l'erede del mare

di Elisabethswan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I: ordini (15 anni prima) ***
Capitolo 2: *** Capitolo II: salvataggio ***
Capitolo 3: *** Capitolo III: Nonno ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV: una bambina fastidiosa ***
Capitolo 5: *** Capitolo V: riso ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI:amici? ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII: orso ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII: una sincronia bestiale ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX: Sabo ***
Capitolo 10: *** Capitolo X: Chi sono? ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI: Il frutto del diavolo e la medicina ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII: il sopravvissuto di Ohara ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII: Il demonio e il mostro ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV: Maelstrom ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV: Yo! Luffy! ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI: Family ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII: Brothers ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII: un futuro doloroso ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX: Acqua e Fuoco ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX: Aria mortale ***
Capitolo 21: *** Capitolo XXI: Lucciole ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXII:Growing Up ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXIII: Contatto da sogno ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXIV: First Kiss ***



Capitolo 1
*** Capitolo I: ordini (15 anni prima) ***


-DOFLAMINGO-

Il portone di legno si spalancò mostrando una figura esile di una donna che si fece avanti furiosa senza richiudersi la porta alle spalle, facendo un gran baccano con i piccoli tacchi.
Nell’enorme stanza ovale la luce dell’alba entrava soffusa dalle vetrate e illuminava un corpo statuario al centro della stanza. Un uomo era comodamente seduto su una imponente poltrona rossa, i piedi su un puff più basso e un libro a coprirgli il viso lasciando spuntare soltanto i chiari capelli biondi irti sulla testa. Un lungo cappotto di piume di fenicottero rosa gli coronava le spalle, facendolo sembrare ancora più grande e animalesco.
La donna si avventò disperata e decisa più che mai sull’uomo, con un coltello in mano. Doflamingo nonostante gli occhi chiusi, usando l’Haki del colore dell’osservazione, bloccò l’esile mano in un fluido movimento. Il coltello cadde con un tonfo solitario. La mano minuta di lei combatteva in quella morsa di ferro, la donna ansimava dallo sforzo mentre delle lacrime le rigavano il volto ovale.

-Katherina..- ridacchiò Doflamingo con voce roca.
 
Con la mano libera, si passò svogliatamente una mano fra i capelli biondi, prese gli occhiali da sole sul mobile lì accanto, mettendoseli subito dopo spostando il libro. Ci teneva a nascondere lo sguardo.
Durante quell’attimo di debolezza da parte dell’uomo, Katherina alzò l’altra mano con la stessa velocità di un battito d’ali di un colibrì. Agguantò la bottiglia che era di fianco a lei nel comodino e gliela frantumò in faccia, a pochi centimentri dal naso con tutta la forza che aveva in corpo.
 
-Non l’avrai mai!! - strillò lei disperata, cercando di ricacciare dentro le lacrime che iniziavano a sgorgarle dagli occhi. I lunghi capelli castano chiaro le ricadevano in disordine, non più tenuti nella solita acconciatura regale.
 
La ragazza strabuzzò gli occhi grigi notando che la guancia dell’uomo era pulita, niente sangue. Doflamingo non si mosse. Solo una vena gli pulsò in maniera incontrollata sulla fronte, mentre il viso si deformava in un ghigno diabolico, seppur un pochino incrinato. Si voltò verso di lei, prestandole attenzione.
 
 -Da quando ti do retta? - sogghignò l’uomo alzandosi in piedi, tenendola appesa per aria con una mano come se fosse una bestia da macello.
Katherina sussultò davanti alla minacciosa figura, sarà stato alto circa tre metri, ma cercò di non farsi intimidire.
Ripensò alla sua amica…alla sua cara amica Elisabeth…una morsa invisibile le strinse il cuore... e senza curarsi delle conseguenze, la ragazza gli sputò addosso.
Doflamingo accentuò ancora di più il già vasto ghigno e la guardò per la prima volta negli occhi grigi, che apparvero induriti dalla sofferenza.
 
-Fufufu…non si comporta così una principessa..-rise lieve canzonandola, per poi scaraventarla con forza in fondo alla sala.
 
Il corpo si schiantò contro i mobili con un fragore assordante, e la ragazza non si alzò più. Rivoli di sangue rosso scuro scendevano dal viso chiaro macchiando il pavimento.
Dal portone entrò una figura alta, pari a quella di Doflamingo, richiamato forse dalle urla della donna. Il mantello di piume nere dondolava sotto i passi lenti e goffi, non degnò di uno sguardo la ragazza a terra sanguinante.
 Si fermò ad un metro da Doflamingo, si accese una sigaretta e alzò leggermente il capo, coperto da un cappuccio color vinaccia.  I capelli biondo cenere gli ricadevano ondulati sugli occhi. Fece uscire il fumo dalla bocca truccata come quella di un clown, e guardò l’enorme fenicottero rosa davanti ai suoi occhi.
-Finalmente Corazon, fratello mio, sei tornato- esclamò beffardo Doflamingo a braccia aperte – Vino?-
 
Non c’era amore in quelle parole, ma solo tanta eccitazione all’idea di un acquisto così capace.
L’uomo continuando a fumare la sua sigaretta scosse il capo, mentre osservava la donna che sanguinava.
Doflamingo spostò il suo misterioso sguardo sui lineamenti del fratello che, vagamente, ricordavano i suoi; erano più dolci. Li osservò, li analizzò, e la tensione di Corazon trasparì.
 
-È ancora viva- sentenziò Doflamingo alla domanda inespressa del fratello minore, il quale non fece una piega davanti a quell’espressione.
 
Ci fu un lungo silenzio rotto soltanto dal rumore del vino versato in un calice trasparente.
 
-Corazon devi ripartire subito per un altro incarico…devi confermare la posizione dell’arma- esordì Doflamingo dondolando il bicchiere fra le dita- se le nostre informazioni sono esatte si trova nell’isola invernale di Shinju, la pedinerai fino all’arrivo degli scagnozzi di Kaido, al resto ci penseranno loro-
 
Corazon guardò di sbieco la ragazza svenuta a terra e annuì. Si alzò dalla sedia, facendola cadere sbadatamente e mentre si avviava verso l’uscio Doflamingo gli ordinò ancora indicando la ragazza– ah… e visto che ti interessa, porta via questa spazzatura, rinchiudila nei sotterranei…mi sporca il pavimento-
 
                                                                        ***
Era un buon marine.
Leale, volenteroso, il più delle volte sbadato, ma credeva fermamente in quella inaspettata piega della sua vita per cui si è incamminato.
Erano le parole che si ripeteva ogni volta Rocinante, chiamato dal suo folle fratello pirata con l’appellativo di “corazon”, ogni volta che si guardava allo specchio e metteva quella maschera di colore sul viso.
L’occhio destro, truccato di una sfumatura blu notte, sembrava pestato. Le labbra colorate con un rossetto color Carmine erano disegnate in un sorriso che arrivava fino alle guance.
Era il suo finto sorriso.
L’unico che riusciva ad indossare da diverso tempo. Se non fosse per quelle linee sghembe che si disegnava da un orecchio all’altro ogni mattina, si sarebbe dimenticato da molto la curva che le labbra possono assumere. Ma stare di nuovo vicino a suo fratello era una recita per un bene più grande, la sua sofferenza non contava nulla.
Era per il bene della giustizia.
Rocinante tenendo a mente quelle parole, compose il numero sul lumacofono e attese, azzardandosi ad accendere una sigaretta.
-riso-

-torta, sono io- disse con voce roca buttando fuori il fumo in quell’aria gelida invernale

-Ah Rocinante! Da quanto tempo, mi hai fatto preoccupare! - disse sollevato dall’altra parte della cornetta l’ammiraglio Sengoku – i ragazzini che si stanno unendo alla ciurma di Doflamingo come stanno, non se ne sono andati? -

-alcuni sì, mentre qualcuno è rimasto e non se ne andranno molto facilmente…-

- capisco… ci sono altre novità? -

- Sto eseguendo un ordine importante per mio fratello- sussurrò il ragazzo alto senza togliere gli occhi dalla sua pedina – sono sulle tracce della Regina dei Mari, è davanti a me in questo momento-

-COSA?!- trillò il lumacofono violentemente, tanto che Rocinante lo dovette racchiudere tra le mani – t-tu!! come l’hai trovata?! Dove sei?!- chiese impaziente Sengoku dall’altra parte.

- mio fratello si è messo in accordi con Kaido ultimamente, e gode di certe informazioni- confessò piano, mentre fissava il profilo della donna seduta su una panchina a venticinque metri da lui – non so per quale piano la vogliono usare, e non so neanche come potrebbero fare a obbligarla a collaborare nei loro piani…e poi c’è...-

- Continua a seguirla- lo interruppe Sengoku concitato- manderò per sicurezza un Buster Call…quella donna è il diavolo, è in grado di distruggere il mondo intero se lo volesse-

Rocinante fissò la donna alta e snella prendere in braccio una bambina di circa 4 anni, che fino a quel momento stava giocando con la neve accanto a lei. In quei giorni aveva appurato che fosse la figlia, poiché quando le aveva viste da vicino qualche giorno prima, era rimasto sorpreso dalla loro somiglianza.

-Mi hai capito Rocinante? - chiese impaziente l’ammiraglioRocinante si riscosse dai suoi pensieri e rispose – si tutto chiaro, continuerò il mio compito-

-C’è dell’altro? -Il ricordo dilaniante di suo padre tornò vivido e vicino. Rocinante ricordava la disperazione di vedere suo padre morto davanti a lui, ucciso da suo fratello con una pistola…la scena si sovrappose, e vide quella bambina piangere la madre come aveva fatto lui.

-Nient’altro- mentì in un soffio, spegnendo la sigaretta.

-Perfetto, ti chiamerò fra poco per ulteriori dettagli- 
  •  
 
Rocinante mise via il lumacofono all’interno del suo mantello piumato nero, e continuò ad osservare la scena davanti a lui mettendosi comodo sui rami dell’albero in cui si stava nascondendo.
Il cielo era di un grigio tenue e perlaceo, le montagne attorno erano coperte di neve e la temperatura era talmente bassa che Rocinante nonostante i diversi strati di vestiti e il mantello continuava a sentire freddo.
Nell’isola non c’erano villaggi ma solo poche case disperse nelle vallate bianche, le cui finestre risplendevano come piccoli quadrati di luce dorata, e spirali di fumo salivano dai comignoli.
Nonostante la temperatura, la bambina sembrava divertirsi un mondo sotto gli occhi attenti e vigili della madre.
Anche se Rocinante aveva trovato troppo semplice seguirla in questi giorni: lui ,dalla sua, conosceva la posizione esatta, ma si chiese come non fosse ancora stato scoperto dalla donna più introvabile del mondo, che era sempre un passo avanti rispetto ai suoi nemici. Il suo sospetto era che la donna non fosse informa come al solito, sembrava ferita. Lo aveva notato nei suoi movimenti spesso molto difficoltosi. Forse i suoi sensi erano annebbiati e indeboliti.
Malgrado le difficoltà faceva giocare sempre la bambina, la quale rideva e cantava sempre.
Era semplicemente una madre.
Non sembrava la donna più pericolosa del mondo.
Quel giorno che le aveva viste di sfuggita da vicino, aveva visto quello sguardo.
 Lo sguardo che solo una madre ha nei confronti del proprio figlio.
Quello che anche sua madre gli rivolgeva quando si ritrovava in un letto morente tanti anni or sono.
Rocinante continuava fissare Elisabeth che faceva roteare la bambina per aria, mulinando i suoi lunghi capelli, candidi come la neve.
Notò che era davvero bella.
Come poteva essere lei la causa di tutte quelle storie che giravano?
Il marine non riusciva a darsi pace, non trovava nulla di negativo in quello che aveva visto in quei giorni.
 In più quella bambina così gioiosa che colpe aveva?
Avvolse con le labbra l’estremità della sigaretta, aspirando e riempiendosi la bocca di fumo dal sapore amaro. Poi sul suo volto comparve uno dei primi veri sorrisi dopo tanto tempo.
 
Come faccio a salvarle?
 
Non ebbe il tempo di rispondersi.
 Scese un gelo innaturale che non aveva niente a che fare con il clima di quell’isola. Un gelo umido che riempiva i polmoni.
Il marine tese ogni muscolo guardandosi attorno. Anche Elisabeth se ne accorse, tendendo tutto il corpo come un animale selvatico all’erta, proteggendo la bambina tra le sue braccia.
Rocinante notò incuriosito che attorno alla bambina si stava creano una bolla d’acqua.
Poi tutto successe in pochi attimi.
La prima cosa che vide il marine fu che la bolla d’acqua con dentro la bambina venne lanciata via dalla madre nella foresta in cui si trovava lui, poi l’aria esplose.
Il rimbombo echeggiò nella vallata insieme ad un ruggito felino spaventoso. L’aria vibrò finchè, in quella frazione di secondo, la potenza di tale colpo raggiunse la foresta, distruggendo gli alberi davanti a lui in pochissimo tempo.
 Sembrò che il mondo stesse andando a pezzi.
 Rocinante si sentì volare e non poté fare altro che tenersi aggrappato al suo mantello piumato, e ripararsi con le braccia: udì i ruggiti inferociti di un felino in lontananza senza sapere cosa stesse succedendo, poi il mondo divenne penombra.
L’ultima cosa che pensò fu il viso gioioso di quella bambina, e sperò con tutto il suo cuore che stesse bene.

Angolo dell autrice:
salve a tutti! questo è il mio primo tentativo su questa fandom, che emozione!!
ci saranno i personaggi del nostro amato Oda sensei e anche qualcuno partorito dalla mia mente
beeeh buona lettura spero vi piaccia!
spero ci sia qualche anima pia che abbia voglia di lasciare la propria opinione sia positiva che negativa (sono sempre costruttive)
vostra elisabeth

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Capitolo 2
*** Capitolo II: salvataggio ***


Era disteso a faccia in giù, l’odore della neve e della foresta gli riempiva le narici. Ascoltava le altre esplosioni, anche se non era sicuro di sentirle bene.
Il mondo era finito allora perché la battaglia andava avanti?
Il suolo tremava ancora.
Rocinante aprii gli occhi e si rese conto di essere perfettamente solo. Si riparò il viso con le braccia mentre rami, alcuni in fiamme, gli piovevano addosso.
 Un fumo acre riempiva l’aria, il che non era la cura migliore per uno che stava cercando di rialzarsi. Gli faceva male ogni centimetro del suo corpo.
Dopo circa un minuto il terreno smise di vibrare.
Rotolò su un fianco e si sporse a guardare oltre gli alberi fumanti.
 La foresta sembrava quasi tutta distrutta, ma tutto era circondato da una nebbiolina luminosa, sembrava quasi azzurra, diversa da ogni nebbia vista prima.
Rocinante si mise a sedere nonostante le vertigini. Il suo corpo sembrava intatto. Si toccò il viso, non sembrava ferito, ma aveva perso la sua sigaretta.
Si ricordò improvvisamente gli attimi prima, quando stava fumando.
Elisabeth e la bambina.
Si alzò improvvisamente in piedi, e gli alberi e il terreno iniziarono ad ondeggiare intorno a lui a causa delle vertigini.
Doveva trovarle, non poteva rimanere lì.
Una strana battaglia stava infuriando a centinaia di metri da lui.
Provò ad avvicinarsi correndo, per cercare di capire.
 
Silent
 
Attivò il suo Frutto del Diavolo per sicurezza.
Poteva controllare il suono. In quel momento creò una bolla che silenziava qualsiasi suo movimento.
Non poteva essere il Buster Call, la sua chiamata era avvenuta poco prima. La Marina non era così veloce.
 
Chi poteva averle attaccarle?
 
Certo Elisabeth, la Regina dei Mari, aveva nemici sicuramente in ogni dove. Ma battaglie simili non erano all’ordine del giorno. Qualcuno di sicuramente importante le aveva attaccate.
Davanti a lui getti di luce colorati ed esplosioni vorticavano insieme a masse d’acqua che volteggiavano nell’aria, le quali poi si schiantavano nel terreno fino a farlo vibrare.
Rocinante correva con il cuore in gola.
Era ormai a venti metri dalla battaglia, quando successe.
Sentì il grido lancinante della donna davanti a lui che gli strappò le viscere; e Rocinante  cadde sbadatamente inciampandosi nei suoi piedi nei pressi di un cespuglio bruciacchiato.
Senza farne a meno si sporse a guardare incerto. Aveva appena fatto capolino quando la scena davanti a lui gli fece andare in caduta libera la mente.
Elisabeth, la stupenda e tanto temuta Regina dei Mari, era stata trafitta da parte a parte nel ventre da una lancia appuntita e spessa da uno strano colore perlaceo.
La gola del marine era serrata dalle lacrime, roca per il fumo e la fatica.
Un’occhiata alla ferita e capì che non c’era molto da fare.
La punta della lancia le era affondata nello stomaco fino all’asta.
La donna si inginocchiò a terra sfinita, boccheggiando, toccandosi la pancia con le mani tremanti. Vicino ai bordi dell’arma iniziava a scorrere un liquido rosso scuro, che sgocciolava lento nella neve bianca.  
Rocinante scrutò bene gli attentatori, e sgranò gli occhi quando riconobbe i volti mascherati della CP0.
Indietreggiò con il battito accelerato, incapace di capire la situazione davanti a lui.
Per quale motivo la divisione CP-AEGIS0, che ubbidiva agli ordini nei nobili mondiali, era lì? Perché avevano ucciso Elisabeth? Ok era una donna pirata molto potente, ma se ne poteva occupare la Marina. Perché erano intervenuti loro. Cosa ci guadagnavano i nobili mondiali nella sua morte?
Alcuni membri della Chiper Pool vestiti di bianco accecante alzarono la lancia perlacea dalle estremità, provocando nella donna altre urla strazianti di dolore.
Il capo le ricadde sul petto, i lunghi capelli candidi come la neve erano sporchi del suo stesso sangue.
Altri membri, dai guanti bianchi immacolati, iniziarono a spogliarla in modo brusco.
Rocinante non credeva ai suoi occhi. Una rabbia incontrollata iniziò a ribollire dentro di lui. Che bisogno c’era di denudarla? Stava quasi per alzarsi impulsivamente e correre verso di lei, quando vide.
Strani tatuaggi di un azzurro luminescente le percorrevano tutto il corpo, aumentando il contrasto della sua pelle abbronzatissima incorniciata da quei lunghi capelli bianchi. Erano linee sottili ed eleganti che sembravano cambiare forma con il tempo.
La luce emanata da quel corpo sembrava una magia, ma si stava lentamente spegnendo. Possibile che fosse la sua forza vitale?
Mentre la luce dei tatuaggi si affievoliva, poco più in là rispetto a lui, iniziò ad udire dei leggeri singhiozzi. Rocinante perse un battito quando voltandosi di scatto verso la fonte di rumore, vide la bambina di Elisabeth in lacrime.
Con grande sorpresa di Rocinante si era salvata da quella battaglia sanguinosa, e si trovava in una bolla d’acqua sempre più sottile dietro a dei tronchi anneriti caduti durante lo scontro.
Picchiava disperata i piccoli pugni sulla bolla, poi scivolava dentro la bolla e continuava a rialzarsi chiamando la madre.
 Il suono era attutito dall’acqua, ma diventando sempre più debole lo strato del liquido, si iniziava a sentire il suo pigolio straziante.
Anche Elisabeth sembrò accorgersene, e alzò rapida il capo, sgranando gli occhi allarmata, come una leonessa che cerca nella savana il proprio cucciolo.
 Stranamente la Chiper Pool non se accorse, forse erano troppo intenzionati a studiare quei tatuaggi. Li stavano disegnando accuratamente in dei taccuini.
Rocinante senza pensarci troppo, decise di rischiare. Si mosse lentamente verso la bambina per farla rientrare nel raggio d’azione del suo potere. Gli occhi fissi, sbarrati verso la CP0 che gli stava fortunatamente dando le spalle, e il cuore che gli martellava rumorosamente nel petto. Probabilmente se non avesse posseduto quei poteri il suo battito cardiaco lo avrebbero sentito anche l’isola vicino.
Gli occhi della madre lo seguivano attenti e curiosi mentre lui procedeva adagio. Il viso di lei era sconvolto, si vedeva che non sapeva cosa fare: sapeva che se si sarebbe mossa la CP0 rischiava di vedere la bambina e l’uomo misterioso che le andava incontro, ma non sapeva neanche se era giusto che l’uomo si avvicinasse alla figlia.
Rocinante alzò le mani verso l’alto, in segno pacifico, verso di lei. Voleva rassicurarla.
Si avvicinava sempre di più alla bambina in lacrime che cercava invano di scorgere la madre oltre i tronchi.
Aveva avuto una grande fortuna a rimanere nascosta fino a quel momento.
Appena si trovò abbastanza vicino, il marine silenziò la bambina con i suoi poteri, la quale si guardò attorno per un po’ spaesata, cominciando ad aprire la bocca in modo intermittente sempre di più. Probabilmente stava cercando di urlare sempre più forte.
Dopo poco si accorse dell’enorme figura accanto a lei e spalancò gli occhi spaventata.
 Rocinante cercò di farle un sorriso, non le voleva fare del male, ma si rese conto che per come era vestito e truccato, non aveva un aspetto molto rassicurante.
Si chinò verso di lei cauto, nascondendosi a sua volta dietro i tronchi e cercando di celare di più ormai il velo d’acqua della bolla dietro gli enormi alberi anneriti.
Si azzardò ad alzare il capo lentamente per scorgere le condizioni di Elisabeth, sotto gli occhioni spaventati della bambina.
La donna continuava a puntare lo sguardo come un felino verso di loro.
Il marine poteva vedere che era allo stremo delle sue forze, ma il suo dovere di madre le negava di lasciarsi andare.
Prima che la Chiper Pool potesse vederlo il giovane marine alzò un braccio e le fece il segno con il pollice all’insù.
Elisabeth spalancò gli occhi sorpresa, e dopo poco fece la cosa che più in assoluto spiazzò il marine.
Gli sorrise dolce e grata.
Uno dei sorrisi più sinceri e caldi che avesse mai visti.
Rocinante rimase incantato da quel sorriso, e a sua volta senza rendersene conto, piegò le labbra all’insù.
La magia di quel momento svanì con la stessa velocità con cui era arrivato.
Il marine si sentì il fiato mozzo e i polmoni in fiamme.
La luce dal corpo della Regina dei Mari si spense definitivamente.
Il capo le cadde all’indietro senza forze.
Non riusciva a smettere di guardare Elisabeth. Appesa per lo stomaco con il sangue che imbrattava la pelle abbronzata, l’ombra di un sorriso nel volto.
La Chiper Pool incominciò ad agitarsi frenetica attorno a lei.
Rocinante tornò a chinarsi dietro ai tronchi e notò che la bolla era scomparsa. Il suo cuore si fermò quando vide che la bambina era andata allo scoperto.
Guardava pietrificata davanti a sé con occhi ricolmi di terrore e disperazione la madre sporca di sangue, senza più vita oramai, trafitta dalla lancia.
Il marine sentì lo stomaco attorcigliarsi nel vedere quegli occhi in frantumi, ma cercò abilmente di riportare la bambina via dalla visuale della CP0 il più velocemente possibile.
Teneva stretto quel fagottino a sé che cercava di dimenarsi con forza, per raggiungere la madre morta.
Rocinante cercò di non pensare ai suoi sentimenti, rimanendo all’erta da bravo marine.
Notando uno squarcio nel tronco, provò ad avvicinarsi ad esso per scrutare e controllare la situazione.
La CP0 si stava allontanando velocemente portando con sé il corpo morto della donna ancora trafitto dalla lancia perlacea che ormai splendeva di un bagliore bianco in lontananza. La neve candida al loro passaggio si macchiava del sangue scuro di Elisabeth.
Il marine aspettò altri minuti interminabili mentre stringeva al petto la bambina singhiozzante ormai allo stremo, per poi alzarsi lentamente e fuggire dalla parte opposta portando con sé quel piccolo corpicino ancora caldo con il cuore a pezzi.
Aveva annullato l’effetto dei suoi poteri, e le strilla di dolore della bambina gli perforavano l’anima, riportavano alla luce le urla strazianti  di Rocinante quando i suoi genitori erano morti.
Non si era ancora capacitato della sua scelta, aveva appena aiutato una delle piratesse più forti, salvando sua figlia.
Non sapeva più cos’era giusto o sbagliato: le immagini di quel sorriso caldo, della violenza della CP0 e degli occhi infranti della bambina si ripetevano in loop nella sua mente.
Stava fuggendo verso la via che riteneva più giusta in quel momento, verso lo spiraglio di bene che aveva intravisto in quell’immenso labirinto di pareti soffocanti e buie.
La sua mente non riusciva elaborare altro in quel momento.
Così stava portando via con sé quella bambina di cui non sapeva né la storia né il nome.
Si ripeteva solo che almeno salverà lei.
Si era infiltrato nelle file sotto il controllo della marina per fermare suo fratello, per non permettere alla sua pazzia di dominare oltre e distruggere innocenti su innocenti.
Ma Doffy non era l’unico folle.
E lui era solo un marine che non perseguiva la giustizia assoluta.
                                            
                                                     ***
 
-ti va questo? -
 
La bambina davanti a lui scosse il capo con vigore, guardando verso il basso tristemente. Si stese di fianco a lui sull’erba brillante, rannicchiandosi su sé stessa dandogli le spalle.
Il marine sospirò affranto riponendo via con delicatezza la pagnotta di pane nella sua saccoccia.
Si appoggiò con la schiena al tronco dell’albero dietro di lui e si perse a guardare quel paesaggio primaverile.
Un prato verde si stendeva attorno a loro decorato da centinaia di ciliegi in fiore rosati. Una brezza primaverile faceva cadere dolcemente i petali attorno a loro. Il sole risplendeva alto, infilandosi tra i rami rigogliosi. Il cielo turchese era limpido costellato solamente di qualche soffice nuvola bianca.
Un paesaggio quasi surreale dopo quello che avevano visto lui e la bambina.  
Erano passati ormai tre giorni dall’accaduto.
Erano scappati di fretta e furia con la sua piccola imbarcazione ed erano approdati lì.
Il marine non sarebbe ripartito senza prima aver ideato un piano. Il lumacofono in quei giorni aveva squillato diverse volte sotto gli sguardi curiosi della piccola, ma Rocinante non rispose mai.
Non aveva idea di cosa fare.
Nel frattempo, era riuscito a scoprire il nome della bambina.
Si chiamava Sophia.
Glielo aveva detto in un sussurro con un sorriso mesto.
Non piangeva più ormai.
Forse perché non aveva più lacrime in quel corpicino esile. Gli occhi erano stremati e spesso li stropicciava stanca. Ogni tanto si guardava attorno come se si aspettasse che spuntasse all’improvviso sua madre da dietro un albero, come se fosse semplicemente un gioco.
Non voleva mangiare molto, il marine lo capiva. Anche lui da bambino ebbe la stessa reazione quando i suoi genitori erano morti.
Cercava di stare attento ad ogni sua esigenza. Non era abituato a badare dei bambini, e poi lei era così piccola e indifesa.
I lunghi capelli biondi erano ricoperti di qualche petalo di ciliegio. Rocinante con delicatezza glieli spostò via. Sophia si girò verso di lui e gli rivolse uno sguardo indagatore con quegli occhi di un azzurro brillante.
Il marine si stupiva sempre della loro bellezza e dell’incredibile somiglianza con la madre.
Rocinante fece un’espressione buffa per cercare di farla ridere, ma ottenne solo un’espressione ancora più stranita da parte della piccola.
Solo una volta in quei tre giorni aveva riso: quando era caduto a gambe all’aria per terra inciampando in una radice di un albero. Non era proprio intenzionale quel tentativo, ma anche se era stata la sua sbadataggine a farla ridere ne era contento.
Il ragazzo sospirò e guardò il cielo azzurro sopra di loro, mentre le solite mille domande gli passarono per la mente.
Alla fine, si decise e tirò fuori il lumacofono dalla tasca dei pantaloni sotto lo sguardo attento di Sophia.
Digitò il solito numero e attese nervoso.
 
-cracker-
 
-mochi...-
 
-ROCINANTE! DOVE DIAVOLO ERI FINITO?!- strillò il lumacono impazzito con la voce dell’ammiraglio Sengoku; Sophia indietreggiò spaventata con gli occhi fuori dalle orbite- ero così preoccupato! Non mi rispondevi più, la marina non ti trovava…-
 
- perché c’era la CP0 sull’isola? - lo interruppe brusco Rocinante, impaziente di avere risposte.
 
-…-
 
Sophia si riavvicinò titubante a lui guardandolo con una luce diversa negli occhi.
 
-Hanno rischiato di uccidere innocenti e me mentre combattevano- ringhiò il marine al lumacofono cercando di trattenere i sentimenti – l’hanno uccisa in malo modo...-
 
- era comunque un pirata molto pericolo che possedeva un terribile potenziale- rispose asciutto Sengoku
Rocinante stava per ribattere quando dal lumacofono provenne un rumore tonante.
Il marine e la bambina si guardarono con le sopracciglia inarcate
 
-Ehi Garp!! Fai uscire quel tuo culo da qui!!- urlò l’ammiraglio dall’altra parte del lumacofono
 
-CHI HA UCCISO MIA FIGLIA ELISABETH?! DIMMELO SENGOKU! PRIMA CHE COMBINI UN DISASTRO- tuonò disperato il viceammiraglio Garp, facendo seguire la sua entrata in scena con diversi rumori assordanti di sottofondo – DIMMELO CHE LO UCCIDO! -
 
-NON URLARLE NEMMENO QUESTE COSE! ESCI DI QUI IDIOTA! Adesso sto lavorando, va via! - sbraitò Sengoku.
 
Rocinante scosso dalle notizie appena ricevute, chiuse la telefonata sotto lo sguardo curioso di Sophia. Infondo non aveva bisogno di sapere altro al momento.
Il marine sospirò sentendosi più leggero e rivolse un sorriso smagliante alla bambina che lo guardò alquanto perplessa.
 
-Ora so che cosa devo fare – le disse felice Rocinante portandosi lentamente una sigaretta alla bocca.
 
Mentre l’accendeva pensava a quali figli stravaganti e portentosi avesse generato Monkey D. Garp: Dragon il Rivoluzionario, il peggior criminale contro cui combatteva il Governo Mondiale ed Elisabeth la Regina dei Mari, una delle piratesse più importanti e temibili di tutti gli oceani.
 
 
                                                                ***
-ci vediamo fra qualche giorno-
 
Quelle erano state le parole del viceammiraglio Garp, quella sera di tre giorni fa, quando sotto centinaia di stelle, Rocinante lo aveva chiamato per mettere in atto il suo piano.
 
Aveva temuto che Garp l’Eroe della marina non gli credesse. Infondo lui era semplicemente un sottoposto che agiva sotto copertura per volere di Sengoku, ma sembrava conoscerlo bene.
Si era sempre accorto dello strano feeling tra Garp e Sengoku, ma non aveva idea di quanto si fidassero l’uno dell’altro. Non era noto a molti nella Marina che Sengoku era stato come un padre per lui, quando lo trovò in lacrime a otto anni davanti al corpo fucilato di suo padre.
 
Il viceammiraglio aveva ascoltato attentamente quella sua breve conversazione in codice e gli aveva risposto con suo grande sollievo che sarebbe partito subito dal Quartier Generale della Marina.
Non poteva dire altro al lumacofono.
Quando si aveva a che fare con la CP0 niente era sicuro.
Lui stesso in questi giorni si guardava intorno all’erta, come se tra un fiore di ciliegio e l’altro potesse celarsi un’esplosione come quella dell’isola Shinju.
 
Aveva avuto dubbi sulla sua scelta di chiamare Monkey D. Garp?
 
Un milione di volte.
 
Infondo era un marine e la bambina era la figlia di Elisabeth la Regina dei Mari.
Per Rocinante, quasi nessuno sapeva dell’esistenza di Sophia. Lui stesso aveva ricevuto ordini da suo fratello per pedinare la piratessa, non si era mai parlato della bambina. Lo stesso quartiere generale probabilmente non sapeva nulla, e forse era meglio così.
 
Fu la disperazione e la sofferenza della voce di Garp quando rivelò che Elisabeth era sua figlia a fargli prendere quella decisione.
 
Aveva provato a chiedere a Sophia durante un pomeriggio nuvoloso se avesse un padre. Stavano impilando ordinatamente i petali di ciliegio uno sull’altro e la bambina a quella domanda lo fissò a lungo come se non avesse capito cosa significasse “padre”.
-Non ce l’ho- rispose infine candidamente, tornando a concentrarsi con le manine vellutate sui fiori caduti.
Probabilmente era un pirata e non lo conosceva nemmeno. Come poteva poi lui trovare in quel vasto mare quell’uomo? Oppure poteva essere morto.
 
La sua speranza ricadeva tutta su Garp.
Sapeva che il vecchio marine aveva ideali diversi rispetto a quelli di giustizia assoluta di Sengoku, quest’ultimo probabilmente avrebbe chiuso in una cella di Impel Down la discendente della Regina dei Mari come potenziale pericolo per il futuro.
L’ ideale di giustizia di Rocinante?
In quel momento era in frantumi.
Cercava di non pensarci mentre sbucciava una mela alla piccola.
 
Teneva Sophia sotto severa sorveglianza sempre accanto a sé, e Rocinante sorpreso notò che era alquanto abituata a norme così rigide.
Sembrava iniziare a fidarsi di lui: cercava diverse volte il suo sguardo osservandolo con occhi curiosi e attenti in cerca di conferme su quello che li circondava e parlava più spesso.
 
Ma quali conferme poteva dare ad una bambina così piccola che aveva appena perso la madre e che conosceva appena?
Poteva solo tenerla al sicuro come poteva, facendo uso delle sue abilità da Marine.
 
Non avevano girato troppo sull’isola, non voleva rivelare la loro posizione ad anima viva, se non al viceammiraglio.
Sapeva che c’era un villaggio poiché lo avevano incontrato quella notte di sei giorni fa quando erano approdati. Anche se avevano visitato solo una locanda in cui Rocinante aveva prelevato tutto il cibo possibile che poteva entrare nella sua sacca da viaggio.
Sophia non fu alquanto stupita di quel furto nel cuore della notte, infondo era figlia di un pirata.
Lui no.
Il suo dovere di marine gli fece lasciare qualche moneta d’oro sul bancone di legno della locanda.
 
Rocinante notò con gioia che negli ultimi giorni la bambina mangiava di più, forse non sopportava più i brontolii rumorosi del suo stomaco.
Le diede con un sorriso l’ultimo pezzo di mela, e scrutò l’orizzonte godendosi quella brezza primaverile che gli accarezzava il viso pulito da quella maschera da clown. In quel momento non ne aveva bisogno.
 
Ora dovevano solo aspettare pazienti l’arrivo di nonno Garp.

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Capitolo 3
*** Capitolo III: Nonno ***


-Conosci una certa Katherina?-
 
Sophia alzò lo sguardo verso di lui attenta con i suoi grandi occhi azzurri mentre con le mani continuava a disegnare dei cerchi immaginari. Stava giocando con il cappotto di piume nere, quando il pensiero di quella donna tornò vivido nella mente di Rocinante.
 
Come aveva scoperto esattamente suo fratello Doffy la posizione esatta di Elisabeth? Katherina forse conosceva la Regina dei Mari?
 
-Mi fa giocare sempre- rispose la piccola con un sorriso, poi chiese piano in un sussurro sporgendosi verso di lui – la conosci? -
 
-ehm, no…mi dispiace-
 
Rocinante aveva già mille pensieri che vorticavano nella testa riguardo alle due donne, quando in lontananza scorse una figura che si stava avvicinando.
 Il marine tese ogni muscolo e prese velocemente tra le sue braccia Sophia. Poteva sentire il battito della piccola, veloce come quello di un colibrì.
 
-è lui? - pigolò nel suo petto
 
La figura che li stava raggiungendo si muoveva impettita e possente ma non sembrava minacciosa, e quando Rocinante la riconobbe si rilassò e lasciò andare Sophia.
 
-Ok, ora nasconditi dietro il grande albero che c’è qui-le disse con un sorriso tirato – io ti silenzierò nel frattempo per sicurezza, come da piano ricordi?
 
Sophia leggermente agitata annuì e corse dietro di lui.
Non sapeva ancora se fosse giusto lasciarla al viceammiraglio, ma presto lo avrebbe scoperto.
 
Stava camminando verso di lui con l’uniforme della marina tirata sul petto ampio e sulle braccia muscolose, ancora sollevate come se avesse appena lanciato una palla di cannone.
Il mantello bianco ondeggiava alle sue spalle e un’espressione dura stampata sul volto squadrato. I capelli a spazzola brizzolati erano nascosti sotto uno strano copricapo a forma di testa di cane che sembrava stesse abbaiando.
 
-Capitano di fregata Donquixote Rocinante- lo salutò Garp autoritario con le mani incrociate davanti al petto enorme 
-Viceammiraglio Garp- 
-Quindi dimmi…cosa sai di mia figlia? - chiese inchiodandolo con lo sguardo, aggrottando le sopracciglia oblique e cespugliose. 
Rocinante respirò profondamente e cominciò a raccontare. Mentre parlava le immagini di tutto ciò che era accaduto quel giorno parvero calarsi davanti ai suoi occhi. Gli riferì anche del suo sospetto che fosse già ferita in precedenza, ma non fece mai accenno per il momento a Sophia.
 
Una o due volte, sembrò che Garp fosse sul punto di tirargli un pugno dalla rabbia mentre faceva schioccare le dita sibilando epiteti poco carini verso i nobili mondiali e la CP0, che avrebbero potuto benissimo sbatterlo fuori dalla marina.
 
Soprattutto quando gli disse che l’avevano denudata per vederne i tatuaggi misteriosi; il vecchio marine aveva iniziato a tremare di rabbia, e visto che non aveva commentato Rocinante si astenne dal fargli domande in merito.
 
-Mi dispiace davvero per la sua perdita…- disse infine con un soffio 
 Garp si sedette nell’erba a gambe incrociate, tirando fuori dalla propria giacca a doppio petto scura un sacchetto di ciambelle e una foto sgualcita, sembrava più vecchio e stanco che mai.
Gli porse sia una ciambella che la foto.
Rocinante la osservò curioso.
 
Una donna molto bella dai lineamenti dolci, con una lunga treccia di capelli di un biondo così chiaro da essere quasi bianco, sorrideva abbracciando affettuosamente due bambini.
 La più piccola poteva avere tre anni, stava in grembo alla madre spettinandosi i ciuffi candidi che prima erano probabilmente stati raccolti in modo ordinato.
Il maschio sui 17 anni circa aveva capelli neri come la pece e si metteva a posto un foulard bianco al collo con volto inespressivo.
La famiglia di Garp.
 
Rocinante sorrise e restituì la foto al viceammiraglio, il quale mentre divorava la sua ciambella cercava di trattenere grossi lacrimoni
 
-Nessuno dei due mi ascoltava! – esordì Garp asciugandosi il lungo naso diritto con una mano- Ho provato di tutto per farli diventare due ufficiali della Marina, anche se loro madre era contraria…avevamo idee alquanto diverse su come crescerli e quei due scavezzacollo ne sono il risultato- 
Il viceammiraglio increspò un sorriso massaggiandosi il folto pizzetto brizzolato.
 
-Ma li ho sempre amati- continuò Garp gonfiando l’enorme petto, e a Rocinante parve di scorgere un lampo di trionfo nei suoi occhi -sia quando ho saputo che Dragon venne eletto peggior criminale dal governo mondiale e sia quando quella monella a soli 12 anni si arruolò nella ciurma di Gold D. Roger- 
-Era davvero così piccola quando si è unita al Re dei Pirati? - chiese allibito Rocinante sputando pezzetti di ciambella ovunque 
Non lo sapevi? - chiese Garp massaggiandosi la cicatrice a semiluna sulla tempia sinistra- Beh gli adolescenti, che ci si può fare?! Ah, ne ha combinate di belle…tutta suo padre buwahahahah!!- 
Garp guardò un’ultima volta la foto con un sorriso e sospirando la rimise in una tasca interna della sua giacca, all’altezza del cuore.
Rocinante a quel punto abbassò le spalle e chiamò a voce più alta.
 
-Sophia puoi venire qui- 

Garp si alzò di scatto e lo sguardo saettò verso la piccola figura che veniva loro incontro.
Rocinante sorrise nel sentire le manine incerte della bambina aggrapparsi alle sue gambe e nel vedere l’espressione del viceammiraglio cambiare di colpo.
Gli occhi sempre lunghi e affilati di Garp diventarono due perfetti cerchi, e per poco non gli cadde la mascella dallo stupore.
 
Ci fu un lungo silenzio quando grossi lacrimoni iniziarono a scendergli ai lati degli occhi.
-Elisabeth…che scherzo è questo?!- sussurrò Garp bianco come un lenzuolo come se avesse appena visto un fantasma. 
Effettivamente la somiglianza del viso tra le due era strabiliante.
-Ha dato la vita per proteggerla… - sussurrò il giovane marine con un sorriso mesto – Le serve una famiglia e qualcuno che continui a proteggerla- 
Il vecchio marine sembrò invecchiare di colpo dopo quell’informazione, e si limitò ad osservare la piccola attentamente.
-Così…ti chiami Sophia, eh?- bofonchiò infine il viceammiraglio dondolandosi sui talloni allargando il petto. 
La piccola guardò prima Rocinante attentamente, e solo dopo che il giovane marine le sorrise, annuì vigorosamente.
-è vero che sei mio nonno? – squittì assottigliando gli occhi
Il vecchio marine ammutolì di colpo.
 
Quella parola che Rocinante aveva provato a spiegarle i giorni prima aveva fatto breccia nel cuore di Monkey D. Garp, il quale sembrò sgonfiarsi di fronte a quegli occhi azzurri e innocenti.
Il viceammiraglio scrollò le spalle sospirando sonoramente, bofonchiò burbero qualcosa che Rocinante non capì bene ma assomigliava ad un “Ace e Luffy” e si allungò per prenderla in braccio sollevandola come se fosse una piuma.
 
-Pare di sì, ma non ti preoccupare mocciosa… nonno Garp ti alleverà personalmente! Ti farò diventare bella forte! Buwahahah!- cercò di sdrammatizzare ridendo fragorosamente, facendo sussultare Sophia che spalancò gli occhi.
 
Rocinante si stava già pentendo di lasciare quella piccola creatura così fragile all’apparenza quando Sophia iniziò a ridere, sembrava una melodia, un dolce scampanellio che riscaldava il cuore.


-Grazie…- disse Garp sorridendo – ah, Capitano noi non ci siamo mai incontrati, Sengoku non deve sapere nulla come nessun’altro- aggiunse con uno sguardo in tralice.
 
-Io stesso ho valutato di non riferire nulla all’ammiraglio Sengoku-
 
-Sei un bravo marine, continua così- disse infine il viceammiraglio prorompendo in un'altra risata per poi alzare un braccio in segno di congedo.
 
Sophia faceva capolino da un’immensa spalla di Garp e mentre si stringeva al suo collo taurino, salutò Rocinante con la piccola mano e con un sorriso enorme che avrebbe potuto scaldare chiunque, come sua madre.
 
Rispose al saluto augurandosi di cuore che la bambina avrebbe trovato felicità e amore.
Il marine rimase assorto nei suoi pensieri con l’abbozzo di un sorriso mentre li guardava scomparire all’orizzonte fino a che non diventarono dei piccoli puntini neri.
 
 
  •  
 
Garp capì che il ragazzo di Sengoku era perso, proprio come era successo a lui diverse volte.
Accadeva spesso che compassione ed empatia facevano dubitare della bandiera sotto la quale si aveva scelto di servire, ma un’informazione che si preferiva ignorare.
Erano situazioni scoccianti, soprattutto quando violavi il tuo giuramento alla Marina e al Governo Mondiale su innumerevoli punti.
Anche se per Garp non era la prima volta, ormai si poteva dire abituato.
 
Ad un tratto si fermò e tornò a guardare con cupo la piccola che dormiva beatamente tra le sue braccia. Gli sembrava già di sentirla, la sventura che avvolgeva quel minuscolo corpicino. Questa volta però sarebbe stato diverso. Si ripromise di mantenere il giuramento fatta a sua moglie.
 
O Maya, potessi vederla…
 
Il ricordo della sua amata era ancora vivido nella sua mente, anche se ormai erano passati 13 anni.
 
 
Una donna esile e snella era appena entrata sbattendo la porta a fatica e, dopo aver spiato dallo spioncino, si accasciò a terra. Era completamente fradicia. Linee luminose azzurre danzavano incessantemente sulla pelle quasi color latte della donna.
 La lunga treccia biondo platino era tutta sfatta. Una chiazza di sangue si allargava vistosamente sul suo vestito chiaro.
Garp aveva appena varcato la soglia dell’atrio di casa, pensando che a far quel baccano fosse quello scemo di suo figlio Dragon, quando vide la moglie sanguinante a terra.
 Fece cadere il giornale e si affrettò a soccorrerla.
 
-MAYA!!-
 
Il rumore di qualcuno che si precipitò fuori da una stanza…Elisabeth si affacciò di corsa nel soggiorno, e si pietrificò terrorizzata
 
-MAMMA!!-
 
-CHI TI HA FATTO QUESTO?! Lo sistemo io!!!- tuonò Garp sorreggendola, togliendole abilmente una strana freccia perlacea.
 
- No Garp… tesoro fermati- ansimò lei a fatica cercando di rialzarsi a fatica – ascoltami non ho molto tempo ora… devo andare da loro. Sono loro, sono venuti per me…ricordati cosa ti ho detto qualche giorno fa. Fidati di me, ti prego-
 
Il marine indietreggiò spaesato e la guardò impotente mentre sua figlia si aggrappava al grembo della madre piangendo disperata.
 
- Come puoi chiedermi una cosa simile? Io voglio combattere…-
 
- è la cosa più giusta per tutti…- lo interruppe lei dolcemente accarezzandogli una guancia bagnata   - giurami che la proteggerai sempre, anche se dovesse andare fuori dai tuoi principi…ricordati che lei è tua figlia- aggiunse in tono talmente fermo che Garp rimase per un attimo senza parole.
 
Gli occhi nocciola del marine si persero in quelli di lei azzurri come il mare; sembrava che dentro ci vorticasse una tempesta.
 
-te lo giuro…ti amo Maya- mormorò
 
Lei sorrise mesta, appoggiò le sue labbra su di lui e lo baciò dolcemente.
 
- anche io ti amo-
 
Garp non ebbe neanche il tempo di sentire il profumo di sua moglie un’ ultima volta che lei stava già per andarsene quando Elisabeth si aggrappò con forza al grembo della madre
 
-Ti prego mamma non andartene- piangeva disperata, il viso ormai rosso dallo sforzo appiccicato di capelli candidi ribelli e lacrime. 
Maya guardò supplichevole in cerca di aiuto il marito, il quale con sguardo tetro prese di forza la bimba di nove anni trattenendola. Si dimenava furiosa tra le sue mani strillando come un animale ferito.
 
-Sii forte Elisabeth, ricordati che ti voglio bene- le diede un bacio sulla fronte e con quelle ultime parole corse fuori di casa. 
Il Marine si ridestò dai suoi pensieri e abbassò lo sguardo su Sophia, per niente spaventata dall’improvvisa stretta dei bicipiti che la tenevano.
 
Era già come Elisabeth e Maya?

Garp diede un’occhiata in giro. Notte fonda, luna coperta e nessuno in giro. Dawn infondo era tranquilla.
No, non lo avrebbe visto nessuno.
Prese dell’acqua da una fontana li accanto e provò a bagnare una mano di Sophia. Sottili linee contorte iniziarono a formarsi e a brillare nella notte, mentre la piccola si rivoltò tranquilla nel sonno, incurante della situazione.
 
Garp trattenne il respiro, sentendo il cuore sempre più pesante.
Infondo lo sapeva.
La doveva nascondere. Se no avrebbero portato via anche lei. Aveva sbagliato con Elisabeth…quella matta scatenata, se solo lo avesse ascoltato.
 
Doveva adottare una tattica diversa questa volta. Al villaggio con Luffy non poteva stare; tutti almeno una volta nella vita avevano visto l’avviso di taglia di sua figlia, e le due erano dannatamente simili. In più lui viaggiava troppo, aveva dei doveri e Makino non avrebbe avuto la forza di gestire quel caratterino.
 
O in quei giorni di viaggio lo aveva notato benissimo: sfacciata e ribelle come Elisabeth. Lui in passato ne aveva già avuto un assaggio; in più le era parsa parecchio sveglia per una bambina di soli sei anni. In realtà dall’aspetto fisico pensava fosse più piccola, forse era denutrita o il padre era di bassa statura?
 
Al solo pensiero che qualcuno avesse messo le mani su sua figlia, sentì un lungo brivido corrergli giù per la schiena.
 
L’avrebbe nascosta al monte Corbo da Dadan insieme a quella piccola canaglia di Ace. Lui dopotutto era il bambino maledetto del Re dei Pirati e ancora nessuno lo aveva trovato o sospettato minimamente. Sarebbero diventati forti insieme ai suoi “amici” banditi di montagna, stavano in suo pugno, e quando avrebbero avuto l’età giusta sarebbero entrati in Marina e intrapreso la via giusta.
 
- il mio futuro bambino non ha colpe Garp!! Prenditi cura del mio ragazzo-.

- Roger… - mormorò tra sé cupo
 
Bambini. Figli di pirati. Eredi di Roger. Streghe.
Come aveva fatto a essere trascinato in tutto questo?

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Capitolo 4
*** Capitolo IV: una bambina fastidiosa ***


Stava ancora sorgendo il sole sul monte Corbo, una brezza più fresca annunciava la fine di settembre, quando un bambino di sette anni era già sveglio. Ace era magro ed atletico, aveva fitti capelli neri che ricadevano disordinati fino a solleticargli la nuca e due occhi neri come l’ossidiana con cui guardava torvo la maggior parte delle persone. A fregare la sua aria da duro erano un viso fanciullesco e una miriade di lentiggini sulle gote. Non era amato dalle persone, ma ad Ace andava bene, sapeva di meritarlo, lui era dannato. Non meritava amore e non lo cercava neanche, perché i figli del Diavolo non dovrebbero neanche esistere.
 
Girava sempre con un bastone di metallo che lo usava per ogni cosa: arrampicarsi, cacciare o anche per picchiare gli scocciatori. Portava sempre dei calzoncini al ginocchio e magliette molto semplici. Non aveva molto, anzi non aveva nulla se non le cose che si procurava da solo; come la fascia protettiva al gomito che si era procurato per proteggersi quando avrebbe dato delle gomitate.
 
Sapeva arrangiarsi da solo perché era stato cresciuto dai banditi di montagna, i quali non gli avevano mai dato nulla se non una ciotola di riso al giorno e un po’ d’acqua. I banditi non erano persone affettuose o gentili ma Ace risolveva tutto con la sua impetuosità, infatti era parecchio birichino, non ascoltava nessuno, se non il suo unico amico Sabo.
 
Quella mattina infatti Ace stava scalando un mobile di legno alquanto alto per rubare la colazione per sé e Sabo. Si sarebbero dovuti incontrare a momenti per rubare altri bottini così da aumentare il loro fondo per la pirateria. In questo modo fra qualche anno avrebbero potuto comprarsi una nave e sarebbero stati liberi di andarsene da quel postaccio insieme, visto che erano entrambi orfani.  Ace aveva conosciuto Sabo al Grey Terminal da due anni, lo riteneva un bravo bambino: era furbo e abbastanza forte; qualità molto importanti per lui.
 
Ace aveva appena svuotato la credenza in alto e stava per scendere vittorioso quando alla porta una voce paurosamente familiare tuonò:
 
-DADAN!!VIENI FUORI!!-
 
Dallo spavento cadde a terra trascinandosi dietro una pila di ciotole di ceramica, le quali si fracassarono con un rumore terribile.
 Monkey D. Garp anche chiamato “vecchio” o “nonno”.
 
Ace lo maledì mentre si massaggiava la schiena dolorante, ma sentendo dei passi affrettati venire verso di lui corse subito dentro l’armadietto del lavabo della cucina. Non voleva salutare quel vecchio, avrebbe dovuto aspettare lì dentro. Unica nota positiva fu che l’arpia Dadan e i suoi uomini corsero mezzi addormentati per la stanza principale verso il portone logoro senza notarlo nel cucinino con tutti i cocci in giro. Però si sarebbe perso uno dei pochi spettacoli divertenti che capitavano lassù nel Monte Corbo: Garp che metteva il guinzaglio ad una docile Dadan.
 
Il passo pesante della donna andò ad aprire il portone e quello che vide la fece quasi strozzare:
 
-EH, GARP??!! Che ci f-
 
-Dov’è Ace? - tuonò il marine entrando, fiutando l’aria come un toro – lo voglio salutare! -
 
-Starà dormendo cosa ne so, riprenditelo io non ce la faccio più con lui- sbottò Dadan – piuttosto aspetta un attimo, di chi è la creatura? 

Ace pensò di aver capito male, e si sporse un po’ per sentire meglio.
 
Un bambino?
 
Garp aveva forse portato un altro trovatello maledetto come lui che non avrebbe dovuto avere ragione di esistere? Stava già provando pena per quel bambino al pensiero che potesse avere un ‘esistenza come la sua quando Garp rispose gaio:
 
-Mia nipote, la devi crescere- 

Ace emise uno sbuffo di risata per nulla contento.
Una femminuccia per di più nipote di quello lì, ma davvero? Piagnistei e bambole?
 
-EH?! vuoi che ne prenda un altro? Starai scherzando spero?!- esclamò Dadan - Dammi tregua! E poi tuo nipote non era un maschio?!- 

-Tu sei un maschio- rispose impertinente una voce acuta femminile 
Ace non poté fare a meno di soffocare una risata.
 
-Brutta insolente...- ringhiò Dadan 

- No Luffy è... – 

Smise di ascoltare poiché qualcosa di fianco a lui catturò la sua attenzione. Le tubature del lavandino iniziarono a tremare facendo degli strani cigolii. Non ebbe la prontezza di riflessi nel chiudere la bocca mentre si chiedeva “che cosa?”, quando all’improvviso esplosero.
Si ritrovò a inghiottire quintali d’acqua. Uscì dal suo nascondiglio bagnato fradicio continuando a sputacchiare, finchè non si ritrovò nella stanza principale con tutti gli adulti in cerchio davanti a lui che lo guardarono stupiti.
L’acqua dietro continuava a zampillare furiosa.

-Wahhh Ace che ci facevi lì?! Quando sei tornato?!- esclamò sconvolta l’enorme donna giunonica di nome Dadan, mettendosi le mani tra i suoi capelli crespi e rossi. 
Al vecchio marine quasi brillarono gli occhi alla vista del suo nipote adottivo. Si ergeva in tutta la sua maestosità con la solita divisa da Marine.
 
-Buwahahahah oh Ace, vieni qua che ti saluto- esordì Garp venendo verso di lui assestandogli una gran pacca fra le scapole che per poco non lo ribaltò a terra - comunque lei è Sophia e deve stare nascosta quassù come lui-
 
Solo in quel momento Ace notò che dietro a suo nonno c’era una bambina alquanto esile che doveva essere più piccola di lui di qualche anno. Aveva folti capelli biondo miele molto lunghi e disordinati, dove in mezzo si perdevano anche piccolissime treccine con qualche piuma d’uccello. Aveva un viso da bambola, labbra carnose a cuore e occhi di un azzurro brillante e luminoso, che assottigliava per osservare attenta attorno a lei. Portava dei pantaloncini blu scuro con qualche toppa di diversi colori e una maglia chiara, evidentemente di qualche marine visto lo stemma del gabbiano e la lunghezza spropositata.
Stava in piedi con le braccia incrociate al petto e osservava attentamente, leggermente imbronciata.
 
Ad Ace ricordava tanto un pulcino arrabbiato. Non assomigliava per niente al nonno, se non per gli sguardi minacciosi che scoccava certe volte ai banditi.
 
-Questo è Ace, ha un anno in più di te- continuò le presentazioni Garp- ti troverai bene con lui! Ah, tienila d’occhio anche tu Ace –
 
La bambina sembrò lievemente sollevata alla sua vista, spalancò gli occhi colmi di speranza. Forse perché pensava di essere abbandonata in mezzo ad un branco di adulti puzzolenti mentre la presenza di un coetaneo l’avrebbe fatta stare meglio.
Ma si sbagliava di grosso, lui era il figlio del Demonio.
 
-È gia deciso?!- sbraitò Dadan facendo cadere la sigaretta dalla bocca – Abbiamo già lui che ne combina sempre e ci aggiungi anche lei? E poi se è sangue del tuo sangue sarà ingestibile!!- 

Spesso Dadan parlava di Ace come se lui non fosse prese presente, era abituato ai suoi discorsi, era solo un peso.
Garp divenne nero in volto e squadrò Dadan assottigliando gli occhi sotto le sopracciglia oblique.
 
-Ci sono problemi? - sibilò il nonno guardandola minaccioso - Va bene. ti farò scegliere: preferisci la prigione o badare alla bambina?  Io ho chiuso un occhio su tanti di quei tuoi crimini…- 

Dadan ammutolì sgranando gli occhi. I banditi dietro di lei indietreggiarono, sembravano terrorizzati. Alla fine, alzò le mani in segno di scusa e con un piccolo sorrisetto falso annuì.
 
-Ah, vedi è deciso la lascerò con te- sentenziò contento Garp stringendosi le braccia al petto 

-Probabilmente in prigione starei più tranquilla- sibilò Dadan in modo quasi impercettibile 

-io ora devo andare la mia vacanza è già durata troppo, devo tornare operativo, salutate il nonno! – 

Due pacconi affettuosi arrivarono nelle schiene dei due bambini che franarono a terra come due birilli, e poi Garp si congedò con loro e fece ritornò alla sua nave.
I banditi fissarono a lungo impauriti la porta, temevano forse una ricomparsa improvvisa di Garp.
Ace stava solo aspettando qualche altro minuto prima di svignarsela di lì, non voleva rincontrare il vecchio per strada. Non sarebbe stato intelligente fargli vedere dove andava.
Dadan mugugnando parole incomprensibili si accese un’altra sigaretta e torreggiò con la sua immensa e formosa figura sui bambini.
 
-Allora Sophia giusto? Da domani inizierai…- 

-Mi stai antipatica – la interruppe lei sfacciata per voltarsi poi verso Ace, il quale alzò le sopracciglia sorpreso 

-Eh?! Brutta marmocchia come ti permetti?!- sbraitò Dadan sputacchiando 

Sophia porse la mano verso di lui e gli sorrise
 
- vuoi essere mio amico? – 

Ace trattenne il respiro ma aggrottò subito le sopracciglia guardando la bambina sorridergli. Sperò che il suo momento di esitazione non fosse trapelato, non voleva darle false speranze.
 
-Non ho bisogno di amici, soprattutto se femmine - gli rispose gelido Ace mettendosi le mani in tasca - sono deboli e piagnucolone- 

Sophia abbassò la mano; gli occhi azzurri di lei sembrarono infrangersi.
Ace aspettò che iniziasse a piangere, ma non lo fece probabilmente per dimostrargli il contrario.
Anzi iniziò a guardarlo con aria di sfida, senza distogliere mai lo sguardo, per almeno un minuto poi se ne andò impettita dall’altra parte della stanza.
 
-Ehi tu dove pensi di andare?!- lo ammonì Dadan risvegliandosi dalla scenetta precedente che aveva lasciato senza parole anche lei, ma Ace stava già correndo fuori per addentrarsi nel bosco e fuggire. 

Non aveva alcuna voglia di vedere Dadan e il resto dei banditi più del dovuto e, soprattutto, conoscere la nipotina del nonno. Voleva solo raggiungere Sabo, l’unico amico di cui sapeva di potersi fidare davvero, loro due erano simili: due reietti della società. Sabo era l’unico che aveva accettato la sua natura, il suo sangue maledetto. Lui era il figlio dell’uomo più odiato da tutti.
                                                                            ***
Ace era distrutto. Il sole era già calato quando lui spinse la porta con un calcio. Era stata una giornata molto fruttuosa: lui e Sabo avevano trovato diverse cose preziose in giro per la periferia della città, si erano allenati duramente e avevano pure cacciato.
Si diresse verso la sua camera tutto indolenzito, ma si bloccò sulla soglia della porta. Sophia stava rannicchiata con un foglio di giornale infondo alla stanza contro la parete opposta in un futon simile al suo. Aveva tutta l’aria di essere sul punto di piangere.
Quasi quanto lui al pensiero di dover condividere la camera con lei.
 
Quando si accorse della sua presenza cambiò improvvisamente espressione e si alzò di scatto nascondendo dietro al vestito un po’ malandato il foglio. Lo guardava guardinga con i suoi occhi brillanti, e nel frattempo sembrava studiarlo molto attentamente.
Ace notò che vicino al suo futon c’era una ciotola di riso. Il famoso e unico pasto che Dadan concedeva.
 
-Te l’ho portato io visto che a cena non c’eri- commentò lei, sdraiandosi nel suo futon 

Ace la guardò con cipiglio severo.
Non capiva quel gesto di gentilezza nei suoi confronti. L’aveva trattata male, perché insisteva?
Lei non sapeva chi fosse lui, non lo avrebbe mai voluto come amico.
Sophia spuntava solo con naso e occhi dalle coperte, continuava a fissarlo finché con uno sbuffo esasperato gli diede le spalle.
 
Ace però non sapeva rifiutare il cibo, anche se il suo stomaco era pieno da prima visto che lui e Sabo avevano catturato un animale bello grosso. Tenendo gli occhi fissi sulla schiena della bambina prese la ciotola e mangiò silenziosamente.
 
Nonostante fosse stanco morto per la prima volta nella sua vita fece fatica a dormire: continuava a pensare a quel gesto di gentilezza e alla mano tesa verso di lui, ma sentì anche i singhiozzi soffocati sotto le coperte di Sophia.
Lui però non si girò verso di lei, non conosceva bene cos’era la gentilezza.
                                                                    ***
 
Le settimane passavano e l’inizio di novembre arrivò portando con sé molto freddo. I monti attorno si tinsero di un grigio glaciale e i fiumi divennero lastre di ghiaccio di gelido metallo. Tutte le mattine il terreno era coperto di brina quando Ace usciva per incontrare Sabo sotto le urla furiose di Dadan che voleva che lui desse una mano in casa.
 
Le strilla però nell’ultimo periodo erano aumentate poiché oltre a lui aveva iniziato ad uscire anche Sophia. Evidentemente si era stufata dopo poco tempo dei compiti di Dadan.
Correvano fuori insieme, ma andavano in direzioni diverse. Lei lo salutava anche allegra, ma lui continuava dritto verso la sua strada.
 
Non sapeva dove andasse, anche se qualche idea ce l’aveva ma non gli importava nonostante i continui avvertimenti di Dogura e Magura di controllarla visto che era più piccola. Sembravano come ammaliati da lei. Sophia sembrava aver fatto breccia nei loro cuori da banditi, riusciva ad ottenere da loro diverse cose facendo gli occhi dolci; Ace doveva ammettere che era alquanto furba per essere così piccola. L’aveva vista fregare diverse volte anche Dadan con suo grande stupore.
 
Sta di fatto che ora Sophia vantava diversi abiti nuovi (prima era costretta a mettere vecchi abiti di Ace che le stavano larghi) e libri.
Non sapeva che libri fossero perché lui non sapeva leggere, ma dubitava che lo sapesse fare lei che era più piccola quindi non capiva a cosa potessero servirle. Li conservava con grande cura, come se fossero un tesoro, sotto l’asse del pavimento di legno vicino al suo futon. La sera spesso li sfogliava lentamente con sguardo curioso soprattutto quando lui non le parlava.
 
Lì sotto non nascondeva solo i libri ma anche il famoso giornale che conservava dal primo giorno in cui era arrivata e dei barattoli pieni di conchiglie.
Così aveva intuito che Sophia scendesse verso il mare certi giorni, anche perché odorava particolarmente di salsedine. Quindi disobbediva agli ordini del nonno, anche se Ace non poteva giudicare visto che lui lo faceva da sempre.
 
Gli altri giorni non aveva proprio idea di dove potesse andare ma in quei casi la trovava la sera a casa con espressione imbronciata mentre dei nuovi “iperprotettivi” Dogura e Magura le medicavano sbucciature e tagli su tutto il corpo.
Chissà come se li faceva.
Non era affar suo, anzi se spariva era solo meglio così lui non avrebbe trovato quasi tutte le sere quella ciotola di riso che lei gli portava gentilmente quando rientrava tardi a casa.
 
Faticava a capire perché lei si ostinasse a portargli da mangiare, lui tanto era già pieno, ma questo lei non lo poteva sapere.
Mentre lui mangiava Sophia lo riempiva di domande a cui lui non rispondeva o se lo faceva era con poche parole, ma lei non demordeva anzi sembrava più che lo stesse stuzzicando.
La notte aveva smesso di piangere e si stava rivelando essere una bambina fastidiosamente solare, anche se certe volte l’aveva beccata tutta rannicchiata su sé stessa in camera con espressione cupa.
 
All’inizio pensava di essere lui la causa di quei pianti e momenti tristi, infondo doveva convivere con il bambino che non sarebbe mai dovuto nascere e che la trattava male, ma una sera si smentì.
Era tornato in camera dopo la sua tipica giornata con la neve tra i capelli corvini e rimase stupito nel non trovare Sophia e la ciotola di riso come al solito. Anche se non ebbe il tempo di godersi quel momento di tranquillità che arrivò lei di gran corsa ansimando.
I lunghi capelli biondi erano spettinati e incorniciavano un sorriso smagliante mentre tra le mani teneva un contenitore trasparente pieno d’acqua dove al suo interno riposava tranquilla una piccola tartaruga marina.
 
-Pensi che Dadan te la faccia tenere?!- chiese bruscamente Ace  

-Non la potevo abbandonare, se no nessuno si prende cura di lei- ribatté lei distrattamente mentre posizionava l’animale vicino al futon – è orfana come me- 

Ace ammutolì.
Non tanto per il fatto che la bambina supponesse che la tartaruga fosse orfana, ma che lo fosse lei.
 
Erano entrambi soli e senza genitori.
 
-Non hai nessun altro? - chiese con voce titubante 

-Solo il nonno- rispose lei con un sorriso mesto  

Garp non era ancora tornato per una di quelle sue visite sporadiche ad assumersi il ruolo di genitore, nonostante lei chiedesse di lui in continuazione ad una Dadan scocciata.
Ace strinse i pugni mentre strane e imprecisate sensazioni lo attraversarono, decidendo infine che avrebbe potuto scambiare qualche parola in più con lei la sera davanti a quella ciotola di riso.

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Capitolo 5
*** Capitolo V: riso ***


-Ace dove vai tutti i giorni? –
 
-non te lo dico-
 
-ma incontri qualcuno? -
 
-non te lo dico, sbrigati o vado-
 
Ace stava aspettando che Sophia finisse di infilarsi un particolare poncho grigio alquanto peloso. Dicembre era arrivato portando una gelida aria invernale, costringendoli a vestirsi più pesantemente; anche se quelli che procurava Dogura per Sophia erano parecchio discutibili a volte.
 
Avevano iniziato ad aspettarsi alla mattina visto che entrambi uscivano ad un orario simile, anche se andavano in direzioni diverse. O almeno, lui aspettava lei sulla soglia della porta a braccia incrociate.
 
-E tu invece come fai a farti male? - chiese in tono falsamente disinteressato notando delle bende sui polsi 

-Non te lo dico- lo scimmiottò lei con un sorriso superandolo fuori dalla porta 

Ace sbuffò in una risata e la seguì. Camminarono silenziosamente verso la porta per evitare che Dadan trapanasse i loro timpani con degli insulti e si fermarono.
Lei lo guardò con il solito sguardo beffardo di sfida, e lui le sorrise malandrino.
Presero aria a pieni polmoni e scattarono fuori nel prato coperto di neve.
 All’improvviso Ace si ricordò di aver dimenticato il suo bastone in camera e inchiodò i piedi nel terreno.
 
-Dannazione- imprecò a denti stretti tornando indietro 

Sophia davanti a lui invece continuò a correre a perdifiato ignara di tutto concentrata solo su suoi 100 metri di velocità.
Stava già varcando la porta quando sentì Sophia strillare in lontananza.
 
-HO VINTO!-
 
Che scema.
Ace si rintanò subito in camera sua a cercare il bastone cercando di non essere visto da Dadan per non essere costretto ai lavori forzati, visto che la donna stava correndo verso l’uscio insieme a qualcuno dei suoi uomini imprecando.
Questa non ci voleva, ora sarebbe stato più difficile uscire.
Recuperato il bastone si avvicinò di soppiatto verso l’uscita quando dalla parete accanto sentì Mogura dire orgoglioso:
 
-Capo lo sai che Sophia ha imparato a leggere da sola? – 

-Grazie a voi che le comprate i libri- grugnì Dadan 

Ace si paralizzò, sentendosi un po’ a disagio.
 Quella marmocchia più piccola di lui sapeva leggere, e lui no?
 
-Ma ce li hai dati tu i soldi capo- le ricordò con voce tremante Dogura 

-Piuttosto quella mocciosa per i miei gusti è troppo magra – mormorò Dadan sovrappensiero 

-Ma il riso sembra che lo mangi sempre- constatò pensieroso Mogura- Lo porta sempre in camera però poi lascia sempre la ciotola vuota- 

-Ah, se dovessi sapere che lo butta, la faccio fuori con le mie mani- esclamò Dadan furiosa -Ace mangia anche meno a casa eppure ce l’ha sempre fatta- 

-Forse ha bisogno di più riso lei- suggerì Dogura 

Ace rimase fermo con il bastone in mano guardando nel vuoto davanti a lui. Il suo cuore iniziò a battere più velocemente.
Come aveva fatto a non rendersi conto di una cosa simile? Quando mai Dadan gli conservava il cibo se lui rimaneva fuori.
La ciotola di riso che lui mangiava tutte le sere era quella di Sophia, e lei la donava a lui pensando che fosse a digiuno.
 
Un senso di vergogna lo pervase dentro e si allargava come una macchia d’olio nel suo petto.
Come aveva fatto tutto questo tempo ad andare avanti? Ora si spiegava perché era così magrolina; Ace non ci aveva mai badato molto perché pensava non le piacesse mangiare.
 
Era ancora assorto nei suoi pensieri quando si ritrovò davanti Dadan e i due banditi.
Non fecero in tempo neanche ad aprire bocca che Ace abilmente era corso fra le loro gambe tenendo il bastone stretto tra le mani, e poi scattò verso la fuga.
 
Corse a perdifiato in mezzo alla neve con la testa che frullava di pensieri mentre le urla in lontananza di Dadan riecheggiavano. Saltava sui sassi dei ruscelli ghiacciati, si arrampicava sulle montagne senza neanche rendersene conto, agile e veloce come una pantera; finché non arrivò davanti all’albero in cui lui e Sabo si incontravano sempre ormai da due anni.
 
-ohi! Sei in ritardo- urlò una voce dall’alto
 
- Sabo cambio di programma per oggi- gli rispose mentre si arrampicava sull’albero- mi devi insegnare a leggere! –
 
- EHH?-
                                                                         

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Capitolo 6
*** Capitolo VI:amici? ***


-Vedrai starai bene con Urashima, è simpatica sai? –
 
La neve aveva cominciato a cadere fitta nella foresta durante il tramonto quando Ace sentì distintamente il parlottare allegro di Sophia. Non doveva essere troppo distante da lui, così decise di seguirla; anche perché era curioso di sapere con chi stesse parlando.
 
La trovò mentre stava avanzando a fatica nella neve, ormai le arrivava al ginocchio, e teneva stretto a sé un fondo di bottiglia di vetro dove una stella marina alquanto variopinta veniva sballottata.
 
Sbuffò divertito.
 
Mistero risolto. Infondo con chi poteva parlare in mezzo alla foresta?
 
La raggiunse trascinando con sé l’enorme peso che portava sulle spalle. Sophia sentendo dei rumori dietro di lei si voltò di scatto in posizione d’attacco raccogliendo abilmente un ramoscello a terra e lo brandì stretto in una mano come se fosse un’arma.
Lo squadrò minacciosa per una frazione di secondo e quando lo riconobbe si aprì in un sorriso a trentadue denti.
 
-Oh, Ace sei tu! - esclamò contenta raggiungendolo a balzi- Mi hai spaventata! –
 
Ace dovette soffocare una risata di fronte a quel misero rametto, però dovette ammettere che era stata svelta.
Si fermò di fronte a lui e sgranò gli occhi.
 
-e quello?!- strillò con voce acuta indicando la sua schiena.
 
Ace stava trasportando un enorme cervo morto sulle spalle; lo aveva catturato insieme a Sabo, al quale aveva spiegato la situazione del riso. Doveva sdebitarsi con lei, non poteva morire di fame per colpa sua.
 
-la cena per stasera- rispose in tono piatto- e quello, un altro orfano? -  E indicò con un cenno del capo la stella marina che pareva alquanto felice di essere ferma in quel momento.
 
-Si era vicino…-
 
Ace però non la ascoltò.
 Tutte le domande e i pensieri che lo avevano tormentato durante la giornata riemersero come il vapore di una pentola che bolliva da troppo tempo, quando vide il luccichio negli occhi di Sophia per la contentezza di avere una cena quella sera.
Sentì una vampata d’ira che in quel momento avrebbe potuto sciogliere tutta la neve.
  
-Perché mi hai dato sempre il tuo riso? – la interruppe brusco -Io non te l’ho mai chiesto-
 
Lei sgranò gli occhi luminosi e poi con grande sorpresa di Ace, sghignazzò.
 
-Beh, è quello che fanno gli amici no? – disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo
 
Ace chiuse gli occhi, inspirò a fondo dal naso e si accorse che aveva iniziato a digrignare i denti. Lei attendeva.
 
-Ma io ti avevo detto che non volevo esserti amico- ribatté lui con un sibilo, ancora a occhi chiusi.
 
Sentì Sophia avvicinarsi a lui.
Ace aprì gli occhi e la trovò davanti a lui con un’espressione molto seria e lo stava fissando dritto in faccia mentre i fiocchi di neve le si appoggiavano delicati sui capelli biondi.
Lui non poté non notare che erano davvero belli i suoi occhi azzurri.
 
-Tutti hanno bisogno di un amico- disse con fermezza- nessuno deve stare da solo-
 
Questo non se l’aspettava.
Sembrava sincera, lo pensava davvero.
 Ace si morse le labbra, rimanendo senza parole.
Voleva dirle che il figlio del demonio non meritava di esistere o quanto meno di essere amato, ma le parole si persero prima di arrivargli alla bocca, e quel che invece uscì fu:
 
-Secondo te io merito di avere amici? –
 
Sophia era sbigottita. Lo fissava incredula.
 
-Certo che sì! ti ho detto tutti- esclamò Sophia alzando gli occhi al cielo - sai cosa significa la parola “tutti” vero? - E si avvicinò a lui per controllare se fosse sano di mente.
 
Era talmente vicina a lui che poteva vedere chiaramente delle pagliuzze verde-acqua nei suoi brillanti occhi azzurri.
Ace senza neanche pensarci, stringendo i pugni, le chiese con un filo di voce
 
-Vuoi essere mia amica? –
 
Sophia rimase interdetta, spalancando gli occhi, e per poco non fece cadere la stella marina nella neve.
Lo guardò per qualche secondo interminabile e poi si aprì in un sorriso smagliante.
 
-Siiii!- squittì contenta, e poi aggiunse mentre cercava di darsi contegno- mi sta bene si può fare-
 
Ace rise e sentì le guance improvvisamente più calde mentre Sophia davanti a lui trottava felice in mezzo alla neve per tornare a casa.
Infondo, pensò, un’amica poteva permettersela anche il figlio del Re dei Pirati.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII: orso ***


“certo che voi non siete simpatici come i miei amici giù al mare! Ma tanto io ora ho un amico come me e si chiama Ace!”
 
Sophia schizzò indispettita l’acqua con le dita per allontanare due pesci rossi che non avevano voglia di fermarsi con lei.
Si spostò sbuffando su una roccia vicino alla riva del ruscello e si sedette comoda osservando le linee luminose delle sue braccia affievolirsi.
 
Quando i primi di gennaio aveva smesso di nevicare Sophia ne era molto contenta, sia perché l’acqua dei ruscelli non era più ghiacciata sia perché la neve le rievocava la morte di sua madre.
Anche se più volte aveva visto Dadan che osservava fuori dalla finestra e borbottava tra una sigaretta e l’altra che non vedeva un clima simile a gennaio da più di dieci anni.
 
A Sophia però non importava molto, non vedeva l’ora di tornare al mare a divertirsi.
Purtroppo, anche quel giorno non ci era riuscita perché era distrutta dal giorno prima, e visto che per scendere fino a riva la strada era molto lunga preferiva fermarsi in qualche fiume o ruscello per rilassarsi o per leggere qualche libro.
 
La sua stanchezza dell’ultimo periodo era dovuta al fatto che provava, molto più assiduamente di quanto facesse prima, a seguire in incognito Ace nei suoi luoghi misteriosi; ma il bambino sceglieva sempre dei percorsi tortuosi e difficili, e Sophia finiva sempre per perderlo di vista e farsi male.
All’inizio quando non erano amici, non gli aveva mai chiesto dove andasse, forse per orgoglio e per volergli dimostrare che si sbagliava, voleva fargli vedere che lei avrebbe potuto fare le stesse cose di un maschio, ma si dovette ricredere dopo le prime volte. Tornava tutte le volte sanguinante piangendo e si rese conto di non essere forte come quel bambino scorbutico.
 
“Debole, femmina e piagnona”
 
Aveva ragione lui, e Sophia ci credeva sempre di più.
 
Erano tutt’ora queste le parole che Ace le urlava mentre si allontanava quando lei ogni giorno gli chiedeva di poter andare con lui.
Perché poi la curiosità di sapere dove andasse ebbe il sopravvento, e non riuscì a stare zitta, quindi glielo chiese e continuava imperterrito a chiederglielo. Anche se andava contro il suo fiero orgoglio glielo domandava sempre, perché desiderava stare con lui, era il primo bambino che avesse mai conosciuto. In più Sophia si sentiva come calamitata da lui dal primo momento, probabilmente perché era la figura di riferimento che cercava, in più era forte e agile e lei lo ammirava molto.
 
Quando era con sua madre si spostavano sempre, ed erano sempre loro due, se non qualche altro adulto.  Non c’era mai stata l’occasione per avere un amico della sua età, e questo con il tempo la stava facendo soffrire sempre di più visto che ora non c’era neanche più sua madre.
 
Almeno Ace non si era mai accorto che lei provava a seguirlo, e ogni volta che le faceva delle domande in merito alle bende che aveva attorno al corpo lei faceva spallucce.
 
Chissà dove andava e cosa faceva; quante volte Sophia ci aveva rimuginato sopra mentre si faceva medicare da Dogura e Magura.
 
Molto probabilmente era solo, vista la sua poca abilità nel socializzare, lei stessa aveva faticato non poco a farlo parlare di più. Forse andava a caccia di animali tutto il giorno, visto il fisico asciutto che aveva e le prede succulente che portava ogni sera.
 
Anche se non la portava con sé, il loro rapporto era migliorato molto, la sera parlavano molto di più e si era rivelato essere anche un bambino abbastanza simpatico, e non il musone che aveva conosciuto i primi giorni.
 
Era comunque un bambino particolare, ma Sophia lo accettava ben volentieri. Il 26 dicembre, il giorno del suo compleanno, aveva provato a chiedere ad Ace come regalo se potesse accompagnarlo nel suo posto misterioso, ma lui dopo averla fissata a lungo e averla fatta sperare inutilmente le rispose come al suo solito. Quando però tornò a casa la sera le portò in camera un muffin al cioccolato.
 
“Te l’ho preso in città, era lì, quindi…” disse a disagio, arrossendo fino alle punte delle orecchie, mentre le porgeva il dolcetto fra le mani come se fosse una bomba.
 
Sophia non glielo disse mai, ma in quel momento gli sembrò una delle cose più belle che avesse mai visto dopo che sua madre era morta.
 
Era ancora sovrappensiero, ormai mollemente sdraiata sulla roccia quando il rumore di rami spezzati dietro di lei la ridestò. Sophia si voltò di scattò…e vide chiaramente che cosa c’era di fronte a lei.
 
Stava fissando dritto occhi neri come scarafaggi che appartenevano ad un orso bruno di dimensioni mostruose, un bestione che era alto almeno come metà pino. Aveva lo sguardo folle, gli occhi furenti puntavano su di lei e il naso si contraeva e vibrava nella sua direzione.
Sophia poteva sentire il suo cuore martellarle nel petto con una tale violenza che sembrava volesse fuggire dal suo petto.
 
“Ehi ciao…” balbettò cercando di non tremare come una foglia
 
L’orso spalancò l’enorme bocca mostrando le zanne gialle e bramì talmente forte che il suono riecheggiò in tutta la vallata insieme alle grida terrorizzate di Sophia.
Cadde all’indietro dallo spavento, finendo in mezzo al ruscello, e appena in tempo poiché l’orso aveva sferzato l’aria con i suoi lunghi artigli come coltelli.
Sophia si spostò velocemente dal viso i capelli bagnati e vide l’orso che stava balzando verso di lei per tornare all’assalto; ma rimase lì, paralizzata in mezzo al ruscello troppo concentrata sugli artigli che avrebbero potuto benissimo lacerarla, mentre linee luminose iniziavano a percorrerle il corpo.
 
Quel che seguì avvenne così in fretta che Sophia non si rese conto del come: l’orso la stava per attaccare quando l’acqua sotto di lei si alzò come un muro immenso e impenetrabile per difenderla dalla bestia; solo un artiglio affilato passò e le procurò un profondo taglio tra l’orecchio e la mandibola.
Il dolore lancinante la risvegliò, scattò in piedi sanguinante come se fosse stata elettrizzata, e approfittando dell’attimo di confusione dell’orso, corse a perdifiato verso la fitta foresta.
                                                                         ***
 
"Prendi questi gioielli"
 
" wow questi dovrebbero valere un bel po' " ansimò Ace asciugandosi il sudore della fronte con il polso.
 
Avevano appena finito di sgraffignare un fruttuoso bottino e ora lo stavano riponendo al sicuro; ora mancava la cena per la sera.
Ace stava tirando fuori il loro vecchio baule prezioso nel buco dell’albero in cui nascondevano tutto, quando un grido molto familiare squarciò l’aria facendo drizzare i peli dietro la nuca ad entrambi i bambini.
Il verso di un animale riecheggiava insieme alla voce di Sophia.
 
Ad Ace scivolarono alcune monete tra le dita e caddero giù dall’albero tintinnando.
 
“Cos’era?!” esclamò Sabo spaesato sotto di lui.
 
Ace senza pensare che il suo cuore si era appena fermato, si mosse spinto dalla forza di un animale furioso che stava crescendo nel suo petto.
 Si infilò monete e gioielli in tasca e cacciò via il baule al suo posto. Balzò giù agilmente dall’albero, atterrò sul terreno assieme al bastone di metallo che teneva stretto in mano e velocemente si alzò per addentrarsi nella foresta e seguire la voce di Sophia.

 “Ace aspettami” gridò Sabo dietro di lui infilandosi le monete in tasca “ vengo anche io!”

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII: una sincronia bestiale ***


Sophia correva più che poteva con tutta la forza che aveva in corpo; il viso coperto di sudore e sangue che sgocciolavano.
Le gambe ormai sembravano dei macigni pesanti e i polmoni sembravano sul punto di scoppiare; aveva bisogno di ossigeno, ma non poteva fermarsi. Le sue ginocchia tremavano fin troppo ed era un miracolo che ancora non fosse caduta per terra.
 
Sentiva il respiro roco e i passi pesanti dell’orso dietro di lei.
Ogni tanto sentiva dei rami spezzarsi a fianco a lei e si guardava attorno frenetica temendo che l’orso sbucasse dietro un albero.
Fu così, dopo qualche minuto di corsa, mentre Sophia si stava guardando indietro sull’orlo delle lacrime, che andò a sbattere contro qualcosa.
 
Alzò lo sguardo di scatto e quasi pianse a dirotto quando vide Ace davanti a lei.
 
“O Ace…” gemette sollevata, e lo abbracciò istintivamente nascondendo il volto nella sua maglietta.
 
Ace si staccò quasi subito e la scrutò in viso, irrigidendosi alla vista del sangue.
Sophia non poté fare a meno di notare che era arrossito dietro le lentiggini, ma prima che potesse pensarci, i tonfi pesanti dell’orso li raggiunsero da dietro.
 
Ace saettò gli occhi sulla bestia, il suo sguardo si trasformò in una frazione di secondo; gli occhi d’ossidiana sembravano più scuri e duri che mai.
 La sua espressione era rabbiosa come quella di un assassino.
 
Senza preavviso, con uno scatto fulmineo, la buttò a terra dietro di lui e si elevò con un salto quasi felino verso l’orso brandendo il suo bastone come un’arma letale.
Sophia franò a terra proteggendosi la testa con le mani, alzò immediatamente lo sguardo su Ace per gridargli di fermarsi, ma ammutolì.
 Lo vide in volo dare una sprangata alla bestia con una tale forza che avrebbe potuto far cadere un albero.
 
Dopo qualche secondo, dietro di lei, spuntò un altro bambino poco più alto di Ace, vestito in modo particolare, che si unì senza nessun timore all’attacco, saltando esattamente come aveva fatto il suo salvatore.
 
 Insieme si muovevano in una sincronia perfetta, agili come scoiattoli rabbiosi, tiravano calci e bastonate alla bestia senza sosta.
Si libravano in aria saltando verso l’orso come se fossero senza peso.
 
La bestia rabbiosa era confusa, veniva attaccata sia da dietro che dal davanti, mulinava gli arti affilati nel tentativo di colpirli, ma i bambini scansavano i colpi con facilità.
Solo in un momento il bambino misterioso cadde a terra, e a Sophia mancò l’aria nei polmoni, non riuscendo neanche a gridare, ma prima che la bestia potesse colpirlo Ace lo difese, permettendogli di alzarsi nuovamente in piedi.
 
Non avevano paura di niente, attaccavano senza preoccuparsi di nulla.
Fu in quel momento che Sophia desiderò essere esattamente come loro, intrepida e forte; li guardò affascinata tutto il tempo rimanendo sdraiata per terra a pochi metri da loro.
 
Finché Ace, con un ultimo colpo secco, stese l’immenso orso per terra assestandogli un colpo sul testone peloso con una tale forza bruta che la bestia non si mosse più.
 
Sophia era sbalordita.
 Le sembrava di essere stata in apnea tutto il tempo.
 
 Dopo qualche minuto in cui i due bambini ansimavano piegati con le mani sulle ginocchia per riposarsi, Ace la scrutò attento. Il bambino nuovo pure la osservò curioso, e chiese con un sorriso:
 
“quindi è lei?”
 
Ace non gli rispose si limitò a saltare sulla pancia dell’orso. Prese aria nei polmoni, gonfiando il petto, ed esordì orgoglioso guardando un punto imprecisato nel cielo:
 
“Bene, stasera si mangia carne d’orso!”

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Capitolo 9
*** Capitolo IX: Sabo ***


Sotto le luci di un tramonto radioso i tre bambini stavano tornando verso le loro case.
Ace e il nuovo bambino erano davanti a Sophia e trasportavano l’orso stecchito dandosi spallate giocose rischiando più volte di far cadere la cena.
 
Per Sophia era strano vedere Ace in quel modo, non riusciva a farlo coincidere con il bambino antipatico e musone che aveva conosciuto i primi giorni. Non lanciava più sguardi assassini, i suoi occhi neri ora erano caldi e vispi.
 
Per di più aveva un amico, quindi Ace sapeva parlare anche da solo senza che qualcuno gli rubasse le parole di bocca; oppure il nuovo bambino aveva adottato la stessa tecnica di Sophia.
Si vedeva che si conoscevano da diverso tempo visti i discorsi di sogni e libertà che sussurravano strada facendo.
 
C’era una bella complicità fra quei due e secondo Sophia, Ace incontrava quel bambino alquanto spesso poiché brandivano lo stesso bastone di metallo e le loro tasche tintinnavano allo stesso modo.
Molto probabilmente erano insieme anche prima della vicenda dell’orso.
 
Il bambino si chiamava Sabo.
 
Si era presentato subito dopo aver fatto fuori la bestia mostrandole un gran sorriso a cui mancava un dente davanti.
Era alto ed esile come Ace, aveva capelli crespi e biondi come la paglia abbastanza corti e grandi occhi rotondi di un castano scuro.
 
Però i due amici erano diversi sotto certi aspetti. Sabo usava termini molto più colti, come quelli che Sophia leggeva nei libri e aveva vestiti molto più eleganti. Portava un cappotto blu a coda di rondine e dei pantaloncini azzurri tenuti su da una cintura con un elaborata fibbia dorata. Il tutto era completato con stivali neri, un fazzoletto bianco rovinato al collo ed un enorme cilindro scuro dove erano appoggiati occhialoni da aviatore.
 
Sophia stava osservando curiosa Sabo da un po’ ed era in procinto di fargli una domanda quando Ace, che evidentemente aveva notato la cosa, la interruppe con uno sguardo in tralice.
 
“Ti fa male il taglio? “
 
“Sì, parecchio” ammise con uno sbuffo
 
“Non ti dovevi avventurare da sola” la rimproverò Ace girandosi verso di lei lentamente, e nel farlo Sophia poté scorgere nelle tasche del bambino qualcosa di luccicante.
 
Sophia trattenne il fiato, anche se cercò subito di dissimulare facendo un colpo di tosse.
Nella sua mente improvvisamente gli ultimi tasselli del puzzle andarono a posto e le venne in mente un’idea.
Sperò con tutto il cuore che potesse funzionare
 
“Visto che tu non mi vuoi nel tuo posto misterioso” disse con voce altezzosa e squillante“ne ho creato uno tutto mio, e in un luogo più pericoloso del vostro! Hai visto quell’orso? Era soltanto una delle bestie che ho dovuto affrontare. Mi chiedevi spesso come mi facevo male no? Ecco svelato il mistero”
 
Ace rimase interdetto e poi fece uno sbuffo di risata mentre Sabo l’ascoltò spalancando gli occhi.
 
“Ho visto come ti sei occupata dell’orso …” disse beffardo Ace alzando le spalle e dandole la schiena, poi si girò di scatto e aggiunse in tono inquisitorio “aspetta come fai a dire che è più pericoloso il tuo se non sai il nostro dov’è?!”
 
Perfetto, ha abboccato.
Sophia si avvicinò ai due bambini e sfoderò uno dei suoi sorrisi più birichini.
 
“Chi ti ha detto che non lo sappia? “chiese maliziosamente appoggiando le mani sui fianchi con aria soddisfatta.
 
Ace trasalì mentre Sabo soffocò una risata, ma quest’ultimo dopo un’occhiataccia del suo amico costrinse il volto in un’espressione preoccupata, forse più per complicità, per rendere chiaro da che parte stesse.
 
“Ti ho seguito moltissime volte per le foreste, tra i fiumi e le montagne” continuò Sophia con un ghigno, cercando di ricordare ogni posto fin dove lo aveva seguito prima che lei rotolasse giù da un sasso o che lo perdesse di vista.
 
Sabo spalancò gli occhi incredulo, guardando poi Ace in cerca di conferme, il quale impassibile si limitò ad assottigliare lo sguardo e a torreggiare sulla più piccola, la quale notò che con l’orso morto fra le mani sembrava ancora più minaccioso e pericoloso.
 
“bene, allora dimmi dov’è, visto che lo sai” la sfidò scrutandola senza mai distogliere lo sguardo, come per scorgere una possibile bugia al minimo tremolio dell’iride azzurra.
 
Cavolo, lei non era mai riuscita a superare la montagna ripidissima, era davvero una frana a scalare, non aveva forza nelle braccia.
Sophia incominciò a sudare freddo mentre continuava a fissare quelle due ossidiane.
 
La sua mente incominciò a lavorare frenetica.
Si erano scontrati con l’orso vicino alla montagna e i due bambini l’avevano sentita strillare ed erano accorsi subito, quindi il posto misterioso era là attorno. La vegetazione era tutta simile là, non c’erano dislivelli per formare laghi; poteva esserci una grotta ma vedendo Ace che era alquanto abile nello scalare…
 
“Un albero” provò a dire istintivamente Sophia cercando di impostare un tono di voce deciso “anche molto grande” aggiunse subito dopo con aria vittoriosa quando vide davanti a lei Ace sbiancare sotto le lentiggini.
 
“E sai anche cosa facciamo?” si intromise subito Sabo sospettoso inarcando un sopracciglio, dichiarandosi compagno di avventure di Ace
 
Non sapeva ancora bene com’era il nuovo bambino, ma Sophia sapeva per certo che le ricchezze di Ace non erano state guadagnate con duro lavoro e fatica, visto che Dadan gli urlava ogni mattina quando scappava via dai lavori quotidiani del monte Corbo.
 In più quei tintinnii delle loro tasche, e il loro contenuto dorato e scintillante…
 
“Rubate soldi, ho visto tutto” mentì candidamente dondolandosi sui talloni
 
Fu la volta di Sabo, impallidì fino a diventare dello stesso colore del suo foulard sgranando gli occhi
Sophia trionfante si sedette su un tronco davanti a loro, ringraziando mentalmente l’orso per l’occasione d’oro.
 
“quindi vi va se ci uniamo in affari?” propose con un sorriso birichino “infondo senza di me non avreste trovato una cena così grande”
 
Ace ritornò in sé e sbottò:
 
“E cosa ci faresti tu con i soldi?”
 
“Mi comprerei dei libri” esclamò lei indignata, anche se faceva trasparire contentezza da ogni poro.
 
“Perché tu sai leggere?” chiese stupito Sabo
 
“Certo che sì! Ho imparato da sola!”
 
Quest’ultimo inarcò le sopracciglia fino a farle scomparire sotto il cappello con una strana espressione pensierosa come se stesse ricordando qualcosa, poi sorrise beffardo ad Ace, il quale lo stava guardando con aria truce con le braccia conserte davanti al petto.
 
“Ace questa bambina fa paura” bisbigliò Sabo con un sorriso ammirato
 
“lo so” rispose Ace con un soffio rimettendosi in marcia
 
 
I giorni che seguirono per Sophia parvero passare ad una velocità allarmante in compagnia dei suoi nuovi amici; febbraio arrivò portando con sé un clima più umido e mite, sempre alquanto anormale secondo i commenti di una burbera Dadan.
 
Ace e Sabo non specificarono alla bambina del loro sogno di diventare dei pirati, ma le avevano mostrato il loro bottino sull’albero, visto che avrebbe collaborato a farlo aumentare.
Sophia rimase impressionata di fronte alle ricchezze che avevano accumulato fino a quel momento quei due, ma dovette cercare di recitare in modo teatrale di averlo già intravisto da lontano.
 
Non fu l’unica cosa che le fecero vedere i due bambini: la portarono alla puzzolente montagna di rifiuti chiamata Grey Terminal e alla città sfarzosa del Regno di Goa.
Edge Town, la periferia della città, era popolata da delinquenti e malfattori con cui i tre bambini spesso si azzuffavano o vendevano qualche preda.
 
 Ace e Sabo le insegnarono la nobile arte del “picchiare con il bastone”, e con impegno Sophia migliorava molto lentamente nel corpo a corpo, ma come le ricordava sempre Ace mancava di forza fisica. In compenso era particolarmente abile a rubare e a fregare gli adulti quando vendevano oggetti recuperati al Grey Terminal.
Un pomeriggio mentre i tre bambini stavano uscendo dalla città con la pancia e le tasche piene, Ace sussurrò all’amico:
 
“Non pensavo che le femmine potessero essere birichine come noi”
 
Come da patto Ace e Sabo portarono Sophia in diverse librerie della città, visto che stava contribuendo non poco alla crescita del bottino, anche se i due non erano particolarmente elettrizzati all’idea di volumi vecchi e polverosi soprattutto Sabo, notò incuriosita Sophia, sembrava odiare solamente la parola libri.
Quando la bambina gli chiese se il suo sospetto fosse giusto, lui bofonchiò in modo quasi impercettibile:
 
“odio studiare”
 
L’unica nota positiva per i due maschi nell’andare in libreria era che Sophia non usava i soldi del bottino, ma bensì li rubava visto che ci aveva preso così gusto.
La camera di Ace e Sophia infatti ora ne vantava una gran collezione ed erano sempre sorvegliati dalla tartaruga e la stella marina posizionate in una boccia enorme, trovata da Sabo nella montagna di spazzatura.
 
I tre bambini legarono ogni giorno di più, e quando arrivò marzo, in una giornata particolarmente soleggiata Sophia li convinse ad andare alla spiaggia che visitava qualche mese prima, situata vicino a dei campi verdissimi in cui in lontananza si intravedeva un villaggio con case semplici e mulini a vento.
 
Era stata talmente felice con Ace e Sabo nelle settimane precedenti che non si era nemmeno accorta di quanto le mancasse il mare, così quando arrivarono alla riva dopo una camminata lunghissima, in uno sprizzo di gioia, corse per prima fra le onde della riva.
 
I due bambini la seguirono di corsa ma si arrestarono di colpo sconvolti quando la videro in acqua.
 
Sophia si girò verso di loro allegra, ma nel vedere i loro volti così scossi si sentì inquieta, anche perché non capiva cosa c’era da essere così stupiti.
 
Intanto le sue linee luminose si muovevano lentamente quasi volessero andare a ritmo con le onde.

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Capitolo 10
*** Capitolo X: Chi sono? ***


Ace era rimasto paralizzato.
Sentiva le onde lievi della riva accarezzarli i polpacci.
 
Non credeva a quello che vedeva, era rimasto come ipnotizzato a quella vista.
Sophia galleggiava in acqua davanti a loro e con quella canotta bianca larga che portava come vestito in acqua sembrava una medusa; ma la cosa che aveva fermato sia lui che Sabo a bocca spalancata era un'altra.
 
Appena si era tuffata in mare la sua pelle si era trasformata.
La pelle scoperta era percorsa da lunghe linee contorte e sottili ma la cosa strabiliante era che emanavano una flebile luce azzurrina chiara e si muovevano lentamente come se fossero vive. Probabilmente le aveva anche sotto il vestito bianco, perché era leggermente illuminato di azzurro come l’acqua attorno a lei. Creava giochi di luce molto belli sott’acqua. Sembrava un gioiello azzurro dalle mille sfaccettature che emanava una lieve luce soffusa sott’acqua.
 
Ace non aveva mai visto qualcosa di così meraviglioso.
 
“non venite in acqua?” chiese Sophia inclinando il capo
 
Sabo fu il primo a riscuotersi da quello stupore e si avvicinò a lei a grandi falcate schizzando ovunque.
Sophia, con il viso per metà sommerso, osservò Sabo venire verso di lei assottigliando gli occhi, poi li spalancò interdetta ed esclamò:
 
“ma tu non hai…”
 
“No certo che no!” rise Sabo “ma che cosa sono?”
 
 Sophia guardò loro due sbigottita boccheggiando dallo stupore e poi farfugliò con lo sguardo basso:
 
“in realtà so molto poco… vengono solo quando mi bagno, e sono molto più visibili nel mare”
 
Si sollevò le braccia inquieta per osservarle, come se quelle linee potessero rivelarle la verità.
 
“li ho sempre avuti da quello che ricordo e pensavo fossero tutti come me” mormorò Sophia assorta, probabilmente nei suoi ricordi “però a pensarci bene ho sempre visto solo la mia mamma, quando stavo con lei conoscevo poche persone, viaggiavamo sempre e non ho mai visto nessuno in acqua”
 
“le aveva anche lei queste cose?” chiese Sabo mentre le studiava un braccio tenendolo fra le mani
 
Anche Ace si avvicinò per osservare meglio e notò che le linee luminose sembravano in apparenza solo muoversi, ma in realtà mutavano, dissolvendosi sotto la pelle e trasformandosi in altre ancora più contorte.  
Non riusciva a parlare per quanto era sorpreso.
 
Sophia annuì e poi commentò accigliata:
 
“però non me le voleva far mai vedere le sue e si arrabbiava con me quando mi venivano fuori, mi diceva di uscire dall’acqua e…” sbuffò furiosa incrociando le braccia luminose sul petto, e continuò “non ne voleva proprio parlare quando le chiedevo qualcosa a riguardo!”
 
Ace immaginò che forse sua madre doveva averla sgridata per il numero di domande fatto da Sophia, e poteva benissimo capire quella donna, spesso la bambina diventava insistente e insopportabile quando voleva sapere qualcosa.
 
“Però una volta ho visto una cosa” incominciò Sophia a raccontare con un sorriso malizioso…
 
Circa anno prima…
 
Sophia era seduta su un letto nella cabina di una nave maestosa, davanti a lei a gambe incrociate c’era sua madre che le dava la schiena.
 
“mamma non ci riesco” sbuffò spazientita Sophia tenendo le lunghe ciocche di capelli candide fra le mani e appoggiò la fronte contro la madre.
 
Elisabeth rise e si girò verso la figlia scompigliandole i capelli con una mano
 
“allora guardami attentamente” disse prendendole il lungo ciuffo biondo di capelli sulla fronte “devi dividere in tre parti uguali…”
 
Mentre Sophia guardava in alto le mani abili della madre farle una treccia, qualcuno bussò sei tocchi sulla porta.
Elisabeth puntò gli occhi azzurri sulla porta, e con un movimento fluido si alzò dal letto.
 
“finiamo fra poco ok?” le sussurrò e aprì la porta
 
 Era Katherina, vestita con un lungo vestito rosso e una acconciatura regale le raccoglieva i capelli castani.
Entrò in fretta, salutò Sophia da lontano con la mano e poi si rivolse a Elisabeth:
 
“ho appena dato la rotta ai miei uomini…sei sicura che sia il posto giusto?”
 
Elisabeth sospirò e le rispose in un sussurro:
 
“Penso di sì, ma da quando Kaido mi ha attaccato con quell’arma settimane fa sono molto più debole”
 
Poi si tolse l’ampia gonna azzurra con gli spacchi sulle gambe bordata d’oro, mostrando una ferita ancora non guarita che partiva dall’anca e scendeva fin quasi metà coscia; e rimase solo in mutande e con una fascia sul seno.
 
 “ora riprovo” disse decisa Elisabeth a Katherina, poi rivolse uno sguardo penetrante alla figlia e le disse:
 
“stai lì furbetta”
 
“non posso venire anche io?!” sbottò Sophia incrociando le braccia sul petto
 
“sono cose da grandi” le rispose in tono fermo, poi le due donne andarono nel piccolo bagno che era situato alla sinistra del letto socchiudendo la porta.
 
La biondina si distese sul letto aspettando paziente e si mise a giocare con un carillon di sua madre.
 
Sentì l’acqua della doccia scrosciare nella stanza accanto, e dopo un po’ una flebile luce azzurra soffusa usciva dalle fessure della porta.
 
Sophia, non sapendo trattenersi, si avvicinò e appoggiò l’orecchio per sentire cosa dicessero.
 
“Mi fanno vedere sempre la stessa scena, non è cambiato nulla” disse con voce atterrita Elisabeth “non vedo più come prima sono sempre più debole”
 
“ti riprenderai” la confortò Katherina “ti aiuterò io a spostarti per il mare e a badare alla bambina”
 
Sophia aprì leggermente la porta, e vide Katherina in piedi che osservava sua madre seduta per terra nel piatto della doccia sotto l’acqua.
 
 I capelli bagnati le ricadevano come lunghe liane bianche sulla pelle abbronzata, dove linee luminose danzavano lentamente sul suo corpo nudo.
 
Ad un certo punto, Elisabeth a occhi chiusi si strinse le braccia, le linee vorticarono furiose sul suo corpo e si illuminarono di più.
 Sophia rimase sorpresa quando le parve di vedere che tra le linee di sua madre fossero comparsi anche strani simboli mai visti prima.
 
Elisabeth era talmente concentrata in qualcosa dentro la sua testa , che l’acqua sul piatto della doccia aveva iniziato a risalire verso l’alto lentamente sfidando le regole della natura e iniziò a sanguinare dal naso.
 
Poi tutto si fermò e scomparve, e sua madre sempre tenendo gli occhi chiusi ansimò:
 
“vedo sempre solo quella scena… sono senza forze”
 
Elisabeth aprì gli occhi lentamente e vide sua figlia, la quale sussultò allo sguardo duro della madre.
 
“Sophia” la ammonì con un ringhio, e la bambina uscì di corsa.
 
 
 
Ace e Sabo rimasero ancora più sconvolti dopo il racconto della biondina, che ne parlava come se fosse una cosa normale. Anche se Ace notò che il suo sguardo era più inquieto.
 
“Forse sono i poteri di un frutto del diavolo” ipotizzò Sabo pensieroso
 
 “No, i possessori di un frutto non possono più nuotare dopo, colano giù a picco, lei invece galleggia” rispose Ace corrugando la fronte “in più sono unici, non potevano avere queste… linee tutte e due insieme no?”
 
Sophia lo guardò stupita del fatto che sapesse così tante cose sull’ argomento, ma in realtà ne aveva sentito parlare molto dai banditi di quei misteriosi frutti del diavolo.
 
“Mia mamma ne aveva mangiato uno “disse pensierosa Sophia toccandosi il mento con le dita “però chissà come faceva a nuotare...”
 
Ace e Sabo la fissarono sbigottiti
 
“Riusciva a stava in mare nonostante avesse mangiato un frutto del diavolo?” esclamò Ace sconvolto
 
“già…” mormorò lei sovrappensiero
 
“ma anche tu fai muovere l’acqua e vedi cose?” chiese Sabo avido di sapere
 
Sophia buttò fuori l’aria avvilita e rispose in un soffio:
 
“non ho mai visto niente, ma poche volte attorno a me l’acqua si comporta in modo strano mentre mia madre l’ho vista proprio controllare l’acqua diverse volte”
 
Per poco le mascelle di Ace e Sabo non caddero in mare, e poi quest’ultimo azzardò guardandola in tralice:
 
“Forse la questione è genetica e non sei umana”
 
“Si che lo sono!!” sbottò Sophia offesa colpendo con un pugno l’acqua.
 
Nello stesso istante in cui toccò la superficie, le linee diventarono più luminose e vorticarono sulla sua pelle, poi un getto d’acqua alto almeno due metri si levò dal mare e finì col colpire Sabo bagnandolo completamente.
 
Ace sobbalzò all’indietro.
Era stata lei.
 Lei aveva comandato l’acqua.
Anche quella volta del lavandino probabilmente.
 
“è quello?!” strillò Sabo con un sorriso smagliante per nulla intimorito da quello che aveva appena fatto la bambina
 
“sì” rispose secca Sophia infastidita, probabilmente per il fatto di non essere considerata umana
 
Sabo fischiò ammirato e aggiunse sovrappensiero la stessa cosa che stava pensando anche Ace:
 
“Chissà che cosa sei”
 
I tre bambini nei giorni seguenti non si diedero pace e facevano le teorie più disparate, anche se a volte Sophia si offendeva se alludevano a lei come ad un alieno o un mostro marino.
 
La bambina, con un peso crescente nel cuore che aumentava con il passare dei giorni, qualche volta andò nelle librerie della città a cercare nei libri delle risposte mentre Ace e Sabo prendevano a botte qualche delinquente più grande di loro, ma non trovò mai nessuna risposta.
 
Quando durante un pomeriggio di fine marzo, in cui Ace e Sophia stavano arrancando per tornare a casa (si erano azzuffati pesantemente con una tigre enorme) trovarono un’enorme figura imponente sulla soglia della porta.
 
“nonno!” trillò Sophia contenta prima di lanciarsi ad abbracciarlo
 
Ace alzò gli occhi al cielo. Non aveva neanche le forze per scappare via.
 
Monkey D. Garp scoppiò in una risata fragorosa e con le sue braccia enormi cercò di abbracciare entrambi, e mentre Ace cercava in tutti i modi di divincolarsi da quella stretta, Sophia disse con un sorriso tirato e impaziente:
 
“Ho una domanda importante da farti” fece una pausa guardandosi le mani nervosa, finché esclamò d’un fiato, quello che forse la tormentava da molto “tu per caso sai chi sono? “
 
Ace smise di divincolarsi e rimase senza fiato.
Sia per lo stupore sia perché il vecchio si era irrigidito talmente tanto a quella domanda che rischiò di soffocarlo con un bicipite.
 
Lo sguardo di Sophia era acceso, inquieto.
Garp lasciò andare i due bambini, aveva un’espressione indecifrabile.
 
“Intendo che cosa sono” continuò Sophia tormentandosi le mani, osservando titubante il nonno “se eri il papà della mia mamma allora anche tu sai che in acqua…”
 
“Basta così” la interruppe severo il vecchio con uno sguardo cupo, gli occhi si erano ridotti a due fessure
 
Il repentino cambiamento di espressione di Garp disse ad Ace che questo fosse l’ultimo argomento di cui volesse parlare il vecchio.
 Sophia sembrava fosse stata appena schiaffeggiata.
 
“Ma io vorrei sapere perché sono diversa” balbettò con una vocina sottile
 
Garp sembrò vacillare, tormentato da un qualche dilemma interiore. Si mise una mano sulla fronte aggrottata, sembrava che stesse quasi tremando di rabbia.
 
“Tua madre era un pirata, ed è morta per quello! Ti dovrebbe bastare sapere questo, e non ti azzardare mai più ad andare in acqua “abbaiò Garp con uno strano scintillio inquietante negli occhi che fece sussultare Ace “Se non vuoi fare la stessa fine di tua madre dovrai diventare un eccellente marine insieme ad Ace e Luffy!”
 
Aveva pronunciato quelle parole con un tale autorevolezza che mise a tacere la bambina, la quale si limitava a guardare il nonno con occhi spalancati con un’espressione ferita.
 
Ace non ci poteva credere, guardava stupito ed incredulo Sophia.
Non aveva mai specificato che sua madre fosse un pirata, e si chiese se fosse questo il vero motivo per cui il nonno l’avesse abbandonata come lui sul monte Corbo.
Incominciò a sentire una sorta di vicinanza verso quella bambina che non si sapeva spiegare.
 
Sul volto di Sophia comparve uno sguardo furioso, che sembrava celare una certa nota di disperazione, e poi con quanto fiato avesse in corpo strillò:
 
“io farò quello che mi pare e piace! Nessuno mi dice cosa devo fare!” e scappò dentro casa come una furia sotto gli occhi lampeggianti del vecchio.
 
Ace giurò di aver visto delle lacrime prima lei che se andasse.
 
Il vecchio marine rimase fermo tremante di rabbia, ed Ace non sapeva se fosse il caso di fargli notare che anche lui non sarebbe mai diventato un marine ma bensì un pirata, quando Garp scrollò le spalle più stanco e vecchio che mai e borbottò severo:
 
“Ah, piccola strega che non sei altro, mi farai impazzire come tua madre!”
 
Ace rimase senza parole e lo guardò curioso.
 
Non sapeva se prendere sul serio il vecchio per il termine che aveva usato per descrivere Sophia oppure no.
Perché, una piccola parte di lui, infondo sapeva che era la stessa parola che aveva pensato quando aveva visto Sophia in acqua.
Però decise di tenersi per sé quel dubbio e quella parola misteriosa.



Ace si svegliò nella notte a causa del dolore che provava.
Si stropicciò gli occhi assonati e tastò le bende che aveva nelle braccia nell’oscurità della notte.
Quelle ferite lo stavano facendo dannare.
 
La tigre che avevano affrontato nel pomeriggio lo aveva pestato per bene, ma era riuscito comunque a sconfiggerla!
Stava diventando più forte.
 
Con un ghigno beffardo richiuse gli occhi immaginandosi fortissimo, quando sentii in lontananza dei singhiozzi.
 
C’era un animale fuori?

Ace tese le orecchie e il rumore continuò. Incuriosito accese la luce, e notò che la porta era aperta, e il futon di Sophia era vuoto.

Il cuore di Ace perse un battito, poi accelerò e iniziò a sentirselo salire su per la gola.
I singhiozzi continuavano in lontananza.
 
 Ace senza neanche pensarci due volte si fiondò giù dalle scale prendendo il suo bastone pensando di dover fare a botte con qualche delinquente che avesse rapito la bambina.
Mentre correva gli ritornarono in mente le parole del nonno quando portò Sophia.
 
“tienila d’occhio”
 
Ace sarebbe stato fatto secco dal vecchio.
Ma non era solo quello.
Lui sapeva di tenerci a lei.

Si ritrovò nella sala d’ingresso dove mangiavano e trovò il portone aperto.
 
Gli si gelò il sangue.
 
Usci di corsa, ma riuscì a fermarsi in tempo o l’avrebbe pestata.
Ace rimase senza parole.

Sophia era rannicchiata davanti all’uscio nell’erba sotto una pioggerellina leggera e singhiozzava.
Le linee misteriose danzavano piano nella parte di pelle scoperta.

“Ehi sveglia” la punzecchiò con un dito “che fai stesa lì? “
 
La bambina non rispondeva, continuava a singhiozzare come se lui non fosse lì.

“oh, mi senti?!” insistette Ace spazientito, ma poi rimase interdetto perché si rese conto che la bambina stava dormendo.

 Era sonnambula?!

Non poteva lasciarla lì in quello stato pietoso, aveva anche tutta il vestito bagnato (anche se chiamarlo vestito era un parolone, era una maglia di uno dei banditi che Dadan aveva dato alla bambina come camicia da notte).

Ace sospirò e prese Sophia in braccio e la portò dentro.
Anche se era leggera per lui, le sue ferite strillavano dal dolore, ma si fece forza e si avviò per le scale. Non vedeva molto poiché il suo campo visivo era ridotto da quella massa di capelli biondi della bambina.

Quando entrò nella loro camera, Ace cercò di sdraiarla nel futon ma Sophia con le mani rimase aggrappata alla sua maglietta con forza.
La guardò incuriosito e notò che aveva smesso di singhiozzare ma tra le ciglia lunga aveva delle lacrime intrappolate.
Ace sentiva le sue braccia allo stremo, le ferite sotto le bende stavano protestando e riprovò a chinare la Sophia.
Questa volta la bambina sussurrò debolmente:

“mamma resta, ti prego resta”

Ace sussultò lasciandola quasi cadere per terra.
 
La fissò intensamente; i lunghi capelli d’oro spettinati sembravano una nuvola attorno a quel viso da bambola, era poi così piccola ed esile nonostante avesse un anno in meno a lui.
 
Non sapeva che tipo di pirata fosse la madre di Sophia ma si chiese se Elisabeth lo odiasse come tanti altri pirati là fuori.
Non se l’era sentita di consolare Sophia dicendogli che suo padre era il demonio, aveva forse paura di essere ferito nel caso lei lo avesse odiato?
 
Oppure anche Elisabeth e Sophia erano odiate quanto lui e suo padre.
Erano altri demoni anche loro che non dovevano esistere?
Ace e Sophia dovevano vivere nascosti entrambi per via dei loro genitori?
Sophia però sembrava voler bene a sua madre.
 
Ricordò le prime sere quando era arrivata, aveva pianto tutte la notti all’inizio. Si disse che gli stava antipatica perché piangeva, perché lui detestava i piagnucoloni.
O forse non gli andava a genio perché lei una madre l’aveva avuta e l’amava, o molto probabilmente perché insisteva a essere carina con lui e a dargli importanza quando lui in realtà si chiedeva per quale diavolo di motivo fosse nato.
 
Non l’aveva mai consolata quando piangeva in quei giorni. Non che lui parlasse molto, però ora avrebbe desiderato averlo fatto.
 
Ace sospirò dolorante, e poi fece una cosa che stupì pure lui.
Si sdraiò nel futon di Sophia con lei e la tenne stretta a sé: sorvegliando silenziosamente quelle lacrime tra le ciglia e quelle mani su di lui, ignorando il dolore al corpo che sentiva.
 
Quella sera aveva deciso di restare e consolarla.

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Capitolo 11
*** Capitolo XI: Il frutto del diavolo e la medicina ***


“aspetta Sophia!! Non devi andare da sola!”
 
Sophia era già uscita di casa come una furia giù per la foresta immersa nell’oscurità della notte.
Si era presa una borraccia d’acqua e ogni tanto si bagnava per far emergere i suoi tatuaggi affinché le illuminassero almeno un po’ la strada in quel buio soffocante.
 
Sentiva soltanto il tubare di qualche gufo solitario, ma erano il suo respiro e il suo cuore i protagonisti in quella scena oscura.
Doveva sbrigarsi, doveva cercare Sabo alla montagna di rifiuti il prima possibile.
Lui sicuramente sapeva cosa fare, aveva una soluzione per tutto.
 
La sua testa, mentre cercava la strada più veloce, era annebbiata dalle immagini del volto di Ace sofferente e perdeva un battito ogni volta che lo pensava.
Nel cuore della notte si era svegliata sentendolo ansimare di fianco a lei: era tutto sudato e gemeva, la sua fronte scottava come il fuoco e i suoi occhi neri erano lucidi e arrossati.
Era molto malato e Sophia si sentì impotente a quella vista, non sapeva cosa fare.
L’unica cosa certa era che Ace doveva stare bene a qualsiasi costo, non poteva neanche pensare di perderlo.
 
Dei banditi non si fidava, erano stupidi; probabilmente Dadan sarebbe stata contenta se Ace avesse tirato le cuoia.
Correva già da diversi minuti quando udì un rumore alla sua sinistra, qualcosa che la fece fermare di botto con il cuore in gola.
Una fiammella rossa volteggiava indisturbata fra gli alberi e dietro ad essa c’era una figura, ancora scura non illuminata, che camminava verso di lei.
 
“non è pericoloso addentrarsi nei boschi di notte per una bambina così piccola?” chiese una voce squillante femminile
 
“Chi va la?!” strillò Sophia alzando il bastone di Ace che si era portata dietro per ogni evenienza.
 
La figura misteriosa si fece avanti e si mostrò, illuminata dalla luce scoppiettante della fiammella.
 
Era una donna giovane, vestita con dei semplici veli chiari attorno al seno e al bacino, che scendevano leggiadri e le risaltavano il fisico snello e atletico.
Nei polsi portava un sacco di braccialetti tintinnanti con appese variegate pietre colorate. Aveva lunghi capelli ricci selvaggi di un rosso intenso come il fuoco, e non brutti e crespi come quelli di Dadan.
I suoi occhi a mandorla luccicanti la guardavano divertita, ed erano di un giallo dorato.
 I lineamenti erano appuntiti e fanciulleschi, e Sophia ci rimase male quando vide che non aveva le orecchie a punte, pensava fosse un elfo, una di quelle creature strane di cui aveva letto nei suoi libri.
 
Sophia non poté non notare, che mentre la figura si avvicinava, sentì molto più caldo come se si fosse appena immersa in un bagno caldo. Si sentì stranamente più tranquilla.
 
“Chi sei?” chiese cercando di non avere la voce tremolante, puntandole il bastone contro
 
La donna si fermò a qualche metro di distanza, inclinò il capo con un sorriso e trillò porgendole una mano:
 
“Mi chiamo Elanor, sono tua amica Sophia”
 
“Come sai il mio nome?” sbottò diffidente indietreggiando.
 
La donna si sedette per terra come una bambina a gambe incrociate, mettendo fra le cosce una sacca beige che si portava appresso, la quale fece uno strano rumore metallico appena venne appoggiata, e sbuffò divertita.
 
“ti conosco da diverso tempo e ti ho osservata molto nelle ultime settimane” le rispose facendo la falsa annoiata “anche se ci ho messo un po’ a trovare il luogo in cui vivevi”
 
“perché mi seguivi e come facevi a conoscermi?” continuò ad insistere Sophia sospettosa che ancora non si fidava della donna
 
 
“oh quante domande” sbuffò ridendo facendo svolazzare una ciocca di capelli via dal viso; sembrava un bambino nel corpo di un adulto.
 
 
“Ho visto il tuo passato tempo fa e ho capito chi fossi, e ti abbiamo cercata subito” rispose Elanor candidamente con un sorriso smagliante
 
Sophia non ci capiva più niente, però una parte di lei era attratta da quella misteriosa donna e sembrava sapere un sacco di cose. Perché poi parlava di più persone? In più aveva detto che aveva visto qualcosa, e una cosa molto simile la disse sua madre tempo fa.
 
“perché? E come hai fatto a ved…”
 
“ti stavamo aspettando da molto tempo sai” la interruppe euforica Elanor sporgendosi verso di lei.
 
“chi mi sta aspettando?” chiese sbigottita Sophia
 
Elanor la guardò con un ghigno e si strofinò il naso a punta con un dito, poi distese le braccia verso Sophia e mentre lo fece queste si illuminarono grazie a sottili linee luminose rosse.
La fiammella dietro di lei improvvisamente diventò più alta e intensa.
Sophia strillò dallo stupore e sobbalzò incredula lasciando cadere il bastone
 
“ma tu non metterle in mostra se puoi, mi raccomando è pericoloso in questi tempi bui” aggiunse con una strizzatina d’occhio facendo sparire le linee sul corpo lentamente. La fiamma ritornò più piccola e calma.
 
“Sei come me! quindi tu sai cosa sono?!” esclamò avida di sapere, mentre la sua mente turbinava di pensieri “dimmi tutto ti prego!”
 
Elanor rise sguaiatamente davanti all’entusiasmo della bambina fino a inclinare il capo all’indietro mentre la fiamma scoppiettava allegra.
 
“credimi vorrei dirti tutto” la informò ridacchiando dondolandosi sulle ginocchia
 
Sophia stava incominciando a sentire un certo astio verso la donna.
 
Elanor incrociò le braccia al petto, e cambiando umore alla velocità della luce si imbronciò e disse in tono lamentoso:
 
“le altre, prima che partissi per questa missione, mi hanno specificato più volte di non fartene parola perché il futuro ha parlato chiaro su questo! Saranno altre persone a svelarti ogni cosa”  
 
Sophia rimase interdetta. Stava per iniziare a fare mille domande su tutte le cose che in quel momento le stavano passando in testa ma la donna scattò in piedi vivace e iniziò a rovistare rumorosamente nella sua sacca.
 
“prima di allora sono venuta qui per portarti una cosa! Mi hanno mandato apposta” esclamò contenta mentre tirava fuori oggetti metallici molto elaborati decorati con diverse gemme colorate.
 
Sophia la guardava attentamente a distanza ancora leggermente intimorita.
 
“tranquilla, non ho intenzione di farti del male” disse ridendo Elanor.
 
Sophia si avvicinò lentamente e non poté non notare che la temperatura vicino alla donna aumentava sempre di più. Improvvisamente ricordò le parole di Dadan, e visto che la rossa aveva parlato di qualche settimana che la osservava…
 
“emani molto calore…per caso hai alterato tu il clima questo inverno?” chiese in tono falsamente disinteressato mentre cercava di capire che diavolerie erano quegli oggetti.
 
Almeno a una domanda le poteva rispondere!
Elanor alzò lo sguardo e le mostrò un ghigno birichino.
 
“sei una bambina molto intelligente” e poi, tirò fuori dalla borsa uno strano frutto bianco con qualche macchia grigia, aveva la stessa forma di una fragola ma le dimensioni di una noce di cocco.
 
“cos’è?!” esclamò Sophia affascinata non potendo resistere all’avvicinarsi.
 
“un frutto del diavolo! L’ho recuperato io sai’! per questo sono venuta io!” disse con un sorriso soddisfatto porgendoglielo “Io li so cercare meglio di chiunque altro, mica quella cupa Morwen cercava a isole di distanza”
 
Sophia prese quel frutto tra le mani e lo guardò meravigliata.
 
“Il frutto è più precisamente il Felis-Felis no Mi modello leopardo delle nevi” spiegò orgogliosa “ti proteggerà da occhi indiscreti, potrai nasconderti più facilmente con questo e poi è sempre utile…”
 
“è lo stesso della mamma!!” esclamò sbalordita Sophia ed Elanor le annuì fiera.
 
La biondina però sentì una strana fitta al cuore nel vedere lo stesso frutto del diavolo che era appartenuto a sua madre.
Come se qualcosa di lei fosse ancora vivo. Solo che quel frutto non l’avrebbe abbracciata o sgridata, però era pur sempre una parte di lei. Sophia lo strinse al petto e pensò alle innumerevoli volte che aveva visto sua madre trasformarsi in quel bellissimo e maestoso felino bianco, o quando la vedeva controllare l’acqua del mare.
Improvvisamente le parole di Ace le rimbombarono in testa…
 
“ma poi colerò a picco nel mare!” strillò Sophia spaventata
 
Cosa la voleva morta annegata?
 
Elanor rise e le mise una mano sulla spalla guardandola questa volta con uno sguardo più dolce.
 
“Se vorrai anche tu come tua madre potrai evitare quell’ostacolo” le disse, e poi facendo spallucce aggiunse “non so precisamente come però, lo dovrai scoprire da sola”
 
Sophia rimase un attimo senza parole.
Sua madre era molto forte, l’aveva vista tante volte fare cose incredibili, e lei non si sentiva minimamente all’altezza.
 
“Conoscevi la mia mamma?” chiese in un sussurro guardando in basso
 
Elanor sembrò molto meno allegra, e non ricordava più una bambina ma una donna che aveva visto passare davanti a lei innumerevoli stagioni. Un’espressione indecifrabile sul volto.
 
“Solo di nome, non ho avuto l’onore di conoscerla” confermò scrutando la bambina con uno sguardo penetrante “sapevo che era una grande donna destinata a compiere grandi cose, ma sono sicura che anche tu lo sarai”
 
Sophia alzò lo sguardo verso quegli occhi dorati e affascinati; passarono secondi interminabili quando la donna si batté una mano sulla fronte.
 
“ah quasi dimenticavo” esclamò tornando a rovistare nella borsa “tieni questo, aiuterà il tuo amico Ace, lo farà stare meglio” e le porse subito una strana bottiglietta di vetro che conteneva un particolare liquido viscoso violetto.
 
“in città sta girando un epidemia molto violenta, credo sia quella del tuo amico, e con me avevo un antidoto potente…”
 
“come facevi a saperlo?” la interruppe Sophia sospettosa, osservando il liquido fra le sue mani
 
“Te l’ho detto ti stavo cercando da tanto in quest’isola” le rispose Elanor esasperata “ ma quando ti ho trovata eri sempre con quei due, volevo parlarti da sola”
 
Aveva mille domande per la testa, ma non poteva perdere tempo, Ace aveva bisogno di lei…però ce ne era una che le premeva sapere di più…
 
“come posso sapere che di te mi posso fidare?”
 
Elanor le sorrise, e forse aspettandosi una domanda simile, sfilò subito uno dei tanti braccialetti che teneva al polso, ma Sophia osservandolo bene lo riconobbe subito e trattenne il respiro.
 
“questo non è un dono, appartiene alla tua famiglia da tanto, però sono sicura che ti farà piacere riaverlo” le disse porgendole il gioiello
 
Sophia teneva fra le mani una collana sottile, che la donna prima aveva avvolto più volte attorno al polso, con un ciondolo molto particolare: era una acquamarina che risplendeva come le linee della sua pelle.
Non sapeva come quell’oggetto potesse darle fiducia, ma quando lo prese tra le mani si illuminò flebilmente come le sue linee.
Elanor dopo averle dato la collana si rimise la sacca a tracolla ed era pronta per andarsene.
 
“spero di rivederti presto Sophia, buona fortuna” le disse con un sorriso smagliante per poi sparire nella notte oscura.
 
Sophia, con il cuore che batteva forte dopo aver parlato con la donna misteriosa, incominciò a correre per tornare a salvare Ace e nel frattempo mangiò un disgustoso frutto del diavolo bianco maculato.
 
 ***

Ace si stava contorcendo nel letto.
 
Non si era mai sentito così in vita sua, ammalarsi faceva proprio schifo. Sentiva il corpo davvero debole, il respiro affannoso e non capiva se avesse caldo o freddo. Doveva davvero avere una febbre molto alta.
 
In più, come se non mancasse altro, quella bambina geniale di Sophia si era spaventata a morte nel vederlo in quello stato ed era corsa fuori nel cuore della notte a cercare Sabo.
Quindi oltre ad essere in un limbo tra la vita e la morte, era seriamente preoccupato per quella piccola peste. Poteva essere assalita da qualcuno alla montagna di rifiuti oppure da una belva feroce.
 
Quando era scappata, Ace aveva cominciato a strillare come un animale per richiamare l’attenzione dei banditi su di sé, una cosa che in vita sua non aveva e non avrebbe mai fatto per sé stesso. Per lei sì, voleva a tutti i costi che qualcuno andasse dietro a Sophia.
Lui se la sarebbe cavata; doveva solo aspettare che il suo corpo finisse di combattere contro la malattia.
 
In quel momento Magura e Dogura erano usciti a cercarla nell’oscurità muniti di torce, mentre una Dadan alquanto preoccupata stava al suo capezzale. Aveva gli occhi un po’ lucidi e fumava più sigarette in una volta, a volte Ace si chiedeva se fosse l’enorme quantità di fumo presente in quella stanza a farlo respirare affannosamente oppure la malattia.
Era alquanto strano vedere quella donna giunonica e burbera in ansia per lui, quando non ricordava di aver mai ricevuto affetto da lei.
 
Se ne stavano zitti entrambi, ogni tanto lei asciugava la sua fronte con un panno freddo sotto lo sguardo torvo di Ace che la studiava, quando dopo chissà quanto tempo, con un enorme chiasso, si presentò Sophia sulla soglia della porta seguita da Dogura e Mogura, i quali avevano ancora i volti della paura di aver perso la loro piccola preferita canaglia.
 
I lunghi capelli biondo miele le cadevano ondulati e spettinati da ogni parte, le gote arrossate per la corsa, sembrava alquanto sconvolta ma impallidì quando lo guardò sgranando gli occhi.
 Ace ne dedusse che forse era davvero in uno stato pietoso.
Sophia poi prese alla sprovvista tutti.
 
Si gettò su Ace velocissima, il quale non ebbe la forza di fare nulla se non guardarla incredulo: aveva uno sguardo fermo e deciso, i suoi occhi in quel momento sembravano glaciali, e davanti a tutti con grande velocità spalancò la bocca di Ace e gli versò un liquido disgustoso giù per la gola.
 
Rimasero tutti allibiti mentre Ace aveva iniziato a tossire e sputacchiare, mentre Sophia gli stava a cavalcioni sopra fissandolo attentamente, finché Dadan prese la bambina tra le mani e tuonò:
 
“COSA DIAVOLO GLI HAI FATTO DANNATA MOCCIOSA?!”
 
Ace continuava a tossire e sputare, anche se stava cominciando a sentire una sensazione gradevole al petto, quasi calda.
 
“L’HO AIUTATO GLI HO DATO UNA MEDICINA!” strillò Sophia con quanto fiato aveva in corpo, cercando di liberarsi dalla morsa mortale di Dadan
 
“dove hai trovato quella roba di notte?”
 
“me l’ha data una signora nel bosco”
 
“CHE COSA?! E TI FIDI ANCHE?!”
 
Ace si stava incominciando a sentire decisamente meglio, e si alzò pronto a difendere la bambina che lo aveva salvato.
 
“ha ragione lei…mi sento meglio” provò a dire con quel poco di voce che gli era rimasta
 
Dadan lo guardò sconvolta, le sopracciglia inarcate e gli occhi sgranati con la sigaretta in bilico tra le labbra grosse; Sophia invece lo guardò con un sorriso smagliante e rise facendo una pernacchia alla donna che ancora la stava stritolando tra le mani.
E poi successe.
 
Mentre Sophia rideva dai capelli le spuntarono all’improvviso due piccole orecchie da felino mentre dal vestito una lunghissima coda bianca leopardata … Dadan lasciò cadere la bambina dallo stupore, ma Sophia non toccò il suolo. Si trasformò in una specie di gatto bianco maculato di grigio e atterrò sulle sue zampe.
Le mascelle di quasi tutti i presenti rasentarono il pavimento dallo stupore.
 
Dopo poco ritornò quasi sé stessa: aveva la coda, le orecchie e le zampe da gatto che lei guardava incuriosita.
 
“questo frutto del diavolo è proprio bello” esclamò contenta Sophia soddisfatta di quello che vedeva
 
“TU CHE COSA?!”
 
“me l’ha dato la signora della medicina! L’ho mangiato prima”
 
“…”

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Capitolo 12
*** Capitolo XII: il sopravvissuto di Ohara ***


“sei sicuro di aver sentito bene Ace?”
 
“sicurissimo”
 
“Ehi ma io non sono una strega
 
Sophia guardava risentita Ace e Sabo a braccia conserte.
Strega a chi?!
Sentì una certa rabbia salirle dentro; lei voleva essere come loro.
Improvvisamente la pozzanghera a cui Ace era vicino eruttò come se fosse un piccolo geyser, macchiandolo di fango in tutta la faccia.
 
Ops.
 
Sophia e Sabo dovettero soffocare le risate, ma ci riuscirono benissimo a zittirsi quando Ace gli lanciò uno sguardo lampeggiante da assassino. Si avvicinò alla bambina torreggiando su di lei minaccioso mentre il fango gli colava dal viso. Sophia, orgogliosa e permalosa com’era, rimase ferma a sfidare il bambino più grande.
 
“mica l’ho detto io, l’ha detto il nonno quel giorno!” ringhiò basso Ace ormai a pochi centimetri da lei.
 
“ricapitolando” li interruppe Sabo pacifico, separandoli con le braccia quando vide spuntare la coda agitata da leopardo alla bambina “se la signora del bosco è una strega come Sophia ed era fino a ieri sera su quest’isola dalle parti della città, probabilmente sarà ancora là o qualcuno sa dov’è se l’hanno vista”
 
Ace e Sophia annuirono decisi.
 
“dobbiamo chiederle quali persone diranno la verità a Sophia...-
 
“per me tanto è una strega” intervenne Ace deciso mettendosi le dita nel naso
 
“non sono una strega” strillò offesa Sophia picchiandolo
 
“e se conosce qualcuno che le può dire come nuotare di nuovo” concluse Sabo mettendosi le mani sui fianchi con un sorriso smagliante
 
“la prossima volta che ti tuffi in acqua in modo suicida io non ti salverò” la minacciò Ace intimidatorio
 
I tre bambini nelle settimane che seguirono sfidarono le piogge burrascose di aprile chiedendo in giro per la città, mostrando un disegno di Sabo fatto secondo la descrizione che Sophia gli aveva fornito, per chiedere informazioni della misteriosa donna Elanor.
 
A causa della pioggia forte Sophia era costretta a girare sempre sotto forma di piccolo leopardo per non mostrare le linee luminose come le aveva consigliato Elanor, anche se spesso si scatenavano grida spaventate alla vista di un felino selvaggio che correva per le strade. Quindi Sabo ed Ace erano costretti quelle volte a coprire Sophia con diverse coperte per evitare che occhi indiscreti notassero le linee luminose che danzavano sul corpo della bambina con la pioggia.
 Nessuno però conosceva Elanor, e Sophia temeva, visto il brutto tempo e l’abbassamento delle temperature che la donna fosse andata via.
 
In un giorno grigio in cui la pioggia torrenziale spazzava via il terreno i tre bambini infreddoliti e fradici fino al midollo per ripararsi dall’acqua, si rifugiarono con grande gioia di Sophia in una piccola biblioteca che non avevano mai visto prima.
La porta di aprì con uno scampanellio, rivelando una stanza circolare molto luminosa dall’alto soffitto di vetro. Le pareti di un viola scuro erano coperte di librerie in mogano antico piene zeppe di libri polverosi.
 
Sulla destra, appena entrati, c’era un signore di mezza età che li scrutò attentamente da dietro una scrivania quando i bambini entrarono uno ad uno.
L’uomo aveva appena chiuso una porta color avorio dietro di lui e si rimise a mettere dei libri in delle scatole.
 
 Era molto alto, magro e aveva un portamento distinto nel suo completo gessato blu elettrico. Il viso sottile era nascosto dietro ad una barba folta e dei baffi bianchi abbastanza lunghi ma dal taglio impeccabile, mentre i fitti capelli bianchi erano vaporosi e gli ricadevano a ciuffi disordinati, come se passasse il tempo a tirarseli con le mani dalla disperazione. Gli occhi acquosi, lunghi e mezzi chiusi dal troppo leggere e dall’età scrutavano attenti ogni cosa.
 
Sophia si strinse rabbrividendo nella sua coperta bagnata e notò che c’erano tante scatole piene di libri, sembrava che il signore stesse facendo le valige portando tutto quello che c’era in quella stanza con sé.
 
“E se provassimo a cercare nei libri qualcosa su strane linee luminose?” le suggerì Sabo in un bisbiglio guardandosi attorno con circospezione “solo mentre aspettiamo che il diluvio si attenui un po’ ”
 
Sophia annuì contenta, infondo a lei piacevano i libri.
 
I tre bambini iniziarono a sfogliare le pagine ingiallite mentre fuori raffiche di pioggia frustavano le finestre. Ace girava annoiato le pagine e di tanto in tanto si soffermava sulle immagini ma non gli importava se i suoi capelli corvini, che stavano sgocciolando copiosamente, avrebbero rovinato libri secolari. Sabo invece si scoprì rapito dai libri di avventure e il desiderio di scrivere le sue vicende picaresche iniziò a crescere in lui.
Sophia, seduta su uno sgabello, teneva mollemente la coperta attorno a sé e sfogliava rapita i libri di ogni tipo, chiedendosi quale avrebbe potuto rubare.
 
Erano talmente assorti dai loro pensieri che non si erano resi conto che il signore dall’eccentrico completo si era avvicinato a loro e con un movimento svelto tolse la coperta a Sophia per scoprirle le linee luminose che danzavano sulle sue braccia.
Ace e Sabo scattarono rapidi in piedi e si misero in mezzo coprendo la bambina ancora incredula da quel gesto improvviso.
Il signore trattenne il respiro strabuzzando gli occhi acquosi.
 
“ehi vecchio scemo ridalle la coperta” lo minacciò Ace puntandogli il bastone contro
 
In quel momento dalla porta d’avorio uscì una signora bassa e grassottella dai tanti boccoli d’oro con espressione allarmata, e si portò una mano alla bocca trattenendo un gridolino soffocato alla vista di quello che si trovò davanti.
Una bambina aveva, nella pelle non coperta dai vestiti, delle particolari linee che emanavano una flebile luce azzurra, e un bambino dallo sguardo assassino puntava un bastone di metallo contro suo marito.
 
Il signore si riscosse dallo stupore e sussurrò preoccupato verso Sophia:
 
“Cosa ci fai qui?! Devi andartene subito” e poi corse alle finestre, guardò fuori allarmato e chiuse le tende.
 
Si voltò di scatto e disse nervosamente alla donna senza degnarla di uno sguardo.
 
 “Cecilia delle coperte asciutte, subito”
 
Lei sembrava paralizzata, si mise una mano sul petto e balbettò ansiosa
 
“è…sembra lei…”
 
Il signore senza spostare gli occhi dai bambini ordinò di nuovo in tono asciutto alla moglie:
 
“le coperte Cecilia” e poi, la donna sparì di corsa dietro la porta d’avorio
 
Il signore si inginocchiò davanti a Sophia, la quale era protetta da Ace e Sabo che le stavano davanti, e mentre la osservava con occhi increduli e pieni di meraviglia le disse in un sussurro:
 
 “sembri proprio Elisabeth…”
 
Sophia si sporse dalle braccia dei due bambini, ed Ace la trattenne prendendole la mano.
 
“Conosci mia madre?” chiese incapace di trattenersi
 
Il signore con occhi tristi la guardò e le fece un sorriso tirato.
 
“Un po’, sei anni fa venne a chiedere un consulto a me e ai miei colleghi” disse tristemente “mi è dispiaciuto quando ho letto che è stata catturata dalla Marina”
 
Sophia sussultò e la sua espressione s’incupì all’improvviso, sentendo una rabbia inspiegabile ribollirle dentro.
 
“il giornale mente “strillò infervorata, cercando di ricacciare indietro le lacrime “è stata uccisa da dei tizi mascherati di bianco, io l’ho visto!”
 
Ace la guardò intensamente, e capì dopo tanto tempo perché Sophia si ostinasse a nascondere lo stesso giornale sotto l’asse del pavimento della loro camera e a leggerlo di continuo.
Il signore sgranò gli occhi e poi si limitò a scrollare le spalle passandosi le mani sui capelli bianchi. Non sembrava troppo colpito che il giornale mentisse.
 
“mi dispiace” mormorò gravemente, mentre Cecilia con passetti frettolosi tornava con tre coperte calde e asciutte che porse ai bambini “una come lei era una minaccia per il governo, e non solo perché era una piratessa temuta in tutti i mari”
 
Sophia rimase interdetta e deglutì nervosamente.
Non era la stessa quello che le aveva detto il nonno, neanche Elanor ne aveva parlato di una cosa simile, anzi lei ne aveva parlato pure bene, la ammirava!
La sua mamma era buona come poteva essere una minaccia? Anche se era un pirata non l’aveva mai vista mai fare del male a nessuno, però molte volte la lasciava con Katherina. Non sapeva sempre quello che faceva.
Una piccola vocina dentro di lei le ricordò la parola strega e iniziò a sudare freddo.
 
“perché?” sillabò piano guardando verso il basso, tenendo ben stretta la mano di Ace, che era l’unica cosa che in quel momento sentiva ferma in quel mondo in cui viveva e che si stava capovolgendo distruggendole ogni certezza.
 
L’uomo la guardò sbigottito e soppesando le parole le rispose con un tono di voce calmo:
 
“il governo ha paura di quello che siete, vi da la caccia per uccidervi perché vi considera dei mostri con un immenso potere in grado di distruggere il mondo intero, potreste eliminare l’equilibrio che hanno accuratamente creato, in più la profezia…” si fermò osservando il viso della bambina che stava impallidendo rapidamente e disse poi incredulo in un sussurro “aspetta tu non sai?”
 
Sophia non riuscì a rispondere all’uomo, sentiva solo il cuore batterle forte e stritolava con più forza la mano di Ace.
Ogni informazione delineava lei e sua madre come dei mostri, e per la prima volta forse desiderava non sapere altro.
Non voleva credere a quelle parole.
Si limitò a guardare l’uomo con gli occhi spalancati.
 
L’uomo avvicinandosi a lei con circospezione continuò con tono sempre più incredulo:
 
 “non sai di essere una strega e di avere sulle spalle una profezia proprio come tua madre?!”
 
Il silenzio cadde gravemente attorno a loro.
Tutti e tre trattennero il respiro, anche se quella parola l’avevano già sentita.
 Ace e Sabo si girarono verso Sophia con la bocca spalancata dallo stupore, e lei sembrò sul punto di svenire da quanto era pallida.
 
Quindi era un mostro.
 
Fu la prima cosa che pensò che pensò la bambina.
Ecco perché il nonno l’aveva abbandonata sul monte Corbo, e perché avevano ucciso sua madre.
Non perché era una piratessa come aveva creduto dopo aver letto il giornale, ma perché era una strega.
 
L’avevano uccisa per il bene degli altri e per la stabilità del mondo.
 
Come poteva allora Elanor ammirarla così tanto? Erano queste le grandi cose di cui aveva parlato la rossa nel bosco, distruggere ogni cosa? E lei sarebbe stata come sua madre?
 
Non poteva essere come i suoi amici, lei era una strega, una minaccia per tutti quelli che le stavano accanto.
Anzi probabilmente ora non la vorranno più dopo aver sentito queste cose orribili, come biasimarli.
 
Non si concentrò neanche sulla parola profezia, perché in quel momento le sfuggiva il significato, ed era talmente sconvolta che non se la prese con sé stessa per il fatto di non sapere una cosa.
 
Cecilia che aveva osservato attentamente la reazione della bambina e nel mentre sbirciava dalle tende per controllare la strada, temeva per la salute mentale della poverina.
 
“Anthony non mi pare il caso…” consigliò al marito
 
L’uomo si alzò di scattò e con occhi lampeggianti si girò verso la moglie indicando Sophia.
 
“Cecilia, questa bambina deve sapere” esclamò infervorato “Io e quella povera ragazzina rimasta di nome Nico Robin siamo gli unici archeologi di Ohara rimasti in vita…”
 
Anthony si sedette dietro la piccola scrivania più stanco e vecchio che mai, mettendo il volto tra le mani
 
“mi sono salvato solo perché sono partito mesi prima del Buster Call per sposare te”
continuò con voce incrinata” ma non significa che io abbia abbandonato la via della conoscenza e dell’archeologia… e nessuno dovrebbe negarle di sapere”
 
Sabo si avvicinò all’uomo ed esclamò accalorato.
 
“ci dica quello che sa”
 
Sophia ancora aggrappata alla mano di Ace, sentiva dentro di sé di non voler saper altro, le sembrava che tutta la sua felicità fosse stata prosciugata ma non fermò Sabo, si limitò ad essere spettatrice di quell’incubo.
 
Anthony sospirò profondamente e si voltò verso di loro.
 
“purtroppo, mi dispiace dirvi che le informazioni in mio possesso non sono complete” Incominciò sfogliando qualche libro davanti a sé “Io e i miei colleghi abbiamo studiato per molto tempo dei reperti storici chiamati Poneglyph. Sono sparsi in tutto il mondo e studiarli è un crimine contro il Governo Mondiale. Noi ne avevamo trovati alcuni…”
 
“quindi sei un criminale!” esclamò Ace stupito
 
“perché è un crimine studiarli? E perché…” chiese Sabo sorpreso
 
Anthony li guardò stizzito, chiuse gli occhi e respirò profondamente
 
“bambini come vedete io e mia moglie stavamo andando via” li ammonì pacatamente” qualcuno si è accorto che sto portando avanti il lavoro dei miei colleghi… non ho molto tempo ascoltate”
 
L’uomo prese dei fogli con strani simboli e glieli mostrò. A Sophia ricordavano i simboli che aveva visto tra le linee di sua madre quel giorno sotto la doccia, guardava incredula quegli scarabocchi che aveva tra le mani.
 
“in questi reperti storici veniva descritta, con quella lingua morta dai particolari simboli, una grande civiltà vissuta 800 anni fa in un Grande Regno” continuò concitato con una strana luce negli occhi “e queste persone avevano il grande potere di essere in stretto contatto con un popolo dai mostruosi poteri…quello delle streghe! “
 
Scocco uno sguardo penetrante a Sophia, la quale rabbrividiva ogni volta alla parola streghe, e continuò:
 
“Avevano abilità straordinariamente potenti, potevano distruggere il mondo se lo volevano, soprattutto le quattro imperatrici che comandavano quel temibile popolo. Dai testi non si capisce in che accordi fossero questi due popoli, ma sembra che le streghe fossero a volte un aiuto “militare” con i loro poteri… però nel secolo buio si sono perse, chissà come, le tracce di entrambi i popoli e nella storia che avvenne dopo sembrava non esistessero neanche…anche se studiando bene gli avvenimenti importanti accadevano a volte incidenti di natura inspiegabile”
 
Anthony si alzò e andò verso la bambina, impietrita dal racconto, e le mise le mani sulle spalle guardandola con un lieve sorriso.
 
“Non sapevamo altro finché un giorno d’estate di sette anni fa, tua madre venne da noi e si mostrò a noi per quello che era” disse emozionato, poi si alzò e guardò con aria sognante il soffitto di vetro, come se stesse ricordando i tempi passati “era pure incinta di te!”
 
“venne per mostrarci i suoi tatuaggi luminosi, come quelli che hai tu” disse toccando un braccio di Sophia, anche se Ace la fece indietreggiare tirandola per la mano “le chiamava le impronte! Ne parlava come se fossero un’entità viva capace di pensare e agire! Voleva che le decifrassimo i simboli che ogni tanto le comparivano, e noi rimanemmo completamente sconvolti quando vedemmo con i nostri occhi che nel suo corpo i simboli di cui lei parlava erano nientemeno gli stessi che il popolo del Regno antico aveva usato nei Poneglyph, una lingua che noi consideravamo morta!!”
 
Anthony nel dire le ultime parole, sembrava completamente fuori di sé, come se neanche lui credesse a quell’assurdità. Si mise a fare grandi cerchi prendendo la sua pipa dall’interno della sua giacca e iniziò a fumare in modo febbrile.
 
“sembravano come dei messaggi, e la cosa più importante che traducemmo fu una vecchia profezia di cui si parlava anche nei Poneglyph a grandi linee…”
 
“Anthony arriva qualcuno qui” lo interruppe squittendo nervosamente Cecilia “sembrano del governo”
 
L’uomo impallidì all’improvviso dietro la sua pipa, la moglie tremava come una foglia e guardava il marito con gli occhi spalancati dal terrore. Ace, Sabo e Sophia si erano irrigiditi di botto e si guardavano attorno in cerca di una via di fuga.
 
“Bambini nascondetevi qui dentro” disse Anthony sbrigativo scattando verso la porta d’avorio “non uscite per nessuno motivo”
 
I tre si guardarono titubanti fra di loro, ma alla fine corsero verso la porta dove si imbatterono in uno stanzino pieno di archivi e scrivanie vuote dove c’erano diversi oggetti sparpagliati in modo disordinato.
Cecilia chiuse la stanza a chiave appena in tempo, quando sentirono la porta della biblioteca spalancarsi di botto.
Sentirono diversi passi frettolosi entrare, i bambini indietreggiarono con circospezione nello stanzino.
 
“non mi piace” bisbigliò Sabo scrutando la parete che li separava dalla biblioteca
 
“dobbiamo trovare un modo di uscire” sussurrò Ace guardandosi attorno
 
La stanza però non offriva altre vie di fuga se non la porta.
 
“Il negozio sta chiudendo siete pregati di uscire signori” sentirono dire ad Anthony in tono aspro
 
 E poi udirono una voce sconosciuta alquanto sgradevole che li fece sussultare.
 
“Facciamo parte del Governo Mondiale e credo che anche tu ci stessi aspettando viste le valige qui attorno…Anthony Daisuke lo sapevi che si dice in giro che sei uno di quei bastardi di Ohara?”
 
Ace, Sabo e Sophia si guardarono atterriti e la biondina iniziò a tremare dalla paura.
Tanti passi si muovevano nella stanza accanto, scartabellando tra i libri.
I tre bambini si avvicinarono alla porta per accostarvi l’orecchio per sentire meglio.
 
“sono orgoglioso di appartenere ai famosi archeologi di Ohara” dichiarò in tono fiero e deciso Anthony
 
“allora sei proprio stupido” sghignazzò la voce squillante e sgradevole “potresti fare la stessa fine dei tuoi amichetti che sono saltati per aria, lo sai è stata opera mia, io di questo vado orgoglioso”
 
Si sentirono improvvisi rumori di libri caduti, fogli stracciati e poi una voce nasale, abbastanza vicino alla porta, gridò:
 
“direttore Spandine guardi qui”
 
I tre bambini con il cuore che batteva all’impazzata si scostarono di scatto, Ace e Sabo con i bastoni per aria pronti ad attaccare, ma la porta non si aprì, non li avevano ancora trovati.
 Sudore gelido scendeva dalle loro schiene. Tirarono un momentaneo sospiro di sollievo.
 
“e infatti ecco le prove! “esclamò gaio la voce sgradevole “non lo sai che c’è la condanna a morte per la decifrazione di questa lingua morta”
 
Sophia istintivamente si toccò le braccia nervosa.
 
“signore controlliamo anche l’altra stanza?”
 
Ai tre bambini si gelò il sangue
 
“sì perché no! casomai nascondono Nico Robin e in quel caso avremo due piccioni con una fava”
 
Scattarono indietro mentre i misteriosi individui si resero conto che la porta era chiusa a chiave. Ace stava già brandendo il suo bastone ma Sabo gli scosse violentemente il braccio indicandogli la catasta di scrivanie dietro di loro. Si affrettarono a trovare un nascondiglio mentre vedevano la maniglia d’ottone muoversi furiosamente.
 
 Sophia venne agguantata in tempo da Ace, e la strinse a sé nel pavimento ruvido sotto una scrivania infondo alla stanza, quando la porta si aprì con dei colpi forti. Videro solo dei piedi che entrarono scattosi e iniziarono a camminare attorno a loro, cercavano come lupi furiosi una preda.
I tre bambini non osarono neanche respirare.
Avevano enormi armi da fuoco che trascinavano con sé.
 
Se non fosse stato per la presenza di Sophia, Ace avrebbe combattuto, ma quell’uomo aveva detto che il governo dava la caccia alle streghe, e se quegli uomini erano forti come il nonno, Ace non era sicuro di potercela fare. Digrignò i denti nervoso.
 
I passi attorno a loro sembrano quietarsi per un attimo.
 
“non c’è nulla, neanche libri” dichiararono le voci di quei piedi che li accerchiavano
 
“uffa abbiamo finito subito e dovrò fare rapporto ai cinque astri” si lagnò la voce del direttore.
 
Sophia poteva vedere i piedi della voce sgradevole del direttore seguiti da un cappotto lungo a righe che fronteggiarono le scarpe lucide blu scuro di Anthony, poi un colpo secco di una botta e videro l’archeologo steso per terra ammanettato che si contorceva dal dolore.
 La bambina emise un gemito, ed Ace le tappò immediatamente la bocca con la mano libera.
 
Cecilia si buttò a terra in ginocchio coprendo con le braccia il marito e gridò disperata:
 
 “la prego non lo porti via non ha fatto del male a nessuno”
 
 
“prima di portarmi via vorrei dire una cosa” mormorò Anthony, mentre provava a mettersi in piedi con difficoltà.
 
“dai su sentiamo cos’hai da dire” lo incalzò disinteressato il direttore
 
Anthony si girò verso lo stanzino, fissando un punto imprecisato verso i bambini, poi chiuse gli occhi e alzando il tono della voce esclamò:
 
“la profezia dice che l’erede di colei che commise il grande peccato distruggerà…”
 
E poi accadde in una frazione di secondo.
Il direttore alzò la mano senza esitazione in uno scatto.
 Il rumore assordante di uno sparo, e il corpo di Anthony crollò a terra.
 Una macchia di sangue sul pavimento iniziò ad allagarsi vistosamente.
 
Le grida disperate di Cecilia riempirono l’aria, si accasciò sul marito piangendo.
Sophia sotto la scrivania emise un gridolino che si perse nel frastuono di quel momento. Ace le strinse di più la mano sulla bocca, avvicinandosela più verso di sé e tremava di rabbia davanti a quel sangue che si allargava sul pavimento ingiustamente.  Sabo stringeva convulsamente i pugni per non gridare, schifando l’orrore del mondo.
 
Le scarpe del direttore si avvicinarono a lei lentamente e sentenziò in tono piatto:
 
“anche lei sa troppo”
 
Un altro sparo senza esitazione, senza ripensamenti.
Il corpo di Cecilia cadde su quello del marito sporcando il completo blu elettrico sotto di lei.
 
Il rumore dei colpi riecheggiava e vibrava nei corpi dei bambini, agghiacciati e inorriditi sotto le scrivanie. Sophia non gridò neanche, la voce le era morta in gola, scesero solo delle lacrime copiose che bagnarono la mano di Ace. Le immagini della morte della madre iniziarono a sovrapporsi con quello che vedeva davanti a sé.
 
“abbiamo finito qui, date fuoco a tutto! non deve rimanere nulla” ordinò Spandine, e poi detto questo fece cadere un accendino su dei libri che erano per terra e le fiamme iniziarono a divampare.
 
Le scarpe e il cappotto rigato del direttore uscirono dalla visuale dei bambini.
Ace e Sabo da sotto le scrivanie si guardarono sconvolti.
Tanti piedi si affrettarono, sia per uscire sia per lanciare i libri a terra per alimentare il fuoco.
 
Con la confusione che si creò Ace ne approfittò per parlare con Sabo
 
“dobbiamo uscire subito di qui!”
 
Uscirono scivolando dalle scrivanie di soppiatto, e videro improvvisamente la porta d’avorio andare in fiamme.
Un muro di fuoco li separava dall’uscita.
Sophia smise di piangere, guardandosi attorno terrorizzata.
 
“non possiamo passare attraverso il fuoco” gridò Sabo per farsi sentire in mezzo al caos delle fiamme e degli oggetti dell’altra stanza che franavano.
 
“l’unica opzione è quella!!” gli rispose Ace urlando prendendo le loro coperte bagnate di prima da un angolo della stanza e passandogliele
 
“Sophia appena varcheremo quella porta, sotto la coperta trasformati in leopardo! Potrebbero essere ancora di là” la intimò Sabo coprendosi con il telo bagnato e prendendola per mano.
 
I tre bambini, facendo prima un respiro profondo, si lanciarono con un balzo verso il muro di fuoco.
 
La biblioteca era completamente in fiamme.
Dagli scaffali cadevano libri, le pagine si attorcigliavano annerite, il legno scricchiolava e cadeva con dei tonfi per terra. I corpi di Cecilia e Anthony erano già coperti dalle fiamme e liberavano un odore acre e nauseabondo che fece venire il voltastomaco ai tre bambini.
Nella stanza c’erano ancora, attorno al falò di libri principale, tre uomini vestiti di grigio armati, che rimasero interdetti nel vedersi arrivare di fronte due bambini armati di bastone e un cucciolo di leopardo delle nevi.
 
Ace si tuffò all’attacco immediatamente sfruttando lo stupore dei tre adulti, con un colpo secco fece volare via il fucile dalle mani di un uomo e mentre stava per colpirlo, uno di questi gli puntò l’arma contro e sparò verso il bambino.
 
Sabo urlando ferocemente riuscì appena in tempo a deviare il colpo, che ferì solo di striscio il braccio di Ace, il quale infuriato come una belva saltò in un lampo verso il suo attentatore e lo colpì in testa in modo talmente brutale che costui crollò a terra privo di sensi.
L’uomo che aveva perso l’arma cercò di riprendersela allungando il braccio fra le fiamme, ma Sophia gli balzò addosso graffiandolo con i suoi artigli, lui si dimenò sotto di lei gridando e con forza la spostò tra le fiamme facendo guaire il leopardo dal dolore.
 
Ace e Sabo allarmati dalle grida della bambina si occuparono dell’ultimo uomo armato, attaccandolo velocemente a bastonate da parti diverse mentre l’agente del governo sparava colpi a vuoto, e dopo che Sabo riuscì a togliergli il fiato colpendolo al diaframma, entrambi i bambini lo colpirono in testa con forza fino a farlo crollare a terra svenuto.
 
Sophia rotolò fuori in forma umana dalle fiamme gridando, l’uomo ferito accanto a lei la afferrò per la caviglia bruciata per buttarla giù, ma Ace con uno sguardo assassino piegò le ginocchia e si lanciò sull’agente dandogli una bastonata sulle ferite che gli aveva inferto il leopardo. Lo fece gridare di dolore e mollò la presa sulla bambina, stringendosi le braccia insanguinate.
 
“andiamo via Ace prima che crolli tutto” strillò Sabo notando le librerie crollare accanto a lui e sentendo crepitare il soffitto di vetro sopra di loro.
 
Ace che sanguinava dal braccio, si mise Sophia dietro la schiena, poiché stava rantolando per terra dal dolore alla caviglia, e insieme a Sabo si diressero di corsa verso l’uscita in fiamme.
Appena uscirono si sentì un fragore assordante di vetri rotti;il soffitto era crollato.
 
 La pioggia fuori continuava a infuriare, ma i bambini senza perdere tempo, misero una coperta sul corpo di Sophia e corsero a perdifiato fra le strade. L’incendio stava distruggendo tutta la biblioteca, la gente accorreva dalle strade curiosa e spaventata, ma fortunatamente nessuno notò nel caos generale tre bambini che sgattaiolavano via di corsa sotto la pioggia.
 

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII: Il demonio e il mostro ***


La pioggia si era attenuata e cadeva solo una lieve pioggerellina nella notte oscura e travolgente appena giunta. La luna piena brillava nel cielo insieme a milioni di stelle ed illuminavano il ritorno a casa dei tre bambini, talmente scossi dagli avvenimenti precedenti che non proferirono parola fra di loro.
 
Solo dopo essersi separati da Sabo con la promessa di parlarne il giorno seguente, Sophia iniziò a singhiozzare piano.
Ace la portava in groppa sulla schiena visto che si era fatta male alla caviglia, sopportando il dolore alla ferita sul braccio.
Sentiva le lacrime calde della bambina che scorrevano nella sua maglietta fradicia e gelata, e stringeva i pugni con le impronte deboli e leggermente luminose davanti al suo petto fino a far sbiancare le nocche.
 
Si sentiva a disagio quando qualcuno piangeva, forse per questo non sopportava i piagnucoloni.
Lui non piangeva mai. Non gli piaceva dare a vedere i suoi punti deboli né davanti alle persone né tantomeno a sé stesso.
Rallentò e sospirò profondamente a occhi chiusi.
 
“Per quanto tempo ancora hai intenzione di piagnucolare?” sbottò scrutando l’oscurità davanti a sé
 
Sophia tirò su con il naso e pigolò con una voce sottile
 
“è c-colpa mia se sono m-morti”
 
Ace si fermò. Era interdetto. Perché pensava una cosa simile dopo tutto quello che era successo?
Se la fece scivolare giù dalla schiena, lei si sedette sull’erba bagnata asciugandosi le lacrime e lui si accovacciò davanti a lei per essere alla sua altezza. Le prese forte il viso con le mani per guardarla dritto negli occhi azzurri intensi. Aveva gli occhi sbarrati per la confusione e il dolore.
 
“non è vero” le disse deciso, poi in un soffio abbassando il tono della voce aggiunse “Loro avevano comunque commesso un crimine li stavano già cercando…”
 
“ma li ha uccisi solo dopo aver detto quella cosa che riguardava me…” disse con voce strozzata abbassando lo sguardo.
 
Ace sentì scorrergli nelle mani le lacrime di Sophia
 
“Li avrebbero uccisi comunque” mormorò gravemente
 
“mmmh”
 
Ace sospirò profondamente, la riprese in braccio e se la rimise in groppa. Sentirle dire quelle cose gli aveva messo una certa inquietudine addosso.
 
“Oh a volte sei molto intelligente ma certe volte proprio tonta, come potevi pensare che fosse colpa tua” tentò di sdrammatizzare
 
“Sabo è molto più gentile di te a volte” sibilò lei offesa
 
“EH?!Che hai detto?” sbottò Ace indignato “bene te la fai a piedi”
 
“dai Ace ho male”
 
 
 
I giorni passarono al monte Corbo, maggio fece capolino portando giornate debolmente soleggiate in cui i tre bambini portavano avanti la loro routine, ma con qualche differenza rispetto a prima.
 
Ace e Sabo non dissero mai a Sophia quanto fossero preoccupati per la sua sicurezza, si guardavano attorno con circospezione nei luoghi affollati, avevano sempre paura di trovare agenti del Governo.
Non scendevano più al mare, anche se Sophia non poteva più nuotare per ora, non volevano metterla in pericolo e in città la convinsero a stare sempre sotto forma di leopardo.
 
Il problema erano piccole fonti d’acqua, che evidentemente non indebolivano abbastanza il frutto del diavolo, facendo apparire sul suo corpo deboli impronte luminose. Ace e Sabo pensarono che la strega del bosco Elanor donandole quel frutto le avesse fatto un gran regalo. Poteva nascondersi davvero meglio.
 
 Ace però temeva che Sophia non avrebbe mai accettato la lontananza dal mare volentieri visto il caratterino ribelle e avventato, ma con suo grande stupore fu la prima a non volersi avvicinare. Sembrava che stesse rifiutando la sua identità, ma infondo Ace la capiva, lui faceva lo stesso con il legame di sangue con suo padre.
 
In effetti sia Ace che Sabo notarono che la loro amica aveva iniziato ad essere più silenziosa, il sorriso era più tirato, e aveva iniziato a mangiarsi le unghie quando era nervosa. Per non parlare degli incubi notturni che faceva, si svegliava sudata e gridando nel cuore della notte spaventando a morte Ace.
Per questo motivo non parlarono più di streghe e profezie.
 
Fino alla sera del settimo compleanno di Sophia.
Era una delle notti più gelide di dicembre, ed Ace e Sophia stavano per andare a dormire, quando Sophia si sedette di scatto sul suo futon e chiese con fare inquisitorio:
 
“Ace ma tu quando compi gli anni?”
 
Lui voleva solo dormire.
Si girò verso si lei e la guardò con espressione scocciata. Si stava rigirando tra le mani il libro che le avevano regalato lui e Sabo.
 
“Perché?” chiese di malavoglia mentre si stiracchiava dentro al suo futon
 
“Perché non li hai mai festeggiati dal mio scorso compleanno a questo” commentò lei scettica scoccandogli un’occhiata penetrante.
 
Sospirò esasperato.
Non aveva voglia di tirare fuori quel discorso.
Lei inarcò un sopracciglio in attesa di risposta.
 
“non lo festeggio mai, non mi piace” rispose Ace in tono piatto voltandosi dall’altra parte
 
“Perché?”
 
“voglio dormire Sophia”
 
Sophia balzò in un lampo sul futon di Ace per poi franargli addosso, il quale grugnì scocciato sotto il peso della bambina.
 
“Dai perché?” insistette impaziente guardandolo dritto negli occhi.
 
Ace sbuffò irritato.
Si fissarono per un minuto interminabile, poi Ace non riuscendo più a reggere il confronto con i suoi occhi brillanti abbassò lo sguardo.
Infondo lui sapeva tutto di lei ora, e Sabo lo sapeva. Lei ora era una di loro.
 
“Non sarei dovuto esistere” mormorò gravemente spostandola dal suo futon “la gente pensa questo del figlio del Re dei Pirati”
 
Sophia sobbalzò dallo stupore e indietreggiò.
Ecco lo sapeva si era spaventata. Forse sua madre era l’ennesimo pirata che odiava giustamente suo padre e chissà quali storie orribili le aveva raccontato.
 Anche se questa volta Ace sentì una morsa al petto pungente al pensiero che lei lo fosse.
 
“Gold D. Roger?” disse Sophia con un filo di voce
 
Ace si voltò verso di lei.
Non era spaventata, e una parte di lui si rilassò al pensiero. Però…lo guardava con ammirazione, possibile? Sembrava che non respirasse neanche e aveva un mezzo sorriso sulle labbra a cuore.
Non andava bene comunque, lui odiava suo padre, chi lo adorava era uno stupido.
 
“Già” rispose rabbuiandosi “è odiato da tutto il mondo, compreso me”
 
Sophia rimase interdetta, la sua ammirazione svanì, sembrava sovrappensiero poi il suo sguardo s’indurì all’improvviso, mentre lo fissava e con uno scatto gli lanciò con rabbia il libro in testa.
 
“AHIII”
 
Ace la guardò sconvolto, ma che le era preso?
 
I suoi occhi lampeggiavano di rabbia, ed Ace rabbrividì nel notare che quell’espressione era molto simile a quella del nonno.
 
“Sei uno stupido a dire una cosa del genere!” strillò scioccata e aggressiva, e iniziò a camminare con lunghe falcate per la camera avanti e indietro sbuffando come una teiera in pressione.
 
“perché?” esclamò Ace incredulo massaggiandosi il bernoccolo che stava incominciando a crescere
 
Lo guardò con il labbro inferiore che tremava e gli angoli della bocca rivolti all’ingiù, poi gridò disperata con voce incrinata:
 
“Perché tu sei libero da queste impronte luminose” si toccò le braccia con forza “non sei diverso dagli altri, non sei un mostro e non sei destinato a distruggere qualcosa” fece una pausa per riprendere fiato, scivolò con la schiena contro la parete di legno, si sedette e guardando in basso aggiunse in tono sconsolato” Sai ho letto cosa significa profezia…non è una bella parola”
 
Ace rimase paralizzato nel suo futon non sapendo cosa dire.
L’inquietudine di quei mesi che si nascondeva tra i suoi occhi e il suo sorriso sembrava stesse venendo a galla.
 
Non si era ben reso conto di quanto lui e Sophia vivessero una pena simile relativa alla propria esistenza, con l’aggravante che lei era come marchiata.
Lo potevano vedere tutti chi fosse lei.
Lui poteva nascondere molto meglio di lei la sua vera natura.
 
“se davvero lo odi così tanto basta che dimostri a tutti di non essere lui, e vedranno solo te, non tuo padre” aggiunse in un soffio sconsolato stringendo le ginocchia al petto e nascondendo il capo fra le braccia conserte e le gambe.
 
Per la prima volta Ace sentì quell’enorme peso che si portava dietro un po’ più leggero.
Quelle ultime parole della bambina gli sembrarono, dopo anni di pensieri lucubri, un sentiero più luminoso.
 
Prese il libro accanto a sé, si alzò e la raggiunse alla parete sedendosi accanto a lei ridandole il libro.
Rimasero in silenzio qualche minuto mentre Ace cercava le parole giuste da dirle per mostrarle anche a lei un sentiero più luminoso .
 
“Per me e Sabo non sei un mostro, chi lo crede è stupido” esordì deciso scoccandole uno sguardo in tralice.
 
Sophia alzò il capo, lo guardò con gli occhi lucidi e tirò su con il naso.
 
“le cose che sai fare sono forti” continuò Ace annuendo con il capo sorridendole
 
Sophia si asciugò una lacrima silenziosa con la mano, e abbozzò un sorriso.
 
Ace si sentì meglio nel vederla sorridere, gonfiò il petto orgoglioso e con un ghigno le disse dandole una spallata giocosa:
 
“casomai distruggerai solamente il monte Corbo e in quel caso faresti un favore a tutti e due!”
 
Lei rise, e questa volta il suo sguardo era più caldo.
Anche Ace rise, e poi senza aspettarselo, Sophia si allungò verso di lui gettandogli le braccia al collo e lo abbracciò.
Ace s’irrigidì e sentì improvvisamente le guance e le orecchie più calde, preso alla sprovvista da quel contatto fisico e gesto d’affetto, così istintivamente iniziò a farle il solletico nella pancia sapendo che era un punto debole della bambina.
 
“ACEEEEEE” strillò ridendo Sophia mentre si contorceva come un’anguilla sotto le mani del corvino che non avevano nessuna pietà.
 
Fu così che iniziò nella quiete serale del monte Corbo una battaglia notturna di solletico e cuscini tirati nella camera dei due bambini, ogni tanto si sentiva un ringhio felino per poi sentire le urla di un bambino:
 
“è sleale quello!!”
 
Alla fine, caddero per terra sfiniti tra le piume dei cuscini lacerati con ancora una ridarella leggera che si era impossessata di loro.
 
Sophia ad un certo punto si alzò a sedere e si girò verso Ace. I capelli biondi erano talmente spettinati dopo la battaglia che sembrava avere un nido di uccelli sopra la testa.
 
“Quindi?”
 
Ace la guardò e rise
 
“il primo gennaio”
 

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV: Maelstrom ***


Sono passati due anni al monte Corbo.
 
In questo periodo di tempo gli animali hanno imparato a stare più all’erta nella foresta poiché tre bambini scalmanati si facevano rispettare in tutto il bosco, principalmente usando le cattive maniere. Anche perché crescendo avevano sempre più fame di carne.
 
La voce si era diffusa anche tra i teppisti della città e i cattivi della discarica, i quali dovevano stare molto attenti quando giravano quei tre marmocchi prepotenti poiché dopo il loro passaggio si ritrovavano sempre al verde, con qualche bernoccolo e graffio in più.
 
I tre bambini però non vincevano sempre, c’era una figura alquanto imponente e autoritaria che i tre non riuscivano a superare.
Nonno Garp.
 
Quando si presentava con la sua camicia vacanziera hawaiana cercava di imprimere gli ideali della marina in quelle zucche vuote piene di idee sulla pirateria utilizzando il suo famoso “pugno dell’amore”.
 
La stessa Dadan aveva temuto per la sua incolumità quando quell’impetuosa marmocchia aveva dichiarato sfrontatamente a suo nonno che avrebbe preso il mare per fare il pirata e che per di più aveva ingerito un frutto del Diavolo.
In quell’occasione Garp le aveva date di santa ragione anche a Dadan ed Ace, oltre alla nipote, con l’accusa per il crimine di non averle impedito di mangiare il frutto.
Colonne di bernoccoli così alte sulle loro teste non si erano mai viste finché non arrivò l’estate del decimo anno dei due maschi e del nono di Sophia, quando il loro “triangolare equilibrio” venne rotto da una piccola scimmia. Mancava davvero poco al suo arrivo.
 
La notte prima, mentre le cicale intrattenevano un concerto abbastanza fastidioso sotto un cielo stellato che dopo poche ore si sarebbe dissolto nella luce del mattino, due bambini erano sdraiati nello stesso futon.
 
“Ace”
 
“Mmmh”
 
“ho deciso di andare al mare”
 
Nonostante l’ora, Ace si voltò di scatto verso Sophia e lei, sapendo già cosa fare, tirò fuori il suo ciondolo, il quale emanava una luce flebile.
Gli occhi color ossidiana di Ace riflettevano la luce della sua gemma e la fissavano dritti e leggermente inquieti.
 
“sei sicura?” chiese in un sussurro
 
Sophia annuì vigorosamente cercando di mostrare sicurezza in quella scelta, anche se dentro di lei moriva di paura.
 
Era due anni che non si avvicinava neanche al mare. Dopo tutto quello che era successo due anni fa era stata la scelta migliore non dare nell’occhio, anche se una parte di sé sapeva che il rifiuto verso quello sé stessa e l’angoscia della profezia erano state le motivazioni dominanti.
 
Negli ultimi mesi però gli incubi di Sophia erano alquanto monotematici.
Annegava in un mare oscuro e guardava verso l’alto una luce intensa.
Si svegliava urlando e sempre in un bagno di sudore, per poi correre nel futon da Ace.
Sapeva che con il suo frutto del diavolo non poteva più nuotare, ma doveva riuscire a saltare quell’ostacolo come sua madre.
Nessuno le aveva detto come si poteva fare e l’unico modo era tuffarsi in acqua.
 
Ace la stava studiando in modo silenzioso.
 Si girò a pancia in su mettendosi le mani dietro la testa e disse in tono deciso e rassicurante
 
“tranquilla, ci saremo io e Sabo con te, non succederà nulla”
 
Sophia accennò un sorriso e con un respiro profondo si girò anche lei a pancia all’aria.
 
“Ace ma secondo te ce la farò?” chiese la biondina subito dopo, ma lo sentì subito ronfare alla grande.
 
Si era addormentato di botto come al suo solito.
 
Ace era diventato narcolettico.
 
Forse aveva iniziato ad accusare il colpo, addormentandosi a sproposito ovunque e in qualsiasi momento, e Sabo probabilmente era quello che lo prendeva più in giro, ma perché non sapeva delle chiacchiere notturne dei suoi due amici. Ace non glielo aveva mai rivelato, gli rispondeva solo che dormiva poco la notte, e Sophia immaginava che il corvino non volesse perdere la sua facciata da duro e da maschio, ma lei sapeva la verità che si celava dietro di lui.
 
Effettivamente stava dormendo meno negli ultimi due anni, ma a causa degli incubi di Sophia.
 Poiché tutte le volte la biondina correva nel futon di Ace, il quale la accoglieva con un grugnito e un “fifona” al quale lei rispondeva con una gomitata.
 
Il corvino però non l’aveva mai mandata via, anzi parlavano tutte le notti in quel futon.
Chiacchieravano di ogni cosa, dalle cose semplici agli argomenti pesanti che gravavano sui loro cuori, ed entrambi si ascoltavano l’un l’altro, aiutandosi ad alleggerire i loro macigni.
 
Sophia raccontò perfino i dettagli più cruenti della morte di sua madre descrivendo anche il suo bizzarro e dolce salvatore Rocinante. Ace nel suo cuore si promise quella notte che un giorno avrebbe voluto ringraziare quell’uomo miracoloso per aver salvato la sua amica.
 
Quando gli incubi di Sophia erano particolarmente violenti, Ace le stava accanto tenendole una mano e canticchiandole un motivetto di qualche nota, senza nessuna parola, e si scoprì essere un ottimo metodo per calmarla.
 
Non che con Sabo non fosse legata, anzi si scambiavano, sotto lo sguardo torvo di Ace, un sacco di libri di avventure di cui poi riuscivano a parlare per ore estasiati.
 In più, Sabo aveva una gentilezza innata a differenza di Ace che spesso mostrava in facciata un carattere più spigoloso e scontroso. Sophia sapeva dopo infinite sedute di chiacchiere notturne, che aveva origine più profonde radicate dal suo rifiuto di esistenza e dal considerarsi indegno di ricevere affetto.
 
Da quel giorno però le cose iniziarono a cambiare, anche se nessuno dei tre ancora lo sapeva.
 
Avevano provato per tutta la mattina a far entrare Sophia in acqua, ma appena l’acqua le superava il ginocchio le impronte svanivano, si sentiva debole e se non ci fossero stati Ace e Sabo a prenderla in tempo per le braccia sarebbe finita annegata.
 
Ci provò finché ne aveva le forze e poi infuriata con sé stessa si diresse verso in uno dei promontori erbosi più alti che sovrastavano il mare per sbollire la rabbia.
 Sophia si era seduta a qualche metro dallo strapiombo, osservando il mare stendersi fino all’infinito sotto la luce intensa del primo pomeriggio con la brezza marina tra i capelli.
 
 Pensava solo all’odio e alla paura che in quel momento provava. Faceva quasi fatica a ricordare la gioia che provava prima per quella distesa azzurra.
 
“beh intanto ci hai provato ed è un gran miglioramento” la consolò con un sorriso Sabo sedendosi di fianco a lei a gambe incrociate
 
Sophia gli rivolse uno sguardo pieno di significato per ringraziarlo e gli cinse le spalle con un braccio.
 
“deve diventare più forte” lo contraddisse burbero Ace, superandoli e andandosi a sedere sul ciglio dello strapiombo, come al solito.
 
La biondina emise un ringhio soffocato
 
“è inutile che ti offendi lo sai anche tu che è così” le ribadì Ace girandosi verso di lei, dando le spalle allo strapiombo
 
“lo sai che Ace è molto duro anche con sé stesso, lo dice per il tuo bene” le sussurrò Sabo con una strizzatina d’occhio “vedrai la prossima volta andrà meglio”
 
E poi accadde in un istante.
 
Appena sentirono il russare sonoro di Ace, alzarono lo sguardo su di lui, Sabo era già pronto per prenderlo in giro, ma appena posarono gli occhi su di lui era già troppo tardi.
Il corpo addormentato di Ace sparì dietro lo strapiombo, cadendo dritto in mare.
 
A Sabo rimase congelata la battuta sulle labbra e prima che se ne rendesse conto Sophia si era già trasformata in un leopardo e con due balzi fulminei si era buttata giù dallo strapiombo.
Sophia non ci pensò neanche un secondo prima di buttarsi, si mosse soltanto ascoltando l’istinto.
 
Ritornò subito umana appena si gettò dallo strapiombo e urlò saltando nel vuoto come una meteora, ma non era un grido di paura. Il vento non demordeva, cercava invano di combattere contro la gravità invincibile, ma si abbatteva contro Sophia costringendola a roteare. Sentiva l’adrenalina pura scorrerle nelle vene.
 
Era incredibile la velocità a cui Ace stava cadendo davanti a lei e non poté non notare che stava ancora dormendo nonostante la situazione. Lo avrebbe ucciso con le sue mani una volta usciti di lì.
La superficie del mare, blu e profonda, era sempre più vicina quando all’improvviso dalle onde comparve un’enorme testa verde scuro squamosa con occhi rossi scintillanti. Spalancò la bocca con i denti affilati, esattamente solo di loro.
 
Sarebbero morti mangiati da un Re del mare.
 
Sophia non ebbe neanche il tempo per spaventarsi, il Re del mare era troppo vicino a loro, e la sua testa e il suo fisico formularono in modo chiaro e deciso che doveva salvare Ace ad ogni costo con tutte le forze che aveva. Improvvisamente sulle sue braccia comparvero impronte molto luminose e più aumentava la luce più sentiva una strana energia impetuosa dentro di sé.
 
Allungò un braccio verso Ace per cercare di afferrarlo.
 
“ACEEE!”
 
Il corvino aprì gli occhi nello stesso momento in cui Sophia strillò il suo nome ,appena sopra di lui, e quando il mare sotto di loro si aprì in enorme e violento maelstrom.
 
Il Re del mare, che era al centro di quell’enorme voragine d’acqua, venne subito trascinato negli abissi mentre Ace e Sophia caddero ai lati del maelstrom.
Ci fu un chiarore accecante di bollicine appena penetrarono la superfice dell’acqua, salivano verso l'alto infilandosi fra le dita.
 
Stranamente Sophia non ebbe paura quando sentì il freddo del mare avvolgerla, nonostante le onde impetuose che sembravano azzuffarsi per tirarla giù e sbatterla in ogni direzione. Una lieve debolezza si impossessò di lei ma per la prima volta sentiva una grande energia attorno a sé, e forse fu quella forza impetuosa che le fece aprire subito gli occhi per cercare Ace.
Lo vide qualche metro sotto di lei che stava cercando di risalire in quella marea fortissima; Il maelstrom li stava tirando giù nel fondo del mare. Sophia cercò istintivamente di aggrapparsi alla marea per cercare di fermarla, sentì le braccia come scosse da brividi fortissimi e le sembrò che tutta l’energia che aveva e che sentiva attorno fluisse nelle braccia. Le sue impronte erano più luminose che mai e vorticavano furiosamente.
Sophia mantenne quella forza e quella concentrazione mentale fino a quando il mare si calmò, poi sentì le energie completamente prosciugate. L’ultima cosa che vide prima di essere avvolta dall’oscurità fu il suo naso sanguinante ed Ace che nuotava verso di lei.

***
 “quanto ci metti Sabo?!”

“se doveva aspettare che tu la smettessi di arrossire, quando ho detto che le serviva la respirazione bocca a bocca, sarebbe morta!”

Sophia aprì gli occhi lentamente, e ci mise un po’ a mettere a fuoco, si sentiva debole. Era sdraiata per terra completamente bagnata e a pochi centimetri dal suo viso c’era Sabo, inginocchiato vicino a lei, completamente fradicio e poco più in là torreggiava in piedi Ace, rosso in viso, con uno sguardo torvo anche lui alquanto sgocciolante.

“oh, finalmente sei sveglia” esclamò Sabo contento “hai visto che hai fatto?! Era grandioso ed enorme!” e allargò le mani verso il cielo.

“ce l’ho fatta” farfugliò Sophia con un mezzo sorriso, cercando di mettersi seduta.

Ace scattò versò di lei per aiutarla.

“si, questa volta sì…e grazie” confermò Ace scoccandole uno sguardo penetrante, per poi arrossire fino alla punta delle orecchie.

Ace si alzò poi di scatto e si voltò di spalle “però dopo sei svenuta, e quando ti ho portato a riva, Sabo ti ha fatto la respirazione bocca a bocca” disse in tono aspro, prese poi il bastone e aggiunse di fretta “io devo fare una cosa, aspettatemi all’albero “e si avviò poi di corsa verso il bosco.

“ehi ma che ti prende?!” esclamò incredulo Sabo voltandosi verso di lui “non pensavo te la fossi presa così tanto per quella battuta sui narcolettici” ma Ace continuò per la sua strada senza voltarsi indietro.

Sophia lo guardò interdetta allontanarsi. Non capiva la reazione di Ace. Che gli era preso? Stava rovinando il suo piccolo traguardo personale.

“certo che è strano a volte” sbottò Sabo aiutandola ad alzarsi in piedi “dai andiamo verso l’albero”

Sabo e Sophia, durante il tragitto, parlarono di continuo dei fatti appena successi.

“ma come hai fatto?” le chiese Sabo avido di sapere

“Non lo so bene mi sentivo solo molto determinata a salvare Ace” spiegò Sophia assorta nei suoi pensieri “è stata la prima volta che… le impronte sono comparse senza che io toccassi l’acqua …e poi ho sentito quella strana energia”

“energia?”

“si mi sembrava ovunque in quel momento!” rispose accalorata Sophia stringendosi le braccia “e mi è sembrata molto più grande quando sono caduta in acqua, anche se in mare mi sentivo più debole, sentivo meno la mia di energia! Mentre quando cadevo sentivo dentro di me una grande forza”  

Sabo la guardava con gli occhi sbarrati, le sopracciglia erano scomparse sotto il cappello nero.

“ed è stata anche la prima volta che l’acqua ha fatta quello che volevo io” continuò lei concitata “volevo fermare la corrente e l’ho fatto!” e fece un enorme sorriso verso di lui.

Anche se si spense dopo poco.

“ma non saprei come rifare tutto quanto” ammise
“significa che per allenarti dovremmo sempre buttare Ace giù da uno strapiombo” scherzò Sabo facendola ridere

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Capitolo 15
*** Capitolo XV: Yo! Luffy! ***


Non sapeva perché sentiva quel fastidio a livello dello stomaco, però aveva chiaro in testa che voleva allontanarsi da quei due per il momento.

Ace stava camminando svelto e furioso con un bufalo tra le mani, catturato strada facendo, lo avrebbe portato al covo e poi sarebbe andato all’albero.

Si era domandato per tutto il tempo perché si sentisse così infastidito.
Infondo era stato contento nel vedere Sophia acquisire di nuovo i suoi poteri, sembrava proprio determinata, aveva uno sguardo da vera combattente.

Si vergognava di essere caduto dallo strapiombo in quel modo, ma almeno ne era valsa la pena. Anche se aveva perso un battito nel vederla perdere i sensi sanguinando davanti a lui. Ace con tutte le sue forze l’aveva trascinata a riva, dove li attendeva un Sabo preoccupatissimo, il quale aveva subito capito che Sophia aveva bisogno della respirazione bocca a bocca e l’aveva effettuata subito.

Aveva digrignato i denti in quel momento? Sì parecchio.

Lui avrebbe dovuto finire di salvarla, Sophia era più amica sua, anche se probabilmente si sarebbe vergognato troppo di fare una cosa simile.

Ace stava ancora imprecando a bassa voce per la gelosia quando si ritrovò davanti al covo dei banditi con un déjà-vu.

Rimase esterrefatto con il bufalo ancora tra le mani mentre osservava suo nonno sulla porta discutere con Dadan e qualche bandito ancora più sconvolti di lui. Non sentiva neanche quello che dicevano, vedeva solo che le immense mani del vecchio tenevano per la maglietta un bambino più piccolo di lui. Portava un vecchio cappello di paglia in cui spiccava una fascia rossa.
Si riscosse con un sussulto solo quando lo presentò come suo nipote.

“ehi Luffy saluta”

“yoo!”

Un altro nipote di Garp, era impossibile, Ace non ci credeva.

Ok con Sophia era andata più che bene, anche se ci era voluto un po’, ma vedendo quel piccoletto con quella faccia impertinente, che dopo essere stato mollato dal nonno, correva davanti al covo come un matto…nutriva seri dubbi che fosse simpatico.

E poi lo sentì.

“nonno io non voglio stare con i banditi! Voglio diventare il Re dei Pirati!” strillò impavido stringendo i pugni

“Luffy vedi di toglierti quell’idea dalla testa!” tuonò Garp fulminandolo con lo sguardo

Ace strinse le labbra.

Strano come nei momenti più imprevedibili, quell’odio profondo si impadronisse di lui e, che per quanti sforzi facesse con l’aiuto di Sophia, quella morsa allo stomaco non lo avrebbe mai abbandonato.

Re dei Pirati. Gold D. Roger.

Quelle parole gli rimbombavano in testa.
Gli tremavano le mani dalla rabbia e mentre scrutava torvo quel bambino che correva, Ace decise di odiarlo.
 Fu così che quando Luffy gli passò accanto, senza accorgersene, Ace gli sputò in faccia.

***
“perché ci hai messo tanto?! Ti sei perso tutto il mio racconto! “

Sabo e Sophia lo stavano aspettando sopra all’albero ed erano seduti vicini. Troppo vicini per i suoi gusti. Sentì caldo dalla rabbia.

Ma che gli prendeva?

“c’erano visite al covo” rispose gelido mentre si arrampicava con pochi ma calcolati balzi agili

“il nonno?!” strillò euforica la biondina

Ace continuava a non capire il motivo per cui Sophia era sempre contenta di vedere il vecchio. Lei, una volta, gli aveva semplicemente spiegato che era il suo unico parente vico e che quindi gli avrebbe voluto sempre bene.
Eppure, le legnate se le prendeva sempre anche lei con lui.

“già” rispose Ace sedendosi sull’albero con gli altri due, e poi aggiunse in tono disinteressato “ma c’era anche un altro bambino…pare che rimarrà al covo con noi”

Sophia spalancò gli occhi ed Ace poté leggerle chiaramente sul viso le diverse emozioni: incredulità, sorpresa e felicità. Sentì lo strano fastidio.

“davvero?!” esclamò contenta avvicinandosi “chi è? Lo possiamo far entrare nel gruppo?”

“un piccoletto con un cappello di paglia e no non starà con noi” tagliò corto lui

Ace non volle rivelare subito l’identità del bambino. Forse temeva che Sophia lo adorasse subito dato che erano parenti. Sicuramente avrebbe preferito l’altro bambino. In più lo detestava quello che aveva detto quel bambino dal cappello di paglia.

“perché non può?!” lo incalzò Sophia con tono inquisitorio avvicinandosi a lui

“vuole diventare... il Re dei Pirati” rispose acido Ace osservando i suoi due amici impallidire sotto il suo sguardo truce.

“ora si spiega tutto” commentò sospirando Sabo mettendosi le mani dietro la testa, e poi rise spensierato.
“ma magari è simpatico” suggerì Sophia con una vocina sottile, ma si zittì subito dopo che Ace la fulminò con uno sguardo assassino.

***
Sophia ci era rimasta male.

 Almeno lo avrebbe voluto conoscere quel bambino di nome Luffy. In più Ace sembrava avercela con tutti in quei giorni, probabilmente cadere in mare gli aveva fatto male. Almeno c’era Sabo che era sempre gentile.

 A quanto pare Luffy aveva seguito Ace e si era perso. Dentro di sé lo capiva molto bene visto che aveva fatto anche lei la stessa cosa però era sempre tornata. I banditi erano stranamente preoccupati della sua assenza, Dadan beveva e fumava di più, anche se Sophia non ne capisse il motivo, non credeva che quel bambino avesse fatto breccia nel cuore avvizzito di quella bandita nei pochi minuti in cui era stato al covo.

Finché una settimana dopo, durante le prime ore della notte, in cui Sophia non riusciva ancora a prendere sonno, Dadan entrò nella loro camera e lanciò nel terzo futon, che era rimasto vuoto fino a quel momento, il bambino con il cappello di paglia.

Sophia si alzò di scatto appena Dadan chiuse la porta, curiosa di vederlo ma appena posò gli occhi su di lui sussultò. Luffy era coperto di ferite su tutto il corpo, aveva gli abiti stracciati e stava già dormendo alla grande.

Chissà dove si era cacciato…non poteva lasciarlo così!

Sophia controllò che Ace dormisse prima di avvicinarsi dalla sua parte per prendere garze, bende e disinfettante.

“lascialo stare” grugnì Ace

Sophia dallo spavento per poco non strillò.

“è conciato male” sussurrò lei tenendosi una mano sul petto, sentendo il cuore martellare forte.

“si curerà da solo e imparerà a farlo come ho fatto io” ribatté Ace acido girandosi verso di lei.

Sophia nell’oscurità poteva scorgere il suo sguardo torvo. Ce l'aveva davvero a morte con quel bambino?!

“se fossi arrivata prima di te al covo, non ti avrei lasciato solo” mormorò infervorata Sophia mentre si sedeva accanto al più piccolo “come non lascerò lui”

Ace sbuffò infuriato e si girò dall’altra parte.

Sophia con foga iniziò a disinfettare le ferite del bambino, e temette di averlo svegliato poiché aprì i grandi occhi tondi e fanciulleschi, di un castano molto caldo e si lamentò:

“ho fame” poi si riaddormentò di botto.

Sophia rimase interdetta, per poi ridere piano.

Continuò il suo lavoro da infermiera mentre intanto osservava Luffy.
 Era poco più piccolo di lei ed esile, aveva fitti capelli neri come il carbone che andavano in ogni direzione in diversi ciuffi ribelli. Il viso era fanciullesco e rotondo, aveva un naso dritto e piccolo come un folletto e sotto l’occhio sinistro aveva una cicatrice a mezzaluna. Il vecchio cappello di paglia con una fascia rossa era annodato al collo con più nodi, probabilmente non se lo toglieva mai.

Mentre lo medicava notò che aveva la pelle molto morbida, quasi elastica e per poco non emise un gridolino di stupore quando provò a tirarla e vide che si allungava.

Sophia indietreggiò e lo guardò ammirata.
Quel bambino era fatto di gomma!

***

 
Quella mattina Sophia si svegliò eccitata, era molto curiosa di conoscere il nuovo bambino, ma affianco a lei i futon di Ace e del piccolo erano vuoti.

Si era davvero svegliata così tardi?!

Corse verso la sala principale, dove trovò quasi tutti intenti nel fare colazione con gli occhi mezzi addormentati.
Ace quando la vide la scrutò torvo e imbronciato mentre Luffy si illuminò in viso e corse verso di lei. Sophia cercò di nascondere la sua felicità davanti a quella reazione del piccolo, visto che lo sguardo di Ace, se avesse potuto, avrebbe ucciso chiunque in quel momento.

“sei tu che mi hai bendato stanotte! Grazie” trillò Luffy contento, poi le porse la mano e con un sorriso smagliante aggiunse in tono gioioso “diventiamo amici?”

Sophia sorrise davanti a quel déjà-vu.
Questa volta sarebbe stato diverso però, non lo avrebbe fatto penare come il lentigginoso aveva fatto con lei. Ace se la sarebbe fatta passare, lei sarebbe riuscita a convincerlo con il tempo, come al solito.

Sophia stava per dargli la mano quando sentì Magura, vicino a loro, dire stupito:

“certo che il nipote di Garp ha la pellaccia dura, una settimana fuori nel bosco non è da tutti”

Il cuore di Sophia perse un battito e il suo sorriso si spense in un istante. La sua mano si fermò e lentamente ritorno vicino al fianco.

Non era possibile, forse aveva sentito male. Deglutì nervosamente e chiese al bambino balbettando:

“s-sei un nipote di Garp?”

Luffy inclinò la testa confuso

 “sì lo conosci?”

Sophia strinse i pugni e serrò le labbra. Sentiva gli occhi di Ace addosso.

Come poteva il nonno non averle mai detto una cosa simile. Aveva un cugino e chissà forse una famiglia che non conosceva. Perché aveva abbandonato lì ,lei ed Ace ,con i banditi?
Forse prima il bambino stava in un'altra casa di banditi?

“sei cresciuto con il nonno?” chiese in tono asciutto

“sì ma stavo anche con Makino al bar…” spiegò Luffy allegro, ma quando vide Sophia indietreggiare di qualche passo guardando verso il basso, esclamò in fretta “ehi non vuoi diventare mia amica?!”

Sophia si sentì tradita nel profondo.
Luffy era stato un sacco di tempo quindi con il nonno. Perché il nonno non la voleva con lei? Lui sapeva che era una strega, un mostro…forse non le voleva bene per quello?

Sentì Ace alzarsi di scatto, Sophia lo guardò. Aveva uno sguardo indecifrabile, ma almeno non era più assassino. Si voltò verso Dadan senza rispondere a Luffy e chiese in tono piatto, nonostante la rabbia che sentiva crescere in lei:

“perché il nonno non mi ha cresciuta almeno un po’ e mi ha lasciato subito qui?”

Dadan era ancora mezza addormentata ed era più interessata a guardare quante sigarette le rimanevano.

“sarai più mostriciattolo di lui e poi Garp non si prende mai le sue responsabilità” le rispose distrattamente, poi si voltò verso il più piccolo e sbottò in tono minaccioso “ehi tu moccioso ti occuperai delle pulizie e di lavare…”

Aveva usato la parola mostro senza rendersene conto, senza sapere nulla, ma Sophia si irrigidì lo stesso.
Luffy non ascoltò la donna giunonica, e Sophia poté vedere il suo viso accedersi, aveva finalmente capito il legame di sangue.

“è anche tuo nonno?!” chiese euforico con occhi pieni di meraviglia “Sei mia sorella?!”

 “non avevo fratelli, penso tu sia…mio cugino” mormorò Sophia acida facendo una smorfia

Luffy rise entusiasta e allungando le braccia di un metro, sotto lo sguardo stupefatto di tutti, la abbracciò, attorcigliandosi tre volte attorno alla vita della biondina.
Sophia lo rifiutò e lo spinse per terra, il piccolo la guardò incredulo e un po’ ferito.

“non saremo amici” apostrofò aspramente Sophia

“ma sono tuo cugino” insistette Luffy rimettendosi il cappello in testa tirando in fuori il labbro inferiore

Sophia sentì la rabbia, che stava tenendo a freno, salire rapidamente dopo quel gesto d’affetto e quelle parole. Non riusciva più a ragionare, avrebbe voluto strillare tutto quello che pensava a suo nonno. Avrebbe voluto distruggere quel covo in quel momento. Sentì un brivido alle mani, pensava fosse rabbia ma si rese conto che percepiva energia, non forte come al mare, ma c’era. Poi perse il controllo non ce la faceva più.

“Ace è la mia unica famiglia” gridò infervorata con quanta fiato aveva in corpo.

Improvvisamente tutti i bicchieri e i tubi d’acqua esplosero, i banditi urlarono sconvolti mentre l’acqua zampillava ovunque.

“cos’è stato?!” tuonò Dadan riparandosi dall’acqua dei tubi che fuoriusciva furiosa

Ace scattò versò di lei di corsa la prese per un braccio e la trascinò fuori, prima che qualcuno notasse le impronte luminose sul corpo della biondina. Intanto i banditi erano troppo occupati dall’acqua che li bagnava.

“EHI!! Hai mangiato un frutto del diavolo anche tu?!” gridò entusiasta il piccolo che cercò di rialzarsi in fretta “Ehi! DOVE ANDATE??” strillò dietro di loro rincorrendoli.

“dove cavolo pensi di andare tu! Devi pulire” tuonò Dadan in lontananza “arghh io li detesto i nipoti di Garp!”

Ace e Sophia fuggirono di corsa addentrandosi nel bosco, saltarono abilmente fra i sassi disseminati dentro ai ruscelli, si arrampicarono fra le montagne percorrevano ponti sospesi ma Luffy, dietro di loro, continuava senza sosta a seguirli.
 Cadeva goffamente, sbatteva e si graffiava ma ogni volta si rialzava e gridava:
 
“Aceeee! Cuginaaa! Aspettatemi! Voglio venire anche io!”
 
Ace ad un certo punto si spazientì mentre erano in cima ad una piccola montagna, diede un colpo secco fortissimo a un sasso enorme facendolo franare giù insieme ad altri più piccoli. Luffy che si stava arrampicando sulla parete rocciosa in quel momento venne investito in pieno e sentirono le sue urla riempire la vallata.
 
Sophia nonostante sentisse una rabbia enorme dentro di lei verso quel bambino che aveva avuto l’affetto del nonno, una piccola parte di lei si sentì in colpa e guardò Ace dubbiosa.
Forse avevano esagerato un po’.
 
“sopravvivrà tranquilla” decretò Ace guardando Luffy rotolare giù “l’altra volta ce l’ha fatta…è insistente e resistente”
 
Sophia non rispose ad Ace perché in cuor suo sapeva il motivo dell’insistenza del piccolo. Anche lei prima aveva la sua mamma ed era stata poi scaricata al covo da sola. Si desidera la compagnia.
Solo che ora era troppo arrabbiata.



Angolo dell'autrice:

buonasera gente! sperando che nessuno sia stato attaccato dal coronavirus...
intanto ringrazio le persone che seguono la storia e che la commentano sempre <3 i consigli mi sono sempre d'aiuto!
volevo solo dire (se non sono stata chiara io nella storia) che ho rispettato l'età che Oda sensei aveva attribuito ai marmocchi per l'arrivo della nostra scimmietta sorridente: ovvero ora Ace e Sabo hanno dieci anni mentre Luffy sette. per quanto riguarda Sophia invece ha nove anni ora.
e con questo vi saluto bacioniiii
buona quarantena a tutti ! >.<

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI: Family ***


I mesi passarono al monte Corbo, l’inverno arrivò gelido e prepotente, ma nessun tipo di clima fermava Ace e Sophia dall’uscire dal covo per raggiungere Sabo in mezzo alla foresta, come niente fermava Luffy dall’inseguirli ogni giorno.
 
 Dadan ormai si era abituata a quel teatrino di rincorri e fuggi con il più piccolo che inseguiva urlando i due più grandi.
 
 Gli tirava qualche urlo anche lei, poco credibile, poi preoccupata fumava sempre più sigarette, fingendo disinteresse come sempre.
Infondo quando mai si era visto un bandito con istinto materno.
 
Teneva per sé quell’affetto che i suoi due primogeniti (perché sì, lei era la loro cazzutissima madre adottiva, se no chi altro lo era, Garp?!) avevano creato con prepotenza nel suo cuore senza volerlo, e ora anche l’ultimo marmocchio ci stava riuscendo.
 
Non era l’unica però.
Lo leggeva nello sguardo dei suoi uomini che erano diventati dei mollaccioni dal cuore tenero anche loro dopo l’arrivo di quei marmocchi.
 
Come si faceva a non amarli?
 
Ace era forte, coraggioso, sicuro di sé e così premuroso verso Sophia da farla commuovere. La biondina era così dolce, spavalda ed era la più intelligente, probabilmente superava tutti li dentro, li poteva mettere nel sacco a tutti, ma sapeva essere un tipetto davvero tosto.
Luffy era un sole, allegro e tenace, amava senza limiti quei due disgraziati che ancora dovevano accettarlo.
 
 Li guardava dalla finestra sparire dentro al bosco ogni giorno finché non tornavano e nel mentre fumava più sigarette di quante se ne potessero permettere i suoi polmoni.
 
 Chissà cosa combinavano per procurarsi quelle ferite, Luffy tornava sempre malconcio quasi quanto Sophia due anni fa, però di una cosa era certa su quei tre.
 
Prima o poi si sarebbero amati tutti e tre in modo incondizionato come tre veri fratelli.
 
***

Il senso di colpa di Sophia cresceva come un piccolo mostro nel suo petto. Vedere tutti i giorni Luffy che non si stancava mai di inseguirli le ricordava quanto lei stessa avesse desiderato raggiungere Ace due anni fa.
 
Lo stavano facendo soffrire ma lui continuava allegro e determinato gridandogli dietro.
 
Era davvero forte!
Lei stessa non aveva avuto quella forza tutti i giorni tempo addietro, era resistente. Forse era il suo corpo di gomma, ma forse era anche il suo carattere. Sophia gli aveva visto gli occhi: risoluti come quelli di un guerriero inarrestabile.
 
 Ace era sempre più spazientito, però Sophia lo aveva beccato già diverse volte, lo aveva visto fermarsi per controllare con il suo sguardo affilato che Luffy stesse bene. Non lo faceva apposta ad odiarlo così e Sophia lo sapeva, non lo considerava cattivo.
Era il suo passato ad offuscargli il cuore e la vista molte volte. Anzi Sophia ora comprendeva meglio il suo dolore, dopo il tradimento che sentiva da parte del nonno.
Forse per questo non aveva mai insistito con Ace per quanto riguardava il piccolo dal cappello di paglia.
 
Lei però non provava più rabbia per Luffy, sapeva che non era colpa sua dopotutto. La notte spesso, prima di rifugiarsi nel futon di Ace dopo i suoi soliti incubi, tirava su le coperte a Luffy, che aveva il vizio di dormire tutto scomposto e calciare nel sonno.
 
Certo una parte di lei lo invidiava dell’opportunità che aveva avuto. Sentiva il cuore farle male ogni volta che pensava al nonno, e si arrabbiava facendo scoppiare qualsiasi fonte d’acqua accanto a lei.
 
Il malumore di Ace nei confronti di Sophia era scomparso esattamente quel giorno che aveva conosciuto Luffy.
 
Lo avevano da poco lasciato indietro, quando Ace con uno sguardo in tralice le chiese titubante:
 
“davvero mi consideri parte della tua famiglia?”
 
Sophia dimenticò per un istante la rabbia, e lo guardò interdetta. Quel tono di voce non lo usava spesso.
 
“si certo!” confermò con fermezza, incatenandosi allo sguardo d’ossidiana affilato “non l’avevi mai capito?”
 
Lui sgranò gli occhi sorpreso arrossendo lievemente e scosse la testa.
 
“mi dispiace solo che sia molto piccola” mormorò addolorata facendo spallucce “la gente mi odia per quello che sono…”
 
Ace la interruppe sorprendendola.
Le prese la mano e la abbracciò affettuosamente.
Di solito era lei che dimostrava affetto verso di lui, sapeva che il corvino si trovava sempre in difficoltà nell’esprimere i propri sentimenti di qualsiasi tipo fossero.
 
“io ti vorrò sempre bene, non mi importa che tu sia una strega” dichiarò deciso stringendola a sé “e lo farò anche nel caso tu distruggessi il mondo intero”
 
A Sophia sembrò che Ace le avesse appena toccato il cuore con le mani e si sentì quasi mancare l’aria a quelle parole. Sentì qualche lacrima rigarle le guance
 
“me lo prometti?” mormorò appassionata nascondendo il viso nella sua maglietta stringendosi a lui
 
“promesso” confermò dolcemente poi la scostò e guardandola dritto negli occhi aggiunse allegro “ora piagnona dobbiamo raggiungere Sabo se no…”
 
“non sono una piagnona!!” sibilò lei glaciale affilando lo sguardo, e prima che Ace ridesse, un getto d’acqua furioso proveniente dal ruscello vicino a loro lo colpì in piena faccia.
 
***

 
Ormai erano passati quasi tre mesi dall’arrivo di Luffy, ma le cose cambiarono soltanto quando qualcuno venne a visitare i bambini.
 
Durante un pomeriggio con il cielo terso Ace, Sabo e Sophia al Grey Terminal avevano appena finito di sgraffignare un po’ di soldi in giro, e la biondina si prese l’incarico di portare all’albero un grosso bottino mentre gli altri due continuavano a cercare lì intorno.
 
Ace non era molto convinto di lasciarla andare da sola, ma facendosi scappare in modo schietto un:
 
“se dovessi incontrare qualcuno non sei abbastanza forte “aveva generato l’effetto opposto.
 
Sophia stava già tornando trionfante, a petto gonfio, dopo aver svolto le sue mansioni ed era pronta a dirne quattro ad Ace quando tra gli alberi del bosco si imbatte in un enorme e possente figura.
 
Era nonno Garp.
Con la sua camicia rossa hawaiana e la guardava incredulo.
Sophia spalancò gli occhi e strinse i pugni. La rabbia la invase all’improvviso.
 
“Sophia che diavolo ci fai qui?!” sbottò avvicinandosi allegro “spero che tu non sia sola”
 
La biondina in preda a tutti i sentimenti che l’avevano tormentata nei tre mesi precedenti decise istintivamente di scappare via. Non lo voleva vedere. Voleva tornare da Ace.
 
“ehi che ti è preso?! non mi saluti?” esclamò sconvolto il nonno dietro di lei rincorrendola
 
Sophia corse a perdifiato e si stava per trasformare in leopardo per svignarsela più velocemente, ma il nonno riuscì a braccarla in tempo. L’aveva catturata per un braccio e la sollevò per aria come un salame, portandosela al livello degli occhi.
 
“non ti vedo da un sacco di tempo, ti sembra il modo di salutarmi?” la ammonì severo corrugando la fronte
 
Sophia ringraziò il cielo che non ci fosse un fiume vicino se no sarebbe straripato dritto sul nonno dalla collera che sentiva mentre lo guardava con sguardo truce dritto negli occhi.
 
“e a te questo sembra il modo di voler bene a TUA NIPOTE?” strillò impetuosamente con tutto il fiato che aveva in corpo “Oppure visto che sono una strega mi escludi dalla tua famiglia?! Per te nonno cosa significa?!”
 
Garp vacillò spalancando gli occhi e ogni residuo di arrabbiatura sparì via dal suo viso mentre, improvvisamente allarmato, si guardava attorno, voltando la testa ora a destra e ora a sinistra. Infine, il suo sguardo irrequieto tornò a posarsi sulla nipote e la appoggiò di nuovo per terra.
 
 “c-chi ti ha detto quello che sei?” mormorò nervoso scrutandola.
 
“non è importante questo” sbottò lei acida mettendosi le mani sui fianchi “ma so già diverse cose che non mi hai mai detto”
 
Il vecchio marine la guardò sbigottito ma poi con un respiro profondo si sedette davanti a lei con un’espressione grave sul volto, che momentaneamente fece preoccupare la bambina.
 
“Sophia sei mia nipote quanto Luffy” mormorò dolcemente con un sorriso mesto, facendole segno con la mano di sedersi vicino a lui.
 
Sophia sentì un calore caldo al petto quasi calmante dopo quelle parole, ma non volle pensarci voleva chiarire i dubbi che la tormentavano.
Si sedette a gambe incrociate davanti all’immensa figura di suo nonno e lo guardò dritto negli occhi.
 
“Perché allora non mi hai voluta con te?” chiese scorbutica
 
Il marine strinse i pugni e abbassò lo sguardo pieno di un antico dolore.
 
“tua nonna e tua madre mi sono state portate via da questo mondo per quello che erano” rispose con voce rotta e incrinata “Volevo tenerti con me insieme a Luffy, ma ho pensato di proteggerti allontanandoti, avendo visto che Ace non era stato ancora trovato da nessuno”
 
A Sophia sembrò che un enorme peso le venisse tolto dal cuore, il nonno le voleva bene allora, ma improvvisamente si sentì peggio.
 Anche sua nonna era stata uccisa per quello che era come la mamma? La consideravano un mostro…
 
“cos’è successo alla nonna?” chiese inquieta in un sussurro
 
Garp la osservò con uno sguardo penetrante per qualche minuto e poi scrollando le spalle iniziò a raccontare:
 
“Maya era una donna gentile, enigmatica ma sapeva farsi sentire sai con uno come me”
 
 Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un sacchetto di biscotti porgendogliene qualcuno
 
“mi ha detto che era una strega solo dopo che l’ho sposata” dichiarò e poi esplose in una fragorosa risata amara “uno dei giorni più assurdi della mia vita, vedere tutta quell’acqua che le girava attorno e quelle luci…era stupenda per me e l’ho amata comunque come prima se non di più” e puntò un dito dolcemente nel petto della nipote
 
“non raccontava molto sulle sue doti, non voleva mettermi nei casini con il mio lavoro… ma miei ideali di giustizia sono diversi rispetto ad altra gente che lavora con me, l’avrei protetta insieme ad Elisabeth con tutto me stesso sfruttando la mia posizione in marina”
 
Le mise una mano sulla spalla in modo affettuoso, e mormorò:
 
“non avete colpa per nascere con dei poteri simili, se vi comportate come cittadini modello perché temervi ed eliminarvi? Se penso che esistono quelle merde di draghi celesti a sto mondo” le ultime parole quasi le ringhiò spaventando Sophia
 
“in marina solo dal grado di commodoro si viene a conoscenza dell’esistenza delle streghe” continuò a spiegare “gli altri e la gente comune pensano siano solo leggende o storie per spaventare i bambini. Viene fatto giurare di conservare il segreto e viene dato l’incarico di catturarle, nel caso si trovassero, con armi fatte di armalcolite, che è come l’agalmatolite per i possessori di un frutto del diavolo, poiché annulla i vostri poteri”
 
L’immagine di sua madre trafitta da un’asta perlacea le balenò in testa e rabbrividì.
 
“l’asta con cui hanno ucciso la mamma era fatto di armalcolite?” chiese Sophia con voce incrinata
 
“penso di sì” disse gravemente il nonno “il Governo Mondiale tramite la marina da la caccia alle streghe dal secolo buio, ne hanno paura, ma penso ci sia dell’altro sotto”
 
“cosa?!” esclamò Sophia nervosa
 
Garp la squadrò assottigliando gli occhi, forse decidendo se fosse il caso di dare certe informazioni alla nipote, ma poi disse con tono inquieto:
 
“la marina può solo catturarle le streghe, non ucciderle, e non le deve portare ad Impel Down, la prigione di tutti i criminali e le bestie mostruose, ma devono essere consegnate direttamente al Governo Mondiale sulla Red Line…ma non ho mai scoperto che fine gli facessero fare, ma penso sia chiaro…il numero di streghe in circolazione diminuisce sempre di più”
 
La biondina sentì la schiena sudare freddo.
“ma la mamma è stata uccisa dai tizi mascherati del governo, io l’ho visto!” ribatté Sophia addolorata
 
Garp annuì gravemente stringendo gli enormi pugni, che tremavano di rabbia e dolore. La sua espressione era diventata molto cupa.
 
“anche Maya” sussurrò tetro con voce roca “non so perché di loro se ne siano occupati la CP0, non succede mai, almeno per quanto ne so”
 
Dentro la testa di Sophia rimbombò la parola profezia, ma non se la sentì di dirlo al nonno. Non voleva informarlo che avrebbe forse in futuro distrutto qualcosa. Si limitò a stringersi le mani convulsivamente.
 
“la cosa buffa è che Maya lo aveva visto mesi prima che sarebbero venuti a prenderla, ma ha voluto che quel futuro si avverasse per salvare la sua famiglia, per non svelare l’identità di Elisabeth e per altri motivi che non poteva dirmi”
 
Sophia rimase di sasso a quelle parole.
Le parole di sua madre e Katherina, quella volta nel bagno, sembravano quasi avere un senso. Ma non era possibile.
Sophia deglutì nervosamente.
 
“nonno in che senso lo aveva visto prima?” lo interruppe con voce quasi stridula
 
Garp guardò di sbieco la nipote corrugando la fronte perplesso.
 
 “aveva visto il futuro, no?” disse sinceramente “Elisabeth non te ne ha mai parlato?”
 
Il mondo di Sophia parve inclinarsi un attimo.

 Il futuro? Era davvero possibile? Era un potere delle streghe?
Sentiva il cuore battere furiosamente e guardava nel vuoto davanti a sé mentre la sua testa si riempiva di domande.
Quindi le scene che vedeva sua madre erano il futuro? Perché allora non aveva visto che l’avrebbero uccisa, se possedeva una tale abilità. Perché non si era salvata?
 
“strano” mormorò sospettoso Garp osservando la nipote che impallidiva sempre di più “non ti è mai capitato?”
 
Sophia era talmente sbigottita che si limitò a scuotere il capo.
 Ancora non ci credeva. Quindi anche lei poteva fare una cosa così meravigliosa e potente?
 
“va beh prima o poi ci riuscirai, anche tua madre iniziò tardi secondo Maya, ma quando ce la fece mi stava facendo diventare matto! Anticipava tutto quello che facevo!”
 
Sophia, che aveva ancora un’espressione alquanto smarrita, si riscosse un attimo e l’unica domanda che le uscì fu:
 
“ma come ci si riesce?”
 
“non lo so in realtà” ammise con un sorriso facendo spallucce” ma penso che come tutte le cose ci voglia allenamento... so che si vedono scene nella propria mente e possono essere futuri più o meno probabili, dipende da quante volte si ripete quella scena e dalla nitidezza con cui la si vede”
 
Sophia guardò meravigliata il nonno mentre sopra di loro il sole tramontava trasformando il cielo in una distesa di fuoco. 
 
“Comunque, Maya mi chiese di fare solo una cosa…proteggere la mia famiglia” continuò a raccontare Garp osservando l’orizzonte, strizzando gli occhi “solo che né Dragon né Elisabeth la presero bene, ce l’avevano a morte con il Governo Mondiale e anche con me che continuavo ad essere un marine, e non riuscii a mantenere la mia promessa,  quei due matti non me l’hanno permesso” le ultime parole le pronunciò con rabbia, battendosi un pugno nel palmo della mano talmente forte che Sophia trasalì spalancando gli occhi.
 
Garp si calmò scrollando le spalle e respirando profondamente.
 
“almeno Elisabeth fu protetta da Roger al posto mio” ammise sconsolato guardando cupo verso il basso “era in grado di scatenare l’inferno se qualcuno provava a toccarla, l’ho visto un sacco di volte quando mi scontravo con lui. Per questo ho salvato Ace, infondo gli dovevo un favore.”
 
“aspetta un attimo” esclamò Sophia sbalordita scattando in piedi “la mamma era nella nave di Gold D. Roger?”
 
“sì”, confermò sprezzante, poi la guardò di sbieco e aggiunse borbottando sospettoso “mi sa che tua madre non ti raccontava molte cose”
 
Sophia incrociò le braccia al petto risentita.
 
“no, mi diceva che ero troppo piccola per tutte le cose che le chiedevo” sbuffò alzando gli occhi al cielo, poi si sedette e aggiunse sconsolata “però mi aveva raccontato del Re dei pirati molte volte ma non aveva mai specificato che era nella sua ciurma”
 
Il nonno si avvicinò verso di lei con il dito alzato con espressione dura.
 
“tu però non devi seguire il suo esempio” la ammonì fermamente guardandola dritta negli occhi “per questo vi sgrido a voi tre! Dovete togliervi quelle idee sulla pirateria! Se diventerete dei bravi marine quelli del Governo Mondiale forse cambiano idea su di voi e vi lasceranno stare, dovete seguire la giusta via.”
 
Sophia guardò a lungo il nonno. Finalmente lo aveva capito, ma su certe cose non era d’accordo.
Si slanciò verso il vecchio marine e lo abbracciò forte, quest’ultimo quasi si commosse a quel gesto affettuoso pensando di averle fatto finalmente cambiare idea.
 
“scusa se ho dubitato di te nonno, ti voglio molto bene “gli mormorò appassionata mentre lo stringeva “ma io seguirò quello che io stessa riterrò giusto “poi scappò via in un lampo prima che il vecchio marine potesse capire quello che aveva detto.


 ***
 
La notte stava calando in fretta e Sophia stava correndo nel bosco a perdifiato verso l’albero per raggiungere gli altri due.
Sicuramente Ace l’avrebbe fatta fuori nel modo più brutale possibile. Era stata via un sacco di tempo.
 
Ad un certo punto sentì un rumore scricchiolante sopra di lei, alzò la testa di scatto e appena con la coda dell’occhio vide che una figura scura le stava piombando addosso, si trasformò in leopardo ringhiando il più forte possibile e cercò di girarsi per graffiare il suo aggressore.
 
“dove cavolo eri finita?!” sbraitò Ace fuori di sé prendendola in pieno con un calcio mentre Sophia ritirava gli artigli appena si rese conto che era lui
 
Tornò nella sua forma umana ansimando, aveva il cuore che le martellava nel petto dallo spavento. Si ritrovò sdraiata per terra con Ace che si era seduto a cavalcioni su di lei e la guardava con uno sguardo quasi assatanato.
 
 “ti posso spiegare tutto! “si affrettò a dire lei energicamente, alzando le braccia “ero con il nonno l’ho trovato nel bosco e mi ha detto delle cose …” poi si fermò ad osservare Ace perplessa.
 
Era stato picchiato forte, perdeva sangue dalla fronte e aveva un labbro spaccato. I suoi occhi neri però dardeggiavano furiosi.
 
“chi ti ha conciato così?” farfugliò spaventata cercando di alzarsi, ma Ace con uno scatto le piantò il bastone sul petto.
 
“hai la minima idea di quanto ci hai fatto preoccupare?” sillabò lento e minaccioso avvicinandosi con il volto a lei “non ti trovavo più Sophia, non ti azzardare a farlo ancora”
 
Sophia deglutì nervosamente e annuì con il capo. Ace, sempre duro in volto, le tolse il bastone dal petto e la aiutò ad alzarsi da terra.
 
“è successo un enorme casino, ci siamo scontrati con dei pirati del covo” esordì Ace appena avevano iniziato a camminare nel bosco
 
“cosa?!” chiese stupita la biondina mentre cercava di stargli dietro
 
Ace si indicò le ferite sul corpo e continuò a raccontare scrutando il bosco con uno sguardo torvo:
 
“Luffy ci ha beccato all’albero con l’oro fra le mani, lo abbiamo legato per ucciderlo ma non sapevamo come si fa”
 
Sophia sgranò gli occhi. Alla fine, Luffy ci era riuscito a trovare l’albero! Poi si rese conto che non poteva lasciare il piccolo nelle mani di Ace o rischiava di essere fatto fuori.
 
“cosa volevate fare con mio cugino?!” ringhiò arrabbiata, ma il corvino la ignorò e continuò a raccontare.
 
“solo che il tizio che avevamo derubato prima faceva parte dei pirati di Bluejam e ci ha cercato con uno dei suoi compagni. Ci sono arrivati vicinissimo, solo che quello stupido di Luffy si è fatto catturare”
 
Sophia si fermò impietrita. Ace si girò verso di lei e incrociò le braccia sul petto. Si guardarono dritto negli occhi, lei pendeva da quelle due ossidiane nere sperando che non fosse successo nulla di grave.
 
“io e Sabo abbiamo spostato tutto il nostro bottino da un'altra parte pensando che l’idiota avrebbe tirato fuori il sacco…”
 
“non l’ha fatto?!” lo interruppe Sophia strillando, portandosi le mani alla bocca e sentì improvvisamente le ginocchia cederle.
 
“no, ma aspetta” si affrettò a dire Ace prendendola in tempo per le spalle “siamo andati a recuperarlo io e Sabo, sta bene …circa, è un po’ ammaccato, ora è al covo con Sabo”
 
Sophia rimase senza parole, lo guardava a bocca aperta, ma almeno Luffy stava bene. Il suo battito cardiaco però era ancora scosso. L’unica cosa che riuscì a farfugliare fu:

“S-sabo al c-covo?”

Ace la guardò sospettoso, forse temeva che gli potesse cascare per terra, quindi la prese per mano e ricominciò a camminare.

“si d’ora in poi potrebbero cercarci quei pirati e non ha un altro posto sicuro in cui andare” spiegò nervoso, poi la guardò e aggiunse imbarazzato scompigliandosi i capelli con la mano libera “ah e per quanto riguarda Luffy…è ok”

“cosa?” sbottò lei confusa

“può essere nostro amico” bofonchiò lui arrossendo dietro alle lentiggini “non ha detto nulla ai pirati, ha rischiato la vita per diventare nostro amico e poi…vuole che io viva”

Sophia lo guardava basita.
 Si era persa davvero così tanto?!
 Il suo spavento di prima sparì lasciando spazio alla contentezza che Luffy fosse salvo, facendo pure brezza nel cuore del corvino.

“Ace ma certo che lo vuole” esclamò appassionata lei prendendolo per il braccio “non ti sei mai reso conto di come ti guardava ammirato?”

Lui arrossì ancora di più e scosse la testa vigorosamente, i suoi occhi neri la guardavano increduli ma anche timorosi. Si spaventava di più davanti all’affetto che davanti ad un nemico.

“Ai suoi occhi sei quello più grande e forte capace di ogni cosa” continuò lei alzando le braccia in alto “non oso immaginare dopo oggi quanto ti adorerà visto che lo hai salvato”

Sophia si rese conto che erano anche i suoi pensieri e non solo quelli di Luffy, ma se lo tenne per sé. Il corvino abbozzò un sorriso e scrollò le spalle.

“Ace può far parte anche lui della nostra famiglia?” mormorò lei cauta, scoccandogli uno sguardo di sbieco.

“si direi di sì” disse arruffandosi i capelli neri già spettinati, poi si avvicinò a lei con le mani sui fianchi è la canzonò con un sorriso malizioso “ma non eri tu quella che si era arrabbiata con lui alla fine?!”

 
“sì ma io lo avevo già perdonato da un pezzo” ribatté lei alzando gli occhi al cielo “aspettavo solo che lo accettassi tu”

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII: Brothers ***


Era appena passata la mezzanotte quando Dadan si svegliò di soprassalto; e quando vide che fuori dalla finestra era notte inoltrata, le prese un colpo e il suo primo pensiero fu:

“non li ho visti tornare”

Si era addormentata per sbaglio.

 Corse giù dal letto e si precipitò nella sala principale dritta verso la camera di quei quattro delinquenti, ma all’improvviso perse la presa sul terreno, scivolò su qualcosa di viscido, e cadde per terra rumorosamente a gambe all’aria.

Imprecò a bassa voce e rimase di sasso quando vide che tutta la sala era piena zeppa di quattro paia di impronte infangate.

Li avrebbe uccisi con le su mani.

Andò in camera loro furiosa come non mai.
Aveva pulito il pomeriggio prima e quei quattro mocciosi avevano già sporcato, oltre ad essere tornati al covo ad un orario indecente.

 Accese la luce e aveva già la bocca aperta per urlargli addosso quando li trovò profondamenti addormentati nei loro futon.
Dadan a quella vista si sentì sopraffatta.

Che sentimento era? Non lo capiva. Quei quattro bambini le stavano facendo dubitare tutta la sua vita da bandita.

Si avvicinò titubante ad osservarli meglio, sentendosi il cuore pieno di emozioni, dimenticandosi completamente delle loro impronte di fango.
Aveva accettato anche il quarto figlio. Come poteva negare un letto ad un bambino della montagna di rifiuti che aveva una complicità con gli altri indescrivibile. Quei quattro bambini erano più che fratelli, avevano un legame speciale, sembravano avere la stessa anima.

I bambini avevano unito i loro futon per dormire vicino formando un ammasso disordinato di corpi, ma sembravano un piccolo sole.

Il suo sole.

Ace riposava a pancia in giù con il viso a pochi centimetri da quello di Sophia, la quale stava dormendo su un fianco ed era avvinghiata al braccio del lentigginoso. Sabo, orizzontale rispetto agli altri due, appoggiava la testa sulla vita della biondina, stando a pancia in su, russando leggermente a bocca aperta. Luffy era in diagonale, supino, con i piedi da tutt’altra parte. Uno era attorcigliato ai capelli di Sophia e l’altro sull’addome di Sabo. Si ciucciava un dito e aveva la maglietta che gli era salita quasi all’altezza delle ascelle.

Dadan abbozzò un sorriso e lentamente si chinò su di loro coprendoli di nuovo con le coperte, le quali erano finite da tutt’altra parte. Cercò di slegare il piede di Luffy dai lunghissimi capelli biondi; non si voleva svegliare un'altra volta sentendo le strilla della bambina.

Mentre districava i capelli di Sophia, la bambina si girò sull’altro fianco, trascinandosi il braccio di Ace con sé, il quale grugnì nel sonno costringendolo a girarsi a pancia in su. La testa di Sabo scivolò giù dal fianco della biondina e se non ci fosse stata Dadan lì pronta con una mano, avrebbe dato una craniata sul pavimento. Il piede di Luffy invece si allungò seguendo la matassa di capelli biondi.

Sophia poi mormorò nel sonno con voce impastata:

“mamma le trecce”

Dadan rimase impietrita mentre osservava quelle labbra a cuore pronunciare quelle parole.
Sapeva che probabilmente non erano dirette a lei, non era la sua madre biologica, ma un buon 50% era suo. Non si era sentita mai sentita così in vita sua.
Finì di liberare il piede del piccolo e poi uscì dalla camera per pulire il pavimento con un sorriso.

***
“ti sembra bello che ci siano dei segreti tra di noi?! SPUTA IL ROSPO”

Si trovavano al promontorio erboso ed Ace trasudava collera da ogni poro, stava tenendo per la gola Sabo, il quale aveva gli occhi terrorizzati e ansiosi. Anche il più piccolo, nel tentativo di imitare il più grande, cercava di strangolare il biondino malamente.

Sophia, nonostante fosse infastidita anche lei ma molto più calma rispetto al corvino, staccò con la forza Luffy, che era più di intralcio ad Ace, e lo trattene prendendolo in braccio da sotto le ascelle.

La situazione era alquanto complicata, non era mai successa una cosa simile fra di loro e probabilmente mai tra Ace e Sabo. Il bambino dal sorriso bucato gli stava nascondendo qualcosa da quando avevano mangiato la soba in città e avevano incontrato quell’uomo elegante vestito di blu.

“voi sapete tutto di me, ora anche Luffy! Io mi fido di voi e tu dovresti fare lo stesso con noi” fece presente Sophia cercando di utilizzare un tono diplomatico

 Infondo Sabo era gentile e buono non aveva sicuramente motivi loschi dietro al suo silenzio.
Luffy tra le sue braccia annuì arrabbiato stringendo le labbra.

“sputa il rospo dannazione o ti gonfio di botte” sibilò in un ringhio Ace furioso lasciandolo andare con una spinta per terra

“va bene ve lo dico” si arrese Sabo atterrito, guardò verso il basso e dopo qualche istante di silenzio mormorò gravemente “io sono il figlio di un nobile…”

“e quindi?!” esclamarono in coro Ace e Luffy, mentre Sophia spalancò la bocca sorpresa.

Non era possibile!! Allora perché viveva alla montagna di rifiuti?!

“non sono orfano, vi ho mentito” sussurrò Sabo guardandoli di sottecchi con espressione addolorata, e poi iniziò a raccontare tutto il suo vero passato.

Ace e Sophia rimasero di stucco, erano impietriti, l’unico che non comprendeva ancora la situazione fu Luffy che si girò verso di loro con un sorriso innocente ed esclamò allegro:

 “beh ha chiesto scusa, è perdonato no?”

“i-io direi di sì, Ace?” balbettò Sophia incerta scoccando uno sguardo in tralice al corvino, il quale stava scrutando attentamente con occhi duri e imperscrutabili il suo più vecchio amico con le braccia incrociate sul petto.

“so che non è come la vostra situazione, ed è crudele dirlo” si affrettò a dire Sabo sporgendosi verso il lentigginoso “ma io mi sentivo solo con i miei genitori, per questo me sono andato via! Quando ho incontrato te Ace non mi sono più sentito in quel modo!”

Ace sussultò, abbassò lo sguardo per un momento e poi quando tornò a guardarlo i suoi occhi tornarono vispi. Rilassò la postura rigida e mormorò con tono più indulgente:

 “è così allora…”

“Ace! Luffy! Sophy!” gridò appassionato Sabo stringendo i pugni, corse poi verso lo strapiombo erboso e urlò verso il mare “noi prenderemo il mare a tutti i costi! voliamo fuori da questo regno e diventiamo liberi! Io voglio vedere il mondo e scrivere un libro che lo racconti! Se studierò come navigatore allora non soffrirò. Diventeremo anche più forti e poi finalmente saremo dei veri pirati!”

Ace lo guardò sorpreso e poi mostrò un ghigno malandrino. Si avvicinò a lui e disse spavaldo:

“non c’era bisogno che me lo dicessi”

Riempì il petto d’aria e rivolgendosi al mare anche lui gridò impavido:

“io diventerò un pirata e vincerò, non farò altro che vincere finché non avrò la migliore delle reputazioni! Proverò a tutti la mia esistenza, alla faccia di tutti quei bastardi là fuori che non riconoscono la mia esistenza! Diventerò un grande pirata e non scapperò davanti a nessuno! Farò sì che il mondo intero impari il mio nome!”

La biondina lo guardò stupefatta. Non lo aveva mai sentito urlare così felicemente le sue intenzioni. Stava cambiando Ace con l’influenza dei suoi amici.

Sabo lo guardò con un sorriso smagliante, e Sophia ridendo corse verso di loro e spalancando le braccia urlò al mare:

“io diventerò una grande strega e piratessa come mia madre! Dimostrerò al mondo che le streghe non sono dei mostri come credono quelli del Governo, gli farò vedere che possono vivere per fare grandi cose! Dimostrerò che le profezie non si avvereranno, se mi allenerò a vedere il futuro sarò io stessa a scegliermi quello che ritengo giusto!”

“bene anche io!” esclamò il più piccolo mettendosi a posto il cappello e correndo verso di loro.

Si posizionò sul brodo dello strapiombo allineandosi agli altri tre e guardò il mare con un sorriso luminoso.

“IO DIVENTERO’ IL RE DEI PIRATI!!!” strillò con una potenza inaudita, lasciando di stucco gli altri tre “avrò una ciurma fortissima come quella di Shanks, un musicista e un enorme statua virile nella mia nave!”

La mascella di Ace per poco non cadde, Sophia lo guardava incredula e poi scoppiò a ridere.

“Luffy mi fai morire” ridacchiò Sabo tenendosi la pancia

Anche Ace, sotto lo sguardo sorpreso di Sophia, iniziò a ridere di cuore.

“però aspetta anche io voglio diventare capitano” si riprese Ace dalla ridarella, puntando il dito contro Luffy.

“anche io” ammise Sabo sovrappensiero “mi sa che è un problema se tutti lo vogliamo essere”

“io non lo desidero” dichiarò Sophia facendo spallucce “infondo non lo era neanche la mia mamma”

“bene allora sarai tu il mio navigatore” disse Ace con fermezza mettendole una mano sul petto per metterla da parte, dietro di lui, poi aggiunse “Sabo però volevo te per quel posto nella mia ciurma, lei doveva attaccare spruzzando acqua ai nemici”

“io non spruzzerò solo acqua” esclamò indignata Sophia spingendo Ace “e te lo dimostrerò!! Diventerò un capitano anche io e ti supererò!”

“no dovete venire tutti da me!!” si lamentò Luffy arrabbiato stringendo i pugni

“va beh ci penseremo in futuro” disse Sabo in tono diplomatico cercando di separarli.
 
***
 
“ma che stai facendo a quest’ora?! È l’alba!”

Ace si stava arrampicando con estrema agilità sulle credenze della vecchia cucina di legno del covo cercando di aprire uno sportello, quando la bambina con tutti i capelli spettinati dal sonno lo raggiunse scalza sulla soglia della porta.

“shhh Sophia!” sussurrò il corvino voltandosi di scatto, preso alla sprovvista, rischiando di cadere “perché ti sei alzata?”

“mi hai spostata quando ti sei alzato” ribatté lei sbadigliando, tenendo gli occhi mezzi chiusi “comunque te l’ho fatta io la domanda”

Ace riuscì finalmente a prendere quello che gli serviva e scese con un solo balzo facendo attenzione a non rompere il prezioso oggetto fra le mani. Guardò Sophia, che si era avvicinata lui, sembrava stesse dormendo da in piedi.
Le rivolse un sorriso beffardo e le fece notare in tono scherzoso:

“ci credo mi stavi attaccata come una piovra”

Lei fece spallucce in modo innocente, posò lo sguardo sull’oggetto fra le sue mani e lo guardò dubbiosa.

“perché rubi una bottiglia di sakè a Dadan?” chiese sospettosa inarcando le sopracciglia.

“è una sorpresa” dichiarò Ace gonfiandosi il petto orgoglioso.

Sophia assottigliò lo sguardo minacciosa incrociandosi le braccia al petto.
Il corvino buttò fuori l’aria sconsolato alzando gli occhi al cielo.

“certo che non sai aspettare” la rimbeccò tirandole un cricco sul naso.

Sophia stava per urlare indispettita, ma Ace con la mano libera fu più veloce e le tappo la bocca.

 “ho scoperto in città che se gli uomini condividono del sakè diventano fratelli” le rivelò entusiasta scoccandole uno sguardo penetrante, avvicinandosi a lei.

Lo sguardo prima corrucciato di Sophia si aprì in stupore, ed Ace sorrise togliendole la mano dalla bocca.

“fratelli?” sussurrò meravigliata

“così se non saremo insieme in futuro, noi quattro saremo sempre legati da una cosa che non si potrà mai distruggere” le spiegò lui con tono deciso.

Sophia strinse le labbra e stava per ribattere su qualcosa quando dalla camera vicino sentirono dei rumori.
Dadan si stava alzando.

I due bambini si guardarono allarmati spalancando gli occhi. Ace trascinò via Sophia di corsa tenendola con la mano libera, e si diressero nella loro camera.

“intanto nascondiamola mentre facciamo colazione “mormorò ansimando Ace chiudendo la porta e porgendo la bottiglia a Sophia “Dadan non se ne deve accorgere”

Lei saltò con un balzo Sabo e Luffy che stavano ancora dormendo, e aprì  lentamente l’asse del pavimento in cui nascondeva le sue cose.
Ace ascoltò appoggiando l’orecchio sulla porta, per verificare se la bandita li avesse seguiti e poi scavalcò l’intreccio di corpi di quei due per raggiungere la biondina, chiedendosi come potevano dormire in quel modo.

Sabo era supino, sembrava una stella marina e russava forte con Luffy sopra alla sua pancia, il quale era avvitato su sé stesso. Un piede del piccolo era pericolosamente vicino alla faccia di Sabo.

 “qui è al sicuro” dichiarò Sophia togliendo le cose presenti sotto l’asse “tieni questo, la mettiamo in basso” e gli porse il famoso giornale che la bambina due anni prima leggeva sempre.

Ace non lo aveva mai visto, e rimase di stucco quando vide nella prima pagina una foto abbastanza grande di una donna molto bella identica a Sophia che lo guardava con uno sguardo enigmatico e penetrante. Avevano gli stessi occhi azzurri brillanti e la stessa bocca a cuore. I capelli lunghi erano però di un bianco candido e la pelle era talmente abbronzata da sembrare mulatta, diversamente dalla figlia che aveva una carnagione chiara e calda. Portava pure lo stesso ciondolo azzurro, ma poi notò che sembravano solo uguali, in realtà le catenine avevano colori diversi.

“è lei tua madre?” chiese in sussurro sorpreso

“oh sì” rispose lei distrattamente mentre riponeva la bottiglia in basso

“wow siete identiche, sei carina come lei” si fece sfuggire Ace in un sussurro

Sophia per poco non ruppe la bottiglia di sakè. Le sue guance diventarono violette e farfugliò confusa:

 “mi trovi carina?”

Ace che si rese conto dopo di quello che aveva detto, iniziò a diventare bordò guardandola negli occhi, non sapendo cosa dire.
Fu salvato da Luffy che nel sonno diede un calcio in faccia a Sabo.

“ahia Luffy!” gridò furioso Sabo alzandosi di botto, poi si girò verso di loro e chiese sospettoso “che fate li accovacciati?”

Ace colse l’occasione al volo e scattò in piedi verso la porta.

“sbrigatevi a prepararvi che oggi sarà una giornata speciale” e fuggì fuori.

Quella stessa mattina i bambini diventarono fratelli e lo sarebbero stati per sempre.

***

Nei giorni seguenti i quattro fratelli, con l’obiettivo comune di diventare dei pirati, si allenarono e rubavano intensamente. Pure la sera continuavano a combattere con i cuscini, facendo vedere i sorci verdi a Dadan che non riusciva a prendere sonno con tutti quei tonfi nel pavimento di legno.

Durante una giornata primaverile vennero al covo Makino e il sindaco del villaggio di Luffy per salutare il piccolo, il quale li trascinò felice per le braccia per presentargli i suoi fratelloni e la sua sorellona. Makino era quasi commossa nel vedere l’orgoglio e la felicità di Luffy di avere degli amici così speciali da considerare famiglia. Non vennero solo una volta, ma le loro visite diventarono settimanali.

Non dissero mai, Makino e il sindaco, che erano preoccupati della decisione di Garp di aver affidato suo nipote a dei banditi, quindi volevano controllare assiduamente che stesse bene. Anche se con loro sorpresa trovarono altri tre bambini a cui si affezionarono subito come con Luffy.

I banditi accettavano molto volentieri la loro presenza sia perché con loro portavano molte pietanze del bar di Makino e sia perché portavano molti vestiti ai bambini, visto che li distruggevano spesso a causa di quello che combinavano tutti i giorni.
Sophia rimase stupita dei vestiti carini che le aveva regalato Makino, essendo abituata ad abiti molto larghi procurati da Dogura e Magura.

La biondina stava roteando con un vestitino verde acqua, stretto in vita con un nastrino, con le maniche a palloncino quando corse da Ace e Sabo che stavano provando delle canotte colorate, e cinguettò:

“Ace lo trovi carino?”

Il corvino guardandola avvampò talmente tanto dietro alle lentiggini che Sabo scoppio a ridere.

“ti piace!!!” ridacchiò stringendosi la pancia con le braccia, ma dopo pochi istanti Ace lo colpì talmente forte da fargli venire un grande bernoccolo in testa e Sabo ebbe altro per la mente.

“è da femminuccia” si affrettò a dire Ace impacciato, ancora rosso in volto “noi diventeremo dei pirati, però…”

“ma non ci si può piacere tra fratelli e sorelle” lo interruppe Luffy serio mentre si scaccolava il naso un dito.

Sophia non rimase a vedere il cugino che veniva pestato di botte dal lentigginoso, corse di fretta da Makino a chiedere anche lei canotta e pantaloncini come i suoi fratelli.

L’unica cosa che Dadan non tollerava era che il sindaco ogni volta faceva notare alla bandita che Sophia assomigliava moltissimo a Elisabeth la Regina dei Mari. La indicava da lontano con il bastone ed esordiva sempre con:

“Quella bambina assomiglia in modo spaventoso alla figlia di Garp, sa io l’ho conosciuta che aveva circa questa età… di chi ha detto che è figlia?”

“oh la figlia di mia cugina” rispondeva burbera Dadan scoccandogli un’occhiata in tralice “sa è venuta a mancare e il peso è toccato a me”

Aveva ordini precisi da parte di Garp: non doveva dire a nessuno la vera identità di quella bambina. Non sapeva bene i motivi ma lo avrebbe fatto se riguardava la sicurezza di Sophia. Come non avrebbe mai detto di Ace, anche perché se no si sarebbe trovata tutta la Marina fuori dalla porta.

I bambini presto misero a prova il povero cuore di Dadan.
Un giorno trovò un biglietto nella loro camera svuotata con la scrittura ordinata di Sophia.

“andiamo a vivere da soli”

Dadan aveva mandato tutti i suoi uomini a cercarli nella foresta in quel giorno piovoso.

I fratelli volevano mettersi alla prova e diventando più indipendenti, visto che sarebbero diventati pirati. Avevano costruito una casa di legno su un albero in mezzo alla foresta, utilizzando i materiali che avevano trovato alla montagna di rifiuti e le istruzioni di Sophia, la quale aveva rubato un libro appositamente per quello.

La biondina si occupò della costruzione insieme ad Ace, anche se la maggior parte delle volte lo guardava sgobbare. A Sabo toccò costruire trappole tutt’attorno alla casa mentre Luffy aveva lavorato come un asinello trasportando i loro averi da un posto all’altro.

Finito il loro lavoro, issarono sulla casa una bandiera nera da pirati, con la scritta “ASL” e sullo sfondo le due ossa incrociate, simbolo dei pirati. La “S” era stata scritta con una croce sopra per indicare i due nomi di Sabo e Sophia.

Quando una sera i banditi li trovarono, non li portarono indietro. Sembravano così felici insieme, in più loro avrebbero dormito meglio al covo. Si limitarono ad osservarli da lontano e ad ascoltare ogni sera rapiti la voce della bambina.

Sophia aveva preso l’abitudine, prima di andare a letto, di leggere storie dei suoi libri per Luffy; però alla fine attorno a lei si unirono, muniti di cuscini, anche Ace e Sabo che ascoltavano meravigliati quelle storie di avventure e misteri.
Sognavano ad occhi aperti, recitavano storie e immaginavano di navigare fino ai confini del mondo insieme.

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII: un futuro doloroso ***


“allora Luffy hai perso 50 volte contro ciascuno di noi; Ace e io siamo a 26 a 24 mentre Ace e Sophia sono a 34 a 16 infine io e Sophia siamo a 32 a 18…accidentiii! Ace mi hai battuto ancora!!”

Sabo finì di segnare con un gessetto il loro tabellone di legno relativo agli allenamenti, quando il più piccolo strillò arrabbiato:

“quando avrò 11 anni come te ti prenderò a calci nel sedere fino alla luna!” e puntò il pugno contro il corvino.
Ace lo zittì con una bastonata sul capo con un ghigno beffardo sotto le lentiggini.

“per allora io avrò compiuto 14 anni” gli fece notare, poi aggiunse voltandosi verso il ruscello “Sophia tu hai finito?”
Anche gli altri due si girarono e rimasero esterrefatti.

Sophia era immersa nel ruscello fino alle ginocchia sopra ad un sasso, la sua pelle era ricoperta di impronte luminose che le danzavano su tutto il corpo e teneva le braccia a mezz’aria come se fosse in equilibrio su un filo immaginario.
Due spirali enormi d’acqua le giravano attorno lentamente al ritmo delle mani che roteavano gentilmente nell’aria. Sembrava molto concentrata, teneva la fronte corrugata e gli occhi chiusi.

La biondina sentiva l’energia dell’acqua, la sentiva fluire e scorrere in lei, la manipolava con i movimenti del corpo; anche se la parte delle gambe immerse le sentiva come distaccate dal suo corpo, molto più deboli, come se fossero molto meno recettive verso quell’energia immensa e prepotente.

Cercava di mantenere quella concentrazione al massimo con la mente libera da ogni pensiero, quando all’improvviso un’immagine nitida esplose nella sua testa.

Il Grey Terminal stava bruciando.

 Le fiamme erano alte nel cielo notturno, la gente strillava. La scena cambiò all’improvviso, era meno nitida, c’erano loro quattro alla montagna di rifiuti, li accerchiavano dei pirati e dei tizi mascherati capeggiati da un signore nobile vestito di blu che riconobbe come il papà di Sabo. Ace cercò di attaccare uno dei pirati armati ma venne ferito al fianco. Sabo invece si allontanava con il padre.

La sua testa era sul punto di scoppiare, le sue energie erano al minimo e l’ultima cosa che fece prima di svenire fu di urlare disperata:
 
“NO SABO!”

***

 
Ace la stava guardando meravigliato, quando all’improvviso le spirali d’acqua iniziarono a muoversi più velocemente e furiose, le mani di Sophia avevano smesso di muoversi e andarono verso le tempie.

Qualcosa non andava, dalla sua espressione sembrava stesse soffrendo.

Le impronte erano diventate molto più luminose, le spirali diventarono sempre più grosse, sembrava circondata da un bozzolo d’acqua che le vorticava velocemente attorno.
Ace preoccupato si tuffò verso di lei, seguito da Sabo, e si maledì di non essere immediatamente corso da lei quando le vide le ginocchia cederle.

Si stava stringendo le tempie, a occhi chiusi, come se avesse un mal di testa dolorosissimo e poi urlò con tutta sé stessa:

“NO SABO!” e in quell’istante il bozzolo d’acqua esplose con una gran forza, ed Ace e Sabo vennero travolti dall’acqua.

Il corvino annaspò in acqua ma dandosi una spinta su un masso uscì con la testa dal ruscello sputando tutta l’acqua che aveva ingoiato. L’acqua sembrava in preda a correnti fortissimi dopo l’esplosione di quel bozzolo.

“ti prendo io Sophia!” gridò grintoso Luffy mentre stava rincorrendo sull’argine la figura svenuta di Sophia che veniva trascinata dalle correnti del ruscello.

Allungò il braccio verso il centro del ruscello, ma sbagliò mira.

“Sabo” gridò Ace di fretta, voltandosi verso il muschio di capelli biondi appena apparso di fianco a lui “vai dalla parte dell’argine di Luffy, e quando si allungherà di nuovo prendigli il braccio e lancialo verso di me, io prendo Sophia”

Il biondino annuì, e nuotò più veloce che poté come Ace, il quale raggiunse in fretta Sophia la agguantò per la vita e cercò di tirarle fuori la testa dall’acqua. Teneva gli occhi chiusi, ancora con un’espressione sofferente e dal naso perdeva sangue.

“ACE!!” gridò Sabo lanciandogli il braccio allungato di Luffy.

Il corvino lo prese al volo e se lo legò attorno a sé e a Sophia, mentre Sabo dandosi una spinta su un sasso cercò anche lui di aggrapparsi al braccio teso di Luffy, il quale nonostante i piedi piantati nel terreno si stava avvicinando pericolosamente al bordo, rischiando di cadere anche lui.

“LUFFY!” sbraitò Ace infervorato, cercando di non bere l’acqua “se ti azzardi a ruzzolare giù, ti riempio di botte dopo averti salvato! TIRACI SU!”

Il piccolo strinse le labbra e poi urlò grintoso verso il cielo, cercando di tirare su i suoi fratelli usando tutta la sua forza, e quando finalmente ci riuscì si buttò a terra esausto ansimando.

Sfiniti e bagnati si tirarono su, Ace girò sulla pancia Sophia e iniziò a spingerle sul petto ritmicamente per farle uscire l’acqua bevuta. Sabo la guardava con un’espressione timorosa ed era anche vistosamente impallidito, sembrava pietrificato da quando era uscito dal ruscello.

Sophia ancora non si riprendeva.
Ace, preso dall’ansia con il cuore che batteva all’impazzata, mise da parte la vergogna, si gettò su di lei premendo le sue labbra su quelle a cuore della biondina e soffiò forte. Nel farlo il corvino sentì una stretta calda al petto piacevole.

Era a pochi centimetri dal suo viso, i suoi capelli corvini bagnati ricadevano sulla fronte di Sophia quando gli occhi azzurri di lei si aprirono lentamente. Lui si irrigidì nel vedere i suoi occhi così vicini e si allontanò dal suo viso, sentendo le guance avvampare.

“grazie” farfugliò lei grata con un mezzo sorriso

Sabo si avvicinò subito a lei e si affrettò a chiedere nervoso:

“Cosa hai visto?”

Il corvino lo guardò dubbioso, e notò che era davvero pallido e nervoso. Poi capì.

Sophia aveva davvero visto il futuro?

Si girò di scatto verso di lei, e la trovò con gli occhi lucidi che fissava Sabo sconvolta e spaventata.

Luffy in quel momento le corse da dietro e la abbracciò.

“stai bene?!” le chiese preoccupato prendendole poi la faccia con le mani

“si grazie” rispose Sophia con un sorriso tirato e abbracciò il piccolo.

“hai davvero visto?” le chiese Ace stupito, e lei guardandolo con occhi pieni di terrore annuì piano con la testa.

“perché hai detto il mio nome?” la incalzò nervoso Sabo sempre più pallido “cosa mi capiterà?!”

Sophia gemette e poi iniziò a raccontare le due scene che aveva visto.

Ace era sconvolto, non poteva davvero succedere una cosa del genere. Sabo non li avrebbe mai lasciati e poi chi mai avrebbe potuto bruciare tutto il Grey Terminal?

“non lo permetteremo mai!” esclamò irato battendo un pugno sul terreno “nessuno può toccare i miei fratelli!”

“esatto!” strillò infervorato Luffy copiando il maggiore

“Sabo ascoltami” disse Sophia con fermezza, prendendo il viso del bambino tra le mani “cambieremo il futuro, mi sto allenando per questo!”

Sabo la guardò e le sorrise mesto.

“basta che ogni volta non finiamo a doverti recuperare svenuta in acqua” sibilò Ace acido, guardando torvo le mani di Sophia.

“a me pare che ti sia piaciuto” commentò Sabo facendogli l’occhiolino, ritrovando il sorriso grazie ai suoi fratelli.

***
 
 
Sabo era inorridito dalla scena davanti a sé.

I suoi fratelli erano davanti a lui ed erano stati pestati di botte da quei pirati armati e dalle guardie della città.

 Ace aveva un taglio profondo sulla fronte, provocato da una spada. Luffy era stato picchiato pesantemente ed esibiva un occhio pesto e il labbro spaccato.
Sophia era in forma di leopardo di neve, ma esibiva un fianco ferito, e il suo pelo candido maculato era sporco di sangue. Aveva provato a difendere con gli artigli Ace da quel colpo che lei stessa aveva visto tre giorni prima, ma sembrava che tutto stesse andando secondo la sua visione.

 Quando vide suo padre pulirsi la faccia dal sangue di Ace che gli era schizzato in faccia, l’uomo pensava solo a disinfettarsi ignorando i bambini feriti ai suoi piedi. Per lui erano “feccia”.

Lui non era cosi.

 Come poteva essere figlio suo. Non si assomigliavano in niente. Lui doveva la sua felicità a quei bambini insanguinati davanti a lui che gli avevano dimostrato cos’era la libertà e quali erano le cose importanti.

“per favore, fermatevi!” gridava disperato cercando di liberarsi dalla morsa di un pirata di Bluejam che lo tratteneva “non mi hanno istigato, ho lasciato la casa di mia iniziativa!”

Suo padre non lo degnò di uno sguardo e si diresse verso il pirata Bluejam, che era vicino a lui, e mormorò mentre si portava un fazzoletto al naso per non sentire il “fetore”:

“occupatevi voi del resto pirati”

Bluejam sorrise compiaciuto e malevolo

“abbiamo già avuto la ricompensa” disse strascicando le parole, e poi aggiunse toccandosi la lunga lama appesa al fianco “ci prenderemo “cura” noi di loro. Non si avvicineranno più al padroncino”

Sabo perse un battito, sgranò gli occhi sentendosi il sangue ghiacciare.

“basta!!!” si affrettò a dire strillando con tutto il fiato che aveva, guardò suo padre implorante “ho capito padre…farò qualsiasi cosa tu mi dica seguendo i tuoi ordini…quindi non fare male a quei tre, sono i miei preziosi fratelli”

I tre fratelli rimasero interdetti, era l’ultima cosa che si sarebbero aspettati. Sophia si trasformò in umana e cadde per terra mostrando il taglio profondo che le percorreva lungo fianco, sorprendendo tutti gli adulti presenti che esclamarono:

“ma è una bambina!”

“Sabo!!! Fermati!” strillò lei disperata con le lacrime agli occhi

Ace corse da lei a fatica per coprirla e difenderla, trascinando con sé Luffy che piagnucolava:

“non andare via S-sabooo!”

Sabo guardava i suoi fratelli con il cuore straziato, li amava più di qualsiasi cosa. Non poteva essere egoista con loro, si sarebbe sacrificato per salvarli.

Ace lo guardava con gli occhi tormentati e gridò con voce rotta e furiosa:

“non dovevamo ottenere la nostra libertà insieme?! Vuoi davvero che finisca tutto qui?!”

Sabo però si voltò con le lacrime agli occhi incamminandosi verso la strada con suo padre, ripetendosi che lo faceva per loro. Le uniche persone a cui teneva dovevano vivere a qualsiasi costo.
 
Mentre andava via in cuor suo sperò che Sophia non si abbattesse per la questione di cambiare il futuro, perché tutto andava cambiato in quel paese.

***

 
“secondo te Sabo sta bene?”

Sophia faceva quella domanda ad Ace ogni volta che lo vedeva. Lei era costretta nel letto da qualche giorno al covo.

Ace l’aveva portata di peso lì per farla curare da Magura e Dogura e anche perché, quando Sabo se ne era andato lasciandoli soli con i pirati, avevano accettato di lavorare per Bluejam per evitare che gli tagliassero la gola.
Ace era stato categorico con lei, non avrebbe lavorato con lui e Luffy, sia perché faceva fatica a camminare sia perché avevano visto la sua vera identità e lei si doveva nascondere per sicurezza.

“chissà cosa sta facendo ora” sospirò Luffy avvilito stringendosi a Sophia

Ace stava controllando le ferite della bambina e sospirò concentrato su quella linea rossa incrostata. Non avrebbe dovuto permetterle di farlo, si era messa in mezzo ad un colpo indirizzato a lui. Non l’aveva protetta e sentiva una gran rabbia ogni volta che ci pensava.

Si sdraiò di fianco a lei e li rimproverò:

“zitti e dormite! Abbiamo promesso di non pensarci per un po’ ”  si girò sul fianco verso gli altri due e aggiunse mormorando gravemente “potrebbe essere un bene per lui…”

Sophia voltò il viso verso di lui, aveva gli occhi lucidi e si stava mordendo il labbro. Luffy, abbracciato a lei, si era già addormentato di colpo.

“e se non lo fosse?” ribatté addolorata accarezzando con una mano i capelli spettinati del piccolo.

“lo hai sentito anche tu quel giorno Bluejam nel suo covo quando ci ha offerto la proposta “le rispose con voce roca, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi lucidi “ha detto che lo dobbiamo dimenticare per il suo bene, magari è davvero più felice così, infondo è andato lui di sua spontanea iniziativa…”

Sophia gli prese la mano con forza e lui si girò verso di lei; i suoi occhi erano tormentati.

“e tu ci credi?” lo interruppe impulsivamente corrugando la fronte.

Si guardarono dritti negli occhi per un istante interminabile e poi lui esordì sospirando:

“per ora aspettiamo e vediamo cosa succede, Sabo è forte…se non gli piace dove sta, vedrai che allora tornerà da noi”

Sophia parve calmarsi a quelle parole.

“mmmh ok” sussurrò debolmente “Ace?”

“dimmi”

“il fuoco ancora non c’è stato al Grey terminal” disse ansiosa giocando con la mano del corvino.
 
“Lo so” rispose Ace cercando di sembrale sicuro “ci sbrigheremo con quel lavoro”

Sophia dopo poco si addormentò tenendolo ancora per mano, ma Ace non ci riuscì quella notte poiché era tormentato, pensava solo alle fiamme e a Sabo.

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Capitolo 19
*** Capitolo XIX: Acqua e Fuoco ***


Sophia si stava annoiando a morte senza i suoi fratelli, e mentre li aspettava ammazzava il tempo seduta su una sedia a leggere un libro.

Il sole stava calando e ancora non stavano tornando.

Perché questa volta ci stavano mettendo così tanto? Stava incominciando a preoccuparsi.

Dadan dalla finestra della cucina scrutava l’oscurità fuori con espressione corrucciata, tre sigarette in bocca e intanto si versava da bere. Mentre il liquido scendeva nel bicchiere, una strana luce fuori dalla finestra catturò la sua attenzione.

“che diavolo è quella luce rossa…” esclamò con voce strozzata facendo cadere il bicchiere di vetro con un gran fragore.

Sophia sentì un battito mancarle davanti alla reazione di Dadan, e sapendo già con suo profondo orrore cosa potesse essere, scattò fuori dalla porta a vedere con i suoi occhi.

Il cielo blu della notte appena calata era diventato luminoso, risplendeva in modo anormale di rosso sangue e arancio dietro la foresta. Gli uccelli scappavano a stormi nel cielo e zaffate di calore stavano provenendo da quella parte. Urla di uomini in lontananza avevano incominciato a riempire il silenzio notturno.

“ma è nella città?” chiesero i banditi ansiosi dietro di lei

“no è più vicino, è al Grey terminal!” rispose Dogura nervoso.

Sophia si sentì morire dentro. Vacillò mentre guardava le fiamme alzarsi nel cielo.

L’incendio che aveva visto era davanti a lei e stava bruciando l’intera montagna di rifiuti.

Ace e Luffy erano ancora là a lavorare per Bluejam.

Sophia sentì i banditi urlare sconvolti ma non ci badò e non le importò neanche quando le gridarono dietro nel momento in cui si trasformò in leopardo. Sentì uno strappo al fianco doloroso, e corse con la sua massima velocità verso l’incendio.

Non sentiva neanche il dolore della ferita, nonostante le stesse tirando di continuo, l’adrenalina le stava dando tutta l’energia possibile. Filava tra gli alberi a grandi falcate, ma desiderava essere già un leopardo adulto ben sviluppato per poter andare più veloce.

Superò in poco tempo la foresta con quella velocità e si arrestò quando si ritrovò di fronte il muro di fuoco. Le urla delle persone erano strazianti. Stavano morendo tutte le persone della montagna di rifiuti.

 Era troppo grande da superare quel fuoco, doveva trovare un varco in cui poter passare.
Costeggiò le fiamme di gran corsa ignorando le zaffate di calore che le bruciavano il muso, correvae saltava ma arrivò al capolinea: la costa.

Non c’era una via d’entrata. Il fuoco circondava tutta l montagna di rifiuti.

Il suo cuore martellava nel petto, doveva trovare una soluzione.
Doveva spegnerlo lei il fuoco era l’unica soluzione.

Ritornò umana e si guardò attorno frenetica. Perfetto non c’era nessuno. Si avvicinò il più possibile all’acqua, chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi.

Appena sentì l’energia, alzò un bracciò e lo roteò come se dovesse lanciare una palla verso il muro di fuoco. Un getto d’acqua, con il diametro di un tronco d’albero, si alzò dal mare e si diresse verso il fuoco, ma non fu abbastanza da creare un varco.

Dopo tre tentativi uguali, la disperazione iniziò impossessarsi di lei, quando una voce profonda dietro di lei parlò:

 “devi aumentare la potenza”

Sophia sobbalzò dallo spavento, trasformò le mani in zampe dotate di artigli e si accucciò in posizione d’attacco. Qualche impronta luminosa era rimasta sulle sue braccia dove non c’era il pelo da leopardo.

A qualche metro da lei c’era un uomo molto alto dalle larghe spalle, avvolto in un mantello verde scuro che la osservava. Sotto il cappuccio intravide un viso stranamente familiare anche se Sophia era certo di non averlo mai visto. Aveva uno strano tatuaggio rosso su tutta la parte sinistra del viso, gli occhi infossati che la scrutavano attentamente erano castani e la cosa che la bambina trovò inquietante era che quell’uomo non aveva le sopracciglia.

Si avvicinò lentamente a lei e quando furono abbastanza vicini lui le mostrò un sorriso beffardo. Sophia non sapeva perché non attaccava, cercava in ogni modo di capire perché le sembrava familiare e non minaccioso. Sembrava sapere qualcosa sulle streghe, visto quello che aveva detto.

“chi sei?” ringhiò lei sospettosa.

 “per ora non è importante, ma sto dalla tua parte, patteggio con le streghe” rispose lui con fermezza, e Sophia sobbalzò dallo stupore.

Lo guardava a occhi sgranati. Conosceva le streghe!

L’uomo si chinò per mettersi al suo stesso livello degli occhi e la bambina rimase rapita da quello strano tatuaggio nel suo volto.

“La somiglianza è incredibile” mormorò con tono leggermente meravigliato mentre la fissava in viso.

Sophia trasalì. Quell’uomo forse conosceva sua madre. Stava per aprire bocca per chiederglielo ma lui la interruppe con tono serio:

“non abbiamo tempo”

Le cinse con un braccio le spalle e la girò verso le fiamme.

“ora per spegnere il fuoco devi espandere i tuoi sensi, cerca l’energia del mare” le spiegò serio e deciso, la mano sulla sua spalla aveva una presa salda e sicura “concentrati e libera la mente”

Sophia non sapeva perché si stava fidando di quell’uomo, non sapeva chi fosse, ma fu il suo sesto senso forse ad obbedire alle sue parole e a farle chiudere gli occhi. Si concentrò e sentì un’energia tempestosa dietro di lei.
Dalle palpebre scure intravide le sue impronte illuminarsi.

“perfetto” disse con voce calma e profonda “allarga i tuoi orizzonti, cerca fin dove la senti e assorbila dentro di te”

“come?” chiese in sussurro Sophia senza perdere la concentrazione

“le tue impronte la assorbiranno, si connettono con essa” le spiegò sereno “sono loro che ti fanno percepire l’energia del mare, la sua ambizione”

Sophia inspirò profondamente, e cercò di concentrarsi sul mare dietro di lei. Lo percepiva, la sua energia nelle onde che sbattevano furiose negli scogli e sullo scafo di una barca che si stava avvicinando alla costa. Lo sentiva, cercava di passare da onda ad onda allargando la sua visuale di quell’energia.

Sentì dei brividi nel corpo, una forza impetuosa si impossessò di lei e le fece spalancare gli occhi. Le sue impronte erano più luminose che mai.

“bene” disse concitato l’uomo accanto a lei osservando il mare dietro di loro “ora sprigiona quell’energia accumulata dentro di te, comandala con il corpo e la mente, ti ascolterà”

Sophia cercò di alzare le braccia con i palmi rivolti verso l’alto, ma le sentì pesantissime come se stesse sollevando un macigno.

Udì dei passi arrivare dietro di lei, ma era troppo concentrata. Si fidava di quell’uomo, l’avrebbe difesa lui se era qualcuno pericoloso.

“ehi Dvag…” disse una voce roca e forte da uomo dietro di loro “aspetta un attimo! ma che sta succedendo al mave? Oddio ma è una stvegaaa quella bambina!”

“concentrati ce la stai facendo” la incitò l’uomo accanto a sé, ignorando il signore dietro di loro.

Sophia usò tutta la sua forza per alzare le braccia verso l’alto e gridò per mentre si sforzava.

Quando ci riuscì sentì un grande rumore scrosciante dietro di lei, un’onda alta almeno dieci si alzò alla loro destra e si schiantò con un gran fragore sulla terra spegnendo il fuoco in un tratto, creando un’apertura. Un’improvvisa stanchezza la travolse, la forza che sentiva prima era sparita di botto.

Delle voci dall’altra parte del muro di fuoco urlarono, e qualche persona iniziò ad uscire dal varco. Erano tutti mezzi ustionati.

 “sei forte come tua madre!” si congratulò l’uomo guardandola con un sorriso beffardo, dandole una pacca affettuosa sulla spalla.

Sophia ansimava dallo sforzo, si sentiva distrutta e il fianco con la ferita le pungeva. Non credeva a quello che aveva fatto, ma l’ansia si rimpossessò di lei quando vide uno sciame di persone della montagna di rifiuti uscire disperate. Erano a centinaia.

Doveva cercare Ace e Luffy.

Si voltò verso l’uomo che stava studiando attentamente il suo ciondolo al collo fra le mani. Aveva un’espressione indecifrabile sul volto.
 Quando si era avvicinato così tanto?! Era silenziosissimo.

"che sia viva..." mormorò sovrappensiero l'uomo, rigirandosi il ciondolo tra le mani.

Sophia non aveva tempo ora per quelle cose, doveva sbrigarsi.

“vorrei parlare con lei ma devo salvare i miei fratelli, GRAZIE!!” si affrettò a dire Sophia ansiosa, e si allontanò iniziando a correre come una matta.

 
“fratelli?” lo sentì urlare dietro di lei, ma lei si era già trasformata in leopardo e si dirigeva verso il varco per entrare nel fuoco.

***


 
Sophia correva e saltava come una furia tra le fiamme, scansando la gente che scappava urlando. Faceva fatica a respirare dal caldo, ma cercava con le sue orecchie da felino di sentire la voce dei suoi fratelli e con lo sguardo li cercava ovunque. Faceva fatica a orientarsi, tutte le case di legno erano macerie distrutte dalle fiamme.

All’improvviso in tutto quel caos riuscì a riconoscere la voce di Ace che urlava:

“che stai facendo?! Ti abbiamo appena detto dove si trova il tesoro!!”

Sophia, si girò di scatto alla sua sinistra e si diresse a massima velocità verso il suono della sua voce.

“se veniamo con voi perdiamo l’unica possibilità di fuggire da questo fuoco!!” gridò furiosa la voce di Ace sempre più vicina “vai a cercartelo da solo!”

“non farmi arrabbiare più di quanto già non sia!” urlò la voce di Bluejam.

Sophia fece l’ultimo balzo tra le macerie in fiamme e si ritrovò davanti i pirati in cerchio che avevano catturato i suoi fratelli.

Mentre saltava atterrò con una zampata il primo uomo si ritrovò davanti. Gli aveva lacerato la schiena, aveva sentito la sua carne aprirsi sotto le sue zampe e il pirata lanciò un grido di dolore. Appena toccò terra vide con la coda dell’occhio l’uomo che teneva intrappolato Luffy, quindi gli saltò addosso immediatamente senza mai fermarsi.

L’uomo teneva Luffy tra le sue braccia tenendogli una spada sotto al collo, ma lei lo assalì puntandogli il braccio con i canini scoperti. Li affondò con forza sbranandogli la carne, l’uomo strillando lasciò andare Luffy e Sophia si allontanò in tempo prima che la spada di un altro pirata le tagliasse il collo.  

Il piccolo cadde a terra di fianco a Sophia, la quale si mise davanti a lui ringhiando per proteggerlo.

“SOPHIA CHE FAI QUI?!” sbraitò furioso Ace alla sua sinistra.

Il leopardo si voltò di scatto verso di lui e si sentì prendere dal panico quando vide che un uomo enorme tratteneva Ace e Bluejam gli stava puntando una pistola sulla fronte. Il corvino la guardò con gli occhi neri pieni di tormento.

“guarda un po’ chi ci ha raggiunto” rise malefico Bluejam  

“Sophia!” esclamò Luffy sorpreso appoggiandosi alla sua schiena felina per tirarsi su.

Improvvisamente l’uomo ferito alla schiena dai suoi artigli, si alzò furioso e alzò la spada contro Luffy e Sophia. Lei appena se ne accorse balzò verso l’uomo con gli artigli sguainati, ma Bluejam con uno scatto si girò verso di lei e le sparò su una spalla.

“NOOOO!” sbraitò Ace in collera dimenandosi fra le mani del pirata.

Sophia ruggì dal dolore e cadde a terra vicino a Luffy, il quale cercò di difenderla alzando il suo bastone mentre l’uomo ferito alla schiena affondava la spada su loro due. Il bastone del piccolo si spezzò e venne ferito alla tempia, cadendo sul corpo di Sophia, che era tornato umano.

 Quest’ultima, stringendo i denti, alzò lo sguardo sul pirata dallo sguardo diabolico. Teneva di nuovo la spada alzata.

Sophia si sentiva troppo debole per trasformarsi. Non c’era neanche acqua nei paraggi con tutto quel fuoco. Istintivamente cercò di proteggere Luffy con il braccio sano, ignorando il sangue che sgorgava dalla sua spalla ferita.

“Luffy!” esclamò debolmente Sophia con le lacrime agli occhi.

“ahiaaa” piagnucolava tenendosi la tempia che perdeva sangue.

Subito dopo l’uomo si avventò su di loro con la spada per finirli.

“vi ammazzo” sbraitò in collera, e Sophia credette davvero che sarebbe stata la loro fine.

Successe però qualcosa di completamente inaspettato.

Ace urlò furioso con tutto il fiato in corpo:

“NON TOCCATELI!!!”

Qualcosa accadde attorno a loro, Sophia lo percepì.

L’aria vibrò di una strana aurea attorno ad Ace, il quale sembrò emanare un senso di potere minaccioso e autorevole. Nessuno si mosse dopo le parole del corvino, anzi svennero tutti i pirati, cascarono per terra come addormentati, l’unico rimasto in piedi fu Bluejam che si guardava attorno sbigottito e nervoso.

Ace, libero dalla morsa, corse verso Sophia e Luffy, e si era appena inginocchiato di fianco a loro per guardarli preoccupato, quando Bluejam da dietro lo atterrò con un calcio e lo tenne fermo sotto il suo piede puntandogli la pistola addosso.

“cosa diavolo hai fatto, piccolo inquietante bastardo?!” sbraitò furioso spingendogli il piede sulla gola.

“ACEEE!” strillarono in coro Luffy e Sophia disperati, la quale stava cercando di alzarsi disperata per soccorrerlo, ma non ne aveva le forze

All’improvviso dalle fiamme spuntò un enorme figura femminile che si avventò con un’enorme ascia su Bluejam, il quale disorientato cercò di difendersi con una spada.

I tre bambini rimasero sconvolti nel trovarsi Dadan davanti, i capelli color del fuoco e gli occhi fulminavano il pirata. Al suo seguito arrivarono tutti i banditi del covo. Il pirata si distanziò notando la maggioranza numerica.

“finalmente li abbiamo trovati” esclamò preoccupato Magura prendendo in braccio Sophia “argh capo ha delle ferite bruttissime”

Dogura aiutò Ace ad alzarsi e prese Luffy in braccio.

“dov’è Sabo?” chiese nervoso Dogura.

“Sabo sta bene ma non è qui” rispose Luffy sofferente, ripetendo a memoria le parole che ogni sera Ace diceva.

“tu sei il capo di quegli scimmioni di montagna?” chiese sprezzante Bluejam.

“io sono Dadan la bandita di montagna” dichiarò con fermezza Dadan “e nel bene o nel male sono il genitore adottivo di questi bambini. Nessuno può fare del male ai miei ragazzi, né tantomeno ai miei bambini, anche se non siamo parenti di sangue li difenderò sempre! E ora…”

Dadan indietreggiò di qualche passo con i suoi uomini.

“scappiamooo!!!” ululò, seguita da tutti i suoi uomini tranne uno.

“sbrigati Ace!” urlò Dogura guardandosi indietro.

Ace rimase immobile a guardare il pirata, gli occhi neri riflettevano le fiamme. Teneva saldo il bastone tra le mani ed era pronto a combattere.

“io non scapperò” dichiarò deciso fulminando con lo sguardo il pirata.

I banditi si fermarono sconvolti, nonostante il caldo sudarono freddo nel vedere il bambino accucciarsi in posizione d’attacco.

“lascialo stare! Quel tizio non è famoso a caso” strillò preoccupato Dogura.

“anche io “gridava piagnucolando Luffy dimenandosi.

“Ace ti prego! Vieni via” urlò Sophia sconvolta con le lacrime agli occhi, ma il bambino non si voltò, continuava a fissare Bluejam.

Dadan lo guardò spiazzata e incredula. Abbassò lo sguardo e lentamente si avvicinò a lui con sguardo cupo.

“Ragazzi prendete Luffy e Sophia e andate avanti!” ordinò con voce tonante Dadan roteando l’ascia fra le mani “mi occuperò io di Ace… è sotto la mia responsabilità e lo riporterò a casa vivo…ANDATE!”

I banditi increduli la fissarono e poi lentamente iniziarono a correre e gridarono:

“capo ritorni viva!!!”

“voglio combattere anche io” ululava Luffy dimenandosi fra le braccia di Dogura

“ACEEEE!” strillò disperata Sophia tentava invano di liberarsi dalla presa di Magura che correva per portarla in salvo.

 
L’ultima volta che vide Ace si stava lanciando con furia contro Bluejam insieme a Dadan.

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Capitolo 20
*** Capitolo XX: Aria mortale ***


Sophia non faceva che piangere in quei giorni.

 Non singhiozzava neanche, le sembrava semplicemente di avere dei rubinetti aperti al posto degli occhi.

Stava sdraiata sentendo il vuoto dentro di lei, non pensava neanche, perché non poteva neanche immaginare che Ace fosse morto. Doveva essere per forza da qualche parte ma erano passati già quattro giorni e di suo fratello e Dadan non c’era neanche l’ombra.

Lei e Luffy al covo avevano provato a ribellarsi, volevano andare a cercarlo. Avevano strillato, pianto, avevano provato a scappare dalla porta ma sia Magura che le loro ferite erano contro di loro.

“dovete riposarvi avete ferite profonde” li ammoniva preoccupato Magura “in più ci sono migliaia di soldati alla montagna di rifiuti per pulire il posto dall’incendio e… per ripulire non intendo solo dalle ceneri della spazzatura…ma anche dagli eventuali sopravvissuti. Se andate ora verrete uccisi!”

“voglio Ace” strillava Sophia furiosa opponendosi alle cure dei banditi.

“io sono anche preoccupato per Sabo” piagnucolava a gran voce Luffy.

“sapete bene quanto è stato devastante quell’incendio” gli rispondeva gravemente Magura “per quanto poche siano le speranze anche noi vogliamo credere che Ace e il capo siano sopravvissuti, ok? Dogura è andato a controllare la situazione della montagna di rifiuti, lasciate fare a lui! Stiamo soffrendo quanto voi!!”

Sophia al quarto giorno non aveva neanche più le forze di gridare contro Magura. Sarebbe stata nel letto tutto il giorno, sarebbe andata fuori dalla sua camera solo per mangiare. Voleva solo aggrapparsi a quella piccola speranza che stava bruciando dentro di lei, diventando sempre più piccola.

Stava fissando il soffitto ignorando il dolore sordo alla spalla fasciata, almeno il fianco stava finendo di guarire e riusciva a stare in piedi.
 Teneva abbracciato a lei Luffy che ancora dormiva. Aveva un’espressione corrucciata e il viso umido per le lacrime versate prima.

Gli stava sfiorando delicatamente la cicatrice sotto l’occhio con le dita quando sentì il portone d’ingresso spalancarsi di botto e un bandito gridò euforico:

“HEIII! Ragazzi sono tornati tutti e due!!”

Sophia trattenne il respiro.

Il suo cuore ricominciò a battere finalmente dopo quattro giorni interminabili. Luffy aprì gli occhi e la guardò per un istante interminabile. Allargò le narici con gli occhi lucidi, poi all’improvviso tutti e due si fiondarono dalla porta, ma la bambina rimase indietro poiché faceva più fatica a correre.

“ACEEE!” strillò Luffy piangendo come un matto.

“Che sollievo sono entrambi vivi!” esclamò sollevato Magura

Sophia tenendosi il fianco camminò di fretta, le mani le tremavano e deglutì nervosamente. Quando finalmente lo vide gli occhi le pizzicavano, e si appoggiò allo stipite della porta.

Era ustionato in diverse parti del corpo, i suoi vestiti erano lacerati e bruciacchiati, aveva metà petto scoperto e la fronte incrostata di sangue. I capelli neri gli ricadevano davanti al viso disordinati, alcuni appiccicati sulla fronte sudata. I suoi occhi neri erano duri e penetranti; ansimava dallo sforzo poiché stava portando sulla schiena l’immensa e giunonica Dadan che sembrava quella messa peggio tra i due. La donna teneva gli occhi semichiusi ed era piene di bende e i suoi vestiti erano mezzi distrutti.

I banditi presero subito Dadan e la portarono dentro per controllare le sue condizioni. Sophia era rimasta pietrificata sulla porta, non riusciva a muoversi, non le sembrava vero dopo tutto il dolore di quei giorni.
Un bandito corse verso Ace a portargli una canotta nuova e mentre si stava cambiando Luffy gli saltò addosso piangendo

“ACEEE” piagnucolò bagnando il fratello maggiore, abbracciandolo stretto per la vita “pensavo fossi morto!”

“Luffy cretino…” sospirò stanco Ace guardandolo torvo “pensavi davvero fossi morto?”

Sophia solo a quella frase sentì il suo labbro inferiore tremarle.

“ma…” tentò di rispondere Luffy tra le lacrime, ma Ace alzò il braccio e gli diede un pugno in testa.

“e perché piangi?” esclamò arrabbiato “smettila di dare per morta la gente! Idiota!”

Forse fu la reazione spropositata del maggiore a far smuovere Sophia.

Si avvicinò a lui buia in volto guardando verso il basso, alzò gli occhi solo quando si ritrovò davanti a lui.
Ace la stava guardando incuriosito e gettava occhiate ansiose alla fasciatura enorme che le copriva fianco, braccio e spalla.
Sentiva ancora il labbro tremarle, poi i sentimenti dei giorni tremendi appena passati tornarono a galla e iniziò a picchiarlo ignorando il male alle ferite.

“perché l’hai fatto! Perché non sei tornato con noi?!” strillava Sophia arrabbiata prendendo Ace a pugni nel petto, il quale rimase talmente sbigottito che non si difese “quel tizio poteva ucciderti, era armato fino ai denti! Non hai pensato ai TUOI FRATELLO o a ME?!”

Ace le bloccò le mani e le scoccò un’occhiata intensa. Si fissarono a lungo finché lui non la lasciò.

“ora sono qui, no?” mormorò aprendosi in un ghigno beffardo

Sophia lo guardò incredula, poi gemette dal dolore e le cedettero le ginocchia.

Ace la prese in tempo, prima che franasse a terra e tenendola in braccio la portò dentro al covo seguito da Luffy che si trascinava dietro a loro aggrappandosi al bordo della canotta del maggiore. Sophia nascose la faccia nel petto di Ace e sentì le lacrime rigarle le guance, bagnando la maglia del corvino.

“certo che siete due piagnucoloni” commentò Ace sospirando

Sophia non aveva neanche la forza per ribattere.

Dadan era su un futon nella stanza principale e Magura si stava prendendo cura di lei, i banditi la circondavano ansiosi e parlavano dello scontro con Bluejam.
Ace la fece sedere accanto a lui, appoggiandola gentilmente per terra e Luffy si abbracciò a lei in cerca di affetto.

“Ace” disse Dadan con l’affanno “perché in quel momento non sei scappato?”

Il corvino si abbracciò le ginocchia e scoccò un’occhiata penetrante a Dadan; Sophia non lo aveva mai visto guardare la donna in quel modo.
Qualcosa fra di loro era cambiato in quei giorni. Anche la bambina attendeva la sua risposta, visto che lui ancora non si era degnato di riferirglielo.

Ace si spettinò i capelli con una mano e poi rispose sinceramente con tono leggermente esitante:

“a volte… mi arrabbio così tanto che mi sale il sangue alla testa.”

Si girò verso Sophia e la guardò intensamente per un attimo, e poi si rivolse di nuovo a Dadan:

“ho paura che se fuggissi perderei qualcosa di importante… e in quel momento dietro di me… c’erano Sophia e Luffy”

Sophia rimase pietrificata a quelle parole.

 Lei pensava che lo avesse fatto in modo egoistico per provare a sé stesso che fosse forte.
Lo aveva fatto per loro. Avrebbe sacrificato sé stesso per salvare i suoi fratelli.

Dadan spalancò gli occhi stupita e sembrava sovrappensiero come se stesse ricordando qualcosa.

“non ne sono certo…ma credo che il motivo sia proprio quello” continuò Ace imbarazzato arruffandosi i capelli che andavano ormai in ogni direzione.

Sophia, sentendo un gran magone, stava per abbracciare Ace quando Dogura entrò di corsa.

Il suo volto era completamente sconvolto, la fronte sudata e gli occhi umidi. Sembrò per un momento sollevato nel vedere Dadan ed Ace lì nella sala, ma il tuo tormento nel volto non era andato via.

“cosa c’è Dogura?” chiese nervosa Dadan cercando di alzarsi a sedere.

Alcune lacrime rigarono il volto del bandito e poi iniziò a raccontare quello che aveva visto in città al porto.


Sabo era stato ucciso.


Un silenzio mortale aveva invaso quella stanza.

A Sophia mancò l’aria, il suo cuore batteva veloce in gola. Rimase pietrificata dov’era tremando come una foglia.

Non poteva essere vero. Sabo era forte non poteva succedergli una cosa simile. Lui era gentile, perché fargli del male. Doveva ancora scrivere il suo libro di avventure che doveva vivere con loro. Doveva navigare in mare con loro.

Ace si alzò con una furia mai vista, saltò addosso a Dogura e gli mise le mani alla gola.

“S-sabo è morto?!” mormorò con voce rotta Luffy, per poi iniziare a strillare di dolore.

“BRUTTO BUGIARDO FIGLIO DI PUTTANA!!” sbraitò irato, superando la voce del piccolo “non ti perdonerò mai, non sono cose su cui scherzare!”

“ti dico che non è uno scherzo né una bugia! È successo tutto così velocemente...”

Sophia non seppe più cosa si dissero o cosa successe dopo.

Tutta l’acqua presente in quella casa si levò in aria con uno scoppio fragoroso accompagnato da un urlo agghiacciante pieno di sofferenza che la stessa Sophia non percepì neanche come la sua voce.

 Il caos regnò sovrano in quel momento al covo dei banditi, che accorrevano sconvolti verso i bambini disperati, spaventati da quell’acqua posseduta e dalle linee luminose di Sophia, che non avevamo mai visto.
Il dolore e la stanchezza di quei giorni l’aveva sopraffatta talmente tanto che alla fine di quell’urlo svenne mentre Dadan era saltata addosso ad Ace quando aveva cercato di fuggire di casa per uccidere gli assassini di Sabo.

***

 
Ace non voleva crederci.

Sentiva il cuore tagliato a metà, ma un mostro di collera si era insidiato nel petto. Voleva distruggere quella città, voleva uccidere gli assassini di Sabo. Fargli tanto male quanto ne provava lui ora.

Era il suo migliore amico, il suo primo amico e il primo ad averlo accettato.

Come aveva fatto a non rendersi conto che era infelice? Perché era stato così stupido? Non se lo sarebbe mai perdonato.

I suoi muscoli tremavano di rabbia sotto quelle corde a cui era legato. Dadan lo aveva intrappolato in un albero perché aveva paura che lui si sarebbe fatto uccidere in città, ma si sbagliava. In quel momento lui aveva la forza di poter uccidere e distruggere chi voleva.

Era ormai notte ma il pianto disperato di Luffy dalla loro camera riecheggiavano in tutta la foresta. Gli dava fastidio sentirlo, rendeva ancora più reale quel dolore.

“zitto Luffy! Gli uomini non devono piangere!!” gli sbraitava Ace furioso da quell’albero a cui era legato.

Ad un certo punto della notte Dadan uscì insieme a Dogura e Magura dal covo e si diressero verso di lui. Avevano il viso distrutto e stanco, non stavano dormendo.
 La donna aveva iniziato a fumare in modo nervoso più sigarette.

“tu lo sapevi Ace?” chiese in tono burbero Dadan

“cosa?” sbottò cupo

“quello che è Sophia” lo incalzò nervosa la donna portandosi un'altra sigaretta alla bocca.

Ace si irrigidì. Fulminò con lo sguardo Dadan.

Non rispose, non poteva dire nulla, ne andava della sicurezza di Sophia. Stava già pensando come slegarsi e portare in un posto sicuro la bambina quando la donna parlò buia in volto.

“come immaginavo…non so cos’è quella bambina ma non è normale! Sicuramente Garp saprà tutto, e poteva degnarsi di dirmelo meglio, come ha fatto con te…ma tutto ciò mi porta ad una sola conclusione”

“cosa vuoi farle?” ringhiò rabbioso Ace.

Nessuno l’avrebbe toccata. Avrebbe scatenato l’inferno se qualcuno si fosse azzardato.

“proteggerla ad ogni costo” dichiarò con fermezza Dadan inchiodandolo con gli occhi lucidi “ho già perso un figlio oggi, non ne perderò un altro”

Ace rimase sbigottito davanti a quelle parole.

Non aveva mai pensato ad un ruolo simile per Dadan. Anche perché non si era mai mostrata affettuosa, non era quel tipo di donna. Però a pensarci bene aveva sempre vigilato su di loro, li aveva sempre osservati e poi quello che aveva fatto per lui per uscire dal fuoco. Non si era mai immaginato che Dadan avrebbe sacrificato sé stessa per salvare lui da quelle fiamme.

“anche io la voglio proteggere” disse infine Ace scrutando la donna attentamente

Gli occhi di Dadan diventarono sempre più lucidi e fingendo di avere qualcosa nell’occhio si allontanò, ma Ace sapeva quello che aveva visto.
Delle lacrime silenziose erano scese dalle sue guance.

***
 
Sophia quando si svegliò definitivamente la mattina pensò che il suo cuore le fosse stato pugnalato.

 Aveva pianto silenziosamente al contrario di Luffy che strillava tra le lacrime. Non era riuscita a consolarlo perché lei stessa era a pezzi. Non poteva neanche contare su Ace che sembrava posseduto ed era stato legato all’albero fuori su ordine di Dadan.

Si alzò solo quando sentì i banditi parlare fuori lasciando solo Luffy in camera che finalmente stava dormendo.
Quando uscì e vide i banditi attorno all’albero con le corde per terra senza Ace sentì il sangue gelare dentro di lei, ma Magura le disse subito:

“tranquilla, si era calmato Ace…è appena andato nel bosco, voleva leggere una lettera che Sabo ha mandato prima di…” ma non terminò la frase e si limitò a rabbuiarsi.

Sophia si incamminò nel bosco, sapendo già dove andare, conosceva fin troppo bene suo fratello. Camminò il più svelta possibile, per quello che le sue ferite le potevano permettere. Alla fine, arrivò al promontorio erboso ed Ace era sul bordo con un foglio in mano e guardava il mare.

Si avvicinò a lui e si rese conto ancora prima di guardarlo in faccia che stava piangendo.

Gli prese mano e gliela strinse. Ace si voltò verso di lei, gli occhi neri lucidi e le guance lentigginose rigate da grosse lacrime.
Sophia sentì una stretta al cuore. Non lo aveva mai visto piangere.

“come ho fatto a non capire che era infelice?” singhiozzò con voce rotta per poi accasciarsi sulle ginocchia per terra dal dolore.

Sophia si sedette con lui e gli cinse le spalle mentre lui piangeva.

 Le pizzicavano gli occhi ma non aveva più lacrime in corpo sentiva solo un grande vuoto nel cuore. Ace si appoggiò nel suo grembo bagnandole le gambe, Sophia gli accarezzava i capelli e guardava addolorata quel mare che si era preso il corpo morto di suo fratello.
Ti prego mare abbi cura di lui.

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Capitolo 21
*** Capitolo XXI: Lucciole ***


“prenderemo il mare quando avremo compiuto 17 anni. Questo era quello che voleva Sabo…perché un nobile diventa tale solo a 18 anni e… lui non voleva esserlo”

“ma io sarò l’ultimo a partire” si lamentò Luffy appoggiando il viso imbronciato fra le mani

I tre bambini erano sdraiati a pancia in giù nei loro futon con i gomiti puntati a terra e parlavano alla luce di una candela in mezzo a loro nel cuore della notte.

 “e io il primo… ma intanto tu continuerai ad allenarti” ribatté serio Ace osservando la fiamma “ma questo era il volere di Sabo…un giorno salperemo per il mare e vivremo come ci pare! Più liberi di chiunque altro, diventeremo dei pirati!”

Luffy alla parola “pirati” alzò il pugno verso l’alto.

“vuol dire che dovremmo affrontare un sacco di nemici” li avvisò il corvino serio “persino nostro nonno! Dobbiamo mettere in gioco le nostre vite! Quindi dovremo diventare forti e allenarci! Ora dormiamo che domani si inizia”

Sophia gli sorrise debolmente e annuì piano con il capo mentre Luffy dopo aver annuito vigorosamente si sdraiò e si addormentò. La biondina dopo poco lo seguì a ruota.

Ace spense la candela e rimase sveglio nel suo futon ad ascoltare il rumore di sottofondo degli animali notturno e il respiro dei suoi fratelli.

 Era passata qualche settimana dalla morte di Sabo e i tre fratellini erano tornati alla loro casa sull’albero, completamente guariti dalle ferite di quei giorni bui. Il tesoro gli era stato rubato dai pirati di Bluejam ed Ace non lo voleva né cercare né ricrearlo. Il suo unico obiettivo ora erano gli allenamenti, doveva diventare più forte e chiedeva lo stesso anche ai suoi fratelli.

Era il suo modo di affrontare la morte di Sabo, seguito a ruota da Luffy che lo imitava in ogni cosa. Stravedeva per lui.

Sophia invece era più cupa, solo Luffy riusciva a farla ridere, ed Ace ammise che ne era un po’ geloso di questa sua dote. Il piccolo era come un sole e portava solo allegria, pure Ace rideva di più con lui, anche se certe volte lo faceva impazzire.
Inoltre, Sophia non era più riuscita a toccare un libro, non li voleva più leggere. Condivideva quella passione con Sabo e ogni volta che sentiva anche solo l’odore della carta le veniva da piangere. Luffy sentiva la mancanza delle storie serali ma quando provò a dirlo al maggiore, quest’ultimo gli tappò la bocca per non far soffrire ulteriormente la biondina.

Mancava a tutti e tre, la sua gentilezza, il suo sorriso bucato e la sua voce.

Ace aveva perso il suo primo amico e la sua spalla. Ora si doveva occupare da solo dei due fratelli più piccoli e dentro di sé sentiva una gran paura. Non avrebbe potuto tollerare di perdere anche loro. Adesso erano loro il suo tesoro, non gli importava di altro e doveva difenderli ad ogni costo.

Ad un certo punto Sophia si infilò veloce e silenziosa sotto le sue coperte.

“hai già fatto un incubo nel giro di due minuti?!” chiese sorpreso Ace alzando il lenzuolo per guardarla con la luce della luna che entrava dalla finestra.

Lei scosse la testa a testa bassa e si rannicchiò vicino a lui. Ace con una mano le alzò il viso lentamente per guardarla negli occhi. Erano lucidi e tormentati.

“Sabo domani avrebbe compiuto 11 anni… io gli avevo già fatto il regalo” mormorò lei con voce rotta e una lacrima silenziosa le scivolò da un angolo dell’occhio azzurro.

Ace trattenne il fiato. Aveva perso il conto dei giorni da quando era morto Sabo. Gli occhi di Sophia sembravano due specchi sul punto di infrangersi. Il suo labbro inferiore tremava.

“Ace ti prego tu non morire mai” disse con voce incrinata aggrappandosi alla sua maglietta.

Il corvino rimase sbigottito da quelle parole. Anche perché lui nascondeva la stessa paura nei confronti della bambina. In più erano un balsamo ai suoi complessi sulla sua esistenza.

“ma che dici!” sbottò sorpreso sgranando gli occhi “devi essere TU a pensare di non morire che sei la più debole fra noi due!!”

Le prese il viso tra le mani e le disse appassionato:

“stammi bene a sentire e vedi di imprimertelo in testa, non ho nessuna intenzione di morire Sophia!”

Sophia versò qualche lacrima bagnandogli le mani.

“va bene” singhiozzò tirando su con il naso

“io non morirò qualunque cosa accada! Dopotutto come potrei lasciare i miei due deboli fratellini da soli?” continuò lui accarezzandole il viso con le dita.

Sophia annuì con il capo, lui la lasciò andare e poi si guardandolo dritto negli occhi finché lei disse appassionatamente:

“Ace ti voglio molto bene” e lo abbracciò forte nascondendo il viso nell’incavo del suo collo.

Il corvino trattene il respiro. Sentiva una strana sensazione calda nel suo petto e probabilmente le sue guance erano diventate viola. Dentro di sé ringraziò il fatto che lei non potesse vederlo.

Nessuno glielo aveva mai detto. Non immaginava neanche come poche potessero avere un potere simile su di lui.

Istintivamente la abbracciò stringendola a sé, una mano si appoggiò sui suoi capelli biondi e si stupì nel notare che in realtà erano davvero morbidi, in più profumavano di dolce e salsedine. Poteva percepire il calore del suo petto e del suo respiro sul collo.

 
“anche io ti voglio molto bene” le sussurrò dolcemente prima che lei si addormentasse tra le sue braccia.

***


 
I giorni passarono e le cicatrici sui cuori causate dalla perdita di Sabo stavano cominciando a guarire. Avevano ricominciato a ridere con più spensieratezza, dedicando quei momenti felici a Sabo. Spesso succedeva che nei momenti più belli si girassero aspettandosi di vederlo a fianco a loro, ma quando constatavano che non c’era rimanevano con un sorriso amaro sul viso.
 
Una sera Ace, per riavvicinare Sophia ai libri, decise di leggere una storia recitandola come faceva lei. Gli altri due rimasero talmente stupiti che per tutto il tempo non fiatarono, si limitarono ad ascoltarlo silenziosamente sui loro cuscini, finché il corvino finì e Luffy commentò serio:
 
“sei proprio rozzo!! È molto meglio Sophia!”
 
“CHE HAI DETTO?!”
 
La biondina riuscì in tempo a salvare la vita del piccolo frapponendosi tra i due, cercando di non ridere come una matta per rispetto ad Ace il quale sembrava alquanto furibondo e stava scagliando libri per aria.
 
Così da quella sera estiva, Sophia riprese a leggere le storie facendo felici tutti e due, ma lasciarono sempre il cuscino libero di Sabo accanto a loro come se potesse ascoltare anche lui dal cielo.
Ed ebbero la conferma che lui li ascoltasse durante una notte estiva, dopo aver letto la storia preferita di Sabo.
 
Erano crollati addormentati da poco tempo, con ancora l’ombra di un sorriso, quando Luffy tirò un calcio in faccia al maggiore.
Ace imprecò infastidito e lo spostò via. Il minore era praticamente sdraiato su di lui ma con la testa sempre dalla parte sbagliata.
Sophia invece lo abbracciava sempre come una piovra. La sua testa era appoggiata sulla sua spalla, e le gambe erano intrecciate alle sue.
 
Quasi ogni sera dormivano così.
All’inizio Ace si lamentava perché gli sembrava di dormire con dei pesi addosso, ma si rese conto che quando non c’erano stava male. Non aveva mai capito quanto affetto i suoi fratelli più piccoli gli dimostrassero sempre, quindi decise di non si lamentarsi più, anzi li voleva vicino a sé.
 
Soprattutto Sophia.
 
Ace si era reso conto che c’era qualcosa di strano e particolare con lei ma non sapeva bene cosa. Non era come con Luffy e Sabo. Le voleva un bene diverso, non sapeva cos’era, non capiva perché arrossiva sempre se lei si avvicinava troppo o perché a volte si incantava a guardarla.
L’unica cosa che sapeva era che la voleva sempre vicino a lui
 
Aprendo gli occhi si accorse che quello stupido di suo fratello aveva lasciato la lanterna accesa.
Ora ci doveva andare Luffy.
 Non aveva intenzione di alzarsi lui o spostare la biondina. Chiuse di nuovo gli occhi e sospirò profondamente.
Spintonò con un piede il piccolo e grugnì:
 
“Luffy spegni la lanterna”
 
Il piccolo si alzò dopo altri tre calci insistenti del maggiore, ma nel cercare di andare a spegnere la lanterna andò a sbattere contro il tavolo facendo cadere tutti i loro attrezzi con un rumore assordante.
 
Ace si portò la mano in fronte sconsolato. Non ce la poteva proprio fare a volte. Cosa aveva fatto per meritarsi un fratello così imbranato?
 
 Sophia si svegliò e si mosse accanto a lui stiracchiandosi con degli sbuffi, poi si sollevò appoggiandosi sul suo petto, rimanendoci appollaiata sopra con i gomiti e farfugliò stanca:
 
“ma cosa fai Luffy?”
 
Il piccolo grugnì qualcosa di incomprensibile mentre ritornava con passetti addormentati al suo futon, ma poi Ace lo sentì fermarsi di bottò ed inspirare velocemente tutto eccitato correndo verso la parete della finestra alla sua destra.
 
“che c’è?” chiese ansiosa Sophia alzandosi a sedere.
 
“stanno scendendo le stelle!” squittì Luffy eccitato “proprio come nella storia di prima!” e corse giù come una furia.
 
“Eh?” chiese la biondina sospettosa
 
“ma cosa dici? “si lamentò Ace sbadigliando e maledicendolo dentro di sé.
 
Quel bambino era davvero terribile certe volte, come poteva avere ancora energia per strillare in quel modo di notte dopo aver passato una giornata a lottare contro le belve della foresta e aver scalato una montagna?!
 
Ace aprì gli occhi contro voglia e stava già per urlare una minaccia violenta da spaventarlo a morte in modo tale che ritornasse difilato a letto senza che lui muovesse un dito, ma rimase a bocca aperta stupito.
 
Dalla finestra entravano lentamente mille lucine abbaglianti che assomigliavano a piccole stelle.
 
Sophia, che era stata più reattiva di lui, era già corsa alla finestra e guardava meravigliata quei puntini luminosi danzarle attorno. Con lentezza e grazia riuscì a catturarne qualcuno fra le mani, e si mise a ridere:
 
“mi fanno il solletico”
 
“ACE! SOPHIA! Venite a vedere quante sono! “strillò Luffy euforico, sotto di loro, dalla base dell’albero.
 
Sophia si girò ridendo verso di lui con uno sguardo luminoso quanto quei puntini, prese la mano di Ace e lo trascinò giù.
 
I due maggiori rimasero a bocca aperta.
 
 La foresta oscura era tutta illuminata da quelle lucine, dal prato ne salivano immense nuvole e danzavano lentamente nella notte.
 
Sembrava una magia. Ace non aveva mai visto niente di simile in tutte le notti che avevano passato in mezzo alla foresta.
 
Luffy stava correndo come un pazzo a piedi scalzi nell’erba e cercava, con una foglia enorme, di catturare più puntini luminosi possibile ridendo a più non posso. Sophia e Ace risero a loro volta nel vedere quella scena e gli corsero dietro cercando anche loro di catturarle.
 
Dopo un quarto d’ora di risate e corsa Ace si sdraiò nell’erba sorridendo, inspirando a pieni polmoni l’odore di erba fresca ammirando lo spettacolo di luci davanti ai suoi occhi.
 
Il sole poteva solo invidiare tutta la luce di quella sera.
Che potere immenso avevano quei puntini. Riuscivano a trasformare l’oscurità della notte in luce pura.
 
Sophia lo seguì a sua volta, sdraiandosi di fianco a lui con le mani dietro la testa.
 
“Secondo Luffy sono spiriti che indicano una via per un tesoro nascosto, ma per me sono quegli insetti bioluminescenti chiamati lucciole” disse ridendo la biondina.
 
“E tu come lo sai?” chiese sospettoso Ace mentre osservava le nuvole luminose di lucciole che si muovevano lentamente sopra di loro.
 
Lei si girò su un fianco e guardando il profilo del corvino con un sorriso.
 
 “Mi pare di averlo letto in un libro di animali l’anno scorso quando per il mio compleanno mi avete portato in biblioteca in città tutto il giorno, ma spero abbia più ragione Luffy” spiegò limpidamente lei, poi si perse nei suoi pensieri per un attimo e mormorò cauta “oppure è …è l’anima di Sabo”
 
Ace si girò sul fianco di scatto e sbottò sorpreso:
 
“cosa hai detto?”
 
Lei si morse il labbro inferiore e lo guardò dritto negli occhi.
Solamente nel realizzare la bellezza di quei due laghi azzurri illuminati dalle lucciole ad Ace sembrò che il suo stomaco vibrasse, come se avesse delle farfalle dentro impazzite.
 
“una leggenda narra che dentro le lucciole ci sia l’anima dei defunti” sussurrò seria Sophia “e noi prima abbiamo letto la storia preferita di Sabo…forse ci ha ascoltato e questo è un suo modo per dirci che sarà sempre con noi” e abbozzò un sorriso tirato.
 
Ace non sapeva se fosse vero o no, lo riteneva impossibile. Decise però di dare quella speranza alla biondina per farla stare meglio.
 
“è un segno di Sabo ne sono sicuro, infondo lui ci voleva bene” dichiarò Ace con fermezza mentre guardava delle lucciole posarsi sui capelli di lei.
 
Con la mano gliele tolse lentamente ma Sophia, che lo stava osservando in viso già da un po’, si avvicinò incuriosita al viso di Ace.
Ace sapeva di essere diventato color papavero e sperò con tutto sé stesso che le lucciole non lo illuminassero troppo in viso.
Poteva sentire il suo respiro sulla faccia.

Si spettinò i capelli imbarazzato e farfugliò nervoso:
 
“che c’è?!”
 
Lei sgranò gli occhi sorpresa e gli mise un dito sulla guancia, facendo un disegno con il polpastrello.
La pelle che aveva sfiorato sembrava bruciare.
 
“hai la costellazione di Ercole fra le lentiggini!” esclamò lei stupita con un gran sorriso, facendo volare vorticosamente le farfalle nello stomaco del corvino.
 
Ace stava per chiederle chi fosse questo tizio quando Luffy si lanciò come un missile con tutto il suo peso sopra di loro urlando euforico:
 
“Guardate quanti ne ho presi di puntini” sventolò frenetico sopra le loro teste un barattolo ormai luminescente “domani ci indicheranno la strada per il tesoro nascosto! Con quello ci compreremo una nave pirata intera ne sono arcisicuro!! Dai Ace ricominciamo a rubare tesori???”
 
Prima che Ace potesse smontare suo fratello, Sophia abbracciò affettuosamente Luffy e lo assecondò divertita:
 
“Per me troveresti talmente tanti tesori da poterti permettere una caravella in grado di navigare fino ai limiti del mare, vero Ace? - e si girarono entrambi verso Ace il quale rimase spiazzato da quella vista.
 
I due fratelli lo guardavano con due sorrisi talmente smaglianti da far invidia a tutte quelle lucciole.
Ace scrollò le spalle con un sospiro e confermò ridendo:
 
“Certo… domani lo cerchiamo promesso. Così con quella nave che compreremo saremo i pirati più liberi del mondo!”
 
Luffy lanciò un gridolino di gioia e li abbracciò ridendo.
 
Ace non seppe per quanto tempo rimasero lì a ridere e a sognare ad occhi aperti, però era giunto ad una conclusione.
I suoi fratelli e anche quelle lucciole che forse rappresentavano l’anima di Sabo avevano un potere enorme: gli illuminavano il cuore e sapeva che era degno di esistere perché doveva vivere per loro.

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Capitolo 22
*** Capitolo XXII:Growing Up ***


Le stagioni passarono in fretta al monte Corbo, i bambini erano cresciuti ma con loro anche l’intensità dei loro allenamenti. Ace sembrava aver sviluppato negli ultimi mesi l’abilità di creare sedute di esercizi quasi distruttive.
A vederli da fuori, il corvino sembrava un sergente con al seguito i suoi due soldatini comandati a bacchetta. Li spronava a dare sempre il meglio di sé e a sfruttare al meglio i loro poteri.
 
Luffy stava aumentando la potenza dei suoi pugni e le sue braccia si allungavano ogni giorno di più, ma la sua vera forza era la determinazione che ci metteva.
 
Sophia invece lottava sempre con Ace sotto forma di leopardo e si stava trasformando in un felino davvero temibile in tutta la foresta. Sfruttava principalmente la sua trasformazione ibrida per dare il meglio in ogni combattimento, anche se il corvino nonostante tutto riusciva la maggior parte delle volte a vincere.
 
Sul fronte strega Sophia si metteva sempre alla prova in situazioni pericolose, ma Ace teneva d’occhio sempre la situazione standole sempre vicino.
 
L’obiettivo era migliorare il suo controllo dell’acqua sia fuori dal mare ma soprattutto dentro, visto che ancora faticava molto quando era immersa e finiva spesso per svenire o in casi peggiori sanguinava dal naso. Quello infatti che le veniva meglio era sollevare tonnellate di acqua e modellarle per aria come voleva usando i movimenti del corpo sulla terra ferma.
 
L’allenamento prevedeva anche cercare di capire come scatenare nuovamente le visioni nel futuro. Provava delle ore a stare in acqua e a concentrarsi come quella volta nel ruscello; Ace era perfino arrivato a costruirle una specie di vasca da bagno in cui potersi allenare anche nella loro casa sull’albero, ma ottenne risultati sempre molto scarsi. Vedeva semplicemente in anticipo di qualche minuto.
 
“beh forse è un bene” provava a consolarla Ace, quando la biondina si faceva prendere dallo sconforto “significa che non ci sono disastri in arrivo…forse vedi con anticipo di giorni solo le cose disastrose”
 
Ace d’altro canto era diventato davvero molto forte e potente nonostante avesse appena compiuto 13 anni; i delinquenti della città tremavano appena lo vedevano arrivare anche se fosse più piccolo di loro. Pure il suo fisico lo aveva iniziato a seguire, quell’ anno stava crescendo a vista d’occhio sia di altezza sia muscolarmente. Il suo viso si era smagrito e i ciuffi neri davanti, leggermente ondulati, gli arrivavano ormai a livello della bocca.
Aveva lasciato i panni del bambino e si era trasformato un ragazzino.
 
Purtroppo, anche Ace si stava accorgendo del suo cambiamento fisico e si gongolava nel prendere in giro i fratelli più bassi di lui. Girava fiero quando camminava; abbandonando le magliette da bambino per delle camicie a mezza manica sempre aperte sul davanti mostrando il petto sempre più tonico.
 
Almeno Luffy era ancora il solito bambino fisicamente, ma anche lui piano piano stava crescendo in altezza seppure si lamentava spesso che voleva essere alto come il maggiore. Aveva un’adorazione fuori dal comune per il corvino, mentre con la biondina era estremamente affettuoso; Ace per questo motivo lo definiva “appiccicoso”.
 
Sophia si scoprì ad ammirare molto il cambiamento di Ace ma lo invidiava anche un po’ visto che lei continuava a rimanere secca. Anzi quello che lei ci aveva ci aveva guadagnato crescendo, oltre ad una decina di centimetri di altezza, erano state due piccole ghiandole nel petto alquanto doloranti.
 
Era totalmente ingiusto.
 
Viveva nel terrore di avere un giorno un seno enorme e prosperoso come quello di Dadan.
Non sarebbe mai riuscita a combattere con un peso così grande davanti.
Spesso se ne vergognava, così aveva imparato a stringersi il petto con delle bende bianche sotto le canotte, anche per evitare l’avanzamento delle dimensioni.
 
Una volta però Luffy svelò il suo segreto.
 
Era successo durante un pomeriggio piovoso e i tre fratelli erano nella loro enorme bacinella di legno piena d’acqua a levarsi le croste di fango che si erano procurati nel combattere un enorme cinghiale vicino ad una palude.
 
“perché ora tieni quella roba bianca lì?” chiese Luffy curioso mentre si strofinava la faccia.
 
“perché mi piace” mentì Sophia imbarazzata dandogli la schiena, continuando a pulirsi le braccia meticolosamente.
 
“ma devi essere come noi!” si lamentò Luffy imbronciandosi, sbattendo un pugno nell’acqua e schizzando Ace in piena faccia, il quale gli scoccò un’occhiata torva.
 
La biondina lo ignorò ma avrebbe preferito non farlo quando si rese conto che Luffy sghignazzando aveva allungato un braccio e gli aveva sfilato velocemente le bende dal petto.
Sophia si alzò di scatto ringhiando furiosa verso di loro mostrando il petto completamente nudo, facendo in questo modo pietrificare Ace.

Il corvino aveva sgranato gli occhi e spalancato la bocca incredulo, diventando improvvisamente bordò in viso mentre la guardava attonito. Per un instante sembrò avere anche una crisi respiratoria poiché era indietreggiato fino a sbattere la schiena sul bordo della vasca boccheggiando vistosamente.
 
Luffy, completamente a suo agio, inclinò il capo cercando di capire la furia della sorella e cercò di chiedere:
 
“ma cosa hai nel pet…” ma non finì mai la domanda poiché Sophia gli assestò un pugnò in testa talmente forte da creargli una enorme colonna di bernoccoli pulsante.
 
Prese le sue bende con uno scatto nervoso, uscì dalla vasca furiosa e imbarazzata mentre Luffy piagnucolava:
 
“come ha fatto a farmi così male se sono fatto di gomma?!”

***
 
 
Ace stava studiando attentamente i movimenti dei suoi fratelli seduto sopra un sasso tenendo fra le mani il suo bastone aspettando il suo turno per combattere.
Si asciugò la fronte dal sudore con la mano; era un pomeriggio davvero afoso e si trovavano sotto un sole cocente in un esteso prato verde con un fiume che scorreva a fianco loro.
 
Luffy stava affinando il suo attacco pistol su Sophia, la quale per respingere i mille frenetici pugni del piccolo aveva creato attorno a sé diversi tentacoli d’acqua che venivano comandati dai suoi movimenti, fluidi e veloci delle braccia. Ace faceva quasi fatica a vedere le braccia di Luffy per quanto andavano veloci, ma Sophia con quella specie di danza mista ad arti marziali li fermava tutti.
 
Ace si incantava sempre quando la vedeva muoversi in quel modo, lo ipnotizzava. Sophia sembrava proprio il mare: si muoveva dolce come le onde, calma nei suoi movimenti ma se questi diventavano impetuosi e veloci poteva distruggere con la sua forza tempestosa. L’incontro finì quando la biondina riuscì ad intrappolare Luffy in una bolla d’acqua, portandogli via ogni energia.
 
Ace con un ghigno scese dal suo sasso con un balzo e si fece avanti per sfidare la bambina.
Lei ansimando si trasformò nella sua forma ibrida felina.
 Diventava più alta di lui di qualche decina di centimetri, più muscolosa negli arti e nelle spalle mentre il pelo maculato la ricopriva negli arti, nella parte superiore del viso e nella schiena.
 
Sophia si avvicinò a lui muovendo la coda sinuosa e con un sorrisetto impertinente si leccò gli artigli delle zampe in segno di sfida.
Tanto come al solito non li avrebbe usati contro di lui.
Ace si aprì in un ghignò malandrino e in un istante si avventò su di lei con il bastone alzato.
 
Sophia con ancora il sorriso sulle labbra schivò di scatto il bastone spostandosi alla sua sinistra; Ace portò subito le braccia in alto per colpirla nuovamente con potenza ma lei continuò a schivare velocissima i colpi, abbassandosi ogni volta o roteando su sé stessa con il busto.
Ace, già spazientito, cambiò tattica e cercò di colpirle le gambe per farla cadere ma lei indietreggiò a passi veloci.
 
Sembrava leggergli nella testa.
 
Sophia ad un certo punto scattò di fianco ad Ace facendo roteare le braccia in alto per colpirlo con le zampe prive di artigli, ma il corvino curvò la schiena scansando i colpi e cercò di colpirla al bacino per buttarla a terra, visto che era così vicina a lui.
Sophia  scansò i colpi muovendo sinuosamente i fianchi.
Il corvino gridando furioso puntò alla testa ma lei si spostò diverse volte a destra e a sinistra frenetica, fermando il bastone con gli avambracci se si avvicinava troppo al viso.
 
Ace cercò di fare una finta per poi colpirla nel petto ma lei improvvisamente si abbassò piegandosi in avanti, roteò con il busto attorno alla punta del bastone per evitarlo, scivolò poi accanto all’asta alla sua sinistra, cogliendolo di sorpresa. Sophia si abbassò di colpo, allungando rapida una gamba verso di lui, a pelo del prato per fargli lo sgambetto.
 
Ace questa volta fu più veloce e si scansò, cogliendo l’occasione che lei fosse sdraiata praticamente per terra e la colpì forte con il bastone sulla schiena, facendola ringhiare arrabbiata.
Ace sorrise con un ghigno e cercò di colpirla nuovamente ma lei si alzò in un lampo, arcuandosi sul terreno con la schiena e dandosi una spinta con le braccia fece una ruota indietrggiando.
 
Ace sbalordito le corse dietro slanciandosi con il bastone sul suo petto, ma lei con delle zampate furiose respinse ogni colpo, fulminandolo con i suoi occhi ghiacciati.
Finché Sophia ad un tratto si abbassò sotto il bastone, scivolò a lato e saltò dandosi una forte spinta dal terreno con una gamba e roteò per aria cercando con l'altra di calciarlo.
 
Ace imprecò e si abbassò appena in tempo e nell’istante in cui lei riatterrò con entrambi i piedi a terra di fianco a lui, cercò di colpirla nel petto per schiantarla a terra ma lei si abbassò a lato inarcandosi a ponte facendo poi una ruota all’indietro.
In questo modo con la gamba gli calciò il bastone con una tale potenza che Ace fece fatica a tenerlo fra le mani. Lei si allontanò con diverse acrobazie da lui di circa cinque metri.
 
“SOPHIA DEVI ATTACCARMI CON GLI ARTIGLI!” sbraitò furioso Ace asciugandosi la fronte “non devi solo schivare!”
 
Sophia non rispose si limitò a guardare la foresta dietro di lui irrigidendosi di botto.
Agitò nervosamente la coda, appiattì le orecchie e mentre corse verso di lui alla carica si trasformò completamente in leopardo.
 
Oh, finalmente faceva seriamente.
 
Ace con un ghigno soddisfatto le andò in contro con il bastone alzato e si scontrarono per aria. Il leopardo fendette l’aria con una zampata armata di artigli talmente forte che il bastone si spezzò e gli graffiò tutto il petto facendo gemere di dolore il corvino.
 
Sophia lo atterrò a terra immediatamente con una tale potenza che ad Ace mancò l’aria quando si schiantò. Il leopardo gli stava accucciato con tutto il peso sopra tenendogli le zampe premute sul petto, gli artigli ancora un po’ fuori e facendo bruciare le ferite del corvino.
 
“va bene, hai vinto tu questa volta” ansimò Ace guardandola scocciato “puoi anche spostarti…ma cosa stai guardando?”
 
Il leopardo continuava a puntare lo sguardo nervoso verso la foresta dietro di loro e le sue orecchie continuavano ad essere appiattite sul cranio e la coda si muoveva frenetica.
 Ace provò a muoversi, ma Sophia lo inchiodò a terra con forza con le zampe senza neanche guardarlo.
 
Il corvino sbottò spazientito:
 
“mi dici che cavol…” ma Ace non finì la frase.
 
Un ringhio di una potenza tremenda partì dalla gola del leopardo facendo vibrare tutto il corpo di Ace. Sophia continuava a puntare gli occhi minacciosa dietro di lui.
 
C’era forse qualcuno dietro di loro?
 
Successe tutto in pochi istanti.
 
Luffy comparì nel prato davanti a loro, dalla parte opposta alla foresta, e gridò un avvertimento incomprensibile, la sua voce si perse sotto un suono mai sentito prima.
 Il leopardo, scattando in piedi sopra di lui proteggendolo con le sue zampe, ruggì talmente forte e in modo che Ace pensò per un minuto di aver perso l’udito.
 
L’aria attorno a loro vibrò potente, quel ruggito la sferzò minacciosa e imponente.
Sembrava il tipo di suono che ci si poteva aspettare dal re della foresta.
 Ace provò dei brividi in tutto il corpo sentendosi un po’ stordito, ma tutto sé stesso rimase completamente affascinato da quel ruggito.
 
Gli occhi azzurri del leopardo furono glaciali finché non si sentirono dei tonfi dietro di loro.
Sophia alzò le orecchie curiosa e annusò sospetta l’aria davanti a lei.
Chiunque ci fosse stato dietro di loro era caduto per terra.
 
Ace era ancora sbalordito, ma cercò di riprendersi e sbottò:
 
“allora mi rendi partecipe?”
 
Sophia senza fare una piega ritornò umana e, rimanendo seduta a cavalcioni su di lui, finalmente lo guardò.
I suoi occhi erano ansiosi.
 
In quel momento arrivò Luffy di corsa ed esclamò ansimando:
 
“chi erano quei tipi strani in mezzo alla foresta?”
 
Sophia sgranò gli occhi pietrificata nel guardare il petto di Ace ma non disse nulla, si limitò ad alzarsi aiutando Ace e mormorò grave:
 
“uomini pesce…ma ora sono svenuti credo”
 
Ace rimase interdetto.
Non aveva mai visto degli uomini pesce nella loro isola, che cosa ci facevano?
Luffy spalancò la bocca, gli occhi stracolmi di entusiasmo e prima che si potesse avventarsi su quei tizi misteriosi il corvino lo bloccò con una manata nel petto.
 
“erano pericolosi?” chiese Ace sospettoso guardando di sottecchi la biondina.
 
“ci stavano puntando delle pistole addosso “rispose Sophia con un filo di voce incamminandosi verso la foresta, tesa come una corda di violino.
 
“cosa?!” esclamò incredulo Ace seguendola a fatica.
 
Sophia rimase muta e rigida finché non li raggiunsero, tenendo per mano Luffy per evitare che facesse cose stupide.
 
Trovarono due enormi uomini pesce completamente svenuti nel prato.
 
Il meno grosso aveva la pelle di un azzurro perlaceo e le labbra molto carnose, i capelli verde oliva gli ricadevano disordinati sul viso. Sembrava avere le sembianze di un pesce arciere.

L’altro era molto più muscoloso, aveva le stesse dimensioni di un orso. Aveva la pelle grigiastra e indossava una divisa da karate blu scura con una cintura nera. Probabilmente era un buon combattente. Dalle braccia partivano delle particolari estensioni di pelle che lo facevano assomigliare ad una manta.
 
Entrambi avevano uno strano tatuaggio rosso che rappresentava il profilo sinistro di pesce sega.
 
“sembrano davvero forti” mormorò Luffy ammirato toccando con un dito i muscoli dell’uomo pesce dalla pelle grigia.
 
Sophia, ancora scura in volto, fermò Luffy tenendogli le mani e disse sovrappensiero:
 
“strano quelli che avevo conosciuto con la mamma quando ero più piccola erano gentili…questi non avevano buone intenzioni” poi si chinò e raccolse dalla cintura dell’uomo pesce azzurro una carta ingiallita
 
“è una carta nautica relativa alla nostra isola, per giunta disegnata a mano” esclamò Sophia sorpresa, la girò e vide su un angolo un’altra scritta “fatta da Nami… forse uno dei due è Nami”
 
Ace notò invece nervoso l’arsenale di armi che disponevano i due.
 
  “derubateli di ogni cosa, comprese le armi” esordì Ace raccogliendo un pugnale abbastanza grande dal fodero verde “poi leghiamoli all’albero…non piacciono neanche a me questi tizi”
 

***

 
Dalla finestra entrava la luce dorata del tramonto mentre Ace stava mettendo a posto nella loro casa sull’albero le armi appena recuperate dagli uomini pesce.
 
Si asciugò la fronte dal sudore e si sedette, gemendo dal dolore, contro la parete di legno per qualche minuto per riposarsi e riflettere.
 
Sophia aveva usato la stessa tecnica che lui aveva usato contro i pirati di Bluejam qualche anno prima.
 
L’haki del re conquistatore.
 
Così lo aveva chiamato Dadan quando le aveva raccontato quell’episodio in quei quattro giorni in cui si nascondevano nella foresta dai soldati della città. Un’ abilità che possedevano poche persone al mondo.
La dote di intimidire con la propria determinazione.
 
Ace era rimasto davvero colpito che anche lei potesse fare una cosa del genere e ne era contento. Sarebbe stato più tranquillo così quando avrebbe preso il mare, anche se solo al pensiero di separarsi da lei sentiva una fitta al petto. Stava proprio male… e ormai aveva capito il perché.
 
 
Un giorno aveva chiesto a Makino di nascosto, durante una delle sue frequenti visite al covo, il motivo per cui con Sophia sentiva quelle strane emozioni. Ace nell’aprirsi con lei era diventato rosso come un papavero, ma la ragazza, seduta su un masso davanti a lui, fu molto gentile e non rise di lui. Lo guardò con tenerezza e informò amichevolmente:
 
“ti sei innamorato di Sophia”
 
il corvino diventò viola in tutto il viso.
Il suo cuore batteva all’impazzata.
Un uomo duro non ha questo genere di sentimenti.
 
“e tu come fai a dirlo?!” sbottò Ace imbarazzato sgranando gliocchi
 
Makino rise dolcemente e con un dito gli toccò la parte del petto che proteggeva in quel momento il suo cuore frenetico.
 
“è quello che si sente quando si è innamorati” spiegò lei con un sorriso “e da quello che mi hai detto sei perso di lei”
 
Ace sentì improvvisamente le mani sudaticce.
 
Era davvero innamorato di Sophia?
 
Una vocina dentro di lui glielo confermò.
 Infondo era da quando Sophia era annegata e lui le aveva fatto la respirazione bocca a bocca che desiderava riprovare un contatto del genere. Per non parlare di tutte le volte che si incantava a guardarla o quanto ci rimaneva male se lei quando dormiva non lo abbracciava.
Inoltre con lei stava sempre bene, aveva il potere di renderlo vivo e felice.
 
Ace deglutì nervosamente e le chiese timoroso:
 
“a te è mai successo?”
 
Il sorriso di Makino divenne più rigido.
 
“si…ma il mio amore non era corrisposto” sussurrò lei tristemente alzando le spalle “aveva per la testa ancora un'altra donna”
 
Ace ci rimase male per lei e poi il panico si impossessò di lui, dimenticandosi dei principi da uomini duri in un baleno.
 
“e io come faccio a sapere di essere corrisposto?!”
 
 
Mentre Ace stava ripercorrendo mentalmente i consigli e gli avvertimenti di Makino, Sophia salì nella casa dell’albero e quando lo vide sgranò gli occhi sconvolta.
 
“ti ho fatto così male?!” esclamò preoccupata correndo verso di lui.
 
Ace non si era neanche accorto, tanto era sovrappensiero i minuti prima, di essersi tolto la camicia bucata e sporca esibendo i tagli che gli percorrevano il petto. La cassetta medica di fianco a lui era ancora chiusa.
 
“No! Devi imparare ad attaccare anche con gli artigli, va bene così” disse con fermezza Ace mentre cercava di rialzarsi, ma un gemito di dolore lo tradì e stava per franare a terra se lei non fosse intervenuta prendendolo da sotto le braccia.
 
“lascia fare a me almeno” sussurrò sconsolata sedendosi di fronte a lui munita della cassetta medica.
 
Rimasero in silenzio mentre lei gli puliva delicatamente le ferite e le copriva con bende e cerotti. Ace la guardò assorto per tutto il tempo, confermando a sé stesso ogni minuto che passava che era follemente perso di lei.
 
Amava tutto di lei e sarebbe stato in grado di guardarla negli occhi per ore senza mai stancarsi.
In più stava diventando una combattente niente male anche se doveva smetterla di preoccuparsi che lui si facesse male; poteva resistere ad ogni cosa.
 
Sophia mise fine al silenzio fra loro riportandolo alla realtà.
 
“non mi piace farti male con gli artigli” mormorò gravemente mettendo l’ultimo cerotto.
 
Ace scosse la testa e ribatté dolcemente:
 
“non mi hai fatto male credimi” e istintivamente, senza pensarci, le mise dietro l’orecchio una ciocca biondi ribelli con un movimento lento, finendo poi per accarezzarle il viso.
 
Sophia alzò lo sguardo su di lui e arrossì sulle guance, sgranando gli occhi sorpresa.
Ace abbozzò un sorriso incredulo ricordando improvvisamente quello che gli aveva insegnato Makino sull’arrossire.
 
Forse anche lei provava i suoi stessi sentimenti.
 
Sentendosi improvvisamente più coraggioso e determinato Ace si sporse verso di lei e le diede un dolce bacio sulla guancia.
Il suo profumo lo travolse, facendolo quasi rabbrividire.
 Ace si sentì in fibrillazione soprattutto quando notò, scostandosi da lei di poco per guardarla, che Sophia, oltre ad essere diventata rossa come un pomodoro, lo guardava intensamente e aveva la bocca schiusa dallo stupore.
 
Appena Ace abbassò lo sguardo sulle sue labbra domandandosi quanto sarebbe stato bello baciarla in bocca, la voce squillante di Luffy di fianco a loro li fece sobbalzare dallo spavento:
 
“Ace che cosa le hai appena detto all’orecchio da sconvolgerla così tanto?!”
 
Sophia strillò e saltò all’indietro portandosi una mano sul petto. Ace guardò con occhi sgranati il piccolo rannicchiato vicino lui con sguardo curioso.
 
“da quanto sei qui?!” chiese nervosa Sophia con la voce di qualche ottava più alta.
 
“ho visto che ti ha sussurrato una cosa all’orecchio” rispose ingenuamente Luffy inclinando la testa “ma non ho sentito cosa, lo dite anche a me?”
 
“cosa sei venuto a fare?” ringhiò Ace alzandosi in piedi a fatica
 
“Gli scarabei avevano finito di lottare e volevo sapere quando avremmo cenato” rispose il piccolo con voce sottile sotto lo sguardo minaccioso del maggiore.
 
Ace si portò una mano in fronte sconsolato giurando a sé stesso che quando Luffy si sarebbe interessato a qualcuna gli avrebbe fatto vedere i sorci verdi.
 

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Capitolo 23
*** Capitolo XXIII: Contatto da sogno ***




Ace stava dormendo pacificamente quando venne svegliato da lamenti agitati.
Si stiracchiò stancamente con ancora il cervello annebbiato dal sonno ma spalancò immediatamente gli occhi quando ebbe riconosciuto la voce.
Si tirò su allarmato e accese la lanterna dietro di lui.
 
Sophia era sdraiata su un fianco accanto a lui, e scalciava ogni tanto in modo scattoso con le gambe, come se stesse correndo durante un brutto sogno. In più stringeva convulsamente il suo ciondolo fra le mani; la gemma azzurra emanava una luce molto forte simile alle impronte della biondina.
Non glielo aveva mai visto fare.
 
Si allungò subito verso di lei preoccupato e le spostò i capelli biondi dal viso. Aveva le sopracciglia corrugate e stringeva le labbra. Ace la scrutò a lungo mentre le accarezzava una guancia e dopo diversi minuti gli parve che si fosse calmata un po’. L’avrebbe fatto anche tutta la notte se fosse stato necessario.
Si sdraiò su un fianco vicino a lei senza smettere di disegnare cerchi immaginari con il pollice sulla sua guancia.
 
Mentre si stava chiedendo cosa stesse sognando le labbra di Sophia si schiusero e sussurrarono in un soffio dolce:
 
“Ace”
 
Il corvino per poco non sobbalzò, trattenendo il respiro sonoramente con un mezzo sorriso stampato in faccia e la guardò incredulo per qualche istante.
 
Lo stava sognando!
Con il cuore febbricitante, senza neanche pensarci, prese con delicatezza il corpo caldo di Sophia tra le braccia stringendoselo a sé. Le fece accoccolare la testa sul suo bicipite destro e con un l’altro braccio le circondò la vita sottile.
 
Sophia si mosse leggermente nel sonno e incastrò una gamba nuda fra le sue ed Ace a quel contatto sentì strani brividi in tutto al corpo.
Sembrava più rilassata.
 
Si sentiva felice come non mai a sentirla così vicino a lui, libero da qualsiasi imbarazzo e rossore. Appoggiò la fronte alla sua e i loro nasi si sfiorarono.
 
Avrebbe voluto dirle tutto ciò che provava per lei ma non aveva idea di come farlo e il terrore che lei non provasse lo stesso sentimento lo terrorizzava.
 
Ace le alzò leggermente il viso, le diede un bacio delicato sulla fronte e si addormentò felice assaporando quelle nuove emozioni che traboccavano in lui.
 
 ***
 
Sophia guardava affascinata il panorama davanti a sé, ma non riusciva a rilassare l’animo davanti a quella bellezza e il suo cuore martellava nel petto.
Qualcosa la intimoriva. Quel luogo, nonostante la bellezza mozzafiato, esalava una sensazione sinistra. Le sembrava di essere intrappolata in una gabbia, anche se si trovava in una piccola isola in mezzo all’oceano.
 
Una collina erbosa di un verde estremamente brillante si estendeva davanti a lei ed era cosparsa da infiniti fiori di un bianco quasi accecante, e in lontananza si intravedeva un mare dall’acqua cristallina, quasi fin troppo chiara. Il sole torreggiava alto nel cielo azzurro mentre una leggera brezza correva furtiva tra i fiori e l’erba fino ad insinuarsi tra i suoi capelli lunghi.
 
Sembrava troppo reale per essere un sogno, troppo nitido e dettagliato. Sentiva perfino gli odori e la morbidezza del prato con i piedi scalzi.
Che fosse davvero la realtà e non se lo ricordava?
Improvvisamente sentì diverse voci femminili e Sophia per poco non strillò dallo spavento.
Non aveva capito cosa avessero detto, avevano sussurrato concitate qualcosa che lei non era riuscita ad afferrare.
 
Si guardò attorno con circospezione, facendo scattare la testa frenetica a destra e a sinistra. Deglutì nervosamente e decise di correre per tutta la collina per cercare le donne che avessero parlato ma constatò di essere sola.
Il suo occhio poi cadde sul suo piede a mezz’aria.
L’ombra sotto di lei non c’era nonostante la luce intensa sopra di lei.
 
Ok, questo è impossibile.
In che posto si trovava?
Scrollò le spalle sconsolata e si lasciò cadere nell’erba morbida, inspirando l’odore dolce dei fiori.
Anche se il luogo la inquietava parecchio si sentì stranamente più calma e ne approfittò per ragionare.
 Poteva essere una delle sue visioni…però non succedeva nulla e stava durando da troppo tempo, le visioni duravano degli attimi e inoltre avrebbe dovuto trovarsi precedentemente in acqua e lei prima...
Uno sfarfallio allo stomaco le fece ricordare la sera prima.
 
Ace l’aveva baciata sulla guancia.
 
Si girò a faccia in giù, nascondendosi nell’erba per l’imbarazzo lamentandosi con un lungo grugnito. Almeno ora era certa che fosse solo uno strano sogno, ricordava di essere a letto.
Impressionante come dalla paura era passata a quella tematica più leggera.
Non sapeva come interpretare quel gesto del corvino.
Erano stati sempre affettuosi negli ultimi anni, ogni giorno che passava erano sempre più uniti e il contatto fra loro così affettuoso era diventato per lei quasi una droga.
 
 Un bacio però non era mai capitato, come non le era mai capitato di desiderarne altri.
 
I suoi occhi neri la guardavano diversamente nell’ultimo periodo e lei aveva iniziato a perdercisi dentro sempre di più, erano magnetici per lei. Lo cercava sempre con lo sguardo ed era sempre stranamente felice se c’era lui.
Sophia sapeva che infondo le piaceva quando la imbarazzava facendola arrossire sulle guance o quando il suo cuore batteva più velocemente alla sua sola vicinanza. La sua presenza la calmava mentre solo al pensiero che fra qualche anno sarebbe partito senza di lei, le si spezzava il cuore e le veniva da piangere.
Certo ci sarebbe stato Luffy con lei a cui voleva un bene dell’anima, con cui inoltre aveva un legame di sangue, ma Ace era diverso.
 
I libri letti che trattavano questo argomento improvvisamente le balenarono in mente e la fecero giungere ad unica conclusione plausibile.
Aveva riconosciuto i suoi sintomi, era innegabilmente quello.
 
Era innamorata di Ace.
 
Sospirò rumorosamente ed emise un lungo gemito mentre si chiedeva cosa avrebbe dovuto fare d’ora in poi e dopo svariati minuti di pensieri frivoli il cielo diventò improvvisamente di un bianco irreale e accecante.
Si trasformò immediatamente in leopardo senza neanche pensare o respirare e si accovacciò in posizione d’attacco e si guardò attorno con circospezione.
 
Attivò i suoi sensi da felino per capire cosa stesse succedendo quando sentì il suo naso inebriato e stordito dal profumo di Ace e la testa le girò vorticosamente. Cercò avidamente di seguire l’odore ma le sembrava dappertutto. Era talmente presa da Ace che si accorse solo all’ultimo momento della vicinanza di una persona alla sua destra.
 
Un’alta figura femminile era a pochi passi da lei e la raggiunse sinuosamente.
 
I lunghi capelli candidi come la neve si mescolavano in quel cielo abbagliante e chiaro mentre la pelle bronzea del fisico snello faceva da contrasto a tutto quel bianco. Una gonna lunga e sgualcita fluttuava leggera nel vento mentre i bracciali dorati nei polsi luccicavano. Gli occhi azzurri come il mare della donna la guardavano avidamente, riuscendo a guardare anche nelle zone più recondite della sua anima e le labbra a cuore si aprirono in un sorriso dolce.
 
Sophia non si era neanche accorta di essere tornata umana, indietreggiava impietrita davanti a quella figura. Non stava neanche più respirando, il suo cuore non batteva. Aveva paura ad emettere qualsiasi suono. Poteva svanire da un momento all’altro. Non l’aveva mai sognata in modo così reale.
 
Mamma.
Quella era la mia mamma.
 
Sentì qualche lacrima rigarle il volto ma non ci fece caso, incespicò verso di lei e la abbracciò disperata facendola franare a terra.
Sembrava stanca e debole, non aveva avuto la forza di reggerla.
 Era così vera al tatto, era meglio di qualsiasi ricordo, un sogno così bello non lo aveva mai fatto.
 
Elisabeth rise e senza perdere l’abbraccio della figlia, le accarezzò i capelli e le mormorò dolcemente:
 
“come sei diventata grande Sophia… sei così bella”
 
Sophia alzò la testa per osservare la madre sotto di lei, cercando di assorbire più dettagli possibile.
Aveva gli occhi lucidi e sembrava davvero felice di rivederla.
 
 “ho dodici anni” singhiozzò la biondina debolmente
 
“lo so” sussurrò Elisabeth un sorriso amaro, asciugando delicatamente le lacrime della figlia con le dita.
 
Sophia avrebbe voluto che non fosse solo un sogno come al solito, avrebbe voluto chiederle mille cose, parlare con lei ore e ore ma sapeva che non era reale. Doveva solo godersi quel momento di felicità.
 
Fu solo quando l’occhio le cadde sull’addome piatto e nudo della madre che smise di singhiozzare e la sua mente lavorò frenetica.
La maglia sgualcita, che Sophia non ricordava di averle mai visto addosso, si era spostata rivelando una cicatrice brunastra appena sotto le costole, grande più di un pugno e dai bordi frastagliati che sembrava avere la stessa forma di una stella.
 
Sophia ci passò sopra le dita sospettosa e sentì la pelle più liscia in quella zona.
 
 Non aveva mai sognato sua madre con la cicatrice esattamente nel punto in cui l’avevano colpita… non poteva essere una scena del futuro perché l’aveva vista morire trafitta da una lancia… nessuno poteva sopravvivere ad un colpo del genere.
 
Sophia, ancora sovrappensiero, guardò sospettosa la madre, la quale ricambiava con uno sguardo guardingo e molto teso finché la donna si mise a sedere di fronte a lei, coprendosi la cicatrice.
La biondina sgranò gli occhi incredula.
Non si era accorta che il viso della madre era più sciupato e magro di come se lo ricordava e la sua pelle mostrava molte più cicatrici di quante ce ne fossero state in precedenza.
 
Perché doveva sognarla con tutte quelle cicatrici sul corpo, come poteva sapere una cosa del genere?
Era frutto della sua immaginazione o si trovava, chissà in quale modo, di fronte a sua madre in carne e d’ossa?
Il suo cuore iniziò a gonfiarsi di felicità e non riuscì più a trattenersi.
 
“mamma sei davvero tu? Sei viva?!” mormorò Sophia inebetita provando ad allungare una mano verso il viso della madre, la quale a quelle parole si alzò di scatto in piedi allontanandosi sospettosa.
 
La guardava allarmata e chiese lentamente soppesando ogni parola:
 
“Cosa intendi dire con quelle parole?”
 
 “questo non è un sogno vero?” esclamò appassionata Sophia con le lacrime di emozione agli occhi, cercando di abbracciare alla madre “mi sembrava tutto strano dall’inizio, ho sentito anche delle voci e poi la tua cicatrice…”
 
La donna dai capelli bianchi come la neve la guardò sbigottita e allo stesso tempo tormentata e fermò con una mano la biondina e la interruppe cupa:
 
“n-non sono io tua madre… non sono lei”
 
La speranza e la felicità che le erano appena nate nel petto morirono con la stessa velocità con cui erano arrivate.
 
“chi sei?” esclamò Sophia arrabbiata allontanandosi di scatto dalla donna “chi mi sta manipolando la testa?” e si guardò attorno frenetica e nervosa “sono per caso quelle voci?!”
 
La donna si allarmò e le si avvicinò mettendole le mani sulle spalle ma Sophia le mostrò i canini da felino ringhiandole minacciosa.
 
“ascoltami ti prego” la supplicò ansiosa la donna, sembrava più stanca all’improvviso “ho delle cose importanti da dirti”
 
“perché hai preso le sembianze di mia madre?” ringhiò la biondina intimidatoria tirando fuori gli artigli dalle zampe “se hai simulato la sua cicatrice nell’addome sai che è morta anni fa”
 
La donna dai capelli candidi vacillò a quelle parole e si limitò a guardarla sovrappensiero a lungo con uno sguardo imperscrutabile, finché lasciò andare Sophia sedendosi sull’erba con aria sofferente. Sembrava davvero debole.
 
“prendendo le sue sembianze ti saresti fidata di più di me” dichiarò in tono asciutto la donna, alzò poi lo sguardo inchiodandola con i suoi occhi azzurri pieni di tormento “sono una strega non devi avere paura di me”
 
Non sapeva se fidarsi di qualcuno che si fingeva sua madre, ma se fosse stata una strega avrebbero dovuto essere in qualche modo dalla stessa parte.
 
“non sapevo che le streghe potessero prendere le sembianze di qualcun altro “disse Sophia in tono inquisitorio avvicinandosi alla donna “sei per caso dentro ad un mio sogno? Perché sono sicura di essermi addormentata prima di tutto questo” e si sedette davanti a lei guardandosi attorno con circospezione.
 
La donna la guardò a lungo studiandola attentamente, abbozzò un sorriso tirato e spiegò con tono serio:
 
“le nostre menti in questo momento sono collegate sfruttando un tuo sogno” fece una pausa per guardare l’espressione della biondina che si era illuminata all’improvviso a quelle parole, ma la fermò quando vide che la stava per interrompere “non ho molto tempo per mantenere questo contatto, ascoltami!” e le prese il viso tra le mani.
 
“Dovrai stare molto attenta d’ora in poi, la tua vita è in pericolo” continuò la donna con fermezza con una leggera punta di disperazione nella voce “gli uomini pesce che hai incontrato da poco…”
 
“come fai a sapere…?” la interruppe Sophia sospettosa assottigliando gli occhi
 
“non importa come lo so” esclamò la donna spazientita “sta di fatto che fanno parte di una ciurma di pirati che fa accordi sporchi con una squadra speciale scientifica del governo per ottenere favori nel mare dell’Est… Sophia mi devi promettere che qualsiasi cosa succeda tu starai lontana da quegli uomini pesce, ne va della tua vita!”
 
Sophia trattenne il respiro pietrificata mentre gli occhi azzurri della donna la puntavano dritto disperati e tormentati come il mare in tempesta.
La biondina annuì leggermente, deglutendo nervosamente. La donna davanti le lasciò lentamente il viso e sospirando si perse con lo sguardo verso il mare, quando Sophia mormorò debolmente:
 
“sei davvero identica alla mia mamma” e, non riuscendo a trattenersi, allungò una mano curiosa verso il viso della donna che continuava a guardare l’orizzonte alla sua sinistra, la quale, presa alla sprovvista, sgranò gli occhi lucidi e per poco non sobbalzò a quel tocco gentile.
 
“ma è vero…non puoi essere lei” concluse Sophia tristemente abbassando lo sguardo e si alzò lentamente.
 
La donna parve sollevata nel sentirselo dire, nonostante l’espressione addolorata stampata sul volto, e le chiese con un filo di voce:
 
“cosa te lo fa pensare?”
 
Sophia volse lo sguardo verso il mare, lo contemplò per qualche istante e le rispose in un sussurro tetro:
 
“beh, mia madre non mi avrebbe lasciato mai da sola per tutti questi anni se fosse ancora viva” poi si girò verso la donna, la quale si era alzata ed era vicino a lei con lo sguardo tormentato da un antico dolore.
 
“è vero” le rispose cupa la donna prendendole nuovamente il viso tra le mani guardandola dritta negli occhi “avrebbe fatto qualsiasi cosa per te, perché ti amava più di qualsiasi altra cosa” e poi prima che Sophia se ne rendesse conto le coprì gli occhi con le mani.
 
L’unica cosa che vedeva era il rosso delle palpebre.
 
“ehi che f…?!” tentò di ribellarsi, ma la morsa sembrava invincibile, non riusciva più ad aprire gli occhi.
 
“svegliati Sophia” disse con fermezza la voce che assomigliava così tanto a quella di sua madre.
 
“no ti prego voglio sapere!” tentò di urlare prima di cadere nell’oscurità.
 
Sembrò vorticare furiosamente nel vuoto, le mancava la terra sotto ai piedi, ma all’improvviso le sembrò di vedere quattro forme luminose che le giravano attorno, allontanandosi da lei lentamente sempre di più mentre sussurravano cose incomprensibili.
Lei però voleva sapere di più, voleva capire cosa dicessero, voleva ancora sentire quella voce così simile a quella di sua madre e cercò di aggrapparsi disperata con tutta la sua facoltà mentale a quei sussurri.
 
“NO!” ruggì arrabbiata e all’improvviso le sembrò di aver fermato quella caduta senza fine, riuscendo finalmente ad aprire gli occhi.
 
La sua visuale era cambiata drasticamente.
 
Una sinistra oscurità la avvolgeva come una morsa infernale provocandole brividi in tutto il corpo.
Si ritrovò seduta per terra in un pavimento metallico, un corridoio stretto dal soffitto altissimo si allungava di fronte a lei. L’unica flebile luce che illuminava l’ambiente proveniva da quattro celle davanti a lei, creando aloni luminosi bianchi, rossi, verdi e azzurri.
 
 Le sbarre delle prigioni ai lati rilucevano in modo familiare, sembravano fatte di perla.
Quando capì dove aveva già visto quel metallo trattene il respiro sentendo solo l’angoscia invaderla.
 
Armalcolite.
 
Il metallo per fermare le streghe.
 
Le scene della morte di sua madre trafitta da una lancia con quello stesso metallo perlaceo le passarono davanti agli occhi provocandole brividi talmente forti da farla quasi tremare come una foglia.
 
Una voce femminile limpida e squillante ruppe il silenzio facendole scattare la testa verso destra.
 
“Perché non hanno ancora aperto gli occhi?”
 
Proveniva dalle celle, c’era probabilmente più di un’persona rinchiusa lì dentro.
 
“abbassa la voce Ginevra… c’è qualcosa che non va…c’è un problema me lo sento” ansimò nervosa una voce molto familiare.
 
Sophia si sentì mancare.
Quella voce era quella di sua madre.
Non poteva essere lei, si ripeté per evitare di soffrire nuovamente, era sicuramente la stessa donna di prima.
 
“perché il collegamento con la bambina non è ancora interrotto?!” chiese la voce limpida con insistenza “io sono ancora tutta illuminata!”
 
Parlavano di lei?
 
Sophia senza neanche rendersene conto si era alzata, dirigendosi verso le celle alla sua destra, da cui provenivano le voci, e quello che vide la pietrificò.
 
 Una donna dai lunghi capelli rosa chiaro era appesa alla parete incatenata con grosse catene. Una decina di tubi rossi le entravano nel corpo dilaniato dalle ferite e dalle cicatrici, ma la cosa che sorprese di più Sophia erano le impronte che emanavano una flebile luce rossa che le percorrevano solo la metà superiore del corpo.
I lineamenti del viso fini e sfuggenti si contorsero in un’espressione sconvolta, trattenne il respiro sonoramente e sgranò gli occhi dorati guardandola incredula.
 
Era una strega anche lei.
 
“forse so il perché non sono ancora sveglie” esalò in un sussurro incredulo la donna dai capelli rosa “è proprio davanti a me il problema”
 
La voce, identica a quella di sua madre, le fece spostare il suo sguardo.
 
“cosa c’è davanti a te?” chiese allarmata
 
Sophia sentì le viscere contorcersi violentemente nel vedere che nella cella a fianco c’era la donna identica a sua madre appesa al muro da enormi catene.
 
Come la donna dai capelli rosa, aveva diversi tubi, in questo caso blu, che le entravano nel corpo martoriato di ferite. Del sangue fresco sgocciolava lento, sporcando le vesti sgualcite che indossava, l’enorme cicatrice nell’addome faceva capolino dalla maglia bucherellata. I capelli candidi le ricadevano disordinati davanti al viso armonioso ed erano macchiati da sangue incrostato e scuro.
 
Anche le sue impronte si illuminavano flebilmente creando attorno a lei un alone azzurro chiaro, eccetto il braccio sinistro. Solo sua madre aveva quelle impronte azzurre come lei, come poteva non essere lei?
Gli occhi della donna erano spalancanti e ricolmi di terrore mentre la osservavano.
 
“mamma?” mormorò Sophia istintivamente, senza pensarci, e si avvicinò a lei.
 
“non sono tua madre te l’ho già spiegato…tua madre è morta anni fa” la contraddisse la donna con un tono quasi stridulo “vattene via… svegliati”
 
Era stata una stupida a poterlo sperare di nuovo.
Sentire quelle parole pronunciate da quel corpo e da quella voce le provocò una fitta al petto dolorosa.
 
“no!” ribatté testarda guardando torva la donna “voglio sapere di più! Non mi hai detto neanche come ti chiami e perché mi hai detto quelle cose nel prato”
 
“ehi tu mocciosa…ti conviene ascoltarla!” esclamò infervorita la donna dai capelli rosa chiamata Ginevra “ti conviene andare via subito”
 
Sophia la ignorò e si voltò verso le altre due celle dietro di lei.
 
Altre due donne erano appese nelle stesse condizioni. Una dai lunghi capelli neri, lisci come spaghetti e dai lineamenti spigolosi e sottili, con impronte di un colore bianco solo nella parte inferiore del corpo mentre l’altra aveva un viso ovale dolce incorniciato da ondulati capelli castano chiaro e impronte deboli di un verde chiaro solo nel torace e nelle braccia. Entrambe sembravano profondamente addormentate e affaticate.
Non aveva mai visto così tante impronte insieme e per di più di così tanti colori.
Erano quattro streghe?
 
“dove siamo?” chiese Sophia in un debole sussurro, ma improvvisamente una porta infondo al corridoio si aprì con un cigolio sinistro, inondando di luce l’ambiente e rivelando sulla soglia un uomo altissimo con una veste nera.
 
Il cappuccio gli copriva il volto ma una strana corona dalla forma allungata torreggiava sul suo capo.
 
“è Im” mormorò piano Ginevra, facendo tintinnare le catene che la legavano “deve andarsene potrebbe capire qualcosa” disse rivolta alla donna dai capelli candidi.
 
Sophia non riusciva a spostare lo sguardo, vedeva quell’uomo avanzare lentamente verso di lei e una sensazione orribile la invase, un gelo quasi innaturale. Non riusciva a muoversi…lei però voleva salvare quelle quattro donne…erano streghe come lei.
 
“VA VIA!” gridò improvvisamente a squarciagola con voce disperata la donna identica alla madre mentre cercava inutilmente di liberarsi dalle catene dimenandosi come un animale selvaggio.
 
Sophia riuscì finalmente a muoversi e si avvicinò di scatto alla cella della donna, sembrava tormenta dall’angoscia e dal dolore.
 
“vi voglio liberare!” esclamò Sophia infervorita guardando dritta negli occhi la donna e stringendo le sbarre davanti a sé, ma nello stesso momento in cui le toccò si sentì improvvisamente debole e tutto si fece scuro. Scivolò nell’oscurità cadendo nel vuoto finché non si svegliò di soprassalto.
 
***
 
Quando Im se ne andò dopo poco senza nessun sospetto, riuscì a tirare un sospiro di sollievo. Infondo quante volte gli avevano urlato addosso i peggiori epiteti sulla faccia della terra.
Eileen e Selena iniziarono a svegliarsi lentamente davanti a lei, sembravano le più distrutte. Infondo era loro il compito di connettere le menti e di manipolare i sogni, solo loro potevano farlo.
 
“direi che hai guadagnato il premio di migliore madre dell’anno oggi, eh Elisabeth?” commentò sarcastica Ginevra nella cella alla sua sinistra.
 
Non riusciva più a sentire la parola madre per quel giorno, non dopo aver negato di esserlo davanti a sua figlia.
Prima che potesse ribattere con una battutaccia, Selene che con un soffio le disse scrutandola con i suoi occhi grigi:
 
“ricordati che lo hai fatto per il suo futuro…e per quello del mondo intero”
 
“già” mormorò cupa e senza che se ne rendesse conto una lacrima le corse giù per la guancia.
 
Era la prima lacrima che versava dopo cinque anni di prigionia e torture.


Angolo dell'autrice:
buonpomeriggio a tutti!!! grazie per seguire così in tanti la storia e per i vostri consigli e commenti <3 sono sempre ben accetti anche se fossero critiche negative (aiutano a capire i propri problemi)
Volevo scusarmi per aver pubblicato così tardi, ma forze di causa maggiore me lo hanno impedito (esame universitario che devo fare online fra qualche giorno, come tutti i poveri studenti sfigati come me del momento), spero di aggiornare comunque la storia frequentemente, e poi auguro una buona pasqua a tutti anche se saremo ancora in quarantena :(    ( quanto scommettete che a pasquetta ci sarà il sole e sarà una bellissima giornata?! ahaha)
Baci a tutti quanti e mi raccomando mangiate più uova che potete! :D
 

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Capitolo 24
*** Capitolo XXIV: First Kiss ***


Sophia spalancò gli occhi terrorizzata sentendosi il cuore in gola e per poco non sobbalzò gridando quando sentì delle braccia addosso a lei.
Il profumo e il corpo di Ace, illuminato dalla luce dell’alba, però le fecero capire poco dopo di essere al sicuro nella loro casa sull’albero.
Pensava di essere stata catturata da quell’individuo sinistro chiamato Im.
 
Fortunatamente era al sicuro tra le braccia di Ace.
La teneva stretta a sé in modo affettuoso.
Un braccio attorno alle spalle sotto di lei e quello sopra le circondava la vita.
 
In quel momento capì perché prima, nel contatto con quella donna misteriosa, aveva sentito il suo profumo. Il suo volto era nascosto nel petto di Ace, il quale dormiva profondamente ignaro di tutto, alzando ed abbassando il torace a lunghi intervalli regolari.
 
Quel ritmo sembrò cullarla.
Cercò di imitarlo, inspirando lentamente ed espirando facendo fuoriuscire l’aria in modo più controllato.
Il suo battito iniziò a rallentare gradualmente.
 
Improvvisamente la sua mente fu inondata dalla consapevolezza della nottata appena passata.
Aveva davvero avuto un contatto con altre streghe mentre dormiva?
 
Era talmente sovrappensiero che, dopo svariati minuti a rimuginare, non si era ancora accorta del dolore alla mano che provava.
Si era per caso fatta male senza accorgersene?
La guardò sotto la luce del primo mattino ma era liscia e non mostrava ferite evidenti. La stiracchiò un attimo ma non riuscì a riportarla vicino alla sua collana come prima.
 
Il desiderio di circondare la vita di Ace le affiorò nella mente e incapace di resistere fece passare la mano nell’insenatura che si formava nel corpo di lui tra il braccio che la stava abbracciando e il fianco nudo e asciutto.
Si strinse a lui, annullando anche quei pochi centimetri di distanza che li separavano, e appoggiò l’orecchio sul suo cuore, stando attenta a non premere troppo sulle ferite coperte dalle bende che gli circondavano il petto. Quel ritmo forte e sicuro riuscì quasi a calmarla del tutto.
 
Quegli attimi di falsa illusione in cui aveva creduto che sua madre fosse viva l’avevano logorata dentro, visto che quella donna misteriosa aveva le sue sembianze.
Sembrava che il fantasma di sua madre le avesse voluto fare uno scherzo schiaffeggiandola in pieno viso.
Per dirle poi cosa?
Avvertirla sugli uomini pesci che avevano già sconfitto?
 
Sospirò profondamente, assaporando il profumo di Ace che la avvolgeva, ignorando la capriola che fece il suo stomaco.
Odorava di muschio bianco e agrumi, dolce e fresco allo stesso tempo.
Con le dita iniziò a tracciargli dei cerchi immaginari in mezzo alla schiena e il volto di sua madre con quella cicatrice sull’addome le balenò di nuovo in mente.
 
Scosse lievemente la testa.
Non doveva rincorrere il passato, sua madre era morta e defunta e lei lo doveva sapere bene visto che era presente.
Doveva essere forte come lei e andare avanti.
I morti non possono tornare in vita, si continuò a ripetere mentalmente, quella era una strega che aveva avuto la malsana idea di prendere i panni di sua madre, pensando di fare la cosa giusta, per riferirle uno stupido messaggio.
 
Ad un tratto le venne in mente cos’altro era successo durante quel contatto in quell’ isola stregata.
Le sue dita smisero di muoversi e sentì il cuore agitarsi nuovamente nel suo petto. Le sue guance diventarono presto accaldate dopo quel pensiero.
 
Come gli avrebbe detto quello che provava per lui? 
 
Le sue guance iniziarono ad accaldarsi a quel pensiero.
 
Avevano per di più stretto un patto di fratellanza, Ace era suo fratello!
 
Solo in quel momento notò la mancanza di un altro corpo addosso a lei.
Dov’era Luffy?
 
Si mosse lentamente, alzando leggermente il capo, stando attenta a non svegliare Ace e vide finalmente il fratello minore.
Non si chiese come ci era finito lì, con Luffy era tutto possibile.
 
Aveva la testa a una decina di centimetri da quella di Ace, formando insieme a lui una particolare linea di corpi sul pavimento. Era rotolato fuori dal suo futon, trascinandosi con sé la sua coperta, con cui si era attorcigliato fino a metà testa, facendolo assomigliare ad un involtino con un ciuffo di capelli neri.
 
Sophia, dopo tutto quello che aveva passato durante la notte, riuscì perfino ad abbozzare un sorriso mentre lo guardava.
Mentre cercava di rimettersi nella stessa posizione di prima, il suo sguardo venne rapito dal volto di Ace illuminato dall’alba e si immobilizzò.
Dormiva serenamente, i capelli neri leggermente ondulati gli ricadevano sugli occhi chiusi e sugli zigomi pieni di lentiggini.
 
Si sdraiò sul fianco come prima, ma più in alto, alla sua stessa altezza per poterlo osservare meglio.
Le sembrava più difficile stargli vicino dopo ieri sera, ma allo stesso tempo lo voleva di più. Forse perché prima mentiva a sé stessa dicendosi che il suo enorme affetto per lui era solo fraterno.
 
Il desiderio di toccarlo ebbe la meglio su di lei e con una mano gli spostò i capelli dal viso. Le sue dita alla fine si persero a sottolineare delicatamente i lineamenti giovanili e sottili del ragazzino, unì le costellazioni delle sue efelidi, finché arrivò alle sue labbra morbide delineandone i contorni.
 
La bocca di Ace si schiuse leggermente al suo tocco.
 
Il suo cuore perse un battito ma Sophia volle comunque indugiare per qualche istante, esplorando con le dita la superficie del suo labbro inferiore.
La sera prima Ace le aveva dato un bacio sulla guancia.
Il solo pensiero fece fremere il suo corpo di desiderio e senza neanche pensarci, ascoltando solo i suoi istinti, si allungò verso di lui e lo baciò delicatamente vicino all’angolo della bocca.
 
Non ebbe neanche il tempo di poter assaporare bene il momento, poiché Ace cominciò a muoversi e a stiracchiarsi, alzando il braccio che fino a quel momento era stato attorno alla sua vita.
 
Sophia si allontanò di scatto dal suo viso, come se avesse appena preso la scossa elettrica, ma il corvino aprì gli occhi quando lei era ancora a pochi centimetri dal suo viso.
 
“cosa stai facendo?” mormorò Ace sorpreso, con un mezzo sorriso.
 
“e-ehm niente!” balbettò nervosa Sophia, sentendo le guance diventare improvvisamente bollenti.
 
Ace notando la sua reazione corrugò la fronte perplesso e lei sempre più in imbarazzo, con il cuore martellante nel petto, provò subito ad alzarsi. Il corvino però la bloccò, mettendole una mano sulla fronte e spingendola di nuovo giù accanto a lui.
 
Stava già per ribattere qualcosa ma quando girò la testa verso Ace per poco non si imbatté contro il suo naso, visto che si era avvicinato vertiginosamente a lei.
Ace si aprì in un sorriso sghembo.
La sua testa galleggiò improvvisamente nel vuoto mentre lo osservava…da quando era diventato così carino?
 
“cosa hai sognato stanotte?” le soffiò sul viso, con gli occhi accesi di malizia, mettendo l’avambraccio che prima le circondava le spalle sotto la testa.
 
Sophia vacillò di colpo, sbiancando in viso e farfugliò confusa:
 
“come fai a sapere cosa è successo stanotte?”
 
Il sorriso di Ace svanì.
 
“successo?” ripeté lui perplesso, assottigliando gli occhi fino a farle diventare due fessure.
 
“non ho semplicemente sognato Ace” mormorò lei inquieta, sentendo i brividi al pensiero di dover rievocare le immagini di quella donna finta “ho avuto un contatto con delle streghe mentre dormivo”
 
Il corvino trattene il respiro completamente esterrefatto.
Spalancò gli occhi sconvolto ma poi fece trasparire tra i suoi lineamenti la delusione, cosa che la stupì parecchio.
 
Iniziò a raccontargli tutto per fila e per segno, tralasciando la scoperta dei suoi sentimenti per lui, avrebbe voluto pensarci meglio a cosa dirgli a riguardo.
Ace la ascoltava molto attentamente, sembrava alla ricerca di qualcosa fra le sue parole, e continuava ad alternare espressioni tra lo stupore e la frustrazione, tranne quando parlò degli uomini pesce e dell’individuo incappucciato.
 
“ma questo Im, ti ha vista?” chiese con voce turbata, il volto contratto in un’espressione preoccupata
 
“penso di no, ero in mezzo al corridoio e non mi ha proprio notato… forse solo le streghe possono vedersi in questi contatti” rispose lei sovrappensiero giocherellando distrattamente con la sua collana al collo “la cosa strana è che io l’ho percepito…come qualcosa di malvagio e orribile”
 
Lo sguardo di Ace diventò ancora più acceso e inquieto. Le prese all’improvviso il volto fra le mani, facendola quasi sobbalzare e la guardò dritta negli occhi.
 
“gli uomini pesce non te li farò vedere neanche da lontano ma questo contatto non deve più capitare!!!” sentenziò duramente senza perdere neanche per un secondo il contatto visivo “mi hai capito Sophia?!”
 
“perché?!” ribatté Sophia contrariata, sorpresa dell’intensità della sua affermazione “Potrebbero darmi informazioni importanti nel caso, potrei scoprire qualcosa in più sui miei poteri…e poi non l’ho deciso io!”
 
Ace assottigliò gli occhi arrabbiato, sembrava avere due tizzoni ardenti nelle cavità oculari.
 
“Non sai cosa ti potrebbe succedere se ti attaccano lì! Come non sai che tutte le streghe possano volere il tuo bene! E se rimani intrappolata lì?!” esclamò lui impulsivamente e poi il suo volto si contrasse in un’espressione quasi disperata e aggiunse con voce incrinata “potresti non svegliarti più e…e io non posso proteggerti lì!”
 
Sembrava stesse confessando la sua più grande debolezza e paura allo stesso tempo.
Sophia boccheggiò non sapendo cosa dirgli, stupita dalla reazione che aveva appena avuto.
Non l’aveva minimamente preso in considerazione quell’aspetto così negativo.
 
Si fissarono negli occhi per un minuto interminabile mentre Ace, ancora con le mani sul suo viso, le accarezzava leggermente una guancia con il pollice, finché non esordì sovrappensiero:
 
“meglio che non tieni più il tuo ciondolo addosso” e fece scivolare la mano sul suo collo, prendendo fra due dita la gemma azzurra.
 
Sophia a quella strana affermazione si ridestò ed esclamò con disappunto a voce più alta:
 
“perché scusa, cosa c’entra questo?! È di mia madre!” e afferrò la mano del corvino, per non farsi portare via la collana.
 
Luffy dietro le loro teste si rotolò di qualche centimetro nel pavimento e mugugnò nel sonno:
 
“voglio più carne”
 
Sophia invidiò per un momento la serenità dei sogni del piccolo.
 
“stanotte mi sono svegliato con te che gemevi e stringevi nella mano quella pietra luminescente” le spiegò Ace tranquillamente in tono molto serio, ignorando Luffy.
 
“cosa…si è illuminata tutta?” chiese sorpresa corrugando le labbra confusa, lasciando la presa sulla collana.
 
“brillava quasi quanto le tue impronte” aggiunse lui sovrappensiero, osservando la gemma tra le due dita, che in quel momento aveva quasi perso quell'unica nota di luce debolissima che aveva sempre avuto.
 
Rimase interdetta da quell’informazione e la sua mente s’inabissò subito a pensare, astraendosi dalla situazione in cui si ritrovava.
I suoi poteri venivano fuori quando le sue impronte si illuminavano, quindi anche la gemma era magica?
Quante cose ancora non sapeva di quel mondo a cui apparteneva solo in parte.
 
Improvvisamente l’immagine della donna identica a sua madre le balenò in mente.
I braccialetti della donna.
Uno di questi aveva una pietra identica alla sua solo molto più luminosa.
Si erano aiutate con quella pietra per trovarla? Che fossero collegate quelle due pietre?
Infondo nessuno era entrato nella casa sull’albero, Ace se ne sarebbe accorto, visto che si era svegliato.
 
Il suo flusso di pensieri venne interrotto dalle mani affusolate di Ace che stavano sfiorando il suo collo per toglierle la collana. Gli afferrò il polso guardandolo allarmata.
Ok che quel ciondolo poteva essere il mezzo del contatto, ma era pur sempre l’unico ricordo che aveva di sua madre.
 
“lo terrò io finché non ne sapremo di più, ok?” suggerì Ace cercando di rassicurarla, mettendosela lui al collo.
 
Sembrava aver ascoltato i suoi pensieri.
Sophia guardò sovrappensiero la gemma sul suo petto bendato e gli mise una mano sopra.
 
“se dovessero mettersi in contatto con te?” chiese con un filo di voce alzando lo sguardo su di lui.
 
“che ci provassero!” esclamò Ace in tono di sfida con un ghigno malandrino stampato sul volto.
 
Lo guardò dritto negli occhi e istintivamente lo abbracciò stretto a sé, circondandogli il collo con le braccia, appoggiando delicatamente il petto su quello bendato di lui.
Infondo se non doveva stare al suo collo, l’unica persona a cui avrebbe chiesto di proteggerla sarebbe stata lui; Luffy molto probabilmente l’avrebbe persa o l’avrebbe usata come merce di scambio per mangiare un pezzo di carne.
 
Ace non si irrigidì come faceva solitamente in passato, anzi la strinse a sé con più trasporto e le accarezzò piano i capelli.
 
“se dovesse succedere comunque un'altra volta, anche senza collana, promettimi che cercherai, per come ti è possibile, di uscirne subito” le sussurrò all’orecchio in tono apprensivo.
 
Si scostò da lui per guardarlo e mentre apriva la bocca per ribattere, Ace la zittì appoggiandole subito due dita sulla bocca e questo le bastò per sentire la pelle d’oca nelle braccia, soprattutto quando lui abbassò lo sguardo sulle sue labbra.
 
“promettimelo” sussurrò distrattamente Ace accarezzandole delicatamente il labbro inferiore con l’indice e il medio.
 
Sophia, con il cuore in gola, non si mosse per almeno un minuto, sentendo le guance accaldarsi sempre di più, finché cedette e annuì debolmente abbassando lo sguardo.
Le fece scivolare le dita fino al mento, provocandole i brividi, e glielo alzò costringendola a guardarlo di nuovo dritto negli occhi d’ossidiana, che in quel momento le sembrò la perforassero.
 
“stanotte hai detto il mio nome” mormorò in tono serio e quasi inquisitorio “perché?”
 
A Sophia si fermò il cuore per un attimo.
Ecco l’informazione che Ace stava cercando prima.
 
“a-h si?” chiese lei nervosa, cercando di pensare in fretta come svignarsela da quell’argomento ancora in costruzione dentro sé stessa.
 
“mi stavi forse pensando?” continuò lui impaziente di avere una risposta, alzando la testa sostenendola con il palmo della mano per sovrastarla con il suo viso.
 
Poteva sentire il suo respiro sulla sua pelle.
Non riusciva a pensare a nulla, le annebbiava completamente la mente.
 
“i-io ho sentito il tuo profumo” balbettò sinceramente, sentendo le guance sempre più calde.
 
Infondo era vero che lo aveva sentito in quel prato.
Aveva solo omesso la parte più importante.
Ace inarcò le sopracciglia felicemente sorpreso.
 
“ah si?” sussurrò assorto tra i suoi pensieri con gli occhi accesi da una luce calda.
 
Le studiò compiaciuto il viso arrossato per qualche istante finché le due dita, che prima le tenevano in alto il mento, tornarono sulle sue labbra delineandone piano i contorni. Nonostante il cuore le avesse iniziato a battere in maniera irregolare e frenetica, le sorse un dubbio…
 
“pensavo un’altra cosa però” le soffiò sul viso Ace ad un tratto, stendendo le labbra in un ghigno malizioso.
 
“cosa?!” chiese senza fiato, senza staccare gli occhi da lui, ignorando il fatto che Luffy dietro di loro stava mugugnando più frequentemente ed era in procinto di svegliarsi.
 
“una cosa tipo questo” disse piano Ace, senza smettere di sorridere, avvicinandosi a lei per darle un bacio lento esattamente sull’angolo della bocca come aveva fatto lei, prima che lui si svegliasse.
 
Sophia trattenne il respiro in quell’istante, sentendo il cuore fermarsi di colpo.
Allora se n’era accorto, urlò Sophia dentro di sé, aveva ripetuto quello che lei aveva fatto quella mattina.
Ace rimase a un soffio dal suo viso in fiamme, portando la sua bocca a qualche millimetro da quella di lei e guardandola con gli occhi socchiusi le sussurrò affettuosamente fra le labbra:
 
“oppure questo”
 
La distanza tra loro venne annullata definitivamente.
 
Ace la baciò a stampo con dolcezza, indugiando per qualche istante sulle sue labbra.
Sophia, a quel tocco morbido e gentile, sentì il cuore esploderle e galopparle nel petto ad un ritmo completamente disordinato.
Non aveva mai provato niente di simile, non era come un bacio sulla guancia o un abbraccio, e si rese conto in quel momento che non avrebbe desiderato nessun’ altra persona al mondo per farle provare un’emozione simile.
 
Solo Ace
 
Lo stomaco le sfarfallò talmente tanto da farla inspirare per un istante, costringendola a schiudere le bocca sotto quelle di lui, permettendo alle sue labbra di muoversi, entrando più in profondità dentro di lei.
Però solo per un secondo, visto che Luffy dietro di loro si svegliò.
 
“possiamo dormire ancora?” mugugnò stancamente ignaro di tutto, senza vedere nulla da sotto le sue coperte.
 
Quando Ace sentì la voce del minore, si allontanò lentamente da lei, rivelando anche lui le guance più arrossate. La guardava sorpreso con la bocca semi aperta poi ,in modo totalmente disinvolto, appoggiò un orecchio sul suo petto.
 
Sophia trattenne il respiro e non osò fare nulla se non cercare inutilmente di regolare il suo battito cardiaco.
Ace alzò quasi subito la testa e guardandola raggiante come non mai le fece un sorriso smagliante e le sussurrò divertito all’orecchio:
 
“ti batte forte il cuore”
 
Sophia scattò a sedere imbarazzata sul suo futon tenendosi una mano sul petto, sentendo il ritmo impazzito al tatto. Ace sghignazzando felice, allungò una mano dietro di lui per scompigliare i capelli di Luffy e poi le aggiunse ammiccando malizioso “fammi poi sapere se ho pensato la cosa giusta”
 
Sophia sgranò gli occhi, aprendo la bocca più volte senza riuscire a proferire nulla sotto lo sguardo divertito del corvino.
Ace era riuscito a farle dimenticare l’uso della parola?
Era questo che faceva l’amore?
 
Quando pensò quell’ultima parola scattò in piedi e si diresse senza motivo dalla parte opposta della stanza, rendendosi conto solo in quel momento che nella parte superiore del corpo indossava solo le bende bianche per fasciare il piccolo seno.
L’imbarazzo iniziò a pervadersi in tutto il suo corpo.
 
“hai voglia di carne per colazione?” chiese allegro Ace al piccolo, dietro di lei.
 
“oh sii!” squittì Luffy al settimo cielo saltando subito sul pavimento pieno di energie “come fai a saperlo?”
 
Ace rise gioioso e gli rispose contento:
 
“ho sentito un sacco di cose interessanti da stanotte!”


***
 
 
“Elisabeth…come ha fatto a fare una cosa del genere tua figlia?”
 
Tua figlia.
 
Non riuscì controllare l’espressione di dolore che le si dipinse sul volto.
Gli occhi azzurri di Sophia infranti come uno specchio rotto dalla sua stessa bugia le trafiggevano la mente come due chiodi nel cervello.
 
La donna dai capelli candidi alzò il capo, che prima era molleggiato in avanti per nascondere le lacrime silenziose da poco versate.
Selene davanti a sé sembrava stanca come non mai, ma i suoi occhi grigio chiaro come l’argento liquido erano vigili e la studiavano attentamente da dietro le sbarre.
 
Probabilmente ci sarebbero voluti giorni se non settimane per ritornare con le stesse forze di prima, o perlomeno potevano riacquistare le forze che poteva avere un prigioniero che veniva frequentemente torturato per estorcergli informazioni segrete a cui stavano provando di continuo a succhiare fuori la loro energia.
La loro rara magia.
 
“scusami Elisabeth” singhiozzò affranta Eileen facendo dondolare i capelli castani ondulati spettinati e sporchi “io non mi sono accorta in tempo della maglietta, ero concentrata a riempire i buchi del tessuto e non mi sono accorta in tempo che ti si era alzata…ha visto lei prima di me”
 
 “fa niente” mentì lei con tono falsamente sicuro “me la sono cavata comunque”
 
“Stavamo per mandare all’aria tutto!” ringhiò Ginevra impulsivamente alla sua sinistra “Sapevamo che la marmocchia era sveglia, non potevi spingerti oltre e modificarle la cicatrice?! Se si fosse resa conto che sua madre era viva chissà cosa poteva combinare”
 
Eileen pianse più forte, facendo cascare il capo mollemente in avanti per nascondersi.
 
“ne abbiamo già parlato mille volte quando ancora formavamo il piano” le rispose acida Elisabeth cercando di non immaginare quello scenario catastrofico “le avrebbe richiesto un’energia tale cambiare il mio aspetto fisico durante il sogno che avrebbe potuto ucciderla!”
 
“scusatemi” mormorò Eileen tirando su con il naso “per noi è molto più semplice modificare l’ambiente e gli oggetti…”
 
“ma con tutta l’energia che le davo per me poteva anche riuscirci” continuò riottosa Ginevra facendo tintinnare le sue catene “è qui da solo sei mesi la ragazzina diciottenne delle foreste
 
Elisabeth alzò gli occhi al cielo. A volte con Ginevra era impossibile ragionare, nonostante fosse dotata di una grande intelligenza, si accendeva come una fiamma incontrollata lasciando sfogare a libera ruota le sue emozioni, ma si sapeva quelle come lei erano così.
 
“io vorrei capire cosa è andato storto, quindi vorrei ricapitolare la situazione vi prego” esordì nuovamente Selene in tono severo e stanco, cercando di far tacere quell’inutile battibecco “il piano prevedeva di utilizzare le due gemme antiche, sfruttando il loro potere di collegare le due energie di due streghe consanguinee, in questo caso madre e figlia, permettendo ad Elisabeth di sentire lo stato d’animo di sua figlia e la sua energia.”
 
Elisabeth alzò il capo verso il suo braccialetto e vide la pietra brillare piena di energia. Poche volte aveva sbirciato nello stato d’animo di Sophia, però controllava sempre la sua luminosità. Più brillava più lei era viva e forte.
 
“ Io dovevo connettere le nostre quattro menti in modo tale da poter lavorare all’unisono, e appena avrei sentito la presenza di Sophia nella mente di Elisabeth avrei dovuto collegare anche la ragazzina” il tono di Selene era serio e inflessibile “Abbiamo scelto di farlo di notte, visto che la mente di una persona che dorme è più debole e calma, in questo modo non sarebbe scivolata via dalla mia connessione e dalla manipolazione di Eileen”
 
“e fin qui è andato tutto come doveva andare” commentò in tono distratto Elisabeth continuando a guardare il suo ciondolo.
 
Tanto sapeva a memoria tutto quanto.
Era da quando era arrivata Eileen, la strega dell’ultimo tipo mancante, che avevano curato nel minimo dettaglio il piano.
Il Governo Mondiale fortunatamente non aveva idea che era meglio non imprigionare insieme quattro streghe, ognuna rappresentante uno dei quattro tipi di strega esistente nel loro mondo. In questo modo i loro poteri mentali potevano essere usati in modo indisturbato anche se erano chiuse in celle fatte di armalcolite e senza soprattutto il loro elemento ad aiutarle.
 
“le uniche che non dovevano utilizzare i propri doni della mente, erano Elisabeth che doveva sia riferirle il messaggio sia collegarsi all’ energia della figlia tramite il ciondolo e Ginevra, che tramite il mio collegamento, poteva donarci un po’ della sua energia vitale senza toccarci, in modo da mantenere il collegamento con Sophia più a lungo”
 
“Ringraziatemi” sbuffò beffarda Ginevra interrompendo Selene “non mi sono mai sentita così distrutta neanche quando mi hanno stagliuzzata tutta per infilarmi questi tubi infernali dentro al corpo”
 
La donna dai capelli corvini la ignorò completamente mentre Eileen le sorrise debolmente come per ringraziarla.
 
“Ora visto che tu eri più collegata con lei, grazie al ciondolo, come ha fatto tua figlia a spezzare il cerchio di potere che avevamo creato?” le chiese Selene con calma, tradendo i suoi occhi che brillavano avidi di curiosità “come ha fatto a impedirmi di tagliarla fuori dal collegamento? Io ho percepito qualcosa di strano in lei ma ero troppo debole e concentrata per capire cosa fosse, non riuscivo ad agire ed Eileen appena ha aperto gli occhi ha detto che quando stavamo provando a rompere il collegamento si è sentita sopraffatta”
 
Elisabeth riuscì ad abbozzare un ghigno stanco.
 
“proprio tu Selene che sei la più anziana e più saggia fra noi, non l’hai capito?” la stuzzicò e la donna dai capelli corvini indurì lo sguardo a quelle parole “Eileen non è svenuta per stanchezza come hai ipotizzato tu all’inizio quando lei ha detto come si è sentita…”
 
“le sue impronte, come le tue, erano ancora visibili” commentò seriamente Ginevra, interrompendola.
 
Una delle poche volte in cui quella donna dai capelli rosa aveva mantenuto un tono di voce discreto. Probabilmente lo aveva già capito lei.
 
“appunto” confermò Elisabeth con un sospiro stanco, poi guardando la più anziana fra loro dritto negli occhi disse con tono deciso “quello che avete sentito era la sua ambizione
 
Selene strabuzzò gli occhi esterrefatta e si irrigidì, serrando la mascella mentre Eileen emise un versetto meravigliato e rimase a bocca aperta dallo stupore.
Ginevra sghignazzò davanti alle loro espressioni.
Il suo cuore ancora da madre, nonostante la situazione assurda e di pericolo costante, non poté che gonfiarsi di orgoglio. Un sentimento che ormai non provava da tantissimo tempo.
 
“l’ambizione del re conquistatore non faceva perdere i pensi alla vittima?” chiese sospettosa Selene assottigliando lo sguardo verso di lei
 
“se è molto presente nella persona quel tipo di haki può presentarsi anche come un’aura intimidatoria che piega non solo la volontà degli altri ma li domina e li comanda a loro piacimento” spiegò subito Elisabeth con un sorriso amaro“ tramite il ciondolo ho sentito la sua frustrazione di conoscere così poco del suo mondo e se conosco ancora bene mia figlia si sarà intestardita nell’inseguire una strega come lei per avere delle risposte alle sue domande, in più era spinta dal dolore…penso però che lo abbia fatto involontariamente nonostante l’estrema abilità di rendere vittima solo voi due che le stavate manipolando la mente ”
 
“un potere simile solo mentre dormiva” mormorò estasiata Eileen con gli occhi umidi
 
“se esercita una tale ambizione sulle persone” commentò Selene riflessiva “l’ambizione che percepirà dal mare e che potrà sfruttare dalle impronte sarà immensa”
 
Ginevra dalla sua cella fece un fischio ammirato e commentò divertita:
 
“ci credo che è lei la prescelta! basterà farla arrabbiare un attimo per far avverare la profezia, voi streghe del mare siete così furiosamente impetuose quando…”
 
“non è così semplice come per voi” la interruppe acida Elisabeth alzando gli occhi al cielo “basta che vi arrabbiate o avete un’emozione intensa che il vostro potere aumenta, una strega del mare deve saper bilanciare le proprie emozioni sia positive che negative”
 
“sì, ma devi accumularla la rabbia o un’emozione intensa in più l’acqua per te è ovunque” le rispose beffarda Ginevra, poi aggiunse sibilando minacciosa al vuoto “io con tutta l’ira e l’odio che ho accumulato nei miei sette anni qui dentro potrei bruciare il mondo intero”
 
Avrebbe scommesso qualsiasi cosa che su quel viso da elfo che si ritrovava, visto solamente una volta di striscio quando l’avevano rinchiusa nella cella accanto alla sua, in quel momento c’era stampato un ghigno maligno.
Quella strega del fuoco poteva essere una calamità se scatenata.
 
“ti ucciderebbe utilizzare un potere simile” le fece notare Selene osservandola leggermente preoccupata
 
“se avessi l’opportunità di estirpare il Governo Mondiale dal mondo lo farei senza problemi” commentò sadica Ginevra “infondo ci stanno già togliendo la vita ogni istante tramite questi tubi”
 
Nessuna delle quattro osò fiatare dopo quelle parole.
L’angoscia che ogni giorno poteva essere l’ultimo sotto quei tubi era sempre presente.
Il Governo Mondiale effettuava da decenni esperimenti sulle streghe provando in ogni modo a rubare la loro magia dalle impronte, volevano averla loro per controllare il mondo. In questo modo avevano quasi sterminato le poche streghe rimaste dopo il secolo buio, senza mai ottenere nulla.
 
Da quando Vegapunk però era entrato nella divisione scientifica del Governo Mondiale riuscivano ad estrarla da loro, ma non ad utilizzarla. Guardò istintivamente il suo braccio ormai privo di magia con una morsa al petto.
 
“Elisabeth hai anche tu un’ambizione del re conquistatore simile a Sophia?” chiese in tono gentile Eileen rompendo quel silenzio ghiacciato che era sceso fra loro.
 
“non come lei” le sussurrò sovrappensiero, poi con un sorriso amaro sul volto le aggiunse “Tolto l’aspetto fisico e i poteri da strega…assomiglia in realtà a suo padre per molte cose… lui ha quel tipo di ambizione fuori dal comune”
 
“non ci hai mai detto chi è il padre, infondo abbiamo rischiato il culo per la ragazzina” commentò subito espansiva Ginevra con un tono di voce quasi ilare.
 
Se solo fosse stata nella cella davanti, l’avrebbe fulminata con lo sguardo.
 
Elisabeth aveva la lingua tagliente ma non era di molte parole per quanto riguardava i suoi sentimenti, era molto riservata.
In più da quando era stata in bilico tra la vita e la morte sei anni prima ed era stata rinchiusa lì dentro, aveva come rinchiuso tutta la sua vita precedente dentro di sé in un’enorme scatola di ricordi ermetica, inaccessibile per chiunque, anche per sé stessa.
Non poteva permettersi di crollare, non poteva soffrire, doveva essere al massimo delle sue facoltà mentali per aiutare Sophia a far avverare la profezia.
Era una delle due salvezze di quel mondo che stava crollando lentamente.
Però da quando l’aveva rivista si era creata una crepa in quella scatola e forse fu per quel motivo che rispose a Ginevra, con sua grande sorpresa
 
“una persona che sicuramente si sarà distinta in tutti i mari” disse dopo qualche istante con voce roca, sentendo gli occhi pizzicare a tradimento.
 
“lo amavi?” chiese dolcemente Eileen inclinando la testa con un mezzo sorriso
 
Improvvisamente un’altra crepa si formò nella scatola, confinante a quella della figlia.
 
“si” disse con voce incrinata, sentendo una lacrima sfuggirle dal suo controllo.
 
Abbassò il capo per nascondere quel sentimento struggente e mormorò pianissimo, più che altro a sé stessa
 
“moltissimo”
 

Angolo dell'autrice:
Buon pomeriggiooo a tutti quelli che seguono la storia e anche a quelli che non lo fanno e che ci sono capitati per caso :) spero abbiate passato una bella pasqua tutti quanti!
so che il capitolo è molto lungo ma spero non vi annoi e che vi piaccia, a me è piaciuto molto scriverlo! la cioccolata dell'uovo mi ha ispirata hahah
ringrazio comunque molto le persone che commentano sempre <3 mi fa sempre molto piacere!
buona lettura :)

 

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