Il Drago

di Storytime_Love
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Thornvalley High - 1.1 ***
Capitolo 2: *** Thornvalley High 1.2 ***
Capitolo 3: *** Thornvalley High - 1.3 ***
Capitolo 4: *** Together Again 2.1 ***
Capitolo 5: *** Together Again 2.2 ***
Capitolo 6: *** Fight! 3.1 ***
Capitolo 7: *** Fight 3.2 ***
Capitolo 8: *** Fight! - 3.3 ***
Capitolo 9: *** Just another day 4 ***
Capitolo 10: *** Letter trouble 5 ***
Capitolo 11: *** Trial 6.1 ***
Capitolo 12: *** Trial 6.2 ***
Capitolo 13: *** Il ritorno di Camille 7.1 ***
Capitolo 14: *** Il ritorno di Camille 7.2 ***
Capitolo 15: *** Family 8 ***
Capitolo 16: *** Talk Show - The End ***



Capitolo 1
*** Thornvalley High - 1.1 ***


Thornvalley High - part 1

Suo padre, Robert Lightwod, era un militare dell'esercito. A causa dei suoi continui spostamenti la famiglia aveva dovuto cambiare città ogni uno, massimo due, anni. Ora finalmente Robert aveva accettato un lavoro d'ufficio e questa volta si erano trasferiti per restare. Non che i sobborghi di Louisville fossero un granché... Sua madre, ormai abituata, aveva organizzato tutto in tempi da record.
Max era iscritto alla scuola elementare, mentre lui, Izzy e Jace erano finiti alla Thornvalley High, i due ragazzi frequentavano il penultimo anno, Isabelle il secondo.

La Thornvalley High School era esattamente uguale a tutte le altre scuole che aveva frequentato. Stessi corridoi dipinti di beige fino a metà altezza, stessi armadietti di metallo grigio-verde, stessi gruppi di ragazzi.
C'erano i popolari: ragazzi sicuri di sé, muscolosi, con la battuta pronte e ragazze magre, sinuose con lunghi capelli ondulati e trucco perfetto in ogni occasione. Le loro feste si tenevano in ville con piscina, girava birra a volontà e a volte anche altro. Suo fratello Jace, biondo, spallato e decisamente avvenente - si era seduto al loro tavolo già il primo giorno, con la spavalderia di chi sa di appartenere e non permette a nessuno di metterlo in dubbio.
C'erano i tipi tosti: giubbotti in pelle, jeans strappati, tatuaggi e motociclette. Sua sorella, a soli quindici anni era già al centro del gruppo. D'altronde era comprensibile, Isabelle, con i suoi lunghi capelli neri, movenze sinuose e commenti taglienti era bellissima. Oggi indossava jeggings neri, stivaletti con un vertiginoso tacco rosso come le sue labbra, top rosso che le lasciava scoperto l'ombelico e l'inseparabile giubbotto nero con le borchie. Loro alternavano locali fumosi con musica tecno sparata a livelli assordanti a Irish pub con biliardo e birra.
Poi c'erano i gruppi alternativi, dark, punk, hippies e i nerd. Cosa facessero per divertirsi, non ne aveva idea.
E infine la gente normale, banale a cui nessuno prestava attenzione. La gente come lui. Che veniva invitata alle feste solo raramente, e solo se conosceva qualcuno.

Appoggiato al muro, accanto alla fila degli armadietti Alec guardava il via vai di studenti, aspettando che suonasse la campanella che poneva fine all'intervallo. Fu allora che li vide passare: l'unico gruppo che altrove non esisteva, la corte dorata. Capeggiati da un re e una regina, la corte dei dorati contava non più di una ventina di membri. Erano ragazzi e ragazze fuori da ogni categoria, con abiti sgargianti ed eccentrici ma sempre provocatori, capelli spesso colorati e più gioielli di quanti se ne potessero contare. Avevano fascino, intelligenza e magnetismo. Da quello che gli avevano raccontato i fratelli, i dorati davano le feste più esclusive nei locali più alla moda, feste a invito, con buttafuori, cocktail dai nomi esotici, dj famosi e ospiti vip. A volte, quando il Re lo decideva, si univano ai divertimenti degli altri gruppi. Arrivavano senza un motivo apparente, la loro sola presenza rendeva una festa comune un evento da raccontare.
Più Alec ne sentiva parlare meno gli interessavano, un altro mondo, un'altra vita, palloni gonfiati che si beavano del loro potere e della loro bellezza. Niente a che fare con lui.

Poi l'aveva visto. Il Re camminava davanti al gruppo, con le braccia sulla spalle di due ragazze che, oggettivamente, dovevano essere fantastiche. Pelle ambrata, occhi allungati resi ancora più penetrati dall'eyeliner e l'ombretto glitterato, il ragazzo indossava un bomber d'oro, aperto davanti che lasciava vedere la camicia nera semitrasparente sbottonata fin quasi alla vita e le innumerevoli collane di varie lunghezze. I pantaloni di pelle nera parevano cuciti addosso, l'acconciatura alla moicana con un ciuffo dorato gli stava una meraviglia. Alec non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, quello non era un re, era un drago: magico, splendente, fiero, misterioso e inavvicinabile. Al solo vederlo sentì una tensione al petto e un imbarazzante calore al basso ventre. Pochi secondi dopo il gruppo era svanito dietro l'angolo e Alec avvertì un inspiegabile senso di perdita.

La sera, a cena, mentre ascoltava Max raccontare dei compagni con cui aveva fatto amicizia e chiedere alla mamma il permesso per andare allo skate park il pomeriggio seguente Alec si trovò, a ripensare al drago. Era bello da mozzare il fiato, il fatto che fosse etero non era un vero problema: era talmente al di fuori della sua portata che era come fantasticare su un divo del cinema.
La sessualità di Alec era un segreto gelosamente custodito, nessuno sapeva che fosse gay, nemmeno Jace. Il ragazzo biondo non era veramente suo fratello: figlio di Stephen Herondale, il miglior amico del padre, i Lightwood lo avevano accolto in casa a tre anni, quando i suoi genitori erano rimasti uccisi in un attentato in Afghanistan. I due ragazzi erano cresciuti insieme e, nonostante le differenze di carattere, erano più uniti di molti fratelli naturali, si dicevano tutto. O quasi. Alec non poteva rischiare di vedere disgusto o compassione negli occhi della persona che stimava di più, dell'unico che gli era sempre accanto, qualsiasi cosa accadesse.

Fu proprio Jace a notare che Alec aveva la testa altrove ma non disse niente, almeno finché non furono soli.
“Allora? Cosa ti è successo? Non ti ho mai visto così distratto”.
Alec avvampò e sviò subito il discorso. Era facile in questo periodo, bastava nominare una certa ragazza dai capelli rossi: “Niente, pensavo al compito di scienze di domani. Tu invece, hai fatto progressi con la tua bella?”
“Clary, si chiama Clary, e non è bella, è stupenda. Dolce, spiritosa, decisa... e sì, oggi abbiamo mangiato insieme. E' un'artista sai? Mi ha fatto vedere alcuni schizzi, sono fantastici”.
“Ma se tu non riconosceresti un Van Gogh da un disegno di Max!” lo prese in giro Alec.
Jace gli tirò un pugno sul braccio e rispose per le rime: “Un'opera d'arte la riconosco sempre, ad esempio Clary... ”
“Sei vomitevolmente stucchevole, me ne vado a letto prima che mi venga il diabete!” rise Alec.

Era stupido, insensato e vagamente inquietante, eppure Alec non riuscì a trattenersi dal controllare in bacheca gli orari dei ragazzi dell'ultimo anno. Che materie poteva frequentare uno così? Sicuramente qualcosa di creativo, magari design. E poi? Inglese era alla seconda ora. Si appoggiò al muro come il giorno prima, mezzo nascosto dalla fila di attaccapanni. Uno stalker, ecco cosa stava diventando. Ma in fondo non gliene importava, doveva rivederlo, almeno per rendersi conto che il ricordo era esagerato, che lo aveva alimentato di fantasia: nessuno poteva essere così pieno di carisma, così... argh!
La corte uscì compatta dall'aula, il drago ancora una volta davanti a tutti, oggi chiacchierava con un ragazzo alto con i riccioli castani, vestito totalmente di verde. Alec si rese conto subito che il suo ricordo non era preciso: il drago era ancora più perfetto di come lo ricordava. Mentre parlava muoveva le mani inanellate come spire di un serpente. Erano il genere di mani che facevano venir voglia di sentirle sul proprio corpo... Alec distolse lo sguardo a forza. E fu un errore tremendo. Il drago aveva smesso di parlare e lo stava fissando, aveva occhi profondi come pozzi d'infinito e Alec voleva solo perdercisi dentro. E morire d'imbarazzo. Il ragazzo più grande sollevò l'angolo della bocca in un mezzo sorriso, gli occhi illuminati di ironia - o era divertimento? - gli fece un piccolo cenno con la testa e passò oltre.
Come si faceva a respirare? Ma in fondo, era davvero necessario?
Quando suonò la seconda campanella, quella che segnalava l'inizio della lezione successiva, Alec era ancora lì impalato, ed era anche in ritardo cosmico per lezione di fisica.

Passò una settimana, Alec si sentiva sempre più stupido, come una ragazzina di prima che corre dietro al suo idolo. Proprio lui, che era sempre prudente, riflessivo, la voce della coscienza di Jace e Izzy, si stava comportando da pazzo. Ma il drago, alias Magnus Bane, era come una droga. Grande Flagello... mai nome era più azzeccato. Ormai Alec aveva memorizzato tutti i suoi corsi e faceva in modo di incrociarlo, casualmente, almeno due o tre volte al giorno.

Spesso Alec passava gli intervalli con Jace e i suoi amici – il fratello lo portava con sé con una tale sicurezza, come se fosse scontato che anche lui sedesse con il gruppo, che nessuno diceva mai niente – ma durante le ore buche preferiva stare da solo. C'era un'aula al terzo piano che veniva usata un po' come magazzino, la mattina era inondata di luce e veramente tranquilla, perfetta per studiare o rilassarsi. Alec aprì la porta e si bloccò. Appoggiato all'unico banco, con una gamba su e l'altra a terra, c'era il drago. Se possibile la luce dietro le spalle lo rendeva ancora più affascinante. Indossava la camicia trasparente del primo giorno con sotto una canottiera con la scritta Sexy in paillettes dorate – come se ci fosse bisogno di ribadirlo! Due orecchini d'argento gli adornavano l'orecchio sinistro e...
“Scusa, io.. non sapevo ci fosse qualcuno... va-vado via subito” balbettò Alec. Fece un passo indietro, andò a sbattere contro la porta e tutti i libri che aveva in mano rovinarono a terra. Sentì le guance tingersi di porpora mentre cercava di raccattare tutti i fogli in meno tempo possibile.
Una risata calda come miele gli fece alzare lo sguardo. Magnus lo guardava, il che era ovvio dopo la figuraccia galattica, ma suo suo viso non c'era traccia di derisione, lo sguardo pareva quasi... dolce.
“Calma Alexander...” La voce era proprio come l'aveva immaginata, leggermente roca, sensuale, avvolgente.
“No io...”
“Sai perché sono qui?”
In effetti era strano: “Dovresti essere a matematica...” Cosa-aveva-appena-detto!? A quanto pare non c'è limite all'idiozia. Aveva praticamente ammesso di seguirlo, spiarlo...
Magnus alzò un sopracciglio e rise di nuovo. Mentre Alec cercava di scusarsi incasinando ancora di più la situazione il ragazzo saltò giù dal banco e gli si avvicinò. Senza staccare gli occhi dai suoi si chinò per mettergli un dito davanti alla sua bocca: “Sssh. Non c'è niente di cui vergognarsi. Non devi mai nascondere quello che sei, quello che vuoi”.
Alec non riusciva a formulare un pensiero coerente, era troppo vicino, troppo. Sentiva l'odore della sua pelle, sandalo, sole e cannella. E lui era ancora in ginocchio per via di quei dannati libri. In ginocchio davanti alla divinità. Quanto si può cadere in basso?
“Mi chiamano il re ma sono...”
“Un drago” sussurrò Alec senza volerlo.
Magnus inclinò la testa di lato e sorrise - serviva un porto d'armi per quel sorriso?: “Raccontami...”
“Io, no... è che sei...” Magico, incredibile, inarrivabile... Cosa poteva dire? Come poteva togliersi da quel pantano senza rendersi completamente ridicolo. Anche se in effetti per quello era tardi. “... unico”.
Magnus gli mise una mano sotto il mento: “Grazie, cucciolo”.
Poi il drago si avvicinò, le labbra sfiorarono le sue, un tocco lieve, veloce, come il battito d'ali di una farfalla.
Un momento dopo, come una creatura mitologica, non c'era più e Alec era solo, in ginocchio in mezzo ai suoi libri, a domandarsi se fosse tutto un sogno. Era incredibile che un ragazzo con cui non aveva mai parlato fosse anche l'unica persona al mondo che lo avesse compreso così completamente. Non c'è niente di cui vergognarsi. Non devi mai nascondere quello che sei

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Capitolo 2
*** Thornvalley High 1.2 ***


ThornValley - 1.2


Se ora Alec cercava in tutti i modi di evitare la corte, il destino pareva volersi beffare di lui. Girava l'angolo e quasi gli andava a sbattere contro, Jace lo convinceva ad andare a una festa, ed eccoli lì, scordava la maglietta negli spogliatoi e quasi gli veniva un infarto nel trovarsi davanti il drago a torso nudo... un torso splendidamente scolpito che lo avrebbe perseguitato nei sogni per giorni. E ogni volta Magnus gli lanciava uno sguardo complice, lo sguardo di chi condivide un segreto speciale.
Martedì era andato a rintanarsi nella solita aula, sicuro che questa volta sarebbe stato solo e invece... Magnus si era tolto le scarpe e sedeva a gambe incrociate sul tavolo, le cosce muscolose perfettamente delineate dai pantaloni neri con una fascia d'oro sul lato, il petto fasciato da una maglietta vinaccia con un profondo scollo a V., le collane scintillanti che si appoggiavano su quei pettorali da urlo.

“Alexander”.
Fu solo in quel momento che si rese conto che era la seconda volta che il drago lo chiamava per nome: “Come fai a sapere... ecco io non sono...” Discorso sconclusionato e assolutamente incomprensibile: complimenti Alec.
Ma Magnus aveva capito: “Se qualcosa mi interessa, faccio sempre modo di informarmi”.
Mentre Alec era impegnato ad arrossire Magnus batté un colpo sul tavolo accanto a sé: “Dai vieni, parlami un po' di te”.
Alec, in trappola come un coniglio abbagliato dai fari, non aveva potuto far altro che ubbidire. Parlare con Magnus era stranamente facile, ti guardava come se ogni parola fosse la più interessante che avesse mai sentito, si sporgeva in avanti ma stava attento a non fare troppe domande. Piano piano si trovò a raccontare dei mille traslochi, dei fratelli fantastici e sempre al centro dell'attenzione, dei commenti omofobi del padre...
“Ci sarà sempre qualcuno che non capirà Alexander, ma questo non deve fermarti. E' la tua vita, la tua felicità. Non puoi vivere una menzogna”.
Alec aveva scosso la testa: “Non puoi capire...”
Magnus aveva alzato il sopracciglio in quel modo così sexy che Alec aveva imparato a conoscere: “Non posso?”
“Ti ho visto con le ragazze, so della tua regina...”
“A volte mi dimentico quanto sei innocente. Davvero non sapevi che sono bisex?”
Alec era rimasto a bocca aperto. Non ci aveva nemmeno pensato, un ragazzo che ha una fidanzata è etero, punto. E invece, a quanto pare gli dei esistevano davvero. Non che questo gli desse qualche possibilità, ma almeno poteva sognare.
“Lascivo, ingordo, schiavo del sesso, infedele, disgustoso. Mi hanno detto di tutto Alexander quindi sì, ti capisco”.

L'appuntamento del martedì alla quarta ora era diventato quasi un rito, un momento che Alec aspettava tutta la settimana con trepidazione, tranne poi avvicinarsi all'aula con le farfalle nello stomaco e i palmi sudati. L'ultima volta Magnus aveva portato un pettine e il gel e aveva insistito affinché Alec si lasciasse sistemare i capelli. Lui si era ritratto ma il drago aveva un modo tutto suo di convincerlo a fare cose che mai avrebbe creduto possibili: si sedeva indietro e aspettava, limitandosi a guardarlo con quei meravigliosi occhi allungati, poi, quando Alec si era calmato, allungava una mano: “Vieni”. E Alec ubbidiva. Sempre. Quando la campanella aveva suonato, i capelli arruffati di Alec erano diventati un intrico di ciocche spettinate ad arte che, almeno a sentire Magnus, gli davano un aspetto molto più sexy. Quella parola, pronunciata dalla sua voce aveva un effetto devastante. Alec aveva dovuto chiudere gli occhi e deglutire forte, reazione che non era passata inosservata.
Alec non sapeva se erano amici o cosa, a parte quella singola ora settimanale non si vedevano mai, non si salutavano, niente, ma la vita era fantastica e lui se ne godeva ogni minuto.

Fu Isabelle a sganciare la bomba sulla via di casa: “Ehi ragazzi, avete saputo che domani torna la Regina?”
“Non vedo l'ora di vederla, dicono che sia veramente stupenda”. Replicò Jace, per poi rendersi conto che il commento poteva venir frainteso e aggiungere: “Ovviamente mai quanto Clary”.

Alec e Izzy si guardarono e presero ad abbracciarsi e mandarsi bacini finché Jace non lì colpì con lo zaino.
Nonostante fingesse indifferenza, l'arrivo della ragazza di Magnus lo aveva colpito come un pugno allo stomaco. Sapeva,come chiunque altro, che Camille Belcour stava frequentando un quadrimestre in Francia e che prima o poi sarebbe tornata ma era riuscito a relegare la nozione in un angolo sul fondo del cervello. E ora...
Camille era tutto ciò che Alec temeva, bellissima, provocante, altera, sicura di sé, una regina nata. A differenza di Magnus che accettava l'attenzione della corte con un sorriso ironico, Camille se ne beava, la pretendeva e se qualcuno non la trattava la dovuta deferenza sapeva vendicarsi con gelida precisione. Eppure Magnus sembrava non vedere questo lato del suo carattere, rideva delle sue battute, le teneva la mano intorno ai fianchi sottili, la baciava senza curarsi degli sguardi di studenti o professori...
Ogni tanto, quando si incrociavano, Magnus gli faceva ancora l'occhiolino, ma il più delle volte era troppo preso da Camille per notarlo. Per questo rimase così sorpreso quando quel martedì, entrando nell'aula del terzo piano, lo trovò ad attenderlo. Fino all'ultimo era stato indeciso se andarci o meno, Jace lo aveva invitato a prendere qualcosa da bere in caffetteria e lui aveva quasi accettato. Però quando aveva saputo che c'era anche Clary aveva inventato una scusa: se sei giù di morale l'ultima cosa di cui hai voglia è di fare il terzo incomodo con due neo-fidanzati. Quindi eccolo qui, pronto a deprimersi nella stanza che gli ricordava Magnus.
“Ehi Alexander, sei in ritardo, cos'è successo?”
Tanto per cambiare Alec aveva balbettato qualcosa di completamente fuori luogo e aveva potuto godersi la risata di Magnus. Il drago rideva spesso con gli amici, ma mai in maniera così spontanea, così libera, come quando erano soli.
Erano rimasti in silenzio per un po', Alec sapeva bene che Magnus stava aspettando lui, rispettando i suoi tempi. Si fece coraggio: “Dimmi di lei. Se ti va”.
“Camille... Lei è come la vedi: bella, intelligente, arrogante, affascinante. E' in grado di incantare chiunque quando lo vuole. E di spaventare anche l'uomo più coraggioso con uno sguardo. L'ho incontrata due anni fa, a una festa di ragazzi dell'ultimo anno. Erano tutti ai suoi piedi. Indossava un vestito nero, lungo, di velluto e pizzo, fra i capelli un diadema di un'altra epoca, le labbra scarlatte giocavano con i loro cuori...” Magnus si era perso nel ricordo e Alec desiderava solo essere altrove. Perché diamine glielo aveva chiesto?
“L'ho vista là in mezzo e ho deciso che doveva essere mia. Avevo sedici anni ma forse avrai notato che sono piuttosto bravo a ottenere quello che voglio”. Ancora quel dannato occhiolino, quello sguardo capace di spazzare via ogni malumore, ogni reticenza, ogni briciolo di amor proprio.
Alec si era arreso e aveva annuito, andava bene così, meglio essere l'amico con cui condivideva qualche flirt innocente che niente. Una scossa elettrica lo percorse quando il drago posò la mano sulla sua coscia, sentì un fuoco alla bocca dello stomaco anche se era un gesto casuale senza alcun intento, senza alcun secondo fine. O forse no. Magnus mosse il pollice leggermente verso l'alto e aspettò di vederlo arrossire. Gli piaceva, anzi adorava farlo eccitare e metterlo in imbarazzo e Alec ne era perfettamente consapevole, eppure, chissà perché, glielo lasciava fare.

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Capitolo 3
*** Thornvalley High - 1.3 ***


ThornValley High - 1.3


La vita sembrava aver trovato il suo ritmo. Alec studiava, pranzava con Jace, Clary, Isabelle e la sua nuova fiamma - che in questo periodo era bel un ragazzo coi capelli lunghi, carnagione olivastra e il profilo leggermente aquilino di nome Meliorn - e aspettava il martedì. Jace giocava a football e pomiciava con Clary, Isabelle faceva shopping e si faceva desiderare da Meliorn, Max aveva scoperto Fortnite e passava il suo tempo libero online con gli amici.
Un lunedì di marzo Alec era andato a prendere i libri di biologia, nel corridoio c'era una strana atmosfera, alcuni ragazzi gli avevano dato una spinta, altri ridevano. Aveva cercato di ignorarli, in ogni scuola c'è qualche deficiente. Poi era arrivato all'armadietto. Sulla porta di metallo qualcuno aveva scritto FROCIO con lo spray nero. Si era girato di scatto ma era impossibile capire chi fosse stato, tutti lo fissavano e ridevano. Poi erano cominciati gli insulti. E l'inferno. In classe il suo vicino di banco si era alzato e aveva cambiato posto, se sfiorava qualcuno per sbaglio quello si puliva la parte contaminata. Per fortuna c'era l'intervallo: doveva uscire da quella maledetta classe. Un compagno di squadra di Jace lo aveva chiamato, il fratello aveva bisogno di lui giù al campo. Preoccupato, Alec lo aveva seguito di corsa. Dietro la palestra c'erano altri quattro ragazzi. Era stato un pestaggio veloce, efficiente e devastante. Avevano lasciato Alec a terra a boccheggiare e, dopo avergli fatto un paio di foto da postare su internet, se n'erano andati ridendo. Da lì, era solo peggiorata. Soprattutto perché Alec si era reso conto che c'era una sola persona che sapeva. Una sola persona che poteva aver lasciato quella scritta.

Alla fine della scuola era uscito per primo, non voleva vedere né Jace né Izzy. Che modo del cavolo per scoprire che avevano un fratello gay.

La madre era rimasta sconvolta quando era entrato in casa con la maglietta strappata, un occhio nero e le labbra spaccate. E non lo aveva visito senza maglia, aveva più lividi che pelle e respirare gli faceva un male cane. Si era chiuso in camera senza parlare, cosa poteva dire? Il ragazzo che amo mi ha sputtanato di fronte all'intera scuola? Hanno scoperto che sono un finocchio e me la vogliono far pagare? Si buttò sul letto e chiuse gli occhi. Qualcuno bussò alla porta ma lui non rispose. Bussarono di nuovo, poi una terza volta.
“Apri la porta Alec, tanto non me ne vado”. Tipico di Jace, con le buone si ottiene tutto. Però era inutile procrastinare. Girò la chiave nella toppa e aprì. Jace rimase ammutolito - il che per lui era molto, molto insolito.
“Ma sei più idiota di quello che pensavo! Perché diamine non sei venuto subito da me! Picchiano mio fratello e io devo venirlo a sapere a mensa?!”
Alec ne aveva avuto abbastanza di farsi insultare: “Cosa diamine avrei dovuto fare secondo te? Venire lì e dirti Ciao Jace, sai sono gay e tra l'altro mezza scuola vuole ficcarmi la testa nel cesso!? E tu cosa avresti fatto?” Mentre parlava non aveva potuto fermare le lacrime.
“Ma davvero pensavi che non lo sapessimo? Io e Izzy lo abbiamo intuito anni fa, lo sa addirittura Max. Aspettavamo solo che tu fossi pronto a dircelo”. Sospirò: “Comunque domani stai a casa, anche mamma è d'accordo, intanto noi vediamo cosa riusciamo a fare...”
Alec scosse la testa: “Grazie ma non posso. Domani ho da fare”.
Jace e Isabelle cercarono di convincerlo in tutti i modi, sua madre provò addirittura a vietargli di uscire ma Alec era adamantino. Era martedì, non poteva mancare. Il Re doveva sapere che non l'aveva distrutto.

La mattinata non andò esattamente male, Jace e Isabelle restarono al suo fianco fino alla campanella della prima ora e gli evitarono gli scherzi peggiori. In classe, a parte insulti più o meno velati, nessuno poteva fare molto e alla quarta ora Alec si rifugiò al terzo piano.
Quando la porta si aprì era pronto, la rabbia e il tradimento bruciavano, il dolore dei lividi era niente rispetto al male che gli faceva il cuore.
Magnus entrò con la solita aria scanzonata ma la luce nei suoi occhi si spense appena lo vide. “Non ti aspettavi che venissi vero, bastardo? Pensavi di avermi spaventato a sufficienza? Beh, ecco una notizia per te, non sono così debole”. Magnus aveva sempre giocato con lui, solo che ora aveva cambiato gioco.
Magnus si era avvicinato piano. Perché quegli occhi lo facevano stare ancora così male, perché sembravano pieni di tristezza? Voleva colpirlo, voleva fargli male, voleva... dio perché? Perché non riusciva a smettere di amarlo?
“Cucciolo, parlami, cosa ti è successo?” Le mani sfioravano l'occhio tumefatto, le labbra spaccate. Prima che se ne rendesse conto gli stavano sbottonando la camicia, mettendo a nudo i lividi sul costato.
“Sei stato tu. Puoi essere stato solo tu. Eri l'unico che lo sapeva. L'unico a cui l'avevo detto”.
E Magnus capì. Ancora una volta Alec sentì che il suo cuore e la sua vita erano un libro aperto.
“Non lo farei mai” gli disse prima di tirarlo a se e baciarlo quasi con violenza. Un bacio vero questa volta, lungo e profondo, che lentamente si trasformò diventando sempre più intenso e pieno d'urgenza. Magnus gli mordeva piano le labbra poi tornava a giocare con la sua lingua. Lo guidò fino al banco senza staccare le labbra dalle sue, alzò una gamba e gli si spinse contro. Alec si lasciò sfuggire un gemito.
“Mai, non ti farei mai del male” mormorò il drago, “Non a te”.
Fece un passo indietro lasciando che ogni livido e ogni ferita gli si imprimessero nella mente. Qualche goccia di sangue sporcava le labbra di Alec e Magnus allungò un dito, ne prese una e la portò alla bocca. “Questo mi serve per non dimenticare”. Gli occhi del drago si indurirono, freddi e metallici, si voltò facendo volteggiare il lungo spolverino nero che indossava, e uscì dalla porta.

Se Alec pensava di vederlo ancora rimase deluso. Magnus sembrava scomparso. All'ultima ora incrociò la corte dei dorati ma il re non c'era. Camille gli rivolse un'occhiata piena d'odio e tirò dritta.
Fu Jace, la sera, a raccontargli cos'era successo: “Eravamo nello spogliatoio, dopo la partita. Ci stavamo cambiando, molti dei ragazzi avevano ancora l'asciugamano intorno alla vita e si spalanca la porta. Era il Re, ma aveva uno sguardo che non avevo mai visto, te lo giuro Alec. Da paura. Si ferma in mezzo allo spogliatoio, aveva tutti gli occhi addosso, voglio dire, sai come fa quando vuole. Ci fissa uno a uno, vedo che si sofferma su Bobby e Mark - perché sono stati loro vero? Comunque li fissa un po' poi alza lo sguardo e sembrava che guardasse ognuno di noi personalmente. Non ha nemmeno alzato la voce, non ne aveva bisogno, era tagliente come un rasoio: Non osate toccare Alexander, mai più. Chi tocca lui, tocca me. Solo questo ma il resto era chiaro come il sole. Poi va alla porta e prima di uscire si gira come avesse dimenticato qualcosa, guarda di nuovo Billy e dice: E pulisci quell'armadietto. E il tono, come se stesse parlando a un animale e non a uno dei ragazzi più popolari della scuola. E Billy lo ha fatto davvero. Si è vestito, ha preso l'alcool e uno straccio dal bagno ed è andato a cancellare la scritta. Devo dire che me la sono goduta... C'era tutta la scuola, tutti radunati lì a guardarlo pulire. Alec ti assicuro che dopo questo nessuno ti darà mai più fastidio”. Fece una pausa per guardare il fratello. “Però me lo devi dire: come diamine... perché lo ha fatto? Voglio dire è ovvio che ti conosce, non era una cosa tipo non fare il bullo, era personale”.

Alec alzò le spalle: “Ci vediamo ogni tanto, il martedì abbiamo la stessa ora buca...”
“E' stato lui!” saltò su Isabelle. “Quando sei tornato con quei capelli da urlo, quando poi mi hai chiesto di insegnarti a usare il gel. Era stato lui, vero?”
Alec sorrise e non disse niente.

Rimaneva il mistero di chi avesse rivelato il suo segreto, se Billy era il responsabile della scritta e del pestaggio, era anche ovvio che non era lui ad aver scoperto che era gay.
La risposta a questa domanda arrivò pochi giorni dopo. Alec era appena uscito dal bagno quando si era trovato davanti Camille. Aveva davvero uno sguardo che incuteva timore. La ragazza aveva alzato una mano, appoggiando un unghia rosso sangue appena sotto il suo pomo d'Adamo, graffiandolo appena.

“Non pensare di aver vinto, bellino. Lui è mio, ti do un consiglio spassionato, non avvicinarti più”.
Poi, senza lasciargli il tempo di rispondere se n'era andata lasciando solo una nuvola di profumo.

La scuola si avvicinava al termine, Magnus stava per diplomarsi, l'anno successivo sarebbe andato al college e Alec non l'avrebbe più visto. Doveva far tesoro di ogni momento insieme, ma la vita aveva altri piani.
La lite fra il Re e la Regina fece scalpore. Spesso Camille baciava qualche ragazzo, così, per divertimento, Magnus lo sapeva e sapeva anche che non era nulla di importante, che lei aveva bisogno di sentirsi libera. Ma questa volta era diverso, si era messa con uno studente universitario, una relazione stabile, lui era venuto a prenderla a scuola e Camille aveva sorriso a Magnus mentre se ne andava a braccetto con la sua nuova fiamma. Il giorno dopo la scenata era stata memorabile, ma ad andarsene col cuore a pezzi era stato il Re. Per quasi una settimana non si era visto. Alec, preoccupatissimo, si era sentito sollevato quando il martedì successivo aveva saputo che era tornato. Quando alla quarta ora era salito nella loro aula Magnus era irriconoscibile: i capelli bassi e spettinati, niente trucco, niente gioielli, una maglia sformata e jeans larghi. Lo aveva guardato con malcelato disprezzo, la voce dura: “Alexander. Mi hai rovinato la vita. Adesso, per favore, vattene”. Alec era rimasto immobile sulla porta. Lui gli aveva distrutto la vita? Perché? Era stata Camille a lasciarlo, a tradirlo, cosa c'entrava lui?

Magnus aveva fatto un passo avanti, minaccioso: “Vattene ho detto. Non farti vedere mai più!”
E Alec era scappato, era corso giù dalle scale confuso e umiliato, il cuore che batteva a mille. Camille lo stava aspettando sul pianerottolo con un sorriso serafico. “Allora, cucciolo, non puoi dire che non ti avessi avvertito. Dovevi stargli alla larga”.
Era davvero così priva di scrupoli? “Tu... hai distrutto lui per ferire me?”
“Diciamo che ho preso due piccioni con uno sciocco universitario. Tu dovevi soffrire e lui... lui ha osato minacciarmi. Per te. Ora, come dici tu, è distrutto. E la colpa è solo tua”. Passandogli accanto gli mise una mano sul braccio: “Volevo essere certa che lo sapessi”.

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Capitolo 4
*** Together Again 2.1 ***


Together Again 2.1


Sei anni dopo

Quando Clary si era sposata appena finita l'università alcune compagne avevano malignato ma lei e Jace erano disgustosamente felici. Il piccolo open space che avevano comprato con parte dell'eredità della ragazza era luminoso, arredato con mobili funzionali ma colorati e accessori tendenti al folk. Una parte era stata attrezzata a workshop per Clary, le cui illustrazioni stavano ottenendo un buon successo nel settore dell'editoria per bambini. Jace, che aveva trovato lavoro come procuratore sportivo e quindi spendeva la gran parte della giornata in ufficio, si accontentava di una scrivania accanto al letto. Alec amava andarli a trovare, la loro allegria era contagiosa e quando c'erano anche Isabelle e il suo fidanzato le serate passavano in un lampo. Simon era l'ultima persona che i fratelli avrebbero pensato potesse interessare a Izzy, invece il musicista un po' nerd, appassionato di film anni ottanta e con un assurdo senso dell'umorismo era il complemento perfetto per Isabelle che, insieme a lui, scopriva il lato più dolce del suo carattere.
Anche Max, ormai sedicenne, aveva una ragazza da quasi due mesi. Alec era l'unico ancora single. I primi anni dell'università era uscito con vari ragazzi, alcuni decisamente affascinati, simpatici e spiritosi, ma non era mai riuscito ad andare oltre il secondo o terzo appuntamento. Stava bene, si divertiva, ma quando il ragazzo di turno si avvicinava per un bacio Alec si irrigidiva, la sua pelle non profumava di sandalo e sole, le sua labbra non erano giuste per lui. E Alec lo salutava con un sorriso e senza rimpianti. Per sei anni non aveva mai pronunciato il nome di Magnus, ma era lui che sognava di notte ed era lui il termine di paragone di qualsiasi altro. E nessuno reggeva il confronto. A un certo punto aveva smesso di provarci, se mai un giorno avesse trovato la persona giusta era certo che se ne sarebbe accorto...
Stava aiutando Clary con la cena - dove aiutando vuole dire che tagliava le verdure, nessuno sano di mente gli avrebbe mai permesso di cucinare - quando sentì Jace che lo chiamava.

“Ehi Alec, ma quello non è il tuo amico del liceo?”
Alec lo aveva raggiunto davanti alla tele e aveva dovuto appoggiarsi allo schienale del divano. Magnus. Era un'intervista a Magnus. Gli anni gli avevano reso più ampie le spalle e più decisa la mascella, aveva mantenuto il gusto per l'eyeliner e l'ombretto glitterato, e anche il taglio capelli con la cresta era quello che ricordava. Ed era ancora bello da togliere il fiato. I sei anni scivolarono via in un attimo e Alec era di nuovo il diciassettenne insicuro e innamorato di un tempo.
Intanto in televisione l'astro emergente della moda internazionale stava presentando in anteprima la sua prima collezione di abiti da sposi.
“Tre coppie, sposa e sposa, tutte e tre molto diverse fra loro. Ci dica signor Bane, come ha trovato l'ispirazione per questa fantastica collezione?”
Primo piano su Magnus, sui suoi occhi magnetici. “Volete conoscere il mio segreto?”
La reporter annuì: “La prego, ci dica”.
“Gli abiti della collezione Blue Light sono tutti ispirati al mio più grande errore, un errore di cui mi pento tutti i giorni, una persona fantastica che ho allontanato”. Camille, parlava di Camille, allontanata per colpa sua...
“Design così diversi ispirati dalla stessa persona?”
Magnus sorrise alle telecamere. “I primi due abiti, chiamati Pure,” disse mentre la TV mostrava uno smoking bianco con la giacca azzurro chiaro per lui e un abito bianco con scollatura a cuore, un'ampia gonna leggera con ricami di fiori tinta su tinta, “rappresentano com'era questa persona quando l'ho conosciuta: giovane, ingenua, timida... pura appunto”.
La schermata cambio mostrando uno smoking nero con il collo alla coreana abbinato a una camicia di seta bordeaux e un foulard nero al collo. Per la sposa l'abito bianco era in stile orientale, i dettagli in oro e rosso disegnavano la sagoma di una airone che, partendo dall'orlo dell'abito, posava la testa sul seno sinistro. Poi la telecamera girò intorno ai vestiti: sul retro della giacca da uomo, tinta su tinta, era ricamato un drago in posa chiaramente protettiva, la coda arrotolata attorno a un airone cenerino. Il cheonsam della ragazza si apriva sul retro per mostrare uno strascico di seta scarlatta ricamato con fiori di loto e ninfee.
“Un cambiamento decisamente importante...”
“Questa abbinata è molto più decisa, forse eccessiva, sicuramente unica. E' la trasposizione di come mi vedeva”.
Il cuore di Alec perse un battito, o forse due. Un drago. Quanta gente poteva averlo paragonato a un drago? Era davvero possibile che il suo più grande errore, la persona che non avrebbe mai dovuto allontanare, fosse lui?
“E ora ci parli della terza, e forse più particolare, coppia di abiti”.
Mirror. Ha ragione, da un certo punto di vista sono certamente i più particolari. Il mosaico di specchi applicati sul bavero dello smoking e poi ripresi in un'onda sul vestito della sposa simboleggiano una persona che cerca di sviare lo sguardo da sé, ma che nel farlo brilla sempre di più. Qualcuno da cui è impossibile togliere gli occhi”.
“Signor Bane, la sua collezione è incredibile. Tutta dedicata a questa ragazza quindi...” Alec notò la luce d'ironia nello sguardo Magnus, l'aveva appositamente fuorviata parlando di una persona generica e la reporter aveva automaticamente dato per scontato che si trattasse di una donna. “... e mi dica, anche il nome Blue Light...”
“Blu come i suoi occhi e Light... beh, lasciatemi po' di mistero”. Light come Lightwood.
Alec era ormai fuori dal mondo, dal tempo, non sentiva il divano sotto le mani né il pavimento sotto i piedi.
“Quindi lei è rimasto legato a un amore del passato? Possiamo sapere il suo nome?”
“Il nome? No, mi spiace, è passato troppo tempo, ormai avrà la sua vita, non sarebbe giusto. Quanto all'amore posso solo dirle che quello vero è per sempre. E' questo il mio augurio per tutte le coppie di sposi, che scelgano i miei abiti o meno: che il vostro amore sia eterno”.
Dissolvenza. Fine.

“Allora”, disse Jace, “era lui vero? Il Re della Thornvalley High, il tuo angelo custode... certo che ne ha fatta di strada”. Il mio angelo e basta.
“Hai ragione” saltò su Izzy, “adesso lo riconosco. Avevo letto un articolo, mi pare che presenterà la collezione dal vivo in una sfilata a Parigi uno dei prossimi giorni...”

Per anni aveva cercato di dimenticarlo - senza successo, è vero - e ora il destino, e uno stupido programma televisivo, glielo sbattevano sotto il naso. E quella storia dell'amore perduto, era una trovata pubblicitaria o c'era del vero? I pensieri di Alec vorticavano, le voci di Jace e Isabelle erano un rumore di sfondo senza significato. In qualche modo riuscì a cenare con gli altri camuffando le sua risposte monosillabiche e la mancanza di concentrazione con un mal di testa fulminante che gli diede anche la scusa per andarsene presto. Il pensiero di Magnus non gli dava tregua, rivedeva i suoi occhi, le sue labbra, presente e passato si confondevano. Come poteva pensare di continuare con la sua solita vita, di tornare a un mondo dove la nanotecnologia medica era la più grande emozione. Doveva rischiare? L'ultima volta che si era avvicinato al drago era rimasto scottato dal suo fuoco. Eppure cos'altro poteva fare? Accese il PC e cercò Magnus Bane, sfilata. Isabelle aveva ragione, Magnus avrebbe presentato la sua collezione di lì a tre giorni a Parigi. Senza darsi il tempo di cambiare idea prenotò il volo online, partenza l'indomani. I costi, con così poco preavviso, erano stratosferici, ma chi se ne frega.
In attesa al chek-in Alec si rese conto che non aveva avvisato nessuno. Scrisse una mail al capo, assenza per gravi motivi personali, poi digitò il numero di Isabelle. Cosa poteva dirle? Vado a Parigi per vedere una sfilata di abiti da sposa? Cerco il mio amore del liceo, ci vediamo presto? Un posto alla neuro non glielo levava nessuno. Decise per un messaggio: Sono in aeroporto. Vado a Parigi per qualche giorno. Faccina titubante. Poi spense il telefono, le spiegazioni a un altra volta.

Atterrò al Charles de Gaulle la sera del giorno dopo e cercò un hotel. Guardando dalla finestra la città sconosciuta si chiese, per la millesima volta, cosa stesse facendo. Cosa sperava di ottenere? Si addormentò con in testa l'immagine di Magnus, seduto a gambe incrociate sul banco del terzo piano.

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Capitolo 5
*** Together Again 2.2 ***


Together Again 2.2


Preparare una sfilata è un lavoro lungo e laborioso, sicuramente Magnus era già sul posto. Sul taxi verso la location - una splendida chiesa sconsacrata - Alec pensava che se era arrivato fin lì, non poteva tirarsi indietro proprio ora. Bravo, continua a ripetertelo, sai mai che riesci a convincerti... All'ingresso fu fermato da un buttafuori grande come un armadio a due ante. Ecco, a questo non aveva pensato, e adesso? Mentre cercava una scusa plausibile per entrare, guardava oltre l'uomo, verso l'interno della chiesa: Magnus era lì da qualche parte, a pochi metri da lui. Come evocato da qualche magia, lo vide: il drago, il re, il suo unico amore.
Magnus era fermo sulla soglia della chiesa, immobile, pietrificato proprio come lui. Lo sentì dire qualcosa in francese alla guardia che si fece subito da parte, riconobbe solo le parole Blue Light.

“Alexander?”
“Magnus”.
Senza parole di due uomini lasciarono che fossero gli occhi a parlare. Rimpianto, domande, speranza.
Per una volta fu Alec il primo a riprendersi, almeno in parte. “Ho visto l'intervista, i tuoi abiti”.
“Ti sono piaciuti? Ti serve uno smoking?”
Magnus si trincerava dietro l'ironia. O stava cercando di indicargli una via d'uscita?
Troppo tardi: “Era una trovata pubblicitaria?”
Non è educato rispondere a una domanda con un'altra domanda, eppure...: “Cosa ci fai qui Alexander?”
“Tu cosa credi?”
Un ultimo passo, bastava un ultimo passo per azzerare la distanza fra loro. Alec non sapeva chi l'avesse fatto, era solo cosciente delle loro labbra che si cercavano, che si trovavano, del sapore di Magnus, del suo profumo. Sandalo, sole e cannella, proprio come ricordava. Sei anni spariti in un secondo, in un tocco.

Mentre lo portava a vedere l'interno della chiesa e la preparazione della sfilata Magnus lo teneva per mano, come se temesse che lasciandolo sarebbe sparito. Alec sentiva quel tocco bruciare sulla pelle e non riusciva a smettere di sorridere. Quando arrivarono dall'equipe dei suoi collaboratori Magnus si fermò sulla porta. Una volta sicuro di avere tutti gli occhi addosso, fece una elaborato inchino e, indicando Alec, annunciò semplicemente: “Ecco il mio Blue Light”.
Lo staff reagì come se avesse appena presentato un divo del cinema, e ovviamente Alec avvampò. Anche questo era Magnus, e dallo scintillio dei suoi occhi vide che gli piaceva ancora metterlo in imbarazzo.

Più il momento della sfilata si avvicinava e più Magnus era impegnato. La sua presenza era richiesta ovunque, la modella che doveva indossare Pure era in ritardo, la giacca di Dragon faceva una strana piega sulla spalla che non aveva mai fatto, bisognava mettere le orchidee sul lato della passerella prima o dopo le camelie, mille particolari, mille piccole decisioni. Alec aveva provato a stargli accanto ma si era presto reso conto che stava solo disturbando. Seduto su una delle sedia preparate per il pubblico tirò fuori il tascabile, un vecchio giallo di Ellery Quinn, che aveva iniziato in aereo. Scoprì che leggere è praticamente impossibile quando i tuoi occhi seguono, assolutamente contro la tua volontà, ogni minimo spostamento di un uomo splendido che non sta mai fermo. Ed è ancora più difficile se ogni volta che lui si gira a guardarti ti si secca la gola e ti trovi a passarti la punta della lingua sulle labbra.

Magnus era un genio, la chiesa che aveva scelto era grandiosa e romantica al tempo stesso, la magia accentuata da giochi di luci che proiettavano colori cangianti su tende trasparenti tempestate di strass. Per ogni coppia di abiti l'atmosfera cambiava completamente. Per Pure aveva scelto di far piovere delicati petali di ortensie bianche, mentre la sposa entrava sulle note di un'allegra Primavera di Vivaldi. Dragon era più passionale, i petali di rosa scarlatta e la musica di stampo orientale risvegliavano i sensi e parlavano di un amore intenso e bruciante. Alec si chiese cosa avesse progettato per Mirror, era l'ultima coppia di abiti, doveva essere la più grandiosa... Mentre Magnus raccontava la nascita e le caratteristiche degli abiti un bellissimo ragazzo alto e moro era salito sulla passerella, indossava lo smoking con gli specchietti e si muoveva in modo perfetto ma era visibilmente preoccupato. Arrivato in fondo si era voltato, cercando qualcuno che non c'era. Nel silenzio assordante solo il pubblico bisbigliava. Qualcosa non andava? Poi una mano delicata aveva scostato le tende ed era apparsa lei, dolce, bellissima, con un'acconciatura quasi medievale e un sorriso luminoso. Il ragazzo l'aveva vista e anche sul suo volto era sbocciato lo stesso sorriso di pura felicità. In quel momento erano risuonale le prima note di I've had the time of my life, lei aveva iniziato lungo la navata con passo garbato, il bouquet in mano, ma la luce negli occhi rivelava emozione e uno spirito malandrino. Dopo pochi passi aveva buttato via i fiori e raccolto la gonna, poi era corsa verso il suo amore, gettandosi fra le sue braccia. Lo sposo l'aveva accolta al volo e baciata davanti a tutti. Alec guardò Magnus, l'uomo aveva gli occhi fissi nei suoi. In quel momento erano esplosi i fuochi d'artificio e il pubblico era scoppiato in applauso fragoroso. Magnus aveva trasformato la sfilata in una piccola rappresentazione teatrale, la storia di un amore vero, dolce e luccicante, il lieto fine che tutti sognano.
Conduttori e reporter volevano parlare con il mago che aveva creato Blue Light, cercavano l'uomo ma anche la storia, altri dettagli sulla misteriosa ragazza che aveva ispirato la collezione. Alec si era tenuto qualche passo indietro ma riuscì comunque a sentire la risposta di Magnus: “La mia musa? E' un segreto che forse stasera scoprirete voi stessi”.

Finalmente libero da fan e cronisti, Magnus raggiunse Alec nel back-stage.
“Allora, cosa ne dici, com'era la musica? L'ultima canzone l'ho cambiata in corsa, qualche ora fa”. Rise mentre lo carezzava con lo sguardo. “I ragazzi mi avrebbero ucciso volentieri, ma non potevo fare altro. Penso sia stata scritta pensando a noi...”

Poi, accennando qualche passo di danza aveva cominciato a giragli intorno intonando le parole della canzone: “Now I've had the time of my life, no, I never felt like this before. Yes I swear it's the truth, and I owe it all to you...” Alec non riusciva a smettere di sorridere mentre guardava Magnus fare il pagliaccio per lui: “... Now with passion in our eyes, there's no way we could disguise it secretly”. Magnus aveva rallentato il suo girotondo allusivo, la voce si era fatta più roca, una mano aveva trovato la sua, l'altra correva leggera sul suo petto: “So we take each others hand, 'cause we seem to understand the urgency...”

Dopo la sfilata era stato organizzato un cocktail e Magnus gli chiese di fargli da accompagnatore.
Troppo veloce, correva troppo, la canzone, i baci, le mani ovunque. Il Re era abituato ad avere il mondo al suo comando ma Alec non era pronto. Voleva stare con lui, lo voleva tantissimo, disperatamente. Ma una serata vip con fotografi e paparazzi? Significava fare una dichiarazione davanti al mondo. Era troppo tempo che non si vedevano, dovevano imparare a conoscersi di nuovo, capire se erano ancora compatibili...

Declinò gentilmente, non si sarebbe sentito a suo agio, quel genere di ambiente, di compagnia, il tutto esulava della sua esperienza, e poi non aveva nemmeno qualcosa di adatto da indossare.
Magnus lo fissò come se stesse soppesando ogni centimetro del suo corpo poi fece un cenno d'assenso con la testa. “E' la mia sfilata, il mio Blue Light può indossare solo una cosa...” disse sfilando lo smoking Mirror dalla rastrelliera.
Alec mise avanti le mani: “E' splendido, credimi, originale, fantastico e sicuramente, oltre al ragazzo di prima, esiste qualcun altro in grado di indossarlo senza rendersi ridicolo. Ma ti assicuro che non sono io”. Ok, era stato offensivo, aveva detto la cosa sbagliata. E sì che erano anni che non gli capitava più.
La risata di Magnus era sempre magica. “Sciocco. Hai idea di quanto ho dovuto cercare per trovare un modello a cui non stesse male?” chiese Magnus, ottenendo in riposta solo il silenzio. “E sai perché? Perché quest'abito è stato pensato per un uomo solo. Indossalo Alexander, fammi vedere la mia fantasia”.
Hai voglia a dire non correre. Quando quegli occhi ti guardano in quel modo, quando l'uomo più sexy della terra ti definisce la sua fantasia...
“Se vuoi, lo infilo adesso, qui per te, ma quanto a uscirci, non riuscirai mai a convincermi”
Due ore e parecchi baci dopo erano al ricevimento.

La sera, nella sua camera d'albergo, Alec fissava il soffitto chiedendosi se la giornata fosse reale, se fosse anche solo possibile. La vita non è un film, l'amore non corrisposto del liceo non ti dedica canzoni d'amore davanti a centinaia di persone, non disegna abiti da nozze pensando a te. Ma ancora più importante, col tempo la gente cambia. Un rapporto, anche solo un'amicizia, non può essere messo in pausa per sei anni per poi riprendere con la stessa sintonia di prima, anzi, più forte, più giusto e più vero. Era davvero amore quello che gli aveva impedito di farsi una vita finora? O solo una paura che nascondeva dietro a un ricordo? Qualsiasi psicologo avrebbe confermato la seconda ipotesi, ma cosa ne potevano sapere del fuoco che il drago sapeva accendere nel suo cuore, della sensazione di completezza che provava al suo fianco? Se voleva salvarsi doveva dar retta al suo stesso consiglio: non correre Alec, e attento a non scottarti.

I giorni seguenti sembrarono voler placare ogni paura: stare insieme era così naturale ed emozionante al tempo stesso. Con Magnus poteva parlare di tutto e di niente, dai diritti umani al miglior colore per il soffitto, poteva essere completamente onesto, sicuro di non venir frainteso né giudicato. Andavano dappertutto, cenavano in bistrot e ristoranti eleganti, visitavano musei e parchi, passeggiavano mano nella mano lungo la Senna e gli Champs Elysees. Ogni sera Magnus gli dedicava una canzone presa dai grandi film d'amore anni '80 che entrambi adoravano. Alec le conosceva tutte ma non aveva mai realmente ascoltato le parole che ora assumevano un significato completamente nuovo.
Magnus gli aveva svelato il suo desiderio con Hungry Eyes: With these hungry eyes, one look at you and I can't disguise I've got hungry eyes, I feel the magic between you and I.

Aveva rivelato la sua solitudine e il suo bisogno con Unchained Melody: Oh, my love, my darling, I've hungered for your touch, a long lonely time and time goes by so slowly and time can do so much. Are you still mine? I need your love...
L'aveva incitato a osare con You're the one that I want: You're to shy to convey, Better take my direction, Feel your way. I better shape up, 'cause you need a man... I need a man, who can keep me satisfied...
Aveva condiviso la paura, lo stupore di ritrovarsi e la speranza nel futuro con Almost Paradise: I swear that I can see, Forever in your eyes. Paradise. It seems like perfect love's so hard to find, I'd almost given up, you must've read my mind...
Amore, passione, nostalgia, desiderio, bisogno, chimica... ogni canzone li descriveva così perfettamente. Magnus era sempre stato in grado di leggergli l'anima ma ora Alec si chiedeva se non fosse perché era lo specchio della la sua. Che fosse questo il vero significato di Mirror?

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Capitolo 6
*** Fight! 3.1 ***


Fight 1.1


Da un giorno con l'altro, Magnus era sparito. Senza un motivo, un messaggio, niente. Semplicemente non si era presentato al loro appuntamento e da lì, silenzio.
Alec aveva provato a contattarlo, voleva almeno una spiegazione ma l'uomo non rispondeva né al telefono né ai messaggi. La mattina si era recato al suo hotel. Il signore della 356 non c'era, non rientrava da un paio di giorni.

Per un po' Alec provò ad aspettare, poi subentrò la rabbia, la paura di essere stato preso in giro. Ma già anni prima aveva pensato male di Magnus e aveva avuto torto, ora doveva dargli la possibilità di dire la sua, e per farlo doveva prima trovarlo. Chiamò l'atelier solo per scoprire che neanche loro lo avevano più visto. Da una parte questo voleva dire che forse non lo stava evitando, dall'altra apriva la strada a una serie di congetture allarmanti.
I giorni passavano, Alec era tornato a casa, negli States - non poteva prendere mesi di ferie - ma continuava a chiamare sia Magnus che l'atelier e a cercare notizie su Google: lo stilista era famoso, se gli fosse successo qualcosa i giornali ne avrebbero parlato.

Era passato un mese, un mese di silenzio e angoscia. Alec aveva deciso di chiedere consiglio a Jace, Isabelle e Clary anche se sapeva che sarebbe stato imbarazzante: nessuno di loro sapeva dei suoi sentimenti per il ragazzo del liceo, la storia degli abiti sembrava una favola inventata, e il finale degno del sogno di un pazzo. Ma Alec aveva bisogno di ogni aiuto possibile, di ogni idea. Fu Clary a pensare di contattare i genitori di Magnus, se era partito sicuramente loro lo sapevano.
Rintracciarli non fu facile, su internet c'erano parecchi articoli sullo stilista, trovò anche un paio di foto di loro due insieme al cocktail dopo la sfilata, ma nulla riguardo la sua famiglia. L'unica possibilità era chiedere al Thornvalley, sicuramente avevano un archivio con i nomi dei genitori degli alunni e, con un po' di fortuna, conservavano anche quelli degli ex-studenti. Alec chiamò la segreteria che confermò l'esistenza dei dati ma, per motivi di privacy, non poteva divulgarli. Tramite un complesso giro di conoscenze Alec riuscì a parlare con un mecenate della scuola, gli spiegò il problema e alla fine ebbe le informazioni che gli servivano: Magnus Bane era l'unico figlio di una madre single, Indah Bane. Riuscì a farsi dare anche il numero di telefono.

Chiamò subito.
“Pronto? Signora Bane?”
“Sì, chi parla?” La voce che rispose al telefono era stanca e sospettosa.
“Sono un amico di suo figlio, volevo chiederle se aveva notizia di Magnus”.
“Mi spiace, non posso dirle nulla. Arrivederla”. La donna stava per riagganciare ma Alec non poteva permetterlo.
“La supplico, aspetti, mi dica solo se sta bene...”
Qualcosa nella voce del ragazzo la fece esitare: “Chi è lei? Se è davvero amico di mio figlio dovrei conoscere il suo nome...”
E adesso? Aveva rivisto Magnus per pochi giorni dopo sei anni, era impossibile che sua madre avesse sentito parlare di lui. A meno che... “Mi chiamo Alexander Lightwood, sono... Blue Light”. Il solo pronunciare una frase così assurda lo fece arrossire ma ottenne l'effetto desiderato.
Dopo una breve pausa la donna inspirò: “Magnus ha avuto un incidente, ormai più di un mese fa. Era sul marciapiedi, l'hanno investito, gli hanno fratturato una gamba e poi...” Un singhiozzo. “Sia lui che l'auto sono finiti contro la vetrina di un vecchio negozio, il vetro si è spaccato... E' rimasto in ospedale per oltre tre settimane, il medico dice che è stato miracolato, le schegge non hanno colpito nessun punto vitale, però...”
“Però? La prego signora”.
La donna si fece forza. “Una scheggia l'ha ferito in faccia, ha una cicatrice che va dalla mascella destra all'occhio... non sono riusciti a salvarglielo” disse scoppiando in lacrime.
L'occhio. Magnus aveva perso un occhio. La tensione che gli attanagliava le viscere esplose, non riusciva a respirare. Quegli occhi magnetici, profondi, bellissimi. Magnus...
“Dov'è ora. Io... devo saperlo”.
“Non... Lui... Non l'ha presa bene. Ha cercato di...”
Di cosa? Cos'hai fatto Magnus?
“Una lametta...”
La madre lo aveva riportato in America e ora Magnus era ricoverato in una casa di cura fuori città. In qualche modo Alec riuscì ad estorcerle l'indirizzo e saltò in macchina. Arrivò al centro vicino a Belleview prima di mezzogiorno e corse dentro. Quel posto non era una clinica, era un dannato manicomio! Magnus... non riusciva a far altro che ripetere il suo nome ancora e ancora. Chiese il numero della stanza, ancora di corsa salì le scale. Terzo piano. Una coincidenza?
La madre di Magnus era una bella donna, con la stessa pelle ambrata e occhi allungati del figlio ma il suo sguardo era spento e occhiaie scure le segnavano il viso. Rivolse ad Alec un sorriso tremulo: “Mi spiace che lei sia venuto fino a qui, ci deve essere stato un fraintendimento. Magnus non vuole incontrare nessuno”.
“No, io... devo vederlo. Non posso...”
“Mi spiace, davvero”.
In quel momento arrivò un'infermiera che portava un vassoio con alcune pillole. Entrò nella stanza e Alec ebbe una fugace visione del letto di metallo, del suo amore con una benda bianca che gli copriva l'occhio destro. Dall'uscio socchiuso sentì la ragazza dire qualcosa a bassa voce: “Buongiorno Signor Bane, come si sente oggi? La prego, provi a...” Il tono era dolce, accondiscendente, era... assurdo. Anche la signora Indah parlava in modo simile, come se Magnus fosse oltre ogni speranza. Non puoi trattare un drago come un uccellino con l'ala spezzata.
“Sono certa che mio figlio le voleva bene, Signor Lightwood...”
“Mi voleva bene?” No, qui le cose andavano peggio che male, Magnus non era morto ma tutti si comportavano come se lo fosse.
Vide l'infermiera uscire, aspettò che avesse girato l'angolo e senza chiedere il permesso aprì la porta. Magnus era sdraiato con gli occhi chiusi, i capelli sporchi e spettinati, la cicatrice rossa che gli solcava il viso, un anonimo pigiama azzurrino. Si avvicinò piano, anche in questo stato era la cosa più bella che avesse mai visto. Magnus aveva sentito i passi avvicinarsi al letto ma era troppo apatico per muoversi, aprire gli occhi - l'occhio.
Ogni fibra del suo corpo voleva abbracciarlo, consolarlo, stargli vicino. Ma lo avevano già fatto in troppi. Alec lasciò che la rabbia, la tristezza e il dolore gli montassero dentro, lo riempissero. Si avvicinò ancora e gli diede uno schiaffo sul lato sano del viso, con tutta la forza che aveva.
“Sei uno stronzo Magnus Bane” gli urlò contro. “Un narciso e un egoista”.
Magnus lo guardò e incredulo mormorò il suo nome: “Alexander...”
“Alexander un corno. Ti ho cercato dappertutto per più di un mese. Ho pensato che mi avessi scaricato, di nuovo, aggiungerei. Poi che fossi morto, ho richiesto il tuo cazzo di certificato di morte in comune! E tu? Stavi qui a compiangerti. Perché non mi hai chiamato? Cosa diamine vuoi che me ne freghi del tuo dannato occhio?”
Mentre gli urlava contro Magnus si era tirato su, l'apatia rimpiazzata da una luce dura, ma pur sempre una luce.
Alec non aveva finito, lo aveva preso per un avambraccio, portandogli il polso bendato davanti al viso: “E questo? Chi è l'uomo che si fa una cosa del genere? Un codardo, ecco chi! E per che cosa poi? Per paura di non essere nella top ten dei più fighi? Mi fai pena!”
Indah aveva sentito il rumore, poi le urla ed era entrata come una furia a salvare Magnus dal visitatore pazzo ma era rimasta bloccata sulla porta vedendo il bel ragazzo alto chinarsi su suo figlio, sul suo bambino rotto, e baciarlo come se ne andasse della sua vita, come se fosse l'aria di cui aveva bisogno.
Alec si era staccato col fiato corto: “Tre giorni. Ti do tre giorni per rimetterti in sesto. Uno per odiarmi, per pensare che sono un bastardo senza cuore. Uno per capire che ho ragione e che è ora di darsi una mossa. E il terzo per farti portare le cose di cui hai bisogno, non so, il gel, la matita per gli occhi, una di quelle assurde camicie che mi fanno impazzire...” Gli si ruppe la voce, doveva resistere, ancora qualche secondo. Una volta fuori avrebbe potuto piangere quanto voleva. “Martedì sarò di nuovo qui e voglio trovare il mio drago. L'orario lo sai, prepara i fogli per le dimissioni perché ti porto a casa”.
Senza lasciargli il tempo di rispondere Alec fece un cenno alla madre, prese la porta e uscì senza voltarsi. La donna lo seguì in corridoio, urlandogli di non farsi più vedere, di non osare tornare, avrebbe chiamato la sicurezza. Alec non la stava ascoltando, sentiva il cuore a pezzi, lacrime gli rigavano il viso. Aveva esagerato? Sarebbe dovuto restare, aiutarlo? No, un drago non ha bisogno di compassione. Deve rialzarsi e combattere. Eppure la sua anima gridava di dolore.

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Capitolo 7
*** Fight 3.2 ***


Fight 3.2


Furono tre giorni interminabili, Alec lavorava in automatico senza pensare a quello che faceva, mangiava solo quando se lo ricordava, dormiva poco e male. Voleva solo tornare da Magnus.
Jace e Clary lo invitarono a cena ma lui rifiutò. Isabelle, che passò apposta a trovarlo, riuscì solo a scoprire che Magnus era vivo e che presto il fratello sarebbe andato a trovarlo.

Poi arrivò il martedì. Il sole splendeva in un cielo che sembrava finto, l'erba sul lato della strada ondeggiava nella brezza primaverile. In una giornata così non poteva succedere nulla di brutto...
Alec lasciò la macchina nel parcheggio della casa di cura ed entrò, sperando che nessuno lo fermasse all'ingresso. Salì al terzo piano e, ancora una volta, la madre di Magnus era seduta su una sedia di plastica in corridoio. Quando lo vide si alzò, la testa china, le mani giunte davanti alle cosce: “Signor Lightwood,” disse piano, “la vorrei pregare di scusarmi. Lei... lei aveva ragione. Non so come ha fatto, non capisco, ma... la prego entri pure”.
Alec scosse la testa: “Sono in anticipo, devo aspettare la quarta ora”.
La donna rimase perplessa ma aveva deciso di fidarsi. Alle dieci e venticinque Alec aprì la porta. Magnus era seduto sul letto: i capelli perfettamente acconciati, l'unico occhio allungato con l'eyeliner e messo in risalto da un ombretto grigio glitterato, le innumerevoli collane cadevano sulla camicia di seta viola, stranamente abbottonata. Solo la fasciatura bianca spiccava incongrua.
“Alexander... sei venuto davvero”.
“Sempre”.
Gli lanciò un pacchettino: “Questa l'ho trovato su internet, sia lode ad Amazon. Mettila”.
Magnus si fece girare il pacchetto fra le mani poi lo aprì. Dentro c'era una benda per l'occhio, nera ma completamente coperta di piccoli cristalli swarovski.
“Il mio drago non si nasconde mai,” disse Alec.
Il sorriso di Magnus era incerto: “Guardami Alexander. Come fai a volere questo?”
Ora non serviva più essere duri, ora poteva lasciarsi andare. Dolcemente gli passò un dito lungo la mascella e su fino a sfiorare la sua bocca: “Magnus sono sei anni che vivo una vita a metà, vuota, solitaria. Secondo te ti ho aspettato tanto per il tuo bel faccino? Che peraltro per me è ancora stupendo, anche se alcuni potrebbero dire che sono un po' di parte...”
“Non lo so, davvero, non lo so...”
“Quando il drago entra in una stanza tutti si girano a guardarlo perché è magnetico, forte, carismatico. Perché emana luce”.
“La mia luce si è spenta...”
Alec scosse la testa con una risatina: “Sei sicuro di non aver battuto anche la testa? Perché è da quando sono arrivato che dici cose assurde”. Si chinò per depositargli un piccolo bacio sulle labbra: “Dai, vai a metterti quell'affare, vorrei essere a casa per pranzo”.
Senza protestare Magnus si alzò e zoppicando leggermente andò in bagno per togliersi la fasciatura. Quando uscì ad Alec si mozzo il respiro: “Mi rimangio tutto, altro che di parte... Sei decisamente il corsaro più sexy che io abbia mai visto. Sapevo che quella benda era perfetta per te”.
Salutarono la madre di Magnus, rifiutarono la sedia a rotella che gli venne offerta e lentamente si diressero verso l'uscita. La donna li seguiva preoccupata, non era affatto convinta di lasciarli andare via, ma il figlio era maggiorenne e se voleva firmare i moduli di dimissione lei non poteva impedirglielo.

In macchina Magnus rimase in silenzio. Dopo quasi un'ora Alec decise che non era solo stanchezza o una conseguenza della depressione, qualcosa lo tormentava: “Amore, cosa c'è?”
“Niente. Davvero”.

Alec accostò in una piazzola di sosta e impiegò la tecnica che, su di lui, aveva funzionato mille volte: aspettare.
Magnus cedette: “Mi da fastidio. Continui a dire andiamo a casa... vuoi venire da me? O portarmi a casa tua?”
“Pensavo da te, casa mia è un buco, ma se preferisci...”
“Non preferisco. Come credi mi faccia sentire sapere che l'uomo con cui vorrei costruire un futuro viene a vivere da me per paura che mi ammazzi?”
Per una attimo Alec vide un drago d'oro, in cima a una scogliera. Grande, possente, fiero. Una cicatrice gli attraversava l'occhio destro, altre segnavano fianco, erano parte di lui, della sua forza. Quanto era probabile che quel drago si strappasse le ali da solo?
In silenzio aprì il cassetto portaoggetti dell'auto e gli lanciò un coltellino svizzero: “Credi che il motivo sia quello?”
L'uomo si rigiro la lama fra le mani. “Allora perché?”
“Magnus, non è per te, è per me. So che avrei dovuto chiedertelo ma avevo paura della risposta, che fosse troppo presto. La prima volta che mi hai lasciato sei sparito per sei anni, la seconda per un mese tendente al per sempre, non voglio più rischiare di perderti”. Con un sorriso aggiunse: “Ho ventritré anni, e, mi vergogno a dirlo, sono ancora vergine. Devi prenderti le tue responsabilità...”
Lo sguardo di Magnus parve trapassarlo, cercava una menzogna che non c'era. Alec riuscì quasi a vedere il momento in cui l'interruttore nella sua testa scattò: l'espressione di Magnus cambiò, sollevò il sopracciglio in quel sorrisetto che conosceva così bene: “Se è così, direi che dobbiamo arrivare a quel letto in fretta...”

Dopo il piccolo chiarimento Magnus si era visibilmente rilassato e aveva cominciato a raccontare aneddoti e stranezze del personale dell'ospedale. Con la sua solita ironia riusciva a rendere assurdi anche episodi insignificanti. Alec sorrideva alle sue battute e, dopo più di un mese, si sentiva leggero e felice.
“Ehi, sai che non so dove sto andando? Ho dato per scontato che tu abitassi ancora fuori Louisville ma per quel che ne so potresti stare dalla parte opposta...”
“Mia madre abita vicino al Thornvalley, io ho preso una casa nella città vecchia, ma la direzione è giusta” rispose Magnus dandogli l'indirizzo esatto.
L'edifico sembrava un piccolo castello rosso, con tanto di torretta e merlature sotto il tetto.
“Casa dolce casa! Pensavo che non ti avrei più rivista,” sospirò l'uomo mentre faceva strada.
Alec si guardò intorno, l'interno era arredato in stile barocco reso attuale dall'aggiunta di colori sgargianti. Il risultato era un ambiente di originale, eccentrico e appariscente ma elegante e di classe, proprio come Magnus.
Data la condizione del ginocchio Alec aveva insistito per portare lui la borsa e ora gli chiese dove poteva poggiarla. “Ah, qualcuno cerca subito la camera da letto...”
Alec arrossì come uno scolaretto. Passarono davanti a una serie di porte chiuse che Magnus gli elencò: “Lo studio, il bagno, la tua camera...”
Alec lo guardò strano, la camera degli ospiti? Era questo che aveva in mente? Forse anche Magnus pensava che stessero andando troppo veloce, e sicuramente aveva ragione, ma sentì comunque una piccola fitta al cuore.

Magnus si era fermato e lo stava guardando con un sorrisetto machiavellico: “Alexander, togliti quell'espressione dalla faccia. Sto scherzando”.
Dannazione Magnus!
Entrarono nella camera da letto padronale, ancora più opulenta del resto della casa. L'enorme letto matrimoniale sembrava un invito personale. Cercando di resistere Alec vi buttò sopra la sacca:
“Dai, vado a prendere le mie cosa, ci vediamo fra un'oretta, forse due”. Ma le mani del suo compagno erano già intorno ai suoi fianchi, la sua bocca tracciava una scia di fuoco che partendo dal lato del viso seguiva la linea della mascella e poi giù fino al collo. Alec aveva la pelle d'oca: al diavolo le valigie, poteva vivere senza spazzolino... Con un unico movimento fluido si tolse la maglietta, le mani di Magnus si spostarono, ricalcarono la linea dei pettorali, gli addominali e arrivarono al bottone dei jeans. Alec sorrise e lo aiutò sfilandoseli in fretta. Quando le dita di Magnus si infilarono ai lati dei suoi boxer neri Alec lo fermò
“Adesso tocca a me, tesoro...” disse allungando le mani per slacciargli il primo bottone della camicia. Magnus fece un passo indietro: “No, cucciolo, lascia”.
“Cosa... perché?”
L'uomo scosse la testa: “Non voglio che tu veda...”
Ecco il perché della camicia abbottonata. Poteva capirlo, o forse no. Se il tuo compagno dovesse provare ribrezzo per un paio di cicatrici, beh, meglio perderlo che trovarlo. Ma se Magnus aveva bisogno di tempo, lui glielo avrebbe concesso.
“Ho aspettato sei anni, suppongo di poter aspettare ancora”.
Però il momento era passato. Alec prese i jeans e si chinò a raccogliere la maglietta da terra.
Magnus alzò una mano, poi ci ripensò e la lasciò cadere lungo il fianco.
Alec sospirò: “Sei sicuro che ti va bene che io venga a stare qui? Posso tornare a casa mia se vuoi”.
L'uomo si voltò verso la finestra e Alec fu sicuro che lo avrebbe allontanato un'altra volta. Non fu così.
“Alexander, sei a casa” disse tornando a guardarlo, con un mezzo sorriso sul viso.

In auto, mentre si dirigeva al suo bilocale per prendere un po' di cose, i pensieri di Alec andavano continuamente a Magnus. Un mese prima, nei giorni dopo la sfilata, erano stati entrambi fin troppo felice di togliersi i vestiti, ogni scusa era buona per mettersi la mani addosso, c'era una frenesia dettata dalla lunga attesa, un bisogno di contatto e di sentirsi vicini. Ma quella era passione. Che rapporto è uno basato sulla chimica invece che sulla fiducia? Magnus si fidava di lui o questa reticenza era sintomo di qualcosa di più profondo?
Preparare la valigia fu più lungo di quello che si aspettava, c'era da pensare anche alle cose di lavoro, alle scarpe, l'e-book... Quando tornò alla casa-castello era pomeriggio inoltrato. Dalla cucina arrivavano profumi di spezie e soffritto.

Magnus lo accolse con un sorriso e un grembiule da chef che recava la scritta Kiss the cook, ordine che Alec prese molto sul serio. Dopo una deliziosa cena a base di pollo tandoori accompagnato da riso basmati e verdure con zenzero e curry i ragazzi si spostarono sul divano per un film. Mentre Kevin Bacon sfogava la sua frustrazione con un ballo sfrenato nel fienile, Alec appoggiò piano la testa alla spalla di Magnus. Quando il suo amore gli passò il braccio attorno e lo attirò più vicino Alec si lasciò sfuggire un sospirò di pura beatitudine.
Si svegliò all'alba con la testa sulle ginocchia di Magnus che dormiva con il braccio sullo schienale del divano. Un sorriso incurvò le labbra di Alec, quanto si può amare qualcuno prima che il cuore esploda? Nessun altro avrebbe passato la notte in quel modo assurdo solo per non svegliarlo. E nessun altro poteva essere così splendido di prima mattina. Si sollevò piano a posò le labbra sulle sue, delicatamente, per non disturbarlo. Il programma prevedeva caffè, spremuta e crêpes alla marmellata, uno dei pochi piatti che era in grado di non bruciare. Impegnato a cucinare non si accorse del suo uomo finché questi non lo abbracciò da dietro: “Hai bisogno di aiuto per sbattere la pastella? O anche altro...”
Alec quasi fece cadere la ciotola mentre sentiva arrossire anche la punta delle orecchie.
“Tutto ok, ce la faccio”.
Magnus rise: “Allora vado a farmi una doccia, tesoro. Arrivo subito”.
“Se hai bisogno di aiuto per lavarti la schiena chiamami,” scherzò Alec senza riflettere. Magnus non rispose ma il rumore della chiave nella toppa fu commento sufficiente.

Un momento era dolce e piccante, miele e peperoncino, e Alec si convinceva che il suo amore era corrisposto, quello dopo si ritraeva completamente lasciandolo solo dietro un porta chiusa a chiava, in senso metaforico e letterale.

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Capitolo 8
*** Fight! - 3.3 ***


Fight! - 3.3


Isabelle e Jace guardavano il fratello dall'altra parte del tavolo.
“Sei andato dove?”

“A vivere da Magnus”, ripeté il ragazzo per la terza volta in cinque minuti.
“Aspetta fammi vedere se ho capito bene...” Jace lo guardava come fosse impazzito. “Vedi in televisione un tizio del liceo che ti aveva spezzato il cuore sei anni fa, molli tutto e parti per Parigi. State insieme per quanto, quattro giorni?”
“Cinque”.
“Cinque giorni. Poi lui sparisce per un mese senza chiamarti né niente...” si intromise Isabelle.
“Tu un altro po' impazzisci per cercarlo - eravamo lì, ti abbiamo visto...”
“... e, appena lo trovi, ti trasferisci da lui?”
Alec fece di sì con la testa: “Magari se smetteste di finire uno le frasi dell'altra sarebbe meno strano”.
“Non cambiare discorso, qui di strano ci sei solo tu. Ma non eri tu il fratello responsabile, riflessivo, che prende sempre in considerazione ogni aspetto di un problema prima di agire?” lo incalzò Jace.
“Ti farà del male Alec, te ne ha sempre fatto! Siamo solo preoccupati per te,” aggiunse Isabelle poggiando la sua mano sopra quella del fratello.
“Ragazzi, speravo foste felici per me. Mi spiace che non sia così, ma non posso farci niente” disse Alec alzandosi. “Ora devo andare, scusate ma abbiamo un appuntamento per cena e devo ancora cambiarmi”.
Quando il fratello fu uscito Jace e Izzy si guardarono:
“Sta facendo una cavolata”.
“Speriamo bene...”

Con il suo ritorno all'atelier la notizia dell'incidente di Magnus divenne di pubblico dominio trasformandosi in una storia fantastica: giovane stilista rischia la vita a cause di un incidente in cui perde un occhio ma si rialza dalle ceneri più carismatico che mai, anche grazie all'amore dell'uomo misterioso che aveva ispirato la sua precedente collezione... Una favola moderna.
Almeno all'apparenza. Per Alec era un'altalena continua che lo stava logorando: nei momenti in cui il drago lo teneva accanto a sé sentiva che la sua vita non poteva essere più perfetta di così ma proprio per questo la distanza fisica imposta da Magnus pesava ogni giorno di più. Il rapporto impari fra loro lo disturbava, essere l'unico a spogliarsi, a farsi toccare lo faceva sentire... non proprio un oggetto ma di certo non bene. Ogni volta si diceva che sarebbe stata l'ultima eppure appena Magnus lo sfiorava si rendeva conto che, finché gli avesse sorriso in quel modo, gli avrebbe permesso qualsiasi cosa.

I problemi di cuore parevano perseguitare la famiglia Lightwood. Il giorno seguente Isabelle lo chiamò preoccupata per Max e Alec corse subito da lei.
“Devi parlargli tu, a me non da retta, dice che una ragazza non può capire e cavolate simili. E Jace... è Jace”

“A me non ha detto nulla... Cosa gli è successo?”
“Non so, all'inizio pensavo non fosse niente di che, ma adesso... C'è questa ragazza a scuola, un po' più grande, bellissima, bionda, curve al posto giusto, praticamente perfetta, almeno a sentire il fratellino. Ovviamente ha un ragazzo, il capitano della squadra di football, ma Max continuava a guardarla, sognare, sai”.
“La cotta per la ragazza più grande è normale alla sua età”.
Izzy annuì: “Solo che non finisce lì. Sai che Max ha il club di atletica il lunedì, lei anche, cioè non so cosa faccia ma finisce tardi. Le sue amiche prendono la corriera, lei invece fa la stessa strada di Max. Fatto sta che si è accorta di questo ragazzino che la idolatrava e ha cominciato a parlare con lui...”
“Beh, mi sembra bello, che problema c'è?”
“C'è che lo illude, gioca con lui, si piega in avanti e gli chiede se il top le sta bene, gli dice che è carino, poi un bacio prima di salutarsi, cose così. E lui è sempre più innamorato, non pensa ad altro. Però a scuola lei non lo considera, finge di non conoscerlo, sta sempre attaccata alle labbra del suo ragazzo...”
Mentre Isabelle parlava lo sguardo di Alec diventava sempre più cupo.
“... Se qualcosa non va come dice lei, si sfoga con Max, su Max. E nostro fratello abbassa la testa e si prende tutte le sue scenate, su cose che non hanno nulla a che fare con lui. Mamma dice che torna a casa a pezzi”.
“Izzy, non ti preoccupare, Max è in gamba, sono sicuro che ha solo bisogno di vedere il quadro completo... Adesso lo chiamo e vediamo di farlo ragionare. Non può... una così non vale niente...” disse Alec prendendo il cellulare.
Isabelle sorrise mentre posava la mano sul telefono di Alec e lo abbassava piano.
“Alec, lascia perdere Max, lui non c'entra”.
“Scusa?”
“Questa storia è la tua fratellone. Non l'hai riconosciuta? Magnus ti ha trattato così, e tu l'hai lasciato fare e ora... Io e Jace ne abbiamo parlato l'altro giorno, quando sei andato via: devi smetterla, vedere il quadro completo, come dici tu”.
“Magnus ha bisogno di me e io di lui”.
“Certo che ha bisogno di te!” Isabelle quasi gridava. “Lui ti cerca solo quando ha bisogno, quando nessun altro gli starebbe vicino”.
Alec rivide la disperazione di Magnus, la cicatrice sulla faccia, la benda sull'occhio, il terrore di restare solo, di non valere più niente per nessuno. Le ferite all'interno dei polsi.
Gli occhi si fecero di ghiaccio: “Izzy adesso basta. Lui avrà sempre qualcuno vicino”. La voce si addolcì appena: “Tu non capisci, non lo conosci, è la persona più generosa, altruista e dolce che abbia mai incontrato. E poi è forte, ironico, intelligente... Non hai idea di cosa ha passato, ci sono cose che i giornali non dicono”.
“Allora dimmelo tu Alec perché hai ragione, non capisco”.
Alec si portò la mano alla testa, erano cosa private, che diritto aveva di parlarne con qualcuno, fosse anche sua sorella? E come poteva spiegare. Però Isabelle era preoccupata per lui, glielo doveva.
“Per anni non ha avuto nessuna storia seria, nessuna persona su cui contare, un po' come me, ma lui non aveva fratelli accanto. Si è buttato nel lavoro, un lavoro in cui doveva brillare sempre di più, osare sempre di più. Cosa che adora, non dico di no, lui è fatto così, è nato per essere al centro dell'attenzione. Ha messo a frutto il suo talento e il suo carisma e ha sfondato. Ma l'incidente lo ha devastato, vedersi sfregiato, avere intorno solo gente che lo compativa... Non riusciva neanche a immaginare di tornare alla sua vita, di trovarsi di nuovo sotto i riflettori”.
E ora la parte più difficile.
“Ha ceduto Izzy, si è tagliato le vene. In qualche modo l'ha superata, forse ha avuto bisogno di una piccola spinta, ma ce l'ha fatta. Il drago è tornato a brillare, almeno in pubblico. Ti rendi conto di quanto coraggio ci vuole per sorridere e dire guardatemi in una situazione del genere? Tu ce la faresti?”
“Io non...”
“Ma a casa ci sono ancora momenti in cui lo vedo fissare il vuoto... ci sono cose che ha paura di fare, di mostrare. Quindi sì, ha bisogno di avermi accanto e sì, ne vale la pena”.

Parlare con Isabelle era stato stranamente utile, gli aveva permesso di mettere insieme pezzi che era abituato a considerare singolarmente. A volte quando Magnus gli parlava il suo sorriso sembrava forzato, quando si baciavano c'era un ombra interrogativa nel suo sguardo. Gli serviva un'ultima spinta, il drago doveva spiccare il volo.
Alec sapeva che Magnus sarebbe rimasto allo showroom fino a tardi, doveva incontrare alcuni nuovi modelli e definire quali accessori usare per il servizio fotografico di Vogue. Raccolse le sue cose e si spostò nella stanza degli ospiti.

Quando Magnus rincasò trovò Alec sulla poltrona intento a leggere un libro.
“E' tardissimo cucciolo, dai vieni a letto”.
Alec sorrise appena: “Magnus ti devo parlare...”
“Domani? Sono stanchissimo”.
“Mi sono trasferito nell'altra camera”.
Lo vide portare di riflesso la mano alla benda, per un attimo gli parve di scorgere un di lampo terrore nell'occhio buono. Poi Magnus squadrò le spalle: “Nessun problema. E' casa tua, dormi dove preferisci”.
A volte l'orgoglio di quell'uomo lo sorprendeva ancora. “Certo che c'è un problema! Come fai a dire che non c'è?”
“Alexander, ti capisco, davvero. Non so come hai fatto finora”.
“Non lo so nemmeno io, passo le notti accanto all'uomo più sexy che conosco e non posso toccarlo. Dormo da cani”. Si passò una mano nei capelli spettinati: “Ti amo Magnus Bane, prima o poi te ne renderai conto e forse comincerai a fidarti di me. In quel momento saprai dove trovarmi”.
La camera degli ospiti era grande quasi come quella padronale anche se leggermente più sobria. Alec si era fatto la doccia e ora indossava solo i pantaloni del pigiama. Sedeva sul letto in attesa: il suo uomo sarebbe venuto da lui, doveva crederci.

Magnus aprì la porta dopo quarantasette minuti esatti - non che Alec li stesse contando. Aveva un sorrisetto sbilenco: “Sotto quell'aspetto angelico sei proprio prepotente, lo sai?”
Appena l'aveva visto Alec si era illuminato: “Magnus”.

“Per un sorriso così suppongo che potrei posare nudo in qualche rivista per adulti”.
“Sciocco, vieni qui”.
“Sei sicuro?”Alec non rispose, preferendo fargli scivolare dalle spalle la vestaglia di seta rossa. Sotto Magnus indossava solo i boxer. Il suo corpo perfetto era solcato da numerose cicatrici ormai guarite che nulla toglievano alla sua bellezza.
“Prima o poi ti ammazzo Magnus, mi hai fatto aspettare per questo? Quasi non si vedono!” disse passandogli la mano sugli addominali. “Adesso me la paghi..” aggiunse tirandolo verso di se. “Oggi sarai tu a non potermi toccare, vediamo quanto ti piace...”
Fece sdraiare Magnus sotto di sé e cominciò la sua lenta tortura. Seguì ogni segno della sua pelle, sfiorandolo piano, la delicatezza delle dita in netto contrasto con la bocca che assaggiava, mordeva, leccava. Mise in pratica ogni fantasia delle ultime settimane, il profumo di Magnus lo inebriava. Quando decise che il suo uomo aveva supplicato abbastanza gli sfilò i boxer, poi fece lo stesso con i propri.
“Io sto ancora aspettando che tu mantenga la tua promessa..”
Magnus ci mise molto poco a capire a quale promessa si stava riferendo, quando si dice sintonia...
“Ai suoi ordini”, rispose con un sorriso. “Prometto di fare piano.. se riesco a resistere”.

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Capitolo 9
*** Just another day 4 ***


Just another day


Come si era lasciato convincere? Ah, già, era stato quello sguardo terribilmente affascinante.
Il centro commerciale di sabato era un vero incubo. Inoltre Alec era stato invitato a un convegno di nanomedicina, doveva tenera una conferenza e aveva bisogno di tempo per cercare qualche informazione e preparare il discorso. E invece era qui, a cercare di sentire quello che diceva il biochimico australiano dall'altro capo del telefono, cosa quasi impossibile data la musica e le centinaia di persone che passavano avanti e indietro. E Magnus, dove si era cacciato? Riattaccò e diede un'occhiata in giro. Lo vide seduto sullo sgabello di un angolo bar che chiacchierava tranquillo con tre o quattro persone e sorseggiava un drink.

“Ah, Alexander, eccoti qui! Ti presento Roger, uno dei migliori baristi del mondo” disse indicando con la testa l'uomo baffuto dietro il bancone. “Queste belle signorine invece sono Kissy e Love, due esperte del settore intrattenimento...” Cosa su cui il succinto abbigliamento delle ragazze non lasciava dubbi. Se solo Magnus avesse tolto le mani dai loro fianchi. “... per ultimo ma non meno importante, Edwin. Sai che è un editor, ha lavorato anche con Clive Cussler!”
Solo lui riusciva a conoscere vita, morte e miracoli di quattro sconosciuti nel giro di dieci minuti...
“Piacere a tutti. Dai Magnus, dobbiamo andare”.
“Che noioso! Roger, un ultimo giro per tutti, offre la casa!” disse Magnus alzandosi e posando qualche banconota sul bancone.
Erano appena usciti quando il cellulare di Alec vibrò di nuovo. Accidenti, ancora lavoro. Aveva trascinato Magnus fuori dal bar dove si stava visibilmente divertendo e ora doveva lasciarlo. L'uomo dovette leggere qualcosa nel suo sguardo perché sorrise: “Vai, vai, io faccio un giro”.
Due ragazzine sui quindici anni si davano di gomito: “Ti dico che è lui! Dai, è inconfondibile”.
“Impossibile, cosa ci farebbe in un centro commerciale? Sarà qualcuno che imita il suo stile”.
Questo è impossibile!”
“Se sei così sicura Aline, chiediglielo...” disse la biondina spingendo avanti l'amica che quasi finì addosso a Magnus.
“Ragazze...” le salutò lui.
“LeièdavveroMagnusBane?” disse la brunetta in un fiato solo.
Magnus le rivolse il suo sorriso più disarmante: “Il solo e unico. E tu invece sei Aline? Mentre la tua amica si chiama...”
“Helen”.
“Aline e Helen. Siete proprio una bella coppia!”
Helen arrossì peggio di Alec mentre Aline si affrettava a negare.
“Dove stavate andando ragazze?”
Aline fece cenno al Desigual dietro di loro e Magnus le prese entrambe a braccetto: “Adoro quel negozio, così tanti colori! Su, andiamo a vedere”.
Magnus girava fra i vestiti sgargianti esaminando tutto con curiosità professionale e divertimento personale. “Ragazze, a voi due serve qualcosa di coordinato. Non uguale, per carità, sarebbe assurdo, ma... vediamo cosa troviamo. Aline, con la tua grinta ci vedo bene questo.” disse porgendole un giubbino jeans corto con applicazioni colorate stile mandala. “Mentre per Helen direi la canottiera in voile con lo stesso motivo”.
“Wow, è bellissimo” esclamò Aline guardando il cartellino del prezzo. Con un sospiro rimise la giacca al suo posto.
“Oh, io mi predo questa maglietta, scommetto che Alexander ne andrà matto. E poi guarda questo foulard... Helen dammi una mano, vediamo quanto è lungo...”.
Dieci minuti dopo uscì dal negozio con due buste. Alec si stava guardando intorno con aria smarrita.
“Magnus, possibile che ti lascio un minuto e sparisci?”
“Tesoro, stavo facendo un po' di shopping con Helen e Aline!”
Alec scosse la testa mentre la ragazzine salutavano e cercavano di allontanarsi.
“Aspettate fanciulle, vi state dimenticando questi,” le rincorse Magnus porgendo loro uno dei sacchetti.
La brunetta guardò nel sacchetto: erano i vestiti che avevano visto prima. “No, non possiamo accettare” disse provando a restituirglieli.
“Sciocchezze! A me non starebbero bene” disse facendo scappare un risolino a Helen, “E poi è il mio lavoro, adoro vestire la gente”.
“Magnus!”
“Alexander! Che pensieri fai? Sono bambine! E poi sai che mi piace vestire, anzi svestire, solo te”.
Alec e Helen divennero dello stesso color porpora mentre Aline scoppiava a ridere.
“Adesso basta spendere però, andiamo, su”.
Helen lo guardò preoccupata: “Mi spiace signore, ci creda, noi non abbiamo chiesto niente, davvero”.
Alec la guardò con un sorriso: “Godetevi i vestiti, non ce l'ho con voi, è questo qui che fa il bambino viziato”.
Magnus le fece l'occhiolino e sussurrò: “Tiene il muso perché non l'ho ancora portato in libreria...”

Mentre si dirigevano verso un Barnes & Noble, Magnus gli mostrò i suoi acquisiti.
“Non ci credo, un altro foulard. Ne hai già fin troppi!”

“Primo: non esiste una cosa come troppi foulard, secondo: questo è lunghissimo, si può usare per un sacco di cose”.
“Sarà...”

In libreria Alec si sentiva a casa. Chiuse gli occhi, respirò l'inconfondibile profumo di libri nuovi e si diresse verso il reparto Fantasy/Fantascienza: gli serviva assolutamente il seguito di Gens Arcana, poi l'ultimo di Hyperversum. E Relic, un romanzo sull'ultimo essere umano della galassia, si aggiunse alla pila.
“Poi dici a me. Quanti libri hai preso?”
“Non esiste una cosa come troppi libri. E poi sai che i miei li ho letti tutti”.
“E io ho messo tutti i miei foulard. Comunque un libro lo devo prendere anch'io” disse appoggiando Cinquanta Sfumature di Grigio sopra gli altri.
Alec lo guardò storto: “Davvero?”
“Perché pensi che abbia comprato quel foulard? Già mi immagino il tuo corpo disteso sul letto, la mani legate alla testiera... Certo qui parlano di una ragazza, ma sono sicuro che riusciremo facilmente ad adattare il tutto”.
“Tu sei matto,” disse Alec arrossendo, poi sottovoce aggiunse: “Ho fatto sesso una sola volta e tu già vuoi passare al bondage”.
Magnus rise: “Alexander, non riuscirai mai a nascondere che la cosa ti eccita finché arrossisci così”.
Alec boccheggiò, avvampò ancora di più e si diresse verso la cassa.

Oggi un capitoletto corto, anche Alec e Magnus devono vivere una vita normale a volte...

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Capitolo 10
*** Letter trouble 5 ***


Letter Trouble


Dopo l'ultimo capitoletto di puro divertimento al Centro Commerciale, torniamo a cosa più serie...

Arrivarono a casa ridendo. Magnus aveva fugato le ultime nubi dal suo cuore e Alec non era mai stato così felice.
Fu per questo che, quando aprì per errore la lettera del tribunale indirizzata a Magnus, si trovò in una posizione così difficile.


Era passato da casa sua per prendere un paio di magliette aveva visto che la casella della posta straripava. Per l'ennesima volta si era chiesto perché, negli ambienti accademici, la gente si ostinava a usare ancora lettere cartacee. Le aveva raccattate tutte pensando di leggerle con calma a casa di Magnus ma una volta lì era stato distratto da altro. Per la precisione da Magnus a torso nudo che si allenava nelle arti marziali, la pelle lucida di sudore, l'espressione concentrata e le movenze feline.
Senza staccare gli occhi dal suo uomo aveva posato le buste sul tavolino e si era appoggiato allo stipite a godersi lo spettacolo. Qualche mossa e due calci dopo, Magnus si era girato verso di lui e gli aveva fatto un piccolo inchino: “Allora, ti piace quello che vedi?”
“Molto,” aveva risposto Alec avvicinandosi. Le lettere erano rimaste dimenticate in ingresso.

Dopo un weekend di rilassato divertimento tornare al lavoro è difficile, soprattutto se si fa la doccia insieme e, come risultato, si deve correre per arrivare in orario. Alec riuscì a dedicarsi alla corrispondenza solo la sera dopo cena. Come sospettava la maggior parte delle lettere era composta da inutile pubblicità, ricevute dei pagamenti bancari di varie bollette e inviti a seminari e lezioni. Poi c'era qualche lettera di colleghi, una cartolina dai genitori in vacanza a Santo Domingo e una comunicazione del tribunale. Si era reso conto troppo tardi che l'ultima lettera era indirizzata a Magnus: doveva essere finita nella pila per sbaglio, magari si trovava già sul tavolino... ma ormai l'aveva letta. Era la richiesta, da parte dell'avvocato dell'accusa, di testimoniare contro Jeffrey Harp, il ragazzo che lo aveva investito. Alec aveva fissato il foglio senza vederlo. Come potevano aspettarsi che Magnus partecipasse a quel processo, perché dovevano chiedergli di rivivere le conseguenze dall'incidente, proprio adesso che tutto andava bene, che aveva finalmente superato il trauma. Il cuore gli batteva a mille, aveva la bocca secca e un groppo nello stomaco: dargli quella lettera voleva dire rimettere in gioco il suo benessere psicologico. Non dargliela era una violazione non solo della legge ma soprattutto del codice morale. Fino a che punto è accettabile fare una cosa sbagliata per un motivo giusto, per proteggere qualcuno?
Alec piegò il foglio e se lo mise nella tasca dei jeans: c'era più di una settimana prima del processo, aveva tempo per decidere.

Mentre Magnus preparava la cena - entrambi avevano capito subito che quel compito era meglio se lo avesse svolto sempre lui - parlarono della sua giornata, dei disegni per la collezione estiva, del lavoro di Alec, dei progetti per il fine settimana successivo, del nuovo ristorante thai che dovevano provare... Era tutto troppo perfetto per permettere a quel Jeffrey di rovinarlo per la seconda volta. Alec non voleva più vedere Magnus perdersi in spirali di malinconia e tristezza, avrebbe fatto di tutto per evitarlo, compreso nascondere quella dannata lettera.

Il giorno dopo Magnus rincasò tardi, avevano deciso di cenare al thai e Alec si stava cambiando - il che voleva dire mettersi una maglietta pulita e un paio di jeans neri invece dai soliti blu. Il ragazzo alzò lo sguardo con un sorriso che Magnus non ricambiò.
“Magnus. E' successo qualcosa?”
“Non ne sono sicuro”. Si sedette sul letto con un sospiro: “Alexander, c'è qualcosa che non mi hai detto? Mi ha chiamato mia madre, ha ricevuto la richiesta di testimoniare a un processo. Per la precisione al processo contro il tizio che mi ha quasi ammazzato”.
Alec rimase immobile, ancora girato verso la porta ormai vuota.
“Mi sembra molto strano che abbiano chiamato lei e non me”. Si alzò di scatto e lo prese per le spalle per farlo voltare. “Ti prego, dimmi che si è persa nella posta, che non mi hai ingannato, che non mi hai tenuto nascosto una cosa così importante”.
Magnus lesse la risposta negli occhi trasparenti di Alec e lo lasciò: “Perché Alexander? Io mi sono fidato di te, ti ho mostrato tutte le mie ferite, e non sto parlando solo di quelle fisiche...”
“Amore, volevo solo proteggerti...”
“Non era compito tuo!” scattò Magnus. “Non avevi alcun diritto di decidere al mio posto!”
Alec allungò una mano ma l'uomo si scostò.
“Se ti interessa sappi che ho già telefonato e accettato”.
Una pausa.
“Forse è meglio se stanotte ti prepari l'altra camera” aggiunse piano. “Anzi, lascia perdere, ci dormo io”.
Alec lo guardò prendere il pigiama di seta e chiudersi la porta alle spalle.
Bene! Se non era in grado di capire che l'aveva fatto per lui, che tutto quello che faceva era sempre e solo per lui, al diavolo! Magnus non si era visto dall'esterno in quella casa di cura, lo stato pietoso in cui versava, lo sguardo spento, la debolezza fisica ed emotiva. Non capiva che doveva proteggerlo? Impedire che cadesse di nuovo in quel baratro?
I pensieri di Alec si rincorrevano come cani impazziti. Il drago sulla scogliera. L'uomo distrutto nel letto d'ospedale. Quello splendido e sexy nel loro letto. I polsi segnati dalla lametta. Gli scherzi in libreria. Canzoni d'amore, sguardi assenti, tocchi proibiti e risate felici. Il re della scuola. Lo stilista famoso. Il suo unico amore.
E lui l'aveva umiliato. Lo aveva trattato come una cosa fragile, che si può rompere al primo tocco. Non aveva avuto fiducia in lui, nella sua forza, nel drago che era.
Appoggiato al cassettone si mise una mano nei capelli. Che cosa aveva fatto?
Prese la lettera da sotto i maglioni e bussò alla porta della camera dagli ospiti.
“Vattene Alexander. Non ho voglia di parlare”.
“Magnus ti prego, fammi entrare”. Doveva dargli un'altra possibilità.
“Non oggi. Direi cose di cui potrei pentirmi. Lasciami solo”.
Alec aveva poggiato la testa alla porta. Si sentiva sconfitto, insistere poteva davvero peggiorare le cose. Non se la sentiva di tornare in camera, non da solo. Prese un plaid e si sdraiò sul divano.
Fuori nel buio l'orologio della chiesa batté la mezzanotte. Poi l'una, le due... Era quasi l'alba quando Alec riuscì ad addormentarsi. Al risvegliò Magnus era già uscito.

Concentrarsi al lavoro sembrava, tanto per cambiare, impossibile. E sì che fino a qualche mese prima la nanomedicina era il fulcro della sua vita. Le ore passavano con inesorabile lentezza, le mail si accumulavano, in laboratorio i colleghi dovevano ripetergli le domande più volte. Sospirò, doveva darsi una svegliata, c'era altro nella vita oltre a Magnus. Niente di così importante, ma c'era. In qualche modo riuscì a lavorare decentemente fino alle sei, poi corse a casa.
Nessuno. Non c'era nessuno. Alle nove tirò fuori dal freezer una vaschetta di gelato, alle dieci accese Netflix. Dopo quattro puntate di The Witcher sentì la chiave girare nella toppa. Era passata la mezzanotte. Magnus, bello come un dio, con i capelli lievemente spettinati e la camicia sudata appiccicata al corpo, puzzava di fumo e alcool. Senza degnarlo di uno sguardo si chiuse in bagno e Alec sentì il rumore della doccia. Aspettò che tornasse ma l'uomo andò direttamente in camera e chiuse la porta.

Perché non gli dava la possibilità di scusarsi? Il loro rapporto non valeva forse questo sforzo? Il suo uomo era dolce, attento, spiritoso e leale, ma anche orgoglioso e testardo. Dava la sua fiducia con difficoltà, ma se lo faceva si aspettava lo stesso in cambio. Alec prese il solito plaid e cercò una posizione non eccessivamente scomoda sul divano troppo corto, il loro letto rimase vuoto e freddo.
La giornata successiva si svolse nello stesso identico modo. Magnus uscì presto e tornò tardi, questa volta con in più un segno di rossetto sul collo. Alec lo fermò prima che sparisse di nuovo: “Magnus ti prego, parlami. Così non ce la faccio”.
L'uomo lo guardò con un mezzo sorriso che non arrivava all'occhio. “Peccato” disse con un'inflessione crudele nella voce: “Io mi sto divertendo”.
Alec sapeva che non era vero ma il commento riuscì a ferirlo lo stesso.
“Te l'ho già detto una volta, se vuoi che vada a casa mia devi solo dirmelo. Se pensi che ormai...”
Magnus si girò e per un secondo ad Alec parve di scorgere panico nel suo sguardo ma non poteva esserne sicuro perché qualsiasi cosa fosse sparì subito.
“E io ti ho già detto che casa tua è questa. Adesso vai a letto Alexander, il divano mi serve”.
“Mi spiace Magnus, ti prego perdonami...”
“Vai-a-letto”.
Alec si rifugiò in camera sbattendo la porta. Dannazione a te e al tuo carattere del cavolo! Vuoi stare da solo, stacci. Però non riusciva a smetter di pensare che finché Magnus lo avesse voluto lì una speranza c'era.

“Adesso basta, stavolta lo ammazzo!” Isabelle era passata pranzare col fratello ed era rimasta scioccata dal suo aspetto stanco e depresso. “Settimana scorsa eri al settimo cielo, e per un attimo ho pensato che forse avevi fatto la scelta giusta e adesso guardati, spettinato, con i vestiti conciati e occhiaie tali che sembra tu abbia preso un pugno in faccia. Per non parlare del tuo umore”.
Alec fece un flebile sorriso, sua sorella era sul sentiero di guerra. “Izzy calmati, questa volta è tutta colpa mia...”

“Ci scommetto, sei proprio una cattiva persona,” fu il suo commento ironico.
“Credici invece,” rispose Alec. Mentre spiegava, Isabelle diventava sempre più pensierosa.
“Fratellone, questa volta hai fatto un bel casino, ovvio che si sia arrabbiato. Però se vi amate davvero deve ascoltarti, darti la possibilità di spiegare”.
Alec aveva smesso di ascoltare a però se vi amate. Magnus lo amava? Lo amava quanto Alec amava lui? Ne era stato così sicuro ma era ancora così?


Lo stress e la mancanza di sonno cominciavano a pesare, quella sera Alec decise che era inutile aspettare ancora, spense la luci e andò a letto presto.
Non sapeva che ora fosse quando il rumore della porta d'ingresso lo svegliò. Senti i passi di nell'ingresso, poi vide la luce sotto lo spiraglio della porta. Un tonfo, lo zaino di Magnus che cadeva terra?
“Alexander?” la voce rasentava il panico. Alec si alzò.
Passi di corsa, “Alexander!” ora il panico era reale. La porta della sua stanza che veniva spalancata. Magnus sulla porta respirava a fatica.
“Cucciolo... pensavo te ne fossi andato”, una singola lacrima gli rigava il volto.
“Sono qui, tesoro, sono qui. Non potrei... senza di te...” Sarebbe mai riuscito a smettere di balbettare davanti a Magnus? “Mi sei mancato così tanto”.
Magnus sembrava ancora non credere ai suoi occhi, una risatina nervosa gli sfuggì dalle labbra.
“Avevi ragione, avevi ragione su tutto. Ho sbagliato a nascondere quella lettera. Sono abituato a proteggere Jace e Isabelle e Max... tutti. Ma non è una scusa valida. Perdonami”.
Magnus sorrise, un sorriso vero questa volta. “Sei perdonato amore disse passandogli i polpastrelli sulla guancia mentre gli faceva scorrere il pollice sulle labbra.
“Torneresti a letto con me Magnus?” chiese Alec piano.
La risposta fu un bacio lungo e sensuale.

La sera seguente, quando Alec rincasò, Magnus aveva preparato una cena a base di aragosta, con tanto di candele e rose sul tavolo. In sottofondo What is Love, Baby don't hurt me, don't hurt me, no more. I want no other, no other lover, this is our life, our time, we are together I need you forever. Is it love?
Alec sentì il cuore gonfiarsi di amore, cosa aveva fatto per meritarsi quest'uomo?

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Capitolo 11
*** Trial 6.1 ***


Trial


Il giorno del processo Alec era forse più nervoso di Magnus stesso. Nonostante le rassicurazioni di quest'ultimo continuava a essere preoccupato, Magnus sottovalutava l'impatto emotivo del vedere Jeffrey.
Per l'occasione Magnus aveva scelto un look sobrio, almeno per quanto gli era possibile: camicia nera, completo verde militare con giacca alla coreana e pochette nera e rossa, niente collane e un unico orecchino all'orecchio sinistro. Fuori dal tribunale trovarono un capannello di persone venute a dargli supporto psicologico: oltre a Indah Bane c'erano i suoi due migliori amici del liceo, Catarina e Ragnor, alcuni collaboratori dell'atelier e un bel ragazzo messicano sui diciotto anni dall'aria cupa e un po' imbronciata.

Appena lo vide Magnus lo avvolse in un abbraccio dal quale il giovane cercò subito di districarsi.
“Raphael, sono così contento di vederti! Anche se non dovrebbe volerci un processo per passarmi a trovare”. Alec era rimasto qualche passo indietro, stupito dalla reazione così espansiva di Magnus. Il ragazzo era molto attraente anche se, almeno per i suoi canoni, troppo giovane. Che fosse una vecchia fiamma?
Magnus non sembrava minimamente in imbarazzo quando si voltò verso Alec e li presentò:
“Raphi, lui è Alexander, il mio unico amore, te ne avevo parlato vero?”
Il ragazzo rispose alzando gli occhi al cielo: “Sì Magnus, almeno un centinaio di volte”.
“E Alec, questo è Raphael Santiago, il mio figlio adottivo”.
“Non sono tuo figlio Magnus! Smettila con questa storia che mi fai senso!”
L'uomo rise e spiegò: “Questo ragazzino è apparso sulla mia porta...”
“Era l'atelier, non la tua porta”.
“... quattro anni fa, aveva appena quattordici anni ed era già carino da morire. Cercava lavoro come modello, in foto sembrava più grande e con quegli occhioni profondi e il faccino imbronciato era perfetto. Poi una mattina ho scoperto che a fine giornata si nascondeva nel bagno e, appena erano andati via tutti, dormiva sul divano. Cosa dovevo fare? Me lo sono portato casa...”
“Magnus ti assicuro che non sono mai stato un dannatissimo gattino bagnato”.
“Dai Raphi, non te la prendere, è una bella storia”.
“No, non lo è, e sai una cosa? Vi saluto e ci vediamo dopo”.
Magnus rise e si rivolse ad Alec: “Cosa ti posso dire, è adorabile quando fa il duro!”
Alec scosse la testa. Questo era un lato di Magnus che non aveva mai visto ma che si addiceva perfettamente al suo modo di intendere la vita. Un ragazzino aveva bisogno di una mano e lui si faceva in quattro per aiutarlo. Chissà quanto tempo era rimasto a casa sua?
“Un po' più di due anni, non voleva ovviamente, ma anche quando ha cominciato a guadagnare non potevo lasciare che abitasse da solo, era troppo giovane, non credi? Pensa che quando è venuto da me era convinto che volessi qualcosa in cambio,” disse alzando il sopracciglio. “Aveva avuto una vita terribile, il padre abusava di lui da quando aveva sette anni, ogni uomo era un pericolo. Ci è voluto un bel po' prima che iniziasse a fidarsi, mi sembrava di essere il Piccolo Principe con la volpe”.
“Mi sembra ancora un po' scontrosa la tua volpe...”
“Sembra. In realtà stravede per me come io per lui, solo non lo vuole ammettere”.
Sarà. La volpe, schiva e guardinga, e il drago d'oro, forte e lucente, erano un'accoppiata a dir poco improbabile.

Mentre Magnus parlava con la madre, Alec vide arrivare Isabelle.
“Izzy! Cosa ci fai qui?”

“Supporto morale” scherzò lei. “Dopo quello che mi hai detto l'altro giorno, ho pensato che almeno qualcuno della famiglia dovesse darvi il beneficio del dubbio”.
“Sempre così gentile! Non capisco come faccia Simon a non averti ancora messo l'anello al dito!” disse Alec guadagnandosi una linguaccia. “Comunque grazie, davvero”.
“Wow Alec, chi è questo schianto!”
“Giù le mani dalla mia sorellina Magnus! Hai già un Lightwood, fattelo bastare”.
Magnus rise e gli posò un bacio sulla guancia, poi si rivolse a Isabelle con un piccolo inchino: “Enchanté! Adesso capisco perché Alec ti teneva nascosta. Se non avessi visto sia te che Jace al liceo avrei cominciato a pensare che foste frutto della sua illimitata fantasia”.
“Fantasia? Alec?”
“Oh mia cara, Alexander ha un sacco di fantasie...”
Mentre cercava un buco per seppellirsi, Alec guardava il suo ragazzo e sua sorella ridere insieme. Beh, sono contento che vadano d'accordo. Suppongo. Se solo il loro divertimento non consistesse nel prendere in giro me...

Poco dopo la piccola folla si aprì per permettere il passaggio a un ragazzo scortato da due poliziotti. Dietro di loro una donna in lacrime si appoggiava al marito. Jeffrey Harp e i suoi genitori.
Il processo era stato intentato dal proprietario del negozio, il signor Barnaby, che aveva poi chiesto a Magnus di firmare l'accusa senza la quale l'imputato avrebbe potuto essere condannato solo per danneggiamento di proprietà privata e guida pericolosa. Magnus aveva firmato subito: l'uomo che lo aveva quasi ucciso non poteva andarsene in giro impunemente.

All'ingresso del tribunale il gruppo si divise: Magnus andò con il signor Barnaby e l'avvocato dell'accusa a prendere posto al banco, Indah Bane fu accompagnata in un'altra stanza con tutti i testimoni: per garantire l'imparzialità delle dichiarazioni i testimoni non potevano assistere al processo.
Alec e Isabelle entrarono insieme a Ragnor e Catarina. Raphael era già dentro e Alec notò che si era seduto appena dietro a Magnus. Forse il ragazzo gli era davvero affezionato.

Il processo ebbe inizio, l'avvocato dell'accusa prese la parola: al giorno d'oggi i ragazzi sono sempre più irresponsabili, viziati, abituati ad averla vinta su tutto, a ottenere ogni cosa senza sforzo. Per questo è importante che i loro errori, soprattutto quelli che impattano sugli altri, vengano trattati con la giusta fermezza. L'imputato, con la sua guida pericolosa e irresponsabile, aveva rovinato la vita di una persona e distrutto un negozio. Non solo l'uomo che aveva investito aveva rischiato la vita, ma era rimasto menomato in modo permanente. L'avvocato intendeva provare che le ferite del signor Bane avevano avuto gravi ripercussioni psicologiche e che la responsabilità dell'imputato andava ben oltre i meri danni tangibili.
Poi toccò alla difesa: l'imputato era solo un ragazzo, aveva la patente da poco. Un piccolo incidente capita a tutti, era stata sfortuna che in quel momento ci fosse un passante. Inoltre, sebbene il suo cliente avesse urtato la vittima, non era stato lui a ferirlo al volto. La ferita era stata la conseguenza di una vetrina ormai vecchia e poco sicura: con un nuovo vetro anti-sfondamento le lesioni sarebbero state molto più lievi. Per finire, si poteva vedere che nonostante la ferita all'occhio, il signor Bane si era ormai ristabilito completamente. Chiedeva quindi la pena minima di quattro anni di reclusione.

Alec tratteneva il fiato, l'accusa parlava di Magnus come se non fosse nemmeno presente: lesioni permanenti, vittima, danno fisico e psicologico... La difesa al contrario sottovalutava le sue ferite, il rischio di vita, parlava di un semplice urto... Isabelle avvertì la sua tensione e gli strinse la mano.

Furono chiamati i testimoni.
Il signor Barnaby, proprietario del negozio aveva visto l'auto infrangere la vetrina e poi l'uomo a terra, trafitto dai vetri. Sembrava morto, disse. C'era sangue dappertutto. Inoltre la vetrina del suo negozio era stata distrutta, compresi i costosi orologi che vi erano esposti. Alcuni valevano più di cinque mila euro. Rimettere a posto il negozio era stato lungo e complesso, in quel periodo aveva perso parecchie vendite, per questo riteneva di aver diritto a un indennizzo.

Due parole su Magnus e mezz'ora di tirata sui suoi orologi, ma che priorità aveva la gente?


Poi fu il turno di alcuni passanti che avevano assistito all'urto: molti ricordavano il ragazzo alla guida della berlina blu e tutti furono concordi nel dire che l'auto aveva catapultato Magnus contro la vetrina per poi sfondarla col paraurti causando la caduta dei vetri come tante ghigliottine. Una donna affermò di avere ancora incubi in cui rivedeva quella scena terribile.
Alec non riusciva a togliere gli occhi dalla schiena di Magnus, la sua postura era rigida e controllata ma le mani tradivano lo stress sfregandosi incessantemente l'una nell'altra.
Gli unici testimoni della difesa erano amici e professori di Jeffrey che garantirono che il ragazzo era serio, attento, un buon guidatore e una persona responsabile.
Alcuni medici furono chiamati a testimoniare riguardo la salute di Magnus dopo l'incidente, confermarono la prognosi riservata, la frattura del piatto tibiale, la perdita dell'occhio e infine il tentato suicidio e la depressione che aveva portato al suo ricovero presso il centro per malattie mentali di Belleview.
L'accusa chiamò poi la madre di Magnus: la donna, con voce rotta per l'emozione e la tensione, parlò delle condizioni del figlio, dell'angoscia mentre aspettava di sapere se sarebbe sopravvissuto, del dolore terribile che aveva provato quando le avevano comunicato che non era possibile salvargli l'occhio. Il figlio aveva perso la voglia di vivere ma nessuno si aspettava che avrebbe davvero cercato di farla finita. Solo un miracolo gli aveva permesso di uscire dal tunnel e tornare a una vita normale.
Mentre la donna parlava il ragazzo nel banco dell'imputato diventava sempre più pallido e Alec lo vide asciugarsi gli occhi. Non che gli facesse pena.
Seduto dov'era non riusciva a vedere in faccia Magnus ma era abbastanza vicino da notare le spalle che tremavano di tensione repressa, le mani sul tavolo ora strette a pugno fino a far diventare bianche le nocche. I racconti dei testimoni non avevano fatto altro che riportare a galla il dolore e la paura. Alec sapeva che, per qualcuno col cuore grande come Magnus, sentire la madre che rivelava tutta la sua angoscia, che riviveva le ore passate a pregare sulle sedie del manicomio era una tortura, sapeva che Magnus si sentiva responsabile di questa pena. Alec avrebbe voluto poter andare da lui tenerlo stretto fino alla fine di questo incubo.
Isabelle gli strinse un braccio: “Se è il tuo drago, resisterà”. Alec riuscì a sorriderle, a volte Izzy non era poi male.

Quando Jeffrey Harp fu chiamato alla sbarra Alec notò che era molto più giovane di quello che aveva pensato, poco più che sedicenne aveva una zazzera bionda e la magrezza tipica degli adolescenti in crescita. Il ragazzo raccontò la sua versione, un gatto aveva attraversato la strada, lui aveva sterzato per evitarlo e aveva perso il controllo dell'auto. Quando si era trovato davanti l'uomo con la giacca rossa ormai era tardi... Ricordava il momento dell'impatto, il rumore del corpo contro la sua auto, poi lo schianto. Aveva battuto la testa contro il volante, quando aveva rialzato la testa aveva visto solo la vetrina fracassata e i vetri. Solo dopo aveva visto l'uomo, il rosso del sangue sul rosso della giacca... Durante tutta la confessione Magnus non gli aveva tolto l'occhio di dosso per un attimo. Mentre parlava Jeffrey incespicava nelle parole, perdeva il filo del discorso, ricominciava da capo. Era spaventato e si vedeva. “Rosso, tutto rosso...” aveva mormorato, poi si era alzato in piedi e, rivolgendosi direttamente a Magnus, gli aveva gridato di scusarlo, che non voleva, gli spiaceva. Ed era scoppiato in lacrime.

Il giudice aveva decretato una pausa di quindici minuti durante la quale Magnus non aveva voluto vedere nessuno e aveva letto e riletto i fogli che aveva davanti, gli atti del processo, la denuncia, gli appunti dell'avvocato...
Alec capiva il bisogno di stare solo, di mettere ordine nelle emozioni. Solo avrebbe preferito che Magnus avesse deciso di stare da solo insieme lui.

“Va tutto bene, Alec. Per oggi hanno quasi finito...” Alec guardò la sorella e scosse la testa: “Ora tocca a lui testimoniare”.

L'accusa aveva tenuto il testimone più importante per ultimo. Mentre Magnus si avvicinava alla sbarra la giuria lo guardava con simpatia e compassione.
Dopo il giuramento di rito l'avvocato cominciò con le domande. Era brutalmente efficiente: come mai portava la benda all'occhio? Da quanto tempo lo aveva perso? Com'era successo? Aveva visto l'auto che si era schiantata contro la vetrina? Che auto era? Riconosceva l'autista?
Magnus aveva risposto con calma a tutte le domande, sempre fissando Jeffrey Harp.
“Mi dica, Signor Bane, è stato il Signor Harp a procurarle la frattura al ginocchio e a scagliarla contro la vetrina causando la perdita dell'occhio e le ferite che l'hanno costretta in ospedale in prognosi riservata per più settimane?”
Magnus si era alzato in piedi, aveva preso qualcosa dalla tasca e si era rivolto direttamente alla giuria. “Questo foglio è il verbale di denuncia” disse strappandolo a metà. “Ritiro ogni accusa nei confronti di Jeffey Harp”.
Alec era balzato in piedi, con lui la maggior parte del pubblico. Cosa stava facendo Magnus, perché? Solo Raphael Santiago era rimasto impassibile, un lieve sorriso che gli incurvava la bellissima bocca.
L'avvocato dell'accusa provò a parlare di stress post-traumatico, di rinviare il processo ma Magnus era adamantino: non avrebbe sporto denuncia, né ora né mai.
Il signor Barnaby si trovava ora a essere l'unico attore nel processo e, nel caos generale, accusava Magnus di intralcio alla giustizia e di cercare vendetta a sue spese in quanto proprietario del negozio. Non era colpa sua, era quel maledetto ragazzino che...
Con voce tonante e qualche colpo di martelletto, il giudice riuscì a riportare la calma in aula. Davanti alla svolta imprevista, avvocati e giurati si trovarono spiazzati. La maggior parte delle testimonianze perdeva di utilità e il processo finì in meno di un'ora, con un verdetto che obbligava l'accusato a risarcire la vetrina infranta e pagare una multa per guida pericolosa. Magnus si era alzato e aveva applaudito, un piccolo sorriso soddisfatto gli increspava le labbra, poi si era girato verso il giovane Harp e si era portato due dita alla fronte, sopra la benda, in un finto saluto militare. Alec si sentiva confuso almeno quanto Jeffrey.

Il cielo era nuvoloso, un vento freddo spazzava lo slargo di fronte al tribunale. Magnus era uscito con passo deciso e si era fermato prima di raggiungere gli altri radunati accanto alla fontana. Aveva allargato le braccia e alzato il volto al cielo, lasciando che le prime gocce di pioggia gli scivolassero addosso. Alec aveva mosso un paio di passi verso di lui, incapace di resistere. Cosa gli era successo? Non aveva avuto la forza per procedere con il processo, di reggere un secondo giorno di testimonianze e interrogatori? No, la sua espressone era rilassata e - possibile? - compiaciuta. Quella di Alec invece doveva essere molto più facile da leggere. Raphael gli si era avvicinato in silenzio: “Pare che Magnus abbia trovato un altro animaletto ferito di cui prendersi cura”.
Era davvero così? Era, cosa... pietà per il ragazzo?

Alec si avvicinò al suo drago: “Ti vedo felice”.
“Lo sono” rispose Magnus prendendolo sottobraccio.

“Non sono sicuro di capire...”
“Il gatto c'era davvero, ricordo di averlo notato pochi secondi prima. E anche se non ci fosse stato... Rovinare la vita a quel ragazzino non mi avrebbe restituito l'occhio”.
“La legge è legge, chi sbaglia deve pagare”.
Magnus alzò il sopracciglio: “Come siamo inflessibili! Diciamo che rendere felice qualcuno rende felice me”. Una luce gli accese lo sguardo mentre aggiunse: “Mi succede lo stesso con te, adoro renderti felice...” Il doppio senso era fin troppo evidente e Alec sentì le guance tingersi di rosso.

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Capitolo 12
*** Trial 6.2 ***


Trial 6.2


Mentre parlavano si erano avvicinati agli altri e Magnus si era rivolto a Isabelle: “Mia cara, mi ha fatto davvero piacere conoscerti, cosa ne dici se per festeggiare vi invito fuori a cena?”
“Ma non sei stanco, dovevamo andare a casa,” intervenne Alec.

“Mio caro, sei insaziabile! Possiamo andare a letto dopo la cena”. Incredibile, Magnus era stato con Isabelle dieci minuti in tutto ed era riuscito a metterlo in imbarazzo già due volte!
“Mi farebbe piacere,” rispose Izzy ignorando il fratello.
“Anzi, sai cosa ti dico? E' ancora presto, perché non chiamate anche Jace e... Max, giusto? Io chiedo agli altri,” senza aspettare una risposta Magnus si era già avvicinato a Catarina e Ragnor. Alec li vide accettare con un cenno del capo, vide anche che Raphael si stava allontanando fingendo indifferenza. Ma non fu abbastanza svelto: “Raphi! Andiamo a cena tutti insieme”.
“Non ci penso neanche, preferirei mangiarmi una mano”.
Come al solito Magnus non lo prese minimamente in considerazione.

Quando arrivarono al ristorante italiano Jace, Clary e Max erano già lì ad aspettarli. Fu la rossa la prima a muoversi “Magnus! Magnus Bane, sei davvero tu?” gridò buttandosi fra le sue braccia.
“Biscottino!”

Jace e Alec guardarono l'abbraccio con lo stesso sguardo torvo.
Mentre prendevano posto a tavola Magnus raccontava del suo incontro con Clary: “Da piccoli abitavamo in due villette contigue, mia madre a Jocelyn erano molto amiche si vedevano spesso. Io ero grande, avevo quasi sei anni, il fascino dell'uomo maturo, della scuola, lo zaino, la mia naturale avvenenza, Clary non aveva possibilità... Aveva, cosa?, tre, quattro anni e scappava sempre attraverso un buco tra i due recinti per venire a casa nostra. Arrivava sulle sue gambette paffutelle, i codini rossi tutti storti, mi guardava dritto in faccia e diceva: “Bicottino!” A ripensarci forse non cercava me ma i dolcetti di mia madre. Io andavo in cucina e gliene rubavo uno, lei mi abbracciava e ripeteva: “'cottino!” Da allora è diventata il mio Biscottino”.
Clary rise: “Non avevo idea, non me lo ricordo minimamente! Pensavo fosse solo un nomignolo così. Però è vero che da piccoli eravamo sempre insieme, a volte mia mamma faceva da babysitter a Magnus, altre volte la sua a me... Poi quando ero in quarta elementare ci siamo trasferite e ci siamo persi di vista fino alla Thornvalley, ma anche lì avevamo giri troppo diversi, e poi io ero... distratta,” aggiunse guardando Jace.
“Eh, gli amori del liceo, quanti problemi, vero Mag?” commentò Ragnor. Poi si voltò verso l'unico liceale: “E tu, come sei messo ragazzo?”
Max arrossì, in questo aveva preso dal fratello maggiore: “Mi vedo con una ragazza, sì”.
Isabelle rise e ne approfitto per prendere un po' in giro il fratellino: “Beh, se dovesse andar male c'è sempre Madzie, è carinissima, basta che aspetti qualche anno Max”.
Il ragazzo rise: “Madzie è una peste, ma sì, è carina. Peccato abbia undici anni!”
“Madzie? Madzie Loss?”
Isabelle annuì: “La conosci?”
“E' la mia nipotina. Quindi ho l'onore di cenare con quel-gran-figo-di-Maximillian!”
Risero tutti e Magnus fischiò.
“Aspetta, aspetta, ti prego, fammi fare una foto così la faccio morire d'invidia,” disse Catarina tirando fuori il telefono.
Magnus fu più veloce: “Non ci provare! Vuoi bene a Madzie vero? Come puoi mandarle la foto del suo idolo con davanti un piatto sporco!”
Raphael si sporse lievemente verso Max: “Sei fritto bello mio. Ti conviene collaborare: in una mezz'ora dovresti cavartela. Sarà rapido, non indolore ma rapido”.
Magnus guardò fuori dalla vetrina: “Un bel giardino, il vento che scompiglia i capelli... Raphi che ne dici?”
“Perfetto direi,” rispose il ragazzo con un sorriso lievemente sadico.
“Dai, dai tutti fuori!”
Alec si sporse verso il suo uomo: “Cosa stai combinando?”
“Ma è ovvio, tesoro, un piccolo servizio fotografico per Madzie!”
“Max non accetterà mai, è troppo timido”.
Sfortunatamente non ebbe scelta, ormai tutti si erano alleati. Izzy lo tirò per la manica mentre Jace lo spingeva ridendo. Qualche secondo dopo Magnus lo guardava attraverso lo schermo dell'iphone.
“Raphi per carità, slaccia un paio di bottoni a quella camicia! Ok così”. Prese lo zaino e tirò fuori un tubetto di gel: “Dai vieni qui, Max, forza”.
Alec lo guardava scuotendo la testa: “Ma perché hai dietro del gel?”
“Gel, eyeliner, ombretto, lucidalabbra... il minimo per mantenere questo aspetto, cucciolo. Adesso però lasciami lavorare. Comunque grazie del suggerimento, Raphi, prendi questo” disse lanciandogli il lucidalabbra.
“Mag, che ne dici, teniamo il look studioso-intellettuale o...”
“E' per una ragazzina innamorata, butta quegli occhiali. Cosa dici, slacciare il bottone dei jeans è eccessivo?”
“Madzie ha undici anni Mag, certo che è eccessivo,” intervenne Catarina.
Magnus alzò le spalle: “Come vuole la zietta”.
Nessuno prestava la minima attenzione all'imbarazzo crescente di Max.
Lo fecero mettere davanti al grosso cespuglio di rose rosse: “Se fai quell'espressione stiamo qui tutto il giorno... Sguardo imbronciato e un po' malinconico... Socchiudi un po' le labbra... bravo, adesso girati di tre quarti... Raphi portami una rosa bianca da tavola, come contrasto. Ecco prendila e avvicinala alle labbra... perfetto. Hai delle labbra bellissime, mi ricordano quelle di Alec,” aggiunse facendo arrossire entrambi i fratelli. “Ci vuole un primo piano della bocca con la rosa, questo la farà impazzire...”
“Magnus! Ti prego, è una bambina”.
“Non essere noiosa Catarina! Se faccio un lavoro, lo faccio bene, lo sai. E poi può sempre darne una copia alla sua ragazza... Beccato! Quel rossore è sexy da morire!”
Come previsto da Raphael in poco meno di mezz'ora era tutto finito, Max avrebbe voluto sprofondare e Alec ringraziava il cielo che non fosse toccato a lui, ma era finito.

Mentre tutti tornavano all'interno Jace si trattenne per aspettare Magnus.
“Un attimo, bello. Non so come hai fatto ma hai conquistato tutte le ragazze, comprese mia moglie e Izzy. Però ti avverto, Alec è mio fratello e il mio migliore amico, non permetterò a nessuno di fargli del male”.

Magnus sollevò il sopracciglio. “Allora abbiamo qualcosa in comune dopo tutto”, disse liberando il braccio dalla sua presa e passandogli accanto per rientrare.
Jace rimase nel giardino da solo a fissare la schiena di Magnus che si allontanava, un angolo delle labbra atteggiato a un sorriso. Il ragazzo di Alec aveva coraggio e spirito, forse in fondo non era così male.

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Capitolo 13
*** Il ritorno di Camille 7.1 ***


Il ritorno di Camille 7.1


Ora che Magnus era stato accettato dai fratelli Lightwood scoprì che erano una famiglia davvero unita. Isabelle passava a trovare il fratello senza invito e spesso senza avvisare, dando luogo a situazioni imbarazzanti. Jace aveva chiamato Alec per riprendere le uscite “solo ragazzi” con Simon: partite a paint-ball, film d'azione e biliardo. Alec aveva esteso l'invito a Magnus il quale era sempre disponibile per una sfida a biliardo, a volte li accompagnava al cinema ma aveva gentilmente messo in chiaro che vestirsi con tute informi e giubbotti imbottiti mentre correva nei boschi cercando di non farsi imbrattare di vernice non era la sua idea di divertimento.
Di solito dopo le partite a paint-ball i ragazzi mangiavano un hamburger insieme, per festeggiare una vittoria o per tirarsi su dopo una sconfitta ma quella sera Jace era stato precettato da Clary, e Simon si era beccato un ramo in fronte e voleva solo andare a sdraiarsi un po', quindi dichiararono finita la serata e ognuno a casa sua. Cosa che ad Alec non spiaceva per nulla, aveva bisogno di una doccia e voleva chiedere a Magnus se gli andava di lavargli la schiena.


Era arrivato a casa cantando sotto voce l'ultima canzone che Magnus gli aveva dedicato, aveva aperto e... Magnus aveva la lingua nella gola di una ragazza con lunghi capelli castani. Al rumore della porta i due si erano staccati di scatto e l'avevano guardato, lei con un sorriso di soddisfazione, Magnus col panico nello sguardo.
Un secondo, forse due e mille pensieri. Quella donna con labbra scarlatte e un vestito aderente che non lasciava nulla all'immaginazione era Camille Belcourt, Magnus era incollato alle labbra di Camille. Che problema aveva il suo uomo con le cotte del liceo? Alec voleva andarsene di lì, girare sui tacchi e sparire, senza neanche prendersi il tempo di raccogliere i pezzi del suo cuore sparsi sul pavimento. Ma non era più il ragazzino insicuro di un tempo, lui e Magnus si amavano, ne era certo, non avrebbe permesso a quella serpe con lo smalto rosso di diffondere il suo veleno.
Avanzò con un sorriso di sufficienza: “Ciao amore, sono a casa”.
Arrivò davanti a Camille, nessuno si muoveva. Calma Alec, sorridi, non lasciare che ti turbi.
“Credo tu abbia qualcosa di mio!” disse glaciale, passando un braccio intorno alla vita di Magnus il quale, al contrario del solito, sembrava aver perso l'uso della parola.
Camille rise portando la sua delicata manina davanti alla bocca: “Tienitelo pure, caro. Non mi piace la merce difettata”.
Alec sentì Magnus irrigidirsi, fece un passo avanti e prima di potersi trattenere tirò un pugno con tutta la sua forza. Colpì la porta dietro le spalle di Camille, appena a sinistra della sua testa. “Non picchio le donne,” ringhiò, “ma se non te ne vai subito potrei fare un'eccezione”.
Lei non si scompose: “Oh, oh, al cucciolo sono spuntate le zanne. Allora vi lascio, divertitevi.”
Arrivata alla porta si girò verso Alec: “Bravo cagnolino, goditi gli avanzi”.

Divertitevi. L'augurio di Camille pareva echeggiare nell'aria. Sentire quella vipera che sminuiva l'uomo più fantastico del mondo, colpendolo proprio dove faceva più male, gli aveva fatto perdere la calma come non succedeva da tempo. Alec era spesso stato accusato di rimuginare troppo sulle cose, di seguire le regole alla lettera, ma mai di essere violento, semplicemente non era nelle sue corde. Magnus ribaltava il suo mondo, per salvarlo da se stesso lo aveva schiaffeggiato e ancora si sentiva in colpa, e ora, quando Camille aveva detto quelle cose per poco non le aveva spaccato la faccia. In realtà sapeva di aveva sempre mirato alla porta, e sapeva anche che mai e poi mai avrebbe colpito una donna, fosse anche la regina della Thornvalley. Sperava solo che Magnus non avesse dato troppo peso alle parole di quella stronza, lui l'aveva amata davvero e le parole di chi ami hanno un peso enorme.
“Alexander, ti prego, guardami...”
La voce di Magnus lo riscosse dai suoi pensieri e Alec si voltò verso il suo uomo. Era visibilmente preoccupato, triste, la sua meravigliosa bocca tirata e lo sguardo spento.
“Non darle retta, tesoro, lo sai che voleva solo farti del male...”, disse proprio mentre Magnus parlava a sua volta: “Non è come sembra, credimi!”
Alec si era praticamente dimenticato del bacio, si fidava di Magnus in modo totale e incondizionato. “Lo so, non ho mai dubitato.” Beh, forse per un secondo o due. “Anche se non mi dispiacerebbe sapere come mai era qui e... il resto”.
Magnus sopirò e si lasciò cadere sul divano: “E' arrivata senza preavviso, ha semplicemente suonato alla porta. Non la vedo da quando eravamo alla Thornvalley, davvero. Mi ha preso alla sprovvista e l'ho lasciata entrare, non so, pensavo che magari fosse cambiata. Aveva un giornale, sai quel numero di Vogue con l'intervista, ha detto che appena l'aveva visto, mi aveva visto, si era resa conto che le mancavo, che voleva essere lei la mia musa come una volta, che insieme avremmo fatto faville, quel genere di cose lì”.
Alec riusciva a immaginarsela benissimo sfogliare Vogue e trovarsi davanti un articolo sul suo ex. Magnus magic. La miracolosa rinascita dello stilista del secolo. Alec era stato così fiero quando l'aveva letto, in pochissimo tempo Magnus era riuscito ad affiancare alle sue creazioni di alta moda una linea prêt-à-porter che aveva insistito a battezzare Forever Light, cosa che ancora oggi gli faceva salire in sangue alle guance e sciogliere il cuore. La collezione estiva, colorata e fresca risultava provocante senza cadere nel volgare, elegante ma mai banale. I costumi, ad esempio, erano pieni di fiori tropicali, il bikini non era troppo succinto e si adattava a ogni fisionomia, ma grazie a giochi di vedo non vedo, nello specifico fiori in voile semitrasparenti sui fianchi dello slip e sulla parte alta del reggiseno, attirava gli sguardi. Il fatto che la maggior parte dei pezzi poteva essere portato in più modi, a seconda della personalità o dell'occasione, ne aveva fatto un immediato trionfo. Ma Alec era sicuro che ad attirare Camille non era stata la bravura di Magnus bensì la sua fama. Quella donna si era sempre nutrita di attenzioni e ora sperava di tornare sotto le luci grazie a Magnus.
“Mentre si avvicinava ho rivisto la ragazza del liceo, la regina della corte d'oro, ma è stato un niente Alexander, un battito di cuore...” Magnus muoveva le mani inanellate per spiegare meglio e come sempre Alec rimase ipnotizzato dalla grazia dei movimenti. Quelle mani erano fatte per danzare, nell'aria, sulla sua pelle...
“Scusa, non... mi sono perso l'ultimo pezzo”.
Magnus lo guardò un po' sorpreso, lesse il suo sguardo e sorrise: “Se sei stanco possiamo fare una piccola pausa e riprendere dopo”.
Alec stette al gioco: “No, finiamo la storia, così poi possiamo andare a dormire con calma”.
“Stavo dicendo che le ho fatto presente che non ero interessato, che avevo una storia importante. Non ho fatto il tuo nome, so che preferisci non metterti in mostra e poi visto i trascorsi...”
“Era un bella idea, anche se temo che ormai l'abbia scoperto” .
Magnus annuì. “Lei era lì dove sei tu, penso che ti abbia visto arrivare dalla finestra. E' stata lei a... non me l'aspettavo Alexander, e di sicuro non lo volevo. Sembra una storia assurda, lo so...”
“Con una come Camille? Ci credo Magnus, quelle è una manipolatrice nata. Non devi provarmi niente, mai. Volevo solo capire cosa dovevamo aspettarci. Non so perché ma penso che la rivedremo presto...”
Magnus annuì di nuovo e appoggiò la testa allo schienale. Alec aveva notato che quando qualcosa lo faceva dubitare di sé muoveva involontariamente la mano verso la benda, un movimento appena accennato che bloccava subito, proprio come quello che aveva fatto ora.
Era sempre così bello ma oggi superava sé stesso. Indossava un gilet aperto, di pelle nera senza niente sotto, solo muscoli. I jeans slavati erano talmente stretti che era un miracolo riuscisse a sedersi, le collane di varie lunghezze posavano sul petto nudo, un tocco di rosso si ripeteva negli stivaletti di pelle, in una ciocca di capelli, nel rubino dell'orecchino e nei cristalli della benda. Sembrava incredibile che potesse dubitare del suo fascino.
“Magnus, dimmi cosa c'è, cosa ti preoccupa”.
L'uomo alzò la testa e gli rivolse un sorriso fiacco: “Niente cucciolo, tutto bene”.
Alec si sedette accanto a lui e gli posò una mano sulla coscia: “Sai che puoi dirmi tutto...”
“Sto bene, davvero”.
“Non è vero e lo sai”.
Magnus si voltò verso la finestra: “Uno come te potrebbe avere qualsiasi uomo ai suoi piedi. A volte penso che se ti amassi abbastanza dovrei allontanarti, che sono egoista a tenerti legato a - com'era? - merce difettata”.
“Magnus, tu sei la cosa più perfetta che io abbia mai visto. Sei splendido, dolce, generoso, quello che hai fatto per Jeffrey Harp... nessuno al mondo sarebbe stato così altruista, così pronto al perdono. E poi c'è l'impegno, l'entusiasmo e l'estro che metti in tutto quello che fai, dalle cose grandi a quelle più piccole, il lavoro, la cucina, addirittura le foto per Madzie”.
“Ti amo, cucciolo...”

Mi ami ma non sei convinto, te lo leggo nello sguardo e mi fa un male cane. “Odio vederti così, mi fa sentire così impotente, un fallito. Se ancora pensi queste cose è perché non sono riuscito a farti capire quanto sei speciale. Vorrei che tu potessi vederti come ti vedo io...” Un tesoro inestimabile piovuto dal cielo, un arcobaleno che colora la mia vita di magia, il mio drago, il mio per sempre. “Non puoi lasciare che le parole di Camille ti tocchino, nulla di quello che dice ha valore, direbbe qualsiasi cosa per un suo tornaconto personale”.
“Lei è scaltra, spietata ed egoista ma è bravissima a capire il valore delle cose”.
“Per questo è venuta a cercarti. Voleva un po' della tua grandezza,” disse Alec posandogli un bacio sulla fronte. “Ti porto un drink, stai qui, rilassati, oggi preparo io la cena”.
Magnus rise e scattò in piedi: “Sai sempre come farmi reagire, vero? Attento con le minacce, prima o poi mi potrei vendicare!”
La nube era passata e il sole era tornato a splendere. Quella risata al miele gli faceva saltare un battito ogni volta. “Posso almeno aiutarti a tagliare le verdure?”
“Solo se prometti, mano sul cuore, di non toccare le spezie”. Rispose Magnus mimando il gesto.
“Così mi ferisci!” scherzò Alec.
“Forse, ma ci salvo la vita. Ci tengo parecchio ad arrivare al dolce...”

E il dolce fu zucchero puro, mani che volavano sulla pelle, che carezzavano, sfioravano, massaggiavano, bocche che si cercavano, che scendevano lievi come neve sul corpo dell'amante. Infine si trovarono piano, con dolcezza e poi più veloce, in un crescendo di passione.
Il mio amore, il mio bellissimo drago dorato.

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Capitolo 14
*** Il ritorno di Camille 7.2 ***


Il ritorno di Camille - 7.2


Camille aveva giocato tutte le sue carte senza successo e, dopo quasi un mese senza avere sue notizie, Alec e Magnus si rilassarono.
La giornata era particolarmente noiosa, quintali di scartoffie da compilare e nessuna novità in campo scientifico. Alec accolse l'arrivo di Lydia Branwell come una gradita interruzione. La ricercatrice era decisamente attraente: con i suoi lunghi capelli biondi, penetranti occhi azzurri, sorriso luminoso e mente acuta attirava le attenzioni di tutti i colleghi, anche quelle indesiderate. Per questo era diventata così amica di Alec il quale, per ovvi motivi, era l'unico che non la guardasse come un trofeo da vincere o un oggetto sessuale. La ragazza aveva un'espressione particolarmente seria mentre si avvicinava alla scrivania.

“Penso che dovresti leggere questo,” disse posando una rivista davanti ad Alec, un post-it giallo segnava la pagina in questione.
“Ok, grazie, lo guarderò appena ho un po' di tempo,” rispose Ale.
Lei scosse la testa: “Ti consiglio di prenderti dieci minuti di pausa e cercare un posto tranquillo. Per quello che vale, non credo a una parola”.
Confuso Alec aprì la rivista, il titolo dell'articolo lo colpì come un pugno: “Stalking Magnus – Una nuova minaccia per il guru della moda?
La richiuse di scatto, ringraziò Lydia con un cenno della testa e si diresse verso le scale. Ovunque andasse, Alec aveva l'abitudine di cercarsi un posto tranquillo per quando aveva bisogno di riflettere, in ufficio era il piccolo terrazzo sul tetto, accanto alla cabina di controllo dell'ascensore, erano pochi metri quadrati ma c'era fresco, aria e una vista magnifica che spaziava sui tetti della città.
Ancora stordito si sedette per terra, la schiena appoggiata al muro e riaprì la rivista. C'era una foto di Magnus ai tempi della scuola, un vero re con la sua regina accanto, la corte dorata due passi dietro di loro come un seguito reale.

La splendida Camille Belcourt mi si è avvicinata timidamente, con un sorriso insicuro: “Sono venuta perché credo che il mio amico Magnus sia in pericolo” ha esordito. Un po' alla volta mi ha raccontato una storia quasi incredibile, di persecuzione e fanatismo, una storia che, prima di riportare, ho dovuto controllare attentamente.
Camille era la ragazza dello stilista Magnus Bane ai tempi del liceo. Erano, a dire di tutti i loro compagni, una coppia unita, destinata a durare per sempre. Poi è apparso Alexander Lightwood. Il ragazzo omosessuale, un anno più giovane dei due, era fissato con Magnus, lo seguiva ovunque. “Era inquietante,” ricorda Camille con un brivido, “lo trovavamo nascosto dietro gli armadietti, in attesa davanti alle aule, ci osservava sempre, aveva persino memorizzato l'orario delle lezioni di Magnus”. I due ragazzi, una volta alla settimana, avevano la stessa ora buca e Magnus cercava sempre un posto tranquillo dove potersi rilassare ma inevitabilmente dopo qualche minuto il suo stalker lo raggiungeva. “Magnus era troppo buono, sopportava in silenzio, me verso la fine dell'anno non ce l'ha fatta più, l'ho sentito urlare contro Alexander, gli ha detto di sparire dalla sua vita, di non farsi più rivedere. Ero così fiera di lui” racconta Camille.

Sotto c'erano altre due foto: nella prima Alec aveva un'occhio nero a seguito del pestaggio, la scritta riportava: Alexander Lightwood dopo una rissa a scuola.
La seconda era di Bobby, il viso coperto da una retinatura, che puliva il suo armadietto. Chissà su quanta gente Camille possedeva un archivio da usare in caso di necessità? Anche in questo caso la didascalia era fuorviante: Un ragazzo costretto a pulire l'armadietto del giovane Lightwood. Il resto della scolaresca osserva incredula, nessuno ha il coraggio di intervenire.
Alec voltò la pagina e riprese a leggere: La fine della scuola ha permesso a Magnus Bane di liberarsi del suo stalker, almeno per un po'. Ben sei anni dopo, un'intervista allo stilista trasmessa in televisione ha rinfocolando l'ossessione di Alexander Lightwood. L'uomo, un ricercatore nel campo della nanotecnologi medica, non ha esitato, ha preso l'aereo fino a Parigi, più di otto ore di volo, solo per seguire Bane. Si è presentato senza annunciarsi e senza invito la mattina della sfilata in cui lo stilista avrebbe presentato i suoi esclusivi abiti da sposi haute couture. “Mi hanno raccontato che Alexander era convinto di essere il Blue Light di Magnus, per via del cognome, sa. Ma quello era il nomignolo con cui il mio tesoro chiamava me: quando ci siamo conosciuti indossavo un abito celeste e lui continuava a dirmi che era come se una luce azzurra avesse illuminato la sua vita...” spiega Camille.
Quella vipera non si era nemmeno presa la briga di ascoltare l'intervista, Magnus aveva esplicitato che il blu di cui parlava era dovuto agli occhi della sua musa. E gli occhi di Camille erano castani.
Il qualche modo il signor Lightwood è riuscito a farsi invitare da Magnus al ricevimento dopo la sfilata e anche a farsi dare lo smoking Mirror, un capo di valore quasi inestimabile. Per cinque interi giorni, l'uomo non ha lasciato un attimo la sua vittima, lo aspettava fuori dall'hotel, lo seguiva dappertutto, mentre passeggiava, quando mangiava, sempre.
Qui una foto di lui e Magnus al cocktail, sicuramente uno scatto di qualche fotografo che non era mai stato pubblicato perché l'espressione di Magnus era preoccupata, le sopracciglia aggrottate.
Vi è l'ipotesi che sia stato lo stress a distrarre Magnus Bane il giorno dell'incidente che gli è costato l'occhio e per poco anche la vita.
Per più di un mese lo stilista è rimasto in ospedale ma mai, neanche una volta, ha telefonato o contattato il signor Lightwood. Eppure l'uomo non si è arreso: ha fatto ricerche, chiesto favori e alla fine è risalito al nome della madre di Bane. Non si è fatto remore a chiamare una donna prostrata dalla preoccupazione per il figlio ed è riuscito a ottenere l'indirizzo della clinica in cui era ricoverato. “La mamma di Magnus mi ha raccontato che Alexander è piombato lì come una furia, faceva paura. E' entrato in camera contro la volontà di sua madre e, nonostante la depressione di cui soffriva Magnus in quel periodo, lo ha schiaffeggiato con forza per poi insultarlo ripetutamente, dirgli che non gli importava del suo occhio...” racconta Camille con le lacrime agli occhi. Un rapido confronto con la signora Bane conferma ogni terribile parola, ogni atto di violenza contro un uomo che aveva da poco tentato il suicidio. Tre giorni dopo Alexander Lightwood si è ripresentato in ospedale e ha costretto Bane a firmare i fogli di dimissione contro il parere della madre e dei medici. Approfittando della sua condizione lo ha fatto salire in auto e si è insediato a casa sua dove abita tutt'ora: “Sono andata a trovare Magnus,” spiega Camille, “quando mi ha vista era così felice, ci siamo baciati come una volta. Poi è tornato Alexander. Mi ha intimato di andarmene urlando che Magnus gli apparteneva. Come fosse una cosa, una proprietà... Poi ha tirato un pugno, forte. Io mi sono spostata in tempo, ha colpito solo la porta, ma sono scappata, avevo paura,” dice Camille scoppiando in lacrime.
Magnus Bane rimane a casa da solo, va al lavoro, non tenta di scappare. L'ipotesi più probabile è che sia affetto dalla sindrome di Stoccolma. Nulla può la giustizia nei casi di oppressione mentale e sudditanza psicologica in cui non sono presenti segni di violenza fisica, Magnus Bane rimane solo a combattere la sua battaglia.
Questa pagina era corredata da due foto scattate dalla strada. Camille era venuta preparata, sicuramente aveva pagato qualcuno perché documentasse la scena e aveva attirato Magnus davanti alla finestra apposta. Le foto sembravano inattaccabili, in una si vedeva il bacio fra Camille e Magnus, nella seconda il pugno di Alec che, da quella prospettiva, sembrava volerla colpire in piena faccia. Alec sudava, c'era così tanta verità ed era tutto così orrendamente falso al tempo stesso.

Dopo anni Camille aveva nuovamente messo in atto la stessa strategia: mettergli contro l'opinione pubblica, distruggerlo socialmente. Solo che ora era adulta e il livello del gioco era cambiato.
Non credo a una parola, gli aveva detto Lydia Bramwell, ma lei lo conosceva, era sua amica. In quanti si sarebbero presi la briga di ascoltare una seconda versione, di chiedersi da dove venivano quelle foto... Alec rimase seduto, lo sguardo nel vuoto. Le menzogne di Camille non avrebbero impattato solo lui, la moda è immagine, le conseguenze sul brand di Magnus, proprio ora che aveva lanciato la linea prêt-à-porter, non erano da sottovalutare.

Una voce alle sue spalle lo fece sobbalzare: “C'è qualcuno che ti aspetta di sotto”.
Il primo pensiero fu la polizia ma il tono di Lydia era dolce e tranquillo. Alec annuì e si alzò.

L'articolo aveva ormai fatto il giro dell'ufficio, una ragazza aveva chiamato il fidanzato, ma quello non è un tuo collega, e ora tutti avevano letto la versione web, visto le foto. Quando Magnus era arrivato e aveva chiesto di Alec la curiosità era salita alle stelle: perché era qui? Come si sarebbe comportato?
Alec lo aveva visto attraverso le porte a vetri e aveva fatto gli ultimi passi di corsa. Tutto si aspettava tranne di trovare lui. “Magnus...”
L'uomo lo aveva abbracciato stretto: “Sono qui, cucciolo, non ti preoccupare, sistemeremo tutto”.
Alec sorrise: “Io ero preoccupato per te...”
“Per me? Non sarà una serpe a sconfiggere il drago” rispose Magnus usando le immagini zoologiche di Alec. “Forza, saluta tutti. Oggi si va a casa presto”.
L'affetto fra i due era palese e, unito all'atteggiamento protettivo di Magnus, costrinse anche i più ostili fra i colleghi a ricredersi: l'articolo era una montatura.

Quando arrivarono a casa trovarono Clary seduta sui gradini davanti alla porta.
“Biscottino, cosa ci fai qui?”

La ragazza alzò un sacchetto: “Biscotti, appunto. Appena sfornati, alla cannella o noci e cioccolato”. Il sorriso era forzato ma l'affetto genuino: “Jace e gli altri arriveranno appena finiscono di lavorare”.
Alec le mise un braccio sulle spalle: “Dai allora, vieni dentro, un po' di energia mi serve proprio, non so voi ma io non ho pranzato”.
Magnus scosse la testa: “No, nemmeno io”.
I frollini erano buonissimi, friabili e burrosi e i ragazzi non fecero complimenti. Per tacito accordo parlarono di tutto tranne che dell'articolo. Clary stava preparando le illustrazioni per una versione di Aladin in cui il protagonista era un volpacchiotto e la principessa una gattina grigia. Era parecchio che ci stava lavorando, non riusciva a rendere l'abbigliamento da mille e una notte di Jasmine, doveva dare l'idea di lusso ed eleganza pur mantenendo uno stile di disegno stilizzato e forme semplici, adatte a bambini in età prescolare... forse Magnus poteva aiutarla?
Alec sorseggiava una spremuta e li guardava buttare giù schizzo dopo schizzo. Bastava parlare di moda, anche per gattini grigi, e Magnus entrava in mondo tutto suo. Avrebbe potuto osservalo per ore, lo sguardo concentrato, la matita che volava sulla carta, i denti che mordevano appena il labbro inferiore. Altro che suoni della natura o cromoterapia, per sentirsi bene col mondo basta stare accanto a Magnus Bane.
Jace era passato a prendere Isabelle e Simon ed erano arrivati tutti insieme poco dopo le sette con quintali di cibo da asporto: cinese, thai, messicano e indiano. Di questo passo avrebbe messo su una decina di chili come niente, stasera un po' di esercizio per smaltire il tutto. Jogging, stavo pensando al jogging. Oddio Alec, riesci a concentrarti su qualcosa che non sia fare sesso con Magnus?
Si rese conto che gli altri lo stavano fissando.
“Che c'è?”
“Non voglio sapere a cosa stavi pensando fratellone, ma avevi un sorriso ebete, poi sei arrossito...”
“No, io... fa caldo. Volete aprire le finestre?”
Jace alzò un sopracciglio: “Siediti che è meglio, va. Altro che ossessionato, sei un caso clinico”.
L'argomento proibito. Chi altri se non Jace poteva saltarci dentro a piè pari e senza nemmeno accorgersene. Ma forse era il modo migliore, erano lì per parlare di quello dopo tutto.
Discussero per ore, Camille era vendicativa, il lavoro di Magnus ne avrebbe risentito, Alec rischiava di perdere il posto, bisognava controllare la legge, si poteva citarla per diffamazione?
Quando squillò il telefono Alec fece per alzarsi ma Magnus allungò una mano per fermarlo: “Meglio se vado io”.
Telefonate minatorie, non ci aveva pensato.
“Falso allarme,” disse tornando in sala, “E' mia madre, vorrebbe parlare con te”.
Alec andò in corridoio e prese la cornetta, chissà perché Magnus si ostinava a tenere un telefono fisso, e non era neppure cordless.
“Pronto?”
“Alexander? Sono Indah... Sarai arrabbiatissimo con me ma ti prego di credermi, quella ragazza si è presentata come un'amica di Magnus, mi ha chiesto notizie del ricovero, sono stata una sciocca a raccontarle tutto, ma ti assicuro, io le ho detto che quello che hai fatto lo ha salvato, che sei stato bravissimo, non pensavo...” La donna parlava a raffica, senza neanche fermarsi per prender e fiato. Era decisamente dolce, quasi come il figlio. Quando la andavano a trovare si faceva in quattro per prendersi cura del suo bambino e del fantastico uomo che lo aveva aiutato così tanto. Era una delle poche persone in grado di mettere in imbarazzo Magnus Bane, e quanto a lui, beh, ci voleva molto poco.
Alec la interruppe: “Indah, non si preoccupi, davvero. Camille è in grado di girare qualsiasi frittata a suo vantaggio, ne io ne Magnus abbiamo mai pensato che potesse essere colpa sua”.
“Sei sempre così carino Alexander, Magnus è stato veramente fortunato a trovarti”.
“Ehm, sì, ecco... Io, sono io quello fortunato...”
“Maggy mi ha detto che avete amici, ti lascio andare, ma grazie ancora e in bocca al lupo. Sappi che vi voglio bene, a entrambi”.
Alec aprì la bocca per dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma non gli venne in mente niente. Anch'io? Ovvio che no. Grazie? Che risposta stupida... Arrivederci? Sembrava scortese.
La donna rise e con un ultimo saluto mise giù. Perfetto, ora anche la madre di Magnus aveva capito che era un imbranato cronico.
Quando tornò dagli altri Isabelle stava parlando: “... non avete scelta, non potete permettere che l'unica versione sia quella di Camille”.
“Non so, forse conviene vedere come evolve la situazione. Magari è solo una tempesta in un bicchier d'acqua e domani non lo ricorderà nessuno” disse Simon.
Clary scosse la testa: “Sono d'accordo con Izzy. Mi spiace ma temo che oggi come oggi nessuna star si farebbe vestire da Magnus. Invece di parlare di lei i giornali parlerebbero del suo stilista con la sindrome di Stoccolma. La sua reputazione va chiarita, e prima è, meglio è”.
“Scusate se mi intrometto, ma è Alec che è stato dipinto come uno stalker pazzo e violento,” li fermò Jace, “Vogliamo tutti tanto bene a Magnus ma non dimentichiamoci chi è la vittima di questo dannato articolo. E' la sua reputazione quella che ha subito i danni maggiori”.
Magnus annuì: “Sono d'accordo, è ad Alexander che dobbiamo pensare”.
Alec gli arrivò alle spalle e gli posò un bacio sulla guancia: “Ti amo, hai torto, ma ti amo”.
Magnus si girò e lo fece cadere sul divano accanto a sé: “Io non ho mai torto, non l'hai ancora imparato?”
Jace si schiarì la voce: “Se avete finito di pomiciare...”
Alec sentì le guance tingersi di rosso, era una maledizione o cosa? Perché Magnus riusciva a ridere e lui arrossiva come un ragazzino alla prima cotta?
“C'è un'altra piccola cosa” intervenne Izzy guardando Jace in cerca di supporto.
“Papà”.
“Finora gli hai detto che abiti con un coinquilino ma nell'articolo parlano chiaramente del tuo orientamento sessuale” spiegò la ragazza.
Merda! Non aveva pensato all'omofobia di Robert. Aggiungiamoci accuse di stalking e tutto il resto ed ecco la ricetta per un disastro in famiglia.
“I tuoi genitori non sanno di noi”. Era un'affermazione, non una domanda. E faceva ancora più male.
“Loro non...”
“Nostro padre è difficile Magnus. E' un militare di carriera, tutto deve essere come vuole lui, non ammette debolezze da parte di nessuno, tanto meno dei suoi figli. E per lui l'omosessualità è peggio di una debolezza, è una malattia che va curata, una fissazione disgustosa. Alec non poteva dirglielo”.
“No Izzy, non solo potevo, dovevo. Nascondere una cotta è un conto, ma questo è qualcosa di completamente diverso. Se a papà non va giù, dovrà farsene una ragione,” rispose Alec. “Certo, avrei preferito che non lo scoprisse così”.

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Capitolo 15
*** Family 8 ***


Family - 8


Il giorno dopo il capo lo chiamò in direzione, non che Alec non se lo aspettasse. Hai sempre lavorato bene, mi dispiace molto, capirai che l'immagine della compagnia, vorrei davvero, gli azionisti, due settimane di preavviso, se potessi prenderle di ferie... e Alec si trovò senza un lavoro.
Arrivò a casa presto e trovò Magnus con indosso lo spolverino nero stile Matrix, una felpa da danza corta e larga e pantaloni rossi, attillatissimi come al solito.

“Magnus, stai uscendo,” disse affermando l'ovvio.
“Come vedi. Vuoi venire anche tu?”
“Al lavoro con te?”
“Ma voi fratelli vi parlate mai? Oggi passa Max” spiegò Magnus poi notò lo sguardo interrogativo del suo ragazzo e continuò: “Hai presente le foto per Madzie? Sono venute un incanto, Maxi e bello quasi quanto te. Gli ho chiesto se voleva posare per me”.
“E lui ha accettato?” chiese Alec incredulo.
“Ovviamente no. Ma sai che so essere persuasivo”. Altroché se lo sapeva, aveva quel modo di guardarti, di parlare, che avrebbe convinto in pinguino a fare un safari in Africa. “Gli ho fatto notare che a sedici anni l'unico altro modo per guadagnare qualcosa è girare hamburger da McDonalds e che la sua ragazza avrebbe preferito uscire con un modello che con qualcuno che puzza di grasso. Inoltre con un singolo shooting guadagnerà più che in tre mesi da Mac. Quindi stasera indosserà un paio di cosine che ho scelto per lui”.
Magnus sospirò: “Avrei preferito te, ma non poteva funzionare”.
“Non mi avresti mai convinto, questo è certo”.
“Sottovaluti il mio ascendente su un certo Lightwood. No, il problema è che appena ti slaccio un bottone poi mi viene voglia di slacciarteli tutti e...”
Alec arrossì: “Andiamo, dai”. Prima che ti porti di là e addio photo shooting.

Quando arrivarono allo studio Max stava discutendo con Raphael.
“No, non puoi cambiare idea, ormai abbiamo pagato per lo studio”.

“Ma Raphael, mi sento male, ho la nausea, davvero”.
“Raphi, tesoro, preparagli un vodka tonic che gli passa” intervenne Magnus.
“Non chiamarmi così”.
“Come, Raphi o tesoro?”
“Nessuno dei due”.
“Come vuoi tu, bimbo mio”.
Raphael alzò le braccia al cielo e si diresse all'angolo bar.
“Davvero Magnus, un vodka tonic a un sedicenne?” intervenne Alec.
“Solo uno piccolo piccolo, preparo qualcosa anche per te se vuoi, così ti rilassi”.
Mentre il grande stilista portava Max nel camerino per mostrargli cosa doveva indossare Alec sentì arrivare un messaggio. Accese il telefono e rimase un attimo a fissare lo schermo. Ecco, perfetto. Spense tutto e si appoggiò a un tavolo di formica bianca, i pensieri tristi e confusi.
Dall'altra stanza veniva una cacofonia di voci, Max stava protestando energicamente e Alec sorrise, suo fratello non aveva alcuna possibilità, non contro Magnus e Raphael. I due avevano caratteri opposti, a prima vista potevano sembrare incompatibili ma in verità si completavano perfettamente: Magnus estroso, colorato e eccessivo, con la parlantina sciolta e i gesti svolazzanti, Raphael, silenzioso, serio, un po' burbero e totalmente dedito al lavoro, in comune avevano un ottimo gusto e un'innata eleganza.
Quando Max uscì, mezzo sospinto da Magnus, indossava una camicia di lino bianco semitrasparente con motivi che riprendevano le ceramiche tunisine su tutto il lato sinistro. Era aperta davanti mettendo in mostra una collana con un grosso turchese. Sotto aveva dei pantaloni blu oltremare, anch'essi di lino, arrotolati fino a metà polpaccio. Poi infradito di pelle e un orecchino, a clip sperava Alec, anch'esso di turchese. I capelli erano spettinati ad arte e gli occhi... era mascara quello? E un tocco di matita nera?
“Wow, sei uno schianto fratellino”.
“Ti odio, vi odio tutti”.
“Per oggi, proprio perché sei tu, andiamo di blue screen, la prossima volta però fotografiamo in esterni”.
“Non ci sarà una prossima volta Magnus, mi spiace”.
“Certo caro, certo”.
Magnus prese la reflex professionale e si misero al lavoro, Raphael aggiustava le pieghe degli abiti e lanciava occhiatacce ogni volta che Max provava a ribellarsi.
“Pensa alla tua bella Maxi, immaginala sul letto, ti invita a raggiungerla...”
Alec arrossiva per il fratello. Ma davvero era possibile che Max fosse già andato a letto con Sarah? Dalla sua espressione forse sì, finito qui avrebbe dovuto scambiare due parole col piccolo debosciato.
“Ok, adesso appoggiati alla sedia e guarda lontano, oltre l'orizzonte”.
“Siamo in una stanza Magnus, c'è il muro”.
“Non farmi perdere tempo,” fu il lapidario commento di Raphael. “Ho una vita da vivere”.
“Bravo piccolo, così. Adesso un po' più triste, ma guarda me. No per carità non me me, guardami come se fossi la cosa più meravigliosa del mondo, un po' di intensità”.
Ecco, quello non sembrava difficile, Magnus è la cosa più meravigliosa del mondo. Poi da lì aveva una visuale fantastica del suo fondoschiena.
Senza nemmeno girasi l'uomo allungò il braccio all'indietro puntandolo su Alec: “Non dicevo a te, cucciolo, tu puoi smettere di sbavare”.
Raphael nel frattempo era sparito. Ancora un paio di scatti poi Magnus decretò che aveva abbastanza materiale.
“Evviva, non ne potevo più”
“Hop, hop, dolcino, a cambiarsi”.
Max sgranò gli occhi disperato e Alec dovette scoppiare in una risata: “Hop, hop”.
“Vi odio ancora più di prima,” sentenziò dirigendosi verso il camerino.
La prima mise era, per gli standard di Magnus, classica, si rese con Ale. Forse l'aveva scelta per cercare di mettere a suo agio Max, perché quando il fratello uscì la seconda volta aveva uno sguardo avvilito, pantaloni stretch nero lucidi, una camicia di seta viola con ricami d'oro sulle spalle, un numero spropositato di collane, molto più eyeliner e un tocco di ombretto viola. Aveva anche un brillantino all'angolo dell'occhio destro.
“Abbassa le luci Raphi, poi il neon rosa da sinistra. No,aspetta, aggiungiamo anche una luce calda da sopra, un po' più sulla destra. Fantastico, pronto per una serata al night”.
Certo che il fratellino si era fatto proprio un bel ragazzo...
“Un braccio lungo il fianco, gambe leggermente più aperte, poco non così, non stai facendo ginnastica... guarda Raphael, sorridi. Più ammiccante, inclina un po' la testa, tutto nella tua postura deve invitarla a venire con te”.
“Ma è Raphael!”
“Se vuoi mi metto una parrucca bionda. Su, basta capricci”.
“Dai Raphi, è bravissimo per essere la prima volta. Invece di lamentarti prepara un drink colorato, ombrellino, arancia, tutto”.
“Ne ho bisogno, grazie”.
“Non da bere! Tuo fratello ha ragione, se hai sete ti porto un succo. Questo è solo da tenere in mano”.
Alec si stava divertendo un mondo. L'imbarazzo di Max era senza prezzo, on vedeva l'ora di mostrare il servizio fotografico a Jace: i fratelli si prendevano in giro impietosamente da anni, all'inizio avevano risparmiato Max in quanto troppo piccolo, ma ormai erano un paio d'anni che si era unito a loro, da quando aveva infilato un paio di slip di pizzo nella cartelletta di Jace, quella coi contratti da far firmare a Kevin Durant.
E poi vedere Magnus al lavoro era incredibile, era così preso, così eccitante...
“Se vuoi, per cinquanta euro, ti faccio qualche foto del fotografo al lavoro” disse Raphael che si era avvicinato in silenzio e lo fissava con un sorrisetto di sufficienza. Alec si trovò ad annuire senza nemmeno riflettere e fu ricompensato da una delle rarissime risate del ragazzo.
“Cosa combinate voi due là dietro?”
Nessuno dei due rispose.

Era stata una serata molto piacevole e sicuramente diversa dal solito, Alec era riuscito a mettere da parte, almeno per un po', i suoi problemi. In pizzeria Max, l'imbarazzo ormai dimenticato, aveva chiesto quando era previsto il prossimo servizio fotografico, poi aveva cominciato e parlare di come avrebbe speso i soldi guadagnati. Raphael lo guardava in silenzio, lo sguardo torvo di chi non riesce proprio a capire i giovani d'oggi, mentre Magnus proponeva cose sempre più assurde e totalmente inutili, un massaggio di coppia alle terme, un tatuaggio, perché non si faceva il buco, l'orecchino gli donava molto, poi poteva prendersi qualche ninnolo di varie fogge... Oppure, aveva mai provato il paracadutismo? E' una sensazione indicibile!
Alec ascoltava con un orecchio solo, i pensieri continuavano a tornare all'sms di prima.

Sulla via di casa passarono accanto a un parchetto dove, di giorno, giocavano i bambini. Magnus lo prese per mano e lo condusse verso una panchina.
“Cosa c'è Alexander, cos'è successo. E' da prima che sei taciturno. Più del solito”.

“Niente di importante”.
Magnus si appoggiò indietro con un piccolo sorriso. Passarono i minuti.
Alec sospirò. Non so neanche perché ci provo ancora, fa così dai tempi della scuola.
“Mio padre mi ha mandato un messaggio”.
Ancora silenzio. Alec tirò fuori il cellulare e lesse: Alexander, hai finito di deludermi. Hai fatto la tua scelta. Non fai più parte di questa famiglia.
“Direi che l'ha presa malino”.
“L'eufemismo dell'anno”.
“Devi dargli tempo...”
“Io sono sempre stato il suo fallimento più grande. Isabelle è tosta, secondo mio padre fin troppo per essere una ragazza, ma lui apprezza sempre la forza, la decisione. Jace... Jace è il soldato che ha sempre voluto, coraggioso, audace, deciso. Il figlio perfetto che gli ha regalato il destino. Max è il piccolo di casa, assomiglia un po' troppo a me però lo accetta. Ma io, io sono il figlio primogenito, quello che avrebbe dovuto seguire le sue orme. Mi conosci, sembra impossibile ma da piccolo ero ancora peggio: timido, insicuro, sotto stress balbettavo, il contrario del ragazzo che avrebbe voluto. E adesso scopre che sono anche un finocchio, una checca. No, per lui sono morto, su questo non ci piove”.
“Alexander, non è così. Tu sei un uomo meraviglioso” disse Magnus accarezzandogli il viso. “Sei sempre pronto a difendere chi è in difficoltà, quando serve prendi decisioni rapide e, se pensi ne valga la pena, sei pronto a rischiare. Non ti fai influenzare da quello che pensa la gente, non ti fermi all'apparenza. Fra jogging e boxe hai un fisico da paura. Non saresti un buon soldato, questo è vero, ma solo perché non sei il tipo che ubbidisce ciecamente a ordini che reputa sbagliati”.
Certe parole scaldano il cuore, soprattutto se a dirle è la persona che stimi di più al mondo. “Grazie,” disse semplicemente.

Due giorni dopo Alec ricevette una strana telefonata dal suo ex(?) capo. Il licenziamento era stato revocato, lo rivolevano in ufficio da subito. Alec chiese una spiegazione ma l'unica risposta fu un secco: “Hai un lavoro, non ti basta?”
Confuso e lievemente irritato prese la borsa e si diresse verso il centro di ricerca. Appena aprì la porta vide uno striscione colorato con la scritta Bentornato. I colleghi, Lydia in testa, gli dispensarono abbracci e pacche sulle spalle. Avevano preparato un piccolo rinfresco, qualche bibita, delle pizzette e patatine.

“A cosa devo l'onore?” chiese all'amica.
“Sai com'è, i licenziamenti senza giusta causa non ci piacciono, si comincia con uno e poi... Qui nessuno crede a quelle porcherie e per una volta ci siamo fatti valere. Adesso festeggiamo il tuo ritorno, e un po' anche la nostra vittoria”.
“Perché penso ci sia il tuo zampino?”
Lydia gli fece l'occhiolino: “Potrebbe essere Casanova, potrebbe essere”.
“Grazie Ly, mi serviva davvero. Non solo il lavoro, anche l'amicizia e la fiducia”.
Questo per quanto riguardava amici e colleghi. In strada era un altro paio di maniche: la gente lo additava per strada, i negozianti erano scortesi se andava bene, decisamente insultanti negli altri casi. I vicini bisbigliano fra loro e tenevano i figli a distanza. Il rapitore, il mostro che eludeva la polizia. Qualcuno aveva imbrattato la facciata di casa con scritte e disegni, devi morire; porco schifoso; il disegno di un'impiccato... Le prime volte aveva provato a pulire, ma era inutile, tolta una scritta ne apparivano due. Anche Magnus subiva le conseguenze dell'articolo, la gente gli si avvicinava, si offriva di aiutarlo, di nasconderlo, salvo poi arrabbiarsi e insultarlo quando lui rifiutava gentilmente e provava a spiegare che non era vero niente, che erano davvero innamorati.

 

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Capitolo 16
*** Talk Show - The End ***


Talk Show


“E' andato dove?”
“A Brooklyn, parteciperà al Late Night Show di Stephen Colbert, te l'ho detto. Non lo sapevi?” rispose Max. “Ho preso un biglietto, pensavo venissi anche tu, per questo sono passato. Ho l'aereo fra un'ora”.

Alec guardò il fratello. “Perché ci va?” chiese pur conoscendo già la risposta.

“... Per raccontare la sua versione”.
“E per farsi ammazzare. Ecco perché non me l'ha detto. Dammi quei biglietti...”
“Stai sragionando. Se lui è la vittima, perché dovrebbero prendersela con lui?”
Alec sospirò: “La gente è strana, Max. L'opinione pubblica si è schierata contro tutti e due, il pazzo maniaco e il malato di mente, un omosessuale e un bisex, entrambi da linciare. Solo Camille ne è uscita bene”.
“Secondo me esageri, ma tieni” disse passandogli i biglietti dell'aereo e dello show.

L'aereo atterrava due ore prima dell'inizio delle riprese e Alec prese un taxi fino all'Ed Sullivan Theatre. Si era messo occhiali scuri e berretto per mantenere l'anonimato e fino a quel momento aveva funzionato bene, Clark Kent insegna...
Max aveva preso un ottimo posto, in terza fila. Lo show era divertente, irriverente e caustico, il pubblico rideva, poi Colbert annunciò la guest star della serata, lo stilista al centro delle controverse notizie del momento, Magnus Bane.

Alec vide Magnus salire sul palco, il suo stile eccentrico e sexy portato allo stremo, strettissimi jeans d'oro, maglietta fucsia strappata con la scritta Don't slobber on the guest star in nero glitterato, uno spolverino senza maniche nero trasparente lungo fino ai piedi, bracciali, catene e un armband d'oro. I brillantini fucsia sulla benda venivano ripresi dall'altro lato in un ricciolo che scendeva sullo zigomo. Il trucco era perfetto, l'eyeliner gli allungava l'occhio fino alla tempia, l'ombretto sfumava dal nero al magenta, rossetto nero, unghie cangianti. Aveva rasato i capelli cortissimi ai lati e colorato le punte della cresta in oro, era uno spettacolo incredibile.
Il pubblicò scoppiò in un applauso roboante e Alec si rilassò. Troppo presto. Da qualche parte qualcuno cominciò a urlare insulti omofobi, “Pagliaccio, tornatene a leccare il c*** del tuo carceriere... dovevi ucciderti per davvero... scarto della natura...” Altri due o tre voci si unirono, cominciarono a volare oggetti sul palco. Magnus sorrideva imperturbabile, almeno finché qualcosa di pesante non lo colpì alla testa. La sicurezza era in movimento. Alec vide il sangue colare sull'occhio sano di Magnus. Saltò su e corse verso il suo uomo, una delle guardie gli si parò davanti, probabilmente pesando fosse uno degli agitatori ma Alec non aveva tempo di spiegare. Colpì l'uomo con un destro - grazie Jace che mi hai convinto a fare boxe - e con un balzò fu sul palco. Si parò davanti a Magnus, facendogli scudo col suo corpo.
“Alexander, cosa ci fai qui?”
“Ogni tanto ci parlo, con i miei fratelli,” tentò di scherzare prima di venir colpito a sua volta. “L'occhio, come va?”
“Non è niente cucciolo, solo un taglietto, sul sopracciglio credo” rispose Magnus tamponandosi la parte interessata con un fazzoletto bordato di pizzo.
“Perfetto, andiamo adesso, via da qui”.
Magnus scosse la testa. “Non posso, questa storia deve finire”. Con un sorriso scostò Alec e avanzò verso il fronte del palco. La spalle dritte, il passo sicuro, la testa alta, anche da dietro Alec vide emergere il drago. La voce di Magnus aveva mille toni, a volte era calmo, a volte ironico, dolce, divertito, tagliente o deciso, ma Alec non lo aveva mai sentito gridare. E non gridò neppure questa volta. Era la voce di una attore, il genere di voce che riempie la sala, raggiunge ogni angolo e impone di ascoltare. La voce che aveva bloccato i ragazzi nello spogliatoio tanti anni prima, che aveva costretto Billy a lavare l'armadietto. E il pubblico si calmò mentre gli uomini della sicurezza facevano uscire i pochi colpevoli. Tutti gli occhi erano puntati su Magnus.
“Grazie per l'attenzione. Prima di iniziare vorrei presentarvi un ospite a sorpresa, almeno per me. Il mio compagno, Alexander Lightwood”. Magnus gli tese la mano e Alec la prese d'istinto, si sentiva privato di ogni possibilità di scelta, completamente in balia di Magnus. L'uomo lo attirò a se e gli diede un bacio davanti a tutti. Un bacio vero, lungo e dolce, di quelli che ti fanno dimenticare dove sei e chi c'è intorno.
Poi Magnus cominciò a raccontare gli stessi fatti che erano riportati nell'articolo, ma aggiungendo le emozioni, i pensieri, l'amore nascosto, la paura di non essere accettati, l'imbarazzo, la timidezza, la solitudine di quei sei lunghi anni. Parlò del loro incontro, della gioia di quei cinque giorni perfetti. Poi del suo incidente del terrore di non essere abbastanza.
“Questo non l'ho mai rivelato a nessuno, tanto meno ad Alexander. Lo dico oggi a voi perché è giusto che conosciate la storia intera. Quando ho usato quella lametta l'ho fatto perché pensavo che la mia vita fosse finita, perché, come mi hanno fatto notare, ero un po' narcisista e non sopportavo il mio aspetto, ma soprattutto l'ho fatto perché così com'ero non potevo chiedere ad Alexander di accettarmi, di stare con me, magari di amarmi...” Alec gli strinse la mano e Magnus ricambiò la stretta. “... e dopo averlo ritrovato non riuscivo più concepire una vita senza di lui, non avrebbe avuto senso”.
Alec non riuscì a resistere “Ti amo da morire, Magnus Bane” gli sussurro piano. Ma non aveva tenuto conto del microfono che Magnus aveva appuntato alla camicia.

Il clima in studio era mutato, la gente applaudiva e li incitava. Tornata la calma Magnus riprese, descrisse la sua apatia in clinica, gli sforzi senza risultato di medici e infermiere, poi l'arrivo di Alec, come lo aveva scosso, costretto a reagire. Senza di lui non ce l'avrebbe mai fatta, spiegò.
“E quella frase, che penso sia rimasta in mente a tutti, è vero che Alexander le ha detto che non gli importava del suo occhio?” chiese Colbert.
“E' vero”, rispose Magnus portandosi la mano alla benda, “ma come sempre le parole sono soggette a varie interpretazioni. Penso che questa sia una domanda che dovreste fare direttamente a lui ”.
Colbert passò il microfono ad Alec che si trovò nella situazione che più odiava la mondo: al centro dell'attenzione, costretto a parlare in pubblico.
“Si, ecco... Magnus, lui... cioè, mi spiaceva certo ma non...” Prese un respiro profondo. “Io lo amo per la persona fantastica che è, amo tutto di lui, non solo il suo aspetto fisico”. Poi temendo che Magnus potesse prenderla male aggiunse. “Anche se è l'uomo più bello che abbia mai visto”, a questo punto si rese conto che l'aveva detto davanti a migliaia di persone in tutti gli Stati Uniti e avvampò. “Insomma, volevo solo fargli capire che l'avrei amato a prescindere, che avrebbe dovuto chiamarmi, che il mio posto era accanto a lui sempre e comunque... in quel senso non mi interessava, e ancora non mi interessa, del suo occhio”.
Il presentatore annuì: “Sì capisco, letta in quest'ottica la frase cambia completamente. Ma andiamo avanti...”
Magnus finì il racconto arrivando fino al presente, poi Colbert gli rivolse un'altra domanda: “E cosa mi dice di Camille Belcourt?”
“A differenza sua io non vado in giro a infangare la reputazione delle persone. Diciamo solo che è una donna egoista e vendicativa. Forse sarà venuto in mente anche a voi che per avere foto di determinati momenti era necessario che il tutto fosse accuratamente pianificato, che ci fosse qualcuno che sapeva cosa sarebbe successo e quando”.

“La sua nuova linea di abiti si chiama Forever Light...
“Luce per sempre, un bel nome, rimanda a una gioventù luminosa, felice. Ma per me è un augurio, una speranza. Per sempre insieme” disse Magnus girandosi a guardare Alec negli occhi e lasciandogli una piccola carezza sulla mascella. “Ah, su una nota più leggera, vorrei aggiungere che per la linea uomo ho trovato un nuovo fantastico modello, molto sexy”. Poi si rivolse alle telecamere, fece l'occhiolino e salutò: “Ciao Maximillian, adesso puoi arrossire!”
Alec rise, neanche Jace sarebbe riuscito a far morire d'imbarazzo il fratello in mondovisione.

“Benissimo, grazie per essere venuto, credo che questa puntata passerà alla storia! Ha qualcosa da aggiungere?”
Magnus scosse la testa con un sorriso. Fu Alec a farsi avanti: “Posso?”
“Ma certo signor Lightwood”, Colbert fece un cenno a un ragazzo che corse a mettere un microfono anche ad Alec.
“Sì, grazie... Ecco, io non pensavo di farlo così, non era... pianificato. In qualche modo mi sembra giusto e visto che ce l'ho sempre dietro... però fra l'articolo e tutto il resto...” Si fermò un attimo e fece un profondo respiro. Al diavolo suo padre, le telecamere, Camille e il resto del mondo. Ora esistevano solo loro due e quando erano vicini tutto era perfetto.
Posò un ginocchio a terra e, senza lasciare la mano di Magnus, con la sinistra prese una piccola scatoletta blu dalla tasca e ne fece scattare il coperchio: “Magnus Bane, mi vuoi sposare”.
Magnus guardò gli occhi di Alec, così pieni d'amore: “Oggi e per sempre”.
Mentre il teatro quasi crollava per gli applausi la telecamera si spostò sull'anello: un drago d'oro che si mordeva la coda.

 

FINE

Spero vi sia piaciuta :) Io mi sono divertita a scriverla. La scelta della perdita dell'occhio di Magnus è stata dettata da due considerazioni:
1. Nell'originale Magnus si vergogna dei suoi occhi da gatto, occhi che per ovvi motivi non potevo dargli. Quindi...
2. Sempre nel telefilm lo stregone resta senza magia, cosa che lo fa sentire inadeguato e incompleto, che gli fa credere che la sua scintilla si sia spenta. Qui è la perdita di parte della sua (fantastica) bellezza a creargli problemi simili. Problemi che grazie al suo cucciolo questa volta riesce a superare.

 

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