Indian Tea Novella

di Danny Fan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In gratitudine e per cortesia ***
Capitolo 2: *** Nell'ora della visita ***
Capitolo 3: *** Il nome dei fiori ***
Capitolo 4: *** La sospensione dell'addio ***
Capitolo 5: *** Aspettando che passi ***
Capitolo 6: *** Sulle tracce di Passepartout ***
Capitolo 7: *** Agitazioni transpacifiche ***
Capitolo 8: *** La rabbia, l'onore e l'amore ***



Capitolo 1
*** In gratitudine e per cortesia ***


Benares e Allahabad, India, 24 ottobre 1872.
 
Intorpidita, Aouda si sforzò di aprire gli occhi.
Le pareva di essersi appena destata da un lungo incubo, da un susseguirsi di immagini mostruose, di presagi terrificanti ai quali lei, con le sue sole forze, non poteva sottrarsi.
Poi, nel destarsi, ricordò tutto.
La morte dell’anziano Raja del Bundelkund, suo marito, e il terribile destino del sati, al quale i parenti di lui l’avevano destinata. La fuga disperata, il terrore nell’essere ricatturata, lo stordimento dei vapori della canapa ai quali fu costretta, e i vaghi momenti di lucidità durante la chiassosa processione del funerale, al termine del quale sarebbe dovuta essere arsa viva assieme al cadavere del vecchio. Ma tutto questo non era stato purtroppo un sogno. Le era accaduto veramente. E adesso? Si trovava su un treno in movimento?
Le era sembrato di essersi svegliata in precedenza e di aver sentito il rumore della locomotiva. Qualcuno le aveva dato da bere, poi era ripiombata nel sonno.
Infine eccola ancora o di nuovo su un treno.
Adesso però riusciva a ragionare, a capire e a valutare.
Si tirò un po’ a sedere e subito gli sguardi di coloro che dividevano con lei lo scompartimento le si puntarono addosso, perlopiù preoccupati.
Aouda lanciò loro sguardi stupiti, a tratti spaventati. Poi si guardò le braccia, e il grembo. Era avvolta da una coperta calda e morbida, che aveva un bellissimo quanto lieve profumo di colonia maschile inglese. Aouda lo riconobbe perchè suo padre, mercante parsi di Bombay, era solito commerciarla molto spesso con l’Inghilterra.
Un po’ a malincuore scostò la coperta, perchè la teneva calda, ma si avvide di non indossare più l’abito indiano color oro e il velo bianco, bensì un vestito vaporoso, all’europea, in lana dal disegno scozzese sui toni del rosso.
Chi mi ha spogliata e rivestita?! Gridò fra sè, irrigidendo la schiena e guardando i tre uomini nello scompartimento.
Quello davanti a lei, giovane, aveva capelli neri, occhi azzurri e il viso un poco rotondo e sorridente. Seduto accanto a questi, c’era un uomo con indosso la divisa da brigadiere generale dell’esercito inglese, mentre sul sedile fianco a lei, a discreta distanza, un gentiluomo a capo chino su una carta coperta di orari e coincidenze di battelli.
<< Signora Aouda >>, disse il soldato di fronte a lei, in tono gentile, << Non vi spaventate. Siete in salvo >>.
In salvo? No, non poteva crederci. L’avrebbero per certo ripresa.
Il soldato le sorrise, offrendole subito un poco di liquore che potesse meglio rianimarla.
Aouda, guardinga, ma spiazzata, accettò.
<< Che cosa è accaduto? >>, mormorò, << Io... non ricordo bene. Chi siete? >>.
<< Io sono sir Francis Cromarty, brigadiere generale inglese di stanza ad Allahabad. E questi sono il signor Phileas Fogg >>, le indicò il gentiluomo, << E il suo servitore Passepartout >>.
Il giovane seduto di fronte a lei annuì con un enorme sorriso.
<< Sono coloro che vi hanno tratta in salvo >>, continuò a spiegarle Cromarty, con tono pacato e rassicurante, << Il signor Fogg ha avuto l’idea di sottrarvi al sati e questo bravo giovane vi ha strappata al rogo sostituendosi al vostro defunto marito sulla pira >>.
Sconcertata, Aouda guardò Passepartout come se non riuscisse a credere a quel racconto. Era stata quindi condotta sulla pira, e quei viaggiatori avevano pensato di strapparla al suo triste destino?!
Sono viva per miracolo.
<< Ma no, la mia è stata solo una idea bislacca, che per nostra fortuna ha funzionato >>, disse il servitore, << Il merito è del signor Phileas Fogg, non mio >>.
Aouda si volse verso il gentiluomo, il quale tenne lo sguardo sulla sua consultazione, e non disse nulla.
<< Vero >>, disse Cromarty, << Il signor Fogg non ha esitato a mettere a repentaglio la sua vita e la sua libertà per salvarvi, dimostrando una autentica abnegazione, anche quando tutto sembrava perduto. Pensate, signora, che mentre eravamo ignari del piano di Passepartout, io e il parsi che ci ha fatto da guida abbiamo faticato a trattenerlo per impedirgli di lanciarsi sulla pira in fiamme! >>.
Passepartout annuì con forza, e Aouda si volse di nuovo al suo vicino di sedile. Egli rimase imperturbabile, come se non si stesse parlando di lui. L’attimo dopo, chiuse con un elegante scatto le proprie carte e la guardò per la prima volta.
Aveva occhi penetranti, di un celeste chiaro, freddo come il ghiaccio. Lo stesso sguardo era distante, un poco sfuggente. I capelli erano biondo scuro, corti sulla nuca, ma più lunghi sul davanti, dove si arricciavano morbidamente, giusto un poco ribelli. Portava baffi ben curati, del medesimo colore chiaro della capigliatura, e che capeggiavano su una bocca leggermente spessa ma ben disegnata, virile. Non dimostrava più di quarant’anni.
Era un uomo... bello. Pensò Aouda. Non riuscì a impedirsi di fare quell’osservazione, fra sè. Era stata educata da inglese, parlava quella lingua fluentemente con ottima pronuncia, e a Bombay molto spesso aveva conosciuto cittadini inglesi. Quindi non era la prima volta che si imbatteva in un europeo, e quella constatazione non era data dalla novità. Lo stesso Cromarty, come il signor Fogg, era alto e biondo, ma non le aveva dato i medesimi pensieri, se non una aperta gratitudine che si estendeva a tutto il trio. Se pensava che quei coraggiosi l’avevano strappata a morte certa, le salivano le lacrime agli occhi.
Qualcuno che mi aiuta... pensò mentre piangeva silenziosamente, cercando di dimostrare con gli occhi la sua gratitudine, qualcuno che non vuole che io muoia... Guardò per un momento fuori dal finestrino, dove scorreva veloce il panorama della sua India, che così tanto l’aveva maltrattata. L’India dove era nata e dove era stata anche felice, da bambina, fino a che non erano morti i suoi genitori ed era stata data in sposa ad un Raja vecchio decrepito, morto dopo soli tre mesi dalle nozze, e che l’aveva lasciata vergine, vedova e condannata a morte. L’India, ancora così pericolosa per lei. Forse i parenti del defunto ancora la cercavano, forse l’avrebbero ripresa e arsa viva senza che nessun Passepartout o Phileas Fogg potesse più salvarla. Forse anche loro sarebbero stati uccisi... Ebbe un brivido di terrore, mentre cercava di non scoppiare in pianto, in modo decisamente infantile e indecoroso.
Voltandosi, si accorse che il signor Fogg la stava ancora guardando, e probabilmente aveva colto quella sua reazione involontaria.
<< Signora >>, fu la prima parola che gli sentì pronunciare, << Rassicuratevi >>.
Aouda ricambiò il suo sguardo con le ciglia che sbattevano umide.
<< Sono disposto a condurvi fino a Hong Kong, prossima tappa del mio viaggio, sicchè potrete rimanere là al sicuro, lontana dall’India >>.
La sua voce grave, quasi baritonale, pronunciò quell’incantesimo di salvezza. Aouda credette di sognare.
<< Voi davvero... ? >>, ma non riuscì a terminare la frase, perchè la gola le si strozzò.
<< Naturalmente >>, rispose Phileas Fogg, interrompendo il contatto visivo come se avesse soggezione delle sue lacrime, << Una volta là, valuteremo il da farsi >>.
<< In effetti... >>, disse Aouda, << Ho un parente a Hong Kong. Uno dei più importanti negozianti parsi che vive in quella provincia inglese. Una persona per bene. Potrei domandare asilo a lui... >>.
Il signor Fogg annuì, freddamente.
Aouda si sentì molto a disagio. Il gentiluomo le stava evidentemente facendo un favore forzato, dettato dalla buona etichetta, ma lei costituiva con ogni evidenza un imprevisto per lui, che lo rendeva distaccato, quasi altezzoso. Quell’atteggiamento, manifesto nella mancanza di cordialità, che invece vibrava nello sguardo vivace del servo francese, la avviliva. Certo però non aveva altra alternativa che accettare la gelida gentilezza, tipica inglese, del signor Fogg.
 
 
A mezzogiorno, il treno arrivò a Benares, e fu la fermata di sir Francis Cromarty.
Tutti nello scompartimento si levarono per salutarsi.
Aouda osservò gli uomini stringersi le mani in commiato.
<< Signor Fogg, è stato un piacere viaggiare con voi. Vi auguro il massimo successo, e che la prosecuzione del vostro viaggio si svolga in modo meno originale ma più proficuo >>.
A quelle parole, Aouda ebbe ancora di più la sensazione di essere un vero e proprio inghippo per Phileas Fogg, senza capirne esattamente il motivo.
Il gentiluomo annuì e sfiorò appena le dita dell’altro, nella stretta di mano, << Il piacere è stato mio >>, disse, in un consueto risparmio di parole.
Per nulla turbato, Cromarty si volse a Passepartout e strinse la mano anche a lui, il quale parve onorato da quel gesto. Aouda sapeva che i servitori non godevano di tali considerazioni da parte dei padroni o dei gentiluomini in generale, e lo aveva sempre reputato ingiusto. Cromarty però salutò Passepartout come un compare, e lei ne fu felice. Non la mise a disagio come lo scambio precedente fra lui e Fogg.
<< Signora Aouda >>.
Lei chinò il capo in saluto, e il generale le baciò la mano, << Vi auguro il meglio >>.
<< E io a voi. Grazie ancora. Di tutto. Non vi dimenticherò mai >>.
<< Non lo merito >>, sorrise il generale, quindi piegò la schiena, e scomparve.
Poco dopo, il treno proseguì in direzione di Allahabad.
Aouda pensò che avrebbe dovuto dire qualcosa. Così si preparò un breve discorso, e cercò di intavolarlo.
<< Signor Fogg >>, cominciò.
<< Signora? >>, rispose lui.
<< Io... Mi sono resa conto che, nel mio stato confusionale e nella mia commozione, non vi ho ringraziato a dovere. Sia per avermi salvato la vita assieme al vostro bravo servitore, che per il viaggio che vi accingete a offrirmi. Uscire dall’India significa prendere un piroscafo... >>.
<< Il Rangoon, signora >>, confermò Phileas Fogg.
<< Non ho nulla con me che possa ripagarvi... >>.
<< Signora, ve lo ripeto. È innecessario che vi preocupiate di queste cose di poco conto. Sono ben lieto di provvedere alle vostre esigenze. Come mi giudichereste se volessi avvantaggiarmi delle vostre difficoltà? >>.
<< Non un gentiluomo >>, rispose Aouda, a mezza voce, arrossendo, << Spero di non avervi offeso, ma la mia gratitudine è grande >>.
<< Nessuna offesa, signora. Viaggiate a mente e cuore leggero >>.
Aouda sorrise, anche se a labbra chiuse. Non compiva quel gesto da mesi.
Decise di seguire il consiglio di Phileas Fogg, e di lasciarsi il passato alle spalle.
 
 
 
La signora Aouda si era addormentata. Passepartout russava appena, la testa abbandonata contro il finestrino del treno.
Era notte ormai.
Phileas incrociò le braccia e si appoggiò meglio al sedile, ripetendosi che doveva dormire. La sua ora per farlo, mezzanotte, era passata da un pezzo.
C’erano volte nelle quali non riusciva a spegnere il cervello. Ora, mentre attraversavano l’India, era una di quelle volte.
Ripensò alla notte del sati e all’audacia di Passepartout. E già che il francese gli era stato così ben raccomandato, ma nel momento di assumerlo non aveva minimamente pensato che potesse rivelarsi tanto prezioso. Gli uomini come lui erano pochi, ormai. Ricordò con un sorrisetto il Raja che si ergeva sulla pira che cominciava ad ardere, il corpo di Aouda abbandonato e inerme fra le braccia.
Anche lui era rimasto di sasso, perciò comprendeva la reazione degli indigeni, che si erano prosternati gridando al miracolo, e dando loro il tempo di fuggire.
Passepartout non aveva detto loro nulla. Gli era venuta l’idea, e l’aveva attuata. In questo erano simili.
La signora aveva fatto il viaggio sull’elefante fino al treno in stato di prostrazione. A volte cercava di aprire gli occhi, si lamentava, e perdeva di nuovo i sensi.
Phileas strinse i pugni. Non riusciva a concepire, da europeo civilizzato, come si potesse desiderare la morte di una creatura simile. Al di là dell’indicibile bellezza della giovane donna, come darsi tanto da fare nel rincorrere, ricatturare, e obbligare qualcuno al rogo? Qualcuno senza colpe. Qualcuno di così... indifeso. Educato. Gentile. Qualcuno con occhi così grandi, così neri, così limpidi, che era quasi difficile fissarli troppo a lungo? Scosse il capo fra sè.
Per salvarla, aveva perduto i due giorni di vantaggio accumulati fino a quel punto, ma non lo rimpiangeva affatto. D’altra parte, non era nemmeno in ritardo.
Va bene. Adesso dormo.
Chiuse gli occhi, cercando la posizione più comoda consentita, ma nel compiere quel gesto, di nuovo ricordò l’attimo prima di vedere il Raja risorgere. Aveva pensato fosse tutto perduto. Aveva visto le fiamme. Si era lanciato in avanti, ma la sua corsa era stata bloccata da qualcosa che lo teneva indietro. Delle braccia. Due paia di braccia, quelle di sir Francis e quelle del parsi loro guida. Si era divincolato con tutte le sue forze, respingendo i due uomini indietro con facilità. In quel momento, pensava che fosse semplice, arrampicarsi sulla pira oliata che bruciava in fretta di un fumo odoroso, sollevare Aouda inerme e ridiscendere, sparire nel bosco... Certo, gli avrebbero sparato dietro. Forse si sarebbe preso una pallottola, come quella che gli aveva bucato il cappello nella roccambolesca fuga. Ma i suoi compari avrebbero proseguito la corsa. D’altra parte, come continuare a vivere dopo aver assistito alla morte di una creatura così soave?
“Bene”, aveva detto a Passepartout, una volta in salvo con la giovane. Avrebbe voluto dirgli molto di più, ma non era bravo nel manifestare i sentimenti. Tutti i sentimenti. Si sentiva molto più sicuro dietro il suo scudo di freddezza, senza far capire agli altri cosa provava, di modo che non potessero avvantaggiarsi su di lui. In nessun modo.

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Capitolo 2
*** Nell'ora della visita ***


Calcutta, India, 25 ottobre 1872.
 
Erano giunti alla capitale delle Indie quel mattino alle sette.
Aouda era ancora troppo scossa e spaventata per preoccuparsi di altro che non fosse il pensiero pressante di fuggire, di lasciare l’India.
Fu però piacevolmente sorpresa quando, voltandosi dalla sua parte, il signor Fogg le porse le mani per aiutarla a scendere dal convoglio. Aveva mani grandi e solide, e nonostante ostentasse una certa rigida eleganza, nei suoi gesti non mancava un certo dinamismo e una spiccata virilità. Aouda aveva venticinque anni, quindi non era più una giovincella, e aveva conosciuto in quel lasso di tempo molti gentiluomini che le avevano usato carinerie, specie quando viveva a Bombay. Eppure quelle del signor Fogg la lusingavano. Forse, si disse, il motivo era da ricercarsi nel carattere freddo e schivo dell’inglese, che con quei gesti mostrava invece un lato sì obbligato, ma pur sempre umano. Tanto più egli era riservato e poco espansivo, più il suo andare verso di lei, anche se per semplice buona educazione, le pareva un momento prezioso ed esclusivo. Come degli attimi di grazia.
Nel mettere piede a terra, per un attimo dimenticò che si trovava ancora nel paese natio, e quindi in pericolo. Phileas Fogg aveva risposto al suo sorriso di ringraziamento con un’espressione rilassata. Aouda si chiese quanto ancora potesse diventar bello quel suo volto volitivo e nobile, se rischiarato da un sorriso. Lo avrebbe mai visto? Non ebbe tempo di rifletterci sopra, perchè un poliziotto li approcciò immediatamente, facendole balzare il cuore in gola.
<< Il signor Phileas Fogg? >>.
<< Sono io >>, rispose il gentiluomo senza scomporsi.
<< Quest’uomo è il vostro domestico? >>.
Passepartout aveva un’aria terrificata.
<< Sì >>, rispose Fogg.
<< Vogliate seguirmi entrambi >>.
Aouda sbiancò. Qualcuno l’aveva trovata e aveva addirittura denunciato i suoi salvatori.
Il signor Fogg non si agitò, mentre Passepartout cercò di protestare. Il gentiluomo però lo bloccò, domandando al poliziotto se lei potesse accompagnarli. Aouda preferiva quella soluzione allo stare da sola in mezzo alla folla del suo stesso popolo, che improvvisamente le pareva ostile in ogni singolo individuo, sicuramente a causa dello shock.
Il poliziotto acconsentì.
Mentre salivano sul carro, Aouda aveva preso da parte il signor Fogg e lo aveva pregato di lasciarla, di non esporsi a causa sua. Causare la condanna dei suoi salvatori sarebbe stato troppo per lei da sopportare. Fogg però rifiutò, risoluto, rassicurandola ancora. Chiaramente, egli considerava un reato quello commesso ai suoi danni, e non l’averla salvata dal sati.
Svariate ore dopo, si dirigevano in carrozza alla banchina della città, e riuscivano a salire a bordo del Rangoon poco prima che salpasse.
Aouda era confusa da quello che era accaduto in quelle cinque ore che avevano passato dal magistrato.
Tutti e tre avevano creduto che i sacerdoti che accusavano il signor Fogg e Passepartout fossero appartenenti alla pagoda di Pillaji, dove lei stava per essere uccisa, mentre appartenevano invece a quella di Bombay, nella quale il servo era entrato involontariamente con indosso le scarpe, molti giorni prima del loro incontro. Ciò costituiva un reato, ma il signor Fogg aveva evitato la galera per sè e il suo servo pagando una cauzione di duemila sterline, e senza nemmeno scomporsi in alcun modo. L’unico momento in cui aveva manifestato indignazione era stato quando aveva creduto che il processo fosse intentato per aver salvato lei dalla morte. Aveva intimato ai sacerdoti di confessare il loro deplorevole atto di barbarie, un sati non volontario, causando la confusione dell’uditorio. Salvo scoprire che l’accusa era mossa al francese per la sua mania di gironzolare da puro turista. Egli, in quanto responsabile del suo servo, aveva risposto in egual misura della tenera sbadataggine di Passepartout.
Aouda era colpita dalla facilità con cui il signor Fogg elargisse denaro, e che somme! I suoi genitori erano stati ricchi mercanti, perciò lei non era particolarmente sensibile al denaro, ma le parve che l’atteggiamento di Fogg fosse non quello di chi ostenta la propria ricchezza, ma piuttosto di qualcuno per il quale essa non sia così importante. Non era attaccato al suo denaro. Era... generoso con esso. Lo era stato fino ad allora nei suoi confronti e in quelli del suo servo e compagno di viaggio.
Passepartout, all’uscita del tribunale, era apparso mortificato e grato allo stesso tempo, per aver fatto spendere al suo padrone ben duemila sterline in cauzione.
Durante l’udienza, il signor Fogg guardava continuamente il grande orologio della sala. Evidentemente, non poteva perdere il piroscafo. Aouda, ora a mente più fresca, cominciava a domandarsi dove fosse diretto il gentiluomo, quali fossero i suoi affari. Insomma, avrebbe voluto sapere di più su di lui, su quell’uomo affascinante al braccio del quale ogni donzella avrebbe voluto camminare, così come aveva avuto il piacere di fare lei, nell’imbarcarsi sul vapore quel giorno. Lui le aveva porto il braccio, e lei lo aveva preso con un timido e cordiale sorriso, sentendo subito il calore e la solidità del muscolo, sotto l’abito scuro, impeccabile nonostante i trambusti del viaggio.
Una volta sul piroscafo, egli la accompagnò alla sua cabina, guidati da un inserviente.
Era un alloggio piccolo, anche se piuttosto comodo, rimediato fra quelli rimasti liberi della prima classe. Ma Phileas Fogg ne esaminò ogni angolo celando con difficoltà un certo malcontento.
<< Mi sarebbe piaciuto che foste alloggiata meglio. Questa cabina non corrisponde a come avrei desiderato per voi >>.
Aouda sorrise, sempre senza mostrare i denti, nel seguire anch’ella le buone regole dell’etichetta in rapporto ad una persona appena conosciuta.
<< Vi ringrazio molto della vostra premura, signor Fogg, e vi assicuro che andrà benissimo. È già tanto per me essere viva, ed essere sul punto di lasciare l’India. Non mi mancherà niente qui >>.
<< Lo spero, signora. E anzi, avrete senz’altro appetito >>, e il signor Fogg tolse dal taschino il suo bell’orologio dorato e lo consultò brevemente, << Alle quattro, dopo il pranzo, tornerò a farvi visita di cortesia >>.
Aouda annuì e ringraziò ancora, rimanendo poi sola.
Si sedette lentamente sulla comoda branda, e quando sentì l’imbarcazione muoversi, il cuore le si alleggerì. Era veramente salva, ormai.
Addio, India.
Certo le preoccupazioni non erano finite. Non era certa che a Hong Kong avrebbe trovato rifugio e ospitalità. Ma per il momento, non volle pensarci. La mente tornò invece al signor Fogg.
C’era, a quanto pareva, un’ora prestabilita per la “visita di cortesia”. Aouda si sentiva rattristata da ciò. Non che non volesse vedere il suo salvatore, anzi! Però aveva sempre più la sensazione di essere un obbligo per lui, una mera responsabilità, in quanto donna, e in quanto in difficoltà. Era come se egli seguisse un programma scritto, nei suoi riguardi. Faceva tutto ciò che un gentiluomo deve fare, per regola, nei confronti di una donzella, ma non per slancio, solo per dovere. La cosa, purtroppo, la rattristava, senza che lei ne capisse la ragione.
Che importa? Si disse. Mi sta aiutando. Che importanza ha se lo fa per dovere o perchè vuole? Mi ha comunque salvato la vita. Cosa altro pretendo? Probabilmente la sua lady è molto gelosa, e a ben donde!
Aouda si rimise in piedi con un balzo. Accidenti alla sua fantasia! Non era perbene interessarsi a certe questioni.
Piuttosto, stava morendo di fame, ora che il pericolo era passato. Si diresse verso gli strumenti da toletta, si tolse il vestito di lana e si lavò abbondantemente con un ottimo sapone dalla fragranza delicata e femminile. Guardandosi allo specchio si accorse che aveva i capelli in disordine e annodati. Le punte erano un po’ bruciacchiate.
Li pettinò con cura. Erano molto lunghi, fino e oltre le anche, come usanza indiana. Fino a quel momento li aveva avuti sciolti, perchè di certo chi l’aveva vestita all’europea in treno non aveva idea di come si acconcia una fanciulla. Aouda provvide in quel momento, intrecciando le chiome e raccogliendole attorno al capo in modo elaborato. Esitò nel guardarsi allo specchio. Aveva l’aria ancora decisamente strapazzata. Gli occhi neri, che tutti avevano sempre esaltati come “i laghi sacri dell’Himalaya” erano un po’ arrossati e poco fermi. Il naso era sottile, la bocca carnosa e bruna. La sua carnagione, bianca, era tuttavia più scura di quelle delle donne europee, specie delle inglesi. In giovinezza, mentre veniva educata a comportarsi come una di loro, Aouda aveva desiderato tanto essere alta, tornita e bionda, ritta ed elegante come una spiga. Era invece di costituzione assai diversa. Non era bassa, ma il suo corpo tendeva ad essere minuto. Aveva il punto vita stretto, le anche morbide ma dritte e il seno piccolo, tanto che l’abito che le era stato procurato, non di certo fatto su misura, anche se di bella fattura, le calzava in modo strano addosso. Soprattutto era decisamente largo sul petto. Ma non si lamentava di certo. Capiva che i suoi salvatori avevano cercato di farla passare inosservata.
Anche così, sono proprio indiana, commentò fra sè, dandosi un’ultima occhiata allo specchio.
 
 
 
Alle quattro, puntualissimo, Phileas Fogg venne a trovarla, e la accompagnò in passeggiata sul ponte coperto del vapore.
Egli indossava un abito diverso. Pantaloni grigio bruno a scacchi piccolissimi, gilet blu oltremare, camicia bianca e redingote marrone, uguale al cilindro non troppo alto che metteva in risalto il colore chiaro degli occhi.
Nonostante l’innegabile fascino, Aouda lo scoprì ben poco disinvolto, non come avrebbe dovuto esserlo un gentiluomo di tale risma. Non era goffo, nè impacciato, al contrario. Però era rigido, compunto, fin troppo impeccabile. Si chiese se fosse sempre così, nella vita di tutti i giorni. D’altra parte, non capiva perchè le interessasse tanto.
<< Quanto durerà la traversata, signor Fogg? >>, chiese, visto che lui non diceva nulla.
<< Undici o dodici giorni >>, le rispose.
Altro silenzio.
Mentre camminava lentamente, Aouda pensò al futuro. Una volta trascorsi quegli undici o dodici giorni, avrebbe dovuto mettersi in contatto col suo parente a Hong Kong, ma come avrebbe reagito questi? Dopotutto, era una bocca in più da sfamare. Una bocca peraltro pressochè sconosciuta. E se non l’avesse accolta? Cosa avrebbe fatto, sola e senza mezzi nella città inglese in Cina?
La sua ansia dovette trasparire dal suo volto, perchè Fogg osservò, << Mi sembrate preoccupata >>.
Sospirò, << Sì, è così >>.
<< E da cosa, signora? L’India si allontana >>.
<< Avete ragione, ma non sono sicura che troverò a casa del mio parente l’ospitalità e il rifugio che cerco. Egli è imparentato con me alla lontana, e non ci siamo incontrati che una volta soltanto, brevemente, quando ero molto giovane. Si tratta del cugino di sir James Jejeebhoy di Calcutta, mercante inglese di cotone, del quale sono parente stretta. Con questi ho maggior confidenza, ma con suo cugino... >>, scosse il capo, salvo riprendere un’aria fiduciosa, << Certo, conto di supplicare la sua benevolenza, ma l’idea di ritrovarmi sola a Hong Kong mi inquieta. Naturalmente >>, disse, anticipando qualsiasi risposta del signor Fogg, << Molto meglio essere sola in Cina che morta in India >>.
<< Signora >>, esordì Fogg, dopo una breve pausa, << Non preoccupatevi. Tutto si aggiusterà matematicamente >>.
Matematicamente?
<< Me lo auguro >>, ribattè, Aouda, per nulla rassicurata, << Intanto, vi ringrazio ancora di cuore per il vostro aiuto e sostegno. Vi devo tutto >>. Ed era sincera. Lasciò trapelare tutta quella gratitudine, provandola fino in fondo. Il signor Fogg poteva anche essere un uomo bellissimo e un perfetto gentiluomo, ma al di là di quei semplici e insignificanti dati di fatto che l’occhio di una donna sa cogliere senza volerlo, Aouda gli era grata. Quello era il sentimento che la compenetrava per lui. Decidendo di interrompere momentaneamente il suo viaggio del quale lei ignorava scopi e destinazione, per salvarla dal sati, Phileas Fogg aveva dimostrato il cuore che non mostrava di solito. Cercare di strapparla ai fanatici religiosi inferociti non era una cosa che avrebbe fatto chiunque, nemmeno se gentiluomo.
<< E voi? >>, si azzardò a domandargli, << Non per entrare nei vostri affari, ma mi è parso di capire che l’India, così come la Cina, siano solo tappe. Dove siete diretto? >>.
A quella domanda, Phileas Fogg, ben lungi dall’essere urtato, rispose in modo sicuro quanto enigmatico, << Sempre avanti >>.
 
 
Dopo alcuni giorni di navigazione, mentre esplorava i ponti in un pigro dopopranzo, prima della puntualissima passeggiata col signor Fogg delle quattro, nella quale di solito parlava solo lei, sentendosi una inguaribile pettegola, Aouda incontrò Passepartout che a sua volta si sgranchiva le gambe.
Si misero a parlare di convenevoli e poi del tempo, e infine finirono per discutere dell’inglese.
<< Non vorrei apparire indiscreta >>, cominciò, titubante, << Ma il vostro padrone mi sembra... >>, non riuscì a trovare il giusto aggettivo, così il francese la anticipò.
<< Scostante? Imperturbabile? Freddo? Insomma un automa? >>.
Aouda nascose una risatina dietro la mano all’umorismo del servo. Però sì, Passepartout aveva colto nel segno.
<< Tutto normale >>, le disse, sospirando allegro, << Cioè, normale non tanto. È solo che... lui è così, prendere o lasciare. Ma è un uomo d’onore, ecco perchè sono ancora al suo servizio. Volevo un padrone da poter rispettare, e l’ho trovato >>.
<< E la sua signora? >>, si arrischiò a chiedere Aouda, trovando la domanda tanto automatica da poter apparire disinteressata, anche alla propria coscienza.
<< Nessuna signora >>, scosse le spalle Passepartout, << Questo certo capita anche alle persone migliori >>.
<< Certamente >>, arrossì Aouda.
<< Ad ogni modo eccoci qui, a fare questo giro del mondo >>, riprese il domestico.
<< Giro del mondo? >>, le venne spontaneo domandare.
<< Sì! Pensavo che il mio padrone ve lo avesse già detto. Non è un segreto. Fa il giro del mondo. In 80 giorni. Per scommessa >>.
Aouda restò stranita per un lungo attimo, ma non riuscì ad evitare di sorridere della follia di quella scoperta.
<< Folle, lo so, lo pensavo anch’io appena partiti. Pensavo, si fermerà, in questo o nel prossimo paese... e invece no. Adesso però ci credo anch’io, e faccio il tifo per lui. Beh, sarebbe strano il contrario, visto che se il signor Fogg perde la scommessa e non torna a Londra nel giorno e nell’ora stabiliti, sarà bello che rovinato, e io dovrò trovarmi un altro padrone! >>.
Aouda, sempre più sconcertata e confusa, si protese in avanti, << Spiegatemi meglio questa faccenda, Passepartout, ve ne prego >>.
<< Ma certo, signora >>, sorrise il servo, << Dunque, come vi ho detto, il mio padrone fa il giro del mondo in 80 giorni, così come ha scommesso coi suoi colleghi del Reform Club di Londra. Ventimila sterline, questa la somma in palio che, a quanto ho capito, è la metà del patrimonio del signor Fogg. Certo, l’altra metà la sta utilizzando per il viaggio stesso, così che, se dovesse vincere, non guadagnerebbe nulla, in termini economici, ma se perdesse, sarebbe del tutto rovinato >>.
<< Come gli è saltato in mente di accettare una simile scommessa? >>, domandò Aouda, ora veramente sbalordita.
<< In verità, signora, credo sia partita da lui. Ma devo dire che ho compreso una cosa del signor Fogg, grazie a questa circostanza, che si è verificata giusto il giorno nel quale sono stato da lui assunto. Il mio padrone ama le sfide. Ecco cos’è questo viaggio. Una sfida. Contro se stesso >>.
Aouda sorrise, e se dapprima aveva giudicato a dir poco stramba e irresponsabile la risoluzione del gentleman, adesso, grazie a Passepartout, ne comprendeva il senso. Phileas Fogg doveva essere un uomo al quale la vita non aveva ancora dato quello che egli desiderava realmente. E che invece di piangersi addosso, coglieva il primo pazzo pretesto per sfidare la sorte, per cambiare radicalmente quella vita. O per lo meno, dimostrarsi che ciò che voleva poteva ancora ottenerlo.
 
 
 
Phileas guardò il suo orologio.
Dopo quasi un mese di viaggio, era abituato a lanciarsi in mille calcoli e piani ogni qualvolta metteva mano a quell’oggetto, e così accadde anche allora. Smise subito. Cosa ancora più importante del futuro itinerario, erano le quattro, ed era ora di andare da Aouda.
Dalla signora Aouda, si corresse mentalmente.
Senza volerlo ammettere con se stesso, auspicava ogni giorno l’arrivo dell’orario del loro incontro, e ci andava sempre molto volentieri. Lo aveva uniformato al suo protocollo di vita, inserendolo in un orario preciso, per meglio catalogarlo così come un impegno e un dovere, ma gli capitava spesse volte che, fattesi le cinque, rinunciasse volentieri alla sua tazza di tè o, in modo più preoccupante, al whist, per trattenersi ancora con lei.
Si rendeva conto di non essere l’emblema del compagno di viaggio ideale. Parlava poco, e solo quando lei gli faceva qualche domanda diretta. Per il resto la ascoltava. Gli piaceva molto, ascoltarla. Aveva una voce dolce e melodiosa, parlava sempre in un tono basso e delicato, e la sua pronuncia inglese era adorabile. Fosse stato un altro tipo di uomo, Phileas le avrebbe fatto dei complimenti, le avrebbe sorriso apertamente, avrebbe fatto battute e cercato di mettersi in mostra in qualche modo, se non con le azioni, almeno con una buona conversazione. Queste erano cose del passato. Così lontane! Erano più di vent’anni che non badava più a impressionare gli altri. Non faceva fatica nel comportarsi come si comportava di solito, da quando era diventato adulto. Sì, a volte reprimeva le emozioni, quelle passeggere. La collera. La gioia troppo esuberante: non che nella sua vita l’avesse provata spesso, comunque. Però gli veniva naturale, e lo faceva sentire tranquillo, padrone del suo equilibrio.
Il giorno precedente, la signora Aouda aveva preso il tè con lui.
Se ci ripensava, non riusciva a non sorridere fra sè, per quanto la cosa gli sembrasse assurda. Una giovane signora, che al suo “è l’ora del mio tè”, pronunciato con quella voce che si ritrovava, distaccata e pacata, avrebbe sfiduciato qualsiasi altra persona a dire “oh, se non vi dispiace, mi unirò a voi”. Invece Aouda l’aveva detto. E fatto.
Tutta rinfrancata, aveva commentato la bontà della bevanda, aggiungendovi solo un poco di latte, mentre lui taceva o annuiva.
Solitamente, quel suo atteggiamento bastava a far fuggire le signore.
Non che lui volesse, al contrario!
Però non era nemmeno disposto a modificare il suo modo di essere per una qualsiasi di loro.
Senza false modestie, doveva dire che non gli era mai mancata la compagnia femminile. Ma erano state tutte avventure fuggevoli, volatili come il vento. Non aveva mai dovuto fare la minima fatica per attrarle; gli bastava, a quanto pareva, l’aspetto fisico. Poi, una volta che lo conoscevano un poco, che capivano com’era fatto, si dileguavano in fretta, sparendo senza lasciare traccia. In passato ne aveva sofferto. Gli faceva rabbia che, molti dei suoi coetanei, certamente meno affascinanti o meno ricchi, fossero felicemente sposati, mentre lui non aveva ancora conosciuto una sola fanciulla che lo accettasse per come era fatto. Quelle più caparbie pretendevano di cambiarlo, iniziando a dettare regole su come sarebbe stata la loro vita assieme. Niente più orari prestabiliti, innanzitutto. Avrebbero fatto le cose quando ne avrebbero avuto voglia, e per le cose di coppia, Phileas era stato anche d’accordo. Ma quando cominciavano a condizionare anche la sua routine, che lui considerava così equilibrante e che gli permetteva di curare alla perfezione tutti i suoi affari, allora iniziavano i guai. Altre, più accomodanti sul ripetersi delle sue giornate, battevano invece su altri punti. Doveva essere più socievole. Essere più aperto. Più comunicativo. Più simpatico. Conversare di più. Sorridere di più... Bah! Che sposassero un altro, a quel punto. Phileas voleva fare quelle cose solo se le sentiva, non perchè costretto.
Era davvero così insostenibile avere a che fare con lui? E su una cosa che non si poteva ormai cambiare: il suo carattere. Eppure, non era mai stato violento, mai maleducato, aveva fatto della cortesia uno dei suoi valori principali. Per assurdo, le donzelle sembravano trovare più attraenti i criminali o i farabutti rispetto a lui. D’altra parte, non gli importava più. Aveva chiuso le donne, e i rapporti umani troppo stretti, fuori dalla sua zona di comfort, perfettamente organizzata secondo i dodici rintocchi del suo precisissimo orologio. In quel mondo del quale era l’unico abitante, non esistevano i conflitti nè alcuna cosa che potesse farlo soffrire.
Quel giorno, come sempre alle quattro, Aouda era pronta.
Gli spiaceva che dovesse indossare sempre lo stesso vestito, vista l’impossibilità di comperarne altri fino a che non fossero arrivati a Hong Kong. Là poi certamente si sarebbero salutati per sempre, e...
Ma lei era comunque graziosissima anche con il solito abito scozzese rosso, che metteva in risalto il nero lucente dei suoi capelli raccolti in trecce o sciolti, a seconda della giornata.
Oggi erano sciolti, e a Phileas la cosa piacque. Aouda apparteneva ad una cultura per la quale il mostrare le chiome senza particolare acconciatura era per una signora abbastanza normale, mentre per la sua, si trattava di una cosa che denotava familiarità e confidenza. Era quasi una cosa intima mostrarsi ad un uomo coi capelli sciolti. Il fatto che quel pensiero gli stringesse lo stomaco lo fece alquanto innervosire, e lo rese, quel pomeriggio, ancora più distante, quasi altezzoso. Si rendeva conto di reagire così senza volerlo, ma non poteva farci nulla.
Aouda rimase un po’ perplessa nel constatarlo.
<< Signor Fogg, se oggi non avete piacere nel tenermi compagnia, non è necessario che lo facciate >>, gli disse, con voce dolce e un po’ timida, << Non voglio che vi sentiate in obbligo. Vi devo già tanto, più di quanto possa mai restituirvi, e l’ultima cosa che voglio è recarvi ulteriore fastidio >>.
<< Non si è modificato nulla da ieri a oggi, signora. Perciò non comprendo la vostra supposizione che io non abbia piacere nel trascorrere il tempo con voi >>.
<< Ecco, mi sembrate... altero >>, disse lei.
Altero. Caspita. Era la parola giusta per come si stava ponendo. E lei se n’era accorta.
Non voglio rinunciare alla sua compagnia, pensò Phileas, cercando di sfoggiare un sorrisetto accondiscendente, << È il normale me stesso che avete alla porta >>.
Lasciandolo di stucco, Aouda rise di quella sua uscita. Poi rimase a guardarlo con quei suoi occhi giganteschi, limpidi e brillanti, pieni di grazia e di intelligenza, di curiosità e divertimento.
Le porse subito il braccio, gustandosi la bella sensazione di essere riuscito, senza nemmeno volerlo, a farla ridere, di una cosa che avrebbe detto di norma, una cosa spontanea, che veniva dal suo modo di essere. Succedono cose strambe.
<< Il normale voi stesso prenderebbe il tè con la sottoscritta anche oggi? >>, poi arrossì, << Sempre che non sia troppo sfacciato da parte mia chiedervelo >>.
<< Affatto, signora. E sì, volentieri >>.

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Capitolo 3
*** Il nome dei fiori ***


Singapore, 30 e 31 ottobre 1872.


Raggiunsero il grande salone del Rangoon, dove militavano alcuni passeggeri, intenti in leggere conversazioni.
Aouda aveva passato l’ultima ora a raccontare a Phileas Fogg gli anni della sua educazione inglese a Bombay. Gli aveva parlato dei gentiluomini che aveva conosciuto in India a causa del mestiere di suo padre, e delle cose che in gioventù aveva trovato bizzarre del modo di vivere e di comportarsi degli inglesi, in rapporto alla cultura indiana. Gli aveva anche raccontato alcune brutte figure che aveva fatto da adolescente, quando ancora non conosceva bene tutte le parole della lingua, e di quanto si fosse vergognata nel capire i malintesi, nonostante il sommo divertimento dei coloniali.
Sperava, raccontandogli quelle cose sciocche, di strappargli almeno un aperto sorriso.
Ma niente.
Il massimo che ottenne fu un’espressione di cortese interesse, sebbene le parve che i suoi occhi celesti fossero più brillanti e attenti, quel pomeriggio.
Quando venne l’ora del tè, Aouda si schermì violentemente, portandosi una mano alla fronte, << Mi scuso, signor Fogg, non ho fatto altro che parlare e parlare. Dovete essere esausto dal sentire la mia voce >>.
Egli scosse un poco il capo, versandole la bevanda profumata, << Affatto, signora. Mi fa piacere ascoltarvi >>.
Aouda avrebbe voluto fargli notare come sarebbe piaciuto anche a lei che lui le raccontasse qualcosa, ma non le pareva il modo giusto di approcciarsi. Non voleva forzarlo alla conversazione. Voleva che fosse a suo agio con lei, che non si sentisse costretto a fare nulla che non volesse. O più di quello che già aveva fatto per lei, dal momento in cui l’aveva strappata alla morte.
Però, mentre sorseggiavano il tè, in un silenzio assorto e rilassato, notò che lui guardava dal grande oblò ad arco, oltre il mare. All’orizzonte si profilava, come quasi sempre nella circumnavigazione, una costa brunastra.
<< Non ho idea di dove siamo, oramai >>, commentò Aouda, tanto per dire qualcosa. Certe volte, il silenzio con lui la imbarazzava, senza sapere come mai. Specie quando assumeva quell’aria assorta, e lei si chiedeva a cosa mai stesse pensando.
<< Nello Stretto di Malacca >>, rispose dopo una lunghissima pausa Phileas Fogg, voltandosi di nuovo verso di lei, << Domani faremo tappa a Singapore >>.
<< Singapore? >>, ripetè lei, confusa, << Non siamo diretti a Hong Kong? >>.
<< Sì, signora. Ma dobbiamo fermarci per fare rifornimento di carbone >>.
<< Capisco >>, disse Aouda, riprendendo a sorseggiare il suo tè, << Passepartout mi ha detto della scommessa. La tappa forzata non rallenterà il vostro viaggio? >>.
Il signor Fogg scosse il capo, << Per nulla. Ogni tappa per rifornimento rientra nel mio programma >>.
<< Perdonerete la mia indiscrezione nel voler conoscere i vostri affari. Si parlava del più e del meno col vostro bravo servo, e così... >>.
<< Non dovete scusarvi >>, disse Fogg, posando la tazza vuota, << Il mio viaggio non ha nulla di segreto >>.
Aouda gli sorrise con garbo, << Allora mi permetterete di augurarvi la buona riuscita, nonostante l’imprevisto che ho costituito per voi >>.
<< Ve ne ringrazio >>, le rispose lui, incrociando le braccia e massaggiandosi i baffi con aria rilassata e grave al tempo stesso, << Ad ogni modo, l’avervi sottratta al sati non costituisce un imprevisto >>.
<< Ah no? >>, domandò perplessa Aouda.
<< È una cosa che ho deciso di fare. Non si può evitare un imprevisto, si può ovviare ad esso in molti modi. Ma nel vostro caso, si è trattato di una deviazione volontaria >>.
Aouda si emozionò molto a quella rettifica. Era incredibile quanto le alleggerisse la coscienza il sentirgli dire che non era stata un intoppo per lui, ma una “deviazione volontaria”.
C’era il sole, quel pomeriggio del 30 ottobre 1872. Ma da quel momento in poi, le parve ancor più luminoso.
 
 
Il 31 ottobre, il Rangoon gettò l’ancora nell’isola di Singapore per il suo rifornimento.
La sosta sarebbe stata lunga mezza giornata, e Phileas aveva appena finito di annotare un vantaggio di dieci ore nella sua tabella dei profitti, sul diario di viaggio, quando la signora Aouda lo raggiunse sul ponte coperto assieme a Passepartout.
Quella mattina, a causa del lieve venticello, lei aveva indossato lo scialle che le avevano procurato a Calcutta, e nonostante il solito abito, era fresca e smagliante come una rosa.
La sua bellezza fulgeva particolarmente, quel mattino, e Phileas pensò che urgesse davvero procurarle degli altri vestiti, per metterla ancora di più a suo agio. La sua sopportazione di quella situazione lo sorprendeva ogni giorno. Le donne che aveva sempre conosciuto si lamentavano in continuazione, di ogni piccola cosa. Aouda stava indossando lo stesso abito per più di sei giorni, e non aveva ancora mostrato nessuna rimostranza, nè sembrava a disagio. Anzi, il suo sorriso si faceva più aperto e luminoso man mano che i giorni passavano.
<< Com’è bello >>, commentò, guardando il panorama dell’isola, << Chissà come sarebbe andare a zonzo per visitare questo luogo >>.
Phileas chiuse il diario, << Scendiamo, se avete voglia di passeggiare sulla terraferma >>.
Aouda lo guardò con gli occhi neri sgranati, << Veramente? Possiamo scendere? >>.
<< Certo. I rifornimenti dureranno almeno tutta la mattina >>.
<< Oh, signor Fogg. Sarebbe meraviglioso! >>.
<< È deciso, allora. Passepartout? >>.
<< Signore? >>, rispose allegramente il francese.
<< Vi affido le solite compere >>.
<< Certamente, signore >>.
<< Ah, e per favore >>, lo prese da parte, abbassando la voce, << Vedete se riuscite a procurare qualche altro abito per la signora Aouda. Come sempre avete un credito illimitato per questa incombenza >>.
Passepartout sorrise apertamente, << Sarà fatto >>.
Phileas tornò da Aouda, la quale guardava con entusiasmo la banchina e il verde dell’isola.
<< Signora, se siete pronta... >>.
<< Certamente >>.
Come al solito le porse il braccio e discesero dal battello. Sul dock, Phileas noleggiò una carrozza trainata da due bei cavalli bai.
Aouda sorrideva, come se stessero andando ad una festa.
Gli faceva un enorme piacere vederla finalmente rasserenata, e quello stato d’animo influiva talmente tanto sullo splendore della donna da rendergli quasi difficile stare a guardarla. La sua bellezza asiatica, così sensualmente indiana nonostante l’educazione e le ottime maniere, lo mettevano incredibilmente a disagio, sebbene per fortuna riuscisse con facilità a celare questo stato d’animo dietro una vaga distrazione.
<< Vi ringrazio così tanto, signor Fogg, per avermi concesso il piacere di questa passeggiata >>, gli disse, con quella voce dolce e bassa nella quale egli riusciva a sentire un trillo di pura contentezza.
<< Non occorre che mi ringraziate >>, le rispose, << Mi rendo conto che i giorni in mare siano pesanti per una fanciulla >>.
Aouda sorrise con lieve ironia, << Beh, ho vissuto giorni decisamente peggiori >>.
Quell’uscita lo colpì molto. Dopo averla salvata, non aveva più pensato a cosa lei poteva aver vissuto prima del sati. Già il solo matrimonio forzato doveva essere stato destabilizzante. Scoprire che il Raja era un vecchio moribondo, poi, l’aveva senza dubbio lasciata nell’angoscia della morte di questi e delle sue conseguenze. Aveva fatto in tempo ad affezionarsi a lui? Cosa aveva provato nella consapevolezza del decesso del marito e  della sorte che questo comportava per lei? Cosa durante la disperata fuga? E cosa ancora mentre veniva ricatturata e drogata con la forza, sapendo che forse non si sarebbe svegliata mai più? Quell’insieme di esperienze dovevano averla temprata, tanto che adesso era pronta a superare le piccole difficoltà con una leggerezza disarmante in una donna così giovane e altolocata.
La carrozza li lasciò alle porte di un parco, uno dei molti che coprivano Singapore come una scacchiera.
Gli occhi di Aouda brillavano alla vista degli alberi e dei fiori.
<< Vi piace il verde, vero? >>, le domandò Phileas, porgendole il braccio, al quale lei si appoggiò leggera e aerea tanto che gli parve di volteggiare assieme anzichè camminare semplicemente, come stavano facendo.
<< Tanto >>, rispose Aouda, << In Inghilterra, mi hanno detto, c’è molta natura >>.
Phileas ebbe un sorrisetto, << Non a Londra. Ossia, vi sono molti parchi, ma la città è grigia e fumosa. Però le campagne circostanti sono floride, con molti boschi e pascoli per le bestie >>.
<< E si può passeggiare in quelle campagne? >>.
Phileas non riuscì ad impedirsi di inarcare leggermente un sopracciglio. Doveva piacerle veramente tantissimo, passeggiare.
<< Volendo, sì >>, le rispose, non trovando altra argomentazione. Uno in effetti poteva passeggiare anche in cima all’Everest, se voleva farlo.
Aouda annuì, quasi fra sè, poi divenne stranamente taciturna e pensosa, e per molti minuti camminarono in silenzio.
Successivamente, si rianimò, e iniziò a indicargli tutti i fiori dei quali conosceva i nomi, chiedendogli di farle conoscere il nome inglese di quelli che non sapeva chiamare, se non col corrispondente indiano.
Phileas le chiese un paio di volte di ripetere come queste piante venissero apostrofate in India, e lei volentieri accondiscese.
Gli piaceva come pronunciava le parole nella sua lingua madre. Le sue labbra brune sembravano formulare incantesimi.
Fu una piacevolissima mattinata, e quando il sole fu alto e Phileas, perplesso, consultò il suo orologio, scoprì che erano passate le dieci. Per la prima volta in vita sua, ebbe l’impressione che le lancette avessero corso come spinte dal più potente motore conosciuto, e il tempo aveva accelerato anzichè seguire il suo solito ritmo monotono. Quel tempo trascorso con Aouda, pensò, era di natura incomprensibile.
Mancavano però solo altri quattro giorni per raggiungere Hong Kong, e là, dopo averle detto addio, il tempo che gli era sempre stato complice, avrebbe ripreso il suo ritmo, trascinandosi, così prevedibile e vuoto.
 
 
Il Rangoon era ripartito alle undici, dopo aver finito il suo rifornimento di carbone, e aver imbarcato numerosi altri passeggeri diretti in Cina.
Prima di ritirarsi nella sua cabina, Aouda aveva ricevuto da Passepartout quattro grossi mango che il servo aveva comprato a Singapore, e due abiti nuovi, chiusi in grosse scatole che il buon giovane si premurò di portare nel suo alloggio. Aouda lo ringraziò sentitamente. Il pensiero dei frutti era stato di Passepartout e basta, non gli era stato richiesto, come certamente era invece accaduto per gli abiti, dal signor Fogg. Perciò Aouda rivolse un cortesissimo ringraziamento al gentleman, poi un ennesimo grande sorriso al francese per l’idea che aveva avuto di allietarla con qualcosa di dolce e gustoso.
L’attimo dopo, prima di congedarsi per provare i vestiti, riguardo i quali era molto curiosa, guardò di nuovo il signor Fogg, e scoprì che aveva assunto uno strano cipiglio. La salutò freddamente, e si avviò con lentezza verso il salone del piroscafo.
Lungo il tragitto in direzione della sua stanza, Aouda riflettè su quell’atteggiamento.
Phileas Fogg le era sembrato di umore molto alto durante la mattinata. Certo, nel limite dei suoi canoni, quindi ancora nessun sorriso aperto, cosa della quale Aouda si rammaricava parecchio. Si era scoperta quasi a smaniare per avere da lui uno solo di quei sorrisi, prima di non rivederlo mai più. Oramai però disperava di poter assistere al miracolo, perchè quella mattinata era stata quanto di più piacevole si potesse ottenere in un viaggio serrato come quello che l’inglese stava compiendo.
Diamine, dove stai correndo, Phileas Fogg? Vorrei proprio saperlo.
Ad ogni modo, dopo una quantità inusuale di mezzi sorrisi e di parole, erano tornati a bordo e Passepartout le aveva consegnato i frutti. Aouda aveva sentito gli occhi celesti guizzare su di sè e sul servo, e aveva iniziato a provare una sensazione spiacevole, per poi scoprire che il signor Fogg aveva cambiato completamente umore. Non sembrava arrabbiato – non lo era mai sembrato da quando lo conosceva - , quanto piuttosto... deluso da qualcosa. Il modo in cui aveva spiato il sorriso sincero e aperto che lei aveva rivolto a Passepartout le aveva per un attimo fatto pensare allo sguardo di un uomo geloso, ma la cosa le era subito parsa insensata, oltre che imbarazzante e assurda. Chiunque, infatti, avrebbe potuto notare con chiarezza che fra lei e il francese non c’era la minima tensione, e anzi, proprio per questo motivo il loro rapporto era così aperto e naturale. Mentre chiudeva la porta della cabina, Aouda sospirò pesantemente nel constatare che quando invece era sola con Phileas Fogg, le sembrava sempre di dover trattenere il respiro. Non si trattava di un normale nervosismo, nè di timidezza – anche perchè lei non era affatto timida - , e il fatto di non riuscire a definire con esattezza cosa stesse provando per il gentiluomo inglese la turbava non poco.
È gratitudine, si disse, con fermezza, estrema gratitudine.
E poi è un bellissimo uomo. Tutto qui.
Per distrarsi da quei pensieri spaventosi, aprì le scatole posate sulla sua branda.
Quella sulla cima conteneva un set di biancheria intima, una chemise, un paio di morbide calze al ginocchio in lana e un paio di mutandoni in seta decorati all’orlo. Aouda si rinfrescò subito e indossò tutto allegramente, felice di ritrovare in quegli abiti, adatti al clima, un po’ di calore. In India amava vestire gli splendidi e coloratissimi saree, così evanescenti e freschi, ma nella parte del globo verso la quale stavano andando necessitava di abiti più pesanti. E lei ovviamente amava vestire alla moda occidentale, così ricca di... qualsiasi cosa! Sua madre diceva sempre, riguardo gli abiti europei: “Se puoi indossare qualcos’altro ancora, indossalo!”. I fronzoli non erano mai abbastanza.
Aouda andò alla scatola e trovò in fretta il corsetto, semplice, di tela bianca e stecche d’osso, che indossò da sola, cercando di stringerlo nel modo giusto come poteva, senza l’aiuto di qualcuno che tirasse i lacci. L’indumento intimo le modellò il busto, stringendo il punto vita e gonfiando il seno e i fianchi. Il prossimo indumento era la crinolette, che aveva la parte dell’orlo rigida per allargare la gonna, ma anche un gioco di stecche e soffietti sul retro, per sollevare la parte posteriore dell’abito. Fu quindi il turno della sottogonna di seta e della camiciola di flanella, che proteggeva il vestito dall’usura data dal corsetto.
Aouda trovò tutto molto comodo, perchè della sua taglia. Passepartout aveva aggiustato un po’ il tiro nel comprare quei vestiti, per certo era stato consigliato da una modista esperta.
Ora che tutto l’intimo era indossato, Aouda aprì la scatola successiva, e scoprì gli abiti veri e propri, due, abbastanza diversi fra loro. Uno era chiaramente un abito serale, mentre l’altro era un vestito da giorno, di bellissima fattura, in pizzo bianco e broccato color lavanda. Aouda provò per primo l’abito da sera, perchè voleva tenere indosso il secondo quel giorno stesso.
Il vestito non era sfarzoso, ma sobrio ed elegante, cucito con tessuti importati dall’Inghilterra, Aouda ne era sicura, perchè ne aveva visti e indossati molti così quando ancora suo padre era vivo.
Fece passare dalla testa la gonna di seta, di color ocra, quasi dorata, e la lisciò sui fianchi, compiacendosi di come cadeva bene. Non c’era una sopragonna, quindi Aouda ne fece a meno senza rimpianti, e provò invece il bustino con abbottonatura sul davanti, che ricalcava la forma del corsetto, ma recava un disegno più ricco ed elaborato, come se si portasse una blusa e una giacca aderenti, tutto in un solo indumento. Il colore riprendeva quello della gonna per le rifiniture, mentre il resto era di un avvolgente camoscio. Un cappellino molto frivolo completava il tutto, facendole rimpiangere di doversi già svestire.
Il rimpianto sparì presto nell’indossare l’abito color lavanda. La flanella morbidissima, ricoperta da splendidi pizzi bianchi, si intervallava al broccato nel bustino e nella gonna, creando un dualismo di eleganza e freschezza. Aouda si rimirò per un po’ allo specchio, chiedendosi come poter ringraziare il signor Fogg per quei regali senza essere ridondante. Ma alla fine si rese conto che non c’era realmente un altro modo, se non quello di dirgli che apprezzava enormemente quel che faceva per lei. Portare quegli abiti e mostrargli come le piacessero e come le donassero era forse la soluzione migliore, oltre alle parole. Così, Aouda si acconciò i capelli sulla nuca, per presentarsi al meglio, quindi guardò l’orologio. L’ora di pranzo era passata da un pezzo! Non era carino presentarsi in ritardo, così occhieggiò i bei mango che Passepartout le aveva offerto, e mangiò quelli, trovandoli deliziosi. D’altra parte, erano quasi le quattro, e tra poco il signor Fogg sarebbe venuto a prenderla per la sua ora della visita.
Aouda aspettò, ma il gentiluomo non arrivò.
La cosa la preoccupò subito. Cosa era successo a quel genio dell’esattezza per non presentarsi alla sua porta? Stava poco bene? Si era arrabbiato per il suo atteggiamento nei confronti del francese? Oppure era stufo di sentirla blaterare dopo la mattinata trascorsa assieme?
Depressa, Aouda rimase seduta sulla sua branda per una decina di minuti, a fissare il vuoto. Poi decise di uscire sul ponte, per distrarsi, magari informarsi, e anche testare l’abito, per essere sicura di aver fatto tutto per il meglio nel vestirsi di tutto punto.
La prima cosa che ottenne fu una rassicurazione sul suo stile. Molti furono i gentiluomini che sorrisero di piacere nel salutarla con cortesia mentre passava, come si ossequia una gran dama europea. Anche alcune donne le rivolsero cenni, poi Aouda le vide spettegolare fra loro e commentare su come fosse pregiato il broccato del suo abito nuovo.
C’era da dire che non le era mai importato tantissimo di essere alla moda. Sì, da adolescente aveva espresso la naturale frivolezza femminile, specie essendo figlia di un mercante e avendo tutti i giorni sotto gli occhi stoffe e accessori di ogni genere. Ma da quando era stata data in sposa forzatamente, quelle cose mondane avevano smesso di essere al centro del suo mondo. Da allora aveva provato il ripugno, la disillusione, il dolore, la paura, l’istinto di sopravvivenza, la disperazione, la fame, l’aspettativa della morte... La donna che era diventata, miracolosamente scampata al martirio, considerava quei vizi come cose belle, sì, ma del tutto secondarie. Aveva riscoperto le virtù principali per lei, la gentilezza, la forza d’animo e il coraggio, e le sue ambizioni primarie erano diventate poter contare su qualcuno, avere un punto fermo in un mondo crudele e ostile, evitare la solitudine dell’anima, per non farla dilagare nella melanconia. Avrebbe trovato tutte quelle cose a Hong Kong? Non lo sapeva, e il pensiero la agitò di nuovo.
Mentre era così pensosa, la raggiunse Passepartout, chiamandola allegramente.
Aouda colse subito l’occasione per ringraziarlo del suo dono.
<< Non mio, signora >>, mise subito in chiaro il francese, << Ma del mio padrone >>.
<< Vi ha ordinato di comperare della frutta per me? >>, domandò Aouda, in tono disinteressato.
<< No >>, rispose il servo, << Ma ogni volta che mi manda a far compere per voi, ci tiene sempre tanto a fornirmi un credito illimitato. E questo stimola la mia fantasia >>.
Aouda rise, e ribadì, in tono divertito, << Quindi ho ragione nel dover ringraziare la vostra fantasia >>.
<< Beh >>, disse il francese, << La natura mi ha fornito di questo dono. Alcune volte lo utilizzo >>, aggiunse sorridendole con rispettosa complicità.
<< E... >>, azzardò Aouda, << Il vostro padrone? Sta bene? >>.
<< Sì! >>, scrollò le spalle Passepartout, << Ma credo si sia preoccupato un po’ nel non vedervi a pranzo, poco dopo imbarcati. Certo, non saprei assicurarvelo con certezza, come sapete non è molto espressivo da potersi facilmente decifrare >>.
Aouda rise ancora, e fra sè si sentì rincuorata. Forse il signor Fogg aveva pensato che fosse molto stanca da non venire a pranzo e quindi aveva deciso di non disturbarla alla solita ora, aspettando che fosse lei a raggiungerlo. E adesso Aouda voleva farlo. Al più presto.
<< Sapete dove posso trovarlo? >>.
Passepartout guardò il suo orologio da taschino, che segnava un’ora completamente sballata, e annuì fra sè, come se fosse tutto chiaro, << Credo sia nel salone a giocare a whist >>.
Allora aspetterò un poco, pensò Aouda. Prima di tutto perchè non voleva disturbarlo, e poi perchè raggiungerlo per il tè delle cinque sarebbe stata una scusa perfetta per quello stranissimo desiderio di volerlo vedere immediatamente che la stava scuotendo tutta.
<< Perchè... >>, colse allora l’occasione, rivolgendosi ancora a Passepartout con curiosità, << Perchè il vostro orologio segna le nove? >>.
Il francese scrollò forte le spalle, << Perchè il sole è sbagliato >>, le rispose, lasciandola sia perplessa che estremamente divertita. E Aouda rise ancora, come si fa quando si è in compagnia di un vecchio amico.
 
 
 
Phileas giocò denari e attese la prevedibile reazione dell’avversario più prossimo, mentre il gentiluomo col quale faceva coppia nel gioco inarcava le sopracciglia, positivamente impressionato da quella mossa. Una reazione che egli giudicò un po’ esagerata per due motivi; uno, qualsiasi giocatore esperto poteva attuarla per portare gli avversari a concedere uno slam, e due, il whist era un gioco nel quale era molto meglio non lasciar trapelare la propria strategia, facendo capire che il seme giocato andava a genio perchè se ne avevano molte carte alte in mano. Questo portava la coppia avversaria ad adottare una strategia di sbarramento, modificando il seme il prima possibile per impedire il gioco degli altri.
Spesso al Riform Club i colleghi gli dicevano che il whist era il gioco fatto apposta per lui: si doveva stare in silenzio ed essere inespressivi. Poi naturalmente gli si concedeva anche un pizzico di intelligenza, sebbene per lo più si trattasse di calcolo matematico, cosa, anche quella, a lui molto congeniale. E sì, Phileas non se l’era mai presa, perchè sapeva che avevano ragione. Quello era anche il motivo per cui il whist gli piaceva così tanto. Si scelgono le passioni che più ci rispecchiano, pensò.
Quel pomeriggio, comunque, sia il suo compagno che gli avversari non erano ai livelli soliti ai quali era abituato a giocare, ragion per cui ci stava andando abbastanza leggero e non era nemmeno del tutto concentrato.
Aveva vinto la mano, ma si sentiva come se avesse perso. Come se stesse per perdere.
Ma non aveva idea di cosa. O forse sì.
Dopo la loro passeggiata mattutina, la signora Aouda aveva ritrovato con estremo piacere Passepartout. Sembrava tirasse quasi un sospiro di sollievo quando rivedeva il servo, mentre nelle ore sola con lui era sì naturale e socievole, ma c’erano molti momenti in cui sembrava riflessiva, perplessa, a volte scossa. Era successo molto spesso anche quella mattina nei giardini di Singapore.
Non gli sorrideva mai con quel trasporto che riservava al suo servitore. Con lui si accendeva, si illuminava, rideva, era viva e vitale. Lo ringraziava con gli occhi che brillavano di entusiasmo. D’altra parte, Passepartout era un ragazzo forse di poco più vecchio di lei, ma più vicino ad essere un suo coetaneo, col quale si sentiva più affine. Quale giovane donna non avrebbe apprezzato la vitalità di Jean? Sempre allegro, gentile, amabile, con una buona dose di scaltrezza e capacità che gli avevano senza dubbio fatto meritare il soprannome di Passepartout col quale tutti lo chiamavano. Jean era anche un bel ragazzo, al quale non mancava assolutamente nulla, se non uno status sociale un poco più elevato. E forse era solo questo che tratteneva Aouda nel mostrarsi più devota verso di lui. Lei era comunque una principessa indiana, nonostante quella nobiltà fosse più annoverabile fra le disgrazie che le erano capitate, piuttosto che fra le fortune. Era conscia del suo ceto e... Ah, ma cosa gli importava dopotutto, eccetto il fatto straordinario che mai nella sua vita avrebbe pensato di sentirtsi in competizione col proprio servo?! Per Dio! Phileas, ma che ti succede? Oltretutto, la signora, presto, molto presto, avrebbe ritrovato i suoi parenti a Hong Kong, e tutto quel patema d’animo non aveva il minimo senso!
Restava il fatto che Aouda doveva essersi sentita così a disagio con lui quella mattina, che non era nemmeno venuta a pranzo. Non volendo infierire, soprattutto però per una questione di orgoglio, Phileas non era andato a farle visita alle quattro, e adesso lei era sul ponte di fronte ai grandi oblò del salone, appoggiata alla murata spalla a spalla con Passepartout, che sembrava divertirla immensamente. Scambiavano poche battute, e lei scoppiava a ridere. Questa era una cosa che lui non era mai stato in grado di fare. Far ridere in quel modo una donna. Immagino di non essere divertente, si era sempre detto in passato, e in fondo non aveva mai voluto esserlo. Non era il modo in cui era fatto. Se la sapeva cavare in altri campi, era bravo in altre cose. Non era un simpaticone. Semplicemente.
<< Signor Fogg, tocca a voi giocare >>.
Era appena stato richiamato alla concentrazione. Lui.
Ottimo.
Un pomeriggio idilliaco.
<< Chiedo scusa >>.
<< Vi sentite poco bene? Avete l’aria di essere immerso in gravosi pensieri >>.
No. Devo solo finirla con questo melodramma. Ho sempre tirato avanti da solo, non vedo perchè le cose dovrebbero essere diverse da ora in poi. Sto bene come sto, dopotutto.
<< Assolutamente >>, scandì, un poco tagliente.
Decise di giocare un po’ pesante, così quegli impiccioni non avrebbero più osato mettere in dubbio il suo stato di salute o la sua concentrazione. Dopo aver vinto tre mani di seguito, infatti, uno dei due suoi avversari rise in modo colloquiale, << Forse sarebbe stato meglio per le nostre tasche se non vi si fosse detto nulla, signor Fogg >>.
Phileas li guardò con condiscendenza, << Irritare canem noli dormire volentem >>.
<< Scusate? >>.
Phileas sfogliò le carte ricevute per l’ultima mano, << Non disturbare un cane che vuole dormire >>.
Ci fu una risata generale.
Phileas rimase interdetto. Il suo umorismo colto faceva presa solo sui gentleman annoiati quanto lui, evidentemente.
 
 
Una decina di minuti dopo, Phileas raccoglieva dal tavolo la vincita, sperando di incontrare presto qualcuno al quale poterla devolvere, sebbene non così cospicua visto come si era giocato blando quel pomeriggio.
Era comunque l’ora del tè, e il gioco fu sospeso del tutto.
Phileas si alzò con molta lentezza, deponendo con cura le carte da gioco dentro la loro scatola di legno intarsiato. Quando però sollevò casualmente lo sguardo, i suoi occhi catturarono l’immagine di una bellissima giovane donna che incedeva verso di lui con passo calmo, un sorriso timido a incurvarle appena le labbra brune, le guance colorite. Questa giovane donna, che lui aveva visto poco prima sul ponte, da lontano e di spalle, mentre conversava più che amabilmente col suo servo francese, indossava uno degli abiti che lui aveva chiesto a questo servo di procurarle. Ed era incantevole.
Phileas si costrinse a distogliere lo sguardo.
I pizzi, i broccati, l’acconciatura, tutto la assimilava totalmente ad una gentildonna inglese, e vedendola così, Phileas dovette ammettere di non aver mai incontrato una donna più bella di lei in tutta la sua vita. Aouda, vedova del Raja del Bundelkund, non aveva rivali. Nè in Inghilterra, nè in India, nè probabilmente nel resto del mondo. E Phileas si rese conto solo in quel momento, in quel preciso istante, che lei lo aveva completamente sedotto. E solo essendo se stessa.
Tutto a posto. È già successo. Passerà. Una volta che lei sarà coi suoi a Hong Kong... forse ci vorrà qualche mese, ma mi passerà.
<< Buonasera, signor Fogg >>, gli disse con voce amabile.
<< Buonasera, signora Aouda >>.
<< Vi importuno? >>.
<< Assolutamente no >>.
<< Mi piacerebbe farvi compagnia per il tè, se non avevate programmato di concedervi del tempo per voi stesso >>.
Sapeste quanto tempo per me stesso mi sono concesso nella vita, cara Aouda...
<< Mi aggrada molto avere la vostra compagnia, signora >>.
Aouda sorrise apertamente. Ancora, il modo in cui sorrideva a lui era così diverso da come sorrideva a Passepartout... Phileas non sapeva cosa pensare in merito. O meglio, non ci voleva più pensare. Sapeva solo che vedeva chiaramente gli occhi nerissimi di lei fuggire, come incerti, turbati... Poi quando tornavano su di lui lo fissavano in modo avvincente, grandi, limpidi, come a chiedergli qualcosa, a invitarlo... No, lo sto solo immaginando.
Le porse il braccio, e assieme, con passo calmo, raggiunsero la sala da tè del Rangoon.

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Capitolo 4
*** La sospensione dell'addio ***


Hong Kong, Cina, dal 1 al 6 novembre 1872.

Dal primo novembre, il mare decise di arrabbiarsi col Rangoon e con tutti, o quasi, i suoi passeggeri.
Il tempo peggiorò grandemente, e Aouda, che non soffriva per nulla il mal di mare, si scoprì a camminare per i ponti e i saloni di una quasi nave fantasma, visto che la maggioranza dei passeggeri restava nelle cabine in preda al tormento.
Lei aveva fatto invece un buon pasto, e quando le onde lunghe provenienti dal largo scuotevano il piroscafo, le bastava reggersi alle balaustre di sicurezza, riprendere l’equilibrio e andare avanti.
Quel mattino del primo novembre, dopo aver dormito fino a metà mattina, aver fatto colazione, ed essersi preparata di tutto punto come le piaceva ormai fare, potendo disporre di due bellissimi vestiti nuovi, si recò nel salone del Rangoon praticamente deserto.
Solo in un angolo, in una posa molto rilassata per i suoi canoni, con un braccio in perno sul davanzale dell’oblò ad arco, Phileas Fogg guardava il mare in tempesta.
Aouda cercò di non sopraggiungere con troppa irruenza, perchè non voleva interrompere la sua meditazione.
Diede così un piccolo colpetto di gola, ed egli si volse dalla sua parte.
Non sembrava sofferente per il mal di mare; il suo colorito era normale, la postura eretta, era ben vestito, ben pettinato, e Aouda potè perfino sentire un delicato sentore di acqua di colonia quando gli fu abbastanza vicino.
<< Signora Aouda >>, la salutò, in tono cordiale. Anche la voce era molto ferma e profonda come al solito.
<< Vi sentite bene? >>, le chiese.
Aouda scrollò educatamente le spalle, << Sì, vi ringrazio dell’interessamento. Non ho alcun malessere. E nemmeno voi, sembra >>.
<< Non ho mai sofferto il mare >>, rispose con somma indifferenza Phileas Fogg.
Dopo una manciata di secondi di silenzio, amplificati dall’insolita quiete della grande sala deserta, egli le indicò un piccolo vassoio che stava sul tavolo vicino, << Gradite un biscotto? >>.
<< Oh, volentieri >>, sorrise Aouda. Si stava oramai abituando al modo di fare del compagno di viaggio. Non la lasciavano più stranita le sue uscite secche, espresse con quel tono categorico e impassibile, quasi che fosse urtato. Ormai sapeva che non lo era, e che quasi subito arrivava un’altra frase, formulata con gentilezza e disinvoltura, come un automatico tentativo di rassicurare l’interlocutore. Aouda aveva capito che Phileas Fogg non si comportava così perchè lo sceglieva; era il suo modo di parlare e di porsi. Era fatto così. E non gli importava cambiare per chicchessia. E perchè avrebbe dovuto? A lei non dispiaceva. Anzi, le piaceva, la divertiva quel suo modo di fare. La... affascinava, suo malgrado.
Mentre lei sbocconcellava il delizioso biscotto, entrambi guardarono sul ponte, dove Passepartout stava divertendo sommamente i marinai, arrampicandosi sugli alberi del piroscafo per controllare le condizioni del mare e della nave, in modo che potessero andare più veloci.
Aouda rise come i membri dell’equipaggio a quella vista, mentre il signor Fogg socchiuse gli occhi e arricciò appena le labbra, in un’espressione benevola di contrariato divertimento per le imprese del suo servo.
Aouda sentì il cuore fare uno strano balzo. Aveva decifrato chiaramente quella sua espressione. Difficile da discernere in quanto a significato per una persona che non conosceva il gentleman, ma così semplice per lei, dopo solo pochi giorni di vicinanza, seppur costante. La emozionava riuscire a capire cosa provasse, una volta tanto.
<< Vi diverte molto, vero, Passepartout? >>, disse quindi il signor Fogg, dopo un momento, andandosi a sedere sul divanetto che spalleggiava gli oblò.
Aouda lo seguì, accomodandosi alla sua destra, << Sì >>, rispose, << È un bravo giovane >>.
<< E vi ha salvata >>.
<< Voi mi avete salvata >>, rettificò Aouda. Anche lo stesso Passepartout le aveva rinarrato tutta la storia giorni addietro, nei dettagli. Se Fogg non avesse proposto di fermarsi per sottrarla agli indù, per fare veramente qualcosa di concreto per lei, Aouda sarebbe morta. Gli altri avrebbero proseguito, era bastato loro il rammarico per la sua sorte.
<< Non fisicamente >>, disse il gentleman.
<< Ci mancherebbe >>, rispose Aouda, in tono dolce, << Che un gentiluomo come voi debba fare cose così spericolate di persona, non si è mai sentito >>.
Fogg si lasciò sfuggire un mezzo sorriso mentre diceva, << Il mio grado di spericolatezza è abbastanza elevato, signora, ve lo assicuro. Solo, Passepartout mi ha preceduto col suo notevole ingegno >>.
Aouda sorrise di piacere. Un’altra prima volta. Lui le stava dicendo qualcosa di sè.
<< E anche voi apprezzate molto il vostro servo, non è così? >>, gli chiese.
<< Mi fu molto ben raccomandato. E ha superato finora le qualità che un normale servo dovrebbe possedere per essere benvoluto dal suo padrone >>, una pausa, << Nonostante... >>, guardò dalla finestra il giovane che saltava acrobaticamente giù dall’albero, << ... alcune volte sia un po’ esuberante >>.
Aouda scoppiò a ridere, e anche il signor Fogg emise una specie di sbuffo di divertimento, quasi una mezza risata.
<< Si vocifera che questo maltempo potrebbe sfociare in una tempesta >>, argomentò Aouda poco dopo, prendendo un altro biscotto.
<< È praticamente certo >>, confermò l’inglese, senza traccia di preoccupazione.
<< E che se così fosse il piroscafo potrebbe avere anche venti ore di ritardo. Non siete in ansia per la prosecuzione del viaggio? Se si dovesse ritardare così tanto, la vostra coincidenza per Yokohama salterebbe... >>.
<< Il mare è imprevedibile >>, rispose Fogg, << Ma se ritardassimo, ci sarà senza dubbio il modo di rimediare e continuare il viaggio senza intoppi >>.
 
 
La tempesta arrivò, si scatenò rallentando enormemente la corsa del piroscafo, e poi cessò, nella giornata del 4 novembre. Appena tornò il bel tempo e il mare calmo, il vapore riprese un’andatura sostenuta, ma Passepartout fece sapere ad Aouda che l’arrivo a Hong Kong, nell’itinerario del signor Fogg era previsto per il 5, giorno che passò mentre erano ancora in mare. La terra fu avvistata solo il 6, e se ne ricavava che il piroscafo per Yokohama era inevitabilmente perduto.
Aouda visse quei giorni, dal 2 al 6 novembre, in perpetua ansia, nonostante fosse brava a nasconderlo il più possibile. Le preoccupazioni la scuotevano: sarebbe stata bene accolta a Hong Kong? L’avrebbero rispedita in India? Avrebbe sopportato di separarsi dal signor Fogg e da Passepartout, ai quali si era talmente tanto affezionata?
Solo il pensiero che il gentleman sarebbe partito senza più preoccuparsi di lei e del suo benessere, la faceva sentire spaurita. Era stato così rassicurante, anche se per pochi giorni, avere qualcuno che si prendeva cura di lei, non soltanto sotto l’aspetto materiale, ma soprattutto dal punto di vista morale. Fogg le teneva compagnia, nonostante la poca loquacità, e quando erano assieme Aouda si sentiva calma, sicura, protetta, anche nei silenzi. Certo, c’era una sorta di tensione di qualche tipo che la prendeva inspiegabilmente, e che lei chiamava ormai “la gratitudine traboccante”, ma non era mai una sensazione spiacevole.
E poi c’era Passepartout, col quale amava parlare di tutto, che era sempre così simpatico e cordiale. Nonostante la barriera sociale, quella che intercorreva fra i servi e i padroni e che racchiudeva i loro reciproci sentimenti, sentiva che erano diventati amici.
Quei giorni volarono.
Infine, quando arrivò il 6, Aouda si preparò per sbarcare.
Nell’incontrarsi col suo benefattore, notò che il fatto di avere ventiquattr’ore di ritardo non aveva in alcun modo influito sul suo umore, sempre abbastanza imperscrutabile, nè sulla sua volontà di riuscita, visto che era chino sulle sue carte con l’itinerario di viaggio. Quel giorno indossava un bell’abito dai pantaloni chiari a righine verticali che lo facevano sembrare molto più alto di quanto già fosse, e dal panciotto grigio scuro in velluto che gli aderiva in modo splendido sul bassoventre modellato. Contro il freddo del porto, aveva inoltre indossato una redingote nera, anch’essa ben aderente, e un cilindro marrone chiaro in panno che creava un bel contrasto col biondo dei capelli.
Aouda provò una vampata di... gratitudine.
Mentre si avvicinava, sistemandosi la pelliccia sulle spalle e sul corpetto dell’abito marrone e dorato, pensò subito di scusarsi per l’accumulo di ritardo che il suo caso avrebbe richiesto una volta sbarcati.
Non riuscì però a dire nulla, perchè vide Phileas Fogg sollevare lo sguardo su di lei, mantenerlo sul movimento oscillatorio delle sue ampie gonne, e poi riservarle un sorriso molto caloroso. Non aperto, ma... un vero sorriso di compiacimento.
<< Signora >>.
Aouda salutò a sua volta. Era quasi certa che lui stesse per farle un complimento sul suo aspetto, ma il gentleman semplicemente le porse il braccio per scendere dalla nave.
Mentre percorrevano la passerella, gli chiese, << Signor Fogg, adesso che il piroscafo per il Giappone è perduto, cosa farete? >>.
<< In verità, signora, non è perduto affatto. Ho interrogato il pilota poco fa, e questi mi ha fatto sapere che il Carnatic partirà domani mattina all’alba, a causa della riparazione di una caldaia >>.
Aouda si portò una mano sul cuore, << Questa è una notizia bellissima! Però avete sempre un giorno di ritardo... >>.
<< Che non influirà troppo sul resto del viaggio, se lo si riguadagna con una navigazione più veloce da un’altra parte >>.
Aouda annuì, in parte rasserenata.
Era l’una allora, perciò c’erano molte ore di tempo perchè il signor Fogg riuscisse a sistemarla a dovere a Hong Kong.
<< Abbiamo sedici ore per i nostri affari, dunque >>, disse infatti Phileas Fogg, consultando il suo orologio da taschino.
Lei annuì di nuovo, senza sorridere. Sedici ore. Solo sedici ore da passare ancora assieme....
Salirono su un palanchino.
<< Un albergo nelle vicinanze? >>, domandò il signor Fogg ai portatori.
<< Il Club’s Hotel, signore. È a venti minuti da qui >>.
<< Bene >>.
Quando giunsero nell’elegante edificio, il gentleman fermò tre camere, e seguì l’addetto che la accompagnò alla sua. Passepartout rimase appena fuori dalla porta.
Aouda scoprì un appartamento fin troppo spazioso per lei sola.
Si fermò nel salottino, mentre il signor Fogg, con fare tranquillo, esplorava ogni angolo della suite, assincerandosi che fosse adatta e che recasse tutto ciò che serviva ad una signora.
Appoggiata allo schienale di una elegante poltrona, senza osare sedervisi, Aouda arrossì moltissimo e dovette abbassare il capo al pensiero che Phileas Fogg si comportasse esattamente come farebbe un marito nei confronti di una moglie. Non solo in Inghilterra, infatti, ma anche in India lo sposo aveva sempre il dovere di provvedere alle esigenze della sposa, nell’arco di tutta la vita.
L’ispezione durò circa un minuto, e quando egli tornò nel salottino fece un cenno all’albergatore, il quale si dileguò sollevato.
Fogg si rivolse quindi a lei, << Signora, potete mettervi comoda e riposarvi. Io andrò subito a cercare il vostro parente, per sistemarvi al meglio presso di lui >>.
Aouda annuì, cercando di nascondere il fatto che la voglia di sorridere le fosse del tutto passata.
<< Vi prego di pazientare fino al mio ritorno. Passepartout! >>, chiamò poi senza alzare la voce.
Il giovane accorse, sorridente, << Signore? >>.
<< Per favore, tieni compagnia alla signora Aouda mentre sono via >>.
Passepartout chinò appena il busto in modo informale, << Certamente, signore >>.
Aouda osservò il gentleman accostarsi alla porta, calzare di nuovo il cappello con gesto automatico e uscire senza voltarsi.
Lei e il francese rimasero per un momento in silenzio quindi Aouda disse, << Potete andare a riposarvi, Passepartout, se volete >>.
<< Oh, non sono molto stanco, signora. Se lo desiderate, posso farvi portare una merenda o un tè, o farvi preparare un bagno caldo... >>.
<< Un bagno? >>, si stupì Aouda, << Davvero posso farlo? >>.
<< Certo che sì. Non che non siate più che gradevole, non mi fraintendete! Ma dopo tutti quei giorni in viaggio, può forse farvi piacere, come momento di riposo. Insomma, per distendervi >>.
Aouda rise all’imbarazzo del servo, ma l’idea di potersi immergere nell’acqua calda, e forse profumata, la stava già inebriando.
<< Mi sembra un’idea splendida, Passepartout. Grazie >>.
<< Provvedo subito, allora >>.
Pochi minuti dopo, mentre si crogiolava nel tepore che le arrossava la pelle e nel profumo di rosa che le solleticava deliziosamente le narici, Aouda non riuscì comunque a scacciare l’ansia per l’avvenire e la tristezza per il prossimo addio al suo salvatore. Forse avrebbe potuto chiedergli se potevano scriversi, ogni tanto. Magari venirsi a trovare... Non avrò mai il coraggio di essere così diretta. Eppure, la sua natura indiana le comandava di seguire l’istinto e di essere meno ligia all’etichetta stabilita dall’educazione inglese. Quest’ultima le era stata impartita da una lady anziana che si trovava a Bombay quando lei era bambina, e che accompagnava le giovani di buona famiglia fino alla prima giovinezza. Già da adolescente, Aouda pensava che la donna fosse un po’ troppo ancorata a idee arretrate e castigate sui rapporti umani e su come una donna doveva porsi nei confronti degli uomini. Secondo l’educatrice, se una donna aveva un poco di iniziativa, poteva essere considerata immorale. Aouda pensò che una semplice richiesta di corrispondenza fra un gentiluomo e una gentildonna che si erano conosciuti in viaggio non fosse da considerarsi così immorale, ma comunque temeva che Phileas Fogg potesse affibbiarle quel brutto aggettivo. Ma come trovare il coraggio di lasciarselo alle spalle senza nemmeno una piccola speranza?
 
 
 
Phileas salì sul palanchino e si fece portare alla Borsa.
Gli parve il luogo più adatto per reperire informazioni su dove trovare l’onorevole Jejeeh, visto che era uno dei più ricchi commercianti della città.
Durante il tragitto, si sforzò di lottare col suo umore sempre più cupo.
Aouda meritava una vita agiata e serena, circondata dai suoi familiari, persone che erano a lei congiunte da legami di sangue, e che quindi per forza l’avrebbero ben trattata. Come si poteva, infatti, non avere cura di una donna simile? Soprattutto dopo che ne aveva passate così tante. Lui non sapeva esattamente cosa significasse avere dei parenti a sostegno, soprattutto morale. Sua madre era morta giovane, quando lui era neonato. Al compimento dei tredici anni, suo padre lo aveva destinato da subito al mestiere col quale si era poi arricchito. Il misterioso passato di Phileas Fogg, del quale non parlava mai, non perchè si vergognasse di essere stato un marinaio, ma perchè troppo legato a ricordi così lontani, che però ancora bruciavano. Quando si era trovato al suo primo viaggio, durante la sua primissima tempesta, ed era stato talmente terrorizzato da essere convinto di morire, si era sentito scacciato, abbandonato, odiato, ripudiato, da suo padre. Egli lo aveva gettato su una nave e lasciato indifeso contro le forze della natura. Solo contro il mare. Aveva anche lui iniziato a odiare suo padre, convinto che il sentimento fosse reciproco. Non si erano mai chiariti, perchè il genitore era morto di colpo apoplettico durante uno dei suoi altri viaggi, pochi anni dopo. Al suo funerale, Phileas aveva pensato fra sè, in modo sprezzante, che di certo non avrebbe ereditato quella stessa morte, nè i problemi di cuore debole, tanto aveva conosciuto il terrore, a causa sua, in così giovane età. Crescendo, diventando un giovane e poi un uomo maturo come si considerava chi si trovava alla soglia dei quarant’anni, Phileas aveva rivalutato la scelta di suo padre. Lo ringraziava, anche. Doveva a lui la sua fortuna, che si era triplicata da quale era ai tempi del suo vecchio. Suo padre lo aveva strappato alla fanciullezza, era vero, lo aveva allontanato senza troppe spiegazioni, ma le esperienze vissute in mare lo avevano reso forte, lo avevano fatto crescere. Lo avevano fatto diventare un uomo capace di badare a se stesso già da prima che avesse vent’anni. Lo avevano reso in grado di sopportare la solitudine, tanto da volerla infine ricercare. Il mare ti mette davanti a te stesso. Quando stai lottando contro di lui, non c’è nessun altro che ti possa salvare. Sei solo. O sopravvivi o muori.
Phileas, ovviamente, era sopravvissuto.
Era rimasto solo a lungo, anche una volta terminata quella carriera di capitano.
In un certo qual modo, era orgoglioso di aver superato da solo tutti quei disagi e quelle sfide. Che nessuno lo avesse aiutato a costruire il suo patrimonio, che venisse tutto dalle sue risorse, intellettuali e fisiche.
Naturalmente, però, qualcosa gli era mancato. Quello che gli altri chiamavano “il calore della famiglia”, Phileas non sapeva cosa fosse. Era stato figlio unico, di genitori figli unici, o unici arrivati all’età adulta, comunque. Perciò, nessun altro parente.
Certo, non un dramma, visto che si supponeva che un uomo, già prima dei suoi quarant’anni, avesse una propria famiglia. Ma sul perchè Phileas non si fosse mai sposato, aveva rimuginato anche troppo in vita sua.
E ora lui e Aouda si dicevano addio.
Non che Phileas avesse mai considerato Aouda sotto la veste di potenziale moglie. Salvo in quel preciso momento. Scacciò comunque in fretta il pensiero, considerandolo a dir poco ridicolo. Aouda era giovane e bella. Così fresca, gaia, educata e gentile. Era... inarrivabile per lui. Phileas era sicuro che lei gli fosse grata, e che fosse tutto lì.
Intanto, era giunto alla Borsa.
Entrò, si tolse il cappello e domandò subito di conferire con alcuni agenti.
Uno in particolare si mostrò ben disponibile ad aiutarlo.
<< Cerco l’onorevole Jejeeh, commerciante indiano >>, spiegò Phileas.
L’uomo annuì, << Lo conosco >>.
<< Può essere così gentile da indicarmi dove posso trovarlo? >>.
<< Non a Hong Kong, temo >>, rispose l’agente, << Forse in Olanda. Si è trasferito da qualche anno, dopo essere diventato ricco. Non sono sicuro, a dire il vero, sul paese, ma verosimilmente sì, in Olanda, a causa dei grandi traffici che trattava in quella zona dell’Europa >>.
<< Ah >>, annuì Phileas, cercando di digerire la notizia, ma accorgendosi di apparire calmo e flemmatico come al solito.
Ringraziò l’agente e si congedò. Non valeva la pena di chiedere se avesse un indirizzo o un recapito, visto che non erano nemmeno certi di quale nazione europea il mercante avesse scelto come residenza.
Uscendo dall’ufficio, rimase alcuni momenti fermo sul ciglio della strada. Come considerare quella scoperta? Una sfortuna? Oppure una fortuna? Aouda poteva rimanerne turbata, ma stava a lui rassicurarla.
Mentre saliva di nuovo in palanchino, si scoprì a provare una inopportuna fretta di darle quella notizia. Una fretta... gioiosa, quasi che l’inconsapevole Jejeeh fosse stato un bandito pronto a portargli via la giovane senza averne alcun diritto. Che cosa ridicola.
Si lasciò però per un momento colmare dal sollievo. Aouda verrà in Europa con me. L’accompagnerò io. Verrà in Inghilterra. Sarà ospite per qualche tempo nella mia casa, finchè non troverà un’altra sistemazione. Certo, questa è l’unica soluzione possibile. Finiremo questo giro del mondo insieme.
Quell’ultima consapevolezza, più di tutte, gli colmò lo spirito, in modo un po’ preoccupante, che lo turbò, anche se cercò di non dar peso alla cosa, di non soffermarvisi.
Il giro del mondo con lei.
Adesso ha senso.
 
 
 
Quando il signor Fogg fu di ritorno, Aouda stava finendo di vestirsi.
La ricerca del suo cugino era stata alquanto rapida, e lei non sapeva cosa aspettarsi. Mentre si sistemava le trecce attorno al capo, si disse che c’erano solo due opzioni possibili; o lo aveva trovato subito, o non lo aveva trovato affatto. Ma il suo intuito suggeriva piuttosto la prima possibilità.
Il signor Fogg chiese immediatamente di essere ricevuto, e lei lo accolse nel salottino dell’appartamento. Era talmente nervosa che le gambe le tremavano, e preferì sedersi su una poltrona.
È il momento della separazione, si disse. Cosa faccio? Non c’è nulla di male... gli chiederò di scriverci... per farmi sapere com’è andata a finire la scommessa, magari. È così. Non c’è altro. Voglio solo sapere come andrà a finire. Perchè gli sono grata, tutto qui.
<< Signora Aouda >>, esordì il gentleman, sfilandosi la giacca nel relativo calore delle camere, che erano state riscaldate per consentirle di fare un bagno senza che prendesse freddo.
Aouda fissò per un momento, assorta, le ampie spalle tornite stirarsi nel movimento controllato ed elegante, seppur virile, e non potè non ammirare la bella figura maschile in camicia bianca e aderente panciotto grigio. Sentì le guance formicolare un po’, e si sforzò di concentrarsi.
Non le ci volle molto, perchè il signor Fogg non fece alcun preambolo, e disse, immediato, << Il vostro parente non abita più qui. Si pensa che risieda in Olanda, adesso >>.
Fu come un’innaffiata di acqua gelata.
Stranita, poi subito dopo turbata, Aouda si massaggiò la fronte. Cosa fare ora? Il cuore le si appesantì nel pensare in un attimo fulmineo che era di nuovo sola, in un paese straniero, senza nessuno che potesse aiutarla.
L’ansia le stringeva la gola. Ogni riflessione fu infruttuosa, oltre che molto breve.
Sollevò un poco la testa, guardò l’inglese, e gli espresse ciò che le passava per la testa in quel preciso istante, << Che cosa devo fare, signor Fogg? >>.
Egli non sembrò turbato, nè impensierito, nè indisposto. Anzi, nella confusione del suo stato d’animo, ad Aouda parve che fosse... sollevato.
<< È semplicissimo. Venire in Europa >>.
Il tono di voce, nell’esprimersi così, le sembrò quasi pimpante, sebbene Aouda lo attribuì più al senso pratico del gentleman nel risolvere quel problema che a un vero coinvolgimento emotivo nella questione.
Andare in Europa.
Anzi, “venire”, come aveva sottinteso Fogg. Assieme a lui.
Rimandare la loro separazione... Continuare quel viaggio. A spese però del suo salvatore...
<< Ma io non posso abusare... >>, gli disse, esprimendo spontaneamente i suoi dubbi.
Egli liquidò la questione con un appena accennato cenno negativo del capo, << Voi non abusate affatto. E la vostra presenza non è in alcun modo d’impaccio al mio programma. Passepartout? >>.
Il francese fece un passo avanti, cercando di trattenere un gran sorriso, << Eccomi, signore >>.
<< Andate al Carnatic e fissate tre cabine >>.
Il servo annuì ed eseguì con estrema premura.

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Capitolo 5
*** Aspettando che passi ***


Mar Cinese Orientale, 7 - 11 – novembre 1872.
 
Quando Passepartout fu uscito, il signor Fogg riprese la giacca per congedarsi da lei.
<< Io... >>, disse Aouda, imbarazzata nel catturare nuovamente tutta l’attenzione del gentleman, << Vi ringrazio. Davvero, non so come riuscirò un giorno a sdebitarmi, signor Fogg... >>.
<< Non pensate a questo >>, disse lui, << Ora, se mi concedete il tempo per curare la mia persona, potremmo andare in centro e cercare tutto l’occorrente che vi permetta di affrontare un viaggio così lungo in piena comodità. Avrete certamente bisogno di altri vestiti e dell’occorrente di cui necessita una signora... >>.
Aouda arrossì, << Siete troppo generoso >>.
<< Si tratta solo di buonsenso >>, liquidò Fogg, salutandola poi con garbo.
Aouda si appoggiò allo schienale della poltrona. Il suo animo era preparato a tutt’altro, ed eccola invece a poter godere ancora della compagnia e del sostegno del signor Fogg.
È un angelo. È un angelo che mi ha inviato il cielo. Come può altrimenti un uomo essere così gentile, di buon cuore e ben disposto nei confronti di una donna che ha conosciuto solo pochi giorni prima? Una generosità ancor più onesta, perchè non guidata da doppi fini.
Altri si sarebbero accontentati, e forse vantati in giro, di averla salvata, disinteressandosi poi alla sua sorte una volta portatala addirittura fuori dall’India, al sicuro. Ma no, per il signor Fogg non era abbastanza. Voleva che anche il suo avvenire fosse assicurato nella maniera più consona. Voleva saperla non solo viva, non solo al sicuro, ma anche.... felice. E questo, più di tutto, faceva battere il cuore di Aouda di immensa gratitudine. Tanta che la stessa parola cominciò a sembrarle piccola e insignificante. Non aveva mai incontrato, nè probabilmente avrebbe più conosciuto, una persona eccezionale come Phileas Fogg, ne era sicura.
 
 
Fu così che, circa un’ora dopo, si ritrovarono nel corridoio che separava i loro appartamenti, e scesero assieme diretti ai negozi del centro.
Hong Kong era una grande città inglese, ricca di mercanti e perciò, di mercanzie di ogni genere e ogni prezzo.
Il signor Fogg la aiutò a salire in palanchino, e Aouda sorrise in ringraziamento, sforzandosi di ignorare la strana sensazione di calore che le saliva dal collo come una febbre. Finse anche di non essersi resa conto che si trattava di una reazione data dalla vicinanza del compagno di viaggio, perchè l’idea la straniva. Si concesse però comunque di ammirarlo, mentre egli sedeva al suo fianco nel mezzo di trasporto dopo aver ben pagato i portatori. Dopotutto, non avrebbe potuto farne a meno, tanto piacevoli erano il suo aspetto e la sua silenziosa compagnia. Aouda si accorse che aveva anch’egli fatto il bagno prima di uscire; le era capitato di notarlo anche molto spesso durante il viaggio in piroscafo, e allora si era un po’ meravigliata, viste le correnti d’aria che spesso circolavano nei battelli, esposti ai venti marini. Il signor Fogg doveva essere di tempra molto robusta, e Aouda credeva di averlo ormai accertato guardandolo ogni tanto di sfuggita e col necessario pudore, da non temere le infreddature che potevano derivare dall’immergersi completamente in acqua così di frequente.
Il profumo neutro di un sapone casereccio le solleticò appena le narici, assieme a quello già  familiare della sua acqua di colonia. Si era anche rasato alla perfezione, sebbene la barba bionda, di due giorni al massimo, fosse quasi invisibile tanto era stata rada, quel mattino allo sbarco. A Bombay, poco prima che suo padre morisse, Aouda aveva avuto modo di incontrare gentleman con barba e baffi davvero molto, molto strani. Quelli del signor Fogg, invece, dello stesso bel biondo corposo dei capelli, erano sobri, dritti, non troppo folti. L’esuberanza, pensò divertita Aouda, davvero non si addiceva al carattere del suo compagno di viaggio.
Impiegarono un paio d’ore per fare gli acquisti, per i più discreti dei quali, il signor Fogg rimase appena fuori dalla porta del negozio, pagando in anticipo il rivenditore. Aouda comperò così due cinture igieniche, che le avrebbero consentito una maggiore comodità e capacità di movimento durante i suoi giorni particolari. Non aveva purtroppo potuto godere di un tale lusso durante la sua fuga dopo la morte del Raja, altrimenti sarebbe riuscita di sicuro a nascondersi meglio. Sospirò; quello era il passato. Nel presente, viaggiava col signor Fogg, che le offriva tutte quelle comodità senza tornaconti. Aouda cercò comunque di contenersi, in tutti i negozi che visitarono. Le riusciva naturale, anzi. La imbarazzava approfittare troppo di quella generosità, e capitò molte volte che, nella scelta fra due capi, per esempio, scegliesse quello meno opulento, o il tessuto meno costoso, che tuttavia era più che sufficiente ai suoi bisogni. Fogg però lo notò, e alla sua terza o quarta esitazione fra due abiti, entrambi stupendi, le disse, << Signora, scegliete quello che vi piace di più >>, sottintendendo di non fare complimenti o badare alle spese.
<< Io... Non vorrei approfittare troppo... >>.
<< Non voglio che siate scontenta di qualcosa durante il viaggio, perciò prendete quello che preferite >>.
<< La vostra compiacenza mi confonde >>.
<< Tutto ciò è nel mio stesso interesse >>, rispose il signor Fogg, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi, e raddrizzando un po’ la schiena, << Rientra nel mio programma >>, terminò.
Aouda pensò che quella giustificazione suonasse come una scusa bella e buona, ma lasciò correre.
In un emporio elegante, anch’egli fece delle compere per sè. Oltre a calze e camicie nuove, comperò un nuovo cappello, un cilindro nero in raso lucido, che esaminò per pochi secondi fra le mani prima di posarlo sul banco del negoziante.
Aouda ricordò che Passepartout le aveva raccontato che, durante la fuga nella giungla, subito dopo averla salvata, le guardie della pagoda avevano esploso qualche colpo, uno dei quali aveva forato il cappello preferito del signor Fogg... mentre lo calzava!
Ebbe un brivido gelido nel rifletterci sopra; Phileas Fogg si era quasi fatto ammazzare per lei, per salvarle la vita. A vederlo in quel momento, così rilassato e più flemmatico che mai, Aouda non potè quasi credere che egli celasse un animo così avventuroso, o... sconsiderato. D’altra parte, però, egli stesso le aveva confessato una natura “spericolata” piuttosto nascosta. Si chiese quanti altri doni egli celasse, nonostante quelli che già conosceva fossero più che sufficienti per giudicare un uomo come altamente virtuoso.
Gli acquisti furono agilmente trasportati da un ragazzino sul palanchino e fino all’albergo.
Non avevano comperato molte cose, giusto quelle necessarie, perchè trasportare troppi bagagli non sarebbe stato utile alla rapidità che si esigeva dal viaggio del signor Fogg. Aouda lo mise subito in chiaro, ancor prima di visitare il primo negozio, e anche se il gentleman le aveva risposto di non preoccuparsi e di comperare tutto quello che pensava le servisse, Aouda si limitò ad altri due vestiti, un altro set di bianchieria intima, gli accessori femminili, una spazzola, del sapone, e un paio di scarpe molto comode. Il signor Fogg la pregò di comprarsi delle ulteriori pellicce e un altro scialle di lana, perchè negli Stati dell’Unione avrebbero senza dubbio trovato la neve, ed era meglio fronteggiarla con ogni mezzo possibile. Aouda vide e comprò anche una chamise in flanella morbidissima e calda, a tal proposito.
Dopo cena, rimase per alcuni minuti a fissare il piatto vuoto.
Era stata una giornata faticosa, soprattutto dal punto i vista emotivo. E l’ansia dei giorni passati si faceva sentire tutta assieme, cedendo finalmente il posto ad una rilassatezza calda e rassicurante.
<< Sembrate stanca >>, osservò Phileas Fogg, in tono discreto.
<< Un pochino >>, gli rispose Aouda, << Anzi, se volete scusarmi, credo che mi ritirerò per riposare. Voglio essere in forze per la partenza di domani >>.
L’inglese annuì, << Riposate bene e a cuor leggero >>.
Aouda gli sorrise, << Lo farò. Vi ringrazio per oggi, signor Fogg >>, e gli porse la mano.
Imperturbabile, il signor Fogg la prese e la scosse gentilmente, << Buonanotte, signora >>.
Arrossendo, Aouda si volse il più velocemente possibile e salì a passo apparentemente calmo, fino al suo appartamento.
 
 
Phileas rimase nel salone del Club’s Hotel fino al calar della sera, impegnandosi nella lettura del Times e dell’Illustrated London News.
Assorbito dagli aggiornamenti sulle vicende che capitavano in patria, riuscì ad evadere, ma non appena ripiegò e ripose l’ultimo quotidiano, la sensazione di caldo formicolio tornò a farsi sentire, così come il vividissimo ricordo della piccola mano che aveva stretto la sua.
Aouda aveva voluto salutarlo “all’inglese”. Con un saluto che denota una certa confidenza, peraltro. Un saluto fra amici, molto più comune fra due uomini che fra un uomo e una donna. Phileas si era reso conto che Aouda cercava sempre modi diversi per ringraziarlo, e che spesso si trovava in imbarazzo nel sentire il bisogno di farlo e non avere più parole per esprimersi, per non risultare ripetitiva e noiosa. Bisogno che lui considerava innecessario, ma che riflettendo su come era stata trattata quella creatura da quando il padre era venuto a mancare, era facilmente comprensibile e giustificabile, poichè rivolto alla prima persona che le manifestava un po’ dell’attenzione dovuta.
Di certo però, non era un’approfittatrice. Al contrario, era una donna squisita.
Il suo garbo, la sua modestia, l’onesta riconoscenza che leggeva ogni volta sul suo viso delicato e armonioso erano spesso travolgenti, e Phileas si rendeva conto di far sempre più fatica a mantenere i nervi saldi, quando erano insieme. Il non sapere come reagire davanti alle strambe emozioni che si ritrovava a sperimentare, lo rendeva nervoso. Non più altero come agli esordi, perchè non riusciva più ormai a mettere quel distacco fra sè e la donna, non dopo le lunghe ore passate assieme ad ascoltarla o a passeggiare con lei. C’era oramai una naturale propensione in lui, come se lei lo “addolcisse”, in un certo senso. Ovviamente, Phileas non stava facendo nulla per modificare il suo modo di fare normale. E che ragione c’era per farlo? Subire il fascino di una donna giovane e bella come Aouda era naturale, ed egli era sicuro che tempo qualche giorno, quell’euforia gli sarebbe passata. Avrebbe smesso di concentrarsi su ogni piccolo gesto di lei, di immaginarsela con uno di quei begli abiti europei addosso, di attendere i suoi sorrisi, di provare quella strana stretta allo stomaco quando ripensava a quei bruti che volevano toglierle la vita in modo così barbaro e insensato, di preoccuparsi di ogni più piccola cosa che la riguardasse. A volte riusciva a discernere le emozioni che quei pensieri o lo starle accanto gli davano. A volte erano troppo brusche e mescolate assieme da confonderlo. La sua mente subito elaborava razionalmente quegli stati d’animo. Per esempio la rabbia verso gli indù del satti, ancora latente, che lo prendeva ogni volta che qualche cosa banale gli ricordava l’accaduto, come quel pomeriggio mentre comperava il cappello, se la spiegava un po’ con l’orgoglio inglese e un po’ con l’istinto che ogni persona dotata di un pizzico di sensibilità proverebbe. Le emozioni più strettamente riguardanti Aouda, come quelle provate nel stringerle la mano, tiepida e un po’ tremante, erano chiare, ma più difficilmente discernibili. Visto che non era abituato a mostrare imbarazzo, cosa che raramente si trovava a sperimentare, o restava immobile o compiva gesti distaccati. Non lo faceva di proposito. Gli veniva spontaneo, come l’impulso di distogliere lo sguardo e concentrarsi su altro mentre lei gli rivolgeva quei grandi, bellissimi occhi neri nei quali era così facile perdersi per sempre.
Stanco di riflettere, si decise a ritirarsi a sua volta. L’indomani, la partenza sarebbe stata abbastanza mattiniera.
Giunto nel suo appartamento, chiamò Passepartout, il quale però non rispose.
Phileas guardò il suo orologio. Era sera tardi, e ricordava di aver mandato il francese a fissare le cabine poche ore dopo il loro arrivo. Beh, sarà ancora fuori, pensò, senza meraviglia. Jean era un ragazzo pieno di energia e l’occasione di bisbocciare in giro per il mondo capitava una volta sola nella vita.
Senza risentimento, Phileas provvide da sè alle ultime incombenze della giornata, e andò a dormire, a mezzanotte precisa, come sempre.
 
 
Aouda stava ricontrollando che non mancasse nulla nei suoi bagagli, quando un attendente le comunicò che il signor Fogg la attendeva dabbasso per la partenza.
L’uomo si offrì di prendere la sua borsa, e Aouda scese davanti a lui, raggiungendo la sala d’ingresso dell’albergo.
Il signor Fogg stava conferendo con l’albergatore alla reception.
<< Non è rientrato, signore >>, sentì dire Aouda, mentre Fogg annuiva in silenzio.
Quando lui le si avvicinò, gli chiese, << Qualche problema? >>.
L’inglese scosse appena il capo, << Passepartout non si vede da ieri pomeriggio >>, poi aggiunse, nel notare la sua espressione impensierita, << Sarà già al porto >>. Prese da sè la borsa da viaggio col denaro e chiese che i bagagli fossero riposti in un carro. Dopodichè si diressero al porto su un palanchino.
Una volta giunti, Aouda osservò Fogg scrutare il dock con leggera gravità, come se fosse perplesso.
La aiutò a scendere dal mezzo e Aouda si allacciò al suo braccio nonappena egli fece l’ormai abituale e rapido gesto di porgerlo.
Si rivolsero ad un addetto.
<< Il Carnatic? >>, domandò Phileas Fogg.
<< Partito, signore. Ieri sera >>.
Aouda si portò la mano alla bocca con sorpresa preoccupazione.
<< Non sarebbe dovuto partire oggi? >>, chiese il gentleman, senza traccia di emozione alcuna.
<< Sì, ma ha riparato la caldaia con celerità ed è stato in grado di riprendere il mare prima del previsto >>.
Fogg annuì, quasi fra sè. Si guardò attorno per un momento, come se sperasse di veder comparire qualcuno. Aouda comprese che stava cercando traccia di Passepartout, senza troppa speranza.
Quando egli si volse di nuovo a lei, e notò il suo sguardo impensierito, le disse, con un mezzo sorriso, << È un incidente, signora, nient’altro che un incidente >>.
In quella, udirono un colpetto di tosse, e un uomo abbastanza distinto si accostò loro.
<< Scusate, signore, non siete forse, come me, uno dei passeggeri del Rangoon, arrivato ieri? >>.
<< Sì, signore >>, rispose Phileas Fogg, << Ma non ho l’onore... >>.
<< Perdonatemi, credevo di trovare qui il vostro domestico >>.
Aouda fece un mezzo passo avanti, << Sapete dov’è, signore? >>. Sapeva che intromettersi così nel discorso fra i due gentleman non era tanto consono, almeno per quanto le avesse trasmesso la donna che l’aveva educata. Era però sinceramente in pena per Passepartout, e la domanda le era sgorgata spontanea.
Il signor Fogg non sembrò turbato dal suo intervento, e nemmeno l’altro inglese, così Aouda si convinse una volta per tutte a seguire l’istinto più che le regole, da quel momento in poi.
<< Perchè? Non è con voi? >>, domandò l’interlocutore.
<< No >>, gli rispose, mogia, << Da ieri non è più ricomparso. Non si sarà, per caso, imbarcato sul Carnatic senza di noi? >>.
Phileas Fogg le rivolse un’occhiata eloquente, che le fece subito capire che anche lui stava pensando la stessa cosa.
<< Senza di voi, signora? >>, disse lo sconosciuto gentiluomo, << Ma, vogliate scusare la mia domanda, contavate dunque di partire con quel piroscafo? >>.
<< Sì, signore >>.
<< Anch’io, signora, e come vedete sono molto contrariato. Il Carnatic, una volta terminate le riparazioni, è partito da Hong Kong dodici ore prima, senza avvertire nessuno, e adesso dovremmo aspettare otto giorni prima di partire col piroscafo successivo! >>.
Otto giorni?! Aouda guardò terrificata il signor Fogg, il quale le porse il braccio, << Ma ci sono altri piroscafi, oltre il Carnatic, credo, nel porto di Hong Kong >>, e con lei si avviò, con calma, alla ricerca di un altro battello in partenza.
Aouda notò che il gentiluomo che conosceva Passepartout li seguiva da una discreta distanza.
Iniziarono a percorrere i docks. Aouda fissava il suo salvatore, il quale scandagliava col suo sguardo di ghiaccio tutte le navi.
Dopo un’ora, anche lei cominciò a partecipare attivamente alla ricerca, indicando un battello dopo l’altro.
<< E quello, signor Fogg? >>.
<< Stanno caricando >>, spiegò con pazienza lui, << Pertanto non sono in procinto di salpare >>.
Aouda annuì, e iniziò a scartare le navi che caricavano le merci a bordo, e anche quelle che scaricavano, e che erano quindi appena arrivate.
<< Quella, signor Fogg? >>.
<< Quello è un veliero, signora Aouda >>.
<< Oh. E quindi...? >>.
<< Quindi è molto, molto lento >>, rispose il gentleman, quasi divertito dalla sua ignoranza in fatto di navi, << Ci serve uno steamer, oppure... >>.
Aouda annuì, arrossendo, ma ricominciò subito a cercare.
Passarono così tre ore. Avevano percorso i docks in lungo e in largo, più volte, col signore sconosciuto alle calcagna, anche lui impegnato a cercare, probabilmente, una nave. Ma nulla. La fortuna sembrava averli abbandonati assieme al fido Passepartout.
Il signor Fogg non sembrava scoraggiato, anzi, proseguiva la ricerca con ostinazione.
Al suo braccio, Aouda non sentiva la stanchezza della lunga passeggiata, nonostante si fosse accorta di come egli si fermasse spesso per timore che fosse esausta. Aouda gli rivolgeva un breve sorriso, o gli indicava un’imbarcazione, e ripartivano.
Ad un certo punto, un marinaio si accostò loro e si tolse il berretto.
<< Vostro Onore cerca un battello? >>.
<< Avete un battello in partenza? >>, rigirò la domanda Phileas Fogg.
<< Sì, Vostro Onore, un battello pilota, il 43, il migliore della flottiglia >>.
<< Cammina bene? >>.
<< Dalle otto alle nove miglia, su per giù. Volete vederlo? >>.
<< Sì >>, acconsentì interessato il signor Fogg.
Si incamminarono.
<< Vostro Onore ne sarà soddisfatto. Si tratta di una gita in mare? >>, domandò il marinaio occhieggiandola timidamente e per certo, traendo le sue conclusioni.
<< No, d’un viaggio >>, lo smontò subito il signor Fogg.
<< Un viaggio? >>.
<< Siete disposto a condurmi a Yokohama? >>.
Il marinaio si fermò di colpo e mostrò tutta la sua sorpresa, << Vostro Onore vuole scherzare? >>.
<< No. Ho mancato la partenza del Carnatic, e devo trovarmi a Yokohama non più tardi del 14, per prendere il piroscafo per San Francisco >>.
<< Mi dispiace >>, il marinaio scuoteva la testa, << Ma è impossibile >>.
<< Vi offro cento sterline al giorno e un premio di duecento sterline se  arrivo in tempo >>.
L’uomo sgranò gli occhi, << Dite sul serio? >>.
<< Molto sul serio >>, rispose Fogg.
Il marinaio chiese allora un momento per riflettere.
Nel frattempo, il signor Fogg si volse dalla sua parte, fronteggiandola, << Non avete paura, vero, signora? >>.
Aouda levò gli occhi per puntarli in quelli di lui. Lo sguardo fu fermo, incrollabile, diretto.
<< Con voi no, signor Fogg >>.
Andrei anche all’inferno assieme a voi, aggiunse irrinunciabilmente, fra sè.
Il loro sguardo condiviso durò più di quanto ci si aspettasse dopo la fine di quel breve scambio.
Un botta e risposta all’apparenza di pura cortesia, ma che Aouda comprese essere una conferma reciproca fondamentale. Phileas Fogg le stava chiedendo fiducia. E Aouda era sicura di poterla riporre in lui. Sicura come non era mai stata di niente e di nessuno. Anzi, si sarebbe sentita più indifesa sola in quella bella suite d’albergo, o nella confortevole casa di quel suo parente emigrato, che su una piccola imbarcazione in compagnia di quell’uomo che sapeva darle tutta la sicurezza di cui aveva bisogno.
Il marinaio s’era intanto riavvicinato.
<< Ebbene, pilota? >>.
<< Ebbene, Vostro Onore, non posso mettere a repentaglio nè i miei uomini, nè la mia persona, nè la vostra, in una traversata così lunga, su un’imbarcazione di sole venti tonnellate, e in questa stagione. D’altronde, non arriveremmo in tempo, perchè da Hong Kong a Yokohama ci sono 1650 miglia >>.
<< Solo 1600 >>, lo corresse il signor Fogg.
<< È lo stesso >>, fece il pilota.
Aouda vide il signor Fogg esprimere un lievissimo dissenso per l’approssimazione del marinaio, e si chiese per la prima volta da dove l’inglese avesse tratto tutte quelle conoscenze sul mare, sulle navi e sulle distanze. Certo, esistevano i libri e poteva averne letti molti in materia, ma la sua sembrava più una conoscenza pratica più che teorica. Conosceva tempistiche di navigazione su vari tipi di nave, sapeva con certezza quando si preannunciava una tempesta, e il suo disinteresse per i luoghi poteva ben essere quello di qualcuno che è già stato in quei posti molte volte, ed è stufo di vederli. Aouda sospettò che egli si fosse arricchito col mestiere di marinaio. Non c’era altra spiegazione.
<< Ma >>, stava intanto continuando il pilota, << Ci sarebbe modo di rimediare altrimenti >>.
<< Come? >>.
<< Andando a Nagasaki, all’estremità meridionale del Giappone, a 1100 miglia, oppure solo a Shangai, a 800 miglia da Hong Kong. Facendo quest’ultimo percorso, non ci allontaneremmo dalla costa cinese, e sarebbe un grande vantaggio, tanto più che le correnti tendono a trascinare verso nord >>.
<< Pilota >>, lo fermò Phileas Fogg, ora in tono leggermente spazientito, << Io devo prendere il piroscafo per l’America a Yokohama, non a Shangai o a Nagasaki >>.
<< Perchè no? >>, ribattè il pilota, << Il piroscafo per San Francisco non parte da Yokohama: fa scalo a Yokohama e Nagasaki, ma il suo porto di partenza è Shangai >>.
Fogg lo fissò impassibile, ma attento, << Siete sicuro di quello che dite? >>.
<< Sicurissimo >>.
<< E quando salpa da Shangai? >>.
<< Il giorno 11, alle sette di sera. Abbiamo dunque quattro giorni dinanzi a noi. Quattro giorni sono novantasei ore, e con una media di otto miglia l’ora, se tutto va bene, se il vento soffia da sud-est, se il mare è calmo, possiamo percorrere agevolmente le 800 miglia che ci separano da Shangai >>.
<< E potreste partire... >>.
<< Tra un’ora. Il tempo di comprare i viveri e di salpare >>.
<< Affare fatto >>, accettò senza esitazioni il signor Fogg, << Siete il padrone del battello? >>.
<< Sì >>, sorrise l’uomo, orgoglioso, << John Bunsby, padrone della Tankader >>.
<< Volete una caparra? >>.
<< Se a Vostro Onore non dispiace >>.
Il signor Fogg mise mano alla borsa, << Eccovi duecento sterline in conto >>, poi si volse dal signore che li aveva seguiti e ascoltati tutto il tempo e che egli aveva beatamente ignorato fino a quel momento, tanto che a Aouda era parso che egli non si fosse accorto del quasi pedinamento che avevano subito in quelle tre ore.
<< Signore >>, gli disse, << Se volete approfittare... >>.
<< Signore >>, rispose l’altro, senza esitare, ma allo stesso tempo un poco imbarazzato dalla gentilezza del gentleman, << Stavo appunto per chiedervi questo favore >>.
<< Bene. Tra mezzora saremo a bordo >>.
Fu allora che Aouda strinse di più il braccio del suo salvatore, << Ma quel povero giovane... >>, mormorò, riferendosi a Passepartout.
<< Farò per lui tutto quello che potrò >>, promise il signor Fogg, riaccompagnandola verso il palanchino, col quale si diressero agli uffici della polizia di Hong Kong e all’ufficio del consolato francese. In entrambi i luoghi, il gentleman fornì i connotati di Passepartout e una somma di denaro per rimpatriarlo nel caso si fosse presentato là.
Si recarono quindi di nuovo al porto, dove raggiunsero quello che a Aouda sembrò un veliero molto piccolo, che stazionava all’ancora.
Salendo a bordo, Aouda notò che il signor Fogg osservava con compiacimento i particolari della goletta, gli ottoni lucenti, la buona velatura, le ferrature galvanizzate e il ponte pulito e bianco, che denotavano molta cura da parte del capitano.
Il passeggero al quale il signor Fogg stava offrendo un passaggio era già a bordo, così si fece tutto per salpare, e in dieci minuti, la goletta stava lasciando il porto.
Aouda e il signor Fogg, che si erano seduti sul ponte, si sporsero entrambi nel medesimo istante sulla banchina, come per assicurarsi che Passepartout non comparisse d’improvviso. Ci fu un attimo di imbarazzo nella consapevolezza di quella sincronia, di azione e di pensiero, poi il signor Fogg disse, senza guardarla, << Si sarà imbarcato sul Carnatic pensando che fossimo a bordo anche noi >>.
<< Sì >>, mormorò Aouda.
<< Non vi preoccupate, se il suo nomignolo è ben meritato, se la caverà >>.
Ed in silenzio, guardarono Hong Kong sparire all’orizzonte.
 
 
Verso il tramonto, la nave prese il largo.
Aouda si era seduta a prua, e gustava quel momento della giornata così selvaggio e romantico, nel quale il sole scompariva inghiottito dal mare un po’ capriccioso.
Poco distanti, il capitano Bunsby e il signor Fogg stavano scambiando alcune parole. Quest’ultimo si era raccomandato la massima velocità, mentre il pilota si era detto fiducioso, e aveva dato alcune spiegazioni tecniche. Fogg lo aveva ascoltato, poi aveva commentato “è il vostro mestiere, non il mio”.
Aouda si era voltata a guardarlo, senza essere vista, con un sorriso sospettoso per quelle parole sibilline. Il sorriso però si dissolse lentamente sul suo viso quando i suoi occhi incontrarono la figura del gentleman, di fianco a quella del capitano, del quale imitava perfettamente la postura. Phileas Fogg, anzi, al contrario di Bunsby che si reggeva ad una cima, manteneva un equilibrio perfetto stando semplicemente con le gambe un poco divaricate e le braccia conserte contro il dondolio insistente del mare. Aouda si volse celermente di nuovo al largo. Il cuore però continuò a martellarle nel petto, e lo stomaco le si strinse di una emozione che le risultava incomprensibile.
Perchè mi sento così ogni volta che lo guardo? Può davvero la gratitudine suscitare sensazioni così violente?
Chiuse gli occhi per calmarsi, e poco dopo si focalizzò sulla bella vela bianca che portava la nave come un grande uccello sui flutti spumosi.
 
 
<< È il vostro mestiere, non il mio >>, disse Phileas, puntando lo sguardo all’orizzonte.
Laggiù, le onde imperversavano alte. Il mare non sarebbe stato clemente, durante quella traversata.
Per lui non era un problema, ma per Aouda? Sì, la giovane sopportava bene il mare agitato, ma quello non era un piroscafo, bensì una goletta a vela. Sarebbe stata sballottata come un tappo di sughero.
Preoccupato, si volse a guardarla.
Era seduta a prua, a terra sul ponte, con le ampie gonne dell’abito che le si allargavano attorno.
Phileas riusciva a vedere il suo profilo, la sua figura circonfusa dall’oro e dall’arancio del tramonto che si rifletteva sul mare. La vista gli tolse il fiato.
È stupenda, pensò. Non poteva non pensarlo. Era qualcosa di talmente evidente, da essere innegabile.
E se la sua bellezza non era abbastanza, che dire del suo coraggio nel seguirlo in quella traversata?
Aouda era calma, il viso contro la brezza marina che gonfiava la vela maestra, e sembrava spingersi verso un futuro ignoto con tutta la fiducia possibile. Quella fiducia, l’aveva riposta in lui. E per tutto l’oro del mondo, Phileas l’avrebbe giustificata.
L’8 novembre, ci fu un po’ di mare grosso, ma nulla di preoccupante.
Il signor Fix, che divideva con loro la traversata, si unì a loro per la colazione dopo che Phileas ebbe insistito. Lo sfortunato passeggero soffriva molto il mare, ma Phileas gli consigliò di mangiare, cosa che avrebbe attenuato un poco il suo malessere.
Nel pomeriggio, fu molto chiaro che una tempesta di vento era in arrivo. Il cielo, sebbene non presagisse pioggia, era brumoso, e il sole tramontò in una nebbia rossa, altro segno chiaro dell’approssimarsi di un fortunale. Il vento però avrebbe soffiato verso nord, così Phileas si consultò col capitano e convenirono di non ammainare le vele, per farsi spingere in direzione di Shangai.
Alcune ore dopo, fu chiaro che la tempesta avrebbe portato anche acqua. Così, mentre Bunsby faceba ammainare, e prendeva tutte le precauzioni per evitare che l’acqua penetrasse nello scafo, Phileas andò da Aouda, che sedeva, come sua abitudine, nei pressi della prua. Riparata da una panca, stavolta, vista la forza del vento.
<< Signora >>.
Lei si alzò, lisciandosi le gonne.
<< Una tempesta in arrivo. Il capitano consiglia di stare sottocoperta >>.
Aouda annuì, ma rimase a guardarlo, << E voi, signor Fogg, rimarrete sul ponte? >>.
Phileas annuì, << Se posso pregarvi di fare lo stesso... >>.
<< Sì, io... >>.
<< Non sarà piacevole, vi avverto. Però sottocoperta sarà anche peggio. Forse non vi bagnerete, ma sareste sballottata avanti e indietro in uno spazio angusto. Correte il rischio di infortunarvi, senza contare che vi potrebbero piovere addosso piccoli oggetti e tutto ciò che non è ancorato allo scafo >>.
<< Rimarrò sul ponte con voi, allora >>, gli disse, immediata, lei.
Phileas annuì, << State vicino a me >>.
 
 
La tempesta si scatenò alle otto di sera.
Aouda non poteva dire di essere tranquilla. Vedere il mare così agitato da una distanza tanto vicina, era impressionante. La Tankader le parve un piccolo guscio di noce nel momento in cui venne sollevata dalle onde e spinta verso nord. Il vento era talmente violento da frustare i loro abiti e produrre un suono acuto, sibilante. Il signor Fix, gli occhi spauriti, si era ancorato con una corda ad una delle barre per paura di essere trascinato in mare dalla forza degli elementi.
Aouda si era mantenuta, come raccomandazione, vicino a Phileas Fogg.
Egli si era tolto la giacca e la cravatta di seta, e fissava il fulcro della tempesta, come a volerla valutare.
Aouda non ebbe l’impressione che fosse preoccupato, nemmeno quando il mare iniziò a trascinare l’imbarcazione in ogni direzione, sollevandola e facendola ricadere sui flutti. Molte volte, il capitano Bunsby dovette manovrare per impedire alla goletta di essere travolta dalle muraglie d’acqua che si ergevano da poppa. Allora, gli spruzzi arrivavano sul punte in veri e propri torrenti d’acqua, capaci di rovesciare una persona fuoribordo, se troppo vicina ai parapetti.
Aouda però si rese conto che il signor Fogg aveva scelto la porzione del ponte più sicura possibile. Non erano affatto riparati dalle mareggiate, ma se anche fossero caduti, avrebbero avuto il tempo di rialzarsi e afferrarsi a delle cime.
Egli era calmo. Imperturbabile. Come se conoscesse a memoria ogni dondolio delle onde.
Se pure Aouda avesse pensato di avere un po’ di paura, questa scompariva nel guardare il gentleman, nell’ammirarne il sangue freddo. Cercò di essere degna di lui, e di affrontare in modo impavido quell’imprevisto.
Col calar della notte, la tempesta aumentò ancora d’intensità, diventando davvero spaventosa.
Nulla però si modificò nel comportamento del signor Fogg. Solo, dovettero reggersi a loro volta a delle cime, e il movimento dell’imbarcazione non consentì più un equilibrio decente a nessuno di loro.
Tutt’attorno a loro, le tenebre, squarciate a intervalli da lampi che illuminavano di viola i flutti sconvolti dai venti e dalle correnti.
Aouda si sentiva esausta, come mai lo era stata.
Continuava a stringere la cima con due mani, ed era completamente zuppa. Da sottocoperta, però sentiva il rumore di giare, oggetti di rame e altri utensili che cadevano dai loro posti, e comprese che il signor Fogg aveva avuto ragione a non voler abbandonare il ponte, nonostante tutto.
Mentre pensava così, tutto d’un tratto, il mare si sollevò proprio davanti a lei.
L’onda sembrava immensa. Bunsby virò, limitando i danni, ma la coda del cavallone si rovesciò con piena potenza sul ponte, sollevandosi poi in uno spruzzo sferzante. Aouda chiuse gli occhi e si voltò un poco, pronta a ricevere quello schiaffo d’acqua, salvo sorprendersi quando non sentì che qualche goccia sul volto. Riaprì subito gli occhi e si rese conto che il signor Fogg l’aveva protetta col suo corpo da quella potente annaffiata. Egli l’aveva chiusa fra sè e la parete della cabina, sulla quale premevano in perno le sue braccia tese, fradice come il resto della sua persona. Non erano mai stati così vicini. Aouda lo fissò negli occhi, ed egli fece altrettanto. Rimasero così, come ipnotizzati, per innumerevoli secondi, quasi non esistesse più la piccola Tankader e la terribile tempesta.
Gli occhi del signor Fogg erano celesti, incredibilmente chiari e limpidi nella poca luce che proveniva dalla barca. Il loro sguardo era fermo, incrollabile.
<< State bene? >>, le chiese, alzando la voce per farsi sentire sopra il fragore del vento.
Aouda annuì, senza riuscire a parlare.
<< Tenete duro >>, disse allora, aprendo quella rassicurante gabbia attorno a lei.
Aouda non riuscì a pensare ad altro, quella notte.
La tempesta imperversò ancora ore, e numerose altre volte il signor Fogg si precipitò su di lei per proteggerla dagli spruzzi, ma Aouda non potè più concentrarsi sulla propria paura o sullo sfinimento.
Non le era mai capitato nella vita di essere protetta a quel modo, in una maniera così... fisica. Non sapeva come mai, ma la sua mente le rimandava continuamente quell’immagine, come in un sogno, probabilmente a causa del sonno e delle fatiche.
Comparve il giorno, ma la tempesta non accennò a cessare.
Aouda, sfinita, si reggeva alla sua cima, solo per non crollare sul ponte. Ogni volta che le onde la minacciavano, il signor Fogg accorreva. Aouda vide che anche lui portava in volto i segni della stanchezza, ma le energie dell’uomo sembravano doppie rispetto alle sue o a quelle del povero signor Fix.
Aouda non aveva la forza per lamentarsi, ma fra sè pensava di continuo: Sta per finire? Voglia il cielo che finisca presto...
Ma la tempesta proseguì tutta la giornata, per calmarsi solo al calar del sole.
Allora, Aouda mollò la cima e si lasciò andare seduta sul ponte, la testa pesante e le membra dolenti.
Phileas Fogg le si accostò, piegandosi sulle ginocchia davanti a lei.
<< È passata >>.
Aouda annuì, e levò gli occhi su di lui, chiaramente prostrato non meno degli altri.
<< Riposatevi qualche minuto. Poi potrete mangiare qualcosa >>.
Lei annuì, e si appoggiò contro la parete della cabina, piombando subito in un sonno scomodo, ma necessario.
Una vita dopo, le sembrò, si sentì tirare delicatamente in piedi, e sollevare in braccio. Ebbe una reazione di spavento, lì per lì, ma poi riconobbe il profumo della colonia, e si rilassò completamente, il capo abbandonato sull’ampia spalla del signor Fogg. Aouda cercò di rimanere sveglia, per aggrapparsi alla bella sensazione fisica che la stava invadendo, ma fu impossibile, e ripiombò immediatamente nel sonno.
Si risvegliò forse parecchie ore dopo. Stranita, scoprì trovarsi nella cuccetta della cabina, mentre i pallidissimi raggi del sole annunciavano l’alba del 10 novembre.
Rimase sotto le calde coperte. Ne aveva quattro addosso, e non indossava più il vestito, ma solo la sottogonna e la camiciola in flanella, un po’ umidiccia. L’abito rosso era posato su una sedia rimessa in piedi nel disordine assoluto della cabina, e appariva ancora completamente zuppo.
Aouda si schermì, nascondendo metà della testa sotto le coltri. Il signor Fogg l’aveva portata a letto e le aveva tolto il vestito. Certo, c’erano ancora moltissimi strati di tessuto a protezione della sua pelle nuda, ma l’idea era capace comunque di innervosirla. Positivamente. Allora le tornarono in mente i pochi attimi nei quali si era destata e aveva capito di essere fra le sue braccia. Si crogiolò nel fuggevole ricordo del calore di quel corpo solido, nonostante gli strati di abiti fradici che entrambi indossavano. Gli sembrava di avergli posato la mano sul petto e di aver afferrato il tessuto sdrucito della sua camicia nel pugno, come per chiedergli, senza ragionare, di continuare a stringerla a sè.
Aouda si mise di botto a sedere e si andò a lavare la faccia, solo per scoprire che brocca e lavamano erano franati a terra e si erano infranti durante il fortunale. Si diede allora degli schiaffetti sulla faccia, per costringersi a smetterla di fare quei pensieri.
Per il cielo, ma cosa vado a pensare?! Si rimproverò duramente. Il signor Fogg voleva solo impedire che mi prendessi una polmonite, restando a dormire tutta bagnata sul ponte della barca! Questo lo avrebbe fatto ritardare non poco, se avesse anche duvuto cercarmi un medico! Aouda, cielo, sei una donna adulta. Smettila di fantasticare come un’adolescente. E poi, quale deplorevole debolezza, essere così sfinita da non riuscire a raggiungere sulle proprie gambe il letto!
Dopo essersi pulita dalla salsedine come potè, cercò la borsa, indossò un altro vestito e aprì i capelli perchè asciugassero. Quando ebbe finito la toletta, il sole era ormai sorto, ed ella uscì sul ponte.
La giornata era splendida. La Tankader veleggiava a tutta velocità e di nuovo le sembrò un bell’uccello libero di librarsi nel vento.
A passo lento, raggiunse la prua, dove scorse, seduto su un barile accanto ad un tavolo di legno, il signor Fogg intento a mangiare. Aouda lo osservò per una manciata di minuti senza essere vista, e sorrise fra sè per la voracità del gentleman, che sembrava non toccasse cibo da un mese, tanta era la foga, seppur molto composta, con cui attaccava la sua porzione di conserve e biscotti.
Quando la avvistò, immediatamente prese a masticare più lentamente, e si mise un pugno davanti alla bocca per ingoiare più velocemente possibile.
Nel frattempo, Aouda, divertita, gli si avvicinò.
Il signor Fogg bevve un sorso d’acqua prima di schiarirsi la voce, << Buongiorno, signora Aouda >>.
<< Buongiorno >>.
<< Volete mangiare? >>.
<< Oh, sì. Ho molto appetito, vi confesso >>.
<< È naturale >>, argomentò lui, << Non è stata una notte facile >>, e sospirò.
Mangiarono per un po’ assieme, quindi egli riprese, in tono alquanto sommesso.
<< Signora, mi dispiace di avervi costretta ad un viaggio in simili condizioni. Spero vogliate perdonare questa scelta, dettata dalla fretta >>.
Aouda gli sorrise e gli posò, forse audacemente, non seppe dire, la mano sul braccio, << Non dovete scusarvi. Signor Fogg, quando ho accettato di venire con voi in Europa, sapevo che avevate molta premura, ma ho accettato lo stesso. Non vi preoccupate per me. Piuttosto, vorrei scusarmi per avervi costretto ad assistermi, ieri... >>.
Phileas Fogg distolse lo sguardo e si volse al mare, fingendo di guardare l’orizzonte, << Ma no... Il buonsenso... >>, mormorò, senza finire la frase.
Aouda comprese il suo imbarazzo. Si trovò anche lei a provarlo per l’ennesima volta, ed entrambi rimasero per un po’ in silenzio, finendo di mangiare.
Al termine del pasto, si sedettero a prua, sotto il sole, di modo da cancellare dalle ossa tutta l’umidità accumulata la giornata precedente. La Tankader aveva perduto nella tempesta le comode seggiole di cui era dotata, così furono costretti ad accomodarsi sul nudo ponte, sopra una coperta ben distesa, le spalle appoggiate contro la parete della cabina.
Assorta, e un poco agitata, Aouda ripensava continuamente ai momenti della notte prima, quando aveva beneficiato della protezione del gentleman, il quale adesso se ne stava seduto spalla a spalla con lei, dopo essersi accomodato in modo alquanto rigido. Di certo, sorrise Aouda fra sè, egli non era abituato ad usare il pavimento come sedile!
Trascorsero alcuni minuti in silenzio, quando il capitano John Bunsby li addocchiò e disse, << Ah, finalmente! Cominciavo a pensare che Vostro Onore fosse una macchina, che non ha bisogno di dormire! >>.
Spiazzata, Aouda si voltò appena verso il signor Fogg, e scoprì che egli si era addormentato, le braccia conserte, la testa contro la parete. Aouda provò una fitta di tenerezza mista a qualcosa che non seppe decifrare. Bizzarro, visto che si trattava delle sue stesse emozioni.
<< Lo avete spento voi, signora? >>, continuò a ironizzare garbatamente Bunsby.
<< Volete dire che stanotte, cessata la tempesta, non è andato a dormire? >>.
<< No, signora. Ha insistito per aiutare gli uomini e me a riassettare la rotta. Parola mia, se egli non è un marinaio, allora io sono la regina Vittoria >>.
Aouda guardò di nuovo con una punta di preoccupazione il compagno di viaggio, il cui capo stava scivolando lentamente di lato, fino a posarsi mollemente sulla sua spalla. Aouda si irrigidì, ma ben presto si rilassò, chiudendo a sua volta gli occhi. Sentì sulla guancia la morbida carezza dei capelli di lui, il loro odore di salsedine e di vento marino. Si colpevolizzò, ma assaporò comunque quegli attimi di vicinanza reciproca, di delicato contatto. Pochi istanti dopo, però, il gentleman si radrizzò con un mezzo singulto.
<< Chiedo scusa >>, mormorò, levandosi in piedi nel rendersi conto di aver ceduto al sonno senza accorgersene.
Aouda si alzò a sua volta, << Non c’è nulla di cui scusarsi, signor Fogg. Andate a riposare con più comodità, ne avete bisogno >>.
Egli cercò di dire qualcosa, ma le sue labbra si mossero invano, quindi annuì e si ritirò con passo misurato.
Aouda rimase sul ponte svariate ore, riflettendo. Era confusa, e provava una sorta di strana malinconia. Doveva riconsiderare ciò che provava per il suo salvatore? Forse no. Era sicura che la gratitudine fosse uno dei sentimenti principali del suo stato d’animo verso di lui, ma assieme stava crescendo qualcosa di sconosciuto, che Aouda non sapeva come chiamare. Poteva essere attrazione? Sì, può essere. Doveva essere franca. Il signor Fogg era come un problema che lei voleva risolvere. Voleva arrivare in fondo. Capire. Inoltre, non riusciva a pensare di separarsi da lui, un giorno. Sì, forse avrebbe risieduto in Inghilterra e sarebbero rimasti in contatto, ma mai più tutti i giorni, così come durante quel viaggio. A Aouda non interessava trovarsi in situazioni spiacevoli come quella della notte scorsa. Sì, era stata spaventata, sfinita, a disagio. Ma non le sembrava una cosa poi così drammatica, visto che poteva dividere quei momenti con Phileas Fogg, che lui era lì con lei. Si rammaricava, anzi, di causargli non poche grane. Durante la tempesta, infatti, egli aveva senza dubbio fatto il doppio della fatica, perchè non solo stava badando a se stesso, ma anche e soprattutto a lei. Una tale devozione comportava certamente un dispendio di energie, soprattutto mentali, davvero notevole. Senza contare che tutta la sua abituale routine era saltata; non c’era più stata un’ora dei pasti o un’ora per dormire.
Povero Phileas! Aouda sorrise fra sè, aggrottando le sopracciglia e riappoggiandosi alla parete, mentre il sole del mattino la scaldava.
 
 
Phileas si destò di soprassalto e si volse a guardare dall’oblò.
La luce del sole gli fece capire che era probabilmente pomeriggio inoltrato.
Con un lento sospiro si rimise giù e si schermò la vista con un braccio, preda di un lungo attimo di confusione data dal sonno interrotto. Un sonno pesante, poco riposante, che lo lasciò con la testa che girava. L’attimo dopo, ricordò di essersi addormentato sul ponte accanto alla signora Aouda. Spostò il braccio e si portò entrambe le mani al viso. Che vergogna. Lei era stata molto carina nel liquidare la questione, ma comunque, i fatti erano quelli. Deplorevole mancanza di autocontrollo. Come poteva essergli capitata una cosa del genere? Per quanto distrutto potesse essere, non si era mai addormentato così di botto. Certo, era capitato durante il viaggio di dover dormire nello scompartimento assieme agli altri, ma era sempre accaduto quando era l’ora di dormire. Sul ponte, poco prima non era stato nè il luogo nè il momento opportuno. Si girò su un lato. Era a causa di Aouda. Lei lo rendeva esausto. E non dal punto di vista fisico, quello proprio no, ma da quello delle emozioni. Troppe, tutte assieme, tutte diverse. Troppa fatica per mantenerle imbrigliate, per ignorarle, per minimizzarle. Internamente, egli era sconvolto. Proprio come quelle cabine dopo la tempesta. Più cercava di mettere ordine, e più saltavano fuori altre cose spuntate da chissà che antro. Aouda lo turbava e lo rilassava al tempo stesso. Come poteva essere fisicamente possibile?
Si mise a sedere sulla branda e guardò il panciotto che ancora indossava. Ormai era tutto rovinato. Se lo sfilò, alzandosi poi alla ricerca della borsa, per cavarne una camicia nuova. Il sale iniziava a irritargli la pelle. Mentre si cambiava, ripensò alla notte della tempesta, quando aveva impedito che la povera Aouda venisse investita dall’onda di marea. I suoi occhi grandi che lo guardavano, ipnotizzandolo. Non era riuscito a distogliere subito lo sguardo, e quei laghi, molto più dell’acqua di mare, lo avevano quasi affogato. Era allora emerso un impulso che ricordava a stento, sebbene non così antico come invece gli pareva. Un impulso che diceva, risoluto, “bacia questa donna”. E per un attimo, Phileas ricordava di aver addirittura pensato di cedergli. Per fortuna era successo all’inizio della lunga giornata di burrasca, quando era ancora abbastanza lucido da respingere un’idea tanto dannatamente assurda. Se fosse davvero successo, come avrebbe reagito la signora? Avrebbe creduto che questo inglese, approfittatore, non certamente anziano, ma più vecchio di lei, stesse cercando di ingraziarsela con carinerie per ottenere da lei uno scopo poco morale. Phileas serrò con forza gli occhi a quell’idea. Grazie al cielo aveva saputo domarsi. Non sei nella posizione adatta, Phileas, per farle la corte. La signora ha bisogno di assistenza, non di attenzioni inopportune e sicuramente indesiderate, si disse con fermezza, indossando una camicia di cotone e un panciotto di velluto color crema sotto la redingote. Visto che gli sembrava ancora pomeriggio, si mise anche la cravatta in seta bianca, fermandola con l’apposita spilla in madreperla, senza l’aiuto dello specchio. Naturalmente, prese anche l’orologio.
Quando fu pronto, mise la mano sulla maniglia, osservando le lancette che ticchettavano e segnavano quasi le quattro. Attese che scoccassero per aprire la porta.
Passerà.
Tutto passa.
 
 

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Capitolo 6
*** Sulle tracce di Passepartout ***


Tappa a Yokohama, 11 novembre 1872.


<< Quanto manca, capitano? >>, domandò Phileas Fogg a John Bunsby.
<< Cento miglia, Vostro Onore >>.
<< Ah. Ed è l’11 novembre >>.
<< L’11, signore >>.
Phileas annuì. Serioso.
Tutte le vele portavano, non c’era altro da poter fare. La tempesta aveva fatto perdere loro parecchie ore. E Bunsby era preoccupato perchè il premio che gli aveva promesso stava per sfumare.
Phileas aprì il Bradshaw’s Continental Railways, Steam Transit and General Guide e iniziò ad elaborareun piano B, nel caso, molto probabile, che avessero mancato il piroscafo che partiva da Shangai. Quando vide che, inevitabilmente, il prossimo steamer sarebbe partito dieci giorni dopo, e non per la sua destinazione finale, si rese conto che bisognava raggiungere il porto ad ogni costo, pena perdere la scommessa. Sempre, ovviamente, che non ci fosse stata un’altra nave come quella, cosa che però voleva evitare. Guardò infatti verso Aouda e il signor Fix. Lei era stanca, anche se il suo composto sorriso fiducioso continuava a brillare sul suo viso, e il gentiluomo al quale stava dando un passaggio era prostrato dal mal di mare. Certo, non era affar suo occuparsi di quest’ultimo, ma rischiare ancora l’incolumità della signora Aouda era da evitarsi in modo deciso.
<< Dobbiamo arrivare oggi, prima delle sette di sera >>, ribadì Phileas a mezza voce, più a se stesso, anche se il pilota recepì quella frase come direttaa lui.
<< Stiamo facendo il possibile, signore. Il vento continua a mollare, anche il mare si sta calmando >>.
<< Bisogna stare sulle nove miglia costanti per riuscire >>.
<< Cosa impossibile >>, mormorò Bunsby.
<< Difficile >>, corresse Phileas, sempre sottovoce.
 
 
 
A mezzogiorno, tutti erano in piedi sul ponte, ad osservare la terra che si stagliava davanti a loro, eppure ancora così lontana! Chiunque era impaziente di arrivare, chi per un motivo, chi per l’altro.
Aouda smaniava, per timore che il suo compagno di viaggio perdesse il piroscafo, e quindi, la sua scommessa. Ogni volta che lo guardava, però, egli era immobile, ritto sul ponte di manovra assieme a Bunsby, e fissava la strisciolina di terra che si profilava all’orizzonte.
Passarono le ore.
Alle sette, erano ancora in mare.
<< Tre miglia! >>, disse Bunsby, sulle spine. Poi proruppe in una sonora bestemmia che la fece un po’ arrossire, e fece spostare gli occhi del signor Fogg su di lui, naturalmente impassibili. Almeno, però, si potè constatare che il gentleman fosse vivo e vegeto, e non un fantoccio imbalsamato quale appariva nella sua estrema compostezza e freddezza.
Aouda si volse di nuovo all’orizzonte, e il cuore le mancò un battito nel notare un lungo fuso nero, sormontato da un pennacchio di fumo.
<< Oh! >>, esclamò, indicando.
<< Maledizione! >>, disse Bunsby.
Si trattava infatti del piroscafo diretto a Yokohama e poi a San Francisco, che lasciava il porto di Shangai all’ora prevista. E loro avrebbero dovuto essere là sopra, in quel momento.
<< Fate segnali >>, disse il signor Fogg con pacatezza, nel silenzio costernato che si era creato a bordo.
Bunsby fece cenno ai suoi uomini di preparare immediatamente il cannoncino d’emergenza.
<< La bandiera a mezz’asta >>, ordinò di nuovo Phileas Fogg, senza muoversi.
Il volto del pilota si illuminò per la genialità di quell’idea. Se infatti il piroscafo avesse udito i segnali e visto la bandiera a mezz’asta, avrebbe creduto che la goletta fosse in difficoltà, e secondo il codice del mare, sarebbe senza dubbio corso in soccorso.
<< Fuoco! >>, comandò il signor Fogg.
Mentre faceva eseguire, il capitano le si rivolse e disse, << Non sono affatto la regina Vittoria >>.
Aouda sorrise, e le detonazioni coprirono la sua risata.
Fogg li guardò senza capire, ma quando una vedetta gridò che il piroscafo stava virando in loro direzione, discese agilmente dalla pedana di comando, << Signora, signore >>, disse, rivolto a lei e a Fix, << Se volete essere così cortesi da prepararvi al cambio di imbarcazione... >>.
Aouda sorrise apertamente, e corse a prendere la sua borsa da viaggio, e così fece anche l’ospite.
 
 
I marinai del General Grant li accolsero con un certo stupore, immaginando di dover salvare dei naufraghi e scoprendo invece che si trattava semplicemente di tre passeggeri in ritardo. Il loro umore si addolcì ben presto, però, soprattutto dopo che il capitano Bunsby raccontò agli ufficiali che avevano superato a mala pena una terribile tempesta, e che il signor Fogg ebbe pagato il capitano con un surplus sul biglietto per il disturbo di aver dovuto modificare la rotta in loro favore.
Anche il pilota ebbe la sua parte, nonostante non fossero arrivati in porto.
<< Vostro Onore, no. Io... >>, disse Bunsby, stringerndo il cappello fra le mani con imbarazzo.
<< Prendete >>, disse Fogg, << È per la vostra abilità nel governare durante la tempesta >>.
Ancora esitante, Bunsby prese le centocinquanta sterline in biglietti di banca, << Grazie, Vostro Onore. Siete molto generoso >>.
<< L’onore è al merito >>, rispose il signor Fogg, voltandosi dalla parte di Aouda e porgendole il braccio, << Vogliamo andare? >>.
Lei annuì, sorridendogli, e mentre si incamminavano dietro l’inserviente in direzione dei loro alloggi, egli si piegò verso di lei per sussurrarle all’orecchio, << Credo che entrambi necessitiamo di un poco d’acqua dolce >>.
Aouda rise, e lo sguardo che si scambiarono poco dopo, seppur fulmineo e subito interrotto, fu di pura complicità.
 
 
Nel restare sola nel suo alloggio, Aouda si rese conto che il piroscafo sul quale si trovavano era oltremodo lussuoso, nell’accezione più occidentale del termine. A bordo c’erano sale da ballo, negozi di moda e di gioielli, ristoranti, auditori per la musica. La sua cabina comprendeva una zona letto, una sala da bagno e un salottino privato. Visto che il signor Fogg aveva avuto pienamente ragione nell’esprimere il loro bisogno di lavarsi, Aouda non perse tempo e si immerse subito in acqua calda, togliendo finalmente il sale dai capelli e dalla pelle. L’abito rosso scozzese si era rovinato, e Aouda lo aveva lasciato sulla Tankader, ma fortunatamente gli altri quattro, quello lavanda che indossava, quello dorato e i due nuovi nella borsa, erano sani e salvi. Aouda si cambiò con un vestito da sera blu egiziano, vista l’ora della sera, si acconciò per bene, e attese nel salottino.
Passò un’ora, a detta dell’orologio sulla mensola della libreria, dalla quale Aouda aveva preso un volume e aveva iniziato a leggere. Poi finalmente, bussarono alla porta esterna.
Aouda si diede una controllatina allo specchio, e corse ad aprire con un ampio sorriso, salvo rimanere spiazzata quando alla porta non trovò il signor Fogg, ma un valletto della nave.
<< Signora >>, disse questi, con aria incredibilmente professionale, << Il signor Fogg la prega di raggiungerlo nel salone di ritrovo del ponte B, qualora siate pronta per cena >>.
Aouda annuì col capo, confusa da tanta cerimonia, << Ehm >>, domandò prima che il valletto se ne andasse, << Dove si trova questo salone, per favore? >>.
Questi le indicò la fine del corridoio, << Proprio qui in fondo, signora >>.
<< Vi ringrazio >>, e con un pizzico di imbarazzo, richiuse l’imposta.
Aouda rimase dov’era, pensosa.
Si era aspettata che il signor Fogg venisse a cercarla di persona, come era accaduto anche sugli altri battelli, quando era l’ora della visita. In albergo, a volte, era vero, aveva mandato Passepartout, ma quando il servo personale non era disponibile, egli era uomo da scomodarsi senza troppi complimenti. Perchè ora agiva diversamente?
Non v’era che da scoprirlo.
Con passo calmo, percorse il corridoio e raggiunse il detto salone, il quale era piuttosto gremito, o almeno avrebbe potuto sembrarlo visto quanto posto occupavano le gonne delle signore.
Aouda cercò il suo accompagnatore con lo sguardo, sentendosi un poco in ansia nel non trovarlo subito, quasi egli l’avesse abbandonata. Poi lo avvistò, nel mezzo di un sorridente capannello composto da ben sei signore e soli due gentiluomini. Egli stava sorseggiando un poco di champagne da un bel calice di cristallo, senza guardare nessuno, all’apparenza ascoltando la conversazione portata avanti da una delle donzelle, il cui atteggiamento fece infuriare Aouda senza alcun motivo. Casualmente, egli alzò lo sguardo e la vide, invitandola con un gesto a raggiungerli.
Mentre si accostava, Aouda comprese come mai il signor Fogg avesse impiegato un’ora piena più di lei nel prepararsi per la cena. Senza il suo servitore, aveva dovuto provvedere a comprarsi personalmente gli abiti, e cielo... ne aveva indossato uno che era a dir poco spettacolare. Blu scuro, era composto da velluti, sete e broccati che si amalgamavano alla perfezione. La camicia era bianca, chiusa al collo da una morbida cravatta plastron di un lucente grigio perla, lo stesso colore del panciotto doppiopetto di broccato. Era pur vero che, più che l’opulennza degli abiti, l’effetto di magnificenza era soprattutto dato dal portamento col quale Phileas Fogg li sfoggiava, senza autocompiacenza, ma con la più perfetta e composta noncuranza. Egli aveva pettinato i capelli alla perfezione, col morbido ciuffo biondo che si arricciava in modo naturale, dandogli quel leggero tocco ribelle che conferiva al suo volto già stupendo, ancor più fascino.
Non c’era perciò da meravigliarsi se le signore cercavano di attirare l’attenzione del gentleman, mentre egli pareva non accorgersi dei loro faticosi tentativi.
Quando lei arrivò, il capannello si aprì un poco per consentire al signor Fogg di prenderle la mano in un saluto elegante e formale. Aouda lo guardò negli occhi per scambiare uno sguardo di saluto come i soliti, ma quella volta non sortì alcun effetto. Phileas Fogg rimase imperturbabile, molto freddo e distaccato nei suoi riguardi, quasi che fossero di nuovo agli albori della loro conoscenza.
Aouda cercò di nascondere il turbamento per quell’atteggiamento, quando egli disse, in tono monocorde, << La principessa Aouda del Buldelkund >>.
I presenti salutarono con cenni e piccoli piegamenti del busto, le donne con sorrisi fasulli e nervosi sventagliamenti.
<< Viaggia in mia compagnia verso l’Europa >>, continuò il signor Fogg, come se fosse costretto a dare quelle informazioni, ma non ne avesse alcun desiderio, << La sto scortando dai suoi parenti >>.
<< Una gradevolissima compagnia >>, commentò uno dei gentiluomini, baciandole la mano con galanteria, << E parlate inglese, signora? >>.
<< Sì, sono stata cresciuta nell’educazione inglese a Bombay >>.
<< In tal caso, mi piacerebbe conversare con voi >>, si lanciò il galantuomo, << Mio padre, sapete, lui era stato inviato in India col suo reggimento, e ha sempre decantato la bellezza dei luoghi e delle signore. Certo, però, nessun racconto può rendere giustizia alla vostra fulgente bellezza >>.
<< Oh, vi ringrazio >>, mormorò Aouda, spiazzata.
<< Venite, vi procuro da bere >>.
<< Io... >>, Aouda guardò il signor Fogg, nella speranza che dicesse qualcosa, qualsiasi cosa per trattenerla lì.
<< Se il signore permette che vi allontaniate un momento... >>, disse un po’ confuso il galantuomo, interpretando chissà come la sua occhiata interrogativa verso il suo salvatore.
Phileas Fogg però non li guardò nemmeno, ostentando un distacco pressochè totale verso tutto e tutti, << Ma certo >>, rispose, in quel suo tono di voce basso, come se parlasse fra sè e sè, << Io e la signora stiamo solo viaggiando verso la medesima destinazione. Pertanto, può intrattenersi con chi vuole >>.
Ferita da quelle parole, Aouda non riuscì ad opporre resistenza, e si lasciò condurre dallo sconosciuto, il quale le procurò in fretta e con garbo un calice di champagne e una piccola tartina. Per tutto il tempo, l’uomo continuò a parlarle di cosa sapeva dell’India e di suo padre di servizio laggiù, mentre Aouda cercava di capire cosa fosse successo a Phileas Fogg, in quelle poche ore, per portarlo dal quasi scherzare con lei, alla più totale freddezza. Aveva forse fatto qualcosa che lo aveva offeso? Dove era finita la sua cortesia, quell’interessamento discreto che la faceva sentire così al sicuro?
Quando tornarono, Aouda vide gli occhi celesti guizzare su di lei e tornare subito sull’interlocutore.
Non riusciva a capire esattamente, ma da quell’occhiata le parve di comprendere che il gentleman la stesse comunque tenendo d’occhio, e la cosa un poco la rassicurò. Finse così di ascoltare il suo corteggiatore della serata, ma con la coda dell’occhio vide una delle sei dame che avevano provato a dare l’assalto al suo compagno di viaggio, ritentare l’impresa, mentre le altre avevano ripiegato su più ben disposti gentiluomini.
Cosa si diceva in Inghilterra, se piovesse tanto, se si cacciasse ancora la volpe, queste furono solo alcune della quantità di domande che la gentildonna americana fece al signor Fogg, il quale, dal canto suo, rimase distaccato, senza traccia di imbarazzo, e rispose col minimo di parole necessario a non apparire maleducato, spesso solo con un sì o un no.
<< Sapete, signor Fox... >>.
<< Fogg >>, soffiò il gentleman, ignorato.
<< Dovreste davvero parlare di più e stare in nostra compagnia per la cena. Sono certa che avreste un sacco di cose interessanti da raccontarci sull’Inghilterra >>.
<< Signora >>, ribattè il gentleman, << Se qualcuno ama istruirsi su un determinato argomento, può aprire un libro. Chiedo scusa... >>.
E dopo questa frase secca, ma contenuta, si allontanò a passo tranquillo, la schiena ben eretta.
Aouda lo vide uscire sul ponte coperto, ma continuò a sorridere all’indirizzo del suo interlocutore, il cui monologo andava avanti imperterrito, stordendola.
Alla dama piantata in asso intanto si era avvicinata una compare.
<< Allora? >>.
<< Peccato, pessimo carattere >>.
Affatto, disse fra sè Aouda, molto urtata da quel commento, Gli stavate solo dando fastidio.
<< Succede sempre così, quando sono molto belli. Nascondono sempre qualche immane difetto >>.
Si volsero entrambe con discrezione a guardare il signor Fogg, che si era fermato accanto al parapetto della passeggiata coperta, appena fuori dalla sala.
<< Con questo la natura è stata alquanto generosa. Hai visto che corpo? >>.
Aouda cercò di non voltarsi quando le due americane, in modo decisamente infantile, presero a ridacchiare sommessamente. Il suo sorriso si era fatto talmente forzato da apparire quasi una maschera.
Visto che aveva perso completamente il filo del discorso del suo interlocutore, al quale annuiva per gentilezza, senza davvero starlo a sentire, colse un altro frammento di conversazione, questa volta portata avanti dai due gentiluomini alla sua sinistra. I due tenevano la voce molto bassa.
<< Come ha detto chiamarsi? >>.
<< Forks, Fogg, qualcosa di simile. Non ho sentito bene. Quell’uomo non parla, bisbiglia >>.
Risero appena, e uno dei due fece segno all’altro perchè si allontanassero un altro po’. Aouda, però, abituata a stare all’erta per i rumori più insignificanti fin da quando era bambina, così da evitare serpenti e animali feroci, riuscì comunque a sentirli molto bene.
<< Inglesi, credono di essere i migliori in tutto >>.
<< Però il signore ha buongusto >>.
<< Eh? >>.
<< Mi riferisco alla donna >>.
<< Oh, quindi voi credete... >>.
<< Ma come, non lo avete capito? È la sua amante. Senza dubbio >>.
Aouda impallidì.
Non poteva credere che quelle persone credessero veramente che fra lei e il signor Fogg ci fosse quel tipo di relazione! Cosa li aveva indotti a crederlo?! Cercò di minimizzare; probabilmente era solo quel gentiluomo, se così lo si poteva chiamare, ad essere troppo malizioso. Ciò che le premeva, era che simili voci non arrivassero all’orecchio del signor Fogg, che lei sapeva molto suscettibile nell’onore, e molto sensibile a tutto ciò che riguardava lei. Avrebbe potuto prendere molto sul serio, come una gravissima offesa, quelle parole.
Non si accorse che egli era rientrato, e che attendeva la fine del suo ... come definirlo? Ascolto, forse, del logorroico signore che era con lei.
Aouda approfittò allora di un momento in cui questi prendeva fiato per dire, << Un momento. Signor Fogg? >>.
<< Signora, secondo il mio orologio, siamo ben tre minuti in ritardo sull’ora della cena >>.
Aouda sorrise appena, grata che egli venisse a liberarla da quel tormento.
<< Signor Fox! >>, fece allora il gentiluomo che aveva fatto le sue insinuazioni poco prima, << Vi unite a noi? >>.
<< Phileas Fogg Esquire >>, lo corresse l’inglese, scandendo nome e titolo con pazienza, << E no. Grazie, signori. Non amo mangiare in compagnia >>.
Detto questo le porse il braccio, e la accompagnò al locale ristorante.
Durante il tragitto, Aouda decise di avventurarsi su un sentiero delicato.
<< Signor Fogg. Non pensate che ora, quei signori potrebbero indispettirsi del fatto che voi accettiate la mia compagnia piuttosto che la loro? >>.
<< Voi siete la persona con cui sto viaggiando. È diverso >>, ribattè Phileas Fogg. E dopo una pausa aggiunse, << E ovviamente la vostra compagnia non mi reca alcun disturbo, anzi >>.
Aouda sentì le guance colorarsi e disse, << Ma sì. Si indispettiscano pure. Cosa ci importa di questa gente? L’importante è che noi stiamo bene l’uno con l’altra >>.
Si fermarono, perchè erano arrivati nell’ampio ristorante del battello. Istintivamente, si misero l’uno di fronte all’altra, nella sospensione di quella frase che lei aveva pronunciato. Si guardarono negli occhi. Lo sguardo del gentleman fuggì quasi subito, ed egli si voltò a scrutare la sala, << Accomodiamoci al tavolo >>.
Aouda abbassò la testa e annuì, cercando di fare chiarezza, mentre si sedevano. Era chiaro che il gentleman evitasse di guardarla negli occhi, come invece era accaduto la notte della tempesta. Era una cosa difficile, perchè spesso, la stessa Aouda sentiva il bisogno di stare occhi negli occhi col suo salvatore. La cosa però metteva il signor Fogg a completo disagio, ora Aouda ne era sicura. Che credesse che, da parte sua, ci fosse un interesse particolare, e volesse scongiurare quella possibilità? In tal caso, Aouda si stava dimostrando come la sua educatrice aveva sempre ritenuto: decisamente immorale. Il signor Fogg tentava di mantenerla a distanza per disilluderla sui loro rapporti? E perchè avrebbe dovuto disilluderla? Aouda non era certo... innamorata di lui. Assolutamente. Era solo grata. Solo grata. Solo grata. Voleva mettersi ad urlarlo, per far penetrare il concetto dentro se stessa.
Eppure, cominciava seriamente a dubitare.
E come non dubitare quando si aveva accanto un uomo tanto... cortese, generoso, coraggioso, leale... bello. Era sempre più bello, accidenti, e Aouda non si spiegava questo particolare. E gli abiti elegantissimi e raffinati non c’entravano, visto che anche sulla goletta, con i vestiti pregni di salsedine e tutto rovinato, lo aveva trovato comunque... divino. Forse sono io. Si disse, un po’ scossa. Ma niente paura. Potrebbe essere una normale, sebbene infantile, infatuazione...
Non ebbe tempo di riflettere oltre, perchè egli la distolse, chiedendole, << Volete provare la Reading Sauce? >>.
<< Oh, volentieri... signor Fox >>, rispose Aouda, scherzosa.
E il miracolo si produsse.
Lo stomaco di Aouda sprofondò da qualche parte nelle sue viscere quando Phileas Fogg sorrise.
Un sorriso breve, ma aperto e sincero, che le mostrò quei suoi denti bianchi e perfetti.
Un momento magico che si impresse in lei per le ore seguenti, nonostante i suoi numerosi tentativi di accantonare l’immagine mentale.
<< Gliel’ho ripetuto due volte >>, commentò in un sussurro piccato il signor Fogg, restituendo le carte e ordinando per entrambi.
E durante la cena, nonostante l’aria molto rilassata, ritornò il solito, impassibile, poco loquace Phileas Fogg.
 
 
Il 14 novembre, dopo tre giorni di navigazione sul General Grant, si fece tappa a Yokohama.
Phileas fece avvertire la signora Aouda che sarebbero sbarcati subito, in quanto avevano poche ore a disposizione per trovare traccia di Passepartout, se mai fosse giunto in Giappone prima di loro.
Aouda fu velocissima come sempre, e nonostante ciò, sempre estremamente ... stupenda.
Mentre scendevano la passerella del battello e si mischiavano alla folla variopinta della città giapponese, Phileas si abbandonò ai pensieri, ricordando quei tre giorni di navigazione. A partire dalla prima sera, quando, dopo i fastidi provocati dagli altri passeggeri, incuriositi dal loro inconvenzionale arrivo a bordo, era riuscita a farlo sorridere. Lei non sapeva di essere una delle poche persone al mondo ad esserci riuscite. Anzi, una delle tre era stato un cane, figurarsi. Phileas non sorrideva mai per cortesia, o perchè era una convenzione sociale; non gli interessava più da tanto tempo delle suddette. Piacere alla gente non era nell’elenco delle sue priorità, e nemmeno in quello delle sue preoccupazioni minori. Semplicemente, sorrideva quando ne aveva voglia, quando qualcosa veramente gli provocava quella reazione. E in circa quindici anni, non era più successo. Sì, arricciava ancora le labbra con condiscendenza, ma quel gesto non era ispirato da una qualche forte emozione. Aouda lo aveva divertito. Divertito. Molto. Lei era... brillante. Intelligente, mai scontata. Profonda, anche. Non lo so. Può esistere davvero una donna così? Sembrava di sì, perchè la signora Aouda era reale. Viva e vegeta, anche, grazie al cielo. Se pensava allo spreco che quegli indù stavano per compiere solo tre settimane prima! Uccidere qualcuno nel quale si incarnavano così tante qualità, era oltre ogni decenza.
 Mille altre volte, con senno di poi, Phileas si sarebbe lanciato sulla pira in fiamme per salvarla, e sarebbe volentieri morto per impedirne la tremenda fine. Questo ovviamente se Passepartout non avesse rimediato altrimenti. Passepartout.
Lo devo trovare. Assolutamente.
Phileas non sentiva mai la mancanza di nessuno. Non gli era mai capitato, forse perchè al mondo erano poche le persone che aveva amato così tanto da suscitare in lui quel sentimento. Adesso però gli mancava Passepartout. Non i suoi servigi. Proprio... lui. Quel suo accidenti di accento. Il suo continuo lamentarsi che si sarebbe tardato. Solo il ricordarlo gli faceva venire voglia di sorridere.
Aouda e Passepartout. Non c’erano persone alle quali tenesse più che a loro due. In un modo che non riusciva a spiegarsi nemmeno provandoci.
Attraversarono una frotta di ragazzini, e trovarono in fretta, presso il dock, il Carnatic ancorato al porto. Era arrivato il giorno precedente.
Phileas domandò ad uno dei marinai di condurlo dal capitano, e a questi chiese di consultare la lista passeggeri. In effetti, il nome di Passepartout figurava nell’elenco.
<< Eccolo qui >>, disse Phileas, alzando subito la testa in un gesto spontaneo, come se il giovane potesse comparirgli davanti come per magia.
Aouda gli si aggrappò ai polsi che reggevano ancora la lista ed emise un gemito di contentezza, << Dobbiamo trovarlo, signor Fogg! >>.
 << Certo. Certo >>, le assicurò lui, con calma.
Però Phileas non sapeva dove cercare.
Yokohama non era una città piccola, e il giovane aveva ben un giorno di vantaggio su di loro. Poteva essere andato ovunque, e loro avevano poche ore prima di reimbarcarsi per l’America.
Bene. Si disse Phileas. Il primo posto dove chiedere di lui era ovviamente il consolato francese e inglese. Vi si recarono subito, ma in entrambi gli uffici venne loro detto che il francese non si era presentato.
Probabilmente per orgoglio, pensò Phileas. Passepartout, forte anche di quel suo nomignolo, doveva aver pensato di riuscire a cavarsela da solo. Questo, però, complicava le cose.
<< Cosa facciamo, signor Fogg? >>, gli chiese Aouda, preoccupata.
Phileas si massaggiò i baffi, pensoso, << Torniamo verso il porto. Forse ci sta aspettando lì >>.
Aouda annuì. Mentre percorrevano la strada in direzione dei docks, si ritrovarono a passare fra ristoranti all’aperto, e varie bancarelle. Si trattava di una specie di festival, o così parve a Phileas.
Un gruppo di ragazzini che reggevano un cartello colorato tagliò loro la strada.
Phileas vide che il cartello era scritto in inglese, e lesse trattarsi dell’avviso riguardo uno spettacolo ambulante di acrobati.
Si fermò.
Aouda, al suo braccio, si bloccò a sua volta e lo guardò perplessa.
Phileas ricordò il suo colloquio con Passepartout quando lo aveva assunto. Gli aveva detto di essere stato pompiere, ginnasta, cantante ambulante... forse...
<< Venite >>, disse pacatamente alla signora Aouda.
Seguirono il corteo di ragazzini, ed entrarono in un teatro in legno, dove si esibivano gli acrobati detti Nasi Lunghi. Questi circensi indossavano un abito simile a quelli medievali giapponesi, e un’appendice sul naso, lunga svariati pollici, sulla quale compivano i loro difficili esercizi. In quel momento, stavano formando una piramide umana.
Phileas guardò per un po’, poi scrutò la folla, infine mise mano all’orologio. Mancavano soli dieci minuti alla ripartenza del General Grant.
Doveva essere lì. Non aveva soldi. Nè bagagli. Nè cibo. Il modo più veloce per procurarsi queste cose era tornare alle origini. Si torna sempre alle origini.
Aouda sollevò il suo bel volto, incupito dalla preoccupazione e dalla delusione, sul suo. Non gli piaceva vederla triste. Non gli piaceva affatto.
In quel momento, la folla emise un sospiro comune. Davanti a loro, sul palco, gli acrobati crollavano l’uno sopra l’altro, in un groviglio di ali variopinte.
<< Padrone! >>.
Era lui. Passepartout. Ma dove...?
<< Padrone! Sono io! >>.
Uno degli acrobati stava schizzando verso di loro. Quando gli fu di fronte, Phileas lo riconobbe sotto il naso di legno e il costume.
<< Voi? >>.
<< Proprio io! >>.
<< Quand’è così, ragazzo mio, al piroscafo! >>, gli disse Phileas, battendogli la mano sulla spalla.
Mancavano sei minuti.
Si misero a correre.
A Phileas non piaceva farlo, significava che non era in orario.
Ma quando bisognava correre, bisognava correre.
E fortunatamente, arrivarono giusto in tempo per la partenza verso San Francisco.
 

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Capitolo 7
*** Agitazioni transpacifiche ***


General Grant, traversata del Pacifico, dal 14 al 2 dicembre 1872


I giorni a bordo del piroscafo che compiva la rotta transpacifica del viaggio furono decisamente più tranquilli della prima sera, soprattutto dopo che la storia di come Aouda e il signor Fogg erano giunti a bordo dalla goletta ebbe esaurito il suo fascino. Ben presto divennero due passeggeri sconosciuti qualunque, anzi tre, visto che Passepartout si era finalmente riunito a loro.
Aouda gli aveva narrato con entusiasmo tutto ciò che era accaduto da quando lo avevano perduto, e Passepartout si era scusato mille volte col suo padrone per una imperdonabile nottata di bevute in una fumeria di Hong Kong, dove aveva finito per essere intossicato dall’oppio.
<< Un signore di nome Fix e che diceva di conoscervi è salpato con noi sulla Tankader >>, disse Aouda, notando il cipiglio un po’ turbato del servo a quell’affermazione.
<< Oh, un compagno di viaggio col quale ho parlato spesso >>, disse il francese, annuendo, << Amabilissimo >>.
Aouda terminò la seconda delle lunghe trecce con le quali aveva deciso di acconciarsi quel giorno e sospirò, << Sono contenta di riavervi con noi, Passepartout. Mi siete mancato >>.
Il giovane sorrise con giovialità, << Anche voi, signora Aouda >>, fece una piccola pausa, con gli occhi azzurri che brillavano di una luce furba, << Se cercate il signore, è nel salone del ponte B >>.
Aouda fece vagare un po’ lo sguardo attorno, sperando che il francese non si accorgesse del suo rossore, << E... era impegnato? Forse con dei giocatori di whist? >>.
<< No >>, rispose Passepartout, << Stava badando agli affari del suo viaggio >>.
<< In tal caso... visto che qui mi annoio un po’, forse andrò a disturbarlo >>.
<< Non credo lo noterete, ma di sicuro gli farà piacere >>.
Aouda rise di quell’innocente abitudine di Passepartout di prendere in giro l’impenetrabilità del suo padrone, e salutò il servo attraverso lo specchio.
Una volta sola, fissò la propria immagine, un poco combattuta.
Si alzò, andò al lavamano e raccolse un panno insaponato, esitando qualche istante prima di strofinarlo delicatamente sulla fronte, e cancellare così le ultime tracce, seppur ancora evidenti, del suo tilaka matrimoniale.
Va bene, Aouda. Non sei più una donna sposata.
È ora di aprirti verso la tua nuova vita.
Di andare... verso di lui.
Si osservò per un altro lungo attimo, poi si levò, e guidò le gonne fuori dalla porta della lussuosa cabina, fino al salone indicato.
Il signor Fogg era in effetti là, seduto ad un tavolo in disparte coperto di carte.
Il pomeriggio di inizio inverno era fulgente, e un sole che si rifletteva sull’acqua del mare, seppur pallido e un po’ nembo, rendeva l’atmosfera del bellissimo salone molto luminosa. Phileas Fogg era vestito di chiaro, il che lo amalgamava splendidamente all’ambiente, come una di quelle mirabili statue che si sposavano armoniosamente in un dato paesaggio.
Aouda, che sorrideva un attimo prima, fu turbata dalle proprie sensazioni.
Subito le si mozzò il respiro, sentì un nodo allo stomaco, e un’ondata di calore le salì dal collo al viso, provenendo da una decisa stretta al cuore. Si fermò, per cancelare gli eventuali segnali fisici di quello stato d’animo e riprendere il controllo di sè. Per rimproverarsi anche, come se la colpa fosse direttamente sua. Perchè?! Perchè?! Quelle emozioni, che ricordava fin dai primi giorni del suo viaggio in compagnia dell’inglese, e che lei ancora attribuiva, razionalmente almeno, alla gratitudine, stavano prendendo il sopravvento e diventavano sempre più violente, incontrollabili.
Aouda strinse i pugni e si avviò.
Phileas Fogg sedeva al tavolo con la schiena dritta, come sua normale postura, ma era un po’ chino in avanti e stava scrivendo qualcosa con una bella penna stilografica nera e dorata.
Mentre si avvicinava, ancora non vista, Aouda notò particolari che sembrarono pioverle addosso come fuoco di artiglieria; il sole che giocava sui capelli del gentleman ad ogni suo piccolo movimento, trasformando i più chiari in fili d’oro lucente, il contrasto fra il suo incarnato d’avorio e il color beige della giacca che egli indossava aperta, sopra un panciotto di seta bordeaux, la forma affusolata delle sue dita, le quali tuttavia andavano a formare una mano grande, virile. La sua espressione era intenta, concentrata, proprio come la prima volta che lo aveva guardato, nello scompartimento del treno per Calcutta, dopo essere morta e rinata a causa sua.
La sua ombra che si proiettava sul tavolo la tradì, e il gentleman alzò la testa, raddrizzandosi un poco, << Signora Aouda >>.
<< Signor Fogg. Spero di non disturbare >>.
Egli scosse il capo, << Affatto. Avevo quasi finito. Gradite del tè? >>.
<< Magari dopo. Se vorrete farmi compagnia >>.
<< Certamente. Datemi solo un attimo >>.
Aouda esitò un secondo, poi disse, << Posso sedermi? >>.
<< Oh, sì. Naturalmente >>.
Lei sbirciò la quantità di fogli che copriva la superficie. C’era una carta geografica, non tanto grande, che recava il segno di come solitamente fosse ripiegata in due e trasportata dentro un libro, o dentro lo stesso Bradshaw, verosimilmente, che era riposto, chiuso, sopra di essa, con la sua copertina rossa dall’intestazione dorata. Il signor Fogg aveva invece aperto davanti a sè un piccolo quaderno nero, sul quale, prima che lei lo interrompesse, stava facendo dei calcoli.
Aouda sbirciò e lesse: Trans. Pacif. 20 d. 480 h. 28.800 min.
Il signor Fogg poi trascrisse quel calcolo su un altro quaderno, un po’ più grande, che lei gli aveva visto maneggiare molto spesso, soprattutto quando salivano sui treni, o nei momenti di pausa del viaggio.
Due pagine aperte e contigue erano divise in righe e colonne, come una tabella. Su ogni riga era indicata una città del mondo, e sulle colonne... Aouda non riusciva a leggere.
<< Posso vedere? >>, domandò, intuendo cosa stesse osservando. Il famoso “programma”, quello nel quale, in un modo o nell’altro, doveva rientrare anche lei, come da scusa tipica del gentleman per ogni carineria che le riservava.
<< Sì >>, soffiò Phileas Fogg, apparendo un poco stupito che a lei interessassero quelle cose.
Aouda consultò il programma con le labbra piegate all’insù. Era... emozionata. E ammirata. Per ogni città che doveva essere toccata dal viaggio in giro per il mondo, il signor Fogg avava annotato data di presunto arrivo, giorno, ora e minuto, e data di effettivo arrivo. Un’altra colonna era riservata al calcolo del tempo guadagnato o perduto, e un’altra a degli scarni appunti, per esempio “perso piroscafo Carnatic, ovviato con goletta Tankader, 800 miglia, intercettato piroscafo Gen. Grant a 3 miglia da Shangai”. E così via. Aouda andò indietro a prima del loro incontro, e lesse tutto quello che il signor Fogg aveva fatto, riassunto in quello schema, fino all’arrivo in India e all’acquisto dell’elefante. L’Indian Peninsular Railways era incompleto, ogni altro mezzo a Colbi preso, e Aouda si rese conto solo in quell’istante che la sua salvezza era dipesa da semplici quanto incredibili circostanze che si erano susseguite, piccoli e grandi incidenti e contrattempi, a partire dai due giorni di guadagno che il signor Fogg aveva puntigliosamente segnato nella colonna dei guadagni, fino all’attraversamento forzato delle foreste del Bundelkund in groppa a Kyuni.
Il destino... , pensò, riconcentrandosi poi sul meticoloso lavoro del suo compagno di viaggio. Emozionata e ammirata, proprio così, dallo scrupolo con cui egli aveva tenuto quel programma. Il modo in cui era organizzato le parlò dell’uomo che era, di come lavorava la sua mente, di come era logica la sua intelligenza. Logica e matematica. Il programma del signor Fogg le mostrò una parte della sua anima, e Aouda sentì quasi le mani che tremavano.
<< Bello >>, commentò, restituendogli il quaderno.
<< Bello? >>, chiese lui, in quel suo tono di voce un po’ sussurrato.
<< Proprio così >>, disse Aouda, guardandolo negli occhi, << Il vostro modo di ragionare è chiaro, schematico, assolutamente organizzato. Ora capisco perchè siete così sicuro di riuscire. È un calcolo matematico, questo viaggio. Almeno per voi >>.
<< Sì >>, rispose Fogg, << Non avrei scommesso ventimila sterline se non fossi certo che fosse possibile attuarlo >>.
<< Non avete paura di perdere la vostra fortuna? Voglio dire... >>.
<< No >>, la interruppe il signor Fogg, << Perchè non perderò >>.
Aouda sorrise con divertita condiscendenza, e decise di non mettere in discussione tanta risolutezza.
<< Però state spendendo molto denaro >>, mormorò, addocchiando un foglio coperto di quelli che erano, senza dubbio, i calcoli delle spese fatte fino a quel momento, << E mi dispiace di pesare sul vostro bilancio >>.
<< Signora Aouda >>, scandì Phileas Fogg, riservandole un lieve sorriso,  << Il denaro è fatto per essere speso. Con raziocinio e decenza, certo, ma la sua funzione è innegabile >>.
Aouda cercò di leggere nel suo sguardo la risposta alla domanda che le era giunta spontanea dopo quella sua affermazione. Avrebbe voluto chiedergli se tutto il suo denaro lo avesse mai reso felice. Eppure, guardando in quei suoi occhi celesti, splendidi ma impenetrabili, la risposta era chiara.
No. Phileas Fogg non era un uomo felice.
Viveva senz’altro una vita comoda, a Londra, regolata in ogni dettaglio dai ticchettii del suo orologio. Ma se davvero avesse amato quell’esistenza, comprese Aouda, egli non l’avrebbe mai messa a rischio in ogni modo possibile con quel viaggio. Per quanto sicuro della riuscita potesse essere.
Phileas Fogg spostò gli occhi sulla sua fronte, e questi si fecero interrogativi.
Aouda abbassò lo sguardo, un poco imbarazzata. Non credeva possibile che lui si accorgesse che non aveva più il tilaka; per sua esperienza, gli uomini erano poco osservatori rispetto a queste cose, specie se non rientravano nella loro cultura.
Il signor Fogg si voltò di nuovo completamente in direzione delle sue carte con gesto un po’ meccanico, e il suo viso assunse un cipiglio di finta indifferenza che la fece sorridere.
Aouda dubitava che egli comprendesse il senso recondito e, in un certo qual modo, romantico, della sparizione di quel marchio indiano, anche se non escludeva che conoscesse il suo significato sociale.
Si alzò e fece per spostarsi nel salottino attiguo, << Vi aspetto per il nostro tè, allora >>.
Il signor Fogg annuì, e anche quella giornata scorse veloce come il piroscafo sull’Oceano Pacifico.
 
 
 
Nella giornata del 18 novembre, Aouda chiese a Passepartout di riferire al suo padrone di scusarla per quel giorno, se non sarebbe comparsa sopracoperta.
<< Vi sentite poco bene? >>, si preoccupò subito il francese.
<< No >>, lo rassicurò lei, << Ho solo... nostalgia di casa >>.
Lo guardò, e fu certa che Passepartout avesse compreso che si trattava solo di una scusa, e che la sua nostalgia era di natura diversa.
Aouda aveva bisogno di stare un giorno da sola. Per riflettere. Per capire.
Passepartout annuì e le sorrise con incoraggiamento, lasciandola.
Aouda si distese sul comodo letto della sua cabina, e abbracciò il cuscino con un lungo sospiro.
La notte precedente, o forse al primo mattino, aveva sognato il signor Fogg. Anzi, Phileas, come era autorizzata, dalla sua coscienza, a chiamarlo nel sogno. Passeggiavano, come avevano fatto spesso anche nella realtà, ma in un meraviglioso giardino soleggiato. Poi si fermavano accanto ad un alto albero, e si abbracciavano fortissimo, come lei ora stava facendo con l’inerte ammasso di piume.
Il cuore di Aouda aveva preso il volo, e ancora lo faceva, al ricordo delle effimere sensazioni provate.
Non era vero niente, comunque, e lei stava facendo solo castelli in aria, perchè Phileas Fogg, quello vero, era identico al “normale se stesso” del loro secondo tè. Non era cambiato niente in lui, e Aouda si sentiva stupida, a pensare... già, a che cosa?
Serrò gli occhi, provando ad escludere tutto quanto.
Che cosa provo, veramente? Se non capisco questo, per prima cosa, come posso pensare di decifrare lui?
Cercò di andare con ordine.
Gratitudine.
Sì. Immensa.
Gli voglio bene?
Sì, oh, tanto!
Quello era un sentimento che aveva scoperto da poco. Ma era diverso dall’essere affezionata a qualcuno. Certo, era anche questo. Era affezionata sia a lui che a Passepartout, e anche a quest’ultimo voleva bene. Ma in modo differente. Come, era un mistero per Aouda. Il sentimento, quello per Fogg, le faceva anche paura, cosa che si sforzò di combattere. Doveva mettere da parte i timori per poter essere sincera con se stessa.
Mi attrae...?
Sì. Incontestabilmente.
E non si trattava solo di una mera questione fisica. Di uomini belli ne esistevano tanti, dopotutto.
Phileas Fogg era anche... affascinante, nella sua stranezza. Era... interessante. Innegabilmente sagace, intelligente, dotato di una buona dose di furbizia e navigatezza, data dall’età e dall’esperienza, soprattutto nel campo della marina, e in generale, dei viaggi. E poi la sua calma; un tale sangue freddo anche nelle situazioni più incredibili era capace di farle pensare che sarebbe andato sempre tutto bene. Poi, era un uomo buono. Educato. Paziente. Galante. Generoso. Aouda poteva continuare all’infinito.
Aveva anche difetti. Certo.
La sua fissazione riguardo il tempo, sebbene ad Aouda paresse di più una caratteristica piuttosto che un vero e proprio difetto. Inoltre... ci pensò un po’ su. È difficile capire cosa prova; di conseguenza, le persone, lei compresa a volte, non sapevano come approcciarglisi. Spesso non si capiva se fosse di buonumore o di cattivo umore, anche se Aouda stava imparando a decifrarlo un pochino. E avrebbe voluto avere tutto il tempo del mondo per capirlo volta per volta, per arrivare a conoscerlo a memoria, ogni giorno un po’ di più.
E poi venne la domanda che la tormentava.
Lo amo?
Aouda non lo sapeva. Come poteva capirlo, se non era mai stata innamorata in vita sua?
Quello che sapeva, era che non avrebbe voluto mai separarsi dal signor Fogg. Auspicava per lui tutto il bene del mondo, avrebbe voluto che fosse felice, sempre. Avrebbe voluto essere felice anche lei, assieme a lui.
L’idea la sgomentò. Come si era ritrovata a provare tutte quelle cose, quasi a sua insaputa?! Sembrava che il suo stesso cuore le giocasse un brutto tiro!
E se fosse tutta colpa di quel sogno?
O era forse il sentimento che aveva ispirato quest’ultimo?
Si fece allora un’altra semplice domanda: se, ragionando per assurdo, mi chiedesse di vivere con lui, in Inghilterra, come sua moglie, cosa gli risponderei?
Sì.
Dio, sì.
<< Oh, no! >>, gemette Aouda, ad alta voce.
 
 
 
Tre colpi discreti alla porta.
<< Venite >>, disse Phileas, riconoscendo il modo di bussare del suo domestico.
Mentre Passepartout entrava, si affrettò a posare il libro sul tavolino accanto alla poltrona, con la copertina rivolta verso il basso. Solo il cielo sapeva che idee avrebbe potuto farsi il francese se avesse visto che stava leggendo un libro sull’India.
<< Signore. Il vostro tè >>.
Phileas lanciò una rapidissima occhiata all’orologio sopra la cassettiera, e vide che Passepartout aveva spaccato il minuto.
<< Grazie >>, gli disse, indicandogli il tavolino.
Passepartout posò metà del vassoio e prese il libro, che evidentemente credeva abbandonato, per assicurare la teiera fumante sulla limitata superficie disponibile.
Phileas provò un brivido gelido nell’osservare il giovane voltarsi alla libreria della camera e riporre l’oggetto. Naturalmente, prima di metterlo via, ne lesse il titolo, da curioso qual era.
Phileas si affrettò a fingere indifferenza. Versò il tè nella tazza e aggiunse una zolletta e un po’ di latte, mescolando tre volte in senso orario e tre in senso antiorario.
<< Signore, desiderate qualcos’altro prima che mi ritiri? >>.
<< No, Passepartout, grazie. Fra venti minuti sarò al letto, come sempre >>.
Il servo piegò brevemente il busto. Fece per uscire, ma tornò indietro.
<< Signore... Perdonate... >>.
Phileas lo guardò di sottecchi, << Sì? >>.
<< Spero... auspico... che abbiate perdonato la mia notte brava di qualche giorno fa. Io davvero... >>.
<< Vi siete già scusato. Sul serio, Passepartout, fortunatamente si è posto rimedio alla situazione. E dopotutto... >>, aggiunse, in un tono più sommesso, << ... vi capisco, sono stato giovane anch’io >>.
<< Ma voi siete ancora giovane, signore! Perbacco! >>.
Phileas non ribattè, nè mosse alcun muscolo facciale a quell’accorata osservazione.
Davvero? Quarant’anni, quattro mesi e dodici giorni. Sì, era ancora giovane, almeno esteriormente. Dentro, però, per gran parte della sua vita, si era sempre sentito vecchio. Soprattutto quel giorno, di nuovo solo con se stesso, senza la compagnia di Aouda.
Era stata una giornata perfettamente regolata, come di rado gli era capitato da quando era partito. Ogni sua azione compiuta nell’ora stabilita, con un Passepartout puntualissimo e sollecito, per certo desideroso di farsi perdonare. Eppure, Phileas non aveva gioito troppo della sua ritrovata routine. La sua zona di comfort... non gli dava più comfort.
L’infatuazione per Aouda poteva ben essere una cosa seria.
No, non è così. È semplicemente... tardi per queste cose. Se fosse esistita una donna capace di capirmi e di accettarmi, l’avrei già incontrata. Per me è tardi, ormai.
E Aouda non pensava nemmeno lontanamente a lui. Non in quel senso. Non era il caso di farsi illusioni.
Se avessero trovato a Hong Kong quel suo cugino, e l’avesse lasciata là con lui, forse queste fantasticherie inutili non gli avrebbero nemmeno sfiorato la mente, ed egli avrebbe ritrovato il suo equilibrio. Ma sarebbe stato molto triste. Esattamente come quella lunga, noiosa giornata.
Aouda dava un senso ad ogni momento del giorno, ad ogni attimo di quel viaggio, che senza di lei sarebbe stato soltanto un vuoto vagare.
E quando lei non c’era, Phileas la cercava... in un libro.
Avrebbe dovuto leggerne un milione, una volta tornato in Inghilterra, per sfamare quel bisogno.
Aouda, di certo, avrebbe scoperto i giovani gentleman della buona società inglese, quelli veramente giovani, suoi coetanei, magari. Quelli che erano ricchi perchè il loro padre lo era stato, e il padre del padre prima di loro. Ed egli avrebbe dovuto sopportare di vederla passeggiare al braccio di uno di loro, di vederla sposata con uno di loro. Tutti quei pensieri lo stordivano. Il senso di ribellione, che egli cercò e riuscì a tenere imbrigliato, gli diede un deciso mal di stomaco. Prese un lungo sorso di tè per calmarsi.
Mi sto rodendo per niente, si disse. Sono cose che capiteranno, e le devo accettare già da ora. Devo... prepararmi psicologicamente a perderla.
<< Signore >>.
Il francese era ancora là.
<< Sì, Passepartout, puoi andare a dormire >>, gli disse, senza guardarlo.
<< Ecco, io... volevo solo... >>.
Phileas sollevò lo sguardo.
<< La signora Aouda mi ha chiesto di dirvi che stasera stava già meglio, e che domani mattina sarà a colazione come sempre >>.
Phileas non lasciò trapelare il sollievo. Annuì e disse, << Molto bene >>, in tono monocorde, << Buonanotte >>.
<< Buonanotte, signore >>, e Passepartout si defilò.
 
 
 
Il sole filtrava fra le nuvole, e inondava parte del ponte coperto e la passeggiata del ponte alto.
Il vento però era freddo, e Aouda aveva indossato la cappa sopra un abito di lana.
Alla fine della sua giornata di riflessione, intorno alle sette di sera, si era pentita di aver perduto così tante ore da poter trascorrere assieme al signor Fogg. Tant’è che era giunta alle sue conclusioni già dal mattino! Doveva però decidere cosa fare, come comportarsi. Respingere i propri sentimenti per l’inglese? Reprimerli? Nasconderli? Aouda aveva pensato di farlo, ma era certa che non sarebbe riuscita nell’impresa. E una volta accantonati i timori, quel sentimento era così bello, così compenetrante, da non poter far altro che abbandonarsi ad esso. Voleva vivere le emozioni che derivavano dall’essere innamorata per la prima volta in vita sua. La prima e l’unica volta.
Naturalmente, non voleva nemmeno agire come una di quelle donne che ancora, molto spesso, ronzavano attorno al signor Fogg. Ed io che pensavo di essere immorale!
Aouda non voleva imporsi. Non voleva essere esplicita. Non perchè non fosse nel suo carattere, ma perchè non aveva idea di come il signor Fogg potesse reagire, se messo alle strette da delle attenzioni così singolari da parte sua. Non voleva che le cose si guastassero fra di loro. Voleva vivere quel viaggio incredibile con lui, fino alla fine. Forse, dopo, quand’egli sarebbe stato libero dal pensiero della scommessa, avrebbero potuto discuterne.
Nel frattempo, però, Aouda voleva mostrarsi disponibile nei confronti del gentleman. Voleva fargli capire che la sua gratitudine stava traboccando in un sentimento diverso. Senza essere diretta. Con piccoli gesti. Parlandogli con gli occhi. Così forse avrebbe anche capito a sua volta cosa passasse per la testa di lui.
Si erano incontrati sul ponte all’uscita dalle rispettive cabine, e adesso si stavano dirigendo a colazione.
Il signor Fogg si era subito premurato di chiederle se stesse bene. Aouda aveva risposto che sì, era in perfetta salute.
<< Dovete scusarmi per ieri. Un patema d’animo passeggero >>.
La versione ufficiale era quella, e ormai non poteva cambiarla.
Phileas Fogg camminava col suo passo lento e distinto che a lei piaceva tanto, reggendo con disinvoltura un elegante bastone da passeggio in ebano dal pomello argentato.
<< Non vi preoccupate, signora Aouda. L’importante è che sappiate di poter contare su di me per ogni vostra necessità >>.
Aouda sorrise, << Siete molto caro >>, disse a mezza voce, scegliendo accuratamente di non usare la parola “gentile”, come di norma avrebbe fatto, ma un altro termine, più confidenziale.
La cosa non parve sortire alcun effetto, e Aouda abbassò la testa, in un momento di scoraggiamento.
Non ha alcun interesse per me. Non dal punto di vista che vorrei.
Entrarono nella sala ristoro, e si accomodarono ad un tavolo appartato, ben illuminato dal timido sole novembrino.
Quando la colazione fu quasi terminata, il signor Fogg le chiese, << Signora Aouda, gradite un altro po’ di tè? >>.
<< No, grazie, signor Fogg. Uhm... >>, esitò, prendendo coraggio, << Mi piacerebbe che d’ora in avanti mi chiamaste solo Aouda, se non vi dispiace >>.
Lui sollevò lo sguardo dal rivolo di tè che calava pigro nella sua tazza, e puntò gli occhi nei suoi per un lungo attimo, immobile.
<< Come preferite, Aouda >>, rispose però l’attimo dopo, posando con flemma la teiera vuota.
Aouda, ancora riscaldata dal suono della sua voce profonda che la apostrofava in modo così intimo, gli guardò le mani, ma non vide il minimo tremore, nè alcun cenno di emozione sul suo volto. In più, il signor Fogg non aggiunse altro, e non la autorizzò a sua volta a chiamarlo per nome, come lei sperava di ottenere. La cosa le fece precipitare l’umore sotto le scarpe. Si volse a guardare fuori dal grande oblò ad arco, cercando di non far trasparire troppo la delusione.
<< Mi rincresce >>, le disse il gentleman, << Che l’India vi sia ormai preclusa >>.
Aouda lo guardò. Davvero credeva che avesse nostalgia? Non avete capito niente di niente, signor Fogg. E forse non lo capirete mai. O magari, più verosimilmente, non volete capirlo.
Non gli rispose, e la conversazione morì di colpo, portando un silenzio che durò per più di cinque minuti, tanto più abissale considerando che il gentleman aveva ormai finito quel poco di tè rimasto, e non stava perciò compiendo nessuna azione che riempisse il vuoto. Aouda si stupì, perchè la gente, di solito, in situazioni simili diceva sempre qualcosa, anche una sciocchezza, per evitare momenti di così prolungata quiete. Ma Phileas Fogg no. Non temeva il silenzio, non lo turbava. Gli era complice.
In quella, un inserviente della sala si accostò con un mezzo inchino e le porse un vassoio sul quale si reggeva una piramide formata da delle barrette avvolte in modo decorativo in dischetti di pizzo.
<< Oh, non... non l’ho richiesto... >>, disse Aouda all’uomo, convinta che avesse sbagliato tavolo.
L’inserviente però scoccò una rapidissima occhiata al signor Fogg e non si mosse.
Phileas Fogg intanto aveva assunto quella sua aria di finta indifferenza e si era messo a fissare fuori dalla finestra.
Aouda sentì le guance colorarsi e il cuore rinfrancarsi. Sorrise con tutto il deliziato imbarazzo che provò.
L’inserviente posò il vassoio al centro del tavolo, e Aouda osservò le barrette, di un color marrone tendente al nero, che facevano un bel contrasto con le bianche confezioni di pizzo.
<< Che cos’è? >>, chiese, quasi fra sè, << Ha un odore buonissimo... >>.
<< Cioccolato >>, rispose il signor Fogg, con un sorriso appena accennato.
Aouda trattenne il fiato rumorosamente, << Ne ho sentito parlare... >>.
E non è un dolce a buon mercato...
<< Dicono che faccia bene all’animo e al morale >>.
Il signor Fogg aveva pronunciato quelle parole con il solito distacco, senza guardarla direttamente, e Aouda lo fissò, sconcertata da quel pensiero così tenero, soprattutto considerando il fatto che lei non aveva affatto nostalgia di casa! Passepartout gli aveva per certo riferito quella scusa che lei aveva usato, ed egli si era subito prodigato per farla stare meglio...
<< Signor Fogg... io... grazie. Non so come... >>.
<< Non c’è bisogno, signora. Aouda >>.
Guardò il vassoio e lei si lanciò all’assaggio, con un enorme sorriso.
Il cioccolato era... non c’erano parole. Era quanto di più gustoso, nell’accezione più sconvolgente del termine possibile, esistesse.
<< Volete...? >>, chiese Aouda, offrendo di favorire.
Phileas Fogg però scosse il capo, << Grazie, ma no, grazie. Non fa per me >>.
Aouda ridacchiò, << Non vi piace farvi tirare su il morale da un dolce, signor Fogg? >>.
<< Non ne ho bisogno >>, stette al gioco lui, usando quel tono pimpante che la riempiva di gioiosa sorpresa, << Il mio morale è perfettamente bilanciato >>.
Aouda non resistette, e scoppiò a ridere sommessamente. Quando si sporse per prendere un’altra barretta, notò che nel fondo del vassoio c’erano due pezzi di carta che assomigliavano a dei biglietti.
<< E questi? >>.
Fogg rimase impassibile.
Aouda lesse e comprese che si trattava appunto di due biglietti per un concerto di pianoforte che si sarebbe tenuto a bordo quella sera. Rialzò la testa.
<< La musica ha un potere riequilibrante sullo spirito >>.
Aouda cercò di non mostrare troppo il fatto che il cuore le stesse battendo così forte da scuoterla, e mormorò la domanda quasi a mezza voce, << Vi piace la musica? >>.
<< Sì >>, rispose il signor Fogg, con naturalezza, << A chi non piace? La musica è una forma d’arte >>.
<< Beh, ora che l’ho assaggiato, posso dire che anche il cioccolato lo è >>.
 
 
 
Phileas consegnò il cappello e il bastone al valletto, il quale attese che si sfilasse i guanti, quindi prese in consegna anche la pelliccia della signora Aouda.
Entrarono nel salone adibito ad uditorio, e presero posto sulle morbide poltrone, ai piedi di un basso palco sul quale stava il pianoforte, un bello strumento a coda, le cui corde dovevano per certo essere fatte di ferro, vista l’ampiezza della sala; solo così il suono si sarebbe propagato in modo piacevole e avrebbe soddisfatto il nutrito pubblico.
Aouda si accomodò agevolando le gonne in modo molto elegante, ma con quella sorta di accortezza un po’ incerta che caratterizzava ogni suo gesto. Quando si erano incontrati, pochi minuti prima, gli era sembrata più serena rispetto a quella mattina. Non aveva smesso di sorridere un attimo, e lo guardava con gli occhi enormi e colmi di aspettativa. Phileas aveva dovuto cercare ogni volta un altro punto al quale rivolgere il suo sguardo, perchè quelle profondità nere e brillanti sembravano risucchiarlo e togliergli ogni brandello di razionalità.
Quella sera lei aveva prestato parecchia cura nell’acconciarsi, lasciando calare due corpose bande un poco ondulate ai lati del viso, e girandole sopra le orecchie. Quei capelli così scuri e serici le incorniciavano il volto, rendendolo ancora più puro e delicato, e accentuando la finezza dei suoi tratti. E per tutti i santi, non c’era una donna più bella di lei dentro e fuori da quel piroscafo che navigava in mezzo all’Oceano. E se c’era, lui non la vedeva. O comunque non era Aouda, e non aveva tutte le splendide qualità morali che la rendevano la migliore in assoluto.
Tali pensieri lo stavano rendendo nervoso, quindi inspirò ed espirò profondamente, sperando che il concerto cominciasse presto, così da distrarsi.
Poco dopo, gli inservienti abbassarono un poco le luci, un gradito particolare che avrebbe creato una rilassante atmosfera.
Aouda gli strinse il braccio fra le piccole mani, << Sono emozionata >>, confessò, sporgendosi un poco verso il suo orecchio.
Phileas si raddrizzò sulla poltrona, cercando di reprimere il morso allo stomaco dato dalla tenerezza.
In quel momento, fortunatamente, entrò il pianista, il quale si sedette e attese che il piccolo applauso di saluto si fosse esaurito prima di cominciare a suonare.
Il concerto iniziò con un brano abbastanza ritmato, molto piacevole. Il musicista era alquanto dotato, e le note scorsero in un fluire elaborato e aggraziato, per poi spegnersi con delicata enfasi.
Ci fu un sonoro e breve applauso, sintomo che l’uditorio era catturato e desiderava la prosecuzione della musica. Durante questa breve pausa, Aouda si era voltata verso di lui e aveva cercato di dire qualcosa, ma dalla sua espressione Phileas capiva che era troppo sconcertata per esprimere quello che provava.
<< È la prima volta che sentite suonare un pianoforte? >>, le chiese, dubbioso.
Lei annuì con un vigoroso cenno del capo e un sorriso pieno di attesa per il prossimo brano, il quale iniziò in quell’istante. Phileas riconobbe la canzone, e apprezzò moltissimo l’esecuzione, nel suo solito modo, ossia senza renderlo manifesto, anche se, doveva ammettere, aveva voglia di battere il ritmo col piede. Aouda era contenta; per lei doveva essere un’esperienza indimenticabile. Quando aveva acquistato i biglietti non aveva pensato che per lei fosse stato difficile sentir suonare un pianoforte, anche quando viveva a Bombay. Non poteva che essere felice di averle regalato quel momento. Forse, lo avrebbe ricordato sempre, anche quando, un giorno, si sarebbero separati. Ogni volta che avrebbe sentito suonare il piano, avrebbe ricordato quella prima volta, e forse un po’ anche lui.
Phileas chiuse gli occhi, perchè il pensiero era piacevole e triste allo stesso tempo. Straziante, anzi.
In più ecco partire quel brano immensamente bello e malinconico, del quale egli conosceva anche le parole, perchè era una vecchia canzone inglese, grave, toccante, sublime nella sua nubilosa dolcezza.
Durante l’applauso sonoro che seguì, Phileas volse un rapido sguardo verso Aouda, e si accorse che stava asciugandosi con discrezione le guance. Si affrettò a porgerle il fazzoletto di seta che aveva alla tasca della giacca, e lei annuì in un silenzioso ringraziamento.
Phileas tornò a voltarsi verso il palco, accorgendosi di aver assunto una postura rigidissima e immobile, come se i propri muscoli stessero cercando di domare quel miscuglio di tenerezza e slancio che stava provando per la prima volta in vita sua a causa di quella creatura sensibile che gli sedeva accanto, commossa dalla musica.
Se gli fosse stato permesso dalla più basilare decenza, l’avrebbe avvolta fra le braccia e stretta al petto, in modo da farle sentire il martellare del suo cuore.
Devo smetterla. Questi sono solo sogni. Solo illusioni. Non succederà mai. Mai.
Aouda intanto si era riconcentrata completamente sullo strumento, e arricciava un po’ il naso nello scacciare l’ultimo brandello di commozione, mentre stringeva e accarezzava il suo fazzoletto nel pugno, sul grembo.
A fine concerto, si alzarono in piedi per applaudire il virtuoso musicista, e le luci si rialzarono.
Pian piano, tutto il pubblico si diresse nella sala attigua, dove venne offerto dello champagne e delle tartine, come aperitivo alla cena.
<< Oh, signor Fogg, è stato...! Oh! >>, sospirò Aouda, cercando le parole adatte.
<< Il pianista ha reso giustizia ai brani >>, commentò lui, sorseggiando pacatamente dal suo bicchiere, con la speranza di calmare i nervi.
<< È come se suonassero due persone diverse >>, si stupì Aouda, quasi fra sè, << Una più piano, in sottofondo, e una più forte... oh... Che sciocca... >>.
Phileas non riuscì a non sorridere di quell’entusiasmo, e Aouda rimase immobile a guardarlo, come ipnotizzata.
<< Qualcosa non va? >>.
<< Oh, no. Perdonatemi, devo aver sciupato il vostro fazzoletto... >>, gli rispose, spiacente, indecisa se renderglielo o meno.
Phileas le toccò la mano che lo reggeva, << Tenetelo. È solo un fazzoletto >>, poi le porse il braccio, << Vogliamo andare? >>.
 
 
Dopo cena, il signor Fogg si offrì di riaccompagnarla fino alle porte della sua spaziosa cabina, accanto alle quali si fermarono, l’uno di fronte all’altra.
<< Non so come ringraziarvi per oggi >>, disse Aouda, che si sentiva sfinita dalle continue emozioni, << È stata una delle giornate più piacevoli della mia vita >>.
Il signor Fogg la guardò negli occhi per un tempo un po’ più lungo della solita manciata di secondi, << In merito alla vostra nostalgia, ho da augurarvi che non stiate rimpiangendo troppo il vostro defunto marito... >>.
Aouda non riuscì a non sgranare un poco gli occhi ad una tale affermazione, << Il Raja? >>, chiese, come se quella supposizione fosse assurda, << Lui... no. Lui... non era un uomo buono, che una sposa possa rimpiangere >>.
<< Capisco >>, mormorò il signor Fogg.
Quella scusa si stava rivelando davvero infelice, pensò Aouda. Pareva che Phileas Fogg si stesse interrogando troppo sulla natura della sua malinconia, e la cosa le dispiaceva, perchè non voleva che se la prendesse così a cuore per una innocente bugia.
Decise di ribadirgli i fatti, di sua bocca, così che si mettesse l’anima in pace su quell’argomento.
Fogg però la precedette, << Pensavo... >>, riprese, quasi un poco incerto, << Visto che la vostra malinconia è cominciata quando avete rimosso del tutto il segno del vostro status matrimoniale... >>.
Oh, cielo. Disperò Aouda, senza sapere esattamente se essere lusingata o frustrata da quella logica ferrea che aveva portato il suo salvatore ad una conclusione così plausibile.
<< Non lo sposai di mia volontà >>, gli raccontò, a mezza voce, << Egli scelse me perchè ero la cittadina in età da marito con più beni a Bombay. Aveva  ottant’anni. Ed era già malato quando furono pronunciati i voti. Tre mesi dopo morì, ed io fugii, sapendo che destino mi aspettava. Rimasi tre giorni a vagare nelle foreste, mentre la fame mi attanagliava. Mi trovarono perchè ero disidratata e debole. Decisero di drogarmi, per evitare che fuggissi ancora >>.
Quando finì il suo breve riassunto, le parve che il signor Fogg avesse aggrottato un po’ le sopracciglia, come se immaginasse che lei fosse ancora sperduta e ricercata in India. Era sera tardi, però, e le luci del corridoio tenute basse, perciò Auda non fu esattamente sicura di quel minimo segnale di interesse.
<< Adesso però sono al sicuro, e non rimpiango più la mia terra. Ho deciso di andare verso il futuro >>, mise in chiaro.
Il gentleman annuì, quasi fra sè, << Molto bene >>, disse soltanto. La voce era ferma, pacata. Come sempre.
<< Vi ringrazio di esservi preoccupato, comunque >>, aggiunse Aouda.
<< Dovere >>, rispose il gentleman, raddrizzando la schiena e riassumendo il suo atteggiamento compunto, << Passate una buona notte, Aouda >>.
Lei annuì, un po’ abbattuta, << E voi, signore >>. Phileas...
L’inglese rimase per un attimo a guardarla, rigirandosi il cilindro fra le mani, più con noncuranza che con imbarazzo, quindi annuì ancora e calzò il cappello con gesto austero ma elegante, voltandosi e incamminandosi col suo passo calmo e regolare, senza aggiungere niente.
Aouda rimase sulla porta  e lo guardò scomparire in fondo al corridoio, quindi si decise a ritirarsi a sua volta.
Si tolse la pelliccia, e si inoltrò, slacciando la sopragonna, ricordandosi solo in quel momento che nella tasca di quest’ultima si trovava ancora il fazzoletto del suo salvatore. Lo riprese di corsa e lo accostò al viso, come aveva fatto quando la musica e la vicinanza di lui l’avevano commossa fino alle lacrime. La seta, riscaldata dal calore del corpo dell’uomo, le aveva bruciato la pelle, o così le era sembrato in quel momento così totalizzante, quando aveva sentito il leggero profumo della sua colonia che oramai le era così familiare e caro. Anche ora, l’oggetto era capace di infiammarle i sensi.
Sono sfuggita al rogo solo per bruciare di un altro fuoco... , si disse.
Mentre si svestiva per la notte, decise di non dare ai lavandai del battello il prezioso rettangolo di stoffa perchè fosse lavato. Il signor Fogg le aveva detto che poteva tenerlo, e così avrebbe fatto.
Quando fu sotto le calde coperte, la sua mente le rimandò tutti i più piccoli particolari della serata. Prima che il concerto iniziasse, mentre entravano nella sala, gli altri passeggeri, quelli imbarcatisi in Giappone, li avevano guardati con occhiate compiaciute, e non con malizia, come se fossero una coppia normale... una coppia effettiva. E potevano ben esserlo; Aouda era giovane, ma non aveva certo l’aspetto di una ragazzina, mentre il signor Fogg aveva l’aria di un uomo adulto, seppur piuttosto giovanile, al quale si potevano attribuire al massimo quarant’anni, non di più. Erano perciò, nel complesso, una coppia più che plausibile.
Sorrise al ricordare come, durante un brano, egli aveva iniziato a tamburellare piano con le dita sul bracciolo della poltrona, seguendo il ritmo della melodia. Non immaginava che gli piacesse così tanto la musica, che conoscesse molte delle canzoni eseguite dal pianista quella sera. Era così contenta di aver scoperto quella novità che rise ancora fra sè, rigirandosi sul materasso e tornando invece all’attimo nel quale lui le aveva sfiorato la mano quando le aveva permesso di tenere il fazzoletto. Quel tocco così diverso da una stretta di mano... il calore del quale la addormentò in pochi istanti, con la morbida seta ancora stretta nel pugno.

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Capitolo 8
*** La rabbia, l'onore e l'amore ***


San Francisco, 2 dicembre 1872
 
Il General Grant attraccò alle sette del mattino.
Aouda fu molto stupita delle banchine galleggianti sulle quali dovettero stazionare nello scendere dal piroscafo, e in un moto di incertezza si sorresse al braccio di Phileas Fogg, convinta che la superficie fosse mobile come un tappo di sughero. La convinzione le venne dal fatto che Passepartout, sbarcato davanti a loro con un salto, avesse quasi sfondato la superficie col suo peso.
Aouda ridacchiò all’espressione di indulgente disappunto che si dipinse sul volto dell’inglese all’ennesima esuberanza del suo servo francese. Notò anche che, man mano che le settimane passavano, il gentleman sembrava manifestare un po’ di più quelle reazioni riguardo Passepartout, come se in fondo le roccambolesche trovate del domestico lo divertissero profondamente. Aouda era sicura che, proprio durante quel viaggio e davanti ai suoi occhi, i due uomini stessero sviluppando una vera amicizia, purtroppo frenata e mascherata dai rispettivi status sociali.
Fogg raggiunse la banchina vera e propria del porto senza lasciarle andare il braccio, quindi, voltandosi, le fece cenno di aggrapparsi a lui per compiere il piccolo balzo necessario a guadagnare il suolo americano.
Spontaneamente, Aouda gli sorrise apertamente, con tutta la gratitudine e l’entusiasmo che provava, e si accorse che ancora una volta, i loro occhi rimasero incollati gli uni agli altri per un attimo lunghissimo. Il gentleman stava sorridendole a sua volta, e Aouda non riusciva a distogliere lo sguardo.
Li interruppe un vetturino che, con marcato accento, offrì i suoi servigi, i quali vennero accettati, così che qualche minuto più tardi, partirono verso l’International Hotel.
Dall’interno della carrozza, Aouda osservò le enormi strade di San Francisco che si intersecavano come il motivo tartan del suo vecchio abito occidentale. Seduto accanto a lei, Phileas Fogg sembrava essere immerso nei suoi pensieri, e Aouda non tentò di decifrarlo. Non poteva credere di essere così lontana dall’India, ormai. L’America le sembrò il paese dei giganti, tanto tutto era grande e occupava con libertà i vasti spazi a disposizione.
Giunti all’hotel, Aouda vide Passepartout saltare giù dalla cassetta del veicolo e prendere il bagaglio, aiutato dal vetturino. Anche il francese sembrava sbalordito dal paesaggio e soprattutto dall’ampio locale situato al pianterreno dell’albergo, nel quale era possibile prendere da mangiare gratuitamente pagando solamente la bevanda.
Con imbarazzo, Aouda cercò di nascondere il morso della fame che le diede il vedere tutte quelle leccornie, sebbene il suo appetito fosse tale da farle desiderare un vero e proprio pasto.
Il signor Fogg le porse il braccio, << Volete passare in camera oppure ci accomodiamo direttamente al ristorante? >>.
A quell’ultima parola, gli occhi le si ingrandirono, << Se a voi sta bene, signor Fogg, mangerei immediatamente >>.
Egli annuì, e la accompagnò nel locale dell’hotel, un luogo talmente elegante e tirato a lucido, che ad Aouda parve di essere già arrivata in Inghilterra.
Mangiarono a sazietà, poi il gentleman la accompagnò in camera.
<< Passepartout resterà qui a vostra disposizione >>, le spiegò, << Mentre io vado al consolato per vistare il mio passaporto >>.
Aouda annuì e attese rinfrescandosi, riposando e cambiandosi d’abito, senza aver davvero bisogno dei servigi del francese. Questi le si presentò quando fu pronta, e Aouda lo vide trafficare con un vero e proprio arsenale di rivoltelle e cartucce di colpi.
<< Cosa fate? >>, gli domandò, divertita.
<< Ho sentito dire >>, le spiegò sorridente il giovane, << che in questo paese girano tribù selvagge armate di tutto punto che assaltano i treni e compiono furti e assassinii in questo modo. Così ho deciso di prepararmi al peggio >>.
Aouda cercò di non ridere, per non offendere il bravo e onesto servitore. Però scelse di essere comunque sincera con lui, << Non mi pare che ci sia la necessità di essere così previdenti >>.
<< Buffo! >>, rise il domestico, << Lo ha detto anche il signor Fogg. Però mi ha permesso comunque di acquistare le armi. Meno male! Mi sento più sicuro così >>.
Aouda gli posò con affetto una mano sulla spalla.
Pochi minuti dopo, Phileas Fogg tornò, in compagnia del signor Fix, col quale avevano svolto il turbolento viaggio sulla goletta Tankader, e che con loro si era imbarcato sul General Grant.
Il gentiluomo dagli occhietti vispi manteneva la sua abitudine di aggrottare con frequenza le sopracciglia, in un atteggiamento che sembrava di continuo sospetto. La salutò con galanteria. Aouda però era più concentrata nel notare la strana e seria espressione di Passepartout nel riconoscere chi aveva abbordato nuovamente il signor Fogg. In verità, per lei era solo una semplice coincidenza l’averlo di nuovo con loro, e tutto sommato la compagnia del signor Fix era piacevole e gradita, ma fra quel signore e Passepartout stava succedendo senza dubbio qualcosa fin dalla sera che il servo era scomparso a Hong Kong. Cosa, Aouda non avrebbe saputo dirlo.
<< Ho incontrato il signor Fix qui fuori >>, spiegò Phileas Fogg, avvicinandosi a lei assieme al signore, << E questi mi ha proposto di fare una passeggiata per la città. Volete essere dei nostri, signora Aouda? >>.
Aouda sorrise, << Sarebbe magnifico >>.
Fogg le indirizzò un cenno del capo, prima di consigliarle, << Indossate un soprabito. Fuori è un po’ freddo >>.
Passepartout accorse con la sua cappa, e in pochi istanti lei, Phileas e il signor Fix furono per le strade di San Francisco. Aouda e il signor Fogg camminavano sottobraccio, come al solito, mentre Fix procedeva accanto a loro con naturalezza. Aouda si sentì felice e, solo per il lasso di quella passeggiata fino al centro, si concesse di sognare di essere al braccio del suo salvatore non per galanteria, ma per amore.
Arrivarono infine ad una larga strada chiamata Montgomery Street, e dovettero arrestarsi, vista la gran folla che vi trovarono. Aouda aveva visto raramente un tale assembramento, se non in India. Quelli però erano tutti americani, e gridavano, si spintonavano, sventolavano bandiere, alcuni brandivano pistole con le quali sparavano in aria. Era confusa. Non capiva cosa stesse succedendo, e guardò il signor Fogg con occhi più che perplessi.
Egli le rimandò un’occhiata impenetrabile, segno che fosse nella sua medesima situazione di ignoranza. << È un meeting >>, comprese Fix, dopo aver sentito grida di incitamento da una parte e dall’altra di quelle che sembravano due fazioni contrapposte.
<< Forse, signore, faremmo meglio a non mescolarci con questa folla. Rischieremmo soltanto di prenderci delle botte >>.
Phileas Fogg annuì, e mentre si spostavano dall’altra parte della strada, disse, << Giusto. E i pugni, anche se politici, sono sempre pugni >>.
Aouda vide Fix sghignazzare, e si rammaricò di non avere i mezzi per capire quell’ironia, probabilmente troppo britannica per lei.
Il signor Fogg la condusse verso una serie di gradini che li innalzarono dalla fiumana, fino ad una terrazza dalla quale si dominava tutta Montgomery Street. Si fermarono tutti e tre ad osservare da quella posizione relativamente sicura, ma d’un tratto la folla parve agitarsi maggiormente. Le grida aumentavano, le bandiere si alzavano, scomparivano alla vista e poi ricomparivano a brandelli. Aouda notò che il mare di gente stava pian piano giungendo fino a loro, in un movimento oscillatorio e imprevedibile.
<< È proprio un meeting >>, ribadì il signor Fix, << E la questione che l’ha provocato deve essere palpitante. Non mi stupirei che si trattasse ancora dell’affare dell’Alabama, quantunque sia già risolta >>.
<< Può darsi >>, disse Fogg, con poco interesse.
<< Certo è che due campioni si fronteggiano: l’onorevole Kamerfield e l’onorevole Mandiboy >>, continuò Fix, al contrario tutto interessato.
Aouda lo vide sporgersi verso un altro gentiluomo per domandare spiegazioni, ma venne interrotto dal clamore improvviso che si levò.
Sconcertata, Aouda vide il mare di folla farsi feroce; iniziarono a volare oggetti, le bandiere venivano issate come armi, la gente iniziò a scambiarsi violenti pugni. Il traffico si bloccò. Gli omnibus che trasportavano altre persone si bloccarono nel mezzo della larga via, e in pochi istanti fu il caos.
La folla impazzita iniziò ad invadere i primi gradini che portavano alla terrazza.
<< Credo che sarebbe prudente andarcene >>, opinò Fix, un poco impensierito, << Se al centro di tutto questo ci fosse l’Inghilterra, e se venissimo riconosciuti, ci troveremmo gravemente compromessi nella battaglia >>.
Il signor Fogg lo guardò come se dubitasse fortemente che il loro paese fosse implicato in quella faccenda, e iniziò a ribattere, << Un cittadino inglese... >>. Venne però interrotto da un brusco movimento alle loro spalle.
Aouda si volse a sua volta, un poco nervosa, e vide che un grosso gruppo piuttosto agguerrito correva dalla terrazza verso le scale, per gettarsi contro gli avversari politici. E loro erano nel mezzo delle due fazioni!
In pochissimi istanti furono travolti. Aouda si abbassò istintivamente, e poco dopo si accorse che Phileas si era chinato su di lei, schermandola dall’alto e da un lato con la propria persona, come potè.
<< Diamine >>, sentì borbottare al signor Fix, prima che anch’egli si chinasse e la fiancheggiasse sul lato scoperto.
Agitata, Aouda sentì i colpi che andavano a segno sui due galanti gentleman, assieme a quello di abiti strappati. Udì il signor Fix gemere, poi si sentì a sua volta spintonare, qualcuno le afferrò le gonne, e lei perse quasi l’equilibrio, sorreggendosi al suo accompagnatore con un gemito di paura. Un attimo dopo, vide uno spiraglio; il signor Fogg si era sollevato e lei rimase di stucco quando cercò di sferrare un pugno a chiunque la stesse toccando. Un omaccione dai capelli rossicci, che sembrava il capo della banda, fu afferrato per il bavero. Aouda rimase a bocca aperta quando Phileas Fogg gli ringhiò, con marcato accento dovuto alla rabbia, << Chiedo scusa! >>.
Anche Fix rimase stupito nel vedere l’uomo che veniva spostato di peso dall’inglese, il quale, seppur alto e ben piazzato, di norma non lasciava intravedere una tale forza fisica.
<< C’è una signora qui! >>.
<< Peggio per lei! >>, rispose il rosso.
<< Yenkee! >>.
Aouda si coprì la bocca con la mano. Si credette preda di uno stranissimo sogno, perchè se così non fosse, aveva appena sentito il signor Fogg insultare un altro signore.
Si sollevò, quel tanto che bastava da vedere il gentleman che fissava con puro disprezzo il suo antagonista. Rimase senza fiato. Non aveva mai visto quel volto esprimere così chiaramente un’emozione, prima di quel momento.
<< Inglese! >>, sputò quasi l’americano, afferrato subito dai suoi e trascinato via di qualche passo.
<< Ci rivedremo! >>, gli intimò il signor Fogg.
<< Quando vorrete >>.
<< Il vostro nome? >>.
Il mare di folla trascinò l’americano lontano di svariati metri, ma questi si voltò per gridare con strafottenza, << Colonnello Stamp Proctor >>.
Dopodichè, in un ultimo turbinio che le fece fare un giro su se stessa, la folla passò oltre. Il signor Fix venne rovesciato a terra, ma si sbrigò a rialzarsi, tutto stracciato e con un evidente bernoccolo sul capo.
Si spostarono in uno spiazzo ora sgombro, mentre il clamore si allontanava e gli omnibus riprendevano strada.
Aouda barcollava. Da un lato era scombussolata dalla disavventura, ma si scoprì molto più frastornata dall’essersi trovata così d’improvviso faccia a faccia con un lato di Phileas Fogg che in quei mesi non aveva mai nemmeno intravisto.
È come un leone, pensò, affascinata. Calmo, indifferente, ma quando lo si stuzzica è capace di sbranare chiunque. E non solo a parole.
Aouda lo guardò. L’espressione era tornata impassibile, anche se un poco austera. La sua giacca era strappata lungo la cucitura di una manica, e pendeva tutta arrotolata sull’altro braccio. Anche la camicia bianca era tutta sdrucita sul lato scoperto, così come una gamba dei pantaloni, che si era sfrangiata.
Aouda si riprese e fece due passi per fronteggiarlo, desolata, << Signor Fogg, state bene? >>. Preoccupata, cercò subito di rimetterlo in sesto, ma smise subito, colma di imbarazzo.
<< Voi? >>.
Aouda divenne ancora più rossa quando l’indice di lui le sfiorò il mento, fuggevole, con l’intenzione di farle sollevare il viso per guardarla negli occhi.
Aouda abbassò di nuovo il capo sul suo abito, che per fortuna era intatto, << Sì, io sì... >>.
Imbarazzato dal suo stesso gesto, il gentleman si concentrò subito sul signor Fix, come se niente fosse.
<< Grazie >>.
<< Prego >>, rispose questi.
Aouda aveva udito bene, dunque. Il signor Fix si era preso un pugno in testa frapponendosi fra Proctor e Fogg nella concitazione del momento.
Il signor Fix propose allora di andare da un mercante d’abiti per rendere di nuovo dignitoso il loro abbigliamento. Quando ebbero finito, Aouda si levò dal salottino del negozio nel quale li stava attendendo, e assieme tornarono all’albergo. Là trovarono Passepartout pronto, sempre armato fino ai denti e intento a studiare il caricamento di tutte le sue revolver.
Ad Aouda non sfuggì il rinnovato sguardo torvo che indirizzò al signor Fix, anche se fu più concentrata nel raccontargli tutto quanto era successo in città. Dopo il racconto, sul volto inbronciato del servitore si dipinse finalmente un sorriso. Aouda era stranita. Non sapeva più che pensare riguardo i due uomini. Le era sempre parso che Passepartout andasse d’amore e d’accordo con tutti, e soprattutto col signor Fix. Non ebbe modo di rifletterci ancora, perchè lo stomaco le si contrasse dalla fame, e avevano poche ore prima di dover riprendere il viaggio.
 
 
 
<< Passepartout, aiutate per favore la signora Aouda coi suoi bagagli >>, disse Phileas al servo, poco prima di scendere per il pranzo, << Baderò io stesso ai miei >>.
Il francese, dapprima leggermente stranito, si affrettò ad annuire e ad accompagnare Aouda nelle stanze di lei.
Phileas aveva bisogno di un momento per calmarsi.
Fortunatamente, grazie alla sua naturale impenetrabilità, nessuno riusciva a vedere quanto ancora fosse furibondo. E più ripensava a quel dannato Proctor, più la rabbia ribolliva.
Mise la borsa da viaggio sul letto e iniziò a riempirla con una foga che di norma non gli apparteneva affatto. Quel maledetto aveva osato toccare Aouda. Mai nella sua vita aveva visto un tale bieco individuo afferrarsi alle sottane di una signora rispettabile. Se non ci fosse stato lui e Fix, il disgraziato l’avrebbe travolta, le avrebbe strappato i vestiti e messo quelle sudicie mani su di lei... Una delle sue sciarpe finì dentro la borsa con una sferzata. No, non poteva tollerare un tale affronto. Doveva ritrovare quel porco e fargliela pagare cara.
Lo uccido. Lo uccido.
Phileas si sforzò di riprendere il controllo. Inspirò, espirò e distese le dita che aveva serrato a pugno.
Non provava una rabbia simile da... nemmeno ricordava quando. Ma che cosa gli stava succedendo?!
Non ragiono, comprese. Quando si tratta di Aouda smetto di ragionare.
Fermo in mezzo alla lussuosa camera, si morse appena il labbro inferiore.
Perchè non passa? Questa dannata infatuazione è più radicata delle altre... Non può essere successo. Non posso essermi davvero innamorato di lei.
Lo stomaco gli sprofondò in basso e, ancora per la prima volta dopo anni e anni, provò paura. Il sentimento fu talmente vivo e angosciante da sconvolgerlo.
Non serve avere paura, si disse. Sai già come andrà a finire. Non esiste una paura del rifiuto, perchè lei non ti pensa in quel senso. Ciò che provi è già rifiutato, perciò è inutile temere. È inutile anche sperare.
Puoi solo arrabbiarti con quel maledetto yenkee.
Annuì fra sè e prese la sua decisione. Non poteva fermarsi là in quel momento, aveva una scommessa da vincere. Però poteva tornare là in seguito e cercarlo.
 
 
 
Dopo il pranzo, alcune carrozze li scortarono alla stazione assieme ai loro bagagli.
Aouda sorrise al suo salvatore quando egli le tenne il braccio per aiutarla a salire sullo strano treno.
Si trattava di un convoglio coperto solo su di un lato, mentre una sorta di passerella correva sull’altro. Aouda immaginò che, durante il viaggio, ci si potesse affacciare fuori per vedere il panorama, e la cosa la riempì di curiosità. Si volse verso Fogg per comunicargli quell’entusiasmo, ma notò che egli si era fermato assieme al signor Fix e gli stava dicendo, << Quel colonnello Proctor, non lo avete rivisto? >>.
<< No >>, rispose Fix.
Phileas Fogg annuì fra sè, guardando la piattaforma della stazione gremita, << Tornerò in America per ritrovarlo >>, e allo sguardo stranito dell’altro aggiunse, << Non sarebbe decoroso per un cittadino inglese lasciarsi trattare a quel modo >>.
Aouda vide Fix sorridere nervosamente, e si accorse che anche il suo entusiasmo era scemato, sostituito dalla preoccupazione.
Che intenzioni aveva il gentleman? Sfidare quell’americano solo per onore?
Quando il signor Fogg fece per voltarsi e raggiungerla, Aouda finse di non aver udito e si lasciò accompagnare dentro lo scompartimento.
Un impiegato passò loro accanto, e il signor Fogg lo fermò prima che sfilasse via, << Ci sono stati disordini oggi a San Francisco? >>.
<< Era un comizio, signore >>, minimizzò l’uomo.
<< Tuttavia mi è sembrato di notare una certa agitazione nelle strade >>.
L’impiegato fece spallucce, << Si è trattato semplicemente di un comizio organizzato per un’elezione >>.
Fogg annuì, << Quella di un generale d’armata, probabilmente >>, indagò.
L’impiegato però scosse con forza il capo, << No, signore, quella di un giudice di pace >>.
Aouda strabuzzò gli occhi, e riprese il braccio del compagno con sconcerto. Non osava immaginare a quali disordini potesse essere soggetta quella grande città durante delle elezioni veramente importanti!
Lo sguardo colpito che si scambiarono brevemente lei e Phileas Fogg non appena ebbero voltato le spalle all’uomo fu però sufficiente a farle scordare sia Proctor che la brutta avventura di quella mattina.
Alcune volte, fra di loro, non era necessaria alcuna parola.

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