguzzini. Non ci vedo più, tutto mi pare più scuro, le mie corde vocali tremano, ma inaspettatamente il mio tono di voce rasenta il sibilo anziché il latrato animalesco.

“E suppongo che lo vogliate fare per esercitare la giustizia di Atena, giusto?!? Simpatico… anche il Tribunale dell’Inquisizione agiva così per conto di Dio, peccato che, a conti fatti, abbia massacrato un sacco di gente innocente...”

Sorprendentemente Shion sembra spaventato dal mio intervento, ma non è la mia voce a terrorizzarlo così, né a mettere in allerta gli altri Cavalieri d’Oro… è qualcosa d’altro, qualcosa che io non riesco a percepire.

“Marta, ora calmati, altrimenti...”

“No, troppo facile altrimenti! - strido ancora, poco prima di esplodere – AVETE AGITO TUTTI PER GLI AFFARI VOSTRI, NESSUNO DI VOI, NESSUNO, MI HA CHIESTO QUALCOSA!!! IO HO CONOSCIUTO STEFANO, L’HO CONOSCIUTO BENE! PER QUANTO POSSA ESSERE CAMBIATO, NON PUO’ ESSERE NESSUNO DI SANGUINARIO O DISTRUTTIVO, E’ SOLO UN RAGAZZO, MA VOI… VOI LO AVETE BARBARAMENTE PICCHIATO SENZA CHIEDERE SPIEGAZIONI! NON AVETE DIRITTO DI PARLARE DI GIUSTIZIA!!!” urlo, totalmente fuori di me.

Avverto un colpo secco, il vento fischiare, e alcuni Cavalieri d’Oro indietreggiano seduta stante, come sorpresi da un qualcosa di misterioso che io continuo a non captare. Poco importa, non mi interessa capire di cosa hanno realmente paura.

“Grande Sacerdote, la ragazza è troppo agitata, così facendo rischia di…”

“Lo so, Shaka, lo so… aspetta solo un attimo prima di compiere qualsiasi azione, forse riesco ad arginare il suo istinto distruttivo prima che ne perda totalmente il controllo!” lo ferma immediatamente Shion, alzandosi in piedi con gesto imperioso.

Il Cavaliere della Vergine infatti, ha prontamente reagito alle mie accuse, posizionando le dita della mano destra sopra il palmo della sinistra e aumentando esponenzialmente il suo cosmo. Così furibonda come sono, non sono in grado di razionalizzare nulla, al di là della sensazione che mi volesse attaccare, se solo Shion non lo avesse fermato anzitempo.

“Cos’è?!? Volete colpire anche me?!? FATELO! Cosa vi ferma?!? Con Stefano non avete esitato un attimo, perché tentennare ora?!? Coraggio, sono pronta a ricevervi, dovrete passare sul mio corpo, prima di...”

Non finisco la frase che mi sento strattonare per un braccio, perdo l’equilibrio e mi ritrovo ben presto contro un’armatura che brilla di luce dorata e rassicurante.

“Marta… ora calmati, sei troppo agitata!” mi dice mio fratello, trattenendomi contro di sé per una seconda volta. Ogni velleità di lotta sfuma, facendomi ritrovare con la fronte appoggiata al suo torace. Il suo cosmo ampio e limpido è ora acceso, mi avvolge e mi rassicura, ma non ne capisco il motivo. Per una manciata di secondi, ho come l’impressione che tutta la ventata distruttiva si prosciughi contro di sé, trovando sollievo in un limpido laghetto che corrente più non ha, come la placida acqua che accoglie lo scorrere impetuoso del fiume in piena.

Sono contro di lui, i miei occhi si spalancano per lo stupore e le forze vengono meno nel sentire i battiti accelerati del suo cuore, come se in qualche maniera tutta quella foga si ripercuotesse su quell’organo in questione. Mi blocco dalla paura: cosa stavo scatenando? Cosa… cosa è successo? Chi… chi ero diventata?

“Hai tutte le ragioni per essere arrabbiata, piccola mia, ma tutto ciò non può che riflettersi sul tuo corpo già stremato. Calmati! Garantisco io per il tuo amico, non permetterò a nessuno di fargli del male, te lo prometto. Andrà tutto bene da adesso in avanti, ci sono io con te...” mi sussurra, accarezzandomi i capelli.

“Ca-Camus...” lo chiamo, tornata in me. La terra mi sembra sfuggire dai piedi, in verità sono le mie gambe che non mi reggono più, facendomi cadere, ma mio fratello non mi permette di farlo, accompagnandomi con dolcezza sul pavimento e trattenendomi lì. Lui è con me, non sono sola. Non più.

“Bra-brava così…. anf… so che non volevi farlo, stavi per perdere il controllo, ma ora è tutto a posto!” mi dice ancora, il fiato corto e le parole enigmatiche, che mi frastornano. Non ne capisco il reale significato, come se qualcosa, durante il processo, mi fosse sfuggito, ma ancora di più mi turba il suo tono così affaticato.

“Camus, che ti è successo, perché respiri con così tanta difficoltà?!?” chiedo, vedendolo incapace di rialzarsi nell’immediato, come se davvero gli avessi nuociuto in qualche maniera.

“Non… non preoccuparti per me, devo… devo solo riprendermi un po’. Il tuo cosmo è sempre più ampio, sai? E’ difficile contenerlo, ma ci sono riuscito! - mi prova a rassicurare, non dandomi altra spiegazione però in merito. Successivamente alza il capo in direzione del trono – Grande Sacerdote, chiedo… chiedo il permesso di tornare alla mia casa, le mie allieve e Hyoga hanno bisogno di cure e di riposo dopo questa missione così estenuante per loro. Concedetemi di andare, ve ne prego...”

Shion lo guarda con espressione grave, come se avesse intuito qualcosa; qualcosa che solo lui sa.

“Mmh, va bene, Camus, permesso accordato, ma… stai attento… - lo avverte, franco, il viso stirato in una espressione tesa – Ciò che hai fatto per calmare tua sorella, se non accuratamente proporzionato alle tue forze, può mettere in pericolo anche te, sforzando oltremisura il tuo cuore...”

Camus non ribatte verbalmente altro, si limita ad annuire e a rialzarsi in piedi, ed io con lui.

“Fratellino, cosa significano le parole di Shion? Perché sei così pallido? Il… il tuo cuore, era come se...”

Una mano sopra la mia testa ad accarezzarmi i capelli e un sorriso, il suo, dolce come sempre.

“Non ti angustiare, Marta, non è successo nulla, solo che a te è apparso un’enormità perché sei ridotta ai minimi termini. Sto bene, davvero! Ora appoggiati a me e torniamo alla Casa dell’Acquario; tra tutti e quattro siete feriti, stanchi e stremati, avete bisogno di rifocillarvi!”

“Maestro, non l’avrei mai detto, ma… che gioia essere tornate! Persino il fare gli allenamenti ora mi sembra una passeggiata!” commenta Michela, briosa come al solito, affiancandosi a noi seguita da Francesca e Hyoga, più contenuti.

“Ed è un bene, Michela… perché dovrete impegnarvi davvero tanto in previsione di questa battaglia, non sono permesse esitazioni!”

“Yuppieeeeee!!! Sarai orgoglioso di noi, vedrai!”

“Francesca, Hyoga, voi riuscite a muovervi?” chiede poi, preoccupato anche per gli altri due allievi

“Nessun problema...” asserisce fermamente Hyoga, discostando però lo sguardo, mentre la mia amica più grande si limita ad annuire di nuovo.

C’è un’atmosfera pesante tra noi, parole non dette e taciute, quasi surreali, eppure, e per fortuna, nemmeno in questa situazione si riesce ad esaurire la parlantina di Michela.

“Maestro, ti dobbiamo raccontare un sacco di cose di questi tre giorni fuori porta nell’Entroterra di Genova. Allora, devi sapere che… bla bla bla!”

E giù così fino all’arrivo, insperato, all’undicesima tempio, ormai a diritto la nostra rassicurante casa!

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Intanto chiedo umilmente venia nel caso ci siano errori nel, breve, dialogo in francese; purtroppo ho studiato questa lingua solo 3 anni alle Medie, non la rimembro affatto e ho utilizzato google traduttore che, come sapete, non è che dia chissà quale garanzia, anzi! Se qualcuno di voi conosce questa lingua e vede degli errori non esiti a riferirmelo che correggerò immediatamente, mi farebbe un grande favore!

Poi, veniamo alla storia vera e propria. Questo capitolo apre il sipario su un personaggio, Stevin, appartenente al passato di Marta. Con la nuova stesura fatta, ci sono riferimenti a lui nelle altre due storie che precedono questa, ma il suo nome fa capolino solo nel prologo della Melodia della neve. Come avrete capito, è un suo amico d’infanzia di due anni più grande di lei, quindi in questa sua prima apparizione ha quasi 19 anni, o meglio, dovrebbe averne 19, poiché, nel 2009, all’età di 17 anni, era scomparso durante un alluvione e dato verosimilmente per morto. Forse vi risulterà un po’ antipatico di primo acchito, ma è semplicemente confuso dagli avvenimenti e si è sentito abbandonato, il motivo si saprà più avanti. Invece per quanto concerne l’espediente architettato dai Gold per forzare la serratura, non è spiegata nei dettagli, ma lo sarà più avanti, non temete, perché presto dovranno fare la stessa cosa per un’altra ragione.

Il capitolo, soprattutto nell’ultima parte, è volutamente confusionario, mio intento è di fare sentire il lettore smarrito e con una cocente sensazione che gli stia sfuggendo qualcosa; qualcosa di non detto; qualcosa che apre le porte per i prossimi avvenimenti futuri e che lancia in campo un sacco di nuove domande. Spero di esserci riuscita!

Come al solito ringrazio chi legge, chi commenta e chi mette la storia tra le preferite/seguite. Ultimamente ho un sacco di idee per la testa, nuove storie, nuovi avvenimenti. Sto scrivendo tantissimo in questo periodo e molto facilmente presto pubblicherò una storia sui mini Gold, sempre appartenente alla mia serie “Passato.. presente… futuro!” ma con pochi riferimenti alla stessa, quindi accessibile a tutti.

Alla prossima! :)

 

 

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Capitolo 4
*** Ciò che non può più tornare ***


Capitolo 4: Ciò che non può più tornare

 

 

 

18 ottobre 2011, sera

 

 

Sono talmente spossata da non reggermi in piedi da sola, in tal senso è Camus che letteralmente mi conduce alla Casa dell’Acquario, sorreggendomi con le sue forti braccia. Sono sollevata di poter finalmente riposare, anche perché ho come un buco, anzi, una voragine in testa, che non mi permette di rammentare cosa sia accaduto gli ultimi minuti in cui eravamo al tredicesimo tempio. Ricordo solo che ho visto Stefano essere colpito brutalmente, una rabbia cieca mi aveva avvolto, tanto da voler distruggere tutto e tutti, e poi… puff, niente, sparito tutto, mi sono trovata contro mio fratello che mi rassicurava, stremato anche lui come se avesse combattuto, io proprio non… ho un tale mal di testa, e il chiacchiericcio vivace e allegro di Michela, che non ha smesso un secondo di parlare, non aiuta di certo.

E’ Camus stesso ad aver chiesto delucidazioni a Hyoga e alle altre due allieve, ma la mia amica più piccola ha colto la palla al balzo per narrare tutta la genealogia della missione senza fermarsi mai a rifiatare.

“E poi, Maestro… siamo rimaste Marta ed io, separate dalle altre, un fascio luminoso ci ha colpito e bum, siamo finite nel greto del torrente, e allora, dopo aver fatto parapippala, ecc, ho reagito, ho bruciato il cosmo per disintegrare i Mangia-ghiaccio... sì, così si chiamano, li ho chiamati io, ahahahahaah! - scoppia a ridere, allegra, tuttavia poi si ferma, dispiaciuta - … O almeno così credevo di aver fatto, perché Francesca e Hyoga mi hanno detto che ero svenuta...”

“Sì, è proprio così… in verità non hai fatto niente, ti abbiamo trovato a russare sul Brevenna ghiacciato, altro che distruggere i Mangia-ghiaccio, hai solo ronfato della grossa!!! - conferma Francesca, pratica, un risolino a solcarle le guance – Sì, perché, Maestro, la nostra Michela è svogliata negli allenamenti e non fa niente, ma brucia il cosmo quando dorme… QUANDO DORME, CAPISCI?!? Io valuterei allenamenti extra!” la prende scherzosamente in giro, tanto da far distendere anche il viso corrucciato di Camus, preoccupato per me.

“Eppure io davvero pensavo di averli battuti… era così intenso, sembrava tutto così vero!”

“Sì, sì, era vero… nei tuoi sogni, solo lì!”

“Uffi, Fra… non rigirare il coltello nella piaga! Pensavo davvero di aver fatto qualcosa per rendere orgoglioso il Maestro Camus!”

La mia amica abbassa lo sguardo, imbronciata. A quanto pare era davvero convinta di essersi mossa mentre dormiva, ma le sue speranze sono state infrante da Francesca, che trova particolarmente ilare ‘smontarla’ su due piedi. Sono sempre state un po’ così loro due, ma si vogliono molto bene. E’ semplicemente il modo di Francesca di alleggerire la tensione, infatti poco dopo prova a tirarle su il morale.

“E’ andata fin bene così… ce la siamo vista brutta! Tu fortunatamente hai la testa dura, Michela, una botta così avrebbe potuto essere fatale per molti. Hyoga, Sonia ed io eravamo terrorizzati quando ti abbiamo trovata, ma per fortuna stavi bene!””

“Ha ragione Francesca, Michela, era una missione al di là delle vostre capacità. Domani, con più calma, mi spiegherete bene passo per passo quanto è accaduto. Sono già orgoglioso di voi, e lieto che siate tornate sane e salve, quindi non preoccuparti se non hai fatto nulla di eclatante, a tuo dire, è già un’ottima cosa che tu sia qui per raccontarmelo!” la rincuora Camus, sorridendole con affetto, tanto da far meravigliare la stessa Michela che ricambia il sorriso in maniera più raggiante.

“E’ vero… devo riferirti una cosa, anzi, più di una… sono preoccupata!” ammette invece la mia amica più grande, scura in volto.

“Lo so, Francesca… lo so...”

Giunti finalmente alla Casa dell’Acquario, convinco mio fratello ad occuparsi prima degli altri che non di me, desiderosa di rimanere un po’ da sola per raccapezzarmi dell’accaduto. Ce ne vuole un po’, un bel po’, per convincerlo, ma alla fine acconsente a malincuore, permettendomi di andare in camera mia per sdraiarmi sul letto e lasciarmi sola con i miei pensieri; pensieri che tuttavia non si palesano, adagiandosi invece nelle nebbie del sonno. Mi addormento quasi meccanicamente, perdendo la cognizione del tempo, almeno finché una fitta persistente al fianco sinistro non mi fa spalancare le palpebre, facendomi raggomitolare su me stessa in preda agli spasmi. Conosco bene questo tipo di dolore, anche se l’ho creduto, fino ad adesso, conseguenza della battaglia appena finita, ma effettivamente non ho subito ferite lì, questo mi indica chiaramente che il colpevole di questo malessere può essere solo uno. Maledizione!

Mi metto faticosamente a sedere, la battaglia mi ha devastata, sia le braccia che le gambe mi tremano e fanno male, ma ottusamente mi dirigo comunque in bagno per vedere se i miei sospetti sono veritieri, trovandone pienamente riscontro proprio quando faccio pipi: mi sono venute, OGGI, ORA! Ma porc…!

Sbuffo contrariata, mettendomi la testa tra le mani alla ricerca di una soluzione tempestiva. Mi sono sporcata e dovrei cambiarmi, ma fatico a pensare correttamente, come se fossi in stato confusionale, come se non bastasse, in contemporanea, sento bussare dalla porta. E’ mio fratello… e ciò mi fa agitare ancora di più.

“Marta? Tutto bene?”

“No… cioè, s-sì...”

Il mio tono è talmente costipato che probabilmente lo fa preoccupare solo di più, pertanto mi pone una nuova domanda, ancora più imbarazzate.

“Posso entrare?”

“NO, CAZZ… EHM… no...” biascico, pulendomi alla bene meglio e rimettendomi in fretta le mutande, malgrado siano sporche. Possibile che in questa casa, non ci sia un briciolo di privacy?! Eppure mio fratello è un tipo molto discreto!

Cerco di recuperare due toni nella voce allo scopo di sembrare di stare bene, uscire per poi scappare in camera mia, prendere gli assorbenti, un cambio di mutande e tornare infine qua, ma la testa mi gira di 360 gradi e finisco a terra, umiliata e stremata. Il tonfo si sente da fuori, lo so, e prima di poter fare qualcosa d’altro, lo vedo aprire la porta, padrone di aver deciso come muoversi nonostante il mio parere contrario. Discosto lo sguardo, imbarazzata oltremisura, ho anche nausea e mi sento preda dei conati di vomito. Mi ci manca questo in presenza di mio fratello e poi posso tranquillamente sparire dalla circolazione.

“Come supponevo... sei una testona, non ti reggi in piedi ma non vuoi essere aiutata” mi rimprovera bonariamente lui, avvicinandosi.

Non dico niente, colpita in fallo. Lo vedo accucciarsi davanti a me, scrutandomi nel profondo, mentre una famigerata situazione di liquido caldo nelle cosce mi fa vergognare ancora di più. Mi devo cambiare, alla svelta, prima di sporcarmi anche dell’altro, ma non voglio che lui sappia, anche se sono altrettanto sicura che non si schioderà da me con tanta facilità.

“Marta… lascia che ti dia una mano...”

Il suo tono è dolce e gentile, mi rincuora, ma è una barriera ancora troppo persistente per me, rivelargli questo, malgrado tutti i fatti accaduti tra noi in precedenza. L’ho visto nudo mentre stava male, me ne sono presa cura, pulendolo dai bubboni della peste, asciugandogli il sudore, oltre a spalmargli una crema perché ha davvero la pelle troppo, troppo, sensibile alle irritazioni; lui ha fatto qualcosa di simile a me, dopo la battaglia contro il falso Crono, vegliandomi nelle notti insonni, cambiandomi le bende e curandomi le ferite sul petto. Siamo fratelli, dovremmo essere cresciuti insieme e quindi non avere di questi problemi, ma i 17 anni di distanza fanno, non permettendomi di oltrepassare ancora questo valico.

In fondo, Camus ha accettato che io mi prendessi cura di lui quando stava male, nonostante la sua riservatezza, nonostante odi essere toccato, eppure di me si è fidato, concedendomi la totale disponibilità sul suo corpo. Qui però la situazione è molto peggiore delle precedenti, poiché dovrei dirgli che… che perdo sangue da… beh, da sotto… oddei santissimi!

“Eh… uh… mi serve un...” balbetto, rossa in faccia.

Vorrei dire ‘Buscofen’ che è la medicina che prendevo in Italia per i dolori mestruali, ma, uno, non so se esista in Grecia, due, capirebbe subito cosa ho che non va...

“Una… una cosa...” dico solo, con gran fatica.

“Una cosa… cosa?”

“Niente...”

Camus sospira sonoramente, non sapendo che altro approccio tentare, tornando poi a concentrarsi sulla ferita sulla schiena. Mi scosta gentilmente i capelli di lato per vederla meglio.

“Lascia almeno che mi prenda cura di questa, è in un punto che non puoi raggiungerlo da sola” tenta nuovamente, sinceramente preoccupato.

Siccome tremo e non ribatto nulla, cerca un nuovo modo per rassicurarmi.

“Marta, credimi, capisco bene il tuo imbarazzo, lo sai, sono come te, ma...”

“Non è quello! - esclamo, frenetica, poco prima di spiegare – No, non mi vergogno, fratellino, del resto ci siamo già visti nudi entrambi. Il punto è un altro...”

“E quale sarebbe allora?”

“Mi sono venute!” sussurro in un soffio, sentendomi avvampare. Ecco, l’ho detto, che disonore rivelarglielo...

Camus arrossisce a sua volta e si ammutolisce, ma dopo pochi secondi lo sento ridacchiare tra sé e sé, sereno. Beato lui, io vorrei nascondermi in una fossa, invece!

“Lieta che le mie vergogne siano motivo per te di così tanta ilarità!” commento, offesa, guardandolo torvo.

“Le tue vergogne?! Hai ucciso qualcuno con quelle, per caso? E poi ancora, è solo questo il motivo del tuo imbarazzo?”

“Come solo questo???” ribatto, ancora più oltraggiata, sempre più incredula.

Camus continua a ridacchiare tra sé e sé, prima di avvolgermi con dolcezza in un abbraccio tiepido e delicato che, ancora una volta, riesce nel suo intento di ammutolirmi per la sorpresa.

“Marta… è vero che sono un uomo, ed è vero che non ho troppe esperienze con l'altro sesso, ma pensi davvero che non sappia che tu, a 17 anni, non sia già sufficientemente grande per avere le mestruazioni? – le nomina, neanche fosse la cosa più noncurante di questo mondo, facendo arrossire me, di nuovo – Conosco la fisiologia umana, sia maschile che femmine! E’ cultura generale!” conclude, pratico, rialzandosi in piedi e dirigendosi verso l’uscita del bagno, lasciandomi lì, inebetita e al limite del disagio. Ritorna poco dopo con un pacco di assorbenti e un cambio di mutande, prima di chiudersi la porta dietro di sé per darmi privacy. Fisso sbigottita gli oggetti, accorgendomi che sono i miei… dunque Camus sapeva dove li celassi, come diavolo…?! Uff, che vergogna! Sospirando sonoramente comincio a cambiarmi.

Che tipo! Ogni tanto non so come prenderlo. I discorsi sul sesso lo fanno imbarazzare, ma poi parla tranquillo di queste cose… mah! Non che io abbia mai avuto molto modo di avere a che fare con l’altro sesso, se escludiamo Stevin, però ero convinta che fosse un argomento tabù per i maschi, e invece…!

Sussulto improvvisamente nel pensare al mio amico, ripercorrendo mentalmente la nostra burrascosa riunione fino ad arrivare all’arrivo al Tempio e al trattamento riservatogli. Senza quasi accorgermene singhiozzo, una stilettata mi mozza il respiro, portandomi ad accasciarmi vicino alla vasca-doccia, completamente stravolta. Mi sono cambiata, ma mi sento ancora più a pezzi. Devo ancora raccapezzarmi, ho un bisogno cocente di sfogarmi, ma allo stesso tempo ho paura.

“Marta… tutto bene? Ti sei cambiata?” mi chiede ancora mio fratello, dietro la porta. Non se ne è mai andato da lì, probabilmente avverte il mio stato emotivo ma, come sempre, attende che sia io a sfogarmi.

“S-sì, fratellino...” biascico, tirando su con il naso e asciugandomi il fastidioso liquido. Stavolta Camus entra senza nemmeno chiedermi il permesso, chiudendosi la porta dietro di sé. Io sono ancora a terra, in uno stato pietoso, quando lui mi massaggia delicatamente la schiena per rassicurarmi, dandomi il tempo per calmarmi, prima di prendere di nuovo parola.

“Che dici, arrivo un po’ tardi per fare il bagnetto insieme, vero?” mi chiede in tono dolce, ma il suo sorriso è amaro e nasconde una certa malinconia.

Inavvertitamente ridacchio tra me e me, alzando lo sguardo ricolmo di gratitudine. Riesce a farmi sentire sempre, sempre, bene, non so come faccia.

“Non più di tanto…” dico solo, appoggiandomi stancamente a lui, che nel frattempo mi scosta di nuovo i capelli per vedere, ancora una volta con sguardo clinico, l’entità del danno.

“La ferita non è profonda, ma sembra causata da un’arma da taglio, precisa e incisiva, per questo hai perso un discreto quantitativo di sangue. Dove diavolo…?”

“Te lo spiegherò, Cam, solo… non ora, sono tanto stanca e non ne ho le forze” confesso, sospirando.

Camus annuisce, convinto, passando poi a prendere un elastico per farmi una coda. Io sono totalmente alla sua mercé da quanto sono stremata, ma non è una brutta sensazione, anzi, è forse l’unica persona con cui accetterei di essere in simili condizioni. Non mi vergogno, non più, mi sento protetta e a casa, ed è una emozione davvero calda, mi riempe il cuore.

“Posso?” mi chiede formalmente il permesso, ed io immediatamente comprendo a cosa allude, pertanto socchiudo gli occhi e sorrido ancora, finalmente tranquilla.

“Come ti ho detto prima… mi sento totalmente a mio agio con te. Entrambi ci siamo visti in condizioni pietose, entrambi ci siamo presi cura dell’altro, non c’è alcun problema, fratellino, procedi pure!”

Camus non ribatte nulla, ma mi toglie delicatamente la maglia e la mette per terra, poco dopo mi slaccia il reggiseno e apre l’acqua tiepida della vasca. Il primo step è di lavare la ferita per evitare una infezione, lo so bene, ma lascio fare a lui.

Nonostante le mie parole e le sue rassicurazioni, però, ho comunque l’impulso di coprirmi il seno come reazione istintiva, non del tutto a mio agio. Una volta riempita la vasca, lo vedo disfarsi a sua volta della propria maglia e posarla vicino al lavandino per rimanere così con i soli jeans, probabilmente allo scopo di essere più libero di armeggiare con la spugna e l’acqua senza inzupparsi il vestiario, o forse anche per farmi sentire più a mio agio, visto che, così facendo, siamo nelle stesse condizioni. Colgo l’occasione per dare un’occhiata alle tre cicatrici, giacché non sono molte le occasioni in cui mio fratello le fa vedere, essendo appunto così riservato. Non ama stare nudo, malgrado abbia perpetuamente caldo in qualunque circostanza, se può si copre con indumenti leggeri, ormai lo conosco bene.

Mi faccio quindi lavare la schiena malgrado il bruciore, permettendomi di guardargli meglio il torace chiaro e tonico: effettivamente le tre ferite sono in vistoso miglioramento, essendo passate da un colore rosso acceso ad un marroncino caffelatte che, stante la tua pelle, da subito nell'occhio. Per il resto, sono ancora in rilievo e non danno l’idea di voler rientrare, condannandolo così, molto probabilmente, ad averle come segno distintivo per sempre.

“Cam, davvero non c’è altro modo per quelle? Non so, una crema cicatrizzante, un qualcosa per ridurle, un...”

“Sono troppo nette e profondo per sparire del tutto, nessuna medicina può fare miracoli, ma non sono un problema per me. Per te, invece, un rimedio per questo brutto taglio ce l’ho, un modo per non lasciarti un ingiusto segno sulla schiena!”

“Ma se puoi farlo per me, perché per te non potrebbe funzionare?”

“Ci sono diversi tipi di ferite, piccola mia. Anche volendo, le tre lacerazioni, essendo maledette, non hanno potuto essere trattate per molto tempo e… beh, sono state aperte e riaperte troppe volte per potervi porre rimedio”

“Ma io… non voglio che quel segno ingiurioso permanga sul tuo corpo. E’… è tremendo, Cam, è una menomazione che non meriti!” insisto, agitata.

“Marta… ti ho già detto che va bene così per me, ci ho già imparato a convivere da tempo, nonostante il fattore estetico. Mi basterebbe recuperare totalmente ciò che ero prima, non chiedo altro” mi spiega, passandomi a lavare i capelli che devono essersi sporcati di sangue.

Rimango quindi in silenzio, tornando a fissare le piastrelle del bagno. Se per lui va bene così non dovrei insistere più del dovuto, ma non riesco ad accettare l’idea che quei segni rimangano sul suo corpo, provocandogli un’insistente debolezza. Quei segni… lui potrà anche accettarli perché simboleggiano il suo avermi protetta, ma per me sono solo una maledizione, la dimostrazione che io, proprio io, gli ho causato una tale sofferenza che per poco non lo privava della vita. Sono passati mesi da allora, eppure non riesco a perdonarmi.

I miei pensieri sono accelerati, mi vorticano insistentemente in testa, ma le mie labbra non aggiungono altro, lasciando solo trapelare un profondo, quanto esaustivo, lungo sospiro denso di significato. Suono che a Camus non sfugge di certo.

Neanche lui dice niente per un po’, finisce di lavarmi e comincia ad asciugarmi, una volta compiute queste due azioni, mi abbraccia, portandomi contro di sé e facendomi meravigliare non poco. Il tepore della sua pelle… è così meraviglioso! Mi è difficile pensare che lui sia il Signore dei Ghiacci, quando tutto ciò che contraddistingue la sua persona riesce così agevolmente a riscaldarmi fin dal profondo. Coniugando tutti i suoi pensieri nello sforzo di esprimerli, riesce infine a parlarmi.

“Credimi... lo so di averti causato un trauma con la mia decisione di proteggerti… so che quelle immagini, quei momenti che hai vissuto, sono stampati a perpetua memoria nella tua testa, e so che li rivivi di tanto in tanto, preoccupandoti per me. Del resto, dirti che per me va più che bene così non può cancellare quello che è stato, ma… credimi, credimi se ti dico che è tutto apposto! Farei e rifarei quella scelta altre cento, mille, volte, se sapessi che tutto ciò mi condurrebbe qui, garantendo la tua sicurezza!” mi spiega, un poco emozionato. Continua ad avere grossi problemi ad esternare le sue emozioni, il suo tono è impacciato quando mi confida questo genere di cose, ma sono orgogliosa dei suoi enormi passi avanti.

“Sì, le rivivo… da due prospettive diverse: la mia e la tua. Ogni tanto rivedo te sotto i ferri, senza che la mia volontà si possa opporre. Vedo il tuo volto sofferente, il sangue che continua a grondare fuori dal petto, cadendo per terra, malgrado l’intervento dei medici, ed è come se sentissi il suono dell’elettrocardiogramma che mi frastorna le orecchie, paralizzandomi nei recessi dell’anima… - biascico, tremante, la sua stretta aumenta, dandomi il coraggio di proseguire – Ci hanno detto che durante l’operazione il tuo cuore ha smesso di battere… che c’è stato un momento in cui non sapevano se ti avessero irrimediabilmente perso, ma… ma hai reagito alla rianimazione, non so come, non so… non so dove tu abbia trovato la forza per farlo, so solo che ringrazio mentalmente tutta l’equipe medica che ti ha riportato alla vita, la tua tempra, il tuo non volerti arrendere. Ti sei aggrappato strenuamente a qualcosa e non l’hai più mollata, ed è grazie a quello se ti ho potuto conoscere, se ho potuto scoprire di avere un fratello meraviglioso come te!” finisco di dire, con enorme fatica, nascondendomi contro il suo petto e singhiozzando. Non ne posso fare a meno. Tremo come un uccellino nel nido, bagnato e infreddolito, ma le carezze che mi regala Camus riescono, come al solito, lentamente, a calmarmi.

“E’ stato per merito tuo… a te, al tuo pensiero, al tuo viso, mi sono aggrappato in quei momenti difficili… - mi sussurra con dolcezza, tanto da spingermi a scorgergli il volto. I suoi occhi sono lucidi e le sue labbra sono stirate in un leggero sorriso che racchiude tutto il suo mondo. Mi incoraggia e mi rassicura, a me, che non ne dovrei averne bisogno, perché quello che ha subito tutto questo è lui – Avevo scoperto da poco che tu fossi mia sorella, non potevo in alcun modo morire dopo averti ritrovata. Non… non ricordo molto di quei momenti, tranne il dolore, il fiato che mi mancava, il freddo sotto di me, intorno a me… era un buio perpetuo ricolmo di sofferenza, ma c’eri tu, il tuo viso, mi sorridevi, e quello, solo quello, mi ha dato la forza necessaria per non arrendermi. Quando finalmente riaprii gli occhi, tu eri al mio fianco e stavi bene, mi sono sentito genuinamente felice, tanto da non sentire quasi più il dolore al petto causato dalle ferite, come se fosse già stato cauterizzato. Quindi, piccola mia, oltre ai medici, oltre alla mia tempra, oltre al mio non volermi arrendere, ringrazia anche te stessa: sono ancora qui perché tu eri con me, sei tu la mia forza!”

“Oh, fratellino...” sussurro solo, appoggiandomi di nuovo a lui, stremata. In verità vorrei parlargli di più ma, complice la doccia, la spossatezza me la sento tutta addosso.

“Sei molto stanca… non è questo il momento giusto per trattare di argomenti così delicati. A domani i discorsi, ora hai solo bisogno di essere medicata e di dormire” mi dice, lasciando me momentaneamente seduta a terra. Lo vedo alzarsi, asciugarsi brevemente il torace e rimettersi nuovamente la maglietta, poi sistemata meglio sui jeans. Poco dopo si accuccia nuovamente davanti a me, prendendomi delicatamente tra le braccia dopo avermi regalato un buffetto sulla guancia.

Io mi lascio condurre senza fiatare, appoggiandomi a lui, un po’ come quando ero piccola e mia madre mi conduceva a letto per raccontarmi la favola della buonanotte. Sono abbastanza in me per avvertire i movimenti di mio fratello, ma non per comunicare, quindi gli permetto di portarmi in camera mia e posarmi sopra il letto in posizione prona, la testa appoggiata alle mie braccia piegate. Ogni cellula del mio corpo accoglie con gioia quel giaciglio, portandomi ben presto ad appisolarmi senza però cadere in un sonno profondo, tant'è che avverto con distinzione le dita di Camus passarmi un unguento, poi una crema e un qualcosa di fresco sulla schiena, esattamente in quest’ordine. Lo avverto ancora, anche se appena, mentre mi tira i due lembi della ferita, portandomi all'intuizione che sta passando una serie di punti, il che mi meraviglia per la sorpresa, ma poi mi acquieta; del resto è ovvio che ogni Cavaliere d’Oro abbia le nozioni base di medicamenti e cure varie, a maggior ragione uno come mio fratello che ha vissuto per anni nella sperduta Siberia Orientale. Quante cose non so ancora su di lui, quanto mi piacerebbe saperle!

La ferita mi tira alquanto e mi brucia, ma è qualcosa di assolutamente sopportabile e che anzi mi accompagna nel dormiveglia sempre più profondo. Tuttavia tutto d’un tratto e di colpo, mi accorgo di dovergli dire una cosa molto importante, anzi di vitale rilevanza, per cui mi ridesto, sforzandomi di rimanere vigile.

“Cam...” mormoro, rauca.

“Cosa c’è, piccola mia?”

“Io… quando ero nella valle, ti ho sognato, prima che mi svegliasse Francesca”

Mi rendo conto appena che mio fratello non sa nulla di quello che è stato, nessuno glielo ha spiegato ed io ho appena parlato come se sapesse ogni cosa, tuttavia mi da corda, chiedendomi maggiori spiegazioni.

“Era… era la mia infanzia, ma c’eri anche tu, avrai avuto 13 o 14 anni e… ed eravamo insieme, nella casa in campagna dei nonni, come se fossimo due persone normali...” biascico, di nuovo con gli occhi lucidi. Camus per tutta risposta, forse notando la mia occhiata quasi disperata, forse emozionato a sua volta, mi comincia ad accarezzare i capelli con dolcezza per tranquillizzarmi.

“Vai avanti...” mi incoraggia, teneramente.

“Tu… avevi trovato un rondone, lo abbiamo fatto volare e… beh abbiamo litigato e fatto pace, proprio come due fratelli normali. E poi… e poi c’erano i nonni, Dante e Ines, non so cosa ricordi di loro, se li ricordi...”

“A sprazzi… molto a sprazzi...” ammette, fremendo appena.

“E… e vedi io… io avrei voluto rimanere lì, in quel sogno, era ciò che desideravo con tutta me stessa, tutto ciò che mi è stato strappato, anzi… che CI è stato strappato! Mi manca... mi manca così tanto e… sigh!”

Trascorre qualche attimo di silenzio, il tempo necessario a me per finire di singhiozzare e a Camus per riprendere e terminare le procedure di medicazione.

“Marta… - mi chiama, poco dopo rimboccandomi le coperte e sedendosi a bordo letto, con un dito mi scaccia via le lacrime che mi bagnando le guance – Sei stremata e hai avuto un’esperienza traumatica, per questo che hai fatto sogni simile, e...”
“NO! - lo blocco subito, mettendomi in posizione fetale – Non è una cosa solo di adesso, io… io voglio indietro la mia vita, con te, se solo penso che non potrò più averla, che è cambiato tutto, da allora, io… Io non ce la faccio, Camus, io vorrei farti vedere la Valbrevenna, ma… ma non posso più, è… è morta, come i nonni, come...” non finisco la frase, nascondendomi la faccia tra le coperte, vergognandomi di avere un simile comportamento infantile in sua presenza. Credevo di essere migliorata in questi mesi, eppure sto reagendo peggio che una poppante. Le mie amiche invece… loro non fanno che migliorare!

Camus non smette di accarezzarmi nel tentativo di rincuorarmi. Percepisce il mio malessere, lo patisce su di sé, eppure ha comunque difficoltà a raggiungermi. Ancora una volta leggo nelle sue intenzioni il desiderio di rassicurarmi anche a parole, del tutto impossibile per lui. Lo so, lo vedo, ci sono tante cose che vorrebbe dire e chiedere, ma non riesce. Alla fine lo sento sospirare sonoramente nel pronunciare un’unica, breve, frase.

“Lo vorrei anche io, non immagini quanto...”

“Che cosa?”

“Riscrivere tutto… vivere un’infanzia che mi è stata strappata; come sono stato strappato da voi...” ammette, gli occhi scuri.

E’ il mio turno di rimanere zitta, soppesando quella confessione e abbracciandola nella sua interezza. Il tempo è davvero spietato…

Ad un cero punto butto le braccia fuori dalle coperte. Dando un’occhiata indicativa a Camus, di quelle che precorrono ad una richiesta specifica. Mio fratello lo capisce, sorridendomi amaramente, in attesa.

“Puoi… puoi darmi la mano?” pigolo, imbarazzata. Sembro un fagotto tra le coperte, lo so. Lui posa la mano destra sul palmo della mia, mentre, con l’altra, mi vezzeggia i capelli. Colgo l’occasione per avvicinare il mio volto a quella stretta, quasi poggiandomi completamente, in cerca di un contatto.

La sua pelle è morbida e delicata come piume di cigno, questa sensazione non è mai mutata dalla prima volta, e sento che mai cambierà. Conosco così poco di lui, eppure è come se sentissi e avvertissi tutto di ciò che è realmente, la sua essenza più intima. Socchiudo gli occhi a a quel contatto, tremando appena, non capisco se per il freddo, la ferita o i sentimenti contrastanti.

Ad un certo punto sento le dita della mano sinistra di Camus passare dai miei capelli alla guancia, asciugandomi qualcosa che non ci dovrebbe essere… lacrime?! Di nuovo?!?

“Non piangere… ricordati che loro sono dentro di te! Qualunque cosa accada, non sarai mai separata da loro! Il bene che ti hanno voluto non cambierà mai!” mi sussurra con dolcezza, riferendosi ai nonni. Non è un rimprovero ma solo una raccomandazione, per lo più detta in un tono pacifico, ma so bene i suoi pensieri a riguardo delle lacrime e di chi, come me in questo momento e Hyoga, si lascia abbandonare alle malinconie passate.

“Sc-scusami… è che… è che mi sento in totale balia degli ormoni. In genere non sono così...” rivelo, vergognandomi oltremisura.

“Lo so, sei forte, piccola mia, ma il colpo che hai subito è stato tosto… hai solo bisogno di tanto riposo, vedrai che domani andrà meglio!” mi rassicura, stringendo la presa sulla mia mano. Decido di cambiare discorso, perché a parlare dei nonni mi viene da piangere.

“Cam, ascolta… Stevin è innocente, è sempre stato un pezzo di pane, lo avrai visto anche tu nei sogni. Non farebbe male ad una mosca, te lo assicuro! Non fategli del male, vi prego, non… ha il temperamento di Dégel, non lo merita!”

Camus mi scruta nel profondo, sistemandomi meglio le coperte mantenendo il contatto con me, prima di parlarmi schiettamente.

“Marta… lo so, mi fido del tuo giudizio. Non ti saresti mai affezionata ad una persona cattiva, ma… è giusto che il Tempio prenda le sue precauzioni...”

“NO! Vi prego, no!” mi agito, compiendo movimenti bruschi che subito mi chiedono il conto per l’imprudenza, regalandomi una fitta di dolore.

Camus mi ferma immediatamente, pronto, facendomi riadagiare sul letto con la massima cura.

“Cerca di capire, piccola mia… loro non sanno niente di lui, e il fatto di essersi mosso nel tempo fermo, per lo più senza subirne le conseguenze, non è certo passato inosservato. Inoltre possiede un cosmo, per quel che ne sappiamo può esserci lui dietro tutto questo, consciamente o inconsciamente. Pertanto è necessario prestare la massima attenzione!” mi spiega con infinita pazienza, ben consapevole che si tratti di un tasto dolente.

“No, lui non c’entra! Quegli esseri… hanno attaccato anche lui, volevano ucciderlo tanto quanto erano attirati dal potere del ghiaccio!”

“Chi... chi sarebbero?”

“Quelli di cui ti ha accennato Michela: i Mangia-ghiaccio!”

“Erano attirati dal potere tuo e di Hyoga?”

“Sì, e da Stevin!”

Camus si prende un po’ di tempo per soppesare quanto detto, ma poi decide di vertere l’argomento su altro, forse non avendo elementi sufficienti per capire.

“In ogni caso Shion ha scelto di usare le massime precauzioni e lo capisco in questo. Tuttavia ti prometto che non permetterò di torcere neanche un capello al tuo amico, non fino a quando non avremo la sicurezza che sia lui il colpevole”

“NON E’ LUI!!!” continuo a ripetere, ottusa e agitata, tant’è che è nuovamente compito di Camus calmarmi come solo lui può fare. Il suo tocco mi tranquillizza, riportando i miei battiti cardiaci a livelli normali.

“Io ne sono sicuro, Marta, vedrai che, col tempo, lo saranno anche gli altri – dice, sereno, poco prima di passarmi dal comò un bicchiere contenente un liquido verde che non avevo notato prima – Ora prendi questo, ti aiuterà a dormire, è un po’ amarognolo ma vedrai che ti sentirai subito meglio”

“Cosa dovrebbe essere?” domando curiosa, annusando lo strano liquido che profuma di tè verde, assolutamente invitante.

“Erbe medicinali essiccate che tengo in dispensa e che arrivano direttamente dalla tundra siberiana… imparerai a conoscerle!” mi espone, non smettendo di sorridermi.

Annuisco con convinzione, ingurgitando il liquido, che se anche fosse acido, per dire, mi fiderei talmente tanto di lui da berlo senza fare storie. Rimango un po’ stordita a quel pensiero, rendendomi conto che davvero non sono mai riuscita a confidarmi così totalmente con qualcuno, ma con lui è diverso, ne ho la certezza, come fosse un qualcosa di molto più forte di me; un qualcosa che oltrepassa le dimensioni.

Mi sistemo meglio sul cuscino, mentre già alla sensazione di stanchezza se ne aggiunge un’altra di sonnolenza pressoché totale. Il respiro si fa più leggero, la percezione sul mio corpo, lentamente, va scemando, i contorni dei miei occhi si oscurano, fino alla chiusura totale.

“Camus...”

“Sì?”

“Rimani con me, intesi? Da adesso in avanti...”

“Marta… ti posso solo dire che ci proverò con tutte le mie forze, ma...”
“Lo so che non me lo puoi promettere… anche se ogni tanto non mi dispiacerebbe vivere con questa illusione nel cuore...”

Lo sento sospirare, fremendo alquanto. E’ in evidente difficoltà, come sempre quando deve dimostrare quello che prova, ma va bene così, del resto è qui vicino a me, non sento il bisogno di chiedere altro.

Mi continua ad accarezzare i capelli, massaggiandomi la testa e facendomi sprofondare ben presto nella quiete totale dell’incoscienza, il sorriso sulle labbra e una dolce litania che mi fa addormentare totalmente, finalmente serena.

 

 

* * *

 

 

19 ottobre 2011, mattina inoltrata

 

 

Continuo a fissare inebetita la scena davanti a me, non partecipando però al suo svolgimento, ancora troppo rincoglionita dal sonno. Mi sembra di aver dormito per secoli e sono comunque a pezzi, totalmente a pezzi. Mi appoggio allo stipite della porta, frullandomi i capelli che mi ricadono davanti agli occhi e che mi danno fastidio, sbadigliando poi con esaustivo spalancamento delle fauci, sebbene celate dalla mia mano.

In cucina intanto, davanti a me, Michela e Francesca sono intente ad apparecchiare e a pulire, sorprendendomi non poco. Non ho la più pallida idea di che ore siano ma mi sembra innaturalmente presto per queste cose. Le mie amiche non mi hanno visto, totalmente impegnate nelle loro azioni, pertanto sta a me manifestare la mia presenza.

“Buongiorno...” mugolo, sbadigliando di nuovo. Le palpebre sono ancora appiccicate, a nulla vale sfregarle, l’ombra del sonno non cede il passo.

“Oh, ciao, alla buonora, e poi sono io la dormigliona!!!” mi saluta sorniona Michela, trillante come suo solito, lo scontro non lo ha neanche sentito lei.

Mugugno ancora, passeggiando come uno zombie fino ad arrivare alla credenza in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti. Non trovandolo. Mi accontento quindi di un sorso di latte preso dal frigo.

“Che ore sono?”

“Quasi l’1...”

Quasi sputo quanto bevuto a quella rivelazione, sgranando gli occhi nel sapere che ho ronfato della grossa fino a tardi.

“E Camus?”

“Sparito da stamattina presto… ha detto di non svegliarti e di mettere tavola per l’1, che lui sarebbe arrivato presto” asserisce Francesca, piegando i tovaglioli. Automaticamente conto il numero di posti in tavola, notando che sono più di quanti siamo. Che razza di…?

“Abbiamo ospiti?” domando, ancora più di là che di qua. Per tutta risposta, avverto una voce famigliare attraversare le pareti della casa.

“E’ permesso?”

“Milo!!! - urla l’esagitata Michela, correndo fuori e rientrando dopo con i presunti ospiti – Camus non è ancora arrivato ma stiamo preparando tutto!”

Sbatto nuovamente le palpebre, notando non solo la presenza di Milo e di Sonia, appena sopraggiunti, ma anche di Hyoga, che probabilmente era andato a prenderli.

Li guardo confusamente, la netta sensazione di aver perso un passaggio, anzi più di uno.

Vero che ieri mi sono addormentata con mio fratello ancora accanto, ma davvero mi sembra di aver fatto un salto indietro nel tempo. Ciò che ho davanti agli occhi è una scena di tutti i giorni abbastanza ordinaria: una famiglia che invita gli amici a pranzo; tuttavia, dato il contesto, mi sembra talmente innaturale da stordirmi ancora di più. Non c’ero più abituata, ecco tutto.

Ad un certo punto vedo Michela sorridere raggiante a Milo, indicandomi poi con enfasi, neanche fossi una merce rara.

“Milo, tu l’hai vista… la castagna, o anche il cespuglietto?”

“La che…?”

“Guarda i capelli di Marta… normalmente ce li ha lisci, ma stanotte deve avere fatto a botte col cuscino, ahahaha, non ti ricorda qualcuno???”

Non ho il tempo per essere ricettiva nella scena, né di capire di cosa diavolo sta blaterando la mia amica, ho solo il tempo di vergognarmi per essermi fatta trovare in pigiama, messo frettolosamente stamattina, mentre tutte le altre sono pulite, ordinate e piene di vita. Che scena patetica!

Tra le risate generali, Milo si avvicina a me seguito a breve distanza da Sonia, io lo guardo imbarazzata, cercando comunque di non darlo a vedere.

“Ciao, piccoletta, come va stamattina? - mi chiede cordialmente, ignaro del mio stato – Sonia mi ha parlato della vostra missione, sei stata davvero brava a reagire prontamente. Non sappiamo nulla di queste entità, ma il Grande Tempio prenderà provvedimenti. Per l’altra questione, invece...”

“Ssssssh! - lo ferma immediatamente Francesca, decisa – Camus ha vietato di fare quel nome oggi, troppo prematuro!”

“Oh, là là… quale fratello protettivo!” commenta lo Scorpione, sogghignando sornione.

Mi massaggio teatralmente le meningi, dirigendomi barcollante verso il divano. Le cose stanno accadendo troppo velocemente al di fuori di me, sono confusa e spaesata, non capendone pienamente il motivo. Effettivamente sono ferita e stremata, ma non è dolore quel che provo, quanto un intenso stordimento che a fatica riconduco alle erbe che mi ha dato mio fratello ieri, non c’è altra spiegazione.

“Mi sento come se avessi bevuto tutto quello che non ho mai ingurgitato per diciassette anni della mia vita!” commento, sarcastica, sdraiandomi e massaggiandomi la fronte. La mia frase mozzata ha il risultato di far ridere tutti, ad eccezione di Hyoga che, fin troppo serio, guarda altrove, non partecipe.

“E scommetto che non sei abituata a bere...” ridacchia Milo, ilare.

“N-no...”

“E’ un peccato… siete ancora così tanto giovani, la vita è breve, tra un po’ non avrete più l’età per fare certe cose… dovreste agire ora!”

“Io invece ho bevuto!!!” interviene Michela, sprizzante di gioia, alzando la mano.

“Oh, lo sappiamo, cara… abbiamo visto!” fa l’occhiolino Milo, anche lui più vivace del solito, alludendo alla faccenda avvenuta quest’estate, poco dopo il nostro arrivo qui, con tanto di bacio a Hyoga, il quale infatti tossicchia a disagio.

“Oh, ma mica solo quella volta lì, eh, io capisco pienamente quello che dici!!! La penso come te!!!”

“Anche io ho bevuto, però non è una cosa che mi piace fare, ho una mia dignità, e ridurmi ad un colabrodo non fa per me!” dice Francesca, tirando una frecciatina, anzi, direttamente una clava alla sua giovane amica, che si limita a ridere.

“E tu, Hyoga? In Siberia Camus ti ha mai permesso di bere qualcosa di cospicuo e sostanzioso o era bacchettone pure lì?” domando ancora Milo, curioso.

Hyoga sospira, lasciando cadere le braccia inerti lungo i fianchi e concentrandosi su di noi.

“Ho sangue per metà russo, lo sai, e c’è una certa fama su di noi… - spiega, lo sguardo lontano – In Siberia, in pieno inverno, è quasi obbligatorio rifornirsi di alcolici per resistere al clima rigido, quindi sì, qualcosa ho preso, e lo stesso maestro non è esente da questo!”

“Ahahahahahah, certo, certo, lo so! Camus è un perfetto bevitore, ha una resistenza agli alcolici degna da russo più che francese!”

“Davvero il Maestro Camus beve?!?” esclama Michela, stupefatta.

Milo sogghigna ancora tra sé e sé, sedendosi a terra a gambe e braccia incrociate, completamente calato nel suo ruolo di compagnone più vecchio e con più esperienza.

“Avete voglia! Quello lì fa tanto il puritano ma trangugia vodka come fosse acqua, forse solo Death Mask può reggere il confronto, ma ha molta meno resistenza!”

“Ieri mi ha fatto bere della roba che voglio sperare non sia alcool, perché mi sento come se fossi ubriaca da stamattina e la testa mi gira!” biascico, entrando nel discorso ma non guardandoli in faccia, completamente assuefatta dalla luce del lampadario sopra di me.

“Oh, dubito che Camus ti abbia dato quella roba, deve trattarsi delle sue brodaglie, che sono anche peggio di un sano bicchiere di rum, o vodka, o cognac… vuoi provare?”

“Non credo che mi interessi, Milo...” lo fermo, prima che il mio amico parta come la tangente alla stessa maniera di Cardia.

“Eeeeeeeeeeeeeehh?!? - un urlo di delusione che si prolunga e languisce – Non vorrai diventare come lui, eh?! Dai, Marta, so che puoi fare di meglio, vieni con me una di queste sere e vedrai che l’alcool non avrà più segreti per te!”

“Milo, grazie per l’offerta, ma… davvero, mi si rigira lo stomaco al solo pensiero!”

“Non ci credo! Sei sua sorella, devi avere la stessa tempra, ed io vorrei proprio conoscerla! Su, quando starai meglio vieni con me al pub e...”

Ma viene interrotto sul più bello dallo sbattere della porta dietro di sé. Si fossilizza, rizzando la schiena.

“Milo… attento a chi ti scegli come compagna di bevute. Anche se sei il mio migliore amico alcune cose non te le puoi permettere!”

“Eccolo qui il fratello protettivo… - sillaba Milo, facendo il più bel sorriso stirato in grado di produrre – Ben tornato, Cam, sempre al momento propizio!”

Mio fratello lo guarda con la solita aria infastidita che ha quando qualcuno diverge dalla sua linea di pensiero, se poi quella persona cerca di portare sulla ‘cattiva strada’ me, cioè sua sorella, la questione si fa ancora più seria, nonostante sia Milo a farlo.

“Sì, giusto in tempo per impedirti di traviare Marta… Per Atena, Milo, mi hai fatto immaginare un quadro terribile in cui tu e Death Mask la portate ad ubriacare, mi è passato un brivido lungo la schiena!”

“No, Cam, sto solo cercando di non renderla un adulto palloso come te, è ancora in tempo per salvarsi! E poi cosa c’entra Deathy?! Davvero pensi che la porterei con lui a bere?!? Meglio Aiolia, allora!”

“Beh, non lo fare in ogni caso… non ha mai sentito il bisogno di ricorrere a queste cose per sentirsi ‘come gli altri’, ha una volontà propria, contrariamente alle altre ragazzine, quindi non cominciare tu ora a portarla in certi posti...” lo avverte, sinistro, posando quanto preso sul tavolo.

“Agli ordini!” lo canzona Milo, occhieggiando verso di me con espressione furba, ormai si è fissato, non mollerà l’osso per nessuna ragione. Fortunatamente comunque, nell’immediato, è Michela che cambia totalmente argomento.

“Maestro!!! E tu l’hai visto il cespuglietto di Marta?”

“Il che..?!?” risponde, basito, non comprendendone il filo logico.

“Massì, il cespuglietto! - indica i capelli Michela, prendendo i suoi e sollevandoseli per farsi capire – Generalmente ha i capelli lisci là sopra, ma è da stamattina che ce li ha tutti ribelli, esattamente come i tuoi!” ridacchia, divertita, totalmente su di giri.

Camus non ribatte niente, ma raddrizza la schiena, mentre il suo sguardo cade su di me, ancora stesa sul divano.

“Michela, ma tu piuttosto che stare zitta sproloqui su ogni cosa fatta e creata?! - commenta Sonia, scrollando la testa con rassegnazione – Marta e Camus sono fratelli, è normale che si somiglino!” dice, pratica, sbuffando.

“Eh? Ma era una cosa carina da dire! Non pensi che faccia piacere anche al maestro saperlo?” chiede, interrogativa.

“Come se non se ne fosse già accorto… così lo imbarazzi solo!”

Camus intanto si avvicina a me, inginocchiandosi ai piedi del divano.

“Come stai?” mi chiede con dolcezza, posandomi la mano fresca sulla fronte. Gli sorrido grata, felice del suo interessamento.

“Non avverto dolore ma… mi sento totalmente sfasata e a pezzi!”

“E’ normale questo, ieri ti ho dato un dosaggio elevato proprio per soppiantare il dolore, ma gli effetti controproducenti sono questi. Riposati mentre preparo il pranzo. Devi mangiare, altrimenti la pressione ti va a terra!” mi consiglia, accarezzandomi i capelli con le dita eleganti, prima di girarsi verso gli astanti e strigliare immediatamente Milo, il quale, come un gatto incuriosito, stava sbirciando nei sacchetti posati sul tavolo.

“Milo, te le taglio quelle mani! Sei proprio impossibile a volte!” commenta mio fratello, sbuffando, il tutto mentre il compagno maneggia una piantina che non riesco ad identificare bene.

“L’hai trafugata ad un altro contadino questa?!? E poi quest’altra roba cosa è?” domanda a raffica, attirando anche gli sguardi delle altre.

“E stai un po’ zitto e ferma quelle mani!”

Nonostante il tono rude, lo stesso Camus sta sorridendo, sereno, perfettamente a suo agio.

“Maestro, ma questa… questa è!!!”

“Sì, Michela!”

“E’? Cosa è?!” fanno eco Milo e Sonia, annusando la piantina. Mi metto a sedere, frastornata da quel chiasso e desiderosa di scoprire cosa ha attirato così tanto l’attenzione. Vorrei alzarmi, ma il profumo che lento mi inebria le narici, mi toglie ogni dubbio prima della vista.

“Camus… ma questo è l’inconfondibile profumo del basilico!”

“Sì, piccola mia...” mi sorride con tenerezza, procurandomi un calore intenso e caro nel comprendere finalmente le sue intenzioni.

“Lo hai… visto nei sogni?” chiedo, gli occhi luminosi.

“Che stravedi per il pesto? Sì… erk, trenette al pesto, giusto?” chiede conferma. Annuisco trepidante, alzandomi in piedi e guardandolo con gratitudine.

“Grazie… lo hai fatto per me!” dico solo, arrossendo un poco. Di colpo, è come se lo stomaco si fosse rigirato bene alla sola idea della pasta al pesto in sé, il mio piatto preferito che non mangio da mesi, ovviamente il piatto ligure per antonomasia!

“Maestro, ma quindi farai la pasta al pesto?!” chiede conferma Francesca, a sua volta emozionata. Quel particolare piatto mette d’accordo tutti, probabilmente anche Milo e Sonia che non lo conoscono, ne sono sicura.

“Sì, o almeno ci provo...”

“Mitico!!!” urla Michela, al settimo cielo.

“Il neso al peso cosa sarebbe?”

“Pasta al pesto, Milo!!! Non la conosci?!” domanda Michela, incredula.

“Sono greco, non so di cosa parliate...”

“Pasta al pesto!”

“Va bene, e cosa sarebbe?”

“Piatto italiano, anzi genovese!” dice Michela, tutta impettita.

“Ah, ho capito… quindi sei andato a prenderlo a Genova, mio caro Cam?”

“No...”

“Non eri tu per l’ecosostenibilità?!”

“Non ho bisogno di andare a Genova per prendere un po’ di basilico...”

Noi li guardiamo senza capire, aspettando spiegazioni o da uno o dall’altro. Milo nel vedere il nostro straniamento si affretta a spiegarci.

“Camus non va ai supermercati come i comuni mortali, no! Lui è per agricoltura biologica!”

“Milo!!!”

“Che c’è, non vuoi rendere partecipe le tue allieve sulle tue fisime?” lo canzona Milo, allegro.

Noi continuiamo a non capire, puntando il viso da una parte all’altra a seconda di chi prende la parola, eccetto Sonia che sembra sapere tutto, come sempre.

Il battibecco tra i due continua per un po’, tra lo Scorpione che, oggi in particolare, sembra specificatamente iperattivo e Camus che tra una manovra e l’altra, si mette di impegno per zittire Milo e preparare al contempo il pranzo. Le mie amiche e Hyoga si godono la scenetta, del tutto simile a quella di una famigliola comune, del tutto simile… alla mia vita di prima, quando andare a mangiare a casa di Stefano o Michela era un’occasione di festa, tra le fatiche della scuola e i compiti a casa. Già, un’occasione di festa, ignara di tutto, dell’esistenza dei Cavalieri, di un nemico spietato, di mio fratello… provo una sensazione agrodolce a questi ricordi, che sembrano così distanti da me come un sogno sfumato. Era tutto così perfetto allora, ero una persona normale, una bambina, e poi ragazza, dedita allo studio e a non deludere mia madre. Lentamente le mie palpebre si chiudono, i contorni della cucina si oscurano, dando spazio ad una leggere brezza di fine estate. Odo lo stormire delle foglie sopra di me, i fili d’erba, cheti, ondeggiano appena e fa ancora caldo, ma la luce è già morente, come muore una goccia nel mare…

 

Marta...”

Mugolo contrariata a quel disturbo, tornando a concentrarmi sul sole davanti alle mie palpebre, che tengo chiuse, ne avverto il calore.

Marta… tra non molto ricomincerà la prigione, non è forse così?”

La prigione?! Apro gli occhi sussultando a quella parola. Mi guardo intorno, scorgendo gli occhi dolci di Stevin, appoggiato composto al tronco del tiglio, il nostro albero.

La prigione?” ripeto, quasi sconvolta.

Sì, la scuola...”

Ah...” biascico, guardando il paesaggio sotto di noi, la valle pullulante di vita, dalla nostra posizione altolocata. La superba fortezza di Cerviasca, il nostro regno. Chissà cosa andavo a pensare ora con quel termine, che sia stato un brutto sogno? Mi rannicchio, inseguendo la via della cogitazione. Tutto è esattamente come prima, il verde opaco della Valbrevenna sta perdendo vigore, siamo a settembre, del resto, ma ancora la vegetazione da i suoi colori più sgargianti, soprattutto al tramonto, cioè ora. Il sole sta calando, è tutto è perfettamente come prima, come doveva essere, come sempre sarà. Chissà cosa andavo a pensare con quella parola… ero davvero convinta che il tempo si fosse fermato? Che tutto fosse stato congelato? Che… che brutto sogno…

Non ho affatto voglia di tornare in quel luogo, io voglio continuare ad aiutare mio nonno, stare in mezzo alla natura selvaggia. Ciò che ci insegnano sui libri è tempo perso, parole vacue, io voglio vivere tutto sulla mia pelle!” continua drasticamente Stefano, esagerando come suo solito. Potrebbe fare il drammaturgo da grande, è bravo a scuola ma ha scarsa voglia di applicarsi, è uno spirito libero che vede di malocchio tutto ciò che lo può distogliere dai suoi interessi.

Tuttavia… la valle sigillata, la valle pullulante di vita, la valle passata, abbandonata, poi recuperata. Cosa è sogno, cosa è realtà?

Che ti succede?”

Eh?!?” domando, come ridestatami improvvisamente.

E’ da prima che sei assente...”

Oh, ecco io… ogni tanto fatico a capire cosa sia vero e cosa falso… Mi sembra di essere in due posti diversi, di dover fare due cose diverse ma, ogni volta, qualunque sia la parte in cui sto, mi dico di star sbagliando, che dovrei essere altrove”

A questo punto Stefano, inarcando un sopracciglio, bussa sul tronco con espressione furba, prima di approcciarsi a me.

Questo è autentico – mi dice, poco prima di picchiettarmi sulla fronte con un largo sorriso – Anche questa è vera, fin troppo! E, purtroppo, anche il fatto che dopodomani torneremo a scuola!” sbuffa, sedendosi platealmente al mio fianco.

A me non dispiace così tanto, adoro imparare cose nuove...” gli confesso, un poco corrucciata. Già, dovrei essere altrove, ma dove?

Certo, sei una secchiona! - mi prende dolcemente in giro, strizzando l’occhio – No, comunque hai ragione… è bello imparare cose nuove, ma non con questi metodi, cioè, è tutto sbagliato! Così quelli là ti fanno passare la voglia di impegnarti!” gonfia le guance, seccato.

Beh, dai, basta solo abituarsi, no?”

Quello sì, ma c’è un’altra cosa...”

E sarebbe?”

Non mi piace il fatto di dover stare nove mesi senza vederti. Forse… forse, se tu fossi con me… sarebbe diverso!” mi confida, improvvisamente rosso in viso, facendomi imbarazzare a mia volta.

Pochi secondi dopo mi alzo in piedi, voltandomi poi nella sua direzione a braccia spalancate.

Vorrà dire che quest’anno ti verrò a trovare per le vacanze di Natale, è una promessa e, se vorrai, faremo così tutti gli anni da adesso in avanti!” lo incito, sorridendo raggiante.

Non lo posso vedere dritto in faccia ora, ma il suo mormorio sommesso unito ad un rumore di qualcuno che si sposta sull’erba, mi fa capire di averlo imbarazzato ancora di più.

Marta, io...”

Uhm? Che cosa mi aveva detto dopo quella frase? Perché non riesco a rammentarlo con discernimento? Mi sento come se fossi frammentata in mille mila e più ricordi, ho sempre più difficoltà a concentrarmi su me stessa, io… chi sono? Quante me esistono nelle dimensioni?

“Marta...”

Un’altra voce, più melodiosa e aperta; una voce da uomo, ancora una volta mi aggrappo a lei con tutte le forze di cui dispongo, ritrovandomi a scambiare il mio sguardo con un altro paio di occhi blu, parecchio famigliari.

“Camus, io… scusami...” sussurro, spalancando gli occhioni e tremando con forza. La sua mano è sulla mia guancia, mi conforta, poiché mi ritrovo ad essere spaventata come non mai.

“Stai tranquilla, ti sei solo addormentata, ora sei di nuovo qui, al sicuro!” le parole enigmatiche di mio fratello hanno però un senso pieno per me, che mi metto a sedere e mi ritrovo a stringergli i polsi per paura che mi possa sfuggire ancora, che mi possa sfuggire la realtà come sta accadendo troppo spesso.

Stava accadendo di nuovo, come durante la missione, le due scene si confondono, fiaccandomi nello spirito e confondendomi su quale sia la vera realtà. Succede sempre quando mi addormento, rischiando di smarrirmi nei sogni, scambiandoli per il vero. Mi massaggio la fronte sudata, guardandomi intorno. La tavola è apparecchiata e tutti sono seduti, mi guardano con un pizzico di attesa, perplessità e timore. Camus mi scrolla dolcemente, spingendomi ad alzarmi per prendere il mio posto, faccio quanto tacitamente chiesto, barcollando esaustivamente ma riuscendo nella mia impresa. Subito il chiaro profumo del basilico si instilla nelle mie narici, facendomi svegliare del tutto. E di colpo il bisogno di mangiare per recuperare energie soppianta tutto il resto.

Camus si posiziona vicino a me, apprestandosi a dividere le porzioni, il tutto con le occhiate di Milo che, sempre incuriosito, si chiede a che diavoleria potrebbe mai rassomigliare quell’ammasso di pasta lunga dal colore verde che produce quel profumino invitante. Certo il basilico è ampiamente conosciuto anche qui in Grecia, ma la pasta al pesto è tutt’altro elemento!

“Premetto che è la prima volta che faccio questo piatto. Ho cercato di renderlo più fedele possibile al piatto della tradizione, anche se le varie ricette sono discordanti, pinoli o non pinoli, grana o non grana, spero possiate comunque...”

Mette le mani avanti mio fratello, porgendo il primo piatto a Michela, con l’argento vivo addosso e la voglia di assaggiare quella pietanza, ma una nuova voce blocca la scena.

“Camus? Camus, sei in casa? Ho un messaggio da parte del Grande Sacerdote...”

Si tratta di Mu, probabilmente nel corridoi dell’undicesima casa. Peggior momento per venire non poteva davvero! Mi sembrava quasi di essere una famiglia ordinaria come tante altre, quale brusco ritorno alla realtà!

Nonostante il palese fastidio per l’intromissione, giacché probabilmente era nelle idee di mio fratello ricreare un’atmosfera famigliare tra le colonne del Grande Tempio, dopo aver sospirato un’unica volta e raggiunto la quintessenza della pazienza, si permette di rispondere al parigrado.

“Sì, Mu… siamo in cucina, entra pure!” gli concede, continuando comunque a fare le porzioni.

Dei passi leggeri riecheggiano fuori dalla porta, che poco dopo viene aperta con un poco di incertezza. Nel vedere la scena davanti a sé, i dubbi di Mu diventano certezze.

“Perdonatemi, so che è ora di pranzo… vi reco il messaggio e poi me ne vado, promesso!” dice, imbarazzato, sporgendosi a mezzo busto dall’atrio per non entrare interamente nella nostra intimità.

“Non ti preoccupare… vuoi favorire? Ce ne è anche per te!” gli dice mio fratello, affabile.

Mu allunga impercettibilmente il collo per sporgersi ulteriormente, accattivato probabilmente dal profumo del basilisco di migliore qualità che è riuscito a trovare mio fratello.

“Io… non vorrei importunarvi più del necessario… ma cosa sarebbe?”

“Pasta al pesto!!! Piatto genovese!!!” gli grida di rimando Michela, euforica, mentre trangugia le trenette con tutto l’impegno che non mette nell’allenamento.

“Genovese? Ah, siete di Genova voi, giusto!”

“Vuoi assaggiare? Ce ne è anche per te!” insiste Camus, sempre affabile.

A questo punto Mu, lo vedo, è indeciso se dare voce alla sua educazione e defilarsi nel più breve tempo possibile o se, seguendo la sua insanabile curiosità, assaggiare quel piatto esotico per lui.

“Non ti preoccupare per le porzioni… ne faccio sempre di più perché Marta è una ghiottona e mangia per tre persone!” rivela Camus, mettendomi in mezzo e facendomi così imbarazzare (effettivamente mi ero già tuffata sulle trenette come se non ci fosse un domani) e scompigliandomi affettuosamente i capelli.

“Quindi… posso?” chiede ancora Mu, avanzando di un passo. Camus sorride e si alza in piedi (non riesce mai a stare fermo, perdio!), prendendo un’altra sedia e facendolo accomodare tra Milo e Sonia. Lo vedo prendere posto mentre mio fratello mette nel suo piatto una generosa porzione di trenette al pesto.

“Sapete… adoro provare cibi di diversa origine rispetto alla mia, dicono tutti che la cucina italiana sia una delle migliori, bramavo assaggiare una delle sue numerosissime ricette regionali! Se mi dai la ricetta, Camus, mi piacerebbe proporla a Kiky!” rivela, affabile, maneggiando la forchetta con grazia, non di certo come Milo che sembra stia usando un pugnale nel tentativo di attorcigliare le trenette.

Camus non ribatte niente e torna al suo posto, ma capisco che è il suo modo per far capire al parigrado che, malgrado la discussione dell’altro giorno, non ce l’ha affatto con lui. Significa anche che sta bene e che ha piacere a considerarlo come parte della sua ‘famiglia’. Tuttavia tutto questo non è, e non può essere, pronunciato, per cui rimane semplicemente al vaglio del Grande Mu, il quale, essendo molto intelligente, non dubito che abbia colto il suo messaggio.

Così tra il chiacchiericcio di tutti meno quello di Hyoga, silenzioso già di suo ma in questo periodo totalmente inespugnabile, persino più di Camus, ci mettiamo a mangiare di buona lena, tutti contenti.

“Mu, quale è la ragione della tua venuta?” chiede cordialmente mio fratello, al termine della mangiata, sorseggiando un goccio di vino della Borgogna, che da buon francese doc si gusta con lentezza degna di un principe.

Mu si schiarisce la voce, poco prima di pulirsi le labbra con eleganza prima di posare il tovagliolo, ben piegato di fianco al tavolo. Li guardo ammirata e lo stesso fa Sonia, scambiandomi un’occhiata loquace. Certo che sembra davvero di essere alla tavola di due nobili, non come Milo, Michela ed io che sembriamo appena usciti dalla tavernetta del malandrino. Noi da una parte, la finezza dall’altra, esemplificata da loro due.

“Camus, il mio Maestro Shion ha chiesto cordialmente la presenza di Marta, e solo lei, domani mattina al tredicesimo tempio...” spiega le sue ragioni Mu, un poco cupo. Mai quanto mio fratello. I suoi occhi si sono fatti proprio neri da quanto si sono rabbuiati.

“Marta? Di già? Non si è ancora del tutto ripresa dalle ferite subite nella missione, non...”

“Stai tranquillo… non la vuole lì per quel motivo, solo… parlarle di una cosa importante e segreta. Neanche io so molto, mi ha detto solo di riferire questo!”

Camus rimane a fissare il bicchiere davanti a lui, immobile. La piega delle sue labbra non è univoca, trasmettendomi la sensazione di un’inquietudine crescente. Sta soppesando l’eventuale risposta, ma c’è qualcosa che lo blocca, rendendolo incerto. Alla fine si volta verso di me con espressione serissima, quasi facendomi prendere un risalto.

“Marta… cosa vuoi dunque fare?”

Rimango imbambolata a fissarlo per alcuni secondi, confusa. Dunque vuole far scegliere a me, nonostante lui sia limpidamente contrario e tema forse qualcosa.

“Se è solo parlare non dovrebbero esserci alcun problema, no? E poi mi farà bene fare due passi, vero, fratellino?” rispondo, ricercando comunque un suo appoggio.

“Sì… suppongo di sì… - mormora, laconico, alzandosi e dandomi le spalle, la sua mano destra è stretta a pugno, ma non lo da a vedere – Bene, il pranzo è finito, siete liberi di trascorrere il pomeriggio come meglio preferite!” da il liberi tutti, cominciando a sparecchiare.

“Maestro, non vuoi una mano? I piatti sono tanti!”

“No, Michela, non preoccuparti. Mi aiuta a schiarirmi le idee” asserisce solo, facendoci intendere che, perso nei suoi pensieri, non parlerà più fino a stasera.

 

 

* * *

 

 

19 ottobre 2011, notte

 

 

Avverto appena la mia testa ciondolare, prima di cozzare contro la colonna dietro, facendomi risvegliare di soprassalto. Mi strofino la nuca, confusa, poco prima di infagottarmi nuovamente nella felpa e tornare a sedermi. Prendo un profondo respiro, maledicendo la scarsa funzionalità del caffè che avrebbe dovuto mantenermi vigile e che invece non ha tali effetti. Ho troppo sonno per tutto, per rimuginare, per muovermi, persino per tenere le palpebre aperte, eppure ho paura ad addormentarmi; paura… di rimanere incastrata nel sogno. Ho la tetra e trita sensazione di non poter chiudere gli occhi senza perdere anche, in qualche modo, me stessa. Per questo motivo mi sono seduta fuori dal tempio, non vista, perché non posso in alcun modo stare nel letto e rischiare di essere presa, come successo già nella valle e oggi pomeriggio, non posso permetterlo, anche perché rischierei di arrendermi a quell’irresistibile, quanto falsamente lusinghiero, desiderio. Non mi resta quindi che vegliare, non cedendo alla tentazione di affogare nel mare dei ricordi.

Mi sistemo meglio contro la colonna, socchiudendo di nuovo gli occhi. Certo che… mi sento davvero stanca, stressata e diruta, forse… forse potrei permettermi di…

Improvvisamente dei passi mi fanno rizzare la schiena, lesta, sporgendomi quanto basta per riconoscere le due sagome appena uscite dall’undicesima casa, una molto più alta e slanciata, l’altra più bassa ma encomiabilmente elegante, con i lunghi capelli lisci che le ricadono sulla schiena. Spalanco le iridi, riconoscendo la mia amica Francesca e mio fratello Camus che, proprio in questo momento, si fermano appena fuori dall’entrata del tempio. L’ombra mi nasconde, non facendomi vedere, ma ho comunque l’istinto di celarmi totalmente dietro alla colonna portante, sentendomi sporca nell’udire involontariamente una loro conversazione che, con ogni probabilità, dovrebbe rimanere segreta tra loro. Mi acquatto per terra, tesa.

“...per la questione di cui ti volevo accennare… - sento dire da Francesca, criptica, arrestando il suo moto – Ho bisogno di confidarmi con te e di dirti una cosa importante...”

Camus non risponde subito, lo avverto fare qualche passo per poi sedersi sulle scalinate, sospirando.

“Tra quello che mi hai raccontato tu e ciò che mi ha detto Marta sono riuscito a comprendere come si sia svolta la missione – dice, pensieroso e cupo, tanto che mi spinge a gettare uno sguardo nella loro direzione, sempre senza farmi vedere – Siete state davvero brave, era una missione difficile e non consona al vostro livello, men che meno da quando siete state risucchiate dalla valle!”

“Ancora stento a crederci a quello che è successo… Michela ed io avevamo dimenticato, è solo grazie a Marta che siamo riuscite a penetrare all’interno della valle che pure ci ha visto crescere...”

Camus le scocca un’occhiata grave, delle sue, poco prima di tornare a contemplare la volta celeste, un fremito che lo percuote e che si concretizza nella frase successiva.

“Le tenebre sono molto forti ora… ciò che è successo potrà di sicuro ripetersi se non agiremo per tempo. Sappiamo della Valbrevenna perché avete forzato l’accesso, ma… chi può dirci che altri luoghi sparsi per il mondo non abbiano fatto la stessa fine?”

“Hai una qualche pista? Pensi… pensi che domani ci saremo di nuovo dimenticate di quel luogo?” chiede Francesca, apprensiva, portandosi una mano al petto.

“Nessuno può dirlo… Marta lo ricorda, a prezzo elevatissimo visto le conseguenze che questa missione ha portato su di lei, ma se questa situazione perdurerà non lo posso certo dire con certezza...”

“C’entra di nuovo il Mago?”

“Molto probabilmente… sì! Tuttavia numerose cose non tornano, soprattutto nei riguardi di quel ragazzo, l’amico di Marta… Non è usuale che si possa muovere nel tempo fermo. Probabilmente sarà a sua volta vittima, ne sono sicuro, però è necessario utilizzare le dovute precauzioni”

Sbuffo tra me e me, un poco contrariata dai discorsi di Francesca e Camus. Che mio fratello si confronti spesso con lei è un fatto assodato e non ne sono gelosa, anzi, è un bene per entrambi, ma è questo continuo volermi tenere fuori dalla sofferenza, come se con me usassero sempre i guanti perché troppo fragile, che mi irrita. Non mi piace per niente essere trattata ancora come una ragazzina, vero che Camus e Francesca sono più grandi di me, ma se si risparmiassero di trattarmi con tutti i riguardi sarebbe anche meglio. Sto diventando forte per loro, per proteggerli, eppure non me lo concedono, lasciandomi fuori dalle cose più gravi.

“Camus… per quanto concerne il sonno di Marta, temo che...”

“Uhm, sì, penso di averlo capito anche io: rischia di non riuscire più a distinguere la realtà dal ricordo. Se le cose permarranno così, rischierebbe di non svegliarsi più. Lo so, me ne sono reso conto, Francesca...”

Un brivido mi scorre lungo la spina dorsale mentre mi sporgo ancora di più con l’intento di udire tutto l’udibile.

“In Valbrevenna lei… ha ritratto un quadro frammisto di due elementi, il suo passato e il suo presente. Quando sono entrata nel sogno, con gran fatica, perché mi respingeva inconsciamente, ho potuto appurare che quella che stava immaginando era esattamente la sua vita a Carsi, con l’aggiunta di un nuovo elemento: tu!”

Camus sospira affranto, rialzandosi a guardare negli occhi l’allieva. Cambiando così posizione non riesco più a vedere il suo viso, ma ne avverto l’immensa paura che lo avvolge, spietata, sulle tracce di un sentiero che non esiste più.

“I nonni hanno preso casa a Carsi per trascorrere l’anzianità lì, Marta ha passato tutte le estati della sua vita, dal 1999 al 2009 là, ho visto tali frammenti nei sogni che, nostro malgrado, condividiamo...” narra, in tono leggermente tremante.

“Già, era la sua vita e ha desiderato riaverla indietro con te, per questo è rimasta avvinghiata al mondo dei sogni, ogni volta che chiude gli occhi rischia; rischia che il tempo interno della valle, ora ferma, la risucchi dentro. Non so se fosse programmato o no, nei piani del nemico, ma bisogna stare in guardia. Anche quegli esseri incappucciati neri… cosa avranno mai potuto essere? Ho paura, Maestro Camus, paura per Marta, per noi, per le sorti di questa bella Terra e anche per te, perché ora sappiamo il fine del Mago, cioè possedere il tuo corpo… - rivela, davvero agitata, come mai l’ho vista, tanto da spaventarmi – Gli ingranaggi si stavano muovendo già da prima, noi, quest’estate, li abbiamo interrotti, ma ora… ora hanno ripreso a girare, accelerati del doppio. Potremo bloccarli di nuovo, oppure…?”

Continua a confessare le sue paure, assai più umane che divine, prima di essere fermata da Camus stesso che, gentilmente, le mette le mani sulle spalle, fissando la sua espressione negli occhi dell’allieva.

“Francesca… non ti dirò di non angustiarti, sarei falso se lo facessi, però ti posso assicurare che non permetterò tanto facilmente al Mago di fare il bello e cattivo tempio in questa dimensione con il mio corpo. Mi avete regalato una nuova vita, la quarta, proprio voi che siete entrate nel nostro mondo da così poco tempo, consegnandoci una nuova speranza. Non mi arrenderò per nessuna ragione, ve l’ho promesso – confida a sua volta, genuinamente, alzandole poi delicatamente il viso che la mia amica si ostinava a tenere abbassato, preda di un qualcosa più forte di lei – Puoi stare certa di questo, se si può essere certi di qualcosa in questo breve istante di tempo in cui siamo vivi, non getterò più la spugna, come avvenuto nel 1741, non permetterò che vi succeda qualcosa, con tutte le mie forze, e… proteggerò Marta, costi quel che costi! Ne ha già passate tante e ha dovuto combattere da sola per anni, ma ora ci sono io con lei, potrò finalmente assecondare il mio ruolo di fratello maggiore come per troppo tempo non ho potuto fare a causa della distanza!”

Vedo Francesca sorridere teneramente, non ricambiando pienamente il gesto ma rasserenata nello spirito dalle sue parole, il loro rapporto è quello di una muta e innata comprensione con poche, semplici, parole. Sono molto teneri, insieme...

Io qui non sono null’altro che un’estranea, non è il mio momento, sebbene mi ci sia trovata per caso. Ben consapevole ci ciò, mi raddrizzo e faccio per ritornare in camera, cercando di non farmi percepire. Sono già girata di spalle e sto per andarmene, quando una nuova domanda viene gettata nell’aria.

“Camus… per l’altra questione, pensi glielo dirai a Marta?”

“Che stamattina ho parlato con Stefano? Sì, ma non ora, è troppo provata, ha solo bisogno di tanto riposo, null’altro!”

Mi pietrifico all’istante, sgranando gli occhi. Non un movimento esteriore, ma dentro di me un coacervo di congetture si muove nelle più impensabili direzioni.

“E’ un bravo ragazzo, vero?” chiede conferma Francesca, ora di nuovo serena.

“Sì… non ho riscontrato malvagità in lui, ma... mi spaventa!”

Rialzo la testa, chiedendomi tacitamente a cosa si possa riferire, poco prima di essere svelato con il proseguimento della frase.

“Mi spaventa… l’astio che prova per Marta, come se lei gli avesse fatto qualcosa, o peggio, come se lei avesse mancato di fare qualcosa a cui lui teneva. Non ha comunque alcuna cognizione di questi due anni, la sua mente è ferma ad ottobre 2009, per sua stessa ammissione. E’… è successo qualcosa in quella data?” chiede conferma mio fratello, teso.

Io intanto stringo i pugni, avvertendo di nuovo il peso delle lacrime, non volendo però cedere ad essere. Digrigno i denti esasperata, bloccando con ogni mezzo in mio possesso la rimembranza di quei dolorosi momenti.

“Altroché se è successo qualcosa… - confessa ancora Francesca in tono compresso – I mesi di ottobre e novembre del 2009 non sono stati una passeggiata per Marta, è riuscita a riprendersi parzialmente solo con il nuovo anno. E’ partito tutto dall’alluvione in Valbrevenna in cui Stevin è stato dato per disperso e poi creduto morto. Come se non bastasse, a novembre...”

“Aspetta… - il tono di mio fratello è strano e innaturale, sembra quasi metallico, rauco, forzato – Che… che giorno di novembre?”

“Ora… ora non ricordo bene, sarà stato il… il 20, forse...”

Tutto tace intorno, persino il venticello smette di soffiare, facendoci immergere in un’atmosfera innaturale, così come i silenzio tra noi. E, persino senza vederlo direttamente in faccia, sono ampiamente certa che l’espressione di Camus, ora come ora, rispecchi la mia, ovvero un urlo viscerale che tuttavia non si manifesta fuori, creando una dissonanza interna che sbatte contro le pareti del cervello, procurando un dolore ampio e acuto.

“Il… il 20… - riprende, dopo aver metabolizzato alla ben meglio quanto appurato da Francesca – E’ il giorno della scalata delle 12 Case, il giorno in cui...”

“Urk...” mi sento cadere a terra, tonfando, da quanto mi sono sentita male. So che, da dietro, mi hanno sentito, perché Camus si è bloccato nel suo discorso e ora avverto dei passi in avvicinamento. Coagulando tutte le mie forze nelle gambe, mi rialzo scattando poi in direzione dell’entrata con il solo scopo di rifugiarmi in camera mia e chiudere la porta a chiave.

“Marta!!!” mi sento chiamare con apprensione, ma non mi volto, accelerando invece l’andatura per poi celarmi ancora di più grazie all’ausilio delle tenebre.

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Questo capitolo, oltre ai momenti teneri e pucciosi, potremo chiamarlo “come espatriare la pasta al pesto in tutto il mondo” (Genovese DOC, proprio, un po’ come Camus e il suo vino della Borgogna!). A parte gli scherzi, eccoci qui al quarto capitolo, in cui i passaggi futuri si cominciano a delineare. E’ un capitolo di pausa, i prossimi due, come ho già detto a qualcuno, metteranno luce sul passato di Camus e sul suo entrare a contatto con il mondo del Santuario, oltre ovviamente all’approfondimento di determinate questioni tra cui il Potere della Creazione.

Non c’è molto da dire, salvo che spero possiate apprezzare anche questo capitolo. Nella mia linea temporale, la data della Battaglia delle 12 Case è il 20 novembre del 2009 e, come si vedrà, avrà avuto determinate ripercussioni non solo per lo stesso Camus, ma anche per Marta, sebbene ai tempi non lo conoscesse direttamente. Non vi anticipo comunque altro! Ringrazio tutti per seguirmi, recensire, insomma farmi capire che apprezzate questa storia, grazie di cuore e… alla prossima! :)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Creazione e distruzione (prima parte) ***


Capitolo 5: Creazione e distruzione (prima parte)

 

 

20 ottobre 2011, mattina presto

 

 

Mi sono alzata prestissimo all’alba, senza neanche aver dormito per paura di essere risucchiata dal sogno. Nessuno è venuto a cercarmi, malgrado sia mio fratello che Francesca abbiano capito di aver fatto un passo falso ieri, presupponendo che non ci fosse nessuno fuori, e quindi parlando, facendomi così ascoltare tutta la conversazione che invece avrebbe dovuto rimanere intima fra loro. Meglio così, non ho la forza di affrontarli ora, né tanto meno di parlare di Stevin. Quando Camus se la sentirà, mi spiegherà che diavolo ci è andato a fare ieri mattina a parlare con il mio amico, anche se non so se io possa definirlo ancora tale, ugh… In più, l’ultima parte del discorso era molto confusionaria, non ho capito granché, mi ha solo fatto venire un gran mal di testa.

Mi appoggio ad una colonna del tempio, prostrata, buttando un occhio in direzione della tredicesima casa. Vado a zonzo dall’alba e ora sto andando a parlare con Shion, ma la mia mente è altrove, a quel 20 ottobre del 2009, a quell’infausto giorno di due anni fa, che ha visto la fine della mia infanzia, e a quella dannatissima alluvione, capitata proprio il giorno del compleanno del mio amico.

 

Mi spaventa… l’astio che prova per Marta, come se lei gli avesse fatto qualcosa, o peggio, come se lei avesse mancato di fare qualcosa a cui lui teneva. Non ha comunque alcuna cognizione di questi due anni, la sua mente è ferma ad ottobre 2009, per sua stessa ammissione.

 

Ha ragione mio fratello… fin dal nostro insperato incontro nella Valbrevenna oramai sigillata, Stevin non fa che guardarmi con astio, come mai non ha fatto in vita sua, non avrei mai creduto potesse provare un tale sentimento per qualcuno, men che meno nei miei confronti, lui, così gentile e buono… stento ancora a crederci!

Perché? Perché mi odia?!? Cosa gli è successo in questi due anni, dove è stato? Non è possibile che la valle sia stata bloccata da più di un mese, perché le testimonianze sono recenti e… e…

Mi prendo la testa fra le mani, sempre più confusa e annichilita. Non so da che parte sbattere la testa, non so se sto facendo bene oppure no, non so neanche cosa sia giusto o sbagliato, cosa sia falso o cosa sia veritiero. Non ho informazioni sufficienti, non ho niente tra le mani, eppure non faccio che torturarmi psicologicamente. Trattengo il respiro per una serie di secondi, come ho imparato a fare per tranquillizzarmi. Cerco quindi, con tutte le forze, di tornare alla calma, inspirando ed espirando con enorme sforzo.

Ho l’impulso di correre da lui e chiarire al più presto, oltre a sincerarmi delle sue condizioni, ma Shion mi ha convocato, non posso certo disdire. Coniugando tutte le mie energie per seppellire a viva forza le mie intenzioni, rialzo il capo con l’intento di arrivare finalmente al tredicesimo tempio, ma colui che vedo appoggiato ad una colonna poco sopra di me, del tutto incurante del mio stato, malgrado lo abbia visto con i suoi occhi del tutto simile ai miei, mi paralizza per un nanosecondo, in tempo comunque per mutare il mio sguardo in uno più truce.

“Buongiorno, figlia...”

‘Buongiorno, figlia’?!? Ma vai a cagare…

Sbuffo contrariata, atteggiandomi da Camus quando è seccato da qualcuno, e passo oltre, non degnandolo di uno sguardo, che intanto ho già tante cose per la testa, mi ci manca mio padre che mi si palesa davanti dopo mesi di latitanza, davvero pessimo!

“Nonostante il nostro rapporto sia migliorato, non perdi il vizio di essere supponente, così come tuo fratello...” mi rimbrotta subito, senza particolare enfasi.

Ah, il rapporto sarebbe migliorato?! Beato lui che lo riesce a vedere! Sì, certo, è un po’ meno vegetale ghiacciato rispetto al primo incontro, ma assolutamente inconciliabile con il mio essere, oltre al fatto che lo vedo a spizzichi e bocconi, come può pensare di costruire un qualche tipo di rapporto con me?!

“Potresti almeno salutare tuo padre...”

Ma non mi dire… si è offeso?! Questa è bella!

Sospiro, rivolgendogli uno sguardo glaciale ma concedendogli, con ‘buona’ disposizione d’animo, almeno una risposta.

“Il papino, invece, avrebbe almeno potuto farsi vivo in questi mesi… sai com’è, suo figlio maggiore è stato ad un passo dalla morte a causa della peste, ed è ancora debilitato. Come se non bastasse… mmm, mi sfugge qualcosa? - domando retoricamente, simulando di aver dimenticato una cosa che invece so benissimo – Ah, già… prima di quella volta suo figlio è stato ferito gravemente al torace, finendo in coma, non mi pare di aver mai udito accenni di preoccupazione da parte sua!”

Convinta di non aver più altro da aggiungere, giro i tacchi con l’intento di andare da Shion, ignara di avergli mostrato una via per contrattaccare, cosa che non tarda a fare.

“Non mi sembra di essere stato io a scappare preda dei sentimenti, obbligando così Camus a farti da scudo per proteggerti!” ribatte, serafico.

Accuso il colpo, sussultando, ma non mi do per vinta, voltandomi di nuovo e scendendo di qualche gradino per guardarlo dritto negli occhi, furente.

“Efesto, non osare! Non parlare così a cuor leggero di quel fatto, SOPRATTUTTO con quel tono disgustato!”

“Non era mia intenzione...”

Raduno tutte le mie forze per seppellire l’ascia di guerra, giacché non sembra giunto qui allo scopo di provocare, inoltre perseverare nelle accuse renderebbe solo me più infantile, e non è proprio il momento, questo.

“Noi divinità abbiamo il nostro bel da fare sull’Olimpo. Come sai, durante il vostro scontro con i falsi Hades, Ares e Apollo, è caduto tutto in rovina. Non ho quindi il tempo per venire qui e perdermi in convenevoli! – mi spiega, cauto – Tanto ci sei tu con Camus, gli hai salvato la vita, posso stare tranquillo!”

Il suo tono pacifico, anche se distante e ruvido, mi mette quasi del tutto a mio agio, permettendomi di tornare a guardare mio padre senza più quel velo di odio che ogni tanto provo. Non sono ancora in vena di confidenze con lui, mai lo sarò, ma almeno possiamo parlare senza scannarci. Nonostante questo, mi sento di aggiungere ancora una cosa.

“Non hai tempo per il tuo ruolo paterno, lo capisco… non lo hai mai avuto, del resto, ma non chiedere nemmeno a Camus un comunissimo ‘come stai?’è cosa ben grave… - gli dico, abbassando lo sguardo – Lui… lui, anche se seguita a comportarsi come prima, è molto debole, ci sono momenti in cui sta molto male, anche se si ostina a non darlo a vedere per non farci preoccupare, ma io lo so, so che le ferite gli dolgono ancora enormemente, per non parlare delle conseguenze della peste, di essere stato quasi posseduto dal nemico, che si ripercuotono ancora sul suo giovane e stremato corpo. Non ti chiedo di fare il padre premuroso, sappiamo entrambi che non ne sei in grado, ma almeno… almeno, quando puoi, vallo a trovare...” gli spiego, apprensiva, sospirando.

“Vedrò di fare quello che posso, anche se penso che il trattamento che riceverò sarà persino meno gentile del tuo!”

“Beh, è già qualcosa… per il resto, è il minimo, Efesto, sei il nostro padre biologico, ma non vi è alcun tipo di rapporto tra noi!” gli sorrido forzatamente, tornando a salire le scale. Lo vedo seguirmi a breve distanza, il volto serio e l’espressione un poco corrucciata, tanto da rivolgergli uno sguardo perplesso, non capendo le sue intenzioni. E’ lui stesso a chiarirmele immediatamente.

“Devi vederti con Shion, giusto? La questione è della massima segretezza, e mi è stato chiesto, in quanto padre, di collaborare” mi spiega solo, enigmatico.

Non aggiungo altro, la testa già fin troppo satura per permettersi di aggiungere altri elementi alla già ampia scacchiera precostituita che è di molto superiore a me.

Raggiungiamo quindi l’ultima casa, dove Shion ci attende. Nel momento in cui mi vede, quasi rilassa i muscoli, come se fino all’ultimo non si fosse aspettato la mia reale presenza. Lo vede approcciarsi a me con enfasi, fermandosi a pochi centimetri e chinandosi con il busto nella mia direzione. La sua fronte e i due strani segni al posto delle sopracciglia, si appoggiano alla mia pelle, sbigottendomi non poco e provocandomi l’impulso di indietreggiare, tuttavia resisto. Lo fisso ancora più sorpresa, spalancando gli occhi, mentre Shion con gesto delicato si stacca da me, sorridendomi con quei due magnifici occhi viola che si ritrova.

“Scusami per la rozzezza dei miei modi… ho invaso la tua sfera privata senza darti il tempo di reagire, ma era necessario per risvegliare il tuo ‘terzo occhio’ e destare così la tua coscienza superiore”

Effettivamente lo considero un gesto molto intimo, che uso solo con mio fratello, subirlo ora da Shion, senza avere la possibilità di opporvisi, mi rmette a disagio, soprattutto perché non ne comprendo la motivazione.

“Il terzo… il terzo occhio?” chiedo interrogativa, rammentando qualcosa a riguardo.

“Sì… voglio che tu veda la storia dalla parte mia e, soprattutto, di tuo fratello, prima di giungere qui al Tempio. Per farlo, ho avuto bisogno di toccarti in quella maniera, devi perdonarmi...”

“Io non… non capisco...” sussurro, sentendomi, per qualche ragione a me sconosciuta, sconfortata.

“Marta… il Sommo Shion vuole risvegliare in te i ricordi di quando eri una neonata di pochi mesi, implementandoli con quelli suoi e di tuo fratello, in modo da avere il quadro chiaro su una certa questione...” mi delucida mio padre, affiancandosi al Grande Sacerdote.

“Perché… perché ora?” riesco solo a chiedere, quasi meccanicamente.

“Perché è uscito il discorso l’altro giorno, perché te lo devo, visto che a causa del mio errore di valutazione avete rischiato grosso nella missione e, in ultimo, perché oltre al qui presente tuo padre, e tua madre, sono l’unico a saperlo… - inizia a spiegarmi, franco – Inoltre penso tu abbia percepito lo sguardo ricolmo d’odio di Camus, le sue frasi rancorose nei mie confronti… c’è una ragione anche per quelle, anche se tuo fratello non lo rammenta chiaramente, e tutto questo… sempre a causa mia!”

Non ribatto niente, limitandomi ad abbassare lo sguardo. Odiare è una parola eccessiva, non penso che mio fratello provi solo quello nei confronti di Shion, ma è lampante che qualcosa si sia rotto tra loro. Ho sempre avvertito stima reciproca tra i due, ma da quando siamo tornate nel nostro presente, dalla missione in poi, Camus sembra avercela in qualche modo con lui. Che davvero sia un retaggio passato? Che davvero con questa nuova vita Camus abbia deciso di dare il tutto e per tutto, più di quanto non abbia già fatto in precedenza, per la sua stretta cerchia di affetti e non solo come devoto paladino della giustizia? E’ suo diritto farlo, ma…

Dei nuovi passi da parte di Shion bloccano il flusso dei miei pensieri. Le sue mani mi toccano gentilmente le guance, spingendomi a guardarlo dritto in faccia, nuovamente in un gesto sin troppo intimo che mi imbarazza un po’. Tuttavia le sue iridi brillanti, in cui si può facilmente scorgere l’universo, mi attirano come un magnete, così come il suo sorriso gentile, ereditato anche da Mu. Non ha segni di vecchiaia in sé, il suo viso è tale e quale alla sua controparte del XVIII secolo, eppure tutto nel suo sguardo è cambiato, quasi come se la nuova vita non gli avesse appesantito il corpo ma l’anima che, da sola, deve reggere la zavorra di numerose altre vite, quelle dei suoi compagni caduti, quelle dei suoi compagni del presente.

“Ora… chiudi gli occhi e lasciati trasportare dalla corrente...” mi consiglia suggestivamente, portandomi a fare quanto chiesto. Aggiunge ancora qualcosa, ma non lo odo, perché sono ormai lontana, proiettata verso gli albori della mia vita appena formata.

 

 

* * *

 

 

Novembre 1994

 

Era una giornata grigia e ventosa tipica di Genova in quel periodo dell’anno, la Signora Antoinette ben lo sapeva, perché in quella città ci aveva passato buona parte dell’infanzia, sebbene fosse nata nella ridente costa azzurra, a Nizza. Suo padre aveva origini italiane, così come il suo nome ad Hoc, Dante, sua madre invece era francese, pertanto ne era nato un bel connubio, lei, di origini franco-italiane, infinitamente innamorata delle due città che l’avevano vista formarsi, Genova e Nizza. Malgrado quello, avrebbe voluto tornare nel posto che le aveva dato i natali per passare la brutta stagione, tutto quel grigiore la mal disponeva, rendendola triste, e lei era invece una persona allegra e solare, necessitava del sole e del bel tempo per stare meglio. Ma ovviamente un conto erano i suoi desideri, un conto le possibilità; con un lavoro da cardiochirurga all’ospedale Gaslini, il tempo anche solo per respirare era poco, unito all’impossibilità di spostarsi per lunghe distanze. Se, in più, a questo, si aggiungeva il dover mantenere due figli da sola, le cose si complicavano, rendendo impossibile tornare a Nizza, se non per le vacanze. Ragion per cui, l’intera famiglia si era trasferita stabilmente a Genova, città di mare, città di monti, città dalla doppia faccia, come Giano bifronte, città aperta, città chiusa, in un vertice di contraddizioni.

Arrestò i suoi passi, in attesa. Era arrivata all’asilo prima del solito, cogliendo al balzo la possibilità di andare personalmente a prendere il figlio più grande, cosa rara, dato gli innumerevoli compiti che aveva e che la costringevano a lavorare anche fino a tarda sera. Fortunatamente c’erano i nonni a prendersi cura dei figli, senza di loro sarebbe stato tutto molto più difficile. Le costava quella distanza forzata dalle sue due creature, ma era l’unico modo per permettergli una vita dignitosa, per nulla al mondo se la sarebbe lasciata scappare.

Così quel giorno di metà novembre, riuscendo miracolosamente a finire il turno per tempo, si era recata di persona all’asilo, e lì si era messa in attesa. Dopo pochi minuti, a lei si aggiunsero numerose altre mamme, talvolta accompagnate dai papà. Sorrise rammaricata. Ancora pochi minuti ancora, uno sciame di bambini si precipitò fuori, tuffandosi tra le braccia dei genitori tra le risate e i chiacchiericci generali. Antoinette non si meravigliò di non vedere il suo, di pargolo, tra la mischia, pertanto con passi eleganti e composti si recò direttamente dentro, ben sapendo che lo avrebbe trovato lì. Il suo figlioletto faceva parte dei fiocchi blu, così come il suo inusuale colore dei capelli che, la donna ipotizzava, avesse preso dal padre.

Varcò infine la soglia dell’aula, trovando conferma ai suoi pensieri, prima ancora che dalla vista, dalla voce della maestra che parlava in direzione di un bambino chinato sulla cesta di giocattoli che minuziosamente metteva in ordine.

“Su, Cammy, la campanella è già suonata, non preoccuparti di mettere a posto anche i giochi utilizzati dagli altri bambini, ci penso io qui!”

Nessuna reazione da parte del bambino che, silente e corrucciato, si spostava in giro per l’aula a prendere tutti i giocattoli in disordine per metterli nella cesta. Neanche di questo si meravigliò Antoinette, sorridendo malinconicamente a quella scena. Il suo frugoletto era un bambino speciale, lo sapeva, era diverso dagli altri, e non era solo un modo di dire.

“Buonasera!” salutò cordialmente, chinandosi un poco verso la maestra, la quale le sorrise raggiante.

“Buonasera, signora! Cammy sta mettendo a posto i giocattoli nonostante io gli stia continuando a dire di non preoccuparsi… - spiegò sbrigativa, indicandolo, ancora del tutto preso dal riordino – Cammy, su, vieni qui, c’è la mamma!”

Stavolta il bambino alzò il capo, scorgendo la nota figura di sua madre, ma non si mosse prima di aver sistemato nella cesta i peluches che le bambine, Katya e le altre, avevano utilizzato durante la giornata. Solo una volta ultimato anche quel passaggio, si decise a muoversi, prendendo il suo zainetto e avvicinandosi alle due donne. Sguardo basso ed occhi spenti. Anche di quello non si stupì Antoinette, ma le maestre, lo sapeva, facevano ancora fatica a comprenderlo.

“E’… è un bambino perfetto, tanto da sembrare finto, a volte… - lo elogiò la maestra Aurora, prendendogli la manina, Camus la lasciò fare – Mentre gli altri fanno casino, lui sta là nell’angolo a costruire con i lego, riesce a fare delle opere spettacolari per la sua età, sa? Però… però non socializza, è sempre da solo, parla poco, il minimo indispensabile, e non reagisce alle provocazioni degli altri compagni che a volte lo prendono in giro. Lui… lui è un bambino stupendo, ma a volte mi preoccupa, non vorrei che...”

Antoinette si affrettò a dire che era ben consapevole di tutto ciò che andava dicendo, che gli aveva già fatto fare visite specifiche, e che non aveva niente, risultando perfettamente sano. Era solo molto schivo e non si era del tutto abituato al trasferimento dell’anno precedente da Nizza a Genova. La maestra sorrise e annuì di slancio, un po’ più leggera nello spirito, allontanandosi poi a sistemare gli ultimi giocattoli spaiati.

In quel momento la Signora Antoinette si accorse che il piccolo Cammy aveva un livido viola sotto l’occhio sinistro, non sembrava causargli troppo male, ma era necessario indagare, perché non era la prima volta che accadeva.

“Cam… - lo chiamò, accucciandosi davanti a lui allo scopo di attirare l’attenzione – Cosa ti è successo qui?” chiese, accarezzandogli dolcemente la guancia.

“Sono andato a sbattere contro uno spigolo...”

“Stando fermo?”

Camus non rispose, si limitò a discostare lo sguardo, come faceva quando diceva una bugia, sebbene fosse raro perché non amava farlo. Era un bimbo molto giudizioso. La madre sospirò, prendendolo in braccio e sistemandogli lo strano ciuffo a cespuglietto che aveva in testa.

“Cammy, non è che… che uno degli altri bambini ti ha dato un pugno o una gomitata in quella zona?”

“...”

Era un bambino che parlava davvero poco, sebbene conoscesse fluentemente due lingue, l’italiano e il francese, e avesse imparato un sacco di parole, un vero e proprio prodigio.

“Camus, sai che, se ti picchiano, puoi dirlo a me, vero? Mi dispiace, sono spesso a lavorare, ma...”

“Non ha importanza...”

“Eh?”

“Non ha importanza se mi picchiano, sono bambini che non rappresentano niente per me, possono fare quello che vogliono, non gliela darò vinta!”

Discorso breve ma determinato. Antoinette preferì non aggiungere altro, Cammy sembrava stanco, pertanto lo portò dolcemente in braccio, la testa del piccolo sulla spalla, le manine intente ad arpionare con forza la sua giacca.

“Cam, ora andiamo a casa a ricongiungerci con i nonni e tua sorella. Ho il week-end libero questa settimana, l’occasione perfetta per stare un po’ insieme” gli spiegò, accarezzandogli teneramente i capelli che, sopra il capo, prendevano quasi vita ribellandosi in tutte le direzioni.

Al suono di quelle parole Camus si raddrizzò, fissando sua madre in trepidante attesa, gli occhi pieni di vita, luminosi come solo la sorella riusciva a ricreargli, sebbene, al momento, non fosse altro che un delicato e profumato fagottino di petali delicati.

“Da-davvero? Potrò giocare con lei, con te, e con i nonni?” chiese conferma, temendo di aver capito male.

“Certo! Questo week-end lo dedico totalmente a voi, però vacci piano con Marta, è ancora molto piccola!” confermò la signora Antoinette, felice di vedere finalmente suo figlio provare emozioni ed emozionarsi come capitava ai suoi coetanei.

Accadeva solo con sua sorella, miracolo di marzo profumato di primavera, non era che una neonata in fasce di 8 mesi, ma era stato il regalo più grande, soprattutto per il piccolo e schivo Cammy, asettico fino ad allora, che grazie alla sua nascita, aveva riscoperto finalmente il calore dei sentimenti. Perché se c’era una cosa che, fin dal principio, aveva preoccupato Antoinette, la nonna Ines e il nonno Dante, era l’assoluta incapacità del figlio più grande di cambiare espressione e interagire attivamente con l’ambiente circostante. Avevano pensato di tutto, che fosse autistico, che avesse problemi neuronali, che avesse un qualche tipo di deficit. Avevano girato pediatri diversi e specialisti vari, ma tutti avevano concordato che il bimbo non avesse nulla che non andasse, cosa che non spiegava però la sua afasia, il suo essere così assurdamente impassibile per la sua età; nonna Ines addirittura aveva teorizzato che il male non fosse fisico ma dell’anima (lei e le sue manie di richiamare il soprannaturale!) e che quindi i medici non potevano nulla, urgeva un’altra via; nonno Dante invece, uomo più concreto e un poco rude, non si era mai dato per vinto, rifiutando in tutti i modi quegli esoterismi.

Lui, personalità forte, non poteva in alcun modo accettare quella spiegazione altisonante, non si era quindi mai dato pace, cercando invece di far interagire a forza il nipote. Nessuna soluzione attuata aveva risolto alcunché nell’immediato, ma dalla seconda gravidanza in poi qualcosa di miracoloso era scattato nel piccolo. Aveva cominciato premurosamente a interessarsi delle sorti del fratellino, poi scoperto essere sorellina, chiedendo frequentemente delucidazioni su come si sentisse là dentro nella pancia della madre, un luogo buio, un luogo misterioso… e la cosa con era cambiata dopo la nascita della piccola Marta, così l’avevano chiamata, anzi, Camus era sempre più coinvolto nei confronti della sorellina, aiutava la mamma in casa, non la lasciava mai sola. Aveva un cocente bisogno di toccarla, cullarla e prendersene cura, quasi come se fosse il vettore, il modo, per provare sentimenti fino ad allora sconosciuti. Era stato un piccolo prodigio, per tutti!

“Mamma, voglio molto bene a Marta, sai? Vorrei… vorrei rimanere al suo fianco per tutta la vita!” si lasciò sfuggire Cammy, sorridendo appena. La sua espressione era dolce, le riempì il cuore di una nuova speranza.

“Oh, Cam… non è la prima volta che sorridi, ma ogni volta è come se non ti avessi mai visto farlo. Sei meraviglioso così, dovresti farlo più spesso, sai? Anche gli altri sarebbero più disposti nei tuoi confronti!” gli disse teneramente la madre, accarezzandogli una guancia.

“Degli altri non mi interessa...”

“Allora fallo per le persone a cui tieni, perché non immagini quanto possa far star bene un gesto simile. Anche se per te, forse, potrà sembrare insignificante, per chi ti vuole bene, invece, è insostituibile!”

“Devo… devo sorridere per Marta?”

“Sì, Cam, sorridi per lei, se puoi, la renderai felice!”

“Allora sorriderò per lei” disse, risoluto, socchiudendo gli occhi e incurvando leggermente le labbra, prima di addormentarsi poco dopo.

Antoinette lo sistemò meglio sulle braccia, scostandogli un ciuffo dalla fronte e baciandolo sulla guancia. Sarebbe andato tutto per il meglio, da quel momento in avanti; Camus, anche se a fatica, stava scoprendo un mondo nuovo, enorme, sarebbero stati compagni di avventura, lui e Marta, sarebbero cresciuti insieme, di questo ne era più che convinta.

Sorrise ottimista, accelerando il passo per andare a casa, ignara però che, tra i cespugli dietro ad un albero, una figura alta e incappucciata si stanziava lì, imponente. Non un rumore, non un suono, attese soltanto che la signora si allontanasse per uscire dal nascondiglio, le labbra stirate in un’espressione serissima, un fremito nel cuore.

“Finalmente ti ho ritrovato… Dégel!”

 

 

* * *

 

 

Camus si rese conto di essersi addormentato solo quando, subito dopo il girare della serratura, venne accolto, ancora prima che dal caldo della casa, dal pianto di una neonata. Letteralmente scattò, come se avesse sentito un allarme, e sarebbe anche caduto dalla sua posizione altolocata se non fosse stato trattenuto da sua madre. Si guardò velocemente intorno, percependo l’avvicinarsi di qualcuno di famigliare.

“Orsù! Orsù, stellina! La mamma e il fratellino sono qua, non piangere più! Via le tenebre, via le ombre se le persone che amiamo sono con noi!” cantilenò nonna Ines, cullando Marta tra le braccia, la quale, infagottata nella sua copertina e con un cappellino bianco di lana in testa, continuava ininterrottamente a piangere.

“Che succede?” domandò Antoinette, posando Camus per terra, il quale, calato interamente nella parte del fratello maggiore, cominciò a saltellare sul posto, cercando di attirare l’attenzione.

“Fammela vedere! Fammela vedere!!!”

“Ah, non lo so… piange da un’ora, l’ho cambiata e le ho dato da mangiare, ma non fa che urlare con tutte le sue forze, povera stellina… - spiegò la nonna, continuando a cullarla – Cosa hai, piccina? Mal di pancino? Brutto sogno?” si rivolse poi alla creatura, ancora intenta a strillare, paonazza in viso.

“Nonna! Posso tenerla in braccio? Posso?” chiese un agitatissimo Camus, ostinandosi a saltare per riuscire a scorgere il viso della piccola Ormai c’era lui in casa, era suo dovere prendersi cura della sorella, sapeva di poterci riuscire.

“Oh, certo, caro, ma stai attento, è molto delicata!” rispose la nonna, chinandosi per permettere al fratello maggiore di sorreggere il fagotto urlante. Camus finalmente riuscì a vedere in faccia la sorellina, ancora piccola e fragile, se paragonata a lui, ne ebbe un moto di tenerezza mentre, aiutato dalla signora Ines, le accarezzava le guance paffute.

“Ciao, piccolina… sono tornato a casa, non piangere più!” le disse con dolcezza, portandosela al petto. La neonata, sulle prime, continuò a frignare, irrefrenabile, poi, cullata da quel tocco, spalancò gli occhi scurissimi, fissandolo con sorpresa. Il tempo sembrò arrestarsi per una manciata di secondi.

“Sono qui con te, non sei più sola!” le confidò teneramente, sfregando il nasino contro la guancia sinistra della piccola, la quale, poco dopo, sorrise, il pianto di prima un lontano ricordo, anche se era ancora rossa e in viso e bagnata.

Camus si ricordò le parole della mamma e fece un largo sorriso, sperando così di farla sentire bene, cosa che effettivamente riuscì perché il fagottino delicato protese le braccia nella sua direzione, come a volerlo richiamare a sé.

Nonna Ines e mamma Antoinette si guardano complici e sollevate, liete nell’anima. Non era la prima volta che il piccolo Cammy riusciva a calmare Marta portandola contro il suo petto e coccolandola, era come se la neonata avvertisse la presenza di suo fratello, la faceva sentire bene e, non di rado, le permettesse di riaddormentarsi pacificamente. Vi era un rapporto speciale fra i due, un rapporto quasi trascendentale che fuggiva alle logiche, andava oltre le parole, collegava le loro anime, come se fossero l’uno l’espansione dell’altra.

In quel momento nonno Dante uscì dalla cucina, approcciandosi così al nipote, il quale teneva ancora Marta in braccio, in quel momento completamente addormentata contro il suo petto.

“La chiami ‘piccolina’, eh?! Ma sei un soldo di cacio anche tu, mio ometto!” gli disse, accarezzandogli i capelli con gesto burbero ma confidenziale.

“Uh, sì… sono piccolo anche io, ma… ma lei lo è ancora di più, sembra un fagiolino! Ha così bisogno di protezione...” rispose pratico, sorridendo ancora una volta, accarezzandole il visetto addormentato.

“Hai ragione, Cammy… - controbatté il nonno, posandogli le mani sulle spalle, che qualsiasi altra effusione, oltre a quelle date, sarebbe stata troppo per lui – Sarà tuo compito proteggerla con tutto te stesso, non dimenticarlo mai, perché diventerai tu l’uomo di casa, conto su di te!”

Camus annuì risoluto, imprimendo il suo sguardo fermo in quello traslucido del nonno. Lo avrebbe fatto, sì, l’avrebbe protetta, a qualunque costo!

 

Il giorno seguente Camus era totalmente preso a giocare nell’attiguo giardinetto della casetta, giacché la sorellina dormiva e gli era stato detto di non disturbarla. Sua madre invece era intenta a lavare i piatti mentre i nonni erano fuori per fare la spesa. Il piccolo Cammy non aveva quindi altra alternativa che giocare da solo, non che la cosa gli dispiacesse, anzi, preferiva di gran lunga la solitudine al frastuono dei compagni di asilo, così come l’intimità all’eccessivo affollamento. Al dire il vero, prediligeva anche costruire con i lego, che non giocare con il pallone, perché adorava tantissimo ricreare oggetti e animali che nella sua mente erano ben chiari. Tuttavia, stante il bel tempo fuori di quel giorno di novembre dal clima mite, la sua famiglia aveva insistito per consigliargli un’attività all’aperto, eccolo quindi lì, a lanciarsi una pallina da tennis e a riprenderla con maestria, facendola rimbalzare sul muro per poi acciuffarla al volo, dimostrando un’agilità e una forza fisica superiore ai suoi coetanei.

Ad un certo punto, vide il gatto dei vicini scendere dal muro perimetrale, ingobbendosi misteriosamente in una direzione che lui, dalla sua posizione, non riusciva a scorgere. Assistette, incuriosito, al rizzarsi dei suoi peli, mentre la bestiola prendeva a soffiare come se avesse visto un fantasma. Non trattenendosi più dalla curiosità, andò verso il micio, accucciandosi poi a pochi metri da lui, al sicuro; sapeva infatti che era meglio non disturbare un animale spaventato, e quello lo era sicuramente!

“Cosa c’è, Raoh? Cosa hai visto?” gli chiese gentilmente, ottenendo come risposta solo le pupille dilatate del felino, ancora ingobbito.

Camus sapeva che non avrebbe ottenuto una risposta concreta, ma gli riusciva molto meglio esprimersi con gli animali e le piante, piuttosto che con gli altri bambini. Cosa bizzarra, al dire il vero, ma il suo mondo interno era così.

Il gatto produsse ancora un suono gutturale e prolungato, prima di soffiare più intensamente di prima e filare via, con le ali alle zampe.

Nello stesso momento anche la pallina tenuta concretamente dalle sue manine sfilò via, come se avesse volontà propria. Stupendosene, la seguì immediatamente non staccandole gli occhi di dosso, almeno fino a quando questa non si alzò da terra e si mise a oscillare in aria. Camus era incredulo, sapeva fin troppo bene che una cosa simile non poteva fisicamente accadere, a meno che…

“Psicocinesi...” ne dedusse, mantenendo le distanze da quell’anomalia fisica.

“Esatto, bravo… è una parola difficile da pronunciare per uno della tua età! Sai anche cosa significa, immagino...”

Una voce gentile ma improvvisa lo mise subito in allerta, facendolo scattare verso il muro, in modo da avere la schiena coperta da eventuali attacchi. L’istinto aveva reagito prima di lui.

“E vedo anche che hai il riflesso da guerriero. Buon sangue non mente, anche se, in questo caso, sarebbe meglio forse dire anima...” continuò lo sconosciuto, zoppicando esaustivamente ma mantenendo una postura composta, a dispetto dell’età e delle innumerevoli rughe sul volto.

Camus non fiatò, si limitò ad osservare, mentre la pallina volava sopra la mano dello sconosciuto, ponendo così termine al suo comportamento atipico. Era un vecchio, nient’altro che un vecchio segnato dagli ingranaggi del tempo, ma i suoi occhi lilla e i capelli verde sbiadito erano anomali al solo ammirarli. Inoltre, il piccolo lo percepì nitidamente, aveva l’universo dentro di sé, una cosa mai avvertita in altri, o meglio, non in quella misura. Continuò a non dire niente, valutando come e quando scappare immediatamente in casa, per il momento stava semplicemente sul chi vive.

“Perbacco! Visto di chi sei la reincarnazione, mi aspettavo una parlantina molto più sciolta, mi hai colto totalmente impreparato, sai?” ridacchiò ancora lo sconosciuto, corrugando la fronte.

“Lei è un estraneo...”

“Lo sono”

“Io non parlo con gli estranei!”

“Oh, che bambino giudizioso!”

Camus assotigliò le palpebre, sempre meno propenso a fidarsi di quel signore che faceva cose strambe e diceva cose ancora più innaturali. Parlava a lui come se lo conoscesse, reputandolo forse un credulone per la giovane età. Chi aveva davanti, avrebbe potuto essere chiunque, un malintenzionato, un ladro, un violento… meglio rivelargli il meno possibile, questo Camus lo sapeva bene, anche se aveva solo 5 anni e ¾. Tuttavia… tuttavia quell’universo che avvertiva dentro quel signore attempato, lo metteva a suo agio, facendolo sentire simile a lui in tutto e per tutto e, per la prima volta, realmente capito da un altro essere umano che non fosse sua sorella.

“Cammy! Cammy!!! Dove sei?!”

Il richiamo di sua madre rivelò, suo malgrado, il suo nomignolo, cosa che lo fece raggelare nelle vene. Non era il momento adatto, quello, non ci voleva proprio, era una informazione troppo importante!

“Cammy, eh? E’ un bel vezzeggiativo, sarebbe il diminutivo di…? - ma si interruppe, vedendolo allontanarsi di corsa come morso da una tarantola – Ehi, aspetta, dove vai?! La pallina, la...”

Ma non fece in tempo a finire la frase che il piccolo, accelerando ulteriormente, si rifugiò in casa, al sicuro.

Il vecchio Shion sospirò, crucciandosi non poco. Inarcò un sopracciglio, soffermandosi poi a vedere il cielo blu cobalto sopra di sé. Era una giornata non troppo fredda, l’aria era pulita e sgargiante, tanto da ingannare i sensi e credere di essere in primavera, se il tronco cavo e i rami vuoti non avessero già ampiamente creato un brusco ossimoro tra la temperatura percepita e la stagione ormai morta.

“Capisco… non sarà affatto facile, eh?” bofonchiò, decidendo di lasciar perdere ancora per quel giorno. L’ultimo. Poi il futuro Acquario sarebbe andato con lui. Doveva andare con lui, poiché era l’ultimo che mancava. L’ultimo, prima di dirsi completo il primo cerchio dei dodici.

Decise di non dare peso allo smacco, allontanandosi fischiettando un motivetto della sua terra di origine che gli mancava enormemente, aaaaaaaaah, com’era brutta la vecchiaia, con tutte le sue malinconie!!!

Nel frattempo Camus, rifugiatosi dietro la porta di casa sua, nido sicuro, attese che il vecchio si allontanasse, prima di permettersi di sciogliere i muscoli e tirare un sospiro di sollievo. Aveva perso la sua pallina, sempre meglio di perdere qualcos’altro, comunque!

A quel punto sua madre uscì dalla cucina, le mani avvolte in un panno e le maniche tirate fino ai gomiti.

“Ah, eccoti qui, Cammy, non è da te non rispondere subito quando ti chiamano, mi hai fatto preoccupare!”

“Scusa, mamma...”

“Dove l’hai messa la pallina?”

“Mi è… mi è finita lontano. All’inizio ho provato a riprenderla ma poi rischiavo di allontanarmi troppo, quindi ci ho rinunciato...” disse colpevole, perché, in fondo, per quell’oggetto in apparenza insignificante, i suoi ci avevano speso soldi, gli dispiaceva averlo perduto.

Sorprendentemente la madre invece di arrabbiarsi gli sorrise raggiante, passandogli una mano tra i capelli poco prima di baciarlo sulla fronte, discostando il solito ciuffo.

“Hai fatto benissimo, Cam, il mondo è pieno di pericoli, non si è mai troppo prudenti. Una pallina si può ricomprare ma, vedi, tu no, e tu sei il bene più prezioso che ho insieme a Marta, non dimenticarlo mai!” gli spiegò con dolcezza, gli occhi amorevoli.

Camus si ritrovò ad arrossire a quella manifestazione di affetto, mentre il cuore, cosa rara, prese ad accelerare. Davvero a sua madre gli riusciva semplice rivelare i suoi sentimenti e dimostrare l’amore che provava per lui, perché per lui era così difficile? Ancora una volta si ricordò della raccomandazione avuta il giorno prima, che davvero un sorriso avrebbe aiutato a sistemare tutto? Tentò.

“Gr-grazie, mamma, io… io… ti voglio bene!” le disse tutto di un fiato, stringendole il busto in modo da nascondersi completamente a lei. Si sentiva un fuoco sulle guance, come ogni volta che esternava il suo mondo interno.

La signora Antoinette spalancò gli occhi e la bocca, quasi sconvolta: era la prima volta che il piccolo le rivelava i propri sentimenti, certo, con la sorella ci era già riuscito, ma con lei no, non ancora. E sentirglielo dire con quell’imbarazzo a stento trattenuto, era stata forse una delle cose più emozionanti della sua vita.

“Oh, Cam, grazie, io… sono così contenta di sentirtelo dire, non lo avevi mai fatto!” biascicò, accarezzandogli i ciuffi ribelli, del tutto simili ai suoi. Se avesse mantenuto la sua tipologia di capelli, facendoseli crescere, sarebbero diventati sicuramente lunghi e lisci, ad eccezione di quelli sopra la testa, che avrebbero mantenuto le sembianze di un cespuglietto disordinato in un universo di ordine ed equilibrio.

“Me lo ha insegnato Marta a dirlo...” confessò, ancora rosso in viso.

“Oh, Cam, tua sorella ci impiegherà ancora un po’ a parlare, non...”

“Non intendo con la bocca… - la intercettò, desideroso di spiegare – Io… io la sento con la testa, capisci? Mi parla nella mia mente, so che è la sua voce e… e avrà una voce bellissima!”

Effettivamente la madre non capiva, non poteva capire concretamente. Si era sempre pensata aperta ad ogni possibilità e, da un lato, lo vedeva bene con i suoi occhi che il rapporto tra Camus e sua sorella era qualcosa di speciale e profondo già così. La neonata si calmava quando suo fratello la stringeva al petto, quando le sue piccole orecchie da folletto avvertivano i battiti irrefrenabili del piccolo Cam; per lui era lo stesso, le emozioni, i bisogni, le parole le aveva imparate pienamente solo con lei per lei, malgrado questo, per la signora Antoinette, era impossibile comprendere il reale significato di ‘parlare senza usare la bocca’. Decise pertanto di lasciar cadere il discorso.

“Cammy, posso chiederti un favore? - l’attenzione del figlio era tutta su di lei – Ecco, andresti a vedere come sta Marta? Vero che non piange quasi mai e dorme di lunga, ma non la sento da un po’, puoi andare a vedere se è tutto ok? Finisco i piatti e ti raggiungo!”

Camus annuì con decisione, fiero del suo ruolo, dirigendosi poi al piano di sopra a tutta velocità. Raggiunse la porta socchiusa e vi entrò sospingendola, anche perché alla maniglia non ci arrivava ancora. Vide la culla e ci si arrampicò, ma prima di buttarcisi dentro guardò con attenzione la sorellina. La piccola era sveglia, ma sembrava imbronciata, muovendo nervosamente le corte braccine e gambine. All’apparire di suo fratello, riconoscendone il viso, produsse un vagito, muovendo le manine come a volerlo richiamare a sé. Camus sorrise, dandole così l’imput di farlo a sua volta, poi, puntellando i piedi, si lasciò cadere al suo interno, ovviamente stando attento a non schiacciarla.

“Ciao, piccolina… - disse, prendendola delicatamente in braccio – Appena ti ho visto sembravi arrabbiata ma ora va tutto bene, vero?”

“Nnnnnnnngggg!”

“Ha ragione la mamma, non parli ancora, ma… ma io riesco a sentirti, sai? - spiegò trepidante, certo di essere compreso almeno da lei – Sei qui, nella mia testa, e hai una voce bellissima, non vedo l’ora di poterla udire anche con le mie orecchie!”

Marta intanto alzò un braccino allo scopo di afferrare uno dei ciuffi di suo fratello, avvertendo l’impulso di ciucciare, ma erano ancora troppo corti per essere alla sua portata, pertanto, frustrata, si mise a piangere.

“Ngueeeeee!!!”

Un unico singhiozzo, perché, immediatamente dopo, la sua attenzione fu catturata da una luce azzurrina e attraente; una luce prodotta dal palmo libero di Camus. Non aveva forma, quella luce, ma era accattivante e misteriosa. La piccola spalancò le iridi, sorpresa.

“Non vedo l’ora, sai? Non vedo l’ora di vederti muovere i primi passi, di sentirti parlare, di vedere come crescerai… - le confidò, emozionatissimo – E’ così, sai? Ti farò vedere il mondo, le sue meraviglie, i suoi colori, come tu li hai fatti vedere a me, che ero totalmente incapace a distinguerli. Cresceremo insieme, fianco a fianco, così potrò farti vedere passo per passo ogni cosa vera, reale… le potrai toccare, percependone la temperatura, l’impeto, il battito. Vedrai tutto, con quegli occhietti, non solo così!”

Disse questo e, mentre terminava l’ultima frase, la luce celestina si tramutò in una farfalla di ghiaccio, del medesimo colore. Quella sbatté le ali un paio di volte, come a volersi asciugare perché appena uscita dal bozzolo, poi spiccò il volo. Era fatta di freddo ghiaccio ma pienamente vitale. Si posò sul nasino della neonata, la quale, sorpresa, starnutì più volte, ridendo come una matta davanti a quel prodigio. La farfalla non scomparì subito, sbatté le ali ancora un paio di volte, poco prima di tornare sul palmo di Camus e tramutarsi in polvere ghiacciata, che si sciolse poco dopo.

“Questo è come nasce una farfalla, ma dal vero è ancora più spettacolare, non puoi neanche immaginare quanto!” le raccontò, posandola di nuovo sul letto e accucciandosi al suo fianco, protettivo. Si sentì improvvisamente stanco ma non era una brutta sensazione, anzi! Non di rado produceva quegli strani fenomeni prima di cadere addormentato, a Marta sembravano piacere tantissimo, non faceva che sorridere quando li plasmava, rendendolo a sua volta felice. Socchiuse gli occhi, circondando la sorellina con un braccio. Le minuscole dita della piccola automaticamente strinsero al suo indice, non lasciandolo più andare. Sorrise ancora una volta, prima di aggiungere ancora una cosa.

“E’ tutto più bello dal vivo… Un giorno, non tanto lontano, ti porterò a vedere la nascita delle farfalle dai mille colori e ogni altra cosa che ci capiterà sotto gli occhi. Te lo prometto, piccola mia!” giurò solennemente, cadendo nel sonno più profondo.

 

 

* * *

 

 

Il giorno seguente era domenica, Camus ancora, dal basso dei suoi 5 anni e ¾ non capiva come fosse possibile che il tempo all’asilo trascorresse così lentamente da risultare snervante, a confronto con il fine settimana che invece era un battito di ciglia. Non era per niente giusto! Si stropicciò gli occhi e sbadigliò, quindi scese dal letto, andò a vedere la sorellina, che dormiva placidamente, e prese finalmente le scale, desideroso di aiutare la mamma nelle faccende domestiche. Non fece però in tempo a posare il piede sul primo scalino, che si accorse che nell’aria c’era qualcosa di strano, una vibrazione, nonché un vociare confuso nel soggiorno. Acutizzò i sensi, percependo una voce maschile, sconosciuta, arrivare proprio dalla stanza in questione. Un brivido gli corse lungo la schiena, un presagio, pertanto si diresse giù il più velocemente possibile. Una volta al piano terra, affacciandosi alla porta socchiusa, i suoi dubbi divennero realtà.

“...Quindi mi state dicendo che Cammy ha un cosmo e che è necessario portarlo lontano da qui per farglielo affinare, altrimenti corre il rischio di perderne il controllo...”

“E’ così, mia signora...”

Era il vecchio del giorno precedente, compostamente seduto sul divano e con un’espressione contrita, sua madre invece era a braccia conserte appoggiata alla biblioteca, in evidente postura difensiva.

Camus socchiuse le palpebre, sentendosi, forse per la prima volta in vita sua, iracondo. Il suo istinto viaggiava più veloce del sapere concreto, portandolo ad assumere a sua volta una posa difensiva. Tutto in lui era rigido e assolutamente statico, a parte il cuore che, percependo il pericolo, aveva cominciato ad accelerare.

Cosa voleva ancora quel signore da lui? Perché lo aveva seguito? Perché poi sua madre lo aveva fatto entrare?!? La sua giovane mente, febbricitante, cominciò a lavorare convulsamente, il tremore in lui. Non gli piaceva. Non gli piaceva per niente. Camus sapeva che era sbagliato origliare, ma ne andava del destino suo e di sua sorella, una giusta causa, era quindi assolutamente necessario.

“Mia signora… io posso capire che ciò che vi ho rivelato vi possa sconvolgere nel profondo, ma...”

“No, non mi sconvolge!” tagliò corto lei, schietta.

Il vecchio Shion corrugo la fronte, incredulo. Quella donna… quella donna non possedeva in cosmo, ma, per qualche ragione, sembrava ai suoi occhi tutto fuorché una persona qualunque. Decise di rimanere in attesa, sperando in un qualche tipo di spiegazione che non tardò ad arrivare.

La Signora Antoinette passeggiò nervosamente per la stanza tre volte, poco prima di sospirare e appoggiarsi nuovamente alla libreria.

“Non mi sconvolge…. - ripeté, una strana luce negli occhi, come di lupa che proteggeva i propri cuccioli – Mi sorprende invece che voi crediate che, dopo avermi detto questo, io semplicemente vi lasci portare via il mio Cammy come se niente fosse! E’ assurdo!”

Shion sospirò, sorvolando sulla spiegazione mancata. Era consapevole non sarebbe stata una passeggiata. Del resto, a differenza della maggior parte dei Cavalieri d’Oro già riuniti e orfani, lui, la reincarnazione di Dègel, aveva una famiglia, togliergliela sarebbe equivalso a perpetrare un’ingiustizia bella e buona. Ma il bene del mondo andava anteposto a quello individuale, così era, così sarebbe sempre stato.

“Mia signora, sono venuto qui affogando in me ciò che per me corrisponde alla moralità. Non sono venuto qui come benefattore, ma come distruttore, se serve, per un bene superiore! Non ho mai pensato, neanche per un istante, che sarebbe stato facile e, mi creda, toglierle la potestà su Camus, sarà un peccato che mi porterò dietro insieme a innumerevoli altri, ma… va fatto! Il bimbo è un pericolo sia per sé stesso che per gli altri, persino per lei medesima!”

La signora Antoinette si accorse, solo a discorso finito, di aver trattenuto il respiro, pertanto buttò fuori l’aria, ormai sotto pressione. Non si sarebbe comunque arresa.

“Per gli dei celesti, vi sentite quando parlate?!? Cammy un pericolo per me?! Ma andiamo, non...”

“Mi dica… suo figlio ha mai avuto comportamenti strani, atipici per un bambino della sua età?”

La signora Antoinette si ritrovò a spalancare gli occhi, totalmente incapace a controbattere: di comportamenti strani ce ne erano stati molti, innumerevoli, non sarebbe stato neanche possibile narrarli tutti a voce.

“Dalla sua espressione ne deduco di sì… ed io le posso spiegare perché: è un predestinato! E’ scritto nelle stelle che sarà il nuovo Cavaliere d’Oro di Aquarius!”

“Conosco la leggenda dei Cavalieri d’Oro e, nei miei trent’anni di vita, ho assistito e visto cose che gli esseri umani normali non possono nemmeno immaginare, ma…. Perdio, crede davvero di ‘addolcirmi la pillola’ a dire una cosa simile?! - ribatté, spaventata e arrabbiata – E’ vero, Camus è nato il 7 febbraio del 1989, il suo segno è quindi l’Acquario, come è vero che non è mai stato un bambino normale… ebbene, dicendomi questo pensa che glielo lascerò portare via?! Sono sua madre!!!”

“Signora… questo non è un discorso di volere ma di potere… ho facoltà di agire per un bene superiore, ed ho i requisiti necessari per addestrarlo a dovere e seguire il tracciato che le stelle hanno scelto per lui. Me ne duole enormemente, io… non vorrei, dico davvero ma… devo farlo, il piccolo è un pericolo soprattutto per sé stesso e per voi. L’ho percepito bene ieri mattina...”

“Il cammino che le stelle hanno tracciato per lui… ridicolo!” si oppose ancora, discostando lo sguardo, ma i suoi occhi erano lucidi, Camus li notò subito e non riuscì a fare a meno di inorridire: neanche sua madre avrebbe potuto far nulla davanti a quella enormità, la sua era una resistenza vana, come quella della gazzella predata che, malgrado i denti infilati nella gola dal leone, disperatamente continuava a scalciare, opponendosi con tutte le sue patetiche forze al suo destino ingrato.

“Lo sa anche lei, mia signora, in fondo al suo cuore… altrimenti non reagirebbe così, non è forse vero?” chiese conferma Shion, abbassando lo sguardo. Aveva un un compito e lo avrebbe portato a termine, ma a prezzo di perdere completamente la sua umanità, era preparato anche a quello.

La signora Antoinette non disse niente per una serie interminabile di secondi, pareva si fosse congelata sul posto, finché, con enorme patimento, non riuscì di nuovo a spiccicare parola.

“Lei si riesce ad immaginare quanto sia difficile crescere un bambino che, sin da quando era in fasce, non ha mai pianto in vita sua? Non ha mai… espresso le sue emozioni?!”

La domanda era retorica, ma era percepita con un non so che di accusa, perché era ovvio che quel vecchio dai troppi anni non capisse, era ovvio che non si sarebbe piegato alle sue lacrime e avrebbe portato a termine il suo sacro dovere. Era così evidente…

Shion non rispose, raccogliendo la sferzata e sopportandola. Tacque, in attesa che continuasse.

“Camus appena nato non ha prodotto nessun vagito… per una serie di minuti lo abbiamo creduto morto, giacché il parto non è stato affatto facile. Ero esausta e spaventa… mi terrorizzai quando lo presero malamente, con urgenza, per dargli uno scossone alla ricerca disperata di un segno vitale. Finalmente strillo, un’unica volta, poi tacque e non parlò più. Lo misero nell’incubatrice e lo monitorarono per un’intera settimana, prima di appurare che non aveva niente che non andasse, che era sano, ma io… non riuscivo a crederci… - spiegò prendendo un profondo respiro prima di continuare – Crescendo ha continuato a non reagire praticamente a niente, non chiedeva cibo, né attenzioni, non piangeva… lo portammo dai più svariati specialisti, dai più svariati medici, ma tutti concordavano che non avesse niente che non andasse. Come era possibile?! Mio figlio, il mio bambino, sembrava una perfetta statua di ghiaccio totalmente impassibile al mondo, non parlava, non aveva nessuna espressione, come poteva considerarsi… normale?!? Ero... disperata!”

Shion ascoltò con attenzione tutto il monologo, un’espressione contrita sulle labbra e un peso sul cuore, ormai dolente. Solo una cosa mormorò, a fatica.

“Dégel… fino a questo punto… fino a questo punto hai sofferto poco prima di morire! Che ingrato destino per uno come te… tu, che, tra tutti noi, non lo meritavi affatto!”

Antoinette udì quella confessione sommessa, ma non chiese delucidazioni, tutta presa dal suo racconto.

“Cammy continuò a non dire niente, finché, all’età di tre anni, non si decise a parlarci. La sua prima parola non fu né ‘maman’ né ‘grand-mére’, passò subito a padroneggiare quasi perfettamente il francese, sua lingua di origine, l’italiano lo apprese poco dopo e, in questo, fu aiutato dal trasferimento qui a Genova, avvenuto l’anno dopo quando ero già incinta di Marta. Non riuscivo a crederci, mia madre gridò al miracolo, ma io mi convinsi che in verità Cammy sapesse già farlo e che, per qualche ragione a noi sconosciuta, non volesse espirmersi”

“E’ un bambino molto intelligente, di questo potete starne certa!” lo elogiò Shion, non sapendo cos’altro dire, con gli altri Cavalieri d’Oro non era stato così difficile, ma… ne mancava solo uno, non poteva gettare la spugna proprio in quel momento.

“Le cose cominciarono a cambiare quando rimasi incinta di Marta...”

“Marta?”

“Sua sorella, sì!”

“Ah, la neonata!”

Antoinette annuì, lo sguardo cupo, riprendendo il discorso.

“Lei… da quando è nata, anzi, da ben prima, da quando sono rimasta incinta, è stata una benedizione per il fratello. Camus è nettamente migliorato, diverso, più… più normale… continua ad avere problemi a relazionarsi con gli altri, molto spesso è chiuso e corrucciato ma, mi creda, se le dico che sembra un bambino nuovo, sembra rinato!”

“E’ stato grazie a Marta?”

“Ne sono più che sicura! - affermò con decisione, una punta di orgoglio – Lei non può immaginare il rapporto meraviglioso che li lega, e non sono che all’inizio! Quando la piccola piange, Camus la stringe al petto e lei smette subito, sorridendo con gioia con quei due occhioni profondi che si ritrova. Cammy è sempre stato un bimbo molto giudizioso, mia aiuta a cambiarle il pannolino, mi da una mano a farle il bagnetto e a darle la poppata con il biberon, perché lei non si è mai attaccata al mio seno, passa molto tempo con la sorella, si prodiga per lei e, beh… lui dice che riesce a sentire la sua voce anche senza l’ausilio della bocca, che non vede l’ora di poterla udire con le sue orecchie…” continuò a confidare, emozionata.

“E la piccola invece come ha aiutato suo fratello?” chiese Shion, non chiedendo ulteriori approfondimenti sulla questione di avvertire la voce della sorellina con gli occhi della mente. Cosmo… era l’unica spiegazione alla faccenda, perché, lo aveva percepito, il bimbo lo aveva già notevolmente sviluppato, forse troppo…

“Oh, come le ho detto, Camus sembra rinato da quando c’è lei. Ha cominciato a provare emozioni, parla molto di più, manifesta i suoi sentimenti e i suoi bisogni come tutti i bambini della sua età. La strada è ancora lunga, ma, forse per la prima volta, vedo davvero un futuro radioso per loro due. Se rimarranno uniti, ho grandi speranze… - disse, le lacrime agli occhi, prima di correggersi – Avevo… perché ora mi rivela questo!” scoppiò in un vero e proprio pianto sommesso, inconsolabile.

“Signora… - biascicò Shion, alzandosi in piedi e posandole una mano sulla spalla nel tentativo di consolarla – Se io non lo prenderò con me…. può darsi che qualcun altro di ben più terribile lo faccia. Mi dia ascolto, la prego, non compio questa ingiustizia per i miei fini personali, ma...”

“Deve, lo so! - lo fermò, nascondendo la faccia tra le mani – Fin dalla loro nascita, ho sempre avuto il sentore che qualcuno me li avrebbe portati via, prima o poi, che non avrebbero mai potuto condurre un’esistenza normale, anche e soprattutto in virtù del loro padre, ma…”

“Porterò con me solo Camus, sono qui solo per lui, così sua sorella avrà più possibilità di condurre un’esistenza normale, glielo prometto, io...”

“Non me ne faccio niente della sua promessa! Con che cuore mi dice di separarli quando… quando vivono così in simbiosi?! Con che diritto… con che diritto vuole privare Cammy della facoltà di continuare a provare emozioni?! Di… di veder crescere sua sorella… mi dica, con quale?!?”

Le labbra di Shion fremettero, non trovando più le parole, qualche minuto dopo ci fu una risposta, che però non fu più udita da orecchie indiscrete.

Camus aveva sentito abbastanza.

Con le palpitazioni a mille e una rabbia crescente, mai provata prima, si era diretto silenziosamente in cucina, prendendo il biberon, il barattolo di latte in polvere, i pannolini e cinque bottigliette d’acqua da mettere nello zaino. Quello comunque era il problema minore, perché, durante il percorso, si sarebbe fermato in qualche fontanella a rifocillarsi. Per sé invece non aveva preso niente, resisteva bene alla fame e comunque non era una priorità; la priorità era invece quella di andarsene di lì il più in fretta possibile.

Fatto lo zaino, si diresse subito in cameretta. Doveva sbrigarsi se voleva che il piano potesse avere successo. La piccola Marta era nella culla, sveglia e un po’ agitata, sembrava percepire l’atmosfera pesante al piano di sotto, ma si tranquillizzò subito quando vide sbucare il volto rassicurante di suo fratello.

“Ehì… - la salutò, la voce più strozzata del solito nel parlare, il giovane cuore avvinghiato ad una nuova emozione troppo forte da sopportare: la paura di perderla – Stai tranquilla, non permetterò che ci separino!” le disse, prendendola delicatamente in braccio e guardandosi nervosamente intorno nel timore di essere beccato in fragrante.

Anche lui aveva paura in quel momento, tanto che si sarebbe paralizzato sul posto se non avesse avuto una motivazione abbastanza forte per impedire di esserne soverchiato.

“Gnnnnnnn?”

Camus le sorrise per calmarla, giacché la avvertiva agitata, dandole un bacino sul nasino e uno sulla guancia paffuta. Lui era il primogenito, a lui il sacro compito di salvaguardare sua sorella, come promesso al nonno.

“Non ti devi preoccupare di nulla, ci sono io con te, ce ne andiamo di qua, fuggiamo via! - asserì, deciso, premunendosi di prendere il marsupio, metterci dentro la piccina e legarlo dietro alla schiena come aveva visto fare a Mamma – Quel signore non ci avrà, né oggi né mai!” affermò, caparbio, facendosi coraggio per sé e per lei, prima di posarle la testolina sul petto in modo che potesse ascoltare i battiti del suo cuore e calmarsi. Poi, con il giovane cuore ancora in tumulto, sgattaiolò fuori di casa mentre, nel soggiorno, il vociare confuso tra i due contendenti si faceva sempre più lontano alle sue orecchie.

 

 

 

 

 

 

Angolo di Maiko per Milo

 

Ed eccomi qua con l’aggiornamento, che porta il primo dei due capitoli incentrati su Camus e Marta quando erano piccoli (nel caso della seconda MOLTO piccola XD). Questa volta sarò breve, perché vi è un unico, grosso, riferimento alle storie precedenti, ed è, con precisione, al capitolo 19 della “Guerra per il dominio del mondo”, quello della medicazione di Camus, per intenderci. La scena, vissuta dal punto di vista di Marta quando la ragazza si addormenta coccolata dal fratello, ci porta un suo ricordo, fumoso, nella culla, che qui vediamo bene nel particolare, perché è quando Camus usa il potere della Creazione (trattato alla fine della seconda storia) per tranquillizzarla. Tale potere, che qui si palesa come una farfalla, è innato in lui, ha origini ancora misteriose, lo possedeva già prima di diventare Cavaliere, anche se poi, per motivi che vedremo nel prossimo capitolo, non lo affinerà più per un lungo periodo.

Questo capitolo in particolare è incentrato molto sul fluff, come avrete potuto ben vedere (le mie storie sono un incessante pendolo che oscilla tra l’angst e il fluff, c’è poco da fare) XD

Ah, ancora una cosa che mi stavo per dimenticare: da ora in avanti, a volte, userò due tempi e due persone diverse per la storia, la prima è la classica prima persona presente che utilizzo già dalla primissima volta, a cui si aggiungerà ora la terza persona al passato in determinati momenti, il perché dei due tempi vi sarà chiarito più avanti.

Spero vi possa piacere, io sono molto soddisfatta di come ho reso questi due capitoli, sono contenta! ^_^

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Capitolo 6
*** Creazione e distruzione (seconda parte) ***


Capitolo 6: Creazione e distruzione (seconda parte)

 

 

 

 

Camus non conosceva ancora bene Genova, al di là del quartiere, posto sulle alture, dove viveva con la famiglia. Non aveva avuto il tempo di abituarsi, non ancora, lui aveva Nizza nel cuore e lì si sentiva uno straniero, ma se c’era una cosa che aveva memorizzato bene era il tragitto per arrivare alla stazione centrale. Pertanto, infagottando Marta in una spessa coperta per non farle prendere freddo, si era recato alla fermata del bus lì vicino per arrivare dove il suo schema mentale lo conduceva.

Non aveva un piano preciso, la giovane mente febbricitante lavorava convulsamente senza sosta. Non aveva che una manciata di lire con sé, non gli andava di ‘prendere in prestito’ troppi soldi dalla sua Maman, perché già si sentiva sporco ad averlo fatto, ma l’urgenza della fuga per un buon fine aveva sopperito tutto il resto. Li avrebbe riguadagnati in qualche maniera, ancora non sapeva come, ma lo avrebbe fatto, permettendo così alla sorellina di essere nutrita e a lui di mantenere le forze necessarie per la fuga. Tra l’altro, era ancora molto piccolo, lo sapeva, ma essere piccoli in un mondo enorme aveva i suoi vantaggi, ne era più che certo. Forse qualche grande lo avrebbe aiutato nella sua fuga oltreconfine, a Nizza, perché lì si sarebbe recato, ricostruendosi una nuova vita per sé e la sorellina. Se la sarebbero cavata, ne era certo.

Una cosa però non aveva valutato: le insistenti occhiate incuriosite dei passeggeri del bus che, sorpresi e spaesati da vedersi un bambino così piccolo lì da solo con una neonata, si erano avvicinati e avevano chiesto gentilmente spiegazioni.

“Ehi, piccolino, dove stai andando?”

“Sei così piccolo, e la mamma?”

“Ti sei perso, scricciolo?”

“E’ la tua sorellina, quella?”

“Siete così carini!!!”

In tutte le frasi dei fastidiosi passeggeri erano presenti diminutivi raccapriccianti, neanche lo considerassero scemo. Era terribilmente irritante. Camus ovviamente non rispondeva ad una sola domanda, discostando lo sguardo, in quel momento freddo, e scendendo alla fermata subito dopo per non destare troppo l’attenzione. Poi aspettava il bus dopo. E risaliva. La scena si ripeteva. E così via, finché finalmente non giunse alla stazione centrare di Genova Brignole. Ci impiegò il doppio del tempo ma alla fine arrivò. Doveva però muoversi e allontanarsi in fretta da lì, prima di essere raggiunto dal vecchio con l’universo negli occhi.

Le braccia e il collo, nel sorreggere la sorellina, gli cominciavano a fare male, ma si sarebbe riposato solo sopra il treno, determinato come non mai. Si fermò sulle strisce pedonali, sgranchendosi una manina che percepiva atrofizzata, poi scostò la coperta per vedere la sorellina in faccia, la quale, accorgendosi del suo movimento, si voltò gli sorrise radiosa del tutto rasserenata.

“Certo che… mangi davvero tanto, eh, si sente! - le disse con dolcezza, ricordandosi ancora una volta di ricambiare il suo sorriso – Fai bene, devi diventare grande e forte, fino ad allora mi occuperò io di te!” aggiunse con calore, attraversando poi la strada allo scattare del verde.

Essere formato mignon aveva i suoi vantaggi, se lo ripeté ancora una volta, in un mondo gigante. Le sue ridotte dimensioni addolcivano l’indole spietata degli esseri umani, permettendogli così di poter andare dove voleva, ma potevano essere anche un freno, ne era consapevole. Non era usuale che un bimbo così piccolo girasse da solo, ancora meno se con una neonata appresso. Occorreva prestare attenzione.

Fu forse per questo motivo che Camus, all’ultimo, decise di non comprare il biglietto del treno che lo avrebbe condotto a Ventimiglia e da lì poi al confine con l’amata Francia. Prima di tutto, perché i soldi che aveva portato con sé, combinando una marachella, sarebbero serviti per nutrire la sorellina, e poi perché, proprio perché così piccolo, gli sarebbe stato facile nascondersi sotto i sedili del treno in caso di controllore, o scappare e chiudersi direttamente in bagno, non visto. Naturalmente non gli piaceva come prospettiva, sapeva che non era un comportamento corretto, sua madre glielo aveva insegnato, ma la situazione era tale che lo richiedeva, il bene di sua sorella davanti a tutto.

Fortunatamente il treno diretto a Ventimiglia era fermo al binario 1, fu quindi facile per lui scattare verso le porte ancora aperte, salire al piano superiore e lì sedersi, sempre con la piccina in braccio.

Era un treno di quelli vecchi, con ancora i sedili in legno e conseguentemente concrete possibilità di nascondersi tra gli anfratti per poi svicolare nel bagno. Camus si guardò intorno diverse volte prima di decidere la postazione migliore, all’inizio o alla fine del vagone non era il massimo, perché, se il controllore fosse venuto dalla parte opposta non l’avrebbe potuto vedere in tempo, optò quindi per un sedile centrale vicino al finestrino, in modo che così avrebbe potuto stare allerta per eventuali movimenti ed eventualmente scappare. Anche scendere poteva considerarsi parte del piano, ma era l’ultima opzione perché il tempo era prezioso e non poteva perderlo. Non gliela avrebbe data vinta a quel signore anziano e, appena trovato un lavoretto e dei soldi per sé e la sorellina, avrebbe mandato quanto doveva a sua madre, magari accompagnata anche da una letterina di scuse e alle rassicurazioni che stavano bene entrambi. Avrebbe insegnato lui a camminare alla piccina, le avrebbe insegnato anche a parlare, anche se ancora non si decideva a scegliere se partire dal francese o dall’italiano, e, come promessole, le avrebbe fatto vedere le meraviglie del mondo. Meglio sotto un ponte a spasso per la Francia ma insieme che non al sicuro al caldo ma separati. Per sempre.

Era ancora preso da questi pensieri quando il treno partì, entrando immediatamente nell’immensa galleria che separava Brignole da Principe, altra stazione importante del capoluogo ligure.

Era domenica. Fortunatamente però il treno non era pieno di gente, anche se i viaggiatori che passavano da lì, dal piano superiore, e lo vedevano, gli scoccavano una occhiata fastidiosamente lunga, prima di ricordarsi probabilmente che già avevano i loro problemi, ci mancava di averne altri. Meglio così. Camus non voleva seccature e si sentiva agitato, speranzoso e un poco spaventato. Strepitava nel constatare la lentezza del treno che, ancora dopo mezz’ora, non aveva del tutto superato la oblunga città metropolitana di Genova. Voleva allontanarsi il prima possibile da lì, sapeva che probabilmente sua madre si era già accorta della sua assenza, sapeva che le si sarebbe stretto il cuore nell’appurare della loro fuga verso l’ignoto, si sentì irrimediabilmente in colpa. La decisione era stata presa, al bando le incertezze. Eppure Camus, il futuro Aquarius, aveva paura e, per un solo istante, desiderò tornare indietro. Ma il pensiero che farlo avrebbe significato non rivedere più la sorella, lo fece resistere strenuamente, indomito.

“Nnnnnnngneeeeee!”

Lo sguardo di Camus si posò sulla sorellina nel sentire quel suono. Era stata brava per tutto lo spostamento da casa alla stazione, quasi sentisse le contrazioni dell’aria, ma in quel momento era spaventata e sul punto di piangere, gli occhioni erano lucidi e le guanciotte color rosso porpora, nell’estremo tentativo di controllarsi.

“Oh, cosa c’è, piccolina? Hai fame?” chiese il fratello più grande, anche se sapeva già che quelle manifestazioni non erano proprie di quando richiedeva il cibo ma di altro.

La boccuccia di Marta tremò appena, trattenendo a forza il pianto, ma due lacrimoni le avevano illuminato le guance.

“Anche io… anche io ho paura, ma… ma non voglio che ci separino...” ammise Camus sul punto di piangere anche lui. Percepiva la sua paura come propria, era un’asticella sopra alla più comune empatia, ma non sapeva come altro nominarla.

“Se torniamo indietro ora, quel vecchio mi porterà via da te… non cresceremo più insieme, non ti potrò far vedere il mondo e… non potrò più parlarti… NON VOGLIO!” si confidò ancora, stringendola a sé e avvicinando la sua testa a quella della piccina. Era difficile trattenersi, ma era lui il fratello maggiore.

“Gneeee” vagiva intanto Marta, sempre sull’orlo del pianto ma ostinandosi a non produrre versi più rumorosi di quelli. Poi alzò una manina, arrivando così a posarla sulla guancia del bambino, soffermandosi lì. Camus si meravigliò ancora una volta di quanto fosse tenera e profumata quella manina così piccola, se paragonata alla sua.

“Grazie… riesci sempre a farmi sentire meglio, non importa quanto sia disperato. Io… grazie davvero, piccolina!” le sorrise con tutte le sue forze, baciandole con dolcezza le dita prima di sistemarsi meglio sul largo sedile.

Sentiva la voce di Marta nella sua testa, lo rassicurava; il suo solo tocco era in grado di rasserenarlo completamente. Stava bene. Non importavano le avversità del mondo, ma con lei al suo fianco le avrebbe sconfitte tutte, era questo ciò che sentiva. In quel momento, però, lei era più spaventata di lui, l’ambiente circostante misterioso, la tensione che percepiva ma che non capiva, toccava quindi a Camus farla stare meglio, ma come?

Quasi simultaneamente gli sovvenne di aver portato con sé, nello zainetto, il libro preferito di Marta, quello che le leggeva sempre prima di farla addormentare, perché il futuro Aquarius sapeva già leggere, aveva imparato, in gran segreto, all’età di quattro anni, quando ancora aveva difficoltà ad esprimersi verbalmente, quasi come se il mondo scritto fosse di più facile accessibilità che quello orale. Per il piccolo Camus era davvero così e adorava follemente leggere racconti alla sorellina, a volte insieme a sua madre, altre volte da solo.

Tra tutti quei racconti e quelle favole, ce n’era uno che a Marta piaceva tanto e non si sarebbe mai stancata di udirlo, si intitolava “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”. A Camus piaceva molto l’idea che il gatto fosse lui e la gabbianella la sua sorellina.

Posizionò quindi la sorellina in grembo, in maniera simile a quando Mamma la doveva allattare, cominciando a trafficare con lo zainetto pieno di pannolini, biberon e cose simili. Non lo trovò subito, tanto da temere di esserselo dimenticato a casa, ma infine riconobbe la copertina dal tatto, tirandolo poi fuori sotto gli occhi incuriositi della piccola.

“Guarda cosa ho portato con noi...” le sorrise, contento, e lo stesso fece lei, alzando le braccine.

“Ugheeeeeee!” trillò lei felice, gli occhi luminosi.

“Te ne leggo una parte, va bene?” le chiese, sistemandola meglio sulle ginocchia, circondandola con le braccia e sfogliando il libro.

La neonata stette in attesa, cullata dalla vicinanza del fratello.

Sei una gabbiana. Su questo lo scimpanzé ha ragione. Ti vogliamo tutti bene, Fortunata. E ti vogliamo bene perché sei una gabbiana. Non ti abbiamo contraddetto quando ti abbiamo sentito stridere che eri un gatto, perché ci lusinga che tu voglia essere come noi, ma sei diversa e ci piace che tu sia diversa. Non abbiamo potuto aiutare tua madre, ma te sì. Ti abbiamo protetta fin da quando sei uscita dall’uovo. Ti abbiamo dato tutto il nostro affetto senza alcuna intenzione di fare di te un gatto. - le raccontò con voce dolce e giustamente cadenzata, come una ninna nanna, dandole un’occhiata ricca di affetto prima di proseguire – Ti vogliamo gabbiana. Sentiamo che anche tu ci vuoi bene, che siamo i tuoi amici, la tua famiglia, ed è bene tu sappia che con te abbiamo imparato qualcosa che ci riempie d’orgoglio: abbiamo imparato ad apprezzare, a rispettare e ad amare un essere diverso. E’ molto facile accettare e amare chi è uguale a noi, ma con qualcuno che è diverso è molto difficile, e tu ci hai aiutato a farlo...

La piccola aveva chiuso gli occhi, rilassata nell’udire la voce del fratello, ma non si era ancora addormentata, limitandosi pigramente a piegare la manina su di sé e appoggiarsi contro il suo petto. Camus adorava quella favola e, ancora di più, il pezzo che si stava apprestando a leggere, quello del volo. Il vero significato del racconto sfuggiva alla sua giovane mente, ancora immatura per plasmare pensieri troppo elaborati, ma era bello, bello davvero, ed emozionante sopra ogni dire, e bastava quello. In più, per qualche ragione sconosciuta, percepiva quel racconto suo; suo e di sua sorella. Era la loro favola ed era ciò che di più intenso potesse rappresentare il loro rapporto. Camus non ne capiva il reale significato, era vero, ma ne saggiava pienamente la potenza. Era qualcosa di sacro e inviolabile. Qualcosa di inamovibile.

Continuò a leggerle il racconto con voce di miele, cullandosi la sorellina tra le braccia, mentre la distesa marina fuori dal finestrino si apriva totalmente, mostrando la Riviera di Ponente. Nello stesso momento, un signore anziano dagli strambi capelli si avvicinò a lui, chiedendo gentilmente se potesse sedersi dall’altra parte. Camus non rispose, discostando lo sguardo, così la stana persona prese il suo posto e tirò fuori un giornale, cominciando a leggerlo.

Quello non ci voleva, a Camus non piaceva parlare in pubblico, tanto meno condividere un momento così intimo e delicato con un estraneo, però non aveva ancora ultimato il racconto che avrebbe tranquillizzato Marta, per cui, facendosi forza e abbassando ulteriormente il tono della voce, proseguì ad oltranza, perché stava arrivando la parte più bella.

Ora volerai, Fortunata. Respira. Senti la pioggia. E’ acqua. Nella tua vita avrai molti motivi per essere felice, uno di questi si chiama acqua, un altro si chiama vento, un altro ancora si chiama sole e arriva sempre come una ricompensa dopo la pioggia. Senti la pioggia. Apri le ali”.

Marta sembrava essersi appisolata completamente, un leggero sorriso sul visetto delicato, le guance ancora rosse. Camus si rilassò contro lo schienale, totalmente rasserenato. Guardava con dolcezza il volto della piccola placidamente addormentata, una stretta ben nitida al cuore nello scorgerla. La abbracciò istintivamente senza farle male, socchiudendo gli occhi e lasciando che i contorni materiali intorno a lui svanissero. C’era solo lui e il fagotto delicato che stringeva con le braccine, nient’altro.

“Aprirai anche tu le ali, piccola mia...” le sussurro ancora, emozionato.

“Oh, è meraviglioso vedere quanto ti prodighi per la tua sorellina, sai? Io lo so bene quanto forte è il vostro legame, lo so bene… - gli disse una voce gentile vicino a lui. Mano a mano però, essa si faceva sempre più sinistra e distorta, il piccolo ebbe appena il tempo di accorgersene – Lo so bene, già, del resto… è per colpa del vostro legame se mi sono ridotto così!”

Camus spalancò gli occhi, spaventato, voltandosi immediatamente verso al figura del signore davanti a lui e che, per la prima volta lo scorse davvero, aveva i capelli di due colori diversi, netti, come la luce e l’oscurità. Istintivamente, presa la sorella saldamente, scese dal sedile e corse con l’intenzione di allontanarsi di capocollo, ma ciò che vide dalla finestra, o meglio, che NON vide, anche se avrebbe dovuto esserci, lo fece raggelare sul posto: il mare non c’era più, non c’era niente di quello che avrebbe dovuto esserci; al suo posto un immenso bianco che bruciava agli occhi, unito la consapevolezza di essere fermi, il treno non era più in movimento. Il signore lentamente si alzò, i suoi occhi erano glaciali ed era alto, altissimo, Camus non gli arrivava che alle ginocchia. Ne ebbe paura.

“Tu faresti di tutto per la tua amata sorellina, non è forse così? Già, tutto… anche soverchiare le leggi del mondo, anche distruggerlo, se questo può garantire la sua sopravvivenza. E’ proprio questo il problema, sei un essere pernicioso, un essere che non dovrebbe esistere… Camus...”

A quel punto il bambino indietreggiò ancora di qualche passo, più spaventato di prima. Come conosceva il suo nome?! Perché era lì? Cosa era successo al treno e ai sui passeggeri? E fuori? Perché non c’era altro che bianco? Il libro tonfò per terra, secco.

“Stia lontano da noi!!!” urlò contro il signore, la sorellina in braccio ancora addormentata e il cuore a mille. L’avrebbe protetta, a qualunque costo!

“Io devo stare lontano da te? Non stavi forse scappando da qualcun altro? Da chi scappi, Camus? Dove vuoi portare Marta? Chi è il vero nemico qui, io… o tu?” lo interrogò il signore, avanzando inesorabilmente.

“Ho detto di stare lontano!!!” gridò a squarciagola, il respiro mozzato e una paura viscerale, di animale in gabbia.

“Va bene, fintanto che parleremo starò lontano, anche perché voi… - assottigliò lo sguardo, sbeffeggiandolo - non potete proprio andare da nessuna parte, invece...”

Camus si guardò disperatamente intorno alla ricerca di una via d’uscita, ma era tutto fermo intorno al lui, persino il paesaggio inesistente fuori. Bianco etereo ovunque. Grigio dentro. Nessuno in giro.

“Il tempo è fermo – si affrettò a spiegare il signore, l’espressione vittoriosa e un’intensa regalia – Solo momentaneamente, è vero, ma sufficiente per non darti speranze di fuga. Mi siete scappati per troppo tempo!”

“Che cosa vuole da noi?” chiese temerario Camus, non trovando altre soluzioni che affrontarlo a parole.

“Solo ristabilire l’ordine. Sta a te decidere se farlo senza costrizione o con una mia, per così dire, piccolissima spinta...”

Camus non capiva nulla di quei discorsi. Parlava come se lo conoscesse ma lui non lo aveva mai visto ed era tutto meno che affidabile.

“Di Marta cosa ne sarà?”

“Uhmph, è il tuo primo pensiero sempre e comunque, eh? Se tu mi seguirai spontaneamente non le farò niente, mi serve anche lei per i miei progetti”

“Non lo farò mai! Vuole solo farle del male, null’altro! Non le consegnerò mai mia sorella!”

“Oh? E perché dovrei farle del male? Non mi ha fatto nient...”

“Bugia! Pensa che non me ne sia accorto?! L’odio che traspare per lei è ben nitido davanti a me. Non la sopporta, vero? Vuole ucciderla, ed io non glielo lascerò fare, a costo della vita!”

“Parole grosse, troppo grosse, per un bambino di 5 anni… non credi di correre un po’ troppo con l’intuito?”

“Non ha mai sbagliato fino ad adesso… e proprio ora mi sta dicendo di diffidare di lei!”

“Oh? E quindi io sarei…?”

“Lei è malvagio! Prima di torcerle anche un solo capello dovrà passare sul mio corpo, ma sappia che finché avrò un alito di vita non mi arrenderò!”

A quel punto inaspettatamente, il signore strambo dal doppio colore di capelli cadde per terra, in preda quasi alle convulsioni, prendendosi la testa fra le mani in totale balia degli spasmi.

“Uh-oh… i-io… io malvagio?! Uuuuuuuh….Uuuuuuuuuuuuuuuuuuuuhhhh!!!” cominciò a latrare, soffrendo tangibilmente.

Camus lo fissava sconcertato, sempre più sconvolto da quell’individuo. Era il momento giusto per fuggire con la sorellina, ma in quale direzione e soprattutto come? Era tutto fermo intorno a lui, ma un modo doveva trovarlo, oppure…

“Uhhh… uuuuuuhhh! Aaaaaaaaaaaarghhh!!!”

Ad un certo punto il signore urlò a squarciagola, prendendo a strapparsi i capelli bianchi con foga inaudita. Ogni capello staccato gli ricresceva nero, sempre più nero. Le rughe del volto di acuivano o scomparivano a seconda della modalità ascendente o discendente del grido agonizzante. Era uno spettacolo orribile, da far accapponare la pelle. Camus si guardò intorno alla disperata ricerca di una via di fuga, una scappatoia, che lo allontanasse da lì il più in fretta possibile.

“Io…. Io sono Fei…. FEI OZ! Un tempo ero il Demiurgo di Ipsias… - rivelò, stringendosi il busto con le braccia e paralizzandosi sul posto, come se fosse stato preso d’assalto da ricordi troppo dolorosi – Io… io ero un sovrano giusto ed equilibrato, amministravo la giustizia e davo libertà di credo ed espressione a tutti gli esseri viventi… non posso essere malvagio, non posso!”

I suoi occhi erano vitrei e bui, per un solo secondo, e in un solo secondo, aveva perso tutta la regalità che era trasparita dal suo primo dialogo. Camus, non trovando alcuna via di fuga, si acquattò all’angolo del vagone, il più lontano possibile da quel pazzo scatenato.

“Non posso!”

“Non posso!”

“Non posso!”

“Non posso!”

“Non posso!”

“Non po… SONO!”

Improvvisamente cadde nel silenzio più concreto, ammutolendosi, e non si mosse più. Che il tempo fermo avesse preso anche lui? Camus lo credette fermamente per… una manciata di secondi! Poi… la grande svolta.

Il tiranno si alzò in piedi come se niente fosse, come se non fosse successo niente. E ripartì dal principio.

“Sono Fei Oz, il Grande Demiurgo… non posso in alcun modo essere malvagio, le mie azioni sono sempre state rivolte al bene; al bene della mia dimensione…” riprese a dire meccanicamente, il tono nuovamente imperioso.

Camus era all’angolo, si sarebbe aspettato di tutto, era pronto a tutto, con quel pazzo a fiatargli sul collo, ma una cosa non si aspettava: che quel pazzoide che diceva di chiamarsi Fei Oz e di essere un Demiurgo, si precipitasse all’improvviso nella sua direzione con gli occhi iniettati di sangue, mostrando sia i denti che le gengive. Non se ne rese nitidamente contro, non finché non si sentì sollevare di peso dalla collottola.

“IO NON POSSO ESSERE MALVAGIO!!! VOI LO SIETE! VOI!!! CHE AVETE DISINTEGRATO IPSIAS, LA RIDENTE IPSIAS! MALEDETTIIIIIIIIIII!!!”

Camus si sentì in balia di una forza potentissima, i suoi piedi non toccavano più terra, ma le sue braccia erano salde sul corpo della sorellina, continuarono ad esserlo finché non si sentì lanciare con incredibile velocità. Il volo durò pochissimo, il tempo di capire che ci sarebbe stato un impatto e che, se non avesse fatto da scudo lui a Marta, l’innocente sorellina sarebbe stata uccisa, prima di cozzare violentemente il fianco sinistro contro lo spigolo dell’appoggia bagagli e finire malamente a terra tra i sedili.

Il respiro gli si troncò nel petto, il dolore fu tremendo, mentre il fagotto che teneva tra le braccia scivolò più in là, urlando istericamente e piangendo a seguito del risveglio così brusco. Camus stava annaspando per terra, straziato, ma la forza di muoversi la trovò nelle lacrime della piccola che, finita più in là, strillava con tutte le sue forze. Strisciò verso di lei, riprendendola tra le braccia e stringendola a sé.

“S-sono qui… andrà tutto b-bene… andrà… Cough! Cough!” tossì selvaggiamente. Respirare gli provocava un dolore atroce, ma l’avrebbe protetta a qualunque costo. A QUALUNQUE! Il loro viaggio non era che appena iniziato.

Ad un certo punto Camus avvertì alcuni passi dietro di lui, percependo di essere soverchiato dalla presenza del signore. Era immobile, in balia degli eventi. Ne fu terrorizzato...

“Lascia andare quel botolo schifoso...”

“L-l’unico botolo schifoso qui è lei che… che attacca due bambini così...” ribatté Camus, ostinato, stringendo con ancora più forza Marta, spaventatissima dagli ultimi eventi. Un calcio improvviso dritto nel rene gli fece vomitare altri fluidi non ben definiti, ma per nulla al mondo avrebbe ceduto. Tossì di nuovo, sempre più forte, respirare era diventato ormai difficilissimo.

“Molla la presa… soffrirai di meno!”

“Non mollerò la presa finché avrò un alito di vita, glielo ho detto e… ARGH!”

Altri due calci, ancora più forti di prima, sulla schiena. Camus si sentiva rotto, spezzato in due, ma neanche in quei momenti la sua cocciutaggine lo abbandonò, tanto da far imbestialire ancora di più quel pazzo forsennato.

“Molla! Mollala!!! O ti massacrerò, costi quel che costi!!!” gli gridò l’altro, continuando ad infierire su di lui a suon di calci, senza alcuna pietà.

Lo colpiva ovunque; ovunque potesse fargli male. Due volte sulle spalle, altre tre sul fianco sinistro, una dritta e netta alla colonna vertebrale. Il piccolo Camus non aveva più neanche le forze per urlare, del resto non voleva nanche farlo, non voleva dargliela vinta. La sua coscienza defluiva via, con essa anche il dolore diminuiva, ma non poteva cedere, non poteva. Farlo avrebbe esposto sua sorella al pericolo e lei era tutto per lui.

“Quanta vana resistenza… - disse il signore, premendo il piede, di peso, tra le scapole, Camus rantolò, non sopportando più quella pressione che gli schiacciava la cassa toracica, facendogli sussultare i polmoni, improvvisamente a corto d’aria – Siete sempre così, voi altri, cocciuti come muli e temerari, siete la rovina del mondo, voi e il vostro rapporto con le rispettive sorelle, ma questa storia avrà fine e tutto ricomincerà dal principio!” continuò, sogghignando tra sé e sé.

Poi si accorse che Camus non si muoveva più, la sua presa ferrea sulla sorellina era scemata, i suoi rantolii terminati, anche se l’espressione, inframezzata da un respiro penoso, permaneva ad essere contratta dal dolore. Lentamente lo spostò con la punta del piede, facendolo voltare completamente in posizione supina, libero di agire.

“Finalmente ha perso coscienza… penserò a lui dopo, ora devo eliminare il mio obiettivo prima che...”

Ma si bloccò, irrigidendosi nello scorgere gli occhi di Marta, in quel momento brillanti e superbi come una neonata non avrebbe mai dovuto essere, fissarlo con astio misto a ripugnanza. Il Mago Fei si trovò ben presto a tremare, la mano ancora aperta nel protrarsi verso i due, ma parallelamente non più in grado di avvicinarsi per adempiere alla sua sacra missione. Quegli occhi… no, non poteva essere, emanavano la scintilla del divino!

“La colpa è stata tua… se ti fossi fermata prima di far reincarnare l’anima di Dégel in questo bambino, io non sarei stato costretto a ricorrere a questo espediente! Pensi… pensi che faccia piacere, persino ad uno come me, di picchiare così violentemente un bimbo di 5 anni?!? Mi ci hai costretto tu, Seraphina, l’anima di Dègel NON avrebbe dovuto reincarnarsi! Doveva finire nelle mie mani e ristabilire così l’ordine nel mio mondo; l’ordine che voi stessi avete ribaltato e poi strappato, facendo precipitare così Ipsias nella perdizione più nera!”

La neonata lo continuava a guardare con espressione severa, sembravano dorati quegli occhi, non più solo blu, come il mare che tutto governa, il mare… insieme ad un cosmo dorato di dimensioni immani, forte e puro come la distesa di acqua salina.

“Pensi di potermi fermare di nuovo come già hai fatto nel Limbo? Pensi di averne la forza, nonostante le tue sembianze siano quelle di una neonata?!?”

“Grrrrrrrrrreeee!!!”

“MUORI!!!”

E la mano calò. Spietata. Ma ancora si fermò prima di trapassare l’obiettivo, la sensazione dell’immobilità che riparte. Il Mago stentò a crederci, mentre, con orrore, fu costretto a constatare che il treno, prima fermo come il tempo, aveva ripreso a muoversi, forzando il blocco. Tutto tornava a scorrere.

Era un qualcosa di semplicemente inaudito… che il controllo gli fosse sfuggito?! Non aveva dato ordine al vortice temporale di azionarsi nuovamente, ma lo aveva fatto, contro la sua volontà. Inconcepibile.

Era ancora indaffarato a pensare su come fosse stato possibile, che il corpicino di Camus sussultò, mentre i suoi occhi si riaprirono, distanti.

“Le avevo detto che non le avrei permesso di toccare mia sorella neanche con un solo dito, fintanto che avessi avuto un alito di vita...” ripeté a fatica, caparbio.

Avrebbe dovuto essere impossibile, il Mago ne era certo, sicuro come non mai di aver ridotto il piccolo ai minimi termini, tanto da impedirgli qualunque tipo di azione, eppure era di nuovo lì, sveglio, possibile che… che Marta gli avesse, in qualche modo, ceduto parte delle forze?! Impossibile! Era solo una neonata!!!

“Co-cosa?!? Sei stato tu, Camus?!? Come sei riuscito a… riattivare il tempo?!”

Ma lo sguardo del piccolo non era nella sua direzione, non era quasi il suo, si era fissato altrove, alla finestra, al treno di nuovo in movimento e al mare infinito fuori dal finestrino: mancava poco alla stazione più vicina, erano già in provincia di Savona, sarebbe bastato creare un diversivo, scappare e mischiarsi tra la folla in discesa dal vagone. Mancava davvero poco.

Nel frattempo, il Mago non si capacitava, era ancora accucciato lì, con i due bambini a poca distanza da lui, sarebbe bastato poco per dargli il colpo di grazia, ma era troppo sconvolto per farlo. Il tempo era libero, non più imbrigliato sotto la sua volontà… il tempo… il tempo… lui era l’Essere per eccellenza, come poteva farsi gabbare così da un bimbo? No, un secondo, era stato davvero lui a farlo ripartire?! Con quali forze?!? Era inaudito! Fuori da ogni logica!

“Come diavolo hai fatto??? Come diavol…?”

Non ebbe il tempo di finire la frase che il respirò gli si mozzò di netto. Camus, radunando tutte le sue forze, lo aveva colpito alla gola con un testata che gli aveva troncato il respiro, facendolo ricadere all’indietro del tutto impossibilitato a reagire. Tossì più volte, annaspando e contorcendosi alla ricerca d’aria, ma l’attacco disperato di Camus non aveva lasciato indenne il suo artefice, il quale, ricadendo sul pavimento dolorante, scivolò sul fianco, esausto a sua volta. Ancora fu la voce di Marta, come durante l’incoscienza, a riportarlo alla consapevolezza e ridargli le energie perdute. Coagulò tutte le sue forze per strisciare verso la sorellina, la raggiunse, prendendola di nuovo tra le braccia e decidendo di abbandonare tutto lì, tranne sé stesso e la piccola.

“Sono qui, sono con te… scusami se ci ho messo tanto!” le sussurrò, con dolcezza, prima di scattare con tutte le sue forze lontano da quell’essere abominevole. Il treno di stava fermando alla stazione di Varazze, l’unica speranza di salvezza, l’avrebbe presa e stretta a sé, così come la sorellina.

“Anf, anf, ci siamo quasi… resisti, Marta!”

Persino in quell’istante dove le gambe lo reggevano appena e non c’era un angolo del suo corpo privo di dolore, il suo primo pensiero ero rivolto a lei, alla sua protezione.

Le porte finalmente si aprirono, Camus si fiondò giù dal treno con la stessa velocità di una palla di cannone appena sparata. Non sapeva dove andare, la testa gli cominciava a pulsare con forza, annebbiandogli il cervello, il cuore pompava tutte le energie residue verso le gambe, per farle andare più veloce e farlo così fuggire, ma il dolore, tolto quel breve attimo di adrenalina, era troppo forte. Troppo intenso. Troppo soverchiante. Troppo per un bambino di appena 5 anni. Fatti pochi passi fuori dalla stazione, infatti, Camus si sentì tonfare a terra, la presa sul fagotto delicato di nuovo si affievolì, prima di separarsi del tutto. Marta scivolò qualche centimetro più in là sull’asfalto che gli procurò una vistosa abrasione sulla manina sinistra. Scoppiò quindi a piangere, inconsolabile, terrorizzando anche il fratello.

“Oh, no, anf… Marta! M-mi dispiace… - biascicò, tentando di riavvicinarsi a lei, anche se poteva farlo solo strisciando – Ti prego, perdonami, io… ARGH!”

“Bello scherzetto, quasi ci stavo cascando, sai? Ma la vostra corsa finisce comunque qui!” disse lapidario l’essere senza cuore, improvvisamente apparso di fianco a lui, schiacciandogli la mano protratta nel tentare di riacciuffare la sorellina. Il tempo era di nuovo fermo, ad eccezione di loro tre.

Camus non aveva più le forze di muoversi, era stremato, ferito, avvertiva un calore innaturale nelle zone colpite e un sapore dolciastro in bocca ma che non recava in sé alcuna delizia. Non era la cioccolata e neanche la vaniglia, né tanto meno lo zucchero, anche se qualcosa di zuccherino era insito nel palato, semplicemente era qualcosa di dolciastro ferroso che copriva tutta la totalità della cavità orale, procurandogli violenti spasmi e una nausea crescente.

“Potrei nuovamente picchiarti per darti una lezione, ma… sei già ai minimi termini e il tuo corpicino da bambino di 5 anni non può resistere più di così. Hai la fortuna di servirmi, quindi aspetterai docilmente qui, mentre io sistemo il conto con tua sorella!”

“NO! Non la tocchi! Prenda me, se le servo, ma lasci in pace lei, ha solo 8 mesi, non può in alcun modo averle recato… Cough! Cough!” tossì e sputò ancora una volta quel fluido strano, accorgendosi nitidamente che si trattava di qualcosa di rosso. Di sangue. Il suo.

Nel frattempo la mano nemica aveva preso spietatamente e malamente la sorellina, la quale strillava a più non posso. Non c’era più traccia del divino in lei, come se le sue forze si fossero esaurite.

“Come immaginavo… un abbaglio, coniato da un mio errore di controllo, null’altro!” si disse Fei Oz, un sorriso trionfante a solcargli il volto.

“Si fermi… si fermi, ho det… COUGH! COUGH!”

L’altro non lo ascoltava, così preso nei suoi piani di vendetta nei confronti di quell’esserino indifeso.

“Per quanto io ti odi, sarà rapido e indolore, vedrai, non sentirai niente!” continuò, aprendo le falangi, come a voler trafiggere la piccola con le sue dita.

“E ADESSO MUORI!!!”

“NOOOOOOOOOOO!!!”

Una vistosa chiazza di sangue cadde a terra, fluida, cominciando fin da subito a rapprendersi. Ma non apparteneva alla piccola Marta. Tutto sembrava essersi perfettamente cristallizzato intorno, immobile. Eppure Fei, ancora prima di capire che quello che era stato ferito era in realtà lui, si accorse, con estremo biasimo suo, che un fiocco di neve, seguito da un altro e poi un altro ancora, sempre più fitto, gli si era posato sulla ferita, colorandosi di rosso per poi sciogliersi, irrorato dal caldo liquido vitale. Sbatté le palpebre, guardandosi smarrito intorno: il tempo era, per la seconda volta, ripartito, ma neanche quello era lontanamente incredibile come assistere ad una tempesta di neve creatasi inaspettatamente e, con il sole, in cielo, del tutto privo di nuvole. Anche gli occhioni di Marta di spalancarono, increduli, poco prima di diventare ridenti. La boccuccia si aprì in un delizioso sorriso al contatto con quella magia di neve insperata.

Nello stesso momento Camus si rimise in piedi, gli occhi furenti, una nuova forza in corpo.

“Q-questo è… no… NO! E’ impossibile!” indietreggiò il Mago, gli occhi quasi fuori dalle orbite. Aveva paura. Peggio, era terrorizzato, proprio lui, il Demiurgo di Ipsias!

“Glielo dirò ancora una volta… lasci libera Marta e se ne vada da qui, senza fare più ritorno, o le conseguenze per lei saranno terribili!” lo minacciò il piccolo, alzando il braccio dal quale ben presto si formò una stalattite di ghiaccio. Non era semplice aria congelante, ma molto di più.

“N-non...non può essere, tu hai questo potere?!? L’altro Camus non ha mai dimostrato una simile attitudine, perché tu sì? - esclamò il Mago, sempre più stupefatto – Che davvero… che davvero le cose in questa dimensione funzioni diversamente?!?”

“La lasci andare, o...”

Continuava a minacciarlo il bambino, sempre più sicuro di sé, tanto che dietro di lui altre stalagmiti e stalattiti si formavano, puntando contro di lui come delle vere e proprie lance. Non c’era più alcun dubbio: la neve che si formava in assenza di nuvole e quindi voluta dallo stesso Camus, quelle costruzioni di ghiaccio che prendevano forma propria a seconda della mente del bambino e che sfuggivano alle leggi fisiche di quel mondo. Era impossibile sbagliarsi!

“Questo è il Potere della Creazione, sì… - ne dedusse il Mago, tornando a sorridere con movimento ampio e inquietante delle labbra, poco prima di inneggiare a più non posso – Sììììì!!! Fantastico, meraviglioso! Questo Camus ha in sé un potere primordiale, che credevo perduto dalla Notte dei Tempi, la capacità che io non ho mai posseduto, la capacità che mi permetterà di far rifiorire Ipsias: LA CREAZIONE!”

Era incredibile. Era fuori di sé dalla gioia come non lo era mai stato. Era molto più di quanto sperasse, tutto ciò doveva essere contingente, quindi necessario: la chiave per far ripartire il suo mondo perduto.

“La lasci andare, ho detto!!!” urlò all’improvviso Camus, totalmente fuori controllo, facendo scattare verso la direzione del nemico le costruzioni ghiacciate.

Il sorriso del Mago gli morì in gola quando, resosi appena conto di essere sotto attacco, eresse una barriera tra sé e le stalagmiti proiettate a tutta velocità dal volere del bambino. Con orrore si accorse che la difesa non sarebbe bastata, che lo avrebbe comunque colpito, perché quel potere privo di controllo era di gran lunga superiore alle magre capacità di coordinazione del moccioso, visibilmente agitato e quindi non idoneo ad ammaestrare una simile energia.

Si disse che nessuno ci sarebbe riuscito meglio di lui, che bastava quindi possedere quel corpo, e che il più sarebbe stato così fatto, quando la barriera costruita magistralmente da lui si ruppe, lasciandolo sguarnito all’attacco. Imprecò, tra sé e sé, razionalizzando che l’unico modo per non subire un attacco fatale sarebbe stato quello di distruggere le tre stalagmiti che puntavano al suo torace, lasciandosi colpire dalle altre in punti non vitali. Così fece, accorgendosi comunque troppo tardi che una decima stalagmite a forma di mezza lancia, era in ritardo sul tempo delle altre, la traiettoria l’avrebbe preso in pieno al petto, ferendolo mortalmente e trafiggendogli il cuore. Diamine, non aveva tempo per fare alcunché, non aveva…

La prima stalagmite lo centrò con precisione tra la spalla e il petto, a seguire le altre, la seconda al fianco sinistro, la terza e la quarta alla coscia destra e la quinta sul braccio. Il respiro gli si mozzò istantaneamente, ma non si fermò, ripartendo subito dopo, anche se un po’ affannoso. Si chiese cosa fosse successo, se aveva fatto male i calcoli sull’ultima lancia, credendosi già spacciato, ma capì pienamente cosa fosse accaduto solo quando la vide. Guardò meglio. Non c’era possibilità d’errore. Sorrise, glorioso.

“Aaaaaaaaaaaaaahhhh!!!” dall’altra parte l’urlo sgomento di Camus, che si era irrigidito di botto, diede la certezza definitiva.

“Ma che bravo, Camus, anf… anf… saresti una perfetta macchina da guerra, se avessi il controllo sul tuo corpo. Oggi mi hai tolto un grosso lavoro, sai?” sorrise di scherno, scoppiando poi in una vera e propria manifestazione di ilarità.

L’ultimo colpo non lo aveva colpito in pieno petto per uno sporco gioco del destino: tra lui e l’arma contundente c’era infatti il fagotto di nome Marta, che aveva subito in pieno il colpo al posto del Mago. E stava ferma e immobile la creaturina, gli occhi spalancati vitrei e vuoti. La stalagmite conficcata con precisione su di lei.

“No… no… no… noooooooooooooooooo!!!” strepitò Camus, gridando con tutte le sue forze, mentre calde lacrime gli si riversavano giù dagli occhioni spalancati in un urlo viscerale. Non aveva mai pianto prima di allora, quella fu la prima volta.

Si accasciò a terra, scioccato, l’ultimo assalto lo aveva esaurito, ma ancora di più, la consapevolezza di ciò che aveva fatto alla sua sorellina. Proprio lui, che voleva solo proteggerla, solo…

“Muahahahahahahahahaah! Hai detto che la rivolevi, Camus?!? - lo canzonò il Mago, senza alcuna pietà – Eccotela, così vuota non mi serve più!” disse, lanciandogli davanti il corpicino trafitto, neanche fosse stato un mero oggetto.

Camus avrebbe voluto precipitarsi su di lei e impedirle di cadere.

Camus avrebbe voluto risvegliarsi dall’incubo, perché non poteva essere altro che un brutto sogno.

Camus avrebbe voluto vedere sparire quell’uomo cattivo; voleva massacrarlo, nel peggiore dei modi.

Camus avrebbe voluto aggrapparsi ad una speranza nel credere che la sorellina non fosse stata colpita.

Camus avrebbe voluto tante cose in quei secondi che separavano il corpicino di Marta dal terreno, ma non gli riusciva niente, solo piangere, disperarsi… ma sia piangere che disperarsi non servivano a niente, non cambiavano le cose, i fatti...

Era svuotato, perso, qualcosa in lui si era di nuovo spezzato, irrimediabilmente. Se non fosse stato costruito, dentro di lui, quel ponte di emozioni, se fosse rimasto asettico come una pianta, forse, non avrebbe sentito quell’enorme fitta che lo distruggeva da dentro? Gli sembrò di morire. Spietatamente. Dentro.

“Che qualcuno… che qualcuno salvi la mia sorellina, vi prego!!!” riuscì solo a pensare, disperatamente, singhiozzando, vinto.

Quella volta fu ascoltato.

“STURDUST EXTINCTION!!!”

Gli occhi del piccolo Camus non percepirono niente, se non un’eterna luce sfavillante e gloriosa. Quando le sue iridi furono di nuovo in grado di distinguere le forme, si meravigliò di vedere un ammasso di capelli verde sbiadito sovrastare la figura del Mago, in quel momento di nuovo a terra ad annaspare nel suo stesso sangue.

“Sono venuto qui, avvertendo un cosmo magnifico, superiore a qualsiasi altro. Ma ora che ti vedo negli occhi, non vi è nulla di ancestrale in te, solo un essere spregevole che si fa da scudo con una neonata in fasce! - disse nuovo venuto, che Camus riconobbe come il vecchio dall’universo dentro, colui che lo voleva strappare da sua madre e sua sorella. Gli fece un cenno con il capo, prima tornare a concentrarsi sul nemico – Chi diavolo sei?!? Il tuo cosmo è divino ma il tuo agire è vergognoso!”

“Non sono una divinità, sono molto di più, infatti! Tu invece sei il Grande Sacerdote Shion, giusto? Ti conosco… conosco ognuno di voi!”

Camus si accorse solo in quel momento che il corpicino abbandonato a sé stesso di Marta era tenuto saldamente dal vecchio. Un moto di gratitudine lo pervase, ma le lacrime non si arrestarono, né tanto meno la paura.

“Mi… mi conosce? Come…?”

Anche il vecchio signore era incredulo, il Mago annuì con la testa, il solito sorriso di scherno rivolto agli astanti.

“Non conosco voi in particolare ma le vostre controparti di Ipsias, ed essendo la vostra essenza uguale, le stesse speranze, gli stessi errori, le stesse emozioni, è come se avessi avuto a che fare direttamente con voi!”

“Sta parlando… di un multiuniverso?!”

“Bravo! La saggezza del Grande Sacerdote è un dato di fatto per ogni dimensione, anche qui è ben riposta!”

Shion rimase sul chi vive, rigido. Non si spiegava un cosmo così sfavillante e colossale in un individuo che si era comportato meschinamente. Nell’atto di attaccare non aveva dato che una veloce occhiata al piccolo Camus, ma già da distanza si vedeva che fosse davvero malridotto, probabilmente era stato picchiato brutalmente da quell’omuncolo; anche la sorellina, pur non avendo ferite visibili, stava immobile. Sembrava quasi che non respirasse neppure, ma non c’era stato il tempo per sincerarsi adeguatamente delle sue condizioni.

“In guardia!”

“Raffredda i bollori, ex Ariete, non vorrai attaccare un povero vecchio ferito, vero? Dovresti capirmi, anche tu non sei più tanto giovane...”

“Non mi incanta… la forza per infierire su due bambini innocenti ce l’ha avuta eccome, non ho pietà per gente come lei… STURDUST EXTINCTION!”

Il colpo era stato lanciato alla velocità della luce, ma semplicemente cozzò contro il muro perimetrale dietro, giacché il nemico aveva fatto in fretta a dileguarsi.

Shion non riusciva a crederci. A che velocità si muoveva quell’essere?! Eppure era certo che lo avrebbe centrato in pieno. Ringhiò sommessamente, iracondo. Nonostante gli anni sulle spalle, non riuscire nel suo intento di amministrare correttamente la giustizia lo faceva imbestialire, sia nel 1743 che nel 1994. Quello schifoso sarebbe rimasto a piede libero, quando invece avrebbe solo voluto ucciderlo. Malgrado il cosmo non più percettibile, lo udì nuovamente con le proprie orecchie.

“Ho ridotto io Camus così, ma stai tranquillo, ho fatto in modo di non danneggiare organi vitali, penso che i tuoi poteri siano sufficienti per occuparsi di lui. Per quanto concerne la sorella, invece, è stato lui stesso a colpirla, non controllando minimamente il suo potere. Aspetterò quinsi che cresca e che affini le sue qualità, me ne tornerò nel mio mondo in rovina in attesa, aspettando che il piccolo mi consegni le sue abilità di creazione!” disse ancora, dileguandosi totalmente.

Il sole era tornato a splendere, il tempo era di nuovo in moto, ma i fiocchi di neve continuavano a scendere tutt’intorno, sorprendendo non poco il vecchio Shion. Era un fenomeno del tutto atipico, la neve con neanche una nuvola in cielo, le persone di quella zona se ne erano già accorte e non c’era spiegazione logica ai fatti. Shion si disse ancora una volta che era più che necessario condurre Camus al Tempio il prima possibile. Ma aveva bisogno di comprendere i fatti accaduti, che sfuggivano alla logica.

“Camus...”

“La prego… salvi la mia sorellina. E’… è colpa mia, la… la colpa è mia...” balbettò Camus, inginocchiato per terra con l’espressione sgomenta. Era chiaramente sconvolto, con le braccia si abbracciava le spalle, come se avesse freddo, tuttavia non era gelo fisico. Rischiava di finire a pezzi, di nuovo, quella consapevolezza investì il vecchio Shion, il quale si avvicinò lentamente a lui.

Nel compiere il movimento guardò la sorellina, effettivamente non aveva ferite visibili ma non respirava ed era immobile. Gli occhi chiusi.

“Camus, cosa è successo, come…?”

“L’ho colpita io… IO! La prego, la salvi, la scongiuro!” ripeté Camus, continuando a piangere, era totalmente fuori di sé.

Shion si inginocchiò vicino a lui, tenendo sempre la piccola tra le braccia. Le scostò la pesante coperta che aveva indosso, rivelando un pesante tutina con dei grossi bottoni. Non era macchiata di sangue ma era bucata in prossimità della spalla sinistra, come se fosse stata perforata da un oggetto contundente. Gliela sbottonò nel vedere cosa celasse, trovandoci un grosso foro di entrata in prossimità della spalla sinistra, poco sopra il cuore. Ne scaturiva una potente aura. La situazione sembrava disperata, ma fortunatamente Shion capì in un lampo l’origine di quel potere mitico, attuando così le giuste contromisure.

“Camus, sono sicuro che non l’hai fatto apposta, non volevi ferirla, solo proteggerla… non è forse così?”

Il piccolo non disse niente, gli occhi permanentemente sbarrati e le labbra tremanti. Non si discostava dalla posizione assunta prima, né si dibatteva, era come se fosse da un’altra parte, in un mondo a sé.

Shion sospirò pesantemente, adagiando la piccola Marta sul suo grembo, la situazione era meno tragica di quel che appariva, il potere che sembrava possedere Camus, la Creazione, sfuggiva alle leggi del mondo, perché concepiva nello stesso mondo fisico atomi che non esistevano in quella dimensione. Era un potere assoluto e pericoloso e non privo di conseguenze per chi lo produceva e chi lo subiva, ma fortunatamente tali strascichi non potevano incidere sul corpo della piccola, che pure pareva morta ma così non era, anche perché il fratello non voleva in alcun modo farle male, e la volontà, in quel potere meraviglioso e spaventoso al tempo stesso, era determinante.

Shion si concentrò sulla neonata, premendole la laringe con forza: il foro si stava richiudendo da solo, come immaginato, non restava che far ripartire il respiro. Così fece e attese diversi secondi, i tempo necessario affinché la ferita si richiudesse del tutto.

“Uuughe!”

Finalmente il primo vagito, nello stesso momento in cui la piccola riprese a muoversi, stiracchiandosi pigramente e scalciando con foga. Shion sorrise con tenerezza, felice che le sue deduzioni si fossero rivelate fondate. Si rilassò totalmente, ringraziando Atena, che pure non si era ancora reincarnata, per essere riuscito a salvare una vita. Anche Camus si riscosse, sebbene gli occhi continussero ad essere inondati di lacrime.

“Ecco qui, piccolina, sei molto forte, sai? - Shion parlò direttamente con la neonata, la quale gli sorrise a sua volta, acciuffandogli il dito, giocosa – Hai rischiato molto e, per un secondo, ho temuto che non bastasse il mio intervento, ma fortunatamente ci sono riuscito!”

Certo, era confermato che fosse Potere della Creazione, il che angustiò il cuore del vecchio Shion, sia per il destino di Camus che per quello della sorella, ma non erano argomenti da trattare in quel momento, assolutamente!

Il piccolo Camus aveva ancora gli occhioni sbarrati, il cuore gonfio e il viso umido, quando Shion, con delicatezza, gli posò di nuovo la sorellina tra le braccia.

“Eccola qui, come nuova! Come dicevo, non volevi farle male, è stato solo un incidente! Il tuo potere è solo tuo, dipende dalle tue intenzioni, per questo sono riuscito a risolvere la situazione. Guarda, la ferita è completamente chiusa, tra poco no avrà più alcun segno. E’ salva!” gli spiegò Shion in tono più dolce possibile.

Camus era ancora incredulo, vedeva la sorellina tra le sue braccia, la vedeva muoversi briosa come la ricordava, ma al contempo la scena della battaglia gli si ripresentava nella testa, subdola e spietata. L’aveva trafitta, lo ricordava bene, era stato perché aveva perso il controllo, ferendo lei, il suo bene più prezioso.

“Camus… hai un potere straordinario, ma privo di controllo può ritorcersi contro di te, o contro le persone a cui vuoi bene!” si sentì di aggiungere Shion, cauto.

Il piccolo continuava a tenere la sorella a distanza, spaventato e ancora sconvolto, sembrava che stentasse a crederci, che stentasse a credere che il suo agire era stato privo di conseguenze. Non era stato infatti privo di conseguenze, Shion lo sapeva bene, ma non si sentì di rivelarglielo: quello che contava era che la neonata non avrebbe avuto alcuno strascico fisico e, probabilmente, giacché il nemico l’aveva creduta morta, non avrebbe avuto più problemi durante la crescita, nessuno che la venisse a cercare per ucciderla… a patto però che il piccolo Camus avesse accettato completamente il suo destino!

Camus intanto persisteva ad essere afasico, sconcertato e ancora terrorizzato, la situazione si sbloccò solo quando la neonata, per un qualche tipo di ragione a Shion sconosciuta, allargò le braccine in direzione del fratello, producendo versetti che parevano avere un significato loro. Il Grande Sacerdote non capì, non era infatti rivolto a lui il messaggio.

“Oh, Marta! Martaaaaaa!!! Scusami… scusami, ti ho fatto male, io… non volevo, non volevo!!!” pianse Camus, cingendola al petto con tutte le forze che gli rimanevano. A Shion gli si strinse il cuore nel vedere quella scena: davvero i due erano legati da un legame di simbiosi che non aveva mai visto in nessun altro essere vivente. E lui… e lui era lì per distruggerlo in vista di n bene superiore. Per la prima volta, capì le parole della Signora Antoinette.

La piccola, avvolta dall’abbraccio disperato del fratello, gli posò la manina sulla guancia, come a volergli asciugare le lacrime. Shion se ne stupì, era di lunga troppo prematura una reazione così, eppure… sembrava che le sue azioni fossero mirate, anche se non aveva che pochi mesi.

“Camus… hai ferite e lividi su tutto il corpo, forse anche dei danni interni, dovremmo...”

“Sto bene, ora… non preoccuparti, sto bene, Marta!” rispose Camus, non rivolto a lui ma alla sorellina, come se avesse parlato. Il comportamento incuriosì ancora di più Shion, che volle indagare.

“Puoi… puoi parlare con lei?” domandò, sorpreso oltre ogni dire.

“Sì… mi ha parlato nella mia testa, chiedendomi come stavo e rassicurandomi sul suo stato di salute… - si affrettò a spiegare, poco prima di concentrarsi nuovamente sul fagotto profumato – Non ti devi preoccupare per me, se tu stai bene, sto bene anche io e… grazie, grazie, piccolina! Sono io il più grande ma tu riesci sempre a confortarmi con una naturalezza che mi meraviglia ogni volta!”

“Questo bambino… - pensò intanto Shion, con un velo di tristezza – E’ ferito gravemente e Atena solo sa cosa ha dovuto passare. Deve avere un dolore atroce a tutto il corpo, da urlare e disperarsi, vista l’età, eppure non una volta si è lamentato delle sue condizioni, tutte le sue preoccupazioni sono rivolte alla sorella e a lei sola...”

“Marta mi dice di ringraziarla calorosamente!”

“Eh, cos…?

Camus annuì, guardandolo finalmente in faccia. Aveva il volto sporco di sangue, ma si sforzava di sorridergli, persino a lui, che era uno sconosciuto.

“E anche io la ringrazio, la mia sorellina le deve la vita e… e...”

Ma non finì la frase che cadde a terra, sfinito, mentre Marta, quasi dal nulla, prendeva a paingere. Shion gli impedì di toccare il suolo, afferrandolo con lestezza e chiamandolo per nome. Respirava irregolarmente, l’espressione sofferente. Le gambine avevano ceduto, ma la stretta sulla sorellina no, anche di questo Shion si sorprese, elogiando ancora una volta la sua incredibile forza di volontà. Non c’era tuttavia tempo da perdere, la situazione stava rapidamente precipitando.

“Camus? Camus!!! - lo riprovò a chiamare, ma il bimbo era completamente svenuto, l’espressione contratta, la bocca semi-aperta. Marta, al contempo strillò angosciosamente più forte, come se sentisse il malessere sempre più accentuato del fratello. Occorreva sbrigarsi – Dannazione!” imprecò tra sé e sé il Grande Sacerdote, sempre più angustiato..

Prese quindi la piccola tra le braccia, portandosela in grembo per farle percepire calore, poco prima di concentrarsi sul corpicino di Camus, che probabilmente aveva subito più danni di quelli che dimostrava. Gli sbottonò e aprì la giacca per farlo respirare meglio. Intorno non era altro che neve sotto un cielo blu cobalto, stava cominciando ad accumularsi, malgrado il bimbo avesse perso coscienza. Le mani di Shion corsero febbrilmente a girovagare per tutto il suo corpo alla ricerca di eventuali, gravi, danni. Lo aveva nel frattempo disfatto della pesante maglione per poi sollevargli la maglietta, scoprendolo e scoprendo altresì, con estremo orrore, tutti i grossi lividi, le abrasioni e le ferite che lo ricoprivano.

Il piccolo Camus versava in gravi condizioni, peggio di quanto aveva creduto e peggio di quanto aveva dimostrato. Era inconcepibile una tale violenza su un bambino di appena 5 anni, probabilmente era stato preso barbaramente a calci, il busto aveva già pesanti lividi e sangue gli era uscito dalla bocca. Nella disgrazia, per lo meno, non sembravano irreversibilmente danneggiati gli organi vitali, ma la situazione era comunque molto grave. Shion si ricordò che prima di andarsene il nemico aveva confessato che il bimbo gli sarebbe servito più avanti, per questa ragione, a suo dire, ci era andato giù leggero.

“Leggero, certo… guarda come lo hai massacrato, lurido bastardo!” Shion insultò il nemico a denti stretti, mentre, continuando a tastargli il busto, concentrava tutte le sue energie per contenere i danni.

Lo fece adagiare sulle gambe, iniziando a curargli poi i traumi più gravi con l’ausilio della sola mano posata sul diaframma, che si alzava e abbassava a scatti, sempre più irregolarmente, fino a cessare del tutto. La pelle di Camus era bollente; con orrore, si accorse che il piccolo non riusciva più a respirare da solo.

Ancora una volta Shion ebbe l’impulso omicida di seguire quell’essere fin oltre l’orizzonte degli eventi per fargliela pagare, ma prima di tutto doveva salvare quella vita innocente che stava scivolando via.

“Respira, Camus, respira… - lo provò ad incoraggiare, rivoltandogli interamente la maglia sul petto per massaggiarglielo con due dita allo scopo di effettuare le manovre necessarie per la RCP e passare poi ad aprirgli la bocca e soffiare dentro di lui l’aria che così spietatamente gli mancava - Resisti, piccolo, ti prego, tua sorella è qui, la senti? Piange per te, è in sofferenza per te, non puoi cedere!” gli diceva, tra una sessione e l’altra, pregando che potesse bastare quello come primo soccorso, perché quel corpicino era già straziato, premerlo più forte gli avrebbe causato un dolore difficilmente sopportabile.

Finalmente Camus tossì più volte, con forza, e quel segno, quell'unico segno, consentì anche alla piccina di smettere di strillare per tornare, a sua volta ad una respirazione regolare anche se ancora un poco frammentata. Shion sentì la tensione sciogliersi.

“Bravissimo! Così, ancora… forza!” gli continuò a sussurrare per un tempo indefinito, sollevandogli un poco la nuca per aiutarlo.

La procedura di emergenza aveva funzionato, ma Camus era ancora in condizioni critiche, doveva affrettarsi. Avvolse quindi quel corpicino martoriato nella coperta che riscaldava anche Marta, pensando che la vicinanza con la sorella avrebbe potuto dargli ancora più forza, prima di scattare alla velocità della luce verso la casa dei due piccoli eroi, un luogo sicuro e caldo dove sarebbe stato più semplice prendersi cura delle ferite rimaste.

Non esitò un attimo, aveva preso a cuore l’intera faccenda.

 

 

* * *

 

Ciò che seguì per Camus fu un lungo e innaturale silenzio avvolto da una oscurità perpetua. Non provava dolore, non aveva concezione del tempo che passava. Solo e soltanto la pace, assolutamente priva di sogni.

Quella tranquillità generale e innaturale ebbe comunque presto termine, mentre i sensi piano piano rinvenivano dall’oblio.

La prima sensazione fu puramente tattile: un piacevole torpore.

La seconda fu uditiva: qualcuno piangeva e singhiozzava al suo fianco.

Solo per terza venne la vista, permettendo così alle sue palpebre di aprirsi faticosamente. I suoi occhi impiegarono non poco a dischiudersi, unico movimento concessogli, poiché il resto del corpo era pesante e spossato, piano piano la nebbia attorno a lui si dissipò, permettendogli di riconoscere i contorni della sua cameretta e, in seconda istanza, la figura accovacciata al suo fianco, in lacrime. Deglutì, avvertendo la bocca secca e ancora quel sapore dolciastro che gli dava nausea. Era tremendamente stanco ma doveva parlare, doveva… era di vitale importanza.

“M-mamma, non… non pia-ngere...” biascicò con tutte le sue forze. L’unica cosa che riuscì a produrre era in un tono rauco, come se la voce avesse faticato non poco ad uscire, ma ce l’aveva fatta.

La giovane donna al suo fianco alzò la testa e drizzò la schiena, mostrando così il viso inondato dalle lacrime. Era terribilmente in pena per lui, Camus lo percepiva, per quel motivo tentò di sorriderle per rassicurarla, come gli era stato insegnato a fare. Era dura. Era difficile. Tutto il suo corpo ululava di dolore, essendo il suo cervello sempre meno intorpidito dal sonno e sempre più conscio della realtà, ma sorrise comunque. Il piccolo non riusciva a tollerare il peso delle lacrime delle persone a lui care, lo facevano sentire male, angosciato… ed era una sensazione terribile.

“Ca-Camus! G-grazie a Dio!” ringraziò a gran voce la signora Antoinette, ancora in lacrime, accarezzandogli dolcemente la testa per poi scendere sulla guancia ancora terribilmente pallida. Lì incassò la testa fra le spalle, sopraffatta.

“Per-perché sei così disperata… mamma? Io… scusami, sono fuggito di casa, non dovevo...”

Il piccolo era mortificato dal suo comportamento e convinto che la madre piangesse per quel motivo. Non sapeva, no, che aveva rischiato la vita, che era stato in coma per giorni, nonostante le cure di Shion, no, non lo sapeva, e chiedeva supplichevolmente perdono per una quisquilia simile.

“Quello non ha assolutamente importanza, Cammy, non… non ci stavo nemmeno pensando!” singhiozzò ancora la madre, sopraffatta, non smettendo di toccarlo.

“E allora perché piangi?”

“Per-perché ho avuto tanta paura che non aprissi più gli occhi!” gli sussurrò, distrutta dalla lunga veglia, ricercandosi il tempo per darsi un contegno.

Camus si sentiva sempre più mortificato. Era consapevole che comunque era stata colpa sua, ma non rammentava ancora i fatti accaduti per una buona manciata di secondi. Era addolorato da vedere quelle lacrime sul volto della giovane donna, gli procuravano un male lancinante, quasi come...

Un flash improvviso.

Rivisse i momenti prima di svenire tra le braccia di Shion, riaccusò il dolore di essere preso a calci, la paura di aver perso la sorellina. E capì.

Nello stesso momento, quasi in sincronia si rese conto di essere nudo tra le coperte, ad eccezione del pannolino che gli sfregava fastidiosamente sulla pelle. Provò una intensa sensazione di vergogna. Non indossava i pannolini da anni, ormai credeva di essere diventato grande, ed eccolo invece lì, nudo e indifeso come un lombrico, con quell’affare tra le gambe che sfregava fastidiosamente sulle cosce. Arrossì di netto.

“Quanto tempo è trascorso?”

“Una settimana, giovanotto… le botte subite erano più gravi del previsto, così come le ferite. Tua madre non ti ha mai staccato gli occhi di dosso per paura di perderti!” gli spiegò una terza voce, che Camus riconobbe come il vecchio con l’universo dentro, colui che lo voleva portare via dalla sua famiglia, la ragione che lo aveva condotto a scappare, ma anche colui che aveva salvato la vita a sua sorella. Doveva essersi trattenuto lì, prendendosi cura di lui.

“Marta… mia sorella sta bene?”

Shion sorrise cordialmente, nuovamente intenerito dall’attaccamento di Camus per la piccola.

“Sì, sta dormendo nella sua culla dopo aver mangiato un sacco, non ha neanche un graffio!”

A quel punto anche gli occhi di Camus si inumidirono per la commozione, mentre due lacrime gli scivolarono sulle guance diafane per poi sparire lungo il collo.

“Menomale… lei è una ghiottona, se mangia così tanto vuol dire che sta bene, sono così sollevato!” si rilassò, più sereno e con un peso minore sul cuore.

“Cammy, riposati ancora un po’ e non alzarti assolutamente dal letto, intesi? Andrà tutto bene adesso...” lo incoraggiò la mamma, accarezzandogli la guancia ancora calda e baciandogli la fronte come sempre. Tuttavia c’era qualcosa di strano in lei, un’ombra, un presagio, Camus la percepì appena mentre la vide alzarsi con lo sguardo basso e dirigersi verso la porta, fermandosi qualche secondo davanti all’uomo di nome Shion. Prese un profondo respiro, prima di parlargli schiettamente.

“Camus è sveglio adesso… chieda direttamente a lui cosa voglia fare del suo futuro, visto che la situazione è così grave, è un suo diritto scegliere! - gli disse, quasi in lacrime – Solo… solo ci vada piano, è ancora molto debole e spossato, non lo faccia sforzare troppo, la prego!”

Proferito questo si allontanò a capo chino, chiudendo la porta dietro di sé, tetra.

“Camus… scusami, ho bisogno di farti ancora delle domande, sei abbastanza in forze per rispondermi?” chiese gentilmente Shion, in tono affabile. Vedendo il movimento del piccolo, che tentava di alzarsi per darsi un contegno si affrettò ad aggiungere – Oh, no, non c’è bisogno che ti alzi, stai pure giù, lascia che questo vecchio si sieda sul bordo letto mentre ti misura la febbre e ti pone quesiti importanti...” lo fermò, riportandolo garbatamente giù e prendendo il termometro dal comodino.

“Le posso rispondere, sì, ma prima chiedo io a lei: mi ha salvato la vita?”

Shion sorrise ancora più intenerito, sfiorando la sua guancia con due dita. Era un bambino molto intelligente e sveglio, un piccolo prodigio, assolutamente degno del suo predecessore.

“Si può dire di sì… ma la tua tempra è molto resistente, senza di quella sarebbe stato tutto vano. Sei molto coraggioso, sai, Camus? Ti chiedo di esserlo anche ora, perché il momento è assai grave...”

“…Mi vuole chiedere di seguirla in quel luogo misterioso, vero?”

La domanda prese Shion in contropiede, facendolo sussultare. Già, era un bambino molto sveglio, forse anche troppo, meglio andare direttamente al sodo.

“Sì… ma prima volevo sapere se chi vi ha attaccato ha rivelato perché lo faceva… perché ce l’aveva con voi due, lo hai capito, Camus?” chiese ancora lui, scostandogli le coperte, prendendogli il braccio per mettere più agevolmente il termometro sotto l’ascella.

Il bimbo ci pensò un po’ su, muovendosi un poco per sistemarsi meglio nel letto. La pelle bruciava e le articolazioni dolevano alquanto, per non parlare dei muscoli che sembravano quasi strappati da quanto gli dolevano. Gli sfuggì una smorfia causata da una fitta istantanea al fianco, spingendolo così a rimanere fermo per tentare di controllare il malessere.

“Diceva cose strambe quel signore, mi faceva paura, sembrava un pazzo… temevo per la mia sorellina, voleva ucciderla, ha detto che la odiava e… e...”

“Calmati, Camus, sono qui, siete qui, al sicuro! - lo fermò immediatamente il Sommo Shion, percependo la sua agitazione crescente, assolutamente non adatta per un bimbo in simili condizioni – Hai detto che ce l’aveva con Marta? Voleva… voleva farle del male?”

“Sì… l’ha chiamata botolo schifoso, lei, che è un essere puro e innocente, non potevo accettare che la insultasse così, v-volevo solo proteggerla e… e invece...”

Camus continuava ad agitarsi, tanto da spingere Shion ad accarezzarlo come aveva fatto precedentemente sua madre. Era comprensibile: sebbene coraggioso e forte, era stato traumatizzato da quegli avvenimenti e, ancora di più, dal suo potere fuori controllo.

“Ci sei riuscito, Camus, l’hai...”

“L’HO FERITA!”

“E’ successo, sì, ma ora sta bene e non avrà conseguenze nella crescita!” lo rassicurò, sebbene non ne fosse altrettanto convinto.

Camus aveva ripreso a piangere, gli occhioni luminosi che si erano discostati dalla figura imponente del Grande Sacerdote, il petto sconquassato dai singhiozzi, che pure non lasciava trapelare fuori da sé.

“Camus… il nemico ha detto niente sul suo conto? Perché ce l’aveva con la piccola Marta?”

“Non so… non so come potesse avercela con lei, ha solo 8 mesi, non so… proprio non so… ma su di me ha detto gli servivo, che non mi avrebbe causato danni mortali, perché sono indispensabile per i suoi piani...”

I nodi cominciavano a venire al pettine, muovendo gli ingranaggi. Il vecchio Shion lentamente cominciava a soppesare un piano ben più grande, illimitato, tanto che la mente umana, forse, non sarebbe bastata. Era atroce. Le tenebre correvano veloci. Erano tenebre ben diverse dalla nuova minaccia di Hades, ancora lontana, ma forse ancora più terribile di quella.

Era comunque certo che il nemico, almeno per il momento, aveva discostato i suoi occhi su quella dimensione, convinto che Marta fosse ormai morta, il che era un bene, offriva a loro una chance di celarla, permettendo così alla piccola di vivere una vita normale.

“Camus… ti è mai capitato di formare e maneggiare altre figure di ghiaccio oltre alle stalagmiti con cui hai colpito quell’essere?”

“Sì, lo faccio da quando avevo tre anni… A Marta, poi, piacciono così tanto, dovrebbe vedere come sorride, riscaldandomi il cuore...” proferì il piccolo, nuovamente emozionato nell’evocare a sé la dolce espressione della sorellina.

“Che tipo di costruzioni fai?”

“Animali… adoro formare degli animali di ghiaccio, si muovono pure, per poi scomparire. Sono davvero belli!”

“Aspetta! Hai detto che le muovi secondo la tua volontà?”

“Sì, è così!”

“E’… è magnifico! Davvero hai il Potere della Creazione, tu solo!” si stupì Shion, quasi boccheggiando. A differenza degli altri Cavalieri d’Oro, aveva già un’impronta, un’abilità unica. Non solo: una abilità che nessun altro essere umano possedeva, occorreva proteggerlo con tutte le forze in suo possesso.

“Piaceva anche a me… ma poi ho ferito Marta con quello e ora… ora non lo voglio più usare… - mormorò ancora, affranto, tremando – La piccola… sta davvero bene?”

Non riusciva proprio a credere che il suo colpo non avesse portato conseguenze serie sulla sorellina, si dimenava nel parlare di lei, spaventato a morte. Shion gli sfiorò nuovamente la guancia per rassicurarlo.

“Sì, stasera, se ti saranno tornare un po’ di forze, potrai rivederla. Sta bene, Camus, davvero, è vivace come sempre!”

Il piccolo annuì, socchiudendo gli occhi, la stanchezza cominciava a prendere piede, era necessario andare dritto al punto, il più importante.

“Camus… c’è un modo per controllare il tuo potere, sai? Ma per farlo devi venire con me...”

Il bimbo riaprì gli occhi, brillanti nonostante la debolezza, prestando attenzione alle parole dell’uomo al suo fianco, il quale gli spiegò passo per passo ogni cosa.

“Camus, tu sei un essere speciale, un predestinato… se verrai con me ti porterò insieme ad altri bambini come te, imparerai a sfruttare appieno la tua dote, in modo che… non accada più una cosa simile. Inoltre...”

“Inoltre?”

“Ho il sentore che, così facendo, tua sorella abbia più speranze di condurre una vita normale. Ho ragione di credere che il Mago la reputi morta, non la cercherà più e, se ti lascerai condurre al Tempio, porteremo in salvo anche te!”

Camus no rispose subito, soppesando l’entità di quel discorso fin dove la sua giovane mente lo concepiva. Purtroppo capiva bene la realtà delle cose, e le parole di Shion erano veritiere, aveva avuto la stessa sensazione sua.

“Se accetto riuscirò a controllare questo potere?”

“Senza dubbio!”

“E… se controllo il potere potrò proteggere Marta?”

“Marta o qualunque altra persona che vorrai proteggere!”

“Sarò davvero così forte?”

“Lo sei già, piccolo… ma ad ogni modo, sì, hai una dote naturale in questo!”

Camus si zittì, tremando con ancora più forza. Aveva freddo e un peso sul cuore che gli mozzava il respiro. In quel momento sapeva la strada giusta da prendere. La sapeva. Ed era la più dolorosa.

Rivisse brevemente gli istanti del confronto con quell’essere ripugnante. La sofferenza, la sua, ma ancora di più la paura per la sorellina, il sentirsi spezzato, per le botte subite, fino alla terribile immagine di Marta trafitta dalla sua stessa creazione. L’essere che più gli stava a cuore, che aveva rischiato di morire per sua mano, per la sua debolezza. No, non poteva tollerare su di sé quello sbaglio, lo avrebbe perseguito di notte, ad occhi chiusi e aperti, non poteva tanto meno accettare l’idea che avrebbe potuto ripetersi.

“Ho… ho promesso a Marta che saremo cresciuti insieme, che le avei fatto vedere il mondo, dal canto del merlo al profumo del tulipano… glielo ho giurato! - biascicò con enorme fatica, sentendosi tremendamente male nel pronunciare quelle parole che preannunciavano una rinuncia, la più grossa e la più sofferta – Ma… ma ancora di più io voglio proteggerla! Non posso pensare di rischiare nuovamente di farle del male, non posso! Per cui… se questo potrà servire per tenerla al sicuro e per rendere me più forte in modo da prendermi cura meglio di lei… allora accetto! Accetto tutto ciò che esso può comportare!”

“Oh, Camus… sei molto coraggioso! Ti prometto che a tua sorella non accadrò niente, vivrà in pace, crescerà felice, senza ingerenze esterne, te lo giuro solennemente!” si sentì in dovere di promettere solennemente, non sapendo neanche lui bene come destreggiarsi in una simile situazione. Si sentiva lordo e stanco, tanto stanco, a commettere quell’ennesima ingiustizia per un bene superiore. Lo avrebbe comunque fatto, come era nei suoi doveri, ma con dolore.

Camus nel frattempo si era rifugiato sotto le coperte, lasciando finalmente libero sfogo alle lacrime di cadere e bagnare le lenzuola. Era spossato. Era stremato e soffriva, ma non poteva fare diversamente.

“Voglio solo che la mia sorellina sia felice, anche senza di me, me lo prometta, la prego: non le accadrà più niente, NIENTE!”

Shion non poteva che annuire per calmarlo, sempre più coinvolto per le sorti di quel bambino come mai gli era accaduto con gli altri, eccetto Mu, suo allievo prediletto.

Camus gli strappò la promessa per un totale di tre volte, come Kengah aveva fatto con Zorba, quasi fosse una garanzia in più sul suo mantenimento. Poi, tra le lacrime e altri giuramenti vari, ancora debilitato per la febbre, sprofondò nuovamente in un sonno profondo ma catartico.

 

 

* * *

 

 

25 novembre 1994, ultima notte prima della partenza

 

 

Nel buio della notte, Camus scostò le coperte le lo avvolgevano, infilandosi in fretta la maglia del pigiama prima di posare i piedi nudi per terra e avviarsi verso la porta. Le forze gli stavano lentamente tornando, ormai era in grado di nutrirsi e camminare da solo, ma sotto consiglio di Shion, a suo dire, per far respirare un po’ d’aria alla pelle martoriata, dormiva a busto scoperto, limitandosi ad indossare i soli pantaloni. Tuttavia, quella notte, l’ultima passata in quella casa, stava passando del tutto insonne, spingendolo così ad alzarsi per andare a vedere la sorellina nella culla.

Facendo meno rumore possibile, si diresse nell’altra stanza. La casa era avvolta dal silenzio completo, l’atmosfera carica di tensione si presagiva ampiamente. I nonni dormivano nella stanza vicina, avvolti in un ritmico russare, la madre al piano terra, più composta, l’ospite Shion, del tutto silente, probabilmente nel soggiorno, e la sua amata sorellina nella cameretta adibita per lei.

Camus si sentiva molto triste, sentendo forte e chiaro in lui il bisogno di piangere e non riuscendo a porvi rimedio. Non gli era mai capitato di versare così tante lacrime nella sua breve vita, era una sensazione fastidiosa e spossante, atrocemente spossante. Era inquieto, spaventato, ma la decisione era stata presa, non sarebbe tornato più indietro, non avrebbe più avuto esitazioni, anche se non era ciò che realmente voleva. Il suo unico desiderio era di crescere con la sorellina, di farle vedere il mondo, quel fantastico e meraviglioso mondo che era spietato e atroce allo stesso tempo, un po’ come il tic e tac di un orologio che produceva due suoni diversi.

Quel mondo era bellissimo, come una cinciallegra che volava al nido per nutrire i propri piccoli.

Quel mondo era terribile come un insetto finito nella tela del ragno e subito spietatamente predato.

Bene e male erano intermediari a metà, ma se fossero stati insieme, lui e la sorella, sarebbero riusciti a superare tutte le difficoltà e ad assistere a quella meraviglia, chiamata vita, con il doppio della gioia condivisa. Solo questo Camus desiderava, più di ogni altra cosa e sopra ogni cosa.

Il suo unico desiderio. Irrealizzabile. Una fitta al petto lo colpì, come sempre quando pensava a cosa avrebbe rinunciato da quel giorno in avanti. Eppure non avrebbe ritratto: il bene della sorellina, la sua sicurezza, era prima del suo volere. Null’altro importava.

Finalmente arrivò davanti alla porta della cameretta della piccola, lasciata socchiusa, la spinse delicatamente, facendola cigolare il meno possibile. Lentamente ne varcò la soglia, dirigendosi verso la culla. Entrarvi fu più difficile del previsto, il dolore che provava nel muoversi era ancora acuto, ma non si arrese e, coniugando tutti i suoi sforzi, finalmente raggiunse la sommità della culla.

Rischiarata dalla luce del lampione fuori (la piccola aveva paura a dormire al buio completo, era molto più tranquilla con una luce che illuminasse la cameretta), il viso della neonata sembrava neve fresca, così assolutamente perfetta, così soffice e delicato… Camus si intenerì immediatamente, sorridendo amaramente: ecco cosa perdeva per garantirle un futuro sicuro. Era tutto lì, come il significato stesso dell’esistenza!

Ingoiò a vuoto quell’immenso fardello che gli bloccava la gola, le labbra gli tremavano, vinte da quella pressione inarrestabile. Rimase lì per una serie di secondi, accorgendosi di essere bloccato, un solo movimento e avrebbe ricominciato a piangere.

La piccola, dal canto suo, dormiva beata con il pollice in bocca, non sembrava davvero aver subito conseguenze permanenti dal colpo che l’aveva inavvertitamente trafitta, ma Camus continuava a non sentirsi tranquillo. Shion gli aveva detto di non preoccuparsi ulteriormente, che era tutto sistemato, che sarebbe stata bene da quel momento in avanti… ma sarebbe davvero andata così? Sacrificando il suo tempo con lei, sarebbe stata realmente al sicuro? O sarebbe stato tutto vano? Era certo che quell’uomo spietato sarebbe tornato per lui, non sapeva bene quando, ma lo avrebbe fatto, più sua sorella era distante, più sarebbe stata in salvo.

Si lasciò cadere nella culla, stremato, avendo comunque cura di non svegliare la piccola, cosa comunque impossibile perché aveva un sonno davvero profondo. Le si avvicinò gattonando, prendendola poi tra le braccia e sdraiandosi al suo fianco.

“C-ciao, piccolina...” si raschiò la gola, ritrovandosi a tremare impaurito. La piccola non rispose verbalmente, essendo nel mondo nei sogni, ma pur nell’incoscienza, ebbe comunque l’istinto di voltare il visino silvano proprio nella sua direzione. Lo percepiva. Le altresì piccole dita di Camus le sfiorarono le guanciotte, mentre i suoi occhi tornano ad essere annebbiati, ma non per le ferite.

“Perdonami… - le disse a cuore aperto, stringendosi a lei con tutta l’intensità che disponesse in quel preciso istante – Ti avevo promesso un sacco di cose, che saremmo cresciuti insieme, che ti avrei fatto vedere le meraviglie di questo mondo, che ci sarei stato nei momenti di difficoltà, quando il cielo sembra caderti addosso e la speranza si rompe in mille frammenti, e poi ancora, che non ti avrei mai lasciato da sola, ma… ma pare che non potrò mantenere neanche un giuramento...” sospirò, affogando a forza un singhiozzo dentro sé. Parlare, soprattutto in quei momenti di totale prostrazione, non era affatto semplice.

“Ma, sai, piccolina? C’è qualcosa di più forte che va oltre ai miei desideri, è l’istinto di proteggerti e, per farlo, devo diventare più forte, ad ogni costo! - continuò a spiegarle, non smettendo di cingerla con tutte le forze che possedeva – Il vecchio Shion mi ha raccontato che sarò un Cavaliere d’Oro e che questi ultimi, dodici in tutto, sono più forti di ogni altra cosa umana di questo mondo. Sono dei veri prodigi, possono compiere miracoli, ed è così che sono i più alti paladini della giustizia! Io acquisirò tale potere per garantire la tua sicurezza, crescerai felice, non avrai più quell’uomo spietato a tentare di ucciderti e potrai vedere questo meraviglioso mondo con i tuoi occhi enormi e pieni di speranza, anche se… anche se saremo lontani...”

Camus faticava sempre di più a parlare modulando la voce in modo da non essere troppo incrinata. Non voleva che la sorellina si preoccupasse, non voleva svegliarla, per questo tentava il tutto e per tutto per controllare le sue emozioni. Voleva passare quella sera a parlare, parlare, parlare e ancora parlare, sebbene la stanchezza lo trascinava sempre più nelle tenebre del sonno.

“A-anche se… saremo lontani, io...”

Tacque un attimo, ripensando alle parole dolorose del vecchio Shion, che era stato fin troppo chiaro e sincero:

 

Tieni questo però a mente, Camus… tua sorella è molto piccola, se scompari dalla sua vita in questo momento, lei non si ricorderà più di te, crederà di essere figlia unica. Sarà quindi al sicuro dalle ingerenze del nemico, ma non avrà più alcuna memoria del tempo passato con te. Ti va bene lo stesso?”

 

Gli andava bene lo stesso, anche se il solo pensiero lo torturava e lo faceva soffrire ancora di più. Avrebbe così rinunciato a tutto, Camus, nato a Nizza il 7 febbraio del 1989 e fratello maggiore di Marta, non sarebbe più esistito, dando così, forse, vita ad un altro sé stesso. Ancora una volta il piccolo Cammy sentì un enorme strappo dentro di sé. Definitivo.

“Anche se saremo lontani… io non ti dimenticherò mai, Marta, te lo prometto, non scorderò il tuo viso, saprò sempre di essere stato tuo fratello maggiore, anche se per un tempo così limitato. T-te lo giuro solennemente!” balbettò, baciandola sulla fronte, poco prima di adagiarsi al suo fianco e scoppiare in un vero e proprio pianto silenzioso ma continuo. Una parte di lui sarebbe fuoriuscita per sempre, esattamente come quelle lacrime. Si ricordò dell’ultimo passaggio del racconto “storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, che aveva perduto su quel treno, ed ebbe l’impulso di ripeterlo, a lei, alla sua dolce sorellina, che avrebbe dovuto aprire le ali da sola, senza più l’aiuto di Zorba, volando nel cielo con tutte le energie in suo possesso. Sapeva che lo avrebbe fatto, perché lei era forte, una piccola guerriera. Ingoiò a vuoto, prima di chiudere gli occhi e recitare a memoria l’ultimo passaggio, quasi come un rituale di separazione.

Zorba rimase a contemplarla finché non seppe se erano gocce di pioggia o di lacrime ad annebbiare i suoi occhi gialli di gatto nero grande e grosso, di gatto buono, di gatto nobile, di gatto del porto”.

Si arrese infine alla stanchezza, sprofondando in un sonno abissale.

Quelle furono le ultime lacrime che Camus, il futuro Aquarius, versò per molti, moltissimi, anni.

 

Pochi minuti dopo anche il vecchio Shion, rimasto insonne pure lui, si decise a salire in cameretta di Marta per analizzare, per l’ennesima volta, la situazione.

Il Potere cella Creazione non aveva lasciato segni visibili sul corpicino di Marta, vivace e sana come un pesce, ma qualcosa non tornava nella sua vecchia mente. Quell’abilità era totalmente sconosciuta ai più, persino lui, nei suoi oltre duecento anni di vita non ne aveva sentito parlare che come una leggenda. Non poteva quindi sapereche conseguenze avrebbero potuto esserci nel subire quell’attacco per una creatura appartenente al mondo fisico. Sapeva per certo che il farabutto ne era stato colpito, ben si rammentava dei rivoli di sangue che colavano dalle ferite, ma Marta? Cosa era successo alla piccola? L’aveva presa al volo, impedendole di finire malamente a terra, che non respirava, ma poi la stalagmite si era dileguata come neve al sole ed era bastato poco per riattivare il respiro della neonata, e il foro si era richiuso quasi subito, senza perdite di sangue. Ma a quale prezzo? Cosa aveva danneggiato, di lei, se non era la fisicità? Per questa ragione il vecchio Grande Sacerdote si era recato da lei per tutte le notti in cui era stato gentilmente ospitato dalla Signora Antoinette. Temeva una morte in culla, o peggio, ma la piccola permaneva a stare sempre bene, de tutto dimentica di quella brutta esperienza che invece aveva segnato profondamente suo fratello. Il dilemma avrebbe quindi richiesto tempo per risolversi, per il momento sembrava tutto sistemato.

Arrivato al piano di sopra, notò la porta della cameretta aperta. Temendo qualcosa, si recò subito a vedere la culla, trovandovi sia Camus che Marta profondamente addormentati e stretti in un abbraccio disperato e intenso al tempo stesso.

Il piccolo Camus era coricato sul fianco destro, quello meno ingiuriato, respirava pesantemente ma non sembrava più soffrire per i colpi subiti. La sua testa era vicinissima a quella della neonata, appoggiata a lui con una manina a stringere due delle dita del fratello maggiore. Era serena, a differenza del futuro Aquarius che aveva il volto illuminato da un rivolo brillante che, complice la luce, lo faceva apparire come una galassia di stelle luminose. Si era addormentato piangendo, le lacrime non gli si erano del tutto asciugate.

“Oh, Camus… vuoi davvero bene a tua sorella, vero? Meritavate di certo di rimanere uniti, perché davvero non ho mai visto un rapporto profondo quanto il vostro, ma, ahimé, ognuno nasce sotto determinati auspici e viene proiettato in un destino dal quale difficilmente può scappare completamente. A te è toccato questo...” mormorò, prostrato all’inverosimile.

Davvero riportare Aquarius al Tempio gli stava costando più fatica del previsto, e tanti, tanti rimorsi, che però non potevano certamente fermalo.

Erano passati giorni dal suo arrivo a Genova e ancora stava lì, pressato. Fortunatamente aveva delegato i suoi doveri al più grande dei Cavalieri d’Oro presenti: Saga di Gemini. Era sicuro che stava facendo un ottimo lavoro, del resto era un’anima nobile e un fiero combattente, malgrado la giovane età, ma non poteva comunque prolungare ancora per molto la sua assenza. Era il momento di agire.

Si chinò sulla culla, spostando gentilmente il viso di Camus con l’indice e il pollice in modo da essere frontale con il suo volto, gli sbottonò e aprì la maglietta del pigiama, controllando le sue condizioni fisiche sia per mezzo della vista che del tatto: aveva un grosso livido sul fianco sinistro, esso scendeva fino all’ombelico, e dava motivo di preoccupazione, visto il perenne colore scuro che lo contraddistingueva, come un vero e proprio versamento. Non era tuttavia il solo, perché tutto il busto, e soprattutto la schiena, erano contornati da quei segni ingiuriosi. Non era bastato il suo intervento per rimetterlo in sesto, ormai aveva usato quasi tutte le sue risorse, sarebbe quindi servito l’aiuto dei Curatori del Santuario. Sospirò, affranto.

“Perdonami… un tempo avrei potuto guarirti completamente, ma… la vecchiaia deve avermi fatto perdere un po’ di smalto...” gli sussurrò, teso, riabbottonandogli il pigiama.

Fatto questo, lo sollevò appena, tanto quanto bastava per stipulare un vero e proprio contatto tra la sua fronte e quella del bambino. Il piccolo non si risvegliò, totalmente assopito. Meglio così.

“Camus, perdonami anche per quello che sto facendo… perdonami, ma devo farlo! Io rammenterò ogni singolo fatto di quello che mi hai raccontato e di ciò che ho visto, ma per te, vittima di una violenza così inaudita e di una sofferenza più che ingiustificata, forse è meglio dimenticare lo spiacevole scontro contro quell’essere...” disse così, mentre dal contatto della loro pelle, scaturì una luce carezzevole e rassicurante. Quel bagliore improvviso svegliò la piccola Marta che, non vista, spalancò le ampie iridi, assorbita a sua volta da quello strano fenomeno.

La luce terminò di brillare, permettendo così a Shion di raddrizzarsi e di accompagnare gentilmente il corpicino di Camus dove era prima, ovvero a fianco della sorella, dove avrebbe desiderato di essere.

I suoi ricordi di quella nefasta esperienza erano stati sigillati, non spariti, ma suggellati momentaneamente, in attesa. Nulla avrebbe comunque potuto farli riaffiorare, se non la volontà dello stesso Shion.

“Domani partiremo, Camus, tutto cambierà per te, piccolo, non posso fare diversamente! Quella è la tua vera casa, quello il luogo in cui tornare. Ma fino ad allora dormi serenamente. Questa notte è ancora vostra, se Atena vorrà, vi rincontrerete prima o poi, in questa vita o in un’altra!”

 

 

* * *

 

 

“…Modificai i ricordi di Camus, in modo che non potesse ricordare quel brutto incontro, né quello che aveva patito, ma, come sai, non ti dimenticò mai. Certo, smarrì il tuo nome, ma non la consapevolezza di avere una sorellina. Io credo che… credo che nei momenti difficili si sia soventemente aggrappato a te, al tuo viso da neonata, io… ne sono sicuro, Marta!”

Non ribatto nulla, totalmente prostrata da quella visione che si è stampata ora nel mio cervello. La mia bocca è semi-aperta, calde lacrime mi bagnano le guance, continuando a scorrere fino al collo. Ho vissuto le sensazioni di mio fratello come fossero mie, come sempre, ma triplicate sulla mia pelle, in seguito, a quelle, si sono aggiunte anche le mie, sopraffacendomi.

Io… io non ci posso davvero credere, al momento mi sento come se mi avesse investito un treno in corsa, distruggendomi da dentro e dilaniandomi. Tu-tutto quello che lui ha fatto per me, fin da piccolissimo, la sofferenza patita ad opera di quel bastardo, la sua scelta di accettare il suo destino… quindi… quindi Camus è diventato Cavaliere d’Oro per me, per proteggermi e… e comunicavamo fin da piccolissimi. Io… oddio!

“Ho… ho bisogno di sedermi, le gambe non mi reggono e… ugh!”

Sto per crollare per terra, ma Efesto è lesto a sorreggermi con gesto burbero. Non mi tocca che il minimo indispensabile, giusto per impedirmi di cadere, ma abbastanza da farmi riprendere.

“Sembra quasi che anche tu sia stata malmenata… davvero provate le emozioni reciprocamente, gran brutto affare!”

“Fatti gli affari tuoi!”

“Marta… non mi piace questo vostro potere che state sviluppando! Vi soverchierà, con il tempo!”

“E invece… invece è la cosa più bella che potesse accadere!” mi oppongo, fulminandolo con lo sguardo.

“Sarà… ma rimanete il punto debole dell’altro!”

“Ma anche la forza reciproca!” continuo, testarda.

Efesto sospira sonoramente, poi, capendo che il momento di smarrimento è passato abbastanza da farmi reggere in piedi da sola, si allontana scocciato. La prossima volta che disprezzerà questa dote che condivido con mio fratello, gli rifilerò un calcio in culo, come minimo! Non si deve azzardare neanche a nominarlo, questo potere, è il mio tesoro più prezioso!

“Marta, scusami… so l’intensità di ciò che ti ho fatto rivivere, ma era necessario per farti capire...”

Annuisco comprensiva, non sentendomi ancora del tutto bene. Troppi avvenimenti, troppe emozioni. Mi asciugo velocemente gli occhi, scacciando il pianto sommesso che mi aveva avvolto, tornando a scrutare Shion; anche per lui non deve essere stato affatto facile...

“Ad ogni modo, Camus non mi ha mai perdonato per averlo separato da te, lo hai ben visto l’altro giorno. Non ricorda i fatti realmente accaduti, se non a sprazzi, non ricorda il Mago, che lo ha picchiato violentemente, ma rammenta che sono stato io ad allontanarlo dalla sua famiglia e dal suo desiderio di crescere insieme a te, ecco la ragione della sua reazione così accesa l’altro giorno! - prende una breve pausa, sentendosi stanco, sebbene, di aspetto, sia tornato giovane – Ora che ti ha ritrovata, non permetterà più a nessuno di separarlo di nuovo da te, né a te di essere in pericolo… è così protettivo, nei tuoi confronti...”

Non dico niente, ancora profondamente scossa. In questo momento vorrei solo correre da lui e abbracciarlo, ringraziandolo per l’uomo straordinario che è, per essere il mio eroe sempre e comunque, e per tutto quello che ha fatto per me, fin dal primo battito del mio cuore. E’ una sensazione talmente forte che a stento riesco a controllarla, per questo Efesto è così preoccupato, anche se non lo vuole dare a vedere, me ne rendo conto, ma… non posso comunque permettergli di partecipare alla mia sfera personale, mi rifiuto.

“Una cosa ancora, Nobile Shion… - accenno, tornando sulla questione più urgente, lasciando momentaneamente i sentimentalismi indietro – Io non ho cicatrici visibili sulla spalla sinistra e, fino ad adesso, almeno, non ho mai avuto problemi di salute. Nella visione avete detto che tale capacità dipende dalla volontà di chi possiede questo potere… Camus non voleva farmi del male, quindi… cosa mi è successo?”

“Sapevo me l’avresti chiesto... è un altro dei motivi per cui ti ho fatto assistere a tutto questo” prende parola lui, passeggiando nervosamente intorno, totalmente sulle spine. Rimango ferma e immobile in attesa che prosegua.

“Figlia mia, le teorie a cui siamo giunti sono molteplici, ma nessuna risposta definitiva. Non ti piacerà...” mette le mani avanti mio padre, forse per la prima volta comprensivo.

“Non ha importanza… mi avete fatto vedere tutto questo e l’ho vissuto sulla mia pelle, già solo così è tutto cambiato per me - li tranquillizzo, risoluta, fremendo visibilmente – Camus… Camus ha fatto così tanto per me, fin da piccolissimo, ed io… io, per 17 anni non ho saputo nemmeno della sua esistenza. Ero del tutto ignara, mentre lui ha vissuto con questo tremendo peso sul cuore. Ditemi pure a quali supposizioni siete giunti, vi prego!”

Shion ed Efesto si scambiano un’occhiata grave, poi vedo mio padre annuire, dando così il permesso al Grande Sacerdote di proseguire.

“Marta, prima prometti che non racconterai a Camus nulla di ciò che hai visto. Anche così, pur non rammentando distintamente, da quel giorno ha smesso di usare il Potere della Creazione, arrivando ad odiarlo… gli si spezzerebbe il cuore a ricordare che ti ha ferito in quella maniera, ed è proprio questo ad angustiarmi. Probabilmente sopporterebbe l’idea di essere stato barbaramente preso a calci, ma non quella di averti fatto del male, non potrebbe tollerarlo!”

“Non lo farò, no, non dirò niente, ma ditemi… ditemi che conseguenze pensate che abbia avuto questo potere su di me, io… sto bene, ma… dalla visione...”

“Orbene, Marta, ascoltami attentamente… - si appoggia alla colonna Shion, prendendo un profondo respiro – Ho ragione di credere che tale potere non abbia danneggiato in alcun modo gli atomi del tuo corpo, ma ti abbia colpito più in profondità...”

“E cioè?”

Vedo l’incertezza baluginare in lui, saldamente ancorata alla sua rivelazione. Non sa come addolcire la pillola, si capisce. Per questo ci pensa Efesto, assai meno premuroso.

“Ho sempre pensato che tu non possedessi alcun potere, Marta, non in maniera innata, almeno, ad eccezione di essere Seraphina nella precedente vita ed aver così ereditato alcune delle sue, si può dire, specialità… - mi racconta, chiaro, senza incrinare il tono della voce – Ma non avevi un cosmo tuo, da piccola…”

“Sai… di Seraphina?! ”

“So”

Ingoio a vuoto, lasciando che questa nuova notizia penetri in me. Lentamente. Inesorabilmente.

“Sarebbe a dire, quindi… che non sarei una predestinata? - chiedo, a bassissima voce, sentendomi, per una manciata di secondi, meno speciale di quanto credessi – Sarei una ragazzina qualsiasi, retaggio di una personalità grandiosa chiamata Seraphina e che si è ritrovata, di capocollo, il potere del ghiaccio grazie a suo fratello?! ”

“Secondo le mie teorie… sì!”

“Oh...”

“Secondo le mie… no, non solo!” prende di nuovo parola, Shion, avvicinandosi a me con sguardo fiero e penetrante. Ha proprio l’universo dentro, aveva ragione il piccolo Cammy…

“Sì… o no? Siate chiari, per lo meno, accidenti!” ribatto, un poco infastidita.

Shion, vedendo la mia espressione corrucciata e percependo ciò che si muove in me, mi posa gentilmente le mani sulle spalle, acciuffando così il mio sguardo.

“Marta, ascoltami attentamente, la risposta certa non l’abbiamo ancora trovata, non è univoca, ma ha poca importanza. Ora, è vero che, quando presi Camus con me, da te non percepii la sfavillante aura cosmica che possiedi invece ora, ma mi chiedo… non riuscii a scorgerla perché non ce l’avevi? Oppure era talmente grande ed elaborata da riuscire a rimanere silente in te? E… se fossi stata tu a celarmela intenzionalmente?!”

“I-io...”

“Uhmpf, ne abbiamo già parlato, Shion, Marta era una neonata all’epoca, come avrebbe potuto tenerlo nascosto?! D’accordo, eri vecchio, ma non può averti gabbato, andiamo, su, è molto più probabile che non avesse alcun cosmo!” gli fa notare Efesto, in tono tranquillo.

Io questo, prima o poi, lo prendo a calci in culo, giuro… come diavolo fa ad essere così assurdamente irritante anche quando crede di parlare normalmente?!

Mi limito a fulminarlo con lo sguardo, mentre Shion, voltandosi leggermente verso di lui, mi difende.

“Può averlo fatto, invece! Sapete anche voi la reale identità di Marta, sapete che ha scelto lei di rinascere come sorella di Camus. E’ di gran lunga una creatura oltre le aspettative!”

“Non ho mai detto il contrario, tutto può essere, ma al momento siamo ancora nel ventaglio delle ipotesi!” acconsente parzialmente Efesto, guardando altrove.

A questo punto sono io a prendere la parola, attirando l’attenzione del Grande Sacerdote con una stretta di mano.

“Vorrei udirlo dalle vostre labbra, Nobile Shion, come pensate che mi abbia nuociuto il Potere della Creazione di mio fratello?!” chiedo, tremando distintamente, un poco titubante. In verità vorrei dimostrarmi forte, soprattutto davanti a mio padre, che mi sottovaluta sempre, ma mi sento sconvolta e… spaventata.

Shion mi passa gentilmente una mano tra i capelli, regalandomi un altro sorriso di incoraggiamento, prima di parlare.

“In verità, mi piacerebbe risponderti in maniera completa, ragazza, ma… non lo so ancora. Da quando sei giunta qui sto provando a fare ricerche… purtroppo è un potere che risale alla Notte dei Tempi, non si trova quasi nulla, è mitico persino per le divinità... - mi spiega, poi vedendo che mi sono morsa il labbro inferiore, prosegue – Tuttavia… sono pressoché certo che Camus, tuo fratello, ti abbia dato qualcosa quel giorno...”

Alzo lo sguardo, incrociandomi di nuovo con l’universo che scaturisce nei suoi occhi. Shion mi posa una mano sul petto con gesto paterno, rassicurandomi ulteriormente.

“Qualsiasi impulso, energia, o principio, ti abbia donato inconsapevolmente lui, è dentro di te, proprio qui. Ho piena fiducia che tu riuscirai a controllarlo, non avere paura di esso, anche se sì misterioso e profondo, consideralo come un’ulteriore prova del vostro indissolubile legame!” tenta di rassicurarmi, una volta in più.

Annuisco cupa, tenendo lo sguardo basso. Cerco di non dare peso al significato sottinteso da Shion in quest’ultima frase, e cioè che, qualsiasi sia questo dono, o impulso, o emanazione, che dir si voglia, ci sono discrete possibilità che esso sia un principio malvagio altamente distruttivo. Creazione… che diventa distruzione? Rabbrividisco, massaggiandomi le spalle.

“Hai… bisogno di riposare?” mi chiede premurosamente Shion, percependo che il messaggio è arrivato e con esso il significato.

“V-vorrei andare da Camus, ho… ho così bisogno di abbracciarlo, non immaginate quanto… - tento di spiegare, emozionata Mi ha stretto il cuore vederlo in quelle condizioni...” biascico, torturandomi le mani.

Shion mi sorride con dolcezza, lasciandomi libera di sgattaiolare via.

“Ci mancherebbe, Marta! Vai… vai da lui, e abbraccialo, ricordandogli di quanto sia insostituibile per te. Sei la sua luce, ti sarà già stato detto e lo sai certamente anche tu. Lui è… felice, in questo periodo, come mai prima d’ora. Dopo tutto quello che ha sofferto, non l’ho mai visto luminoso come adesso, e il merito è tuo, non dimenticarlo mai!” mi incoraggia, benevolo.

Faccio un mezzo inchino, grata, poi corro via, ardentemente desiderosa di ritagliarmi un po’ di tempo con lui e lui solo. Il cuore trepidante e proiettato in avanti nell’immaginarmi di correre ad abbracciare mio fratello Camus.

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Eccomi nuovamente qui con la seconda parte dei capitoli inerenti a Camus, Marta e alla loro “avventura” nel 1994. Ciò che qui ho narrato, è di cruciale importanza per i prossimi avvenimenti.

Questo capitolo completa la spiegazione che Camus sul suo potere nell’epilogo di sentimenti che attraversano il tempo, mettendo in luce le ragioni che lo hanno spinto a temere così tanto questa dote meravigliosa e terribile. Essa non si limita a concepire atomi non esistenti nel mondo fisico, ma come si è visto durante il primo scontro con il Mago, è anche in grado di far ripartire un tempo fermo o… “annullare” il tempo medesimo.

Questa è la ragione per cui il “mio” Camus non ha lo Zero Assoluto, che invece è un principio opposto, avvolto ancora nel mistero.

Anche qui i riferimenti alle altre storie si sprecano, ma sono due quelli principali su cui pongo l’accento:

1) Ipsias, il mondo perduto da cui proviene il Mago di cui parlo nel capitolo tre di Parallel hearts (diviso in due) e che avrà ulteriori approfondimenti in altre circostanze.

2) Le condizioni di Camus, raccontate in “ritrovarsi al Grande Tempio di Atene”, che vede come protagonisti i mini Gold e, nei primi capitoli, un piccolo Camus abbastanza conciato male. Ora sapete perché.

Si può quindi dire che gli interessi del Mago per il Potere della Creazione partono da qui, ma non il suo desiderio di “usare” Camus, anche se quest’ultimo particolare ancora sfugge. Multiversi? “Voi e il vostro rapporto con le rispettive sorelle?”, senza contare che qui, per la prima volta si parla di un “altro” Camus (anche qui il collegamento è con Parallel hearts. Lo so, sono più le domande che le risposte!

Vorrei evidenziare un’ultima cosa prima di lasciarvi, ovvero il riferimento alla “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, un racconto basilare per la mia infanzia, e che ho voluto omaggiare in questo capitolo, stante anche la recente e dolorosa morte di Luis Sepùlveda. A onor del vero, va detto, il libro è del 1996, mentre i fatti narrati accadono nel 1994, diciamo che mi sono presa una piccola licenza poetica e ho anticipato la pubblicazione di due anni. Questo racconto sarà molto importante sia per Marta che per Camus, come si è capito, torneranno dei riferimenti più avanti nel corso della storia. ;)

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Capitolo 7
*** Dissapori generali ***


Capitolo 7: Dissapori generali

 

 

20 ottobre 2011, tarda mattinata

 

 

Lo osservo mentre è indaffarato a pulire le tazze adoperate per la colazione, come sempre senza chiedere l’aiuto di nessuno, come sempre da solo, come sempre a celare un malessere che è diventato integralmente parte di lui.

Rimango nascosta nella penombra del mattino, il cosmo azzerato per non farmi percepire, la mente altrove, a fagocitare ciò che ho visto nella visione, mentre i pensieri schizzano in ogni direzione, completamente slegati dalle redini della ragione. Come potrebbe essere altrimenti?! Ciò che mi ha fatto vedere Shion, il passato mio e di Camus, sfugge alle normali leggi fisiche, ed io… io mi sento una stanchezza colossale addosso dopo aver assistito a tutto questo!

Serro con forza le labbra, i miei occhi si fanno tristi mentre continuo a guardarlo. Lui mi ha sempre, sempre, protetta, fin dall’infanzia. Il suo primo pensiero è sempre stato rivolto a me, persino allora, che era così piccolo, e poi ancora e ancora, sulla spiaggia, dove ha subito quegli artigli tremendi al posto mio, e poi contro il Mago. Il mio bene è sempre stato al primo posto nel suo cuore, al punto di sacrificare il suo amore per Seraphina per me, il suo stesso corpo, tutto... non ha mai avuto paura di subire lui una sofferenza atroce, ma si è premunito, con tutte le sue forze, di evitarla a me, proteggendomi con tutte le sue forze.

Oh, fratellino…

Improvvisamente un brutto colpo di tosse lo scuote, obbligandolo a fermare momentaneamente le sue azioni. Lo vedo portarsi una mano al petto e girarsi leggermente, le palpebre serrate e il respiro affannoso. Impiega un po’ a calmarsi, inspirando ed espirando profondamente allo scopo di tranquillizzarsi e tenere sotto controllo il dolore che sta provando.

Sorrido amaramente, avvicinandomi lentamente a lui, non notata. Percepisco bene il suo malessere, fin troppo, so cosa passa di giorno in giorno e so, che come per una qualsiasi malattia autoimmune, ha periodi di remissione e di inasprimento. E nessuno di noi può nulla! Il suo volersi prendere cura di me a tutti i costi gli è costato caro, ledendo pesantemente la qualità della sua vita. Malgrado questo, non l’ho mai sentito lamentarsi, accogliendo e accettando quest’ingiusta sorte con la solita fierezza che lo contraddistingue.

Vorrei… vorrei davvero fare qualcosa per lui, per la sua tangibile sofferenza, per essergli d’aiuto e proteggerlo a mia volta, ma allo stato attuale delle mie forze non ne sono in grado. Non sono in grado… di cambiare il corso del suo destino!

Sospiro impercettibilmente, desiderando toccarlo, ma sentendomi stupidamente impacciata. Mi do una scrollata, avanzando ancora di qualche passo e annullando così la distanza tra me e lui. Lo avvolgo delicatamente con le braccia, appoggiandomi alla sua schiena e socchiudendo gli occhi, tranquillizzata dalla fragranza che emana il suo corpo. Il gesto è gentile e soffice, non impetuoso, ma lui, non aspettandosi il mio arrivo così da dietro, si sorprende comunque non poco, sussultando leggermente.

“M-Marta? Non ti avevo percepita, non… non me lo aspettavo” tenta di spiegarmi, voltando leggermente il collo nella mia direzione allo scopo di scorgermi il volto, che tuttavia è nascosto dal tessuto della sua maglia.

Annuisco tra me e me, stringendo la presa sul suo grembo, tentando a forza di controllarmi, perché tremo come una foglia e lui lo sta sicuramente percependo. Le parole non sono facili da pronunciare, non ora, mai, impossibile spiegare cosa provo, senza contare che, come promesso a Shion, non posso rivelargli niente, visto che i suoi ricordi sono stati modificati. Tuttavia ho bisogno di esprimere, almeno in parte, ciò che sento, tutto ciò che lui e per me, anche se mi sento sciocca e impacciata, quasi mi vergogno.

“Cam, ti voglio tanto bene e… grazie di tutto!” biascico con enorme fatica, mordendomi il labbro inferiore. Ogni tanto vorrei avere la spontaneità di Michela, che non si domanda mai se abbracciare qualcuno in un dato momento sia sbagliato, per lei è sempre giusto. Io invece sono qui, mio fratello stava lavando i piatti e si ritrova me, dietro di lui, intenta a stringerlo, non capirà nulla di questo mio gesto improvviso, inoltre non posso parlargli schiettamente, ragione per cui rimango qui, agitata.

“Marta… - si raschia la gola lui, una volta calmato il suo respiro, che a seguito delle mie parole si è accelerato. E’ imbarazzato come sempre, ricerca difficoltosamente le parole, come sempre, ma non sembra infastidito, anzi, il tono in cui la sua voce giunge alle mie orecchie è gentile e rassicurante – Sai che te ne voglio anche io, piccola mia, in un modo che non posso esprimere con le sole parole, ma… cosa ti è successo per scatenare in te questa reazione? Sembri così turbata, quasi come dopo avermi salvato dal Mago… mi fai preoccupare!” dice, apprensivo, posando una mano sulle mie. E’ ancora girato di spalle, so per certo che non si volterà del tutto, non quando si sente così esposto come ora, ciò mi da occasione di sviare sull’argomento.

“Nulla, ho solo ripensato a tutto ciò che hai fatto per me, al tuo proteggermi, sempre e comunque e… e, lo so che sembro sciocca, ma avevo bisogno di dirti ancora una volta cosa rappresenti per me e di… di abbracciarti!” spiego, stringendo la mia presa su di lui, intrecciando le sue dita con le mie, che ora mi accarezzano teneramente la mano.

“Non sei sciocca, è che… non mi aspettavo un gesto simile, non… - sospira, raddrizzandosi con la schiena, anche il suo corpo trema – Pensavo che fossi arrabbiata con me, Marta...”

Lo guardo stranita, scuotendo la testa, non capendo la ragione per cui io dovrei avercela con lui, almeno fino a quando non me la chiarisce lui medesimo.

“Per la questione del tuo amico Stefano, tu… hai udito il dialogo tra me e Francesca ieri sera, hai saputo così che io mi sono recato da lui per parlargli, contravvenendo agli ordini ma, ancora di più, senza dirti niente!”

Ora capisco… comunque mi pare una cosa talmente stupida su cui litigare, talmente superficiale, un’inezia! Sì, è vero, non mi ha detto niente, del resto, ha una particolare predilezione a tenermi nascoste le cose, e questo non mi va giù, è altresì vero, ma… se solo penso a come è finita l’ultima volta che mi sono arrabbiata per una quisquilia simile mi viene da tremare per la paura.

“Marta? Parlami… mi stai facendo davvero preoccupare così!” mi chiama con dolcezza, accarezzandomi nuovamente le mani nell’avvertimi agitata contro la sua schiena. Mi affretto a raccogliere le parole per spiegargli il mio stato.

“Camus… come posso arrabbiarmi con te quando… quando l’ultima volta che ci siamo presi aspramente su qualcosa, ti ho ritrovato agonizzante su un letto, la tua vita che sfuggiva via ed io… io che mi sentivo impotente?!”

Lo avverto irrigidirsi di botto, bloccando anche i movimenti delle sue mani, scosso almeno quanto me nel rinvangare quei momenti terribili. Rimango in silenzio per qualche secondo, soppesando la continuazione del mio dialogo, anche se non è facile.

“Da quella volta mi sono ripromessa che non avrei buttato via altro tempo con te, non avrei più rischiato di perderti, non ti avrei più ferito a parole, perché vorrei… vorrei solo trascorrere più tempo possibile con te, nient’altro. S-stavi così male, C-Cam, i-io...”

“Marta… - Camus tossicchia a disagio, tornando a stringermi la mano con più forza di prima – Staccati un attimo, affinché io possa voltarmi verso di te e ricambiare l’abbraccio” mi dice, emozionato.

Faccio quanto chiesto indietreggiando di un passo, poco prima di essere nuovamente avvolta dalle sue ampie e forti braccia. Mi rannicchio contro di lui, appoggiando il mio orecchio al suo petto e avvertendo così i battiti del suo cuore, la stessa melodia che mi cullava quando ero in fasce, la stessa cadenza, la stessa emozione, la stessa pace. Non occorrono parole, tra noi, quando siamo così vicini, tutto passa tra i nostri corpi fino a toccare le nostre stesse anime, intessute tra loro. Attendo qualche istante, prima di proseguire nel dialogo.

“Non voglio più vederti soffrire così tanto, Cam, non… non lo potrei sopportare, ma sei un guerriero, lo so bene, so che il rischio c’è ed è dietro l’angolo!” biascico ancora, a fatica, chiudendo gli occhi e aumentando la presa su di lui. Mio fratello non risponde subito, lo sento palpitare distintamente, come uno scricciolo nel nido. Avverto il suo malessere per quei ricordi terribili, prima dilagare in lui, poi sparire piano piano, scacciato dalla consapevolezza di averlo superato in qualche modo, di essere nel presente, qui, al sicuro nella sua dimora, con le persone che lui ama.

Sento che vorrebbe promettermi che non accadrà più, so che vorrebbe tranquillizzarmi, ma che non ha le parole per farlo. Non può fare alcun giuramento, ne è consapevole, come lo sono io, eppure vivere in questa perenne incertezza, molto più degli altri, mi dilania tremendamente, anche se provo ad essere forte.

“Ascoltami, quei momenti terribili appartengono al passato, io… può non sembrarti, a volte, ma sto molto meglio, il peggio è superato e siete stati voi, tutti voi, a salvarmi la vita. Io… sarei morto senza di te, Michela, Francesca e Sonia... - mi sussurra, affondando il volto nei miei capelli, stringendomi ancora di più contro il suo petto – Proprio per questo io… non ho affatto paura, sai? So che, se succederà ancora, ci sarete voi, con me, e Milo, e Hyoga… siete la mia famiglia, la mia… forza! Per cui, so che è difficile ma non crucciarti più per quello che mi è successo nel 1741, pensa solo al qui e ora, a ciò che possiamo fare da adesso in poi, perché ho tutte le intenzioni di passare più tempo possibile con te!” mi consiglia, alzandomi il viso in modo da poterci guardare negli occhi, prima di regalarmi un buffetto sulla guancia. Ha detto quelle parole per provare a tranquillizzarmi, ma lo ha fatto anche per ripeterle a sé stesso, per farsi coraggio, perché quei terribili ricordi sono ancora dentro di lui. Gli sorrido teneramente.

“Mi piace tanto… quando mi coccoli, sai?”

“Me ne sono accorto, piccola peste! E a me piace… coccolarti, anche se, non essendoci abituato, credo di essere piuttosto, ehm, imbranato!” ridacchia tiepidamente lui, finalmente disteso, seguito a breve da me.

Non lo sei affatto, Cam, i tuoi gesti delicati mi riscaldano il cuore, ed è di sicuro così anche per le mie amiche, puoi starne certo!

“E mi devi anche portare in Siberia, ricordi?” aggiungo con occhi luminosi, guardandolo per un istante come un cucciolo speranzoso.

“Certo, non l’ho dimenticato, non potrei! - mi rassicura, continuando a stringermi a sé, rilassato dal mio contatto – Appena questa situazione si sarà sistemata lo farò, passeremo un po’ di giorni là, solo tu ed io, all’isba, e ti introdurrò allo sciamanesimo siberiano, se vorrai percorrerlo insieme a me!”

“E’ ovvio, fratellino, ho già scelto, vorrei...”

“Ti chiedo però di pensarci seriamente ancora per un po’, Marta...” mi blocca, improvvisamente serissimo in volto. Lo guardo senza fiatare, in attesa che prosegua, un poco dispiaciuta.

“Ciò che mi hai chiesto non è cosa da poco, la melodia della neve… come ti ho accennato, disvelarla svela la vita e così la morte, non è una decisione che puoi prendere a cuor leggero, per questo ti chiedo di soppesarla bene. E’ un percorso che, una volta intrapreso, ti segna per la vita intera. E’ stato così per me, per il mio m-maestro, per gli altri sciamani...”

Lo guardo sinceramente sorpresa, non aspettandomi una simile rivelazione, anche se qualcosa mi aveva già accennato Milo.

“Maestro? A-avevi un maestro, Cam?” chiedo delucidazioni, sforzandomi di immaginarmelo.

“Te ne parlerò… al momento adatto! N-non qui, n-non… adesso” mi risponde, con espressione sofferente. Un altro brutto ricordo, fratellino? La vedo bene l’ombra nei tuoi occhi… mi chiedo se sei mai stato felice, in vita tua, prima di adesso, eppure l’infanzia e la fanciullezza dovrebbero essere momenti d’oro e sacrosanti...

“O-ok...” biascico, corrucciata. Non ho motivi per esitare, io vorrei diventare come lui, perché è la persona che stimo di più in vita mia, ma Camus sembra un poco titubante quando viene tirato fuori l’argomento, per questo, solo per questo, vaglierò ancora un po’ la mia decisione.

“Sono sicuro che farai la scelta migliore… non sentirti obbligata a diventare come me solo perché io sono Sciamano, perché, per me, sei già un essere speciale così!” mi sussurra, gli occhi socchiusi e il viso nuovamente tra i miei capelli, un leggero sorriso a solcargli le guance.

Sei così bello, Cam, quando sorridi, mi ricordi così tanto Dégel… non credo di aver mai provato un’emozione così forte per qualcuno, farei di tutto per continuare a salvaguardare il vostro timido sorriso, nonostante, con le mie scelte, sia cambiato tutto. Ma tu resti, e resterai sempre, la persona più importante della mia vita... certo che voglio seguire il tuo percorso, voglio che tu sia fiero di me e… salvarti, come invece non sono riuscita a fare con Dègel!

Rimango a mia volta in silenzio, cullata dall’abbraccio. Potrei starci anche delle ore così senza sentirmi minimamente a disagio, il tempo che abbiamo perso in tutti questi anni non potrà mai più tornare, lo so, lo sappiamo, proprio per questo ora è tutto così intenso: il modo in cui ci siamo aggrappati l’uno all’altro è semplicemente meraviglioso, e ora che so… che so che il legame non si è mai spezzato, in fondo, malgrado la distanza, riesco davvero a stento a trattenermi.

“Dunque… sei andato a vedere Stefano?” chiedo ad un tratto, cambiando bruscamente discorso.

“Sì, l’ho fatto ieri mattina appena svegliato...” mi rivela, un poco a disagio, mantenendo il contatto con me tramite le braccia, ma staccandosi appena per guardarmi negli occhi.

“Ti ringrazio… mi hai tolto un peso sul cuore a sapere che, almeno tu, lo sei andato a trovare. Shion ha detto di tenerlo lì, da solo, ma lui… lui non lo merita, Cam, avevo paura che il Tempio potesse fargli del male!”

“Ci sei molto legata, vero?”

Annuisco trepidante, distogliendo lo sguardo. Non so quanto Camus abbia visto, del nostro passato in Valbrevenna, ma Stevin, così lo chiamo io, è sempre stato la ‘mia persona’, se così si può dire, nonché un migliore amico fedele a cui sono legata da un forte coinvolgimento emotivo. Mi… quasi mi vergogno a parlarne a mio fratello, non so… non so perché...

“Ti racconterò come è andata...”

 

Quando aveva ripreso i sensi, dopo i fatti accaduti nella fu Valbrevenna, non vi era stato altro che un’infinità di luci varie che gli procuravano un dolore atroce agli occhi. Non si raccapezzava più da quando aveva rivisto Marta, da quando, quasi senza neanche accorgersene, le aveva riservato tutto il veleno che celava in corpo. Tutto. Rammentava solo una rabbia atroce, residuo di una passata delusione, poi vera e propria sofferenza, e ancora rancore. Puro. Semplice. Terribile. Non aveva esitato ad attaccarla verbalmente, sentendosi mortalmente ferito e abbandonato. Non ci aveva ragionato più.

Ricordava solo, prima di quel momento, che l’aveva aspettata, ancora e ancora, l’attesa si era fatta insopportabile, finché qualcosa non gli si era spezzato dentro, un po’ come quei cani lasciati in autostrada che rimanevano lì sperando nel ritorno del padrone. La fiducia per lui era sempre stata un vincolo sacro, superiore a qualsiasi altra cosa, tradirla era un colpo infimo e basso, imperdonabile, soprattutto se l’artefice era Marta, la persona a lui più cara e che, pensava, per lui ci sarebbe sempre stata.

Ricordava molto a sprazzi, la sua mente era in confusione, lo sapeva, ma… una cosa non aveva affatto dimenticato: suo nonno, il suo unico parente conosciuto. Era… morto, lasciandolo solo al mondo. Marta avrebbe dovuto precipitarsi da lui, aveva promesso di farlo, perché ci sarebbero sempre stati l’una per l’altro, e invece no… era stata una menzogna! La sua vecchia amica Marta se ne era infischiata di lui, abbandonandolo esattamente come il già ricordato cane in autostrada. Era l’unica cosa che rammentava con nitidezza. L’unica cosa che, sentiva, lo avrebbe tenuto in vita fino a quando non si sarebbero incontrati di nuovo.

Per questo motivo, appena se l’era trovata davanti, l’aveva attaccata verbalmente, ferito a morte, l’altra si era messa a piangere, fingendo di non sapere le sue colpe, ma lui le ricordava bene, quelle colpe, non gliela avrebbe di certo fatta scampare!

Già, non l’avrebbe scampata! Doveva sapere quanto aveva sofferto, non poteva cavarsela senza nulla, eppure… eppure, dopo che le parole aspre erano già uscite, Stefano si era accorto che la Marta che aveva davanti non era più quella di un tempo. Era cresciuta, anche se di poco, era cambiata e aveva acquisito degli strani poteri che sulle prime lo avevano terrorizzato non poco. Sosteneva che fossero passati due anni… come era possibile?!? Due anni senza che lui si fosse accorto di niente?! Due anni in cui, a suo dire, lei non lo aveva mai dimenticato?!

Cosa era successo veramente? Perché non aveva alcun ricordo a riguardo? E, soprattutto, chi erano quelle persone ammantate d’oro che si era trovato davanti agli occhi prima di essere brutalmente colpito da uno di loro e perdere così i sensi?!

“E così tu sei Stevin, vezzeggiativo di Stefano, il bimbo dagli occhi azzurri!”

Improvvisamente si riscosse nell’accorgersi di una presenza all’esterno della cella. Sussultò nel vederselo appoggiato alle rocce, come se fosse sempre stato pazientemente lì ad aspettare che la sua attenzione cadesse di lui.

Stefano si sentì sussultare ancora una volta quando, tra le figure ammantate d’oro, lo riconobbe in colui che si era immediatamente precipitato verso Marta, stesa tra le braccia dello strano individuo dai capelli lilla che, solo con uno sguardo, era riuscito a immobilizzarlo del tutto.

Non rispose subito, fremendo per l’agitazione. La sua sola presenza lo metteva a disagio, il suo solo modo di porsi lo faceva raggelare nelle vene, sebbene non avvertisse nulla di malvagio in lui, inoltre… quegli occhi profondi e indagatori, dello stesso colore inusuale di Marta, gli avevano consegnato una sensazione spiacevole, un’intuizione, che ora, a vederselo lì, fu confermata in pieno. Decise di rispondere il più distante possibile, non riuscendo comunque a reggere per molto tempo il suo sguardo, troppo superiore a lui.

“Chi… chi lo vuole sapere?”

“Mi chiamo Camus e sono il Cavaliere dell’Acquario”

“Cavaliere… di cosa?”

“Dell’Acquario! - sbuffò Camus, innervosito da dover ripetere due volte la stessa cosa, anche se il ragazzo aveva le sue ragioni per essere così scettico e confuso, decise di addolcire impercettibilmente il suo timbro vocale – Senti… posso comprendere il tuo stato emotivo, ti sentirai come se fossi stato rapito e sarai di certo spaventato, ma non voglio farti del male e, se non farai niente di strano, neanche il Santuario lo arrecherà a te, ma questo dipenderà dalla tua buona disposizione d’animo che devi dimostrarci! Se il nostro Grande Sacerdote, passati questi giorni, ti dichiarerà inoffensivo, ti daremo tutte le spiegazioni che cerchi, ma non ora… oggi non sono qui in veste ufficiale. A dirla tutta, non dovrei neanche essere qui...”

Camus si meravigliò della sua parlantina verso uno sconosciuto, non riconoscendosi, ma si diede una spiegazione in base al fatto che, avendo visto il ragazzo tramite i sogni di Marta, era come se lo conoscesse per davvero, da quanto erano stati intensi quei frammenti di memoria che aveva provato sulla sua stessa pelle. Da qui il motivo della sua apertura nei suoi confronti.

“Allora penso di sapere perché sei qui...”

“Lo pensi di sapere… e sarebbe?”

“Ti ho intravisto prima di essere colpito da quell’uomo dalla pelle abbronzata, e già avevo avuto una intuizione, ma ora che ti vedo qui davanti a me ne ho la piena certezza: devi essere fratello di Marta, vero?”

Camus non disse niente, si limitò ad inarcare un sopracciglio e ad assottigliare le labbra. Stefano decise di spiegarsi, recuperando sempre più coraggio.

“Avete dei lineamenti molto simili e gli occhi dello stesso colore, inoltre mi siete sembrati estremamente confidenziali, ho forse sbagliato a pensarvi tali?”

“Effettivamente sono suo fratello maggiore, sì, di cinque anni!”

Malgrado lo avesse intuito, Stefano accolse la notizia come una vera e propria coltellata nel petto, l’ennesima.

“Ah… - boccheggiò, sentendosi a disagio – Fantastico! Quante cose che mi ha celato, non credevo!”

“Non è stata colpa sua! - Camus mise le mani avanti protettivo, arrestando così ciò che per lui era molto probabilmente uno sproloquiare – Marta non sapeva nulla di me, ci siamo rincontrati solo da pochi mesi, dopo diciassette lunghi anni di separazione. Non prendertela con lei, non lo merita!”

Stefano non disse niente, non avendo le forze di continuare. D’accordo, almeno su quel versante non gli aveva mentito, ma lui permaneva a sentirsi irrimediabilmente furibondo con lei… perché? Che avesse bisogno di una valvola di sfogo? Tutti i tumulti che percepiva dentro di sé lo spaventavano ancora di più, al punto che non gli dispiaceva neanche tanto essere internato senza una giustificazione. Sentiva che avrebbe facilmente perduto il controllo e perderlo significava solo fare male agli altri, in primis a Marta. Non voleva. Ma era così arrabbiato con lei, anche se non le avrebbe mai fatto male intenzionalmente. Mai, mai e poi mai!

“Di-dimmi un po’… - ritrovò la voce poco dopo, bisognoso di avere una conferma – Siamo davvero nel… 2011?”

“Sì… ottobre 2011”

“Ah...”

“A quando risale il tuo ultimo ricordo?”

“Ad ottobre… ottobre 2009. Era morto mio nonno e… e ho aspettato, ho aspettato. Mi sentivo solo, abbandonato ma non potevo far altro che credere che sarebbe venuta, lei, tua sorella… e invece non è mai arrivata. L’ho odiata per questo! - sibilò sinistramente Stefano, quasi non riconoscendosi più, poi tuttavia si riscosse, spaventandosi ulteriormente per la rabbia ingiustificata per lei: era chiaro che, viste le ultime notizie, era la sua mente a trarlo in inganno, ad avergli fatto vedere un’altra cosa, quando invece la realtà dei fatti era un’altra ancora. Si calmò sufficientemente per continuare, anche perché l’espressione che aveva assunto Camus quando lui aveva osato proferire quell’ultima frase in quel tono, non gli era piaciuta affatto. Era di belva che voleva difendere con le unghie e con i denti ciò che gli era caro – Ma… ma voi mi avete detto, entrambi, che sono passati due anni da allora, e non ricordo assolutamente nulla. La mia testa mi da un’altra versione dei fatti e più ci penso più si fomenta la rabbia per Marta, ed io non voglio! Siamo cresciuti insieme, io...”

“Allora saprai senz’altro che Marta non è tipo da abbandonare chi gli è caro!”

A quel punto anche Stefano raddrizzò la schiena, osando fissare il suo sguardo in quello blu del giovane uomo. La piega che stava prendendo tutta la questione non gli piaceva affatto. Il tono usato da Camus non gli piaceva affatto. Si inorgoglì.

“Certo che lo so! La conosco da quando aveva 5 anni ed io quasi 7, siamo cresciuti insieme… - poi si sentì caparbio abbastanza per raccogliere la sfida lanciata dal Monsieur Aquarius – O pensi di venire tu a darmi una lezione su come sia fatta o non fatta Marta, visto che mi hai detto che vi conoscete appena da qualche mese?!”

Appena finita la frase si meravigliò della propria audacia e, insieme, data l’espressione contrariata di Camus, se ne pentì immediatamente. Era accaduto di getto, senza che la ragione ne prendesse parte, senza neanche capacitarsi di come potesse essere stato possibile. Sapeva solo che anche lui aveva qualcosa da proteggere con le unghie e con i denti, ed era il tempo trascorso con lei.

La reazione opposta non tardò ad arrivare...

“Sono suo fratello, già questo mi da un indubbio vantaggio! Ma oltre a questo, tu non hai la minima idea di cosa abbiamo passato in questi mesi io e lei, non lo sai, e credimi quando ti dico che non puoi conoscerla come la conosco io, nemmeno se tu la frequentassi da cent’anni! - ribatté altezzoso, meravigliandosi a sua volta di essere scattato così e rivedendo negli occhi di Stefano la stessa contrarietà che prima aveva avvolto il suo animo – Ma cosa sto facendo? Non sono qui per litigare con te su questioni prive di importanza. Sei ancora un ragazzino, ed io non mi sto comportando molto meglio di te, non è proprio il momento per perdersi in simili quisquilie!”

Stefano finse di non udire il tono denigratorio con il quale aveva pronunciato la parola ‘ragazzino’, decidendo di metterci una pietra sopra in attesa che Camus palesasse i motivi che lo avessero spinto lì. Di sicuro lo faceva per Marta, della quale si percepiva un profondo attaccamento emotivo, ma c’era di sicuro dell’altro.

Inaspettatamente Camus, dopo aver preso un profondo respiro, aprì la sacca che si portava dietro, consegnandogli un pacco infagottato e una borraccia attraverso le sbarre. Stefano li prese con delicatezza e aprì il pacchettino, trovandosi tra le mani quella che sembrava una strana focaccia tagliata a pezzi triangolari.

“E’ la pita greca, una sorta di pane piatto lievitato che, per certi versi, rassomiglia alla vostra focaccia genovese. Non è molto, ma almeno hai qualcosa da mettere sotto i denti in questi giorni che sarai costretto a stare qui. Questo è un carcere di massima sicurezza, ci mettono i traditori e lasciano che la marea faccia il suo corso, affogandoli, ma tu non sei un condannato e Shion ha valutato bene l’andamento delle maree, non corri alcun pericolo!” gli spiegò in tono pacifico, lo screzio di prima un lontano ricordo. Stefano lo apprezzò, ma allo stesso tempo si rese conto che il fratello di Marta, con ogni probabilità, non era proprio un asso a rassicurare la gente. Certe cose era meglio non saperle…

“Mo-molto confortante! - balbettò, rabbrividendo – Ad ogni modo grazie… non mi conosci e…”

“Come dicevo prima… conosco molto più di quello che pensi!” lo fermò immediatamente, senza permettergli di ultimare la frase.

“D’accordo, ma… in ogni caso non mi devi niente e mi hai portato questo, per questa ragione ti ringrazio!”

“Ti devo che credo nella tua innocenza e stai subendo un trattamento oltraggioso, per quanto comprensibile, inoltre sei molto caro a Marta. Queste, per me, sono motivazioni sufficienti per agire!”

Stefano non disse niente ma si sentì arrossire per l’imbarazzo. I modi di Camus erano un poco bruschi e scostanti, ma dietro ne riconobbe la gentilezza che aveva sempre scorto in Marta e, per un solo attimo, desiderò tornare a quei giorni in cui era tutto chiaro tra loro, come uno dei limpidi laghetti del Brevenna.

Camus nel frattempo gli aveva voltato la schiena e si stava allontanando, ma all’ultimo decise di aggiungere qualcosa, fissandolo franco e con un pizzico di dispiacere.

“Stevin… - lo chiamò, appropriandosi del nome che gli aveva donato Marta quella lontana estate del 1999, ne ebbe come la consapevolezza che, in qualche modo, lo avesse visto con gli occhi di sua sorella anche se non se ne spiegava il motivo – Ti posso solo dire di resistere, quando le paure e i timori crolleranno dal Tempio avrai occasione di spiegarci la tua visione dei fatti e noi ti racconteremo del nostro ruolo di paladini della giustizia! Non puoi permetterti di cedere, non ora che hai ritrovato Marta!” affermò, un poco imbarazzato nel parlare così a cuore aperto, allontanandosi senza più guardarlo.

 

Fisso Camus quasi divertita, attendendo che ultimi il suo racconto del primo dialogo avuto con Stevin. Non ci siamo mai staccati del tutto l’uno dall’altro, siamo sempre stretti in un leggero abbraccio che non ci pesa affatto, anche se entrambi siamo restii a queste manifestazioni, almeno con gli altri.

“Quindi, fammi capire… vi siete soffiati a vicenda, come i gatti, per stabilire una sorta di gerarchia su chi mi conosce meglio?!” lo pizzico sottile, prendendo parola con lo sguardo furbetto.

Lo vedo arrossire di botto, discostando lo sguardo.

“Non… non è successo nulla di che, solo che… che non lo so neanche io perché abbia reagito così!”

E’ in forte imbarazzo, lo posso ben distinguere perché si mette a guardare dappertutto tranne la fonte che gli ha scaturito questo suo stato, in questo caso io, istintivamente scoppio a ridere, intenerita dalla sua reazione.

“Non ti facevo così possessivo, Camus!” lo prendo scherzosamente in giro, ilare.

“Io non… non sono possessivo!”

Ridacchio ancora, appoggiandomi nuovamente contro il suo petto, serena come raramente capita in vita mia. Camus, ancora in forte imbarazzo, non dice più niente, ma si mette a giocherellare con uno dei miei ciuffi. Quando è agitato non riesce proprio a stare fermo con le mani, questa è una caratteristica che lo accomuna al mio amico Stevin.

“Ad ogni modo ti ringrazio davvero tanto per quello che hai fatto per lui, sai, i mesi autunnali del 2009 non sono stati affatto facili sia per lui che per me… io lo credevo morto e, a quanto pare, per la sua mente non sono passati due anni, come invece è successo a me, anche se non so… non so minimamente spiegarlo. Comunque deve essere davvero sconvolto e sentirsi solo, ma tu gli hai dato un po’ di calore in questo universo freddo che è il Santuario. Grazie davvero, Cam!”

“Semplicemente… non mi sembrava giusto il trattamento che gli hanno riservato, tutto qui, chiunque lo avrebbe fatto!”

Sbuffo, ilare, capendo bene che sta facendo il burbero per mascherare il cuore immenso che si ritrova. Sorrido grata tra me e me, aumentando la stretta sul suo busto, mentre la tristezza mi avvolge.

Camus intanto si raschia nuovamente la gola, tornando ad essere rigido, ma stavolta non per l’imbarazzo. No, c’è qualcosa che si muove in lui, un qualcosa che vuole esprimere, prendendola però molto larga, come suo solito.

“Marta… come va la tua ferita? Provi ancora dolore?” mi chiede, accarezzandomi con delicatezza la zona colpita e attirando al contempo la mia attenzione.

Annuisco brevemente, producendo un mormorio sommesso, ripensare al 2009 mi ha fatto alla mente alcuni dei ricordi più brutti della mia vita, l’effetto che ne è derivato è quello di un pugno nello stomaco e di una fitta al cuore, ma ora sono qui, ha ragione mio fratello, devo pensare al qui e ora!

“Mi bruciano ancora i bordi e, quando mi muovo con noncuranza, me la sento tirare, però va molto meglio grazie alle tue cure e poi, essendo semidea, lo sai, il processo di cicatrizzazione è molto più veloce!” gli dico, in tono leggerissimamente tirato.

Non parla per un’altra manciata di secondi, in evidente difficoltà, poi mi mette gentilmente due dita sotto il mento per spingermi a guardalo negli occhi. Così faccio senza oppormi.

“A-ascolta… - inizia, titubante, poco prima di proseguire – Non so come chiedertelo, ma… è successo qualcosa di strano il 20 novembre del 2009, lo ricordi, piccola mia?”

“La… la data della tua morte? - chiedo, ingoiando a vuoto, la gola secca – Ne hai parlato l’altra sera con Fra...”

“Sì, è… è la data della Scalata delle Dodici Case… - biascica, sofferente, nel rammentare quei momenti dolorosi anche per lui – E’… è importante che tu mi dica qualsivoglia cosa che ti sovvenga in mente, anche la più apparentemente insignificante. Ho un timore atroce, vorrei… vorrei poterlo scalzare dalla mia mente...”

“Non… non ricordo molto, non è stato esattamente un bel periodo… - gli dico a fatica, sentendomi il bordo degli occhi punzecchiare – In quell’anno prima è morto il nonno, poi è successo il fattaccio Stefano, poi ancora mia nonna è caduta malata e costretta a letto. Tutte quelle cose simultaneamente, o quasi, mi hanno alquanto destabilizzato...”

Avverto la sua stretta aumentare di intensità, come a volermi far percepire la sua presenza, il fatto che ora sia qui, con me, e che non mi lascerà più.

“Mi dispiace… di non esserci stato! Deve essere stato terribile, ed io… non ero al tuo fianco in quei momenti così difficili...” si scusa, con non poche difficoltà.

“Tu non c’entri, Camus, lo sai… non hai scelto tu di allontanarti da noi, sei stato costretto...”

Lo sento sospirare, attendendo ancora una manciata di secondi prima di tornare a parlare, recuperando una parvenza di calma.

“Quindi, oltre a questo, non rammenti nulla in quel periodo? Il 20 novembre… non ti dice proprio niente?”

Stavolta è il mio turno di abbassare lo sguardo, non riuscendo a sostenere il suo. Il 20 novembre… ho ricordi confusi e distillati, che il solo rievocarli mi fa sentire male. Ad un certo punto mi blocco, serrando gli occhi con espressione sofferente. C’è una cosa che rammento, al dire il vero, al solo pensiero rabbrividisco. E’ tutto bianco!

“E-ecco, avevo… avevo un freddo atroce… - farfuglio, riaprendo gli occhi, che però sono vitrei – Già… tremavo dal freddo e stavo male, tanto male, poi… il nulla, solo il b-buio”

“Marta?!?”

Improvvisamente avverto la sua presa su di me cambiare drasticamente intensità, stringendosi sulle mie spalle, ora preda delle sue mani. Sobbalzo, indietreggiando di tre passi, il fiato corto e il battito del cuore più veloce del normale. Ma è nulla se paragonata alla sua espressione sconvolta, all’urlo viscerale ma silente che forse gli ho visto solo quando aveva scoperto che io fossi sua sorella.

“Stavamo parlando di qualcosa di grave?” chiedo, spaventata dalla sua espressione così enfatizzata.

“Cosa?! Non… non ricordi l’argomento del nostro ultimo dialogo?”

Diniego con la testa, confusa.

“No, io… io ero rimasta che parlavamo della mia ferita sulla schiena e poi è come se avessi aperto gli occhi e c’eri tu con l’espressione attuale. Mi hai spaventato a morte, Cam!”

“Ti ho spaventata a morte… anche tu a me! - ribatte inaspettatamente a corto di fianco – Dei, ti avevo chiesto quella cosa perché pensavo di essere paranoico e volevo scalzarla via dalla mia mente, invece me l’hai confermata pienamente!”

“C-che cosa?”

“Devo… devo parlare con nostra madre, al più presto, lei avrà sicuro ricordi più nitidi di quel giorno, non… non mi piace per niente e...”

“Cam, CHE COSA?”

Non risponde. Lo vedo agitarsi non poco per qualcosa che sfugge alla mia mente. Si appoggia stancamente alla credenza, stanco come non mai e turbato. Vorrei tranquillizzarlo, ma prima di poter fare qualsiasi cosa, sento cigolare la porta della cucina e, con la coda dell’occhio, vedo una sagoma umana accasciarsi ginocchioni per terra. Non lo riconosco subito, complice la mia posizione, lo fa Camus per me poiché è frontale rispetto all’entrata.

“Hyoga!!!”

Colui che è caduto sul pavimento è effettivamente il Cigno, ha gli occhi sbarrati verso il pavimento, come se avesse capito qualcosa che a me continua a sfuggire, ma il richiamo del suo mentore lo riscuote.

“Perdonatemi, Maestro, volevo chiedervi una cosa e ho udito il vostro ultimo dialogo...”

Camus sbuffa sonoramente, innervosito e seccato. Si passa una mano tra i capelli, prima di chiuderla del tutto e picchiare brevemente sulla credenza, il suono che ne deriva fa sussultare anche me, facendomi agitare ulteriormente.

“Per forza! In questa casa non si può fare un discorso intimo con uno di voi che un altro origlia da dietro una porta, o una colonna, o Atena solo sa cosa! A volte rimpiango quando c’ero solo io qui!”

“Perdonatemi...”

“Perdonarti… e intanto hai udito ciò che non dovevi udire! Non potevi essere da qualche altra parte?!? Che so, ad allenarti con il tuo amico Shiryu, no, dovevi essere qui e ascoltare! Sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato!”

Hyoga non dice niente, se ne rimane lì ad ascoltare la sfuriata del suo maestro, come una bottiglia vuota che viene sbatacchiata dalla corrente marina. Mi dispiace infinitamente per lui, tanto che sono portata a prendere le sue difese.

“Cam, sei troppo rude con lui, stai esagerando! Hyoga non lo ha fatto apposta e, l’altra sera, quando parlavate tu e Fra, è stato errore vostro pensare che non ci fosse nessuno, perché io ero già fuori per gli affari miei!” lo sgrido bonariamente, cercando di acciuffare il suo sguardo, ora di nuovo latente. E’ molto agitato, si percepisce, probabilmente neanche vorrebbe prendersela con Hyoga, ma è capitato lì al momento sbagliato e quindi lo ha usato un po’ come valvola di sfogo. A seguito delle mie parole di riscuote, forse rendendosi conto di aver esagerato.

“Hai ragione, è che… uff, non ha importanza! - sospira, massaggiandosi le tempie, poi riprende il discorso con enorme fatica – Hyoga, scusami... sei arrivato in un momento sbagliato ed io… io non ero totalmente in me, trasgredendo io per primo agli insegnamenti che ti ho impartito. Scusami davvero, io...”

“Non c’è problema, comprendo bene, era davvero il momento sbagliato, la vostra reazione è più che naturale” dice solo il Cigno, alzandosi in piedi e facendo per allontanarsi.

“Aspetta, non volevi parlarmi di una cosa?”

Hyoga si blocca, esitando un attimo. Ormai anche lui è irraggiungibile là dove si è rifugiato.

“Io… sì, ma, a pensarci bene non era niente di importante. Scusatemi se vi ho interrotto!” biascica, prima di andarsene.

“Aspetta, Hyo...”

Ma il Cigno se ne è già andato fuori dal tempio, chiudendo gentilmente, ma con movimento fermo, la porta dietro di sé, come se l’aria tra queste pareti fosse diventata irrespirabile.

“Io a volte non so proprio come comportarmi con quel ragazzo, non so come raggiungerlo...”

“Cam, non è che ci patisce?”

“A cosa ti riferisci?”

“Alle attenzioni che non gli dai… forse vorrebbe solo potersi confidare con te come, non so, come facevate un tempo, invece il nostro arrivo ha sconvolto la sua quotidianità e si sente di troppo” tento, ricordandomi di avvertire qualcosa di buio e scuro dentro di lui già da un po’.

“Non si è mai confidato liberamente con me, le cose dovevo estirpargliele di bocca io quando avvertivo che c’era qualcosa che non andasse. E, anche in quel caso, parlava poco e brevemente...”

“Ohoho! Mi ricorda qualcuno, ehehe, siete così simili!” sogghigno, dandogli allegramente una gomitata tra le costole.

“Marta… non sono in vena di ironizzare su questo ora, mi spiace! - mi avverte, davvero amareggiato. Mi ammutolisco, continuando a sfuggirmi il motivo del suo stato emotivo di questi ultimi minuti – Non volevo attaccarlo così, ma davvero è sbucato fuori in un momento in cui avrei preferito essere solo! E’ già… attorniato dal senso di colpa, ora questo e… davvero non so cosa fare!”

“Cam, se puoi, parla più spesso con lui...” gli consiglio, abbattuta, continuando a fissare la porta chiusa. L’atmosfera si è rovina, non ne capisco la ragione ma mi sento responsabile, e me ne dispiace.

“Mi dici di parlargli, ma non è così semplice, ciò che riesco ad esprimere con te non è facile farlo anche con gli altri. Me ne rammarico, ma… ci sono molte cose non dette tra me e Hyoga!”

“Lo so, lo percepisco, ed è proprio questo che mi spaventa...”

Camus mi fissa sorpreso, forse capendo la gravità dei miei pensieri dal tono di voce. Ricambio lo sguardo, seria in volto.

“Le parole non dette diventano come pugnali che, una volta scagliati, diventano ferite profonde e incurabili. Tu puoi cercare di tenerle sotto controllo, ma non puoi avere la sicurezza che non usciranno mai dalle tue labbra, e queste, di giorno in giorno, non avendo uno sbocco, si ingigantiscono senza tregua. Pensaci, Cam! Io so quanto sei legato al tuo allievo, lo percepisco nitidamente perché una parte di me è in te e viceversa, ma, mi chiedo, lui lo sa? Sa quanto lui sia importante per te?”

La domanda rimane in sospeso per diversi secondi, poco prima di trovare uno sbocco da parte dello stesso Camus.

“Dovrebbe saperlo… ho dato la mia vita per la sua crescita, ha ereditato l’armatura di Aquarius quando io non ero più in vita, l’ho sorretto, nell’aldilà, con l’ausilio del mio cosmo contro nemici inimmaginabili e ci siamo ritrovato sotto lo stesso tetto, vivi, prendendoci cura l’uno dell’altro. Non pensi che queste dimostrazioni siano più che sufficienti?”

Sospiro sonoramente, ben sapendo di avere un muro davanti; un muro indistruttibile.

“Tu dimostrarglielo anche a parole, Cam, dammi retta, so che puoi farlo. Avere il mondo dentro e non riuscire a manifestarlo è atroce e tu non lo meriti, perché sei una persona meravigliosa! - persevero, sorridendogli per incoraggiarlo – Parla con lui, appena lo rivedi, ne ha un estremo bisogno!”

“Ne ho… bisogno… anche io! - mormora, pensieroso, continuando a fissare il punto dove il suo pupillo è sparito – Anche io ho bisogno di lui, del mio… Hyoga...”

Gli sorrido intenerita, alzandomi sulla punta dei piedi per baciarlo sulla guancia, scostandogli un ciuffo dalla fronte come faceva mia madre quando era un bambino.

“Dopo tutto quello che avete passato, meritate ogni bene, Cam!”

Lui ricambia il sorriso un poco più rasserenato, guardandomi con gli occhi brillanti, prima di scompigliarmi affettuosamente i capelli.

“Grazie… per essere sempre il mio sostegno, piccola mia!”

 

 

* * *

 

 

21 ottobre 2011, mattina

 

 

Dopo aver indossato i jeans e la felpa ed essermi pettinata allo specchio, esco dalla porta di camera mia piena di energie. Ieri non è successo più niente di rilevante, la giornata è trascorsa tranquilla, anche se dubito che Camus, orgoglioso com’è, abbia seguito subito il mio consiglio a proposito di Hyoga.

La ferita va molto meglio, ha smesso di tirarmi e finalmente posso tornare agli allenamenti, il tempo è prezioso e non va sprecato. Scendo quindi le scale con vivacità, convinta di trovare qualcuno in cucina, ma contrariamente alle mie previsioni, non c’è nessuno. Butto un’occhiata all’orologio da parete, rendendomi così conto che è più tardi del previsto: le 10 e mezza! Ho dormito decisamente troppo!

Ho appena il tempo di motivarmi ulteriormente, carica come non mai, che avvertto il cigolare di una porta.

“Certo che stamattina al Tempio sono usciti proprio tutti di testa!”

Sento commentare una voce famigliare, che riconoscono come quella della mia amica Michela. La raggiungo immediatamente, trovandola all’entrata del corridoio. La saluto con un largo sorriso, non sto più nella pelle da ricominciare gli addestramenti, ma non ho il tempo di aprir bocca che lei, al solito, mi avvolge in un poderoso abbraccio, frugandomi nei capelli come se stesse accarezzando un cane.

“Devi rimediare, cara Marta! - commenta, con enfasi – Un tempo ero io la pelandrona che dormiva sempre, ma tu mi stai superando ultimamente! Se continuerai così, il Maestro Camus farà a te gli allenamenti extra, non più a me!” ridacchia, dandomi delle sonore pacche sulle spalle, vicinissima al mio viso.

Sorrido a mia volta, un poco a disagio dalla rivelazione e dalla distanza così ravvicinata, effettivamente ha ragione, se non recupero in fretta le altre mi surclasseranno e non voglio!

“Cosa dicevi a proposito del Grande Tempio?” chiedo, cambiando discorso.

“Che sono tutti ammattiti oggi, si devono essere svegliati con l’umore sbagliato!”

“Che… che intendi?”

“Che litigano di continuo! Sono passata dai templi sottostanti e non c’è una delle dodici case in quiete, forse giusto la prima, perché con Mu è assolutamente impossibile prendersi e, ah, ovviamente Milo, anche lui è pacifico, ma gli altri… un vero e proprio macello!”

Le Dodici Case sono in fermento?! I vari Cavalieri d’Oro stanno litigando tra loro tutti insieme e nello stesso momento?! No, questo decisamente non può essere normale, urge indagare.

“Dove sono Camus e Hyoga?”chiedo, temendo in una discussione anche tra loro.

“Ah, loro sono a fare delle compere ad Atene, Hyoga non voleva andare con il maestro, a dire il vero, ma Camus è stato irremovibile, lo ha praticamente costretto a passare un po’ di tempo insieme, gli ha detto che è da tanto che non lo facevano e lui ha bofonchiato qualcosa, arrossendo di netto, prima di seguirlo, però, almeno loro, sembravano tranquilli!”

Sospiro rasserenata, allora mio fratello ogni tanto li segue i miei consigli! Speriamo che parlino un po’ tra loro, ne hanno veramente bisogno, ma sta a Camus aprire un eventuale discorso, la vedo molto difficile.

“Ascolta, Michela… per caso Hyoga ti è sembrato strano in quest’ultimo periodo? Che so, ti sembra abbia delle ragioni per avercela con Camus?”

“Mmm, no, a me sembra come sempre!” risponde lei, tutta trillante.

Mi massaggio teatralmente la fronte, chiedendomi per la milionesima volta perché io mi sforzi di chiedere a lei queste cose che, ingenua com’è, non le capisce o non si rende conto.

Che Hyoga abbia qualche problema con mio fratello è visibile da un po’, soprattutto da quando siamo tornate nel presente. Dal canto suo Camus, in questi mesi, lo ha trascurato alquanto, concentrandosi più su di noi che non su lui, reputandolo già pienamente formato. Sicuramente non lo ha fatto con cattiveria, forse nemmeno se ne è reso conto, ma il Cigno sembra patire molto questa situazione.

Mi fisso per diversi secondi sulla porta di uscita, preda del vortice dei miei pensieri. Già, Camus mi ha parlato di Isaac, io stessa ho visto alcune scene dell’allenamento dei due bimbi e la sensazione che ne è derivata è sempre la stessa: mio fratello ha sempre avuto una predilezione per Isaac, era il più affine al suo carattere, il più prodigioso, il più motivato, eppure… non posso non pensare che la vera essenza di mio fratello, quella più intima, quella che si sforza di celare agli altri, si rispecchi in pieno in quella dello stesso Hyoga. E’ senz’altro così: in lui rivede le sue debolezze più insanabili, le sue insicurezze più accanite, come se fosse il suo riflesso. Così simili, tra loro, eppure così apparentemente distanti da non riuscire a comprendersi… e questo è l’apice di tutti i problemi e incomprensioni che si sono formate tra loro.

Camus, durante l’apprendistato in Siberia, ha sempre cercato di trattarli in ugual maniera, ma il divario è grande, lo stesso Cigno credo se ne sia accorto, intelligente com’è. Sicuramente ci avrà patito un sacco e, forse, nonostante lo abbia riconosciuto come suo successore e gli voglia bene come a un figlio, ci patisce ancora adesso. Da parte di Hyoga quindi c’è molto di non detto, ma… anche dalla parte di mio fratello, SOPRATTUTTO dalla sua parte, visto che non si esprime neanche sotto tortura, creando fraintendimenti. Se… se per qualche ragione questo dovesse uscire fuori tra loro, il loro rapporto non potrebbe che risentirne pesantemente!

“Michela...”

“Sì?”

“Mi preoccupa ciò che hai detto sui templi sottostanti, ti va se andiamo a fare un sopralluogo?”

“E brava, Marta! - esclama lei, circondandomi le spalle con un braccio – Fai tanto la discreta ma anche a te piace ficcare il naso, eh! Per me va bene, anche perché il mio ragazzo mi ha abbandonato per passare del tempo con suo padre, che però sarebbe anche il mio… che casino!!!”

“Sì, vabbé...” sbuffò, fermando anzitempo lo sproloquio di Michela prima che si azioni del tutto, dirigendomi poi verso l’uscita della Casa dell’Acquario, ma la mia amica mi afferra il braccio, in preda ad una deduzione trascendentale.

“Marta!!! Ci ho pensato ora! Per Hyoga, Camus è come un padre, per me pure: è come se mi fossi innamorata di mio fratello!!!”

“Michela ma che diavolo dici?!? Non ci sono legami sanguigni tra te e lui, non metterti a straparlare come tuo solito!!!” la tronco sul nascere, a metà strada tra il divertito e il rassegnato. Ora da dove se ne è uscita con questa concezione?! Davvero incredibile!

“Hai ragione!!! E poi, a ben vedere, colui di cui ti eri innamorata si è reincarnato in tuo fratello, c’è già un incesto qui, non c’è bisogno di altro!” ridacchia, totalmente presa dai suoi fantasmagorici pensieri.

“Ma che cosa stai…? Non c’è NIENTE di sessuale tra me e Camus, siamo nati dalla stessa madre e dallo stesso padre, non potremmo mai...”

“Oh, andiamo, Marta, scherzo, non prendertela! - mi fa l’occhiolino lei e la linguaccia – So bene non ci sia nulla di sessuale tra voi, ma… siete così pucciosi insieme che mi riempite il cuore di tenerezza. Non mi puoi dire che il vostro rapporto fraterno sia normale, è… c’è qualcosa in più, non il sesso, certo ma si percepisce distintamente!” prova a spiegare, lo sguardo trasognato.

“...”

No, ha ragione, è un legame spurio, che affonda le radici nel nostro passato, di cui siamo entrambi consapevoli: è un vincolo che, pur cambiando irreversibilmente nel corso del tempo, non potrà mai essere spezzato!

“Ti ho… rattristata?” chiede Michela, facendosi improvvisamente seria, deve avermi visto gli occhi lucidi. Mi affretto a scrollarmi di dosso la tristezza.

“Michela… io amo Dègel, questo non potrà mai cambiare, sebbene lui sia ormai m-morto ed io mi ritrovi q-qui, s-senza di lui… - biascico, prima di tornare determinata – Ad ogni modo, questo non è il momento per perdersi in simili, labili, ricordi, andiamo giù a vedere come è la situazione!” le propongo, prima di prenderle delicatamente la mano e dirigermi giù con lei, una brutta sensazione nel cuore.

Al dire il vero, non facciamo molta strada, perché già alla nona casa siamo attirate da dei toni mostruosamente alti, impropri per il Grande Tempio di Atene. Facendoci coraggio, ci dirigiamo verso il rumore, trovandovi il trio formato da Aiolia, Aiolos e Shura. Il primo affronta gli altri due, furibondo per qualcosa di oscuro a noi, Aiolos difende l’amico Capricorno, fisso immobile con lo sguardo al pavimento nel subire la collera del Leone che è rivolta a lui e a lui solo. Ci acquattiamo dietro una colonna, non viste.

“Lia, pensavo ne avessimo già parlato...” tenta Shura, visibilmente prostrato, facendosi maltrattare dalle parole ingiuriose di Leo come se fosse un bambolotto.

“Anche se ne abbiamo già parlato, non ti perdonerò mai, MAI per quello che hai fatto! Non sei un Cavaliere, sei indegno dell’armatura che indossi, altro che Atena che ha scelto te per affidarti Excalibur, io non ti avrei affidato nemmeno un cane!” gli grida contro, totalmente incollerito. Non alza ancora le mani, ma temo sia questione di pochi minuti. La mia amica ed io ci guardiamo, un poco spaventate.

“Te lo dicevo che sono tutti ammattiti!” mi sussurra lei facendo per intervenire, ma io la fermo seduta stante. Non ci hanno ancora viste, troppo presi dalla discussione fra loro, forse è meglio così. Aiolos si frappone tra l’amico e il fratello.

“Ora basta, Aiolia! Con che diritto insulti un tuo parigrado che, come te, ha distrutto il Muro del Lamento a costo della propria vita? Con che diritto disprezzi un onorevole Cavaliere che, per il bene di Atena, ha finto di schierarsi con Hades, soffrendo pene inimmaginabili, al solo scopo di rivelare il segreto dell’armatura divina?!?”

“Tutte queste belle azioni non cancellano il passato! Lui ti ha ucciso! Non ha riconosciuto Atena e si è schierato con quel gran pezzo di merda di Saga nelle vesti del Grande Sacerdote, come posso perdonarlo?! Come posso…?!”

“Atena non l’hai riconosciuta nemmeno tu, se per quello… ti è servito toccare con mano per capire che Lady Saori era divina! Da che pulpito lo accusi, ordunque?”

Vedo nitidamente il viso di Aiolia farsi paonazzo, ancora più fuori di sé rispetto a prima, ora davvero se non arriva alle mani è un prodigio, forse dovremmo provare a calmarli, ma come?!

“Cosa dici, fratello? Mi equipari a loro?! Tu non mi hai spiegato niente, NIENTE, quando salvasti Lady Saori in fasce quando io ero ancora un bambino! Da quel giorno, passai io per traditore, subendo le più atroci angherie! Fui tacciato di tradimento, ed io, non sapendo niente, me ne convinsi. Ho vissuto un’infanzia infernale e ti cominciai ad odiare, fui anche costretto ad affidare Sonia a Milo, costringendomi a non vederla crescere e a non rivelarle il nostro legame, E TU MI PARAGONI A LORO, A QUELLI CHE SAPEVANO E CHE SI SONO SCHIERATI COMUNQUE CON SAGA!!!”

“Non ti sto paragonando a loro… ma devi entrare nell’ottica che ognuno di noi ha una manciata di colpa in quello che è stato. Il passato non si cancella, è vero, ma sputare veleno gli uni verso gli altri non ci porterà da nessuna parte! - gli prova a spiegare Aiolos, del tutto pacato, se paragonato al fratello più piccolo, atroce, a suo confronto – Perché i Cavalieri di Bronzo superarono noi Cavalieri d’Oro durante la Battaglia delle Dodici Case? E’ stato perché si rivelarono più uniti di noi, perché erano pervasi da una intensa, incrollabile, fiducia reciproca! Abbiamo promesso, ricordi? Quando ci ritrovammo tutti di nuovo qui, nudi, inermi, stremati, ma vivi, dopo che Seiya e gli altri sconfissero Hades e lo distrussero per sempre, ci promettemmo reciprocamente che saremo rimasti uniti anche noi, prendendo esempio dai giovani Cavalieri della speranza. Giurammo solennemente che non ci sarebbero state più dispute, e, chi ne era in grado, suggellò tale giuramento donando il sangue per ricostruire le armature d’oro andate distrutte nell’Elisio. Siamo… fratelli, capisci? Non solo io, non solo tu… ma tutti noi. E la fratellanza è un vincolo che non si disonora!”

Dopo questo discorso Aiolia sembra acquietarsi, tanto da far prendere un sospiro di sollievo sia a me che a Michela, ma la tregua è di breve durata. Come un temporale autorigenerante che si sovraccarica assorbendo il vento caldo, anche Aiolia, dopo aver taciuto per una manciata di secondi, recupera subito. Decidendo arbitrariamente di non avercela solo con Shura ma anche con Aiolos. Di bene in meglio!

“Io penso solo che tu abbia problemi a sceglierti correttamente gli amici: Saga, Shura… davvero non potevi fare di meglio?! Uno è un pazzo schizofrenico e pure bipolare, l’altro, credendo unicamente nella forza, sceglie di seguire comunque il mentecatto dei Gemelli e per poco non uccide Atena in fasce! IN FASCE!”

“Aiolia!!!”

Ma stavolta è Shura che lo blocca, scambiandogli uno sguardo di gratitudine per il suo tentativo di difenderlo, nondimeno accettando quella colpa.

“Va bene così, Aiolos, ti ringrazio per avermi difeso, nonostante tutto. Tuttavia ciò che dice Aiolia è giusto e corretto, stanne quindi fuori e lascia che la sua collera si scateni deliberatamente su me, in fondo, me lo merito!”

“Shura… non vorrai…? Non arriverete alle mani, spero!” lo trattiene Aiolos, allarmato, il tutto mentre il fratello più piccolo comincia a stringere il pugno destro in un esaustivo istinti offensivo.

“No, non voglio ciò, ma non posso permettere che venga coinvolto anche tu. Lascia quindi che il tuo fratellino trovi libero sfogo a ciò che cova dentro da anni, io subirò tutto questo, me lo merito, la colpa non è stata del tutto espiata, non lo sarà mai!”

Il seguito sono altri tentativi da parte di Aiolos di fermare quelle barbarie, cercando di destreggiarsi meglio che può tra i due opposti. Un filo sottile trattiene Aiolia da perpetrare un macello, un filo che può essere ricamato solo dalla sorellina più piccola, che però non è qui..

“Qui marca davvero male… - mormoro io, scrollando un poco Michela, del tutto presa dalla discussione – Propongo di scendere all’ottava casa e chiedere a Sonia se può intervenire per calmare Aiolia, prima che il leoncino attacchi seriamente un indifeso Shura!” propongo alla mia amica, spingendola esaustivamente di lato per indicarle la via.

“Eh? Non chiediamo il permesso di passare? Non… salutiamo?”

La guardo in tralice, scettica.

“Ti sembra il momento per i convenevoli? Vuoi beccarti un Lightining Bolt in faccia?!”

“No, però non possiamo passare senza il permesso del proprietario del tempio!”

“E’ per un bene superiore, e ora vai!” taglio corto, conducendola fuori senza che fortunatamente gli altri ci notino.

Corriamo quindi giù trepidanti, sperando che non si scatenino al nono tempio, cosa che fortunatamente per il momento non avviene: i cosmi sono carichi di tensione, quasi furenti, ma in nessuno di loro c’è traccia della battaglia.

Varchiamo le colonne dell’ottavo tempio, permettendoci, data la confidenza con il suo dorato custode e la giovane allieva, di salire direttamente nelle stanze private. Prendiamo quindi le scale e, giunte al piano superiore, facendoci indirizzare dai rumori e dal chiacchiericcio, entriamo senza bussare.

“Milo, emergenza!” esclamo, aprendo di slancio la porta. Il Cavaliere di Scorpio quasi cade dalla sedia prendendosi un risalto, mentre Sonia, intenta a lavare i piatti, si blocca nella sua posizione, voltandosi poi verso di noi e scambiandoci un’occhiata interrogativa.

“Ma da dove siete entrate?!” ci chiede Milo, spalancando le iridi azzurre.

“Dalla porta”

“Questo lo so! La mia domanda stava a significare un ‘che cavolo è successo per farvi giungere qui in questa maniera’??? - mi chiede, poi un’ombra scura negli occhi, ora spaventati – Camus sta male?!?”

“Ma no! - lo rassicuro, in fretta e furia – Perché deve stare sempre male?!?”

“Perché in questi ultimi mesi è sempre stato molto più male che bene, e voi siete arrivate qui in fretta e furia, le sue condizioni, pur in vistoso miglioramento, non sono del tutto ristabilite, ho temuto per lui!”

Mi gratto la testa, a disagio. Effettivamente Milo ha ragione, mi spiace avergli fatto prendere un risalto simile. Lui è sempre così in pena per Camus, intuisce il suo stato con un’unica occhiata e, se solo potesse, metterebbe a soqquadro il mondo per farlo stare bene.

“No, siamo qui per Aiolia, è furente e poco ci manca che non prenda a botte Shura! Aiolos sta facendo da paciere, ma non sappiamo quanto possa reggere!” si affretta a spiegare Michela, visibilmente agitata.

“Mio fratello sta… oh, ha sempre avuto un conto in sospeso con il Capricorno, da quando Shion ci ha parlato della storia del Grande Tempio, ma è comunque strano che un tale astio sia uscito fuori ora, soprattutto considerando che era stato lui il primo a calmarmi, quando anche io mi ero imbestialita a scoprire la verità!” afferma Sonia, asciugandosi le mani e mettendosi a pensare sul da farsi.

“Ci chiedevamo se tu potessi fare qualcosa… hai un effetto calmante su tuo fratello, sei l’unica che puoi fermarlo da fare una pazzia!” dico, guardandola con apprensione.

“Dove si trovano?”

“Alla decima casa”

“Perfetto… - acconsente, girandosi poi verso Milo con quella sua solita espressione decisa ma un poco preoccupata – Milo, io vado, spero di fare in tempo!”

Milo annuisce senza aggiungere niente, seguendo poi, con lo sguardo, l’allieva che esce dalla porta e, con le orecchie, i suoi passi che si allontano. Poi si alza in piedi, fissando la sua espressione sia nella mia che in quella di Michela.

“Ragazze… anche io avrei da chiedervi di andare in un determinato posto”

Lo scrutiamo confuse, aspettando che prosegua per spigarci il motivo di una tale richiesta, cosa che non tarda a fare.

“E’ da un paio di tempo che da qui è passata Francesca, scurissima in viso. Le increspature del suo cosmo erano nere, come mai le ho avvertite in lei. Sapete meglio di me che tende a trattenere le emozioni esattamente come fa Camus, per questo non esagero se dico che non sembrava neanche in sé. Faceva… paura!”

Ci fissiamo sbigottite, in testa lo stesso dubbio.

“E dove stava andando?”

Milo fa un mezzo giro della cucina, appoggiandosi quindi al muro perimetrale, prima di sospirare, chiudere gli occhi e riaprirli subito dopo.

“Alla quarta casa, da Death Mask!”

“A litigare… da Death Mask?” indago, fremendo.

“A me, quando ho provato a fermarla, ha detto che una ramanzina non gliela avrebbe tolta nessuno, e che non era stato sincero con lei, su questo ha calcato particolarmente, dicendo che era imperdonabile”

“Oh, no, si è ammattita pure lei!!!” esclama Michela, mettendosi le mani tra i capelli e cominciando a muoversi scompostamente, come accade quando è agitata.

Io rimango in silenzio, soppesando le ragioni per cui la nostra amica può avercela con il Cancro, e trovandone in una sola: il suo passato che non gli ha ancora, per vergogna, rivelato. Ad ogni modo non è normale, o qui stanno impazzendo tutti di colpo, oppure…

“Qui c’è qualcosa che non va, decisamente...” bisbiglio, enigmatica.

“Lo penso anche io e ho avvertito un cosmo oscuro lambire il Santuario, prima che scoppiasse il putiferio… per il momento, cerchiamo di arginare quest’ondata distruttiva tra noi. Mi affido a voi!” afferma a sua volta Milo, permettendoci così di andare verso il quarto tempio.

Attraversiamo le case sottostanti senza essere fermate, essendo tutte vuote, affrettandoci a dirigerci dove ci è stato detto. Effettivamente si sente un turbamento sempre più forte provenire proprio da lì, dobbiamo affrettarci.

Giunti alla meta praticamente di corsa, non abbiamo neanche il tempo per capire cosa sta succedendo o che cosa fare, che l’atmosfera carica di elettricità statica ci rizza i capelli in testa e non di poco. Subito dopo, particelle della stessa essenza scoppiettano tutto intorno a noi, muovendo tra il pavimento e le colonne senza però farci male. Riusciamo giusto a scambiarci uno sguardo allibito, prima che i nostri occhi vengano catturati da un’improvvisa luce, seguita da un grido furioso.

“ANCORA TI OSTINI A NEGARE?!?”

“Io… io non sto negando niente, stai facendo tutto tu!”

Sono Francesca indemoniata e Death Mask, quest’ultimo sembra particolarmente in difficoltà. Ben consce della missione affidataci da Milo, ci dirigiamo all’interno delle stanze private, dove li vediamo fronteggiarsi. Per inciso, è più la nostra amica ad avere atteggiamenti offensivi, il Cavaliere di Cancer non fa altro che indietreggiare spaurito, fino a finire contro la colonna e bloccarsi lì, prostrato e intimorito.

“Cosa sta succedendo qui?!” mi affretto ad intervenire, frapponendomi immediatamente tra loro nella paura che possa scappare un colpo. Michela invece rimane un po’ più indietro, la muscolatura rigida, lo sguardo smarrito. La tensione è percettibile da entrambe le parti.

“Devo chiarirmi finalmente con quell’essere là dietro, non sono cose che vi riguardano!”

“Intanto ti calmi, poi abbassi i pugni e smetti di produrre elettricità a tutto spiano, che se perdi il controllo dei tuoi poteri da dea fai un macello!” la blocco immediatamente, sentendomi Camus in una situazione simile.

La mia amica, lo sguardo torvo, irriconoscibile, non ribatte niente, rimanendo in posizione di attacco ancora per qualche secondo, poi, finalmente, abbassa i pugni, l’elettricità scema fino a scomparire. Sembra essersi calmata, ma avverto solo che è una pausa di breve durata, i suoi occhi scintillanti carichi di qualcosa rassomigliante all’odio, non mentono.

“Cosa è successo, Deathy? L’hai resa insoddisfatta a letto per renderla così furiosa?” chiede immediatamente Michela, una volta appurata che la situazione è in lento, ma graduale, miglioramento, anche se molto probabilmente per poco.

“Certo che no, deficiente, ti sembra il momento di dire cose simili?! - bercia Death Mask, squadrandola male ma arrossendo di netto – Con la tua amica non ci ho fatto ancora niente, entrambi concordiamo di prendercela comoda, senza fretta, e comunque così incazzata non la sfiorerei neanche, non sono autolesionista!”

“Cosa è successo, ordunque? Non è normale il suo comportamento!” chiedo io, recuperando un minimo di serietà.

“Non è normale, no, per questo mi trovo in questa situazione allucinante! E’ da stamattina presto che è così, ho provato a parlarle, a cambiare discorso, ma lei continua ad incalzarmi con domande sul mio passato; domande retoriche, visto che pare sappia già tutto!”

Li scruto nel profondo, sia uno che l’altro, Francesca si sta comportando esattamente come Aiolia, priva di ogni logica e seguendo solo la furia cieca, ma sto cominciando a comprendere il motivo del loro dibattito, per dire un eufemismo.

“Da quando è così?”

“Da quando è giunta qua… ho capito subito che qualcosa non andasse, ma la situazione non fa che peggiorare, lei non fa che peggiorare! Prima ci mancava poco che non mi folgorasse con i suoi poteri, e non sto certo parlando di amore...”

“TU DEVI SOLO STARE ZITTO, VERME!”

“Ecco… vedete?”

“Fra, ho detto di calmarti! Non sei in te, vatti a fare un giro e poi parlate quando siete in un momento emotivo migliore!” riprovo a riappacificare gli animi, vedendola di nuovo sul punto di attaccare.

“NO, MARTA! Non me ne andrò finché quel pezzo di merda non mi avrà detto perché ha ucciso delle persone innocenti e tra di essi dei bambini!”

“COSA?!?”

Rimango sbalordita e attonita a quella rivelazione, gettando un’occhiata a Death Mask in un misto di ripugnanza e incredulità. Lui non ribatte nulla, semplicemente discosta lo sguardo, rifuggendo il mio.

“E’ la verità?!? Anche donne e bambini innocenti?!?” chiedo ulteriore conferma, assolutamente certa di aver udito male, o… o comunque di trovarmi in una situazione paradossale.

“Te lo dissi all’ospedale, quando Camus si trovava in coma, ricordi? - biascica solo, guardando nella mia direzione – Ho fatto cose per cui non posso essere perdonato, cosa ne vuoi sapere tu, che appari così candida e innocente?”

Non ho il coraggio di replicare, ancora più esterrefatta di prima. Quasi mi verrebbe di congiungermi a Francesca per linciarlo insieme, solo le ultime redini della ragione mi proibiscono di perpetrare un omicidio.

“Rispondimi, vigliacco, perché lo hai fatto?!? Che razza di Cavaliere, che uomo, sei per aver perpetrato simili cose?!? Io sono rinata umana per avvicinarmi all’umanità, a questo immenso mondo, e tu… tu ammazzi senza pietà gente solo perché si trovava in mezzo al campo di battaglia?! Non sei degno di essere neanche una bestia!”

“Esatto, è proprio quello che ho fatto...”

“Bastardo!!!”

Non ho il tempo di fare alcunché che la folgore lanciata a tutta velocità dalla mia amica, colpisce violentemente la testa di Death Mask, facendogli colare giù il sangue dalla fronte.

A questo punto mi aspetterei una sua reazione di qualche tipo, un suo ipotetico attacco, o una motivazione sul suo comportamento efferato. Invece lo vedo coprirsi il volto con la mano, poco prima di gemere tre volte e accasciarsi a terra. Non so se soccorrerlo o no, ma in ogni caso la sua risata stridula irrompe tra le colonne del tempio, facendoci sussultare e rabbrividire non poco.

Schiamazzi. Risate. Mugolii sommessi. E’ seduto a terra, la mano a nascondergli il volto, il petto ansante, che trema con intermittenza.

Non posso credere che stia davvero ridendo; ridendo dopo aver ammesso di aver ucciso barbaramente delle persone innocenti, dopo avergli strappato la libertà e averli privati del calore delle proprie famiglie, del calore della vita…

Stringo con forza i pugni, imbiancando le nocche, desiderosa di fiondargli un gancio destro dritto in faccia e di fracassargli quella sua testa malata, perché non può essere altro che un malato di mente a fare cose del genere!

Lo guardo. Lo schifo. Tremo. Sto per fare quanto vorrebbe Francesca, lo so, per una serie di secondi ho il dubbio se lasciarlo a lei, alla sua furia. Fremo ininterrottamente nell’alzare il pugno, ma mi fermo. Immobile.

Lo osservo meglio. Vedo. E la mia furia cieca si assopisce. Non quella della mia amica, più distante.

“Maledetto, schifoso essere che non merita di vivere! Mi ripugni! Come ho fatto a innamorarmi di te?!? Sei un dannato serial-killer, io… io… ti ucciderò!!!” sbraita Francesca, fuori di sé dalla rabbia, caricando una nuova folgore con l’intento di infilargliela dritta nel petto e privarlo così della vita.

“No, Fra, fermati!!!” si frappone Michela, sfruttando la mole più possente per bloccarle i polsi e circondarle il busto con le braccia.

Anche lei deve avere capito…

“Lasciami, Michela! E’ affar mio! Io… io mi sono innamorata di un essere malvagio come lui, io devo ristabilire l’ordine, io… IO!!!” singhiozza Francesca, ormai preda di emozioni contrapposte.

“No, Fra, non te ne sei accorta perché eri distante, ma… ma...”

“Michela, lasciala andare ora… così sia, è ciò che merito!”

Mi volto sconvolta in direzione di Death Mask, accasciato ancora a terra. La sua mano è ancora tra i capelli come a volersi nascondere il viso, ma lascia scoperto l’occhio sinistro, dal quale scendono lacrime amare e salate.

Come sospettavo, non stava ridendo, lasciandosi semplicemente andare ad un pianto sfrenato, schiacciato da colpe che non possono essere espiate, vergato da un passato che non può più essere cancellato. Nessuna pena potrebbe fargli nulla, non quanto il peso di aver accettato una nuova esistenza. Forse…. forse, ancora più che noi, quello che si ripugna di più è proprio lui, vittima e carnefice al tempo stesso, costretto a vivere con la persona che odia di più al mondo: sé stesso.

Lo fisso incapace di proferire parola, provando un misto di emozioni.

Poco dopo lo vedo lentamente alzarsi e appoggiarsi nuovamente alla colonna. Si asciuga le lacrime una, due, tre volte, prima di parlare, ma non basta comunque a fermare il pianto.

“Fra… agisci come meglio credi, sei una divinità che è rinata umana, nessuno meglio di te può giudicarmi: non ho ucciso per necessità, né per difesa personale… ho ucciso per semplice noncuranza, perché si trovavano lì, nell’infuriare della battaglia, né più né meno! Non sapevo cosa fosse vita, né cosa fosse morte, era semplicemente irrilevante e mi sentivo io stesso un dio – dice, senza troppi fronzoli, non mascherando affatto ciò che è stato, né cercando scusanti – Ciò che ho fatto non sarà mai cancellato, MAI! Che tu mi uccida, che distrugga il mio corpo, o che lo renderai cenere, dannando anche la mia anima per l’eternità, non cambierà proprio niente, non ristabilirà il mio onore, né mi assolverà, ma visto che sarai tu a farlo, accetterò con gioia qualsiasi sorta di punizione, perché saprò per certo che avrai fatto la cosa giusta!” biascica, abbassando le braccia arrendevolmente e guardando intensamente Francesca negli occhi. La mia amica è sgomenta, quasi spaventata. Sembra immobile e perfettamente impossibilitata a fargli del male, ma mi spaventa enormemente la folgore che continua ad avere tra le mani, sempre più scoppiettante e intensa. C’è qualcosa che non va…

“Francesca, ti prego, fallo… fai di me ciò che vuoi, dammi l’illusione, solo l’illusione, di potermi redimere attraverso la sofferenza, la stessa che ho impartito a tante, troppe, persone! Infliggimi la pena che ti sembrerà più idonea, ho assoluta fiducia in te!”

Cancer si deve essere ammattito, come dice Michela, il troppo senso di colpa deve averlo reso schiavo di sé stesso, non c’è altra spiegazione…

Non ho comunque il tempo di ragionare sull’assurdità delle esclamazioni di Deathy, che, con la coda dell’occhio, vedo Francesca scrollarsi di dosso Michela, traendo giovamento e vantaggio dal fatto che la ragazza era distratta dalle elucubrazioni del Cavaliere, per poi far scaturire dal terreno un immenso e vorticoso muro elettrico che si dirige, disintegrando il pavimento sottostante, verso Death Mask, il quale, come un coglione, sorride.

“Electric Cyclone!!!”

“Grazie… sono onorato, e felice, che sia stata proprio tu a deciderlo! Grazie...”

E’ evidente che non sia Francesca a voler reagire così, le avevo viste, poc’anzi, le sue intenzioni di abbassare le armi, le avevo viste, eppure…

E’ lampante che neanche Death Mask sia in sé, assuefatto dal senso di colpa e dalla convinzione di non poter essere perdonato in nessuna maniera, eppure non vuole morire, ne sono certa, perché sa che non risolverà niente così facendo.

Li ho visti entrambi. Ho visto i loro pensieri. Eppure eccoli qua, una giustiziere e uno giustiziato, entrambi hanno decretato che il sipario cali, laddove invece si è appena alzato verso una nuova vita! Non posso permettere che accada questo scempio!

Ricordandomi, in qualche maniera, di come Dègel aveva rallentato fino a rendere nulli, tramite il gelo, i colpi elettrici di una delle gemme di Garnet in quella fredda notte del 1738, mi frappongo tra l’attacco e il Cavaliere del Cancro, cominciando ad espandere il mio cosmo.

“Cosa stai facendo, scema?!? Così verrai colpita anche tu, lascia che Francesca...”

“COSA?! Ti uccida?!? Tu non vuoi morire, Deathy, non dire minchiate! E Francesca non vuole certo ucciderti! - gli urlo contro, pur non degnandolo di uno sguardo, visto la mia totale concentrazione nel fermare il devastante attacco della mia amica, che infatti rallenta il suo corso per una manciata di secondi, permettendomi così, pur con difficoltà, di dare un’occhiata al Cavaliere dietro di me – E togliti quel sorriso da coglione da quella faccia da granchio rachitico che ti ritrovi! Dubito che il glorioso Death Mask voglia tirare le cuoia così dopo essersi innamorato e avere avuto la pallida speranza di rimediare ai suoi peccati con una nuova esistenza, altrimenti non avresti scelto nuovamente di continuare vivere in questa valle di lacrime, no?!?”

“E-eh?!”

Lo vedo sbattere le palpebre, come appena svegliatosi da un incubo. E’ intorpidito, stremato e scosso, ma vigile.

“U-ugh...” biascico intanto affaticata, non riuscendo quasi più a trattenere quell’enorme energia, che va aumentando. Francesca è pur sempre una divinità ed io non sono Dègel, che con maestria riuscirebbe ad annullare l’attacco. Io l’ho solo rallentato, ma ora mi sta sopraffacendo, le braccia dolenti cominciando a cedere, abbassandosi sempre più. L’enorme elettricità comincia a solleticarmi le guance, nello stesso momento la sensazione di non poter più sfuggire a quella morsa si fa largo in me, esattamente come se mi fossi attaccata alla corrente elettrica e la scossa diventasse sempre più intensa. Dall’altra parte della stanza, arguisco che anche Francesca, in balia di quella forza sovrumana, sta facendo fatica a controllare l’attacco, ormai dotato quasi di una forza a sé. Michela la trattiene, puntellando i piedi, perché altrimenti anche loro sarebbero risucchiate dal vortice e finirebbero folgorate all’istante.

“Marta… - di nuovo la voce di Death Mask dietro di me, ma non posso guardarlo, le mie palpebre sono serrate, tutti i miei sensi sono concentrati nel tentativo di impedire un’immane tragedia – Fidati di me, smetti di opporti a quell’attacco. Hai ragione, malgrado tutto non voglio morire, sono imperdonabile e non avrò mai riscatto, ma NON VOGLIO MORIRE, non ora, non ancora! Forse so un modo per fermare… e-ehi, mi senti?!”

Lo sento forte e chiaro ma non riesco a muovermi, sono del tutto impotente davanti a tutto questo. Ho rallentato il ciclone elettrico, l’ho fatto, ma ora sta nuovamente acquisendo potere, rischiando di spazzarci via tutti quanti.

La situazione sta precipitando, non so più cosa fare, nessuno dei presenti forse lo sa, ma fortunatamente un aiuto insperato sblocca la situazione; un aiuto dalle stelle medesime!

“Sturlight Extinction!!!”

Sento urlare, mentre la voce del Grande Sacerdote mi stura letteralmente le orecchie, ormai assuefatte dal crepitio dell’elettricità. Il rinculo mi sbilancia all’indietro, facendomi cadere a terra. La mia schiena urta contro il pavimento nello stesso momento in cui ad un attacco si somma un altro attacco.

“Crystal Wall!!!”

Stavolta è la voce urgente di Mu a giungere a noi, unita comunque a quella dello stesso Shion, il quale, poco dopo, me lo ritrovo direttamente addosso. Con una mano trattiene me a terra e con l’altra il Cavaliere di Cancer.

“State giù e chiudete gli occhi!!!” ci ordina, stringendoci a sé con forza. Poco dopo un’esplosione, seguita da stelle sfavillanti e luci che variano dal giallo paglierino al dorato, fino a diventare addirittura arancioni in certi punti. Dopo questo è silenzio…

Rimango stordita per una serie di secondi, prima di recuperare parzialmente la vista, ferita dall’unione dei due colpi. Scrollo la testa di lato, notando che dall’altra parte della stanza Mu ha fatto lo stesso con Michela e Francesca, stese una sopra l’altra, con il Cavaliere dell’Ariete intento a proteggerle. Hanno annullato il vortice elettrico in una estinzione stellare implacabile e hanno protetto noi con il ‘Muro di Cristallo’, un binomio notevole, non c’è che dire!

“Tempismo perfetto, Mu, come sempre!” gli sorride Shion, grato. Probabilmente non si erano messi d’accordo sulla loro venuta qui, ma sono riusciti comunque a lavorare in squadra, in completa sinergia.

“Gr-grande Sacerdote…” lo chiamo, alzandomi sui gomiti, ancora frastornata.

“Tutto bene, Marta? Death Mask? Avete rischiato molto...”

“Tutto bene, papà Shion, soprattutto ora che ci sei tu!” gli risponde Death Mask, informalmente, fingendo fastidio e sentendosi imbarazzato nell’essere stato colto in un momento di debolezza.

“Non fare il cretino, Deathy, sembri Manigoldo quando ti comporti così!” si permette di rispondere Shion, sempre informalmente, come se fosse un suo commilitone e non un sottoposto. Lo vedo sorridere rasserenato, mentre Cancer si siede contro la colonna, le guance rosse, fissando tutt’altra parte. Si sente limpidamente a disagio.

Nello stesso momento anche Francesca e Michela, aiutate da Mu, si rialzano in piedi, la seconda sorregge la prima, ancora profondamente scossa. Il suo sguardo naviga per tutta la stanza per constatare i danni, soffermandosi poi sul suo fidanzato, accasciato ancora a terra.

“Maestro… è ormai chiaro che i vostri sospetti siano pienamente fondati. E’ proprio come se discordia fosse calata qui alle Dodici Case, dobbiamo reagire!” dice prontamente Mu, caparbio, avvicinandosi al suo mentore.

Shion annuisce, rialzandosi in piedi e compiendo qualche passo nella sua direzione. Non ribatte niente, ma è chiaro che stia rimuginando qualcosa.

“Fra!!!” Michela intanto chiama con apprensione la nostra amica che si sta dirigendo verso il suo fidanzato, gli occhi ancora inondati di lacrime. Sono ad un palmo di distanza, quando Death Mask, al limite dell’imbarazzo, sospirando, si volta finalmente nella sua direzione.

“Fra...” biascica a voce roca, ma non ha comunque il tempo per proseguire che la nostra amica cade in ginocchio davanti a lui, singhiozzando, stringendolo poi a sé con tutte le forze che possiede.

“Ti amo… ma ti odio… e, ancora di più, odio me stessa per essermi permessa di innamorarmi di uno scavezzacollo come te!”

“Rin… rincuorante!”

A quel punto Francesca lo guarda dritto negli occhi, cominciando a prenderlo a pugnetti sul petto, più per sfogare la sua frustrazione che per altro.

“Tu… tu hai fatto delle cose orribili, dissennate, sei un assassino, non so come tu sia diventato Cavaliere, mi ripugna pensare al tuo passato… TI ODIO!”

Death Mask non ribatte nuovamente niente, limitandosi a subire le accuse di Francesca. Effettivamente non c’è niente da dire, lo sa lui, lo sappiamo noi, lo sa anche la nostra amica.

“Camus ha fatto ciò che temevamo, un giorno che stavamo litigando, mi ha accennato del tuo passato, di quello che avevi perpetrato a degli innocenti ed io… ed io non riuscivo a crederci, ero disgustata, come potevo essermi innamorata di te?!? Proprio io, che mi sono sempre detta assennata, razionale e rigorosa...”

“Certo che però… il ghiacciolo poteva stare almeno zitto, sta muto per ogni cosa, ma questo doveva bastardamente dirtelo, come se non fosse già tremendamente difficile...” riesce solo a mormorare, affranto, continuando a subire i pugni di Francesca che aumentano di intensità.

“Ti odio…. Ti odio…. Ti odio!!! - ribadisce lei, imprimendo sempre più forze nel gesto – Ma… non posso fare altro che amarti; amarti malgrado tutto, amarti per come sei ora, per come stai cercando di rimediare ai tuoi crimini con questa nuova vita, ben sapendo che probabilmente non ci riuscirai mai: prima degli altri dovresti perdonare te stesso, ma non lo farai, no… non lo puoi fare, vero?!?”

A quel punto Death Mask prova un nuovo approccio, portandosela contro di sé in un leggero abbraccio. Non sa bene cosa dire, per la milionesima volta nella sua vita tenta la via dello stemperamento fin dove è possibile.

“Però! Quante emozioni contenute in un piccolo corpo da dea! Sei… sei straordinaria, Francesca, hai la forza di un ciclone ma un corpo minuto, potresti spazzarmi via con il tuo cosmo, ed io, se non sto attento, con il mio corpo rischierei di farti male, perché la differenza tra me e te è notevole, forse addirittura agli antipodi...” le dice, accarezzandosi i capelli.

Arrossisco io al posto di Francesca, che non vedo perché è totalmente nascosta dall’ampio petto del Cavaliere. Mi sento un’estranea in tutto questo, vorrei lasciarli in pace, ma non so che fare, Shion e Mu non ci hanno dato più istruzioni, ma stanno parlando ardimentosamente tra loro. Michela invece è totalmente a suo agio, se fossimo in un manga avrebbe gli occhioni davanti ad un simile spettacolo.

La nostra amica più grande singhiozza ancora e ancora, vedo negli occhi di Death Mask le intenzioni di raggiungerla, di confortarla, ma non può, non ora. Sono successe troppe cose.

“Ci sarebbe così tanto da dire… - mormora infatti, socchiudendo gli occhi e permettendosi di posare il suo mento sulla testa di Francesca – Ti va di… di approfondire la questione in un altro momento? Siamo entrambi stravolti, umiliati, prostrati… non so cosa sia successo, ma qualcosa ha guidato la nostra mano, riproducendo le nostre emozioni in maniere estremizzata… ti prometto che la prossima volta sarò pienamente onesto con te, ma… ma non adesso, Fra, ti scongiuro!”

La nostra amica non ribatte nulla, tuttavia, tra i singhiozzi, annuisce con la testa, stringendosi ancora di più a lui. Death Mask sorride rasserenato, felice e sollevato di non averla persa, poi chiude gli occhi, rimanendo così seduto sul pavimento, con Francesca stretta a sé e la schiena appoggiata ad una delle poche colonne del tempio rimaste integre. E rimangono lì, senza dire più niente.

“...Qualcuno ha guidato la loro mano, non c’è più alcun dubbio, nello stesso modo in cui la sta muovendo con altre marionette che, in qualche modo, hanno un conto in sospeso con qualcuno!” parafrasa infatti Mu, serissimo in volto, a voce chiara e limpida, sebbene sia distante da noi.

Shion continua a non ribattere niente ancora per un po’, poi sospira, scoccando infine un’occhiata al suo allievo.

“Mu, la terza casa… come è messa?”

“Stavo venendo su proprio per dirvelo...” ribatte, accennando all’uscita anteriore della Casa del Cancro e dirigendosi poi verso di essa.

“Marta! Michela! Venite anche voi!” ci ordina, gentilmente il Grande Sacerdote.

“Ma qui abbiamo i due piccioncini che...”

“Michela, FILA!” taglio corto io, trascinandola via ben contenta di togliermi da quella scena intima che non è di nostra competenza.

Seguiamo quindi Mu e Shion fuori dal tempio e, una volta usciti, accecate dalla luce del sole, avvertiamo prima un brusio, poi trasformato in dei veri e propri schiamazzi. Raggiungiamo la postazione di Shion e Mu, ritti in piedi sul bordo delle scalinate, del tutto presi da qualcosa che sta avvenendo sotto di loro. Li raggiungiamo quindi in un battito, incuriosite da quella improvvisa immobilità, ciò che vediamo nella casa sottostante ci inquieta e ci sorprende allo stesso tempo.

“Chi… chi sono quelli là? Perché c’è un tale affollamento alla Casa dei Gemelli?!” chiede Michela, agitata da quell’avvenimento.

Da quassù infatti sembrano tante formichine prolifiche, eppure addirittura da questa distanza si percepisce la rabbia repressa che prova quella folla. Possibile? Aiolia che se la prende con Shura, reo di aver ucciso suo fratello; Francesca che se la prende proprio oggi con Death Mask, sebbene Camus gli abbia accennato qualcosa più di un mese fa, ora questo… può esserci una sola ragione…

“Sono… sono tutte le persone del Santuario che, durante la rivolta di Saga, hanno perso amici, conoscenti e famigliari...” ci dice solo Shion, enigmatico.

Rimaniamo in silenzio, non sapendo bene cosa fare, sarebbe da scendere giù e riappacificare gli animi per evitare una rivolta contro il Cavaliere dei Gemelli, ma noi non siamo adatte allo scopo, non conoscendo nel particolare quegli avvenimenti. Fortunatamente è Shion medesimo a darci le direttive.

“Michela, tu, passando dalla scorciatoia che ora ti mostrerò, vai ad Atene, rintraccia i cosmi di Hyoga e Camus e conducili al Santuario, digli che è stato indetto un coprifuoco e che nessuno dei Cavalieri d’Oro deve uscire dalle rispettive dimore fino a mio espresso ordine!”

“Ricevuto!”

“Marta, tu invece torna al tempio dell’Acquario e non uscire da lì per nessuna ragione!”

“V-va bene!”

Shion torna a fissare la casa sottostante, un’espressione grave sul viso candito.

“Siamo sotto attacco… dobbiamo essere prudenti!” afferma, poco prima di scendere le scale con Mu, indicare la scorciatoia a Michela e fermare così la rivolta.

 

 

* * *

 

 

So che il Grande Sacerdote Shion mi ha ordinato espressamente di tornare all’undicesima casa, ma io, sfruttando il momento di tensione panico generale, spinta dall’istinto più che la ragione, mi dirigo decisa verso Capo Sounion. So dove si trovi, a grandi linee, ma non so dove sia ubicata la prigione in cui dovrebbe essere tenuto Stevin. Una parte di me sa trattarsi di una follia, sono consapevole anche che, forse, proprio in questo momento sarebbe meglio se stessimo lontani, poiché ci sono molte cose non dette fra noi e, se le teorie di Shion fossero veritiere, questo nemico colpirebbe indirettamente, sfruttando le debolezze umane per poi estremizzarle in caso di rancori e frustrazioni… e Stefano ne è pienamente vittima a quanto ne ho potuto percepire! Tuttavia ho bisogno di parlargli, a tutti i costi e, ancora di più, anche se sarà impossibile, capire… capire che cosa gli sia successo in questi due anni e, conseguentemente, spiegargli il mio stato in questi due anni.

Chiudo gli occhi e mi concentro, ricercando il cosmo di Stevin, che ho imparato da poco a distinguere. Non è che una scintilla, un breve accenno, eppure è candida e solenne, mi ricorda qualcuno, anche se non so identificare chi. Finalmente, grazie anche alla localizzazione, riesco a trovare la prigione di Capo Sounion. Mi sento agitata e trepidante ma non posso esitare, per cui mi dirigo timidamente dalle sbarre.

“St-Stefano...” lo chiamo, scorgendolo girato di spalle. Lui sussulta e si volta nella mia direzione, sorpreso.

“Marta?!? Non dovresti essere qui!”

Gli sorrido, rassicurata dalla sua espressione nuovamente gentile, per un secondo ho l’illusione che sia tornato come lo ricordavo, il mio adorato amico d’infanzia, ma il pensiero è di breve durata.

“N-no! Non avvicinarti oltre, ti metteresti in pericolo! Stai indietro!”

Mi blocco all’improvviso, prostrata, mordendomi un labbro, mentre lo vedo risedersi teatralmente su uno sperone di roccia e massaggiarsi le tempie, sofferente.

“Non dovresti essere qui… ti stai mettendo in pericolo!”

“Non potevo starmene tranquilla senza sapere come fossi conciato… I-io...” ma non ho la forza di continuare, discostando lo sguardo.

Seguono attimi di silenzio, poi è lui stesso a parlare.

“Sai… sto cominciando a credere che davvero i fatti reali non corrispondano a quelli miei mentali. Siamo nel 2011, è un dato di fatto, eppure il mio cervello continua ad avercela con te, ti attaccherei se non ci fossero queste sbarre tra noi, perché ho un’ira atroce nei tuoi confronti!” mi spiega, sincero. Forse anche troppo. Ingoio a vuoto, accusando il colpo, sono abituata alla sua schiettezza, era così anche da piccolo, ma il pensare che nulla sia cambiato da quando l’ho incontrato nuovamente in Valbrevenna mi demoralizza e mi reca un dispiacere ben nitido. Comincia a pensare che siano trascorsi davvero due anni, ma, allo stesso tempo, continua ad avercela con me, ad avermi in odio, e questo fa male.

“Ste, io, davvero… non volevo abbandonarti, quel giorno...”

“Lo so, ma la mia mente è ancora plagiata dall’informazione secondo la quale lo hai fatto...”

“Pl-plagiata?”

“S-sì, ascolta… sto cominciando a ricordare qualcosa, fatti confusi nella mia mente di quello che ne è stato di me in questi due anni…” mi dice, alzandosi in piedi e raggiungendo le sbarre, sopra le quali poi appoggia la fronte, in un primo, impacciato tentativo di ristabilire un contatto.

Malgrado l’avvertimento iniziale, mi avvicino anche io, trattenendomi a stento dall’impulso di toccarlo. Sto per chiedere maggiori delucidazioni, ma è lui stesso a proseguire.

“Il nemico che state combattendo… non è solo...”

Sussulto, sconvolta da quella rivelazione: quanto, e soprattutto, come sa Stevin del nemico?! P-possibile che… ci abbia a che, in qualche modo, a che fare?!

Un atroce dubbio mi paralizza seduta stante.

“A-altri sono al suo fianco, non so esattamente quanti ma… ce ne sono altri, vengono chiamati i Pilastri...”

“I Pilastri?!?” sussurro, sconvolta. Già affrontare il Mago, con i suoi poteri, non è impresa da poco, sapere che altri sono al suo fianco mi abbatte e mi spaventa al tempo stesso.

“I-io ne conosco una da molto vicino… è colei che mi ha indottrinato sul fatto che tu mi avessi abbandonato, perché ella può risvegliare le pulsioni assopite dagli esseri umani e usarle a suo piacimento. Non è fisicamente molto forte, ma con questa tecnica compie i suoi doveri senza mai sporcarsi le mani...”

Strabuzzo gli occhi, ripensando ai fatti accaduti in questo stesso giorno, al comportamento strano dei Cavalieri d’Oro, di Francesca, e di tutti gli altri.

“Se quanto dici è vero… è colei che ha attaccato il Santuario oggi!” esclamo, sinceramente sconvolta.

“Il suo nome… è Nero Priest! Stai attenta, Marta, ha un potere terribile, potrebbe fare di voi ciò che vuole, indipendentemente dalla vostra potenza!”

Annuisco, cercando di non agitarmi. Ci sarebbero molte cose da chiedergli, come faccia a conoscere questa Nero, per esempio, come sappia del nemico, ma ho come la sensazione che se varcassi questo confine, qualcosa gli farebbe perdere il controllo. La sua mente è sotto il controllo di una entità misteriosa, non infierire sulla questione è il miglior modo per farlo riprendere. Non voglio in alcun modo fargli del male…

“G-grazie, Stevin, mi hai dato informazioni molto utili...” biascico, tesa. Lui nel mentre cade in ginocchio, prendendosi la testa fra le mani. Sta visibilmente soffrendo, forse per aver forzato il blocco della sua mente e avermi parlato, molto meglio cambiare in fretta discorso, sperando che basti come panacea.

“So che hai conosciuto mio fratello...” gli dico, cercando di essere più dolce possibile. Lui lentamente si risolleva, asciugandosi la fronte sudata, poco prima di guardarmi in faccia e sorridere tiepidamente.

“Oh, sì, siete molto simili, voi due… non intendo solo fisicamente!”

“I-io davvero non… non sapevo di avere un fratello, non prima di quest’anno, te lo giuro, Ste, io non...”

“Lo so, sei cresciuta con la convinzione di essere figlia unica perché siete stati separati quando tu eri in fasce. Camus me ne ha parlato...”

Sorrido a mia volta, quasi commossa da riuscire a dialogare quasi normalmente con lui, dopo tutti questi anni. Tra poco me ne dovrei andare, non dovrei essere qui, meglio tornare alla Casa dell’Acquario, visto il coprifuoco, ma ho ancora bisogno di chiedergli una cosa.

“E come… come ti sembra mio fratello?”

“Un po’ burbero e un po’ schivo, deve aver preso molto da tuo nonno materno, me lo ricordo bene. Stesse movenze, stessi imbarazzi. Non è avvezzo al contatto fisico, si vede lontano un miglio, l’unica eccezione sarai probabilmente tu, sua sorella!”

Le mie labbra si incurvano in un’espressione di sollievo, mentre il cuore accelera di colpo. Non ci avevo mai pensato, no, ma effettivamente mio fratello ha preso tutto da mio nonno Dante, impossibile dimenticarlo.

“I-io gli voglio davvero un gran bene, lo adoro!” gli rivelo, arrossendo un poco.

Stefano mi guarda intensamente per qualche secondo, poco prima di distogliere la sua attenzione su di me e darmi le spalle, visibilmente a disagio.

“C’è anche un’altra cosa che ho potuto percepire...”

“E sarebbe?”

“E’ molto protettivo nei tuoi confronti, forse anche un po’ troppo, in tutta onestà… comunque proprio per questo sei al sicuro con lui, posso stare tranquillo anche io!” mi confessa, regalandomi un’ultima occhiata prima di tornare a sedersi dove era prima.

“Più… tranquillo?” chiedo conferma, arrossendo un poco.

“Sì, sei in buone mani, di lui ci si può fidare e, non so dirti neanche io perché, ma sento che sei al sicuro con lui, ciò mi fa stare molto più tranquillo!” si accomiata, chiudendo gli occhi e nascondendosi il viso tra le mani, facendomi capire che non mi parlerà più per quest’oggi.

Butto fuori l’aria, un po’ più rasserenata. Non è molto, ma siamo riusciti a parlare senza scannarci, è già più di quanto speravo. Ora devo trovare un modo per stanare questa Nero Priest, in modo che i sospetti su Stevin si sciolgano come neve al sole.

Non ho un istante da perdere…

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Avevo intenzione di finire e pubblicare l’ultimo capitolo di Parallel Hearts, ma poi ci ho preso gusto a parlare di Isaac ed è venuta fuori una seconda parte del capitolo più lunga della prima… e vabbé! XD

Per questa ragione, ho pensato di pubblicare prima la “Melodia della neve”, in cui sono molto più avanti a scrivere, ed eccomi quindi qua.

Al solito i riferimenti alle mie altre opere di sprecano, ma il più grande è all’Epilogo della fine e dell’inizio, quando Camus (che, diciamocelo, quando vuole sa essere anche uno str… di un certo calibro, anche se lo ha fatto a fin di bene) rivela a Francesca anzitempo i crimini di Death Mask. I due si erano promessi di aspettare le parole dell’altro, ma questa Nero Priest, che vedremo in azione nel prossimo capitolo, ha rovinato tutti i loro bei progetti.

A proposito, Nero Priest è presa dal gioco di Saint Seiya Awakening, mi piace molto come outfit e ho voluto darle un ruolo.

I pilastri… come se il Mago, da solo, non bastasse, eh, no ci aggiungiamo anche questi... chi saranno, in realtà? Dovrete aspettare un po’ per saperlo.

In questo capitolo ho voluto dare più spazio alla figura di Stevin, in un primo incontro con Camus e in un secondo ritrovarsi (andato un pelino meglio) con Marta. In questa parte introduttiva della terza storia, che terminerà con il capitolo 11, lo anticipo, la sua figura sarà avvolta dal mistero… sono aperta alle vostre più accanite congetture anche se, temo, al momento non avrete gli elementi sufficienti per capire. Ci sarà tempo anche per lui.

Al solito ringrazio chi segue le mie storie, chi commenta, chi mette tra preferite/seguite e via dicendo, spero che la lettura continuerà ad essere gradevole per voi. :)

Alla prossima che, si spera, sarà la prossima settimana con Parallel hearts! :)

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Capitolo 8
*** Nero Priest ***


Capitolo 8: Nero Priest

 

 

22 ottobre 2011, mattina

 

Corro con quanto fiato ho in gola sulle scalinate che salgono dal Tempio dei Pesci all’ultima casa dello zodiaco; in mano il foglietto che mi ha lasciato Camus per tranquillizzarmi e che è riuscito solo a farmi preoccupare di più, trasmettendomi così un’ansia crescente.

Ieri sera quando sono tornata alla Casa dell’Acquario mio fratello non c’era, l’ho aspettato fino a tardi, finché, distrutta, non sono crollata in camera mia, addormentandomi fino a stamattina. Neanche questa mattina era presente al suo tempio, ma so per certo che deve essere tornato, poiché sul comodino al fianco del mio letto ho trovato un foglio, scritto di sua mano, che pur nella sua tenerezza di spiegarmi le ragioni che lo muovevano, è stato solo in grado di trasmettermi una paura sviscerale.

Mi mordo il labbro inferiore, ripensando al contenuto del messaggio, il cuore a mille: fratello, sei sempre, sempre, il solito!

 

Cara Marta,

Avrei voluto salutarti per bene prima di partire ma, comprensibilmente, eri già addormentata e non mi sembrava giusto svegliarti per una quisquilia simile. Dopo i fatti accaduti ieri, Shion mi ha spiegato cosa è successo alla quarta casa tra Death Mask e Francesca, tu e Michela avete reagito davvero bene in quella circostanza, non avevo dubbi a riguardo. Mi riempite il cuore di orgoglio ogni giorno di più, lo sapete, ma voglio ripetervelo ancora una volta. Son fiero di voi, di come state diventando sempre più forti, ognuna con il proprio ritmo, tuttavia, laddove è possibile, preferisco tenervi fuori da incombenze troppo difficili.

Shion ha affidato a me e Milo l’incarico di indagare su questa entità che ha gettato il Santuario nel caos. Porterò solo Hyoga con me, non volermene! Sei una guerriera, piccola mia, ma sei ancora ferita e devi riposare, inoltre non sarei tranquillo ad averti con me, passerei il tempo a preoccuparmi per la tua salute, deconcentrandomi sulla missione, ciò non mi permetterebbe di esercitare correttamente il distacco. Perdonami…

Allo stesso modo non preoccuparti per le mie condizioni, sono un Cavaliere d’Oro e poi ho una promessa da mantenere, quella di portarti in Siberia, non l’ho dimenticato, non potrei... andrà tutto bene, vedrai! Tu fai la brava e prenditi cura di te stessa, non strafare come tuo solito e concediti il tempo che ti serve per rimetterti completamente. Tornerò prima di quanto pensi.

Ti voglio bene.

 

tuo

Camus

 

Ti voglio bene...

Frase che raramente mio fratello riesce a pronunciare, più facile esprimerla in forma scritta, ma che, ad ogni modo, non è riuscita affatto nel suo intento di addolcirmi la pillola.

Camus, pensavi davvero che mi sarei tranquillizzata così?!? Pensavi davvero che non mi sarei preoccupata?! Dannazione, ieri pomeriggio Stevin mi ha rivelato chi è l’artefice di questa discordia che è calata tra le 12 Case, se quanto ha detto è vero, ed io non ne dubito, sei il meno indicato per questa missione, a maggior ragione se hai Hyoga con te! Avete troppe cose non dette fra voi, se il nemico vi afferra, non potrete scappare più!

Maledizione! Dove siete andati? Dove siete andati?!?

Raggiungo in corsa l’ultima casa dello zodiaco, precipitandomi a tutta birra verso la sala del Grande Sacerdote. Ho già il respiro corto e i polmoni doloranti quando finalmente giungo dove mi ero prefissata, gettandomi a terra in ginocchio per rifiatare.

“Marta, cosa sta succedendo?!?” esclama Shion, apprensivo nel vedermi così trafelata, Aphrodite e Aldebaran sono a rapporto, probabilmente disquisivano su qualcosa di importante, ma non ho comunque il tempo per darci peso.

“N-Nobile Shion, avete mandato Camus in missione?! Dove… dove… anf… anf...”

“E-ehi, ragazzina, calma i tuoi respiri, sei in iperventilazione e non ti fa bene. Le ferite dell’ultima missione non si sono ancora rimarginate, non strafare!” mi soccorre il gentile Aldebaran, massaggiandomi la schiena per calmare i miei respiri accelerati. Ha ragione. Le tempie mi pulsano e avverto i battiti del mio cuore già così, senza bisogno di tastarmi. Non sono ancora in forma, nondimeno non ho un istante da perdere.

“Sì, ho mandato Camus in missione con Milo, gli ho detto che potevano scegliere degli accompagnatori e lui ha chiesto a Hyoga, c’è qualcosa che non va?”

“Avete… lo avete mandato così, nelle sue condizioni, Nobile Shion?! Camus non sta ancora...”

“...bene, ne sono consapevole, ma tu meglio di chiunque saprai senz’altro che tuo fratello vuole essere trattato esattamente come prima. Lui è un valoroso Cavaliere d’Oro come gli altri, avere incarichi facilitati a causa delle sue precarie condizioni fisiche lo umilierebbe, lo sai bene...”

“Urgh...”

“Non è da solo, Marta, stai tranquilla, ci sono Milo e Hyoga con lui e, beh, anche Sonia, perché la ragazza non ha voluto sentire ragioni, sebbene fossimo contrari al suo intervento. Ha detto che, dopo i fatti della battaglia delle 12 Case di due anni fa, non si sente più sicura a lasciarli andare da soli, a maggior ragione ora che è diventata più forte!” continua solennemente Shion, alzandosi in piedi e guardandomi con intensità.

Sonia deve condividere i miei dubbi e le mie paure, anche io, se avessi saputo prima di questo incarico, avrei costretto mio fratello a portarmi con lui. Non sono tranquilla, per niente, temo per la sua sorte, perché anche se Cavaliere d’Oro è l’oggetto dei piani del Mago, ed è ferito, se poi ci aggiungiamo anche ciò che mi ha riferito Stevin, e che Hyoga è con lui, mi sento ancora più agitata.

“E dove... dove sono andati?” insisto, tesissima, rialzandomi in piedi aiutata da Aldebaran. Non c’è tempo per riposarsi.

“Camus non te l’ha detto?” mi chiede, sinceramente stupito.

Macché, figuriamoci! Conoscendolo, non mi avrà voluto rivelare il luogo per timore che io, testarda e ostinata, corressi il rischio di precipitarmi subito da lui, cosa che effettivamente è nei miei intenti, non lo nascondo. Mio fratello ha dimostrato, ancora una volta, di conoscermi a fondo, ma non basta certo questo per fermarmi, anzi!

“Li ho mandati nelle vicinanze di Delphi. Ieri sera siamo riusciti a scacciare la presenza che ha causato tutti quei dissapori tra noi. Seguendo la scia della sua emanazione, essa si è insediata proprio nelle vicinanze di Delphi, forse bisognosa di recuperare le forze. Non ho quindi esitato ad affidare la missione a Milo e Camus per scongiurare nuovamente il rischio di ripercussioni sugli esseri umani di quel luogo. Sono partiti stamattina prima dell’alba”

“Fino a Delphi?!?” esclamo, più per lo stupore che per averne la conferma.

Quel luogo sacro fin dall’antichità dista quasi 200 Km da qui, come… come diavolo posso raggiungerlo con le mie sole forze?!? Senza velocità luminare, con i soli mezzi pubblici, ci fosse anche qualche collegamento da Atene a Delphi impiegherei ore per arrivarci. E sarà tardi. Merda!

“T-tutto bene, Marta? Perché sei così agitata? Posso capire che temi per la sicurezza di tuo fratello ma so quanto vale, credimi!” mi domanda Shion, addolcendosi ulteriormente, forse nel tentativo di tranquillizzarmi.

“N-non è quello, è che, vedete...”

Sto per rivelargli dell’identità del nemico, ma mi censuro prima, rendendomi conto che non posso in alcun modo farlo. Ieri mi sono recata da Stevin contravvenendo alle regole e al coprifuoco, due inflazioni in un solo colpo, non posso quindi rivelare niente in un momento simile. Conosco una verità che nessun altro sa, ma, probabilmente, essendomi stata raccontata da Stefano, nessuno ci crederebbe comunque, ad eccezione di mio fratello che è già partito. Sono… perfettamente sola!

“Sono pur sempre sua sorella, conosco bene il suo valore, ma ogni volta che parte per una missione ho il terrore di non vedermelo più tornare, o anche solo che rimanga ferito, ed è veramente dura rimanere con le mani in mano!” correggo il tiro, mordendomi le labbra, la mente che frulla alla ricerca di una soluzione al problema maggiore, ovvero come raggiungerli.

Shion si avvicina a me con passo leggero, permettendosi di sorridermi e accarezzarmi la testa con gesto paterno. E’ un po’ davvero come un padre, per me, che sono cresciuta con l’assenza di questa figura, salvo poi scoprire trattarsi di un dio, Efesto, che tuttavia non ha assolutamente nulla di affettivo, nei mie confronti. E vabbè, ci ho fatto il callo.

“Posso ben capirti, Marta e apprezzo le tue premure nei confronti di Camus, lui… è molto fortunato ad averti come sorella, ma credi un po’ più in lui, nelle sue capacità e valore, andrò tutto bene!”

Annuisco distrattamente, mantenendo lo sguardo basso, mentre il Grande Sacerdote si allontana, tornando a rivestire il ruolo di vicario tra i Cavalieri e Atena. Chissà lui come mi vede, appare come un giovane, ma sulle sue spalle poggiano più di due secoli di avvenimenti, non deve essere affatto facile.

Non posso comunque stare qui senza far niente, non posso non raccontargli di ciò che mi ha riferito Stevin. I Pilastri, questa Nero Priest… sono tutte informazioni troppo importanti da celare, ma mi ritrovo nuovamente indietro nell’impossibilità di comunicare; Camus mi è davanti, irraggiungibile, il tempo scorre severo e la paura mi attanaglia, accelerandomi il respiro.

Perché non mi permetti di rimanere al tuo fianco, fratellino? Io… se solo potessi, ti seguirei ovunque, persino in capo al mondo, voglio camminare insieme a te, non dietro!

La mia mente lavora sempre più febbrilmente alla ricerca di una soluzione. Una forma si sta piano piano creando nel mio cervello, è sempre più nitida. Potrebbe davvero essere l’unica speranza per raggiungere Delphi in tempo, poiché lui solo, tra quelli che conosco e di cui mi fido, è fuori dalle leggi del Santuario e dotato di una potenza sovrumana, del tutto pari a quella dei Cavalieri d’Oro. Sì, lui… non ho altri che lui, in questa situazione!

“Marta, per quanto concerne il tuo amico Stefano, invece...”

Sobbalzo pesantemente a quel nome, fulminata dallo sguardo severo di Shion che ora mi scruta con cipiglio diretto, quasi volesse carpire i miei segreti. Per un attimo la mia convinzione di non essere stata vista a Capo Sunio vacilla, facendomi indietreggiare istintivamente.

“Sto valutando le impressioni di ogni singolo Cavaliere d’Oro, ecco il motivo della presenza qui di Aphrodite e Aldebaran – afferma, facendomi sciogliere le articolazioni e prendere un respiro di sollievo – Presto avrai il mio verdetto!”

Annuisco cupa, non aggiungendo comunque altro. Non ho il tempo ora per occuparmi anche di questo, lo farò subito al mio ritorno, ma non è questo il momento, ora mi recherò a Delphi, costi quel che costi!

Chino la testa in segno di rispetto, stringendo comunque le dita delle mani, poi, adducendo come scusa la necessità di andarmi ad allenare sotto le indicazioni della lettera di mio fratello, mi accomiato, un solo obiettivo in testa e la mente concentrata verso un’unica direzione.

 

 

* * *

 

 

Ovviamente non mi dirigo verso l’arena di combattimento, ma da tutt’altra parte, cioè nel bosco limitrofo al Santuario, dove so per certo che la persona da me cercata si è rifugiata dopo la battaglia sull’Olimpo contro il falso Crono. Conscia di star infrangendo una nuova regola ancora più importante delle precedenti, conscia che le conseguenze saranno ancora più gravi di aver disubbidito le altre due volte (del resto, sto andando a credere aiuto ad un nemico giurato di Atena!), cammino decisa sul sentiero, il passo incalzante e lo sguardo determinato. Giunta nella parte più profonda del bosco, mi guardo nervosamente intorno, sul chi vive, apprestandomi a chiamarlo.

“Rhadamantys della Viverna! Rhadaaaaaaa, se ci sei batti un colpo! Ho… ho bisogno di un nuovo piacere, ti… ti supplico!” grido ad alta voce, conscia di essere abbastanza distante per non farmi udire dalla gente del Santuario.

Sulle prime non si muove niente, tanto da spingermi ad andare ancora più in profondità, ma poi finalmente una figura ammantata di nero esce dalla boscaglia, appropinquandosi alla mia posizione.

“Bene, bene… chi abbiamo qui?!”

Gli regalo un largo sorriso, speranzosa, che però mi muore in gola quando mi accorgo che la persona qui giunta non è chi andavo cercando. Brava, Marta, proprio un errore potenzialmente fatale hai commesso, ci mancava anche questo!

Indietreggio ampiamente, andando ad appoggiarmi contro il tronco di una roverella, in trappola. Le gambe mi tremano ma non abbasso il capo, limitandomi a squadrarlo con odio. Tra tutti e tre proprio il più sadico doveva essere nelle vicinanze, menomale che non gioco ai dadi!

Minos del Grifone infatti, uno dei tre Giudici degli Inferi, mi osserva divertito, un largo sorriso poco rassicurante nella mia direzione.

“Preda grossa, oggi! Lascia che io faccia di te la mia marionetta, è da tanto che non riesco a divertirmi genuinamente! Con gli animali non è la stessa cosa che con le persone!” esclama, tutto contento, alzando un braccio dal quale, grazie ai pochi raggi del sole che filtrano dalle fronde, si possono distinguere dei fili lunghi e sottilissimi, con i quali, penso, mi voglia legare.

“Tu invece te ne stai lì, prima che io decida di renderti un cubetto di ghiaccio! Ho fretta, mi ci manchi tu a farmi perdere tempo, sciò!” gli dico, temeraria, cominciando a diffondere tutt’intorno il mio potere congelante.

“Oh, pure una piccola eroina qui, audace, brava e bella, ma… pur sempre fragile, anche se mi osservi con quell’espressione temeraria! - commenta il malefico, allargando ancora di più il suo sorriso già sinistro – Mi ricordi molto Albafica dei Pesci, prima che lo piegassi al mio volere, può darsi che… siate dello stesso segno?! L’istinto che provo per voi è il medesimo, ovvero quello di rompervi e farvi sanguinare il vostro bel faccino tutto fervente!” mi spiega, poco prima di alzare le braccia con un movimento repentino per circondarmi con i fili, ma io reagisco prontamente, facendo esplodere il mio cosmo e congelandoglieli seduta stante, balzando di lato per evitare che anche uno solo di loro mi tocchi. Sorrido furba, con un’espressione di trionfo stampata in faccia, mentre la sua è genuinamente sorpresa. In verità so che il Giudice non ha che usato 1/10 del suo reale potere, che anche se ne usasse solo la metà, forse meno, mi spezzerebbe come un fuscello, ma continuo con la mia recita.

“Tu hai ucciso Albafica dei Pesci nella precedente Guerra Sacra, vero?! Ecco perché mi stai sui cosiddetti già a pelle! - affermo, risoluta, prima di proseguire – Hai indovinato, sono dei Pesci, meglio per te razzolare al largo, finché sei in tempo, e lasciarmi andare per la mia strada, non sai come posso diventare quando qualcuno ostruisce il mio cammino!” gli lancio un nuovo monito, rimanendo in posizione di attacco. Quello, per tutta risposta, prende a sghignazzare, ricostruendo istantaneamente i fili, ora di nuovo integri. Come immaginavo la forza di uno dei Giudici è pari ad un Cavaliere d’Oro, dico a lui di andare a razzolare altrove, ma quella che si trova nei pasticci sono io.

Nel frattempo il sadico continua a ridere sguaiatamente, infiammato dalle mie parole. Sto peggiorando la mia situazione, nient’altro, e Rhadamantys non si vede, eppure l’ho trovato sempre qui quando avevo bisogno di lui, abbastanza lontano dai Cavalieri d’Oro, ma abbastanza vicino per tenere d’occhio la situazione del Grande Tempio.

“E sia, ragazzina, mi hai convinto a usare 1/4 della mia forza per vedere se anche malmenata, sanguinante, con le ossa rotte, sei in grado di mantenere quell’espressione risoluta e apparentemente fiera, semplicemente meravigliosa! Preparati, ora...”

“Minos, basta giocare con le formiche, non cambierai proprio mai, tu!” lo rimbecca una nuova voce, uscendo dalle fratte. Un brivido mi scorre lungo la schiena nel riconoscerlo, portando la mia espressione a spegnersi seduta stante, solo un residuo ne rimane, la forza necessaria per non cedere di un passo.

“Aiakos! Sempre nei momenti meno idonei!” borbotta Minos, facendo sparire i suoi fili appena visibili.

Due al prezzo di uno quando io avevo bisogno solo di Rhadamantys, di cui mi fido, questi quasi me li ero dimenticati, prima di trovarmeli qui, ma effettivamente avrei dovuto immaginarlo che anche loro si sarebbero trasferiti qui per evitare il “puzzo dei Dorati”.

“La ragazzina è sorella di un Cavaliere d’Oro… non credi ci siano modi più ottimali per sfruttarla, invece che ridurla ad una marionetta?!?”

“Pensi che non lo sappia, Aiakos? Usa il potere congelante come il Cigno, conosco bene quelle tecniche, per questo volevo...”

“Tu hai il difetto di pensare troppo poco… è sorella dell’Acquario, no?! Questo la rende un obiettivo principale nei nostri ipotetici piani come soldati del Sommo Hades quando questa situazione si sarà risolta!”

“Cosa intendi?!”

“Che potremmo rapirla e chiedere un grosso riscatto…”

“Un riscatto, certo! Se la devozione dei Cavalieri d’Oro è pari alla nostra, non servirà a niente! Sceglieranno sempre Atena e...”

“Non Camus...”

“Ah, no?”

“No… Vedi, non credo che Atena sia al primo posto nel suo cuore e, come lui, forse anche altri...”

“Aiakos… io vedo solo che il nostro obiettivo si sta defilando...”

“COSA?!”

Sfruttando l’acceso dibattito tra i due, infatti, ho colto al balzo l’occasione per scappare via, ancora in testa il pensiero di recuperare Rhadamantys e chiedergli l’ennesimo favore. Purtroppo però i due Giudici degli Inferi sono assai più veloci di me, fatti alcuni metri, mi raggiungono e si frappongono fra me e la strada, facendomi così cadere a terra.

Non ho il tempo di rialzarmi che Aiakos mi afferra per il collo, trattenendomi lì, annaspo, in cerca di ossigeno. Non stringe troppo da uccidermi, ma abbastanza per impedirmi qualsiasi altra azione. Tossisco ripetutamente.

“E tu cosa ne dici, microba? Tuo fratello lo pagherebbe un riscatto per salvarti? Ci consegnerebbe la testa di Atena, se lo minacciassimo di uccidere te, il suo bene più prezioso?!”

“Voi… voi siete pazzi! Camus è devoto ad Atena, per quanto mettiate in pericolo me non farebbe mai una cosa simile, senza contare che io non vi permetterei di usarmi a vostro piacimento! Il vostro piano è destinato ad andare in fumo, non avrete mai né Camus, né Atena!” ribatto, decisa, cercando di divincolarmi, anche se così premuta per terra, vinta dalla mole del Giudice e dalla sua armatura che brilla di luce nera, non posso fare alcunché.

“Dici? Io sono piuttosto sicuro che invece cederebbe, del resto quel coglione si è fatto uccidere dal suo allievo solo per farlo progredire e insegnargli come raggiungere lo Zero Assoluto, non..”

“Ehi, figlio della merda, stai parlando di mio fratello, portargli rispetto!!!”

“Quale leonessa, quando si tratta di...” mi sbeffeggia, ghignando, ma il calcio che riesco infine a mollargli tra i genitali, rimasti sguarniti, riesci infine a troncargli il respiro e a farlo cadere da un lato, gli occhi per un istante sgranati. Mi rimetto velocemente in piedi con l’intenzione di svicolare via, ma non ho il tempo di agire che vengo avvolta dai fili del burattinaio.

“Non così in fretta!”

Comincio a perdere la pazienza, davvero.

“ORA BASTA!!! Mi state facendo solo perdere tempo, mi avete stufato!” urlo, fuori di me, facendo esplodere una parte del mio cosmo. Subito una ventata di gelo improvvisa li scaglia qualche metro più in là, facendoli finire a terra, mentre io, tornando a respirare con regolarità dopo lo sforzo, mi rimetto in piedi, temeraria.

“Se avete finito di cianciare, cedete il passo, ora, subito, perché il tempo e prezioso e lo sto sprecando con voi!” esclamo, furente, mentre loro, senza neanche un graffio, si rialzano, anche se Aiakos pare ancora un po’ dolorante. Fanno per aprire bocca, ma una terza figura fuoriesce dall’ombra, facendomi illuminare gli occhi per la felicità.

“Fate quanto dice, può bastare!”

“Rhada!!!” lo chiamo, precipitandomi verso di lui e abbracciandolo di slancio. Comportamento certo non da me, o meglio non dalla Marta di qualche mese fa, ma c’è qualcosa di più forte, qualcosa che percepisco tra me e lui, anche se non lo so bene codificare. So solo che mi fido.

Rhadamantys non ricambia il gesto, rimane lì, burbero, le sopracciglia dorate arricciate all’insù (ha seguito il mio consiglio di curarsele, era l’ora!), lo sguardo felino in attesa di spiegazioni. E’ l’unico dei tre a non indossare l’armatura, preferendo un vestiario da boscaiolo con tanto di motosega e di legna sotto braccio. Che si sia davvero trasferito all’interno del bosco e conduca vita riservata?! E gli altri due dove cappero vivono?! Beh, non è comunque il momento di scoprirlo.

“Ti basta così, Rhadamantys?”

“Sì, ottimo, è la prova che stavo cercando!”

“Bene, allora la prossima volta intervieni prima che la mocciosa decida di attentare ai miei gioiellini...”

Inaspettatamente Rhadamantys sorride, quasi divertito.

“Aiakos, non è un problema mio se ti fai sorprendere da un mero colpo basso!”

Non capisco molto di quello che dicono, ma non importa, che gli altri due Generali non stessero facendo sul serio era lampante fin da subito, solo potevano evitare di farmi perdere tempo in un momento simile in cui il tempo stringe.

“Seraphina, quale è dunque il motivo della tua venuta qui?” mi interroga Rhadamantys, tornando a concentrarsi su di me.

Gli spiego in fretta e furia quanto è accaduto, cosa ho scoperto, i pericoli che corrono mio fratello e Hyoga e via dicendo. Non mi curo di sembrare agitata, o debole, o folle, mi sono recata qui perché, malgrado tutto, mi fido ciecamente di lui, anche se i ricordi del Limbo non li ho ancora recuperati.

“E’ solo per questo che sei qui e chiedi aiuto a me? Ti ricordo che siamo di due schieramenti diversi!” mi incalza appena ho finito di parlargli, superandomi e andando oltre per posare la legna per terra.

“Non mi importa degli schieramenti! Non posso rivolgermi a nessuno d’altro di cui mi fidi, ti prego, almeno valuta la mia richiesta, prima di cassarmela totalmente!” lo supplico, tesa, mentre avverto i commenti degli altri due Giudici.

“Assurdo, contravviene alle regole della sua cerchia e rischia di finire ammazzata da noi per il fratello, neanche per Atena!”

“Minos, non mi frega niente di Atena, scusa la schiettezza! Non sono propriamente una sua devota!”

“Stolta! E perché sei con i Cavalieri d’Oro, allora?!”

“Perché sono miei amici e non permetterò che soffrano ulteriormente! Ne hanno già passate troppe! Diventerò forte per le persone che amo, solo questo mi preme!” ribatto decisa, lo sguardo infuocato.

A quel punto prende la parola Aiakos, frapponendosi nel mezzo di noi astanti, la Viverna non ha ancora espresso la sua risposta.

“Rhadamantys, la decisione va a te, siamo anime vaganti finché non risorgerà il Sommo Hades, a te quindi decidere come passare il tempo fino ad allora, però… - prosegue, tornando a concentrarsi su di me con il suo sguardo rapace – Sei discretamente avventata, signorina, credo tu non ti accorga della tua posizione e della gravità di ciò che stai rischiando!”

Lo fisso, perplessa, in attesa che prosegua, perché so che lo farà.

“Sei sorella di un Cavaliere d’Oro, te ne rendi conto?!”

“Me ne rendo conto, ma cosa mai...”

“I nemici, qualunque nemico della vostra beneamata Atena, non solo noi, non aspettano altro che sorelle sconsiderate come te si avventurino impunemente fuori dai confini del Santuario per avere così una chiave per accedervi e sferrare un colpo mortale!”

“Non vedo cosa...”

“Perché, secondo te, i Cavalieri d’Oro, o anche noi Giudici, siamo orfani o, più banalmente, non possiamo costruirci una famiglia, nonché impiantare rapporti solidi?!” mi pressa lui, una strana scintilla negli occhi, come se si sentisse, in qualche modo coinvolto.

“Perché così non avete ingerenze nel rapporto con la divinità che seguite e potete concentrarvi sulla battaglia senza distrazioni!” tento, stringendo i pugni. La trovo una cosa rivoltante e inumana, per come sono fatta io, ma ricordo bene Dègel, la sua decisione di seguire Atena e i suoi doveri come suo adepto. Non possono permettersi di amare perché così la dea non sarebbe più al primo posto nel loro cuore, assurdo!

“Non è solo questo...” accenna Minos, prima di lasciare la parola nuovamente ad Aiakos.

“Sia i Cavalieri d’Oro che i Giudici sono predestinati fin dalla nascita a diventare tali, spesso, questa predestinazione… - si prende una breve pausa, prima di proseguire e far saettare il suo sguardo su di me, imprimendomelo con durezza - … si traduce in una maledizione, portando alla morte i propri famigliari più stretti nel giro di cinque o dieci anni, a volte anche meno!”

“C-COSA?!?” un singulto sfugge dalla mia bocca, mentre il respiro si tronca, mutilo.

“Fatti un giro al Grande Tempio, quando puoi, e chiedi quanti dei tuoi amati Cavalieri hanno conosciuto i propri genitori e, magari, ce li hanno ancora… - interviene Minos, sempre con quel ghigno sinistro – Sono sicuro che i numeri siano davvero risicati...” dice, scoppiando poi a ridere.

“Ma… ma non può essere, io mia madre ce l’ho ancora, e voi mi state dicendo che...”

“Che al momento tua madre è l’unica umana ad aver partorito un Cavaliere d’Oro e una semidea dotata comunque di ampi poteri, ad essere ancora viva… per ora...”

Sobbalzo, colpita da quella rivelazione più di quanto abbiano fatto gli attacchi precedenti. Istintivamente tremo, sinceramente scossa, ancora più spaventata di prima. Nello stesso momento una luce nera, abbagliante, ci investe; quando si dirada, Rhadamantys indossa la sua armatura e si è posto nel mezzo, davanti a me.

“Basta con le favolette, Aiakos! Lei ancora non sa niente di queste cose, gli stessi Cavalieri d’Oro non so quanto conoscano di quella verità, il Santuario è omertoso... finitela qui, anche perché abbiamo una missione da svolgere!”

“Ohoho! Allora ti piace fare la balia, Rhadamantys! Hai preso sotto la tua ala protettiva questa ragazza, sei ancora suscettibile al gentil sesso, ed io che pensavo che fosse solo Pandora!” lo prende in giro Minos, divertito.

“E’ meglio per te se taci, o al mio ritorno ti polverizzerò seduta stante, e sai che lo posso fare!”

“O-ok, calmati, siamo dalla stessa parte!” mette le mani avanti Minos, vedendolo iracondo.

Tuttavia Aiakos si sente di aggiungere ancora una cosa, prima di farci partire.

“Penso tu abbia capito, ragazza… voi sorelle di Cavalieri d’Oro, siete gente rara, non solo perché distraete i vostri fratelli dal loro sacro compito, ma perché potete essere usate anche come arma autodistruttiva! I vostri reali poteri e capacità sono ben difficili da controllare da voi stesse, ma possono essere manovrati a piacimento. Nelle mani sbagliate, nel tuo caso, possono disintegrare il tempo sin dalle fondamenta! Pensa a questo prima di avventurarti come se niente fosse in un bosco o in qualunque altra zona distante dalla legislatura del Santuario!”

“Dubito… che tu ti stia preoccupando per me, perché quindi mi dici questo?!” lo osservo, con freddezza.

“Di te, come persona, non me ne frega niente, in effetti, ma tu sei l’unica arma che abbiamo contro quel prestigiatore di bassa lega. Se questa dimensione cadrà, il Sommo Hades non avrà più nulla da conquistare, tutto tornerà ad un’era antecedente al Principio Primo e il Tutto sarà indistinguibile dal resto. Noi questo non lo vogliamo, per cui… - lo vedo darmi le spalle, seguito dal suo compagno, sparendo lentamente nell’ombra – Sii un minimo più accorta!”

 

 

* * *

 

 

La predestinazione… che si rivela una maledizione...

Per quanto mi sforzi di non pensarci, la mia mente mi riporta a quelle parole pronunciate dal Giudice degli Inferi. Un sussulto mi preme sul cuore, quando, facendo mente locale sui miei amici Cavalieri d’Oro, mi rendo sempre più conto che è davvero così. La maggior di loro è orfana, non ha mai visto i propri genitori, se escludiamo Aiolia e Aiolos, che sono fratelli, e quindi Sonia, che ha conosciuto sua madre che però è stata uccisa quando lei aveva appena 10 anni. Tolti loro, Camus ed io siamo gli unici a possedere una famiglia, ma, secondo le parole di Aiakos, per quanto?! Nostra madre è l’unica superstite di tutte le dodici le famiglie originali, non mi ero mai soffermata a pensarci così profondamente. E non è di certo la sola cosa. Che la maledizione si ripercuota anche sui Cavalieri di casta inferiore? Del resto, non conosco bene i Silver e i Bronze superstiti della rivolta di Saga, ma so per certo che Hyoga ha perso la madre in un incidente navale quando aveva circa 6 anni. Tutti questi elementi non fanno che confermare la teoria che mi hanno appena propinato. Sono… tremendamente in ansia, adesso!

“E’ raro che tu mantenga così tanto il silenzio con me!” commenta Rhadamantys in apparente tono neutro, attirando la mia attenzione.

“Con te… come se avessimo avuto chissà quante occasioni per parlare!” sbuffò, fingendomi offesa, sistemandomi meglio sulle sue spalle e aumentando la presa sul suo collo. Siamo ad una discreta altezza e stiamo volando verso Delphi, un incontro ravvicinato con il suolo è l’ultimo dei miei desideri, senza contare che, se per qualche ragione dovessi cadere, non sono così certa che lui mi prenderebbe immediatamente, anzi starebbe forse lì a gongolare, afferrandomi poi all’ultimo, per cui meglio evitare.

“Ti posso assicurare che quando eri Seraphina parlavi, forse anche troppo!”

Liquido la faccenda con un mormorio sommesso, cominciando invece a guardarmi intorno. Siamo ad una altezza considerevole e procediamo a zig-zag, di nuvola in nuvola, in modo da passare inosservati sia da coloro che sono al suolo sia dagli aerei di linea. Effettivamente a questa distanza non siamo nulla di più che un rapace in movimento, la cosa non mi dispiace. Il tempo non è bellissimo, verte sull’uggioso senza però precipitazioni, ciò ci nasconde maggiormente da occhi indiscreti. A terra non sembrava così freddo, però ora ho le dita intirizzite, deve esserci dell’aria fredda in quota, del resto siamo quasi alla fine di ottobre!

“Sai com’è… il tuo amico ha praticamente dichiarato che tutti i famigliari dei Cavalieri moriranno, prima o poi, in qualche maniera atroce, ha parlato di maledizione, non certo un’ottima notizia!” commento, acida, rabbrividendo.

“Non dare troppo peso a ciò che dice Aiakos… è di sicuro in parte vero, ma vostra madre è ancora viva dopo quasi 23 anni dalla nascita del primo figlio, se avesse dovuto morire per questo lo avrebbe già fatto!”

“Ooof, come sei premuroso, grazie! Ti manca giusto un po’ di tatto ma apprezzo il tentativo!” lo prendo in giro, socchiudendo gli occhi.

“Aiakos si riferisce soprattutto alle relazioni amorose al di fuori di quelle familiari, del resto… non si sceglie di essere fratelli o sorelle, succede, ma è caldamente consigliato non avere relazioni al di fuori di queste, lui ne sa qualcosa… infatti crede in un unico legame indissolubile: il dominio!”

“Oh, ma che bel gruppetto di bravi ragazzi che siete!” continuo a prenderlo allegramente in giro. In verità non mi potrei permettere di avere una confidenza tale, ma con lui mi viene più che naturale.

“Idiota! Pensi che non sappia di cosa stia parlando? Pensi che solo i Cavalieri d’Oro possano parlare di buoni sentimenti?! Eravamo umani anche noi!”

“Mi preoccupa il passato che hai utilizzato, in effetti...” dico, rilassandomi impercettibilmente. Rhadamantys non ribatte nulla, ma accelera non poco il suo volo, facendomi sferzare da una gelida folata di vento che mi spettina tutti i capelli.

Non ho la più pallida idea di dove siamo, non conosco bene la Grecia, anche se ho sempre desiderato visitarla da cima a fondo. So a grandi linee dove sia ubicata Delphi, ma non posso che fidarmi ciecamente del Giudice degli Inferi e della sua capacità di farmi da guida, come già, pare, abbia fatto nel Limbo, che io continuo a non rammentare.

“E’ perché non lo rammenti, o perché non vuoi rammentarlo?” mi chiede di punto in bianco Rhadamantys, sbigottendomi.

“E-eh?!”

“Niente, lascia stare… mi chiedevo solo come mai non avessi ancora ricordato nulla della nostra avventura nel Limbo, ma immagino che tu non ne possa niente… - si affretta a chiudere il discorso, in tono un poco incerto – Piuttosto, dove devo andare?”

“A Delphi!”

“Delphi è il nome dell’oracolo e di un paese lì vicino, ma intorno alla zona sacra ci sono numerosi altre località. Se ci sono stati dei disordini nei dintorni, dubito che Shion abbia mandato tuo fratello e gli altri dall’Oracolo, che, detta schiettamente, sono cinque pietre in croce e un paio di colonne, sono più portato a pensare che si trovino in uno dei paesi limitrofi. Quale?”

Discosto lo sguardo, imbarazzata. Mi sono fatta prendere dalla foga e non ho pensato che rintracciarli avrebbe potuto essere più difficile del previsto. Rhadamantys ha ragione, non ho gli elementi per capire dove andarli a recuperare e soprattutto non conosco neanche bene la zona. Ho agito impulsivamente, non assolutamente da me, come sempre quando si tratta di Camus.

“Fammi indovinare… non lo sai!”

Produco un altro mormorio, negando con la testa e arrossendo di netto.

“Fantastico, ed io che mi faccio pure coinvolgere… - commenta lui, sospirando, non posso vederlo in faccia ma sarà sicuramente infastidito – Non puoi attivare il tuo radar cerca-Camus allo scopo di rintracciarlo?”

“Se espando il cosmo per rintracciare il suo, quello mi sgama, sente che sono in avvicinamento, si precipita qui e ci fa il c...”

“Va bene, va bene, ho capito! Ma non posso girare intorno come un elicottero per ore e ore solo perché tu non hai la più pallida idea di dove andare a sbattere la testa! - si lamenta lui, irritato, poco prima di calmarsi – Vedi, quella là sotto è Delphi, l’oracolo, come ti dicevo, sono pietre e colonne, nulla di speciale!”

Mi affaccio, incuriosita. Oltre ai puntini neri che vedo da questa altezza, probabilmente turisti, distinguo bene tre colonne greche che un tempo costituivano probabilmente un insieme molto più grosso, e delle pietre poste circolarmente, il tutto abbracciato dai monti del Parnaso. Ne rimango carpita, anche se la descrizione di Rhadamantys è, diciamo, molto attinente alla realtà, bisogna usare un bel po’ di fantasia per immaginarsi i fasti di un tempo.

“Non possiamo comunque atterrare lì, ci sono troppi turisti!” dico, cercando una soluzione.

“E quindi cosa pensi di fare?”

“Aspetta un attimo!” lo fermo, cercando di fare mente locale. Come ha detto Rhadamantys, è ben difficile che sia accaduto qualcosa qui, dall’oracolo, perché è una meta turistica e non ci vive più nessuno. Molto probabilmente è successo qualcosa in uno dei paesi qui vicino, ma quale? Delphi… c’è anche un agglomerato urbano moderno che si chiama così, ma se questa Nero Priest, che ha fatto tafferuglio al Tempio è scappata nei dintorni, non può certo essersi rifugiata ‘nell’ombelico del mondo’, ma in una zona più isolata sufficientemente grande per poter utilizzare nuovamente il suo potere sugli esseri umani.

“Rhadamantys… sai, per caso, se oltre alla moderna Delphi, ci sono altri paesi, nei dintorni, degni di menzione ma non conosciutissimi e… ah, abbastanza grandi, perché sarebbe stupido usare il potere della discordia in un paesino anonimo, non dopo essere già stata colta in flagranza!”

“Questa brillante deduzione da dove ti arriva?”

“Dal fatto che secondo me Lei vuole farsi trovare, altrimenti perché, dopo essere scappata dal Santuario ha proseguito nei suoi intenti, spingendo così Shion a mandare due Cavalieri d’Oro? No, lei voleva che le cose andassero così, ne sono più che certa! Ha un obiettivo, anche se non so quale. Sa di avere buon gioco, con i cuori umani, per questo non si nasconde più...”

“Mi fiderò quindi del tuo intuito, Seraphina… poco lontano da qui, sulle pendici di quel monte, come puoi vedere tu stessa, si erge il villaggio di Arachova, che ha più di 4000 abitanti. Se ciò che pensi corrisponde alla verità, quello è un luogo ideale per annidarsi!” mi dice, alzandosi di quota per farmi vedere meglio.

“Arachova… - ripeto, affinando la vista – Intendi quel paese con le case bianche e i tetti rossi? Da qui sembra piuttosto grande, così arroccato alle pendici del monte. Mi ricorda vagamente Cerviasca...”

“Proprio quello. Procedo?”

“Procedi! Male che vada, se non dovesse esserci nulla di strano, ci recheremo a Delphi città!” gli dico, sicura di me.

Senza esitare più, ci rechiamo in volo proprio verso il paese oblungo che profuma di antico, compiendo il giro del monte per dare meno nell’occhio. Atterriamo elegantemente in un vincolo tra due case. Scendo quindi dalle sue spalle, stiracchiandomi prima le braccia, poi le gambe e infine gli altri muscoli. Non si può dire sia stato comodo, il viaggio, ma siamo arrivati, mi guardo intorno, i sensi già in allerta.

Di primo acchito, le stradine sembrano abbastanza strette in questo paese, ma ci passano comunque le macchine quindi meglio essere prudenti. Dopo una breve occhiata nei dintorni, esco finalmente fuori dal vicolo ombroso, gettandomi quasi in mezzo alla strada, e infatti poco ci manca che una macchina non mi centri in pieno, se non avesse inchiodato seduta stante. Suono prolungato di clacson, cuore in gola.

“Che cosa fai, maledetta ragazzina?! Hai manie suicide?!? La macchina è nuova, mi ci manca di lordarla con il tuo sangue!!!” mi urla l’autista in italiano, con il pugno alzato e l’espressione inviperita in faccia. Le priorità, quelle belle, sticazzi se uccidiamo qualcuno, investendolo, l’importante è la macchina… Sospiro, accorgendomi che questi raffronti con gli esseri umani comuni non mi mancavano proprio per niente!

“Sc-scusi...” dico solo, consapevole comunque di essere in difetto, ma meravigliandomi comunque del tono usato dal tipo. Che poi, su queste strade così strette neanche ci si potrebbe correre con il proprio mezzo motorizzato, a dirla tutta

“Sei ancora lì in mezzo ai piedi, ma ti leviiii???” prosegue a sbraitare lui, continuando a tener premuto il clacson e attirando così lo sguardo di odio di altre persone nei dintorni. Mi sposto per farlo passare, sperando che la smetta, ma il genio esce dalla macchina e si avvicina minaccioso a me, totalmente fuori di sé. Altro sospiro tra me e me, preferirei non finire coinvolta in uno scontro già appena atterrata in questo posto, cosa che rischia invece di avverarsi, perché il signore sembra intenzionato a farmela pagare. Ancora pochi passi e dovrò reagire, ma fortunatamente una secchiata d’acqua lo raggiunge in pieno, inzuppandolo, e bagnando conseguentemente, con uno schizzo, i miei pantaloni.

L’autista, esterrefatto di aver subito un nuovo affronto, mi fissa per un attimo allibito, poco prima di alzare lo sguardo alle esclamazioni di colui che gli ha gettato l’acqua.

“Ha finito di fare questo casino in questo paese?!? O vuole un’altra doccia di qualcos’altro ora e subito?!” grida un vecchio in greco, dall’alto della sua postazione, con il catino ancora in mano.

“Siete dei maledetti ratti di fogna, voi!!! Le fa piacere ciarlare da lì, eh, al sicuro nelle sue quattro mura! Dovreste ringraziare noi turisti se questa città non è già morta e sepolta! Scenda qui, se ne ha coraggio, vigliacco, mi affronti da uomo a uomo!”

“Ma torni al suo paese e ci liberi della sua stupidità!!!”

E avanti così, mentre allo screzio tra i due si aggiunge altra gente, alcuni curiosi, altri invece desiderosi di partecipare alla baruffa. Faccio qualche passo indietro, voltandomi, certa di trovarmi Rhadamantys.

“Sai che ti dico? Secondo me il posto è giusto, non può essere altro che… uh?”

Ma Rhadamantys non c’è, volatilizzato nel nulla. Per un attimo, senza la sua presenza, mi sento una bimba sperduta. Continuo a cercarlo con lo sguardo, mentre intorno a me qualcuno arriva ad usare le mani, ma non me ne curo. Vuoi vedere che quello là mi ha portato qui e poi se ne è tranquillamente andato come se nulla fosse?! Inconcepibile! Davvero inconcepibile! Anche se… in fondo, non mi doveva nulla.

Qua sopra

Avverto una voce risuonarmi in testa, ma anche alzando lo sguardo come richiesto non vedo niente, se non… focalizzo un movimento scuro su un tetto, identificandolo poi in un… corvo?

Lo fisso scettica, squadrandolo dalla punta delle penne della testa a quelle della coda, eleganti e di un nero fulgente.

“R-Rhada?” tento, incredula.

Certo, sciocca, proprio io, cra!

Cra… mi ha appena fatto “cra”, Rhadamantys mi ha verseggiato un cra… lui, uno dei tre Generali degli Inferi. O-ohibò. Ora le ho viste proprio tutte!

Improvvisamente spicca un breve volo per poi appoggiarsi alla mia spalla, il gesto mi sconvolge ancora di più, facendomi incespicare miei stessi piedi.

Dovremmo andarcene da qui il più velocemente possibile! Portami appresso, sono stanco di volare!

“Il signorino è stanco di volare!” lo scimmiotto, ricominciando ad articolare le frasi dopo l’iniziale shock.

Ti ho portato fin qua, voglio ben vedere, cra!

Non avendo altre alternative, mi allontano ben presto dalla zona rossa, incamminandomi verso una stradina in discesa ricca di botteghe e locande. Scendiamo per un bel po’, raggiungendo il centro del paese e così una strada asfaltata più ampia da dove spicca, su una roccia, una specie di torre dell’orologio che subito attira la mia attenzione per come è stata costruita. Non c’è nessuno nei dintorni, quindi colgo l’occasione, mentre cammino, per parlare con Rhadamantys nelle sue nuove, ehm, sembianze…

“Cioè, quindi… puoi trasformarti anche in un animale...”

Fa parte delle mie abilità, sì, mi consente di dare meno nell’occhio!

“Da Viverna a corvo… che ampio salto di qualità!” lo prendo in giro, divertita. Sto andando in giro con un corvo sulla spalla, neanche fosse il mio animaletto domestico, la gente comune passeggia con i cani, o i gatti al massimo, ed io ho un corvo dai particolari occhi dorati. Sorrido inevitabilmente, sentendomi veramente figa per la prima volta in vita mia.

I corvi sono molto intelligenti, più di moltissimi stupidi umani! La mia casata, quando ero ancora un uomo, li ha sempre venerati, al punto di farne un vero e proprio diadema

Sento la sua voce nella mia testa, mentre lo vedo dispiegare le ali e aprire parzialmente la bocc… cioè il becco.

“Ti do ragione, alcuni esseri umani sono proprio idioti, quello che a momenti mi investiva ne è un classico esempio. Supponente, tronfio, è talmente abbagliato da sé stesso da non rendersi conto di essere un nulla privo di qualsiasi altra importanza! Se la gente si soffermasse di più a pensare che oggi ci siamo e domani potremmo non esserci, non sarebbero così, questo è certo!” mi lascio sfuggire un pensiero a caldo, ancora un poco infastidita.

Rimango in silenzio per un po’, persa nelle mie cogitazioni, prima di deviare l’argomento su altro.

“Solo tu hai questa abilità o altri possono trasformarsi in uccelli?”

Dei Tre Giudici solo io, mi deriva dall’esperienza nel Limbo con te, ma cosa mai ti potrebbe import…

Istantaneamente lo prendo in mano, guardandolo da capo a zampe con espressioni trasognata.

“Adoro gli animali, specialmente gli uccelli, ti rendi conto che sto parlando con uno di loro?! Aaaaaah, da piccola, se lo avessi detto a Stevin, che solo io avevo un tale onore, sarebbe stato colto dall’invidia! Pensi che altri possano fare una cosa del genere?! Per quanto puoi tenere questa forma? Potremo comunicare sempre??? Cosa...”

E-ehi, ragazzina, frena la lingua e molla la presa, sei qui per una missione, o lo hai scordato?!

Mi prova a fermare lui, sbattendo con forza le ali nel tentativo di recuperare un po’ di fiato, probabilmente avrò stretto troppo la presa su di lui e, in fondo, in questa forma, è fortemente svantaggiato.

“No, affatto! Infatti so esattamente come procedere! - ribatto, tutta tronfia, dandomi un po’ di arie, prima di risistemarmelo sulla spalla – Lo vedi quel negozio là? Ecco, ci vado a prendere un souvenir proprio ora!”

U-un souvenir?! Ma ti sembra il momento di perdere tempo in simili quisquilie quando sei alla ricerca di tuo fratello?!

Ma non gli do retta, prendendo la rincorsa verso il negozio ed entrandoci di slancio nello stesso momento in cui una campana cittadina suona lo scoccare di Mezzogiorno. Mi soffermo un poco all’ingresso della bottega, annusando l’aria che odora di incenso e di altri profumi intensi, poco dopo una vecchietta mi accoglie con un largo sorriso, permettendomi di girare a vedere l’offerta. E’ tutto materiale artigianale fatto a mano, mi affascina enormemente, comprerei tutto, perché sembra così particolare, così… insolito!

Rhadamantys nel frattempo ha smesso di agitarsi sulla mia spalla, rimanendo appollaiato in apparente postura tranquilla, anche se più facilmente è semplicemente rassegnato. Dopo un breve giro, aver preso una calamita e un quadretto, sto per andare a saldare il conto alla signora, ma nel reparto delle pietre preziose qualcosa attira la mia attenzione, folgorandomi.

“Sei ipersensibile agli influssi superiori, a quanto vedo, devi essere un’anima molto vicina alla natura...” si permette di dirmi la signora, in greco, affiancandomi.

“E’ così bello il colore di questa pietre che formano il bracciale… - mormoro nella stessa lingua, sinceramente meravigliata, continuando a guardarla.

“Portalo con te, aspettava un proprietario da tempo...” acconsente la signora gentile, facendomi poi strada verso il banco.

La ringrazio calorosamente, prendendolo per poi passarmelo tra le dita, avvertendo come un brivido. E’ davvero un bracciale di pietre bellissimo, ma non adatto a me. Sorrido, sapendo già a chi regalarlo.

“Sei una turista?” mi chiede ancora, incuriosita, preparandomi il sacchettino.

“Sì, ma sono qui solo di passaggio!” le dico, tutta allegra.

“Viaggi da sola? E’ raro vedere una ragazza giovane come te in giro per il mondo senza nessun coetaneo!”

“Ma io non sono sola, c’è Mantus con me, il mio corvo!” ribatto, sorridendo raggiante, mentre Rhadamantys mi scocca un’occhiata che la signora non percepisce, ma che io, conoscendo il mio amico, sì.

“Capisco, sei davvero prossima alla natura! I corvidi sono molto intelligenti, il tuo ha dei meravigliosi, quanto inusuali, occhi dorati!” si prolunga la signora, interessata da quel discorso.

“E’ un corvo non europeo, sì, una specie rara, non di qui! - le spiego, sempre in tono molto affabile – Ah, il bracciale lo metta pure da parte e, se può, lo impacchetti, per favore, è un regalo!”

Attendo che ultimi le procedure prima di pagare, prenderli e metterli nello zaino che mi sono portata dietro.

“Ancora una cosa… sono qui da stamattina e ho notato che c’è un po’ di fermento in questo paese, molte teste calde… - faccio la vaga, prima di andare al nocciolo - è sempre così qui, oppure...”

“No, non è sempre così, mi dispiace tu sia venuta in un momento simile. Effettivamente è da ieri sera sul tardi che stanno accadendo fatti insoliti, sembra quasi che il malumore abbia avvolto tutti, come un oscuro presagio. E’ la prima volta che assisto ad un fatto simile nei miei oltre settant’anni di vita...” mi spiega, guardandomi seriamente, celando comunque tutto dietro un altro largo sorriso.

“La ringrazio per la risposta, spero di tornare qui in tempi migliori, perché il luogo è davvero incantevole!” la saluto cordialmente, facendo un breve inchino prima di uscire di nuovo sulla stradina.

Fammi capire, cra… hai trattato me, uno dei Tre Grandi degli Inferi, alla stregua di un mero animaletto domestico solo per avere la conferma che i tuoi pensieri fossero corretti?!

“Scusami, Rhada… ma era di vitale importanza per stabilire se i miei presupposti fossero giusti. Certo, sarebbe da chiedere in giro a qualcun altro, ma, almeno secondo questa signora, i problemi hanno cominciato a nascere ieri sera, proprio quando si sono risolti al Santuario. Ho sospetto che...”

Ma mi blocco, avvertendo forte e chiaro un impulso cosmico oscuro nelle vicinanze, di gran lunga più intenso del normale. Non sono i miei amici, li riconoscerei, è un’entità malvagia, posso ben percepirlo.

Hai sentito anche tu, vero? Questo non può essere normale!

“Non lo è, infatti...” sussurro, accelerando il passo in direzione dell’emanazione cosmica, che sicuramente non è passata inosservata nemmeno agli altri, anche se non so dove siano e cosa stiano facendo in questo momento.

Ci stai andando comunque? Potrebbe trattarsi di un nemico insidioso!

“Non ho scelta, sono qui apposta per fermarla e avvertire gli altri del pericolo!”

Perfetto, allora…

Lo sento ancora dire prima di vederlo spiccare il volo e posarsi su uno dei tetti.

Io ti seguirò a vista, è un’ottima occasione per vedere come te la cavi!

“Immagino… che non mi aiuterai! - commento, sorridendo, per tutta risposta lo vedo inclinare la testa di lato e continuare ad osservarmi – Fa’ niente, sei già stato indispensabile per venire qui! Grazie per tutto quello che hai fatto per me!” finisco di dire, sorridendogli un’ultima volta e accelerando ulteriormente la mia andatura.

Seguo la scia dell’impronta cosmica senza avere una idea chiara in testa; non so chi vi troverò, alla fine del percorso, e non so neanche come agirò, ma se davvero la responsabile di tutto questo è la suddetta Nero Priest, se è stata lei ad aizzare Francesca contro Death Mask, aumentando i suoi poteri fino a farle perdere il controllo, devo stare attenta. Più è forte l’impulso che li conduce alla distruzione, più ciò può accrescere i poteri della vittima, questo credo di averlo capito già da ieri.

Giungo alla fine di una stradina laterale fatta di cocci e di pietre minuziosamente tagliate come mulattiera, proprio in tempo per vedere, davanti a me, una figura incappucciata e vestita di nero sferrare un calcio a colui che, dal mio punto di vista, non è altri che un povero vagabondo senza fissa dimora a giudicare dalla barba incolta e dal sudiciume dei suoi abiti. Rimango un poco in disparte, non desiderando intromettermi subito prima di aver soppesato bene la situazione, ma più lo osservo più sono convinta, dato il cosmo scuro che avverto, che il pericolo percepito prima non può essere altri che lui, l’incappucciato che spietatamente lo sta calciando ancora e ancora con foga inaudita.

“Maledetto, finalmente pagherai per quello che hai fatto alla mia mia piccola Anita!” lo sento esclamare, sferrandogli un altro calcio in pieno addome. Il vagabondo non reagisce, non risponde, si limita ad incassare con espressione mesta. Devo intervenire per forza, o lo ucciderà!

“Si fermi subito!!! Cosa gli salta in mente?!” esclamo, frapponendosi tra la vittima e il suo esecutore. Quest’ultimo per un attimo strabuzza gli occhi, non aspettandosi un mio intervento così diretto, ma si riprende subito dopo, una nuova espressione scura in volto. Si tratta di un uomo che avrà una trentina d’anni, ma al di là del cosmo oscuro che avverto, che lo avvolge, i suoi occhi sembrano solo tanto malinconici e tristi. Dovrebbe essere un nemico, questo? A me sembra solo una persona comune, disperata…

“Tu devi essere di quelle speciali, giusto? Altrimenti non saresti stata attirata qui, quando ho fatto di tutto per passare inosservato… - asserisce, diretto. Sussulto a quelle parole, non capendole pienamente – Lei mi ha detto che avrebbero potuto esserci interferenze...”

Lo guardo sconvolta, non aprendo comunque la bocca. Lei… si riferisce a Nero Priest?! Sapeva che qualcuno le avrebbe messo i bastoni fra le ruote?! Non mi piace per niente…

“Sei piuttosto giovane, ed io non ce l’ho con te, per cui te lo chiederò con educazione: vattene da qui e fai finta di non aver visto niente, io mi dimenticherò di te e non ti arrecherò alcun danno. In caso contrario...”

“Non me ne andrò!”

“Sei giovane… non buttare così la tua vita in cose che non puoi capire...”

“Io so solo che non le permetterò di far del male ad una persona innocente, è lei che dovrebbe...”

“Innocente?!?”

Mi fermo subito, sconvolta dal cambio di espressione dei suoi occhi, ora quasi posseduti da dei bagliori scarlatti, gli stessi che avevo visto in Francesca quando era sotto il controllo dell’identità aliena. Ormai non c’è alcun dubbio, deve trattarsi di lei; lei che governa le pulsioni umane e ne fa quel che vuole, lei!!! Stringo i pugni, preparandomi ad ingaggiare battaglia, se sarà necessario.

“La persona che tu difendi è tutto tranne che innocente! Quel bastardo lì, quell’infame, che ora sembra tanto derelitto, 20 anni fa ha stirato mia sorella minore che stava andando in bicicletta. E’… è morta, dopo una terribile agonia, e aveva solo 8 anni, un’intera vita da vivere, che lui le ha strappato, come ha strappato la sua dolce presenza da noi! Sei ancora certa di non volerti spostare?” mi chiede, mentre dalla mano destra fuoriesce una sfera di energia cosmica di colore scurissimo.

“C-cosa?!”

“La mia piccola Anita… Ho atteso tutti questi anni che questo verme uscisse dal carcere, non posso più vivere in un mondo dove la mia sorellina non esiste più per colpa di questo dannato bastardo che invece è ancora piacevolmente aggrappato al calore della vita. DEVE MORIRE, COME E’ MORTA LEI, MIA SORELLA! Nessuno me la ridarà più indietro ma questo maledetto deve crepare nel peggiore dei modi!!!” urla ad un certo punto, incollerito, sconvolgendomi ancora di più per le sue parole.

Poi il colpo, privo di controllo, parte, dirigendosi verso di me e il signore che sto proteggendo. Ancora gli ultimi istanti di indecisione, prima di picchiare le mani a terra, erigere un muro di ghiaccio, su cui si infrange il colpo, e annullarne così gli effetti. La luce svanisce, facendo meravigliare sia il giovane, che il signore dietro di me. Mi rimetto in piedi, cercando di non farmi coinvolgere più del dovuto in una situazione che invece sento famigliare. Come sorella minore di un fratello altrettanto protettivo, mi sento emotivamente affine a lui, ma non è la situazione giusta per esitare. Nel frattempo espando il mio cosmo, che si dilaga nei dintorni. Non avevo scelta alcuna per fermare quel colpo, ma quasi sicuramente gli altri saranno riusciti a rintracciarmi, ora, perché mi avranno sentita molto vicina. Già immagino la faccia di Camus…

“Ha detto che… è stato in carcere, giusto? Quindi ha già pagato il fio delle sue colpe, non è forse così? Chi è dunque lei per scegliere arbitrariamente che questo signore deve morire, se è già stato ampiamente punito?”

“Insolente! Chi ti credi di essere per...”

“Una sorella minore che non vorrebbe mai che suo fratello maggiore, nel desiderio di vendetta, finisca i suoi giorni in carcere per omicidio preterintenzionale! Una sorella… che desidererebbe solo che il proprio fratello potesse vivere la sua vita malgrado l’immenso dolore e senso di colpa che lo sovrasta! - gli spiego, cercando di essere il più ferma possibile – Deponga le armi e combatta questa entità! La violenza non può che portare ad altra violenza e la sua sorellina, la sua Anita, come già amaramente detto, non tornerà mai più indietro!” lo supplico, alzando le braccia nell’intento di adempiere ai miei propositi di difesa. Non so se costui, che ora è un vagabondo, lo merita, sto male al solo pensare della sofferenza che questo giovane prova davanti a me, ma non è completamente in sé, questa Nero Priest ha marciato sul loro legame fraterno per fomentarlo, ed io non lo posso accettare!

Lo vedo abbassare lo sguardo, dandomi l’illusione di averlo convinto. Così forse è, non ho elementi che mi testimoniano il contrario, ma, di nuovo, un feroce impulso oscuro prende il possesso di lui, facendogli nuovamente cambiare espressione. Rabbrividisco e indietreggio, avvertendo una pressione senza eguali, almeno finché non percepisco appena un attacco sferzarmi la guancia sinistra, ora più bollente che mai, colpire il muro dietro e ridurlo in mille pezzi, alcuni dei quali colpiscono il vagabondo, procurandogli dei taglietti su tutto il corpo. Lo osservo alzarsi di scatto e urlare in preda alla paura, poco prima di fuggire a gambe elevate. Vedo nelle intenzioni del giovane uomo il desiderio di colpirlo alle spalle, ormai cieco di rabbia, ma io mi frappongo ancora in mezzo, finendo però a terra perché l’attacco ha centrato il pavimento sotto di me, provocando un buco che mi ha fatto cedere il piede. Mi massaggio la caviglia, mentre lo vedo incedere verso me, fuori di sé. Ora ne ho la piena certezza: i miei occhi non sono stati in grado di vedere quest’ultimo colpo, portato ad una velocità in tutto e per tutto affine a quella della luce, il che ha dell’incredibile, essendo che ho davanti a me un comunissimo uomo. Sembra quasi in trance, come se fosse piombato in uno stato mentale di furia, in altre parole: un Berserk!

“TOGLITI!”

In effetti potrei anche farlo, visto che il signore ormai se ne è andato, ma sono sicuro che lo inseguirebbe subito e, con la forza che ha, lo annienterebbe in pochi istanti.

“Non lo farò!” ribatto, decisa.

“E allora… MUORI!”

Serro le palpebre nell’estremo tentativo di formare una sorta di prototipo della Freezing Coffin che sa usare Camus, ma ancora prima di provarci, avverto un gelo famigliare nei dintorni, la strada automaticamente congela, spingendomi ad aprire gli occhi, i quali si spalancano per lo stupore. Mio fratello è apparso dietro all’uomo, ormai immobilizzato, con la sua consueta eleganza. Osservo sbalordita la punta del suo indice, dalla quale fuoriescono anelli di ghiaccio che, al contatto con l’ambiente, producono una nebbiolina leggera e coprente al tempo stesso. Lo fisso con sempre maggior ammirazione, del tutto catturata dagli aurei bagliori della sua armatura, dal movimento ondulatorio dei suoi capelli e dalla postura del suo corpo; quasi non avverto che, insieme a lui, sono arrivati anche Hyoga, Milo e Sonia, quest’ultima è corsa ad abbracciarmi, spaventata, ed effettivamente sono le sue braccia a farmi riscuotere.

“Marta!!! Ma che diavolo ci fai qua, non...”

“Tutto bene?! Come sei riuscita a seguirci?!”

Sento appena le voci di Milo e Hyoga dietro, mi frastornano le orecchie, ma passano in sordina, se paragonate allo spettacolo che ho davanti a me. Camus… il mio fantastico fratello, si è comportato in maniera non dissimile da ciò che aveva fatto Dègel per salvare la piccola Fluorite dalle angherie di quel Jet. Stessi modi, stessa postura, stessa eleganza, anche se il viso non glielo riesco ancora a scorgere bene. Sono totalmente carpita e ammirata, anzi, di più, sono completamente estasiata!!!

“Fr-fratellino!” lo chiamo, con un largo sorriso, tutta trasognata. Purtroppo il breve sguardo truce che Camus mi rivolge, poco prima di tornare concentrato sul processo, mozza completamente tutte le mie buone intenzioni, facendomi scorrere un lungo brivido in tutta la schiena. Finito l’incanto… ora me le suona e neanche poco!

Già, non dovrei essere qui… andiamo bene, è già furente con un’unica occhiata, ora sì che mi fa davvero la pelle, non la scamperò questa volta. Addio, mondo!

“Dormi!” dice solo mio fratello all’uomo. Secco, ben al di là del tono gentile di Dègel, poco prima di farlo addormentare e sorreggerlo con gesto brusco per impedirgli di sbattere la testa per terra. Rimango ben in silenzio, facendomi piccola piccola.

“Marta, sei… sei incredibile, ci hai seguiti fin qua e… e hai trovato il soggetto prima di noi!” mi elogia Sonia, stretta a me, sorridendomi per incoraggiarmi. La guardo intensamente negli occhi, poco prima di ricambiare il gesto e rannicchiarmi contro di lei, felice di rivederla. Nel frattempo intorno a me parlano tra loro, dandomi la vana speranza di poter passare inosservata.

“E’ come diceva il Grande Shion, è una entità che non attacca direttamente, ma sfrutta le pulsioni umane, incrementandone le capacità a scapito della ragione!” ragiona Milo, ancora visibilmente teso nel tentativo di ricercare una possibile soluzione.

“Maestro, per fortuna lo avete fermato in tempo, avrebbe potuto ferirsi non solo lui, ma anche gli altri! Solo che… - il Cigno pare concentrarsi sul soggetto - Che l’essenza non è più dentro di lui, vero?”

“Esatto, Hyoga, se ne è andata nel momento in cui l’ho colpito, ma non so se sia corretto parlare di essenza, mi sembra più… un’ingerenza esterna, come tale, rischia di celarsi in più individui contemporaneamente!”

So che dovrei parlargli, dovrei dire ciò che mi ha detto il mio amico Stevin, è giusta la teoria di mio fratello, lo è senz’altro, ma è molto peggio di così, potrebbe essere davvero un nemico insidioso e imbattibile, anche se, di fatto, non so ancora in che modo ‘contamini’ la vittima, ma… come fare a parlare? Prendo parola e prego gli dei? O...

“Hyoga… - di nuovo la voce di mio fratello, più seria rispetto a prima – Te la senti di… di accompagnare questo signore al sicuro e di farlo riprendere? Il tuo potere congelante ha molti usi, te l’ho insegnato, ricordi?”

“Sì, Maestro, contate pure su di me!”

“Bene, lo affido a te, quando avrai finito raggiungici appena fuori dal paese, sul picco della montagna, continueremo le ricerche da lì una volta che… che l’avrò sistemata!”

Rabbrividisco, capendo che sta parlando di me e ingoio a vuoto nel vedere la sua espressione sempre più distorta. Si trattiene appena dal non esplodermi addosso, giusto perché è ancora sul campo di battaglia e le priorità sono altre.

“Va bene, Maestro, lo farò io, ma Voi...”

“Io darò una lezione a mia sorella, conto su di te per quest’uomo...” trancia il discorso di netto, dando le spalle all’allievo per squadrarmi da capo a piedi.

“Se potete… non siate troppo severo con lei, capisco bene come si possa sentire...” si permette di consigliargli Hyoga, prima di regalarmi un’occhiata rattristata, soccorrere l’uomo e condurlo via, al sicuro.

Camus fa qualche passo nella mia direzione, lo sguardo tagliente, le labbra assottigliate su un’unica linea. Me lo fa percepire tutto, il suo disappunto, sostando a lungo, con gli occhi, su di me. La muscolatura è rigida, l’espressione ancora più distorta. Tremo, senza riuscire a oppormi. La stretta della mia amica aumenta d’intensità, facendomi coraggio.

“Sonia, spostati, per favore...”

“Camus, non esagerare… Marta ha fatto solo quello che ho fatto anche io, con la sola differenza che lei ha dovuto raggiungerci, non essendo partita con noi!” tenta di difendermi lei, frapponendosi tra me e mio fratello.

“Sonia, per favore, SPOSTATI… è il secondo avvertimento! Non posso decidere nel tuo caso, non sei mia allieva, ma per Marta è diverso… lei ha disubbidito, non solo come discepola, ma anche come sorella minore!”

Sonia prova ancora a ribellarsi al suo volere, ma la mia mano che si stringe alla sua e il mio sguardo deciso la tranquillizzano. E’ giusto che ognuno si prenda le responsabilità delle proprie scelte!

“Sonia, fai qualche passo in là, Camus ha pienamente ragione: tu non c’entri!” le dico, sorridendole, ostentando coraggio che, in verità non ho, perché mi basta vedere la faccia di mio fratello per tremare come un pulcino.

La mia amica annuisce, un poco cupa, poi si affianca a Milo, anche lui teso come l’allieva. Prendo un profondo respiro, avendo il favore di aprire il discorso a voce, giacché Camus, prima di farlo, predilige farti strisciare addosso tutta la sua contrarietà, come di fatto sta facendo, con un unico, tagliente, sguardo.

So che ironizzare equivale al suicidio con lui in questo stato, ma è comunque l’unica cosa che mi riesce bene, complice la conoscenza che ho avuto di Cardia nel passato. Procedo, ben consapevole di tutti i rischi.

“Buongiorno, Camus! Carina la letterina che mi hai scritto prima di andartene, come sempre, per gli affari tuoi, l’ho apprezzata e, per quanto può valere, ti voglio bene anch...”

Ma prima di poter finire la frase, mi strattona per un braccio, procurandomi dolore e costringendomi malamente ad alzarmi.

“In piedi! E non fare la bambina!” esclama, senza tanti giri di parole.

“Non sono una bambina!” provo ad oppormi, tentando di resistere, ma uno strappo ancora più forte sotto l’ascella mi fa capire che non ho speranze contro la sua forza fisica.

“Oh, lo sei… eccome se lo sei!” mi fredda, spietato.

“Camus!!!” lo chiamano sia Sonia che Milo, apprensivi, seguendolo con lo sguardo prima di fare lo stesso con le gambe. Mio fratello mi sta trascinando via, non ho nemmeno la forza per impedirglielo, so solo che mi sta facendo un male atroce ad andare così spedito con me al seguito, senza degnarmi più di uno sguardo. Mi dirotta direttamente sulla strada principale, lui davanti a me, Milo e Sonia dietro, io tutta dolorante e con un taglio sulla guancia, che ora brucia più di prima. Arrabbiata, umiliata. Lui non dice più niente, ma so che ben presto mi scoppierà addosso.

“M-Milo… - lo chiamo, cercando al contempo di non inciampare sui ciottoli, tentando di guardarlo supplichevole negli occhi alla ricerca di un aiuto – Una buona parola su me? Tu magari riesci a farti ascoltare...”

“Non posso, piccola… è nero; nero come non lo avevo mai visto! Non so come hai fatto a giungere qui, né perché tu ci abbia seguiti, ma è furioso, quando è così solo tu puoi calmarlo, tu che sei la ragione prima del suo stato...”

“Fantastico...” ironizzo, cercando di oppormi a quell’ingiusta sorte. Provo a bloccarmi, ma Camus è irremovibile, seguita ad andare spedito senza degnarmi di uno sguardo, aumentando la stretta sul mio braccio, già dolente. Non rallenta finché non usciamo dal villaggio, imboccando poi una stradina in salita, che conduce sulla cima del monte. A quel punto ogni mio tentativo scema, portandomi semplicemente ad aspettare di vedere dove diavolo mi vuole condurre per parlare. Avrà pan per focaccia, questo è certo!

Giunti finalmente sulla sommità, molla la presa, spingendomi malamente davanti a lui. Quasi mi sbilancio e cado, ma riesco a rimanere in piedi e ricambiare il suo sguardo di fuoco con un’occhiata altrettanto infiammata.

“Cosa non ti è chiaro della frase ‘non ti porto con me perché con te non riesco ad esercitare correttamente il distacco’? Rispondimi, Marta!” mi chiede alla fine. Secco. Collerico. Tagliente.

“Non mi è chiaro tutto, altrimenti non sarei venuta, no?” ribatto, altrettanto ferma, sfidandolo sempre con lo sguardo. Non lo abbasserò io per prima, giammai!

“Pure la risposta pronta hai, ma che brava! E ora cosa devo fare con te, Marta? Legarti ad una roccia finché la missione non sarà conclusa? Nah, sei talmente ottusa che neanche quello ti fermerebbe, sciocca ragazzina!”

“Sciocco tu, non io!!!”

“Non sfidare la mia pazienza! Non sono un tipo violento, ma tu riesci ad incrinare i miei propositi talmente bene, che mi basterebbe davvero poco per...”

“Per cosa? Mollarmi uno schiaffo?! Rinchiudermi nella Bara di Ghiaccio? Fallo! Ed io ci uscirò per stare comunque al tuo fianco! Oppure hai qualche idea alternativa a questa?! Sappi che qualunque cosa partorirà il tuo bel cervello, io mi opporrò, non ti puoi disfare facilmente di me! Non ora, non più! - esclamo, prendendo un bel respiro per poi caricarmi ulteriormente - VOGLIO COMBATTERE AL TUO FIANCO, NON GUARDARTI RISCHIARE SEMPRE LA VITA SENZA POTER FARE MAI NULLA!” strepito, decisa come non mai, tanto che Camus, spalancando le iridi a seguito della sorpresa, sembra preso totalmente in contropiede.

Lo vedo passarsi una mano tra i ciuffi ribelli che sfuggono all’elmo della sacra armatura dell’Acquario, ricercando le parole giuste. Annaspa, le sue labbra tremano, gli occhi guizzano nella mia direzione, non più furenti, ma ricche di una marea di emozioni a stento controllate. Sono riuscita a… calmarlo, parzialmente?! Cosa diavolo ho fatto?! Quale è stata la parolina magica ad averlo rabbonito, questa volta?!

“Perché non capisci, sciocca?! - mi chiede, a bruciapelo, poco prima di continuare, dopo avermi guardato intensamente negli occhi, di nuovo – Perché non capisci… che ti voglio solo proteggere?”

“Perché non capisci… che è lo stesso mio intento? - riprendo la sua domanda con dolcezza, mettendola sullo stesso livello. Lui si sta chetando, posso farlo anche io. Camus si riscuote, ancora più stupito di prima – E’ così, io voglio proteggerti...” gli provo a sorridere, per tranquillizzarlo, cosa che ovviamente non riesce, perché lui, anche se più calmo, non è affatto sereno nell’avermi lì sul campo di battaglia.

“Non è tuo compito, Marta, sono io che...”

“Cosa?! Che mi dovresti proteggere? Perché?! Perché sei tu il fratello maggiore? Chi lo ha stabilito che io, come sorella minore, non possa desiderare lo stesso? Io non posso… volerti proteggere?”

“Non voglio che tu rimanga coinvolta, sciocca, non più di quanto sia già successo! Ne rimarrai uccisa, prima o poi, ed io… non me lo perdonerei mai! - mi dice, discostando lo sguardo e stringendo i pugni – Ti butteresti tra le fiamme, per me, ed io non voglio… non potrei sopportarlo, Marta!”

“Non accadrà...”

“E’ già accaduto, sei già morta, p-piccola, il fatto di essere riusciti a riportarti indietro è stato solo un miracolo, non voglio sfidare la sorte una seconda volta, non...”

Inaspettatamente gli prendo dolcemente la mano tra le mie. La furia di prima è del tutto scemata, ma non le sue intenzioni di tenermi lontana dai guai, lo capisco bene dal tremore del suo corpo.

“Se non vuoi che mi butti tra le fiamme per te, tu non affrontarle, da solo, non ti sembra?”

Camus non dice più niente, ma leggo la paura nei suoi occhi, mista al timore che mi possa succedere qualcosa di brutto da un momento all’altro. Prendo un profondo respiro, cercando il modo giusto per dirgli ciò che sento e per fargli capire che ormai sono grande e forte, può contare su di me. So di avere uno scoglio davanti, ma sono io, tra i due, quella che parla di più, non posso più esimermi.

“Fratellino… sono molto più forte ora, sai? Non sono più quella che tremava sulla spiaggia e che si è bloccata nel ricevere il colpo, portando te a frapporsi tra me e il nemico e rimanendo così ferito gravemente!” inizio con parole di miele, sorridendo mestamente nel posargli una mano sul torace ben celato dall’armatura d’oro.

“Marta...”

“E’ così, sai? - continuo teneramente, proseguendo nel mio discorso – Quando il Mago… quando il Mago è entrato nel tuo corpo, procurandoti quella peste che per poco non ti uccideva, quella notte, ricordi? Tu stavi tanto, tanto, male e per un tempo che me è parso infinito non riuscivi neanche a respirare da solo... stavi per arrenderti, perché eri tanto, troppo, stremato… ecco, quella notte non ho esitato a precipitarmi dentro il vortice oscuro e asfissiante per raggiungerti, per dirti di non mollare, di non cedere. Ci sono arrivata a te, malgrado mi sentissi soffocare io stessa, malgrado il mio corpo ululasse dal dolore e… ti ho raggiunto. Abbiamo lottato insieme, quella volta, io e te, e insieme siamo riemersi, tornando a respirare regolarmente. Ce l’abbiamo fatta solo perché eravamo uno al fianco dell’altra, per cui... se puoi, non lasciarmi indietro, come invece fai troppo spesso...”

Camus non ribatte nulla ma a ascolta con grande attenzione, gli occhi lucidi, le labbra che tremano. Milo e Sonia sono di fianco a noi, partecipi, in religioso silenzio, ma so che stanno soppesando ogni più piccola virgola del discorso.

“Ha ragione, amico mio… non puoi affrontare sempre tutto da solo! Guardati intorno, vedi quante persone vorrebbero stare al tuo fianco e proteggerti come tu vorresti fare con loro. Non sei solo, dovresti cominciare a scrivertelo a caratteri cubitali in quella testa di cazzo che ti ritrovi!” afferma lo Scorpione dopo un po’, attirando lo sguardo smarrito di mio fratello, che non sa più cosa dire.

“Ti vogliamo bene, Camus, dovresti ben saperlo… - interviene anche Sonia, sorridendogli teneramente – E’ più che normale desiderare di proteggerti!”

“S-Sonia...”

“Ormai sono grande, Cam… - gli ripeto, rincarando la dose, sperando che mi accetti come compagna di missioni, i suoi occhi, gremiti di emozioni, tornano su di me – Permettimi di camminare al tuo fianco, da adesso in avanti, non sono più una bambina, l’ho un po’ dimostrato, credo, e… sì, lo so, ho ancora tanta strada da fare per diventare anche solo lontanamente simile a te, ma...”

Ma mio fratello mi blocca, circondandomi con le sue braccia forti e traendomi verso di sé, permettendosi di affondare la sua testa tra i miei folti capelli con gesto naturale. Arrossisco a quella manifestazione di affetto, emozionata.

“Ca-Camus...”

“Sciocca… non importa quanto tempo passerà, per me tu sarai sempre la mia sorellina minore, anche fra 20 anni, quando sarai una donna nel pieno del suo sviluppo e ti sarai costruita una vita tua!”

“M-ma io sono...”

“Lo so, sei grande, ormai, sono arrivato tardi per pretendere di proteggerti… ogni tanto provo a convincermi di questo, ma non riesco, ti vedo sempre piccola e indifesa, un qualcosa da salvaguardare con tutto me stesso, anche se sono altrettanto consapevole che stai diventando sempre più forte. Puoi salvare la vita ad un uomo con quel corpicino in apparenza fragile, la mia vita, piccola mia, non l’ho dimenticato! - prende una breve pausa, respirando profondamente, ne avverto il calore tra i miei ciuffi – Non ho dimenticato cosa hai dovuto passare per strapparmi dalle grinfie del Mago, so che, se non ci fossi stata tu, quella notte, sarei morto… ma anche questo non cambia la visione che ho di te. Sei la mia lucciola...”

“Camus… io voglio combattere al tuo fianco per continuare a proteggerti, penso tu possa capirmi!” borbotto, così premuta contro di lui, arrossendo a dismisura, ma mio fratello continua per la sua strada, affatto arreso.

“Lo so, e sarebbe tuo diritto farlo, come il mio quello di non coinvolgerti in missioni così pericolose, sebbene conosca la tua forza e perseveranza...”

“Per-perché? Perché non mi vuoi intorno?”

Camus sospira di nuovo, pulendomi il sangue colato dal taglio sulla guancia con il pollice della mano destra, prima di tornare a guardarmi negli occhi, ora traboccanti di vita come non mai.

“Te l’ho scritto nella lettera… Sei la mia forza, Marta, lo sai, te l’ho detto più volte, ma anche la più insanabile delle debolezze! Non ho difese contro di te, il solo pensiero di vederti ferita su un campo di battaglia mi sconvolge e mi dilania. Non posso in alcun modo esercitare il distacco se tu sei nei paraggi, perché la sola idea di metterti in pericolo mi spaventa, non permettendomi di utilizzare il consueto sangue freddo indispensabile per la riuscita delle missioni”

“E a me non ci pensi, Camus? Non pensi a cosa possa significare per me essere sempre lasciata indietro? Non sono… forte abbastanza, per te?”

“Non è così, piccola mia, lo sai, non fare la cocciuta come tuo solito. Hai capito cosa intendo...”

“Lo comprendo, ma è ingiusto così! Io, se solo potessi, starei sempre al tuo fianco, sempre! Ovunque tu vada!” mi oppongo ancora, un’ultima volta, accoccolandomi contro di lui, vinta, ma non per questo arrendevole.

Camus mi massaggia delicatamente la schiena, trattenendomi contro di sé, sembra pensieroso e un poco scosso, fino a che non decide di parlare di nuovo.

“Sei così simile al mio Isaac… anche lui, fin da piccolo, non avrebbe mai voluto abbandonare il mio fianco, ed è proprio per questo che è morto, perché si è avvicinato troppo a me, rimanendone coinvolto… non voglio che ti accada la stessa cosa, Marta! Non lo… non lo potrei sopportare, se ti succedesse qualcosa il mio cuore non reggerebbe, non più. Ho perso tanto, tantissimo, e con il tempo l’ho accettato, ma non posso perdere anche te! Non posso!”

E’ il dolore per Isaac che lo ha reso così, ecco perché… Mi fa tanta tenerezza, ma non posso desistere. Ora che so di avere dei poteri, non importa come ottenuti, non voglio più fare la damigella in difficoltà!

“Non mi succederà niente se rimarremo uniti… Camus!” dico ancora, risoluta, aumentando la stretta.

Ma mio fratello nega con la testa, rifiutando quell’eventualità e continuando a stringermi a sé. Capisco che sia spaventato, che non mi voglia coinvolgere, il sentimento che proviamo l’uno per l’altro non fa che accentuarsi di giorno in giorno, retaggio di un lontano passato e di un qualcosa di imperituro e indistruttibile, ma questo da una parte ci indebolisce entrambi, poiché, proprio come dice lui, non c’è modo di difenderci da questa zona sensibile.

“Siamo la forza reciproca, ma anche la debolezza più insanabile...” ripeto, corrucciata, sospirando. Mio fratello annuisce, chiudendo gli occhi, posandomi una mano dietro la nuca.

“Sonia...”

E’ la voce di Milo a prendere parola tra noi nel chiamare la giovane allieva, la quale lo guarda confusamente, non aspettandosi un simile richiamo. E’ lo stesso Cavaliere, poco dopo, ad esemplificare le sue intenzioni con un largo gesto delle braccia.

“Vieni qui anche tu! Abbracciami!” dice con espressione trasognata, tanto da far imbarazzare visibilmente la mia povera amica, che incespica nei piedi al suono di quella richiesta.

“Milo, non dire cose così imbarazzanti in momenti simili!” biascica lei, cercando di svicolare via, ma la stretta Scorpionifera è invincibile, si sa, per cui si trova ben presto contro il petto del Cavaliere, rossa in viso.

“Anche io ti voglio bene, piccola peste, e desidero proteggerti con tutto me stesso!” le dice, arruffandole i capelli con vivacità.

“Uh… Milo! Anche io ma… ma mollami, dai, non sono più una bambina!” tenta di opporsi lei, tutta vergognosa.

“L’hai sentita, Camus? Anche la piccola Sonia è convinta di essere grande, ma non hanno che sedici e diciassette anni, queste due, oltre a tanta voglia di crescere!”

Camus sorride appena nell’udire le parole dell’amico di sempre, in ogni caso una sua eventuale reazione viene bloccata dal palesarsi di in cosmo nelle vicinanze, niveo come il ghiaccio ma con qualcosa di ineffabile intessuto dentro… mi riscuoto appena nel vedere comparire il Cigno a poca distanza da noi, appena apparso sul pianoro.

“Eccomi, Maestro...”

Camus si stacca da me, come di consueto quando una terza forza interviene in un momento per lui intimo, io rimango in disparte, fissando intensamente il giovane Cavaliere. Subito mi salta all’occhio che c’è qualcosa che non va in lui, i suoi occhi sono sfuggenti, e tenuti verso il basso, come se provasse a stento a trattenersi da qualcosa che… che forse è dentro di lui!

“Hyoga, hai fatto quanto ti ho chiesto?” domanda un ignaro Camus con dolcezza, avvicinandosi all’allievo. Io invece ho i nervi a fior di pelle, mi sento tesa e sono pronta all’azione, ma… temo sia tardi.

“I-io…s-sì, e poi sono venuto qua. Come mi avete ordinato...” mugola Hyoga, sempre non guardando Camus in faccia. I suoi comportamenti strani sono sotto gli occhi di tutti, ma fraintendibili, da tutti, tranne che da me, che comincio a capire, avendo già una pista. Mio fratello continua ad avvicinarsi a lui, del tutto inconsapevole di quello che muove il Cigno, proprio per questo continua ad avanzare. Vorrebbe aiutarlo, ma sta solo facendo il gioco del nemico.

“Hyo-Hyoga, che ti succede? Stai… male?”

“N-no, Maestro, mi sento solo un p-po’...”

“Hyoga...”

Camus è molto vicino a lui, alza una mano nella sua direzione, come a riscuoterlo.

Improvvisamente vedo l’ombra scura, dai fasci scarlatti, negli occhi di Hyoga saettare in direzione del maestro, mentre i pugni vengono congiunti e alzati velocemente sopra di sé. Non penso un secondo di più, non decido, semplicemente, mentre Milo e Sonia sussultano, mi precipito tra i due, frapponendomi.

“Kholodny Smerch!” urla, protraendo in avanti le mani intrecciate in una posizione che ricorda molto l’Aurora Execution. Non conosco la tecnica, anche se la intuisco ben più forte della Diamond Dust, ma la priorità di proteggere mio fratello spazza via tutto il resto, spingendomi a balzare in aria per provare a trattenere e rimandare indietro il micidiale colpo, cosa che mi riesce solo in minima parte, perché riesco, si, a pararlo con le mani e a deviarlo in minima parte contro un agglomerato roccioso, a scapito però di perdere l’uso delle stesse ed essere proiettata all’indietro, anche se l’urto contro viene fermato dalle braccia di mio fratello.

“Marta!!!” mi chiama, spaventato, notando la mia espressione sofferente e gli occhi serrati. Mi appoggia per terra, tenendomi contro il suo torace mentre, con le mani esperte,mi tasta tutto il corpo per vedere se ho subito dei danni più o meno ingenti. Ho freddo, non sento quasi più le mani, ma, perlomeno, non mi sento ferita.

“Marta! Rispondimi, ti prego!” mi richiama, ancora più spaventato dalla mia non reazione, avvolgendomi con il suo mantello nel vedermi così infreddolita.

“Ca-Camus… - riesco a biascicare, un poco affaticata, riaprendo un occhio e continuando a tremare come una foglia – Tutto bene? Non sei… non sei rimasto coinvolto, vero?” gli chiedo, premurosa, tentando di sorridere.

“Non pensare a me! Sei tu ad essere stata colpita e… e… dannazione, lo sapevo, non avresti dovuto raggiungermi qui!”

“Volevo solo avvertirti, ma non ho fatto in tempo…” mugolo, sofferente, socchiudendo gli occhi. Non ho male al corpo, ma fremo alla sola idea che le mie intenzioni siano state nullificante ancora prima di esporle. Camus scambia la mia espressione per un qualche tipo di dolore fisico, con il risultato che si agita ancora di più..

“Piccola, sono qui, non perdere coscienza! Sono qui, continua a parlarmi, se riesci! Da cosa volevi avvertirmi?”

Faccio per articolare un discorso di senso compiuto, ma il Cigno è più veloce.

“Non ce l’ho con lei, non le farò del mare se voi, anzi… - ci avvisa, puntando nuovamente le braccia nella nostra direzione, obiettivo mio fratello, è così lampante – Se tu ti sposterai di lì e mi affronterai a tu per tu… Camus!” finisce in un sussurro Hyoga, gli occhi freddi come il ghiaccio ma ancora scintillanti di scarlatto. Non ha utilizzato il tono rispettoso che usa di solito verso il suo maestro, non ha usato l’appellativo, questo è ben chiaro a me, Milo e Sonia, i quali ci mettiamo istintivamente sulla difensiva, pronti ad intervenire.

“Hyoga, ragazzo, cosa diavolo ti sta succedendo ora?”

“Nulla che ti possa interessare, Milo! Stanne fuori, è una faccenda tra me e Camus!” esclama il Cigno, sempre più furente.

Faccio per rimettermi in piedi, temeraria, ma mio fratello mi trattiene a terra, alzandosi lui e compiendo qualche passo davanti a me come a volermi proteggere.

“Milo… difendi Sonia e Marta, mi raccomando, le affido a te!” gli dice, caparbio.

“Cos…?! Ti ho detto due minuti fa, DUE MINUTI FA, di smettere di fare tutto da solo, e tu cosa fai, vuoi affrontare di nuovo il tuo pupillo?!? Devo ricordarti come è finita l’ultima volta?!?”

“Non è lui il ragazzo che ho qui davanti… proteggi Sonia e Marta, te ne prego, conto su di te! Questo è affar mio!” ripete impassibile mio fratello, non degnandolo più di uno sguardo.

“Ma porca di quella…!” impreca a denti stretti Milo, dietro di me, pestando il terreno con un piede, ma la mia attenzione ritorna ben presto sul Cigno.

“Oh, no, sono io invece… come non sono mai stato!” lo corregge Hyoga, sorridendo sinistramente. Ma Camus non gli da corda, mantenendo le distanze.

“Che cosa vuoi? Chi sei? Cosa ne hai fatto del mio allievo?”

“Sono io, il tuo allievo, Camus… l’allievo che non hai mai voluto, l’eterno secondo, oppure non sono più neanche questo per te? Niente di meno che un pallido sostituto del tuo Isaac!” afferma beffardo il Cigno, cominciando visibilmente a perdere il controllo su si sé.

Camus sospira, cominciando ad intuire l’accaduto. Socchiude gli occhi, ora dolenti dalla riproposizione di quel nome che per lui è motivo di tanto dolore, oltre che di orgoglio.

“Cosa dici, Hyoga? Io non ti avrei mai voluto? Sei il mio degno successore, lo hai dimenticato?”

“BALLE! - il tono aspro del Cigno rizza la schiena a tutti, non riconoscendolo più – Non fai che mentire a te stesso, oltre che a me, voglio che tu sia franco invece, per una volta! Me lo merito!!!” urla, colpendo il terreno con un raggio ghiacciato, proprio in mezzo ai piedi di Camus, il quale comunque non si scompone. Sospira un’altra volta, provato da quel raffronto forzato.

“Che cosa vuoi dunque da me, Hyoga? Cosa vuoi che ti dica?” chiede, sconfortato, serio in volto.

“Voglio parlare di Isaac e della mia Mama, che tu hai gettato negli abissi per rendermi più forte, a tuo dire, quando invece lo hai fatto solo per rivalsa a causa di ciò che ho fatto al tuo Isaac!”

“Sei impazzito, Hyoga? Secondo te ho fatto quel che ho fatto col corpo di tua madre per… Isaac?! Non per renderti forte?!? Le tue colpe sono le mie… io ho ucciso Isaac, l’ho ucciso con queste mie mani, tu c’entri solo in minima parte, sono io il responsabile, è a causa mia che...”

“Parole! Parole! E ancora parole! Esigo la sincerità, qui e subito!!!” ulula il Cigno, mettendosi le mani trai ciuffi biondi e cadendo a terra, preda della sofferenza. Sta… provando ad opporsi?

“Hyoga… ribellati, so che ce la puoi fare! Sei sotto una misteriosa ingerenza aliena, è così? Svegliati, puoi farlo, io sono qui, con te, non sei solo, mio… Hyoga!” prova ad incoraggiarlo Camus, accennando ancora un passo nella sua direzione, vorrebbe aiutarlo con tutte le sue forze, lo vedo.

“No, Camus, fermati! - intervengo io, raggelando tutti, stringendomi nel mantello prima di accennare qualche passo verso di lui – Ciò che ha posseduto il tuo Hyoga è la ragione per cui sono qui, perché vi volevo informare ma… è tardi! Non avvicinarti, potrebbe contagiare anche te, costringendoti a sputare fuori tutto l’universo che hai sempre celato dentro per il bene del tuo pupillo!” comincio a spiegare, guardandomi intorno. Mi sento così arrabbia da non essere riuscita ad avvertirli per tempo...

“Marta, cosa stai…?” mi chiedono Milo e Camus all’unisono, mentre Sonia mi fissa con apprensione.

“Non avvicinarti a lui, potresti essere contagiato da quella maledetta… - ripeto, raddrizzando poi la testa e imprimendo la mia espressione in un punto dietro Hyoga, ancora inginocchiato sofferente a terra – Non è forse così… Nero Priest?!”

Nei dintorni cala un silenzio assordante, rotto solo dal respiro accelerato di Hyoga che tenta il tutto e per tutto per opporsi al controllo del nemico. Poi… una risata nell’aria, malefica.

“Oho? E così sai di me, Marta… suppongo sia stato Stefano a riferirtelo, vero? - mi provoca una figura ancora evanescente, appena comparsa al fianco di Hyoga. Indossa abiti lunghi e leggeri, a dispetto del tempo, di colore violaceo/nero; gli occhi sono pesantemente truccati ed emanano bagliori rossi e verdi – Ho sottovalutato il rapporto che c’era tra te e quel ragazzo… pensavo di averlo posto sotto il mio controllo, ma la tua vicinanza deve aver svegliato una parte di lui… poco male, ora ho un soggetto ancora più interessante!” esprime irriverente, sghignazzando.

Fremo dalla collera ma provo a trattenermi, con scarsi esiti, rimanendo comunque ferma sulla mia posizione. Questo essere è colei che ha tenuto in ostaggio il mio amico per questi due anni, facendogli il lavaggio del cervello, sfruttando le sue pulsioni. Non la perdonerò mai!

“Era da costei che volevi avvertirmi… - mormora Camus, stringendomi il polso con le dita della mano destra nel tentativo di tranquillizzarmi – Calmati, piccola mia, risolveremo tutto, è una promessa, sia per quanto concerne il tuo amico sia per Hyoga...” mi incoraggia, scambiandomi uno sguardo d’intesa.

“Fai sempre promesse che non puoi mantenere, Acquario? Spassoso! Non so se ti rendi conto della situazione in cui sei finito...” lo canzona, guardandolo negli occhi con quelle iridi di color verde acqua. Sulla testa indossa anche un copricapo che potrebbe sembrare un elmo, ma non è in possesso di un’armatura, non è quindi un Cavaliere… chi diavolo sarà realmente?!

“So bene quello che dico! Hai messo sulla bocca di Hyoga cose che non pensa, provando a rivoltarmelo contro, ma conosco la tempra del ragazzo, so quanto vale… e ora allontanati da lui, prima che decida di ridurti in polvere ghiacciata!” la minaccia, esemplificando le sue intenzioni producendo cristalli di ghiaccio sul palmo della mano.

“Ne sei sicuro? Sei sicuro che Hyoga abbia detto cose che non pensa? Sei sicuro che sia stata io a mettergliele in bocca? Non ho di questi poteri, mio caro, io mi limito a risvegliare le vostre pulsioni, il resto lo fate tutto voi!” spiega, avvicinandosi al Cigno e permettendosi di accarezzargli i capelli esaustivamente, come ad esercitarne un possesso.

“Non azzardarti a toccarlo ancora una volta, o io...”

“O tu cosa?! Cosa puoi fare, Acquario?! Massacrare il tuo pupillo più di quanto non hai già fatto in questi anni?! Che nobile operato, il tuo, hai distrutto la psiche di un povero bambino che ha perso la madre in un incidente navale!” lo intercetta, alzando la mano sinistra dal quale fuoriesce una sostanza gassosa che rimane nei dintorni.

“Urgh… ma-maledetta!”

“Camus! Marta! Allontanatevi da lei! Vuole usare il suo potere per mettervi uno contro l’altro!” ci avverte Milo, a distanza di sicurezza, trattenendo Sonia contro di lui, perché altrimenti la ragazza sarebbe partita in quarta, un po’ come me.

“Errato, Scorpio… - lo corregge lei, subdola. Ho giusto il tempo per guardare il mio amico dietro di noi e lei, prima che l’energia cosmica si faccia ancora più tetra – I miei obiettivi non sono Camus e Marta… non sono così insana da provare a recidere un legame che neanche mio padre, nel pieno dei suoi poteri, è riuscito a spezzare...”

Suo padre?! Si riferisce al Mago??? E dunque.. sua figlia?!? Stefano quindi è stato prigioniero suo e di quel maledetto in questi anni?!? N-no, non ci posso credere, se così fosse… cosa ha dovuto patire per tutto questo tempo?!?

Così presa dai miei pensieri mi distraggo, fissando incredula il suolo brinato sotto di noi. Riesco appena a percepire quanto segue.

“Il mio obiettivo non sono mai stati Marta e Camus, sarebbe uno sforzo vano… ma l’Acquario ha molto di non detto al suo allievo, giusto? Forse lo stesso di non detto che Hyoga ha per il suo adorato maestro, non è forse così?! - domanda retoricamente, già certa delle sue convinzioni – Che ne dite di far finalmente sgorgare fuori da voi queste pulsioni?! Questi… 8 anni di fraintendimenti e frasi non dette! Su, coraggio, FATEMI DIVERTIRE!” lo canzona ancora, prima di lanciare contro di noi un gas nero maleodorante impossibile da scansare, esso entra immediatamente dentro i polmoni, facendoci tossire seduta stante.

Vedo lo sguardo d’urgenza di Camus voltarsi nella mia direzione, no… non nella mia, bensì in quella del suo migliore amico ancora più indietro di me.

“Milo!!!” un solo richiamo, ma sufficiente per lanciargli una silente richiesta che io non comprendo subito, ma lo Scorpione sì. Vengo spinta indietro dalla mano di mio fratello, mi sbilancio e sto per cadere, mentre i suoi occhi si imprimono nei miei per un solo istante. Di nuovo cacciata indietro… ancora una volta!

 

Proteggila tu, Milo, te ne prego, io non ne sarò più in grado per un po’…

 

Dissestata dalla spinta di Camus, sto per finire a terra, ma prima che questo possa accadere, vengo presa sotto le ascelle da un braccio, i miei piedi si sollevano automaticamente e mi ritrovo sballottata via, insieme a Sonia, ad opera di Milo. Guazzabuglio di luci colori che mi confondono ancora di più... Non un urlo, niente, solo la visibilità che cala a picco, mentre Sonia ed io veniamo trascinate via dai movimenti del Cavaliere di Scorpio, il quale, sfruttando la velocità della luce, si rifugia, insieme a noi, dietro un costone di roccia, lontano dal gas velenoso.

“CAAAAAMUUUUS!!!” strepito, una volta compresa pienamente la situazione, faccio per precipitarmi di nuovo al suo fianco ma Milo mi trattiene contro di sé, l’espressione rassegnata e i denti stretti.

“Milo, lasciami! Mio fratello… mio fratello!!!” provo ancora ad oppormi, del tutto spaventata alla sola idea delle conseguenze. Camus è stato colpito in pieno da quella cosa, non ho potuto far niente per proteggerlo, cosa ci sono venuta a fare qui, se le motivazioni per aver disubbidito a Shion, non una, ma due volte, sono sfumate così nell’aria?!

“Marta… non possiamo fare più niente, ora, lo capisci? Ti prego, rispetta la volontà di tuo fratello, che ti vuole al sicuro. Presto questo luogo si tramuterà in una prigione ghiacciata sigillata nel tempo e nello spazio...” mi spiega uno sconfortato Milo, sospirando pesantemente.

Non voglio credere alle sue parole, non voglio, anche se, effettivamente avverto con distinzione la temperatura scendere di diverse decide di gradi. Mi stringo al mantello di Camus, ricercando il sostegno di Sonia, almeno con lo sguardo. Poco dopo la nebbia si dirada, tranne che in un punto, e rivedo comparire di nuovo il Cigno, in piedi, dritto. Non c’è più esitazione in lui, è totalmente sotto il controllo nemico… ora…

“Quello scemo di Hyoga, non vorrà davvero...” biascica Sonia, ma un raggio ghiacciato in direzione del Cigno desta il suo interesse, terrorizzandoci. Il cavaliere non si scompone, evoca un muro di ghiaccio che frantuma il colpo. La nebbia si dissipa totalmente, rivelando i passi decisi di Camus in direzione dell’allievo. Non c’è bisogno di avvicinarsi per appurare che anche lui, adesso, è sotto il controllo di Nero Priest, nuovamente sparita nel nulla. Lo osservo con sgomento posizionarsi davanti a Hyoga, gli occhi blu con bagliori scarlatti. Sussulto spaventata, quasi non riconoscendolo più.

“Non ci sarà un vincitore… se non architettiamo in fretta qualcosa!” biascica Milo, stringendo i pugni con forza. Siamo nuovamente impotenti. Tutti.

Camus si prepara ad espandere il suo cosmo, lo fa, aumentando così l’intensità della tempesta di neve già presente da una serie di secondi. Essa va incrementandosi di forza, provocando una nebbiolina ghiacciata e bianca nei dintorni e il gelo nelle nostre ossa.

“Molto bene, Hyoga… credo tu abbia bisogno di una lezione supplementare!” esclama mio fratello, non totalmente in lui, scattando poi immediatamente nella direzione del Cigno, il quale, guardandolo con odio, si prepara a riceverlo.

“Non aspettavo altro, pseudo-maestro!”

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Ed eccoci qui con la continuazione della parte introduttiva della Melodia della neve. Prima di tutto volevo dirvi che questo e il prossimo capitolo avranno dei grossi parallelismi con i prossimi due della Sonia’s side story, che è stata in pausa fino ad adesso per il semplice fatto che prima dovevo finire di scrivere Parallel hearts, andare un po’ avanti con questa storia e cominciare Zima Siyaniye per farne comprendere il pieno significato. Essi, come già accennato, tratteranno di Isaac, e di una missione che lui, Hyoga e il piccolo Jacob compiono contro il volere di Camus, allo stesso modo in cui fa Marta in questo capitolo.

Il parallelismo più accentuato, sarà quello tra il comportamento (e i caratteri) di Marta e Isaac, che Camus percepisce molto simili, ma, più in generale, Marta e Isaac sono ampiamente collegati.

Veniamo a questo capitolo, un po’ insolito, suppongo, non foss’altro che per la presenza di Rhada, nome di onore “Mantus” XD Mi sono divertita nello scriverlo, anche se, per come è stato reso il personaggio nella serie principale, molti di voi, forse saranno rimasti sbigottiti. Rhadamantys ha una funzione molto importante nella mia storia, dal prologo, sappiamo che Marta ha chiesto a lui di fargli da “secondo maestro” e che il Giudice ha accettato in virtù di ciò che ha fatto per lui Seraphina (di cui non si sa ancora praticamente niente, eccezion fatta per sapere che erano nel Limbo, ma… questo cosiddetto Limbo è avvolto dal mistero). Non è ancora momento per gli allenamenti, però questo, quindi Marta chiede aiuto per raggiungere gli altri nella missione e ne esce fuori una nuova capacità di Rhadamantys che è quella di trasmutarsi in corvo (anche questa dote avvolta nel mistero, ma vi sarà spiegato a tempo debito). Tra una chiacchierata e l’altra, salta fuori che i Giudici degli Inferi, come spero di aver sufficientemente messo in risalto, sanno molto di più dei Cavalieri d’Oro, sulla situazione generale e sul nemico, il Santuario è “omertoso” come dice Rhada…

Qui, tra le altre cose, vengono anche poste le fondamenta per la crescita del personaggio di Marta, reincarnazione di Seraphina, che comincia a discostarsi dal Santuario, anche se, in verità, non se ne è mai sentita realmente parte. E’ amica dei Cavalieri d’Oro, vuole proteggerli, ma a 17 anni suonati, avendo già una mente pensante, non poteva in alcun modo essere fedele ad Atena, vedremo, piano piano, la strada che sceglierà di intraprendere e, insieme a lei, anche le sue amiche, prima fra tutte, in questo caso, Sonia.

Il raffronto mancato tra Camus e Hyoga è uno degli argomenti che mi preme di più da approfondire in questa terza storia, quindi Nero Priest è caduta a fagiolo, penetrando in una situazione già ampiamente incasinata: la “morte” di Isaac, il senso di inadeguatezza di Camus e Hyoga, l’enorme macigno che si portando dietro questi due, l’affondamento della nave, ad opera dello stesso Camus, lo scontro all’undicesima casa… sono tutti argomenti che saranno approfonditi nel prossimo capitolo e anche più avanti, spero come al solito di tratteggiarli in maniera esauriente e soddisfacente! ^_^

Dovrei aver finito con le solite spiegazioni!

Ora, a luglio dovrei riuscire finalmente a pubblicare il capitolo nuovo della Sonia’s side story, che, come dicevo, ha dei parallelismi con questo, e poi piano piano, passo per passo, sarà chiarito tutto.

Grazie a tutti come sempre e alla prossima! :)

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Capitolo 9
*** Separazione ***


Capitolo 9: Separazione

 

 

 

“A-aaaaaargh!” urlo, soverchiata da tutta quella potenza, percependo i miei piedi sollevarsi da terra contro il mio volere e farmi così rischiare di essere spazzata via.

“Marta!!!” grida Milo, acciuffandomi lestamente per un braccio e riportandomi così a terra, stringendomi a sé insieme a Sonia. Siamo tutti e tre sul punto di essere trascinati via dall’immenso potere congelante di Camus e Hyoga, che proprio in questo momento si è unito in un’unica, turbolenta, tempesta, come il vortice polare. Nessuno di noi può muovere anche un solo dito verso di loro, né tanto meno retrocedere. Siamo semplicemente bloccati, impotenti, Milo è sopra di noi, ci trattiene al suolo subendo lui, di riflesso, i danni maggioritari. Rabbrividisco, avvertendo il gelo penetrarmi nelle ossa.

“Do-dobbiamo f-fermarli, Milo! O… o finirà come… come durante la Battaglia delle Dodici Case… NO!” strepita Sonia, spaventatissima, stringendosi al petto del Cavaliere.

Ha paura. Anche io.

“L-lo so, piccoletta, n-non posso permetterglielo, ma… ma… se mi allontano da voi, subirete gli effetti di questo tremendo attacco senza alcuna difesa, e ho promesso a Camus di proteggervi! - farfuglia Milo, tossendo subito dopo, perché il solo parlare gli fa entrare ghiaccio nei polmoni, mozzandogli il fiato – A-amico mio, re-resisti ancora un po’, proteggerò le due ragazze e correrò da te, stavolta non ti lascerò solo, non andrà come in passato!” biascica poi, gli occhi lucidi in direzione del compagno.

Socchiudo le palpebre, sforzandomi di guardare la scena davanti a me, nonostante mi brucino gli occhi e avverta la pelle delle guance quasi sgretolarsi, come se fosse tagliata da un coltello sottilissimo.

“Fratellinooooo!!!” grido, cercando di sovrastare la tormenta, nella speranza che la mia voce lo raggiunga.

Camus nel frattempo, dopo aver annullato l’Aurora Execution di Hyoga con la propria, divarica ulteriormente le gambe, raddrizzando la schiena.

“Cosa ti succede, Hyoga? Mi sembri un po’ fuori allenamento, ti sei adagiato sugli allori in questi mesi?!” lo canzona, irriverente, un’espressione sinistra a solcargli la faccia. Lo sta provocando e non dovrebbe, non sa cosa sta rischiando, o forse… sì?

“Maledetto… - sibila il Cigno tra i denti, compiendo una breve danza prima di gettarsi a capofitto su di lui, deciso a non dargli più requie – Se sono fuori allenamento è a causa vostra, Maestro, considerando che, dall’arrivo delle nuove allieve, non mi avete più degnato di uno sguardo!”

Lo vedo cominciare a sferrare diversi pugni congelanti, che Camus evita con movimenti eleganti, inclinando il bacino o le spalle a seconda della direzione dei pugni. Non ribatte nulla, si limita a guardarlo con un misto di ripugnanza e freddezza, connotati che non gli avevo mai visto manifestare nei confronti del Cigno. Probabilmente essi sono dettati dal poter di Nero Priest. Come temevo, le frasi non dette pesano, troppo, e ora, senza più alcun filtro, si riversano a valle, come lago che rompe le barriere della diga e distrugge tutto ciò che è stato precedentemente costruito; tutto ciò che maestro e allievo hanno difficoltosamente costruito...

Hyoga intanto, intenzionato a non dargli requie, né a parole ne ad azioni, continua a sferrare attacchi sempre più veloci che lo sfiorano con sempre maggior violenza.

“Chissà che sollievo, per voi, non doverci avere più a che fare con me, eh? Shion vi… anzi, TI ha dato ordini di concentrarti su Marta, Michela e Francesca, mentre io ero pienamente sviluppato, vero?! Io, l’assassino del tuo Isaac...”

“...”

“Non era quindi più necessario tenermi d’occhio, addestrarmi, finalmente avevate un altro obiettivo, far crescere loro, il figliol prodigo non aveva più bisogno di cure, voi non avevate più alcuna ragione di fingere davanti a me, potevate finalmente cominciare a trascurarmi, senza più quello sciocco senso del dovere che vi ha fatto intestardire sul farmi maturare come Cavaliere! Non è forse così?!?”

“...”

Dalla mia posizione vedo Hyoga, già sotto torchio per il cosmo di Nero Priest, incattivirsi ancora di più, offeso e dileggiato dalla continua non risposta del suo maestro.

“Rispondete, dannazione! RISPONDI, DANNATO!” urla infatti Hyoga, fuori di sé, sferrando un pugno in pieno viso a Camus che stavolta non si oppone, subendo la furia scatenata dell’allievo. Persino il Cigno, vista la sua apatia, si blocca un attimo, incredulo, chiedendosi perché non abbia evitato l’attacco.

Ingoio a vuoto, spaventata nel vederlo perdere un po’ di sangue dal labbro, il destro di Hyoga ancora piantato lì, sulla nivea guancia, il viso del biondo a pochi centimetri dal suo, smosso da un miscuglio di incertezza se continuare ad essere furente, implacabile, o chiedergli chiarificazioni, sinceramente sbigottito.

E capisco. Lo capisco dal sudore che imperla la pelle di mio fratello, dall’espressione tirata e rassegnata, dallo stesso tremito del suo corpo: si sta opponendo al controllo di Nero Priest con tutte le sue forze, non vuole cedere, perché cedere completamente significherebbe fare del male a suo pupillo. E non vuole.

“Come al solito, Camus… - sento mormorare Milo, il suo respiro mi passa tra i capelli, mi giro, basita, lo stesso fa Sonia, notando l’espressione rattristata del suo maestro – Vuoi troppo bene a quel ragazzo, per questo stai cercando di controllarti con tutte le risorse che possiedi, ma… sei al limite, vero? Amico mio...”

Il Cigno intanto è sorpreso, bloccato. Vorrebbe attaccarlo di nuovo, il suo cosmo è pienamente acceso ma, ora che ce l’ha così vicino, ora che vede la sua espressione distrutta, come quella volta dopo la morte di Isaac, sente di non averne più la forza.

“Hyoga… hai ragione… ciò che dici corrisponde al vero: ero sollevato da poter avere altre allieve, da non avere solo te, perché mi eri rimasto solo te, lo sai. Quando sono arrivate Marta, Michela e Francesca, è stato come rinascere, ed è successo che ti ho trascurato, più o meno volontariamente. Del resto, non sono mai riuscito a perdonarti pienamente per aver causato la morte di Isaac...”

A quelle parole il Cigno balza indietro, ancora più oltraggiato, nuovamente vittima della furia cieca… autodistruttiva.

“E allora perché siete ancora lì ad opporvi al suo influsso?! Perché non mi disintegrate, con le vostre stesse mani?!? Io vi sto attaccando, con tutte le mie forze, e voi siete lì, a trattenervi, come quella volta all’undicesima casa, come quella volta che... vi ho ucciso! Non capite che sono un pericolo, per voi?!? Oppure mi sottovalutate, ancora una volta?!?”

“Non ti ho mai sottovalutato, Hyoga, conosco bene il tuo potenziale...”

“E ALLORA PERCHE’ NON FATE NIENTE?!? ATTACCATEMI FINO A DISINTEGRARMI, VENDICATE ISAAC!!!”

“Non posso...”

“Ancora questa storia?!? Se non potete voi, allora io...”

“...perché sei una parte insostituibile di me! Non posso farti del male, Hyoga, sarebbe come strapparmi il cuore con le mie stesse mani!”

La situazione pare calmarsi, tanto che la tempesta intorno a noi si placa quasi completamente. Hyoga abbassa il pungo, guardando per terra, un punto fisso, sinceramente mortificato. Camus ha riaperto gli occhi tristi, che scrutano l’allievo con quel senso di colpa che lo dilania dall’interno. Per un solo secondo, Milo ed io ci scambiamo un’occhiata rilassata, certi che il peggio sia passato, ma Sonia è di altro avviso. La sento infatti fremere, spalancare gli occhioni verdi nel distinguere un punto che noi invece non riusciamo a discernere. Non ho il tempo di muovere un muscolo, che la sento urlare, in preda al panico.

“Camus! Al tuo fianco!!!”

Non scorgo nessuno, nella sua direzione, ma una nuova ondata di fumo nero, come apparsa dal nulla, investe in pieno mio fratello, facendolo scomparire alla nostra vista. Istantaneamente mi agito, ho l’impulso di alzarmi e correre nella sua direzione, ma Milo mi blocca, per la seconda volta.

“Marta! Non sappiamo dove sia il nemico, rimani vicino a me, affinché io possa proteggerti, non allontanarti per nessuna ragione al mondo!”

“Milo, non è così, io la vedo… vedo dov’è!” interviene determinata Sonia, apprensiva.

“COSA?”

Non abbiamo il tempo di indagare ulteriormente, perché il fumo si dirada rivelando un Camus a gattoni, intento a respirare affannosamente. Non vi è nessuno al suo fianco, ma è come se la percepissi, in qualche modo, anche se non con la vista. Infatti poco dopo giunge alle nostre orecchie il suono della sua voce, una dissonanza che dilaga per tutto il perimetro della radura, impedendoci così di localizzarla tramite il suono.

“Non va bene, così, Acquario, non mi sono intrufolata dentro di te per farti esprimere dichiarazione spasmodiche di amore nei confronti del tuo pupillo, ma per vedervi menare le mani come due docili cagnolini da combattimento, mi intendi?”

“U-urgh...”

Nel frattempo il vento ricomincia a soffiare intorno a noi, sempre più forte: è il gelo di Camus, che sta traboccando.

“Su, parlate di qualcosa di interessante, avete nominato Isaac, giusto? Trattate della sua morte, per dire. - li incentiva malignamente, prima di rivolgersi solo a Camus - Ho letto nel tuo cuore, so cosa covi da anni, e ora… hai finalmente l’occasione per scatenarlo con tutto te stesso!”

“Il… il ragazzo non c’entra...”

“Ah, no? Non è stato Hyoga a gettarsi in mare per un morto, obbligando così Isaac, a soccorrerlo e a morire per lui?”

“U-urgh, l-la colpa… è stata… mia… I-io… non ero in… Siberia… quel giorno!”

“Te lo stai raccontando per te stesso, o per Hyoga? Suvvia, Camus, hai abbandonato l’allievo che tanto amavi per lui, non pensi che Isaac, forse, vorrebbe che tu, ciò che di più vicino aveva all’idea di padre, ti rivendichi sul biondino?! Avrebbe dovuto essere Cavaliere di Atena, giusto? Tu avevi già scelto, l’armatura del Cigno sarebbe spettata a lui, invece...”

“U-urgh...”

Mi si stringe il cuore a vedere la sua espressione sofferente. E’ inginocchiato per terra e ogni tanto tossisce, piegato, ma non del tutto vinto. La presa delle sue dita sulla gelida terra aumenta, in un estremo tentativo di controllo, che sta via via perdendo.

“Maledetta, dove sei?!” ringhia Milo, aumentando il cosmo e guardandosi intorno alla ricerca del nemico.

“Sonia! Hai detto poc’anzi che la riuscivi a vedere, dov’è?!?”la incalzo, sempre più agitata.

La mia amica si guarda intorno smarrita, sperduta, tentando di focalizzare l’attenzione su un punto stabilito. Non trovandolo.

“Pri-prima era al fianco sinistro di Camus, ma ora… ora è di nuovo scomparsa!” mi dice, tornando ad espandere il cosmo per ritrovarla.

“Merda!”

Il gelo sta ricominciando a ghiacciarci le vene, i muscoli, tutto. Siamo a distanza di sicurezza, ma è incredibile il potere di mio fratello, è sopra ogni cosa. Se lo riversa contro Hyoga, cosa potrà mai succedere?!

“Allora, Camus, hai finito di essere così ostico? Vuoi finalmente cedere?”

“N-no!” ribatté lui, sempre più sofferente, mettendosi le mani tra i capelli e scrollando violentemente il capo, come un cavallo imbizzarrito che vuole scacciare il proprio fante.

“Uff, che testone!”

“Maestro!!!” prova ad intervenire a sua volta Hyoga, parzialmente ripresosi, forse per le parole dette dal suo amato mentore.

“Tu zitto, numero 2! Non saresti neanche dovuto diventare Cavaliere, sei talmente facile da manovrare che quasi mi annoi, almeno il tuo maestro si sta rivelando più interessante!” lo ferma subito lei, maliziosa. Vedo Hyoga sbilanciarsi e cadere a terra, in preda anche lui alle convulsioni.

Qui sta per scoppiare una mezza tragedia, e noi non possiamo fare assolutamente nulla, non lo sopporto! Non… devo inventarmi qualcosa, SUBITO!

“Non riesco ad individuarla, dannazione, sembra dappertutto e in nessun posto allo stesso tempo!” sbraita Sonia, sempre più frustrata. Maledizione!

In cerca di una soluzione disperata, come dal nulla, avverto la risatina di Nero Priest, ma stavolta si rivolge a Hyoga.

“A quanto pare mi sbagliavo, Cigno… in verità ti stai trattenendo anche tu, stando ben attento a non sfoderare un potere che in verità possiedi ampiamente. Allora non sei poi così mollo, interessante! - si congratula Nero Priest, tornando nuovamente a sussurrare a Camus – Acquario, sei morto per permettere al tuo pupillo di raggiungere lo Zero Assoluto, giusto? Chissà cosa ne penserebbe Isaac, l’allievo che hai abbandonato per il benessere di questo fetente!”

“Ma-maledetta...”

“Maledetta io? Maledetto tu, semmai, che continui a mascherare la tua vera essenza dietro i buoni propositi! - lo zittisce, prima di tornare su Hyoga – Ehi, Cigno, hai mai soppesato a sufficienza il fatto che il tuo maestro abbia fatto sprofondare la nave in cui riposava tua madre solo per vendetta nei tuoi confronti?!”

“Co-cosa?!?”

“Sì, prova a richiederglielo ora che cede al mio influsso, vediamo cosa ti risponde...” ridacchia sadicamente Nero Priest, prima di scomparire di nuovo nel vuoto, senza aver dato a noi l’occasione di rintracciarla.

“Maestro, è vero quello che ha detto?!”

Camus, sulle prime, non dice niente, si limita ad alzarsi in piedi, il fiato ancora corto. Ma i suoi occhi sono cambiati, conducono un’altra luce con loro, terribile.

“Rispondete, è la verità?! Avete voluto avere la rivalsa nei miei confronti tramite il corpo della mia Mama?! A tal punto siete stato meschino?!?”

“Zi-zitto...”

“Esigo una risposta sincera, ORA!”

“St-stai zitto, Hyoga...”

“RISPONDETEMI, O...”

“HO DETTO DI TACERE, HYOGA!” esplode alla fine mio fratello, la luce rossa anche nei suoi occhi, la Diamond Dust sparata alla massima potenza contro il corpo dell’allievo. Il Cigno non può opporvisi, subisce il colpo in pieno, la furia di Camus in tutta la sua asprezza. Viene proiettato indietro, a velocità sovrumana, finendo contro una serie di alberi i cui tronco si spezza. Sputa sangue, ricadendo a terra. Ma non è vinto, il suo viso, una volta risollevato, possiede la stessa furia di quella del suo maestro.

“E’ così dunque...” sibila, tornando ad espandere il proprio cosmo, stavolta valicando ampiamente i confini della sua costellazione.

“Oh no...” sento sussurrare Milo, terrorizzato, ed io non posso che provare lo stesso.

“Siete stato meschino… ma capisco bene… io vi avevo privato della vostra ragione di vita, dell’unica persona che vi rendeva felice, e voi… voi avete fatto lo stesso, con me, con la mia mama...”

“Tutto corretto, Hyoga, ma dimentichi un particolare… - riprende mio fratello, freddo e invalicabile, come il permafrost – Tua madre era già morta da anni, tu, invece, per un morto… UN DANNATISSIMO MORTO… hai ucciso il mio Isaac, il mio...”

Ma Hyoga lanciando l’aria congelante davanti ai piedi di Camus, blocca la sua frase a metà.

“Il vostro… allievo prediletto, giusto?!?”

“Sì, il mio… miglior allievo! - finisce di sibilare Camus, l’espressione folle, snaturata – E tu non sarai mai come lui, MAI! Ma mi sei rimasto solo tu, TU, il suo aguzzino! Sarebbe andato tutto bene, se la tua esistenza maledetta non si fosse intersecata con la mia!” gli urla contro, iracondo.

“E allora venite ad uccidermi, se ci riuscite!”

“Oh, lo farò! Bramo da anni questo momento!”

Non parlano più, sono i loro colpi e pugni a farsi scambi di battute, stavolta senza più alcun freno.

Pugno destro contro sinistro, Diamond Dust contro Diamond Dust… la tempesta prende nuovamente vigore, rischiando di far sbalzare nuovamente via me e Sonia, ma veniamo comunque afferrate da Milo, che, non potendo più sopportare tutto questo, ci nasconde in un anfratto di una parete rocciosa più vicina, regalandoci due carezze veloci, prima di sorriderci.

“Mi-Milo, io non so bene di cosa abbiano trattato mio fratello e Hyoga, ma… ho paura che… che non si fermeranno più, lo sento...” barbuglio, sempre più spaventata dalla faccenda.

“Milo, finirà come allora… finirà e… e Camus tornerà a provare su di sé un gelo impietoso per una pelle così calda e delicata, non posso… non posso neanche sopportare l’idea!” singhiozza invece Sonia, visibilmente traumatizzata. Anche se all’epoca non ero presente al Santuario, capisco che si riferisce allo scontro finale delle due Aurora Execution, in cui mio fratello ebbe la peggio. Rabbrividisco.

“C-Camus, non voglio che… che succeda di nuovo come allora! Era così immobile, freddo, r-rigido, non voglio… NON VOGLIO! Non lo merita, non lo...”

“Lo so, piccola, l-lo r-ricordo bene com’era il suo corpo dopo quella battaglia, so cosa intendi...” prova a rassicurarla lo Scorpione, in tono dolce ma provato.

Se possibile, rabbrividisco ancora di più, mentre Milo regala una veloce carezza anche a me, prima di alzarsi in piedi con espressione risoluta.

“Proprio per questo ti posso dire che non finirà come la volta scorsa, non lo perderemo di nuovo, te lo prometto! Marta… proteggerò tuo fratello costi quel che costi! - esclama, senza un briciolo di esitazione – Ma voi promettetemi che, anche per il bene di Camus, starete qui, al riparo, e che non vi muoverete per nessuna ragione al mondo durante lo scontro tra le due arie congelanti, siamo intesi?”

“Ma!!!”

“Anche Camus ha bisogno di sapere che siete al sicuro! Confidate in me!”

“V-va bene, Milo, tuttavia...” inizia Sonia, ma lo Scorpione non le da nemmeno il tempo di finire che lo vedo precipitarsi sul campo di battaglia.

Sporgendomi, mi salta subito all’occhio la ragione, che mi fa togliere il fiato seduta stante: sia Camus che Hyoga, dopo aver abbracciato la propria costellazione, stanno caricando sé stessi contro l’altro, avvolti come sono dal potere congelante che gli è proprio, l’odio che sprizza dalle iridi di entrambi è indicativo di un massacro che avverrà da qui a breve, se non faremo qualcosa al più presto.

Sussulto nel vederli partire, gettandosi contemporaneamente l’uno contro l’altro, l’intenzione di distruggersi.

Sia Sonia che io urliamo, spaventata a morte, riuscendo appena a mantenere il controllo per rimanere dove siamo, come abbiamo promesso a Milo. I due attacchi stanno per collidere uno contro l’altro, ma un fascio luminoso si frappone tra i due, fermandoli entrambi. La situazione pare bloccarsi per pochi, brevi, attimi. Affiniamo lo sguardo nel renderci conto che, quel fascio luminoso che ha arrestato il massacro, altri non è che lo stesso Cavaliere di Scorpio, intento a trattenere nelle mani i pugni di Camus e Hyoga, rimasti sbalorditi.

“Mi-Mio!!!” lo chiama Sonia, spaventata, percependo l’espressione sfinita del suo maestro. Fa per precipitarsi anche lei nel luogo del combattimento, ma la trattengo per il braccio, scrollando la testa come ad avvertirla che non è il momento di agire. La mia amica rimane quindi immobile, tornando a guardare lo Scorpione.

Purtroppo capisco bene come si sente, vorrebbe agire e farlo subito, ma se c’è qualcuno che li può fermare, quello è solo Milo, nessun altro. Sospiro abbattuta, concentrandomi di nuovo su di loro e maledicendo, ancora una volta, la mia debolezza e inesperienza.

“Ce-certo che voi due siete proprio due casi patologici, eh… incredibile quanto vi complichiate la vita, quando basterebbe PARLARE fin da subito, senza remore alcuna!” commenta Milo, sorridendo sarcasticamente, guardando prima uno e poi l’altro.

Nonostante l’espressione irriverente e la protezione dell’armatura, le sue mani sono congelate, il ghiaccio arriva a coprire fino ai gomiti.

“M-Milo!” biascicano entrambi, pentiti.

La situazione sembra di nuovo calmarsi, ma i cosmi di entrambi sono ancora in piena espansione, rendono difficoltosa la presa ferrea di Milo che, ferito a seguito del potere congelante, li trattiene con sempre maggiore difficoltà.

“In particolare tu, Camus, non dovresti farti vedere così dalla tua sorellina, sai? Così rischi di spaventarla...” gli dice con dolcezza, probabilmente pensando che il pensiero di me possa far placare l’animo del migliore amico di sempre.

“Ma-Marta? Lei… lei dov’è? E’ al sicuro?” chiede, confuso, come se l’influenza del nemico lo avesse destabilizzato del tutto, facendogli perdere la cognizione del luogo e dei soggetti che avrebbero potuti rimanerne coinvolti dal suo impeto.

“Sta bene, non ti preoccupare, è al sicuro insieme a Sonia… Eri quasi irriconoscibile, sai, Cam? Le hai spaventate a morte, entrambe, sai quanto tengano a te!” gli dice, franco, una strana luce negli occhi.

“I-io non… non avrei voluto...”

Il cosmo di mio fratello scema, e le sue pupille traballano appena, abbassandosi poi nel rammentare le parole dette e che, a fatica, aveva taciuto finché Nero Priest non gliele ha estirpate a viva forza. Il senso di colpa lo investe in pieno, portandolo a mordere il labbro inferiore e a fremere. Impossibile tornare indietro ora, ne è totalmente consapevole.

“Tu, invece, Hyoga, non dovresti… - ma si blocca, scorgendo la fatica che sta compiendo ancora il Cigno per controllarsi – HYOGA!” lo chiama, allarmato.

“A…a…”

Vorrebbe dire qualcosa, lo si vede, ma non riesce. I suoi occhi sono spalancati nel vuoto, la luce scarlatta nelle sue iridi, che traballano. Il suo volto è cereo, la pelle sudata, i muscoli irrigiditi nel tentare di mantenere un controllo che sta perdendo sempre più. Irreversibilmente.

Gli eventi stanno di nuovo precipitando, spingendo me e Sonia ad uscire allo scoperto, pur rimanendo ad una certa distanza. Sta per succedere di nuovo… traboccherà!

“Hyoga, ragazzo, cosa stai...?” riprova Milo, tentando di scacciare a parole quell’insano malessere che ha arpionato il giovane, come rapace che cattura un pesce, sollevandolo in cielo.

“A-all… allontanatevi! E-entr… entrambi, v-vi prego...” riesce infine a comunicare, chiudendo gli occhi, digrignando i denti e stringendo convulsamente la mano libera sui ciuffi biondi, che ora sembrano quasi opachi.

“No, Hyoga, non ti lascio da solo, non di nuovo!” interviene anche Camus, parzialmente ripresosi, provando a toccare la spalla dell’allievo, ma il Cigno si allontana bruscamente, spingendoli via.

“Mae-stro… dovete andarvene… ANDATEVENE!”

“Non lo farò Hyoga! Stai male e… e...”

“Ho detto di allontanarvi da me… ORA!” stride, sofferente, prima di far esplodere il proprio cosmo e creare, in tutto e per tutto, un mondo bianco, fatto di vento e di tenebra. Milo e Camus vengono proiettati all’indietro, noi stesse siamo parzialmente coinvolte nell’esplosione del suo cosmo e finiamo malamente terra. Non c’è più alcun colore intorno a noi. Tossisco, rannicchiandomi su me stessa. Che freddo insostenibile, sento, letteralmente, la pelle esposta screpolarsi. Quanto possiamo resistere ancora?!

“Ma-Marta… - mi chiama Sonia, prendendo la mia mano. Riapro gli occhi, lacrimanti – L’ho… l’ho vista, di nuovo, penso di riuscire a percepirla ora, anche se si mantiene invisibile agli occhi umani...” mi farfuglia, dolorante.

“Riesci… riesci a vedere le cose invisibili, Sonia?” chiedo incredula, mentre la tempesta intorno a noi cambia di intensità.

“Non le riesco a vedere, non come intendi tu, almeno… però, l’aria intorno a noi, mi trasmette una risonanza, che, una volta raggiunto l’obiettivo, torna indietro a me, manifestandosi in una immagine sbiadita...” prova a spiegarmi, sempre più stremata dal ghiaccio che ci priva delle energie.

“Intendi… come il sonar dei pipistrelli?” chiedo conferma. Se fosse davvero così… ho un piano!

“Qu-qualcosa di simile...” ridacchia lei, contenta che io abbia capito.

Perfetto, questo rende possibile per noi un contrattacco!

“Milo! Dannazione, Milo!” sento intanto urlare mio fratello, angosciato da qualcosa. Ci voltiamo nella direzione del suono, sussultando alla scena. Il Cavaliere di Scorpio è visivamente sofferente, tremante e con gli occhi chiusi, tra le braccia di un agitatissimo Camus. Un Muro di ghiaccio si è eretto tra loro e il colpo, che sembra comunque aver avuto ripercussioni soprattutto sullo Scorpione, il quale, semi-svenuto, tossisce più volte, sussultando.

“Milo, che diavolo ti è saltato in mente di subire il colpo di Hyoga al posto mio?! Era vicinissimo allo Zero Assoluto e… se… e se… Oh, Milo!!!”

“M-meglio subirlo io i-il colpo che… che rivivere ciò che ho passato dopo la Battaglia delle Dodici Case, C-Cammy...” riesce comunque a spiegarsi, sempre più sofferente.

“Sc-sciocco, non parlare, potresti essere ferito gravemente e… e… ci sono io qui, avrò cura di te, cerca di rimanere sveglio! Non avresti dovuto farlo, non…”

“Pffff, ancora non hai… capito… quanto tu sia prezioso per noi, vero? Che esimia… testa di cazzo!” la butta sul ridere lui, poco prima di reclinare la testa all’indietro e perdere completamente coscienza.

“MILO!!!”

“Milo! Camus!” li chiamano Sonia ed io, correndogli incontro ancora più preoccupate rispetto a prima. Mio fratello trasalisce, riaprendo gli occhi e girando il capo nella nostra direzione, se possibile ancora più angosciato alla sola idea che anche noi possiamo rimanere ferite. Alza un braccio, ordinandoci di fermarci e allontanarci da qui. Il suo tono riesce a bloccare i nostri propositi, mentre, confusamente, scocchiamo una nuova occhiata allarmata al Cigno, inginocchiato al centro della radura, il volto nascosto, i capelli che ricadono giù. Un vortice ghiacciato di dimensioni inaudite è sopra si lui, ruota con intensità sempre maggiore, non accennando a fermarsi. Lo fisso incredula e spaventa, prima di indietreggiare di riflesso.

“Marta! Sonia! Non avvicinatevi a Hyoga per nessuna ragione al mondo! Il suo Zero Assoluto è fuori controllo, sta… rompendo gli argini! Se vi sfiora, per voi è finita!” ci avverte mio fratello, il cuore in gola, mentre stringe al petto l’amico.

“Ma, Camus, noi...” tenta di opporsi Sonia.

“Allontanatevi! Andate via immediatamente, non c’è più tempo!!!”

“E voi cosa farete?! Come ne uscirete di qui?!”

“Non ha importanza, Marta, fai come ti dico, per un’unica volta!” il suo tono è strozzato, mi spaventa, quasi più della sua stessa espressione.

“No, i-io...”

“TI PREGO! Siete troppo importanti per noi!”

E’ totalmente terrorizzato...

Mi sento quasi impietrita, torno a fissare Hyoga, tremando convulsamente. Lo Zero Assoluto… Nero Priest infine, è riuscita ad attingere alla vera forza del Cigno, ormai fuori controllo, ginocchioni per terra mentre si contorce in preda a fitte allo stomaco sempre più forti. Quale è la vera natura di quel potere? In cosa si discosta dal mero potere congelante?

Avverto Sonia fremere, arrabbiata, non intenzionata ad indietreggiare. Mi da una leggera gomitata tra le costole.

“Marta… la vedo, è sopra Hyoga! Le braccia sono alzate e sta sorridendo per scherno, quella… quella lì ha appena ferito Milo! E’ ben convinta di farla franca, che non possiamo batterla...” sibila, furente, dando una nuova occhiata a Milo, il quale è appoggiato alla spalla di Camus.

“Se non sconfiggiamo lei, Hyoga non sarà mai liberato, vero?” le chiedo, caparbia, un piano già pienamente sviluppato in testa, anche se rischioso.

“Lasciala a me, vendicherò...”

“No, Sonia, ascolta, tu riesci a vederla, io no, sarò io ad attaccare, se tu mi farai da guida...”

“Cos…? E’ follia, Marta, non….”

“Sarebbe follia anche se fossi tu a buttarti a capofitto su di lui, anzi, di più! Io non posso vedere Nero Priest, ma tu sì, puoi dirmi quando sta per attaccare, perché, lo so, attaccherà sia tramite Hyoga che sé stessa… io ho il potere congelante, posso quindi resistere di più e avvicinarmi così al Cigno. Camus non può farlo, è bloccato lì, perché deve proteggere Milo con il Muro di Ghiaccio!”

“Ma Marta!”

“Fidati di me, non mi getto tra le fiamme, anzi, nella tormenta, senza speranza di vittoria!” le dico, imprimendo la mia espressione nella sua. In verità è anche un altro il messaggio che vorrei passarle, senza parole, spero che, vista la nostra sinergia, capisca anche quello che non posso esprimere verbalmente.

Vedo i suoi occhioni verdi brillare, determinati, poi affina lo sguardo, annuendo poi con la testa.

“Va bene, Marta, ti copro le spalle e, parzialmente, dagli attacchi di Nero Priest, ma tu cerca di non farti colpire dal gelo di Hyoga, ti prego!”

Annuisco determinata, prima di apprestarmi a scattare in direzione del biondo, ancora inginocchiato per terra visibilmente sofferente.

“Ti affido la sicurezza di Camus e Milo, nonché… delle mie spalle!” le sorrido un’ultima volta, prima di buttarmi a capofitto in direzione di Hyoga e del vortice polare, senza più alcuna esitazione.

“MARTA!!!” mi urla dietro mio fratello, in tono monco, vedendomi compiere una azione che, molto probabilmente, dal suo punto di vista, è una pazzia bella e buona.

Lo so, sei in ansia per me, fratellino, non riesci a mantenere il sangue freddo, con me sul campo di battaglia, e hai paura che muoia come è morto il tuo Isaac, ma… devo rischiare il tutto per tutto, per un amico!

“Sei folle e temeraria, ragazzina! Non so cosa tu abbia in mente, ma non avrai neanche facoltà di avvicinarti al ragazzo, perché io...” sento rimbombarmi in testa la voce del nemico, prima di avvertire una pressione innaturale sul mio corpo, che però cessa istantaneamente a causa di una folata di vento che, a quanto pare, riesce a colpirla in pieno.

“Non così in fretta, Nero Priest! Sono io la tua avversaria, pagherai per quello che hai fatto al mio Maestro Milo e a Camus!” afferma la mia amica, risoluta.

“Non è possibile! Riesci… riesci a vedermi? O solo a percepirmi?” la interroga, quasi sibilando per la sorpresa.

Sorrido tra me e me, ben conscia di avere una valida compagna a preservarmi le spalle. Ho piena fiducia in lei, ora devo pensare al Cigno, a calmarlo, in qualche modo.

“Hyogaaaaaa!!!” lo chiamo, tentando di attirare la sua attenzione con l’ausilio della sola voce. Il ragazzo sta chiuso in sé stesso, le mani ancora a stringere i ciuffi biondi, non sembra neanche udirmi, sofferente com’è, vittima di un potere che non retrocede di un passo, e che anzi via via si fa sempre più impetuoso.

“Hyo...” riprovo, ma il vento aumenta, mi costringe a scansare il colpo di lato per evitare di essere colpita. Da dietro le mie spalle giunge l’avvertimento di Sonia.

“Marta, non a destra, salta a sinistra, subito!!!” mi urla, agitata.

Ho appena il tempo di posare il piede a terra, prima di fare quanto dice, scansando così un raggio oscuro.

Dannazione, come immaginavo attacca sui due fronti, ma non posso esitare, devo avanzare. Decido di sguarnire completamente le spalle per implementare la mia velocità, fidandomi ciecamente di Sonia. Continuo così la mia corsa forsennata sempre in direzione di Hyoga, prrocedendo a zig-zag, a causa della corrente congelante sempre più impetuosa che di volta in volta mi soffia addosso delle schegge di ghiaccio allo Zero Assoluto. Questo potere mi è ancora oscuro, non ne capisco pienamente la differenza, è terribile davvero, ma cosa ha in più rispetto all’aria congelante tradizionale?! Quale è… il suo segreto?

Non ho tempo di scervellarmi neanche su questo! E’ il momento di agire!

“Hyoga!!! Coraggio, devi opporti, sei o non sei il degno successore di Camus?!” lo richiamo, scansando nuovamente un attacco, stavolta proveniente dal Cigno, che però, a seguito della mia voce, si riscuote.

“Marta? - si chiede, alzando lo sguardo verso di me. Una smorfia di paura di dipinge sul suo volto nel vedermi in avvicinamento – No, non farlo! Non proseguire oltre! Il ghiaccio è allo Zero Assoluto e...”

Ma non ha il tempo di finire la frase che una forza al di fuori di lui, gli fa sollevare il braccio nella mia direzione. L’istante dopo parte un nuovo attacco. Ho appena il tempo di capirlo pienamente, prima di far agire l’istinto al posto mio. I miei piedi si uniscono, le ginocchia si piegano, per permettermi di saltare in alto ed evitare così l’intensità del colpo. Atterro qualche metro più in là, prima di riprendere a correre.

Sento le urla di mio fratello dietro di me, schiamazzi vari, una nuova pressione... Mi rendo così conto di non poter evitare anche quell’assalto, ma lo fa Sonia al posto mio, ritornando ad attaccare Nero Priest con un tornado di pura aria.

“Cosa non ti è chiaro che sono io la tua avversaria?!” ripete, pronta, dandomi facoltà di scoccarle una breve occhiata. Ha inclinato il busto di lato, espandendo le braccia e aumentando così l’intensità del suo nuovo assalto.

“Maledetta...”

Le mie spalle sono al sicuro, Sonia è caparbia e dotata, non ho davvero nulla da temere.

“Hyoga, ci sono quasi, arrivo, resisti!”

“Non ti avvicinare, Marta! NON TI AVVICINARE!!!” mi urla lui, terrorizzato, preparando un nuovo colpo. La sua mente è libera ora, ma il suo corpo no, sottostà ancora al potere di questa entità. Aveva ragione Stevin, è, di sicuro, il nemico più pericoloso che abbiamo mai affrontato, forse solo il Mago è superiore a costei.

“Hyoga, non dire fesserie! Dobbiamo tornare a casa, insieme! Non ti lasciamo qui!” affermo ancora, evitando l’ennesimo colpo che tentava di trafiggermi. Di nuovo atterro, sempre più vicina al Cavaliere del Cigno, prima di proseguire. In verità questa corsa mi sta fiaccando sempre di più; più penetro in questo vortice, più le mie energie vengono risucchiate, ma non posso cedere.

“No, non capisci! Ti farò del male… TI FARO’ DEL MALE!!!” mi urla lui, sempre più spaventato, non riuscendo a recuperare il controllo.

E le noto, le sue lacrime; lacrime di colpa che gli rigano le guance, lacrime che significano molto, forse tutto. La sua vita, i suoi traumi… Nero Priest ha buon gioco nel suo cuore, stante tutta la sofferenza che ha provato fino ad ora, lei se ne è approfittata, e questo non lo posso tollerare!

“Ti farò del male, Marta… come ho fatto ad Isaac, come ho fatto a tuo fratello, e non me lo perdonerei mai… MAI! - singhiozza lui, vinto dalle sue stesse paure, dai suoi stessi incubi – Ti farò del male, a te, che sei il bene più prezioso del Maestro Camus, persino a te, dopo che l’ho già privato praticamente di tutto!”

A questo punto mi è perfettamente chiaro il trauma interiore di Hyoga, lo sento quasi mio, il suo sentirsi inadeguato, sempre, il suo pensare di essere un sostituto, nulla di più, senza avere un proprio ruolo nel cuore di mio fratello. Percepisco il suo stato, come se il vortice congelante travalicasse le parole, trasmettendomi a viva immagine l’immenso peso del Cigno, insieme ad un altro volto, ad un’altra essenza.

Ne ho come una visione fumosa e concreta al tempo stesso. Ci troviamo io e lui, qui in mezzo al vortice tonante, un qualcosa di infinitamente più potente di noi, esattamente come lui e Isaac si erano trovati ostaggio delle correnti oceaniche del mare della Siberia dell’Est…

Sussulto a questa consapevolezza, mentre un nuovo attacco sta per colpirmi. Questa volta sono troppo vicina per scansarlo, me ne rendo nitidamente conto, pertanto, coniugando tutte le mie forze, erigo una sorta di Muro di Ghiaccio sull’avambraccio, che mi copre il volto e il petto. Il Cigno grida, spaventato, stringendosi il polso come a voler trattenere l’impeto della sua forza, che infatti cozza contro il mio scudo, incrinandolo paurosamente ma senza romperlo. Vengo spinta indietro, ma incanalando tutte le energie nei piedi, mi faccio forza per andare avanti, sempre più vicina al nucleo, sempre più vicina a Hyoga.

“Marta!!! Lasciami perdere, vai! Puoi ancora salvarti!” mi grida lui, forse pensando di patteggiare il suo sacrificio con la mia incolumità, il che, inaspettatamente, mi provoca rabbia, portandomi ancora di più a perseguire i miei intenti.

Hyoga… quando smetterai di pensare a te come ad un’evenienza, invece che ad una certezza? Quando smetterai di voler sacrificare il tuo corpo?! Ancora non lo capisci, quanto le persone intorno a te ti vogliano bene?! Quando sei essenziale per il Maestro Camus?! Non posso accettare questa tua arrendevolezza, non come tua amica!

“Non ci si arrende… - biascico, affannata, perseguendo ottusamente i miei propositi - Il Maestro Camus ci ha sempre insegnato questo, non ci si arrende, non si getta MAI la spugna! Ed io… IO NON MI ARRENDERO’!” esclamo, in un impeto, balzando in aria, proprio al centro del vortice per apprestarmi ad attaccare.

Hyoga spalanca le iridi sbalordito, incredulo, esterrefatto. Alza il pugno nella mia direzione per colpirmi. Anche se non vorrebbe, le sue azioni sembrano mosse dai fili del burattinaio. Intorno a noi è tutto un coacervo di vento, fischi e sfumature varie. Inconcepibili. Ci confondono entrambi. E ci portano lontano. Al passato.

 

Hyoga è sempre stato così arrendevole fin da bambino, ma al tempo stesso, determinato quando si trattava di seguire i propri sogni. Un piccolo pulcino indifeso, mi sembrava, quando giunse in Siberia all’età di 8 anni, rompendo e, insieme, portando una nuova ventata alla quotidianità mia e del Maestro Camus. Subito mi colpì la sua timidezza, il suo celarsi, fino a scomparire, dimenticandosi quasi di esistere. Divenne subito un mio prezioso compagno, poi un alleato, un amico, infine… un fratello, al quale ero legato da un legame indissolubile, che andava oltre quello sanguigno. Lui e il maestro erano la mia famiglia, la mia ragione di vita, la mia speranza nel futuro.

Sospiro, chiedendomi perché io stia già pensando al passato, io, che sono ancora qui, per poco, ma sono ancora qui. Stringo tra le braccia la ragione per cui non posso arrendermi, la ragione per cui lotto contro le correnti oceaniche, nonostante lo sfinimento, nonostante non abbia più una molecola di ossigeno nei polmoni, nonostante stia perdendo sangue dall’occhio sinistro, nonostante… abbia raggiunto il mio limite…

Sono… al limite! Se questo ghiaccio ha più di dieci metri di spessore siamo spacciati!

Nel mezzo del dolore, cerco di trovare la forza nel guardarti, ancora una volta, l’ultima. Sei svenuto poco fa, dopo avermi gridato, tramite il tuo cosmo, di lasciarti andare, di abbandonarti qui, di salvarmi, perché uno dei due da qui ci deve uscire, ci può uscire.

Quella persona... tu hai scelto arbitrariamente che sia io, ma non lo posso accettare amico mio, né adesso né mai…

Perché tendi sempre, sempre, a mortificarti così? Perché dai così scarsa importanza alla tua vita?! Per cosa abbiamo sopportato gli allenamenti, io e te, fino ad oggi?! Per una motivazione che credevo comune, e che invece si è rivelata, almeno per te, personalistica?! Vuoi morire, Hyoga… né io né il Maestro Camus lo abbiamo pienamente capito, fino ad ora, ma allo stesso tempo, né io né il Maestro Camus, vogliamo vederti finire così! Sei... troppo importante per noi, lo sarai sempre, anche se il tuo istinto autodistruttivo ti porterà, sempre, sempre, dannazione, a precipitare verso il fondo, anche se tu forse, l’affetto che proviamo per te, non lo percepisci nemmeno pienamente… fratello mio!

Il mio pugno continua a picchiare, a vuoto, contro il permafrost sopra di noi, la nostra unica speranza di fuga, la nostra via verso la sopravvivenza. Sorrido leggermente, nascondendo l’amarezza. Mi correggo: la tua via per tornare alla vita, non più la mia, perché le forze, per salvarci entrambi, sono fuoriuscite dal mio corpo, come questo sangue immacolato che mi sporca il volto, dandomi un assaggio di ciò che sarà la morte. Destino beffardo… pensavo di morire su un campo di battaglia, dopo essere diventato Cavaliere, combattendo al fianco del Maestro… eppure, forse, chi salva una vita, salva comunque il mondo!

So che non ci si arrende… ce lo ha insegnato il Maestro Camus! Non ci si arrende mai, MAI! Eppure… le forze mi mancano, per entrambi, incanalerò ciò che resta di me per salvare almeno te, Hyoga… con tutto me stesso!

Dopo l’ennesimo colpo, guidato più dalla disperazione che da altro, finalmente percepisco una incrinatura nella spessa coltre di ghiaccio: la via per la salvezza è ora sopra di noi, basta percorrerla, ma tu non ne hai più le forze, Hyoga. Espando l’ultimo palpito del mio cosmo, infiammandomi come un fiammifero che si accende per poi ardere completamente in pochi, brevi secondi. Camus non lo vorrebbe, non vorrebbe che io finissi così, ha un cuore così grande il Maestro… Non riesco a non pensare a lui, con una intensità tale che mi duole il petto, non riesco a non pensare al suo calore, proprio ora che il tepore, nel mio corpo, va dissolvendosi.

Perdonatemi, Maestro Camus, perdonatemi per quello che sto per fare, per non avere abbastanza energie per preservarmi. Pare che… non mangeremo più alcuna zuppa calda tutti insieme, che… non scorgerò più il vostro sorriso gentile e fiero, né udirò la dolce melodia che, quel giorno lontano, ad un passo dalla morte, ho udito provenire da voi, timido segreto che ho mantenuto fino ad ora… così prezioso, esattamente come voi! Siete… tutto! Avrei voluto fare di più per poi, combattere insieme, proteggervi, ma… ancora una volta, come quel giorno con Zima, ho sopravvalutato le mie doti.

Finalmente il ghiaccio implode sopra di me, le schegge vengono sbalzate in aria, mentre noi, per il contraccolpo, veniamo spinti più in profondità. Ma va bene così, mi basta questo spiraglio per salvarlo, solo questo! Lo stringo forte a me, come a volerlo abbracciare un’ultima volta, mentre, per un solo istante, l’impulso di non finire così guida le mie azioni, facendomi esitare. In fondo, non voglio morire… non voglio, è così ingiusto!

Rigetto questa sensazione indietro, imbavagliandola nel petto, silente. Non ci si arrende, è il mio mantra.

 “Non ci si arrende… è questo che ci ha insegnato il Maestro Camus, non ci si arrende… IO NON MI ARRENDERO’! - urlo mentalmente, facendo implodere anche il mio cosmo, prima di lanciare il mio compagno di addestramento attraverso quell’unica apertura, attraverso quell’unico spiraglio di salvezza. La separazione è netta, fa più male del previsto, ma sopporterò, ancora, per un amico, per un fratello, e per un padre – ADDIO, HYOGAAA!!!”

 Affido tutto a te, sii degno dell’armatura di Cygnus!

 

Mi riscuoto pienamente solo nel momento in cui avverto un dolore secco e acuto sotto il seno sinistro, quasi come se qualcosa di pungente mi trafisse da parte a parte. Sputo sangue, ma non ci do troppo peso, l’obiettivo è proprio davanti a me, vicinissimo, non posso crollare ora. La mia aria congelante è ancora salda nel mio pugno, in attesa di essere lanciata. Il suo obiettivo sei tu, Hyoga, è l’unica via per annullare il tuo tremendo potere, prima che ti schiacci completamente, prima di straripare totalmente fuori controllo. Vi è un unico spiraglio… ed io sono pronta a percorrerlo, a qualunque pezzo!

“MARTA!” mi urla Hyoga, visibilmente preoccupato, capendo di avermi causato danno. La sua mente è libera, vorrei evitare di fargli male a mia volta, ma questo vortice non si fermerà, non da solo.

“Hyoga, dimostra di essere degno di Cygnus, dimostralo ora, in nome delle persone che hanno sempre creduto in te! - lo incoraggio, gli occhi determinati come non mai – BLUE IMPULSE!” grido, facendo finalmente sgorgare il potere congelante dal mio palmo.

L’attacco colpisce Hyoga in pieno viso, lo vedo rotolare indietro, mentre il vortice, dopo un’ulteriore, temporanea, breve, intensificazione, finalmente cessa di spirare, facendo cadere me per terra e rantolante al suolo, affannata. Stringo le palpebre, ferite dai fasci luminosi, nello stesso momento mi tengo il fianco con la mano sinistra, avvertendolo dolorante. Tossisco, sputando ancora sangue, tentando al contempo di respirare regolarmente.

Finalmente poco dopo anche la luce cessa di battere intorno a noi, rivelando così Hyoga sdraiato a diversi metri da me, gli occhi sbarrati a fissare il cielo sopra di noi, ora di nuovo limpido, ed io sdraiata dolorante per terra. Sono riuscita a dosare l’intensità del colpo, non arrecandogli chissà quali danni, a parte la guancia vistosamente arrossata, e lui… è fuori dal controllo di Nero Priest, lo percepisco nitidamente.

“MARTA! Santi numi, Marta! - grida lui, vedendomi sfinita per terra, a tastarmi il fianco – Non dovevi, non… non muoverti, rimani ferma lì, i-io ti ho…”

“Hyo-Hyoga, è tutto ok, il danno è di lieve intensità!” lo provo a tranquillizzare debolmente, tornando a respirare con più calma. Vorrei alzarmi ma so di non esserne in grado nell’immediato, pertanto rimango dove sono, mentre assisto, compiaciuta, alla ripresa delle proprie facoltà da parte del Cigno.

“Hai… hai visto anche tu quello che… no, no è possibile, non... - biascica, un poco affaticato, cercando di trovare le parole, prima di alzarsi faticosamente in piedi e fissarmi sempre più sbalordito, ma nel momento in cui i suoi occhi si incrociano con i miei, la sua espressione si distorce in un’altra completamente terrorizzata – MARTA!!! SOPRA DI TE!!!”

Non ho il tempo di muovermi che odo una terza voce penetrante e un poco stridula a pochi centimetri dal mio orecchio sinistro, così dannatamente vicina. Sussulto di riflesso.

“E così il tuo potere maledetto ti preserva perfino dallo Zero Assoluto, avrei dovuto immaginarlo… - ammette Nero Priest, mentre con la mano adunca mi accarezza sinistramente i capelli – Ma sei stata comunque una scellerata senza un minimo di riguardo, Marta, ad esporti così. Ora capirai cosa intendo!”

Fa per attaccarmi, giacché le sembro indifesa per terra, ma inaspettatamente sogghigno maliziosa, voltandomi temeraria verso di lei e fissando la mia espressione loquace nella sua. Uno oscuro presagio la attraversa, lo percepisco nel cambio di luce dei suoi occhi, prima baldanzosi.

“Sbagli, Nero Priest, non sono io a non aver avuto riguardi...”

“Cosa vuoi insinuare?! Sei troppo debole per compiere qualsiasi azione, mi basterebbe un niente per condurti con me, o trafiggerti il petto da parte a parte, e tu… dannata, perché stai continuando a ridere?!?”

“Pensavi fossi io l’arma vincente?! Pensavi che il mio piano convergesse su me?! Sbagli, io ero solo l’espediente, né più né meno! - affermo, alzandomi faticosamente a sedere e guardandola trionfalmente – Sei esattamente al posto giusto e all’altezza giusta, in più… con la tua vera essenza corporea, perché attaccare direttamente qualcuno ti obbliga ad apparire concretamente davanti al soggetto, vero? E fisicamente sei debole!”

“C-cosa stai…?”

Ha il tempo di chiedere, prima di assistere, con orrore al muoversi delle foglie secche per terra ad opera del vento. Esse vorticano proprio sotto i suoi piedi, velocizzando il loro ritmo fino a diventare indistinguibili le une dalle altre. Al momento sono solo una massa di colore arancione e giallo che converge sul corpo fisico di Nero Priest, la quale, forse cominciando ad intuire qualcosa, inclina le sue labbra in un moto di terrore.

“VISIBLE AIR!” esclama Sonia, nello stesso momento in cui le foglie prendono quasi vita e avvolgono il nostro nemico in una spessa, quanto soffocante, morsa.

“UUUUAAAARGGGH!!!” sento urlare il nostro nemico, mentre perde il controllo sul suo corpo poiché l’attacco di Sonia la sballotta di qua e di là, imprigionandola in una stretta come se stesse girando dentro un vortice di colore arancione/rossiccio.

Mi volto verso la mia amica, sorridendo raggiante, vedendola in posizione di attacco, la mano destra protratta verso di noi, con il palmo completamente aperto, l’altra mano intenta a stringere l’avambraccio da cui scaturisce l’attacco. Mi annuisce, risoluta, una luce negli occhi: ci siamo capite perfettamente.

“I-incredibile!” mormora un ammirato Milo, ancora più indietro rispetto alla mia amica. E’ nuovamente cosciente e sorretto da Camus, il quale però continua ad avere il viso distorto nella mia direzione, ancora terrorizzato dalle mie effettive condizioni: deve aver visto che sono rimasta ferita. Avverto le sue emozioni, la sua agitazione, lo vorrei rassicurare, ma ci sarà il tempo dopo per farlo.

“Allora?! Come ci si sente ad essere sbalzati da terzi, come ci si sente a non avere più alcun controllo su sé stessi?! - la canzono, impertinente, ridacchiando, riuscendo finalmente a mettermi in piedi – Chi è stata la vera scellerata, Nero Priest?!”

L’intensità dell’aria di Sonia si fa sempre maggiore, le foglie sembrano quasi tante farfalle assassine pronte a tutto pur di levare il respiro all’oggetto del loro attacco, forse è davvero così. Sonia si avvicina cautamente a noi, sempre nella stessa posizione, muovendo con lentezza i propri passi: la prudenza non è mai troppa.

“Allora, chi ti manda?! Chi siete?! Hai parlato del Mago come se fosse tuo padre, è davvero così?! - la comincia a interrogare la mia amica, minacciosa, affatto docile – Quale è il vostro obiettivo?! Oltre al corpo di Camus che, ovviamente, non avrete MAI!”

“Non… non saprete niente, su di noi, da me...” farfuglia Nero Priest, ancora intenta a vorticare come un frullatore. Devo ammettere che un po’ di compassione la provo, non deve essere piacevole per nulla. Mi fa pensare il ‘noi’ che ha adoperato… quindi significa che non c’è solo lei, intorno al Mago, bensì anche altri, ed effettivamente Stevin aveva parlato di Pilastri... sembra tutto così infausto

“Ti serve un incentivo per parlare?!?” la tampina Sonia, sempre più furente. Deve ancora fargliela pagare per il male che ha fatto il suo maestro, vedo la scintilla di biasimo nelle sue iridi, terribile, non vorrei proprio essere al suo posto. Appena finito di parlare, infatti rincara la dose, aumentando ulteriormente la velocità dei venti, i quali, sferzandola, la tagliano barbaramente nelle zone più esposte.

Nero Priest urla ancora una volta, dolorante, ma non c’è modo di farla parlare, nonostante i tentativi miei e di Sonia. Tutto a vuoto, sarà difficile estorcere qualcosa a costei. Forse dovremmo recarla con noi al Santuario, là potremmo riuscire a cavare qualcosa dalle sue labbra, ma come la trasportiamo?

Improvvisamente la sento sghignazzare sinistramente, quasi soffiando, il che mi mette in allerta, potando i miei muscoli ad irrigidirsi. C’è qualcosa che non va, che anche lei abbia un’arma di riserva? E’ davvero troppo tranquilla...

“Brava, ragazzina, sferzali ancora di più questi venti, coraggio, così farai sopraggiungere Lui, e, per te, non sarà affatto piacevole!” ci avvisa, frenetica, scoppiando a ridere ancora di più.

Nel frattempo avverto una pressione innaturale appena dietro la schiena, non ne capisco l’origine, anche se mi turba, e comunque la mia attenzione è su di lei.

“Non sarà piacevole per te, vorrai dire! Hai osato mettere contro maestro e allievo, hai fatto male a Milo, e ora… la p...”

Non finisce la frase, due grida acute arrivano alle nostre orecchie, pronunciando convulsamente i nostri nomi, miei e della mia amica.

L’unica cosa che avverto distintamente è il frastuono, seguito da una luce azzurrina, attrattiva, prima di sentirmi afferrare da qualcuno, essere stretta contro di lui, contro il suo petto, e finire sbalzata via. Rotoliamo diversi metri più in là, finché un urto potente non ferma i nostri corpi.

Ho gli occhi chiusi, tutti i muscoli indolenziti, le mani piegate davanti a me, protette da un’altra presenza, la quale, fino a pochi istanti fa, mi teneva anche la testa, ma adesso quella stretta si è allentata.

Uno strano odore di terra smossa mi convince ad aprire le palpebre, che si spalancano completamente per lo stupore nel distinguere il viso famigliare di mio fratello a pochi centimetri dal mio, svenuto e con un grosso taglio sulla tempia sinistra, da dove esce un discreto quantitativo di sangue.

“CAMUS, NO! Lo hai rifatto! Perché, perché devi sempre rischiare la tua vita per me?!?” grido, disperata, alzandomi faticosamente a sedere e togliendomi di riflesso la felpa per tamponargli la ferita. Lo sprezzo di prima un lontano ricordo.

Siamo finiti contro il tronco di un enorme castagno al limite della radura, mio fratello deve aver subito un qualche tipo di attacco, oltre ad avermi fatto da scudo con il suo corpo per limitare gli effetti del cozzo su di me. Ingoio a vuoto, tremante, cominciando a premergli sulla ferita con la manica della felpa, perché il sangue continua a scorrergli sulla guancia, per poi scivolare nel terreno.

Non indossa l’elmo, non mi spiego dove sia finito, perché fino ad un paio di minuti fa ce lo aveva, i lunghi ciuffi sono scomposti o impiastricciati di un colore rosso vivo, che trasmette un odore ferroso. Respira regolarmente, ma ha perso coscienza, e questo mi spaventa. La ferita, a onor del vero, per un Cavaliere non dovrebbe essere nemmeno troppo grave, ma la zona così irrorata di linfa vitale, non permette al sanguinamento di richiudersi nell’immediato.

“Sono qui, Camus, è tutto ok...” gli sussurro, accarezzandogli i capelli con la mano libera, prima di sollevargli un poco il volto e adagiarlo sulle mie ginocchia. Cosa diavolo è accaduto?! Non...

“E’… è inconcepibile! - sento esclamare ad un tratto Hyoga, distante, mentre le teste di tutti i presenti ancora coscienti vertono su di lui, sulle sue mani, che stringono qualcosa – A-Aquarius!”

Affinando lo sguardo, capisco quello che vuole dire, sobbalzo, distinguendo l’elmo della sacra armatura di mio fratello, spezzato in due di netto, a metà. Non può… essere!

Hyoga tiene il diadema tra le sue braccia tremanti, sbigottito, mentre Milo, con in braccio Sonia, assottiglia le labbra, sconcertato. Nero Priest è a pochi metri da loro, liberata dal giogo della mia amica, tuttavia non sembra in grado di arrecare più alcun male, nemmeno ad una mosca, allora chi…?

“Priest, mi deludi profondamente! - tuona una voce sardonica, che rimbomba nei dintorni, facendoci sussultare tutti – Hai sottovalutato le due ragazzine?! Non è da te essere giocata in questa maniera. Fei Oz Reed è molto deluso!”

Ci guardiamo confusamente intorno, non riuscendo a capire da dove provenga la voce, nello stesso momento, la nostra avversaria si porta le mani al petto, stringendo le dita convulsamente.

“Chiedo umilmente perdono Divino Ermete, il Trismegisto...” sussurra a denti stretti lei, alzandosi faticosamente in piedi e fissando un punto in cielo, ma non vi è nessuno intorno, anche se si percepisce la sua presenza ovunque.

Scocco un’occhiata a Sonia, la quale ricambia, allucinata da una rivelazione simile: anche lei deve conoscere il mito dietro a quel nome, eppure c’è comunque qualcosa che non torna: Ermete, secondo alcuni, è lo stesso dio Hermes, il padre della mia amica, ma…

“Ti sei lasciata sfuggire Stefano, come se non bastasse le prendi di santa ragione anche dalle due ragazze, senza nemmeno essere in grado di possedere completamente l’Acquario o il Cigno… direi che è abbastanza, no? Ora torna, senza tante storie!” la rimbrotta l’entità invisibile, senza alcuna pietà, in un tono che non ammette repliche.

“Prima dovete sapere che… che la ragazza, Marta, è immune allo Zero Assoluto, questo è un fatto importante, dovremmo...”

“E pensi che il Sommo Fei Oz Reed non lo sappia già?! Hai perso tutto questo tempo per una cosa ormai assodata?! Muoviti, torna alla base!”

“Ma!!! Divino Ermete, i nostri nemici sono allo stremo, è il momento adatto per...”

“Non farmelo ripetere...”

A quel punto Nero Priest, ringhia sommessamente, raddrizzandosi e scoccandoci uno sguardo di fuoco.

“Dove pensi di andare?!” la minaccia Milo, sfoderando l’unghia del pungiglione scarlatto, tardi, perché lei torna immediatamente in forma spirituale, sfuggendoci.

“Ci rivedremo presto, questo è sicuro!” ci saluta, scomparendo nel nulla e lasciando noi con espressione smarrita, la sensazione di essere appena scampati a qualcosa di atroce.

 

 

* * *

 

 

Continuo a fissare il volto di mio fratello, ancora svenuto. Milo si sta prendendo cura della sua ferita alla testa, si è sfilato il mantello, ne ha strappato un lembo e, proprio come quella volta sulla spiaggia, glielo ha premuto sopra per tentare di arrestare il sanguinamento. Ora non sanguina più, il suo respiro è sempre tranquillo, il volto chiaro, ma non pallido. Il mio sguardo è carpito dai movimenti sicuri del Cavaliere di Scorpio, che gli sta attuando un bendaggio di fortuna. Per la medicazione vera e propria dovremo aspettare di tornare a casa.

“Come… sta, secondo te?” chiedo, sfiduciata, sospirando affranta.

“Non ti preoccupare, non è una ferita grave… vedi? Ha già smesso di sanguinare! - mi tranquillizza lui, con il suo solito modo impeccabile di far star bene gli altri, prima di sé stesso – Però ha picchiato violentemente la testa, per questo ha perso coscienza. In fondo, malgrado sia tra i Cavalieri più forti, il suo corpo è sostanzialmente umano, anche se per metà divino!” mi spiega ancora, ultimando il bendaggio per poi posargli due dita sotto il mento e girargli gentilmente il volto per farlo stare più comodo sulle mie ginocchia.

Sospiro ancora una volta, passandogli una mano tra capelli per poi far scivolare le dita sulla guancia pulita e accarezzargli dolcemente la pelle sotto la palpebra abbassata. Poco dopo utilizzo di nuovo la felpa, ormai disastrata, per togliere via il sangue che lo insozza ancora.

“Sei sempre il solito, fratellino… per me, ti butti a capofitto, non pensando nemmeno ai rischi che corri, cosa devo fare con te?” gli chiedo retoricamente, sorridendo amaramente. Il suo gesto mi ha spaventata da morire, probabilmente io, con le mie azioni, ho causato in lui lo stesso, ma ora mi sento i nervi a fiori di pelle, una tensione che non posso più sostenere, mi priva delle forze residue. E’ stato un avventato, come me, ma, ne sono sicura, appena svegliato mi sgriderà per questo, dimenticandosi che lui è esattamente uguale, stessa tempra, stessa sconsideratezza.

Milo sbuffa, prima di ridacchiare tiepidamente e darmi un buffetto affettuoso sulla guancia con l’evidente intento di rassicurarmi.

“Ha anche resistito più di quanto pensassi, sai? Camus ha una insana attitudine al sacrifico, se poi si tratta di te, Marta, arriva al punto di non ragionare neppure… - mi dice in tono agrodolce – Era terrorizzato che ti potesse succedere qualcosa, capisci?”

“Lo capisco, sì...” borbotto, abbassando lo sguardo su di lui, che sembra quasi dormire beatamente.

“Ma avete fatto un ottimo lavoro di squadra, tu e Sonia, siamo fieri di voi, non immagini neanche quanto!” prosegue, scompigliandomi i capelli come faceva Cardia.

“Per quello che è servito… non abbiamo ottenuto nulla!” brontolo, ancora più sfiduciata rispetto a prima.

“Mentre voi siete riuscite magistralmente a bloccare Nero Priest, abbiamo avvertito una strana pressione, quasi ineluttabile, siamo riusciti ad azionarci in tempo per accorrere in vostro aiuto e Camus ha subito, di striscio, l’attacco di quell’Ermete Tris-qualcosa, ma non è questo a preoccuparmi...” ammette, guardando tristemente Sonia, seduta a poca distanza da noi, con ciò che rimane dell’elmo dell’Acquario in grembo. Sembra tutt’ora scioccata, come me, del resto.

“Milo… quale forza occorre per rompere, in questa maniera, una delle sacre armature d’oro?!” chiedo di getto la sua allieva, in evidente apprensione.

“La forza… di un dio, o peggio...”

Il tono adoperato da Milo appare quasi definitivo, ma non risolutivo, trasmettendo a noi il consueto senso di smarrimento davanti ad una cosa ben superiore alle nostre facoltà.

“Quel tipo… Nero Priest ha detto che si chiama Ermete il…?”

“Trismegisto… non lo conosci, Milo?” chiedo, meravigliandomi.

“No, non so chi sia...”

Vedo lo sguardo di Sonia assottigliarsi mentre io mi appresto a parlare. Non deve essere facile per lei.

“E’ una figura mitica… a lui si riconosce la paternità del Corpus Hermeticum, attribuendogli la fondazione della corrente filosofica detta ermetismo. Nel Medioevo tale personalità, fu accollata al dio greco Hermes per l’assonanza dei nomi, convergendo così le due entità che, così pare, siano quindi la stessa...” spiego frettolosamente, trovandovi comunque qualcosa che non torna. Ci sarà tempo per parlare di questo una volta tornati al Santuario, al momento è tutto quello che so.

“Mio padre non c’entra con quell’essere, non sono la stessa essenza, deve esserci un errore!” esclama con fermezza Sonia, rifiutando quell’eventualità.

“Lo so, Sonia… ma gli scritti che sono giunti a noi convergono sulla questione, Hermes ed Ermete sono...”

“Gli scritti sbagliano, deve essere così, del resto il Medioevo fu anche un’epoca di inesattezze, tutto è stato riscritto, o cancellato, in base al Cristianesimo!” afferma, grintosa, discostando lo sguardo furente altrove. Le sue mani, che tengono l’almo di mio fratello, tremano nitidamente.

“S-Sonia...”

“C’è qualcosa che ci sfugge qui, il dio Hermes non può essere implicato in questa faccenda, dobbiamo informare subito il Sommo Shion della faccenda, altrimenti non ne verremo mai a capo!” interviene Hyoga, girato di spalle diversi metri più in là, come a volersi nascondere. E’ distante da noi, vergognoso, ma partecipe.

Il silenzio cala, non sapendo cosa dire per alleggerire la tensione.

Torno a guardare mio fratello, passandogli di nuovo una mano tra i capelli per poi accarezzargli, con il pollice, la guancia. Il suo respiro è nuovamente cambiato, accelerando di un poco e dandomi la consapevolezza che probabilmente si risveglierà a breve.

Cosa accadrà al tuo risveglio? Come reagirai con il tuo allievo, dopo che la verità ti è stata strappata a forza dalle corde vocali?! Non devi lasciarlo solo, Camus, voi dovete stare insieme, meritate di vivere insieme, dopo tutto quello che avete passato, ma… ti conosco, e temo per i futuri, prossimi, risvolti.

“Hyo-Hyoga, come stai?” chiede Milo, visibilmente preoccupato per il ragazzo, il quale continua a darci le spalle, la postura rigida.

“Hai una domanda di riserva, Milo?” chiede, sconsolato, non trovando il coraggio nemmeno per voltarsi.

Vedo il Cavaliere di Scorpio massaggiarsi la testa in cerca di una soluzione per farlo stare meglio, ma non trovando nulla nel concreto, cerca per lo meno una panacea.

“Hyoga, nessuno ti odia, per quello che hai fatto, lo sai, e poi non… non eri in te, per cui...”

“NO, Milo! - lo blocca subito Sonia, alzandosi in piedi e guardando torvamente il Cigno – Perché mentirgli? Meglio dirglielo schiettamente, intanto lo sa già e, dopo tutto quello che è uscito forzatamente oggi, zuccherare la pillola è solo un’ulteriore, infausta, frottola!”

“S-Sonia, non mi sembra il caso di...”

Ma la ragazza, partita per la tangente, prosegue, rivolgendosi al biondo. La fisso sbalordita, meravigliandomi per la cattiveria che traspare dai suoi occhi generalmente dolci e comprensivi.

“Hyoga… alcune cose semplicemente non si possono cambiare, né ora né mai, quindi sarò molto chiara: sia io che Milo ti abbiamo odiato, un tempo, non poteva essere diversamente, del resto!”

Sussulto per l’asprezza del tono, lo stesso fa lo Scorpione, alzandosi in piedi e allargando le braccia al cielo, come a voler placare gli animi.

“S-Sonia!!! Non è il momento per...”

“Milo, lasciala parlare, non ha senso tacere, ha ragione lei, non dovete più… salvaguardarmi, sono sufficientemente grande, ora...” lo blocca a sua volta Hyoga, voltandosi parzialmente nella nostra direzione.

Vedo il suo profilo, vedo la sua smorfia sofferente e gli occhioni lucidi. Non so se è per via di provare anche i sentimenti di Camus, ma… io non riesco ad odiarlo, invece, sono solo molto dispiaciuta per lui, per la tempesta che si sta per abbattere sul suo fragile corpo. Il coraggio che sta dimostrando mi spezza il fiato in petto, dandomi una sempre più concreta amarezza che non riesco ad ovviare.

“Hyoga… ma tu sei pronto a subire tutto questo?” domanda ancora Milo, stringendo i pugni e sospirando.

“Lo sarò, Milo, ti ringrazio… - gli dice, grato – prosegui pure, Sonia, è tuo diritto!”

“Alcune cose non si possono cambiare, tutto qui… - ripete la mia amica, per niente addolcita, deve aver sofferto in prima persona per la perdita di mio fratello, questo è sicuro – Tu hai ucciso Camus con le tue stesse mani, ci hai privato della sua presenza, del suo affetto e del suo sorriso, nonostante questo lui ti ha riaccettato, senza chiedere niente in cambio, perché sei essenziale per lui, per cui… invece di piagnucolare come tuo solito, pensa al modo e alla maniera per sdebitarti, razza di ingrato!”esclama la mia amica, spietata, gli occhi freddi come il ghiaccio.

Capisco che, malgrado il tono così severo, vorrebbe semplicemente dare un consiglio al biondo, ovvero quello di smettere di farsi bucare dalle sue tare mentali, e pensare invece al presente, a quello che può fare da ora in avanti. Ma è comunque inesorabile, si percepisce tutto l’astio provato per lui.

“Sono stato costretto a...”

“TE LO STAI RACCONTANDO A TE STESSO?! Non sei stato costretto, potevi scegliere, e non l’hai fatto, non c’è niente da aggiungere in merito!”

“Atena… - tenta di nuovo Hyoga, prima di scrollare il capo, sempre più prostrato – Uff, Sonia… so di non avere scusanti, tuttavia ti chiedo: vorrai mai sentire la mia versione dei fatti? Riuscirò mai a… spiegarti… cosa ha significato per me quella battaglia, oppure… oppure...”

Osservo Sonia, è il suo turno di serrare le palpebre, quasi trattenendo le lacrime a rinvangare quel ricordo così doloroso per lei.

“Io… Camus era molto importante per me, lo è ancora, anche se in modo diverso, e tu… tu lo hai barbaramente ucciso, lui, colui che ti ha fatto crescere, che darebbe la vita per proteggerti! Potrai cantare e raccontare quello che vuoi… NON TI PERDONERO’! MAI!”

Le labbra di Hyoga tremano, nonostante il Cigno abbia incassato alla ben meglio il colpo. Non riesce a ribattere subito, rimanendo invece a stringere le dita e chiudere le palpebre sofferenti ma prive di lacrime.

“Forse… se ci fosse stato Isaac al mio posto… le cose avrebbero potuto andare… diversamente!” dice, a gran fatica, sopraffatto dalle sue stesse colpe.

Vorrei stemperare la tensione, perché Milo è rigido come una statua, Sonia è acrimoniosa e Hyoga, dopo quello che ha vissuto con questa esperienza, non sembra in grado di reagire nell’immediato, ma un movimento sotto di me attira l’attenzione prima mia e poi degli altri: Camus lentamente ha cominciato a muoversi.

“U-urgh...” biascica, girando il volto dall’altro lato e stringendo le palpebre.

Milo è immediatamente al suo fianco, gli accarezza i capelli, facendogli forza a parole.

“Coraggio, Camus, siamo qui! Riprenditi!”

Io afferro istintivamente la sua mano, respirando profondamente nell’avvertire sciogliersi la tensione. Mio fratello intanto, faticosamente, riapre gli occhi, che mi paiono subito stanchi ma brillanti come di consueto. Ci impiega un po’ a focalizzare l’ambiente circostante, forse per la botta in testa, forse per altro. So solo che nel momento in cui, regalandogli un largo sorriso, faccio per aprire poca, lui, riconoscendomi, esclamando un “MARTA!!!” di intensità crescente, si alza improvvisamente a sedere, acciuffandomi e traendomi a sé, in un impeto emotivo.

Mi ritrovo così tra le sue braccia, stretta al suo petto, che sussulta, così come il suo corpo. Il gesto, da solo, è in grado di togliermi il respiro. Ne percepisco l’immensa magnitudo.

“Sciocca! Sciocca! Sciocca! - mi inzia a ripetere, il respiro rotto, posandomi una mano dietro la testa, mentre l’altra mi circonda la schiena – Non fai che commettere avventatezze, che devo fare con te?! Sai cosa hai rischiato?!? Sei senza armatura e ti butti in un vortice polare senza esitazione, pazza!!!”

E infatti, eccolo qui il rimbrotto velato dalla preoccupazione, come mi aspettavo.

“Camus… - biascico, discostandogli i ciuffi per vedere meglio il bendaggio di fortuna, le macchie rosse si intravedono ancora – Sei tu ad essere rimasto ferito, in questa circostanza...”

“Sciocchezze, non è che un graffio per me! Ma tu sei stata colpita dal potere di Hyoga, l’ho ben visto! - ribatte lui, staccandosi leggermente, per poi posarmi premurosamente una mano tramante nella zona colpita. Inavvertitamente sussulto a quel gesto, non riuscendo a mascherare una smorfia di dolore – Ti fa tanto male, piccola mia?”

“N-no, non è nulla di più, né di meno che il dolore di aver ricevuto un pugno sul fianco...” lo provo a tranquillizzare, sorridendo.

“Ti senti… strana? Non so, infreddolita, costipata...”

“No, Cam, no...”

“Riesci a respirare regolarmente, oppure…?”

“Ma certo, Camus, era solo un pugno!”

“Ma sei stata colpita dallo Zero Assoluto di Hyoga, non è possibile che...”

“Fratello impiastro, mi vuoi ascoltare per una buona volta?! - lo fermo, scherzosa, appendendomi al suo collo e nascondendogli il volto nell’incavo della spalla, i suoi lunghi capelli che mi solleticano il naso -Sto bene, davvero, non ti preoccupare!” lo provo nuovamente a rassicurare, socchiudendo gli occhi.

Camus pare calmarsi un poco, la rigidità dei suoi muscoli cala, mentre, un poco più rasserenato, mi massaggia la schiena con le dita lunghe e delicate. Finalmente chetato chiude gli occhi, assaporando quel contatto.

“Sei una sconsiderata, non mi dai mai retta! Così mi fai preoccupare da morire ogni singola volta, vuoi forse che mi venga un colpo?! Te l’ho detto che il mio cuore non potrà reggere ancora a lungo se continuerai a lanciarti in sciocche imprese!” mi rimprovera ancora, buttando fuori aria.

“Oh, fratellino...”

“Quando andiamo a casa, mi fai vedere la zona colpita dal pugno di Hyoga, non… non sono affatto tranquillo!” stabilisce infine, in un tono che non ammette più repliche.

Sospiro, decidendo, per una volta, di non ribattere niente, ben consapevole che sia solo preoccupato per me. Milo, di fianco a noi, ridacchia, ma dove non può la mia voce ci pensa la mia amica Sonia, arguta come il suo maestro e decisa più che mai a non dargliela vinta.

“Quando arriviamo a casa, ti fai controllare pure tu, Camus, non te la scampi, eh! Hai preso una bella botta in testa, bisogna stare un minimo attenti, anche se sei Cavaliere d’Oro!” gli fa notare, con un sorrisetto sornione, avvicinandosi a noi.

“S-Sonia...”

“Lo ha detto lei, eh, non io!” sogghigna Milo, sempre più divertito.

Vedo la mia amica puntare un dito contro la fronte di mio fratello, tenendo l’elmo con l’altra mano, imprimendo un’espressione categorica in quella di mio fratello. Adoro questa ragazza!

“Parli di avventatezza, ma tu ne sei il capostipite, Camus! Marta è solo una tua emule, invero, condividete lo stesso sangue, la stessa testa di cazzo, non dovresti quindi meravigliarti del suo comportamento, considerando che tu ne sei l’emblema! - asserisce, decisa, ancora bella carica dal già precedente raffronto con il Cigno, poi però si scioglie a sua volta, facendosi cadere per terra e permettendosi di stritolare mio fratello in un abbraccio – Anche tu ci fai prendere sempre dei colpi a me e Milo, pensi forse che il nostro cuore resisterà più a lungo del tuo?!” gli chiede, retoricamente, affondando il suo viso sulla spalla libera di mio fratello.

Camus rimane immobile per una serie di secondi, abbassando lo sguardo a sua volta, come a soppesare quanto detto da lei. E’ lampante che tra loro ci sia un legame profondo, in genere Sonia cerca di non darlo troppo a vedere ma qui si è manifestato pienamente. Del resto, devono conoscersi da anni.

Alla fine del travaglio, mio fratello butta fuori dell’altra aria, tornando a stringere sia me che Sonia, avvicinando le nostre teste alla sua, con fare protettivo. La mano destra è posata dietro la mia nuca, la sinistra invece dietro la nuca di lei. Socchiude gli occhi, prima di sorridere leggermente.

“Hai ragione… sono anche io discretamente senza speranze, non rendendomene nemmeno pienamente conto, ma… ci siete voi con me, mi proteggete, ed io… io sono al sicuro con voi!” ammette, riaprendo le sue meravigliose iridi in un palpito emotivo.

Poco dopo torna a guardare l’elmo rotto della sua sacra armatura, spezzato di netto, pensieroso, una leggera ombra gli oscura il volto, aumentando di intensità nello scorgere l’allievo, il quale, accorgendosi della direzione del suo sguardo, si affretta a girarsi completamente, forse nel tentativo di nascondere gli occhi lucidi. Povero Hyoga, mi dispiace così tanto, per lui, e anche per mio fratello. Entrambi sono ora fratturati, il rapporto che erano riusciti faticosamente ad assemblare, è nuovamente spaccato in numerosi frammenti, ancora più piccoli. Qualcosa di sacro, è stato irrimediabilmente violato ed è tutta colpa di quella Nero Priest e del mio non essere riuscito ad avvertirli per tempo.

“Camus, non ti preoccupare per i danni subiti dall’elmo della sacra armatura dell’Acquario, sono sicuro che può essere facilmente aggiustato da...”

Un fascio luminoso blocca il tentativo di Milo di alleggerire la tensione. Con un sonoro ‘pop’, compaiono, a poca distanza da noi, proprio coloro che il Cavaliere di Scorpio stava per nominare.

“Mu! Kiky!” esclamiamo in sintonia, meravigliati, nello stesso momento in cui Sonia ed io ci stacchiamo dal corpo rassicurante di Camus.

Mu sembra un poco frenetico, ci guarda uno ad uno, un leggero tremore sul suo viso generalmente sempre tranquillo. Si sofferma di più su di me, e so cosa significa: guai, nient’altro che guai. Ma ne ero consapevole.

“Sie-siete stati attaccati, vero? Il Santuario è in subbuglio, abbiamo avvertito un cosmo immane provenire da qui, poi due spesse aure congelanti che cozzavano tra loro… che è successo, amici?!” ci domanda, soffermandosi a vedere la radura congelata, gli alberi abbattuti e il grosso solco sul terreno.

“Vi spiegheremo tutto una volta giunti al Tempio, promesso! Ora torniamo a casa, insieme!” interviene Milo, presagendo la gravità dallo sguardo del compagno.

“Lo farò, amico mio, solo che… come dire...” il suo sguardo gentile torna su di me, non sapendo bene come spiegare. Ma ho capito l’antifona.

“Mu, so cosa mi stai cercando di dire, ma sono pronta a prendermi la responsabilità delle mie azioni!” affermo, caparbia.

Automaticamente sento la mano di Camus stringere la mia, il suo busto avvicinarsi a me, con fare protettivo. Lo guardo con gratitudine, ringraziandolo mentalmente per essere sempre al mio fianco a prendere le mie difese, ma temo che questa volta non sarà sufficiente.

“Non vorrete punire, Marta, vero? Se non fosse stato per lei e per Sonia, questa missione avrebbe potuto finire molto peggio, perché Hyoga ed io...”

Mu discosta lo sguardo, vorrebbe farci sentire la sua vicinanza ma non può, è Kiky ad intervenire, aiutato dalla spontaneità infantile che lo contraddistingue.

“Lo sappiamo, Camus, e lo sa anche il Nobile Shion, ma… vuole comunque prendere provvedimenti...”

“E’ follia! Marta è solo una ragazzina, non ha avuto un addestramento da Cavaliere, è fuori dalla legislatura Santuario, non potete…!”

Ma gli accarezzo un braccio per tranquillizzarlo e dimostrargli che per me va bene, prima di alzarmi in piedi.

“Sono pronta a ricevere qualsivoglia punizione, ma la cosa più importante è informarvi sull’identità di questi due nemici, perché ne sono usciti i nomi. Torniamo al Santuario!” asserisco, stringendo i pugni.

 

 

* * *

 

 

“...Ermete Trismegisto, Nero Priest i Pilastri, di cui fanno parte, mi avete detto, giusto?” chiede conferma Shion, in piedi davanti a noi, pensieroso.

Milo e Camus hanno spiegato, a grandi linee, la situazione, non omettendo alcun particolare, a parte il mio intervento, ovvio, di cui però il Grande Sacerdote è completamente consapevole, lo comprendo dalle occhiate di circostanza che mi scocca ogni volta. So che è solo questione di (poco) tempo, che presto rivelerà le sue intenzioni, nonché la mia punizione per aver disobbedito. Ed io sarò pienamente franca, con lui, quando mi chiederà delucidazioni a riguardo. Non nasconderò nulla, so come ho agito e so perché, sono pronta ad accettarne le conseguenze.

Mio fratello è inquieto, lo comprendo dalla postura rigida, mentre Hyoga è con la mente altrove, ancora attorniato dal senso di colpa e dalla disputa avuta con la persona più importante per lui.

“Non posso credere che questo Ermete sia equiparato al dio Hermes, mio padre, deve esserci qualcosa di non detto!” afferma Sonia, sicura più che mai.

“Penso tu abbia ragione, Sonia, – acconsente Shion, serio in volto – in numerosi documenti storici medievali rappresentano la stessa personalità, ma è fattibile che gli scritti originali siano andati perduti in quel periodo di caos, occorre quindi fare qualche ricerca su CHI possa essere questo Ermete, per farlo, occorrerebbe chiedere anche ad Hermes, pensi di riuscire a metterti in contatto con lui?” gli chiede, scrupoloso, guardandola intensamente.

“Non… non vedo mio padre da molto, non so dove sia...” ammette Sonia, sospirando.

Decido di prendere parola io, in quanto in possesso di una informazione che gli altri non sanno.

“Efesto aveva detto che, dopo i casini con il falso Crono, c’è non poco scompiglio lassù. sull’Olimpo, quindi è facile che tuo padre sia lassù con il mio, intenti a collaborare con Zeus per riportare ordine nel cosmo...”

“Quindi non posso contattarlo...” sussurra scoraggiata Sonia, incassano la testa tra le spalle. Shion non dice niente, ma mi guarda con un non so che di implacabile. Abbasso di riflesso lo sguardo.

Camus intanto mi da una leggere gomitata sul fianco destro, stando attento a non farmi male.

“Hai visto nostro padre? Perché non me lo hai detto?” mi chiede, un poco corrucciato. Sospiro, rendendomi conto di non poter dire la verità piena, l’ho promesso a Shion.

“Sì… e ci ho litigato”

“Ci hai…? Oh, Marta, non mi sembra il momento adatto per...”

“E’ più forte di me, l’ho visto e l’ho insultato perché lui, in tutti questi mesi, non si è mai preoccupato per le tue condizioni! Anche ora, che sei ferito, lo vedi da qualche parte? No… e allora abbiamo disquisito su quello!” gli spiego, arrossendo un poco.

Mio fratello, dopo un attimo di meraviglia, mi passa una mano tra capelli, sorridendomi leggermente, prima di accarezzarmi teneramente una guancia con il pollice in un gesto furtivo ma che riesce comunque a riscaldarmi il cuore.

“Sei… sei tremenda, piccola mia! - mi dice affettuosamente, staccandosi ma continuando a farmi percepire il calore tramite il suo sguardo – Non ha importanza se lui non si preoccupa, davvero, la mia famiglia siete voi!”

Mi si illuminano gli occhi al solo udirlo, faccio per rispondergli con un largo sorriso, ma la voce imperiosa di Shion, intercetta le mie azioni, portando una ventata di gelo seduta stante.

“E tu, Marta, cosa mi sai dire di Nero Priest? - mi interroga, prima di assottigliare lo sguardo – Perché ti sei precipitata da loro, non so ancora come, per avvertirli di lei, giusto?”

Sostengo il suo sguardo, sebbene abbia l’impulso di abbassarlo immediatamente, ma resisto, ricercando le parole adatte per incanalare il discorso. Prima di riuscire a spiccicare parola, però, interviene Milo, desideroso di proteggermi.

“Marta ci ha seguiti perché era in pena per suo fratello, abbiamo saputo del potere di questa Nero Priest dallo stesso Ermete, che...”

“No, Milo… ti ringrazio, ma non è così, e Shion lo sa bene!” lo intercetto, sorridendogli con gratitudine per l’estremo tentativo di difesa.

Sospiro, tornando a guardare il Pope, il quale non ha mosso un muscolo, neanche facciale, dalla postazione altolocata in cui si trova.

“Di Nero Priest mi ha detto Stefano, che sono andata a trovare contravvenendo alle regole...”

“Marta!!! Non c’è bisogno di dire tutto, così ti metti nei guai, ed io non posso più aiutarti!” esclama a sua volta Camus, sbracciandosi come a volermi fermare, ma io sono certa di dover andare fino in fondo.

Shion continua ad essere imperturbabile, all’apparenza.

“Stevin si è ricordato di essere stato suo prigioniero in questi due anni. Lui è innocente, come vi avevo detto, ha rammentato che il potere di Nero Priest verteva sul controllare e manovrare le pulsioni umane, per questo mi sono preoccupata per mio fratello: sapevo che tra lui e Hyoga c’era molto di non detto, volevo fermarla prima che li toccasse, ma… ho fallito!” ammetto, sospirando, dando un pugno al suolo.

Ora anche il Cavaliere del Cigno, a grossa distanza da noi, mi fissa sbalordito, serrando poi la mascella in un impeto di prostrazione.

“Quindi, Marta… sei andata per due volte consapevolmente contro il volere del Santuario di Atena, che io rappresento?” chiede conferma Shion, un poco corrucciato.

Non capisco perché continui a chiederlo, non lo sa forse già? Perché qui deve essere tutto così complicato e pieno di sotterfugi?!? Davvero io non mi ci ritrovo!

“Sì, Nobile Shion...”

“Marta, sai che questo comportamento ha delle conseguenze, vero? Tu non ne sei esente, poiché, anche se da poco, fai parte delle schiere di Atena...”

“Signore, in tutta onestà… me ne infischio della cosiddetta Atena!”

Cade uno spesso gelo tra noi, a seguito della mia affermazione impertinente. Shion mi fissa incredulo, Milo ha la bocca aperta, così come Sonia che però si riprende subito, mentre mio fratello scuote la testa, sempre più disperato da ciò che, molto probabilmente, lui vede come un mio tentativo di suicidio.

“Sciocca… certe cose dovresti tenertele per te!” mi rimprovera infatti, tremando distintamente.

“Ma è la verità, cos’altro?! Non mi frega di Atena del presente, non l’ho neanche mai vista! Davvero voi pensavate che, portandoci qui a giugno di quest’anno, noi saremmo diventate paladine di una dea che dice di rappresentare la giustizia e che però non si fa mai vedere?! MA CHISSENEFREGA! - sottolineo, ribelle più che mai, dopo averci rimuginato a lungo in questi mesi – Proteggere le persone a me care e le meraviglie di questa bella terra, questo sì che mi preme; proteggere te, fratellino, questi sono i miei desideri!”

Camus continua ad essere livido e a tremare, sempre più preoccupato per me, nel vedermi lanciata nell’ennesima, sciocca, impresa.

“Non sei nemmeno in grado di proteggere te stessa, ottusa che non sei altro, come pensi di svolgere gli obiettivi che ti sei prefissata?! - si oppone, tenendo lo sguardo abbassato, prima di alzarlo nella mia direzione – Come pensi che ti possa difendere, ora, hai idea di quanto ti sia impiastricciata con queste tue ultime parole?!?”

“Non importa! Sono disposta a subire le conseguenze delle mie azioni, ma non cambierò idea! Atena combatte con i suoi Cavalieri, mi è stato detto, ma non ha mai fatto nulla per te, Camus, o per Milo, io ho agito per ciò che credevo giusto... - affermo, sentendomi ferita, non so perché, dalle parole di mio fratello, prima di tornare sul Grande Sacerdote – Resto in attesa delle vostre disposizioni, Sommo Shion, qualunque esse siano!”

“Marta… coff, coff… non posso dire che non apprezzi la tua sincerità, però… tuo fratello ha ragione: hai violato almeno una dozzina di regole in un colpo solo, e la pena per l’insubordinazione è la morte, lo sai, vero?” mi interroga Shion, andando dritto al punto.

“Grande Sacerdote, io...”

“NO, Camus, non pensarci neppure! Non prenderai su di te la punizione al posto di Marta, la ragazza ha accettato di subire la conseguenza delle sue azioni, in modo molto maturo, aggiungerei, tu non ne puoi niente…” ferma immediatamente i suoi propositi, tramutando comunque la sua espressione in una più comprensiva.

“E pensate che io vi lasci fare ciò che volete con mia sorella?! Sono un Cavaliere di Atena, è vero, ma sono anche suo fratello maggiore, lei è una ragazzina, non...”

“Ragazzina? Mi pare che Marta il prossimo anno diventi Maggiorenne...”

“La questione non cambia, non le torcerete un capello, non lo permetterò!” sibila lui, scoccandogli un’occhiata di fuoco, per un istante ho come l’impressione che lo voglia persino attaccare, ciò mi terrorizza, ma Shion, con gesto pacato, alza un braccio.

“Calmati, Cavaliere… ho detto che la pena per l’insubordinazione è la morte, ma so anche che Marta, e le altre, non sono qui per diventare Sacerdotesse Guerriero, bensì per essere protette, e che quindi la pena capitale sarebbe sproporzionata alla colpa – lo tranquillizza, chiudendo brevemente gli occhi, vedo la muscolatura rigida di mio fratello sciogliersi – Però ti invito a riflettere, Camus, tu la consideri una ragazzina, ma, di fatto, non lo è, non avrai sempre la facoltà di proteggerla, ha la sua testa, ormai!”

“La facoltà mi è stata strappata diciassette anni fa, proprio da voi, non è forse così?! Non ho mai… non ho mai potuto proteggerla, se per questo!” stride tra i denti, adirato, alzandosi nuovamente in piedi per scrutarlo con astio.

Shion decide di soprassedere, tornando a concentrarsi su di me, ancora inginocchiata, un poco intimorita, tra Milo e mio fratello.

“In ogni caso mi prendo un po’ di giorni per decidere la punizione, ora siete stanchi e feriti, tornate nelle rispettive dimore e rifocillatevi. Grazie per avermi portato informazioni così indispensabili, farò qualche ricerca per poter così adoperare una strategia per opporci, ora che sono usciti i nomi di due dei nemici che stanno collaborando con il Mago!” si accomiata Shion, dandoci le spalle e dirigendosi all’interno del tredicesimo tempio, lontano dai nostri sguardi che possiedono le più svariate emozioni.

Torniamo quindi alla Casa dell’Acquario, stanchi, sporchi e feriti. Nessuno di noi ha più il coraggio di dire nulla, tanto meno Hyoga, chiuso in un mutismo perpetuo che mi desta preoccupazione.

Neanche il tempo di entrare tutti nelle stanze private, che veniamo accolte da Francesca e Michela, in piedi ad aspettarci con un pizzico di timore. Quando varchiamo finalmente la soglia, vedo la mia amica più piccola precipitarsi prima da Hyoga che la scansa con gesto gentile ma fermo, straniandola ancora di più, e poi da Camus, il quale invece permette alla più piccola delle sue allieve di circondarlo in uno dei suoi soliti impetuosi abbracci.

“Maestro!!! Che succede, dove sei stato?! Eravamo così in pena nel non trovarti qui, e anche Marta, non c’era più!!! - farnetica, visibilmente agitata, poi lo guarda meglio, vede che è ferito, sussulta e, sebbene la più alta fra noi, ad eccezione di Milo e dello stesso Camus, si rannicchia contro il suo petto, in cerca di protezione – Hai una ferita alla testa! Devi aver perso molto sangue!!!”

“Michela, va tutto bene, ora siamo qui, un po’ malconci, ma non è nulla di grave!” la prova a rassicurare mio fratello, sorridendole con affetto e ricambiando la stretta.

“No! Ci siamo svegliate, il tuo cosmo era lontano, e poi, è diventato più fioco, abbiamo avuto paura!” insiste lei, frenetica.

“Stai tranquilla… Shion ci ha affidato una missione, a me e Milo, non potevo rifiutare, ma ora sono tornato, un po’ di riposo e domani starò meglio!” continua, socchiudendo gli occhi e massaggiandole la schiena, godendosi quel contatto. Dall’esperienza nel passato è diventato molto più espansivo, la cosa mi fa un enorme piacere. Sorrido automaticamente.

Nel frattempo vedo Hyoga, mesto, allontanarsi da noi e salire le scale, sempre senza dire una parola, lo seguo con lo sguardo, almeno fino a quando non entra nel mio campo visivo l’indice puntato di Francesca, la quale, con un goccio di severità, mi sventola il dito da una parte all’altra. Ha atteso di vedere, da distante, se le condizioni di Camus non fossero gravi, fatto questo, si è sentita di prepararsi la ramanzina, che comincerà a breve, già me la sento colare giù dal naso.

“Bene… il Nobile Shion ha affidato la missione a Camus e Milo, e tu che c’entri?! Dove eri sparita?!? Cosa hai combinato?!? Eh??? Marta, parlo con te, era necessario far angustiare ancora di più tuo fratello?! Si è ferito per proteggerti, di nuovo?!?” sbraita, da perfetta seconda mamma. Sospiro.

“Fra, ho facoltà di rispondere, o no? Perché mi sei inveita addosso con mille quesiti! Posso capire la preoccupazione, ma qui sembra più un interrogatorio!” commento, rapida, sostenendo il suo sguardo.

“Hai, sì, facoltà di rispondere, ma ti conosco bene, Marta… so come ragiona la tua testa, e so che non dovevi andare, tutto qui… Immagino che Camus volesse tenerti fuori dalla faccenda!”

“Camus voleva tenermi fuori dalla faccenda, ma avevo più di una ragione per andare, quindi sono partita e stop, né più, né meno!”

“Quando imparerai a rispettare il volere di tuo fratello? Lui si preoccupa da morire per te!”

“Boof… - verseggio, un poco irritata, anche se comprendo le sue ragioni – Quando imparerò? Probabilmente mai! Sono diventata più forte, posso combattere al suo fianco ora, non lo lascerò più da solo!”

Francesca socchiude gli occhi, radunando tutta la sua pazienza, poi riapre le iridi brillanti, come se avesse sondato le parole da usare e le avesse infine trovate e riportate a galla, ma Sonia, affiancandomi e prendendo le mie difese, interviene nella disputa.

“Fra, non so come ragioniate voi Olimpi, probabilmente se Zeus vi ordina una cosa siete subito lì ad adempiere ai suoi voleri, ma il mondo umano è un pochetto diverso, un poco più sfumato! Marta era preoccupata per Camus e Hyoga, perché ha scoperto prima di noi l’identità del nemico, io ero preoccupata sia per loro che per Milo e allora sono andata, malgrado le opposizioni; Marta, non essendo stata informata per tempo, ci ha raggiunti dopo, tutto qui!” spiega, un poco stizzita.

La discussione fra noi prosegue a fasi alterne, discorsi vari si mischiano tra le mura che possiamo definire ormai domestiche, finché, un tonfo sordo non blocca i movimenti di tutti. Alziamo lo sguardo le nostre palpebre si spalancano nel riconoscere la figura di Hyoga davanti a noi, cambiato, con abiti leggeri e, cosa ancora più importante, con uno zainetto e lo scrigno della sacra armatura con sé. Non guarda direttamente nella nostra direzione, pare contrito, ancora un poco spaventato, insicuro, ma quando finalmente trova le forze di puntare i suoi occhi azzurri su Camus, perfettamente immobile e incapace di comunicare, la sua espressione è quanto di più deciso gli abbia mai visto. Stringo i pugni, capendo che la frattura è, come già temevo, irreversibile.

“Io… me ne vado!” palesa le sue intenzioni, riprendendo in mano lo zainetto e posizionandosi l’immenso scrigno, sicuramente pesante, sulle spalle. Detto questo si dirige, determinato, verso di noi, continuando a guardare negli occhi il suo mentore, non un goccio di esitazione. Milo prova disperatamente ad intervenire, cercando di salvare il salvabile.

“Ragazzo, nessuno ti sta cacciando di qui, questa è la tua casa, nessuno ti caccerà mai… prenditi una notte di riposo e...”

“Ci ho già pensato a lungo, Milo, non avrebbe senso impuntarsi ulteriormente, io me ne devo andare!” ripete, secco, superando, con passo incalzante, il gruppetto di noi ragazze, tra cui Michela sempre più incredula, poi Milo, e, infine, lo stesso Camus, fermandosi giusto poco dopo, la schiena contrapposta a quella del maestro.

“Nessuno mi sta cacciando, lo so… lo sto facendo io medesimo: sono indegno, questo basta per allontanare la mia presenza da voi. E’ per il bene di tutti...” continua, sospirando appena.

“Hy-Hyoga, cosa sta… cosa sta succedendo?! Perché… perché te ne devi andare???” riprova Michela, l’unica in grado di muoversi, tra noi, immobilizzate dalla tensione. Sta cercando una spiegazione logica, poverina, perché fino a ieri sembrava andare tutto a gonfie vele, e ora… ora è tutto a catafascio, ed è inconcepibile per lei.

Nella stanza ricade il silenzio, non sembra volare neanche più una mosca. L’unico che potrebbe salvare la situazione è Camus, lo so, l’unico, in grado di pronunciare una parola in grado di far rimanere qui il Cigno dalle ali ormai spezzate, ma… non lo farà...

“Non obbligo nessuno a camminare al mio fianco, se non lo desidera… Se pensi che la scelta migliore sia andartene, vai, Hyoga, non mi opporrò!”

Cala il sipario. Lapidale.

Nel medesimo istante accade che mio fratello, imitando l’allievo, se ne va per la sua strada, non degnando più nessuno di uno sguardo e dirigendosi in cucina, Francesca apre più volte la bocca, non trovando le parole, mentre Hyoga, del tutto incapace a difendersi da quel colpo, fa ricadere le braccia lungo i fianchi. Arreso.

Siamo tutte con i nervi a fior di pelle, con la coda dell’occhio, sento Milo urlare un: “Cosa? COSA?!? Vieni qua, esimia testa di cazzo, ma cosa hai nel cervello, la segatura?!?” seguendolo subito dopo a ruota e aprendo di slancio la porta. Michela si è portata una mano al petto, quasi le mancasse il respiro, mentre Hyoga, non avendo ottenuto più alcuna parola di conforto, stringe i pugni e incassa la testa tra le spalle, trattenendo a forza un singhiozzo.

Ingoio a vuoto, fissando la mia espressione in quella rassegnata di Sonia, che ricambia, massaggiandosi le tempie. E’ accaduto tutto così in fretta che non c’è stato tempo di reagire, e ora… la situazione è irrimediabilmente compromessa.

Hyoga sembra quasi sul punto di piangere, ma si trattiene, i lunghi capelli biondi gli ricadono in avanti, poco prima di girarsi e guardare un’ultima volta la sua ragazza.

“Michela, abbi cura di te e… del Maestro Camus, finché io sarò lontano…” si accomiata, posando la mano sulla maniglia con l’ovvio intento di andarsene, ma la nostra amica si getta a capofitto tra le su braccia, in lacrime, singhiozzando.

“No, Hyoga, ti prego… non andare! Non abbandonarmi come ha fatto mio padre, non lo sopporterei, io non… sigh!” farfuglia, schiacciata dalle emozioni.

“Michy, non ti abbandonerò, non cambierà nulla fra noi, ci potremmo sempre sentire e vedere, in qualche modo, ma… devo andarmene! - prova a spigarle, ricercando le parole – Questo non è più posto per me...” sussurra, posandole una mano dietro la nuca e stringendola a sé, in un modo protettivo che mi ricorda molto Camus, del quale ha imparato tutto, persino il temperamento. Neanche io voglio che se ne vada…

“Perché te ne devi andare??? Camus non ti ha cacciato, perché vuoi allontanarti?!? Io non capisco!!!” prova ancora ad opporsi la mia amica, quasi disperata.

“Sarà il Maestro Camus a parlartene, se vorrà...”

“Non voglio, Hyoga! Non voglio… amore mio!” tenta perpetuamente di opporsi Michela, terrorizzata dall’idea di essere abbandonata. Un trauma ben vivo in lei, che rischia di riproporsi.

Il Cavaliere del Cigno non risponde, limitandosi ad accarezzarle i capelli e fissare la sua espressione mesta nelle nostre. Ricambiamo quella richiesta di aiuto, sapendo fin troppo bene di non poter nulla in questa circostanza. Chi possiede questo potere è nella stanza di là, chiuso a riccio al mondo e sofferente, ma non ritratterà.

“Temo che… che mi dobbiate spiegare un po’ di cose...” ammette Francesca, rivolta a me e Sonia. Intanto Michela si è staccata un po’ dal suo fidanzato, anche se continua a piangere, Hyoga le fa ‘pat’ ‘pat’ sulla testa, non sapendo in che altro modo far percepire la sua vicinanza. Secondi di silenzio, prima che sia di nuovo il biondo a prendere parola.

“Marta… ti ringrazio per avermi fermato! - asserisce, facendomi sussultare. Lo guardo, incredula – Grazie… la luce che avevi negli occhi in quella circostanza, la determinazione, il non volerti arrenderti… erano semplicemente splendenti! Solo un’altra persona era in grado di produrre quella luce sfavillante con un’unica occhiata e con poche parole… un’unica persona, mio fratello! E ora capisco perché Camus, al di là che tu sia sua sorella, si è affezionato così velocemente a te, glielo ricordi...”

Sussulto, capendo che si sta riferendo ad Isaac. La mia espressione muta impercettibilmente a quelle parole, non voglio darlo troppo a vedere, ma mi ha colpito profondamente.

“Mi è sembrato di rivivere quel momento… - confessa ancora, impercettibilmente, facendo capire a me che anche lui poteva vedere ciò che ho scrutato anche io, come se il suo potere, il suo Zero Assoluto travalicasse i confini del tempo, o forse era Isaac medesimo a… travalicare i confini? Non ho rispose... – Comunque non perdere mai quella luce, non fare come mio fratello, non… uff, sei indispensabile per il Maestro Camus, non… prenditi cura di te stessa, Marta, se lui dovesse perderti non… non si rialzerebbe davvero più, non dopo tutto quello che ha già perso!”

Parole oscure, neanche troppo comprensibili, forse ha voluto essere enigmatico apposta, essendo un tassello ancora troppo doloroso per entrambi.

Lo vedo ancora una volta ccarezzare teneramente la guancia di Michela, prima di voltarsi e non girarsi più, determinato a non tornare più sui suoi passi. Ma è il mio turno di intercettarlo, stavolta.

“Hyoga?”

“Mhm?”

Il suo viso mi scruta parzialmente, attendendo il proseguo del discorso. Mi metto una mano sul petto, chiudendo e riaprendo gli occhi, fieri a mia volta.

“Siamo… amici, vero?”

Chiedo, ingenuamente, mentre l’espressione del biondo diventa ancora più sbalordita di prima. Per scacciare via l’imbarazzo, alzo il braccio destro lo piego davanti a me e, con la mano stretta a pugno, gli mostro il dorso.

“Ti… considero tale, già da un po’, a dire il vero, ma… volevo… volevo chiedertelo schiettamente! Fai parte della mia famiglia, è accaduto tutto così naturalmente, non so se riesci a rendertene conto!”

Vedo Hyoga rilassare i muscoli e sorridere tra sé e sé, passandosi una mano tra i capelli, prima di imprimere il suo sguardo su di me.

“Cielo… ed io che mi facevo mille problemi su come mi vedessi tu - ridacchia lui, un poco più rilassato, prima di rispondermi – Siamo allievi dello stesso insegnante, non possiamo essere altro che amici o, anche...fratelli! Sempre se tu voglia averne un altro, oltre a quello che hai già!” accetta, più caloroso del solito, scambiandomi un ultimo sorriso, che ricambio.

“Due fratelli impiastri?! L’idea non è così male!” commento, facendo, linguaccia e grattandomi la testa, imbarazzata.

“Famiglia… è una parola così bella...” sussurra ancora, gli occhi lucidi e persi in qualche ricordo passato.

“E allora torna qualche volta a casa… ok? Noi… ti aspetteremo trepidanti!”

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Ed ecco il nuovo capitolo, che recherà, come già detto, grossi parallelismi con il 14 della Sonia’s side story, in fase di scrittura, anche se ci vorrà un bel po’, perché il capitolo è lungo, io vorrei renderlo in una certa maniera e non è facile.

Dunque, un’ottima prova per Marta e Sonia, questa, un po’ meno per il Cigno, che se ne va con la coda tra le gambe, disintegrando tutti gli sforzi di Milo in un colpo solo, ma recupererà il nostro biondino, non temete, sia sul campo di battaglia che con Camus (anche perché se aspettiamo Camus campa cavallo!).

Questo capitolo reca con sé una frattura insanabile tra maestro e allievo, ma anche dei nuovi nemici, nuovi dubbi, un “nuovo” Camus, più espansivo, come già avete potuto vedere in questa storia, e nuovi sconvolgimenti.

Marta si sta distaccando dal volere del Santuario, per le ragioni che lei stessa ha spiegato… un po’ brusca? Ma, effettivamente, dal suo punto di vista, è più che umano reagire così, non ha avuto una preparazione, semplicemente si è trovata qui all’età di 17 anni… chissà invece cosa ne penseranno le altre e dove decideranno di andare!

Per il momento, i parallelismi si vedranno con il capitolo nuovo della storia di Sonia, ma già qui sono abbastanza vistosi: Marta e Isaac!

Che legame c’è tra i due, oltre ad essere simili su alcuni lati caratteriali? E, ancora, è stato lo Zero Assoluto di Hyoga a trasportare i ricordi, oppure… Isaac stesso? Per alcune domande avrete risposta già nel capitolo 14 della storia di Sonia, per altre vi toccherà attendere!

Al solito ringrazio chi mi segue, chi recensisce, chi inserisce la storia tra le preferite o seguite, ecc… spero di riuscire a continuare ad intrattenervi! :)

 

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Capitolo 10
*** Lo squarcio dentro di te ***


Capitolo 10: Lo squarcio dentro di te

 

 

 

“…non obbligo nessuno a camminare al mio fianco, se non lo desidera??? Ma, dico, ti ha dato di volta il cervello, Cam?!? Per affermare questo facevi prima a dargli una pedata in culo e buttarlo fuori di casa tu medesimo, sarebbe stato più corretto!”

Appena entrate in cucina, veniamo accolte dall’urlo viscerale di Milo, ancora intendo a sbraitare contro un elusivo Camus, girato di spalle appoggiato lavandino. La testa gli ricade in avanti, come al suo allievo poco prima di andarsene, le palpebre serrate. Si percepisce fin troppo bene il dolore che sta provando, non certo per la ferita in fronte.

Non fiatiamo, ci limitiamo ad osservare lo svolgere dei fatti intorno a noi, sebbene Michela, ancora più abbattuta rispetto a prima, sia più assente del solito. Si sorregge a Sonia, la quale, dispiaciuta, le tiene la mano. Francesca ed io invece ci scambiamo occhiate infauste.

“Hai la lingua per parlare?!? O sei diventato sordo?! Rispondimi, Cam!” lo incalza ancora più spietatamente Milo, ad un goccio da perdere completamente le staffe.

“Ti ho sentito, sì, e quindi?”

“E quindi?!? Corri da lui, cazzo! Corri da Hyoga e fermalo, digli che hai bisogno della sua presenza, che non vuoi che se ne vada, invece di stare qui corrucciato, sull’orlo dalle lacrime, a fissare il buco del lavandino come se desiderassi essere aspirato e sparire dalla faccia della Terra”

“NON STO PIANGENDO!” esclama stizzito Camus, gettando un’occhiata in tralice all’amico. Non sta piangendo, no, ma i suoi occhi sono lucidi e il suo corpo trema.

“Raccontati la storia che preferisci, ma vai da lui, ORA! Prima che sia troppo tardi!”

“Lo hai udito il ragazzo, ha preso la sua decisione, chi sono io per fermarlo?!”

A quel punto vedo Milo mettersi le mani nei capelli e picchiare esaustivamente la nuca contro la parete lì vicina, sussurrando un: “Dei, ci uscirò di testa con voi due, sempre che non sia già successo!”

Camus non fiata, se ne rimane lì, la benda ancora sulla fronte, l’espressione di chi si sta trattenendo in tutte le maniere da fare quanto dice l’amico, forse per orgoglio, forse per problematicità ad esprimersi, ma sta lì, soverchiato da qualcosa che non riesce ad affrontare.

“E’ tardi, Milo… - ammette alla fine, chiudendo le palpebre in maniera molto sofferta - Non posso cancellare quanto uscito dalle mie labbra... è irreversibile!”

“Lo sarà solo se tu rimarrai qui, a sentirti in colpa e a starci male senza correre dal tuo allievo… allora sì che lo sarà, ma ora puoi ancora fare qualcosa, VAI!”

Camus serra i pugni, fissando il pavimento, per un solo secondo avverto in lui l’impulso di correre per davvero per afferrare la mano di Hyoga e supplicargli di rimanere con lui, al suo fianco, perché mio fratello ha bisogno di lui, lo percepisco nitidamente, ma è ancora l’ombra di Isaac, allievo amato e perso, a frenare i suoi desideri, riportandolo alla rassegnazione. La stretta delle sue mani si scioglie.

“Non lo farò… Hyoga ha scelto consapevolmente, non sono stato io a cacciarlo...”

A questo punto Milo esplode in tutto e per tutto.

“MA VOI DUE NON CAPITE PROPRIO UN CAZZO L’UNO DELL’ALTRO, EH?!? Hyoga, dopo quello che ha vissuto quest’oggi con te, voleva sentirsi dire di rimanere! Sai com’è fatto, conosci le sue insicurezze e i sensi di colpa, lo hai cresciuto tu, dannazione! Solo quello desiderava, che il suo maestro lo rassicurasse, che gli dicesse di rimanere, e invece...”

“E INVECE IL DISCORSO E’ CHIUSO, MILO!” lo interrompe Camus, prendendo e uscendo dalla cucina, con passo pesante, ma lo Scorpione lo segue a ruota, deciso a non dargli requie.

“Eh, no, signorino, ti conosco, non scapperai stavolta!”

Ci guardiamo contrite tra noi, ad eccezione di Michela che subisce passivamente tutto quello che sta succedendo; siamo indecise se seguire i nostri maestri ancora una volta, consce che si tratta di un argomento privato, anche se… beh, oddio, visto i toni usati, non resterebbe a lungo un segreto, anzi, non mi meraviglierebbe affatto se Shura e Aphrodite, dalle loro rispettive dimore, avessero udito persino il discorso completo. Decidiamo infine di seguirli, trovandoli poco dopo, nel corridoio, Camus dentro il bagno a tentare di chiudere la porta e Milo, fuori, a provare a impedirglielo, entrambi a ringhiarsi reciprocamente.

“Devo andare in bagno e medicarmi la ferita, pensi che mi seguirai anche qui, Milo?! Ti ricordo che è casa mia!” esclama Camus, in tono aggressivo, cosa che non intimorisce affatto lo Scorpione.

“Ti seguirei pure in capo al mondo per impedirti di commettere cazzate! E quella tua testolina lì, ringrazia che sei ferito, altrimenti la farei sbattere talmente tante volte contro il muro che, una volta rinvenuto, metteresti le ali ai piedi per raggiungere il tuo Hyoga!”

“VATTENE!”

“Niente da fare, RESTO!”

Ne consegue un tira e molla, dalla porta che, se la situazione non fosse compromessa, farebbe anche ridere, ma dato il malumore generale di tutti, mette solo una gran tristezza.

Ad un certo punto Camus, capendo di essere braccato e di non avere altre vie per opporsi, decide in un lampo di innalzare il proprio cosmo ghiacciato e di sparare, in pieno petto, una ‘Polvere di Diamanti’ ridotta all’amico, il quale, non aspettandosi un comportamento simile, la scansa di lato, permettendo così a mio fratello di attuare i suoi propositi e chiudere quindi la porta del bagno a doppia mandata. Milo gli è subito contro, sbraitando, gridando e sbattendo più volte i pugni contro quella nuova ostruzione che Camus ha posto tra sé e lui. Tutto inutile, mio fratello è silente all’interno, le intenzioni del Cavaliere di Scorpio si infrangono come onde sugli scogli.

“Lo so che mi stai sentendo, Cam, lo so! E questa volta voglio dirtelo schiettamente: è una delle più grandi cazzate della tua vita, mi senti??? Perché, perché rigetti la felicità?!? Perché non metti da parte il tuo orgoglio di merda, proprio ora, che finalmente hai una quarta possibilità, UNA QUARTA, mi capisci???”

“...”

“Te ne pentirai, probabilmente sta già succedendo, ma sarà molto peggio, col passare dei giorni… ebbene, non venire poi a piangere da me, perché a quel punto sarò io a sbatterti la porta in faccia, mi hai inteso?!?”

“...”

“Tze, sei proprio un COGLIONE, Camus!” si sgola ancora pestando un piede vicino allo stipite della porta prima di calmarsi almeno un po’, forse rendendosi conto di essere troppo su di giri. Si massaggia il petto, poggiando poi la fronte contro la parete, frustrato dal trovarsi un nuovo muro invalicabile.

“Sei davvero uno stupido, ora che potevi essere felice, dopo tutto quello che hai sofferto...” borbotta ancora, prima di aprire gli occhi e venire nella nostra direzione. Pare essersi un po’ tranquillizzato, ma lo vediamo ancora molto agitato.

“Perdonatemi per il trambusto, ragazze, quando uscirà, siete autorizzate a dare al vostro maestro un pugno a testa, se si lamenta ditegli che è da parte mia… - prova a buttarla sul ridere, come è suo solito fare, poi si rivolge alla sua allieva – Sonia, andiamo!”

“Do-dove?”

“A parlare con Hyoga! Non servirà, può farlo stare meglio solo Camus, ma non mi va che quel ragazzo se ne ritorni, chino e rammaricato, al suo appartamento in affitto, dopo che abbiamo penato così tanto per farli ricongiungere. Voglio almeno fare un tentativo!” le spiega, continuando il suo moto verso l’uscita della casa. Sonia sospira e, dopo averci salutato velocemente, lo segue.

Francesca, Michela ed io rimaniamo per un tempo imprecisato a fissarci, non sapendo cosa dire. Dal bagno non proviene alcun movimento né rumore, neanche fosse la porta per un’altra dimensione, come l’armadio per Narnia. Anche sforzandomi, non riesco pienamente a percepire se mio fratello stia piangendo o no, ciò che avverto è una feroce tristezza nel cuore, un senso di inadeguatezza e di colpa crescente, che lo frattura ancora di più, ma nient’altro. Mi poso una mano sul petto, apprensiva.

“Beh… serata avvincente, non trovi, Marta? - commenta Francesca, rivolgendosi solo a me, perché intanto Michela è talmente funerea da essere assurdamente inattiva – Vado in cucina a preparare la cena, così, mentre aspettiamo che il Maestro Camus se la senta di uscire da lì, mi spieghi cosa cappero è successo durante la missione per causare tutto questo!” mi propone, prendendo in mano la situazione. Acconsento, gettando ancora un’ultima occhiata alla porta del bagno.

 

 

* * *

 

 

22 ottobre 2011, sera

 

 

Rimango fissa a contemplare il soffitto sopra di me, sul quale, ad inizio ottobre, insieme a mio fratello, ho appiccicato le stelline fosforescenti come erano in camera mia a Genova. Mi fanno sentire più a casa. Le continuo a guardare meravigliata, immaginandomi di essere davvero sotto un cielo stellato.

Alla fine Francesca ha preparato la cena ed io l’ho aiutata, mentre Michela si è sdraiata sul divano, ancora scombussolata dai fatti accaduti quest’oggi, infatti non ha nemmeno mangiato, cosa non da lei. Camus è uscito dal bagno circa quaranta minuti dopo l’allontanamento di Milo, con un nuovo bendaggio in testa, l’espressione contenuta e un poco distante, ma gli occhi leggermente arrossati. Ovviamente nessuna di noi ha più tirato fuori il discorso e la cena è trascorsa in religioso silenzio.

Mi chiedo se Milo abbia ripescato Hyoga da qualche parte, in ogni caso, ha ragione lo Scorpione, anche se lo avesse raggiunto, anche se gli avesse parlato, lui non può comunque farci molto. La frattura si è creata tra mio fratello e il Cigno, solo Camus può, in qualche modo, risanarla, solo lui ha un tale potere ma… questo complica notevolmente le cose, perché chi è in possesso di tale requisito è proprio colui che ha più difficoltà ad attuarlo.

Socchiudo gli occhi, prendendo un profondo respiro. Non sarebbe dovuta finire così, io volevo impedirlo, ma… non ci sono riuscita, ci ritroviamo tutti con un pugno di mosche, due nomi di nemici ugualmente misteriosi e al punto di partenza, anzi peggio.

Toc… Toc

Sento qualcuno bussare alla porta, poco dopo sopraggiunge alle mie orecchie la voce di mio fratello.

“Marta, posso entrare?” mi chiede, il suono mi giunge un poco ovattato.

A pensar al diavolo…!

“Certo, entra, fratellino, la casa è tua!” acconsento, voltandomi verso la porta, la quale si apre e, grazie alle luci ancora accese del corridoio, mi permette di distinguere la figura di Camus con in mano una sacca dei medicinali.

Inarco un sopracciglio, chiedendomi dove stia andando, prima di rammentarmi che aveva tutte le intenzioni di medicarmi e controllare la zona colpita da Hyoga. Automaticamente mi nascondo la pancia con le mani, coprendola anche con il lenzuolo, mentre lui accende la lampadina e posa tutto sul mio comodino, sedendosi poi al bordo del letto e sorridendomi con tenerezza.

“Cam, come va la ferita in testa?” gli chiedo, un poco agitata, perché l’idea di farmi controllare da lui mi imbarazza oltremisura, non essendoci ancora abituata. Preferirei evitare…

“Non è nulla di che, Marta, ogni tanto brucia un po’, ma non è grave, ho subito di peggio in passato!”

“Neanche il pugno di Hyoga è stato grave...” mi affretto a ribattere, vergognosa.

Camus ridacchia tiepidamente, rialzandosi e afferrando una bottiglietta di disinfettante. Indossa la canottiera con cui dorme e i pantaloni del pigiama, entrambi gli indumenti risaltano il suo straordinario fisico da nuotatore… avrà più recuperato i chili persi ad agosto? Sembra ancora tremendamente sottopeso...

“Questo lascialo decidere a me, peste!” mi dice, cominciando ad armeggiare con l’occorrente, bende, garze, bottigliette di liquidi vari… neanche fossi in fin di vita a dissanguarmi, fa davvero sul serio?! Lo guardo di sottecchi, la sua espressione rimane imperturbabile, temo faccia sul serio per davvero.

“Cam, era solo un pugno, hai portato medicamenti come se dovessi essere operata d’urgenza! Certo, il fianco mi fa un po’ male, ma...”

“Un pugno allo Zero Assoluto, vorrai dire… non è una bazzecola, Marta!”

“Ma io sto bene, stai tranquillo…”

“Permettimi comunque di controllarti!”

Sospiro, discostando lo sguardo che si posa sulla finestra. Mi terrà il fiato sul collo finché non gli permetterò di dare un’occhiata, ecco l’altra faccia della medaglia di avere un fratello così protettivo!

Alla fine acconsento a malincuore, non del tutto a mio agio, tenendo gli occhi distanti, le guance un poco rosse.

“Sembri me quando ero piccolo… - mi accarezza dolcemente la testa, intenerito – anche io non amavo farmi toccare, né che mi guardassero la pancia”

Ridacchio a quell’affermazione, un poco più a mio agio, tornando su di lui e sorridendogli con dolcezza.

“La cosa, di per sé, non è cambiata molto con la crescita!” commento chiudendo gli occhi e cercando di rilassarmi. Camus continua con il suo operato di confortarmi, prendendosi molto tempo prima di procedere.

“Sarò il più veloce e delicato possibile, piccola mia!” mi rassicura, passando poi a sollevarmi la maglia del pigiama e scoprirmi così l’intera pancia, cosa che immediatamente mi mette subito nuovamente a disagio. Stringo le coperte di riflesso, arrossendo e lasciandomi sfuggire un mormorio sommesso. Le dita gentili di Camus sono nuovamente sulla mia fronte, mi solleticano teneramente la pelle.

“Ci sono solo io qui, stai tranquilla!

Per non dare peso al disagio, cerco di intavolare un discorso che possa tenermi la mente impegnata, il tutto mentre le mani esperte di mio fratello cominciano a passare su tutto l’addome, premendo in una serie di punti, non lontani dalla zona colpita.

“Camus, hai detto che… che pure a te non fa impazzire l’idea di aver la pancia scoperta, vero?” chiedo, guardandolo negli occhi.

“No, non ho mai amato mostrare quel punto. Da piccolo, quando i curatori mi dovevano visitare, mi ribellavo come un forsennato. Ero una peste, a volte è capitato anche di dare qualche calcio ad un povero diavolo che voleva solo farmi stare meglio. Se ci penso ora, mi dico che ci voleva giusto la pazienza di Aiolos per sopportarmi i primi mesi in cui giunsi al Tempio...” mi confessa, un poco imbarazzato.

“E perché… perché non ti piace?”

Camus ci pensa un po’ su, nel frattempo la sua attenzione è catturata dal piccolo versamento che mi si è formato, poco sotto lo sterno, dal pugno di Hyoga. Lo fissa più volte, con sguardo clinico, prima di prendere una pomata dal comodino e passarmela gentilmente sulla zona violacea.

“Lo trovo un posto molto delicato, non trovi? Voglio dire, per molti tipi di animali mostrare la pancia è un segno di sottomissione, simboleggia l’essere alla mercé di qualcuno e… non mi piace, è una cosa che non sopporto!”

Lo guardo continuare il suo operato con dolcezza, chiedendomi, ancora una volta, come abbia vissuto che, nel 1741, i Cavalieri e le inservienti abbiano potuto disporre del suo corpo indifeso durante il contagio della peste. E’ stato preso, ripreso, lavato, girato… e anche se, in fondo, ci prodigavamo tutti per lui, da Albafica a Sisifo, averlo saputo a posteriori deve essere stato piuttosto traumatico, visto il tipetto. Camus non è a suo agio con il suo fisico, ne ha un brutto rapporto, in effetti, il che è un peccato, perché non ha nulla di invidiare a nessun altro.

“Mi dispiace… chissà che shock svegliarti completamente privo di forze, non potendoti muovere, o quasi, con io che girovagavo sul tuo corpo indifeso per curare le ulcere...” sussurro, cercando di rilassarmi nonostante Camus, nell’atto di visitarmi, mi stia toccando il ventre, procurandomi male.

“Di primo acchito… volevo scavarmi una fossa da solo e nascondermici dentro! - ammette, arrossendo suo malgrado – Già non sopporto farmi vedere in determinate circostanze, ma da te, poi, che sei mia sorella minore… è stato proprio un trauma!”

“Beh, non credere che per me sia stato molto diverso quando mi hai detto che mi cambiavi il pannolino e mi pulivi il sedere dopo aver fatto la, ehm… cacca. Dei, che vergogna!” ribatto, arrossendo a mia volta. Siamo di nuovo pari, Camus, chi la spunterà questa volta?

“Ma eri una neonata allora, Marta!”

“Non dopo la battaglia contro Crono, non… - prendo un profondo respiro, rabboccando aria -Immagino che neanche in quel caso le mie funzioni fisiologiche si fossero bloccate...”

“In effetti, dopo averti riportato in vita, no...”

“ECCO… FANTASTICO!”

Vedo mio fratello ridacchiare tiepidamente, terminando di premermi sopra l’ombelico per poi prendere una garza sul comodino e aprirla.

“Ma poi… mi ci sono abituato, anzi, posso dire che sia stato anche rilassante...” continua, squadrando la garza per vedere se sia delle misure corretta.

“Cosa intendi?” chiedo, non capendo perfettamente quanto voglia esprimere.

“Il tuo tocco, piccola mia… mi tranquillizza e mi fa stare bene. Sai, non sono mai stato un tipo molto fisico, ma con te è diverso, le tue carezze tra i capelli o sulle guance mi… mi fanno sentire al sicuro, spingendomi ad addormentarmi, come è successo in Siberia quanto ti ho parlato di Isaac, ricordi?” mi racconta, particolarmente emozionato, calcando il suo sguardo su di me.

Gli sorrido, stanca ma felice.

“Per me è lo stesso, fratellino… le tue mani poi, sembrano piume di cigno, non ho mai sentito niente di più delicato, anche adesso!” gli confido, rilassandomi ulteriormente. Camus mi sfiora la pelle del viso con gesto dolce, prima di tornare a concentrarsi sul mio addome e posarmi la garza per coprirmi il livido causato da Hyoga.

Sembra in vena di confessioni e di chiacchiere, lo fa per non pensare troppo al Cavaliere del Cigno, a quello che è successo tra loro, e che lo fa soffrire terribilmente, ma io lo posso ben avvertire il suo stato, al di là di quello che fa trasparire davanti a me, perché i suoi sentimenti passano attraverso me, ed è davvero soffocante, fa male il petto, ma… meraviglioso!

Isaac… ricordo che dovevo chiedergli una cosa a proposito di lui, ma non la rammento nel dettaglio ora.

“Inoltre… - continua Camus dopo un po’, dopo aver rimuginato un po’ se fare o non fare anche un’ultima ammissione – La cosa che, fra tutti, sopporto di meno, è mostrare il mio, ehm, ombelico, figurarsi toccarlo, o peggio… essere toccato!”

Lo vedo un po’ impacciato a dirmi una cosa simile, tanto da spingermi ad acciuffargli una mano e guardarlo intensamente negli occhi.

“Sei omfalos… - provo a dire, ma mi incarto sulla parola difficile – Volevo dire, soffri di omfalofobia?” gli chiedo, ricordandomi dell’esistenza di una fobia così stramba.

“Non… non lo so… da bambino era molto più accentuata, malgrado gli interventi di Milo per farmela passare. Ora riesco a controllarla abbastanza, continuo a toccare il meno possibile quella zona, ma la sola idea che altri me la possano anche solo guardare, mi fa rabbrividire...”

“Milo?! E come… come ha tentato di fartela passare?!” chiedo, divertita.

“Al suo solito modo… chiodo schiaccia chiodo”

“E ha funzionato?” domando, ironica, ben sapendo la risposta.

“Certo che no, è riuscito solo ad attenuare il tutto, almeno con lui e con le persone con cui ho confidenza...”

“Come dicevo prima… mi dispiace davvero, fratellino, ora capisco anche perché, quando ti ho lavato e disinfettato l’ombelico, sempre nel passato, ti sei irrigidito, pensavo fosse causato dal dolore, invece… uff, se lo avessi saputo prima, non ti avrei scherzosamente preso in giro, quando ti sei svegliato dalla peste. Deve essere stato terribile per te, più terribile di quel che potessi immaginare...”

Inaspettatamente mi accarezza delicatamente i capelli, sorridendomi. Lo fisso meravigliata, come sempre quando si tratta delle coccole che mi regala.

“Non ti preoccupare, Marta, come ti ho detto… con te mi sento a mio agio. So che sono al sicuro, riesco a percepirti nelle tenebre più fitte, e poi... dimostri una dolcezza, nei gesti, che mi entra nel cuore, mi sono sentito protetto, quando tu ti sei presa cura di me, quel calore è entrato dentro di me, mi riscalda ancora adesso... - mi dice, sorridendomi, prima di tornare a concentrarsi sulla lesione – Qui ho finito, piccola mia, se ti giri e ti togli la maglia del pigiama, ti medico ancora una volta la ferita sulla schiena, e poi ti lascio stare, promesso...” asserisce, accarezzandomi nuovamente la testa, come se sentisse il bisogno continuo di toccarmi.

Annuisco, facendo quanto chiesto, rasserenata. Neanche io ho mai amato molto il contatto fisico, l’eccezione è sempre stata Stevin e, ora, lui. Capisco appieno quanto mi ha appena spiegato, per me è lo stesso, il suo tocco mi riempe il cuore emi fa sentire al sicuro. Non ho paura se lui è con me e, completamente ubriaca dalle sue coccole, potrei tranquillamente addormentarmi con lui al mio fianco. Sta succedendo anche ora, lentamente mi sento cadere, con l’intensità di una piuma, in un sonno ristoratore, ma tento di oppormi, desiderosa di parlare ancora con lui per recuperare, almeno un poco, tutto il tempo che abbiamo irrimediabilmente perso.

“Comunque è un peccato che a te non piaccia, perché hai un ombelico davvero grazioso, Cam!” gli dico, ridacchiando.

“G-grazioso?! Sei… sei la prima a dirmi una cosa del genere, Milo lo ha sempre considerato bizzarramente singolare, come mi ha ripetuto più volte...”

“Bizzarramente singolare?! Aha! E’ una frase tipica da lui, ma cosa significa?” chiedo, muovendo leggermente le gambe per evitare che si addormentino. Sono infatti sdraiata prona, il mento appoggiato al cuscino.

“Ha sempre detto che era più simile a quello di una donna che non ad un uomo… - si ferma un attimo, sospirando un poco stizzito – Il che non ha senso, perché la sua conformazione non dipende da fattori genetici… ma lui ovviamente non lo sapeva, figurarsi!”

“Beh, però è grazioso, ricordo di averlo pensato la prima volta che lo vidi distintamente!”continuo per la mia strada, voltandomi leggermente verso di lui.

“La prima volta?”

“Sì, quando sei stato medicato da nostra madre, ricordi? Eri così imbarazzato mentre ti visitava, mi si è stretto il cuore - annuisco, gli occhi luminosi – Ricordo che mi aveva destato interesse fin da subito… è perfettamente tondeggiante, Cam, invece di essere un poco ovale come la maggior parte delle tipologie, e poi ha… ha quella specie di coroncina di pelle, sulla sommità, che, non so, lo rende davvero particolare, quasi… accattivante!” sorrido, ridacchiando sommessamente.

Camus non dice niente, ma capisco dai suoi movimenti un poco impacciati che l’ho fatto vergognare, di nuovo, me ne dolgo, anche se, in fondo, è così buffo quando si imbarazza.

Una volta ultimata la medicazione anche sulla schiena, mi dice di voltarmi e rimettermi la maglietta. Faccio quanto detto, tornando così in posizione supina, affondando nel cuscino e non staccando il mio sguardo neanche un istante dal suo viso. Lui rimane seduto sul bordo nel letto, accarezzandomi, di tanto in tanto, la testa per poi scendere sulle guance e sfiorarle con i polpastrelli.

“E’ un problema, per te, se rimango ancora un po’?” mi chiede, un poco titubante, probabilmente desideroso di prolungare il contatto tra noi.

“Certo che no...” gli sorrido, grata, chiudendo gli occhi e lasciandomi cullare dalle sue solite attenzioni. Ha un’espressione piuttosto triste, anche se la prova a mascherare dietro la sua solita compostezza.

Dovrei forse parlare di Hyoga, forse potrei convincerlo a raggiungerlo, a parlargli… non voglio che si rovini tutto tra loro, hanno entrambi bisogno l’uno dell’altro, ma sono due testoni colossali, il mio intervento lo farebbe chiudere solo di più.

Decido quindi, anche se potenzialmente dannoso, di porre finalmente il quesito che mi ronza in testa sull’altro allievo, e che non riesco a togliermi.

“Camus… sono davvero così simile al tuo Isaac?” gli chiedo, a bruciapelo.

Lui, come immaginavo, si immobilizza all’istante, quasi pietrificato. Per una manciata di secondi smette persino di accarezzarmi, abbassando la mano, ormai inerte e appoggiandola sul lenzuolo.

Sono quasi tentata di deviare prepotentemente argomento, ben consapevole che gli fa male parlare di questo, ma è lui alla fine a trovare il coraggio di rispondermi.

“Sì… moltissimo...” sussurra, arrochito, socchiudendo gli occhi.

Il suo tono strozzato mi spinge a toccargli la mano, alla ricerca di un contatto che non so se vuole, in un momento simile, ma che non evita. Gli serve tempo per trovare le parole, questo lo so bene, nondimeno vorrei fargli percepire la mia vicinanza.

“Sono qui...” gli sussurro, roca a mia volta, percepisco il suo stato, ed è per questo che mi è uscito un tono di voce simile al suo. Camus deve capirlo questo, perché, riapre gli occhi e, girando quella stessa mano, stringe la mia, cercando di ricomporsi.

“Se non ne vuoi parlare...”

“No, va bene così, Marta… te l’ho detto che voglio raccontarti tutto di me, sei la mia sorellina..” mi ripete, per tranquillizzarmi, prendendo un profondo respiro.

Lo guardo con espressione carica di pena, aspettando che raccolga le forze per parlare. Dovrei anche raccontargli della sorta di visione quando sono penetrata nel vortice polare di Hyoga, ma non so se sia una buona idea. Soffre ancora terribilmente per la perdita di Isaac, so bene che, basta solo citare il suo nome e il cuore gli si ferma nel petto per un nanosecondo. Del resto… quel giorno in Siberia, Camus ha perso per sempre qualcosa di sacro e che credeva inviolabile; ha perso una parte di sé.

“Siete ovviamente due persone diverse, ma… rivedo molto di lui in te, Marta, a volte dici persino le sue stesse frasi e… mi fa male, non posso negarlo”

“In cosa siamo… simili?”

“Quella luce negli occhi che possedete, e poi… la stessa determinazione, la stessa voglia di non arrendervi, la stessa perseveranza… - comincia l’elenco, discostando lo sguardo – Te l’ho già detto in Siberia, credo, ma voi due… siete così dediti ad essere all’altezza delle mie aspettative, dareste tutto per me, vi buttereste nel fuoco senza esitare se sapeste che ciò mi salverebbe la vita e… mi spaventa, questo, anzi mi terrorizza… perché, come mi è sfuggito lui, ho il terrore che possa capitare anche a te, piccola mia...”

“Di sfuggirti?”

“E non essere in grado di proteggerti…”

Lo guardo, emotivamente coinvolta… Camus, che cosa hai dovuto subire, in passato, per avere così tanta paura di perdere le persone care? Cosa ti ha fatto pensare che la tua esistenza potesse essere maledetta? Hai così timore di farti coinvolgere da qualcuno, eppure tu lo meriteresti più di molti altri, data la meravigliosa persona che sei!

“C’è anche un’altra cosa in cui tu ed Isaac siete simili...” continua la sua confessione dopo un po’, ritrovando le energie per aumentare il suo tono vocale, che prima si era fatto labile.

“E sarebbe?”

“Siete due ghiottoni! Non so dove la riusciate a incamerare, nel vostro organismo, tutta la roba che mangiate!”

Ridacchia tiepidamente, un poco più rasserenato, sebbene il suo umore sia sempre discretamente tetro. Si sta sforzando, per me, ma l’argomento non è dei più facili.

“Isaac… adorava mangiare di tutto, non si è mai lamentato di nulla, sebbene, in Siberia ci fossero periodi di magra. Poi… era molto protettivo con i suoi compagni di addestramento, persino con me, proprio come te. Mi riempi il cuore di orgoglio e nostalgia, Marta e credo che sareste andati d’accordo, voi due, se solo avessi potuto fartelo conoscere, se solo... - bisbiglia ancora, prostrato, prima di discostare nuovamente lo sguardo, scrollare la testa e fissare la finestra – Il mio… coraggiosissimo Isaac!” la sua voce si incrina ulteriormente.

Rifletto su quelle ultime parole, ricordandomi, ancora una volta, della visione che ho avuto dentro il vortice polare, gli ultimi istanti del giovane prima di finire ad Atlantide… non ne conosco la ragione, ma è come se le memorie di Hyoga fossero giunte a me, eppure il punto di vista era quello di Isaac, questo me lo rende inspiegabile.

“Altroché se lo era, lui… voleva proteggerti!” mormoro, lo sguardo triste.

“Cosa stai…?”

“Isaac… era davvero molto protettivo e coraggioso... ti voleva bene, Camus, come si vuole bene ad un padre, avrebbe voluto così tanto combattere al tuo fianco...”

“Co…? Come fai a dirlo, questo?!”

“...”

“Marta! Come fai a saperlo con così tanta cognizione di causa?! Non lo hai mai conosciuto!””

Senza poter rispondere, mi sento schiacciare violentemente le spalle. Sussultando, mi accorgo che mio fratello mi ha stretto in una morsa, le sue dita mi stringono, procurandomi dolore.

“Marta, rispondimi!”

Ora sembra quasi arrabbiato, colpa mia che ho toccato un nervo scoperto, ma la mia espressione sofferente, lo riscuote.

“Mi… mi fai male, fratellino...”

“Scu-scusami, l’ho rifatto di nuovo, ho perso il controllo...” dice a bassa voce lui, allontanandosi da me ma rimanendo, pentito, seduto sul letto, sebbene a debita distanza.

E’ di nuovo chiuso come un’ostrica, tanto da farmi tentare un nuovo approccio. Mi metto a quattro zampe e lo raggiungo, sorreggendomi sulle ginocchia, per poi avvolgerlo in un nuovo abbraccio, che lui non rifiuta, il mio mento si posa sulla sua spalla.

“Sai, quando sono entrata nel vortice di Hyoga ho avuto una visione...”

“Una visione?”

“Sì, credevo fossero ricordi di Hyoga, ma era dal punto di vista di Isaac”

“E… e cosa hai…?”

“Quando lui… si è buttato in acqua per salvare Hyoga e… i suoi pensieri, mentre...” ma mi taccio, non sapendo se continuare.

“Mentre?” mi incalza Camus, tornando a guardarmi negli occhi, di nuovo quella luce inquietante in lui, un po’ mi fa rabbrividire.

“Mentre… perdeva sangue dall’occhio sinistro”

“PER ATENA! Hai avuto davvero una visione! - si alza in piedi di scatto, sbigottito e spaventato – Io non ti ho mai detto che I-Isaac ha perso l’occhio sinistro per salvare Hyoga! Come sei riuscita a vederlo?! E’ fuori da ogni logica!”

Mi lascio cadere sul letto, cercando di venirne a capo, mio fratello sembra parecchio sconvolto, vedo nei suoi occhi le intenzioni di chiedere di più, ma al momento è la paura a fare da sovrana; la paura di quello che potrebbe venire a sapere. Soffre, soffre tantissimo alla sola idea di quello che ha dovuto subire il suo Isaac e… vorrei solo tranquillizzarlo.

“Non ne ho la minima idea, Cam… - mormoro, guardando il soffitto, assumendo una nuova espressione determinata – Ma… te lo riporterò!”

La frase ambigua ha il solo scopo di mettere sull’attenti mio fratello, il quale, tutt’altro che rasserenato, mi afferra la mano sinistra e me la stringe con urgenza, come a volermi trattenere, neanche avessi avuto le intenzioni di alzarmi e andarmene. Temo abbia capito a cosa mi riferisco.

“Te lo riporterò!” ripeto, ostinata, imprimendo il mio sguardo nel suo.

“E’ MORTO, Marta...”

“Allora, se davvero è così, ti riporterò il suo corpo...”

“Non ‘se’, è morto sicuro, Marta, il suo corpo è disperso, Hy-Hyoga lo ha… urgh… - si prende una breve pausa, cercando di ricomporsi – Non c’è nulla da portarmi...”

“Non ne abbiamo le prove!”

“Le prove?! - Camus passeggia nervosamente intorno al letto, prima di guardarmi di nuovo in faccia, la dolcezza di prima un lontano ricordo – I-io ho aiutato Hyoga a… a ucciderlo, non mi servono altre prove!”

“Lo hai aiutato a…?!” ripeto, sconvolta, quasi frastornata.

“Il mio spirito era con Hyoga quando… quando lo ha affrontato, non te l’ho detto in Siberia perché… non me la sentivo. I-io l’ho ucciso due v-volte...”

“Tu non hai ucciso nessuno, fratellino!”

“La questione non cambia, l’ho… sentito morire... tra le braccia di Hyoga, non ho bisogno di altre prove”

“Ti sto dicendo che lui potrebbe essere ancora vivo, Cam, finché non vedrò il suo corpo, io...”

“Non lo è!”

“Staremo a vedere!”

“Non staremo a vedere niente, non...”

“Io sento che… ci potrebbe essere speranza di recuperarlo, fratellino, dammi fede, un modo lo...”

“NO, Marta! - il suo tono mi fa raggelare il sangue nelle vene – A che pro inseguire un morto? Vuoi fare come Hyoga con sua madre?! Vuoi sacrificarti per riportare Isaac indietro?! N-no, piccola, non reggerei più, non sopporterei di vederti soffrire per u-un motivo simile. Ogni cosa ha un prezzo, non si rianima qualcuno senza pagare un tributo più che dispendioso, lo… lo hai ben visto, e… e… ma-manteniamo le cose come stanno, pensiamo solo al futuro”

Taccio, il respiro mozzo nel vedermelo così fragile, mentre disperatamente cerca di non cedere alle lacrime.

A dir la verità, non so neanche io da dove mi venga una tale sicurezza, non lo so spiegare, ma non posso vedere mio fratello in queste condizioni, non posso accettare che non si rivedano più, non posso!

“Camus...” ritento, ma mio fratello è inamovibile.

“Ora lasciami stare, non voglio più parlare di questo! Buonanotte, Marta, ci vediamo domani!” trancia il discorso di netto, voltandomi le spalle e chiudendo la porta dietro di sé. Non sembra arrabbiato, solo… tanto, tanto stanco e triste, ma il modo in cui se ne è andato mi ha colpita profondamente.

Sospiro, tornando a guardare fissa il soffitto. Sull’angolo destro della stanza ci sono delle stelline a forma della costellazione dell’Acquario, che Camus, quando mi ha aiutato a metterle, ha voluto posizionare a formare la figura di Ganimede, di cui mi ha raccontato anche il mito, sebbene lo conoscessi già.

“Così veglierò sempre su di te, piccola mia...” mi aveva detto, in uno slancio emotivo, regalandomi una carezza e facendomi sentire amata. Chissà quanti momenti così potrò avere da ora in poi con lui, se davvero le cose si dovessero mantenere così, al solo pensarci avverto caldo nel petto. Pensare al futuro… la sola parola mi regala una vertigine di felicità e paura al tempo stesso.

Sorrido intenerita a quel ricordo per niente lontano nel tempo, eppure, ancora una volta, mi appare così erroneamente distante. Socchiudo gli occhi, facendo riaffiorare in me il calore. Pensare al futuro, viverlo insieme, è ciò che vorrei con tutte le mie forze, ma… mi ritrovo a sospirare, nuovamente triste.

Sei sempre così dedito a farmi sentire bene, a prenderti cura di me, fratellino… ma il tremendo squarcio che ti ha lasciato Isaac, la sua perdita, che ti fa ancora così male, io riesco a percepirla distintamente. Ora… ora a a tutto questo si aggiunge anche la rottura con Hyoga, che deve farti soffrire ulteriormente anche se cerchi di non dimostrarlo. Quando la smetterai di pensare solo agli altri? A me, soprattutto! Quando comincerai a mettere al primo posto te stesso? Mi sei così caro… è straziante percepire la tua sofferenza così, senza poter fare nulla per farti sentire meglio.

Ti manca così tanto Isaac, a voi è stato strappato il futuro in maniera più che ingiusta, non lo posso accettare in alcun modo, né ora né mai. Sarà rischioso, sarà pericoloso, ma non posso accettare che lui rimanga indietro. Ogni tanto lo sento urlare, piange, perché gli manchi, gli manca la sua famiglia, gli mancate voi… A qualunque prezzo io… devo raggiungerlo!

“Camus… anche tu hai bisogno di qualcuno che vegli su di te e… non so se ne ho la forza, ma ti prometto che ti farò riabbracciare con il tuo Isaac, in un modo o nell’altro! – dico a me stessa, sempre più ferma nei miei propositi, prima di chiudere gli occhi – Lui… è vivo, non so neanche io come sia possibile, non so come possa esserne certa, ma, lo so, lo percepisco… ha bisogno di te tanto quanto tu hai bisogno di lui” biascico ancora, lasciandomi poi cullare dalle vertigini del sonno, alle quali, lusinghiere, cedo poco dopo, spossata dalla giornata.

 

 

* * *

 

 

25 ottobre, 2011, mattina presto

 

 

Il giorno del giudizio è infine arrivato, il Nobile Shion ieri sera ci ha fatto sapere di recarci stamattina al tredicesimo tempio per conoscere l’esito delle sue riflessioni e, insieme, la punizione che mi spetta. Non mi ribellerò, sebbene non condivida le leggi di questa cosiddetta Atena, sono andata contro il volere del Santuario e pagherò quanto dovuto, ma non mi pentirò di quanto ho fatto: le persone che amo vengono prima di questi decreti! Non esiste, per me, mettere il genere umano davanti a Camus, o Michela, o Stevin, né a nessun altra delle persone che amo, questo ormai l’ho capito, come ho compreso che i miei ideali sono inconciliabili con quelli del Grande Tempio. Pazienza… devo comunque diventare forte.

Mi reco giù a passi leggeri per non svegliare le mie amiche e Hyo… ah, vero, il Cigno non c’è, l’argomento è tabù. Ad ogni modo, quando arrivo all’ultimo scalino, mi rendo conto di star tremando per l’agitazione, un po’ come le mattinate prima di andare a scuola, quando ci aspettavano verifiche difficili e avevamo paura di non aver studiato bene. Riesco comunque a varcare la porta della cucina senza tentennamenti, sicura di trovarci Camus, ma lui non c’è, la stanza è avvolta dalle ombre del silenzio e dalla pallida, pallidissima, luce, che giunge da fuori. Questa deve essere la prima volta in assoluto che mio fratello non è in piedi prima di me, la consapevolezza mi frastorna.

Accendo quindi la luce, cercando sempre di far meno rumore possibile, dirigendomi verso la credenza e aprendo lo sportello per cercare dei biscotti e valutare quale bevanda bere. Dopo un breve raffronto caffè/tè nero speziato alla vaniglia, vince quest’ultimo, ne prendo quindi una bustina, apprestandomi a prepararlo con l’aggiunta di un goccio di latte, che non mi dispiace mai.

Ultimata la procedura, mi siedo quindi sul tavolo, concedendomi un momento di rilassamento mentre quasi affogo (tanta è la mia ansia!) la prima macina nella bevanda bollente. Esteriormente sembro una perfetta scultura di ghiaccio, ma dentro di me sono tutta un tremito, le mie mani ne sono la testimonianza. Sono pronta ad affrontare il verdetto ma tremo come un uccellino, non so se definirmi patetica o cos’altro.

In verità, non so neanche perché mangio, ho lo stomaco chiuso, esattamente, per l’appunto, come quando avevo una verifica da fare e… se ci penso adesso, alle mie preoccupazioni di allora, mi viene da ridere. Ci angustiavamo tanto, per un compito di Matematica, o di Diritto, tanto da farcene una ragione di vita; quanto sudore, all’epoca, e quante lacrime per un 5 in una disciplina, ma ci sono cose assai più importanti, questioni da cui dipende la vita e la morte dei propri affetti, o addirittura delle persone del mondo. Le genti di Valbrevenna, per esempio, bloccate nel tempo, un giorno si erano alzate come sempre, dedite alle proprie incombenze, prima di essere inghiottite dall’immobilità. Anche loro avevano delle preoccupazioni, una vita, degli affetti, delle speranze…

Rabbrividisco, al pensare alla precarietà dell’esistenza e, per non soffermarmici oltre, butto un occhio fuori dalla finestra, tornando a sorseggiare il tè che, in un momento simile, mi sembra tanto semplice quanto indispensabile. Stare qui, ad assaporarlo, perché mi è concesso, perché sono viva, mi da sicurezza, placando così il mio tremore.

Passo qualche minuto a contemplare il fiacco incedere del giorno sulla notte, sbuffando impercettibilmente. Come è lento ad ingranare il sole, nei mesi di ottobre, novembre, dicembre e gennaio… dovrei governare il ghiaccio e quindi amare questo periodo dell’anno, eppure riesce a mettermi soltanto una gran tristezza, malgrado sia ben conscia che ci sia del bello anche in questo.

Il lento cigolare della porta, sposta il mio interesse dalla finestra all’entrata nella cucina, laddove un Camus piuttosto arruffato fa capolino nella stanza.

B-bonjour, ma petite...” bofonchia, discretamente intontito, sbadigliando educatamente con una mano alla bocca, mentre con l’altra, con gesto fin troppo naturale, si gratta appena sopra l’ombelico.

Inavvertitamente ridacchio nello scorgermelo così, in una manifestazione più che umana. Molto bene, pare che non sia soltanto il sole ad essere lento ad ingranare in questo periodo, ma anche qualcun altro, altrimenti non mi avrebbe parlato in francese e non mi avrebbe mostrato così naturalmente la pancia, se fosse stato totalmente in sé. Continuo a guardarlo intenerita, seguendolo con lo sguardo mentre si trascina ai fornelli, la canottiera scomposta e i capelli che vanno per gli affari loro, dandomi l’idea di una cascata indomabile.

“Hai lottato contro il cuscino stanotte, Camus? Chi ha vinto?” gli chiedo, ilare, totalmente rasserenata.

Lui ci impiega un po’ a rispondermi, il tempo di preparare, con movenze ancora un po’ impacciate, la caffettiera e metterla sui fornelli. Poi si volta verso di me, sfregandosi l’occhio sinistro.

“Non ho dormito fino alle cinque, stanotte, quando la sveglia è suonata due ore dopo, avrei voluto congelarla e lanciarla contro la parete!” mi rivela, tornando a parlare in italiano, ma non è ancora in lui, tali confessioni non le farebbe mai, se completamente sveglio.

“Eri… così preoccupato per me? Per la decisione di Shion?”

Lui non risponde subito, di nuovo, aspetta che il caffè venga su tutto, prima di metterlo in una tazza e aggiungerci un cucchiaio di zucchero e un filo di latte. A mio fratello piace bello nero il caffè, possibilmente arabico, con qualche fragranza in più, dice a me che sono una ghiottona, ma lui è più che una buona forchetta, o cucchiaio, in questo caso. Prende posto al mio fianco, ancora un poco frastornato nel girare il liquido. Poi sospira, tenendo la tazza tra le mani.

“Sono sempre preoccupato per te… sei mia sorella!” mi risponde finalmente, chiudendo gli occhi e cominciando ad assaporare a sua volta la bevanda.

Non diciamo niente per un po’, persi nelle rispettive cogitazioni, io, finito il mio tè, porto la tazza nel lavandino, pulendola con un pizzico d’urgenza e con movimenti a scatti, riponendola poi insieme alle altre. Nell’atto di sciacquarmi le mani, non guardo più mio fratello, il quale comunque, dopo il caffè, presumo si sia completamente svegliato. E’ lui stesso a rompere improvvisamente il silenzio poco dopo, meravigliandomi.

“Marta, non avere paura, qualunque punizione abbia scelto Shion, ci sono io con te, dovrà passare sul mio corpo, prima di affidarti qualcosa che ti possa mettere in pericolo!” mi dice, schietto, seppur in tono morbido.

Prendo un profondo respiro, voltandomi nella sua direzione e sforzandomi di sorridergli. Sentire le proprie emozioni come proprie, la trovo tutt’ora una cosa dolcissima ma anche di indescrivibile impaccio, soprattutto quando vorresti nascondere determinate cose, come la paura, per apparire forte, e invece sei cristallina come l’acqua.

Camus inaspettatamente ricambia il sorriso e si alza in piedi, avvicinandosi a me.

“Non ho avuto bisogno di usare il nostro potere per capire le tue emozioni, stai… tremando!” mi fa notare, indicandomi le mani, che effettivamente non stanno ferme.

“Però ora mi hai letto nella mente!” rispondo, fintamente offesa.

“In questo caso, sì!”

“Ecco, appunto! - ridacchio, cercando di essere il più distesa possibile, prima di tornare seria – E’ che prima, Cam, pensavo a quanto fossimo stupide, io e le altre, ad arrabattarci per problemi, per così dire, futili, come la scuola e altro, quando voi, invece, fin da piccolissimi, rischiavate la vita… ecco, mi manca quel periodo della mia vita, in cui, il problema esistenziale maggiore, era se Paolo, o Luigi, potessero rendere veramente felice Michela, o anche… beh, un 5 in matematica, non sono mai andata troppo forte in quella materia!” ammetto, sapendo invece di avere davanti un secchione in tutte le categorie.

Camus non fiata, mi scruta con occhi profondi, passandomi poi una mano tra i capelli e alzandomi dolcemente il viso, le sue dita sotto il mio mento.

“E lo rivorresti indietro? - mi chiede, un poco, esitante – Vorresti… tornare a quel periodo della tua vita?”

Io nego con la testa, scostandomi dal suo tocco leggero per regalargliene uno più ampio, aperto, un abbraccio.

“Tornare ad un’epoca in cui non sapevo di avere un fratello maggiore meraviglioso come te? No! Però… mi manca tanto, Cam! - lo tranquillizzo, prendendo un profondo respiro, quasi strofinando il viso nell’incavo della sua spella – E’ comunque questo il periodo più felice della mia vita...” gli confido subito dopo, avvertendolo sussultare.

Non devi avere un simile timore, fratellino, non baratterei nulla per te, ti ho scelto, e continuerò a sceglierti, ogni giorno.

“Lo è anche per me… il periodo più felice della mia vita, c-con voi!” mi rivela, iniziando ad accarezzarmi la testa. Non mi stancherei mai del suo tocco, mai, da quanto è prezioso e insostituibile. Ho ritrovato mio fratello, nessuno ha il diritto, ora, di privarmi del tempo che trascorro con lui!

“Sono al tuo fianco, lo sai… qualunque cosa accada!” mi rassicura ulteriormente, avvertendomi palpitante.

“Lo so… ed io al tuo!” asserisco, socchiudendo gli occhi, totalmente a mio agio. Sorridiamo.

Mi ci potrei tranquillamente perdere qua dentro, ma una voce proveniente dal corridoio, ricorda a me e a Camus che ci sono urgenze che non possiamo mettere da parte. Sospiriamo entrambi, staccandoci a malincuore l’uno dall’altra, uscendo dalla cucina e recandoci in direzione della fonte sonora.

“Milo e… Sonia!” li saluto, stupita, mentre la mia amica si fionda tra le mie braccia. Scocco un’occhiata a mio fratello, capendo, dalla sua espressione che sta provando le mie stesse emozioni. Faccio per chiedere spiegazioni, ma è la mia amica a prendere la parola.

“Marta! Passo la punizione con te, qualsiasi essa sarà!”

“Co-cosa?!”

Sono ancora più incredula di prima, mentre Milo, tutto ordinato, pettinato e con l’armatura d’oro (tutto il contrario della tenuta di mio fratello!) ci raggiunge.

“Puoi spiegarci, Milo?” disquisisce subito Camus, inarcando un sopracciglio.

“Però! Bella acconciatura! Hai fatto a botte con il cuscino?!” risponde lo Scorpione, rubandomi la battuta e sogghignando in direzione dell’amico.

“Ti ho fatto una domanda...”

Chiaro. Secco. Perentorio.

“E’ stata una scelta di Sonia, io non gliela appoggio, ma… è irremovibile!”

A questo punto lo sguardo di Camus si sposta dalla sua figura a quella della ragazza. Nel procedimento i suoi occhi si addolciscono, pur rimanendo piuttosto severi.

“E’ una mia scelta, infatti… Marta sarà punita perché non le è stata affidata la missione, ma ha voluto seguirti comunque perché era preoccupata per te, Camus, io ho fatto uguale, quindi è giusto che prenda anche io le mie responsabilità!”

“N-no, Sonia!”

“Ha ragione Camus! - intervengo io, stringendole la mano e fissando il mio sguardo nel suo – Non c’è alcuna ragione per cui tu subisca la mia stessa punizione! E’ vero, abbiamo reagito similmente, ma tu sei partita con loro, con il permesso del tuo maestro, io invece ho contravvenuto alle regole, andando a trovare anche Stefano!”

“No, Marta, io sono come te, hai pienamente ragione! Neanche io combatto per questa Atena, ma per le persone a cui voglio bene, per questo è giusto che spartisca insieme a te la punizione, è una mia libera scelta!” afferma, decisa, gli occhi luminosi.

“Vedi?”

E’ Milo ad aver preso la parola, mentre avverto mio fratello cominciare a scaldarsi per questa questione, dimostrando così anche tutto l’affetto che prova per Sonia.

“Tu non farai nulla di tutto questo! Sarà già abbastanza dura togliere fuori d’impiccio Marta, ci manca giusto che anche tu...”

“Non puoi impedirmelo, Camus, non sono tua allieva!”

“Posso, invece, con tutte le mie forze, anche se non sei mia allieva, oppure pensi che, solo perché ora ho discepole mie, femmine, il bene che ti ho sempre voluto, fin dal primo giorno che ti ho vista, passi in secondo piano?!”

Cala il sipario, facendo sbigottire tutti. Sonia si ritrova ad arrossire, inaspettatamente a corto di parole, Milo guarda il suo migliore amico, per poi passare a me, la bocca semi-aperta, sibilando un: “Ma lo ha detto veramente? Lo hai sentito anche tu?! Sogno o son desto?!”; io mi limito a ridacchiare, mentre Camus, accorgendosi di essersi esposto troppo, arrossisce visibilmente, non sapendo comunque come ricomporsi. Alla fine sospira, discostando lo sguardo altrove, capendo di avere contro un altro muro.

“Perché voi ‘piccole’ dovete essere sempre così testarde?! Siete sotto la nostra protezione e… ciò che facciamo… è per il vostro bene, perché non lo capite?” si chiede poi, riferendosi sia a me che a lei.

“Perché… non siamo più così tanto piccole come invece appariamo ai vostri occhi, e… per noi è lo stesso, il senso di protezione non è univoco ma bilaterale, o pensi che solo tu debba proteggere gli altri, mentre gli altri non possono voler proteggere te, Camus?!” risponde, semplicemente Sonia, fiondandosi tra le sue braccia e arrossendo a sua volta, desiderosa di dimostrare, anche da parte sua, il profondo attaccamento verso di lui.

“Sei cocciuta! Lo sei sempre stata, da piccola, ma non pensavo che questo tuo lato potesse ulteriormente peggiorare!”

“Mi conosci, sai di chi sono sorella!”

Camus non dice più niente, le sue labbra tremano appena, il timore è nei suoi occhi, mentre, con gesto impacciato, sfiora la guancia di Sonia.

“Io subirò la stessa punizione di Marta, è la mia decisione!” ribadisce ancora una volta lei, sempre più certa delle sue convinzioni.

“Loro, i tuoi fratelli… sono d’accordo?” chiede quindi Camus, sospirando.

“Capiranno...”

Cala nuovamente il silenzio, sembra davvero impossibile far cambiare idea a Sonia, è come se tutti ne fossimo consapevoli ma non volessimo comunque darci per vinti. Alla fine è Milo a decidere di rompere il silenzio, malgrado sia il più emotivamente coinvolto nella decisione dell’allieva.

“Beh, Camus… almeno possiamo dire che sono parecchio affiatate tra loro, no?” la butta sul ridere, incrociando le dita dietro alla testa e regalandoci un sorriso squisito, che però ottiene come risposta solo un grugnito di mio fratello.

“Vado ad indossare l’armatura!” dice solo, tornando negli appartamenti privati senza darci altre spiegazioni.

Sonia abbassa lo sguardo, un poco dispiaciuta dalla sua reazione, ricercando poi sostegno spirituale in me.

“Se si sacrifica lui va bene, è la norma, se lo fanno gli altri si incazza… tuo fratello, Marta, è straordinariamente irritante, a volte!”

Faccio per rispondere, ma un suono interrompe i miei propositi.

“Fiuuuuuu… - fischietta intanto Milo, recuperando la solita allegria – E’ diventato più espansivo sia a parole che a gesti, ma il suo bel caratterino lo ha mantenuto, eh?!”

Ridacchiamo tra noi, cercando di scacciare via la tensione.

Nessuno di noi dice più niente, dopo questo scambio di battute, né la mia amica, né lo Scorpione né tanto meno mio fratello Camus che, appena tornato con le sacre vestigia dell’Acquario, pur senza l’elmo che è ancora a riparare, fila davanti a noi con passi pesanti e veloci, tanta è l’agitazione che cova nel suo animo. Siamo quindi costretti a seguirlo, affrettando l’andatura, il suo malumore è percettibile, nessuno di noi ha il coraggio di fiatare.

Raggiungiamo quindi velocemente il tredicesimo tempio, dove Shion, in piedi davanti al sagrato ci aspetta, scoccandoci un’occhiata sorpresa quando nota da chi siamo accompagnati mio fratello ed io.

“Sonia e… Milo? - chiede, inclinando la testa di lato – Non mi aspettavo anche la vostra presenza!”

“E’… è perché...” comincia interdetto lo Scorpione, inginocchiandosi in segno di rispetto, lo stesso facciamo anche noi. Sonia, senza ulteriori, giri di parole, va al punto.

Spiega al Grande Sacerdote la sua decisione, il fatto che sia ingiusto punire solo me, rimarcando che lei è completamente d’accordo con me e pertanto seguiterà le mie sorti, qualunque esse siano. Il Nobile Shion si posa le dita sotto il mento, sembra un po’ scettico, ma la mia amica è davvero irreprensibile e determinata, pertanto, dopo aver sospirato appena, annuisce con gesto del capo.

“E sia, Sonia! Non ho ragioni per punire anche te, tuttavia il compito che affiderò a Marta è della massima cura, di sicuro non le dispiacerà avere un po’ di aiuto...” acconsente infine, cominciando a passeggiare intorno a noi, come se fosse inquieto.

Si prende ancora un po’ di tempo prima di rivelarmi la sua decisione, il tempo necessario per permettere a me, inginocchiata a terra e con il capo chino, di scrutare Camus. I capelli, senza l’ausilio dell’elmo, gli ricadono in avanti, oscurando parzialmente i suoi occhi, proiettati verso il pavimento. Qualcosa di grosso si muove in lui, desideroso di difendermi, ma aspetta in trepidante attesa il decreto, sebbene non riesca a nascondere totalmente l’ansia.

“Marta! - mi richiama infine Shion, facendomi sussultare e accelerare il cuore, mi permetto di sollevare la testa, in attesa che prosegua – Immagino che tu sappia che ogni istituzione esistente sia in possesso di propri archivi allo scopo di preservare la memoria, mantenere i conti, e molto altro...”

La prende molto larga, mentre i suoi occhi rosato/lilla si imprimono nei miei. Riesco appena ad annuire e a biascicare un: “Certo, Signore...”, prima di essere colpita nel profondo da una consapevolezza. Arrossisco un poco, sforzandomi di continuare a guardarlo. Sta parlando in tono tranquillo, eppure avverto con chiarezza il fatto che lui sia proprio su ‘un altro piano’, rispetto a me, e questo mi stordisce, così come la cognizione che lui, forse più del mio stesso padre biologico, è la figura che più si avvicina al mio concetto di papà.

“Bene. L’archivio del Santuario, è contenuto nell’orologio della meridiana, lì vi è tutto il materiale inerente alle scorse Guerre Sacre, almeno fino al XII/XIII secolo, quando gli scribi del Tempio presero usanza di ordinare e catalogare costantemente tutto. Il materiale anteriore a questo, è comunque presente e stipato in cassettoni, sebbene con evidenti lacune, cronologie sfasate e via dicendo… più si va indietro più il materiale è sempre più irreperibile, o danneggiato… anche il supporto scrittorio muta, passando dai tomi, ai plichi, alle pergamene in pelle, al lino...”

Lo ascolto con attenzione, grata del ripasso di archivistica che mi sta elargendo, in attesa di capire la natura della mia punizione, anche se comincio ad avere qualche idea in proposito.

“Si sa a che epoca risale l’ultima documentazione?” chiedo, incuriosita, cambiando ginocchio di appoggio perché il destro mi comincia a far male.

“Le tecnologie del Grande Tempio sono sempre state molto più avanzate rispetto al resto del mondo, per cui possiamo vantare documentazione, seppure parecchio frammentata, inerente alla Prima Sacra Guerra contro Hades, quindi in piena età della Grecia classica!”

Sia Sonia che io sussultiamo, carpite da quell’ultima rivelazione, guardandoci frastornate per una manciata di secondi. Shion sembra a suo agio a parlarci di questo, come se non vedesse l’ora di condividere con qualcuno questa specialità unica del Santuario di cui è a capo. Come non capirlo?

Materiale scrittorio fino alla Grecia Classica, è molto più di quanto si possa umanamente immaginare, visto che, nelle Chiese, le prime ad occuparsi della documentazione, si arriva giusto fino all’XI secolo, sebbene frammentario e denso di lacune che dipendevano dal clero medesimo. Solo dal Concilio di Trento, e quindi dalla seconda metà del XVI secolo, possiamo contare su documentazione più stabile e non a ‘macchia di leopardo’.

“Marta… e Sonia, a questo punto! - mi richiama ancora una volta Shion, sorridendo nel riconoscere un’espressione estasiata dietro alla mia apparente compostezza – desidero il vostro aiuto per organizzare, catalogare e ordinare la documentazione anteriore al XIII secolo d. C. che è in larga parte sconosciuta e densa di lacune, in modo da darci un senso logico e da renderla fruibile a tutti. Non si sa mai, che, anche in vista di questa emergenza, possa uscire qualche dato importante che non avevamo preso in considerazione!” stabilisce Shion, alzando un braccio nella nostra direzione.

La bocca di Sonia si spalanca in un ‘o’ muto, i suoi occhi si illuminano, mentre il suo corpo viene percosso da un fremito improvviso, di gioia. Io, invece rimango corrucciata a fissare il marmo. C’è qualcosa che non mi torna…

“Ovviamente non sarete sole, sarete aiutate dalla miglior archivista che il Santuario abbia mai avuto!” esclama ancora il buon vecchio Shion, in tono solenne.

Stavolta anche il corpo di Milo sussulta, frenetico, e lo guardo di mio fratello Camus si assottiglia, ancora basso, la piega delle sue labbra muta.

Ma… dov’è l’inghippo in tutto questo?

“Myrto, in quanto archivista, vi seguirà passo passo, farete riferimento a lei e… tu, Marta, non la conosci ancora, ma sono più che sicuro che ti troverai bene in sua presenza. E’ una donna gentile sui trent’anni, è grazie alla sua meticolosa opera, se l’archivio ha avuto nuovo lustro. - continua a narrare, sorridendo tra sé e sé – Resta da catalogare la parte più difficile, quella anteriore al XIII secolo, per questo anche il vostro aiuto sarà prezioso, ragazze!”

In questo momento la mia espressione rassomiglia paurosamente a quella di Camus, anche se non comprendo le ragioni di questo suo stato. Tutto il contrario di Sonia, che invece, trillante, salta su in piedi, gli occhi spalancanti.

“Grandioso! Quando iniziamo?”

“Oggi pomeriggio stesso sarete accompagnate a… uh? Marta? Pensavo reagissi come Sonia, non certo mettendo su il broncio! E’ da quando ti sei fermata con me a parlare di Dégel, quel giorno di luglio, che ho compreso nitidamente il tuo forte attaccamento alla storia e alla documentazione, pensavo quindi che...”

“Infatti è così, Nobile Shion, sono molto felice di questo progetto in cui mi volete coinvolgere...” mi affretto a dire, alzando a mia volta lo sguardo pieno, nonostante il sorriso un po’ tremolante.

“Ma…?”

“E’ solo questo?”

“Solo? Cosa intendi?”

“La punizione… è solo questa?” gli chiedo, schietta. In tutta onestà, mi sembra fin troppo morbida, sono pur sempre andata contro le leggi del Tempio e mi dicono semplicemente di riordinare un archivio che, ok, per molti sarebbe considerato noioso, ma da me no, e Shion questo lo sa bene. Cos’altro c’è?

Shion sorride di sbieco, massaggiandosi la fronte e socchiudendo gli occhi, prima di riaprirli, tossicchiare un po’ e recuperare tutta la solennità che possiede.

“No, effettivamente, per quanto concerne te, non è la sola condizionale...”

Eccolo qui! Era troppo bello per essere vero!

Shion si raschia la gola, prima di procedere a parole, rivelando anche l’altra faccia della medaglia.

“Marta… sei andata contro le leggi del Santuario per desiderio di protezione verso tuo fratello, me lo confermi?”

“Sì, signore...”

“E lo rifaresti, se ne avessi occasione?”

Scocco una breve occhiata a Camus, il quale mi guarda, negando con la testa, come a darmi un’avvisaglia. Mi dispiace, fratellino, non posso mentire, lo sai anche tu, anche se cerchi di proteggermi.

“Sempre!”

“E’ lodevole, dal punto di vista umano, ma io rappresento le leggi di questa istituzione, immagino tu lo sappia… non posso quindi far finta di nulla!”

“Ne sono consapevole!”

“Molto bene, allora dichiaro che, proprio per questa cagione, tu e Camus rimaniate separati e divisi per un periodo lungo non meno di quaranta giorni a partire da domani. Durante questo lasso di tempo, in cui tu lavorerai dentro all’archivio, non vi sarà possibile vedervi in nessun modo, ma, se vorrete, potrete sentirvi con mezzi consoni alla sfera quotidiana, ovvero tramite cellulari, lettere, e cose così...”

Rimango a boccheggiare per un paio di secondi, del tutto incapace di proferire anche la più piccola parola, le mie labbra fremono.

“COSA?!?”

Non sono stata io a sbraitare, ma mio fratello, che è scattato in piedi e, del tutto dimentico del proprio ruolo subordinato alla carica di Pontefice, fissa Shion con astio malcelato. Di nuovo. Come prima della missione in Valbrevenna.

Il Grande Sacerdote sospira, come se si fosse già preparato ad una reazione simile. Un solo attimo di incertezza, prima di voltarsi verso di lui e guardarlo austero, con un pizzico di severità. La sua sola espressione, fa abbassare lo sguardo a mio fratello, che pur rimanendo in piedi, si ritrova vittima della manifestazione del cosmo di Shion, che proprio ora ha cominciato a lampeggiare, rammentandogli del suo ruolo

“Non accetto alcuna rimostranza da te, Camus! - asserisce, caparbio, prima di voltarsi verso la mia direzione – Marta… tu hai qualcosa da obiettare?”

Stringo i pugni con foga, fissando il mio sguardo dolente su una colonna, il mio corpo è tutto un fremito di… di non lo so neanche io, forse dovrei provare rabbia, ribellarmi, ma non sento il bisogno di farlo, riconoscendo in Shion comunque una certa autorità, davvero come se fosse mio padre.

“I-io a-avevo detto che avrei accettato qualsivoglia punizione...” riesco infine a balbettare, buttando fuori aria. La sola idea di separarmi nuovamente da mio fratello mi fa star male, ma non rimangio ciò che ho detto, per cui… avanti!

“Ti stai dimostrando molto matura, Marta… - si complimenta Shion, sorridendo appena – Camus, questa è la scelta di tua sorella, intendi calpestarla?” gli domanda poi, di nuovo serio in volto.

Mio fratello non ribatte nulla, lo continua a fissare con astio, i denti stretti, livido, ma non aggiunge nient’altro, conscio di non potersi opporre. Lo fa Milo al suo posto, da vero amico.

“Nobile Shion, capisco che Marta debba essere punita, ma… occorre separarli di nuovo, dopo che sono stati lontani per 17 anni?” gli fa notare pacatamente lo Scorpione, fermo nella voce come nei propositi.

“E’ solo temporaneo, Milo… Marta deve capire che ci sono cose molto più grandi in ballo che non il bene che vuole a suo fratello, che pur sacro, non può in alcun modo prescindere...”

“Non succederà, Grande Sacerdote! - intervengo io, caparbia, recuperando due toni della voce e destando l’interesse di tutti – Accetto la punizione senza oppormi, ma non cambio idea, ormai ho scelto la strada che mi compete, diventare forte, sì, ma non per difendere sciocchi ideali aleatori, non per una umanità che, in larga parte, fosse per me, si potrebbe anche estinguere...”

“MARTA!!!”

Mi richiamano mio fratello e gli altri. Ho esagerato con le parole, ok, ma il succo del mio pensiero è questo, a che pro addolcire la pillola?! Sospiro, lasciandomi scivolare addosso le occhiate indigeste.

“… ma per le persone a me care, per le meraviglie di questo mondo, per i pochi virtuosi oppressi… per questo io combatto e, in cima a tutto, per mio fratello, che desidero proteggere con tutte le mie forze. Non cambierò idea!”

“Tu… tu sei folle! Dici cose così, in presenza del Grande Sacerdote, sprezzante delle conseguenze! - esclama Camus, circondando il mio corpo minuto in un impeto, trattenendomi poi contro il suo petto, a sua volta incurante di essere in presenza di Shion – Cosa devo fare, con te?! N-non so p-più...”

Percepisco che è molto agitato, pertanto ricambio la stretta, allungando una mano e passandola tra i suoi capelli per tranquillizzarlo. Non sono solita esternare così tanto in mezzo ad altre persone, ma che importa, in fondo? Dovremo stare separati per più di un mese, perché trattenermi adesso?!

“V-va tutto bene, Cam, sono qui...” gli sussurro, a bassissima voce. Lo sento palpitare, di nuovo, come uno scricciolo, in una manifestazione che percepisco solo io, perché vicina a lui. Lui affonda il viso tra i miei ciuffi, facendomi percepire il suo respiro.

“P-prima il mio Hyo-Hyoga che se ne è andato… o-ora tu...” riesce infine a farfugliare, stringendomi con maggior forza a sé.

Effettivamente momento peggiore non poteva scegliere Shion, anche se comprendo le ragioni. Camus fa di tutto per non dimostrarsi fragile, né per far vedere che ci patisce, ma la verità è che ogni più piccolo urto alla sua anima già paurosamente incrinata dai numerosi fatti precedenti, non fa che ulcerare ancora di più lo squarcio che è già ampiamente in lui.

Percepisco i passi di Shion sul marmo, tanto da sporgermi al di là delle spalle di mio fratello per guardarlo negli occhi. Le sue palpebre sono abbassate, come se la decisione gli costasse a sua volta un po’, mentre sia Sonia che Milo guardano abbattuti nella nostra direzione.

“Ho già informato Myrto della questione, oggi per le cinque si farà trovare al Pireo e porterà le due ragazze sull’isola di Milos, che sarà la vostra base per questo periodo di tempo, ovviamente potrete accompagnare le ragazze al porto per salutarle a dovere, anche se Sonia non ha alcuna restrizione, a differenza di Marta. Milo, Camus, ragazze... è tutto!” afferma, voltandosi di scatto, la mia vista si perde nello svolazzio della sua lunga veste. Gli sono grata… per i miei peccati, almeno per questa istituzione avrebbe potuto essere persino più impietoso, ma non lo è stato. Davvero me la sono vista brutta a dichiarare una cosa simile, ma… è il frutto dei miei pensieri di questi ultimi mesi, sarei ipocrita se non lo ammettessi.

“Camus, quaranta giorni passano in fretta, vedrai, questa esperienza mi aiuterà a crescere!” provo a rassicurarlo, ulteriormente, accarezzandolo.

“Ha ragione, amico… - lo conforta a sua volta Milo, posandogli una mano sulla spalla – Non condivido la scelta di Shion, ma devi ammettere che avrebbe potuto essere assai peggiore!”

“Ah, Marta! - è lo stesso Grande Sacerdote a fermare il suo moto e chiamarmi, imprimendo nuovamente le sue iridi nelle mie. Ricambio quell’occhiata con attenzione – Stante le ultime informazioni che ci hai fornito, libererò al più presto il tuo amico Stefano. Non so ancora cosa farne, ma non ha più senso che sconti una pena di cui lui stesso è vittima. Voglio che tu lo sappia: quando ritornerai, lui sarà libero, potrete tornare a parlare!” mi avverte, con un mezzo sorrido e un cenno di assenso, prima di riprendere il suo moto.

I miei occhi si illuminano, sprizzanti per la nuova, bella, notizia che le mie orecchie hanno ricevuto e il mio cervello ha catalogato, producendo così un largo sorriso.

“Grazie, Nobile Shion!” mormoro, sollevata nello spirito.

 

 

* * *

 

 

25 ottobre 2011, tardo pomeriggio

 

 

“Hai preso il cellulare?”

“Sì”

“I cambi d’abito, la giacca, la coperta in più?”

“Camus, governo il ghiaccio come te, non credo che avrò così tanto freddo, siamo in Grecia! Ad ogni modo, sì, i cambi sono nello zaino...”

“Lo spazzolino? Il dentifricio?”

Alzo gli occhi al cielo, prendendo un profondo respiro. Tutto il viaggio dall’undicesima casa al centro di Atene, l ho passato con mio fratello e le sue mille e una domande se avessi DAVVERO preso tutto. Ora siamo sul bus, diretti al Pireo, Milo e Sonia ci hanno preceduti, mi chiedo se anche lo Scorpione sia così apprensivo come lui, e ancora non siamo arrivate alle raccomandazioni, eh!

“Sì, Camus, sì!” gli rispondo per la milionesima volta.

Lui si acquieta per un po’, guardando fuori dalla finestra, con la consueta espressione malinconica che lo contraddistingue. Sembriamo due ragazzi quasi comuni, in mezzo a quest’autobus pieno di gente, io, più in bassa di lui, con i pantaloni e una felpa nera, la faccia ancora da ragazzina; lui, più alto, dagli strambi capelli lunghi color cobalto, i jeans blu e una maglia a maniche corte color lilla. Non lo avrei mai detto, ma gli dona il lilla, senza contare che lui tende ad indossare maglie piuttosto, ehm, corte, che quindi, quando alza le braccia per appendersi agli appositi sostegni, scoprono una leggerissima striscia di pelle dell’addome e del fondo schiena.

Lui non se ne è accorto, ma sta facendo strage di cuori, su questo mezzo di trasporto, non solo per il fisico tonico e ben delineato, o l’altezza, ma anche e soprattutto per quei suoi particolari capelli lunghi, che gli ricadono ora disordinati, ora ordinati, e che scendono giù come una cascata, e anche… beh, per il quantitativo di pelle che mostra, che, anche se esiguo, fa partire le fantasie. Due ragazze sedute poco distanti non fanno che fissarlo, per poi squadrare me, valutando se io possa essere la fidanzata o qualcosa d’altro, ma non sono certo le sole, non c’è occhio femminile che non si soffermi su di lui per almeno una serie di secondi, solo che queste sono proprio plateali, sghignazzano qualcosa tra loro, che per fortuna non riesco ad udire, ma a giudicare dalla direzione del loro sguardo e dal sorrisetto deve essere qualcosa di piuttosto malizioso. Ma tu guarda!

Un po’ mi da fastidio, devo ammetterlo… queste lo guardano come se lo volessero sciupare, carpire, spogliare con gli occhi, chissà cosa vanno a pensare le due gallinelle, mentre si mordono il labbro inferiore con intensità crescente, forse di buttarlo su un letto e fagli cose. Mi stizzo ancora di più alla sola idea.

Dobbiamo recarci al Pireo per incontrarci con questa Myrto, una vecchia conoscenza di Milo e Sonia, a quanto ho capito. Non sembra particolarmente aggradare le simpatie di mio fratello invece, naturalmente lui non mi ha detto niente, ma cambia espressione quando si parla di lei, e ho udito qualche commento di Milo a proposito di ‘fare il bravo’, ‘portare pazienza’ e via dicendo. Chissà che rapporto c’è tra loro, non ho il coraggio di indagare, per il momento.

Una frenata più brusca delle precedenti, tanto da farmi sbilanciare e rischiare di finire per terra, sancisce il nostro quasi arrivo al porto: è la prossima, capisco. Camus mi sorregge, impedendomi di cadere, alzo lo sguardo, sorridendogli teneramente, ma nel farlo noto che le due gallinelle di prima, continuano a sghignazzare tra di loro, una mano davanti alla bocca e gli occhi rapaci, un po’ troppo per i miei gusti.

“Pare anche sia un tipo protettivo e premuroso...” dice una, facendosi aria con le mani, neanche avesse le caldane.

“No, Ada, quel tipo è davvero scopabile, persino su un letto fatto di chiodi… saranno tutti così i greci?! La nostra permanenza qui, parte nei migliore dei modi!”

“Quei suoi addominali bassi che si intravedono, così delineati... lo sbatterei da qualche parte e glieli solcherei ad uno ad uno. Dio mio che… figo!”

“Pff, sei sempre la solita, tu! Chissà il torace com’è, non vorresti… scoprirlo, nel vero senso della parola?! Sembra così tonico, così tornito, così...”

E BASTA!!!

Le fulmino con lo sguardo senza parlare, secca, diretta. Loro mi notano, si rizzano, come un bambino sorpreso a mettere le mani nella marmellata, in attesa di una sgridata, ma non dico nulla, non ancora, bastano i miei occhi. Attendo.

“Occhio… quella mi sa che è la fidanzata!”

“Quella piccoletta, Ada?! Ma figurati, cosa ha da spartire con un tipo così?!”

DEI, SALVATEMI!

Il bus si ferma di nuovo, le porte si aprono, io quasi mi fiondo giù, non prima di girarmi nuovamente verso di loro, regalare una nuova occhiata gelida e austera e dire finalmente quello che mi passa per la testa da quando le ho viste.

“Ma una doccia fredda, voi due, no?!?” esclamo, mentre loro sussultano appena, arrossendo a dismisura.

“Con chi… con chi stai parlando?” mi domanda Camus, confuso, cercando di indovinare la direzione del mio sguardo.

“Niente, lascia perdere!”

E scendo giù, non voltandomi più.

Stupefacente la tua ingenuità in questo settore, fratellino, quelle ti guardavano allupate, come se non avessero mai visto un essere maschile prima di te, e tu neanche te ne sei accorto, perso nei meandri della tua mente o delle tue malinconie. Incredibile!

Senza sapere bene dove andare, ancora infastidita, mi guardo intorno, indecisa sulla direzione da prendere, ma Camus mi afferra per un polso, spingendomi a voltarmi per guardarlo negli occhi. Sembra un po’ in difficoltà, esita, guardandosi intorno, ammicca, totalmente impacciato.

“Devi dirmi ancora qualcosa?”

“Marta… - tossicchia a disagio, sempre guardandosi intorno, furtivo – E’ un problema per te, se ti saluto bene qui? Certo, poi ti accompagno al porto ma… i saluti… ehm, estesi... possiamo farli qui?”

Lo guardo stranita, inarcando un sopracciglio, un poco scettica. La richiesta, soprattutto proveniente da lui, è piuttosto strana.

“Qui… alla fermata del bus? In mezzo alla gente?” chiedo conferma, in tono interrogativo. Lui annuisce laconico, fissando la sua espressione per terra, poco prima alzare il capo e scrutarmi con occhi profondi. Eccole che arrivano, le raccomandazioni, le avverto già nell’aria.

“Marta… promettimi che, se succederà qualcosa, non esiterai a chiamarmi… hai il mio numero, vero?”

Gli sorrido intenerita, è così impacciato nell’esprimersi, eppure ci prova con tutte le sui forze. Annuisco, accarezzandogli il braccio.

“Certo, fratellino!”

“Ricordati di lavare i vestiti, di cambiarti ogni giorno e...”

“Camus! Camus! Camus! - ridacchio, fermando il suo sproloquio e facendogli un occhiolino – Ho vissuto 17 anni senza di te, mio malgrado, ti assicuro che non è la prima volta che mi allontano da casa!”

“Già, 17 anni...” sospira, lo sguardo di nuovo dolente.

Dei, tutte le sue attenzioni mi imbarazzano, anche se mi fanno piacere. In fondo, sarò su un’altra isola, non molto lontana da Atene, mica dall’altra parte del mondo! Entrambi non sappiamo più cosa dire, io picchietto la punta del piede per terra, le braccia incrociate lungo la schiena, lui freme un poco, passandosi una mano tra i capelli, come fa di consueto quando è a disagio. Dopo una serie di secondi che mi sembrano interminabili, finalmente la situazione si sblocca.

“Vieni qui...” bisbiglia infine, non è una esortazione, ma una affermazione, perché mentre parla, infatti, allunga le braccia nella mia direzione e, con dolcezza, mi trae verso di sé, come a me piace tanto. Vengo avvolta e stretta al suo petto, sorrido, mentre sento l’imbarazzo scivolare via, rapido.

“La prima volta che mi hai abbracciato, sulla spiaggia, eravamo entrambi impacciati, ricordi? Eppure, è bastato davvero poco per farci sentire bene e… sto bene anche adesso, piccola mia… davvero bene!” mi dice, emozionato, socchiudendo gli occhi e affondando il viso tra i miei capelli, proprio come allora.

“Anche io sto bene, ed è merito tuo, Cam… non mi stancherei mai delle tue… coccole!”

Lui annuisce, rimanendo fermo nella posizione di prima, una mano dietro alla mia schiena e l’altra tra i capelli. Vorrei pensare che non c’è fretta, che possiamo stare così per molto, moltissimo, tempo, fino a quando non ci stuferemo entrambi, ma sono già le cinque e mi devo imbarcare con Sonia.

“E’’ così strano…” farfuglia ad un certo punto lui, giocherellando con uno dei miei ciuffi, distratto dalla loro consistenza, come se li percepisse per la prima volta, e forse è proprio così. Rimango in attesa che prosegua.

“Per 17 lunghi anni non ho saputo nulla di te, ero… spezzato e, mi mancavi, mi sei sempre mancata, piccola mia... – mi confessa, continuando ad accarezzarmi la schiena, con gesti semplici ma costanti – Ma ci avevo fatto l’abitudine, infine, avevo imparato a convivere con il vuoto che mi si era creato intorno, a raccapezzarlo, con tutto me stesso… e sono riuscito ad andare avanti. Pensavo, una volta ritrovatati, che mi fossi ormai avvezzato ad una tua eventuale lontananza… sei grande, Marta, per quanto io voglia desiderare trascorrere il mio tempo con te, mi rendo conto che, presto, spiccherai il volo..”

Sussulto a quell’ultima frase, ripensando ai ricordi che Shion mi ha mostrato, tremo appena, strofinandomi contro di lui.

“Come la gabbianella...” biascico, emozionata.

Lui si immobilizza per un secondo, poco prima di stringermi a sé con più forza.

“Lo… ricordi? Rammenti che te la leggevo quando eri in fasce? No, non è possibile, eri troppo piccola...”

“E’ il mio libro preferito… il paragone mi è venuto immediato” mi affretto a correggermi, sembrando il più naturale possibile. Lui si limita ad annuire, di nuovo.

“Come la gabbianella, sì… - acconsente, prima di proseguire – Ad ogni modo, pensavo che sarei stato pronto, invece… invece mi rendo conto che così non è. Sono solo quaranta giorni, mi hai detto, eppure è come se sentissi già adesso che saranno molto più difficili dei 17 anni passati. Sono… ridicolo, vero?”

“Affatto! - nego con la testa, chiudendo a mia volta gli occhi, rilassata – Sei un essere speciale, Camus, e… ti voglio bene!”

“Oh, Marta...”

La sua stretta aumenta ulteriormente d’intensità, ma non dice nient’altro.

In verità, è più che normale questo suo stato, anche io sento che è così, prima di tutto per tutto quello che abbiamo vissuto nel passato, poi per cosa sappiamo essere stati, sempre nel passato, e ancora, perché un conto è perdersi di vista e pensare di non rivedersi mai più, ci si rassegna, alla lunga, per vivere; altro conto invece ritrovarsi ed essere costretti ad essere di nuovo separati, anche se per un tempo limitato.

Continuerei volentieri con la lista nella mia testa, continuerei ancora più volentieri ad abbracciarlo, ben conscia che non mi stancherei mai del suo tocco, del suo profumo frizzante e del calore che emana il suo corpo, ma fuori dalle mie palpebre così rilassate, avverto con distinzione un flash improvviso, piuttosto abbagliante, ma non seguito dal rumore che mi sarei aspettata, ovvero un tuono. Contraggo le palpebre prima di aprirle del tutto, ma ancora prima di compiere completamente l’azione avverto una voce femminile acuta e vibrante in avvicinamento. Il corpo di mio fratello sussulta, teso.

“Questa, poi!!! Non potevo proprio perdermela! Ti ho aspettato al varco, mio caro, perché sapevo che non avresti mai mostrato la tua reale essenza davanti a me, ma… TADAN! Ti ho fregato, munendomi di QUESTA e scattando la foto incriminata!”

Non ho il tempo di razionalizzare bene quanto dice la nuova venuta, sopraggiunta con l’intensità di un tornando, né di inquadrarla, che mio fratello si scansa bruscamente da me, lasciandomi lì, su due piedi, il viso rosso peperone, un’espressione indecifrabile, mentre il mio sguardo smarrito naviga da lui alla figura femminile che è appena sopraggiunta.

“My-Myrto!” la chiama, in un sussurro strozzato, neanche fosse la peggior calamità del mondo.

Ah quindi è lei… è lei l’adepta all’archivio del Santuario!

“Troppo tardi, caro mio! La vedi questa? Vi ho fatto una foto, a te e alla tua dolce sorellina, è troppo tardi, ti ricatterò con questa, ihi!” prosegue, andando ad un palmo dal muso di mio fratello e sventolandogli da sotto il naso una Reflex ultimo modello.

Ma cos…? Perché questo?!

“Quanti anni hai, 15?! Queste bambinate potevi risparmiartele!” esclama Camus, paurosamente indignato, cercando di strappargli di mano la macchina fotografica, ma non riuscendoci. Lei infatti abbassa il braccio e balza indietro, facendogli una pernacchia, che mi allibisce ancora di più.

“E perdere l’occasione di vederti con quell’espressione beata mentre abbracciavi la tua dolce sorellina?! GIAMMAI! Non ti ho mai visto così, aspettavo questo momento da anni, il momento in cui le mie predizioni si sarebbero rivelate veritiere, anche se… - mi scocca una breve occhiata, la prima, io mi trovo ad arrossire e abbassare lo sguardo davanti ai suoi occhi scuri e profondi – Pensavo, infine, ti saresti innamorato, la persona speciale, sai, no? Tu hai scelto che sia tua sorella, è… insolito… ma il succo non cambia!” dice, regalandogli un sorriso dolce e inquietante al tempo stesso.

Mio fratello freme come se lo avesse morso un serpente, quasi sibila, soffia, come le oche quando qualcuno invade il suo territorio, ma non aggiunge nient’altro.

Io continuo a mostrare un sorriso di circostanza, non sapendo di che cappero stiano trattando e sentendomi al centro dell’attenzione, anche se discutono tra loro. Per fortuna l’arrivo di Milo e Sonia, in corsa, mi fa sentire meno accessoria.

“Camus!” lo chiama il suo migliore amico, ricevendo in regalo l’occhiata furente di mio fratello.

“Ottimo lavoro, Milo, davvero, e bel comportamento da amico!”

“I-io… non ho potuto farci n-niente! Sai che quando Myrto si mette in testa le cose non cambia idea, è Scorpione come me, dovresti esserci abituato!”

“Vi siete appostati dietro il muro per spiare i saluti tra me e Marta?! - continua Camus, offeso a morte, furente in volto – Milo, hai quasi 22 anni, e tu, Myrto, vai per i 30, non siete dei marmocchi, che diavolo vi salta in mente? Ora esigo quella foto, subito, era… un momento privato tra me e Marta!”

“Subito lo dici a tua sorella e, ops, non in senso letterale, cara, scusami! - ribatte la donna di nome Myrto, regalandomi una seconda occhiata, che mi mette più a disagio della prima – Dicevo, subito non esiste, la Reflex è mia, fotografo ciò che voglio e voi due eravate soggetti interessanti, così dolci avvolti nell’abbraccio reciproco, così… naturali! E ho vinto la scommessa, Camus!”

“Avere una macchina fotografica non ti autorizza a ritrarre due soggetti inconsapevoli, dammela, e avrò clemenza, non ghiacciandotela, diversamente...”

“Ohoho, ma come siamo permalosi, ti brucia essere stato beccato in un momento simile, eh! Ora capisci le mie parole di anni fa? Capisci cosa voglia dire avere una persona speciale nella tua vita, persino per te, che ti sei ostinato a mascherare i sentimenti in una landa desolata di ghiaccio eterno, ebbene, hai fallito, senza sé né ma! Questo ti brucia, vero?!”

“Sei la solita… irritante… sputasentenze!”

Continuo a fissarli sempre più sconcertata, guardando da un lato all’altro a seconda di chi prende la parola, la bocca semi-aperta, l’espressione perplessa. Ad un certo punto, Sonia si avvicina a me, mi da una leggera gomitata nelle costole, prima di sorridermi.

“Stai tranquilla, fanno sempre così, come cane e gatto, tra poco si calmeranno!”

“Li… li conosci così tanto bene, Sonia?”

“Altroché, ci sono cresciuta insieme!” mi dice, gli occhi persi nelle nebbie dei ricordi, un velo di malinconia.

Ad un certo punto, è Milo ad intervenire per raffreddare i bollori, prendendo per le spalle Myrto in un atteggiamento assai confidenziale e mormorando parole di scusa a Camus, il quale sbuffa sonoramente, perennemente offeso. Alla fine della giostra, viene concordato che la foto se la terrà Myrto, con l’obbligo però di non farla vedere a nessuno e di tenersela bella stretta, previo congelamento subitaneo. La situazione sembra così calmarsi, facendo tirare anche a me un sospiro di sollievo.

...Almeno per pochi istanti, perché, subito dopo l’attenzione generale si posa su di me e mi ritrovo ben presto ad abbassare nuovamente lo sguardo, sentendomi esposta.

“E così tu sei la famosa Marta, eh? Milo mi ha parlato molto di te, ero ansiosa di conoscerti, sono contenta che il Nobile Shion abbia affidato a te e Sonia questo incarico!” mi saluta cordialmente, diventando improvvisamente composta e seria come non l’avevo ancora vista.

“E-ecco, sì, p-piacere mio...” balbetto, congiungendo le mani in grembo e trovando improvvisamente interessanti i miei piedi.

“Su, non fare così la timida, piccolina, non c’è bisogno di utilizzare un tono così formale, con me”

“Sc-scusi...”

“E dammi pure del tu, il ‘lei’ mi fa sentire vecchia!”

Annuisco timidamente, permettendomi di osservarla più a lungo. E’ una donna nel pieno della sua forza e del suo fascino, come un fiore sbocciato da un po’ e che tuttavia è nel pieno del vigore. Non è molto più alta di me, eppure ben più formosa, dai chiari tratti mediterranei che rendono la sua pelle del color dell’ambra. E’ davvero bella, piacente, sicura di sé, un po’ mi mette in soggezione, mi fa sentire piccola, a suo confronto.

La vedo avvicinarsi, un po’ troppo, per essere un’estranea, ma sembra di gran lunga più propensa di me al contatto fisico, infatti, poco dopo, avverto le sue mani sulle mie guance, come se il primo passo verso la conoscenza reciproca dovesse passare per forza per il tocco, facendo però irrigidire me, che non sono avvezza.

“Quanti anni hai, piccolina? Sei così adorabile, hai degli occhi stupendi, sai?” mi chiede, con naturalezza.

Ora capisco, deve essere abituata con i bambini e, vedendo me piccola, è attirata dalle mie guance un poco arrossate.

“Ha 17 anni e...” risponde mio fratello per me, intuendo il mio disagio. Myrto strabuzza gli occhi.

“Serio?! Sembra molto più piccola!”

“… e non le piace essere toccata così, su due piedi, quindi, gentilmente, smetti di spupazzarla, non tutti apprezzano il contatto fisico, questo dovresti averlo imparato nei tuoi 30 anni di vita!” continua secco Camus, come se non fosse mai stato interrotto.

Myrto continua a vezzeggiarmi le guance, per niente convinta dalle parole di Camus. A me, tutto sommato, non mi dispiace, ma… lo trovo un po’ prematuro, ora…

“Sciocchezze! Lei non è come te, le piacciono le coccole, si vede e… - si oppone, tornando a concentrarsi su di me – Sei così carina; più carina di tuo fratello, questo è sicuro!”

“Gr-gracie...” farfuglio, arrossendo ancora, non sapendo cos’altro dire.

“Te l’approvo, Camus! E’ ancora un po’ troppo timida per avere già 17 anni, ma penso proprio andremo d’accordo!”

“E lei che non andrà d’accordo con te, se continuerai a tartassarla con le tue stupide moine… santo cielo, lasciala stare, ha la pelle sensibile, le farai venire uno sfogo sulle guance!”

“Oh? Gelosetto? Vuoi avere l’esclusiva su tua sorella, essere l’unico a poterla coccolare?!”

A questo punto mio fratello arrossisce di nuovo, dandole la schiena e sbuffando.

“N-no, certo che no!”

“A me sembra proprio di sì e… ah, Marta, devo trovarti un soprannome, mi piacciono i vezzeggiativi e percepisco già una certa affinità con te, non sei come quello scorbutico di tuo fratello! Ci penserò un po’ su, nel caso, per te, sarebbe un problema?”

“E-eh? Oh, n-no...” balbetto, sempre più imbarazzata da quelle attenzioni non richieste.

“Sei fidanzata?”

“N-no...”

Dopo Dègel, ben sapendo ciò che sono… non so neanche se sarà mai più possibile provare un sentimento amoroso per qualcuno, in tutta onestà…

“Bene, quando lo sarai, perché sei una bella figliola, fai in modo che tuo fratello non ficchi il naso nei tuoi affari, mi sembra sin troppo protettivo!”

“Ehm… o-ok!”

“MYRTO!”

La vedo sghignazzare al rimprovero a voce alta di mio fratello, allontanandosi bruscamente da me, per poi farmi un occhiolino e tornare nuovamente seria. Sembra una tipa molto poco prevedibile, di primo acchito, non è antipatica, ma mi dovrò abituare alla sua esuberanza che mi ricorda un poco Michela.

Michela… Francesca… Stevin! Il pensiero di dovermi allontanare anche da loro mi rattrista non poco, ma tento di scacciarlo in fretta e furia.

“Il battello è già pronto, seguitemi!” ci avvisa Myrto, facendoci strada, noi la seguiamo passo per passo, un poco corrucciati nei nostri pensieri. Mi ritrovo ben presto a sospirare, affranta. Avevo detto che avrei accettato qualsiasi punizione, sono solo quaranta giorni, in fondo, ma so che saranno durissimi. Nello stesso momento, avverto la mano di Camus sulla mia spalla, mi da forza e mi incoraggia, ed io non posso fare a meno di sorridere.

Giunti davanti all’imbarcazione, è tempo di saluti, Milo quasi si apprende al corpicino di Sonia, ad un passo dalle lacrime, neanche fosse un addio. Probabilmente neanche lui è abituato a rimanere separato dalla sua giovane allieva. A nulla valgono le rassicurazioni della mia amica, del tipo: “Milo, non vado mica in guerra!”, o anche “Sarò con Myrto, sulla tua isola, non è un addio!”, lo Scorpione sembra del tutto intenzionato a non separarsi da lei, anche se dovrà farlo. Al solito, non fanno parte del segno le giuste misure, viva gli eccessi, in questo non è cambiato nulla, rispetto a Cardia.

Ridacchio nel guardarli, chiedendomi per la milionesima volta se ci sarà mai del tenero tra loro. Milo l’ha vista crescere, Sonia non sembra interessata all’argomento, sembra una situazione senza sbocco, eppure… starebbero così bene, insieme… o, almeno, credo!

“Marta… hai detto che 40 giorni passano in fretta...” dice nel frattempo Camus, più per autoconvincimento che non per altro. Annuisco, fiondandomi trepidante tra le sue braccia, in un ultimo abbraccio. Contrariamente a prima, essendo in mezzo a Milo e, soprattutto Myrto, mio fratello sembra bloccarsi per pochi secondi, prima di ricambiare timidamente il gesto e accarezzarmi i capelli.

“Camus, ti...”

“...Ti voglio bene, piccola mia!”

Mi sussurra all’orecchio, mozzandomi le parole e il fiato per lo stupore, lo fisso incredula, scorgendo del rossore sulle sue guance.

“Oh, Camus… me lo dici così poche volte!” mormoro, il cuore che accelera in un fremito, sorridendo raggiante mentre socchiudo gli occhi e appoggio il mio orecchio contro il suo torace.

“Lo dico poche volte, è vero, ma… è ciò che sento e… e ciò che senti anche tu, vero? - mi chiede retoricamente, posandomi una mano sul petto e sorridendomi con dolcezza – Marta, alcune cose si percepiscono con il cuore, più che con le parole, lo sai, non occorre che te lo ripeta. Sei… insostituibile per me, il mio bene più prezioso!”

Annuisco con vigore, alzandomi sulle punte per dargli un leggero bacio sulla guancia: concordo con lui, ma l’esperienza nel passato mi ha insegnato che non è mai troppo rivelare i propri sentimenti alle persone che ci stanno intorno. Arriverà un tempo in cui, volenti o nolenti, saremo separati per sempre e avremo rimpianti, troppi, per questo motivo, fino ad allora, lo ripeterò quante volte lo percepirò nel mio cuore, senza più vergognarmi.

“Ehi, mi dispiace interrompere i vostri saluti ma qui io sarei in partenza!” ci avvisa Myrto, già salita sulla vecchia imbarcazione, pronta a salpare.

Raggiungeremo Milos tramite traghetto sul fare della sera, un’esperienza che mi manca, non posso proprio perdermela!

Mi stacco dolcemente da Camus, sorridendogli teneramente, lui si permette, ancora una volta, ti accarezzarmi i capelli per poi scendere sulla guancia, prima di fare due passi indietro.

Vedo Sonia salire, un poco traballante sul mezzo, ricevendo una carezza di incoraggiamento da Myrto, prima di rifugiarsi sotto coperta, quasi avesse paura.

Io faccio per saltare a mia volta, ma Milo, ancora bisognoso di coccole, attira la mia attenzione, facendomi quasi sbilanciare, in avanti, poco prima di acciuffarmi e cingermi a sua volta in un abbraccio, che io ricambio tempestivamente.

“Andrà tutto bene, Myrto è… una grande donna!” mi incoraggia, guardando prima me e poi lei, quando succede, un ampio e largo sorriso gli solca la faccia, un qualcosa che giurerei di non avere mai visto, così come il suo sguardo, così luminoso.

Aspetta, ma vuoi vedere che…?

“La conosco da molto tempo, è esuberante ma puoi fidarti ciecamente di lei!” mi spiega, scrollando il viso come a voler nascondere il colorito che ha assunto il suo viso.

Ohoho, Milo che arrossisce? Questa mi è nuova! Qui gatta ci cova, o meglio, ci ha… covato!

“Milo, baderai tu a mio fratello, in questo periodo?” chiedo, cambiando discorso, perché ho gli elementi sufficienti per capire ma non ho il tempo per approfondire il discorso.

“Certo, piccola, è sempre stato il mio dovere, con chi credi di avere a che fare?!” commenta, ridacchiando a sua volta, dandomi una leggera pacca per spingermi in direzione della barca.

Ma ho ancora una cosa da aggiungere, sottovoce.

“Milo… stagli vicino in questo periodo, ne ha bisogno, soprattutto ora che Hyoga se ne è andato...”

“Lo riporteremo a casa, piccola, non temere, in un modo o nell’altro, nel mentre, conta pure su di me, baderò a quello scapestrato di tuo fratello, non lo lascerò solo!”

Gli sorrido, ci siamo capiti, poi salgo sull’imbarcazione, saltellando, prima di voltarmi verso di loro e salutarli con enfasi.

“E tu prenditi cura di Sonia, mi raccomando!” mi chiede ancora Milo, ricambiando il saluto, poco prima che il motore venga azionato e che l’imbarcazione inizi a muoversi.

 

 

* * *

 

 

Siamo sul far della sera, il sole, complice le corte giornate, si è già eclissato sotto l’orizzonte, tingendo il cielo di rosso porpora e, nelle alture celesti, di blu tendente al violaceo. Meraviglioso e affascinante al tempo stesso.

Non c’è che il mare intorno a noi, l’imbarcazione ondeggia a ritmo delle onde e l’arietta fresca mi solletica i capelli, che ormai stanno raggiungendo una lunghezza considerevole, dato che non son stati più tagliati.

Pace e calma, solo questo avverto intorno a me, oltre ad una trepidante attesa che mi fa emozionare. Sensazioni strane si susseguono dentro di me, dalla beatitudine, ad un poco di smarrimento, al senso di irrequietezza tipica di chi sente di dovere e volere fare qualcosa. Con la mente ancora gremita dell’abbraccio di mio fratello, mi chiedo tacitamente cosa stiano facendo lui e le mie amiche, probabilmente saranno impegnati a preparare la cena, ora che quella casa sarà un po’ più silenziosa del consueto, vista l’assenza mia e del Cigno.

Chissà Hyoga dove sarà… e Milo? Mangerà all’undicesimo tempio, ora che non ha più Sonia, o, forse, si sarà recato da Aiolia e Aiolos?

Mi immagino tutte le ipotesi possibili e… sorrido tra me e me.

Mi sono così cari, tutti loro… li amo e mi sento amata a mia volta, come mai era successo prima, perché il fatto di essere compagni, oltre che amici, compagni in un percorso che ci vede rischiare la vita più di altri e sostenerci a vicenda, rende i legami ancora più forti e intensi.

Sento la mancanza di casa, della mia vita, ma, ancora di più, mi sento parte di qualcosa di molto più grande, che mi fa battere il cuore all’impazzata.

“Oh? Hai deciso di avere un passaggio fino a Milos, eh? E’ proprio vero che i corvidi sono tra gli uccelli più intelligenti!”

Sento la voce acuta di Myrto rivolgersi a qualcuno, Sonia non può essere, perché è sotto coperta dall’inizio del viaggio, forse patisce il mal di mare, e non ci sono che io qua sopra, oltre a lei.

Al seguito della voce della donna, avverto uno sbattere di ali frenetico, poco dopo, una macchia nera, non tanto grande, si posa a poca distanza da me, che sono seduta sulla poppa, fissandomi con occhi dorati e profondi.

Capisco in un istante…

“Rhad… Mantus!”

Ancora quello stupido appellativo, cra? Comunque, sì, sono io… pensavo fosse il momento propizio per…

“Iniziare l’addestramento con te, sì! - finisco per lui, sorridendo soddisfatta, poco prima di voltarmi in direzione dell’Atene da cui sono partita – Lo è… eccome se lo è!” fremo, determinata come non mai.

Mi auguro che la tua forza sia pari alla tua grinta, ragazzina, dovrai faticare parecchio con me, non sono morbido come il tuo maestro ufficiale!

Mi avvisa, prima di avvinarsi saltellando e guardare nella mia stessa direzione, pulendosi poi le piume metodicamente per uno schizzo d’acqua lo ha raggiunto.

“Non hai di che temere! Il futuro mi è oscuro, ma so benissimo cosa fare ora, in questo attimo presente!” lo rassicuro, stringendo i pugni con determinazione.

Diventerò più potente, costi quel che costi, vedrai, Camus, quando tornerò sarò ancora più forte di così, la strada è ancora lunga e tortuosa, ma riuscirò ben presto a lottare al tuo fianco e a proteggerti, come…

Respiro profondamente, inspirando a pieni polmoni, prima di buttare fuori l’aria.

…Come lo voleva Isaac!

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

E anche questo capitolo, il penultimo della parte introduttiva, è completato, spero che vi sia piaciuto.

Da qui la storia si divide per una prima volta (nel corso della Melodia della neve accadrà anche in altre circostanze, perché è veramente lunga), Marta e Sonia da una parte, almeno per 40 giorni, e Francesca, Michela (e Stevin) dall’altra. Questa storia rimarrà incentrata dal punto di vista di Marta alla prima persona, ma visto che questo metterebbe da parte le altre due sue amiche, nonché una marea di questioni che non può essere dipanata con il suo solo POV, ho progettato una prima storia parallela a questa narrata in terza persona, che partirà proprio da questo punto e si chiamerà con qualcosa di simile a “I 5 pilastri” (titolo in aggiornamento). Non so ancora quanti capitoli avrà, al momento è ultimato solo il primo, che pubblicherò più avanti. Va da sé quindi che avremo i punti di vista, anche se narrati in terza persona, delle altre, di Hyoga, dello stesso Camus e, insomma, di tutti coloro che rimarranno al Santuario.

Come vi avevo accennato per i due capitoli precedenti, anche questo ha dei parallelismi con il prossimo della Sonia’s side story (L’anatema della rovina - parte terza) anche questo capitolo già ultimato e in fase di correzione, e che vedrà la luce spero presto, quindi, alla fine sono tre i capitoli paralleli, non più due (mannaggia la mia prolissità XD), non ve li starò a dire, si capiranno dalle lettura medesima.

Come questa storia si interseca con quella di Sonia, anche quest’ultima si interseca con questa, ne dimostra l’apparizione di Myrto (prima di adesso solo nominata nel prologo), personaggio appartenente alla “Sonia’s side story” e vecchia (neanche tanto) fiamma di Milo… il suo arrivo è spumeggiante, così come la personalità della donna che qui compirà presto 30 anni, adoro vederla battibeccare con Camus, mi fa morire dal ridere.

Dovrei avervi detto tutto. Al solito saluto e ringrazio tutti quelli che mi seguono , sono molto soddisfatta di come sta venendo il tutto, più avanti le cose si complicheranno sempre maggiormente. Non so quanto impiegherò a completare questa storia (parecchio, mi sa) ma ho ben delineata la strada davanti a me, spero di percorrerla insieme a voi.

Alla prossima! :)

 

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Capitolo 11
*** Il Principio Primo di Tiamat ***


Capitolo 11: Il Principio Primo di Tiamat

 

 

14 novembre 2011, tardo pomeriggio

 

 

Vai, che quaranta giorni passano in fretta, mi ero detta…

Cosa vuoi che siano quaranta giorni, quando sono stata separata da mio fratello per 17 anni? Sì, sì…

Non ne sono passati neanche la metà e già Camus mi manca da impazzire, così come Michela, Francesca e gli altri abitanti del Santuario. Mi sento fratturata, triste e malinconica, a volte. Il solo pensiero che rimarrò separata da loro ancora per alcune settimane mi mozza il respiro in petto.

Nascondo la testa tra le braccia, respirando lentamente il profumo di sabbia e mare. Certo, sento Camus praticamente ogni sera, lo chiamo, lui chiama me quando non mi faccio sentire, e stiamo un sacco a parlare, persino nei giorni fiacchi in cui non succede nulla di che, solo per il gusto di sentire la voce dell’altro, ma questa lontananza fisica mi pesa alquanto, desidererei abbracciarlo, essere stretta da lui, da quel suo modo di porsi ancora un po’ impacciato, nonostante dovrebbe ormai esserci abituato, e poi… e poi, dalla sua mano, che si posa sempre dietro alla mia nuca, facendomi sentire amata e protetta. Mi manca… mi manca terribilmente! Mi sento così patetica ad ammetterlo!

“E fai bene, è davvero vomitevole!”

Sussulto, riaprendo gli occhi nel ricordarmi di cosa stavo facendo prima, un brivido d’ira mi investe a queste parole, dandomi le forze necessarie per girare il mio viso verso di lui e sfidarlo almeno con lo sguardo.

“E a te chi diavolo ti ha dato il permesso di frugare nei miei pensieri?!” ribatto, stizzita, cercando di alzarmi in piedi, ma non ho neanche il tempo di imbastire l’ordine nel mio cervello che un possente calcio mi colpisce in pieno volto e mi fa volare diversi metri più in là. Sbatto violentemente contro una roccia, il respiro mi si mozza in petto, ricado a terra, rannicchiandomi su me stessa preda degli spasmi.

“Se la tua mente è debole e non concentrata sui suoi obiettivi, chiunque può attingervi e rivoltarti contro le tue bellissime speranze, te l’ho detto alla prima lezione, lo rammenti?!” mi incalza Rhadamantys, per gli amici Mantus, il soprannome che gli ho dato appena scoperto potesse trasformasi in un corvo.

“Oho, ti sei sentito chiamato in causa?” lo pizzico sottile, fingendo sbruffonaggine.

“No, perché dovrei?”

“Non sei il cagnolino di Hades?! Hades qui, Hades lì… per lui va bene, eh, invece io...”

Non riesco a proseguire, la sua furia si abbatte su di me. Mi incalza con una serie di pugni quasi impossibili da schivare, ne subiscono la violenza, prima di riuscire a scansarmi di lato, rotolare, e fermarmi un attimo a rifiatare. Scrollo la testa, intontita, passandomi il braccio sul volto e accorgendomi di star perdendo sangue dal labbro spaccato.

“Bravo, gran bel colpo, e ora cosa dirò a Myrto e Sonia, quando tornerò a casa?!”

Al di là della sua pucciosità quando è un volatile, questo mi fa la pelle negli allenamenti, già lo sapevo, non va per nulla per il sottile, anzi, si catapulta, mi sbatte a terra e mi lancia come se fossi un fuscello, incurante dei danni. Ridacchio tra me e me, pensando che l’impavido Giudice degli Inferi assomiglia tanto ad un personaggio di un cartone animato che guardavo da piccola.

“Mantus Junior!” bofonchiò, alzandomi in piedi con non poca fatica, mantenendo comunque il mio forzato sorriso.

“Per tutti gli Inferi, smetti di chiamarmi con quell’orrendo vezzeggiativo, non sono il tuo amichetto, né il tuo vicino della porta accanto e neanche…

“...e neanche il mio maestro!” finisco per lui, sorridendo sorniona.

“Non me ne farei comunque nulla di quell’appellativo, e ora in piedi e contrattacca, magari facendomi impegnare un goccio in più che non muovendo un unico dito!”

Incasso la frecciata, risentita. Per quanto mi dia fastidio, ha perfettamente ragione, i miei colpi sono una bazzecola per lui, neanche lì sente, è di gran lunga troppo superiore a me, ma non intendo arrendermi, ho chiesto il suo aiuto proprio per migliorarmi.

Scatto in avanti, caricando il mio attacco, che però lui intuisce già, perché compie una smorfia quasi schifata. L’ennesima.

“Ah, il Blue Impulse… di nuovo!” commenta, sorprendendomi e schivandomi con un unico movimento del fianco, prima di darmi una patta sulla schiena, che mi sbilancia in avanti. Fortunatamente evito di cadere grazie ad un tempestivo colpo di reni, ma l’atto mi sfianca tantissimo, facendomi annaspare. Tutte le congiunture, le articolazioni, persino i muscoli mi procurano fitte ad ogni più piccola movimento. Cado in ginocchio per terra, guardandolo con rabbia.

“E’ inutile che mi guardi torvamente, rimprovera la tua tecnica mediocre! Con la sola forza di volontà e la determinazione a non arrenderti non andrai molto lontana ad affrontare questi Pilastri di cui mi hai accennato. Di un guerriero ti mancano molte cose, Seraphina, la destrezza, la rapidità, l’impatto, la tecnica… il cuore!” mi dice, in apparente tono spietato, quasi impietoso. In verità, i suoi occhi non sono così severi come potrebbe apparire, sembrano un poco malinconici. Certo, non mi sorride, non so nemmeno se ne sia capace, costui, ma non leggo alcuna cattiveria nei miei confronti. Ciò che fa, lo compie davvero per farmi diventare più potente.

“Scusami se non ho avuto un apprendistato come voi Specter o come gli altri Cavalieri. Sai, fino a 6 mesi fa neanche sapevo che il Santuario esistesse per davvero, il mio problema più grande era concludere l’anno scolastico con il massimo dei voti a cui potevo attingere!” commento, aspra, mascherando la delusione verso me stessa. Nonostante ogni giorno, sul far della sera, mi alleni in gran segreto con Rhadamantys, lui è troppo superiore a me. Non vedo alcun miglioramento nelle mie capacità. E dire che sto prendendo esempio da mio fratello, dalla sua eleganza e compostezza, anche quando lotta, ma, forse, non è il mio stile...

L’immensa opera di catalogazione che ci ha impartito Shion a me, Sonia e Myrto, occupa solo l’intera mattinata e parte del pomeriggio fino alle 2, lasciandoci così libere di orchestrare la restante parte del giorno come più ci aggrada. L’unica direttiva diretta è quella di non allontanarci dall’isola di Milos per nessuna ragione al mondo.

“Occorrerà un allenamento intensivo, ragazza, così bardata morirai al primo nemico un poco più forte della media. Tuttavia devo ammettere che con Nero Priest non sei stata tutta questa schifezza! Un po’ avventata, affatto aggraziata, come invece era Seraphina, ma ti davo già irrimediabilmente morta, e invece… discreta, davvero discreta!”

“Grazie per il complimento e la fiducia spasmodica che mi hai appena dimostrato! Mi spiace aver deluso le tue aspettative!” esclamo, quasi infastidita dal paragone, apprestandomi a tentare un nuovo attacco. Mi getto a capofitto su di lui, frenetica, ma vengo fermata da un gesto della sua mano.

“Basta così per oggi, le gambe ti tremano, sei talmente concentrata sui tuoi obiettivi da non rendertene nemmeno pienamente conto. Per oggi è finita, vai in pace!” mi avverte, dandomi le spalle e allontanandosi di qualche passo, prima di sedersi sulla sabbia e guardare il mare che sta, lentamente, risucchiando il sole, ormai calante.

Invece di allontanarmi come da sue direttive, mi avvicino un poco, prendendo posizione a breve distanza da lui. Sono contenta che la sessione sia finita, effettivamente mi sento distrutta, lui deve averlo capito. Non sembra, ma sarebbe un ottimo insegnante… se solo imparasse a non dare schiaffoni che ti fanno compiere un giro su te stessa di 360°!

Lo osservo, pacatamente interessata. Fortunatamente si è tolto la camicia da boscaiolo, preferendo abiti civili quali dei jeans e una casacca. Io invece sono tornata a indossare il peplo. Non fa caldissimo ma nemmeno freddissimo, vista la stagione, ma devo cominciare ad abituarmi al gelo, essendo l’essenza del mio potere.

Contemplo anche io il mare irradiato dalla luce rossiccia del sole. Non è ancora tempo per quei bellissimi crepuscoli invernali apparentemente infiniti, ma anche questo tramonto, tendente all’arancione, non è affatto male.

“Perché… hai preso a chiamarmi ‘Mantus’?” mi chiede ad un certo punto Rhadamantys, a bruciapelo, senza però guardarmi negli occhi. Ora che razza di domande fa?!?

“Mi… mi piaceva, perché?”

“Semplice curiosità, la mia...”

“Ho pensato che il tuo nome fosse troppo lungo, Rhada è carino ma banale, quindi ho pensato alla seconda parte ‘Mantys’, ma è osceno, sembra mantide… allora mi sono concentrata, ho visto il tuo piumaggio da corvide, brillante come non mai, mi è sovvenuto il manto, e così… MANTUS!”

Inaspettatamente lo sento soffiare, guardandolo scopro che ha soffocato una risata dentro di sé, che però ha celato in fretta… ah, ma allora sa sorridere!

“Il corvo non è un mammifero, non ha un manto, ma un piumaggio!” mi fa notare, squadrandomi finalmente il volto.

“Oh, ma non l’ho scelto per quello, manto può significa anche cappa, o mantello, ed è un indumento indossato da personalità importanti!” mi affretto a riparare, arrossendo un poco.

“Da personalità importanti… la mia? Non mi conosci!”

“Ma abbiamo un vissuto comune insieme, no? Anche se non lo rammento ancora non significa che non lo avverta! Ti conosco, è stato così anche la prima volta che ti ho visto, sull’Olimpo durante la battaglia contro Crono”

Rhadamantys non aggiunge altro, rimane burbero a osservare l’orizzonte e il sole morente, che gli colora le iridi di un intenso scarlatto. Rispetto il suo silenzio, tornando a concentrarmi sui miei pensieri. Come mai continua a sfuggirmi questa parte della mia vita precedente?! Davvero non ne vengo a capo!

“Comunque… cerca di ottenere la forza il prima possibile, o non riuscirai a proteggere tuo fratello”

“E-eh?”

“Tuo fratello… Camus!”

“Lo so chi è mio fratello, ma cosa stai…?”

“Vi state avviando in una guerra e la guerra richiama SEMPRE le sue vittime! Con le tue attuali capacità non caverai un ragno dal buco, non riuscendo a proteggere nessuno di quelli che ti sei prefissata di salvaguardare. Non pensare al sacrifico, diventa forte e schiaccia il nemico, sii spietata, se occorre, sprofonda nelle tenebre, poiché potrai raggiungere i tuoi obiettivi solo se accetterai l’oscurità dentro di te. Non si ottiene nulla di duraturo se si rimane accecati dalla luce, questo i Cavalieri d’Oro non capiscono. Qualcuno deve avere il fegato di precipitare nel buio, rischiando di farsi contaminare dalle tenebre, senza averne paura. Questo significa proteggere gli altri!” mi avvisa, quasi come fosse la cosa più naturale del mondo.

“Mi stai dicendo che… è sbagliato perseguire la luce? Dovrei… diventare cattiva io stessa per proteggere coloro che mi stanno a cuore?!?”

“Osserva con attenzione le nostre ombre quanto sono lunghe… - mi dice, portandomi a guardarmi intorno, confusa, è proprio vero, ma questo cosa mai potrebbe…? - Più ti avvicini alla luce più aumenta l’oscurità; il giorno del Solstizio d’estate, in questo emisfero, è anche quello in cui le tenebre ricominciano a prendere il sopravvento...”

“Cosa… cosa ti sei fumato, oggi?” chiedo d’istinto, assomigliando paurosamente a Cardia, ma davvero non sto capendo perché questa uscita in un simile momento.

Nessuna risposta immediata, la mia domanda si perde nel vuoto, innervosendomi e sfiduciandomi nel giro di un unico, breve, secondo.

“Ehi!!!”

“...Sai, anche quando eravamo nel Limbo Seraphina mi aveva dato un nomignolo stupido, neanche fossi suo amico, o il cane da passeggio, era veramente irritante, avrei voluto trapassarla con queste mie mani, ma quella mi sorrideva sempre, ed ogni velleità di lotta sfumava!” rivela, cambiando totalmente discorso, smettendo di guardarmi. Sospiro, capendo che non avrò più risposte dopo quell’avvertimento soffiato a denti stretti. Mi alzo in piedi con tutta l’intenzione di tornare a casa di Myrto e concedermi un po’ di riposo, ma il Giudice sembra inaspettatamente loquace oggi.

“Quel suo sorriso, quella sua capacità di trasmettere calore a chicchessia, riscattandolo dalle tenebre, tu l’hai mantenuta, Marta. Hai perso la forma, l’eleganza e la regalia che le erano proprie, ma non questo, ed è ciò che farà la differenza tra te e il Mago...”

“E ora cosa… cosa vorresti…?”

“Nulla… vaneggiavo, capita anche a me!”

Rimango un attimo in silenzio, dubbiosa se porgli la domanda che mi assilla in testa, alla fine decido di tentare.

“E come... ti chiamava lei?”

Rhada si volta verso di me, imprimendo la sua espressione nella mia, le labbra perfettamente allineate, prima di tornare a contemplare il mare.

“...Mantus!”

 

Dopo l’allegra chiacchierata con la Viverna Infernale, mi avvio lentamente, trita, verso la casa che mi sta ospitando in questi giorni, quella di Myrto. La testa, neanche starlo a dire, è perpetuamente avvolta nei soliti pensieri nefasti, esacerbati dalle parole dure che mi sono state rivolte. Già, siamo in guerra, la guerra richiama le sue vittime… ma questa non dovrebbe essere una ragione sufficiente per ‘passare al lato oscuro’, no? Secondo Rhadamantys i Cavalieri d’Oro sono accecati dalla troppa luce, ed è sbagliato. Queste però, non posso permettermi di dimenticarlo, sono le parole di uno dei Tre Giudici degli Inferi, i campioni di Hades, il dio della morte, e la morte non è giusta, MAI! Diffido quindi di quanto ho udito, è come credere ad un sobillatore che ce l’ha morte con chi è migliore di lui perché lo vede risplendere di più, in questo caso i Cavalieri d’Oro, che credono nella giustizia.

Eppure, non posso proprio negarlo, le sue parole mi hanno colpita e… sconvolta, non riesco a non pensarci, non riesco a… esserne irrimediabilmente carpita!

Sono una persona cattiva? Oppure, non essendo stata influenzata dal Santuario, vedo le cose in maniera più oggettiva?

Scrollo violentemente la testa, tramortita da quel pensiero, serrando gli occhi e sentendo tremare il mio corpo. No, no… cosa vado a pensare, adesso?!

Davvero, quest’ultimo dialogo mi ha inquietato e non poco, vorrei semplicemente… uh? Sento vibrare il cellulare nella borsa, la apro e ci rovisto dentro, riuscendo infine a trovarlo e prenderlo in mano, leggendovi comparire il nome di Camus. Istantaneamente sorrido, trepidante, sentendomi la bambina più felice del mondo dopo aver ottenuto un regalo che aspettava da tanto, tantissimo, tempo. Schiaccio tutta contenta il tasto per accettare la chiamata. Benedetto fratello! Ora, come non mai avevo bisogno della tua voce e sei giunto, come se lo avessi percepito!

“Pronto?” chiedo con voce squillante, atta a mascherare sia lo sconvolgimento di prima che la stanchezza.

“Ciao, Marta! - mi risponde Camus in tono dolce, da farmi riscaldare immediatamente il cuore – Ti disturbo?”

“Tu non disturbi mai, fratellino!”

“Come stai?” mi chiede, sempre in tono gentile, felice a sua volta di poter parlare con me, anche se solo tramite il cellulare.

Se gli dicessi la verità, ovvero che mi sento a pezzi, si insospettirebbe e Rhadamantys ed io stiamo facendo di tutto per non essere beccati, meglio quindi ripiegare su qualcosa di più naturale.

“Un po’ stanca, Cam, ma sto bene, voi come state?” gli chiedo con dolcezza, ben sapendo che anche lui compirà un’iperbole per evitare di dirmi la completa verità. Conosco benissimo il suo precario stato di salute, aggravato dalla mancanza del suo Hyoga, non ancora tornato al nido. Tornerà più, poi?

“Sempre uguale qui al Santuario, si sente l’assenza tua e di Sonia… Milo viene sempre qui, ha perenne bisogno di compagnia altrimenti si deprime, pensa solo che l’altra sera si è addormentato sul mio divano, ho avuto l’impulso di cacciarlo fuori casa, ma dormiva docilmente come un bambino e aveva l’aria beata, non me la sono sentita di rispedirlo alla sua dimora e allora gli ho messo sopra una coperta, visto il mio Tempio, come sai, è il più freddo! - prende una breve pausa, prima di proseguire – Ha dormito come un sasso fino al mattino, quando, rintronato, si è svegliato per la colazione che gli ho preparato. Non riusciva a crederci, quasi piangeva per la sorpresa e ha tentato di abbracciarmi. Non sapevo che fare, mi imbarazzano certi gesti improvvisi e non me lo aspettavo proprio...”

Ridacchio nell’immaginarmi quella scena e nel pensare alla faccia di Camus in quel frangente, visto che ha non pochi problemi a palesare le emozioni. Sono unici, ognuno a modo proprio!

“Gli hai fatto pat pat, almeno? Povero Scorpionide, ahaha!”

“Gli ho fatto… cosa?!”

“Niente, lascia stare… Michela e Francesca?”

“Stanno bene, continuano gli allenamenti con determinazione, mi dicono che vi sentite spesso tramite messaggio, c’è qualcosa che non va?”

“N-no, perché dovrebbe?”

“Non so… - bofonchia, velatamente infastidito – Magari hai dei problemi e, per paura che io mi possa preoccupare, ti sfoghi solo con loro...”

Ma sentilo da che pulpito..! Soprassediamo, va’.

“Ma no, fratello impiastro! Semplicemente noi abbiamo fatto sempre così, fin da prima del Santuario, ci sentiamo molto via messaggio, raccontandoci del più e del meno, ma sono tutte cazzate tra ragazze, davvero!” lo provo a tranquillizzare, ridacchiando nel costatare, ancora una volta, che Camus, checché ne dica lui, un po’ gelosetto lo è, come diceva Myrto. Il giusto, senza esagerare, ovvio, anche perché è fiero della sua libertà e della mia, ma un poco lo è… e lo trovo davvero adorabile!

“Quindi stai davvero bene, me lo puoi riconfermare? Il tuo tono è parecchio strascicato… è così stancante il riordino dell’archivio?” insiste ancora, quasi percepisse che c’è qualcosa che voglio tenere nascosto.

“Tutto bene, Cam, davvero, solo...”

“Solo...?” mi incalza, il tono che si fa un poco più urgente.

Mi vergogno un po’ a dirglielo così, considerando che sono passate appena tre settimane dalla punizione e rischio di risultare davvero patetica, ma...

Prendo un profondo respiro. La vita è così breve, rimpiangerò di più il non detto che il detto, questo mi ha insegnato Cardia, questo è ciò che vorrei essere: un po’ più simile a lui, il vivere la vita così come la viveva lui, senza rimpianti. Glielo devo!

“Solo che… mi manchi, Cam!”

Un singulto dall’altra parte del telefono, deve essersi imbarazzato, me lo immagino tutto rosso e un moto di tenerezza mi investe. Che buffo!

“S-so che è stupido, so che è… è passato poco tempo, m-ma...”

“No, non lo è… - si affretta a dire lui, addolcendo ancora di più il suo tono di voce – Manchi anche a me, piccola...”

Sorrido, mentre il cuore mi si accelera in petto. Mi sento così emozionata…

“Mi mancate sia tu che Sonia e… e so che anche per gli altri è così. Fate parte delle nostre vite, in questi mesi abbiamo vissuto insieme sotto lo stesso tetto, vedendoci ogni giorno, è… difficile… questa separazione, anche se solo temporanea, e lo è ancora di più ora che Hyo… - si interrompe, tossicchiando, cercando di recuperare due toni della voce – Lascia perdere, non voglio tediarti con questa faccenda!”

Capendo la difficoltà che ha nel parlarne, procedo con i piedi di piombo.

“Lo hai... più visto?”

“S-sì, un’unica volta, ad inizio novembre, come ti ho già accennato, ed è stata una tragedia. Successivamente ha usato mille e più precauzioni per non incrociarmi più sul suo cammino. Si allena spesso al Tempio, questo lo so dagli altri Cavalieri d’Oro e… beh, credo si veda con Michela...”

“Cam, ascolta...”

“N-non mi vuole vedere p-più, Marta...” si lascia sfuggire, in tono tremante.

“N-non è così, è che si vergogna per quello che ha fatto ed è rimasto ferito dalle tue parole, Camus...”

“...”

“Camus?”

“L’ho p-perso… anche lui! Che razza di...”

“Se stai per dire ‘che razza di maestro sono’, appena ti rivedo, ti rifilo le sberle a due a due finché non diventando dispari!”

E’ il mio turno di bloccarlo, con un pizzico di severità. Si sta facendo i castelli in aria come suo solito, quando dovrebbe solo andare da lui e riprenderlo, riprovarci, almeno, ma non ha davvero la più pallida idea di come fare, non sa come muoversi in questo percorso ed è davvero troppo, troppo, orgoglioso.

“Mi manca… tanto… non avrei dovuto permettere alle parole di uscire così spietatamente. Lui, sai, ha sempre vissuto molto male la perdita di Isaac, si sente responsabile in prima persona e, certo, lo è, ma io non sono stato da meno, ho permesso al legame che avevo con Isaac di trasparire fuori da me, quando invece avrei dovuto essere totalmente imparziale, e… lui… il mio Hyoga, lo ha percepito fin da piccolissimo, soffrendoci senza però lamentarsi mai. Sono io il primo responsabile delle sue insicurezze e dei suoi traumi, ed ora… ora non c’è più niente che io possa fare. Ho sbagliato tutto...” si confida con difficoltà, mentre io continuo a passeggiare lentamente verso casa di Myrto.

Fai così fatica ad esprimerti, fratellino, eppure ci stai provando con tutte le tue forze, non posso che essertene grata e di stimarti una volta di più per come, anche tu, stia crescendo dopo i fatti accaduti nel passato. Non sei avvezzo ad ascoltarti, figurati rivelare ciò che provi, ma dopo tutto ciò che hai subito ad opera di… quel mostro… stai dando tutto te stesso per non ricadere negli stessi errori. Sono orgogliosa di te!

“Camus… sei umano, devi sempre ricordarti questo! Avevi un legame speciale con Isaac, non puoi fartene una colpa, persino i genitori hanno...”

“Io non ero un genitore, ma un maestro, per questa ragione io...”

“Un maestro a 14 anni, certo! Eri un ragazzo, Cam, e ti hanno affidato un compito così gravoso e, nonostante questo, tu lo hai svolto nel migliore dei modi!”

Un grugnito dall’altra parte mi fa capire che lui non ne è altrettanto convinto. Che testa di rapa, anzi no, esimia testa di cazzo, come dice Milo!

“Comunque la si metta li hai fatti crescere, Cam… questo lo fa un genitore, sii fiero di te stesso!”

“Non lo sono...”

“E dovresti esserlo, invece!”

“...”

Si è di nuovo ammutolito, impossibile convincerlo. Ogni tanto mi fa venire voglia di sbattere la testa contro il muro, o forse fracassare direttamente la sua, di testa, sul cemento per convincerlo di ciò che vale. Vorrei che lo capisse; che capisse quanto lui sia prezioso per noi, quanto gli vogliamo bene, e quanto sia unico, ma sembra una battaglia persa già in partenza.

“Vorrei continuare a parlare con te… vorrei che tu fossi qua davanti a me, in modo da poterti stringere contro il mio petto e cullarti… - sospira ad un certo punto lui, in un imput di totale sincerità senza filtri – Sto così bene quando ci sei tu al mio fianco... ma devo salutarti tra poco, devo preparare la cena per Michela e Francesca che tornano tra poco dagli allenamenti e… beh, per quella testa quadra di Milo, ormai è come se lo avessimo adottato!” mi spiega, sbuffando divertito, rassicurato dalla mia voce.

“Non stancarti troppo, intesi? Fatti aiutare, ogni tanto, se puoi! Sei ancora… - mi fermo un attimo, pensando alla parole da utilizzare senza che lui si urti, meglio non usare ‘debole’ - Le tue ferite, seppur finalmente richiuse, non sono un’inezia, e… e...”

“Lo so, Marta, grazie! - finisce lui per me, in tono caldo, glissando al solito l’argomento pertinente alla sua salute – Tu ti preoccupi sempre troppo per me, sorellina...”

“Sei la persona più importante della mia vita… è più che naturale che mi preoccupi!” gli rivelo, imbarazzata, assecondando il suo volere di non trattare ulteriormente le sue condizioni psico-fisiche, malgrado il brivido lungo che mi ha percosso la schiena.

Pausa dall’altra parte, per una serie di secondi sento solo il suo respiro, un poco accelerato.

“Anche tu per me… l-la più importante!”

“Lo so… ma grazie per ricordarmelo”

Sorrido, apprestandomi a chiudere la chiamata, ma poi, ricordandomi di una cosa, sussulto, cercando di recuperare due toni della voce.

“Ah, Camus, ti avevo preso...”

TU-TUUUU.

Sospiro, riponendo il cellulare nella borsa. Anche questa volta non sono riuscita a dirgli del bracciale, preso durante la missione a Delphi, che gli volevo regalare. Uff, è perfetto per lui ma, non so perché, mi vergogno a darglielo, non sembra esattamente un tipo propenso a questi gesti, e se poi si offende?

Ancora un poco corrucciata, arrivo finalmente alla graziosa dimora di Myrto, stile casetta di pescatori su due piani. Ben sapendo che la porta è sempre aperta, la spingo per entrare, richiudendomela dietro e salutando timidamente. Mi risponde solo Myrto, mentre sento i suoi passi venire verso di me, Sonia deve essere al piano di sopra, oppure non ancora rientrata: al di fuori dei nostri compiti, siamo abbastanza libere di muoverci come meglio crediamo.

“Oh, ciao, piciula, ben tornat… - mi saluta amabilmente nel vezzeggiativo che ha scelto di darmi, ma appena mi osserva meglio, sussulta visibilmente – Per tutte le Ninfe, dove sei finita, questa volta?!”

Ricambio lo sguardo senza capire pienamente, arrossendo nel vedermela piombare praticamente in pantaloncini e reggiseno (da quanto ho potuto appurare in queste settimane, è molto libera di costumi!), prima di ricordami che Rhadamantys ha avuto la brillante idea di colpirmi in faccia e farmi sanguinare.

“Oh, ehm...” prendo tempo, non sapendo che scusa inventarmi, non è la prima volta che ritorno a casa conciata così, o anche peggio, questa deve essere già la terza. Io glielo ripeto a quel filibustiere di colpirmi da altre parti, che posso celare più agevolmente, ma lui no, dritto al punto, mettendo me nei guai.

Myrto si approccia immediatamente a me, annullando la distanza fisica nell’arco di un istante nel toccarmi il viso con preoccupazione. Il contatto, sulle prime, mi irrigidisce, poiché non ci sono ancora abituata, solo dopo una serie di secondi la mia muscolatura si permette di sciogliersi.

“Ehm, sono...”

Diavolo, non so proprio che inventarmi!

La sento sospirare un poco prima di guardarmi in faccia con serietà mista a comprensione.

“Non starai strafando un po’ troppo, con gli allenamenti?”

Sgrano gli occhi indietreggiando d’istinto: beccata!

“T-tu, io n-non… - mi rendo conto di non poterle mentire – Da quanto lo sai? S-Sonia… lo sa? Sapete anche… con chi mi alleno?” chiedo, titubante. Vorrei scavarmi una fossa da sola, accidenti!

“Perdonaci, non volevamo impicciarci, ma… eravamo preoccupate per te, quindi, sì, lo sappiamo, vi abbiamo visto sulla spiaggia già un paio di giorni fa”

“Scusatemi, io...”

“Perché ti stai scusando, ora? Sei abbastanza grande per decidere da te, dico bene?” mi rassicura lei, in tono leggero, posandomi una mano sulla testa e facendomi l’occhiolino in maniera molto materna.

“L-lo avete riferito a-al Santuario?” chiedo ancora, trovando infine il coraggio di alzare lo sguardo sul suo viso dolce.

“Certo che no! E’ una tua decisione, non compete certo al Tempio!”

Mi ritrovo a sorridere, gli occhi luminosi, rasserenata dal suo modo di porsi. Lei mi regala un altro sorriso, mi prende per mano e mi conduce in soggiorno, dove mi fa sedere sul divano, raccomandandosi di aspettarmi lì, mentre va a prendere la scatola dei medicinali. Ritorna poco dopo, cominciando ad armeggiare con l’acqua ossigenata e i dischetti di cotone. Mi soffermo un po’ a guardarla, studiando le sue fattezze corporee. E’ una donna sulla trentina, dal fisico alto, snello e sinuoso, con la pelle sempre abbronzata e i tratti chiaramente mediterranei. I capelli lunghi e scuri, che tiene spesso raccolti in uno chignon basso, ben si confanno con i lineamenti del suo corpo. Ha le forme giuste al posto giusto… è davvero una bellissima donna!

Sorrido tra me e me, toccandomi istintivamente i miei, di capelli, che già considero lunghi eppure mi arrivano poco sotto le scapole.

Sonia si è lasciata sfuggire, qualche giorno addietro, che Milo e Myrto, un paio di anni fa, hanno avuto una bella e divampante tresca tra loro, che è andata avanti più o meno, tra alti e bassi, fino agli albori della Battaglia delle 12 Case. In verità, la cosa, non mi ha stupito affatto. Ho ben visto gli occhi luminosi e pieni dello Scorpione quando mi ha parlato di lei, ancora adesso, non sono propriamente sicura che non provi interesse e, in tutta franchezza, è proprio una tipetta adatta ad uno come lui.

Finito di armeggiare, si siede di fianco a me dove, prendendomi delicatamente il volto, comincia a tamponarmi il labbro. Io la lascio fare, docile.

“Marta… capisco bene le tue intenzioni di diventare forte, capisco anche che, visto di chi sei sorella, non ti curi troppo di te stessa, ma… davvero, di’ a quel tizio di andarci piano con te, sei comunque una ragazza, è vergognoso ridurti così!” afferma, con decisione, sempre pronta a difendere me e Sonia (e credo ogni ragazza di questo mondo!) da tutto e tutti.

“Mantus è fatto così… ho chiesto di essere allenata da lui proprio perché non si esime, come, invece, purtroppo, farebbe Camus… - le dico, non riuscendo a mascherare una smorfia di dolore a causa del bruciore – Mio fratello ed io siamo troppo legati, lui non riesce più ad andarci giù duro con me, io non riuscirei ad usare tutta la mia forza contro di lui per paura di fargli male...”

“Vuoi diventare forte… per lui?” mi chiede lei a bruciapelo, una strana luce negli occhi.

“Per lui e per le persone che amo, ma… - tossicchio a disagio, arrossendo – sì, è lui la ragione prima, il… motore, se così si può dire, che mi spinge a lottare e, ancora, lottare… lui cerca sempre di non dimostrarlo ma… è così fragile, eppure altrettanto forte e coraggioso, malgrado tutto ciò che ha passato. Io… devo aver cura almeno di lui, come non… come non sono riuscita a fare… p-prima...” le confesso, discostando lo sguardo dolente.

Non ci conosciamo che da qualche settimana, però lei, Myrto… non so, mi ispira fiducia, come una mamma. Non può capire totalmente quello che vorrei dire, tuttavia… sento che potrei rivelarle qualsiasi cosa qui e ora.

“Come… pensi di non essere riuscita a fare con Dègel?”

...Può capirlo eccome, invece!

Istintivamente allontano bruscamente la testa da lei, guardandola con occhi spalancati e uno sconvolgimento che si manifesta con un tremore forte e ben visibile.

“L-lo conosci, o-o… - provo a rabboccare aria, sentendomi il cuore a mille – No, aspetta, non puoi conoscerlo personalmente, lui è nato...”

“E’ nato il 5 febbraio del 1721 ad Orléans e morto il 27 ottobre del 1743 ad Atlantide nel tentare di fermare l’anima di Poseidone risvegliata, vero? Effettivamente non potrei conoscerlo...”

Abbasso lo sguardo, sentendomi esposta, mi pizzica il bordo degli occhi nel sentire le sue parole, il respiro è spezzato nel petto, ma, sforzandomi di rimanere con i piedi per terra, continuo nel dialogo.

“Lo hai… letto nei volumi degli archivi?” le chiedo, una mano premuta sul petto.

“Sì, ho letto la sua storia, come quella degli altri Cavalieri d’Oro non solo della precedente Guerra Sacra, ma anche di quelle prima – mi accontenta, placida, permettendosi di sfiorarmi i ciuffi di capelli con dolcezza – Però, Marta, vedi… io l’ho conosciuto davvero, è… è un mio caro amico!”

Capisco immediatamente cosa voglia dire e non riesco a non sussultare nell’appurare un simile fatto.

“Tu… riesci a vedere… gli spiriti? - chiedo conferma, in tono tremante – Ci hai… parlato?”

“Sì… fa molta fatica, ma, ogni tanto, riesce a mantenersi visibile davanti a me, laddove non fosse possibile, invece… si percepisce come una brezza leggera. E’ rimasto sempre al tuo fianco, sai? Anche se non l’hai potuto vedere, prima di quest’estate...”

La guardo, un nodo in gola, la sensazione di aver ricevuto un pugno in pieno stomaco. Quindi lei riesce a vedere il frammento dell’anima di Dègel, ci parla, probabilmente ci ha parlato in tutti questi anni addietro, anche se non so bene da dove partire.

“Grazie… per non averlo lasciato solo” biascico a fatica, la gola secca.

Lei mi fissa sorpresa, prima di regalarmi un buffetto sulla guancia e sorridermi intenerita.

“Marta… so che sei stata Seraphina nella precedente vita, la persona amata da Dègel, e so che sei rinata per salvare la sua anima e quindi Camus… - spiega, in tono più dolce possibile – Proprio per questo ti posso dire che capisco bene il tuo desiderio di proteggere tuo fratello, ma cerca di non esagerare...”

“...”

“Vi muovete in una relazione difficile, entrambi sapete cosa siete stati, entrambi sapete a cosa avete rinunciato. Il sentimento che vi unisce è cambiato nel corso del tempo, non poteva essere diversamente, ma, lo avverto, ogni tanto hai paura che un coinvolgimento emotivo così forte sia sbagliato, vero?”

“Ogni tanto lo penso, sì… e ne ho paura...”

“Ma… ti fa stare bene?”

Questa volta annuisco con forza, arrossendo nettamente. Altroché se sto bene, mi sento in pace con me stessa quando sono tra le braccia di mio fratello, mi sento a casa quando parlo con lui e, se solo potessi, vorrei che questo non cambiasse mai, anche se so che è impossibile.

“Se ti fa stare bene e non fai del male a nessuno, non c’è niente di cui vergognarti, né di cui aver paura!” arriva alla conclusione, con semplicità e praticità al tempo stesso.

Rimango un poco in silenzio, corrucciata nei miei pensieri, mentre, con la coda dell’occhio, la vedo alzarsi e riporre i medicinali nella cassetta.

“Potrò… rivedere Dègel, prima o poi?” chiedo, in tono supplichevole. Anche se sono consapevole che la cosa non dipenda da lei, avrei tanto bisogno di avere delle conferme.

“Gli è molto faticoso mantenere una forma visibile, lo sai, ma… non disperare, Marta, un modo c’è… - mi da una leggera speranza, voltandosi verso di me, poi però vede la mia espressione ricolma di gioia, luminosa come non mai e aggiunge – Ma, mi chiedo… ti farà bene?”

Ingoio nuovamente a vuoto, rendendomi conto che ha pienamente ragione.

“Ho… ho scelto di salvare Camus, nel passato, ho… ho abbandonato Dègel al suo destino...” mi colpevolizzo ulteriormente, le mani che si stringono sulle ginocchia.

“Oh, piciula… non l’hai abbandonato, hai lasciato semplicemente che le cose andassero come dovevano andare, Camus è vivo grazie a te e...”

Scrollo la testa, socchiudendo gli occhi.

“Ma… ma non riesco completamente a separarmi, non riesco a… staccarmi da D-Dégel...” quasi singhiozzo nell’esporre quest’ultimo particolare.

“E’ perfettamente normale...”

Mi prova a tranquillizzare, prima di tornare alle sue faccende. Mi nascondo il viso tra le braccia, mordendomi il labbro inferiore allo scopo di trattenermi. Ha ragione, non mi fa bene pensare anche solo a lui, come potrei reagire quindi a rivederlo ancora una volta? Mi manca… mi manca da impazzire e sento di averlo abbandonato anche se tutti mi provano a tranquillizzarmi nel dirmi che non è così. Non voglio che Camus faccia la sua stessa fine, non voglio che muoia, non voglio più perderlo… NON VOGLIO!

L’acciottolio dei piatti mi fa compagnia, giungendo alle mie orecchie come amico, come un atto di ordinaria manutenzione della casa, ciò mi spinge lentamente a calmarmi. Torno allo scoperto, sfregandomi gli occhi, che avverto brucianti, ma il bisogno di piangere è cessato senza aver ceduto. Mi reputo soddisfatta.

“Myrto...”

“Sì?”

“P-puoi… non dire niente a Camus dei miei allenamenti extra? Si arrabbierebbe moltissimo, oltre che a preoccuparsi e… e non capirebbe...”

“Perché, quell’essere è mai stato capace di capire gli altri?” risponde lei, piccata, non nei miei confronti ma nel parlare di lui.

Mi ritrovo a sbuffare divertita, ulteriormente rasserenata dalla sua espressione colorita.

“Scusami… - si affretta ad aggiungere, grattandosi maldestramente la testa come farebbe Milo – Immagino che con te sia come con nessun altro, più aperto, più premuroso, più socievole...”

Non rispondo, mi limito ad annuire, gli occhi luminosi ed un sorriso malinconico.

“Comunque, come hai potuto ben appurare, non sono esattamente la prima fan di tuo fratello, inoltre ti reputo abbastanza grande per decidere la tua strada da sola. Vuoi proteggerlo e agisci per diventare forte, è perfettamente coerente e apprezzabile questo, per cui puoi stare tranquilla, rimarrà un segreto tra me, te e Sonia! - mi rassicura, con un largo sorriso, prima di gonfiare le guance e regalarmi un’espressione assolutamente deliziosa – Tuo fratello è sin troppo protettivo nei tuoi confronti, impara a strigliarlo a dovere, quando esagera, hai tutta una serie di sentieri davanti a te, è tuo diritto scegliere quale imboccare e percorrere, checché lui concordi o discordi!” mi consiglia, decisa.

“Grazie, Myrto… farò tesoro dei tuoi pareri!” le sorrido, completamente rasserenata.

 

 

* * *

 

 

16 novembre 2011, tarda mattinata

 

 

Quest’oggi il riordino dell’archivio è finito prima del solito, ancora mi chiedo la motivazione. Semplicemente Myrto, dopo aver ricevuto una chiamata via cellulare, ci ha riaccompagnato sull’isola di Milos con la direttiva che forse continueremo oggi pomeriggio, forse no. E’ stata… un bel po’ misteriosa!

Una volta approdate, Sonia mi ha fatto da guida e mi ha condotto su una spiaggia poco frequentata a cui lei è molto legata. Per la verità, in questa stagione, per fortuna, aggiungerei, qui sulle Cicladi non c’è troppa gente, sebbene le belle giornate e il clima temperato continuino ad oltranza, ma fa comunque piacere avere un luogo dove ritrovarsi e chiacchierare tra noi senza ingerenze esterne.

Milos, la patria di Milo, è un’isola bellissima, dalle temperature gradevoli, il mare cristallino, il terreno marroncino chiaro e le casette bianche coronate da tetti e finestre dipinte di azzurro cobalto. E’ un luogo paradisiaco che, da quanto ho capito, ha visto crescere la piccola Sonia e che ha incorniciato il sogno d’amore di Milo e Myrto.

Perché, sì, quel furbetto di Milo ha davvero buon gusto in fatto di donne, ecco spiegato il motivo del suo lungo sostare con lo sguardo su di lei. La stessa Myrto mi ha confermato, senza peli sulla lingua, che c’è stato del tenero tra loro due, è anche scesa in particolari succosi ma non richiesti, concludendo che, per consigli circa il sesso, posso contare su di lei. Sì, come no… non ho più la materia prima e, anche se l’avessi, mi vergognerei a chiedere, preferendomi piuttosto basarmi sulle esperienze della mia vita passata, Seraphina. Tossicchio tra me e me per buttare giù l’imbarazzo che mi ha colto.

Non mi è comunque chiaro perché poi Milo e Myrto si siano allontanati, forse i doveri, forse la crescita… chissà… del resto, le responsabilità hanno allontanato, consapevolmente, anche me e Dègel, ben consci dei nostri rispettivi ruoli.

Sospiro, sorridendo amaramente, prima di essere riscossa da Sonia che, prendendomi per mano, mi dice un “è là!” e mi trascina a tutta birra sulla sabbia.

Non c’è nessuno su questa spiaggia, solo noi, un paio di gabbiani irriverenti che subito si mettono a controllarci guardinghi per vedere se portiamo cibo e un altro paio di piccioni, prudentemente lontani dagli uccelli più grossi. Oltre a loro, solo due alberi vicinissimi all’acqua, che destano la mia curiosità, vado a controllarne le foglie, non riconoscendoli affatto, strano che vivano così a ridosso del mare, la cosa mi incuriosisce. Riconoscerei un ontano nero da quello bianco, un pioppo tremulo da un altro pioppo, ma questi no, non sono così esperta di alberi marittimi, avendo sempre privilegiato l’Entroterra di Genova.

Finita l’ispezione, comprendendo che, da sola, non riuscirò a scoprire il nome di quegli alberi, torno docilmente da Sonia, la quale, levandosi i sandali, si è seduta sulla sabbia gialla e si è messa a contemplare il mare, sorridendo tra sé e sé. Mi sistemo al suo fianco, sentendomi in pace con me stessa e felice di poter trascorrere un po’ di tempo con lei su un isola a me sconosciuta. Ho imparato ad amare il Grande Tempio, un po’ meno l’affollata Atene, ma a me piace cambiare, stare nello stesso luogo mi annoia, dopo un po’, come se non fossi mai contenta, alla perenne ricerca di qualcosa di inafferrabile.

“Quali sono i tuoi progetti, Marta?” mi chiede genuinamente Sonia, portandosi le ginocchia al petto e stringendole con le braccia.

La guardo per un attimo senza capire pienamente, prima di farmi seria e contemplare il mare.

“Progetti… possiamo anche solo pensarli, nella situazione traballante in cui ci troviamo?” le chiedo a mia volta, ricordandomi delle parole di Rhadamantys. Accidenti, in questi giorni sono stata troppo tempo con lui, deve avermi contagiata con il suo grugno e la poca gioia di vivere, perché davvero, se solo penso al futuro incerto, non riesco a far altro che rinchiudermi nella sicurezza di vivere alla giornata, sfiduciata del futuro. Sonia ridacchia nervosamente, forse capendo le motivazioni dietro la mia frase, prima di fissare la sua espressione nella mia e sorridermi.

“Facciamo conto di essere due ragazze normali, cosa vorresti fare nel medio/lungo periodo?”

“Al di là di diventare più forte?”

“Al di là di diventare più forte, sì!”

Ci rimugino un po’ su, scrutando il cielo come se potesse darmi delle risposte, nello stesso momento una brezza fresca mi smuove i capelli e un pesce salta nell’acqua, sparendo subito dopo e lasciando solo cerchi concentrici al posto della pinna. La risposta, in verità, mi è chiara.

“Vorrei diventare Sciamana!” dico in un soffio, socchiudendo e riaprendo le palpebre in un guizzo esplosivo. Sì, è proprio così, non Cavaliere di Atena, né tanto meno Sacerdotessa Guerriero, le ho viste le maschere che sono costrette a portare…

Stringo di riflesso le mani a pugno, un poco infastidita. Sicuro non ho niente da spartire con la dea della Saggezza, non perché la odi, anche se tutt’ora alcune sue.. scelte… mi lasciano basita, ma proprio perché so che non giungerò a massima maturazione se rimarrò segregata qui.

“Oh, come tuo fratello, quindi!” commenta Sonia, gli occhioni brillanti.

“Come lui, sì, è un po’ il mio mito, vorrei prenderlo ad esempio, ma, sai, non sembra così altrettanto contento della mia decisione” mi lascio sfuggire, un pizzico di disappunto.

“E’ perché ha paura per te, Marta… teme che tu voglia seguire la sua, sofferta, strada, invece di volare per conto tuo”

“Io volerò per conto mio, quando i tempi saranno maturi, ma la partenza me la deve dare lui, io non sono Sciamana, senza il suo aiuto io… non potrò scegliere il percorso da intraprendere!” le dico, corrucciata, prendendo di riflesso una manciata di sabbia e lasciandomela scivolare tra le dita.

Sonia rimane in silenzio per diversi secondi, lo sguardo rapito dall’orizzonte un poco increspato, poi si riscuote, tornando su di me.

“Sai… Camus mi ha spiegato, tempo fa, che ci sono vari tipi di Sciamani...”

La osservo, interessata. Che ci fossero varie tipologie lo supponevo, anche se non ne avevo la piena certezza, ma non ho la minima idea di quali possano essere, sono del tutto inesperta su questo settore, anche se…

Mi massaggio debolmente la testa: Seraphina non era forse una Sciamana? Perché… non ho memoria nitide, neanche su questa sua dote? Ho recuperato tutti i ricordi legati alla sua vita da umana, ma, come ha detto lo stesso Crono, come ha confermato lo stesso Rhadamantys, alcuni tasselli mi mancano e non ne conosco la ragione. Ci sarà un modo per ottenere di nuovo tutto? Per tornare ad essere… ciò che ero?

“Tra tutti, i più misteriosi e leggendari sono gli Evocatori...”

“Evocatori?”

Sonia annuisce, facendosi sempre più seria.

“Sì, ma la loro genealogia si perde nella notte dei tempi, ormai nessuno vuole essere Evocatore, la gente non ci crede di più, il progresso tecnico ha spazzato via tutto il resto, così mi ha detto Camus, quel giorno...”

“Quale giorno?”

“Uno in cui ha rischiato di morire, Milo ed io siamo andati a trovarlo”

“Ah… - incasso il colpo, la gola secca – Quante volte ha rischiato di morire?!”

“Troppe...”

Già, troppe davvero! Stringo il pugno, serrando la mascella. Anche adesso non stai bene, fratellino, non mi hai detto nulla su quello che ti ha fatto subire quel bastardo, anche se l’ho capito… io e Milo lo abbiamo capito… ma non ci restano altro che le supposizioni.

“Mio fratello… è un Guaritore, se ben ricordo!” devio argomento, non desiderando approfondire quello inerente a quando ha rischiato di morire. So che, se vorrà, sarà lui a rivelarmelo.

“Sì, ma… non ama parlarne molto”

“Ma ha dei poteri eccezionali, Sonia, dovevi vederlo quando, dopo esserci riuniti con lui, Milo, Michela e Francesca, dopo la nostra lotta contro i robot nel passato, mi ha curato le ferite che avevo subito solo toccandole e soffiandoci sopra! Io… vorrei essere come lui, lo stimo sinceramente!” le dico, davvero euforica, gli occhi che luccicano come di consueto.

“E lo diventerai, ne sono sicura! - mi incoraggia, allegra, prima di continuare sul discorso di prima – Ma, sai, forse, chissà, potresti diventare anche Evocatrice, la prima, dopo secoli!”

“I-io… - mi blocco un attimo, pensierosa – Non so se ne sono in grado...”

“Camus mi ha narrato che gli Evocatori, un tempo, erano soliti partire per un viaggio di formazione accompagnati da persone fidate, questi ultimi venivano chiamati Guardiani”

“U-un viaggio? Evocatori? Guardiani?!”

Mi accorgo che non so un sacco di cose, Sonia è ben più lanciata di me, e dire che vorrei pure diventare Sciamana, come farò, se parto non da zero, bensì da sotto zero?!

Un viaggio di formazione… per dove, poi?! L’idea del viaggio mi piace, io stessa ho bisogno di muovermi in continuazione, così facendo potrei… ma mi blocco, una fitta al petto. No, un secondo, se partissi per un viaggio dovrei dire di nuovo addio a mio fratello, non credo di…

“Non penso diventerò Evocatrice, mi basterebbe essere Guaritrice, come mio fratello, o chissà, magari qualche altra tipologia!” mi affretto a dire, scrollando la testa.

Rimaniamo un altro paio di minuti in silenzio, ognuna persa nelle proprie cogitazioni, finché non mi sento di ribaltarle la domanda.

“E tu cosa vuoi fare in futuro?”

“A parte diventare forte, intendi?” ricalca la mia risposta, con uno sbuffo divertito. Non ribatto verbalmente, mi limito ad annuire e a soffiare aria fuori, in una specie di pernacchia a metà strada tra una risata e un verso.

“Penso che… - prosegue poco dopo, raddrizzando la schiena – se tu vorrai diventare Sciamana, io ti seguirò come tua Guardiana, se mi accetterai!”

A questo punto mi giro verso di lei, sconvolta, mentre la vedo lasciarci andare e posare la testa contro la mia. Mi ritrovo ad arrossire, mio malgrado, a quella affermazione, ritrovandomi rigida in un contatto che invece dovrebbe emanare calore.

“S-Sonia...”

“Lo desidero… perché tu sei la mia migliore amica!”

Migliore amica… mi ritrovo mal partita davanti a quelle due parole che possono significare tutto.

Migliori amiche… come Milo e Camus…

Arrossisco, non sapendo cosa dire. Francesca e Michela sono mie sorelle, ci sono cresciuta insieme, Stevin è -era- non so neanche io bene cosa, Camus è mio fratello di sangue, per scelta, per affezione; Milo è un mio carissimo amico e Dègel… Dègel è -era- l’amore della mia vita… ma Sonia… non mi sono mai soffermata su cosa sia lei per me. So che mi sono affezionata molto a lei in brevissimo tempo, che quando l’ho vista è scattato qualcosa, in me, che mi ha sussurrato che, con lei, sarebbe andato tutto bene, tuttavia ora, così su due piedi, senza nemmeno sapere totalmente perché, mi ritrovo ad arrossire a queste due parole, lusingata, certo, ma anche un bel po’… spaventata.

Sto ancora cercando il modo per rispondere, quando, dall’altro lato della spiaggia, giunge alle nostre orecchie la voce squillante di Myrto.

“Eeeeeeeehiiii, allora eravate qui!” ci strilla, raggiungendoci di corsa, tutta contenta.

Ci voltiamo entrambe nella sua direzione, pur rimanendo sedute composte, fissandola interrogativamente.

“Myrto, che succede?” chiede Sonia, un poco in apprensione.

“Nessuna emergenza, tranquille, dovete solo seguirmi nuovamente all’archivio!” ci dice lei, affabile, scompigliandoci i capelli affettuosamente.

“Continuiamo con l’archivio?” chiedo, determinata, contenta del lavoro che stiamo portando avanti.

Ma Myrto scrolla la testa.

“No, dobbiamo incontrarci con il Sommo Shion e… un’altra persona, sempre all’archivio, vi sarà tutto chiarito là!” ci dice, con un largo sorriso.

Sonia ed io ci scambiamo un’occhiata interrogativa, inarcando entrambe un sopracciglio con fare dubbioso, prima di seguirla.

Non parliamo più per tutto il viaggio, perse nei nostri pensieri ed emozioni. Via mare fa davvero fresco, il vento sferzante mi fa diventare la pelle esposta d’oca (sto continuando ottusamente a tenermi il solo peplo, ma mi sa che tra non molto dovrò cedere), nulla a che vedere comunque con la sensazione che sto provando dentro il mio petto. Scocco una breve occhiata a Sonia, anche lei seduta, più coperta di me, con le ginocchia strette in grembo. Condivide i miei pensieri e sentori, lo so, ma ciò non mi tranquillizza per niente.

Arriviamo quindi all’orologio della meridiana senza passare per i Templi, che tanto non possiamo raggiungere, visto che siamo in punizione, ma l’istinto di tornare a “casa” ce l’ho comunque. Lo ricaccio indietro, percependo che ci sono cose ben più urgenti.

Arriviamo in fretta all’ultimo piano dove vi è già Shion, con indosso la solita tunica ricamata d’oro da Grande Sacerdote, ci sorride cordialmente.

“E’ un piacere rivedervi, ragazze, state facendo un ottimo lavoro qui all’archivio! - si congratula, con un cenno, prima di passare a guardare Myrto – Grazie per averle condotte qui così celermente, su di te si può sempre contare!””

“Abbiamo impiegato tempo per prepararci, ma finalmente oggi ce la faremo, abbiamo accumulato abbastanza energie, sono assolutamente trepidante!”

Gli sguardi miei e di Sonia navigano, spaesati, da una parte all’altra, indecisi se focalizzarsi su uno o sull’altra, decidiamo comunque di rimanere in disparte, in attesa del procedere degli eventi. Il loro dialogo continua così con naturalezza.

“Pensi davvero che basteranno come vettore?” chiede Shion, gli occhi profondi.

“Non ne sono sicura, ma i libri più antichi dicono che è possibile, e poi… abbiamo un catalizzatore ancora più importante – spiega, indicandomi con lo sguardo – se c’è riuscito una volta, da solo, può farcela anche adesso, noi lo aiuteremo, gli daremo le energie sufficienti e voi, Sommo Shion...”

“Io lo stabilizzerò, sì, con le onde cerebrali, possiamo davvero farcela questa volta!” si illumina lui, raddrizzando la schiena, una strana energia lo avvolge.

Ma di cosa stanno parlando? Perché mi sento al centro dell’attenzione, perché il cuore ha cominciato a battermi all’impazzata?!

“Scu-scusate, di cosa state trattando?” chiede una titubante Sonia, facendo un passo avanti, un poco timorosa.

Shion prende un profondo respiro, radunando tutte le sue forze nel pronunciare a vivo cuore le parole che permeano le sue labbra già da un po’, poi si avvicina a me con fare paterno, sorridendomi con calore.

“Marta… e anche tu, Sonia, perdonatemi, non… non è solo per la punizione che vi ho voluto far venire qui in archivio, c’è… un motivo molto più profondo!” inizia, prendendosi una breve pausa. Anche Myrto si avvicina a noi.

“Ho un solo dubbio, Nobile Shion… - parafrasa il suo timore la giovane donna, un poco tesa – Siamo davvero sicuri che Camus… non abbia ripercussioni? Che non avvertirà niente?”

“L’anima di Camus è… mutila… gli manca un pezzo e, quel pezzo, è esterno a lui da moltissimo tempo, talmente tanto da risultargli completamente estraneo, lo sai bene, quindi non dovrebbe avvertire nulla. Potrebbe però percepire qualcosa se fosse nelle vicinanze, ma mi sono premunito di spedirlo lontano in missione con Michela, almeno per oggi!”

“Dove lo avete mandato, Grande Sacerdote?” chiede Sonia, un poco traballante sulle gambe.

“A Efeso per una missione, Michela è con lui, non avete quindi di che temere per la sua salute”

Sto cominciando a capire… il mio cuore accelera impetuosamente, un nodo mi si stringe in gola. No, non vorranno davvero… NO!

“Se ne siete davvero sicuro… spero davvero che sia così - accetta alla fine Myrto, ancora titubante, posando l’occorrente per poi ricercare i suoi occhi – Quel frammento di anima, per quanto estraneo, è comunque il suo. E’ lontano d’accordo, ma il rischio che percepisca qualcosa è ugualmente persistente!”

“Correremo questo rischio, le informazioni che reca con sé sono troppo importanti, potrebbero salvare la vita dello stesso Camus!”

“Volete… evocare lo spirito di Dègel?” arrivo infine alla conclusione, tremando convulsamente, appoggiandomi allo scaffale più vicino per evitare di cadere, perché altrimenti le gambe non mi reggerebbero.

Shion si raddrizza, il viso gentile, mentre con una mano mi accarezza i capelli come un padre. Annuisce. Il mio cuore perde un battito davanti a quel semplice gesto.

“Gli spiriti… sono onniscienti, sai? Dopo il vostro arrivo dal passato, ho chiesto a Dégel, tramite Myrto, che ha più facilità a vederlo, se potesse indagare sul Potere della Creazione di tuo fratello, del resto… uno spirito come lui può attingere al totale potenziale della mente umana, spingersi oltre i limiti fisici, arrivare fino alla Notte dei Tempi per disvelare… l’Origine del Tutto!”

“L’Origine del…? S-stiamo parlando di un tempo antecedente alla Regolazione del Creato?” chiedo, incredula, raschiandomi la gola.

“Ebbene… sì! Da lì dipende questo potere che è detto della Creazione”

Non riesco a dire nient’altro, il cuore in gola, mentre Sonia si approccia a me, tesa a sua volta. Shion, nel frattempo, si affianca di nuovo a Myrto, cominciando ad espandere il proprio cosmo dorato.

Ora che sono in ballo, mi rendo ancora più conto di non riuscire a reggere ad una nuova visione di Dégel, sto cercando di dimenticarlo, di dirmi che ormai appartiene al passato, che non ha senso struggersi per lui. Mi manca da morire, come mi manca Cardia, da togliere il fiato, la sola idea di rivedere almeno lui mi provoca una netta reazione di rifiuto, unita a qualcosa di caldo, che si irradia nel mio petto. Non lo voglio vedere, soffrirei solo di più e basta, però… però…. Vorrei anche rivederlo con tutte le mie forze, di nuovo, quel suo volto gentile, che posso ammirare solo nei miei sogni più profondi, quando ancora ho le sembianze di Seraphina, quel sorriso leggiadro, a cui mi appiglio nei momenti più difficili, il calore che mi provoca…

Non posso vederlo senza desiderare di riaverlo con me, ma al contempo il non poterci più parlare mi fa soffrire terribilmente.

Se… davvero possono evocarlo? Davvero potrò… riabbracciarlo, anche se solo con lo sguardo? Mi è… concesso? Nonostante io abbia scelto Camus, abbandonando lui al suo destino?

Vedo Shion lasciare il mio fianco per tornare sulla scrivania, aprendo l’immenso tomo che era adagiato sopra e che racchiude un sacco di disegni e formule strane. Ricalca più volte il foglio con le dita, leggendo con attenzione.

“Occorre un tributo… - asserisce imperturbabile, gli occhi infinitamente gentili, ma quando vede un movimento provenire da Myrto, mentre Sonia ed io fissiamo allibite entrambi, la blocca con movimento sinuoso del braccio – No, non il tuo, non quello di una giovane donna, basta il mio, quello di un vecchio!”

“Ma Nobile Shion, voi siete...”

“Non preoccuparti, è un’inezia per me!” le sorride, rassicurandola, dopodiché, come se niente fosse, si taglia abilmente le vene di entrambi i polsi, lasciando colare il fluido rubino sulle pagine.

Esclamazioni di sorpresa da parte mia e Sonia, sempre più sbigottite e tese dalla scena davanti a noi. Il Grande Sacerdote, con nonchalance, come se fosse abituato a versare litri e litri di sangue, continua a rimanere concentrato su ciò che sta facendo, la mente attenta e ferma in un punto davanti a sé.

“Myrto, avverto qualcosa… prova a chiamarlo per nome, al resto penserò io, le energie sufficienti per stabilizzarlo e rimanere visibile le prenderà da me”

La giovane annuisce, un po’ titubante, prima di portarsi una mano al petto, chiudere gli occhi e poi riaprirli, con una nuova scintilla di determinazione.

“Dégel, so che ci puoi sentire, per favore, accogli la nostra chiamata e palesati, abbiamo bisogno di te, della tua profonda conoscenza e del tuo… buon cuore!” esclama, ad alta voce, nell’esatto momento in cui la stanza prende ad irradiare luce e calore, di più, sempre più forte, sempre più intenso. I contorni svaniscono da quanto è luminoso. Serro le palpebre, rannicchiandomi quasi per terra, impossibilitata a vedere. Sonia è con me, si accuccia al mio fianco, quasi abbracciandomi e nascondendo il suo viso tra i miei capelli. Rimaniamo lì per diverso tempo, le mani intrecciate, i cuori che battono all’unisono, velocizzando il loro ritmo. Infine, una brezza leggera, come di vento aureo, passa tra i nostri ciuffi, facendoci rabbrividire. Il mio respiro si mozza nell’avvertire una presenza famigliare intorno a noi.

Pochi secondi soltanto, ancora…

La luce svanisce in un sussulto…

I contorni tornano nitidi, così come le sagome…

Qualcosa si muove impercettibilmente…

Mi raddrizzo, alzandomi in piedi…

Le forme sono ora definite. I miei occhi si spalancano nel vuoto, tutto si immobilizza.

Di colpo, tutto ciò che ho intorno non è più importante.

C’è solo lui, davanti a me, evanescente, pallido… ma lui, nessun altro.

Ingoio a vuoto, mentre gli occhi mi pizzicano e qualcosa prende a scorrere sulle mie guance, incontrollabile.

“Dé-gel...” quasi rantolo nel pronunciare il suo nome.

E’ qui, davanti a me, il profilo delicato, gli occhi ancora chiusi. So che non è che uno spirito, ma mi sembra di percepire il suo profumo.

Qualcosa di liquido cade ai miei piedi, per poco non cado anche io, solo l’ultimo barlume di raziocinio non mi fa cedere. Un’arcana felicità mi riempie il cuore con un retrogusto amaro, qualcosa di pungente, che ancora mi fa male. Terribilmente.

“Dégel… - ripeto un poco più convinta il suo nome in tono strozzato, tremando – Mi sei mancato da morire!”

A quelle poche parole i suoi occhi lentamente si aprono. Ancora blu. Ancora dolci, gremiti di sentimenti. Non guarda nella mia direzione, ma avverto il suo percepirmi.

“Dégel!!!”

Al mio richiamo si aggiungono quelli degli altri.

Di Shion, tutto trepidante, commosso.

Di Myrto, che sorride felice, incredula ancora nel rivederlo.

Di Sonia, che è saltata su, volendo quasi abbracciarlo, ma ricordandosi che è uno spirito.

“P-per fortuna, D-Dégel, anf… - lo saluta Shion, in evidente affanno, spossato dalla perdita di sangue, che non si è affatto fermata -E’ così bello rivederti...”

Sembra quasi sul punto di piangere, anzi forse lo sta già facendo, perché intravedo qualcosa di brillante scorrere sulle sue guance un poco pallide.

“Shion… - lo saluta cordialmente Dègel, stirando le labbra nel suo più bel sorriso. Al solo udirlo, con queste mie orecchie, un mormorio sommesso mi sfugge, riempiendomi il cuore di gioia ma facendomi altresì male – La veste di Grande Sacerdote ti dona, il Sommo Hakurei sarebbe fiero di te!”

“I-Io...”

Persino Shion, il nobile Shion, non riesce più ad andare avanti, sopraffatto dalle emozioni. Vedo Dègel avvicinarsi a lui, alzare entrambe le mani per prendere -metaforicamente, visto che non ha corporeità!- i suoi polsi, grondanti di sangue. Non può ovviamente toccarlo, ma è come se per magia il fluido smettesse di defluire, rimarginando così ferite.

“Dégel, no! S-servivano per...”

“Per stabilizzarmi, ne sono consapevole. Non occorre, Shion, non sprecare le tue risorse per me, per un morto, sei… troppo prezioso!”

“Ma così tu...”

“Ho abbastanza energie per rimanere distinguibile a voi e discorrere circa la questione che mi hai affidato”

“Dègel!!!”

Anche Sonia e Myrto hanno infine la forza per sbloccarsi e corrergli incontro, le lacrime a fior di palpebre, il cuore in tumulto. Lo vedo alzare nuovamente le braccia, posando la sinistra sulla testa della prima e la destra su quella della giovane donna. Sorride un poco tristemente, consapevole che non può davvero toccarle e di essere percettibile solo come brezza leggera.

“Un giorno, tre autunni… è il tempo che mi è parso per ogni istante in cui ho camminato, come spirito, su questa Terra. Sapete, il tempo si allunga o si accorcia in base a come lo percepiscono le persone, uno spirito errante in una dimensione essenzialmente temporale, non fa differenza e… è stato così anche per me. Ogni singolo giorno in cui ho camminato tra le nebbie, desiderando rincontrarvi, l’ho trascorso come se fossero passati tre anni, nella speranza di potermi ricongiungere a voi. Questo miracolo è solo temporaneo, ma… sono felice di essere di nuovo qui” sussurra, socchiudendo gli occhi.

Tutto è appannato intorno a me, non riesco a dare un freno alle lacrime. Mi tappo la bocca, cercando di mascherare un singhiozzo più forte degli altri, ma lui, infine ha la meglio, sfugge dalle mie labbra, portandomi a nascondere il viso per la vergogna di farmi rivedere così.

“Marta...”

La sua voce, che si rivolge direttamente a me per la prima volta, è in grado solamente di aumentare gli spasmi nel mio petto nel vano tentativo di controllarmi. Tutto inutile. Mi mordo il labbro inferiore, trattenendomi a forza, ma sono comunque scossa da movimenti repentini che non riesco a celare.

“Dégel… - riesco infine a chiamarlo, avvertendolo avvicinarsi a me, dischiudo le palpebre, tentando di asciugarmi gli occhi grondanti, ma non riesco e ciò mi fa sentire ancora più male – Perdonami...” soffio infine, sopraffatta.

“Non hai… nulla… da farti perdonare! - mi rassicura, mentre con la mano fatta di luce, mi prende il volto, accarezzandomi, con il pollice, la guancia sinistra – Stai diventando sempre più forte, proprio per questo… non piangere! Meriti di sorridere sempre!”

Anche lui parla a fatica, sforzandosi di mantenere un tono composto.

“Ma io ti ho...”

“Tu non mi hai mai abbandonato, Marta! Mi hai raccolto, e protetto, e lo continui a fare, con tutta te stessa, anche adesso. Non ho paura, con te al mio fianco, non ne ho avuta mai...”

Ingoio a vuoto, cercando di calmarmi, mentre provo a stringergli di riflesso la mano che mi sta accarezzando, come brezza leggera. E’ tutto vano. Lo sapevo anche prima, non ha consistenza, mi sfugge, come aria, eppure percepisco le sue dita su di me, le trattengo sulla mia guancia. Vorrei che rimanesse qui per sempre.

“Ti amo… questo non potrà mai cambiare!” gli sussurro, sforzandomi ad aprire completamente gli occhi annacquati per vederlo e rammentare, ancora una volta, tutti i particolari del suo viso.

“Ed io amo te, ma devi andare avanti, Marta, te l’ho già detto. Il mio percorso è concluso, il tuo no...”

“Non voglio! Mi manchi… troppo… non voglio!” ribatto, decisa, pur vergognandomi nel manifestare i miei sentimenti davanti a tutti, che infatti mi guardano con apprensione, partecipi del mio stato.

“Rondinella… lo capisco bene, questo, non c’è stato un momento che non abbia rimpianto il tuo sorriso, le tue mani su di me. Anche a me manchi, come terra arsa dal sole che aspetta la pioggia, come albero che aspetta la primavera, come tenebre che rincorrono la luce… la mia luce sei tu, Marta, sei stata tutto, ma io posso dirlo, perché sono morto, sono… immobile… tu no! Ti aspetta ancora così tanto di bello in vita, non hai che da prendere e correre, inseguendolo fino al confine del mondo...”

“E se non volessi, se non… mi interessasse?!” ingoio di nuovo a vuoto, singhiozzando, ricacciando indietro le lacrime, nel guardarlo, nel guardare il suo bellissimo volto, quel dolce sorriso, quegli occhi che sembrano un mare limpido. Voglio che lui rimanga con me, voglio che rimanga nel mio cuore, nessuno può prendere il suo posto, nessuno! Ed io non voglio permettere a qualcun altro di scalzarlo via, ricominciando una nuova vita, innamorandomi ancora. No, voglio che rimanga qui, con me, anche se non lo posso più toccare.

“Con il tempo, riuscirai a raccogliere i cocci che ti ho lasciato io, riuscirai a regalare la parte migliore di te a qualcun altro, e tornerai ad innamorarti… è la mia speranza – mi sussurra lui, lo sguardo dolente – Perdonami… per averti lasciata… sola!” riesce ancora a dire, sempre con maggior difficoltà, serrando a sua volta gli occhi.

“Dégel...”

“Scusatemi… - interviene Shion, un poco impacciato – non vorrei in nessun modo interferire, ma...”

“...ma ci sono urgenze ben più importanti, lo so! - finisco di dire io, asciugandomi con stizza gli occhi per scacciare via il pianto e imprimere il mio sguardo determinato prima su Dègel e poi su Shion – Scusate la pagliacciata, sono pronta, la debolezza è passata. Non abbiamo un istante da perdere!”

“Marta...”

“V-va tutto bene, Nobile Shion, è stato un attimo di debolezza, u-un attimo di… - devo buttare giù a forza il magone che mi è salito, prima di picchiarmi le guance con i palmi delle mani – Procediamo, ordunque!”

Nell’archivio ricade il silenzio, più nessuno sembra capace di parlare, ognuno pressato da emozioni troppo grandi da esprimere. Alla fine è di nuovo Shion a forzare il blocco, andando dritto al punto.

“Dégel… hai scoperto qualcosa?”

“Purtroppo sì...”

Il suo tono di voce un poco acre mi mette immediatamente sull’attenti, consegnandomi la spiacevole sensazione che le rivelazioni non saranno affatto piacevoli, né per me né per mio fratello.

Dégel sospira sonoramente, compie qualche passo per la stanza con gli occhi chiusi, andandosi a sistemare dalla parte opposta del tavolo. Esita ancora per qualche istante, prima di riaprire di scatto le palpebre e far traballare distintamente la sua pupilla, che emana una luce strana.

“Il Potere della Creazione di Camus… è il Principio Primo di Tiamat!” arriva subito al succo, appoggiandosi al tavolo, anche se, di fatto, non gli è concesso.

“Tiamat?! La dea Madre mesopotamica?!” ripete Shion, sbalordito, totalmente incredulo

Sonia ed io ci scambiamo occhiate confuse, sguardi che si provano a sostenersi reciprocamente. E’ chiaro che nessuna di noi conosca una simile divinità. Per quanto mi sforzi, pur appassionata della mitologia, non ne ho mai sentito parlare, ma, questo Principio Primo citato… il suono mi dice qualcosa. Potrebbe essere che…?

Spalanco attonita gli occhi, il respiro quasi mi si mozza, mentre la mia testa mi porta a rivivere i momenti del primo scontro contro il Mago, nel passato, la prima prova come Marta, non più come Seraphina.

 

Per questo io sono qui, nella vostra dimensione, per dare un freno a tutto questo mondo così sbagliato e assurdo. Il Principio Primo... sto cercando un modo per acquisirlo senza l'aiuto di sciocchi dei pagani, senza l'aiuto dell'Unico Dio, senza altre, ulteriori, interferenze. E sapete cosa? L'ho trovato, il modo, dopo lunghe Ere l'ho trovato, il potere necessario per tornare all'origine, riavvolgendo il tempo per poi annullarlo.

 

“IL PRINCIPIO PRIMO! - strepito improvvisamente, facendo prendere un risalto a tutti – Ne parlò il Mago quando mi mise alla prova con il pretesto degli occhiali di Dégel!!!”

“Il Principio Primo… si riferiva al Potere della Creazione di tuo fratello, Marta...” mi conferma l’Antico Acquario, teso, increspando le sue labbra.

“Che cosa comporta un tale potere? Anzi, partiamo dal principio CHI è Tiamat? Perché non conosciamo una simile divinità? Eppure, a detta del Nobile Shion, è la dea Madre, colei che ha generato i mondi, perché si sa così poco di lei?” chiede Sonia, affiancandomi, desiderosa di ricevere al più presto delle risposte.

“Le tue domande sono sempre molto argute, Sonia… non ne sono meravigliato! - sorride Dégel, un poco disteso, prima di impensierirsi nuovamente – Vi narrerò brevemente ciò che ho scoperto...”

Rimaniamo in attesa di spiegazioni, tutti trepidanti, la tensione è sempre più tangibile, accelera di riflesso i nostri cuori.

“Dunque… Tiamat è, come è stato detto, la dea Madre mesopotamica, ma più ancora è associata al Caos primigenio, la personificazione dell’Acqua Salata su cui galleggiava il Grande Tutto...”

“Il Grande… Tutto?” ripete Myrto, visibilmente allibita.

“Sì… con questo termine voglio definire proprio… tutto… ogni atomo, ogni atollo, ogni cosa che, in principio, era unita da un legame indissolubile e omogeneo, un… concentrato di materia, possiamo dire, che venne poi sconvolto dalla Grande Esplosione nota come Big Bang, che diede così origine all’universo, di cui la nostra Terra fa parte, e ai vari, distinguibili, anche se non raggiungibili, Mondi Paralleli...”

Dégel prende una breve pausa, guardandoci uno ad uno nell’attesa che l’informazione attecchisca, cosa di per sé già difficile, perché, con quest’unica frase, già ha messo a soqquadro intere concezioni di generazioni e generazioni.

“Cioè… stiamo parlando di un’epoca prima del Big Bang, g-giusto? Quando tutto era un tutt’uno...” mormora Sonia, massaggiandosi la testa confusa. E’ difficile persino concepire una simile rivelazione. Per tutti.

“Comprendo le difficoltà, la mente umana si perde a trattare argomenti concernenti simili questioni inarrivabili, ma vi prego di sforzarmi di seguirmi, il momento è serio – dice Dègel comprensivo, accarezzando delicatamente uno dei tomi, anche se non riesce a toccarlo. Sospira, prima di riprendere – Sonia, Marta, vi ricordate quando, nel passato, dissi che era inaudito pensare a qualcosa, o meglio, qualcuno che avesse creato tutto? Che i miti greci parlavano di Intelligenza Regolatrice, non di Creazione...”

“Sì...” rispondiamo all’unisono, leste.

“Ecco, era perché, all’epoca, non conoscevo Tiamat, la sua esistenza è stata cancellata dalla storia, neanche le divinità sanno molto su di lei, ma è stato tramandato che esistesse un potere che la rappresentasse, sebbene questa abilità si pensava smarrita per sempre... - continua il suo discorso spassionato, gli occhi brillanti come accadeva in vita quando spiegava qualcosa a qualcuno – Ebbene, sbagliavano… l’effige di Tiamat, la sua fonte inesauribile, si è, infine, incarnata, proprio in Camus!”

Per la terza volta in brevissimo tempo ricade un silenzio colossale, gremito di preoccupazione. Un simile potere di origine femminile… in mio fratello, in un corpo maschile?!

“In verità, il potere di Camus ha impiegato un bel po’ a svilupparsi, passando prima da me, che lo conservavo inconsciamente a livello embrionale, per poi raggiungere la sua forma definitiva in lui, che tutt’ora lo conserva”

“Camus… tiene un simile potere?! - esclama Sonia, sempre più scioccata – E’ questo che cerca il Mago?! Perché?! Che gli serve?! Cosa se ne fa???”

“Un passo alla volta… come vi dicevo, non è semplice trattare di un simile argomento...”

“Perché Tiamat è stata cancellata dalla storia? Perché se ne sono perse le tracce?” chiedo invece io, corrucciata, sentendomi, non so bene perché, frenetica. Dègel mi guarda per pochi, decisivi, secondi, prima di parlare.

“Quando lassù...”

Sussultiamo nell’udire il suo tono farsi sempre più glorioso, quasi evocativo, non più suo comunque, come se parlasse per bocca di altri.

“Quando lassù il cielo non aveva nome, e quaggiù la terra ferma non era ancora chiamata con un nome… soli Apsu, il primo, loro progenitore e Madre Tiamat, genitrice per tutti loro, mescolavano insieme le loro acque: né banchi di canne vi erano ancora raggruppati, né canneti vi erano distinguibili. E mentre degli dei nessuno era ancora apparso, Essi non erano né chiamati per nome, né definiti da un Destino… - riprende poco dopo, guardando un punto non ben definito del soffitto, prima di tornare concentrato su noi, sbalorditi a guardarlo – Questa è la parte iniziale dell’Enuma Elish, il poema che narra la genesi della Creazione e, così, della dea Madre Tiamat, nonché… della sua nefasta sorte...”

“L’Enuma Elish...” ripete Shion, quasi meccanicamente, fremendo distintamente. Che il nome gli dica, forse, qualcosa?

“Non si sa molto del periodo prima dell’esplosione del Big Bang… trattiamo di un’era in cui gli stessi concetti di spazio e tempo non esistevano. Tutto era legato, TUTTO, un concentrato di atomi, una.. Supermateria possiamo dire, eppure, in potenza, esisteva già ogni cosa che oggi è distinguibile da altro. Fu Tiamat a crearlo, ma, come vi dicevo, non si sa molto di lei, quasi niente e… ciò che è narrato dai miti, la definisce in maniera negativa – continua la sua dotta spiegazione, prima di sospirare sonoramente – Effettivamente… tutto ciò che fu prima di Marduk ha valenza avversa. Marduk, l’Ordinatore del Cosmo, Marduk, colui che sventrò il corpo mitologico di Tiamat, creando il cielo e la terra, generando i mondi, tutti, che da quel momento in poi si espansero come tante linee rette, parallele ma non più toccabili: ciò che ora definiamo come Multiverso!”

“Marduk?! - esclamo, allibita, cercando il sostegno visivo degli altri, che paiono sconvolti come me – Chi è costui? L’hai definito Ordinatore del Mondo, ma… perché uccise Tiamat, perché la distrusse?”

“Ebbene… non lo so, Marta, me ne dolgo – ammette Dégel, prostrato da dover dire una cosa simile – Marduk è il principale dio Babilonese, ha molti nomi e molti talenti. Come vi ho rivelato poc’anzi, è dalla battaglia tra lui e Tiamat che nacque l’universo come ora lo conosciamo, dal Caos Primordiale di Tiamat, ne derivò l’ordine cosmico, il dio fu inneggiato come salvatore, e gli uomini lo riempirono di magnificenze. Il messaggio che ne derivò fu della dea Madre malvagia e se ne perse quasi totalmente le tracce...”

“Tiamat era davvero malvagia?” chiede argutamente Sonia, ormai in fibrillazione.

“Ciò che passò, tramite lo scritto, la definisce malvagia, sì, io non ho elementi per scagionarla, essendoci così poche fonti, ma, se volete la mia opinione, un potere simile non può in alcun modo essere maligno...”

“Però… vi era nient’altro che Caos, all’epoca, no? Non c’erano leggi...” chiede conferma Myrto, pensierosa.

“Mia cara Myrto, è forse il Caos sostanzialmente malvagio o siamo noi a considerarlo tale?”

“Ecco, io… non saprei, delle leggi… servono”

“E chi stabilisce che una legge sia giusta o sbagliata, se non… colui che la legge medesima stabilisce? - ci incalza nuovamente, forse desiderando farci riflettere – Io sogno, fin da quando ero ancora in vita, di una umanità in grado di autoregolarsi senza bisogno che qualcuno, dall’esterno, gli imponga ciò che considera giusto. Anelo un mondo di questo genere, ma per arrivarci l’uomo dovrebbe maturare a tal punto da scacciare le briglie del divino che ci tengono soggiogati, e non so se sarà mai possibile, essendo l’umana specie infinitamente limitata. E’ il mio sogno, è il mondo che vi avrei voluto consegnare a voi generazioni future, ma… ho fallito!”

Esprime la sua teoria Dégel, da buon illuminista, con la sua consueta umiltà. Un mondo così, in effetti, sarebbe auspicabile, ma… impossibile. Non credo agli uomini, non credo si potrà mai arrivare ad uno stato simile di maturazione, ma, nondimeno, non voglio neanche essere schiacciata da leggi ingiuste. Il problema non è di facile risolvimento.

Ricade nuovamente silenzio tra noi, pesantissimo, quasi da potersi tagliare con un coltello. La quantità di informazioni giunta a me e a Sonia è decisamente troppa, non riusciamo più a raccapezzarci, la stessa logica di questo potere, serbato in Camus, ci sfugge. Butto una veloce occhiata fuori dalla finestra, il grigiore novembrino si è fatto più persistente, sembra quasi preludere a qualcosa di brutto, ma cerco di non darci peso, tornando a concentrarmi sugli immensi tomi. Mio fratello… sa qualcosa di Tiamat? Di certo ha paura del potere che sente sgorgare da lui, questo l’ho ben percepito in Siberia, quando me ne ha parlato per la prima volta, ma lui ha trattato del Potere della Creazione, non certo della dea né del Principio Primo, significa…

“Camus non sa di Tiamat… - mi delucida inconsapevolmente Shion, teso e dubbioso come non mai – Ha usato quel potere in passato per tentare di salvare Marta, ne ha perso il controllo, da allora ha cercato di bandirlo con tutto sé stesso...”

“Cerca di bandirlo, è vero, ma il potere cresce comunque di giorno in giorno in lui, questo non lo può evitare, anche se molte cose gli sono oscure...” conferma Dègel, guardandosi intorno nervosamente, come se percepisse qualcosa.

“Aspettate! - salta su Myrto, desiderosa di sapere – In quale parte del suo corpo conserva una simile, favillante, capacità?”

“Oh, beh...”

Dègel sembra a disagio a rispondere a quell’ultima domanda, lo vedo coprirsi istintivamente la pancia, sebbene sia puro spirito e quindi non corporeità; il gesto, da solo, mi da un’illuminazione.

“E’ l’addome vero? E’ davvero come se fosse un… feto… dentro di lui...” trovo il coraggio di dire, stringendo i pugni e soffocando un ringhio. Il suo ventre… quel mostro glielo ha toccato e torturato più e più volte, facendogli male. E’ una zona che lui ha sensibilissima, reagisce violentemente se gli viene anche solo sfiorato. E ora so perché...

Maledetto bastardo!

“Qualcosa di simile sì… sta nel suo grembo, l’ombelico, possiamo dire, che lui ha così particolareggiato, ne è la forma esteriore...”

Vedo Myrto strabuzzare gli occhi, quasi soffocando, suo malgrado, una risata, in una espressione che mi riporta il ricordo di Cardia.

“U-un secondo!!! Mi state dicendo che Camus è incinto?!”

La sua domanda riesce a rompere la tensione, facendoci ridacchiare tutti sommessamente un po’ per l’ingenuità, un po’ per il modo in cui l’ha espressa.

“E’ pregno di qualcosa di meraviglioso quanto pericoloso, Myrto… una benedizione, che può diventare facilmente maledizione; una speranza, una disperazione in base a chi padroneggerà per primo quel potere...” proferisce Dègel, facendosi tuttavia serio e un poco triste.

“Accidenti! E’ vero, Camus non mi è sembrato mai troppo, ehm, maschio, per dire… troppo elegante, troppo delicato, troppo lunatico, ma da qui a scoprire che porta, nel suo grembo, un simile potere… che potenzialità avrebbe? Come lo potrebbe utilizzare e, soprattutto, come impediamo a quel mostro di impadronirsene?” chiede Myrto, ripresosi da poco prima.

“Non so nemmeno questo, me ne dolgo, è un qualcosa ti totalmente arcano...”

“Dègel, non eri diventato onnisciente sotto questa forma?” chiede Sonia, genuinamente sorpresa.

“Ecco, io… non riesco più a divinare ciò che accadrà nel futuro, persino in un futuro vicino. N-non riesco più… è ben nitido solo il passato, su cui infatti sto indagando per cercare di aiutarvi!”

“Che… che significa? Da quanto non ne sei più in grado?”

Dégel esita un solo attimo, il tempo necessario a permettere me di rispondere in sua vece.

“Da poco dopo il nostro ritorno in questo tempo presente, vero?” tiro ad indovinare, certa delle mie supposizioni. Lui annuisce, scuro in volto, vergognandosi di non poterci aiutare di più.

“E’ così, Marta, fino a settembre, io… riuscivo ancora a vedere qualcosa, frammenti del futuro, ma ora...”

“Ora non ci riesci più, perché la Terra si è spostata su una linea di universo detta delle possibilità, io ho voluto questo, anzi… S-Seraphina… - provo a spiegare, guardando altrove, avvertendo gli occhi di tutti puntati su me – Non c’è più una certezza, non esiste più un Destino ineluttabile, tutto sarà deciso dalle azioni di ognuno di noi e… vale anche dall’altra parte...” termino il mio discorso, assottigliando lo sguardo.

“Marta, il Mago, immagino tu lo sappia, non si è affatto arreso all’idea di non poter possedere tuo fratello. Vi attaccherà… con tutte le sue forze, dovrete essere pronti!”

“Può attaccare anche te, Dègel, non hai forse detto che, prima di passare a Camus, lo hai custodito anche tu, quel potere? Il tuo corpo è ancora qui, in questa dimensione, non è che..?” gli fa notare Sonia, fremendo, gli occhioni sbarrati in seguito alla paura.

“E’ corretto quanto dici, Sonia, e ti ringrazio per la premura… - gli sorride lui di rimando, avvicinandosi a lei per sfiorarle alcuni ciuffi, che si muovono appena come accarezzati da una brezza – Ma abbiamo un vantaggio su di lui: non è consapevole che il Potere della Creazione sia prima passato da me, per questo si sta concentrando solo su Camus, voi… dovete proteggerlo, a tutti i costi, è un essere speciale, infinitamente superiore a me, se il Mago dovesse prenderne il corpo… per la Terra, anzi, per il Multiverso stesso, per l’immane molteplicità del tutto, sarebbe la fine. Non so bene cosa desideri ora, si è discostato dal suo obiettivo primario, quello che è certo è quell’essere ha perso completamente la ragione, e un potere così immane nelle sue mani, nelle mani di un pazzo… non voglio nemmeno pensare a cosa potrebbe portare!”

Cala il sipario e, con esso, il terrore, che serpeggia tra noi. Dègel non ha ulteriormente approfondito il discorso, ma si presagisce dal suo tono la gravità della situazione. Osservo brevemente gli altri: Shion è rimasto pensieroso con una mano sotto il mento, la lunga tunica che lo ricopre ben nasconde la muscolatura, che tuttavia si percepisce rigida già a partire dalle braccia; Myrto sembra essersi chiusa a riccio, fissa il pavimento con insistenza, non sapendo bene cosa fare, in testa pensieri che mi sfuggono; Sonia, al mio fianco, ogni tanto scambia occhiate come me, ugualmente prostrata come mi sento io, ma anche determinata come non mai.

Rabbocco aria, preparandomi ad esplicare un nuovo dubbio. In verità ci sono innumerevoli cose di cui vorrei discorrere, supposizioni, ma al momento me ne preme solo una, la principale.

“Conosci Ipsias, Dègel? Una volta, nel passato, la nominasti, ma… non sembravi in te, non...”

“I-Ipsias?!”

Sussulto nel vederlo sbiancare, per quanto possa impallidire un fantasma, almeno, ma la sensazione che mi da è esattamente questa, unita alla paura.

“S-sì, sai qualcosa su...”

“N-no… la mia sfera di azione, per quanto spettro, si limita a questa dimensione, non mi è consentito guardare altrove, al di là dell’orizzonte degli eventi! - si affretta a rispondermi, chiaramente sconvolto. Sono sul punto di lasciar perdere e ritentare in un altro momento, ma lui, dopo un breve giro del tavolo, mi guarda fisso negli occhi – Tuttavia...”

“Tuttavia..?!”

Un coro è uscito dalle voci congiunte mie, di Myrto, di Sonia e di Shion.

“...essendo la dimensione più vicina alla Terra, essendosi scontrata con quest’ultima diverso tempo fa in più di un’occasione...”

“Aspetta! Cosa intendi per scontrata?!”

“… so quanto di là sia venuto di qua e quanto, di qua, sia andato di là...”

Sbatto le palpebre, allibita, guardando speranzosa gli altri, perché magari hanno capito un po’ di più, rispetto a me, ma li vedo persino più sconvolti di me medesima. Andiamo splendidamente!

“Le tue parole sono oscure, Dègel, non è da te essere così criptico...” gli fa notare Shion, ancora più teso di prima.

“Me ne dolgo enormemente, amico mio… - sospira lui, prima di chiudere e riaprire gli occhi – Non so niente direttamente di Ipsias, ma… so che è la patria del Mago, come sapete voi e...”

“E..?”

Un altro coro di voci, sembriamo quasi a lezione.

“...E le ripercussioni che la sua interferenza ha avuto con questa Terra...”

E tace, il fu Dègel dell’Acquario, la persona che ho amato in un’altra vita, e che sento di amare anche in questa, al di là di essere stata Seraphina, come Marta; come Marta e basta, perché, in fondo, il mio cuore, non appartiene che a me soltanto, indipendentemente da ciò che sono stata, questo mi ha insegnato Cardia, questo devo sempre serbare dentro di me. Seraphina e Marta, congiunte, ma anche Marta e Seraphina disgiunte, io sono stata lei; lei è parte di me, ma i sentimenti non possono essere che i miei!

“Piccola rondine…”

Il tono con cui mi raggiunge la voce di Dègel mi fa saltare un battito. Adoro quel nomignolo, l’ho sempre amato e ora… perché mi guarda nuovamente con quegli occhi così tristi? Perché sento che, presto, dovremo dirci di nuovo addio?

“S-sì, Dègel?” gli rispondo, con voce fievole, deglutendo a vuoto. Sembra davvero così stanco, così distrutto, quanto vorrei fare qualcosa per alleviare le sue pene, ancora una volta, per riscattarlo dalla situazione ingiusta in cui si è trovato, lui, puro e candito come un fiocco di neve, lui…

“Il tuo amico Stefano...”

Il cambio di soggetto mi spiazza, portandomi a sgranare gli occhi, del tutto costernata. Sa della sua esistenza?! Per forza, è uno spirito! Ma allora perché quelle quattro, semplici parole, sembrano sconvolgermi fin dal profondo?

“...state molto attenti anche a lui!”

“Lo faremo, Dég, ma… perché?! Cosa sai di lui?!” lo incalzo, quasi tremando per l’emozione.

Dègel esita ancora per una serie di secondi, mordendosi il labbro inferiore, prima di guardare altrove, come se si vergognasse a proseguire nel dialogo.

“Lui è...”

Sono così presa dal voler continuare il dialogo che, sulle prime, quasi non mi rendo conto delle leggere vibrazioni sotto le mie piante dei piedi. Esse tendono a farsi sempre più forti, consistenti, la situazione sembra quasi bloccarsi. Io guardo Dègel, lui guarda, un’ultima volta me… i nostri occhi blu si cercano per una serie di secondi che pare infinita, poi lo vedo baluginare, quasi cadere all’indietro, mentre io sono ancora a chiedermi come intendesse continuare la frase, perché quella strana, quanto, inscindibile sensazione di urgenza, di conoscere un’informazione basilare.

Troppo tardi…

Percepisco appena il tremore sotto ai miei piedi, prima di cadere in avanti, quasi sbattendo il mento per terra, gli scaffali intorno a me che cadono in avanti. Rumore sordo, urli vari. Capisco infine di cosa si tratta, quando ormai non sono più in grado di alzarmi, perché Myrto, con in braccio Sonia, è saltata sopra di me per proteggermi, facendoci da scudo con il suo corpo.

Un terremoto che sarà almeno di 8 gradi della scala Mercalli, qui, in questo momento… che accidenti?!

E’… la prima volta… che ne sento uno così forte… Genova… non è mai stata... così sismica!

“ATTENTE!!!”

Il grido di Shion mi frastorna le orecchie, strizzo con foga le palpebre, tentando di ripararmi la testa, che tuttavia è già schermata dalla presenza di Myrto sopra di noi, che ci protegge. Un altro tonfo sordo, come di qualcosa che colpisce qualcos’altro, io non capisco, mi sento così confusa, se non quando, da qualche altro angolo, torna la voce di Shion.

“CRYSTAL WALL!!!” sento appena il suo grido, mentre tutto intorno a me si fa buio e il sembra rimbalzarmi dritto in gola, ultima sensazione davvero tangibile prima di perdere coscienza.

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

E benvenuti nel capitolo “cita tu”! XD Sul serio, ho sparso talmente tante citazioni di opere che mi piacciono da averne perso il conto, chissà se ne conoscete qualcuna e se la riconoscerete! <3

Comunque informazione di servizio: da questo capitolo, la Melodia della Neve entra ufficialmente in pausa per un tempo prolungato e imprecisato, non per mancanza di idee, ma perché, prima di proseguire qui, ho da concentrarmi sulla storia dei 5 Pilastri, soprattutto, e sulle altre, in modo da dare sufficientemente risalto anche alle altre protagoniste dell’opera e ai Cavalieri d’Oro senza il filtro naturale che l’impostazione della Prima Persona Presente, che ho scelto per questa serie, inavvertitamente da a chi legge.

Non potevo che lasciarvi con un chiarimento generale del Potere della Creazione di Camus, di cui si è parlato a lungo, ecco, ora sapete da cosa gli deriva, sapete perché il Mago è interessato a lui e cosa voglia ottenere… oppure no? Ci sono ancora una marea di dubbi, mi dite?! Beh, è voluto, non posso dare tutte le risposte qui e ora, anche se sono ben chiare nella mia mente.

Il mito mesopotamico di Tiamat è ispirato a quello reale, ma l’ho un po’ rimaneggiato, rendendolo funzionale alla mia storia, cambiandolo in certe parti. Quel che è certo è che è un potere assoluto, ma… cosa comporta per il nostro Cam? Anche qui mi tocca dire che vedrete, anche se ne avrete un assaggio proprio nei 5 Pilastri.

Dovrei avervi già detto tutto, per chiarimenti, dubbi e altro non esitate a scrivermi e a chiedere, mi fa sempre molto piacere chiacchierare con voi ^_^

Dunque, è il caso di dire, buona lettura e alla prossima :)

 

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Capitolo 12
*** Contatto ***


Capitolo 12: Contatto

 

 

N.B: Questo capitolo si situa circa due settimane dopo l’attacco su più fronti al Santuario (16 novembre 2011) e, per essere compreso, necessita della lettura dei primi sei capitoli dei 5 Pilastri di Marduk. Ci risentiamo in fondo per le consuete spiegazioni :)

 

 

30 novembre 2011, tarda mattinata

 

 

Oggi è il ventunesimo compleanno di Francesca ma mi trovo ancora sull’isola di Milos ad assolvere gli ultimi giorni di punizione. Provo un’ansia sempre più crescente mano a mano che si avvicina il giorno del ritorno, che dovrebbe coincidere con il 4 dicembre. Credo di aver visitato l’isola in lungo e in largo almeno due volte, dopo gli ultimi fatti accaduti è diventato sempre più difficile stare qui buona, soprattutto quando ho appurato che il Santuario è stato attaccato e che hanno fatto quelle determinate cose a mio fratello.

Già, determinate cose… che ovviamente lui non mi ha raccontato di sua spontanea volontà, figuriamoci! Tuttavia Camus non conta che proprio vicino a lui vi è una spia che mi aggiorna di giorno in giorno: Milo, che dopo la nostra esperienza nel passato ha promesso di raccontarmi tutto, ed io a lui, per sostenere quella immane testa di fava che è mio fratello, che continua ottusamente a tacere sulle sue condizioni, come se non fossero importanti, come se non sapesse, o fingesse di non sapere, che io posso… sentirlo!

Sospiro, affrettando il passo, perché mi sento nervosa e ho voglia di ‘menare le mani’ negli allenamenti con Rhadamantis che si sono fatti ancora più intensi per mia stessa richiesta.

Mi sento così tesa! Non posso festeggiare il compleanno di Francesca come vorrei, anche se lei mi ha rassicurato che faremo qualcosa dopo il nostro ritorno; mio fratello non si fa aiutare e il Santuario sta ancora cercando di smaltire i danni dell’ultima battaglia, quella in cui Sonia ed io siamo state costrette a non poter intervenire. Dopo i fatti di metà novembre, giunti alle mie orecchie proprio grazie a Milo, per giorni mio fratello non è stato in grado di contattarmi. Stava… troppo male! Quando finalmente è riuscito a chiamarmi, la sua voce al telefono, un sottilissimo filo, sembrava provenire dall’oltretomba, mi ha fatto venire il magone, nonostante le sue solite rassicurazioni su ‘ormai è passato’, ‘sto bene, piccola’… macché passato, che stare bene, che piccola!!!

Ero troppo sconvolta per litigare, lui era troppo affaticato per ribattere, per cui mi sono trattenuta, ma ogni tanto mi sembra di fare un passo in avanti e dieci indietro. Ancora non è sincero con me circa il suo stato, ancora minimizza le sue condizioni, ancora tenta di opporsi da solo, nonostante la promessa che ci siamo scambiati dopo la peste nel 1741. Quando fa così non lo reggo, mi sento ferita, inadeguata, e so che non è mancanza di fiducia nei miei confronti, so che è fatto così, è sin troppo abituato ad agire da solo e vuole solo proteggermi, dimostrarmi che è forte, che riesce a prendersi cura di me come fratello maggiore, ma… ma… se solo mi consentisse di fare altrettanto! Se solo...

Calcio con foga un sassolino, che sbatte contro il muro a secco per poi frantumarsi… ops, ho usato troppa forza, fortuna che non c’era nessuno nei paraggi! Sono davvero troppo nervosa, stavolta gli allenamenti con Mantus saranno più che indispensabili, devo assolutamente diventare più forte, soprattutto ora che il nemico ha così tanti alleati.

Accelero ulteriormente il passo per giungere sulla spiaggia, il luogo dell’incontro prestabilito, ma voltata la stradina che mi conduce lì, noto subito che Rhadamantis non è da solo. Sobbalzo, riconoscendo Saga di Gemini, istintivamente mi nascondo dietro al muro, il cuore a mille: che diavolo ci fa lui qui, a parlare con la Viverna Infernale?! Mi sporgo un poco per osservare meglio la scena, affinando le orecchie e acuendo i sensi. Ho perso il conto di tutte le volte che, in questi mesi, mi sono ritrovata ingiustamente ad origliare, ma del resto qui sono tutti reticenti, vogliono celare i segreti e, in fondo, se non avessi spiato un paio di volte, non avrei scoperto determinate cose.

“...Pare che anche tu abbia una predilezione per allevare gli allievi sperduti di Camus, Rhadamantis, stai cercando di diventare anche tu un buon samaritano?! Occhio però a non farti beccare, non credo che la prenderebbe sportivamente!”

No, non è Saga di Gemini, il tono di voce è completamente diverso, il ghigno sinistro, i capelli di tinte più scure... se non si tratta di lui, allora potrebbe essere solo…

“Kanon! - lo chiama infatti Rhadamantis, seccato, alzandosi in piedi per poi squadrarlo – Chi meglio di te è esperto nel settore?! Anche tu, se ben ricordo, hai corso il rischio, sentivi così forte la devozione di diventare insegnante?!”

Kanon ridacchia sommessamente, prima di contemplare il mare, come a riportare ala luce ricordi piacevoli per non farli sparire al di sotto dell’oceano.

“No, è che Isaac era troppo dotato per lasciarlo lì, ad arrangiarsi, dovevo ultimare ciò che Camus aveva lasciato… a mio modo!”

Al nome dell’allievo perduto di Camus sussulto, subito mi faccio più attenta sul discorso. So relativamente poco dei fatti accaduti durante la battaglia contro Poseidone, mio fratello me lo ha solo accennato, gli fa troppo male parlare di queste cose, ma effettivamente so bene che c’era Kanon dietro tutto il piano, che poi si è redento, ma che è stato lui a seminare il male in quello schizofrenico di Saga. Quindi… ha finito lui di addestrare Isaac?

“Ed immagino che il tuo modo non sia stato di gradimento a Camus, visto il rancore che nutre nei tuoi confronti…” gli fa notare Rhadamantis, ghignando a sua volta.

“Se mi vede tenta di uccidermi… - ribatte Kanon, impassibile, come se fosse roba di tutti i giorni, il suo pane quotidiano – Ma va bene così, ho reso il ragazzo capace di accettare il Kraken dentro di sé, se avessi avuto più tempo forse sarebbe riuscito anche a dominarlo completamente, invece…”

“Invece che cosa? - lo incalzo, uscendo impulsivamente allo scoperto, guardandolo dritto negli occhi, senza esitazione – Che cosa, Kanon di Gemini? Vai avanti!”

Non è da me essere così diretta, ma non ho paura di lui, anche se forse dovrei, oppure sono solo sciocca e avventata. E’ comunque uscito il nome di Isaac, devo saperne sicuramente di più, mi preme dal profondo del cuore.

“Seraphina, non è buona norma per una fanciulla origliare le conversazioni private di due uomini!” si rivolge a me Rhadamantis, con una punta di severità, scrutandomi a fondo in attesa che mi avvicini.

“Che peccato, Mantus, non sono più Seraphina, e non sono una nobildonna, dovrei avertelo già detto!” lo osservo, inarcando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto con fare inquisitorio.

“Mantus?! Ma che adorabile soprannome, ti sei fatto addomesticare?!” ghigna ancora Kanon, guardando l’altro.

“Stai zitto! O vuoi battagliare come negli Inferi?!”

“Intendi quando te le ho date di sana pianta?! Accomodati!”

“Veramente era un pareggio: sei morto anche tu!”

“Dovevo ridare l’armatura a mio fratello, il mio compito era concluso!” risponde pratico Gemini, sottolineando provocatoriamente che, in altre circostanze, lo avrebbe agevolmente sconfitto.

Ah quindi si sono conosciuti sul campo di battaglia, c’era da immaginarselo, ma mi manca la parte in cui un Cavaliere di Atena che ha indossato le vestigia di Gemini e un Giudice degli Inferi abbiano familiarizzato fino a ritrovarsi compagnoni da spiaggia. Beh, non importa, mi interessa solo di Isaac. Il mio cuore accelera inspiegabilmente nel pensarlo.

“E’ da un po’ che osservo da lontano i fatti del Santuario, ma ora che ti ho davanti non posso che riconoscerti per ciò che sei... – Kanon si rivolge a me, studiandomi – Sorella di Camus, suppongo, data la somiglianza dei lineamenti e degli occhi. Marta, giusto?”

“Mi conosci?”

Lo vedo sistemarsi il ciuffo, sbuffando tiepidamente. E’ un bell’uomo come quasi tutti quelli della cerchia dorata, potente sopra ogni dire, mi da l’idea immediata di essere intelligente e furbo, forse anche un po’ troppo. E questo non è necessariamente un pregio!

“Non sono il custode di Gemini, ho particolari libertà in confronto agli altri, date da Atena in persona. Sto sempre via, questo non significa che, quando riemergo, non sappia le ultime novità!”

Riemergere… significa forse…? Sgrano gli occhi, prima di tentare di ricomporre lo schermo di imperturbabilità.

“Significa che fai la spola da qui al regno sottomarino?!”

“Già, e suppongo che tu conosca molto bene quel luogo, giusto? So della tua precedente vita, so della tua tomba, del resto… quando ho ereditato Dragone Marino vi ho visti!”

Trasalisco, ormai mi è impossibile mantenere una parvenza di autocontrollo. Istantaneamente tremo, coprendomi il petto con le braccia in atteggiamento difensivo. Dragone Marino... l’armatura che aveva preso Unity, poi finita nelle mani di costui. Non lo sapevo, i miei ricordi si fermano ad un certo punto e non riesco ad andare più avanti, ma anche questa informazione è troppo importante per me, mi fa sentire quasi… violata!

“Ci hai… visti?! Che ne hai fatto dei nostri corpi?!” sibilo, come animale desideroso di difendere ciò che considera proprio. Non esprimo alcun nominativo, ma lui capisce istantaneamente.

“Nulla… state ancora laggiù, anzi, attualmente sono io a proteggere il vostro simulacro sotto ordine dello stesso Shion e di Atena!” mi spiega, sbrigativo, non sembra un tipo propenso a parlare troppo, ma non esita a dirmi la verità.

“Atena?!” ripeto, incredula.

“Per ordine di Atena, sì! - conferma, chiudendo e aprendo gli occhi – Se il nemico dovesse arrivare a comprendere che parte del potere che va cercando è racchiusa ancora nel corpo del tuo… Dègel… sarebbero guai, non trovi?!”

“Sono… informazioni strettamente confidenziali!” tentenno, la gola secca. Dunque lui sa, nuovamente mi sento vulnerabile.

“Per questo motivo Atena non l’ha riferito a nessuno, è qualcosa inter nos tra me, lei, Shion e ovviamente tu!”

“I-io lei non l’ho mai… vista… n-non può averti...”

“Il fatto che non sia presente al Santuario in questo momento, non comporta che non sappia comunque le dinamiche successe fino ad oggi. Ti conosce, sorella di Camus, anche se non direttamente!”

Non ci posso proprio credere… è da quando sono qui che la reputo una menefreghista incapace e invece sa tutto?! Ma se fosse davvero così, allora perché non è mai intervenuta in nostro favore e lavora dietro le quinte?! Mi irrito al solo pensarlo, per cui provo a scacciare via tale consapevolezza, riportando la mia mente sul discorso che mi preme di più.

“In che rapporti eri con Isaac?”

“Oh, sai di lui? Non dovresti avere avuto il tempo per conoscerlo...”

“Oh… il fatto che non fossi presente, non implica che non sappia nulla, Kanon di Gemini!” ricalco la sua frase precedente, con una smorfia che oserei definire quasi beffarda, alla Cardia.

Kanon fa una faccia strana, a metà strada tra il sorriso storto e il meravigliato, poi, rilassando la muscolatura, ridacchia compiaciuto, genuinamente sorpreso.

“Oh, allora puoi chiamarmi come suo padrino, se rendo l’idea…”

“Pfff, e perché dovrei?!”

“Perché sono io che me ne sono preso cura quando è giunto, ferito, ad Atlantide. Ha ultimato l’addestramento per merito mio!”

“No! Tu lo hai solo allontanato da Camus, non hai ultimato un bel niente, non era tuo compito!” strepito, improvvisamente furiosa, come se le emozioni non fossero solamente le mie, ma anche quelle di mio fratello.

Kanon assottiglia le palpebre, non molto lieto della mia presa di posizione.

“E’ stato Camus a dirtelo?! Ti ha detto… che l’ho strappato io da lui?!”

“N-no! - mi affretto a ripiegare, in difficoltà, non sapendo bene dove guardare – Ma provo le sue emozioni, so cosa ha passato dopo la sua perdita e… e non era tuo diritto farlo, dovevi riportarlo a casa, i-in Siberia”

“Mi stai prendendo un po’ troppo per un buon samaritano, ragazzina… non lo ero, credimi, all’epoca ancora meno di adesso e comunque mi sono limitato a portarlo dove la sua rabbia lo conduceva. Isaac era molto di più di un semplice aspirante Cavaliere, lui era il Kraken, lo stesso Camus non se ne è reso pienamente conto, ha cercato di ostracizzarlo, sbagliando, non pensare che tuo fratello non abbia fatto errori nel crescerlo!”

“C-come ti permetti?! T-tu...”

“Sei la sorella minore, lo divinizzi, lo comprendo bene, te lo posso assicurare… - lascia la frase a metà, meditabondo, prima di riprendersi – Non avrebbe dovuto ostacolare il mostro marino intessuto nel ragazzo, ma aiutarlo a comprenderlo e imbrigliarlo!”

“I-il Kraken… che cosa sarebbe?”

“Conosci tutta la storia reale, Marta?”

“N-no, Camus non ne parla mai, ci… ci soffre troppo!” sono costretta ad ammettere, mio malgrado, torturandomi istintivamente le dita. E’ sottile nel linguaggio, costui, e capace di volgere facilmente il discorso in suo favore, devo stare attenta e non dare troppa confidenza.

“Bene, e allora segui il mio consiglio: cerca informazioni su di lui, se non te le può dare tuo fratello cercale in coloro che hanno vissuto gli eventi. In base a questo fatti un’idea tua!”

Mi balena subito in testa il nome di Sonia e Milo. Effettivamente potrei chiedere anche a loro.

“N-non me lo puoi dire direttamente tu, che sembri averlo conosciuto così da vicino?!”

“Scherzi?! Non amo chiacchierare, inoltre non sono il più adatto per dirtelo, e ho da fare!” mi liquida, facendo per andarsene, ma io mi oppongo ancora.

“Almeno rispondi a quest’altra domanda, se sai...”

Si ferma, mi fissa di profilo, con attenzione. Ha uno sguardo diverso da Saga, più buio e penetrante, sebbene siano fratelli gemelli, mi inquieta e mi incuriosisce al tempo stesso, scorgo solo l’ombra in lui, eppure, proprio per questo, ne riesco a vedere distintamente anche la luce.

“Quale sarebbe? Parla!” mi incalza, in tono un po’ più alto del normale.

“I-Isaac… dov’è?”

“Non lo sai? Hyoga lo ha sconfitto...”

“Sì, ma dov’è? E’ vivo, in qualche modo, io lo so!” insisto, determinata.

Sembra una domanda priva di logica, ma so che così non è, so che c’è speranza, lo sento pulsare da qualche parte lontana, ma pulsa. Deve essere vivo, ne sono sicura, ed io vorrei tanto che si riabbracciasse con Camus, vorrei riportarglielo, in qualche modo, perché entrambi hanno necessariamente bisogno uno dell’altro.

Kanon mi da immediatamente la schiena per non farmi scorgere la sua espressione, ma poco dopo la sua voce si palesa: “Non è più qui…”

La frase volutamente ambigua mi instilla una fievole speranza che invade piano piano il mio cuore: “Quindi… mi confermi che respira ancora?! Che non devo cercare solo il suo corpo privo di vita, ma… LUI?!”

“Non è più qui…” ripete meccanicamente Kanon, sempre girato, lo sguardo fisso, immobile, verso il mare.

“Tu… anche tu… lo stai cercando, vero?! - tento, gli occhi luminosi, quasi sorridendo, sempre più certa delle mie sensazioni – I poteri dei Cavalieri di Gemini sono immensi, riescono a frantumare le galassie e a creare uno spazio di singolarità che può essere considerata una dimensione a sé stante. Stai sfruttando questi tuoi poteri per rintracciarlo, vero?! Fa parte della tua espiazione?!”

Ancora rimane fermo immobile, non mi risponde, passano alcuni secondi, prima di vedermelo andarsene. Provo l’impulso di seguirlo.

“E-ehi!”

Ma Rhadamantis mi blocca, avvolgendomi con un braccio per non farmi proseguire: “Lascialo stare! Kanon è fatto così, finché non avrà una pista più che certa non ti dirà niente.”

“Ma quindi ce l’ha questa pista!” esclamo, un poco agitata, guardando prima lui e poi la sua figura allontanarsi fino a scomparire. Non sopporto più tutta questa omertà, perché non sono chiari?! Perché vivo dentro una istituzione che sembra conoscere tutto ma non spiega quasi niente?!

Non ne posso più…

“Sì... probabilmente ha il tuo stesso sentore!” riesce infine a dirmi la Viverna Infernale, riuscendo finalmente a darmi quell’abbozzo di risposta che, per quanto piccola, a me sembra grossa come il mondo intero.

“Tu… come mai conosci così bene Kanon, Mantus?!” gli chiedo a bruciapelo, sperando che possa continuare a darmi le soluzioni che tanto cerco.

“Ci siamo affrontati in battaglia. - liquida la faccenda, prima di spingermi indietro e prepararsi a combattere. Non risponderà più, l’ho capito, non è neanche una novità. – Se non sbaglio sei qui per allenarti, giusto? Quindi bando alle questioni frivole!” mi sprona, caricando immediatamente una sfera di energia che tuttavia schivo con lestezza, meravigliandolo un poco.

Va bene, vuoi menare le mani, draghetto, avrai il mio ben servito!

“Così sia! Necessitavo proprio di sfogarmi!” esclamo, gettandomi contro di lui con tutte le energie che possiedo. Mi sento speranzosa come non mai, darò tutto quello che posso, e ora ho più di un motivo per farlo.

Recuperare Isaac non sembra più così utopico come pensavo.

Perché Isaac è vivo!

Già. E’ VIVO!

Ed io lo riporterò a casa!

 

 

* * *

 

 

1 dicembre 2011, crepuscolo

 

 

Mi sdraio a peso morto sulla spiaggia, osservando il cielo che va tingendosi di arancio, stanca, disillusa e pure avvilita. Insomma, uno stato emotivo opposto rispetto a quello di ieri! Parlare con Kanon mi ha fatto bene, mi ha ridato la speranza di recuperare Isaac, in qualche modo, ma la chiacchierata di oggi con Sonia e Myrto, che erano presenti quando i Cavalieri di Bronzo hanno affrontato Poseidone e i suoi Generali, pur non prendendo parte alla battaglia, mi hanno gettato nella più nera disperazione.

Non sanno le cose che per sommi capi, ma mi hanno già detto che Isaac ha consapevolmente scelto di schierarsi con il dio dei mari. Non è stato traviato, non è stato ingannato, è stata una sua precisa scelta di campo: distruggere il mondo per ricostruirlo come nell’era dei miti perché l’uomo è malvagio e non può essere salvato. Non proteggere quindi, disintegrare… perché?!

Sonia ha conosciuto di persona Isaac… è stato quando lei e Milo si sono recati in Siberia per andare a trovare Camus, che era stato molto male dopo una missione. Non ho indagato ulteriormente, sebbene mi sia tornato il magone, preferendo chiedere poi direttamente a lui, o vederlo nei sogni, ma ho insistito molto su Isaac per tentare di capirne la personalità. E’ così che sono venuta a sapere che Sonia è stata attaccata proprio da lui, dal Kraken, che, anzi, Isaac è davvero il Kraken, il principio distruttivo medesimo, la forza vitale che non può essere espugnata.

Non so bene perché, ma ne sono rimasta molto delusa… credevo di conoscerlo, che fosse una brava persona, ma, da quanto è uscito dai loro discorsi, fa quasi paura, sfugge, e questo senso di… di, non lo so neanche io, non mi passa. E non capisco.

Mi è stato detto di parlarne con Hyoga, colui che più di tutti lo ha conosciuto, ma tirare fuori questo discorso con lui è come darsi la zappa sui piedi da soli. Il Cavaliere del Cigno condivide le stesse problematiche di mio fratello, se non più gravi, essendo il primo responsabile della sua scomparsa e, successivamente, della morte, anche se, pare, sia vivo. Disperso, ma vivo. Ma lui non lo sa e neanche Camus.

Isaac che lo ha salvato dalle spietate correnti oceaniche, Isaac che voleva perseguire gli ideali di mio fratello, i suoi passi, Isaac un compagno sincero, leale, un ragazzo d’oro… come è possibile che sia lo stesso Isaac che si è poi schierato con Poseidone, che voleva spazzare via il mondo, schiacciando i più deboli. Come?!? CHI è davvero Isaac?! Perché era così importante per Camus, al punto da non riuscire quasi più a nominarlo, se non nei vaneggiamenti? La sua perdita ha causato in lui uno squarcio atroce, incolmabile, che lo fa tutt’ora soffrire. Tale squarcio lui non riesce neanche interamente a condividerlo con me, da quanto gli faccia male. Ci ha provato, in Siberia, con tutto sé stesso, a stento è riuscito un po’ a piangere e poi non ne ha più trattarlo. Mi basta nominarlo e cambia espressione, ed io non so più che fare per condividere con lui questo peso, per sostenerlo con tutta me stessa. E’ così fragile, quando parla di lui...

Isaac...

Mi metto seduta, sospirando, osservando il mare amico e il sole morente che, proprio davanti a me, sta percorrendo la parabola finale della giornata, tingendo i dintorni di rosso.

“Che cosa hai fatto, Isaac?” gli chiedo cogitabonda, come se mi potesse udire, abbracciandomi le ginocchia e fissando un punto lontano dove il mare pare intrecciarsi con il cielo. Il blu con il rosso. Il rosso con il blu.

Il primo tramonto di dicembre, il mese che, nel nostro emisfero, sancisce la definitiva vittoria della luce sulle tenebre. Ripenso alle parole di Mantus a proposito dell’oscurità che è dentro di noi, che più ci avviciniamo alla luce più si allunga la nostra ombra e… anche il contrario, suppongo, cioè che più brancoliamo nel buio più ci è possibile distinguere la luce. La sola idea provoca in me un’intensa emozione, come se le risposte a tutti i mali del mondo fossero qui. Scatto in piedi improvvisamente a corto di fiato, gli occhi spalancati.

“Isaac, ma allora, tu…?”

Che cosa… che cosa sto facendo?! Dove sto andando?”

Una voce maschile, di cui non riesco bene a distinguere la provenienza, mi rimbalza nelle orecchie. Mi guardo confusamente intorno, cercando di capirne le origini senza però riuscirci.

Quasi inconsciamente, guidata da qualcosa di magnetico, mi dirigo sulla battigia e poi, incurante della temperatura dell’acqua non certo confortevole, proseguo oltre. Il mare mi lambisce prima le caviglie, poi i polpacci, le ginocchia. Il peplo mi si alza conseguentemente, galleggiando appena, quasi sembra miscelarsi alla schiuma di mare. Un vento freddo mi avvolge, la mia pelle si fa d’oca, ma non me ne curo. Continuo a guardare davanti a me, carpita dal sole che tocca l’orizzonte lontano, in un chiaroscuro che frastorna la pupilla. Luce e oscurità, che si interconnettono, intessendosi l’un l’altra. Nessuna delle due può sopravvivere senza il suo opposto.

Alzo le braccia all’altezza delle spalle, lasciando che i raggi rossicci del sole mi colpiscano, e così il vento. Tiepido. Caldo, freddo. E poi fresco. Queste sono le sensazioni che ne derivano, in una eterna lotta di principi che non ha mai fine. Sembra tutto così perfetto, nella sua ciclicità...

Mi lascio cadere in avanti. L’acqua schizza in ogni direzione. Rabbrividisco, il mare sembra gelido, ma elevo il mio cosmo per compensare. Sbatto i piedi, soffiando fuori le bolle per bilanciare la pressione interna con quella esterna. Equilibrio. Moto. Azione.

Nuoto con forza, non sapendo bene dove andare, ma avendo altresì la certezza che quando mi dovrò fermare lo sentirò. Qui dentro. Mi guardo brevemente la mano di destra tra le bollicine, la stringo con forza, prima di sbattere più intensamente i piedi per accelerare il mio moto. Devo… trovarlo!

 

Isaac si fissava la mano sinistra, stretta a pugno davanti a sé, il polso avvolto dal fazzoletto verde, unico ricordo materiale che gli era rimasto di Camus. Essa aveva assunto sfumature rossicce, lambita dal sole che stava tramontando, lambita dagli ultimi raggi dell’astro che non sarebbe riemerso per i successivi 6 mesi, decretando la vittoria pressoché definitiva delle tenebre sulla luce in un mondo che sfiorava la perdizione.

Dicembre dava l’avvio ad un nuovo ciclo di devastazione, la Terra, anzi, Ipsias, perché così si chiamava quella dimensione così affine eppure diversa dalla sua patria, sarebbe ben presto diventata ostaggio dei Ghulu, che, con i loro miasmi, avrebbero contaminato l’ambiente circostante. Tutto si sarebbe fermato, di nuovo. Lo attendeva il suo primo, lungo, inverno, non credeva di essere pronto ad affrontarlo. Affatto.

Erano passati 8 mesi dal suo arrivo lì, la sua ennesima condanna in una vita che non poteva del tutto finire, essendo guidato da un principio vitale distruttivo e conservativo come il Kraken. Ne erano trascorsi 2 di oscurità, 6 di luce, proprio in quegli ultimi gli erano stati insegnati da Dègel i rudimenti dell’esistenza in quel luogo infernale, poche, ma essenziali, nozioni di sopravvivenza; tante, per niente superflue, spiegazioni teoriche sull’esistenza stessa di un pianeta che non era del tutto morto, ma neanche vivo. Fermo, ma palpitante. Perso, ma non perduto.

E, di nuovo, nell’ascoltarlo, nell’udire come si esprimeva Dégel, come si dilungava nelle cose che lo appassionavano, la nostalgia lo aveva invaso. Tutto, di lui, gli ricordava il Maestro Camus, tutto, di lui, gli rammentava quanto dura sarebbe stata la sua condanna da lì a per sempre. Avere Camus, ma non avercelo, perché lui NON era Camus, non era lui, non avrebbe mai potuto esserlo!

Eppure, lo era senza alcun dubbio, non c’era possibilità di equivoco!

Ora sarebbe arrivato l’inverno, il Grande Inverno, quello che giungeva anche in Siberia e che recava con sé le tenebre complete, ma che poi se ne andava nell’arco di un mese e mezzo, perché il sole vinceva sempre.

Ma non lì, non in quella landa timorata dagli dei.

Come gli era stato detto fin dal principio, anche nei 6 mesi di luce completa il sole non si vedeva, se non al crepuscolo. Il cielo era perennemente bianco lattiginoso, le cose assumevano contorni loro, ma risultavano distorte, come distorto era quel mondo. Non c’era alcun Sol Invictus lì, non c’erano luci ad allietare la malinconia di un buio imperituro. Non c’era rotazione terrestre, quindi l’Aurora Boreale, o Australe, la promessa di un sole che sarebbe pur sempre tornato, non esisteva più. Nessun vento solare, nessun respiro della natura, nulla…

Il sole era definitivamente morto, se non per quei due momenti dell’anno, stentati battiti, che corrispondevano all’alba e al tramonto.

Isaac si sentiva solo come mai prima di allora, qualcosa si era rotto in lui. Osservava la luce davanti a sé ma non la vedeva realmente. Le immagini delle sue vite precedenti, che aveva cercato di dimenticare, gli scivolavano addosso, facendolo tremare.

Non era una reale solitudine la sua, così fatta di presenze, di tutti coloro che aveva ucciso, di tutti coloro che aveva amato. Di tutto. E ciò acuiva il suo immane senso di isolamento.

Sorrise di sbieco. Dimenticare… che sciocco pensiero, non poteva dimenticare, in alcun modo, troppo semplice così, troppo facile. Aveva determinate colpe che non sarebbero mai state perdonate, le ferite subite nello scontro con Hyoga erano lì a ricordarglielo, ancora bruciavano, ancora non lo facevano dormire la notte, per non dimenticare mai i suoi peccati.

Così viveva con Dègel e Seraphina ma i fantasmi del suo passato lo andavano comunque a trovare, senza concedergli la benché minima requie. E ogni volta che riaffiorava un viso famigliare, era una pugnalata al cuore. Spietata. Tremenda.

Probabilmente era stato per tentare di sopperire a quell’irrequietezza che, quello stesso giorno, aveva chiesto a Seraphina un modo per sconfiggere i Proteiformi e per bloccare i Ghulu ancora salvabili. Dégel ci riusciva, lo aveva ben visto, si era quindi messo in testa di diventare ancora più forte, di più, ancora e ancora. Se tanto la sua Terra, il suo mondo, erano perduti avrebbe fatto qualcosa per quella dimensione. Ad ogni costo!

Ci sarebbe un modo...” aveva accennato lei, scambiando un’occhiata d’intesa con Dègel, intento a leggere un tomo antico, l’espressione tirata e ancora un poco sofferente.

Gli occhi di Isaac erano passati da lei a lui, soffermandosi sul suo viso. A quella cicatrice che segnava il collo dell’ex Acquario fino al labbro superiore e che gli doleva alquanto, rendendo difficoltoso ogni suo piccolo cambio di espressione, ogni suo piccolo cenno e sorriso -e Dègel, a differenza di Camus, quello sì, sorrideva molto di più!- retaggio, nonché conseguenza, del suo intervento per salvarlo dal Proteiforme che aveva assunto la forma di Lisakki, e che lo aveva colto di sorpresa.

Dègel, in quel frangente, non aveva esitato a proteggerlo, incurante dei rischi per sé stesso, incurante di essere menomato per sempre, come avrebbe fatto lo stesso Camus.

Ma... se sei così simile a lui perché non SEI lui?!

Si era ritrovato a chiedersi Isaac, scrollando il capo a metà strada tra l’arrabbiato, il pentito e l’afflitto.

E sarebbe?” aveva quindi incalzato, quasi frenetico, desideroso di rendersi utile in qualche modo per ripagare, almeno in parte, il suo sacrificio.

Impara da Dègel ad utilizzare lo Zero Assoluto e, da me…” aveva iniziato Seraphina, cauta, con quella punta di dolcezza nella voce, ma subito Isaac era saltato su, iracondo, non riuscendo più a controllarsi.

Non imparerò NIENTE delle tecniche del ghiacci da lui, ho già un maestro, ho già…” si era fermato, sentendosi un ingrato.

Aveva reagito con una tale rabbia da far tremare le pareti della casa, entrambi lo avevano guardato con una tristezza infinita, percependo le sue emozioni difficili da controllare. Lui urlava, dibattendosi come un forsennato, turbolento, desiderando gridare e ancora gridare la propria rabbia incontrollabile, la sua ferocia, che era solo in parte dovuta al Kraken. Era diventato un ragazzo ancora più difficile, lo sapeva benissimo, se ne rendeva conto, di quelli che, forse, solo con una sberla ben assestata si sarebbero calmati, ma né Seraphina né Dègel avevano mai alzato alcunché su lui, nemmeno il tono di voce, accogliendo invece i suoi sfoghi senza opporsi, come il masso che, dolcemente, accoglie la furia del torrente in piena. A volte per calmarlo la giovane donna lo abbracciava, mentre l’ex Cavaliere dell’Acquario, pur mantenendo le distanze, lo accoglieva con quella sua voce pacata e infinitamente paziente, come era accaduto proprio quello stesso giorno.

Isaac… non voglio sostituirmi al tuo maestro, ma...”

Perfetto! Perché non lo sarai mai, Dègel! Ti sono debitore per avermi salvato, ma la cosa finisce lì!”

Ma… - aveva comunque ripreso come se non fosse stato interrotto, non riuscendo a celare una smorfia di dolore nel parlargli – Il tuo Maestro Camus desiderava senz’altro che tu progredissi ulteriormente, per questo che…”

TU NON PARLARE DI LUI!!! CHE NE SAI?! ANCHE FOSSE, NON E’ IL CAMUS CHE HAI CONOSCIUTO TU!!!”

Gli era esploso addosso, prima di bloccarsi a metà strada nell’osservare ancora una volta quella cicatrice che gli segnava il labbro superiore, parte della guancia e il collo, per poi essere celata dalla maglia che indossava ma continuare comunque fino al braccio. Aveva rischiato di morire per quello, erano servite le cure di Seraphina e, ancora, di un’erba quasi magica, conosciuta dagli sciamani che lui si era offerto di andare a cercare.

Si sentì ancora di più un verme. Non resistette oltre, gli diede le spalle, non reggendo più quegli sguardi limpidi verso un ingrato di simile stampo come lui.

Perdonatemi, vado a prendere una boccata d’aria!” aveva tagliato corto, quasi sfuggendo alle loro premure immeritate.

Ma tra poco è il Solstizio e...” lo aveva provato ad avvertire la giovane donna dai capelli argentati, un poco incerta, non sapendo bene se provare a rassicurarlo con un abbraccio, visto che a volte capitava che si calmasse, o desistere. La mano di Dègel si strinse nella sua, lo guardò, lui negò col capo, indicandogli la giusta via: quello era il momento di lasciarlo solo, ne necessitava.

Vado appunto a godermi l’ultimo, l’unico, raggio di sole!” aveva frettolosamente spiegato Isaac, non voltandosi, affrettando anzi l’andatura.

Sii prudente, piccolo, torna prima del buio…”

Erano state le ultime parole di Seraphina, sussurrate a fior di labbra, atte a tentare di confortarlo, ottenendo però il solo effetto di farlo sentire ancora più male.

Era uscito dalla casetta in mezzo al bosco, andando in direzione opposta, dove in quei mesi aveva imparato si trovasse un’immensa distesa marina del tutto simile agli oceani della Terra, il pianeta blu.

Ebbene, era un ‘pianeta blu’ anche Ipsias, erano poche le terre emerse a confronto con l’immensa distesa oceanica; da quando poi il movimento rotatorio era stato ridotto pressoché a zero, il moto delle maree era stato sconvolto. Non resistevano che poche isole in cui, timidamente, la vita provava comunque a riaffiorare, instancabile.

Glielo aveva insegnato Dègel, insieme ad innumerevoli altre cose, e lui, per tutta risposta, ripagava tutto quello, l’accoglienza, la gentilezza con cui era stato curato, nel peggiore dei modi, dimostrandosi problematico e irascibile. Davvero pessimo!

Si passò una mano tra i capelli, nascondendosi poi il viso. L’altro braccio continuava a stringere le ginocchia, tenute vicino al petto sconquassato da singhiozzi che non poteva permettersi di far trapelare.

Cosa sto facendo?! - si chiese ancora – Dove penso di andare?!”

Si sentiva profondamente deluso da sé stesso, ancora e ancora. Dalle parole di Elisey a proposito del Kraken, di rimanere lontano dal mare, le cose non avevano fatto altro che peggiorare. Tutto era andato irrimediabilmente perduto!

Ripensò agli occhi sempre fieri di Camus, al suo sorriso appena accennato, alla sua mano che, con un poco di riluttanza, gli sfiorava i capelli, permettendosi poi di accarezzarlo con più forza, quasi come se lo scoglio difficile fosse il primo contatto, il resto veniva da sé. Così era per davvero, senza bisogno di parole, senza bisogno di troppi gesti. Si capivano. Nessun gesto andava sprecato tra loro, proprio per quello, quando accadeva, quando si stringevano l’un l’altro, tutto sembrava mettersi miracolosamente nel verso giusto senza tante spiegazioni, com’era naturale che fosse.

Così naturale essere con lui… ricordò di aver pensato che non avrebbero mai potuto essere separati, ecco invece che il destino beffardo li relegava a non potersi neanche più guardare. Non ci sarebbero mai più stati quegli occhi gremiti di orgoglio, lo sapeva, più passava il tempo più tentava di convincersi, solo che, invece di diminuire, il dolore e il senso di perdita aumentavano, incommensurabilmente. Serrò la mascella, fremette.

Papà… Hyoga… - li chiamò debolmente, trattenendo a stento un singhiozzo più potente degli altri – Mi… mancate da morire!” buttò tutta l’aria di un fiato, nascondendo il viso tra le ginocchia.

Il calore del sole stava perdendo intensità, l’astro ormai toccava l’orizzonte, presto si sarebbe eclissato, inghiottito dal mare, e non sarebbe più riemerso prima di 6 lunghi, lunghissimi, mesi. Non ci sarebbero stati né Camus né suo fratello ad alleviare quei momenti, non più.

“Oh, ehm, sei… sei Isaac? Ti… ti sento, percepisco le tue… emozioni!”

Sussultò nell’udire una voce femminile inaspettatamente famigliare. La conosceva, non era quella di Seraphina, sebbene contraddistinta dalla stessa patina di delicatezza, ma così simile. Si alzò in piedi di scatto, scrutando confuso nei dintorni sempre più bui.

Quella voce così famigliare… possibile?!

Di riflesso, si avvicinò all’acqua, agli scogli, che percorse fino al loro limite. Il mare lo aveva sempre attirato, non sapeva spiegare se solo per il fatto di essere il Kraken o anche per altro, ma aveva sempre avuto un fascino magnetico per lui. Si affacciò sulla sponda. Lo specchio marino non dava altro che la sua immagine sfocata e un poco traballante, in apparenza, ma ebbe comunque l’istinto di sporgersi, posando il palmo delle mani a pelo dell’acqua, quasi fosse una superficie rigida.

Per i primi secondi non successe niente, non percepiva altro che le particelle del mare, che gli davano una sensazione di fresco sulla pelle, poi… qualcosa si posò a sua volta sui suoi palmi, arrivando fin quasi alla punta delle sue dita. Delle mani, un poco più piccole delle sue. Sussultò ancora, affinando lo sguardo per tentare di distinguerla nelle tenebre sempre più fitte che aleggiavano i dintorni. Finalmente qualcosa prese forma, lentamente, qualcosa, anzi, qualcuno che lui conosceva piuttosto bene, ma che non incontrava da tempo.

Si emozionò. Il cuore prese a battere più velocemente del consueto.

 

Il mio cuore tamburella con forza nel petto nel distinguere finalmente gli occhi, i capelli, le forme di colui che stavo cercando disperatamente e che sono riuscita infine a raggiungere

Sorrido di riflesso, felice. L’immagine che arriva alla mia cornea è quella del suo riflesso in uno specchio, ciò mi crea un senso di straniamento che non riesco subito a sopperire. Vorrei stringergli le mani, che avverto trepidanti sui miei palmi, ma non mi è concesso nient’altro che questo breve, anche se intenso, contatto.

Prenderei aria, se potessi, ma io sono sott’acqua, lui è la fuori non so bene dove, ma dal rosso che gli accarezza delicatamente la pelle della guancia direi che è il crepuscolo anche da lui.

Dove sei, Isaac? Dove sei stato? Lo sentivo! Lo sentivo dentro di me che eri ancora vivo! Oh, Isaac… ISAAC!!!

Esito ancora un attimo. Non so da dove cominciare, devo presentarmi, in qualche modo, ma come e… da che cosa parto, nel discorso?! Avrei così tante cose da dirgli!

“I-Isaac! - lo chiamo sfruttando il potere residuo di Poseidone per farlo e parlare così chiaramente anche se sono avvolta dall’acqua – I-io… non immagini che gioia provo nell’essere riuscita a mettermi in contatto con te! I-io… devi sapere che sono...”

“Marta... sei davvero tu?!”

Il suo chiamarmi per nome, con quel tono confidente, mi sconvolge, quasi mi fa inghiottire l’acqua, sebbene non la percepisca più intorno a me. Ci siamo solo noi, come sospesi in aria, i nostri corpi, che sembrano quasi fluttuale nel vuoto, i nostri palmi delle mani che si appoggiano su quelli dell’altro senza però potersi stringere, davvero come se fossimo a contatto tramite uno specchio che tuttavia non può essere attraversato.

“Mi… conosci?!”

“Non… lo ricordi? Ci siamo incontrati così tante volte nei sogni...” sembra incerto, stupito quasi quanto me. Io che lui mi conosca; lui che io non rammenti questi incontri che lui dice.

Non riesco a ribattere, stupefatta oltre l’inverosimile.

“Però stavolta non è un sogno, tu sei… reale! Come hai fatto a raggiungermi?” capisce, con un mezzo sorriso, e mi sembra che il suo corpo si rilassi, che lui stesso sia più sollevato.

“I-io… - non so minimamente cosa dire, almeno finché dei flash improvvisi non mi investono con prepotenza la mente. Essi sono frammenti di lui, bambino, e poi ragazzo, come se fossimo cresciuti insieme, come se nelle nostre menti, nei nostri sogni più accaniti, ci fossimo sempre, sempre, incontrati e accolti.

Non è la prima volta, questa, che lo vedo, è successo più e più volte ma… non me lo spiego, come è possibile?!

“Hai ricordato… lo vedo bene dai tuoi occhi blu che mi hai voluto mostrare solo una delle ultime volte, p-prima che fossi perduto!” mi dice ancora lui, trasformando il suo leggero sorriso in qualcosa di ancora più intenso, anche se più malinconico.

– Sei sempre stato tu… a raggiungermi, per questo non lo ricordavo, perché sei stato tu!” capisco, tremando visibilmente, emozionata a mia volta.

“No, non sono stato solo io… - biascica arrossendo, ancora più a disagio, non sapendo dove guardare – Tu mi sei stata sempre vicina, mi hai… fatto da guida in mezzo alle tenebre, t-tu…”

“I-io… no, qualcosa deve aver reso possibile questo; qualcosa deve aver funto da catalizzatore, Isaac, non saprei però cosa...”

“Nemmeno io… ma è un dato di fatto questo: siamo entrati in contatto diverse volte e abbiamo interagito. Ti ho sempre avuta… accanto!”

Non so proprio cosa dire, sembra così triste nel pronunciare queste parole. Parla di cose che non so contestualizzare, eppure, ora che lo sento con queste mie orecchie, so che è successo veramente, nelle nostre teste, ed è reale, così come queste mie mani che sono appoggiate alle sue, che me lo fanno percepire, anche se è così distante.

“Come stai, Isaac?”

La domanda mi sorge spontanea, ma lo meraviglia visibilmente. Spalanca le palpebre, lo sento palpitare, mentre gli occhi verde pascolo si fanno lucidi, il che mi fa notare subito che li possiede entrambi, anche se quello di sinistra, precedentemente asportato, non sembra autentico ma un artificio che ha un non so che di magico.

“Oh, Isaac, hai recuperato la vista nonostante la cicatrice ti sia rimasta!” gli sorrido, modulando la voce per renderla più dolce. Mi appare così fragile, del tutto incapace di rispondere, mi fa tenerezza, oltre che un magone crescente, non so se per via delle mie emozioni o anche per quelle di Camus.

“Sì, è… sono sempre sfregiato, ma almeno ci vedo!”

Sembra che gli dia non pochi problemi mostrarmi la cicatrice, come se si vergognasse, infatti si gira, celandola ai miei occhi, in un atteggiamento che mi sembra strano e impacciato al tempo stesso.

“Devi esserne fiero di quella… - gli dico, attirando la sua attenzione – E’ il segno dell’amicizia tra te e Hyoga e la dimostrazione del tuo coraggio!”

“Me l’hai già detta questa cosa, quando ero in coma ad Atlantide… l-lo sono, Marta!”

“Camus lo sarebbe ancora di più...”

“Camus...”

“Gli… manchi da morire, sai? Ha così tanto bisogno di te!”

Continuo a trattarlo come se fosse un vecchio amico e lui continua a risultarmi fragile e delicato come il suo maestro. Una cosa strana, perché so che lui è sempre stato molto forte e determinato, oltre che coraggioso sopra ogni dire. Eppure è come se mi mostrasse la parte più morbida della sua effige. Non il Kraken, che avverto come potenza in lui, ma un semplice ragazzo, allenato da un grande uomo, è vero, ma pur sempre un ragazzo che ha perso e perso ancora gli affetti più profondi.

Sbatto le palpebre. Anche questo lo so, non me lo spiego. Sembra tutto così naturale…

“C-come sta lui?”

Fa fatica a parlare del suo mentore, certo di essere una delusione per lui, è visibilmente agitato dalla situazione, quasi rotto. Continua a tenere i palmi sui miei, lo percepisco, ma non riesce ad andare oltre, neanche io.

Quindi sai anche che è vivo, Isaac... ciò mi rende più facile proseguire.

“Come… sta? - mi chiede ancora, con insistenza – E Hyoga?”

E’ il mio turno di non sapere cosa dire. Esito. Già, come stanno? Non lo so, Camus simula di stare bene anche quando è uno straccio e lo stesso fa Hyoga, che però è lontano e non l’ho più visto.

“S-starebbero meglio se ci fossi tu qui con loro...”

Lui però, serrando le palpebre, nega con la testa, visibilmente sofferente e provato.

“N-no… non è così!”

“Isaac! D-dove ti trovi? Dove sei?

“I-io sono...”

La sua immagine riflessa tremula davanti a me, vedo la sua bocca muoversi ma non distinguo le parole, né riesco a leggere il labiale.

“Co-cosa? N-non ho capito, Isaac, non...”

La luce sta cambiando intorno a me e intorno a lui, si fa via via più scura, la luce cede spazio alle tenebre, rendendo meno nitidi i dintorni e trasmettendomi una sensazione di urgenza: con il sole… se ne andrà anche l’immagine riflessa di lui!

“Isaac!” lo chiamo, agitata, rendendomi conto di star perdendo il contatto. Non so cosa stia succedendo, non so neanche come sia possibile il nostro incontro, ma non voglio separarmene.

Lui riprova ad esprimersi, ma ora anche il suo viso perde nitidezza con l’avanzare delle tenebre. Stringo disperatamente le palpebre, chiudendo le mani a pugno.

“Stai tranquillo! Troverò un modo per riportarti indietro, troverò un modo per ricondurti da Camus e Hyoga, lo prometto, ovunque tu sia!” riesco ancora a dirgli, ad alta voce, nella speranza che lui mi possa udire.

“Marta...” è fievole la sua voce che chiama un’ultima volta il mio nome, ma sufficiente a darmi la carica completa.

“LO GIURO! TU ASPETTAMI!!!”

Le sue palpebre che si spalancano ancora di più sono l’ultima immagine nitida, mentre la sensazione di tuffarmi nuovamente in acqua circonda il mio corpo. Sussulto, ingurgitando parte del liquido, sbattendo disperatamente i piedi per tornare in superficie, perché ormai il contatto è spezzato, non ho idea di quando si potrà ricreare. Mi sento lacerata nel profondo… e fa male!

Finalmente riemergo, mettendomi a tossire disperatamente, la gola che brucia perché ho ingurgitato acqua salina. Scrollando la testa quasi come un cagnolino, riesco finalmente a riaprire gli occhi, ora proiettati in direzione del sole ormai completamente tramontato. Non ne resta che un fascio color rosso sangue, come di un guerriero ferito che striscia lontano dal campo di battaglia.

Respiro profondamente, guardandomi intorno, mentre scalcio nell’acqua per rimanere a galla. Mi sono allontanata molto dalla costa senza nemmeno rendermene conto, mi trovo in mare aperto e ora sarà un’impresa tornare indietro.

Faccio quindi dietro-front e, con la testa stavolta fuori dall’acqua, mi muovo a rana, preda dei pensieri. Isaac è vivo, ne ho avuto ulteriore conferma, ma smarrito chissà dove. Lui ha mantenuto i ricordi dei nostri incontri, io non lo rammentavo fino ad ora, ma è vero che abbiamo già comunicato più di una volta. Davvero è come se fossimo cresciuti insieme, lui conosce me, io conosco lui, nei sogni potevamo perfino toccarci, ho stampata dentro di me la sensazione della mia mano che si stringeva alla sua, così come il suo odore di muschio, forte, estremamente tangibile e concreto. E’ reale… è accaduto davvero, non può che essere così!

Però dove si trova ora?! Perché il contatto si è interrotto?! Lui…

La sua immagine avvolta da una luce tenue rossastra mi fa sussultare nel mezzo del nuoto, costringendomi a fermarmi ancora un attimo. Mi volto dietro di me, al tramonto che languisce sempre di più: anche lui si trovava al crepuscolo; e il crepuscolo era proprio davanti a sé, le iridi ne erano dipinte, quelle iridi verde pascolo che sembrano fili d’erba in maggio irradiati dalla luce…

Dovunque si trovi, anche lì c’è un sole che permette la vita; dovunque si trovi, anche lì...

Mi blocco di nuovo, stupefatta: un altro sole?! Che vado a pensare?! Se fosse un altro sole, sarebbe un’altra dimensione, perché penso a questo? Perché la mia mente viene condotta istintivamente lì?

Potrebbe essere… un altro universo?!

Isaac era molto distante da me, sebbene vicino... come se fossimo separati da un velo che, per quanto sottile, impediva il passaggio completo da qui a lì.

Da qui a lì… dalle cose di qua, a quelle di là… e viceversa.

Come l’ombra che si allunga grazie alla luce; come il proprio riflesso in uno specchio d’acqua…

...irraggiungibile ma tremendamente prossimo...

 

- (…) Conosci Ipsias, Dègel?

-...essendo la dimensione più vicina alla Terra, essendosi scontrata con quest’ultima diverso tempo fa in più di un’occasione... (…) la mia sfera di azione, per quanto spettro, si limita a questa dimensione, non mi è consentito guardare altrove, al di là dell’orizzonte degli eventi!Tuttavia...

-Tuttavia..?!”

-… so quanto di là sia venuto di qua e quanto, di qua, sia andato di là…

 

“Oh, mio..!”

Devo dare un colpo di reni per evitare di sprofondare, ansimo per lo sforzo da quanto disperato risulta essere il mio gesto.

IPSIAS!

E se Isaac fosse ad Ipsias?! Come ci sarebbe arrivato?! Come sarebbe possibile?!

Riprendo a nuotare, ancora più contrita di prima, mordendomi il labbro inferiore. Mi sento stanchissima, non mi raccapezzo più, mi è venuto un forte mal di testa, ma non riesco a togliermi dalla testa che Isaac si trovi proprio là, che sia andato alla deriva per… non lo so, in effetti... ma in qualche modo deve essere approdato in quella dimensione, che lo ha preso come parte di sé stessa.

Ripenso alle parole oscure di Dègel prima che scomparisse, alla sua strana espressione…

Ma, se le cose stanno davvero così, CHI è venuto qua, se è stato Isaac ad andare di là?!

 

 

* * *

 

 

4 dicembre 2011, mattina

 

 

“Noooo, Marta, non grattarti, resisti ancora un po’!”

“M-ma io veramente…” provo ad obiettare, gli occhi che lacrimano per il fastidio. Cerco quindi di sbatterli più volte per sopperire il bruciore, non avendo modo di sfregarmeli.

“Te l’ho detto che non era abituata, non si trucca mai!” le dice Sonia, allegra, agghindata di tutto punto, mentre ciondola sulla sedia, briosa più del solito.

“Pensavo che fosse un’impresa già con te, ma, devo dire, lei ti supera! - commenta Myrto, quasi euforica, maneggiando la matita che mi sta mettendo sul contorno occhi – Beh che è sorella di Camus, non mi dovrei meravigliare!”

Arrossisco, sentendomi al centro dell’attenzione senza averlo richiesto. Oggi termina la nostra punizione qui sull’isola di Milos, finalmente saremo riammesse al Santuario. Myrto, per celebrare l’evento, si è messa in testa di truccare sia me che lei. Anche Sonia non è avvezzata ma, devo ammettere, è molto più accondiscendente di me, ha sopportato in silenzio il supplizio, immobile, mentre io, se posso, svicolo, non sopportando oltre la matita, né l’eyeliner, né il mascara o chissà quale altra diavoleria.

“E’ questione di abitudine...” mi ripete Myrto con pazienza, ancora incerottata e bendata dopo essere rimasta ferita durante il terremoto di oltre due settimane fa.

Questione di abitudine, d’accordo, ma se mi da fastidio perché devo infliggermi un tale supplizio?!

“Perché hai dei bellissimi occhioni blu, e Camus sarà contento!” mi risponde, sogghignando quasi avesse indovinato la domanda dietro il mio sguardo perplesso.

Vorrei dirle che a mio fratello non frega nulla se sono agghindata oppure al naturale, tanto mi vede piccola uguale, un pulcino arruffato, ma è stata talmente insistente che l’ho voluta assecondare, sebbene me ne stia pentendo.

Sospiro rassegnata, mentre lei finisce di tracciarmi la matita, passando poi ad umettarmi le guance.

“Io penso ai capelli!” trilla ad un certo punto Sonia, dotata di due treccine che la rendono ancora più graziosa. Corre a prendere un fermaglio, non vedendo l’ora di cimentarsi in qualche tipo di acconciatura.

Chi me lo ha fatto fare…

Mi ritrovo a pensare, rassegnata, chiedendomi quando gli occhi smetteranno di bruciarmi. Non mi sono ancora vista allo specchio, ma già ho paura.

Ci fosse ancora Dègel, qui con me, allora si che avrebbe un senso questo, ma così… vero che bisognerebbe avere cura di sé stessi indipendentemente dagli altri, ma mia madre non ha mai avuto la pazienza di spiegarmi queste civetterie ed io, non avendo voglia di impararle, le ho sempre lasciate perdere. Il risultato è stato che mentre le mie ex compagne di classe sembravano già delle donne nel fior fiore dell’età, belle, intraprendenti e solari, io sono sempre sembrata una ragazzina, o peggio, una scimmietta, come amavano prendermi in giro gli altri.

Perché stia pensando questo proprio ora non lo so… come può mancarmi questa fetta di quotidianità, i litigi, le prese in giro, l’isolamento?! Non ha davvero senso! O forse non sono i miei compagni che rimpiango, ma l’illusione di avere una certa stabilità e certezza, la sensazione che tutto vada dritto senza scossoni, quasi spensieratamente, cosa che adesso non ho di certo più.

Finalmente le mie stiliste finiscono la loro opera. Mi contemplano per qualche breve, necessario, secondo, confabulando tra loro, prima di regalarmi un largo sorriso.

“Sei splendida, proprio come immaginavo!” esclama Myrto, passandomi uno specchio per vedermi.

Inavvertitamente sussurro, non riconoscendomi quasi più. Arrossisco di netto, prendendo a toccarmi le guance.

“Ma sono davvero io???”

“Certo, piciula! - mi rassicura lei, affiancandomi per poi spiegarmi, con dovizia di particolari, il suo operato – Ho utilizzato un trucco che ti fa sembrare comunque più piccola, vedi? La matita nera, l’eyeliner dorato e il mascara che allunga le ciglia hanno fatto il resto. Hai degli occhioni fenomenali già al naturale, se li valorizzassi faresti strage di cuori!”

Come se mi interessasse, poi… l’unica persona che abbia mai amato giace in fondo al mare avvolta dal ghiaccio eterno, il solo pensarlo mi strazia.

Ricaccio indietro la tristezza mentre Myrto passa a fare complimenti simili anche a Sonia, ben più a suo agio di me sebbene, esattamente come la sottoscritta, tenda a non truccarsi mai.

Le vedo parlare tra loro di Milo, del fatto che la piccola farà un figurone con il suo maestro, che ne rimarrà sbalordito, e di farsi vedere anche così dai fratelli che la riempiranno a loro volta di complimenti. Sorrido automaticamente nel vederle così a loro agio. Myrto ha davvero un cuore d’oro, sono ben contenta di averla conosciuta e devo ringraziare Shion per l’offerta che mi è stata data. E’ un’esperienza che non dimenticherò mai! Se avessi continuato una vita normale, probabilmente mi sarei iscritta a Storia, come università, e da lì avrei tentato di diventare archivista, il mio sogno.

Ad un certo punto vedo la giovane donna sussultare, dandosi una manata sulla fronte come ad essersi ricordata di una cosa urgente. La vedo sparire per andare in camera sua e tornare con un oggettino in mano che io riconosco subito.

No, anche quello no!

“Marta!!! Il rossetto, manca il...”

Si dirige a grandi balzi verso di me, quasi avesse trovato l’elisir di lunga vita e dovesse inocularmelo, ma io la blocco di riflesso, con garbo ma fermezza.

“N-no, anche quello no, per favore!”

“Perché? Rende le labbra più carnose!”

“L-lo so, ma l’ho sempre odiato e poi, e poi… - prendo un profondo respiro, prima di aggiungere – e poi io me lo mangio, dura poco con me, anche se fosse waterproff o come si dice!” biascico, al limite dell’imbarazzo.

Brevi istanti di sconcerto, prima di sentirla scoppiare a ridere, quasi trattenendosi la pancia e lacrimando. Ecco ora mi giudicherà...

“Mi fai morire, Marta!!!”

Ridacchio a mia volta, grattandomi brevemente la testa. Per una donna di tutti punto come Myrto devo aver detto una bestemmia, ma sono contenta che non mi faccia sentire sbagliata. Sono cose che una donna dovrebbe imparare, direbbero molti, ma io non ne sento la necessità e queste generalizzazioni non mi sono mai andate a genio.

“E tu, Sonia?” chiede poi alla mia amica, una volta ripresosi.

“Io, sì, certo, adoro i rossetti!” trilla lei, alzando la mano e sedendosi docilmente sullo sgabello.

Myrto passa quindi a concentrarsi sulla sua bocca facendo prendere un respiro di sollievo a me.

Il procedimento è di breve durata, Sonia, ornata con un rossetto viola scuro che la fa sembrare più grande, scende, andando poi a prendere le sue cose in camera. Io rimango sulle mie, divertendomi a muovermi le gambe, su di giri all’idea di rivedere mio fratello, le mie amiche e tutti gli altri.

“Marta!”

Mi prende un risalto nel sentire nuovamente la voce di Myrto, non me l’aspettavo, con la mente ero già partita per la tangenziale dei miei pensieri. Mi riscuoto, giusto in tempo per accorgermi che qualcosa mi viene posato in grembo.

“Tieni, questa è tua di diritto!” mi sussurra lei, dandomi una breve carezza sulla testa.

Prendo tra le mani ciò che mi ha dato, di forma rettangolare, girandomelo tra le dita. Quando finalmente distinguo cosa sia, il mio cuore perde un battito: è bellissima!

“E’ la foto che vi ho fatto di nascosto a te e tuo fratello, sì – mi spiega lei, teneramente – E’ tua, immagino tu non abbia ricordi fisici con Camus, giusto?”

Annuisco brevemente, senza tuttavia riuscire a dire niente, troppo emozionata per farlo. Riesco solo a tremare. La foto in questione, fatta per l’appunto di nascosto da lei poco prima di venire qui su Milos, raffigura me e Camus in un atteggiamento estremamente confidenziale e naturale. Ci stiamo infatti abbracciando, io, premuta contro il suo petto, quasi sparisco tra le sue ampie spalle; lui che mi tiene forte stretta sé, una mano dietro la mia nuca, il viso delicatamente appoggiato sulla mia testa. Mantiene gli occhi chiusi, completamente rilassato, come raramente gli ho visto essere, con quel leggero sorriso a solcargli il viso candido. Felice. Siamo felici entrambi, e ciò mi emoziona.

“Gra-grazie, Myrto!” gracchio, stringendomela al petto come se fosse un tesoro.

“Non ho altre copie, lo giuro! - esclama lei, facendomi l’occhiolino – Tranquillizza pure Camus, non spaccerò in giro questa foto in cui sembra così vulnerabile, urlando ai quattro venti quanto sia cambiato il Cavaliere dell’Acquario!”

Sorrido, annuendo con il capo, quasi commossa.

“Però dovete farmi una promessa!”

Riapro gli occhi sorpresa, non avendo proprio idea di cosa vorrebbe chiedermi. Per un istante, mi sembra che i suoi occhi scuri, mediterranei, si facciano per un attimo più lucidi, come se fosse stata sfiorata da un pensiero triste, che tuttavia scaccia in fretta.

“Questa sarà solo la prima di una lunga serie. Ne farete altre, molte altre, fino a compilare un bellissimo album di ricordi! - si ferma un attimo, chiudendo e riaprendo gli occhi – Promettimelo, Marta! Noi non possiamo in alcun modo arrestare il flusso temporale, ma possiamo fermare l’attimo, far sì che quel momento possa perpetuarsi per sempre. Fatelo, piciula, insieme, godete della compagnia reciproca, anche se tuo fratello non ama particolarmente farsi riprendere, lo avrai senz’altro...”

Ma non le do il tempo di finire, semplicemente, posata con attenzione la foto per non rovinarla, mi precipito verso di lei, circondandola in un abbraccio, emozionatissima.

“G-grazie, Myrto, te lo prometto!” farfuglio, visibilmente agitata.

Lei, sulle prime, esita, non aspettandoselo, ma poi ricambia il gesto, trasmettendomi calore.

“Non c’è di che!” dice, lisciandomi i capelli con naturalezza.

 

 

* * *

 

 

4 dicembre 2011, pomeriggio

 

 

Non riesco a star ferma per l’emozione di rivederlo, me ne rendo conto, sono scalpitante e assolutamente frenetica, come una molla pronta ad azionarsi. Mi devo dare assolutamente una calmata!

Siamo sotto coperta, Sonia ed io, oggi il mare è mosso e il tempo non è dei migliori, anche se non piove. Myrto ci ha consigliato di rimanere all’asciutto, cosa che la mia amica avrebbe fatto in ogni caso, stante la sua paura per il mare. Stiamo tornando a casa, finalmente!!!

Dopo l’attacco su più fronti, si sono respirate settimane di relativa calma, dove anche le mie amiche e i Cavalieri d’Oro rimasti feriti hanno potuto rimettersi in forze. Camus, superato il malessere, si è fatto sentire sempre più frequentemente, dall’una alle due volte al giorno e, piano piano, ho potuto saggiare con mano, in base al suo timbro vocale che si faceva sempre più forte e meno tremante, la sua guarigione. Milo mi ha rassicurato che si è ripreso splendidamente dall’ennesima brutta esperienza, aggiornandomi settimanalmente sulle sue condizioni. Mio fratello ha sempre avuto una capacità di recupero fuori dall’ordinario, ma tende a strafare quando si sente un poco meglio e anche stavolta lo ha fatto, tornando anzitempo alle sue faccende. Ovviamente io fingerò di non saperne niente in attesa che me lo dica lui, SE me lo dirà, s’intende. Ho timore che abbia comunque subodorato il fatto che le mie percezioni su di lui si facciano sempre più intense, portandomi a sentirmi male per questo, malgrado abbia fatto del mio meglio per mascherarlo. Allo stesso modo, anche io so cose che lui non vorrebbe, so essere brava a fare la gnorri, anche se non lo vorrei, non con lui. Però… lui non riesce ad essere ancora del tutto onesto con me per istinto di protezione, io… sto crescendo, non mi va di essere trattata sempre come una bimba, vorrei che mantenesse davvero la promessa che ci siamo scambiati nel passato, ma tant’è…

 

Uhmpf, parlate tanto di fratellanza, di persona più importante della propria vita, ma non riuscite ad essere sinceri l’uno con l’altra, vi mentite, per un fine che vi raccontate essere superiore… in verità siete due poppanti, ma arriverà il momento della verità e allora… saranno rombi e tuoni!

 

Le parole affatto simpatiche di Mantus, a proposito del legame mio e di Camus, mi risuonano trucemente nelle orecchie. Sa essere cristallino, fin troppo, tanto da essere irritante, non posso negarlo. E ha ragione! Tra me e mio fratello c’è pieno di non detti, entrambi fingiamo di crederci, entrambi lo mascheriamo, ma nessuno di noi due, bandendo finalmente l’orgoglio, riesce ad essere limpido con l’altro circa la propria salute. E, prima o poi, questo peserà… troppo!

Non mi piace per niente ma… cos’altro posso fare?! Non sono più una bambina,che diamine, vorrei che se ne rendesse conto! E… anche io posso proteggerlo, non è che devo rimanere inerme solo perché sono la minore!

“Siamo in dirittura d’arrivo!” ci urla Myrto da babordo, indicandoci di cominciare a prepararci.

Le gambe hanno un fremito maggiore a causa dell’emozione, mentre Sonia entra proprio in uno stato di fibrillazione, raccogliendo la propria roba qua e la per riporla caoticamente nello zainetto.

“Ci siamo quasi… - le dico, sorridendole, certa che condivida la mia agitazione – Pronta?”

“Assolutamente si!”

Il motore romba, segno di una manovra in atto. Avverto il fremito dell’imbarcazione che mi riporta alle memorie il traghetto dell’isola d’Elba che fa la rotta Piombino-Portoferraio, l’unica esperienza in mare che ho avuto prima di questa. Sono sempre stata più montanara che marina, lo ammetto. La fase dell’ancoraggio è sempre la più delicata, lo so bene, anche se Myrto è un’ottima navigatrice. Poco dopo, lo stesso motore che rombava smette di funzionare, portandoci alla comprensione di essere ormai approdati al porto. Ancora uno, due, dondolii, poi il nulla, silenzio, finché…

“Chi si rivede, bellezza sul traghetto! Tutto bene il viaggio?”

Vedo gli occhi di Sonia illuminarsi, riconoscendo la voce del suo maestro, anche io sorrido raggiante, uscendo insieme a lei da sottocoperta. Rimaniamo un paio di secondi senza mostrarci ad annusare l’aria umida dell’ambiente, oltre che il sale marino e il profumo di salsedine.

“Milo, sei sempre il solito! - ridacchia intanto Myrto, felice di rivederlo – Tutto bene, le vostre pupille sono davvero straordinarie, due bocconcini ricolmi di sorpresa! Bravissime a riordinare l’archivio, potrei chiedere ancora il loro aiuto in futuro, se dovessi avere dei problemi!” spiega raggiante, orgogliosa del nostro operato.

“E dove… dove sono, però?” chiede Milo, probabilmente non vedendoci nell’immediato.

Io non ho nemmeno il tempo di palesare la mia voce che vedo Sonia, ormai incapace di trattenersi, precipitarsi in direzione della prua, urlando un “SONO QUIIIIIIIIIIIIIIII!!!” che deve diffondersi per tutti i dintorni.

Il secondo dopo, ben lanciata, sparisce dalla mia vista, dirottandosi direttamente giù, fiduciosa che Milo la prenda in braccio e soprattutto al volo.

“Ehi! Ehi, Sonia! - esclama lo Scorpione, non aspettandosi un tale gesto. Rumore di qualcosa che sbatte, un cigolio indistinto, altro di non ben definito, brevi secondi di raccoglimento, poi... – Ehi, ti vedo paffutella, Sonietta, Myrto ti ha messo all’ingrasso?!? OUCH!”

Suono si schiaffeggio nell’aria, ridacchio, immaginandomi la scena.

“Imbecille… tonto! MILO!”

“Bentornata a casa, piccoletta, mi mancavano le tue amorevoli carezze!”

“SCEMO! Anche tu mi sei mancato”

“Ahi, però non tirarmi e i capelli e… no lì no, non schiacciare lì!”

“Sono a casa, Milo… ora sono a casa!”

“Lo so e… ho preparato una cena speciale per te, per il tuo ritorno, sai?”

“Ho paura...”

“Mi ha aiutato Aiolos… ci sono anche i tuoi fratelli, mangiano con noi”

“Ah, meglio, ihi!”

“Sei… sei tremenda, non ti fidi di me?”

“No, non sai cucinare!”

Risate vivaci nell’aria, che mi trasmettono un sollievo immediato. Finalmente, ispirata dall’atmosfera familiare, esco anche io scoperto e lo noto subito, il cuore accelera in un battibaleno. Lo guardo, lui mi guarda, stava osservando Sonia e Milo, in verità, ma appena mi vede la sua attenzione è tutta per me, in un misto tra la sorpresa e l’abbozzo di un sorriso. E’ ancora pallido in volto, ma sembra stare abbastanza bene. Mi mancava, mi è mancato così tanto!

“Marta!” mi saluta, affabile, gli occhi luminosi, senza però fare alcun movimento nella mia direzione.

Guardo anch’io distrattamente sia Milo che Sonia, felici di essersi ritrovati. La più piccola è ancora tra le sue braccia, gli pizzica un poco la guancia, trovandolo divertente; lo Scorpione ha gli occhi brillanti per l’emozione, fa il lagnoso ma è tutta finzione, è il loro rito, del resto...

Anche io… anche io vorrei un momento così con mio fratello, anche io ho tanto bisogno di abbracciarlo! Camus probabilmente vede le intenzioni passare nei miei occhi prima ancora di manifestarle, alza un braccio di riflesso, che io interpreto erroneamente come un invito.

“N-no, asp... aspe...” si oppone infatti lui, ma è troppo tardi, sono con i piedi già fuori dal dirimpetto e mi sto caricando come una molla per il grande balzo, le braccia aperte, briosa.

“FRATELLINO!!!”

Sembro tanto Michela in questo momento e, come lei, non penso, non calcolando che tra me e lui c’è una notevole distanza fatta di acqua sporca di porto e duro asfalto, per questo Sonia si era presa la rincorsa. Lei furba, io no. Qualcosa passa negli occhi di Camus che probabilmente mi vede già spiaccicata per terra. Lo vedo sussultare, prima di correre a sua volta nella mia direzione per afferrarmi, ma il mio volo, unito al peso, lo sbilancia non poco all’indietro, facendolo finire per terra ed io sopra di lui. Rido serena, appendendomi poi al suo collo e incassando il viso tra le sue due clavicole completamente ubriaca a quel contatto. La felicità è tanta, esplosiva, non mi fa rendere conto nell’immediato che il suo corpo invece è rigido, che ha provato una stilettata di dolore intensa nell’afferrarmi al volo e che, ora che si sta sollevando sui gomiti, sempre con me sopra, è perfino più teso di prima. Mi osserva con incredulità per un secondo, ma io lo precedo, tutta entusiasta.

“Camus… CAMUS! Sono così contenta di…”

“Che… che hai fatto al tuo viso?!”

Lo fisso senza capire, sbattendo le palpebre, prima di realizzare di essere truccata e lui effettivamente non è abituato a vedermi così. Abbozzo un sorriso, credendo sia solo questo il problema.

“E’ stata Myrto, c-come sto?” chiedo un parere, desiderando, forse, dentro di me, un suo complimento o un apprezzamento.

Lui, sulle prime non dice niente, fa per accarezzarmi la guancia con un pollice, ma poi ode delle risate sia provenienti da Myrto che dei passanti, perché effettivamente il Pireo è pieno e la gente, incuriosita dal trambusto, ci guarda, me ne accorgo solo ora.

Sono ancora sopra di lui, ho giusto il tempo per imbarazzarmi per la magra figura, che si alza senza avvertirmi, lasciandomi cadere indietro. Finisco a mia volta con il sedere a terra, mentre lui, riottoso, mi da le spalle.

“C-Camus?” chiedo, smarrita.

“Queste svenevolezze non sono necessarie in pubblico, lo dovresti sapere, Marta! - mi fredda, voltandosi verso di me nell’indurire la sua espressione, prima di compiere qualche passo per avvicinarsi a Myrto, rimasta invece sull’imbarcazione – Che ti è saltato in mente di ridurla ad un pagliaccetto?! L’hai forse presa per una bambola?!”

Un pagliaccetto… menomale che sono ancora per terra perché nella mia espressione passa, chiaro e limpido, una vena di delusione. Rimango quindi ferma, abbattuta, la faccia da funerale, mentre, dietro di me, comincia la guerra dei mille giorni.

“Come ti permetti di trattare la tua sorellina così?! - ribatte lei, velenosa, la risata di prima un lontano ricordo – Sei davvero uno screanzato!”

“E a te chi ti ha dato il permesso di addobbarla come un manichino?! Ha gli occhi delicati, le sia arrossano come niente e… e santo cielo, con quel trucco così marcato sembra dover andare a… a non voglio neanche dirlo, per Atena!

Altra stilettata al cuore, mentre, lentamente, mi raddrizzo, rimanendo comunque seduta spersa più di prima.

“COSAAAAAAA?! Ma come puoi dire una cosa simile di lei?! - urla ancora più forte Myrto, sovrastandolo di voce, capendo le sue allusioni – E’ un trucco normalissimo, bigotto del cazzo!”

“Qu-quello sarebbe… normale?! Marta non è te, Myrto, non è a caccia! - ottimo, ora lancia le frecciate pure a lei, delizioso! - Che ragione avevi di incipriarla così?!”

“ERA PER L’OCCASIONE, COGLIONE! Era così contenta di rivederti, le sei mancato un sacco in questi 40 giorni e… ed era molto agitata dopo i fatti accaduti al Santuario a metà novembre, quindi le ho proposto di celebrare la fine della punizione agghindandosi, anche Sonia lo è, non l’hai vista?! - gli urla un’altra sequela di insulti uno dietro all’altro, da farlo tacere seduta stante – Certo che voi maschi non capite proprio una fava!!!”

“...”

“Bigotto… e anche stronzo!”

“Non osare, Myrto, non… non dovevi impicciarti in queste cose!”

“Secondo me non è neanche per quello che reagisci così, tu, semplicemente sei sentimentalmente stitico, non riesci a manifestare agli altri il tuo attaccamento a lei, ti vergogni, per questo tu...”

“Ma che ne sai, tu!

“Oh, sei arrossito, però, ho centrato, vero?! L’avresti abbracciata dopo, al sicuro, nell’intimo della tua abitazione, e invece lei si è fiondata su di te, fuori di sé dalla gioia, ciò ti ha costretto a mostrare i sentimenti che custodisci gelosamente dentro di te, davanti non solo ai passanti, ma a me, e Camus dell’Acquario non può mostrare una tale debolezza, nevvero?!?”

“I-io non...”

“Sei di nuovo arrossito, centrato un’altra volta, bloblablobabop!” si mette a fare boccacce lei, sicura di sé e delle sue convinzioni.

Dei, voglio sparire dalla vergogna… di due non ne fanno uno e stanno urlando come dei pazzi squinternati! Temo andranno avanti così ancora per un bel po’ ed io mi sento completamente svuotata. Guardo davanti a me senza vedere l’ambiente per davvero, conscia di aver sbagliato, sì, approccio con lui, non dovevo essere così appiccicosa, non in pubblico, ma comunque ferita e rammaricata per le sue parole.

Perché quando cerco di dare sfogo al mio universo interno finisco sempre così, vergognandomi?! Vorrei davvero essere un po’ più come Michela o… solare come era Seraphina!

All’improvviso, quatto quatto, si avvicina a me Milo, entrando nel mio campo visivo insieme a Sonia, che ha un’espressione abbattuta al pari di me. Lei sa quanto aspettassi questo momento, ed è andato tutto a rotoli.

“Per quanto può valere, piccola… per me invece sei splendida! Sei giù molto bella di tuo, ma il trucco risalta i tuoi lineamenti e i tuoi occhioni, dovresti agghindarti un po’ più spesso, sai? Forse, l’unica nota, direi, alleggerirei un po’ il… come si chiama l’affare per le ciglia?!” chiede, guardando Sonia come a richiedere l’aiuto del pubblico.

“Mascara, Milo!”

“Ah, sì, quello! Non hai bisogno di essere così incipriata, i tuoi occhi parlano da soli!”

“Grazie… - tiro un poco su col naso, alzandomi e abbracciandolo di riflesso, ricambiata – Sono felice di essere tornata… a casa!” mi lascio sfuggire, nascondendomi nella sua giacca.

“E noi siamo felici di riavervi qui, ci siete mancate!”

Ecco, sarebbero bastate queste due parole pronunciate da mio fratello, e invece... Sospiro, cercando di non far capire a nessuno quanto ci sia rimasta male per questa sua reazione E’ comunque altrettanto lampante che se la siano data tutti, basta solo vedere l’intervento in mio favore dello Scorpione, forse il solo Camus non ci è ancora arrivato.

“CHIEDILE SCUSA SUBITO, VILLANO!” lo minaccia neanche troppo velatamente Myrto, puntandogli l’indice contro.

“Io non… non ho fatto niente, perché dovrei…?” biascica mio fratello, in evidente difficoltà.

“MA ALLORA SEI PROPRIO CITRULLO, EH?! Implorale perdono e dille che sei felice di rivederla, se è magnanima te lo concederà, anche se io ti avrei già mandato al diavolo!”

“Ma che acc… non seguo i tuoi ordini, Myrto!”

Stanca di quella patetica sceneggiata che stanno protraendo all’infinito, che tanto valeva abbracciarmi visto che stanno dando comunque spettacolo, mi stacco da Milo, guardandolo negli occhi e ringraziandolo ancora della premura che ha avuto nei miei confronti.

Poi, senza aspettare più nessuno, mi dirigo, come se niente fosse, verso il Santuario, o almeno così sarebbe mia intenzione, se non percepissi l’intrusione di Camus che, tardivamente, tenta di recuperare terreno.

“No!” lo fulminò con lo sguardo, prima che possa aprire bocca, quasi soffiando come un pitone.

“Ma… non ho detto niente!” mi fa notare lui, ritraendosi istintivamente. Ora sì che percepisce il mio disappunto, eccome se lo percepisce!

“E’ comunque no, fratello...” calco sull’ultima parola per fargli comprendere maggiormente quanto io sia furiosa, delusa, dispiaciuta, infastidita… tutto insieme!

“Sei.. arrabbiata?” tenta, tastando prudentemente il terreno.

Mi verrebbe da dire ‘ma ganga!’, come era in voga quando ero piccola, ma scrollo la testa, guardando altrove, in una evidente manifestazione di dissapore.

“No”

“Non vuoi… tornare insieme al Santuario?” mi domanda ancora, procedendo a tentoni. Farebbe quasi tenerezza, se le sue interferenze e interessamenti, ora, non mi indisponessero ancora di più.

“No! - ribadisco, andando oltre, glissando l’argomento – Conosco da sola la strada!”

“Però… stai andando in direzione opposta!”

Ma allora vuoi morire, eh...

La sua osservazione, peraltro giusta, perché effettivamente così desiderosa di eclissarmi sto andando da tutt’altra parte, fa malauguratamente scattare quel qualcosa in me che ancora tenevo a freno. Mi volto verso di lui, arcigna, tutte le pieghe della pelle del viso ben marcate in una manifestazione che, probabilmente, a giudicare dal suo sussultare, riesce a percepire ben prima di palesarsi sotto forma di voce.

“Tu sai invece in che direzione devi andare?! - chiedo retoricamente, quasi sibilando, prendendo poi il fiato per esporre, ovviamente strillando, il resto – A FANCULO! DEVI ANDARE A FANCULO, CAMUS!!!”

E così, dopo averlo mandato a quel paese non una, ma due volte, dopo aver udito Milo mormorare un: “stavolta te la sei davvero andata a cercare, amico mio”, me ne vado in silenzio, oltraggiata, inveendo contro la totale inabilità di parlare di mio fratello.

Mi ero fatta così tanti, bellissimi, castelli in aria sul nostro incontro dopo più di un mese di assenza, dopo i fatti accaduti a metà novembre, dopo quello che ha patito ancora una volta. Sospiro ancora una volta, girando l’angolo, sciogliendo l’acconciatura che Sonia mi aveva minuziosamente preparato con un gesto di stizza.

E’ proprio il caso di dirlo: bentornata alla dura realtà, Marta!

 

 

* * *

 

 

 

4 dicembre 2011, notte

 

 

Dei, che cosa ho fatto… sono riuscita a rovinare tutto, di nuovo!

Ero talmente stizzita che non ho detto una parola durante la cena, preparata in pompa magna per il mio ritorno, limitandomi a guardare truce tutto e tutti per poi filare in camera mia senza nemmeno salutare.

Presumo di aver dormito un paio d’ore massimo, mi sento più rincretinita di prima. Non credevo, ma il viaggio via mare, l’emozione del ritorno, devono avermi stancato, e poi, vabbé, la litigata con mio fratello. L’ho spedito a fanculo senza neanche una ragione precisa, quando, conoscendolo, avrei dovuto io trattenermi da sforzarlo a manifestare i suoi sentimenti in pubblico. Invece no, ho agito da impulsiva, ancora una volta, e mi sono sentita ferita. Proprio degno di me fare e disfare tutto.

Non volevo tornare così, non dopo quello che so abbia passato; non vorrei neanche costringerlo a parlare, se non se la sente, ma continuo ad aspettarmi, infantilmente, cose che lui non può darmi perché non sono nella sua natura. E, come troppo spesso accade, io ci rimango male. Significa che non sono ancora pienamente in grado di accettarlo così com’è, questo mio continuare a forzarlo lo dimostra e… è davvero tremendamente puerile, da parte mia, nonostante la lezione del passato sia sempre chiara in testa.

Non volevo litigare con lui, ma starà dormendo ora e probabilmente è troppo tardi per rimediare.

Mi alzo comunque dal letto per uscire dalla camera e andare in bagno, nel farlo, noto che la luce della cucina è ancora accesa e che c’è rumore diffuso di acciottolio di piatti. Mi dirigo quindi in pantofole al piano di sotto, non assecondando momentaneamente il mio bisogno di espletare le funzioni corporee. Giungo così in cucina dove i miei dubbi diventano certezza: Camus è ancora bellamente in piedi nonostante siano le 11 passate e si sia stancato più del dovuto anche oggi. Che testa di minc…!

Sospiro, entrando senza fare troppo rumore, ma lui mi percepisce subito, voltandosi e regalandomi un dolce, anche se un poco tirato, sorriso. Forse ora… riusciremo a parlare civilmente?!

“Pensavo dormissi di filato fino a domani mattina, il viaggio deve essere stato stancante...”

“E’ stato più stancante sprizzare gioia da tutti i pori nel vederti ed essere poi trattata così solo perché avevi Myrto davanti!” gli faccio notare, con un pizzico di severità, prima di mordermi la lingua.

Giochiamo ancora a rimpiattino, Marta?! E cresci un po’, accidenti!

“Marta…”

“Dei, l’ho rifatto di nuovo quando vorrei solo… chiederti scusa! - esito, vergognandomi di tutto, guardando altrove – Ti ho messo in difficoltà oggi, davanti a tutti e… mi dispiace!”

“N-no, tu non hai fatto nulla di… sbagliato, è che...” tenta di spiegarsi, bloccandosi a sua volta in vistosa difficoltà. Ciò mi spinge a deviare argomento.

“Comunque pensavo che ti fossi già coricato, voglio dire, hai già preparato la cena, di sicuro Michela e Francesca avranno chiesto di lavare almeno i piatti e tu avrai sicuramente rifiutato” gli rispondo, preoccupata.

“Non vado mai a dormire prima della Mezzanotte, dovresti saperlo, e, per il resto… sarei comunque venuto prima su da te per… chiarire!” ammette, un poco a disagio.

“C’era tempo domani per farlo, sei molto stanco...” gli faccio notare, pur non approfondendo il discorso.

Lui si asciuga le mani e scrolla il capo, come a dire che è un’inezia, che sta bene e che tanto ha già finito. Fingerò di crederci ancora una volta.

Poco dopo è lui a riprendere a parlare, forse vedendo la mia esitazione e la mia faccia da cane bastonato.

“Cosa ti ha svegliato? Dovresti riposare, piccola, domani riprenderai gli allenamenti con me” mi dice, avvicinandosi con naturalezza.

“L-lo so, però...”

“Scusami… scusami per oggi, m-ma...”

“Sei complessato da farti vedere in atteggiamenti confidenti, Cam, so anche questo...”

“N-no non è i-il solo… non è la sola ragione!”

“Ma io ero davvero felice di vederti e… non ho pensato, mi sono buttata, volevo solo abbracciarti, ed è finito che non ti ho rispettato!”

“Anche io volevo tanto riabbracciarti, piccola, m-ma non mi aspettavo la tua reazione così, davanti a tutti e… ero a disagio!”

“Lo so, come ti dicevo, ti chiedo scusa per averti sforzato ad essere ciò che non sei”

“Ed io… per averti ferita, perché ti ho ferita, vero?”

“U-un po’, ma pazienza… devo crescere, Cam, mi reputo grande, ma non lo sono, non ancora!” rabbocco aria, grattandomi insistentemente gli occhi, che bruciano.

Non lo sono ancora, già, come non sono abbastanza forte per proteggerlo, ma lo diventerò!

“Lo sei invece, per moltissime cose e… in ritardo, ma… ben tornata a casa, ma bichette!”

Annuisco, rasserenata, ha preso a chiamarmi così dopo la battaglia su più fronti, non so il motivo, ma mi piace molto. E’ il momento giusto per dargli finalmente ciò che vorrei, ma mi vergogno. Lui mi accarezza delicatamente la guancia con un pollice, spingendomi poi ad alzare il mento per guardarlo in faccia, notando così il rossore.

“Ti fanno male gli occhi? E’ per questo che ti sei svegliata?”

“N-no...” farfuglio, a disagio.

“Però ce li hai ancora arrossati e…”

“Cam, p-possiamo andare un attimo in camera tua? Voglio dire, p-puoi tu andare in camera ed io… ti raggiungo subito?”

“In camera?”

“Erk, s-sì...”

Mi guarda strano, non capendo pienamente la mia richiesta. Alza un sopracciglio, fa per chiedere delucidazioni, ma io lo precedo.

“V-vorrei farti vedere una cosa...”

Darti, più che altro. Poi le cose sarebbero due, ma non voglio dilungarmi nella spiegazione, mi vergogno troppo.

Non credo riesca a capire appieno le mie intenzioni, ma mi asseconda e annuisce, dirigendosi poi in camera. Attendo che si chiuda la porta alle spalle per andare nella mia, di camera, prendere la borsa, tirare fuori la pochette data in dotazione da Myrto, toccare il benedetto bracciale per vedere se c’è ancora e trovare finalmente il coraggio di andare finalmente in camera da lui. Sembra un po’ un’impresa dei mille, del resto non sono abituata a fare i regali.

Entro nella sua stanza. Lui mi guarda. Io guardo lui. Silenzio.

Non so se ridere o piangere, mi sento deficiente. Soppeso come esordire nel discorso, chiedendomi perché con lui sia così complicato, con Cardia, nel passato, è stato tutto così spontaneo...

Camus non mi fa fretta, attende pazientemente, cercando di capire cosa mi frulli per la testa. Sto tenendo tutto dietro alla mia schiena, esito, poi passeggio nervosamente, poi ancora esito, e poi mi metto a tamburellare i piedi.

“Sembri un fascio di nervi, calmati, Marta! - mi dice poi, non sapendo se avvicinarsi o aspettare ancora, scegliendo poi quest’ultima opzione – Che succede? Cosa tieni lì dietro?”

Deve preoccuparsi un po’ nel vedermi così, -come esordisco, che cavolo?!- lo vedo compiere un primo passo, ciò mi spinge ad intervenire… nel peggiore dei modi!

“R-ricordi la missione a Delphi?” chiedo a bruciapelo, rossa in viso. La domanda è ovviamente retorica ma lui mi risponde seriamente.

“Come potrei dimenticarla, è lì che Hyoga ed io...” sospira, guardando altrove.

Mi mordo il labbro inferiore… ma allora sono davvero idiota per cominciare così! Vabbè, non importa, posso ripiegare, forse…

“E-ecco, in quella circostanza io ho trovato qualcosa...”

“Che cosa?”

“Un...”

“Un…?”

E lasciami finire, Cam, che cavolo, faccio già fatica così!

Alla fine me la risolvo avvicinandomi a lui a capo chino, prendendogli poi la mano per mettergli il bracciale tra le dita.

“Questo” dico solo, trovando interessante osservare i piedi.

Camus si passa il gingillo tra le mani, riesco ad indovinare i suoi movimenti sebbene non riesca a guardarlo in faccia. L’imbarazzo fin sopra i capelli.

“Questo… dove lo hai trovato?” mi chiede, sinceramente stupito.

“E’… è un regalo per te” borbotto, vergognosa.

“Questo lo avevo capito, peste! - mi dice, in tono caldo, scompigliandomi i capelli e alzandomi ancora una volta il viso con delicatezza – Ma volevo sapere dove, non è una pietra… molto comune, diciamo!”

“I-in un negozio d-di souvenir, c-c’erano queste pietre graziosamente violacee che formavano un bracciale. Ho sentito come un tintinnio, mi chiamava, ma sapevo che non sarebbe spettato a me, bensì a te!”

“C-come sarebbe a dire che ti chiamava? La… potevi percepire, come se ti parlasse?” indaga lui, scrutandomi a fondo, una strana luce negli occhi che sembrano risplendere di una consapevolezza a me sconosciuta, ma io non reggendo il suo sguardo lo abbraccio, nascondendo il viso nella sua maglietta.

“Marta...” lui avverte il mio tremore, con un braccio mi avvolge le spalle, l’altro palmo tiene ancora la pietra tra le dita. Alzo goffamente la mano, stringendo la sua che tiene il bracciale per poi chiudergliela dolcemente in modo che ne rimanga racchiuso.

“E’ tua, Cam, ne hai bisogno!”

“Perché… mi dici questo?”

Ingoio a vuoto, lo avverto molto emozionato, anche se, come è di sua natura, tenta di controllarsi. La cosa mi da la spinta per proseguire in maniera un poco meno tentennante.

“Perché è fatta apposta per te! - mi raschio la gola, tentando di spiegare le ragioni che mi hanno smosso – N-non conosco il nome di questa pietra, m-ma lei… era lì per te, ed io lo sentivo, sì, come se parlasse! N-non so cosa mi abbia spinto a prenderla, ma è di un viola delicato, raro, ne ero come attratta. Hai bisogno di tanta fortuna, Cam, di sostegno, di qualcosa che… mitighi l’immenso peso che ti porti dietro, gli incubi che fai e...”

Alla parola ‘incubo’ lo sento irrigidirsi e tremare più forte tanto da spingermi a parlare con ancora più dolcezza nel carezzargli la schiena.

“Stai tranquillo, non sei solo, non più… - gli sussurro, facendogli percepire la mia vicinanza – Sembra… mi è sembrata così delicata, come te, Cam, di una delicatezza che però è forza, la forza di non arrendersi, di non mollare, di continuare, nonostante tutto e tutti. Ed io… vorrei che tu avessi sempre questa forza dentro di te!”

“M-Marta, i-io...”

E’ rimasto senza parole, non sa più che dire, mi tiene contro di sé, le gambe gli tremano un poco, come se sfuggissero al suo istinto di controllarsi.

“Sentivo trattarsi di una pietra della guarigione, ed io vorrei che tu guarissi… da tutto, Cam! - prendo una breve pausa, emozionata – Come nella canzone di Battiato, ricordi, che ti ho canticchiato dopo il tuo risveglio dalla peste. E-ecco questo: ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie, dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via, dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo, dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai... ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi di umore, dalle ossessioni delle tue manie. Supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare. E...

“...E guarirai da tutte le malattie, perché sei un essere speciale, ed io… avrò cura di te! - conclude lui per me, tremando tutto, da cima a fondo, e trasmettendomi, tanta, tanta, tenerezza – L-lo so, mia coraggiosissima lucciola e… ci sei riuscita a superare le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per salvarmi. Ci sei riuscita!”

“I-io...”

Non saprei cos’altro dire, ma a questo punto lui cede del tutto. Mi stringe forte a sé, il petto scalpitante, affondando il viso tra i miei capelli e rimanendo lì, nascosto. Ne sento il respiro un poco accelerato tra i ciuffi, il suo cuore che batte quasi contro il mio da quanto sia premuta contro di lui. Sorrido tra me e me e me, sentendomi felice.

Rimaniamo così per diverso tempo prima che lui riesca a tornare padrone della sua voce...

“E’ charoite, piccola mia, i-il miracolo viola della Siberia... – mi spiega, emozionato come raramente lascia trapelare – Ed è come tu dici...”

“C-charoite?” chiedo delucidazioni, non avendo mai sentito di una pietra simile dal suono così dolce.

“Sì, è la pietra dello spirito e del coraggio, molto cara agli sciamani siberiani che la considerano sacra. Contiene tracce di ferro, alluminio, manganese e bario, soprattutto il primo è importante perché è componente essenziale dell’emoglobina, indispensabile per il trasporto del sangue che, come certamente saprai, è fondamentale per tutti gli esseri viventi. Si dice abbia effetti purificanti sull’intero organismo. – mi inizia a spiegare con passione – Rappresenta la trasformazione, guarisce dai mali psichici tramutando l’energia negativa in guarigione, purificando lo spirito e così il corpo. Rappresenta tutto ciò che è inconscio e sconosciuto, conduce verso territori arcani, sonda il misterioso... ”

“Sembra… davvero una Signora Pietra!” esclamo, carpita, come sempre dalle sue spiegazioni dettagliate. Deve essere che l’argomento gli deve piacere particolarmente, è evidente, ed io adoro ascoltarlo, mi ci perderei.

“E’ originaria della Siberia, della Yakutia nello specifico, per questo ti ho chiesto dove l’avessi trovata, è molto rara!”

“Credo sia lei ad aver trovato me...”

“Tu l’hai percepita?” mi chiede ancora, rimarcando la domanda precedente.

“S-sì, era come se mi chiamasse” confermo, un poco stranita dal suo dare così tanta importanza a questa questione.

Lui annuisce, momentaneamente incapace di parlare. Mi accarezza i capelli ancora per un po’, prima di tornare a parlarmi con voce ancora più ferma.

“Dove vuoi che la indossi?”

“Al polso sinistro, quello più vicino al cuore!” affermo, decisa, ancora come se fosse stata la pietra a suggerirmelo.

Annuisce ancora una volta, sempre a corto di parole, mentre, alzando il braccio in questione, se lo mette. Un tintinnio lieve, quasi come un ringraziamento, mi arriva alle orecchie, segno che la pietra è giunta esattamente dove doveva stare. Sorrido, accennando l’intenzione di staccarmi e, con ogni probabilità, andarmi a nascondere per la vergogna, ma Camus mi trattiene contro di sé.

“S-stai un po’ qui… puoi?” mi sussurra, desiderando prolungare il contatto tra noi.

“Ma certo che… posso!”

Anche io non volevo allontanarmi realmente, però sto morendo dall’imbarazzo, mi sento molto stupida ad essere così impacciata per una cosa così, ma davvero non sono avvezza a fare regali e… si vede! Ma Camus sembra non accorgersi di questo, tanta è l’emozione, i suoi occhi sono lucidi, glieli riesco a scorgere, prima di essere dolcemente accompagnata giù per coricarci l’uno di fronte all’altra, ancora avvolti dall’abbraccio reciproco come era stato in Siberia. Mi guarda intensamente per una serie di secondi, poi mi accarezza il viso con la mano che tiene il bracciale e mi posa un leggero bacio sulla fronte.

“Grazie, piccola mia...”

Oh, nessun lamento che non dovevo disturbarmi? Non ci posso credere!

“E grazie anche… per rimanere al mio fianco, nonostante sia certamente difficile d-dato il tipo che sono!”

Sorrido senza ribattere verbalmente. Mi lascio coccolare da lui, permettendo che siano i gesti a sopperire alla mancanza di parole che ci ha colti. Mi liscia i capelli con movimenti sinuosi, poi passa alle spalle sulle quali, con le dita, traccia piccole circonferenze che mi solleticano piacevolmente, portandomi quasi ad addormentarmi. Gli occhi mi si chiudono e… no, un secondo, l’altra cosa! Devo dargli l’altra cosa, prima di crollare!

“Cam...” bofonchio, stiracchiandomi le gambe e sfregandomi le palpebre ormai pesanti. Devo assolutamente riscuotermi, quell’altra cosa è troppo importante per cadere in sordina.

Lui si solleva appena sull’avambraccio per scrutarmi il viso: “Riesci a resistere ancora un po’ al sonno?”

“Uh, s-sì...”

“Vorrei farti vedere una cosa che ho recuperato, per caso, in questi giorni” prende nuovamente parola lui, finendo di carezzarmi per poi muoversi con l’ovvio intento di alzarsi. Non riesce ad ultimare l’azione che lo vedo irrigidirsi subitaneamente, piegarsi in avanti, premendosi una mano sull’addome come se avesse provato un dolore netto e improvviso.

Ecco, se prima rischiavo di crollare dal sonno adesso no di sicuro, sono già in allarme!

“Camus!”

“Stai tranquilla, va tutto bene! Stai pure giù, torno subito” mi sorride brevemente, alzandosi difficoltosamente in piedi, ma la sua smorfia di dolore non è sfuggita al mio sguardo.

Decido di non indagare oltre per rispetto alla sua tempra, sebbene questo suo modo di fare mi scoraggi e mi faccia continuamente sentire inadeguata.

Lo osservo aprire un cassetto dell’armadio a due ante e tirare così fuori una specie di tomo che poi riconosco, dalla forma, essere un album di fotografie. Torna quindi sul letto, indicandomi gentilmente di girarmi a pancia sotto, lui fa altrettanto, posando il tomo sopra alle lenzuola per sistemarsi così al mio fianco.

“Sai... ad Aiolos piaceva tanto fare le foto. Nell’anno e mezzo in cui sono rimasto qui, prima della Notte degli Inganni, ne ha scattate un bel po’ a noi piccoli, alcune persino di nascosto, riproducendole per poi distribuirle. - mi spiega, con un mezzo sorriso – Io… non lo ricordavo affatto ma, facendo pulizie, mi è caduto sott’occhio”

“Wow! E possiamo vederle?” chiedo, gli occhi trepidanti.

“Certo, mi piacerebbe se le rivedessimo insieme” annuisce, sereno, circondandomi le spalle con un braccio e rimanendo quindi a sorreggersi solo con l’altro gomito e avambraccio. Da a me l’onore di sfogliarlo, cosa che non esito a fare.

Apro la prima pagina, trovandovi già tutti i Cavalieri d’Oro versione mignon, o comunque ridotta, in posizione da squadra di calcio, i più piccoli davanti, gli altri dietro.

“Deve essere stato Shion a farvi questa!” commento, emozionata.

“Sì, è l’unica in cui siamo tutti insieme, anche perché solitamente eravamo divisi in gruppi. Io stavo principalmente con Milo, Mu, Aldebaran, Shaka e Aiolia, anche se ci ho messo un po’ ad… ehm, ambientarmi!”

“Questo è assolutamente da te!” sbuffo, divertita, andando alla pagina dopo.

Come mi è stato accennato, le altre foto sono più speculari, non raffigurano tutti i futuri custodi, ma solo alcuni gruppetti, da Aphrodite, Deathy e Shura che, a quanto pare, facevano comunella, a Milo, Aiolia e Mu, sempre insieme.

Noto subito che Cancer, Pisces e Capricorn in molte foto indossano già l’armatura d’oro. Sembra ci ballino dentro alla corazza, così piccoli, quasi esili come sono; fa un po’ impressione e mette tristezza, malgrado Deathy abbia quella perenne faccia da schiaffi in ogni sua espressione. Mi ricordano molto quei bambini-soldato che per me non dovrebbero neanche esistere in questo mondo, ma proseguo, sperando di trovare qualcosa di più allegro.

Oh, eccolo!

Ridacchio nel vedere un’immagine estiva con i più piccoli, tutti in costume da bagno, felici a prendere il sole o a sguazzare nell’acqua, tranne… mio fratello!

“Ma guarda, proprio come adesso, eh!” lo punzecchio, ridacchiando, appoggiandomi alla sua spalla, del tutto a mio agio. Socchiudo gli occhi, ripensando alle parole di Myrto di godere della compagnia reciproca il più possibile.

“Non mi piaceva stare scoperto!” sussurra lui, arrossendo un poco.

“Ed è un peccato, Cam, hai un bellissimo corpo! - lo rassicuro, stringendogli di riflesso la mano per farlo sentire bene, poi torno a concentrarmi sulla foto – Si vede che stavi morendo di caldo, sei tutto rosso con quella camicetta che ti copre fin troppo!”

“Qui era prima del mio allenamento in Siberia… - si lascia sfuggire, una nota dolente gli attraversa gli occhi, prima di costringersi a scacciarla – però effettivamente annaspavo. Fossi stato da solo, forse, me la sarei tolta, ma c’erano gli altri"

“Ma questa è prima o dopo i tentativi di Milo di spogliarti e farti girare scoperto?!” chiedo, incuriosita.

“Durante… non ha mai smesso, in realtà!”

Ridacchio ancora, continuando a sfogliare l’album. Camus è riconoscibilissimo ovunque con quei capelli blu, pur molto più corti, e quel cespuglietto arruffato che si trova in testa rimasto immutato in tutti questi anni. Mi fa tenerezza.

Procedo nel mio percorso attraverso il viale dei ricordi. Camus continua a tenermi vicino, studiando i miei cambi di espressione, le emozioni che mi colgono. Ogni tanto gli cala un po’ la palpebra, ma si riprende subito, costringendosi a rimanere sveglio. Deve essere stanco ma non vuole dimostrarlo, men che meno a me.

“Certo che… Milo ti stava sempre attaccato, eh? Era la tua ombra!” commento, soffermandomi un poco su una foto che vede ritratti loro due con un gatto ai loro piedi. Il futuro Scorpione circonda le spalle di un imbarazzatissimo Camus in maniera non dissimile a come sta facendo lui adesso con me, ma nella foto, nella sua immagine bambinesca, sembra molto più impacciato, con quella piega strana delle labbra, le guance rosse e il corpicino un poco rigido. Tenero!

“Sì, è sempre stato una cozza come ti ho già accennato. Si era fissato di dover essere mio amico e mi stava appiccicato, ma le sue attenzioni mi mettevano a disagio e ogni tanto reagivo male, soprattutto quando eravamo insieme con gli altri – mi sorride con tenerezza – In realtà mi ha… salvato dalla solitudine, non l’ho mai ringraziato sufficientemente per questo!” ammette poi, tremando consistentemente.

“Camus… - lo chiamo dolcemente, riprendendogli la mano e accarezzandogli il dorso che ora tiene il bracciale di pietre – Non sei solo...”

“Lo so… - si raschia la gola lui, ricambiando la mia stretta – ma mi sono sentito a lungo così...”

Ne sono consapevole, fratellino, non avresti mai dovuto, non lo meritavi!

“Qui invece... – e mi cambia il discorso, concentrandosi sulla foto sotto – Sono con Aiolia nella sua casa. Aiolos voleva assolutamente farci una foto ricordo insieme”

“Il futuro Leone non sembra molto contento...” asserisco, scrutando a fondo la sua espressione ferina contraddistinta da un disappunto loquace. Effettivamente in questo scatto che li ritrae sulle sedie del tavolo, mio fratello sembra in forte disagio, mentre Leo sembra pronto a scattare sulla preda.

“No, infatti… Lia all’inizio non poteva vedermi, ma mi ha dovuto comunque sopportare perché sono stato per mesi ospite di Aiolos”

“E… perché questo astio?” chiedo, non capendo come proprio Aiolia, tra i Cavalieri d’Oro più nobili, potesse avere quasi in odio mio fratello.

“Gelosia, credo… - suppone lui, in tono possibilistico – Ero un bimbo problematico, c’è voluta tutta la pazienza di Aiolos per tirarmi su e, inavvertitamente, soprattutto nel primo periodo, ha dato meno attenzione a lui”

“Ma tu non centravi...”

“Sì, ma quando si è piccoli è tutto più… gigantesco!”

“Però poi avete risolto, no?”

“Sì, un giorno te lo racconterò nei particolari, perché è legato a-al mio apprendistato in Siberia.”

Capendo che non se la sente di parlare ancora di questo, mi ritrovo ad annuire, riprendendo il viaggio che finisce con una foto dei Cavalieri d’Oro più piccoli ognuno con le proprie vestigia.

Anche qui la sensazione che ne deriva è estraniante. Capisco che deve essere passato un annetto dalle prime, perché i capelli di mio fratello scendono un poco più in giù delle spalle, così come quelli di Milo, ma sembrano comunque dei microbi con indosso un peso sin troppo gravoso. Li vedo infatti un poco piegati nel cercare di sorreggersi sulle proprie gambine, sforzandosi comunque di sorridere verso l’obiettivo.

Questo non dovrebbe proprio succedere, perché Atena, la presunta dea della giustizia, consente tutto questo?! Perché permette a dei bambini di essere strappati dalla loro infanzia?! Anche Hyoga avrà avuto un passaggio così traumatico, da quanto so, e, insieme a lui, chissà quanti altri.

Volto la pagina con un poco di stizza. Ma non ci sono più foto.

“Oh? Non ne hai più?” chiedo, un poco delusa. Ci stavo prendendo gusto!

“Poco dopo ci fu la Notte degli Inganni...” mormora solo, grave nella tonalità.

“Oh, capisco… - mi ritrovo a sospirare, prima di riprendermi – Non hai foto di te in Siberia? Non hai foto di Isaac e… Hyo-”

Lo avverto irrigidirsi al mio quesito, discostando frettolosamente lo sguardo nel sentirsi fragile al mio cospetto. Mi mordo la lingua capendo di aver fatto una cappellata, l’ennesima. E’ così vulnerabile quando si parla di queste cose...

“N-no, non ho foto dei miei… lupetti… - biascica, sofferente, pur calcando il diminutivo – E neanche del mio allenamento in Siberia prima di diventare maestro, la Cukotka è una terra estremamente povera e non sono andato lì… per divertirmi!” mi spiega, serrando la mascella.

“Ma quindi tu… hai un buco di circa 15 anni senza avere foto di te, di ciò che hai vissuto, della tua crescita!” proferisco tristemente, abbassando lo sguardo.

“S-sì, è come hai detto, e non ho foto nemmeno di te, piccola, mi piacerebbe averne!” si espone, accarezzandomi dolcemente i capelli. A queste sue parole mi raddrizzo, seria, cogliendo l’occasione che mi è capitata davanti.

“Beh, una ce l’hai da… ora!” dico tutto d’un fiato, riacquistando il buonumore e notando di averlo meravigliato non poco.

“Marta, cosa..?”

Non rispondo verbalmente, semplicemente mi alzo e apro la sacca che mi sono portata dietro, estraendo finalmente la foto di Myrto. Gliela porgo, sistemandomi al suo fianco.

“Q-questa sarebbe...”

Non riesce a proseguire, l’emozione è forte, gli occhi gli si fanno lucidi di nuovo. Se la rigira tra le mani, come a soppesarla, la osserva più volte, saggiandone ancora di più la concretezza. Così delicato quando manifesta le sue emozioni…

“Sì, è quella che ci ha fatto Myrto di nascosto. La trovo estremamente naturale, mi piace un sacco!” commento, arrossendo, appoggiando il mento sulla piega del gomito nel rimanere a contemplare le leggere variazioni della sua espressione.

“Sì, è… bellissima!” conferma lui, portandosela vicino al volto per poi socchiudere gli occhi, respirarla, quasi.

“E’ davvero una brava persona!” gli dico, convinta.

“Chi?”

“Myrto!”

“Mmh...” lui invece di convinto ha ben poco.

“Come ‘mmh’? E’ VERO!” gli do una leggera gomitata tra le costole come a rimproverarlo.

“E’ irritante e una so-tutto-io!”

“Dici così perché ti ha capito benissimo e a te da fastidio, vero?”

“NO! Non ha… non mi ha...”

“Oh, sì che ti ha compreso, e tu sei geloso della tua intimità! Se provassi a sforzarti un po’, se manifestassi, oltre che con me, anche con gli altri il tuo...”

“Tu ti sei trovata bene?”

Eccolo che, all’angolo, salta di palo in frasca, mi verrebbe da prenderlo a badilate nelle gengive!

“Certo… splendidamente!”

“...”

“Ma la mia casa è questa, ormai, tranquillo. Non ti sbarazzerai così facilmente di me!”

Mi pare quasi che si rilassi alla mia affermazione, tornando a contemplare la foto che sembra piacergli davvero tanto. Aveva davvero paura gli dicessi che, visto che mi ero trovata così bene, sarei rimasta volentieri da Myrto?! Sorrido di riflesso, riprendendo il discorso precedente.

“Questa deve essere solo la prima!” dico, grintosa, indicando di passarmela. Lui fa come richiesto, rimanendo in attesa, mentre mi vede metterla delicatamente dentro la fascetta e riporla nell’album.

“Ne vorresti…?”

“Sì, altre, tante altre, Cam! Insieme, con tutti, con Michela, Francesca e Sonia, in ogni stagione, in ogni luogo che visitiamo, appena possibile...”

“...”

“So che siamo in bilico molto più di altre persone, ma proprio per questo vorrei fermare il tempo, mi capisci? Vorrei che ne rimanesse almeno il ricordo, voglio vivere ogni momento appieno, con voi, con te... da qui in avanti!”

Gli occhi di Camus sono luminosi nel sentirmi parlare, freme un poco, discostandomi teneramente il solito ciuffo ribelle dalla fronte.

“E anche tu lo meriti, Cam, lo meritate tutti, di avere dei ricordi, perché siete dovuti crescere troppo in fretta, perché non avete riposato un attimo e...”

“Vieni qui… piccola!”

Non ho il tempo di finire il discorso che mi sento acciuffare dalle sue braccia. Mi trae a sé mentre, girandosi su un fianco, mi cinge con forza il busto in una manifestazione di affetto che raramente lascia trapelare ma che, proprio per questo, mi mozza il fiato.

Tremo per l’emozione nell’avvertire nuovamente il suo respiro forte e sicuro tra i miei capelli. Ricambio la stretta, passandogli il braccio sul fianco per arrivare così ad accarezzargli la schiena. Ridacchio sommessamente quando la mia pelle entra in contatto inavvertitamente con la sua, constatando che mio fratello, pur vergognandosi a mostrare l’addome, tiene maglie sempre piuttosto corte, vuoi per la perpetua sensazione di caldo, vuoi perché più comode, che al minimo movimento inconsueto mostrano proprio una delle parti che lui considera più vulnerabile. Esattamente come ora.

“Ti voglio bene!”

E’ il mio turno di non rispondere, crogiolandomi nel suo affetto che sento palpitante. Non controbatto, aumento semplicemente l’intensità del mio abbraccio, affondando ancora di più il viso sul suo petto. Sì, sono davvero a casa!

“E ti prometto… che avremo occasione di ‘bloccare il tempo’, come dici tu, di creare ricordi, insieme!”

Annuisco, felice, lasciandomi cullare, continuando a non rispondere verbalmente.

“Io avevo paura a farlo… - ammette poi, il suo respiro muta d’intensità – Ho sempre trovato i ricordi come una distrazione dal proprio dovere, e un Cavaliere, sai, non può permetterselo. Tuttavia Hyoga, che vive di ricordi, di emozioni, è arrivato così in là, superandomi e mostrandomi che… anche un guerriero ne ha bisogno per andare avanti, per essere spronato nella lotta. Io… volevo eliminarli, Marta, per me erano debolezze, ma Hyoga mi ha mostrato quanto fossi in errore...”

“Lo ha fatto Hyoga?” chiedo, cercando di guardarlo in volto.

Parlare dell’allievo reduce non è mai facile, ciò mi riporta alla mente il contatto con Isaac, la consapevolezza che è vivo e che forse dovrei dirglielo, ma… ripenso alla sua reazione di netto rifiuto quando gli avevo ventilato la possibilità di poterlo recuperare. Non vorrei che fosse controproducente...

“Sì, il mio… Hyoga! - continua, a metà strada tra l’orgoglioso e il rattristato – Ed ora, che sono morto più volte e che ho rischiato d-di morire, d-di non essere più… io… anche io voglio costruire dei ricordi con te, piccola mia, e con tutti gli altri!”

Fa ancora fatica a parlare di tutto questo, si deve fermare più volte, prendendo boccate d’aria prima di procedere. Non gli è facile esprimersi, per lui non lo è mai stato, ma sta facendo di tutto, se non di più, per riuscirci. Ed io sono fiera di lui!

“Camus...”

Vorrei dirgli quanto sono orgogliosa di lui, quanto stia crescendo, ma la mia pancia decide di brontolare proprio in un momento così solenne, riportandomi alla memoria che dovevo andare in bagno già da prima. Arrossisco, di netto, nascondendomi nell’incavo della sua spalla. Vorrei sperare che non avesse udito niente, ma era di gran lunga un rumore prodotto ad un volume sin troppo alto.

Infatti poco dopo lo sento ridacchiare con naturalezza.

“Questa… non è fame!”

“Ehm, no...” borbotto, vergognosa.

“Vai pure in bagno, ti aspetto qui” mi dice poi, liberandomi dalla stretta e rimanendo sdraiato su un fianco.

“Sei stanco?” gli chiedo, accarezzandogli i capelli.

“Un po’, ma non ha importanza, ti aspetto” mi sussurra ancora, sistemandosi meglio, prima di darmi un’ultima occhiata ricca di affetto e chiudere gli occhi.

Annuisco, accarezzandogli i ciuffi ribelli prima di andare dove lo stimolo mi impone. Effettivamente ho mangiato un sacco stasera anche se ero arrabbiata, e mio fratello è di certo un gran cuoco, ma proprio in un momento simile il mio intestino doveva farsi sentire?! Che iella!

Ci impiego un po’ più del dovuto a tornare in camera. Quando riapro silenziosamente la porta, noto che Camus, ancora adagiato su un fianco, si è placidamente addormentato in una posizione simile a come lo avevo lasciato.

Mi avvicino intenerita per osservarlo. Solo le braccia si sono mosse un poco, l’album di foto sta in mezzo. Le dita della mano destra sono posate teneramente sul bracciale di pietre che gli ho regalato, come se lo avesse accarezzato più volte prima di cedere al sonno. Gliele sposto un poco, raccogliendo il tomo per rimetterlo al proprio posto, poi ritorno sul letto, sedendomi al suo fianco.

Il suo respiro è profondo e cadenzato, le ginocchia leggermente piegate, perfettamente aderenti una con l’altra, così come i piedi nudi. Gli liscio i capelli per tranquillizzarlo ulteriormente, deve essere proprio stanco per crollare così, non c’è da meravigliarsi. Sembra tranquillo ma, a ben guardare, non lo è, persino adesso. Non riesce a rilassarsi completamente neanche quando dorme, credo che nell’arco di questi mesi le volte in cui ho potuto vederlo riposare serenamente si possano contare sulle dita di una mano sola. Sospiro, abbattuta: c’è sempre qualcosa che lo disturba, rendendolo spesso teso, rigido, che sia il dolore, o gli incubi, o chissà cos’altro.

Ripenso a quello che mi ha raccontato Milo, alle mie stesse sensazioni circa quello che gli hanno fatto e che si ostina a non rivelarmi, ai prelievi di quel pazzoide di Utopo, alle conseguenze sul suo corpo, alla sua voce sofferente quando è riuscito a chiamarmi dopo quei fatti. Un fremito mi coglie. Improvviso.

Il mio sguardo si posa istintivamente sulla sua maglietta arricciata che gli scopre una parte dell’osso iliaco e così del ventre dove si intravede un bendaggio. Lentamente mi chino in quella direzione, iniziando a scostargli il leggero tessuto. Non ho comunque il tempo di indagare e di osservarlo meglio, perché lui, disturbato dal mio intervento, lamentandosi brevemente, si volta di scatto in posizione supina, facendomi indietreggiare di riflesso.

La sua reazione, in verità, dopo un iniziale sbigottimento, gioca a mio favore, perché la maglietta nel movimento si è sollevata ulteriormente, scoprendogli l’ombelico, o meglio, la medicazione che lo ricopre e che gli cela la fossetta.

Mi riavvicino circospetta, posando appena le dita sul bordo sottostante del cerotto quadrato, notando che è leggermente sporco, oltre ad emanare calore, perché la pelle in quella zona, sempre come mi è stato riferito anche dallo stesso Milo, è innaturalmente bollente.

Sospiro. Lo guardo ancora in viso per un attimo. Si è voltato dall’altra parte, biascica qualcosa di incomprensibile, ora la mano destra è vicina al suo volto adagiato di lato. Le sue palpebre fremono.

Vorrei accarezzargli i capelli, come so che gli piace tanto, per tranquillizzarlo, ma non ho nuovamente il tempo di agire che si rivolta, stavolta dall’altra parte, mostrandomi così il fondo schiena. Mi viene quasi da ridacchiare, mi trattengo per non disturbarlo, una mano davanti alla bocca. E’ incredibile quanto si muova durante il sonno, chissà se anche da piccolo faceva le baruffe con le lenzuola, non saperlo, o meglio, non aver nemmeno avuto l’occasione di scoprirlo, fa male.

Sorrido malinconicamente nel pensare ad un tempo che non ci è appartenuto, giusto in… tempo, per l’appunto, per vedermelo voltarsi nuovamente supinamente. La maglietta ormai è rivoltata sulla pancia, gliela scopre notevolmente, rivelandomi interamente ciò che lui probabilmente avrebbe voluto tenermi nascosto.

“Sei sempre una vertigine di contraddizioni… ti vergogni a mostrare il ventre ma indossi sempre magliette piuttosto corte che, al minimo movimento, ti scoprono proprio la zona che consideri più delicata… - mormoro, scrollando dolcemente il capo nel guardarlo respirare un poco più profondamente – Sei un essere così speciale... e non te ne rendi neanche conto!”

Afferro il bordo del tessuto con la punta delle dita per sollevargliela ulteriormente, accompagnando il più delicatamente possibile il gesto senza scossoni. La ferita, anche se non la vedo direttamente perché coperta, mi è stata detta essere un forellino, ma spurga ancora una stramba roba dorata, inodore e viscosa. Dovrei forse togliergli il cerotto e medicarlo, ma se lo sta già curando lui stesso e non mi sento di violarlo ulteriormente, ben conoscendo i problemi che ha con quella parte del corpo. Automaticamente gli accarezzo la pelle nelle vicinanze, pigiando appena le dita. Nonostante tutta l’attenzione che ci metto, sussulta, del tutto incapace di mascherare il suo dolore in un simile momento.

Deve avere molto male… l’addome è rigido e teso, oltre ad emanare innaturalmente quel calore che gli da così fastidio. L’istinto di togliergli il cerotto e medicarlo è nuovamente forte, ma non mi perdonerebbe, non avendone nemmeno parlato tra noi.

Già, non mi parla… malgrado la promessa che ci siamo scambiati nel 1741...

Ma, in fondo, come potrebbe? Non ci sono parole per descrivere quello che ha vissuto, men che meno a me, che sono sua sorella minore. Come posso io pretendere che si confidi?! Eppure lo pretendo eccome, vorrei essere il suo appiglio, il suo scoglio, non esserlo mi fa rabbia, lo avverto bene in me, ma non è questo l’approccio giusto, non è così che posso camminare al suo fianco!

Sospiro, decidendo infine di limitarmi ad abbassargli un poco la temperatura per mezzo del mio gelo per dargli un po’ di sollievo. Avverto il suo respiro accelerare di conseguenza, l’espressione farsi ancora più crucciata, mentre, percependo un’intrusione, si lamenta debolmente, in affanno.

Reagisce sempre così male anche se sono io a toccare quella zona… deve essere stato terribile per lui subire tutto questo. Risvegliarsi del tutto impossibilitato a muoversi su un lettino e trovarsi davanti una sorta di scienziato pazzo che gli ha fatto non uno, ma bensì dieci prelievi all’ombelico allo scopo di attivare il Potere della Creazione. Rabbrividisco, trattenendomi la pancia, ricordandomi del dolore, del senso di profanazione che anche io ho provato. Mi ritrovo a ringraziare mentalmente Milo per avermelo riferito, per avermi reputata adulta, almeno lui, anche se, in fondo, non lo sono ancora. Devo crescere, dimostrare di essere degna!

“Va tutto bene, Cam, resisti ancora un poco, tra non molto potrai riposare!” mi viene da dirgli, tremando, posando il palmo sinistro sul suo ventre mentre il destro gli sfiora la linea del volto.

“A-arf… p-picco-co...”

Mi sento arrabbiata, inadeguata, ma non riesco a prendermela con lui, non ha colpe, del resto!

Malgrado le tue intenzioni di tenermi all’oscuro di tutto, davvero non riesci a mascherarti come vorresti mentre dormi... mi sembri così vulnerabile ora, tu che sei una roccia, il mio mito, il mio eroe… vorrei essere lo stesso per te, Cam, non immagini quanto!

Sorrido tristemente, ultimando il processo, prima di riprendere il leggero tessuto della maglietta e tirarglielo giù con cura fin dove riesco. Ne rimane visibile la solita, consueta, striscia di pelle che gli mostra l’insenatura dell’anca e parte dei fianchi.

Lo vedo più rilassato, sebbene continui ad apparirmi fragile. Respira più profondamente, permettendomi così di accoccolarmi al suo fianco. Lo osservo ancora un po’, il suo profilo, le labbra dischiuse, il collo, le clavicole… queste ultime sono un po’ meno accentuate rispetto a quest’estate, segno che qualche chilo sia risuscito faticosamente a recuperare, ma non abbastanza. E’ ancora sottopeso...

Chiudo gli occhi, appoggiandomi sul cuscino, e prendendo dei profondi respiri. Con la punta delle dita, intanto, gli carezzo il braccio con movimenti circolari.

Avevo il dubbio, fino ad adesso, ma no, non gli parlerò di Isaac, almeno finché non avrò una pista più che certa, gli farebbe troppo male se questa dovesse poi rivelarsi infondata…

“Quanto hai patito… e quanto stai continuando a patire! Anche questa volta non ero con te quando è successo. Ti hanno fatto cose orribili, colpendoti proprio nel punto che hai più vulnerabile. Provare ad estirparti quel potere, che è intessuto in te, nato dentro di te dalla tua prima vita su questo pianeta… maledetti, non glielo permetterò più, non glielo permetteremo! Non sei solo, Cam, non lo sarai più!”

Istintivamente gli afferro la mano sinistra adagiata al suo fianco con entrambe le mie, racchiudendola dentro. Gli solletico dolcemente il polso con il pollice, entrando anche in contatto con il bracciale di pietre che gli ho regalato.

Charoite, mi ha detto trattarsi, spero davvero che lo possa aiutare!

“Ti proteggerò, diventerò forte per te, fratellino, te lo prometto!” gli sussurro lieve, appoggiandomi alla sua spalla.

Lo avverto respirare più forte mentre il suo viso, percependomi, si volta verso di me, poggiando dolcemente la guancia sulla mia testa. Si lascia andare completamente, finalmente tranquillo.

Riapro un poco gli occhi, sorridendo tra me e me, lo sento respirare così vicino, sereno. I ciuffi sulla mia testa ondeggiano appena alla sua brezza, posso ben vedere il lento alzarsi e abbassarsi del suo petto. Mi lascio cullare anche io a questo ritmo, sprofondando dolcemente nell’incoscienza. E’ così rilassante stare al suo fianco, mi sento così al sicuro... Aumento la stretta sulla sua mano, godendo appieno di questo momento.

“Sì, ti proteggerò!” gli ripeto ancora, speranzosa, tremando appena, prima cedere gli ormeggi al sonno che tutto travolge.

e riavrai il tuo Isaac ad ogni costo, anche questo ti prometto, anche se non posso ancora dirtelo a parole!

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Come promesso, a distanza di un anno, riprende anche questa storia, ferma perché dovevo procedere con i 5 Pilastri per renderla capibile. In verità, il capitolo è concluso da un bel po’ ma l’ho modificato spesso e ora ha raggiunto la forma definitiva per essere pubblicata.

Questo e il prossimo saranno ovviamente capitoli di transizione e di rilassamento generale prima di un nuovo trauma generico e diffuso (non possono mancare aha XD) spero comunque non risultino noiosi.

Di tutti i fatti accaduti qui, il più difficilmente comprensibile è il contatto che avviene tra Isaac e Marta e che merita di certo alcune spiegazioni in più.

Isaac… il ragazzo, come sappiamo da Parallel Hearts, è finito ad Ipsias dove ha incontrato Dégel (sarebbe più corretto dire Degelìus – Degel più Camus - XD) e la Seraphina di quel mondo. Ecco, di loro due non sappiamo molto, ma Dègel, se ricordate, è rimasto ferito dal Proteiforme Lisakki e, pare, abbia rischiato di morire. Da quei fatti, sono passati 6 mesi, il pianeta, quasi del tutto fermo nella sua rotazione, sta tornando preda delle tenebre e Isaac va a godersi l’ultimo sole. Proprio qui avviene l’incontro tra Isaac e Marta, ma mentre il primo ha conservato i ricordi di tutti i loro contatti (si vedono da quando erano molto piccoli!), la ragazza sembra ricordarlo solo ora. Perché? A questo non posso ancora rispondere…

Ma posso dirvi, di contro, che Ipsias è molto prossima alla Terra, dalle parole del “nostro” Dégel, si sono incontrate/scontrate più volte e, in determinati momenti, il velo tra i due mondi è molto più sottile. Questo si verifica quando ad Ipsias avvengono i due Solstizi, invernale ed estivo (dicembre - giugno), ed è la stessa Ipsias, l’ombra della Terra, a guidare tale processo, entrando in contatto con la sua “sorella”, ma ATTENZIONE il tempo nelle due dimensioni scorre in maniera diversa, nel senso che, per farvi capire, qui Isaac sta andando verso i 16 anni, mentre sulla Terra Hyoga sta andando verso i 17… va da sé che i due ragazzi si possono comunque incontrare e vedere anche in periodi diversi della propria vita… ricordate nella “Sonia’s side story”, dopo i fatti di Zima, che Isaac riesce a raggiungere Marta poco dopo che Camus si è sacrificato per lei e ha rimediato le ferite al torace (capitoli 8 – 9 e 10 della Guerra per il dominio del mondo)? Ecco...

Trovate che sia incasinato? Ehm, è solo l’inizio…

Su questo, come spiegazione, senza spoilerarvi troppo, direi che posso fermarmi momentaneamente qui e procedere con altre cose che mi premono.

Il capitolo verte maggiormente sulla reunion tra Camus e Marta dopo che la punizione si è conclusa. Come ho scritto all’inizio, sono passate più di due settimane, Camus sta un po’ meglio anche se non si è del tutto ripreso dai prelievi, e infatti è ancora molto sofferente. Come avete potuto vedere, neanche i 5 Pilastri sono conclusi, quindi vedremo le fasi della sua guarigione lì, più le dovute spiegazioni su Tiamat e anche molto altro, dovete solo aspettare.

La reunion tra i due fratelli, dicevo… Marta riesce finalmente a dargli il tanto agognato regalato e, dopo una serie di fraintendimenti, passano finalmente dei momenti insieme. Il loro rapporto, profondissimo peraltro, che pure sembra così ideale, nasconde delle tinte scure che spero di aver sufficientemente sottolineato. Nessuno dei due è completamente onesto con l’altro, Camus per il discorso della salute e di ciò che ha subito, Marta per il fatto di sentirlo così vividamente, per tacergli di Isaac e, nondimeno, per lo stesso Mantus (e ora anche Kanon, vabbè XD). Entrambi hanno le proprie ragioni di fondo, ma si ritrovano in questo ‘mordi e fuggi’ continuo che sbilancia un po’ il rapporto: Camus in quanto fratello maggiore non può nemmeno pensare di farsi vedere debole dalla sorellina, se non quando dorme, non riesce ad essere onesto e cristallino con lei circa la sua salute, malgrado la promessa che si sono scambiati nel 1741; Marta, a sua volta, si sente indegna di lui per questo, vorrebbe che fosse sincero e dimostrare che anche lei può essere un sostegno per lui, ma, a conti fatti, è più lei a celarsi e celare determinate cose. Oltretutto, uno dei difetti di Marta è quello di giudicare troppo velocemente, basta vedere il suo pensiero su Atena che invece, pare, si stia muovendo dietro le quinte in favore comunque loro, visto che ha ordinato a Kanon di custodire i corpi di Dégel e Seraphina terrestri… vedremo strada facendo.

Anche per questa volta dovrei aver finito con lo spiegone. Dovete perdonarmi, ma mi rendo effettivamente conto che la storia nella sua interezza sia veramente difficile da seguire senza perdersi, per questo ho pensato di costruirmi questo angolino per connettere tutti i pezzi tra loro, spero possa esservi d’aiuto. Comunque per domande e curiosità sono sempre a vostra disposizione.

Vi ringrazio dal profondo del cuore e vi e auguro a tutti una buona domenica! A presto, spero! :)

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Capitolo 13
*** Una giornata quasi ordinaria ***


Capitolo 13: Una giornata quasi ordinaria

 

 

5 dicembre 2011, mattina

 

 

Mi giro pigramente nel letto, infastidita dal sole che, fiacco, è venuto a bussare alle mie palpebre. Mi rannicchio ulteriormente sotto le coperte, sbadigliando, concentrandomi sul calore che percepisco. Sorrido di riflesso tra me e me. E ora chi ha più voglia di alzarsi, con questo bel tepore che mi avvolge, l’inverno che sta sopraggiungendo fuori, e l’undicesima casa che, a causa del suo custode, è comunque più fredda delle altre?! In questa stagione mi viene solo voglia di cadere in letargo… e dire che governo anche io il ghiaccio!

Stanotte c’è stato un bel temporale con conseguente grandinata. Io l’ho udito appena, perché riesco a rilassarmi totalmente al fianco di mio fratello, a percepire quel suo profumo che lo contraddistingue, fresco e un poco selvatico, ma Camus, in seguito ad un tuono, si è svegliato di soprassalto, accendendo poi la luce dell’abat-jour. Fuori il vento ululava e i vetri delle finestre lampeggiavano quando il suo sguardo, ancora un poco stordito dalle nebbie del sonno, si è posato su di me. Ho avvertito il suo sorriso, stavo troppo bene per muovermi, ma ero comunque abbastanza sveglia per percepirlo. Mi ha accarezzato più volte i capelli con le dita di velluto che si ritrova, poi si è alzato per andare dalla finestra a contemplare brevemente le goccioline di pioggia e i chicchi picchiettare sul vetro -gli piacciono tanto, come la neve!- solo dopo qualche minuto è tornato.. Non si è curato di mettersi le calze nello spostamento, ho così potuto avvertire i suoi piedi nudi fare nuovamente il giro del letto, le molle del medesimo cigolare un poco, prima di provare la sensazione tattile delle sue dita che indugiavano nuovamente su di me. Si è quindi seduto al mio fianco per poi sdraiarsi, tirando le lenzuola per coprire me prima ancora che sé stesso.

Abbiamo dormito vicini per tutta la notte. Ho mollato gli ormeggi per cedere del tutto e, ben presto, sono caduta in un sonno profondo. Fuori il diluvio appena percettibile, dentro la consapevolezza di essere al sicuro, con lui, al caldo.

Stamattina si è svegliato presto, non dovrei meravigliarmi. Il sole non era ancora uscito, si è alzato dal letto, sistemandomi meglio le coperte addosso, ha compiuto un nuovo giro del letto per poi fermarsi dietro di me, perché io ero rannicchiata sul fianco destro, quello che da la schiena alla porta. Di nuovo la sua mano tra i miei capelli, le sue dita mi hanno solleticato affettuosamente mentre, ancora una volta, si è perso a parlarmi a bassa voce alle mie orecchie. Mi ha chiesto scusa per il suo comportamento di ieri, anche se lo aveva già fatto, ringraziandomi per la pazienza di continuare a rimanere al suo fianco, nonostante sia di carattere così difficile, nonché ricalcando la promessa di fare foto insieme e portarmi in Siberia.

Amo la sua voce, amo quell’accento di dolcezza che lui usa in maniera speciale con me, quella patina di francese che lascia trapelare persino nel parlarmi in italiano, quindi me la sono gustata tutta, fingendo di dormire. Io HO scelto di stare qui, non potrei chiedere di meglio. Non mi ha ovviamente parlato del suo malessere, di come si sia sentito lui ad essere profanato per l’ennesima volta, ma va bene così, un po’ mi demoralizza ma gli voglio dare tutto il tempo che gli serve per esprimere ciò che ha passato. E poi io ho Milo come spia, sono sempre informata sul suo stato di salute, muhaha!

Ora è giù in cucina, ogni tanto il suono degli sportelli che si chiudono giungono alle mie orecchie. Suoni di casa. Francesca e Michela saranno già belle che sveglie, sento il loro vociare allegro, stavolta sono io a latitare, ma vorrei godermi pienamente questo momento in cui mi sento protetta, come quando ero più piccola e la domenica mi svegliavo a casa dei nonni in campagna.

Mi prendo ancora qualche minuto di raccoglimento prima di balzare fuori dal letto, stiracchiarmi, e correre giù con ancora il pigiama indosso. Esattamente come mi aspettavo, Francesca e Michela stanno allegramente mangiando, anche se, a ben guardare dall’orologio, sono già le 10. Mio fratello non deve averle volute svegliare, strano, perché pensavo volesse già recuperare il tempo perduto negli allenamenti, invece eccolo bello tranquillo lì a sorseggiare caffè, mentre le mie amiche stanno consumando un bel cappuccino con le fette biscottate e le macine.

“Buongiorno!” saluto tutti, facendo il mio ingresso in cucina.

“Mmm… ciaaaaaaaaoooo!!!” mi trillano loro, ancora intente a masticare, mentre Camus, vedendomi arrivare, si raddrizza, regalandomi un sorriso.

“Buongiorno a te, Marta!”

Arrossisco un poco, ricordandomi della bella serata di ieri e della felicità che ne è derivata, anche lui sembra sereno e rilassato, oserei dire quasi contento, come raramente lascia trasparire.

“Hai il caffè, il tè, il cappuccino, una spremuta, le fette biscottate, i cereali...” mi anticipa, alzandosi per mettere nel lavandino i bicchieri sporchi.

“Camus, non ne vengo dall’Africa, eh, ti posso assicurare che mangiavo con Myrto!” gli faccio notare, divertita, prendendo posto vicino a Francesca.

Anche se cerco di non darci peso, non riesco a non far cadere l’occhio sul posto vuoto di Hyoga, ne sento la mancanza, sebbene sia quasi sempre silente, d’altronde era una presenza fissa.

“… e le gocciole!” mi indica ancora Camus, capendo i miei pensieri, voltandosi poi dall’altra parte per non dimostrare la scintilla di dolore che lo ha attraversato.

“Oggi tutti i record delle ronfate li hai fatti tu, mia cara Marta! - esclama Michela, forzatamente allegra, nonostante la mancanza del suo fidanzato – Nemmeno io ho mai varcato simili traguardi!”

“Perdonate, ero stanca! - mi scuso, prendendo di riflesso l’ampolla con la spremuta e intrufolandomi con l’altra mano nel sacchetto di biscotti Gocciole, i mie preferiti – Ma recupererò nell’allenamento!” mi affretto a dire, determinata.

“Oggi niente addestramento” mi dice Francesca, tutta sorridente.

La sua frase mi sorprende non poco, lasciandomi sbalordita con uno dei biscotti ancora in mano in attesa di essere addentati.

“Niente… allenamento?!” ripeto, quasi a non crederci. E’ Camus stesso a delucidarmi.

“No, oggi festeggiamo, in ritardo, il compleanno di Francesca. Ho prenotato in un ristorante di Atene che fa delizie di pesce e prodotti tipici, spero vi possa piacere”

A questo punto, mi ritrovo a guardare mio fratello con tanto di bocca spalancata, occhi che parlano da soli, e perplessità crescente. Una cosa normale dovrebbe essere, a ben pensarci, oggi è domenica, si fanno queste cose, ma io… ohibò mi sono completamente disabituata all’ordinaria esistenza! Osservo le mie amiche, convinta che presto mi faranno presente che è tutto uno scherzo e che ci attendono 8 ore di addestramento come al solito, e invece mi continuano a fissare sempre più divertite.

“Sul… serio?”

“Certo, peste, non sei forse tu, giusto ieri, ad avermi detto che volevi ritagliare un po’ di tempo per noi? Di far in modo… di costruire dei ricordi?” mi chiede retoricamente mio fratello, con una naturalezza disarmante.

Non so se mi sconvolga di più il binomi Camus/festa o quello Camus-ristorante-pranzo, ma dalla sua espressione percepisco che fa sul serio per davvero.

“O-oh… o-ok, b-bene!”

“E su con il morale, Marta!!! - mi da una pacca spacca scapole Michela, tutta raggiante – Non rammento più l’ultima volta che abbiamo mangiato fuori!”

“S-sì, vero… - biascico, sempre più allibita, prima di concentrarmi sulla mia amica più grande – Non preferivi passarlo con Deathy?” le chiedo poi, titubante.

“Già... fatto!” mi occhieggia lei, furba, pur non scendendo in altri particolari.

“Capito...” annuisco, laconica, tornando a fissare, spersa, la spremuta e il biscotto che sta sempre aspettando di essere mangiato.

La mia reazione deve far preoccupare mio fratello, perché, compiendo il giro del tavolo, si approccia a me, posandomi una mano sulla spalla.

“Non… volevi? Sei ancora stanca per il viaggio, Marta?”

“N-no, non è quello...”

“E allora cosa c’è?”

“E-erk, niente, Cam… - il mio tono esce tremante, mentre sento gli occhi farsi lucidi, cerco di non darglielo a vedere ma lui acciuffa il mio sguardo – E’ che non ero più abituata a cose del genere...”

“Lo capisco, sono stati mesi frenetici, sconvolgenti per molte cose, non ricorderai quasi più della normalità, eppure, proprio per questo, io v-vorrei...”

Vorrei farvi sentire bene, per un unico giorno, che non doveste pensare sempre alle lotte, a rischiare la vita, a preoccuparvi per me, come invece fate troppo spesso. Desidererei tante cose, tornare a farvi vivere un’esistenza normale, come è giusto che sia per la vostra età, ma l’unica cosa che posso fare, che rimane nelle mie capacità, è quella di darvi una parentesi di respiro.

Camus non riesce ad andare oltre, al solito le parole lo tradiscono, minando la sua capacità di esprimersi, ma mi è talmente vicino che sento i suoi pensieri, le sue emozioni come se fossero le mie. Sorrido, rassicurata.

“Lo so, ho capito, Camus e… grazie!”

Lui annuisce, fa per aggiungere qualcosa, ma nello stesso momento qualcuno bussa alla porta dell’ingresso, obbligando noi ad alzarci. Avverto mio fratello sussultare, probabilmente nel timore che sia una qualche interferenza come già successo. Borbottando, si dirige ad accogliere (o mandare a spazzare) il nuovo arrivato con una punta di nervosismo.

“Se sei un qualche tipo di interferenza, noi...” da il preavviso, quasi ringhiando, da dietro la porta giunge una risata accentuata.

“Nessuna interferenza, Cam, sono io!” si palesa una voce melliflua, ben riconoscibile.

Si alzano anche Francesca, Michela, incuriosite, il povero biscotto l’ho abbandonato lì, vicino al tovagliolo, qualcosa mi dice che non lo mangerò. Nello stesso momento la porta viene aperta rivelando il Cavaliere dei Pesci.

“Aphrodite! - esclama mio fratello, sinceramente sorpreso dalla sua visita – Cosa ti porta qui?”

“Lui, a dire la verità! - risponde lesto Pisces, spostandosi di lato e rivelando così Stefano, il che immobilizza me completamente – Ha bisogno di parlare con una certa persona...”

La ‘certa persona’, alias me, si irrigidisce ancora di più. Non ero affatto preparata a rivedermela con lui. In questi giorni di punizione ho semplicemente messo da parte il problema, rimuovendolo per concentrarmi su altro. Ed eccolo qui il problema! Mi fissa con imbarazzo, guardando altrove, dappertutto, verso il soffitto, per terra, non sapendo bene come prendermi. Io non sono da meno, vorrei semplicemente scappare, fuggire.

Camus studia la sua reazione e poi la mia, valuta il mio disagio, comprendendolo a fondo.

“Capisco… però potevi dare un minimo di preavviso, Stefano, noi staremmo per uscire tra non molto!” dice, rivolgendosi direttamente a lui.

Il suo tono di voce lo fa sussultare nitidamente. Alza lo sguardo quasi boccheggiando, come se avesse appena subito un rimprovero da un genitore, del resto ai suoi occhi mio fratello deve apparire assai autoritario e severo. Malgrado questo, riesce a riprendersi quasi subito con una fermezza che mi sorprende.

“E’… è un chiarimento tra me e Marta, se anche lei lo desidera, se vuole rifiutare non c’è alcun problema, me ne andrò e...”

“No, va bene! - esclamo tutto quasi a corto di fiato, una mano sopra il cuore – Anche io volevo parlare, ma… fuori, all’esterno!”

Lui mi sorride timidamente, annuendo e mormorando un “grazie”, io mi sforzo di guardarlo negli occhi. Perché ora mi sembra tutto così difficile?!

“Per te va bene, Camus?” chiede Aphrodite, ben sapendo quanto sia protettivo nei miei confronti.

“La scelta è la sua, io non ho ragioni per oppormi. - sottolinea, pratico, mentre butta un occhio su Francesca e Michela che si sono fatte tutte attente e percettive – Che non vi venga in mente di origliare, voi due, bertucce!” le taccia scherzosamente, indicando, con gesto sinuoso della mano, di fare dietro-front e andarsi a preparare per il pranzo.

“Ma, Maestro, noi non origliamo mai!” tenta di opporsi Michela, quasi offesa.

“Ah no? Devo aver preso un abbaglio allora!”

“No cioè, a noi capita di trovarci nel posto sbagliato al momento sbagliato, succede!”

“Succede sempre a voi però, con una certa frequenza, aggiungerei!” sottolinea mio fratello, inarcando un sopracciglio.

“E perché… perché siamo...”

“Michy, vai a prepararti, su, e anche tu, Fra, voi siete delle pesti, tutto qui, in questa casa non esiste più la privacy da quando siete piombate voi nelle nostre vite!” taglia il discorso Camus, sospingendole verso le rispettive camere. Ma il suo tono è caldo e gli occhi luminosi.

Anche io torno brevemente nella mia stanza per vestirmi. Indosso le prime cose che mi vengono in mente senza badarci troppo, tanta è l’emozione, poi esco con un pizzico di urgenza. Non andiamo comunque lontani, non c’è tempo per farlo dovendo noi andare a pranzo fuori. Arriviamo giusto nella parte posteriore dell’undicesimo tempio lontano da sguardi indiscreti.

Anche senza dialogare, noto subito che si muove in maniera molto più disinvolta rispetto a come lo avevo lasciato, del resto è passato più di un mese da quando lo abbiamo ripescato in Valbrevenna e, nella battaglia avvenuta settimane fa, ha avuto un peso determinante, riuscendo finalmente a conquistarsi la fiducia di quasi tutti i Cavalieri d’Oro. Francesca mi ha raccontato molto bene le loro peripezie qui al Santuario, le sue reazioni e tutti i misteri che si porta dietro. In fondo ha ragione, non è più rimasto granché del ragazzo che avevo lasciato due anni fa, è quasi un uomo, ormai, e ne ha passate tante, troppe, però… voglio credere che sia sempre lui, il mio amico d’infanzia.

Stevin mi precede fino agli scalini che portano alla Casa di Aphrodite, mi chiede se voglio sedermi, acconsento, lui invece rimane piedi, ancora titubante, mantenendo le distanze da me. E’ giusto così, siamo poco più che conoscenti, ormai. Comprendo bene che non parlerà lui per primo, dovrò farlo io, quindi rabbocco aria, partendo dal primo argomento che mi viene in mente.

“E così… nonno Mario non è tuo nonno biologico, eh?”

“Te lo ha detto… Francesca?” si è irrigidito, ma non contro di me, deve essere più una difesa del suo organismo, un qualcosa che non ha ancora accettato pienamente.

“Sì… mi ha detto che stai cercando i tuoi genitori che credevi morti”

“E’ così...”

“Quando eravamo insieme in Valbrevenna, anni fa, non li… percepivi, giusto?”

“No...”

“Quindi è una cosa recente, dalla prigionia...” arrivo alla deduzione, sospirando, torturandomi le mani.

“Dalla prigionia, sì...”

E’ il mio turno di non sapere continuare. Perdo tempo a vedere una fila di formiche testa rossa camminare sullo scalino a poca distanza da me. Sono molto piccole, abbastanza per eludere il cosmo della dea ed essersi costruite un rifugio in un anfratto roccioso poco lontano. Stefano mi guarda con attenzione, come a soppesare ogni mia più piccola azione e cercare di capire quanto io sia cambiata in questi due anni, perché effettivamente questo, il seguire ogni animale, era una cosa che facevo anche tempo fa. Mi chiedo per l’ennesima volta chi io abbia davanti, se mai potrò recuperare parte di quel rapporto di fiducia che mi era tanto caro e che è andato in frantumi quel dannato giorno in cui c’è stata la maledetta alluvione.

“Stevin, io...”

“No, sono io a doverti delle scuse, Marta!”

La sua espressione accelera notevolmente il mio cuore già in tumulto. Lo fisso sbalordita, mentre lui, ancora un poco tentennante ma più sicuro, decide di provare a sorreggere il mio sguardo.

“I-io… - si massaggia la testa, dolorante – N-non so bene ancora cosa mi sia successo, non so se i miei pensieri fossero frutto di Nero Priest, oppure...”

“Ste, non ha importanza, davvero… - scrollo la testa, alzandomi di riflesso in piedi, sorridendo un poco amaramente – Ciò che hai passato avrebbe annientato chiunque e… tu… l’importante è che tu sia tornato”

“Marta...”

“Però voglio che tu sappia… - la mia espressione si fa un poco più dura – che quel giorno in cui buona parte di Cerviasca franò, io… io ci ho provato a venire da te!”

“...”

“Mi avevi scritto che tuo nonno era morto quella notte, che avevi bisogno di… di avermi vicina… ed io, pur partendo da Genova, invece di andare a scuola ho cercato di raggiungerti, in tutti i modi, devi credermi!” insisto, trepidante, perché mi preme fargli sapere che, almeno, ho tentato, con tutte le mie forze, anche oltre.

“Cosa… te lo impedì? - mi chiede lui, con una leggera patina di freddezza, come se ancora stentasse a crederci totalmente – I-io, sai, non ero in me, disperato, solo... all’alba erano venuti a prelevare mio nonno, mi hanno detto che sarebbe arrivato presto qualcun altro a prendermi e che mi avrebbero affidato, perché ero ancora minorenne, ma io sono scappato, non sopportavo più tutto quello, e… e poi tutta quella pioggia… ti ho chiamato, non pensando ai rischi, avevo bisogno che ci fossi e, egoisticamente, ti ho messo in pericolo, Marta, perché le precipitazioni non finivano, anzi si infittivano, ma io riuscivo solo a pensare che senza di te mi sarei lasciato andare, volevo che ci fossi, che mi impedissi di finire in frantumi. Perdonami...”

Sembra faccia davvero fatica a ricordare, deve spremersi per raccapezzarsi ed io vedo bene, dolorosamente, il suo sforzo.

“Non ha importanza, io volevo raggiungerti comunque, ci ho provato, dico davvero!”

“E allora cosa… cosa è accaduto per non farti arrivare?!”

“Hai presente il bivio per Carsi, il paese davanti al tuo dove alloggiavano i miei nonni?”

“Sì...”

“S-sono arrivata lì, sul fondovalle, appena prima di salire, e poi...”

“E poi?”

“Il torrente era ingrossato, tanto… ricordo solo tutto quel fango, la sensazione di essere zuppa, le vibrazioni sotto i miei piedi che aumentavano, un rombo sordo, un lampo blu, e poi… il nulla!” biascico, sofferente.

“La strada… è crollata sotto i tuoi piedi?!” mi chiede lui, impallidendo, non aspettandosi certo un risvolto simile.

“Quando mi sono svegliata… ero ricoverata nell’ospedale dove lavora ancora mia mamma. Avevo la febbre alta, straparlavo, ricordavo a sprazzi quanto successo, e… lei mi ha detto… che Cerviasca era franata e di te… che non ti avevano più trovato – esito, quasi mi sfugge un singhiozzo, mi mordo le labbra prepotentemente per impedirgli di uscire – Non ti hanno MAI più trovato, Stevin, dopo mesi abbandonarono le ricerche. Tutti ti abbiamo dato per… m-morto”

Mi nascondo parzialmente il viso con le mani, il petto in affanno; allo stesso tempo lui tace, si avvicina timidamente a me, prova a posarmi una mano sull’avambraccio, sebbene sia tremendamente imbarazzato. Solo dopo pochi minuti riesce a palesare esternamente la sua voce.

“Pensi che… che qualcuno volesse metterci contro? Che sia stato… il nemico contro cui state combattendo ad interferire?” mi chiede, assai meno incredulo rispetto a prima ad avvalorare questa ipotesi che sembrerebbe assurda.

“I-io non… non lo so!”

Fei Oz effettivamente ci rema contro da quando ero in fasce, mi credeva morta dopo aver affrontato Camus quel giorno di tanti anni fa, non dovrebbe quindi…

Sussulto, vengo investita da una fulminazione istantanea. Qualcosa dalle tenebre dei miei ricordi riaffiora, il ghigno sul suo viso solcato dall’odio quando, dopo quel fulmine assordante che quasi sembrava spaccarmi i timpani, ho alzato il volto verso il cartello raffigurante le indicazioni su Carsi, la visibilità ridotta per la pioggia fitta fitta, ma… secca, nitida, adesso stampata nelle memorie del mio cervello, quella sua mantella nera con il disegno di un pipistrello rovesciato che svolazzava a causa del vento imperioso, la sua mano destra che si alzava e dalla quale veniva caricata una sfera di energia, e poi… e poi?!

“Mio… dio!” impallidisco di netto, quasi boccheggiando, incespico nei piedi, rischiando di cadere, ma inaspettatamente Stefano mi prende per un braccio, mi tira verso di sé per sorreggermi.

Mi ritrovo quindi automaticamente abbracciata a lui, è il nostro primo, vero, contatto dopo tanto, tantissimo, tempo. I miei occhi si fanno lucidi, mi manca quasi l’aria.

“Marta, che succede? Sei sbiancata!”

“Ho ricordato qualcosa, un frammento, un flash, e...”

“E…?”

“N-no, lascia perdere ora, non riesco a comprendere se sia vero o frutto dello stress psicologico di quest’ultimo periodo. Non riesco a ricordare altro per il momento, farlo mi… dei, sembra che la mia testa sia sul punto di esplodere!” biascico, sofferente.

“Ma allora...”

Non lo lascio finire, semplicemente lo stringo forte a me, cercando di ammansire il dolore. Tremo per una emozione nuova: la speranza di ricostruire il rapporto!

“Mi sei… mancato tanto in questi anni, Stevin!” biascico, appoggiando il mio mento sulla sua spalla e aumentando la stretta nella paura che mi possa fuggire via.

L’ho creduto morto per tutto questo tempo, e invece… invece ora è qui, vivo, non farò più gli stessi errori del passato!

Lui in un primo momento non reagisce, rimase fermo immobile, impietrito, per ragioni che riesco a capire solo in parte, poi finalmente si scioglie, contraccambia l’abbraccio: “Anche tu… credevo mi avessi abbandonato ed io… non potevo crederlo!”

“Non avrei mai, MAI voluto abbandonarti! Mi dispiace… mi dispiace così tanto!!!”

Lui annuisce, senza dire niente. Rimaniamo così per un po’, cullati dal silenzio reciproco. Probabilmente è ancora arrabbiato con me, tutti gli avvenimenti di questo mese gli sembreranno pazzeschi, ne avrebbe tutte le ragioni, ma ha creato per me una breccia, una nuova via di accesso per farmi passare, a suo ritmo, senza fretta. Non percepisco più quell’odio smisurato passare nei suoi occhi di quell’azzurro chiarissimo, particolare, come lago di ghiacciaio, ne riesco nuovamente a scrutare la luce intrinseca. Ricominceremo da capo, ora ne ho la piena conferma.

Dopo una serie di minuti, mi stacco da lui, rimanendo comunque a breve distanza, a guardarlo, perché davvero le sue iridi mi ricordano qualcosa in più adesso, ma non riesco a definire che cosa; lui mi sorride, un poco più sereno, la sua mano stringe il mio polso ed io ne sono rassicurata.

“Dal principio, va bene?” chiedo, arrossendo un poco.

“In che… senso?”

“Ad essere… amici! - pronuncio la frase in tono bassissimo, quasi avessi paura di un rifiuto – Magari con una bella esplorazione!”

“Oh…” anche lui sembra più sereno adesso.

“Qui non è la Valbrevenna ma c’è tanto da esplorare!”

“Dubito avremo tempo per farlo!” soffia lui, scrollando la testa, le guance rosse.

“Mmm, e chissà, siamo vicini di tempio, magari una scappatella… - la butto lì, divertita – Non dobbiamo più fuggire ai controlli di tuo nonno Mario e mio nonno Dante, c’è Camus in compenso e… ti garantisco, fa per tre!”

“Credo di essermene accorto, sai?!”

“Che è tremendo?!” ridacchio, compiaciuta.

“Che è tremendo e che ha preso da tuo nonno Dante come autorevolezza, anche se, con te, nasconde la stessa dolcezza di tua nonna Ines.”

Abbasso lo sguardo, mentre i loro visi, un poco evanescenti e annebbiati, fanno capolino nella mia mente. Lentamente passano gli anni, le loro voci, prima forti e chiare nelle mie orecchie, si stanno disperdendo. Una fitta dolente mi investe. Il tempo sa essere crudele. La perdita si sente ancora, ma loro sono sempre più lontani...

“Meglio quindi avercelo come amico che nemico, di gran lunga!” continua Stevin, pratico, facendo spallucce.

Ridiamo genuinamente e di gusto, dopo un tempo che mi è parso secoli, finalmente sollevati nell’animo. Qualcosa, nel percorso che è la vita, l’ho perduto per sempre, irrimediabilmente, ma il destino mi ha fatto rincontrare Stevin, stavolta saprò tenergli la mano, lo giuro. Non lo perderò più!

“Mi sto abituando al clima austero di qui, sai? – mi racconta ad un certo punto lui, con naturalezza, desiderando raccontarmi le sue impressioni – Ho conosciuto bene Hyoga, Mu, Aldebaran e ovviamente Aphrodite, anche se lui è un po’ strano!”

“Lui… ha i tuoi stessi gusti! - gli faccio l’occhiolino, lasciando che mi intenda, cosa che avviene, perché diventa istantaneamente viola – Magari...”

“No, no, no… DECISAMENTE no!” si affretta a ripiegare, sbracciandosi.

Altra risata corposa tra noi due, vorrei continuare a parlare con lui ininterrottamente come facevano sotto il tiglio della cappella di Cerviasca. Mi sfiora un pensiero, faccio improvvisamente seria nel guardarlo.

“Fra mi ha riferito che durante la battaglia contro Clio sei rimasto ferito anche tu. Sei stato comunque in grado di formare un sigillo, spezzare quello della dea, e liberare così l’energia vitale delle persone del Santuario...”

“S-sì, anche se non so… non so come ho fatto! - ammette lui, cupo – Una voce mi ha detto di farlo e...”

“Sei stato eroico ed eccezionale!”

“N-non avrei potuto esserlo se lei non fosse intervenuta... – impasta un poco con la bocca, a disagio – Sai, lei...”

Per un solo istante, i suoi occhi si illuminano nuovamente, sembra lì per dirmi qualcosa di molto importante, ma si trattiene, scrollando la testa come a dirsi che è impossibile. Chissà comunque chi lo ha raggiunto in quegli attimi… ciò è la dimostrazione che anche Stevin ha una sfera extra-sensoriale piuttosto sviluppata, non dovrei meravigliarmi visto che possiede un cosmo.

“Lo scopriremo, insieme chi è stato e… troveremo i tuoi genitori, abbiamo una valida pista!”

“Da-davvero?!”

“Ehm, sì ecco… - mi rendo conto che lui non sa che Francesca mi ha raccontato le cose nel migliore dei dettagli, e che quindi so anche del suo problema al sangue – Mi hanno riferito che hai, ecco… forse non hai piacere che lo sia venuta a sapere per via di terzi...” sbuffo, accorgendomi del suo cambio di sguardo.

“Ti riferisci alla piastrinopenia? Avrei voluto dirtelo io stesso, ma… comprendo che il Santuario abbia dovuto necessariamente dare la notizia...” commenta, non particolarmente allietato di risultare debole.

“QUESTA E’ UNA COSA FANTASTICA, STEVIN, NON TE NE RENDI CONTO?!?”

“E-eh?!”

“Acc… - impreco, accorgendomi di aver fatto un’altra cappellata. Ormai sta diventando routine - Mi riferivo al fatto che è una malattia autoimmune trasmissibile da madre a figlio!”

“E… e questo cosa?”

“Significa… che tua madre soffre dello stesso problema!” salto su, sempre più agitata. Lui mi osserva ancora, basito, quasi boccheggia per la sorpresa.

“Non è una cosa che hanno tutti! Possiamo...”

“Come? - lo sento ridacchiare, picchiettandomi l’indice sulla fronte come facevano da piccoli – Andiamo in giro per il mondo a chiedere un campione di sangue a tutti finché non ne troviamo uno che combaci con il mio?!”

“Sì, se è necessario!!!” insisto, serissima.

“Ma daaaaaai, che idee strampalate che ti vengono in mente!!!”

“E’ importante per te, lo è anche per me!” continuo, imperterrita, gonfiando le gote.

“Ti ringrazio… - lui mi da le spalle, guardando un punto fisso sugli scalini più alti, prima di scrutarmi di profilo e regalarmi un sorriso dolce, di quelli suoi, che riescono a riscaldare l’anima – Alla fine sei sempre tu, eh? In questo, nel volermi aiutare sempre e comunque, non sei cambiata affatto!”

“I-io...”

“Però è una cosa che posso fare solo io, capisci? - prosegue poi, allineando le labbra in una breve pausa dal dialogo, l’espressione dolente – Riesco a distinguere i loro odori, le loro voci… non so come siano fatti, ma so che, se me li trovassi davanti, riuscirei comunque, in qualche modo, a riconoscerli. Anche se...”

“Anche se?”

“Non capisco una cosa, anzi due… non me la so spiegare. Mi sono detto che sbagliavo, che non poteva essere possibile, eppure...”

Esita, lo vedo fremere nello stringere le mani a pugno, nuovamente distante, impenetrabile. Mi avvicino un poco, interdetta, sufficientemente per scrutargli il profilo un poco malinconico e quei tre buffi nei che ha sulla guancia sinistra. Nello stesso momento una ventata più forte delle altre gli scombina i capelli, i ciuffi più in alto si sollevano a formare un insolito cespuglietto che io ben conosco. Sobbalzo, convinta di aver visto male.

“Deg...”

“Marta, noi siamo pronti!”

La voce di mio fratello, appena uscito dal Tempio dell’Acquario per vedere a che punto sono, mi fa ripiombare nella realtà. Mi volto in direzione della fonte sonora, notando che si sta avvicinando a noi. Mi scrollo come un cagnolino fradicio, dandomi una sberletta sul volto nel dirmi di tornare con i piedi ben piantati terra, perché non è possibile vederLO ovunque. Mi manca ogni giorno di più, ma… devo proseguire, andare avanti, la mia scelta l’ho fatta, non posso tornare indietro.

“CAMUS!” trillo felice, correndogli incontro con enfasi, mentre Stefano, ripresosi a sua volta, si gira verso di lui.

“Ehi, pian..! - mio fratello si affretta nella mia direzione, vedendomi inciampare nei mie stessi piedi, ma riesco fortunatamente a rimanere in piedi e mi ritrovo ben presto ad abbracciarlo, felice come non mai e desiderosa di dimostrarglielo – Uff, tra un po’ caschi per terra, stai un po’ attenta, cerbiatta!” mi rimprovera bonariamente, trattenendomi per le spalle per darmi equilibrio, perché sono totalmente sbilanciata da un lato, il suo, e devo sembrare quasi ubriaca.

“Siamo riusciti a parlare… SIAMO RIUSCITI A PARLARE!!! Sono così felice, Cam, volevo… volevo che lo sapessi!” gli spiego, euforica, quasi saltando sul posto.

“Lo so, lo vedo, lo percepisco… - mi sorride lui, con dolcezza, sollevandomi delicatamente i ciuffi che mi ricadono sulla fronte per poi rimanere un po’ lì, la mano tra i miei capelli – Hai, avete, finito di...?”

“E-ecco, non proprio, ma...”

“...ma ci sarà tempo dopo, non preoccuparti, Marta! - finisce per me Stefano, guardandoci con mestizia, imprimendo su di me (e su Camus) un’espressione che non riesco a codificare – Oggi hai un pranzo con le altre, vero? Divertiti!”

“Stevin, cosa… cosa succede? Perché hai gli occhi lucidi?”

“Ah, ho gli occhi lucidi? - chiede lui, passandosi poi le dita appena sotto le palpebre – Deve essere stata la folata di vento!”

Che succede? Perché ora sembra nuovamente così distante? Quel suo sguardo così triste, quella sua piega delle labbra, quel suo tono, misto di tenerezza e sofferenza nel vedere i gesti di affetto tra me e Camus. Sembra quasi che non riesca a darsi una risposta, ma… per cosa?

“Stevin… - tossicchia mio fratello, facendosi di colpo serio ma non rigido – Il Tempio di Pisces è a poca distanza dal mio. Se vuoi…”

“Sì?”

“...Se vuoi venire a trovare Marta, parlarle, o discorrere anche con le altre, puoi venire quando vuoi, non sei affatto un disturbo. Solo… coprirti un poco di più, la mia Casa è sicuramente più fredda di quella di Aphrodite!”

Non ci posso credere! Il mondo gira tutto strano oggi, mio fratello che invita qualcuno nel suo tempio che considera un nido di intimità per sé stesso e i propri affetti. Sono sinceramente sconvolta!

Anche Stefano, a giudicare dall’aprirsi a vuoto delle labbra e dalla sua pupilla, che traballa, appare sbigottito come non mai.

“Dico davvero… - aggiunge ancora Camus in tono fintamente burbero per celare l’imbarazzo crescente – Sei suo amico, ci tiene molto a te!”

Stefano torna a sorriderci come meglio un po’, gli occhi un poco più luminosi, la sua muscolatura si rilassa notevolmente.

“Grazie… Camus! Verrò molto volentieri allora!”

 

 

* * *

 

 

5 dicembre 2011, tardo pomeriggio

 

 

E’ davvero tutto così strano, ohibò, non ci ero più abituata!

Le luminarie che si stanno accendendo proprio ora, complice il farsi della sera e il calare del sole, mi frastornano, così come il pranzo in uno dei ristoranti più rinomati di Atene, il trovarsi su una strada affollata in mezzo agli altri e molte altre cose che prima erano ordinarie.

Le macchine passano veloci accanto a me, sto passeggiando sul marciapiede insieme agli altri, alle persone che amo, alla mia famiglia. Il mio sguardo naviga per aria, soffermandosi talvolta su una illuminazione piuttosto che un’altra. Dietro di me è un vociare acceso, stanno decidendo quali festoni mettere nella Casa dell’Acquario, perché mio fratello -mio fratello, sì!!!- ci ha detto liberamente di scegliere quali addobbi comprare. Questa consapevolezza, il fatto che proprio lui sia così festaiolo, mi frastorna ancora di più.

Stiamo preparando un Natale così come lo abbiamo sempre festeggiato nelle nostre case, in Italia, anche perché qui in Grecia, per quel poco che so, ci sono tutt’altre usanze. E l’idea è stata di Camus, che se ne è uscito così, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Sogno o son desta?!

“Ti dico che dovremmo puntare sul rosso e il dorato, vanno di moda quest’anno!” salta su Michela, alzando il tono di voce. Deve prediligere quei colori.

“Ma cosa c’entrano all’Undicesima Casa? Cioè il dorato sì, va bene, ma cerchiamo di agghindare il tempio con colori che abbiano un minimo di senso allora!” osserva pratica Francesca, serafica, discorde sulle preferenze.

“Ok, allora vada per il dorato e… ALLORA IL BLU!!! - ha l’intuizione fantastica Michela, iperattiva come suo solito – Come la ridente chioma di Camus!”

“La ridente..?! - Francesca sbuffa, cercando di recuperare il discorso centrale – Blu e dorato stanno bene, ok, però...”

“Però niente, Fra, sono semplicemente perfetti! Tu che ne pensi, Maestro?”

“Michy, anche fosse rosso, a me va bene comunque, l’importante è che piaccia a voi! – le dice mio fratello, un poco imbarazzato nell’essere stato chiamato in causa – Ve l’ho detto, potete scegliere ciò che preferite...” sorride poi, rilassando la muscolatura.

“No, no, no… blu è più bello; blu con… ehi, Fra, a Genova c’erano delle cosine da appendere a forma di fiocco di neve, giusto? Forse potremmo trovarle anche qui!”

“Oh, questa sì che è un’ottima idea, però dobbiamo comprare anche l’albero, no? Quello...”

“Quello deve essere assolutamente bianco come la neve!”

“Sì, bianco! - anche Francesca pare illuminarsi – Concordo!”

“Però finto!”

“Finto” acconsente la nostra amica più grande.

“Pieno di decorazioni, palline, illuminazioni e ghirlande, anzi pienissimo, da traboccare!” la più piccola fra noi imita l’ampiezza con le braccia, regalandoci un largo sorriso.

“Mi dispiace però dovervi dire che qui in Grecia non c’è l’usanza dell’albero di Natale come in Italia, anche se, ai giorni nostri, è ormai largamente diffuso!” fa notare comunque Camus, con pazienza.

“Oh, no, e allora come facciamo?! Come fate senza albero?! Che tristezza...”

Per Michela tale rivelazione equivale ad un fulmine a ciel sereno, anche per me. Del resto, ho sempre amato addobbarlo l’8 di dicembre, giorno in cui, tradizionalmente, io, la mamma e i nonni ci riunivamo proprio per questa ragione nella casa su a Carsi. La riempivamo tutta, dal piano terra al solaio, dalla staccionata al tetto, e i risultati erano sempre meravigliosi.

Facevo in tutto tre alberi e relative decorazioni in tre giorni diversi: si partiva con Carsi, per l’appunto, durante l’Immacolata, per proseguire con Genova, l’appartamento che mi ospitava nel periodo autunnale/invernale, tranne i festivi, per poi concludere con la casa di Stevin e suo nonno Mario il primo sabato disponibile dopo l’8. Per me dicembre è sempre stato motivo di grande gioia ma, da contrappeso, quando queste luci hanno cominciato a spegnersi intorno a me, tutto è andato dolorosamente scemando, lasciando un vuoto che, anche se ormai riempito, ogni tanto brucia ancora, senza estinguersi mai del tutto.

“In genere qui vengono addobbati velieri in legno di varie dimensioni, infatti la comunione tra città e mare è molto più forte di qualsiasi altro vincolo e pone le sue radici in un passato antico. Tuttavia, come vi ho accennato poc’anzi, anche l’albero si sta diffondendo, quindi penso che troveremo ciò che cercate. Bianco avete detto?” prosegue ancora Camus, rimuginando sul da farsi.

“Sìììììììììììììììììììììì!!!” trilla Michela, talmente forte da coprire persino il leggero segno di assenso di Francesca.

Stanno andando avanti così da un po’, già da quando eravamo al ristorante, a dirla tutta, e ora pare abbiano trovato finalmente un punto d’incontro. Io non ho partecipato alla discussione, troppo frastornata per farlo, avvolta dai soliti miei pensieri il più delle volte malinconici. Mi dispiace che dia l’impressione di non divertirmi, di essere sempre corrucciata, quando invece già solo questa mezza giornata quasi normale mi ha risollevato il morale per almeno un mese di difficoltà.

E’ stato tutto così bello e perfetto, a partire dal pranzo in stile greco -mi sono candidamente innamorata della cucina greca!- tutto buonissimo e ben servito, ma mi rendo conto di essermi completamente disabituata a questo genere di cose, che pure facevo, e avevo piacere a fare, solo un anno fa. Un anno, già...

La verità è che sono passati solo 365 giorni dalla me di allora, ma è come se ci fosse stata la creazione di un nuovo universo in mezzo, e la formazione di un’altra me stessa totalmente diversa, effettivamente così è, perché adesso non sono più solo io, c’è anche Seraphina con me.

E così sono qui, presente ma non partecipe, sorridente senza tuttavia obiettare o acconsentire se, per l’Undicesima Casa, sia meglio l’oro o l’argento o lo sbirulò. Sono qui, le persone che amo parlano, allegre, dei loro propositi, le sento vicine e sono contenta, ma continuo ad essere perennemente tesa, come se questo piccolo angolo di felicità potesse venirmi strappato crudelmente.

Ed io che festività facevo a Bluegrad? L’ho mai festeggiato il Natale? Vero che era una società matriarcale di impronta sciamanica estremamente povera, ma, proprio per questo, dicembre era forse l’occasione per stare insieme e scambiarsi piccole cose fatte a mano con il poco materiale reperibile. Questo lo so, me lo ricordo, eppure… sono solo frammenti, nulla di nitido, perché non ho libero accesso a proprio tutte le memorie di Seraphina, ancora adesso che è passato del tempo dalla nostra unione. Mi chiedo perché…

Rammento di una notte lontana... era la Vigilia del Natale Ortodosso, stavo giocando con Dègel e Unity in mezzo alla neve. Il loro viso infantile giunge ai miei ricordi come sfumato; il mio, un poco più maturo del loro anche se ancora fanciullesco, tirato dal freddo fino a fare quasi male. Io e mio fratello non ci eravamo vestiti sufficientemente pesanti, volevamo imitare il nostro amico in comune, ma lui poteva permetterselo grazie agli allenamenti con Krest, noi no. Si risolse che entrambi prendemmo la febbre, fummo costretti a rimanere tra le mura del palazzo per più di dieci giorni. Io contrassi una bronchite che mi indebolì notevolmente i polmoni già alla tenera età di 12 anni. Quello svago, quel divertimento, quell’essere me stessa, mi condusse poi, di fatto, alla morte una decina di anni dopo.

Troppo debole per sopravvivere ad un mondo bellissimo e crudele allo stesso tempo.

Bellissimo…

Ma crudele!

Come una mano che si protrae per racchiudere tra le sue dita un fiore che però è troppo fragile...

 

-Nobile Seraphina!

-Uff, anche in questi casi usi l’onorifico, Dé-gel, anf?

Lo avevo sentito entrare timidamente nella stanza dopo aver chiesto il permesso a mio padre nella paura che il suo arrivo potesse nuocermi e farmi stancare.

Lui non sapeva, no, non ancora, che io lo avevo percepito fin dal corridoio, che riconoscevo i suoi passi, prima ancora della voce, e che, infine, pur sveglia, stavo fingendo di dormire nella speranza che si potesse avvicinare. Lo aveva fatto, infine, prendendo posto al mio fianco e rimboccandomi le coperte con fare fin troppo protettivo per avere solo 9 anni. Solo allora avevo riaperto gli occhi, solo dopo essermelo immaginato in tutti i suoi particolari.

-Perdonatemi… vi ho fatto ammalare!

Si era scusato, l’espressione abbattuta, mentre i ciuffi dei capelli a forma di cespuglietto, folti ma ancora corti, si erano smossi appena. Avevo buttato fuori aria, gonfiando le gote, offesa, lui si era allarmato.

-Che succede, avete gli orecchioni?!

Si era agitato nel vedermi così rossa in viso, con quell’espressione tale che sembravo sul punto di esplodere da un momento all’altro.

-T-tu…

-E-eh?!

-Se mi dai del tu, anf, guarisco prima…

Non avevo mai sopportato il voi, mi faceva sentire troppo… distante… slegata dal mondo, da lui, dalla vita… ne ero invece parte indissolubile, di lui, della vita, del mondo.

- N-non posso, voi… sarete la futura principessa di questo regno e…

Mi ero voltata, offesa ancora di più. Con quella storia delle referenza sarebbe andato avanti anni, persino quando, ormai giovani adulti, saremmo stati una stessa carne, così insiti uno nell’altro da essere quasi un solo respiro e una sola voce. Lui dentro di me, io in lui.

I fumi della febbre mi stavano intorpidendo i sensi, avevo costante bisogno di dormire ma non volevo lasciare Dégel.

-Riposate, ora…

-N-no, tu te ne andrai, se io cedo al sonno!

Avevo obiettato, testarda, rifiutando quell’invito, cercando di farmi forza per rimanere cosciente.

-Non me me ne andrò, starò qui, ma… riposate, ne avete bisogno!

-Hai detto che… sarò una principessa?

- Sì

-La tua?

Avevo tentato, titubante. Il pensare di esserlo mi rassicurava. Il mio sguardo sfuggì il suo. Era stato un azzardo e lo sapevo, ma avevo bisogno di conferme.

-E-ecco… sì!

-Se sarò la tua principessa, allora, anf, significa che posso darti anche delle direttive?

Stavo continuando a guardare altrove, le guance più paonazze di prima, più calde, il cuore in tumulto, il mio… così indissolubilmente legato al suo, alla vita, al mondo.

-Certamente, Madamigella!

Si era fatto sull’attenti, come se dalla mia richiesta dipendesse la mia vita. Un po’ era davvero così. Mi ero quindi rivoltata, osservando il soffitto sopra di me, rischiarato debolmente dai candelabri. Infine il coraggio era venuto, estrassi la mano sinistra da sotto, esitando però ancora un attimo a metà strada, tremendamente vergognosa. Ancora non riuscivo a capirne il motivo, mi sarebbe stato chiaro, lampante, solo con la crescita.

-Se non puoi darmi del tu… mi terrestri almeno la mano, anf? Così, forse, guarisco comunque p-prima, anf!

Mi era uscito un tono incerto. Ero stanca, tenere sollevato il braccio anche se di poco mi sfiancava terribilmente, fui sul punto di cedere e abbandonare il braccio sopra le lenzuola, ma lui strinse delicatamente le mie dita con entrambe le sue mani, racchiudendola tra le sue.

-Sono qui, al vostro fianco, lo sarò per sempre!

-Per sempre… è tanto tempo, Dègel!

Gli avevo fatto notare, con un pizzico di paura frammisto alla speranza. Per sempre… che bellissima parola, anche se così difficile da attuare!

-Non abbastanza per dividerci… è qualcosa che rimane incastonato nell’anima, capite? La mia e la vostra… ci riusciremo!

-Sei davvero… un piccolo sogno sfuggevole, proprio per questo, forse, potrai davvero sfiorare l’eterno!

Gli avevo sorriso, grata, guardandolo intensamente. Lui aveva ricambiato silente il mio sguardo, stringendomi più forte la mano per poi accompagnarmi lentamente verso le tenebre, calme, del sonno ristoratore, le mie dita calorosamente racchiuse tra le sue.

Era una promessa troppo ardimentosa e ingenua per essere mantenuta da due bambini che cominciavano giusto in quel momento ad approcciarsi alla vita, era evidente, ma in quell’istante tanto bastava per farmi sentire felice di essere nata, tra le infinite possibilità, proprio in quel mondo meraviglioso che aveva dato i natali anche a Dégel e a mio fratello Unity; un mondo che, tuttavia, per il solo fatto di essere venuti all’esistenza, ci avrebbe, prima o poi, uccisi.

 

“MARTA!”

Mi sento afferrare per un braccio ed essere strattonata, con un pizzico d’urgenza, indietro. Devo divaricare le gambe per non cadere, prima di vedermi sfrecciare una macchina a grande velocità a neanche mezzo metro di distanza. Sbatto un poco le palpebre, accorgendomi che non ho rispettato un rosso e stavo, bel bella, attraversando sulle strisce come se nulla fosse.

“Camus...” lo chiamo, come ridestata, rendendomi conto che è il suo braccio a trattenermi contro di sé. Nello stesso momento Francesca e Michela mi osservano impietrite, devo averle spaventate notevolmente...

“Marta, sei al sicuro qui con noi… - mi prova a tranquillizzare lui, probabilmente avvertendo il mio malessere e il mio senso di smarrimento – Però presta attenzione all’ambiente circostante! Non dico di avere i nervi a fior di pelle come sul campo di battaglia, ma quantomeno stai attenta a dove vai!” mi rimprovera bonariamente poco dopo, lasciando la presa su di me nel rilassare sensibilmente la muscolatura.

“Scu-scusami...” mormoro, scrollando la testa e massaggiandomi le tempie.

“Se non ti piacciono i colori che abbiamo scelto… - prova a fare dell’ironia Michela, ora un poco più sollevata – Piuttosto diccelo e li cambiamo, non suicidarti, altrimenti che facciamo?!”

E scoppia a ridere, dandomi una pacca sulla spalla. Annuisco, tentando di sorriderle, sebbene sia ancora intontita. Al solito sono troppo di , assorbita dai retaggi della mia mente. sto perdendo un momento intimo tra noi, che non si ripeterà più… no, devo rimanere concentrata, Camus ha organizzato questa giornata per noi, per permetterci, tra una battaglia e l’altra, di costruire comunque dei bei ricordi, non posso vanificare i suoi sforzi smarrendomi nel passato, è stato il suo primo insegnamento!

Finalmente dopo altri cinque minuti di passeggiata tra le viuzze illuminate e abbellite, troviamo un primo negozio ben fornito all’angolo di una strada un poco meno trafficata. Ha anche gli alberi, oltre che le luci! Francesca e Michela ci si fiondano dentro come se non ci fosse un domani, sparendo dalla mia vista poco dopo. Io faccio per seguirle, ma Camus mi ferma un attimo, indicandomi di seguirlo verso la vetrina di un altro negozietto più piccolo ma pieno di tante cosucce più particolari e accattivanti. Sembra quasi una bottega, ne rimango incantata ad osservare il trionfo di luci che si percepisce al suo interno. Deve essere specifico delle luminarie, mi chiedo come sapesse della sua esistenza.

“Conosco il proprietario… - mi illustra Camus, posandomi una mano sulla spalla nell’indovinare la domanda non pronunciata– vuoi vedere che cosa offre?”

Faccio sì con la testa, con enfasi, per fargli capire quanto mi ispiri tutto quello, entriamo, la campanella suona, portando un signore di mezza età, fino a poco prima intento a giocare con il cellulare, ad alzare lo sguardo che istantaneamente si illumina.

“Oh, Camus, da quanto tempo che non entri qui, da quando...”

“Da quando abbiamo organizzato il decimo compleanno di Milo, sì, Bemus!” lo saluta cordialmente lui, con un mezzo sorriso.

Da così tanto?! Accipicchia!

“E’ più facile trovarti al Santuario quando faccio il mio secondo lavoro, sì, non sei mai stato troppo festaiolo, Cavaliere di Aquarius! – lo punzecchia in un tono leggermente provocatorio anche se sempre cortese – Quindi cosa ti porta qui stasera?”

Oh, quindi anche quest’uomo è a cavallo tra il quotidiano e la vita al Santuario, non lo avrei mai immaginato. Lo osservo, un poco trepidante, prima di essere letteralmente carpita -ora le vedo bene!- dalle luminarie dietro di lui. Il negozio è più profondo di quanto sembri dall’esterno, c’è un piccolo corridoio che porta ad una sala stracolma di illuminazioni, spalanco istintivamente la bocca meravigliata: sono finita nell’Eden!

“Lei… - mi indica brevemente Camus, tornando poi a concentrarsi sul commerciante – Le piacciono molto le illuminazioni, e tu ne hai di particolari, belle e colorate, puoi mostrarcele?”

Lo fisso stupita, sorprendendomi nel constatare che lui sappia anche questo di me, anche se effettivamente è da quando è calato il sole che mi perdo, con tanto di espressione trasognata, in tutte le luminarie che hanno appeso ad Atene, sia quelle pubbliche che private. Era quindi facilmente intuibile.

“E lei… chi è per te, Camus?” vuole sapere il negoziante di nome Bemus, una leggera smorfia simile ad un sorriso nello scrutarmi con educazione.

“E’ mia sorella minore”

“Ohoho, ma non mi dire, mi ricordo ancora di quando eri un nanetto di un metro e qualcosa con quei folti capelli insolitamente blu… e così il piccolo Cam ha una sorella, ben minore, aggiungerei! - si concede di dirmi, scoccandomi l’occhiolino - Quanto avete di differenza, signorina? 10 anni?!”

Eccone un altro che mi prende per ragazzina quando in verità sto andando per la Maggiore Età… ormai dovrei averci fatto il callo.

“Veramente… - e lo esprimo con il più bel sorriso di circostanza che mi riesce – sto andando verso i 18 anni, ne abbiamo solo cinque di differenza!” sottolineo, velatamente seccata.

“Oh, ma non mi dire! - il negoziante sembra esserci rimasto di sasso, ma si riprende subito – te ne davo almeno quattro in meno!”

“Ci sono abituata...”

“Vero, sì? Ma ciò volge a tuo favore, Signorina, vedrai che quando sarai grande lo apprezzerai di più – mi sorride, tornando poi a concentrarsi su mio fratello – Mi dicevi che avete bisogno di illuminazioni un po’ particolari, giusto? Per interni o esterni?”

“Entrambe” risponde pratico Camus, sempre con quella compostezza che gli è propria.

“Benissimo. Venite con me!”

Bemus ci fa strada lungo il breve corridoio, guidandoci poi verso l’ampia stanza che ho distinto appena entrata nel negozio. E’ il mio turno di rimanerci di sasso, mentre i miei occhi saettano da una parte all’altra, frenetici, e le pupille si dilatano a dimostrazione di quanto mi piaccia tutto ciò che vedo. Luci, luci ovunque!!!

“Avevate delle idee specifiche?” ci chiede ancora professionalmente. Tuttavia il suono della sua voce mi appare distante perché la mia attenzione è tutta per l’ambiente intorno.

“Tu hai delle preferenze, Marta?”

Eh? Odo appena la voce di mio fratello rivolgersi a me. Mi verrebbe da chiedergli se fosse possibile prenderla tutte con noi, ma non riesco ad esprimermi. I molteplici fasci di luce hanno catturato il mio sguardo, che naviga da una parte all’altra della saletta senza mai fermarsi. Ci sono quelle peduncolate, bianco accese, quelle multicolori a bottoncino che passano da colori freddi a caldi, quelle a chicco che brillano più intensamente, neanche fossero da discoteca; e ancora a fiocchi di neve, o a cuori rossi, a corolla o arzigogolate, chi più ne ha più ne metta.

“Ooooooh, le piacciono veramente tanto, eh?” avverto il commento di Bemus e la sua risata contenuta. E’ rimasto al fianco di mio fratello e si gusta la scena insieme a lui, perché io sono partita per la tangenziale, sembro Alice nel Paese delle Meraviglie, quasi inciampo nell’alzare la testa, un capogiro mi scuote, ma non ci do peso: è tutto semplicemente troppo bello!

“Sì, le adora e… - Camus esita un attimo, prima di continuare ad esprimersi – Il Santuario è un luogo molto austero, sterile sotto molto punti di vista. Lei… ne ha passate tante in questi mesi, davvero troppe, e anche le altre mie allieve che mi hanno affidato quest’anno. Vorrei che si sentissero a proprio agio almeno a Natale, che stessero bene, mi… capisci?”

“Perfettamente, Camus!”

Ci passerei ore qua dentro, ma Michela e Francesca sono andate nell’altro negozio, sicuramente avranno già preso un nutrito numero di addobbi, devo decidermi anche io. E tuttavia quali, tra queste luminarie?

La mia attenzione viene infine catturata da una tipologia di luci a cascata, bellissime, adatte alle tende che abbiamo alla Casa dell’Acquario. Potrebbero fare una bellissima figura per ogni stanza, appaiono anche discretamente rilassanti, perché davvero imitano l’effetto dell’acqua e non danno fastidio alla vista.

“Ti piacciono queste?” mi chiede mio fratello, avvicinandosi finalmente a me, prendendone in mano una per studiarsela e pensare dove metterle.

“Uh, sì, ti pare… troppo?”

“Affatto, Marta! - mi passa una mano tra i capelli per tranquillizzarmi – Volevi attaccarle alle tende in modo da fare una cascata di luci?” mi chiede conferma.

“S-sì, p-però...”

“Sono piacevoli a vedersi...”

“Lo pensi anche tu?!” i miei occhi brillano di entusiasmo.

“Sì...”

Sto per ragionare con lui su quante convenga prenderne e dove posizionarle, perché di certo una per ogni camera è veramente troppo, ma la sua decisione immediata mi meraviglia.

“Bemus, ho 7 vani, se escludiamo i due bagni e la biblioteca: 5 camere, la cucina e il soggiorno; vorrei quindi tante luminarie quante sono le stanze, se fosse possibile e, se ce le hai disponibili, ognuna con una sfumatura di colore diversa, però tendente al chiaro senza sforare nell’acceso, devono conciliare il sonno, non l’insonnia!”

“COS… MA DEVI APRIRE UN MUTUO, CAM!!!” gli faccio notare, sbalordita, chiedendomi da dove li peschi tutti quei soldi per poi passare a domandarmi, più ampiamente, come in generale vivano tutti i Cavalieri, visto che nessuno di loro lavora stabilmente.

“Oh, non sarà poi la fine del mondo!” mi sorride di rimando lui, quasi ammiccando con lo sguardo.

Anche Bemus è visibilmente scioccato dalla dichiarazione, rimane per una serie di secondi a fissarlo, certo di avere delle smentite, perché, insomma, Camus lo conoscono tutti, non è affatto un tipo festaiolo… e tuttavia mio fratello, placido, contraccambia lo sguardo con cordialità, aspettando una risposta.

“Non stai scherzando...”

“No”

“P-per sette non credo di averne, ma per cinque, di colori diversi, credo di riuscire ad arrivarci - si arrende alla fine il negoziante, prima di sbattere le palpebre e buttare fuori aria – Sei cambiato parecchio, eh?” nota poi, prendendo la scala per tirare fuori le varie scatole.

“Le circostanze...”

“Un giorno me lo racconterai, se vorrai… - lo ferma Bemus, capendo, forse dal leggero tremore della sua voce, che mio fratello deve essere reduce da non facili esperienze – Quindi dicevamo... una, due, tre, quattro… perbacco, credevo di arrivare almeno a cinque, e invece...”

“Va bene anche così, Bemus, grazie! - acconsente Camus, prima di tornare su di me – E per l’esterno avevi qualche idea, Marta?”

“A-anche per fuori?! - ripeto, allibita, certa anche io di aver capito male. Al suo cenno di assenso, mi ricompongo un minimo – Uh, mmh, quelle!” gli indico le luminarie sopra la sua testa a forma di fiocchi di neve iridescenti.

“Dovevo immaginarmelo!” sorride lui, gli occhi luminosi, che riflettono la luce, come i miei.

“E’ perché così, anche in assenza di neve, sembrerà di avere il tetto dell’undicesimo tempio scintillante di argento!” affermo, sorridendogli radiosa, esigendo un’altra carezza tra i capelli che lui non esita a darmi.

“La neve… vorresti un Natale nevoso, piccola mia?”

“Uhm, mmh, sì, è successo un po’ di volte a Genova che nevicasse la notte della Vigilia. E’… è magico! - dico, sorridendo tra me e me nel ripensare a Dégel e Unity che si tiravano le palle di neve vicendevolmente per poi finire col viso tutto rosso per il dolore, perché in Siberia la Polvere di Diamanti che si adagia al suolo sa essere dura come la roccia, bisogna riscaldarla un po’ nei palmi per poterne usufruire per giocare – Ma a volte capita invece che ci sia altra pressione, che da noi si traduce con la tristissima maccaja!” sbuffo, ricordandomi di inverni talmente uggiosi da far tristezza.

“Capisco... non si può mai dire, magari quest’anno nevicherà anche qui ad Atene!” mi fa intuire le sue intenzioni Camus, sempre con quell’espressione un poco assorta che lo contraddistingue.

Rimango in disparte ad osservare il susseguirsi delle loro azioni, non perdendomi un movimento. Bemus ha preso tutto l’occorrente e ora, con l’aiuto di mio fratello, ripone tutto nelle scatole, dirigendosi poi dal bancone. Li seguo a ruota sopraggiungendo nell’esatto momento in cui Camus tira fuori il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans. Rimango letteralmente sbalordita, quasi folgorata, quando constato che esso conserva delle vistose banconote in euro, vere.

Come ho fatto a non pensarci per tutto questo tempo? Eppure non è un problema di poco conto, perché giustamente anche i Cavalieri d’Oro dovranno mangiare, comprare gli abiti, gli accessori per le case che sono costretti a presiedere, eppure, in tutti questi mesi, mai una volta mi ha sfiorato tale problematicità, proprio come se io stessa mi fossi slegata dalla realtà del mondo di tutti i giorni.

Salutiamo e usciamo, ringraziando per la pazienza. E’ ormai completamente buio quando, carichi come due muli, ci rechiamo davanti al negozio che ha risucchiato Francesca e Michela senza ancora sputarle fuori. E dire che già io pensavo di essermi trattenuta per più del necessario nella bottega di Bemus, ma loro mi superando di gran lunga!

Sorrido di riflesso tra me e me. Devono essersi perse nella scelta degli addobbi, non c’è altra spiegazione. Inspiro ed espiro l’aria fresca dell’esterno, l’atmosfera natalizia così festaiola che sembra quasi far vibrare l’atmosfera intorno a noi. Sono così felice al solo pensiero che tra poco è natale e che lo passerò per la prima volta con mio fratello.

Vi è un’arietta frizzante per trovarci ad Atene, mi ricorda un po’ Genova, ben più fredda di qui. Forse, se continuerà a persistere questa temperatura, non ci sarà nemmeno bisogno del nostro intervento per far nevicare, se così fosse... Una ventata gelida mi smuove la sciarpa, facendomela cadere un po’ sulla spalla, per poi insinuarsi sotto il giaccone e trasmettermi un brivido. Vorrei dire di non avere bisogno di questi indumenti, ma, ahimé, temo non sia così. La strada è ancora lunga...

“Aspetta… - mi dice Camus, posando i sacchetti per poi riavvolgermela intorno al collo – Ti prendi gli spifferi...”

“Gli spifferi… - ridacchio, felice delle sue attenzioni – Non fa così freddo, dai, qui non soffia costantemente la tramontana di Genova!”

“No, hai ragione, ma non si è mai troppo prudenti, ricordati che solo a fine settembre ti sei presa una brutta bronchite...”

“Ma perché ero in Siberia e...”

“Proprio per questa ragione sei ancora suscettibile agli sbalzi termici!”

Non sono mica così debole, uff, quando si convincerà di questo?! Però… mi rende anche felice che sia così protettivo nei miei confronti! Riesce così agevolmente a farmi percepire la sua vicinanza con brevi, semplici, gesti, nonostante si imbarazzi un po’, come ora, che ha discostato lo sguardo e si è messo a guardare fisso da un’altra parte.

“Cam, posso farti una domanda?”

“Dimmi.”

“I soldi, ehm, da dove li attingete, se non…?”

“...lavoriamo?” conclude per me, capendo il succo del mio quesito

Annuisco, facendomi attenta in attesa della sua spiegazione che non tarda ad arrivare.

“Dalla Fondazione Kido...”

“Dalla Fondazione…? Atena?”

“Sì...”

Si è fatto un poco teso nel parlare di lei, che io oltretutto non ho mai neanche visto. Ne è un suo devoto, ha donato la sua vita a lei, alla giustizia che lei imbraccia come archetipo, ma non ho mai avuto impressione che pendesse dalle sue labbra, come invece fanno visibilmente Aiolos e Saga. Mi piacerebbe sapere perché…

“Atena… è di famiglia ricca?” chiedo conferma ad un sentore che già avevo, mentre la mia mente riporta a galla l’idea di Sasha, di come era fatta, così estremamente naturale e delicata.

“La sua incarnazione, Saori Kido, lo è: una delle famiglie più ricche del Giappone!”

Hai capito, questa… furbetta la nostra dea, ha scelto proprio una bella famiglia per…

“Atena è greca, è nata qui, e portata via da Aiolos quando era ancora in fasce per salvarla da Saga malvagio, ricordi?”

Mi mordo istantaneamente le labbra dandomi della malelingue. Quando mi faccio dei pregiudizi non è facile estirparmeli dal cervello; questa Atena, nella fattispecie, non mi sta simpatica, per cui già partivo per la tangenziale, quando invece dovrei ben sapere che lei è stata portata via dal Santuario e solo successivamente adottata da Mitsumasa Kido. Non ha scelto quindi lei di nascere in una famiglia ricca, sono state le circostanze

“Kido… come Hyoga”

“...”

“Il nonno adottivo di Atena è… il padre di Hyoga, vero? Il Cigno ne parla a stento, deve detestarlo parecchio, non mi meraviglia visto che… EHI!”

Camus si è ammutolito, irrigidendosi nel sentire il nome del suo allievo. Non ho il tempo per esprimere le mie scuse che lo vedo prendere e andarsene, allontanandosi da me per avvicinarsi all’entrata del grosso negozio che ha sedotto le mie amiche. Mi affretto ad arrancargli dietro.

“Cam, scusami, io...” inizio, mortificata, prima di sbattere contro la sua schiena perché si è fermato all’improvviso.

Si gira quindi verso di me, contrae un poco le sopracciglia nel vedere la mia espressione avvilita, prima di tentare di rassicurarmi: “Marta, non c’è bisogno di chiedermi scusa, è solo...”

“ECCOCIIIIIII!!!”

Ritornano Francesca e Michela, paiono loro due alberi di Natale da quanto sono addobbate, tra palline, colombe, ghirlande, luci, festoni e chi più ne ha più ne metta. Ridacchio compiaciuta.

“Non vi siete trattenute...” faccio notare, con un leggero sbuffo divertito.

“Ebbene, neanche voi!” ribatte Francesca, occhieggiandomi.

“Queste sono illuminazioni e decorazioni per la casa… una per ogni camera”

“E queste per l’albero” mi mostra i colori blu e dorati Francesca, mettendosene uno al collo come se fosse una sciarpa.

“Ma non c’era l’albero bianco...” sbuffa Michela, triste e corrucciata.

Guardiamo tutte e tre di riflesso Camus come se ci aspettassimo il verdetto dell’oracolo.

“Nell’agorà, la piazza principale, e storica, di Atene, si tiene sempre un mercatino di Natale con i banchetti e i più svariati oggetti. Potremo dare un’occhiata là” ci propone lui con un cenno.

Annuiamo in sincrono, seguendolo trepidanti mentre lui ci fa strada. Si è fatta ormai sera, la luce del sole ha già ceduto, perché le tenebre sono ancora troppo fitte… mi ritrovo a pensare che fortunatamente ciò avrà presto una fine, essendo noi prossimi a ‘Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia’, come amava ripetere mia nonna ad oltranza. In effetti, la festa pagana di quello che poi i Cristiani hanno chiamato Natale, l’ho sempre sentita molto vicina, essendo una festività legata al Sol Invictus: l’oscurità comincerà piano piano a retrocedere, le giornate torneranno ad allungarsi, perché la vita è sempre, sempre, più forte della morte. Devo solo resistere.

Per il momento comunque, le luminarie, questo brivido che sento a causa del fresco e, nondimeno, la nuvoletta che esce dalla mia bocca quando respiro, mi riscuote almeno un minimo dal torpore, portandomi a godere pienamente di quest’attimo che mi è stato concesso.

Arriviamo finalmente al mercatino nominatoci da Camus… è davvero immenso e grande, circolare, pieni di banchetti e botteghini con i più svariati oggetti e cosucce particolari, dalle pietre, alle ghirlande, ai ciondoli, anelli, scaldacollo, coperte, spezie, marmellate, barattoli di miele esposti in bella mostra allo scopo di catturare la curiosità dell’acquirente. E’ di sicuro incantevole e caratteristico, anche se non come quelli che mi è capitato di vedere in Valle d’Aosta o in Trentino, a Merano e Bolzano, lì c’era proprio tutta un’altra atmosfera, oltre a fare più freddo e spesso nevicare, il che, da solo, rende tutto più eccitante e, ancora una volta, magico.

Numerosi banchetti vendono imbarcazioni luminose che attirano la nostra curiosità. Come ci è stato raccontato, la devozione degli ateniesi verso il mare non è mai del tutto scemata, del resto non è forse vero che Atena e Poseidone avevano gareggiato per diventare la principale divinità della città? All’epoca vinse la dea della saggezza, ma la polis è comunque rimasta intrinsecamente legata alla distesa marina prospiciente.

Alla fine, con il benestare di Camus, decidiamo di prendere anche una piccola imbarcazione tutta luminosa, probabilmente la metteremo all’ingresso del soggiorno in modo da poter essere vista da tutti coloro che ci verranno a trovare.

Dopo un giro intorno, carpite da tutte le forme, i colori, e gli oggetti, finalmente arriviamo ad una bancarella che vende Alberi di Natale e… c’è anche quello bianco ed è bello alto!!!

Tutte contente di aver finalmente trovato il nostro obiettivo, lo compriamo subito, cercando di arrangiarci a barcamenarci in due a portarlo, ma siamo mezze inchiappettate, nonché cariche, e allora deve intervenire Camus che, con naturalezza, se lo posa sulla spalla destra, come se neanche pesasse.

A questo punto, il tour potrebbe pure concludersi, abbiamo preso tutto, ma le mie amiche insistono per girovagare nel mercatino ancora per un po’, totalmente euforiche, ed io mi unisco a loro, mentre mio fratello va a sistemarsi su una panchina, l’albero e le borse con lui. Ci aspetterà lì, dice.

Faccio quindi un giro con loro, ricordando i bei vecchi tempi, lasciandoci incuriosire dalla merce in esposizione. Io vengo attratta dalle pietre, una più bella dell’altra, ma, con mia somma soddisfazione, vedo che non hanno la Charoite. Deve essere davvero un minerale raro, non facilmente reperibile o comunque non disponibile proprio ovunque, ciò mi rende ancora più felice di averglielo regalato a mio fratello. Anche Michela e Francesca sono attratta dall’esposizione, ma poi l’occhio della più piccola tra noi viene attirata da dei peluche di un altro banchetto e parte in quarta, in corsa. Tra gli animali raffigurati vi è un cigno candido, un Trudi. La vedo andare letteralmente in visibilio, euforica più del solito: è il regalo perfetto per Hyoga!

“Un peluche? - chiede però Francesca, non troppo convinta – Ha affrontato nemici insidiosissimi e tu gli vuoi regalare un pupazzo del genere?!”

“Perché non lo dovrebbe apprezzare? - si lagna Michela, punta sul vivo – Solo perché è un Cavaliere non può amare la dolcezza?! Io vado!”

“Non credo abbia mai avuto un peluche in vita sua...” tento io, inarcando un sopracciglio. Dubito che in Siberia avessero di simili giochi, sarebbe quindi il primo e, ok che ha quasi 17 anni, ormai, il ragazzo, ma forse potrebbe apprezzare.

“Appunto, non ha senso farglielo adesso!” esclama Francesca, pratica.

“Io invece penso proprio di sì, vado!” ribadisce Michela, con una smorfia.

Ed effettivamente va, convinta, a chiedere il prezzo non aspettando nemmeno la risposta dell’amica.

“Tu regalerai qualcosa a Deathy?” chiedo a Francesca, interessandomi della sua relazione con Cancer.

“Non saprei… sai che non mi piace fare i regali obbligati per le festività”

“Ti capisco, ma lui è italiano come noi, quindi conosce bene il Natale… - abbozzo un sorriso, prima di farmi venire il dubbio – Credo, penso… ehm!”

“Non penso proprio abbia passato dei bei Natali prima di giungere al Santuario, sai? E dopo ancora meno, temo...” mi dice, rabbuiandosi.

Effettivamente non credo che qualcuno dei Dorati Custodi sia mai riuscito ad essere spensierato come solo un bambino potrebbe essere. Strappati dalle proprie famiglie, costretti ad allenarsi e sforzarsi di crescere… e tutto per una dea, Atena, che ha bisogno di uomini per assecondare la sua idea di giustizia.

Anche il mio volto si è fatto cupo, adesso. Mi sto rendendo conto di non riuscire minimamente ad abbattere i miei pregiudizi, l’influenza di Mantus non fa di certo bene, ma io stessa sto sviluppando una sorta di astio -che probabilmente già avevo nella mia precedente vita, anche se ben celato!- verso la dea che si sono ritrovati a servire. Non capisco, continuo a non capire tutta questa devozione, a me sembra una setta come quasi tutte le religioni e nient’altro.

“Comunque... proprio per questo spero di passare con lui la vigilia, di fare qualcosa di speciale per… distrarlo, ecco!” si confida lei, arrossendo un poco nel manifestare il suo coinvolgimento emotivo.

“Quindi.. il 24 sera saremo orfani di te!” le sorrido, dandole una gomitata amichevole tra le costole.

“E-ecco, io… credo di si!” bofonchia, guardando adorabilmente altrove.

Finalmente Michela torna con un nuovo pacco e il muso del cigno Trudi che sbuca dal sacchetto. Da distante non sembrava, ma… è bello grosso e morbidoso!

“Ho preso due cosine anche per voi, le ho già fatte impacchettare” ci dice, con un largo sorriso.

“Oh, Michy, non dovevi...” biascico, imbarazzata. Io sono sempre stata una frana nel fare i regali.

“Oh, è un piacere… però non li aprirete tassativamente fino al 25, chiaro?” si raccomanda, squadrandoci con serietà.

“Chia-chiarissimo!” esclamiamo in due, scoppiando poi a ridere tutte insieme.

Questo momento tra noi che sfiora la normalità, questo apparire (quasi) come delle ragazze normali… ci voleva proprio, come una boccata di ossigeno!

Dopo un nuovo giro, veniamo attratte da un bancone che fa roba calda, dalle cioccolate, ai tè speziati, ad altro. Ci rechiamo istintivamente lì, desiderando qualcosa per scaldarci. Io opto subito per una cioccolata calda, ma poi mi ricordo che Camus è ancora seduto sulla panchina, in attesa, e che forse anche lui vorrebbe qualcosa per scaldarsi lo stomaco. Raccomandandomi quindi di prendere già ciò che vorrebbero loro, torno indietro, raggiungendo nuovamente mio fratello.

Lo ritrovo nella stessa posizione di prima, l’albero e i sacchetti al suo fianco. Sta con gli occhi chiusi, le gambe un poco aperte e le braccia sull’appoggio dietro, come se si stesse concentrando sui suoni intorno e sui profumi, più che su ciò che potrebbe vedere. Sorrido intenerita tra me e me, avvicinandomi a lui. Rispetto agli indumenti che indossano gli altri, tra giacconi e cappotti, lui si è messo solo una leggera felpa nera sopra la maglia, più per cercare di passare il più inosservato possibile -perché, insomma, vedere uno smanicato ad inizio dicembre non è poi cosa da tutti i giorni!- che non per necessità vera e propria. Del resto, non percepisce minimamente il freddo, se fosse per lui, se non fosse così imbarazzato dal suo corpo, potrebbe persino girare con i soli pantaloni che tanto non prenderebbe neanche il raffreddore!

“Michela, Francesca ed io abbiamo trovato un banchetto che vende roba calda, hai bisogno di qualcosa?”

Lui apre elegantemente gli occhi a seguito della mia domanda, per un istante le sue iridi e il suo volto vengono completamente rischiarate dalla luminaria sopra le nostre teste.

“Vin brulé… se ne hanno!”

Andiamoci di alcolici, eh, fratello, ma che bravo!

“D’accordo, te lo porto subito” gli dico, facendo per allontanarmi.

“Aspetta, ti devo dare i soldi...” mi ferma, compiendo il gesto di prendere il portafoglio che tuttavia viene bloccato tempestivamente da me.

“Oh, non morirò, e non morirai tu, se, per una volta, sarà tua sorella ad offrirtelo!”

“Con quali soldi?”

“Con quelli con cui ero partita quest’estate per venire in Grecia e mai spesi! – gli spiego, con naturalezza, mostrando una faccia buffa – Arrivo subito, Cam!”

Vado, compio la mia missione, predo per me una cioccolata calda e per lui quanto ha chiesto, prima di dire a Francesca e Michela di fare con calma per poi tornare da lui. Rispetto a prima, ha piegato un poco la la schiena in avanti e ha i gomiti poggiati sulle cosce, gli occhi aperti, anche se oscurati da un qualcosa che non riesco bene a capire. Sembra pensieroso… cioè, più del solito, ecco!

“Rieccomi!”

“Grazie...” mi sorride, prendendo quanto gli porgo per poi raddrizzarsi e rimanere diversi secondi ad annusare il profumo intenso, di cannella e chiodi di garofano, del Vin Brulé, un po’ troppo forte per i miei gusti ma non per i suoi. Mi sistemo al suo fianco, prendendo a soffiare sulla mia cioccolata calda. Rimaniamo diverso tempo così, in silenzio, io ad osservare, abbagliata, le luci, lui a continuare a sorseggiare il suo bell’intruglio.

“Scusami… se tendo a non parlati spesso di Atena” mi dice ad un certo punto, meravigliandomi non poco.

Oh, di tutte le cose di cui potrebbe trattare ora si è fissato con questa, la meno importante… che tipo strano!

“Figurati… non è comunque uno degli argomenti che più mi interessa, anche perché ho più o meno capito che non… come dire, non scorre buon sangue, o meglio, non ne parli di certo con la stessa devozione di Aiolos e Saga, per citarne due!”

“No, infatti… - mi conferma lui, facendosi ancora più serio – Ho sempre avuto troppi dubbi in vita mia per essere un suo… adepto… ma le devo obbedienza, sono Cavaliere d’Oro, quindi tra i suoi fedelissimi...”

“Ed è necessariamente un male, questo? Avere dei dubbi?”

“Sì, se devi agire come un soldato...”

“Sei troppo intelligente per seguire una direttiva senza porti le domande, Cam...”

“Può darsi, ma tu non devi seguire la mia via, piccola mia, quella di uno spergiuro!”

Mi acciglio davanti a quella frase che ha assunto connotati un poco gravi, così come il suo sguardo limpido, che si staglia nel mio, portandomi a capire che la questione è della massima esigenza.

“Temo sia troppo tardi, Cam...” gli sorrido, facendo per alzarmi e raggiungere le mie amiche, ma lui mi prende per il polso.

“No, Marta, sono serio! Non seguire la mia via, non...”

“Sei tu il mio mito, Cam, non… Atena… - faccio presente, un poco nervosa, mentre qualcosa di oscuro e informe si muove dentro di me – Come potete pensare che io e le altre, arrivate dopo nel vostro mondo a sé, cresciute su altre fondamenta e principi, possiamo anche solo seguire una dea che non abbiamo mai visto e che vi ha rovinato l’infanzia?!”

“MARTA! - il suo tono è salito notevolmente, la piega delle sue sopracciglia si è arcuata notevolmente – E’ grave ciò che stai dicendo, ed è ancora più preoccupante quando lo esprimi al Nobile Shion. Stai rischiando troppo e… e per cos...”

“Per te! Perché non mi frega di salvare il mondo o combattere per una dea greca, io voglio proteggere te, le persone che amo, non combattere per ideali di una che… - fremo, non sapendo se dirla tutta fino in fondo – che neanche muove il suo divino culo per salvare i suoi Cavalieri, facendoli anzi combattere in sua vece!”

“MART..! - Camus sembra piuttosto agitato, questa è una di quelle volte che non lo capisco, non comprendo la sua reazione così spropositata per una inezia simile – Tu non sai bene le cose, come sono andate, non puoi giudicare, e...”

“Mi basta vedere con questi miei occhi le sciocche leggi a cui siete sottoposti! Il non legarsi ad altri vincoli, le maschere per le Sacerdotesse, le gerarchie... Sasha, nel passato, si è manifestata, era piccina ma grintosa, questa Saori invece… dov’è?! Dov’era quando tu hai rischiato di morire per le ferite al torace?! Dov’era quando il Santuario, settimane fa, è stato attaccato?!”

“Atena si sta prendendo cura del Cavaliere di Pegaso rimasto ferito gravemente nella battaglia contro Hades. Inoltre ha una missione della massima segretezza...”

Me l’ha detto anche Kanon, questo, ma ho comunque la sensazione che il fratello di Saga ne sappia molto di più… beh, al momento non mi importa!

“Ah, ma non mi dire, si sta prendendo cura della sua pedina preferita, fregandosene di voi? Wow, che esempio di dea!” commento, sarcastica, inarcando un sopracciglio.

“Marta, nessuno ti sta chiedendo di diventare Sacerdotessa Guerriero, non è il futuro che voglio per te, ma… ma cerca almeno di tenere un profilo basso, quando siamo al Santuario, di non esprimere a viva voce questo tuo pensiero ai quattro venti, tanto meno a Shion! Sei troppo sprezzante e avventata, rischi di metterti nei guai, così facendo, e già tuo fratello non è un pozzo di esempio di fedeltà...”

“Perché, Cam? Hai fatto tutto quello che potevi… per lei!”

“Ero dalla parte sbagliata del Santuario, ricordi? E ho sempre avuto dei dubbi sul conto del Grande Sacerdote, è vero, ma ciò non mi ha impedito di combattere contro i Cavalieri di Bronzo, anche se avevo ormai compreso che Atena fosse dalla loro parte...”

“E’ per Hyoga che lo hai fatto… per lui, per farlo crescere!”

“Sì, hai ragione… - acconsente, tornando a piegarsi un poco in avanti, contrito – Ho sempre messo il mio dovere di maestro davanti a quello di Cavaliere...” mi rivela, un poco tremante.

Mi calmo davanti a questa rivelazione, che in verità conosco benissimo, ma è la prima volta che lo ammette candidamente qui davanti a me.

“Lo so, fratellino...”

“E’ un qualcosa che un Cavaliere, a maggior ragione se facente parte della Dorata Cerchia, non può permettersi: la dea prima di tutto, non… gli allievi!” riprende, tremando un poco. La tazza un po’ meno fumante tra le sue mani.

“Cam, ti si raffredderà… - gli faccio notare, sorridendo, indicandogliela, lui se la porta alla bocca, buttandola giù in un altro sorso – E’ ciò che ti rende speciale!” continuo poi, riprendendo posto al suo fianco e tornando a sorseggiare la cioccolata calda.

Lui mi osserva stupito, regalandomi una delle espressioni più dolcemente sorprese che io abbia mai potuto scorgere in lui.

“E’ ciò che ti rende speciale, questo… - sottolineo, tornando a guardare le luci sopra la mia testa. Sono così belle, rimarrei tutta la sera a contemplarle mentre chiacchiero con lui – Questa devozione che tu hai, non solo per i tuoi allievi ma per tutte le persone che ami!”

“Marta...”

“Non sei un Saga, che vive di assoluti per la dea, per la giustizia… non potendoselo neanche permettere, dato quello che ha fatto! - commento, ridendo tra me e me e riconoscendomi davvero terribile in certi frangenti – Ma sei un uomo che darebbe la vita per chi ama, per gli allievi, che considera come figli, per gli amici, che considera fratelli… anche se tendi a nascondere questo tuo lato così sensibile” lo punzecchio, dandogli una gomitata scherzosa.

“...”

Ma guardalo come si imbarazza, guarda altrove ed è arrossito, scommetto che ha anche la gola secca e, se non continuerò io, non riuscirà più a spiaccicare parola.

“Per questo voglio prendere esempio da te, vorrei essere come te, Cam...”

“Non sono un buon Cavaliere d’Oro, Marta...”

“Ma un uomo eccezionale sì!”

“No, neanche quello...” scrolla il capo, sorridendo amaramente, accartocciando il bicchiere per poi buttarlo nel cestino di fianco.

“Pigna secca! - gli punto il dito contro che va a finire sul suo naso, quasi facendolo sussultare dato il gesto un poco brusco – E testone sopra ogni dire!”

Ovviamente non risponde, continua a guardare altrove, come sempre quando si sente a disagio. Sospiro, posando a mia volta il bicchierino al mio fianco per poi lasciarmi andare dolcemente contro la sua spalla, sulla quale mi appoggio, totalmente in pace con me stessa. Rimaniamo per diversi secondi così, i suoi occhi navigano verso le luminarie sopra le nostre teste, la sua mente, lo so, persa in cento, forse mille, congetture.

“Promettimi almeno che sarai più prudente, da adesso in avanti, che non sfiderai le gerarchie del Santuario...” mi dice ad un certo punto, sospirando.

“Ti farebbe stare più tranquillo, questo?”

“Moltissimo...”

“Allora ci proverò, Cam...”

“E anche... che tenterai almeno di ammorbidire i preconcetti che ti sei fatta su Atena...”

“Devo per forza?!”

“Non è saggio giudicare qualcuno che neanche si conosce...”

...ma che indirettamente ha fatto male a te, fratellino, e che ti fa sentire inadeguato, per me è una ragione più che sufficiente! Prendo un profondo respiro.

“Eeeeek, un poco più difficile questo, ma ne possiamo parlare… forse...”

“E’ importante, Marta, io… - esita, non sapendo se continuare o meno – E’ vero, preferirei buttarmi nel fuoco per te, o per Michela, o Francesca, piuttosto che la dea che dovrei servire ma… ma sono Cavaliere d’Oro, vedi, ho dei doveri e… vorrei che provassi a capire, piccola mia, come io mi senta...”

Riapro gli occhi, osservando i passanti trafelati e carichi di sacchetti che si avvicendano davanti a noi, tutti con i loro sogni, ideali e progetti in testa. Io non so ancora dove sbattere la testa, cosa diventare, ma, di sicuro, so cosa NON essere e CHI voglio proteggere. E, per fare questo, devo necessariamente diventare più forte.

“Va bene, sì, ma solo… solo se comincerai a stimarti un po’ di più, Camus!”

“Marta...”

“Non sei un fedelissimo della dea, ok, e quindi? Ciò ti rende meno degli altri? Sei morto per ciò che credevi, per far progredire Hyoga, sei resuscitato come Specter per consegnarle l’armatura di Atena e, al Muro del Lamento, hai dato tutto te stesso per un futuro migliore… sei un uomo, e un Cavaliere, straordinario, non hai nulla di meno di Shaka, o Aiolos, ricordalo sempre!”

“...”

E’ sempre più imbarazzato, lo posso ben percepire, ridacchio sotto i baffi, stringendogli il polso per rassicurarlo.

“E, cosa più importante, io non ti scambierei come fratello maggiore con nessuno, NESSUNO!” gli assicuro, totalmente rilassata.

Lo avverto tremare appena davanti alla mia manifestazione genuina, poi lentamente mi cinge il fianco, portandomi ancora più vicino a lui in un mezzo abbraccio. Io mi crogiolo, tornando ad accarezzargli il polso e il bracciale di pietre che gli ho regalato e che tiene indosso.

“Ed è questa, per me, la cosa in assoluto più bella, Marta...” si confida, stringendomi anche con l’altro braccio, mentre con la mano mi accarezza un poco vicino all’orecchio come solo lui sa fare.

Sei eccezionale sopra ogni dire… quanta strada devo ancora compiere per essere come te?

“Camus...”

E’ il mio turno di tremare, mentre gli occhi sfuggono altrove e la gola mi si fa secca. Lui percepisce il leggero malessere che mi ha volto, lo vedo sporgersi verso di me, ma io sono più veloce di lui ad esprimere il quesito che mi attanaglia.

“Sono… almeno un po’ simile a te, Cam?” gli chiedo, girandomi forzatamente verso di lui nello scrutare il suo viso parzialmente illuminato.

“Marta, che cosa stai..?”

“Ehi, pulcini abbracciosi, qui abbiamo finito!” esprime vivacemente Michela, sopraggiungendo come fulmine a ciel sereno.

Neanche starlo a dire, noi due ci stacchiamo subito, alzandoci tempestivamente in piedi per fingere disinvoltura prima di guardarla in faccia e abbozzare un sorriso.

Lo sguardo di Camus naviga sui sacchetti che tiene la mia amica, soffermandosi un poco di più sul musetto del cigno Trudi che trapela fuori con il suo becco arancione e il lungo collo. Lo osserva ma non dice niente, preferendo non indagare in una faccenda che non lo riguarda.

“Avete comprato tutto quello che serve?”

“Sì, oserei dire che abbiamo perfino esagerato un pochetto” afferma Francesca, grattandosi la testa.

“Quindi fine della giornata quasi ordinaria?” chiedo, un poco triste nel dover rientrare in un mondo che di ordinario non ha proprio nulla. Le mie amiche fanno sì con la testa, un poco rabbuiate anche loro.

Già, sono davvero soltanto attimi di rilassamento, se paragonati alla tensione che alberga in noi giorno e notte, per non parlare della situazione al Santuario…

Camus ci osserva per un po’, poi da una mezza pacca sulle spalle a me e Francesca, le più vicine a lui.

“Lo rifaremo, se vorrete...” dice, voltandosi per prendere l’albero e tutte le luminarie.

“Da-Davvero?!” trilliamo felici, gli occhi luminosi.

“Appena possibile!” ci assicura lui, con un sorriso, iniziando a camminare avanti a noi.

La promessa di costruire ricordi insieme, già… il pensare che avremo altre giornate così, da vivere insieme, rende un po’ meno pesante questo senso di oppressione che alberga nel mio cuore.

 

 

* * *

 

 

“...quindi ha cominciato a farsi la cura per i capelli, capite?! Mi ha spiegato cosa è successo durante l’attacco al Santuario. Dovreste vederlo ogni sera quanto sta allo specchio a passarsi gli oli essenziali per rinforzarli, è adorabile!” esclama Sonia, ridacchiando con enfasi, imitando il gesto di passarseli sui suoi lunghi ciuffi castani.

“E povero Milo, c’ha proprio il trauma allora, aha!” ride gioviale Michela, dondolando sul divano dopo aver posato il piatto di carta con le briciole della torta di cioccolato preparata da mio fratello.

“Beh ma posso capirlo! - lo difende Francesca, partecipe della sua situazione – Io l’ho visto come è invecchiato… male, ehm... e lui lo rammenta bene, contrariamente a coloro che sono involuti che, fortunatamente, non hanno alcun ricordo di quel che è successo. Ci credo che adesso si sia fissato!”

“A parer mio… - riprende la parola Sonia, con un sorriso furbetto – Sta un po’ esagerando, se continua così diventerà pelato per tutti i prodotti di dubbia provenienza che sta...”

“Cos’è, una riunione a chi riesce a prendermi per il culo maggiormente?! Tanto la vinci sempre tu, Sonietta!” salta su proprio lo Scorpione, appena tornato dal bagno.

“Io sono stata zitta, ascoltavo e basta!” mi affretto a riparare, alzando le mani come ad indicare la mia innocenza.

Stasera abbiamo invitato Milo e Sonia a cena sempre per il compleanno di Francesca. Mio fratello ha voluto cucinare nuovamente, ma lo abbiamo obbligato ad assumerci come assistenti e lui, preso totalmente in contropiede, si è ritrovato costretto ad acconsentire. Solo che dopo la cena è uscito fuori dal suo tempio e non è più rientrato, mi chiedo cosa sia andato a fare.

I piatti erano tutti buonissimi naturalmente, compresa la torta a doppio strato di nutella. Una bomba calorica mica da ridere, ma squisita. Io però ho ancora un certo languorino, vado quindi ad ispezionare il frigo in cerca di qualche frutto.

“Comunque… - riprende il discorso Michela, facendosi seria e pensierosa come accade di rado – i nemici, la cerchia del Mago, sono davvero terribili. Questa volta ce la siamo cavata, ma la prossima...” la vedo rabbrividire, non riesce a concludere la frase.

“Per questo dobbiamo diventare molto, molto, più forti!” qualcosa balugina negli occhi di Francesca, che si siede a sua volta sul divano, posando la mano sul bracciolo. Fortunatamente si è ripresa bene dalle ferite, del resto è una divinità, ma ho come la sensazione che la battaglia che ha avuto contro colei che viene chiamata Clio, una Musa decaduta, le abbia incrinato qualcosa dentro, anche se, al suo solito, come il suo maestro, cerca di nasconderlo.

“Voi siete state più che eccezionali in quella battaglia... – le rassicura Milo, in tono pacato, mentre Sonia ed io ci scambiamo un’occhiata corrucciata – Siamo molto fieri di voi e, sì, è vero, tutti noi, non solo voi, dobbiamo urgentemente diventare molto più forti di così, ma, per il momento… TORTA!”

“MA MILO!!!” lo riprende Sonia, occhieggiandolo lungamente, non aspettandosi un tale risvolto.

“Che c’è?! Voglio la mia torta!”

“MA SE TE NE SEI MANGIATO GIA’ DUE PEZZI!!!”

“Non c’è due senza tre!”

Risate generali che sollevano il morale di tutte noi. E’ sorprendente davvero l’intuizione dello Scorpione, così come il suo buon cuore. Si è accorto che la serata stava prendendo una piega infausta, si è subito reso conto delle nostre paure verso il futuro che ci attende, e quindi ha spazzato via le insicurezze, portando noi a concentrarci sul presente, su questo breve, intenso, momento di felicità tra noi.

Sorrido tra me e me, tornando ad ispezionare il frigo pieno di alimenti. Nel cassetto in fondo a sinistra noto che c’è un contenitore di litchi, frutto esotico non propriamente di qui, nonché uno dei miei preferiti perché assai succoso e molto dolce. Mi viene immediatamente voglia di addentarli e mangiarne una manciata, cosa che non esito a fare, afferrandone cinque per poi prendere un piattino, un coltello e iniziare ad aprirli.

Nel frattempo Milo si sta gustando la terza fetta di torta con ingordigia, non so come faccia a mangiare porcate senza star male o ingrassare di un grammo, deve avere la flora batterica in armamento da battaglia, non c’è altra spiegazione.

E’ tutto così tranquillo stasera, vorrei che fosse così sempre. Vorrei non avere continuamente questa paura viscerale di morire il giorno dopo o di perdere le persone che amo. E’ così difficile questa vita, se poi penso che per loro, per i Cavalieri, non c’è mai stata alternativa a questo…

Dopo le battute di Milo è tornato il buonumore, parliamo del più e del meno, come in una normale serata tra normalissimi amici. Solo Michela è un po’ estraniata, tace per la maggioranza del tempo, cosa assolutamente non da lei, si strofina le due mani tra le cosce, come se fosse nervosa. Solo dopo una decina di minuti trova il coraggio per aprire il dibattito su una questione che le preme molto.

“Mi chiedo… sono passate più di due settimane, come starà Hyoga? Non si è… più fatto vivo!”

Effettivamente del Cigno si è persa ogni più piccola traccia, deve aver azzerato il suo cosmo per celarsi, per non farsi raggiungere, ma da quanto mi hanno riferito si starà certamente rimettendo in sesto dopo le ferite subite in battaglia, sì, deve essere così.

“Michy… - la voce di Milo è tornata nuovamente gentile nel percepire il profondo rammarico della mia amica – Hyoga è un testardo che si convince di cose non vere. Parola mia, quando fa così lo prenderei e lo appenderei al lampadario, ma… sa quello che fa, è avveduto, credimi. Avrà semplicemente pensato che, per il momento, è meglio mantenere le distanze per…”

“Per..?” lo proviamo a incentivare, notando che esita.

“IN VERITA’ NON LO SO, CAZZO… E’ UN COGLIONE COME IL SUO MAESTRO!” sbotta, nervoso, facendoci pigliare un colpo.

Milo si massaggia le tempie, fa un’espressione ambigua tra l’esasperato e… l’ancor più esasperato, ma sufficiente per procurare uno sbuffo divertito a Michela, prima di riprendere il discorso e farsi ancora più serio.

“Non so cosa gli frulli per la testa a quel ragazzo… Camus ha bisogno di lui, lo ha ampiamente dimostrato. Nel dormiveglia cui lo hanno costretto i primi giorni dopo la battaglia contro Utopo, lo invocava disperatamente nel sonno… - ci racconta, sospirando, e a me viene una fitta al cuore nel sentirlo - Da quando poi è riuscito a rimettersi in piedi, non c’è sera che non passi una buona mezz’ora fuori, cercando di rintracciarlo, accarezzare il suo cosmo con il proprio, non riuscendoci, per poi tornare dentro dopo vari tentativi con la faccia da cane bastonato. E quello là non risponde, non sembra neanche capirlo, non so se è scemo o… ma è suo allievo, ha preso tutto da lui, anche questo! DUE IDIOTI SONO, l’ho sempre detto io, mi fanno una tale rabbia!!!”

“Milo… Hyoga lo ha salvato, Camus è vivo grazie a lui!”

“Eeeeh, lo so questo, Michy, sarebbe una ragione in più per tornare, visto quello che hanno passato...”

“Ma si sente in colpa e indegno. Prima di andarsene ha detto qualcosa che… che mi ha spaventata!”

“Cosa?” si intrufola Sonia, di colpo attenta.

“Che l’avrebbe fatta finire lui questa storia e… di prenderci cura di Camus al suo posto. Ha inoltre aggiunto che non poteva tornare perché ci avrebbe messo in pericolo...”

Un brivido scorre sulla schiena di tutti i presenti, lo percepisco bene dalla piega degli sguardi. Ingoio a vuoto.

“Non è che...”

“MA FIGURIAMOCI!”

L’abbozzo di frase di Francesca viene tranciato di netto da Milo che, quasi ringhiando per l’impotenza, stringe una mano a pugno, prima di guardare altrove.

“Non è un dissennato, come dicevo prima, ha sale in zucca e sa quello che fa. A meno che...”

...A meno che non si tratta dei suoi affetti, e allora lì sragiona, come il maestro, e Camus è il suo pilastro centrale!

Riesco a comprendere bene quello che sottace Milo, forse lo intuiamo tutti ma lo rigettiamo con tutte le nostre forze. Non può essersene andato da solo, ferito, a vedersela con Fei Oz, no, non può averlo fatto!

“E’ andato a curarsi alla Fondazione Kido, questo lo so per certo perché Shun, il Cavaliere di Andromeda, ha avuto premura di chiamarci per avvertici. - ci spiega Milo, passeggiando nervosamente per la cucina – E’ ferito gravemente ma lo stavano curando, non avete di che temere”

Anche questo è vero, del resto è stata la prima cosa che mi ha spiegato mio fratello quando ho chiesto di lui, ma il punto è un altro, ed è una questione che nessuno di noi ha il coraggio di tirare fuori, e cioè che fino a qualche giorno fa il suo cosmo si percepiva ancora, anche se timidamente, invece adesso…

Lasciamo volutamente il discorso in sospeso, ognuno perso nei propri pensieri. Io butto il guscio dei litchi nel cestino dell’organico, dirigendomi poi, cogitabonda, verso la finestra. Cerco di scorgere mio fratello fuori, ma deve essere dall’altro lato perché non lo vedo. Lo percepisco molto triste e abbattuto… di nuovo vorrei raggiungerlo, consolarlo, ma non capisco se sia il caso. E’ così difficile muoversi tra i sentimenti…

“Secondo me lo è, il caso, intendo!”

La voce di Milo mi fa prendere un sobbalzo. Mi volto, ritrovandomelo vicino con un leggero sorriso stampato in faccia. Non parlo ma lui capisce tutto dalla mia espressione perplessa.

“Ti stavi chiedendo se fosse il caso di raggiungere tuo fratello per vedere come sta, giusto? Secondo me lo è...”

“I-io sì… ma non so se lui avrebbe piacere, è… difficile da raggiungere quando è così!” bofonchio, osservando il mio riflesso sul vetro.

“Lo so, hai ragione… ma, vedi, sei l’unica persona con la quale, penso, accetterebbe di condividere un simile fardello...”

“Milo...

“Ne sono più che sicuro!”

“Non sarebbe meglio… se ci andassi tu, il suo migliore amico?”

“Se vado io appendo anche lui al muro, ribadendogli che, se gli manca tanto il suo Hyoga, che vada personalmente a riprenderlo, invece che stare qui e limitarsi a cercarlo con il suo cosmo… quindi no, non sono la migliore scelta in questo caso, penso tu sia molto più avveduta di me, sai come raggiungerlo, ovunque lui cerchi di nascondersi”

Sorrido, mormorando un grazie per poi azionarmi, accomiatandomi dall’allegro cicaleccio delle mie amiche, che hanno preso a parlare di tutt’altro per risollevarsi il morale, per dirigermi in corridoio.

Esco, lasciando volutamente la giacchetta all’interno per cercare di avvezzarmi al freddo, subito vengo investita da un vento impetuoso e rigido proveniente da Nord ma cerco comunque di resistere. Le temperature si sono notevolmente abbassate in questo dicembre, chissà se ci farà davvero visita la dama bianca prima di Natale, sarebbe bellissimo trascorrere questa festività tutti insieme sotto il vischio mentre fuori nevica. Sorrido tra me e me al pensare a quanti addobbi abbiamo comprato oggi, ne riempiremo l’undicesima tempio e non ne vedo l’ora!

Svolto alla destra di una colonna dorica, percorro in linea retta il sagrato che sta appena fuori dalla Casa dell’Acquario e finalmente lo vedo, nel retro, sta guardando la volta celeste sopra di lui, una mano stretta a pugno e l’altra lungo il fianco. Non vedo il suo volto e la sua stessa espressione mi è oscura, ma riesco bene ad immaginarla, così come le sue emozioni. E capisco, una volta di più, cosa -chi- sta cercando, nel tentativo di abbracciare con il proprio cosmo quello del suo allievo, che lui sente così distante. E’ ancora in pena per lui, e preoccupato da morire per le sue condizioni, anche se, al solito, cerca di nasconderlo a noi.

“Perché… non rispondi, Hyoga? Non riesci ancora a… perdonarmi? Mi manchi così tanto, piccolo… sei almeno al sicuro? Ti stai… rimettendo?” si domanda, tremando consistentemente.

“Camus...”

Lui sente la mia voce, sussulta appena, non aspettandoselo, prima di girarsi e osservarmi. La piega delle sue labbra non è lieta, gli occhi, al di là dell’oscurità che ci circonda, sono comunque rabbuiati.

“Marta… - mi chiama, arrochito, tentando di sorridermi, prima di avvicinarsi a me – Perdonatemi, vi ho fatto preoccupare? In effetti è da un po’ che sono qui fuori, non… non me ne ero accorto!”

Mi approccio a mia volta a lui, fermandomi davanti a poca distanza, acciuffo il suo sguardo, prima di parlare: “Stai tranquillo, Cam, sai bene quando forte sia il tuo Hyoga, si starà sicuramente rimettendo, solo per questo non risponde al tuo richiamo!”

Lo vedo mettersi un poco sulla difensiva, forse non aspettandosi una mia osservazione così diretta e che carpisca la sua essenza più profonda, ma poco dopo se la scrolla via, regalandomi un sorriso affettuoso e una carezza tra i capelli.

“S-sì, lo so, piccola… è molto forte e caparbio il mio… il mio ragazzo”

Mi crogiolo ne suo tocco, prima di farmi seria, desiderando continuare il discorso: “Ma sei comunque in pena per lui...”

“Moltissimo… - ammette, rauco, tornando poi a darmi la schiena e fissare il cielo – E’ rimasto gravemente ferito durante lo scontro contro Utopo e… e non è più tornato a casa, non… non si lascia nemmeno sfiorare dal mio cosmo”

“Però è comunque sotto cura in Giappone! L’importante è che si ristabilisca completamente!”

“...”

Capisco che gli deve pesare il fatto che non sia qui, che non abbia scelto di curarsi qui, al tempio che spetta anche a lui. Se poi ci aggiungiamo il discorso che mi ha fatto oggi Camus, su Atena, sui suoi dubbi e sul suo rapporto difficile con la dea, è come sparare sulla Croce Rossa.

E tuttavia non si sfoga, questo testone, rimane chiuso sulle sue, non si esprime neppure, le parole gliele devo cavare io. Che pazienza, davvero!

“Cam, c’è dell’altro, oltre a quello che mi hai detto oggi su Atena?”

“Cosa ci dovrebbe essere?”

“Non è solo preoccupazione, la tua, vi è anche… fastidio!”

“...”

Continua a fissare il vuoto, dandomi le spalle, mi affianco a lui, esitando un attimo, indecisa se continuare o meno, ma la sua espressione non sembra ostile, solo triste e un po’ rassegnata. Mi faccio forza e insisto.

“Forse lo vorresti qui, con te, non… là!”

“Perché dovrebbe farsi curare là, quando la sua casa è qui? - mi risponde alla domanda con un’altra domanda – I-io... se escludiamo i primi giorni in cui mi hanno dovuto monitorare, avrei… avrei potuto aiutarlo, curarlo, o, se non io, Shion e gli altri compagni Cavalieri d’Oro, che bisogno c’era di… di allontanarsi ancora?!”

“E’ perché si sente tutt’ora inadeguato” gli ripeto, sospirando.

“Mi ha… salvato la vita, Marta, se non fosse intervenuto, Michela ed io… - trema nel pronunciare la frase, stringe forte il pugno destro, il suo corpo vibra, per un solo istante provo la paura intensa che crolli a terra, ma riesce a trattenersi, allontanandosi un poco da me – scusami per tediarti con questi discorsi!”

“Non mi tedi, fratellino, solo che… vorrei poter fare di più, per voi!”

“Mi ascolti, mi sostieni… è già tantissimo, Marta, e...”

Percepisco vorrebbe continuare, si è voltato nuovamente verso di me, mi guarda, la sua mano sinistra si è istintivamente posata sul ventre, se lo massaggia. So che vorrebbe parlarmi di quello che ha passato, di come si sia sentito, di quanto dolore abbia patito ancora una volta, ma è frenato, ed è la sua stessa natura a farlo trattenere così. Non riesce a sciogliersi, non vuole apparire fragile al mio cospetto e, d’altro canto, neanche io sono stata totalmente cristallina con lui, non riferendogli che io, in fondo, so già cosa abbia passato, come si sia sentito, perché l’ho patito sul mio stesso corpo.

Di nuovo una situazione di stallo, l’ennesima. Non sembra potersi risolvere questa volta. Fortuna vuole che una sferzata gelida di vento mi investa in pieno, facendomi rabbrividire. Sono costretta a trattenermi il peplo con le mani per evitare che svolazzi troppo, ritrovandomi a tremare come una foglia. Di nuovo. Proprio adesso. Non ci voleva!

“Un po’ troppo audace, forse, uscire senza felpa ad inizio dicembre, non trovi?” mi chiede lui, sereno, avvicinandosi a me.

“S-sto b-benissimo, sono u-una g-guerriera dei g-g-ghiacci!” cerco di darmi un tono, arrossendo di netto per aver manifestato una simile debolezza davanti a lui.

Lo sento ridacchiare tiepidamente, portando il mio sguardo ad alzarsi nella sua direzione. Lo vedo disfarsi della sua felpa e, prima di poter obiettare, me la mette sulle spalle, indicandomi di tenermela indosso. Così faccio anche se ci ballo dentro. Di nuovo mi sento un microbo a suo confronto e, di nuovo, provo una sensazione agrodolce al riguardo. Cioè… non arrivo neanche alle maniche, che vergogna!

“Lo sei, sì, ma non strafare, i risultati si ottengono a piccoli passi” mi consiglia, prima di portarmi contro di sé con un braccio e massaggiarmi le spalle per riscaldarmi.

Mi ritrovo così contro di lui, il suo corpo caldo, ancora più caldo del normale, soprattutto nella zona addominale. Mi appoggio a fatica alla sua spalla, appurando ancora una volta di quanto sia molto più alto e possente di me, di quanto mi sovrasti, non solo in altezza, ma anche come capacità muscolare. D’accordo, lui è un maschio, io sono una femmina, ma siamo comunque fratelli, dovrei essere a mia volta una spilungona, e invece non arrivo neanche ad 1 metro e 70, semplicemente scompaio a suo confronto. Mi sento quasi una bambina, non mi piace… ma mi piace… non lo so nemmeno io, uffi. E’ così agrodolce questa sensazione! Vorrei essere alla sua altezza, forte e atletica, capace di proteggerlo e aiutarlo, eppure sono io a sentirmi protetta quando mia abbraccia. Sono io a sentirmi rassicurata, sempre e comunque, soprattutto dopo i fatti del 1741 che lo hanno fatto aprire così tanto nei miei confronti.

“Volevo… dimostrarti i miei passi avanti, Cam, farti vedere che… che resisto a simili temperature, ma...”

“E per dimostrarlo vuoi rischiare di prenderti un malanno? Lasciami dire che sei un po’ una tordella, visto che ti piacciono le similitudini con i volatili”

Gonfio le gote, sentendomi indignata, mi stacco leggermente da lui, per fargli capire che non sono affatto contenta del paragone: “Non sono una… questa è cattiva, Cam!”

“Allora una torda bottaccia!” rincara la dose lui, sempre ridacchiando, finalmente sereno.

“Che male c’è, a voler essere come te?! A cercare di diventare forte, per te?!” mi oppongo, offesa, mentre il mio cervello parte per la tangenziale nel cercare nome di uccelli da usare come insulto, ma Camus mi sorprende ancora una volta, mi stringe più forte a sé, scrollando leggermente il capo.

Ciò prosciuga tutta la mia voglia di battibeccare.

“Nulla… non c’è nulla di male, Marta!” mi sussurra, rilassandosi tra le mie braccia, quasi appoggiandosi a me, la testa leggermente reclinata contro la mia.

“Fratellino...”

Allora anche tu ti sostieni a me, anche se sono così piccola e insignificante, a tuo confronto… anche se non riesco nemmeno a reggere una temperatura di 2 gradi celsius senza dovermi coprire con una felpa. Ti sorreggi a me, e quando sei così mi appari forte e fragile come nessun altro.

Gli massaggio a mia volta la schiena, rilassandomi completamente al suo abbraccio, lui fa altrettanto, lo sento respirare con più regolarità. Vorrei che si sentisse tranquillo, con me, vorrei aiutarlo ad esprimere ciò che sente, come quella volta in Siberia, quando mi ha aperto il suo cuore e si è lasciato andare completamente.

“Camus?”

“Mmmh?”

“Il tuo Hyoga tornerà più forte di prima, riuscirete a chiarirvi, voi due, non hai di che temere!”

“Lo spero… tanto… Marta!”

“E… va bene così, per me… - esito, titubante, in vistosa difficoltà a trovare le parole – Va bene così se… se non te la senti di raccontarmi della tua battaglia contro Utopo”

Sussulta, come temevo, inizia a tremare con forza, spaventato, ciò mi spinge ad aumentare la stretta su di lui per fargli capire che ci sono e ci sarò sempre, anche se non se la sente di dirmelo.

“Va bene così – ribadisco, gli occhi lucidi – Vorrei solo… che stessi bene. Sai, ora che mi stai abbracciando in questo modo lo percepisco molto di più il calore innaturale del tuo addome, deve essere una sensazione terribile!”

“Marta… - Camus si raddrizza per osservarmi un poco accigliato. E’ impallidito di molto – QUANTO hai subito sulla tua pelle di quello che mi…. mi ha fatto?”

E’ sospettoso… come pensavo non se l’è bevuta, anche se ho cercato di essere convincente, e adesso mi osserva quasi con rabbia mista a preoccupazione. Devo essere più avveduta da ora in poi, e non commettere più passi falsi.

“Può darsi… - mi affretto a ripiegare, gli occhi tristi – Che qualcuno mi abbia accennato qualcosa senza che per forza abbia percepito il tuo dolore!” mi piace ancora meno spostare l’ago della bilancia su questo ‘qualcuno’, ma non ho altro modo per uscirne da qui senza rivelargli che, sì, io ho percepito praticamente tutto del suo dolore, almeno da quando è tornato in questa dimensione, ed è stato tremendo.

Vedo uno strano luccichio passargli negli occhi, sbuffa sonoramente, dando a me occasione di fare due passi indietro, perché lo avverto estenuato e, quando ciò accade, la sua reazione non può che essere forte.

“Se Milo imparasse a farsi i cazzi suoi, di tanto in tanto, ne gioveremmo tutti!” commenta, dandomi le spalle per celarsi. E’ arrabbiato, ma non fuggirò!

“Non è solo lui, Cam, sono tutti preoccupati per te non meno che per Hyoga!” esclamo, alzando un poco il tono.

“Non devono… sto bene, ora!”

A me non sembra proprio stia bene, devo fingere ancora una volta di crederci?! La sua pancia è bollente, solo ieri ho visto che la ferita spurga ancora e lui mi racconta la solita cantilena che è tutto apposto. Stringo a mia volta i pugni, cercando di calmarmi. Milo mi ha affidato ancora una volta il suo migliore amico, perché dice che io sono in grado di raggiungerlo anche in simili circostanze, non posso deluderlo.

“E’ normale preoccuparci per te, non trovi? In questi mesi il legame fra tutti noi si è molto rafforzato. Viviamo sotto lo stesso tetto, rischiamo la vita insieme e, tra cadute e crisi, abbiamo imparato a conoscerci... - tento di spiegargli, ben sapendo di avere a che fare con un cocciuto – Ormai siamo indispensabili gli uni per gli altri!”

“Marta...” si è un poco girato verso di me, mi studia di profilo, io non posso fare a meno di abbassare lo sguardo.

Anche io gli sto mentendo, di fatto. E’ difficile dire queste belle paroline quando gli sto volutamente celando che percepisco tutto di lui, per non parlare che prendo lezioni da Mantus -se lo venisse a sapere ammazzerebbe me e lui!- e che ho visto Isaac in quella specie di breccia. Di tutti questi segreti l’unico che sto serbando in me, per il suo reale bene, è quello dell’allievo perduto per paura che ci possa soffrire di più, cosa posso dire delle altre due cose? No, sono davvero un verme, ma… devo!

“Dopo i fatti accaduti nel 1741, Milo ed io ci siamo fatti una promessa: non saresti mai più rimasto da solo!”

“...”

“Cam, sai... la tua pancia in questi giorni è molto più calda del normale, è possibile accorgersene anche se ti sto a pochi centimetri di distanza, ma quando mi abbracci, la sento proprio bruciare contro di me… come fai a sopportarlo?”

“Riesco a compensare in parte con il mio gelo ora… prima era peggio!”

“Ed io ti sto dicendo che mi va bene se non te la senti di parlarne, lo capisco, ma non ti meravigliare se siamo tutti un po’ preoccupati per te. Siamo… una famiglia!” dico quest’ultima frase rialzando lo sguardo per stagliarlo nei suoi occhi blu che vedo rischiarati appena.

Esita per qualche attimo, prima di avanzare verso di me e riavvicinarsi anche se un poco più titubante: “So che vi preoccupate per me e… siamo una famiglia, sì, è che non vorrei mai mostrarmi così… così...”

“Debole?”

“Debole, sì...”

“Non lo sei, Cam, quando ti convincerai di questo?!”

“Ma quello che mi ha fatto Utopo e F-Fei Oz p-prima di l...” non riesce ad andare avanti, strizza sofferente le palpebre, spingendo me a prendergli la mano nella paura che precipiti nella voragine.

“Va bene se non te la senti di dirmelo, te l’ho già detto, vorrei solo… che stessi finalmente bene!” lo rassicuro, con un sospiro, mentre il mio sguardo si sofferma dolente sul suo addome.

“Sono un uomo, Marta, non...”

“...Non ti dovrebbero accadere queste cose, secondo la tua logica?”

Di nuovo annuisce, continua a serrare gli occhi davanti a me e a tremare, in piena crisi post-traumatica per tutto quello che ha vissuto in quest’ultimo anno. Comprendo una volta di più che gli fa solo male tirare fuori questo discorso con me.

“Cam, ho detto che va bene, se non ne parli, stai tranquillo...” gli dico, modulando la voce, posando la fronte contro il suo petto. Lui, d’istinto, mi agguanta, tenendomi contro di sé ancora una volta.

“Non è per mancanza di fiducia che non riesco a parlartene, piccola mia...”

“So anche questo, Cam...”

“Sei il mio rifugio… ma questa via buia in cui io mi sono trovato contro la mia volontà… non permetterò che ghermisca anche te, né nessuno di voi!”

Gli vorrei dire che per noi è lo stesso, che non è solo lui a desiderare di proteggerci, e che, in qualche modo, lo strapperemo da quegli esseri, da quelle ombre che non lo fanno dormire la notte e che gli hanno fatto così tanto male, ma capisco che non è questo il momento per trattare l’argomento concernente Tiamat e il potere che ne è derivato della Creazione, perché...

“Cam, hai bisogno di stare un po’ da solo adesso, vero?” gli chiedo, comprensiva.

“E-ecco, io… credo di sì. Non volermene, ma...”

“Va bene! - gli sorrido con naturalezza, staccandomi da lui prima di osservarlo con affetto – Ma non stare tantissimo, se puoi, non hai più una felpa e la torta rischia di volatilizzarsi nel nulla con Milo nei paraggi!” gli faccio l’occhiolino, indicandogli l’indumento.

“Quante fette ha già mangiato?!”

“Tre… ma da quando me ne sono andata non escludo abbia ceduto alla quarta"

“L’ho fatta per il compleanno di Francesca, non per il suo!” afferma, ridacchiando comunque tra sé e sé.

“Per questo mi sono raccomandata di non fare tardissimo!” ammicco, strofinandomi la guancia.

“Certo, cinque minuti e sono da voi, promesso!”

Annuisco con forza, faccio per andarmene ma poi mi ricordo che gli devo dire ancora una cosa, gli tocco il polso, quello che tiene il bracciale che gli ho regalato.

“Devi dirmi ancora qualcosa?” mi chiede, indovinando la richiesta dietro il mio sguardo.

“Sì… volevo ringraziarti per avermi parlato dei tuoi dubbi su Atena oggi pomeriggio, per avermi raccontato parte del tuo vissuto e… per esserti confidato con me!”

“Piccola...” i suoi occhi sono percorsi da una luce accattivante ora.

“E’ molto importante per me, il tuo passato, quello che… siamo stati costretti a vivere lontani, mi sembra quasi di… di non averti mai… perduto, ecco… per cui grazie davvero!” affermo ancora, un poco rattristata, ricordandomi invece di come Dègel ed io siamo invece cresciuti insieme, per poi perderci comunque, per i nostri doveri, ma…

Mi pizzicano gli occhi, mentre una fitta al petto mi percuote, ma la carezza che mi regala mio fratello tra i capelli riesce da sola, ancora una volta, a raddrizzare tutto e scacciare via la malinconia.

“Vale anche per me, questo… se vorrai raccontarmi qualcosa di te, e...”

“Camus?” lo chiamo, allarmata, notando che anche i suoi occhi sono molto lucidi, l’espressione quasi spezzata e… distante.

“Va tutto bene, vai pure… tra poco arrivo anche io!” mi dice, dandomi la schiena e allontanandosi di qualche passo, preda di un qualcosa che non riesco bene a comprendere.

 

 

* * *

 

 

 

6 dicembre 2011, notte

 

 

Prima, ho sentito qualcos’altro incrinarsi dentro Camus, anche se non riesco bene a capire che cosa fosse… non era la sola preoccupazione per Hyoga, né gli incubi che spietatamente rivive ogni notte. Aveva tutt’altra origine, questo l’ho percepito, ma non sono riuscita ad andare oltre, come se qualcuno interferisse nel processo tra me e lui. Che sia stata Tiamat, ormai risvegliata? E, se sì, perché? E’ tutto il dormiveglia che penso a questo, inframezzato da immagini diverse, desideri e sogni, ma non riesco comunque a trovare una risposta certa così svuotata come mi sento adesso.

Nello stato di assopimento in cui sono, preda di una stanchezza sempre più infida e del tutto inspiegabile, stante la giornata di svago, odo appena il cigolare della porta di camera mia, seguito da alcuni passi in avvicinamento.

Pasteggio con la bocca, sprofondando ancora di più nel cuscino nel tentativo di recuperare il filo conduttore dei miei pensieri. Poco dopo, qualcuno si siede al bordo del letto, sento le molle tintinnare per la pressione, per poi piegarsi verso di me e posarmi le labbra sulla fronte. Un profumo di pulito e freschezza mi inebria le radici, non avrei bisogno di aprire gli occhi per capire di chi si tratti, ma lo faccio comunque, ricordandomi che, prima di cadere addormentata, ho lasciato la lampada accesa.

“Fratellino...”

“Scusami, non volevo svegliarti, pensavo stessi già dormendo profondamente” mi dice lui con dolcezza, nello stesso momento in cui io, con non poca difficoltà, riapro gli occhi.

La debole luce della stanza lo rischiara, indossa la solita canottiera con cui dorme, ma non sembra stropicciata come quando si alza dal letto, quindi è rimasto sveglio. Gli sorrido, ricambiata.

“Sognavo, Cam...”

E pensavo… ma questo non te lo posso dire.

“Qualcosa di bello?”

“Moltissimo… - annuisco, mentre cerco di estrarre il braccio da sotto le coperte, non riuscendoci, come se mi mancassero le forze, ma sono troppo rintronata per soffermarmici – E-era una giornata q-quasi ordinaria, tra me e te, come quella appena trascorsa” provo a spiegargli, sempre costringendomi a guardarlo, sebbene mi cali la palpebra.

Lui fa un cenno con la testa, sereno a sua volta, poi, capendo il mio desiderio, mi estrae lui stesso il braccio, posizionandolo sopra le coperte, mentre, con dolcezza, mi tiene la mano, un po’ come faceva Dégel a suo tempo.

“E’ stato molto bello, oggi...” dice, gli occhi luminosi, mentre continua a tracciare il suo percorso sul mio braccio. Ha un tocco quasi magico, dolce e delicato al tempo stesso, mi sento cullata.

“A-anche per me, Cam, v-vorrei… vorrei trascorrere altre giornata così con te, con le ragazze, con tutti voi… s-sembrava tutto un sogno, sembravamo quasi delle persone normali!”

“Marta...”

“Mi manca… il tempo che ci è stato strappato, quello che avremo potuto fare, come due fratelli normali, mi manca tantissimo!” insisto, con urgenza, agitata nel sentirmi quasi svenire.

“Lo so, piccola… credimi, ma il tempo è spietato e non si può tornare indietro...”

“Ma si può fare qualcosa adesso, vero?” ultimo la frase per lui, sforzandomi di rimanere vigile.

“Quello sì, assolutamente!”

“E lo… rifaremo, Cam? Trascorreremo altre giornate… ordinarie?”

“Certo, te l’ho promesso giusto ieri che avremo comunque occasione di formare i nostri ricordi insieme!” mi tranquillizza, continuando sempre a massaggiarmi il braccio.

“C-ci conto, eh!”

In verità vorrei dire di più, molto di più, mi fa star bene parlare con lui, percepirlo, sentire le sue dita di velluto sulla mia pelle. Mi fa sentire… protetta, m-ma… ma…

Cosa è che stavo pensando nitidamente?! Perché la percezione sul mio corpo è sempre più… labile? Mi sento la bocca sempre più impastata, quasi atrofizzata, le palpebre non riescono a rimanere aperte, le avverto troppo pesanti, anche i suoni mi giungono ovattati.

Al pensiero di star cedendo così, l’unica parte ancora vigile del mio cervello, da come un imput, accelerando di riflesso il mio respiro. Fortunatamente è di nuovo la mano di Camus, ora posata sulla mia testa e intenta ad accarezzarmela, a calmarmi: mio fratello è qui, sono con lui, non può succedermi niente, non devo provare questa paura insensata.

“Stai tranquilla… puoi permetterti di cedere alla stanchezza, anche se so che non ti piace, ci sono io con te!” mi rassicura infatti, in una particolare sfumatura dolce che mi ricorda ancora una volta Dégel.

“Ca-mus, r-rimarrai un po’ qui?”

“Sì finché non prenderai sonno, e anche un po’ oltre!” mi rassicura, scostandomi alcuni ciuffi dalla fronte

Mollo quindi gli ormeggi, lasciandomi andare, guidata dal suo odore fresco e un poco selvatico, anche se sta diventando sempre meno forte, sempre più… sfumato… così come il suo contatto che, pur percependolo vicino, lo avverto sempre meno.

E tuttavia mi sento tranquilla e fiduciosa, forse non dovrei, perché è lampante che mi stia succedendo qualcosa, ma… cosa?

“Marta...”

Faccio sempre più fatica ad ascoltarlo, ma percepisco il suo cosmo, la sua vicinanza. Sto bene!

“D-dimmi, C-Cam...”

“Qualunque cosa succeda domani… - inizia, un poco titubante, consegnandomi una sensazione di straniamento. Domani. Cosa deve succedere?! - So per certo che tu e le altre reagirete nel migliore dei modi. Mi riempite il cuore di orgoglio ogni giorno di più. Siete la mia famiglia, il mio sostegno, la mia forza… so che saprete cavarvela, in qualsiasi circostanza, lo credo fermamente!” mi sussurra, emozionato, sistemandomi meglio il volto sul cuscino.

“P-perché...”

“Siate forti e agite in sinergia… ognuna di voi è in grado di compensare le carenze delle altre, esattamente come facevate in Valbrevenna anche con Stevin contro il gruppo di bulletti del paese di Mareta...”

...Perché… come sai questo, fratellino? Perché me lo stai dicendo adesso, come se cercassi di avvisarmi da… da che cosa?!

“Ora addormentati, ma bichette, andrà tutto bene!”

Sì, ho davvero tanto sonno, Cam, scusami se crollo così, non mi stuferei mai di parlarti, ma… ma sono così tanto stanca che...

Non riesco più a percepire nient’altro intorno a me, solo un immenso calore che mi fa scivolare ancora di più verso l’oblio dei sensi.

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Secondo i miei fantasmagorici progetti, avrei dovuto arrivare a Natale molto più avanti di così, con le storie, ma complice anche il nuovo lavoro a tempo pieno, mi ritrovo oggi, 26 dicembre 2021, a riuscire a pubblicare solo questo. Spero comunque di trovare il tempo per continuare a scrivere, anche perché ultimamente mi sono un po’ frenata.

Questo è il secondo dei due capitoli di transizione, con il prossimo entreremo nuovamente nel clou, ma, prima del prossimo, dovrei aggiornare le “Petit Cygne” e “I 5 Pilastri di Marduk”, per cui temo dovrete attendere un po’.

Su per giù, non ho molto da dire su questo paragrafo che spero non risulti troppo noioso (un po’ di stacco ci voleva, spero di aver reso abbastanza bene la pseudo quotidianità!), è, appunto, una giornata ordinaria a tema natalizio in cui sono venuti fuori argomenti che comunque mi premevano alquanto, come il rapporto tra Camus e Atena, il chiarimento tra Stevin e Marta e il timore per Hyoga, rimasto isolato da tutto e tutti… pare…

Ho voluto inoltre aggiungere un ricordo di Seraphina (capiterà soventemente) visto che ormai le due ragazze sono un tutt’uno e quindi i pensieri di una si confondono con l’altra e viceversa. Nel manga è lampante che Seraphina sia più grande di Dègel, e tuttavia secondo me non hanno che 3-4 anni di differenza, nonostante nel flashback che compare ad Atlantide, lei sembri quasi del tutto formata -del resto le donne maturano molto prima!- e i due pargoli (Dégel e Unity) sembrino ancora piuttosto piccini. Alla fine ho optato per stabilire la differenza a soli 3 anni, anche perché nel gaiden di Dégel in cui si rivedono entrambi, viene limpidamente detto che il Cavaliere di Aquarius ha 17 anni, quindi lei, presumo, dovrebbe essere sui 20 -e poco dopo, almeno nel piano della mia storia, ci sarà anche la loro prima volta, ihi!-

Bemus, in greco, significa “buon commerciante”, questa è la ragione della scelta del nome.

Che dite, Camus così festaiolo stona un po’ con il personaggio originale?! Ma dopo tutto quello che ha vissuto (ricordiamoci che soffre di sindrome post-traumatica!) secondo me ci sta un cambiamento simile. E’ sicuramente molto più aperto dell’originale, per fare un raffronto vi basta vedere come lo rendo ne “Le petit cygne”, ma mi piace molto come stia crescendo anche lui, non solo le ragazze. :)

Ah, dimenticavo, se alcune cose non le capite subito, come per esempio, nell’ultimo pezzo, il fatto che Camus riporti alla memoria di Marta un suo ricordo strettamente intimo, che lui non dovrebbe conoscere, rammentate che “I 5 pilastri di Marduk” hanno ancora molto da svelare, quindi non preoccupatevi, tutto sarà chiarito con i tempi giusti.

A presto, mi auguro! :)

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