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di A_Typing_Heart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quel posto, per caso ***
Capitolo 2: *** Vecchi amici nella notte ***
Capitolo 3: *** Il suono di quel nome ***
Capitolo 4: *** La fine della favola ***
Capitolo 5: *** La vena d'oro ***
Capitolo 6: *** Un colore come tanti ***
Capitolo 7: *** Il tempo che scorre ***
Capitolo 8: *** Nessun ripensamento ***
Capitolo 9: *** L'amato custode ***
Capitolo 10: *** Tempo scaduto ***
Capitolo 11: *** L'ultimo turno ***
Capitolo 12: *** Una volta ancora ***



Capitolo 1
*** Quel posto, per caso ***


Quando la porta sul retro dell'istituto si aprì cigolando leggermente il ragazzo guardò fuori, lungo la strada. La pioggia persistente aveva fatto desistere la gente della cittadina dal passeggiare o mettersi in strada in massa: solo qualche auto percorreva il viale alberato. Il giovane, che indossava una felpa con lo stemma dell'istituto maschile che frequentava, uscì furtivamente sotto il cielo plumbeo che dava la falsa impressione di un tardo pomeriggio. Richiuse la porta con attenzione, si alzò il cappuccio e si avviò lungo il marciapiede affondando le mani nelle tasche. A passo svelto si allontanò dalla scuola.
Camminò sotto la pioggia fredda e fastidiosamente insistente, guardandosi intorno e alle spalle ogni pochi secondi come un'anima colpevole in fuga da qualcosa di enorme e spaventoso, ma nulla sembrava seguirlo.
Attraversò un incrocio, poi un altro ancora di corsa per evitare il semaforo pedonale rosso e per poco non scivolò sulle foglie bagnate. La pioggia stava aumentando e il ragazzo alzò gli occhi al cielo come a voler protestare contro quell'ingiusto trattamento. Diede un'occhiata indietro solo per sincerarsi di essere fuori dalla capacità visiva di chiunque fosse a scuola, poi si guardò intorno: individuò un locale con la serranda e la porta aperta e decise di infilarsi lì per ripararsi dall'acquazzone.
Il locale aveva tutte le luci spente a eccezione dei piccoli faretti sul bar che illuminavano il banco di legno scuro. Era così buio che pareva l'antro di una belva piuttosto che un luogo di ristoro. Gli unici clienti, a quell'ora del mattino, erano due uomini che confabulavano in un tavolo all'angolo più distante dalla porta. Il ragazzo pensò che probabilmente si trovava in una squallida bettola malfrequentata, ma la pioggia peggiorava con l'aumentare del vento e non voleva rimettersi sulla strada con quel putiferio. Inoltre, più il posto era inquietante meno possibilità c'erano che venissero a cercare uno studente lì dentro.
Aveva appena formulato il pensiero che il suo cellulare squillò. Con una smorfia diretta al cupo soffitto, estrasse il telefono dalla tasca dei pantaloni beige e guardò il display lampeggiante. La chiamata in entrata era di Ishida, uno dei suoi compagni di scuola e compagno di dormitorio. Ponderò con serietà di ignorarlo, ma non voleva che i suoi compagni tentassero di uscire o di fare qualcosa di stupido per cercarlo, convinti che gli fosse successo qualcosa di grave. Mosso da queste insidiose preoccupazioni rispose.
«Che cosa vuoi?»
«Kurosaki!» esclamò una voce irritata al telefono, che riconobbe come quella del suo compagno Ishida. «Ma dove sei sparito? La lezione è cominciata, avevi detto che andavi in bagno e tornavi!»
«Sono fuori.»
«Fuori? Fuori dove?»
«Solo fuori, ho detto.» sbottò Kurosaki, irritato dalla sua insistenza. «Non seccarmi più.»
«Ichigo.» disse da più lontano una voce profonda che riconobbe come quella di Sado, un altro amico che frequentava quella scuola. «Non puoi uscire dalla scuola. Ritorna prima che se ne accorgano.»
«Non adesso, Chado.» gli rispose più calmo, usando il suo soprannome. «Tornerò... ma più tardi. per favore, dì a Ishida di non insistere, non mi interessano le sue noie sul regolamento.»
Seguì un denso ma breve silenzio al di là del telefono.
«D'accordo, Ichigo.» acconsentì Sado. «Stai attento.»
«Sì.»
Ichigo chiuse la chiamata e ripose il telefono in tasca con un sospiro. I due uomini in fondo al bar litigavano anche se tentavano di soffocare i toni irritati: uno sforzo inutile, dato che il bar era totalmente vuoto e qualsiasi parola si sarebbe potuta sentire anche dal marciapiede se non fosse stato per lo scrosciare della pioggia. Ichigo si avvicinò al bancone, ma non vide neanche l'ombra di qualcuno che servisse i clienti. Eppure i due uomini non si erano certo serviti le bottiglie di birra da soli... o sì?
Non sapendo che cosa fare, sedette su uno sgabello, assorto nel pensiero che i due non dovevano essere dei novellini con l'alcol, a giudicare dalle birre alle otto del mattino. Un rumore di vetro tintinnante lo fece sobbalzare e un ragazzo di statura e corporatura notevoli emerse al di là del bancone.
Era uno strano ragazzo. A ben guardarlo non gli avrebbe dato un'età molto superiore alla sua, ma aveva sgargianti capelli azzurri pettinati in su, e indietro, in una maniera che pareva studiata per calamitare l'attenzione di chiunque lo incrociasse. Lo fissò con un paio di occhi azzurro intenso e intorno a quelli aveva un'ombra colorata di verde smeraldo che dalle palpebre inferiori si allungava verso le tempie come un insolito trucco. Ichigo non si accorse di essere immobile a fissarlo stranito finché non gli parlò.
«Beh? Che hai da guardare?» fece l'uomo dai capelli azzurri con tono aggressivo.
«Niente.» rispose subito Ichigo, tentando di ricomporre la propria espressione. «Se tu che servi qui?»
«Io non servo. Ci lavoro.»
«È la stessa cosa, mi pare.» osservò Ichigo asciutto.
«Jaeger, ti devo parlare un minuto.»
La voce estranea veniva da dietro una colonna. Ichigo si dondolò prima in avanti e poi indietro, senza riuscire a vedere niente dell'uomo dalla voce profonda del tutto priva dell'accento della gente del posto. Il ragazzo dai capelli azzurri si mise a strofinare dei bicchieri che, parve a Ichigo, erano già perfettamente puliti e asciutti accanto a una vasca del lavandino.
«Ho da fare.» disse sgarbato, senza rivolgere lo sguardo all'uomo.
«Allora lascia che te lo dica in poche semplici parole, sicché tu possa comprendere anche mentre lavori, è accettabile?» 
Ichigo non aveva idea di chi fosse, né di che aspetto avesse, ma il tono fintamente cortese della sua voce ricordava terribilmente un professore bastardo intenzionato a cogliere gli studenti col piede in fallo.
«Lavora meglio e più in fretta... non fare partitine coi clienti e non oziare... oppure sei licenziato... e non ti piacerebbe, vero, Jaeger?»
«Questo prima che il locale diventasse tuo, Aizen.»
«Sono sinceramente addolorato che la mia presenza ti infastidisca... ma non ti pagherai l'affitto mendicando, voglio dire, di questi tempi la solidarietà... oh...»
L'uomo si interruppe e diede in una risatina falsamente imbarazzata. Il barista stava stringendo un bicchiere tanto forte che Ichigo si aspettava di vederlo esplodere in mille pezzi da un momento all'altro.
«Dimenticavo... se perdi il lavoro finisci in carcere di nuovo, vero?»
Ichigo non era mai stato lì, non conosceva nessuno che rispondesse al nome di Aizen e nemmeno in quel momento ne vedeva la faccia, ma il suo tono e quello che aveva detto glielo resero immediatamente antipatico. Si trattava certamente di un tipo che sfruttava gli altri per il proprio tornaconto, senza riguardo né rispetto. Posò gli occhi sul barista. Quello tremava, e sembrava che il suo desiderio più grande fosse sbattere ognuno di quei bicchieri lustri in faccia all'uomo che gli stava parlando.
«Vedi, Jaeger...»
Il misterioso Aizen finalmente si mostrò, avvicinandosi abbastanza perché Ichigo potesse vederlo senza sporgersi. Era un uomo distinto, vestito di bianco; con capelli e occhi castani. Non gli sarebbe mai sembrato plausibile che fosse lo stesso uomo che aveva appena minacciato il suo dipendente.
«Forse Barragan accettava che nella sua bettola tu lavorassi come ti pareva e piaceva... tuttavia si è indebitato tanto che ha dovuto cedermi il suo atto di proprietà del locale... muri, attrezzature, e te...»
Gli occhi del ragazzo si ridussero a due fessure azzurre, ma non disse niente. Sembrava che gli costasse enorme fatica tacere.
«Lavora a un livello apprezzabile per me... oppure torna nel buco da dove sei uscito.»
Aizen contemplò per qualche istante la rabbia inespressa del ragazzo, poi si allontanò dal banco, dirigendosi verso una rampa di scale in fondo al locale, diretto verso una destinazione sconosciuta.
Il barista gettò via lo straccio imprecando sonoramente. Ichigo sentì una strana comunione con il ragazzo: il suo insegnante di letteratura era a dir poco detestabile e ingiusto e nessuno poteva togliersi la soddisfazione di sputargli in faccia quattro improperi meritatissimi; perciò capì perfettamente come doveva sentirsi.
«Che cosa vuoi, moccioso?» domandò lui all'improvviso, fissandolo con lo stesso disprezzo che aveva per Aizen. «Spicciati, non ho tutto il giorno.»
«Certamente, c'è una calca da ora di punta.» disse Ichigo ironico.
«Allora?» insistette lui.
«Ti chiami Jaeger?»
«Come mi chiamo io non sono cazzi tuoi... allora, che diavolo vuoi?!»
«Jaaaayyyy...» 
La voce cantilenante, diversa da quella profonda di Aizen, veniva da dietro una porta accanto alle scale prese da Aizen. Jaeger alzò gli occhi al cielo e sbuffò senza fare alcun suono. La voce doveva appartenere a qualche suo superiore.
«Allora... io sono qui per servire...» disse in tono forzatamente gentile, con una strana inflessione sull'ultima parola. «Mi puoi dire che cosa posso servirti?»
«Ti strapazzano come un uovo qui dentro, eh?» fece Ichigo, senza riuscire a trattenersi.
«Okay, lasciami indovinare...» disse lui appoggiandosi al bancone e sfoderando un sorriso caustico. «Latte... senza ghiaccio.»
«Non sono un gatto... dammi un'aranciata invece...»
«Non sarà troppo forte per te, bambino?»
Ichigo non ritenne la provocazione degna di una risposta e osservò Jaeger aprire un frigo posto sotto il banco e tirare fuori una lattina di aranciata che gli posò davanti.
«Non dovresti essere a scuola... bam-bi-no?» scandì lui in tono provocatorio.
«Dove dovrei essere adesso non sono cazzi tuoi, Jaeger, Jay, o come diavolo ti chiami.»
«Ci tieni proprio a sapere come mi chiamo?» domandò lui irritato, ripassando il bancone già pulito con lo straccio che aveva recuperato. «Sei capitato qui non si sa perché e non ci tornerai finché campi, mentre io probabilmente ci lavorerò finché campo, a che ti serve sapere come mi chiamo?»
Ichigo bevve un sorso di aranciata lentamente, pensando a cosa rispondere. Per qualche motivo non voleva perdere il duello verbale con lo scontroso barista. Posò di nuovo la lattina e lo guardò.
«Forse non verrò più, o forse sì... forse non mi interessa, ma devo aspettare che smetta di piovere... allora, Jaeger o Jay?»
«Tutti e due.» ribatté lui in tono piatto.
«... Sono nome e cognome?»
«Il mio nome è J.J. Jaeger Jacques.» scandì lui irritato. «Contento?»
«Quindi Jay è un diminutivo del tuo nome... che tra parentesi è un nome davvero assu-»
«Grazie.» disse lui strappandogli di mano la lattina piena ancora quasi a metà. «Ma nessuno ha chiesto la tua cazzo di opinione.»
«Ehi... non ho finito.»
«Invece sì.» tagliò corto Jaeger. «Grazie della visita, bambino, ma cerca di non tornare.»
Ichigo ci mise alcuni istanti a capire che era stato congedato. Si voltò spaesato, guardando verso la porta ancora aperta, e notò che l'acquazzone si era momentaneamente calmato. Decise che era il caso di chiudere quella situazione sgradevolmente imbarazzante. Senza dire nulla, scese dallo sgabello, si tirò il cappuccio della felpa sui capelli arancioni e lasciò sul bancone i soldi della bibita che non aveva potuto finire. Il barista non lo guardò, né si preoccupò di contare o incassare i soldi, come se non avesse visto o sentito nulla.
«Comunque non sono "bambino"... mi chiamo Kurosaki.» disse mentre apriva la porta. «Kurosaki Ichigo.»
Uscì lasciandosi alle spalle solo un rumore di acqua corrente.


«Dove sei stato, Kurosaki?»
Ichigo voltò nuovamente le spalle a Ishida, che gli aveva già rivolto la stessa domanda almeno otto volte nel breve lasso di tempo tra la sua ricomparsa in un corridoio e l'arrivo alla camera del dormitorio. Il ragazzo afferrò un libro a caso dalla scrivania, lo aprì a circa metà e se lo buttò sulla faccia in un muto rifiuto di unirsi alla conversazione. Purtroppo il serioso ed eccentrico Ishida era di un altro avviso.
«Dove sei stato?»
«Ishida, dacci un taglio.»
«Kurosaki.» fece lui stizzito, sistemandosi gli occhiali sul naso. «Sei sparito per tutta la mattina senza lasciar detto dove fossi, o cosa stessi facendo... non sapevamo cosa pensare...»
«Vi ho detto di non preoccuparvi. Non devo giustificarmi.»
«Prova a rispondere questo al preside quando te lo chiederà.»
Ichigo si tolse il libro dalla faccia, lo sguardo assorto fisso su un punto imprecisato del soffitto.
«Credo che lo farò... magari mi rimanda a casa.»
Sado, che fino a quel momento si era limitato a guardare i vani tentativi di Ishida di ottenere risposte, si sedette alla sedia della scrivania di Ichigo e parlò.
«Ichigo, tuo padre non mi sembra un tipo esigente... non ha mai preteso che tu facessi il medico come lui, me l'hai detto tu stesso... se non ti trovi bene qui dovresti dirglielo e tornare a casa. Non metterti nei guai inutilmente.»
«Forse dovrei... ma le mie sorelle contano su di me, sono il loro esempio.»
Ichigo sospirò sconsolato e si sollevò mettendosi seduto. Distrattamente sfogliò il libro.
«Se tornassi a casa adesso, darei loro un esempio da perdente. Non posso farlo.»
«Allora devi smettere di gironzolare senza meta durante le ore di lezione!» ribadì con veemenza Ishida, che sembrava aver aspettato solo l'appiglio per tornare all'attacco.
«Non stavo gironzolando senza meta, Ishida.» rispose Ichigo stancamente. «Cercavo un bar e l'ho trovato.»
«Un bar?!»
Ishida, che si era appena rilassato abbastanza da sedersi alla sua scrivania, abbandonò la sedia con uno scatto come fosse diventata rovente e si fiondò davanti al letto di Ichigo, afferrandogli le spalle con l'aria completamente folle di chi ha appena saputo dell'omicidio della famiglia intera.
«Ishida?! Sei troppo vicino!» esclamò Ichigo agitato, tentando di sottrarsi alla sua stretta. «Troppo vicino!»
«Cosa sei andato a fare al bar?»
«Fai due passi indietro! Se non lo fai subito sarò costretto a difendermi!»
«Hai bevuto?»
Ichigo, pur nel suo stato di agitazione, riuscì a focalizzare quale fosse il dilemma di Ishida. Per un attimo lo fissò imbambolato. Poi scoppiò e lo allontanò con una spintarella.
«Io non bevo alcolici, idiota! Non ti avvicinare più in quel modo, dannazione!»
«Kurosaki, sto solo cercando di...»
«Basta.» disse Sado in tono fermo, alzandosi in piedi e torreggiando su entrambi, che erano tra l'altro seduti. «Ichigo, Ishida voleva solo essere sicuro che non avessi fatto nulla di stupido. Non dovresti aggredirlo per questo, eravamo entrambi in pensiero. Piuttosto dovresti dirci dove vai e quanto pensi di stare via, quando esci.»
Davanti allo sguardo serio di Sado Ichigo si vergognò di aver reagito così male. Si rese conto di essere stato egoista, scomparendo senza dare spiegazioni e lasciandoli nelle preoccupazioni. Si sforzò di sorridere, nonostante il senso di colpa.
«Mi dispiace... avete ragione... la prossima volta vi dirò dove sto andando.»
«Promesso?» domandò Ishida.
«Promesso. Do la mia parola d'onore.»
«Bene, allora.» archiviò Ishida, ostentando ora una completa indifferenza. «Immagino dovrai metterti in pari con le lezioni perse, ma non ti presterò i miei appunti. Se li vuoi devi venire a prenderteli da solo in classe.»
«Ti darò i miei.» disse Sado.
«Non dargliele sempre vinte, Sado kun!»
Ichigo non poté trattenere un accenno di risate e si affrettò a voltarsi a cercare qualcosa fra i suoi quaderni mentre Sado ribatteva pacato a Ishida che stava di nuovo perdendo le staffe. Poco dopo la disputa si risolse e Ichigo cominciò a mettere ordine nelle idee confuse spulciando gli appunti super sintetici di Sado e quelli molto dettagliati di Ishida. Almeno finché non si imbatté in un evidenziatore azzurro che gli riportò alla mente un curioso barista e lo estraniò dal capitolo di scienze.

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Capitolo 2
*** Vecchi amici nella notte ***


Nei giorni che seguirono la scuola diventò quasi invivibile: il torneo sportivo fra le classi si avvicinava ed era un evento che coinvolgeva molti studenti dell'istituto. Le varie sezioni avevano una grossa rivalità, sia in termini accademici che sportivi, e ciò si traduceva in una notevole esuberanza giovanile: gli atleti delle diverse sezioni si insultavano e provocavano nei corridoi, fuori nel cortile le squadre si litigavano i campi e gli spazi di allenamento. Uno dei pochissimi posti silenziosi era la biblioteca dove Sado e Ishida trovavano rifugio per studiare in pace, ma Ichigo ne era bandito per pregresse note disciplinari affibbiategli dalla bisbetica bibliotecaria. Esasperato dalla situazione, Ichigo lasciò un biglietto nel libro di Ishida, dicendogli che avrebbe cercato un posto dove studiare in pace e promettendo di tornare prima che facesse buio. Fatto ciò, svicolò nella sua uscita di sicurezza e sgattaiolò via dalla scuola senza essere notato; complice un'accesa zuffa nel cortile frontale.
Camminò per un po' in giro per la cittadina, soppesando i posti che vedeva, ma sia l'internet cafè che i caffè normali erano decisamente affollati e rumorosi. Stava per arrendersi e tornare a scuola, ma si imbattè di nuovo nello squallido pub di due giorni prima. Veniva un certo vociare dall'interno, ma era decisamente meno frequentato degli altri locali della zona. Esitò un momento, poi si aggiustò la borsa sulla spalla ed entrò.
L'illuminazione era migliore con tutte le luci accese, ma del barista non c'era traccia come la volta precedente. Poi udì la sua voce e lo individuò subito: era vicino al tavolo da biliardo con alcuni altri uomini nel bel mezzo di una partita.
«Cazzo, Jaeger, sei un dannato diavolo con quella stecca.» commentò uno di quelli, cercando una scappatoia di gioco.
«Sei tu che sei sfigato, Ben.»
«Jaeger, c'è un cliente.» gli disse un altro, un uomo alto in giacca e cravatta.
Jaeger distolse lo sguardo dalle biglie controvoglia e posò su Ichigo i suoi occhi azzurro intenso. La sua bocca passò dall'espressione di vaga sorpresa a un inconfondibile sorriso di scherno. Posò la stecca, camminò senza fretta tornando dietro il bar e si appoggiò con i gomiti al bancone.
«Ciao, Latte Senza Ghiaccio.» lo salutò. «Non credevo che tornassi.»
«Nemmeno io credevo di tornare, ma a volte la vita è imprevedibile.» disse lui con un sospiro. «Dammi un'aranciata, e stavolta non portarmela via se non ho finito... va bene se mi metto lì?» aggiunse, indicando un tavolo vicino alla finestra.
«Ma prego.»
Ichigo andò al tavolo, posò la cartella sulla sedia libera e tirò fuori i libri. Dopo aver dato un'occhiata a quello che aveva da fare, pensò che la sua bibita ci stava mettendo un po' troppo ad arrivare. Diede uno sguardo alle spalle e notò che il barista si era rimesso a giocare a biliardo con gli altri uomini. Si rassegnò ad alzarsi e prendersi la bibita da solo, più tardi. Si dedicò allora a una serie di esercizi di matematica dall'aria quantomai ostica.
Era riuscito a venire a capo solo di tre di quelli quando si accorse che i giocatori di biliardo se ne stavano andando. Un attimo dopo, Jaeger gli posò un bicchiere di aranciata con ghiaccio sul tavolo.
«Senti, Latte Senza Ghiaccio... a scuola stai messo male, eh?»
«Non mi chiamo Latte Senza Ghiaccio, ma Kurosaki, va bene? Kurosaki Ichigo.» rispose lui gelido. «E per tua informazione, a scuola me la cavo.»
«Copiando, sicuramente.» fece lui e indicò sul quaderno. «Questo è sbagliato, questo è oscenamente sbagliato e questo invece forse è giusto... sul pianeta Conuts
Ichigo dominò il prepotente istinto di mettergli le mani al collo e strangolarlo, più che per quieto vivere era la necessità di poter usare di nuovo quel bar come luogo di studio a convincerlo a non litigare con il barista, visti i rapporti non esattamente cortesi già instaurati.
«Senti, Jay.» fece allora tentando di tenere un tono di voce moderato. «Sei un barista, e il tuo lavoro sarebbe servirmi da bere, non correggere i miei compiti.»
«Pensa quanto sono fatti di merda se un barista te li corregge.»
«Bene!» sbottò lui, piccato. «Allora forza, dimmi tu come si fanno.»
Jaeger lo fissò con uno sguardo imperscrutabile. Per un momento non seppe dire se gli avrebbe urlato contro, se lo avrebbe cacciato a calci o se si sarebbe limitato a battere in ritirata dietro il suo bancone; ma con suo sommo stupore non fece nessuna delle tre cose. Si chinò gettando un'occhiata sul quaderno degli esercizi, gli occhi azzurri scivolarono sul libro di testo e poi tornarono a fissare il ragazzo con espressione seccata.
«Dì un po', Kurosaki, mi stai mettendo alla prova o sei ritardato davvero?»
«Cosa? Perché?»
«La soluzione alle idiozie che hai scritto è quella.»
Ichigo seguì con lo sguardo il dito del barista che picchiettò su una pagina del libro. Gli bastò leggere le prime due righe per rendersi conto, con una stretta allo stomaco, che aveva veramente sbagliato tutti gli esercizi, e che quella in grassetto era la formula corretta da usare. Trattenere la reazione del suo orgoglio sconfitto fu molto doloroso ed evitò di incrociare quello sguardo saccente che percepiva sulla nuca.
«Uhm... sì... beh... hai ragione... ho sbagliato... sei contento adesso?»
«Soddisfatto sarebbe un termine più appropriato.»
Jaeger tornò con passo baldanzoso dietro il bancone senza lanciargli alcuno sguardo provocatorio o sorrisetto maligno. Ichigo lo guardò riporre i bicchieri usati dai giocatori di biliardo nella lavastoviglie, avviarla e sedersi comodamente sullo sgabello a sfogliare una rivista aperta che forse lo attendeva già da prima che iniziasse la partita coi suoi clienti al tavolo verde. Lo studente non riuscì a non pensare che forse quell'Aizen non aveva tutti i torti a rimproverarlo per il poco lavoro, ma non aveva tempo di pensarci: anche lui aveva una montagna di studio arretrato. 
Bevve un sorso di aranciata e si accorse subito di quanto fosse squisita. Non aveva nulla a che vedere con quelle in lattina che aveva assaggiato. Studiò il bicchiere e scoprì che era ricca di fibre della polpa dell'agrume, e non poté non gettare un'occhiata al barista del quale scorgeva solo un profilo assorto nella lettura. Non si aspettava che gli facesse un'aranciata fresca con gassosa e succo d'arancia spremuto; era un tipo d'uomo che non ispirava l'idea di qualcuno che curasse i dettagli fino a quel punto. Sorridendo prese un altro corroborante sorso e si dedicò completamente ai suoi esercizi di matematica, questa volta usando la formula corretta.



«Kurosaki.»
Ichigo non distinse la voce e decise di ignorarla, almeno finché una mano grande e piuttosto brusca lo afferrò per la spalla scuotendolo.
«Kurosaki.» ripeté la voce, più decisa. «Se devi crepare, fallo altrove.»
Ichigo stavolta ebbe la sensazione di conoscere quella voce. Un momento dopo, spalancò gli occhi come se qualcuno gli avesse gridato nell'orecchio. Vide il bar immerso nella penombra, fiocamente illuminato dai soli faretti sopra il bancone di legno. Non c'era nessuno tranne Jaeger e lui era ancora seduto al tavolo dove si era messo a studiare quel pomeriggio. Il cielo fuori dalla finestra era scuro e la via deserta era resa arancione dalla triste illuminazione stradale.
«Cosa... che ore sono?» domandò Ichigo, con la sensazione di avere un grosso cubetto di ghiaccio dentro lo stomaco.
«Le tre del mattino.»
«Che... stai scherzando?!»
Per nulla offeso dai suoi dubbi, Jaeger si spostò di un passo e gli indicò l'orologio appeso dietro il bar, pienamente illuminato dai faretti. Le lancette, a meno che Ichigo non si ingannasse grossolanamente, segnavano le tre e sedici minuti. Si strofinò gli occhi, più incredulo che assonnato. Davvero era riuscito a dormire sei ore di fila su quel tavolo? Non aveva certo bevuto alcolici, e non gli pareva neanche di aver patito così tanto le ore piccole di studio a scuola. Si svegliava senza drammi, riusciva a studiare fino a tardissimo e non si era mai addormentato su un libro... prima di allora. 
Che cosa poteva fare ora? La scuola era chiusa fino al mattino, anche scavalcando la recinzione non avrebbe trovato una finestra al primo piano o una porta aperta... Ishida e Sado erano sicuramente preoccupati per la sua assenza ingiustificata. Era veramente nei guai.
«Merda!» imprecò lui raccogliendo i libri alla rinfusa nella borsa. «Perché non mi hai svegliato prima, Jay?!»
«Credevo fossi morto.» disse lui con inquietante serietà.
«Che razza di giustificazione sarebbe? Lasci un cadavere sul tavolo del tuo bar per tutto il giorno?»
«Beh, stavo pensando a come incolpare Aizen per la tua morte, quindi...»
«Sai una cosa, Jay? Tu sei esattamente come appari a prima vista... stronzo, macabro e fuori di testa da camicia di forza!» sbottò Ichigo. «Ehi, e adesso dove te ne vai?»
Jaeger stava infatti uscendo dal bar e aveva appena spento i faretti. Si voltò a guardarlo, sebbene non poteva distinguerne il volto dato che stava di spalle in un bagliore di luce arancione.
«È l'ora di chiusura, me ne vado a casa.» rispose. «Vuoi un passaggio?»
«Sapessi dove andare sarebbe anche utile...»
«Muoviti, Kurosaki... passaggio o no, devo chiudere... vuoi dormire qui dentro?»
Ichigo esitò un momento, poi girò intorno al tavolo e uscì dal bar. Avrebbe dovuto riflettere e trovare un modo per infiltrarsi nella sua camerata a scuola, o almeno un altro posto sicuro dove aspettare il mattino presto, ma la sua mente tornava a chiedersi come avesse potuto cedere alla stanchezza proprio in quel pub al punto di ignorare rumori e persone.
«Sali.»
Jaeger salì al posto di guida di una Honda color blu parcheggiata quasi di fronte alla porta del locale e si mise la cintura di sicurezza. Ichigo, dopo un attimo di smarrimento, fece il giro e salì al posto del passeggero con una certa miscela di disagio ed emozione. Non se lo era aspettato: Jaeger non sembrava essere molto più grande di lui e non gli avrebbe attribuito l'età per avere un'automobile. Invece ne aveva una piuttosto nuova e bella pulita, era lucida fuori e ben tenuta anche dentro; non c'era polvere sul cruscotto e i tappetini erano intonsi. 
Il primo tentativo di metterla in moto non andò a buon fine e nemmeno il secondo. Ichigo stava cominciando a sentirsi vagamente disperato e tentò di pensare ad altro, esplorando tutt'intorno con più attenzione. Dopo essersi soffermato su un deodorante per auto alla brezza marina gli balzò agli occhi un plico di riviste che sporgevano da sotto il suo sedile. Le prese e le sollevò, immaginando che potessero essere lo stesso tipo di rivista che lo aveva visto leggere quel pomeriggio. Un intenso rossore gli fiorì sul viso non appena le mise sotto la luce dei lampioni.
«Jay... che roba tieni in macchina?»
«Uhm?» fece lui guardandolo. «Ehi, quello è per soli adulti, rimettilo dov'era.»
«Pervertito...» commentò sottovoce lasciandole cadere.
Assistette impotente ad altri due tentativi di avviare il motore e Jaeger diventava visibilmente più nervoso, finché non esplose all'improvviso.
«Muoviti, cazzo di un cesso di macchina!»
Jaeger tirò un calcio nel cruscotto e, come in certi film e fumetti, la macchina andò in moto subito. Dopo un fugace attimo di sorpresa, fece un verso simile ad un grugnito soddisfatto.
«Visto? La gentilezza vince sempre.»
«... Senza dubbio...»
«Ehi, voglio vedere la borsa...» disse mentre usciva dal parcheggio e si immetteva sulla strada. «Non ti sei fregato una rivista, vero?»
«Puoi tenertele, le tue riviste.»
«Oh, se fossero mie te le lascerei prendere, Kurosaki, sono altamente istruttive... ma siccome sono di Ben devo ridargliele tutte.»
«Non c'è bisogno di inventare scuse patetiche.» fece Ichigo, guardando le case sfilare fuori dal finestrino per evitare l'imbarazzo di un simile dialogo faccia a faccia. «Non sono una ragazzina... trovare riviste porno sotto il sedile della tua macchina non mi fa nessuna impressione, mi fa soltanto sperare che non ti metta a guardarle mentre guidi.»
«Sono più responsabile di quello che pensi.»
«Lo spero, perché non sembri particolarmente responsabile.»
«Si impara più da un errore che da cento consigli, Kurosaki.»
Ichigo tornò a guardare Jaeger, stupito. Il suo tono era diventato basso e molto diverso da quello che gli aveva sentito ogni altra volta, ma il suo momento di debolezza sembrò finire così come era venuto. Attraversò un incrocio, completamente deserto, e superato un tratto buio la sua espressione era tornata quella di un freddo stronzo irritante. Poi il ragazzo ricordò: quell'uomo, Aizen, aveva detto che se Jaeger avesse perso il lavoro sarebbe tornato in carcere... per quale reato ci era finito?
«Dove ti lascio?» domandò lui, fermandosi ad un incrocio. «A scuola ti fanno entrare a quest'ora?»
«No.» ammise Ichigo. «Non conosci un posto dove posso...?»
«Dormire?» concluse lui con un ghigno.
«Credo proprio di aver dormito abbastanza.»
«So dove farti stare... sveglio oppure no.» disse, e ripartì. «Che diavolo faresti senza di me, Kurosaki?»
«Dormirei ancora su quel tavolo.»
«Ben detto.»
Ichigo guardò lo sconosciuto paesaggio cittadino notturno per circa dieci minuti prima che la Honda blu imboccasse un breve viottolo e si fermasse davanti a un garage. Jaeger scese e Ichigo si domandò chi di quei tempi non avesse un garage automatico, ma quando aprì la serranda restò di sasso.
«Beh? Non è male, vero?»
Ichigo, perplesso, ci mise un po' a capire che doveva scendere lì. Aprì lo sportello e scese, raggiungendo Jaeger dentro il garage con tanto d'occhi per guardare. Non c'era lo spazio per parcheggiare la macchina al coperto in quell'autorimessa, per il semplice motivo che tutta casa sua era lì dentro.
La luce dei neon illuminava effettivamente una casa: c'era sulla sinistra un angolo cottura elettrico che aveva l'aria di essere disturbato raramente, accanto a un basso frigorifero. Nell'angolo c'era un letto disfatto con le lenzuola blu, lungo la parete a fronte della serranda si trovavano un armadio e una credenza. Ichigo fece qualche passo e passò la mano sul tavolo coperto da una tovaglia verde che occupava lo spazio centrale, con tre sedie spaiate intorno. Passò le dita sul mazzo di carte abbandonate su di esso e studiò con gli occhi il fondo arancione nel bicchiere accanto, che pareva un succo di frutta.
Sulla parete di destra c'era una porta chiusa da una tenda che Ichigo ipotizzò portasse a un bagno. Accanto all'uscio era sistemato un divano logoro e un tavolino sbeccato che reggeva un televisore che sembrava la cosa più nuova dell'intera abitazione. Alle pareti spoglie erano appesi un paio di quadri astratti e alcune fotografie attaccate con lo scotch, forse nel tentativo di rendere il posto meno triste... e lo era, con quel soffitto basso, le pareti grezze e il senso di abbandono e di solitudine che aleggiava ovunque.
«Jay... tu abiti in un garage.» osservò Ichigo.
«Già, il sogno di ogni ragazzo, no?»
«Ma stai dicendo sul serio?»
«Forse posso offrirti qualcosa...» disse aprendo il frigorifero. Dentro era quasi vuoto. «Vediamo... ho del latte... ma non vorrei che cascassi addormentato come una pera per altre dieci ore... mmh... ci deve essere dell'acqua da qualche parte... che razza di casa sarebbe senza un po' d'acqua...»
Ichigo non poté non provare uno strano senso di compassione mentre lo guardava cercare nei quattro mobili malconci della cucina. Erano quasi tutti vuoti o ospitavano qualche barattolo di conserve, intorno era tutto o vecchio o cadente o entrambe le cose. E le sue parole "che razza di casa sarebbe senza un po' d'acqua", come a voler dimostrare all'inatteso ospite che la sua era una casa come tutte le altre... o forse Ichigo stava solo applicando alle sue parole e ai suoi gesti un senso che coincidesse con le sue sensazioni su quell'abitazione raffazzonata.
«Non fa niente, Jay, posso cercarmela da solo... non credo mi servirà la guardia nazionale per rivoltarti la casa.»
«Non vorrei che ti imbattessi in altre riviste porno per collezionisti, ti turberebbero.»
«Perché, ne hai anche qui? E sono di Ben anche quelle?»
«Ah, potrebbero essercene ancora in qualche mobile... mi sembrava di averle restituite tutte, ma sai... a casa mia non sono sempre efficiente come quando lavoro.»
«Beh, fatti una doccia e lascia che mi metta io a verificare la situazione dei tuoi noleggi.»
«... Questa è una buona idea.»
Grimmjow si tolse la maglia buttandola sul letto e sparì dietro la tenda senza aggiungere altro. Ichigo allora lo prese come un permesso e si diede alla ricerca, o per essere sinceri allo sfogo di una grande curiosità. Aprì la credenza accanto all'armadio e riportò alla luce dei libri decisamente impegnati che non si aspettava di trovare in casa di uno come Jaeger, un paio di cartellette di documenti che ebbe la delicatezza di non leggere e una scatola anonima di cartone. Sopraffatto dal desiderio di scoprire qualcosa di quel curioso personaggio l'aprì, ma dentro non notò nulla di folgorante: conteneva una piccola t-shirt, da bambino, e una spilla da appuntare sui vestiti. Non recava parole o nomi, ma solo il numero sei, che era anche cucito in colore a contrasto sul petto della maglietta.
Deluso dall'ordinarietà di quel tesoro, lo ripose nella scatola e la rimise sullo scaffale, facendo però cadere uno dei libri. Raccogliendolo notò che quello in particolare aveva le pagine ingiallite come se fosse molto vecchio, e che sulla terza di copertina spiccava una scritta a mano. Si trattava di una dedica: "A Grimmjow, grazie."
«Grimmjow.» rilesse sottovoce Ichigo, sorpreso da quell'insolito nome.
«Cosa?»
Ichigo voltò la testa e vide Jaeger che lo osservava con aria più tesa di quanto non cercasse di far trasparire... o era una sua impressione?
«C'è una dedica su questo libro... chi è Grimmjow?»
«Sono io.» rispose lui, più rilassato.
«Tu?»
«È il nome con cui mi chiamavano i miei compagni ai tempi della scuola superiore... e qualcuno di loro mi chiama ancora così, quando mi vede.»
«Grimmjow... è un nome insolito... è inventato o significa qualcosa?»
«Non mi va di parlarne, Kurosaki.»
«... Scusa.»
Ichigo si affrettò a rimettere il libro a posto e a richiudere la credenza. Sentiva che aveva superato il limite, che aveva permesso alla sua curiosità di prendere il sopravvento sul buon senso. Il tono di Jaeger aveva chiarito bene che l'argomento non era gradito e che insistere avrebbe potuto portare delle conseguenze di un certo peso. Era suo ospite, non aveva il diritto di perquisire la sua casa e fare domande, dato che non erano neanche amici o conoscenti con un certo grado di intimità. Con la bocca ancora sigillata prese posto al tavolino.
«Non sono arrabbiato.» mise in chiaro Jaeger, alla vista dell'improvvisa mestizia di Ichigo. «Ma non è un argomento di cui voglio parlare, né con te né con chiunque altro.»
Ichigo annuì e tentò di accennare un sorriso, ma sobbalzò al suono rimbombante di colpi sulla serranda, come se qualcuno stesse bussando. Non fu l'unico sorpreso: lo sguardo azzurro del padrone di casa tradiva il suo stupore per una visita a quell'ora del mattino. Muovendosi lentamente, quasi con circospezione, andò a sollevare la saracinesca. La luce del neon illuminò un gruppetto di sette giovani uomini, tutti all'apparenza più vecchi di Ichigo, che indossavano tutti la medesima maglietta bianca. Ichigo notò che ognuno aveva un numero cucito sul lato sinistro del petto: nove, dodici, tredici, quindici, sedici, venti e ventuno. Colse gli occhi azzurri di Jaeger scorrere i numeri e serrarsi in due fessure che suggerivano un atteggiamento belligerante nei confronti dei nuovi venuti.
«Da quanto tempo, Grimmjow.» disse il numero nove, sorridendo. «Sei diventato più alto dall'ultima volta che ci siamo visti.»
«Io non vi conosco.» fece lui gelido, anche se la sua espressione di disprezzo lo contraddiceva.
«Ah, è questa la tua reazione davanti a vecchi amici?» domandò il numero venti allargando platealmente le braccia. «Ve l'avevo detto che avrebbe reagito da vigliacco... e dire che ne abbiamo passate tante insieme... eravamo i tuoi migliori amici, Grimmjow, non puoi dimenticare questo.»
Ichigo sentì istantaneamente puzza di guai davvero grossi e si alzò dalla seggiola avvicinandosi a Grimmjow. Un momento dopo i sette ragazzi erano armati di un tubo di metallo e una catena pesante, apparsi come dal nulla. Il gruppetto ridacchiò avanzando dentro l'abitazione, ma il barista non cercò né di indietreggiare né di chiuderli fuori. I suoi occhi erano fissi su un punto buio della strada, non degnava nessuno di loro di un'occhiata.
«Non hai certo dimenticato un conto in sospeso con me, vero?» domandò il numero tredici con voce acuta e minacciosa.
«Era un conto ben chiuso, testa di cazzo.» rispose Grimmjow. «Io ti ho spaccato il naso e tu la clavicola, quindi siamo pari.»
«Forse non hai capito una cosa importante, amico... un conto per me è chiuso quando io vinco
Il numero venti, che era un giovane dai capelli biondi molto lunghi, lo colpì all'addome con un pugno poderoso. Gli afferrò i capelli azzurri nel momento in cui istintivamente si piegò per il dolore e lo scaraventò a terra, mentre gli altri ragazzi dalle magliette bianche lo accerchiavano ridacchiando. Il numero sedici, un tipo molto alto armato della catena pesante, l'abbattè sulla schiena di Grimmjow con un suono secco da mettere i brividi. 
Ichigo non era un tipo violento o una testa calda che scatenava risse, ma volente o nolente si era ritrovato in mezzo a molti conflitti e certo molti di quelli lo avevano raggiunto perché si ostinava a buttarsi in mezzo in casi simili a quello. Questa volta non fu diverso: qualsiasi ragione per non intromettersi venne soffocata dall'istinto di proteggere un uomo che era solo contro sette avversari armati. Si gettò di corsa contro di loro.
«Che cazzo state facendo?! Bastardi!» gridò Ichigo, colpendo uno di loro con un pugno. «In sette contro uno, e disarmato?!»
«F-fermatelo!» esclamò quello colpito da terra. «Prendetelo!»
Ichigo si divincolò dalla stretta di uno degli altri, ma al sopraggiungere del secondo venne agguantato e bloccato in una dolorosa posizione delle braccia dietro la schiena. Avendo studiato a lungo arti marziali sapeva bene che se avesse cercato di liberarsi, se non aiutato da circostanze di distrazione, quello avrebbe potuto spezzargli le braccia con estrema facilità.
«Grimmjow, chi cazzo è questo moccioso?»
«Sai, Grimmjow...» disse il numero dodici piegandosi su di lui. «Non credo che questo ragazzo abbia l'età per essere a casa tua... a questa tarda ora... oppure ti sei messo a fare il babysitter?»
Ichigo, che si aspettava che Grimmjow almeno spiegasse che era soltanto un ospite inatteso, restò sorpreso quando non ritenne necessario smentire quell'insinuazione.
«C-crepa...» sibilò Grimmjow con rabbia. «Figlio di troia...»
La catena raggiunse la sua schiena di nuovo strappandogli un gemito di dolore e rigettandolo carponi sul cemento. Ichigo si divincolò, ma un minimo movimento gli ricordò la posizione di assoluto svantaggio in cui si trovava. Immobilizzato così non poteva aiutarlo, ma anche con le braccia rotte non avrebbe potuto fare niente. Si sentì incredibilmente impotente, non poteva fare altro che parlare o gridare, ma a cosa poteva mai servire?
«Lasciatelo! Bastardi!» insistette con rabbia.
«Kurosaki...»
Grimmjow si voltò e fissò gli occhi azzurri in quelli nocciola di Ichigo con una fermezza quasi soprannaturale per una persona in quella situazione critica. Gli spense la voce con la sola forza di quello sguardo.
«Stanne fuori...»
«Ma... Grimmjow...»
«Non sono cazzi tuoi...»
Ichigo sapeva che la sua morale e i suoi principi gli imponevano di non abbandonarlo e di fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma sapeva solo guardandolo negli occhi che aveva davanti un uomo che non lo avrebbe mai perdonato se avesse osato intromettersi in quella che forse riteneva addirittura essere una gloriosa sconfitta. Annuì, uno sforzo immane, e distolse lo sguardo quando vide il tubo sollevato in alto ricadere con un altro terribile rumore d'impatto.

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Capitolo 3
*** Il suono di quel nome ***


«Grimmjow...»
Grimmjow si alzò da solo da terra ignorando completamente le braccia di Ichigo che si offrivano di sostenerlo. Si passò il dorso della mano sul labbro e sotto il naso che sanguinava, si appoggiò al tavolo e barcollò verso la stanza da bagno.
«Dobbiamo andare in ospedale...»
«Sta' zitto, Kurosaki...»
«Hai preso dei brutti colpi... li hai notati o no?»
«Sta' zitto.» gli ripeté lui, con una voce debole che metteva sincera angoscia. «Non è niente di grave...»
«Questa è una stronzata, e lo sai!»
Grimmjow non rispose sparendo dentro il bagno e poco dopo Ichigo sentì il getto della doccia aprirsi. Era palese che non poteva stare bene: non aveva preso un semplice scivolone sull'erba bagnata, era stato un pestaggio brutale. Non era una buona idea che si facesse una doccia e non serviva un medico per esserne consapevoli. Un brutto colpo preso dietro il collo preoccupava Kurosaki in modo particolare e aveva avuto l'impressione che fosse stato sul punto di svenire quando si era appoggiato al tavolo.
Ichigo si avvicinò alla porta e scostò la tenda guardando dentro. L'aria fredda che veniva da fuori aveva provocato molto vapore a contatto con il getto caldo della doccia, ma vedeva bene la sagoma nuda del ragazzo. Si stava passando lentamente la mano sul collo.
«Kurosaki, non fare il cazzo di guardone... chiudi quella tenda.»
«Sai bene perché ti sto guardando, e non è per spiarti.»
«Non crollerò a terra morto da un momento all'altro... risparmia la tua morbosa attenzione per qualcuno che se la merita.»
Ichigo venne vagamente infastidito dall'espressione "morbosa attenzione", ma sapeva che non c'era nulla di morboso o di malato nel cercare di impedire che un essere umano si arrecasse più danni da solo di quanti non ne avesse subiti da altri. Non chiuse la tenda e rimase con lui senza distogliere lo sguardo, non voleva perdere il minimo preavviso di cedimento per poter intervenire al bisogno.
«Kurosaki...»
La sua voce lo distrasse, tanto era assorto in un flusso di pensieri poco nitidi. Era immerso in remote considerazioni sull'avvenuto di poco prima, sulle possibilità che davvero il colpo al collo non avesse avuto conseguenze o era soltanto concentrato su frivolezze come il fatto che era la prima volta che vedeva un uomo nudo che non fosse il padre?
«Perché mi stai chiamando Grimmjow?»
«Cosa?» domandò Ichigo, che aveva perfettamente capito la domanda, ma non sapeva rispondere.
«Prima, là fuori... e anche poco fa... mi hai chiamato Grimmjow... perché?»
Fu molto stupito di rendersi conto che era vero, e anche prendendo qualche secondo non seppe trovare una pronta replica. Aveva adottato il nome che usavano per lui quei ragazzi, ma per quale motivo? Era anche molto più complicato del più breve e immediato Jay. Grimmjow sembrava più arrabbiato per questo che per qualsiasi invasione della privacy precedente, e lo guardava come aveva guardato quei ragazzi in bianco. Lo fissava come un grosso felino selvatico pronto all'attacco e in un lampo di comprensione capì che cosa stava pensando.
«Io non c'entro con quelle persone!» esclamò Ichigo quasi indignato. «Non li conosco, non sono loro complice!»
«... So che non sei uno di loro... sentirei la puzza di uno come loro lontano venti metri...» disse Grimmjow, ammorbidendo la sua espressione e tirandosi indietro i capelli azzurri bagnati. «Ma tu mi conosci come Jay, mi chiami così... perché ora usi quel nome?»
«Mi è sembrato... che fosse il suono che ti si adattava meglio.»
Ichigo si rese conto che la sua spiegazione non era né esaustiva né brillante, ma era forse il modo più diretto per esprimere quello che sentiva. Grimmjow era un nome mai sentito, strano, esotico in un certo senso, difficile da interpretare, che gli rimandava alle fiabe con i fratelli "Grimm" e al tempo stesso alla bestia oceanica del famoso film "Jaws", tutte caratteristiche che sembravano rievocare perfettamente il barista. Era affilato nei modi, ma capace di inattese gentilezza e cura; era strano, particolare, difficile da capire... Grimmjow era un suono perfetto per quell'uomo.
Grimmjow si limitò a sorridere senza la minima traccia di allegria e chiuse il getto della doccia senza alcun commento. Mosse qualche passo incerto verso la porta, poi gli occhi azzuri parvero annebbiarsi. Annaspò alla ricerca di un appiglio che non c'era, la mano scivolò sulla parete bagnata e Grimmjow piombò in ginocchio sul pavimento piastrellato. Ichigo reagì chinandosi a sorreggerlo prima che cadesse faccia a terra e fece fatica a trattenerlo, pesante, bagnato com'era e con la paura di toccare i lividi e le ferite. Lo strinse più saldamente sotto le braccia e lo trascinò con uno sforzo immenso fuori dal bagno fino al divano che fortunatamente era il mobilio più vicino. Prese il cellulare dalla tasca, pronto a chiamare i soccorsi, ma Grimmjow si era ripreso e gli afferrò il polso.
«Sto bene.» disse con un filo di voce così esile che si udiva appena.
«Tu stai crepando, Grimmjow.»
«Non voglio dottori intorno, è chiaro?» sbottò lui sforzandosi di sembrare più convincente sulla sua precaria salute. «Se ne vedo uno lo ammazzo e ammazzo anche chi l'ha chiamato!»
«Tu sei veramente una testa di cazzo.»
Per quanto futile, fu l'unico commento che riuscì a fare nella sua totale impotenza. Avrebbe davvero voluto chiamare, ma la furia di Grimmjow lo tratteneva. Era stato in carcere e il suo capo lo minacciava di rimandarcelo licenziandolo... poteva rischiare anche se fosse rimasto coinvolto con quei tizi violenti, forse, e per questo ci teneva che nessuno lo sapesse. Fu l'unica spiegazione che riuscì a darsi di tanta ansia.
Mise via il cellulare, notando solo vagamente le chiamate perse in doppia cifra, e si alzò lanciandosi alla ricerca della cassetta del pronto soccorso. Era certo di averla intravista nella credenza, e difatti lì la trovò in un angolo polveroso. Fu sollevato di scoprire che non era vuota e abbandonata all'oblio, conteneva alcuni medicinali, cerotti, cotone e garze. La portò sul tavolino accanto alla televisione, poi intraprese una seconda spedizione per recuperare uno straccio malandato e del ghiaccio dal congelatore. Grimmjow non lo aveva guardato per un solo attimo che avesse potuto notare: teneva gli occhi chiusi e si tastava il collo trattenendo smorfie di dolore.
«Mettici questo, testa di cazzo.» gli fece Ichigo irritato, piazzandogli sul collo l'impacco di ghiaccio.
«Ehi! È freddo!»
«Certo che lo è, stupido, è ghiaccio.» 
Grimmjow non ribatté e obbedì, visibilmente sollevato dall'effetto anestetizzante del ghiaccio. Ichigo aprì la scatola dei farmaci e si sedette sul bordo del divano, controllando le scatole aperte e le bottigliette.
«Dovresti tenere più disinfettante in casa... e tutte queste medicine sono scadute da un bel po', devi buttarle.»
«Kurosaki, ho mal di testa. Non mi va di sentire le tue lagnanze.»
«Bene, allora sto in silenzio, ma vale anche per te.»
Quando Grimmjow lo vide con il cotone imbevuto di disinfettante in mano, gli scoccò uno sguardo mortifero che non assomigliava neanche vagamente a quelli visti prima: sembrava volesse sbranarlo.
«Non ti azzardare a fare l'infermierina, Kurosaki, o ti caccio fuori.»
«Sarebbe abbandono di minore.» ribatté lui calmo ma risoluto. «Chiamerei la polizia e anche un'ambulanza... allora, preferisci me o poliziotti e medici?»
«Piccolo bastardo ingrato.»
«Dacci un taglio, Grimmjow.» gli intimò Ichigo, e afferrato il telecomando accese il televisore su un canale casuale. «Guarda la televisione e non ci pensare. Vuoi metterti qualcosa addosso? Hai freddo?»
«No.»
Grimmjow si sollevò appoggiandosi allo schienale con deliberata lentezza, sintomo del dolore che doveva provare in tutto il corpo. Spostò lo sguardo sullo schermo e non lo distolse più, con tale fissità degli occhi che dava l'impressione di essere perso in pensieri che poco avevano a che spartire con le immagini che aveva di fronte. 
Ichigo prese a disinfettare le ferite, anche quelle che avrebbero richiesto un intervento di sutura. Non c'era bisogno di essere medico come suo padre per accorgersene, ma Ichigo aveva un occhio allenato per le ferite anche grazie al lavoro del genitore. Procedette con molta attenzione tentando di usare i cerotti per chiudere le ferite più ampie. Suo padre gli aveva sempre vietato di aiutare nell'ambulatorio pediatrico di famiglia, rimproverandogli una mano troppo pesante: Grimmjow non era certo un bambino, ma si sforzò di essere delicato come non mai.
«Sei zitto zitto, che cosa stai guardando?» domandò per distrarlo da un'operazione che prometteva una certa razione di dolore aggiuntivo.
«Un film erotico.» disse lui.
Ichigo non aveva prestato la minima attenzione agli stimoli esterni alla sua incombenza e non aveva notato l'ansimare dell'attrice. Non riuscì a trovare un altro commento da fare e quando richiuse la ferita con il cerotto Grimmjow si lasciò sfuggire un lieve gemito. Fasciò il braccio ignorando le tre o quattro imprecazioni consecutive del suo paziente e solo quando ebbe finito lo guardò, scoprendo che continuava a guardare verso lo schermo con aria assente.
«Grimmjow, alzati... devi ingoiare queste, adesso.»
Ichigo gli porse due pillole, le uniche non ancora scadute, e Grimmjow le guardò come se gli avessero fatto uno sgarbo personale. Ichigo riuscì a stupirsi anche in quel momento del modo unico in cui lanciava gli sguardi.
«Che roba è?»
«Dovresti saperlo, sono medicine tue... avanti, prendile... ti passerà un po' il dolore e riuscirai a dormire.»
«Non mi fido, dottor Kurosaki.»
«Il dottor Kurosaki è mio padre.» tagliò corto Ichigo. «Ingoia queste cavolo di pillole o te le ficco in corpo da un'altra parte.»
«Non minacciarmi mai.»
Grimmjow prese le pillole e le ingoiò senza ulteriori polemiche, senza nemmeno un sorso di acqua e senza alcuno sforzo. Tornò a concentrarsi sulla televisione, anche se stava trasmettendo spot pubblicitari. Ichigo si ritenne soddisfatto e si alzò, gettando il cotone e le medicine scadute in un cartone colmo di bottiglie di vetro, cartoni di succo e cartacce che aveva l'aria di essere la pattumiera. Ripose tutto il salvabile nella cassetta e la rimise nella credenza.
«Hai freddo, Gri...?»
Lo guardò e si bloccò. Gli spot non erano ancora finiti e ci aveva messo poco più di un minuto a sistemare i farmaci, ma Grimmjow si era addormentato e respirava profondamente rilassato. Ichigo recuperò la coperta da sopra il letto e gliela stese addosso. Avrebbe voluto fare di più per aiutarlo, ma solo un medico avrebbe potuto fare meglio di così per quel massacro, e forse rimettere insieme i cocci di una vita già compromessa e i frammenti di un orgoglio infranto sarebbe stato ancora più difficile.


A giorno fatto Ichigo aveva ceduto al sonno, appoggiato sul tavolo verde. Non aveva il coraggio di svegliare Grimmjow con la richiesta di farsi accompagnare a scuola, e nemmeno quello di andarsene e lasciarlo solo in quelle condizioni. Dormì poco più di un'ora e poi una mano pesante lo svegliò scuotendolo.
«Kurosaki, cazzo, sono i tavoli che ti fanno venire sonno?»
Ichigo spalancò gli occhi e sollevò la testa immediatamente. Vide Grimmjow in piedi accanto a lui, vestito, con le chiavi della macchina in mano. I lividi sulle braccia, sul collo e sul viso erano diventati neri e violacei, ma restavano l'unica testimonianza del pestaggio di poche ore prima insieme alle medicazioni visibili.
«Se vuoi che ti porto a scuola, sbrigati, sto uscendo.»
«Uscen... ma cosa dici? Sei in grado di guidare e di lavorare, secondo te?»
«Chi credi che io sia, una specie di ragazzina?» domandò lui con aria mortifera. «Spicciati, marmocchio, voglio liberarmi di te.»
Senza aggiungere altro, Ichigo prese la giacca della sua uniforme dallo schienale della sedia, buttò la borsa in spalla e seguì il barista dai capelli azzurri fuori dal garage. Chiuse la serranda senza usare la chiave e salì a bordo dell'auto blu senza proferire verbo. Ichigo lo imitò e durante il tragitto tentò di sistemarsi la chioma spettinata con le mani. I suoi pensieri continuavano a oscillare tra la preoccupazione per la salute di Grimmjow e l'angoscia per quanto Ishida lo avrebbe torchiato al suo ritorno: non aveva scritto nulla ai suoi compagni di scuola per spiegare gli incredibili avvenimenti della nottata.
Svoltarono a un incrocio e il familiare cubo di ghiaccio nello stomaco si ripresentò alla vista di Ishida e Sado nel cortile, vicini al cancello dell'istituto, con i cellulari in mano e gli sguardi puntati tutt'intorno a loro. Ishida lo individuò per primo mentre Grimmjow accostava non distante dal cancello e i suoi occhi blu non lo persero un secondo mentre scendeva dal lato del passeggero. Un po' per rimandare il momento inevitabile delle spiegazioni, Ichigo si chinò sul finestrino aperto a metà e guardò Grimmjow, che non stava guardando né lui né la scuola o i ragazzi, bensì la strada.
«Grazie di avermi fatto stare a casa tua... e di avermi riportato a scuola in macchina...»
«Non mi piace lasciare debiti in giro.»
Prima ancora che Ichigo potesse afferrare che quella frase ambigua era una specie di ringraziamento, Grimmjow era già ripartito con una rumorosa sgommata. La Honda blu svoltò in direzione del locale e scomparve alla vista nascosta dagli alberi nell'angolo del cortile della sua scuola. Pochi istanti dopo anche il rombo del rumore si perse nella lontananza e nel chiacchiericcio degli studenti. Ichigo mosse un passo verso il cancello e si trovò faccia a faccia con Ishida. Il suo vago sorriso svanì come l'auto del barista.
«Posso spiegare.» esordì Ichigo, nervoso.
«Chi era quello?»
«Grimm... no, cioè... Jay... Jaeger.» balbettò lui, confuso.
«Chi?»
«Il barista... il barista del bar dove sono stato ieri a studiare.»
«Kurosaki, spero ti renda conto che io e Sado abbiamo rischiato molto per far credere a tutti che tu stessi a letto, piegato da un mal di pancia insopportabile.» gli fece notare Ishida, sistemandosi gli occhiali. «Non sei tornato nemmeno stanotte e ci siamo veramente preoccupati. Non hai risposto a nessuna delle mie chiamate, Sado voleva uscire a cercarti di nascosto, e ora ricompari a scuola con quel tizio.»
«No, okay... mi dispiace di non aver avvertito, ma sono successe alcune cose... e lui mi ha solo dato un passaggio a scuola, tutto qui, davvero...»
La campanella d'inizio lezione salvò Ichigo da una posizione molto scomoda, perché neanche la soluzione del mistero della sua sparizione aveva per Ishida la precedenza su una lezione. Sado, dal canto suo, pareva essere già soddisfatto del suo ritorno sano e salvo. Entrambi seguirono Ishida verso la classe.
«Allora stai bene, Ichigo?» domandò Sado, lanciandogli un'occhiata.
«Oh... certo, sto bene. Mi dispiace avervi fatto stare in pena...»
Un violento borbottio di stomaco troncò la sua frase, e fu così sonoro che anche nel brusio della folla i suoi compagni e qualcuno degli studenti più vicini lo udirono nettamente. Si rese conto solo allora che stava morendo di fame; dopo il pranzo del giorno prima aveva buttato giù soltanto un'aranciata. Quasi come se lo avesse saputo, Ishida si fermò ed estrasse dalla borsa un fagotto di carta che conteneva tre sandwich con la marmellata di fagioli rossi.
«Tieni.»
«Tu vai in giro con del cibo nella borsa, di solito?»
«Tch... sapevo che saresti tornato per la lezione e ho pensato che forse non avevi mangiato, tutto qui.»
Ichigo fu piuttosto colpito da quell'inattesa attenzione, un po' come lo era stato dalla cura con cui Grimmjow aveva preparato per lui un'aranciata fresca. Sorrise ringraziandolo e addentò un sandwich alla svelta, seguendo i compagni in classe. Sedette al solito banco rimpinzandosi di mezzo sandwich alla volta, mentre Sado sedeva dietro di lui in ultima fila. Ishida sedette al banco accanto, cosa abbastanza inusuale, ma poi capì perché: si appropriò del suo quaderno di matematica e prese a confrontare i compiti. Aveva spesso quel bisogno di verificare che i suoi esercizi fossero corretti, specie se aveva avuto dubbi o difficoltà a eseguirli.
«Kurosaki, questi esercizi...»
Si interruppe bruscamente e Ichigo lo guardò per indagarne il motivo, quando lo vide pallido e molto nervoso. Lo stava guardando come se si aspettasse di vederlo vomitare degli organi interni da un momento all'altro, e Ichigo comprese il motivo solo seguendone lo sguardo. Si era appena tolto la giacca dell'uniforme e la sua camicia era macchiata di sangue. Si era sporcato quando aveva sollevato e trascinato Grimmjow ferito, ma aveva completamente dimenticato di doversi cambiare.
«Kurosaki, sei ferito?»
«No... no, tranquillo, Ishida... non è mio...» disse lui rimettendosi la giacca frettolosamente, prima che qualche altro studente notasse le macchie.
«Ichigo, che cosa è successo?»
Dopo quel piede in fallo e davanti alle facce preoccupate di Sado e Ishida, Ichigo seppe di non poter più tacere, o sarebbe stato coinvolto in fantasie ben peggiori della realtà. Sospirò e tentò di riordinare le idee, chiedendosi cosa poteva raccontare. Fu tentato di dire che l'aggressione a Grimmjow era accaduta nel bar per non dover ammettere di essere stato in piena notte a casa di un uomo sconosciuto. Era piuttosto equivocabile, specie se la causa di ciò era semplicemente l'essersi addormentato come un idiota per molte ore su un tavolo.
«Ero andato al bar, ieri pomeriggio... per studiare...» iniziò titubante, ancora indeciso se abbozzare i dettagli più compromettenti o no. «Mi sono addormentato sul tavolo fino a tardi, e quando mi sono svegliato i cancelli di scuola erano chiusi...»
«E quindi?»
«Quel sangue?» incalzò Sado.
«Ecco...»
Ichigo si passò la mano sulla faccia e si tirò indietro i capelli, sbuffando. Decise di dire la verità. Se fosse mai venuto fuori che non era come aveva detto, la menzogna avrebbe creato molti più equivoci di una strana verità, e poi non aveva niente da nascondere, aveva fatto il suo meglio, in buona fede.
«Non sapevo cosa fare o dove andare, così sono andato con Grimmjow a casa sua... voglio dire, con Jay, si chiama così, il barista.» si corresse; faticava a usare di nuovo il nome vero. «Una volta scesi dalla macchina...»
«Sei andato via in macchina, di notte, con un tizio che non conosci?»
«Avanti, Ishida...»
«È un comportamento incosciente, Ichigo.» convenne Sado. «E noi non sapevamo neanche dove fossi, se ti fosse accaduto qualcosa non avremmo saputo dove o chi cercare.»
«Ragazzi, avanti! Non sono un ragazzina, cosa poteva mai farmi?»
«Per quanto ne sapevi poteva portarti ovunque, poteva anche rapirti, porti l'uniforme di una prestigiosa scuola privata. Poteva credere che fossi di famiglia ricca.»
«Dateci un taglio, d'accordo? Certe cose non succedono così spesso, e io so difendermi benissimo...»
«Non è che ci nascondi qualcosa, Kurosaki?»
«Come, scusa?»
«C'è un motivo più... convincente... per cui sei andato a casa sua?»
«Cosa?!»
Ichigo era talmente indignato da quella domanda che non seppe come rispondere: provava la voglia di scoppiare a ridere e al tempo stesso di mandare Ishida al diavolo. In cerca di sostegno guardò Sado, ma restò sconcertato di notare che non sembrava affatto trovare la domanda esagerata o assurda. Come un idiota, Ichigo guardò dall'uno all'altro più volta, a bocca aperta ed espressione incredula.
«Kurosaki, senti... a me... e anche a Sado kun, certamente, non importa se tu... sei...» fece Ishida, pulendosi gli occhiali come sempre quando era nervoso. «Voglio dire, Sado kun, sarai d'accordo con me che se non è un caso che Kurosaki sia andato via con quel tipo, noi capiremmo...»
«No!» sbottò Ichigo, per poi riacquisire il controllo. «No, ragazzi, sul serio, siete fuori strada, okay? Ve l'ho detto, non sapevo cosa fare e mi ha ospitato da lui... pochi minuti dopo che siamo arrivati hanno bussato dei tizi, hanno discusso e lo hanno aggredito...»
«Sei stato coinvolto?» domandò Sado subito, dimentico del discorso precedente. «Sei ferito?»
«No, no... loro hanno preso di mira lui, si sono limitati a tenermi fermo perché non lo aiutassi... e siccome sono stato inutile, sono rimasto con lui per aiutarlo a medicarsi... il sangue... mi ha sporcato quando l'ho aiutato ad alzarsi... ma l'avete visto, sta bene, riesce a guidare...»
Uno strano silenzio accolse il suo racconto. Sado annuì e sembrò soddisfatto da quella versione dei fatti, Ishida invece lo studiava come a voler scoprire i segni visibili di una bugia. Qualcosa di istintivo suggerì a Ichigo che non era convinto del suo rapporto con Grimmjow.
«Ishida, non mi credi?»
«Non è questo, però... beh...»
«Se vuoi sapere se sono andato a letto con quello, chiedimelo da uomo a uomo.»
Ichigo era sicuro che a quella richiesta il compagno di classe avrebbe preferito ritirarsi dal confronto, ma Ishida lo guardò intensamente per qualche istante e il suo nervosismo parve dissiparsi.
«Kurosaki, hai un rapporto intimo con quell'uomo?»
«No.» rispose veemente Ichigo. «No, no e no
L'ingresso del professore calamitò l'attenzione di tutti e Ishida distolse lo sguardo controvoglia da lui. Impossibile capire se gli avesse creduto o meno, ma Ichigo si ripromise di tornare sull'argomento per chiarirlo e fugare ogni dubbio. Mentre attendeva il proprio nome letto durante l'appello però non poteva fare a meno di domandarsi che cosa avrebbe pensato Ishida, ma anche Sado, se non avesse omesso dettagli come la sua sorveglianza di Grimmjow sotto la doccia o il fatto che era rimasto nudo quasi tutto il tempo che avevano passato insieme.

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Capitolo 4
*** La fine della favola ***


Ichigo aveva fatto una promessa ai suoi compagni, ma solo poche ore dopo l'aveva già infranta nuovamente: si cambiò i vestiti nel gabinetto e uscì dalla finestrella, con circospezione attraversò il cortile e lasciò la scuola. Sentì la campanella dell'intervallo dal marciapiede mentre si allontanava a grandi passi, voltandosi più volte a controllare di non essere notato. Solo una volta protetto dagli alberi si sentì tranquillo e si fermò un momento a specchiarsi in una vetrina lustra. Chiuse il terzo bottone della camicia viola che si era messo per la prima volta in vita sua: era un regalo delle sue sorelle che ci tenevano che avesse qualche vestito più formale per la sua vita accademica lontano da casa. Controllò di aver chuso la cerniera dei pantaloni neri e strinse un po' la cintura bianca e sottile. Erano dei vestiti un po' vistosi per il suo gusto personale, ma aveva riflettuto rapidamente e concluso che così abbigliato sembrava un po' più adulto e sarebbe forse passato inosservato nel suo tentativo di marinare la scuola. Riprese il cammino e notò che le persone che incrociava sembravano non notarlo; ne dedusse di essere riuscito nel suo intento.
Arrivato al pub si fermò davanti alla porta, nervoso. Sapeva che, al 98% delle possibilità, Grimmjow si sarebbe infuriato alla sua vista, a quell'ora. Sapeva anche che non sarebbe servito a nulla mentirgli sulle ragioni che lo avevano portato lì, o che era capitato lì per caso, lo avrebbe solo fatto infuriare maggiormente. Eppure non poteva fare a meno di pensare a lui, alle ferite che aveva, e a quello che avrebbe potuto dire il suo detestabile capo davanti alle sue pietose condizioni. Non avrebbe creduto nessuno a uno scivolone o a un banale incidente domestico.
Aprì la porta ed entrò senza esitare. Il locale sembrava deserto, come quasi sempre, anche se era metà mattina. Nessuno al tavolo da biliardo, nessuno dietro il bancone. Le luci erano tutte spente, le sedie e gli sgabelli erano sistemati sul banco e sui tavoli. Ichigo avanzò di qualche passo e scandagliò gli angoli del locale, ma non vide anima viva. Non vide secchi o stracci che facessero pensare a delle pulizie in corso, non sentiva rumore di lavastoviglie, di acqua corrente, nessun tintinnio di vetro. Ma se era chiuso, perché la porta era aperta?
«Siamo chiusi.»
Ichigo si girò verso la voce che veniva dalla porta in fondo al bar, quella da cui aveva sentito una misteriosa voce cantilenante chiamare Jay la volta in cui si era rivolto a lui con scortesia. Questa volta però la voce era familiare e lo fece sentire sollevato. Un tintinnio di bottiglie di vetro precedette un brusco ritorno al tono più irritato dello scontroso barista.
«Ah, sei tu.» fece Grimmjow, lasciando sul banco una cassetta di bibite in bottigliette di vetro. «Come ho già detto siamo chiusi, quindi ciao.»
«E perché sei qui se siete chiusi?»
«Kurosaki... non ho tempo di chiacchierare con te...»
Ichigo, che si era aspettato una battuta sarcastica molto affilata e velenosa, rimase sconcertato dal fondo di stanchezza e sofferenza che traspariva dalla sua voce. Grimmjow parve accorgersi del suo momento di debolezza, perché cominciò subito a infilare bottiglie ovunque trovasse spazi nel frigorifero con buon ritmo e gli scoccò un'occhiata penetrante come lui solo riusciva a fare.
«Ma che cosa ti sei messo addosso, Kurosaki? Vuoi rimorchiare qualche ragazzina?»
Ichigo non fece in tempo a rallegrarsi di quel ritorno al sarcasmo che Grimmjow scomparve dalla vista: un gran fracasso di vetri rotti provenne da dietro il bancone e Ichigo fece di corsa il giro. Grimmjow aveva ceduto sotto il peso di una seconda cassetta di bottiglie, era in ginocchio sui tappeti antiscivolo che coprivano il pavimento dietro il bar, in mezzo a frammenti di vetro di tutte le dimensioni e di tre colori. Si teneva il lato sinistro del costato con una mano e con l'altra era aggrappato al bordo del lavabo, digrignando i denti per sopportare il dolore.
«Grimmjow! Dannata testa di cazzo, te lo avevo detto che non eri in condizione!»
Lo aiutò ad alzarsi e il solo fatto che Grimmjow gli si aggrappasse alle spalle con tanta forza era un indicatore di quanto stava soffrendo. Si appoggiò pesantemente al bancone senza togliere la mano dalle costole dolenti e ansimò, senza neanche provare a rispondere. In qualche attimo il dolore parve calare abbastanza da concedergli di preoccuparsi del disastro di vetri poco più di un metro e mezzo sotto i suoi occhi.
«Merda... che cazzo di casino!»
Grimmjow si inginocchiò per afferrare la cassetta di plastica e raccogliere i vetri, ma una nuova fitta di dolore lo scosse e gli impose la completa immobilità. Ichigo seppe di non potersi lasciar mettere i piedi in testa nuovamente e si fece avanti con decisione.
«Siediti e riposa un momento, Grimmjow... sistemerò io qui dietro.»
Il barista alzò gli occhi sul ragazzo, in piedi a un passo da lui, fissandolo intensamente. La sua espressione era bellicosa e le sue condizioni fisiche pietose, ma a Ichigo diede una certa sensazione di potere svettare così in alto su di lui, e quel suo compiacimento dovette alimentare la sua forza mentale al punto che l'ebbe effettivamente vinta. Grimmjow distolse lo sguardo e non oppose resistenza, annuendo appena. Prese la mano che Ichigo gli stava porgendo e si alzò lentamente, poi sedette accanto al lavabo sul banco, reggendosi il costato dolorante. 
Ichigo fece appena in tempo a guardarsi intorno in cerca di una scopa per raccogliere i vetri che una sgradita presenza si palesò dall'altro lato del bar: Aizen e il suo enigmatico sorriso si avvicinarono e i suoi occhi castani passarono dai vetri rotti a Grimmjow fino a Ichigo.
«Jaeger, io non ti pago per rompere le bottiglie, e neanche per sederti quando dovresti lavorare.» osservò in tono calmo. «E mi pare fosse consuetudine, quando è giorno di rifornimenti, di non far entrare clienti... nulla di personale, ovviamente... è un regola applicata a tutti, anche ai clienti più assidui.»
«Ero solo passato a restituire una cosa a Jay.» intervenne Ichigo prima che Grimmjow potesse aprire bocca. «Mi dispiace, ho fatto cadere io questa cassa... la ripagherò.»
Ichigo fissò lo sguardo negli occhi di Aizen, come a sfidarlo a contraddirlo o a non credergli. Purtroppo con la coda dell'occhio notò che Grimmjow gli aveva lanciato uno sguardo profondamente indignato, e quando il sorriso di Aizen si allargò capì che anche lui l'aveva notato.
«Oh, è molto onesto da parte tua risarcire i danni... ma devo dire che sarebbe invece un atto molto stupido se, ipoteticamente, non fossi stato tu e stessi solo cercando di coprire qualcun altro.»
«Ha perfettamente ragione, sarebbe da idioti, non lo farei.» concordò veemente Ichigo.
«Molto bene, allora... Jaeger, lascio a te questa questione del risarcimento danni...» disse in tono leggero, uscendo da dietro il bancone. «Tornerò solo nel pomeriggio, devo riscuotere, oggi.»
«Bene.» ribatté lui.
«Buona giornata, allora.»
Aizen si allontanò e rispose a una telefonata mentre usciva dalla porta. Gli occhi di Grimmjow iniziarono quasi a fiammeggiare quando tornò a guardare Ichigo. Lui lo guardò per un attimo soltanto e si chinò a raccogliere l'unica bottiglia ancora intatta sul pavimento.
«Sei rincoglionito, Kurosaki?»
Ichigo non rispose né lo guardò. Recuperò scopa e paletta da un angolo e si mise a raccogliere e gettare i cocci di vetro.
«Guardami!» sbottò Grimmjow. «Perché hai detto quella cosa?! Sono stato io a far cadere la cassa e Aizen lo sa benissimo, come lo sai tu!»
«Non vedo come potrebbe saperlo, non era ancora arrivato quando è successo.»
«Credi di averlo imbambolato con quella risposta?»
«Sì, lo penso.» ammise Ichigo. «Anche perché non importa cosa sospetta, non può obiettare, e non lo ha fatto perché non era ancora entrato, non sa di cosa parlavamo né chi avesse in mano quella cassa.»
Grimmjow non rispose, ma era evidente che non era convinto. Ichigo raccolse le ultime schegge di vetro e poi lo guardò di nuovo.
«Tu non stai bene, e lo sai... combinerai altri guai del genere fino all'ora di chiusura se non resto con te.»
Grimmjow colse immediatamente il senso di quella frase e i suoi occhi azzurri mandarono lampi degni di una tempesta. L'ira lo fece alzare, ma prima che potesse scaricarla addosso a Ichigo la fitta ormai familiare lo costrinse a trattenere la collera. Kurosaki sollevò la terza cassa di bibite, piena di birre in bottiglia, e lo guardò con quanta più risolutezza riuscisse a mettere insieme.
«Io non ho un soldo per ripagare quello che ho rotto. Quindi dì al tuo capo Aizen che lavorerò per lui finché non si riterrà ripagato del danno che ho provocato... e se non ti va bene lavorare con me, resta a casa. Ti farà bene riposare con quelle ferite.»
«E va bene, razza di... stronzo... la tua testa di cazzo è dura come questo maledetto marmo!»
Tirò un pugno sul bancone con il braccio fasciato e una scossa di dolore lo costrinse a tenerselo stretto al petto, piegandosi in due e borbottando insulti e imprecazioni sottovoce.
«Forse sono testardo come un certo barista di mia conoscenza.»


Come Ichigo aveva previso, Aizen non si oppose all'impiegarlo per ripagare il danno, e anzi l'invitò a cominciare in giornata se poteva. Archiviato il consenso per telefono, Ichigo iniziò immediatamente a lavorare ignorando l'espressione infastidita di Grimmjow che sibilava oscuri avvertimenti dal suo angolo vicino al registratore di cassa. Dopo aver sistemato tutti i rifornimenti a Ichigo iniziavano a far male le braccia, ma la sua bocca restò sigillata e non proferì un singolo lamento, soprattutto perché aveva confinato Grimmjow a strofinare bicchieri già lustri. Non aveva fatto altro che sorvegliarlo come un falco, e il suo cipiglio si dileguò soltanto quando arrivò l'una del pomeriggio.
«Kurosaki, mangiamo.» disse allora. «Alle due apriamo.»
Sorpreso dal tono tranquillo della voce, Ichigo annuì un po' confuso da quel cambio d'umore.
«Okay... finisco di pulire questi due tavoli.»
«Okay.»
Vide Grimmjow armeggiare con qualcosa dietro il bancone, ma non riusciva a vedere che cosa stesse facendo di preciso. Si affrettò a pulire i tavoli e le rispettive sedie per andare ad accertarsi che non stesse facendo nessun lavoro faticoso, ma quando finì Grimmjow l'aveva battuto sul tempo: ad aspettarlo trovò un sontuoso sandwich a strati. Aveva un aspetto magnifico e un profumo quasi seducente.
«Prendi la tovaglietta, non vuoi sbriciolare sui tuoi tavoli puliti, no?»
«Hai fatto tu questi?»
«Certo che sì... una volta si facevano anche i sandwich qui, prima che cambiasse il tipo di clienti.»
Ichigo si trovò a chiedersi cosa potesse essere successo, perché quel sandwich era sicuramente il più buono mai mangiato nella sua vita. Grimmjow sembrava piuttosto soddisfatto che il suo operato fosse così apprezzato, ma non fece alcun commento in proposito. Mangiarono tranquillamente bevendo una bibita e anche dopo le due Grimmjow restò molto rilassato. Appesero il cartello "aperto" e attesero, ma mentre Ichigo era in piedi e pronto, il barista era seduto a sfogliare una rivista.
«Rilassati, Kurosaki... prima delle tre non c'è praticamente mai nessuno.»
Ichigo si rilassò appena e si concesse di distrarsi osservando Grimmjow. Si insospettì vedendo la copertina della rivista di un rosa sgargiante, così si avvicinò e la sgraffignò con una zampata felina. Si trattava di uno di quei giornaletti per ragazzine adolescenti.
«Grimmjow, tu leggi questa roba?»
«E che cavolo c'è da leggere in una rivista del genere?» fece lui, seccato. «Ridammela.»
«Se non c'è niente da leggere che cosa la sfogli a fare?»
«Beh, ci sono le pubblicità di costumi da bagno e gli articoli sulle idol.»
«Quindi sono la versione censurata dei tuoi giornali porno.»
«Non avrai pensato che mi interessasse sapere l'ultima moda dei cappellini o come una si deve truccare se ha gli occhi azzurri?»
«Beh, perché no?» ribatté Ichigo, accennando ai segni verdi intorno ai suoi occhi.
«... Se il verde non fosse il colore giusto non lo cambierei di certo.» fece Grimmjow gelido. «Sono tatuaggi, deficiente.»
Grimmjow schiaffò malamente la rivista nel cassetto sotto la cassa, e subito dopo entrarono due clienti che Ichigo riconobbe come due giocatori di biliardo del giorno prima. 
In pochi minuti il bar si riempì come se tutti si fossero dati appuntamento. Erano molti uomini ma quasi tutti dovevano essere abituali: c'era chi chiamava il barista per nome, chi chiedeva una rivincita a biliardo o a carte, chi ordinava "il solito" e chi guardava Ichigo con sorpresa e chiedeva chi fosse.
«Mi chiamo Kurosaki Ichigo.» rispose Ichigo a un uomo che fece quella domanda. «Sono in prova.»
«Mi sembri parecchio giovane, Ichigo, non dovresti andare a scuola?»
«Ma ci vado ancora, frequento l'istituto Sonoda qui vicino...»
«Ma ha dei voti che uno struzzo li avrebbe più alti, Handa.» si intromise Grimmjow appoggiando la bibita richiesta dal cliente sul banco.
«Ehi!»
«Ehh, mi dispiace.» fece Handa. «Ma non tutti sono stati brillanti come te, Jay.»
«Se fossi stato così brillante non sarei finito in gabbia, Handa sensei.»
Ichigo ingoiò ogni protesta e guardò l'uomo con gli occhialini. Ora ricordava dove lo aveva visto prima, perché gli pareva una faccia familiare: era un insegnante della Sonoda, ma non era del suo corso; a meno di sbagliarsi grossolanamente era un professore che insegnava francese. Lo aveva appena sentito tessere le lodi di Grimmjow e non c'era possibilità di aver interpretato male la frase. Aveva quindi frequentato il suo stesso istituto prima di finire "in gabbia"... ma restava ancora oscuro il motivo.
«È stato un tragico errore, Jay... ma non era tutto perduto... avresti potuto tornare a scuola e riprendere da dove avevi interrotto... la legge te lo permetteva.»
«Quel che è fatto è fatto, Handa sensei... piuttosto, rallegrati di non avere in classe questo idiota.»
Il professore scoppiò a ridere sonoramente, strinse la mano a Ichigo augurandogli il meglio per i suoi studi e poi si allontanò con la sua bevanda analcolica, prendendo posto al tavolo dove Ichigo aveva schiacciato il pisolino più lungo della sua vita. Lui però fissava Grimmjow, i cui occhi sembravano insolitamente spenti.
I clienti del bar erano stati tutti serviti e la porta restava chiusa. Il centro dell'attenzione era il tavolo verde, come sempre. Ichigo si chiese se non fosse l'occasione giusta per porre qualche domanda e ottenere qualche risposta sensata.
«Grimmjow...»
Lui si irrigidì come se avesse schivato un colpo di fionda a sorpresa. Strinse lo strofinaccio nella mano per qualche istante prima di abbandonarlo, e voltò la testa per guardarlo. Dava l'impressione di aver dimenticato che rischiava di trovarsi in quella situazione e di non aver pensato a come evitarlo. Rimase in silenzio, ma era una sorta di invito a parlare.
«Per quale motivo sei finito in carcere?»
Ichigo avrebbe voluto mordersi la lingua: le parole gli erano uscite di prepotenza, senza tatto, precipitosamente. In mezzo a tutta quella gente non avrebbe mai avuto una risposta a una domanda posta in quel modo, al massimo un pugno o un pestone sul piede. Grimmjow si raddrizzò e sparì dietro la porta in fondo, che aveva scoperto quel giorno ospitare le scorte del bar e i prodotti per la pulizia. Ichigo lo seguì incerto e lo trovò intento a vagliare lentamente le bottiglie di acqua minerale sugli scaffali. Era ovvio che voleva si pensasse, nel caso fosse entrato qualcuno, che non era in atto alcuna conversazione che non fosse concernente il bar.
«Vuoi dire che non hai fatto nessuna ricerca su di me?»
«Avrei dovuto?» domandò Ichigo. «Non sono un poliziotto... se c'è qualcosa da sapere su di te, è a te che devo chiederlo... è il modo in cui vorrei essere trattato io.»
Grimmjow smise di spostare le bottiglie, ma non spostò lo sguardo dalle etichette blu. Il suo silenzio fece pensare a Ichigo che la sua risposta lo avesse sorpreso e probabilmente tranquillizzato. Anche lui tacque, convinto che qualsiasi insistenza sarebbe stata controproducente.
«Quando avevo la tua età studiavo nella tua stessa scuola.» esordì Grimmjow. «Handa era uno dei miei insegnanti, e gli piacevo... era forse l'unica persona al mondo a cui piacessi, a scuola e fuori... compresi i miei genitori.»
Le ultime quattro parole turbarono ichigo. Avvertì delle vaghe vertigini, come chi mette un piede in fallo e si accorge di essere vicino a un dirupo. Aveva sconfinato in un territorio molto intimo, proibito.
«Da quando avevo tredici anni ho avuto questi capelli, e questi tatuaggi... mi piaceva che la gente mi guardasse e mi giudicasse male, per dimostrare che non ero peggiore di chi sembrava un bravo ragazzo figlio di papà... alla fine invece sono diventato veramente peggiore di tutti gli altri.»
«Che cosa vuoi dire?»
«Ho visto che hai trovato la mia maglietta, a casa mia. Quella con il numero sei.»
«Ah... sì, l'ho trovata in una scatola.» ammise lui. «Ma cosa c'entra quella maglietta con il motivo che ti ha portato in carcere? Dev'essere una maglietta di quando eri bambino.»
«Ero affezionato al numero sei... mia madre stava nel letto numero sei quando sono nato io, ero il numero sei della mia squadra quando ero bambino... sono stato il numero sei dello stato agli esami nazionali delle scuole medie.» disse con un sorriso che strideva con l'espressione di amarezza che aveva in viso. «E sono stato il numero sei della banda che hai visto in azione stanotte.»
«E di che genere di banda di trattava?» domandò guardingo Ichigo.
«Quella che pensi... piccoli furti, spaccio, furto d'auto... mi occupavo di questo, rubavo le auto.»
«Sei finito in carcere per furto d'auto, allora?»
«Magari.»
Ichigo ripensò in quel preciso istante a quello che Grimmjow aveva detto in macchina la sera prima. Aveva parlato di imparare dagli errori... si accigliò per cercare di recuperare una memoria più precisa. Alla sua accusa di non sembrare responsabile, lui aveva affermato che si impara più da un errore che da cento consigli. Una sinistra luce illuminò di comprensione la sua mente e fu con occhi angosciati che lo fissò in attesa di una conferma.
«Una notte ho rubato una macchina.» proseguì lui, soppesando una bottiglia. «Volevo usarla per fare una gara con un altro tizio... ero pieno di birra e di droga fino a scoppiare, non so nemmeno come facessi a reggermi in piedi... non ricordo quasi niente della gara, se non che uscendo di strada in una curva ho ucciso un vecchio sul marciapiede.»
Un pesante silenzio seguì quell'affermazione. Il vociare del locale sembrava non riuscire a penetrare quella bolla di pressione. Quando Grimmjow parlò di nuovo aveva una voce inconsueta, come se stesse leggermente tremando.
«Era morto sul colpo.» rivelò. «Io non ho mai pianto da quando ho memoria, Kurosaki, ma quella sera io ho pianto.»
Ichigo cercò di immaginare la scena. Tentò di plasmare nella sua mente l'idea di avere un barlume di coscienza in mezzo a fumi di alcol e droga, e trovarsi al volante di un'auto uscita di strada, davanti al corpo di un povero vecchio la cui unica colpa era trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato. Anche Ichigo era un ragazzo che difficilmente permetteva alle emozioni di soggiogarlo, ma forse in un caso simile anche lui si sarebbe trovato travolto dal panico e dai sensi di colpa. Però non osò confessarlo a Grimmjow.
«I miei compagni della banda hanno assistito all'incidente, ma se ne sono andati senza neanche controllare se io ero vivo dentro l'auto... e mi hanno lasciato arrestare.»
«Ma eri un minore, no? Ti hanno messo in carcere lo stesso?»
«Per tre settimane... sarei potuto tornare a casa, ma i miei genitori non mi hanno fatto uscire.» disse Grimmjow, con un brusco ritorno al suo tono gelido. «Non li ho più rivisti da allora... quando sono uscito avevo delle grosse restrizioni... dovevo dichiarare ogni mio spostamento, non dovevo più toccare alcol e droga, dovevo mantenere la fedina pulita... tornare a scuola e rigare dritto, oppure trovarmi un lavoro e rigare dritto... ho scelto la seconda opzione. I miei genitori mi hanno spedito dei soldi perché potessi stare in affitto lontano da loro, finché non sono diventato maggiorenne, poi più nulla. Fine della favola. Come vedi, non ho un lieto fine.»
Preso in contropiede dal veloce resoconto riguardo i suoi genitori, Ichigo capì che forse l'abbandono della famiglia era per Grimmjow la parte più traumatica di quella vicenda. Forse col tempo aveva fatto pace con gli errori, con il fatto che l'alcol e la droga avevano ucciso il vecchio usando lui, ma quella dei suoi era stata una scelta deliberata. Suo malgrado si trovò impietosito per lui.
«Ma non sei tornato in carcere... mi sembra un lieto fine, dopotutto.»
Ichigo si avvicinò e gli posò la mano sulla spalla, ma non appena lo fece Grimmjow si girò e gli piazzò tre bottiglie di acqua nello stomaco. Riuscì a reggerle per un soffio.
«Portane di là cinque o sei.»
Detto ciò, uscì dalla stanzetta. Gli fu chiaro che la conversazione era finita.

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Capitolo 5
*** La vena d'oro ***



Il resto della giornata lavorativa trascorse senza che Grimmjow gli rivolgesse la parola. Lui faceva il suo lavoro come sempre, o almeno quello che riteneva fosse il suo lavoro, prendendosi le dovute pause per sfogliare i suoi giornalini e per giocare coi clienti, e di tanto in tanto tornava al bancone per preparare qualche cocktail che Ichigo non aveva mai nemmeno sentito nominare. Durante il minuto in cui si trattenne a preparare due Cosmopolitan quel furbacchione di Ben spostò il boccino e la palla fucsia in una posizione più favorevole, ma Ichigo pensò bene di non disturbare l'ostinato silenzio di Grimmjow con quella notizia di poco conto e sogghignò quando scoprì, durante la sua pausa prima della tirata serale, che Ben era riuscito a vincere per la prima volta.
«Sei abituato a mentire, eh, Kurosaki?»
Ichigo voltò la testa e scoprì che Aizen era accanto a lui. Lo guardò sorridere e prendere posto al suo tavolo con un invitante vassoio abbondante di tempura, riso e zuppa. Ichigo, che aveva un misero toast al formaggio raffazzonato, era vagamente invidioso di quei succulenti gamberi, al punto che lo distraevano completamente dalla domanda che gli era stata rivolta.
«Ah, serviti pure, è per te.» disse Aizen spingendogli il vassoio vicino. «So che hai una pessima opinione di me, dato che hai socializzato così tanto con Jaeger... ma non credere che non sia ammirato dal fatto che sia venuto al lavoro in quelle condizioni... così come ammiro che tu lo abbia aiutato... so che è stato lui a far cadere la cassetta.»
«No, sono stato io, davvero...»
«Ne dubito molto, Jaeger non ha mai permesso a nessuno di stare dietro al suo bancone... non ti avrebbe mai permesso di avvicinarti a quella cassa, figurarsi di rovesciarla.»
Ichigo soppesò l'affermazione e studiò lo sguardo di Aizen per qualche attimo. Era così concentrato che notò a malapena che Ichimaru, l'uomo dalla voce cantilenante amico di Aizen, li aveva raggiunti.
«Se lo sa, perché mi ha fatto lavorare qui?»
«Perché Jaeger non poteva farcela da solo oggi... e non mi fidavo di lasciarlo a lavorare senza che ci fosse qualcuno a tenerlo d'occhio.»
«Aizen, che cuore tenero... stai iniziando a tenere a quel ragazzo?» domandò Ichimaru Gin, con un sorriso lezioso sulla faccia.
«In fondo la sua vita adesso dipende molto da me, mio malgrado non posso ignorare le mie responsabilità.»
Ichigo fu molto sorpreso che Aizen, quell'Aizen che gli era sempre sembrato pronto ad abusare della sua posizione, dimostrasse una sincera preoccupazione per Grimmjow e per le sue condizioni di salute. Assistette mangiando a una sorta di battibecco tra i due uomini, dove Ichimaru adduceva ragioni ed occasioni in cui Aizen aveva dimostrato un certo tatto, e l'altro se ne schermiva minimizzandole come se se ne vergognasse. Ad un certo punto Grimmjow decise, per qualche motivo sconosciuto, di parlargli di nuovo.
«Kurosaki, vieni qui.»
«... Sto mangiando...»
«Vieni qui, adesso, Kurosaki!» sbottò Grimmjow in un tono che non ammetteva repliche.
Ichimaru non perse il sorriso e anche Aizen diede in una risata sommessa.
«Ohi ohi, Jay sembra davvero arrabbiato, vero?» fece Ichimaru in tono allegro. «Forse pensa che lo vuoi sostituire, Aizen!»
«Sarebbe una fortuna se lo pensasse, diventerebbe meno pigro.»
«KUROSAKI!»
«Non ti preoccupare, Kurosaki... troverai il vassoio ancora qui dopo che sarai andato a vedere che cosa vuole con tanta urgenza... se non butta per aria l'intero locale prima...»
«Ah... grazie... grazie davvero, torno subito.»
Ichigo si legò in vita il grembiule nero da cameriere e raggiunse in fretta Grimmjow che era al registratore di cassa. Si stupì di vedere che non era solo, ma soprattutto per quanto era impensabile la sua compagnia: di fronte a lui c'era un belligerante Uryuu Ishida, spalleggiato dall'imponente sagoma di Sado. Mentre quest'ultimo era calmo, gli altri due erano sul piede di guerra.
«Kurosaki, questo coglione nevrotico cerca te! Parlaci e poi sbattilo fuori, prima che lo faccia io!»
«Ishida... Chado! Che fate qui?»
«Siamo venuti a cercarti!»
Se sulla definizione di "coglione" si poteva contrattare, su quella di "nevrotico" si potevano solo alzare le mani: Ishida dava decisamente in escandescenze.
«Sei sparito di nuovo, senza dire niente, e avevi appena promesso di non farlo più! Qualcosa come un'ora prima!»
«Lo so... lo so, mi dispiace.» si scusò Ichigo, sentendosi effettivamente in colpa. «Ho deciso su due piedi e non volevo che cercaste di fermarmi...»
«Che cosa stai facendo, comunque?» domandò Sado, interrompendo Ishida che stava per tornare alla carica e accennando al grembiule. «Sembra che tu stia lavorando in questo locale.»
«Sì, è così.» confermò lui, lieto che Sado lo aiutasse a stemperare gli animi.
«È per questo che negli ultimi giorni ti stai assentando così spesso?»
«Ah... beh, in effetti, io...»
Ichigo venne distratto da un prepotente rumore di scotch tirato e vide che Grimmjow era intento ad appendere al muro, accanto alla cassa, una delle ragazze in costume da bagno della sua rivista. Per qualche attimo si lasciò dominare dalla perplessità e si domandò perché avesse aspettato dei mesi prima di strappare quella pagina. Solo quando vide che Ishida stava osservandolo con evidente disappunto Ichigo pensò che non era stato un cattivo tempismo: così Ishida si sarebbe convinto che il barista era perfettamente etero e non aveva nulla di intimo a che spartire con lui.
«Dicevi che lavori qui?» riprese Ishida alla fine, notevolmente più calmo. «Da quando?»
«Solo oggi, per ripagare una cosa che ho rotto, tutto qui...»
«Ma con lo studio come fai? E non sei anche nella squadra della nostra sezione per il torneo sportivo?»
«Se non avrò ancora finito dovranno fare a meno di me... per gli appunti mi affido a te, Ishida.»
«Scordatelo proprio, se vuoi gli appunti vieni a prenderteli da solo a lezione.»
«Chado?»
«Ti darò i miei.»
«Sado kun... se gliela dai sempre vinta, continuerà a scappare dalle lezioni...»
«Ishida, Ichigo sta riparando a un danno... è la cosa più giusta da fare. Farei anch'io lo stesso e Ichigo mi sosterrebbe.»
«Non faremmo meglio a cercare di tirare su i soldi, allora? Siamo vicini agli esami e se passa i pomeriggi in questa bettola...»
«Senti un po', quattr'occhi!» si intromise Grimmjow, che sembrava gradire Ishida quanto avrebbe gradito grattarsi i testicoli con un rovo di more. «Kurosaki lavora qui e francamente non gliel'ha chiesto nessuno, ma in ogni caso se sta qui a chiacchierare con te non combina un cazzo! Se vuoi ordinare qualcosa siediti e fallo subito, se no porta la tua maestosa tracotanza e la tua guardia reale fuori dalla mia bettola!»
Ichigo, un po' come Ishida, restò molto sorpreso di quello scatto, ma soprattutto per le parole ricercate che gli erano uscite dalla bocca senza riflettere. Che tipo di uomo poteva essere realmente Grimmjow se in uno scatto d'ira usava un'espressione come "maestosa tracotanza"? Forse iniziava ad avere un assaggio del "brillante studente" che era stato un tempo. Ricordò anche i libri impegnati che aveva trovato nello scaffale a casa sua, e gli affiorò un accenno di sorriso sulle labbra. Iniziava a vedere una vena dorata nella crepa di quella che pareva solo una comunissima roccia.
«Jaaaaayyy...»
Ichigo istintivamente si voltò: aveva riconosciuto la voce cantilenante di quel primo giorno. Si rese conto con stupore che era stato Ichimaru Gin a rimproverare Grimmjow. Come allora, il barista levò gli occhi sul soffitto in un evidente tentativo di dominare l'istinto di sbottare e anche quello di staccarsi la lingua con un morso per evitare di rispondere male.
«Non te lo ripeterò di nuovo.» sibilò lui a Ishida. «Prendi qualcosa oppure vattene via
Ma Ishida si era già ripreso dallo stupore ed era prontissimo a fronteggiare l'avversario.
«Bene.» ribatté infatti. «In questo caso, Kurosaki, puoi portarmi del tè. A quel tavolo laggiù.»
Ishida non aggiunse altro e andò a sedersi. Sado scosse la testa e lo raggiunse mentre estraeva un libro e si immergeva in una finta lettura. Ichigo aveva capito benissimo che voleva attirarlo lì per parlargli lontano dal barista e preparò il tè sul vassoio chiedendosi che argomenti avrebbe estratto dal cilindro per convincerlo a tornare a scuola. Sobbalzò nel vedere Grimmjow vicinissimo a lui che si chinava per parlargli all'orecchio.
«Quello è un tuo amico?»
«Ah... siamo compagni di scuola... e di camerata, siamo noi tre nel dormitorio...»
«Ed è così chioccia anche con quell'armadio o solo con te?»
Ichigo non seppe cosa rispondere, non perché non sapesse la risposta precisa, ma perché si domandava come mai Ishida gli facesse il terzo grado su Grimmjow e quest'ultimo iniziasse a torchiarlo sul suo compagno di scuola. Inoltre gli avrebbe fatto piacere se si fosse allontanato un po', perché era prepotentemente dentro il suo spazio intimo.
«Grimmjow... puoi spostarti un po'? È imbarazzante.»
«È imbarazzante o lui è geloso?»
«Ma che idee ti vengono? Siamo solo compagni di scuola... mi controlla perché è da qualche settimana che esco spesso da scuola senza avvertire, si preoccupa di dove sono e che cosa faccio.»
«Ah sì?»
«Certamente.»
«D'accordo... allora vado a parlarci io.» disse Grimmjow, appropriandosi del vassoio. «Gli chiarisco che non c'è niente tra noi che lo possa impensierire, che ne dici?»
«Cosa... no! Grimmjow, non dirgli niente! Ti prego!»
Grimmjow gli rispose con un sorriso provocatorio e andò al tavolo. Ichigo, atterrito, restò a guardarli, ma non riusciva a sentire di cosa parlavano con le chiacchiere dei giocatori di biliardo in sottofondo; avrebbe voluto intimare loro di tacere e lasciarlo origliare.
La sua mente fu attraversata da un traffico allucinante di pensieri angosciosi. Se Grimmjow se ne fosse uscito con dei commenti sulla gelosia di Ishida avrebbe fatto soltanto crescere i dubbi sul fatto che ci fosse qualcosa davvero tra loro. Non sapeva come sistemare la faccenda, se fosse successo...
Ma i minuti passavano e Ishida non sembrava in procinto di esplodere. Anzi, pareva stesse conversando piuttosto tranquillamente con Grimmjow, e vedeva Sado annuire ogni tanto e commentare brevemente. Restò definitivamente spiazzato quando vide Grimmjow sedersi al tavolo con i suoi compagni, sfogliando il libro che Ishida aveva fatto finta di leggere poco prima.
«Ma che... che cavolo...?»
Ichigo li guardò di nuovo, come se si aspettasse di accorgersi che era un'allucinazione, ma la scena non era cambiata. Riuscì a distogliere lo sguardo e la mente soltanto quando entrarono nuovi clienti, e ne entrarono molti, perché era in programma un torneo di biliardo quella sera, e solo al banco Ichigo servì più birre di quante ne avesse mai viste in tutti i film e gli anime seguiti nella vita. Era arrivato al punto più profondo della disperazione, al punto in cui non sapeva più a chi dare retta o che cosa dovesse fare, quando Grimmjow riemerse e riprese il controllo del bancone: in cinque minuti aveva smaltito tutte le ordinazioni e aveva già avviato il lavaggio del primo giro di bicchieri usati.
«Sei incredibile... mi hai proprio salvato...»
«Manchi d'esperienza, Kurosaki, non dovresti sorprenderti di non stare dietro a un'ora di punta.»
«Già...»
Ichigo guardò al tavolo, ma i suoi compagni non c'erano più. Guardò su e giù per il locale, ma non li trovò.
«I tuoi amici se ne sono andati prima, hanno lasciato detto di scrivergli se succede qualcosa o se farai tardi domattina.»
«Cosa... che cosa gli hai detto? Di cosa parlavi con Ishida?»
«Del libro che stava leggendo, l'ho letto anch'io.» disse Grimmjow, pulendo le spine della birra. «Abbiamo scoperto di avere qualche interesse letterario comune, diciamo così... l'altro tuo amico è uno di poche parole, invece. Mi piace di più.»
«Chado è un tipo riservato, non parla se non pensa che sia utile dire qualcosa.»
«Se fossero tutti così, vivere in questo mondo sarebbe fantastico.»
«Gli hai detto qualcosa di noi?»
«E che cosa? Io a malapena ti conosco, non c'è niente tra di noi.»
«Che ne so, sei partito tutto... baldanzoso, dicendo...»
«Baldanzoso? Non ti facevo così ricco di vocabolario, Kurosaki.»
«Dico seriamente!» sbottò Ichigo, irritato. «Gli hai detto qualcosa di strano o no?»
Grimmjow gli lanciò un'occhiata lunga e intensa, come se stesse pensando se mentire oppure no.
«Gli ho detto la verità, che ti conosco da due giorni e che mi è toccato portarti a casa perché la tua scuola era chiusa... che sei stato coinvolto in un episodio sfortunato. Non è altro che la verità, per quanto sembri solo un insieme di eventi casuali mal assortiti in una storia scritta da un poppante.»
Ichigo fu molto sollevato e si rese conto che gli credeva senza riserve. Nonostante questo, Grimmjow sembrava inspiegabilmente rabbuiato, mentre strappava dalla parete la foto della ragazza in costume da bagno e la gettava via accartocciandola.
«Come mai sei così infastidito, adesso?»
«Nel mondo succede di tutto nella vita reale... perché il nostro incontro sembra a tutti una finzione?»
Ichigo si bloccò prima di prelevare un cestello di bicchieri e lo guardò, riuscendo a celare lo stupore particolarmente bene nell'espressione, ma fu uno sforzo inutile: il barista non lo guardava e pareva concentrato sulle bottiglie di liquore come poche ore prima fissava le bottiglie dell'acqua nella dispensa.
«Perché ti importa tanto di come ci siamo incontrati, o del fatto che gli altri ci credano o no?»
«Sono stanco di omettere e di mentire su quello che mi succede, non faccio altro, sempre.» rispose lui in tono infastidito. «Devo sempre mentire, per evitare che qualcuno scopra che vivo in un garage, che sono in libertà vigilata, che i miei genitori fingono che io sia morto... devo raccontare storie ridicole per spiegare il fatto che sembro finito sotto un treno, per non far sapere che la banda di sgherri con cui giravo anni fa mi sta ancora cercando.»
«E per quale motivo dovresti nasconderlo, Grimmjow?» gli domandò Ichigo. «Dopotutto ha ragione il professore, il tuo è stato solo un grosso errore... non avevi alcuna intenzione di uccidere davvero quell'uomo... e di che altro ti dovresti vergognare? Di avere dei genitori troppo perfezionisti? Che dei criminali ce l'abbiano con te perché non sei mai tornato da loro? Di vivere in un garage? Non c'è niente di male in queste cose.»
Non sembrava convinto di quello che gli veniva detto, ma l'espressione di Grimmjow si fece pensierosa mentre spostava lo sguardo verso il tavolo da biliardo. Ichigo sorrise spontaneamente e si appoggiò al bordo del bancone vicino a lui, abbassando un po' la voce.
«Sai che cosa ha detto prima Aizen di te?»
«Posso immaginarlo.» borbottò lui cupo.
«Ha detto che se dovessi tornare in carcere o andare a lavorare da un'altra parte venderebbe il pub, perché senza di te questo posto non sopravviverebbe mai.»
Gli occhi azzurri cercarono i suoi: non li aveva mai visti tanto spalancati dalla sorpresa.
«Cos'ha detto?»
«Stavo mangiando al tavolo con lui e Ichimaru... ha detto così...»
Grimmjow non riuscì a spiccicare una parola, neanche un fonema. Si limitò a sbattere più volte gli occhi e si mise ad asciugare i bicchieri guardando Aizen in fondo alla sala, ancora immerso in qualche genere di discorso con l'amico Ichimaru.
«Sei rozzo, irascibile, pigro e ti piace troppo trarre in inganno gli altri facendoli pensare male di te, e hai una casa che è veramente un casino...»
«Grazie tante, eh!»
«Ma hai un sacco di qualità.» concluse Ichigo a voce leggermente più alta. «Hai una memoria pazzesca, riesci a ricordare chi ti chiede cosa anche quando il bar è pieno, e leggi soltanto una volta quante scorte sono arrivate e lo ricordi... sei veloce e sei anche attento quando vuoi, il tuo professore ancora ti stima, e tutte queste persone sono sempre qui per quale motivo? Per te, perché il locale è buio e discretamente squallido, e lo sai... vengono qui ogni giorno perché vogliono essere serviti da te, e giocare con te... parlare con te. Hai mai provato a chiedere loro qualcosa? Sono sicuro che gran parte dei presenti ascolterebbe se chiedessi loro un favore.»
«Ma per favore... per chi mi hai preso? Per una specie di benefattore di quartiere?»
«Jaeger!» lo chiamò una voce dal consesso di uomini intorno al tavolo da biliardo. «Jaeger, ma che fai lì, vieni a giocare anche tu!»
«Ho portato mio fratello a vedere coi suoi occhi che non mi invento i colpi pazzeschi che riesci a tirar fuori con la stecca!» esclamò Ben, battendo la spalla a un uomo che gli somigliava vagamente. «Vieni fuori da lì, avanti!»
Ichigo sorrise e accennò con la mano verso il gruppo che lo chiamava improvvisando una sorta di coro da stadio. Non disse niente, ma si stampò in faccia la sua miglior versione dell'espressione da "che ti avevo detto?". Grimmjow rimase un momento contrariato, ma poi gettò via lo straccio e uscì da dietro il bancone.
«E va bene, ma ve ne pentirete!»
Per bella risposta l'intero gruppo esultò, comprese due belle donne dai capelli ricci e la pelle scura. Dall'angolo della sala Aizen osservò la scena e poi guardò Ichigo con un inesplicabile sorriso, prima di levare il bicchiere che aveva in mano in un simbolico brindisi.



Quando il torneo finì era quasi l'una, e tra saluti, promesse di rivincite e un ultimo giro di bevute, arrivarono le due prima che Grimmjow spedisse fuori tutti quanti.
«Avanti, avanti, basta, andatevene a casa... che cosa credete di fare a quest'ora in giro in un giorno feriale?» aveva rimproverato i clienti. «E poi il nostro apprendista deve andare a scuola domani, e lo sa Dio se non ha bisogno di andare a lezione!»
«Smettila di dire a tutti che faccio schifo, non è vero!» aveva protestato Ichigo.
Grimmjow si era dunque liberato in fretta dei clienti e aveva fatto delle velocissime pulizie essenziali, per poi chiudere presto il locale. Ichigo fu piuttosto incredulo al pensiero che stesse facendo questo per permettergli di riposare prima di portarlo a scuola, ma gli fu anche grato: il suo corpo era al collasso dopo una giornata di lavoro intenso e l'ultimo riposo datato quasi ventiquattr'ore prima. Ogni fibra muscolare gridò in coro con le altre quando Ichigo si distese sul letto nel garage di Grimmjow.
«Sono a pezzi.» esalò.
«Se vuoi dormire almeno cambiati, animale.»
«Sì, sì... ma dormirò sul...»
Si interruppe guardando il divano, che era privo di tutti i cuscini. Anche Grimmjow lo guardò con l'aria colpevole di chi si è dimenticato qualcosa di importante.
«Ah, li avevo portati a pulire, erano pieni di sangue.» disse grattandosi il mento. «Me ne sono scordato.»
«E quindi, che si fa?»
«Mettiti a dormire, io voglio guardare la televisione adesso.» disse Grimmjow, appropriandosi del telecomando. «Ti ho messo una maglietta lì sopra, non stropicciarti la camicia. Non ho un ferro per stirare.»
«Non è possibile... con quello che hai lavorato, nelle tue condizioni, vuoi anche guardare la televisione? E domani vai al lavoro di nuovo alle sette?»
«Sono andato a lavorare alle sette ogni giorno da quando sono uscito di prigione, non mancherò nemmeno domani.»
«Sei sovrumano...»
Capiva perfettamente che poteva anche essere una questione di abitudini, ma Grimmjow dormiva sì e no cinque ore e lavorava quasi tutto il giorno, come poteva non essere mai stanco morto? Ichigo era veramente stanco morto, non si era mai sentito così esausto a memoria d'uomo. A fatica si alzò dal materasso cigolante e si sforzò di spogliarsi dei vestiti buoni, indossò una logora maglietta gialla che sembrava essere usata per i lavori più rischiosi: aveva segni incancellabili di olio di motore e anche schizzi di pittura da parete.
«Certo il giallo è proprio il tuo colore complementare, eh, Grimmjow?»
Piegò i vestiti posandoli sul tavolo, ma nel mentre non ebbe alcuna risposta.
«Grimmjow?»
Non si sorprese del tutto di trovarlo sdraiato sul divano privo di cuscini, addormentato, mentre una donna alla televisione elencava un riassunto delle notizie principali del giorno. Era veramente troppo anche per lui, in quelle condizioni, lavorare un'intera giornata senza quasi sedersi. Gli si avvicinò e gli scosse piano la spalla.
«Grimmjow, non dormire qui sopra.» gli disse non appena riuscì a fargli aprire gli occhi. «Avrai la schiena a pezzi domani... vieni a letto, in qualche modo ci staremo tutti e due.»
Totalmente intontito dal sonno, Grimmjow si alzò dal divano senza proferire una protesta e seguì Ichigo dall'altro lato del garage. Si sdraiò per primo, spostandosi il più possibile verso il muro.
«Ah... se senti cose strane ignorami, sto sicuramente dormendo...»
«In che senso, scusa?»
«Mi muovo spesso... a volte abbraccio il cuscino e forse parlo anche... sogno sempre qualcosa quando dormo.»
Ichigo avrebbe preferito non andare a dormire con il terrore che un uomo che divideva il letto con lui lo abbracciasse scambiandolo per un cuscino, ma almeno sapendolo prima c'era una possibilità che riuscisse a trattenersi dal colpirlo con una gomitata sul naso per autodifesa. Grimmjow non era affatto impensierito dai rischi, dormiva di nuovo come un sasso. Ichigo sospirò e spense la luce, sperando che filasse tutto liscio fino al mattino. Speranza inutile: non fece in tempo a sdraiarsi che un braccio gli passò intorno alla vita e una mano si aggrappò alla maglietta gialla slavata. Cercò di ignorarlo, almeno finché la mano non scese in una zona a traffico limitato.
«Grimmjow! Adesso non stai dormendo, non fare il coglione!»
«Non ho mai detto di stare già dormendo...»
«Non toccarmi là sotto, idiota! Non tieni neanche gli occhi aperti, che diavolo pensi di fare?!»
«È tanto che non divido il letto con qualcuno.»
«Chissenefrega!» commentò sentitamente Ichigo, spostandogli la mano. «E poi a che gioco giochi, stavi appendendo ragazze in costume da bagno alla cassa oggi pomeriggio!»
«C'erano i tuoi amici, ho esagerato un po' di proposito...»
Ichigo si fermò a riflettere, non certo di aver capito il senso di quello che aveva sentito. Aveva messo su quella scenetta con le foto delle ragazze solo per dare un'impressione etero ai suoi amici di scuola? Ma come sapeva che sospettavano, se gliene aveva parlato solo dopo?
«Grimmjow, tu sapevi che Ishida sospettava qualcosa?»
«No... ma ti hanno visto tutti scendere dalla mia macchina, mi sembrava una buona idea.»
«Io non ti capisco.»
«Non ti ho chiesto di capirmi.» borbottò Grimmjow con voce assonnata, appoggiando la testa contro la schiena di Ichigo. «Non è una cosa facile da fare per uno col tuo cervello.»
«Prima mi lasci dormire nel tuo pub, mi ospiti e mi riporti a scuola... ti preoccupi di quello che pensano di me, e chiudi il locale presto per farmi riposare prima di mattina... perché mai tante attenzioni per qualcuno che ti sta anche antipatico?»
«Perché credevo ne avessi bisogno, Kurosaki... marinare la scuola e infilarsi in bar inquietanti per attaccar briga è un comportamento che conosco bene, e non mi ha portato belle cose a lungo andare.»
Ichigo cercò di voltarsi quel tanto che bastava per vederlo in viso, ma Grimmjow stava a occhi chiusi.
«Non volevi che diventassi come te?»
«Se sei lontano dai tuoi, dalla scuola e dai tuoi compagni, non può aiutarti nessuno a non finire nei guai.»
«Grimmjow... dal marinare la scuola a finire in una banda criminale il passo è lungo...»
«Non poi tanto lungo, specie se entri nel posto sbagliato... lo so bene... ma nel mio bar non entra nessuno delle bande... lì sei al sicuro.»
«E tutto questo discorso come va a parare dalle parti del mio pene, comunque?»
Grimmjow aprì appena gli occhi e gli lanciò uno sguardo vacuo.
«Non è che hai così tanto pacco da inventarsi storie per averlo... e poi sei tu che hai deciso di tornare oggi e di lavorare con me, non te l'ho mai chiesto.»
Effettivamente il discorso non faceva una piega: Ichigo aveva preso da solo la decisione di tornare una seconda volta al bar a studiare, di non cercare l'aiuto di Ishida e Sado per rientrare a scuola, e di verificare come Grimmjow stesse dopo l'aggressione. Aveva scelto lui di prendersi la colpa della cassa di bibite in pezzi e di lavorare per alleggerirgli il carico. Era sua anche l'idea di restare in quel letto invece di sistemarsi sul più scomodo divano, ma sinceramente essere toccato da Grimmjow in quel modo lo rendeva insieme nervoso, indignato e vagamente eccitato. Quest'ultima sensazione accresceva la sua indignazione.
«Ti fa così schifo, Kurosaki?»
Ichigo si rimise sdraiato nel letto, coprendosi fino al collo, e non rispose. Non aveva idea di cosa provava. Era la prima volta che divideva lo stesso letto con qualcuno da quando era bambino con i suoi genitori, e le sensazioni contrastanti che provava lo facevano sentire come se qualsiasi risposta a quella domanda fosse una menzogna. Forse in qualche modo Grimmjow lo capì, perché quando lo toccò di nuovo lo fece in zone decisamente più caste, dandogli una fugace carezza sulla spalla. Non cercò nessun altro contatto finché non si addormentò definitivamente appoggiato a Ichigo.

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Capitolo 6
*** Un colore come tanti ***



Il mattino seguente la sveglia trillò con un rumore incredibilmente molesto e svegliò Ichigo, che la spense con uno schiaffo sul bottone. Si prese qualche attimo per sbadigliare e stiracchiarsi e si sorprese di trovare Grimmjow già sveglio che si aggirava in mutande per il garage. Una caraffa mai vista conteneva del caffè e sul tavolino c'erano anche delle fette biscottate che dovevano essere state un po' maltrattate, a giudicare dagli angoli smussati e qualche crepa.
«È il massimo che ti posso offrire stamattina.» disse lui, posando la caraffa e una tazza sul tavolo.
Balbettò un ringraziamento e aspettò che sparisse dietro la tenda del bagno prima di alzarsi dal letto. Si avvicinò al tavolo e mangiò un pezzo di fetta biscottata, assorto in un disagio palpabile: dopo quello che era successo durante la notte, con quelle accennate avances nei suoi confronti... come avrebbe dovuto gestire la situazione con Grimmjow? Non era mai stato nella condizione di essere corteggiato, quindi nemmeno aveva mai dovuto rifiutarsi a qualcuno che non lo interessava. Non aveva la minima idea di cosa fare né a chi chiedere consiglio. 
Immerso in queste cupe elucubrazioni sorseggiò il caffè e mangiò, ma quando Grimmjow uscì dal bagno si accorse di essersi preoccupato inutilmente: era un po' più tranquillo e amichevole di prima, ma Ichigo non vide i comportamenti che temeva di dover gestire. Non gli chiese nulla sulla sera precedente, non gli chiese nemmeno se volesse tornare al lavoro un altro giorno, non fece allusioni e il massimo del contatto fisico che Grimmjow cercò fu quello di spolverargli la camicia sulla spalla. Non si sedette nemmeno al tavolo con lui per consumare la colazione e gli disse ben poco durante tutto il tragitto fino a scuola.
«Grazie del passaggio e della colazione, Grimmjow.» gli disse invece Ichigo quando scese dall'auto.
«Non ti preoccupare.» disse lui, guardandolo. «Oggi sarai comunque stanco, non provare a presentarti al pub.»
«Cosa? Perché?»
«Te l'ho appena detto, no? Non puoi lavorare fino a notte fonda e andare a scuola al mattino.»
«No, però... Aizen...»
«Ci parlo io con Aizen, non ti preoccupare di queste sciocchezze.»
«Beh... posso tornare domani, è il week end. Digli che sarò lì.»
«Glielo dirò.»
«Ma tu, Grimmjow?»
«Mh?»
«Tu come ti senti?»
Grimmjow fece una buffa smorfia e soppesò la risposta per qualche secondo prima di parlare.
«Mi fa male un po' tutto, ma niente di che... non è giorno di consegna, quindi non devo fare niente di pesante... posso cavarmela da solo.»
«Sei sicuro?»
«Sì, sono sicuro... posso cavarmela da solo oggi... quindi immagino ci vedremo domani.»
«Magari oggi potrei...»
«Non presentarti al pub.» gli intimò minaccioso Grimmjow. «Non ti servo niente, ti avviso. Non voglio vederti oggi, resta a scuola e studia un po'. È quello il tuo lavoro.»
Ichigo annuì senza protestare oltre e lo guardò ripartire, prima di rientrare a scuola e correre in camerata per rimettersi l'uniforme. Non vide Ishida e Sado e immaginò che dovessero trovarsi a colazione a quell'ora. Si cambiò velocemente e li raggiunse; avevano conquistato il loro tavolo preferito vicino alla finestra. Non fece in tempo a sedersi sgraffignando un pezzo della colazione rigorosamente giapponese di Ishida che lui gli lanciò un'occhiata inspiegabilmente truce.
«Che c'è?» gli chiese preventivamente. «Grimmjow vi ha detto che mi riportava stamattina! O no?»
«Certo che lo ha detto, e lo ha detto anche con un certo tono di sfida.» osservò Ishida. «Quasi come se volesse sfidarmi a dirgli che non volevo.»
Ichigo non riuscì a evitare di passarsi la mano sulla fronte e sugli occhi. Avrebbe dovuto immaginare che uno come Grimmjow non sarebbe riuscito a non lanciare una frecciatina di un qualche genere, specie dopo aver imparato qual era la natura del suo interesse. Era veramente geloso di Ishida, chissà che cosa si era messo in testa su di loro... e nella mente di Ichigo cominciarono ad affollarsi funesti dubbi: lui e Ishida sembravano una coppia? Lanciò tutt'intorno un'occhiata paranoica, ma in realtà nessuno nella mensa li degnava di uno sguardo.
«Kurosaki, sei sicuro di non avere nulla da dire su quel tizio?»
«Quale tizio?» rispose soprapensiero, prima di guardarlo. «Ma che, intendi Grimmjow?»
«E quale altro tizio, secondo te?»
«Ma la smetti? Non sono gay, e lui non mi interessa nel modo che pensi tu.»
«Era solo curiosità.» disse Ishida, più calmo di quanto non fosse mai stato durante i suoi interrogatori. «Poco fa quando sei sceso dalla macchina stavi sorridendo in modo insolito, quindi io e Sado kun abbiamo pensato che forse ti aveva detto qualcosa... o che era successo qualcosa.»
Ichigo si paralizzò mentre gli occhi nocciola saettarono rapidamente da uno all'altro dei suoi compagni di dormitorio. Realizzò poi che la finestra era quasi all'altezza esatta del punto in cui Grimmjow lo aveva fatto scendere dalla macchina.
«Cosa... adesso mi state spiando? Chado! Anche tu ti ci metti con queste idee balorde? Perché gli dai retta, scusa? Tu mi conosci da un sacco di anni!»
«Infatti.» confermò lui pacato. «Per questo vedo che sembri diverso.»
Ichigo restò completamente interdetto e perse ogni desiderio di ribattere. Prese un pezzo di toast e se lo ficcò in bocca solo per impegnarsi in un movimento meccanico qualsiasi mentre si perdeva a riflettere, scorrendo lo sguardo pigramente sugli altri studenti.
Chado era probabilmente la persona che lo conosceva meglio in assoluto, anche i rapporti con suo padre non arrivavano a un certo grado di intimità. Non aveva nessun altro amico come lui, e già da alcuni anni avevano un rapporto che avrebbe definito speciale per sintonia e fiducia. Se lui diceva che era cambiato, che era diverso, forse lo era veramente anche se non se ne era reso conto. Lui di diverso trovava soltanto le molte domande che si stava facendo. Solo dieci giorni prima si sarebbe chiesto qualcosa su se stesso? Solo dieci giorni prima sarebbe stato così confuso se un altro ragazzo lo avesse accarezzato?
Probabilmente no, concluse. Perché solo dieci giorni prima l'azzurro era un colore come tutti gli altri.


Tenere fede alla promessa che aveva fatto a Grimmjow fu difficilissimo per Ichigo, che non fece altro che sobbollire lentamente in un brodo di dubbio, confusione, vergogna e pizzichi di irritazione. Già all'inizio della seconda ora di lezione aveva avuto voglia di uscire da scuola e andare al pub, ma sapeva che se avesse provato a farlo di nuovo Grimmjow stesso gli avrebbe dapprima lanciato addosso uno o più sgabelli, e poi l'avrebbe riportato a scuola a calci. 
Arresosi all'idea di non poter andare trascorse la giornata tentando inutilmente di studiare, ma quello che davvero fece fu fissare pagine e pagine di spiegazioni che non penetravano il suo cervello se non per il colore con cui evidenziava passi che sembravano vagamente promettenti. Sapeva bene che gli esami non erano poi molto lontani, ma al momento gli sembravano talmente insignificanti da non trovare alcuna vera motivazione per mandare a memoria complicate formule e concetti di fisica, quindi fu con sommo disonore che alle nove di sera si arrese. Gettò il libro oltre il bordo del letto e affondò su quest'ultimo a faccia in giù, sperando di sprofondarci e restarne inghiottito.
Quando aprì di nuovo gli occhi scoprì che c'era luce fuori dalla finestra. Lui era rimasto vestito, sdraiato così come si era buttato, per ore, immobile come una statua da giardino rovesciata dal vento. Non aveva sentito rientrare in camera né Chado né Ishida, che o non avevano voluto o non erano riusciti a svegliarlo.
Si alzò indolenzito e più stanco di quando era crollato, e mentre si cambiava la camicia spiegazzata gli tornò alla mente un volto familiare con la voce irritata che lo rimproverava dicendogli di cambiarsi prima di andare a dormire. Sospirò abbattuto e si guardò nello specchio.
«Fai davvero pena.» si disse in tono basso ma convinto.
«In effetti fai davvero schifo.» gli rispose il riflesso.
Ichigo sollevò la testa di scatto e si guardò intorno. La stanza era buia, illuminata solo dalla luce che filtrava dalla finestra, la luce giallastra di un lampione. Si accorse che sia Chado che Ishida erano nei loro letti, entrambi addormentati, ma la sveglia sul comodino di quest'ultimo lo informò che era appena passata la mezzanotte.
Si alzò dal letto, indolenzito proprio come nel sogno insensato che stava facendo, e si spogliò per mettersi a dormire come una persona civilizzata. Persino il suo subconscio gli stava suggerendo quanto fosse patetico, ma ciò non innescò nessuna reazione d'orgoglio in lui. Si mise il pigiama, si infilò sotto la coperta e scorse una lista quantomai improbabile di persone a cui avrebbe potuto chiedere consiglio per la sua situazione, finché non cedette di nuovo al sonno.


«Allora io vado, eh!»
«Hai preso i libri?»
«Per farci cosa, scusa?»
«Beh, per studiare, nei tempi morti.» osservò Ishida come fosse una cosa ovvia. 
«Ishida... dubito che potrò...»
«Perché, che cosa pensi di fare d'altro in quelle pause?»
Il suo tono non era più isterico o aggressivo come prima, ma forse queste frecciate dal tono vagamente allusorio erano anche peggiori per Ichigo, e il peggio del peggio era che Chado non aveva alcuna intenzione di dirgli di darci un taglio o di fare qualche altra cosa per aiutarlo. Infastidito aprì la borsa, ci ficcò dentro un quaderno e due libri e la richiuse in un gesto che sperava facesse cogliere tutta la sua stizza.
«Contento adesso?»
«Hai preso lo spazzolino?»
«Certo che l'ho preso, cosa pensi, che lo divi...?»
Qualcosa nell'espressione di Ishida gli suggerì che volesse proprio quella risposta, così girò sui tacchi prima di avere la pessima idea di tirargli un pugno. Borbottò un malmostoso saluto e lasciò il cortile della scuola a grandi passi senza mai voltarsi indietro, nemmeno quando sapeva di trovarsi fuori dal campo visivo. Era già abbastanza infastidito da se stesso e confuso per fatti suoi, senza che anche loro buttassero benzina sul fuoco.
Attraversò il primo incrocio prima di rendersi conto di dove stava andando. Passo dopo passo l'irritazione nei confronti dei suoi compagni scivolò via lasciando il posto a uno strano nervosismo. Era passato un giorno senza vedersi, e Grimmjow gli era sembrato vagamente scontroso al loro ultimo incontro. Non sapeva che umore aspettarsi da lui, perché passava repentinamente da un momento di gentilezza a un mutismo ostinato fino a scatti d'ira. Quale Grimmjow avrebbe trovato dietro il bancone al suo arrivo?
Ichigo arrivò quasi di corsa al locale, ma quando andò per aprire la porta ci sbatté contro. Era ancora chiusa a chiave. Perplesso controllò l'orario e scoprì di essere in netto anticipo, ma era convinto di trovare lo stesso Grimmjow dietro il banco, a fare la sua pausa pranzo o a sistemare questa o quella cosa. Ma doveva esserci, pensò accigliandosi. La serranda era sollevata, e lui la chiudeva sempre quando usciva, anche se usciva per dieci minuti, era stato lui stesso a dirglielo.
Si chiese se non si fosse sentito male e bussò forte alla porta, ma senza ottenere risposta. Non riusciva a vedere nessuno nella zona del bancone. Imprecando si lanciò di corsa alla porta del retro, afferrò la maniglia e con sua sorpresa quella si aprì subito. Più calmo entrò e la richiuse alle proprie spalle, ma prima che potesse chiamare il nome del barista sentì la sua voce. Si bloccò, incerto. Era davvero la sua voce?
Proseguì cercando di non fare rumore e aprì la porta che separava il magazzino dal locale.
Grimmjow era nell'angolo della sala al tavolo da biliardo, per questo non era visibile dalla vetrina. Stava pulendo il rivestimento verde con una spazzolina, aveva un paio di grosse cuffie con l'imbottitura isolante e... stava cantando, convinto di essere completamente solo nel pub.
Ichigo si portò la mano alla bocca per soffocare una risata e si avvicinò pian piano al tavolo da biliardo. Grimmjow non aveva affatto una brutta voce, cantava meglio di quanto avrebbe potuto fare lui, ma c'era qualcosa di comico, di surreale in quella scena. Paradossalmente quella gratificò e imbarazzò Ichigo nello stesso modo, come se stesse guardando qualcosa di intimo, qualcosa di ancora più intimo della sua nudità.
Proprio mentre si chiedeva se aspettare o se interromperlo Grimmjow alzò gli occhi per prendere un flacone che era sul bordo più lontano e lo vide. Il modo in cui lo guardò, col terrore negli occhi, era più adatto a qualcuno che veniva trovato accanto a un cadavere con un coltello in mano.
«Che... che cosa fai tu qui?»
«Sono arrivato presto...» disse Ichigo sorridendo. «Certo che canti bene, non l'avrei mai...»
Prima ancora che riuscisse a terminare la frase Grimmjow gli fu davanti e gli afferrò la gola con tale impeto da fargli davvero male. Istintivamente gli afferrò il polso, ma non riuscì a smuovere il braccio di un centimetro; sembrava di marmo. Il modo in cui lo guardò gli fece paura, perché aveva l'espressione di chi era pronto ad ammazzare qualcuno... di proposito, questa volta.
«Dillo a qualcuno e ti ammazzo!»
Ichigo non riuscì nemmeno ad articolare una parola tanto la mano lo stringeva, così fece quello che in realtà non avrebbe mai voluto fare: alzò il piede e gli assestò un calcetto proprio sulla parte del costato che gli faceva male. L'effetto fu immediato anche se il colpo era stato delicato e Grimmjow mollò la presa, emise un rantolo e si piegò per il dolore aggrappandosi al tavolo. Ichigo fece un passo indietro e si massaggiò il collo.
«Idiota! Mi stavi strozzando, ma sei impazzito?!»
Grimmjow si limitò a emettere un altro rantolo e si accovacciò tenendosi il fianco. Ichigo lo fissò pronto a scaricargli addosso il resto delle lamentele non appena avesse dato segni di ripresa, ma quelli non si manifestarono. Preoccupato, si avvicinò a lui.
«Ehi, Grimmjow.... ehi... stai bene? Rispondimi.»
Grimmjow farfugliò qualcosa che a suo avviso non aveva senso. Aveva il fiato corto e Ichigo si pentì subito di averlo colpito proprio in quel punto. Maledicendosi fra sé e sé si chinò e afferrò il braccio di Grimmjow.
«Ehi! Grimmjow!»
«Non... dirlo a nessuno...» esalò allora lui. «È la mia ultima volontà...»
«Ahh, abbiamo cambiato registro ora che ti sei accorto che sei un rottame e che anche io ti potrei ammazzare?» fece Ichigo, tirandolo un po' per il braccio. «Avanti, non stai morendo... alzati, devi stare in piedi, se stramazzi così ti schiacci il diaframma e non respiri per forza...»
Ci volle un bello sforzo per issare in piedi un uomo pesante quanto Grimmjow, visto che sembrava anche restio a collaborare, ma alla fine lo raddrizzò e lo appoggiò al bordo del tavolo da biliardo. Lui non parlò, prendendo solo profondi respiri e tenendo la mano ancora sul costato.
«Tutto questo perché ti sei arrabbiato per una tale idiozia.» commentò Ichigo scuotendo la testa. «E tu saresti un adulto?»
Si massaggiò il collo. Il punto in cui lo aveva afferrato con le punte delle dita gli faceva ancora male, ma le attuali condizioni di Grimmjow lo fecero desistere dall'infierire su di lui per vendetta. Aspettò per diverso tempo che il respiro del barista tornasse quasi normale e riuscì a tranquillizzarsi solo quando lo vide togliere la mano dal costato.
«Stai meglio, Gri...?»
Ancora una volta Ichigo fu ammutolito da Grimmjow, ma non per una mano dalla presa ferrea alla gola. Il barista dai capelli azzurri fece un passo avanti e posò la testa sulla sua spalla, passandogli un braccio dietro la schiena. Quella fu istantaneamente attraversata da un brivido potente come un fulmine. Ichigo alzò le braccia, ma non riuscì a far fare loro nulla: non cercò di allontanarlo, né reagì in alcun modo a quella situazione altamente imbarazzante. Neanche il suo cervello riusciva a rispondere adeguatamente, riuscì solo a sperare che non entrasse nessuno in quel momento. 
Per non essere visto... o per non essere interrotto?
«Mi dispiace di averti messo le mani addosso.» mormorò Grimmjow, così vicino al suo orecchio. «Non succederà più. Lo prometto.»
Ichigo restò completamente immobile mentre Grimmjow gli posava le labbra nel delicato punto tra la mascella e il collo, quasi sopra al punto dolorante per la sua stretta mortifera. Lui si raddrizzò e lo lasciò, avviandosi verso il bancone, come se nulla fosse successo, ma Ichigo non riuscì neanche per un secondo a fingere che non fosse successo. Si portò la mano davanti alla bocca mentre nella sua testa esplodeva una tempesta violentissima di pensieri incoerenti e sensazioni contrastanti. 
Era stato baciato per la prima volta in un posto così insolito, per la prima volta da un uomo, per la prima volta da quell'uomo che gli faceva un effetto così strano. Non sapeva cosa pensare, non capiva nemmeno cosa provava al riguardo. Avrebbe dovuto fargli molta più impressione, avrebbe dovuto suscitargli disgusto... ma non provava disgusto, l'unica cosa che riusciva a sentire era una sconosciuta paura, e il fatto che gli fosse ignota gli impediva di capire come classificarla, come gestirla.
Si passò la mano sul punto in cui era stato baciato, sentendosi stordito. Doveva andare via... sapeva che doveva andarsene da quel bar, doveva restarsene a scuola a studiare, fingere che non fosse successo niente e dimenticare quell'uomo. Sarebbe stata la cosa più giusta da fare. Quella relazione, qualsiasi tipo di relazione fosse, stava evolvendo a ogni ora passata insieme... se fosse rimasto troppo a lungo non avrebbe più potuto controllarla... o era già andata fuori controllo senza che se ne rendesse conto?
«Kurosaki?»
Al suono di quella voce la paura che lo stava possedendo scoppiò come una misera bolla di sapone. All'improvviso ogni pensiero dettato dal panico svanì senza lasciare nemmeno il ricordo di sé. Ichigo si voltò e vide che quegli occhi azzurri sembravano guardarlo con apprensione.
«Mi dispiace per quella reazione... io... è una cosa di cui mi vergogno. Non l'ho mai mostrato a nessuno.»
«Perché ti dovresti vergognare di cantare? Lo fanno quasi tutti, credo.»
«Non... non mi sento sicuro a far vedere agli altri cosa mi piace davvero.»
Ichigo non poté fare a meno di pensare che sembrare quello che non era fosse una vocazione per Grimmjow. Era anche un uomo piuttosto fragile, forse per via del grave abbandono che aveva subìto da ragazzo, ma sicuro si impegnava a fondo a mascherare la sua debolezza. Riusciva a dare davvero un'immagine del tutto distorta di sé.
«Perché non dovresti far capire che cosa ti piace, scusa?» domandò Ichigo, facendo il giro del bancone per iniziare a prepararlo. «È una cosa senza senso...»
«Non so perché lo faccio.» disse Grimmjow, pulendo lo spillatore. «Ma sono fatto così... parlo sempre in modo sprezzante di quello che in realtà mi piace.»
Ichigo ponderò nella sua mente che in verità a lui pareva che Grimmjow fosse sprezzante su tutto, ma mentre affettava un'arancia gli tornò in mente il loro primo incontro. Non era stato decisamente sprezzante su di lui quando lo aveva chiamato "bambino"? E lo era stato ancora quando lo aveva chiamato Latte Senza Ghiaccio, e anche quando lo aveva preso in giro per i suoi voti a scuola... non aveva fatto altro che insultarlo, di fatto. Ichigo si voltò a guardarlo. Quel discorso valeva anche per lui? Gli piaceva davvero? Gli era piaciuto già dalla prima volta?
«AHIA!»
Ichigo sollevò la mano mentre il suo dito gocciolava sangue sul piccolo tagliere per gli agrumi. Che idiota, si era distratto proprio mentre usava l'unico strumento affilato esistente in quel locale...
Cercò un tovagliolo di carta per evitare di innaffiare l'intero bancone, ma prima che lo individuasse sentì premere sul taglio e si girò. Trovare Grimmjow così vicino dopo quello che era appena accaduto gli fece schizzare il cuore in gola. La stessa mano che poco prima lo stava strangolando ora aveva una grande delicatezza nel tenere quello straccio pulito sulla ferita.
«Come diavolo hai fatto a tagliarti con un coltello che fa fatica a tagliare la buccia di un'arancia?»
«Non... non lo so...»
«Tch, che mi aspetto da uno col cervello di un tacchino ripieno?» commentò lui. «Avanti, non perderai il dito per stavolta... mettiti un cerotto.»
«Era disprezzo questo?»
Grimmjow lo guardò per un attimo, preso in contropiede. Ichigo stesso si chiese come gli fosse venuto in mente di dire una cosa del genere, poi il barista fece una smorfia.
«Non dire cazzate e fila a mettere quel cerotto! Non ti montare la testa, schiocco le dita e ne trovo quanti ne voglio di mocciosi come te... e anche meglio!»
«... Sembra ancora disprezzo...»
«Sparisci o ti insegno quanti modi ci sono di ammazzare un uomo con una bottiglia di birra senza romperla!»
«Okay, okay...»
Ichigo si fermò sulla porta della stanza usata da Grimmjow come spogliatoio e che chiamava pomposamente "sala del personale", indeciso se parlare o meno. Alla fine si voltò a guardarlo con aria risoluta.
«Ma francamente, alla tua età dovresti saper gestire la vergogna in modo meno violento.»
«Tch!»
Grimmjow prese ad affettare l'arancia con ferocia borbottando insulti a un volume udibilissimo, e un momento dopo imprecò sonoramente. Ichigo lo vide scaraventare il coltello dentro il lavabo.
«Grimmjow, ti sei tagliato?»
L'unica risposta fu un colorito epiteto che sganciò mentre prendeva un tovagliolo e tamponarsi il palmo della mano.
«... Chi sarebbe quello col cervello di un tacchino, adesso?»

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Capitolo 7
*** Il tempo che scorre ***



Il week end vedeva un afflusso del tutto imparagonabile a quello degli altri giorni. Ichigo faticava a prendersi un momento per rifiatare tanti erano gli ordini al bancone, poi doveva fare un giro per il locale per pulire i tavoli e recuperare bicchieri vuoti, la lavastoviglie prese a girare a ciclo continuo, sicché non appena poteva distrarsi doveva estrarre cestelli ricolmi e sistemare le stoviglie. Neanche Grimmjow ebbe tempo di sfogliare giornali dubbi o giocare una partitella, preso com'era a conversare con qualche cliente, preparare alcuni cocktail e spillare birre quattro o cinque boccali per volta.
Ichigo prese quelle pronte e le mise sul vassoio, pronto a una nuova spedizione al tavolo da biliardo sovraffollato.
«Kurosaki, quando porti quelle tieni d'occhio il bancone.» gli disse Grimmjow. «Devo cambiare il fusto della birra.»
«Nessun problema!»
Senza aggiungere altro fece il giro del bancone, schivò un paio di clienti e servì i giocatori del tavolo, acchiappò rapidamente alcuni boccali vuoti e tornò al bar. Cercava di tenere d'occhio tutto, di tenere a mente tutto, ma non era affatto facile. Doveva ricordare l'ordine delle comande, tenere conto di chi era stato già servito una prima volta, e come se ciò non bastasse si doveva tenere in considerazione il tempo di riposo della birra, bisognava recuperare i bicchieri che non erano molti in quel posto e lavarli per poterli riusare, e non poteva dimenticare di incassare... il cervello di Ichigo rischiava di incepparsi se solo fosse inciampato in un qualche piccolo inconveniente. Non riusciva a credere che Grimmjow, che sembrava così pigro e distratto quando sedeva a sfogliare riviste, riuscisse a sfoggiare tali capacità di multitasking...
«Io prendo un Gin Lemonade doppio!»
Ichigo si bloccò con una ricevuta in mano e un tovagliolino nell'altra, con il cervello che all'improvviso non rimandò più reazioni. Si spense come un misero forno a microonde al momento di un blackout, senza nemmeno emettere un tintinnio. Restò come un idiota a fissare l'uomo che gli aveva chiesto quella cosa sconosciuta senza nemmeno sapere cosa rispondergli, anche se voleva disperatamente riuscire a dire qualcosa di cortese.
In quel momento qualcuno gli toccò il braccio e lo scostò con delicatezza: Grimmjow era tornato dall'angusto spazio riservato ai fusti della birra. Non era diverso da prima, niente in lui poteva essere cambiato in pochi minuti, eppure quando Ichigo lo guardò gli sembrò di vedere un uomo diverso da quello che credeva di conoscere.
«Me ne occupo io... Kurosaki non potrebbe servirvi superalcolici...»
«Il novellino non è capace, eh, Grimm?»
«Beh? Lavora qui da due giorni, è ovvio che non lo sappia fare.» ribatté Grimmjow in tono acido. «Non gliel'ho ancora insegnato. Non abbiamo avuto tempo.»
Grimmjow non degnò di un ulteriore sguardo quel cliente mentre recuperava dalla sinistra del lavabo uno shaker molto bistrattato che Ichigo gli aveva visto usare solo una volta. Sembrava molto irritato mentre versava gli ingredienti e preparava l'ordinazione e non accennò né un sorriso né un parola cortese per l'uomo quando lo servì. Alzò invece gli occhi azzurri su di lui.
«Per favore, porta due birre in bottiglia ai due del tavolo nell'angolo.» gli disse con il tono di voce più morbido che avesse mai usato in sua presenza. «E raccoglimi dei bicchieri se qualcuno ha finito.»
«Ah... sì... certo.»
«Non fa niente se dimentichi qualcosa... se sbagli qualcosa.» gli disse. «Sono errori da niente. Prenditi il tempo per pensare a cosa devi fare.»
«... Sì...»
Ichigo si chinò e prese due bottiglie di birra dal refrigeratore, decisamente stupito: per la verità Grimmjow non aveva fatto altro che fargli fare le cose da solo, all'inizio, o criticargliele in modo ostinato anche sulle più piccole inezie, e per questo non capiva quel suo consiglio molto paziente. Era stato il commento dello sgradevole avventore a spingerlo a parlargli così? Credeva che si sarebbe abbattuto se a criticarlo fosse stato un altro e non lui?
Consegnò l'ordine, poi fece il giro riempiendo il vassoio di boccali e bicchieri vuoti. Era così carico che camminò con circospezione: se avesse fatto cadere quelli Aizen avrebbe anche potuto tenerlo al lavoro ogni giorno libero fino alla fine della scuola, per non parlare di quanto avrebbe urlato Grimmjow se avesse rotto un carico intero degli scarsi, preziosissimi bicchieri. Protesse il vassoio col braccio per paura che un cliente si voltasse di scatto mentre gli passava alle spalle e la sua concentrazione fece sì che si accorgesse di Grimmjow solo quando lo incrociò nel punto di accesso al retro banco.
«Ah, scusa...»
Fece un passo indietro per lasciarlo uscire, ma lui non si avviò da nessuna parte, seppure avesse un altro cocktail in mano. Allungò invece quella libera per sfiorargli il collo, e l'unico motivo per cui non si ritrasse fu il bene superiore rappresentato dalla catasta di bicchieri. Era impazzito, a toccarlo così in mezzo a un bar affollato di clienti?
«Ti sta facendo il livido.» gli disse. «Devo averti fatto proprio male.»
Ichigo, sollevato nel capire che stava soltanto notando la macchia scura sul suo collo, emise un fugace sospiro di sollievo.
«Te ne sei accorto soltanto ora, idiota?»
«Dopo aver messo a lavare questi prenditi una pausa... ormai abbiamo smaltito il grosso.»
Grimmjow lo abbandonò e si inoltrò nella ressa intorno al tavolo da biliardo, lasciandolo decisamente interdetto.
«...Sei tu quello pieno di lividi, sei tu che dovresti riposare!»
Grimmjow non rispose, così portò in salvo le stoviglie, caricò il lavaggio e si sedette ad aspettare che finisse. Nel mentre Grimmjow ritornò due volte con qualche altro bicchiere e bottiglia vuota, ma ignorò completamente il suo consiglio di essere lui a riposarsi. Stette a osservarlo mentre preparava ancora una volta i cocktail con gin e limonata, ma non gli occorse più il suo aiuto perché la folla sembrava finalmente soddisfatta. Accolse con sollievo la conclusione del lavaggio, e finalmente si rialzò per svuotare il cestello e asciugare tutto il contenuto.
Mentre strofinava un boccale consunto notò che Grimmjow era vicino al tavolo da biliardo, ma non stava giocando, bensì puliva il bordo, dove tanti bicchieri avevano lasciato gocce di condensa.
«Certo che sei una macchina, Jay.» disse Ben, che era lì a guardarlo. «Non hai proprio una bella cera, ma sei riuscito a fare tutto da solo lo stesso.»
«Dì un po', Ben, sei cieco?» ribatté lui. «Non ho fatto tutto da solo.»
«Sì, beh, c'è il ragazzo, ma lui...»
«Senza di lui non sarei riuscito a fare un cavolo.» fece Grimmjow. «Forse addirittura trovavi il locale chiuso. È una fortuna che ci sia.»
Ichigo si bloccò con lo straccio in mano senza riuscire a credere alle sue orecchie. Grimmjow, che solo costretto da un violento pestaggio e da una costola incrinata si era fatto aiutare, ora che stava meglio arrivava anche a dire che era stato utile? Anzi, sembrava proprio che avesse inteso dire che era stato indispensabile...
Senza riuscire a trattenersi sorrise, prese un altro bicchiere da asciugare e scorse rapidamente la sala per vedere se ci fosse qualcuno da servire o qualcosa da pulire, e restò di sasso quando notò che Aizen era seduto nel solito tavolo in fondo con l'amico Ichimaru. Lo guardava con l'aria divertita di chi osserva un bambino fare qualcosa di buffo, e Ichigo ebbe la netta sensazione che avesse sentito le parole di Grimmjow e avesse notato la sua reazione. Il boccale bagnato gli sfuggì di mano e per poco non gli cadde a terra, ma riuscì a salvarlo con riflessi felini. Sospirò e guardò ancora una volta verso Aizen, ma lui non lo stava più guardando. Si era immaginato tutto?



Ichigo scostò la tenda che separava il bagno dal resto del discutibile loft di Grimmjow e sospirò, sentendosi molto meglio dopo aver dormito ed essersi fatto una doccia calda. Dalla finestrella sopra la basculante iniziava a penetrare qualche raggio di sole, ma non sapeva dire se ciò rendesse il garage più accogliente o se al contrario ne svelasse impietosamente la spogliezza.
Ichigo si passò l'asciugamano sui capelli bagnati e si sedette al tavolo traballante, chiedendosi come mai Grimmjow avesse scelto di vivere in un garage e non in un piccolo appartamento, o in un monolocale. Non gli aveva mai chiesto, per ovvie ragioni, quanto guadagnasse ma ponderò che forse i suoi risparmi erano finiti tutti in quella macchina che adorava e che occhieggiava ogni volta con una certa fierezza. Ignorando la tentazione del televisore si mise invece a guardare Grimmjow, che dormiva ancora profondamente nel letto. Si era girato più volte quella notte e persino i pantaloni da tuta che indossava presentavano cuciture rese contorte dalla sua inquietudine notturna. Mentre quando Ichigo si era alzato il padrone di casa era ben coperto fino alle orecchie ora era del tutto scoperto, ma non sembrava soffrirne.
Proprio mentre Ichigo accennò ad alzarsi per coprirlo Grimmjow si girò ancora una volta sulla schiena e con la mano si grattò sotto la canottiera, scoprendo così facendo il suo addome. Sopra i suoi addominali invidiabili facevano sinistra mostra di sé dei grossi ematomi ancora violacei.
Ichigo desistette dalla sua intenzione e invece di dirigersi verso il letto deviò alla borsa che aveva portato da scuola. Che la profezia di Ishida si fosse avverata gli pareva incredibile, eppure aveva effettivamente un po' di tempo per studiare qualcosa, così prese libro e appunti e si sistemò nuovamente al tavolo.
Guardò ancora una volta Grimmjow, dato che questi aveva emesso un suono soffocato, ma stava ancora dormendo. Si lasciò distrarre ancora un po' dal suo respiro lento e si accorse di quanto le sue sopracciglia fossero rilassate mentre riposava, quando invece da sveglio era perennemente accigliato. Lasciandosi sedurre dalla tentazione prese il suo telefono cellulare, gli scattò un paio di fotografie e poi l'abbandonò, obbligandosi a immergersi nell'ostico capitolo di fisica.
Riuscì a completarlo e decise di tentare con il capitolo successivo quando avvertì un tocco sul collo e sussultò violentemente. Voltandosi di scatto si accorse che Grimmjow si era svegliato e che la mano che lo toccava era sua.
«GRIMMJOW! Diavolo, che spavento...»
«Si vede tanto.» disse lui.
Ichigo ci mise qualche secondo a capire che parlava dei lividi. Effettivamente guardandosi nello specchio scheggiato del suo bagno aveva notato immediatamente i segni viola che avevano la forma piuttosto netta di dita. Non voleva dirgli che si era chiesto con un certo panico come impedire ai suoi compagni di vederli, ma non poteva certo minimizzare.
«Mh, abbastanza.»
«Non si può fare qualcosa per farli andare via?»
«Sono lividi, andranno via da soli piano piano.»
«Ma a scuola li vedranno... non ti chiederanno che cosa è successo?»
«Sicuramente.» ammise Ichigo, fissando ostinatamente il libro. «Basterà non rispondere.»
«Se non rispondi penseranno ancora peggio.»
«E che dovrei fare? Metterò una sciarpa o qualcosa del genere, va bene così?»
«Una sciarpa in maggio?» ribatté lui scettico. «Attirerai ancora di più l'attenzione su quello che stai nascondendo.»
«Grimmjow... non è un po' presto per rompere in questo modo?» domandò Ichigo strofinandosi gli occhi. «Che altro posso fare? Dovrei comprare un cosmetico per coprirli, secondo te?»
Grimmjow lo fissò, ma non disse niente e raggiunse il bagno. Ichigo sospirò chiudendo il libro e si toccò il collo quasi senza volerlo. Era vero che avrebbero fatto un sacco di domande... ma Ishida e Chado non lo preoccupavano, sapeva che avrebbero capito se gli avesse spiegato a grandi linee che cosa era accaduto, ma tutti gli altri? Non dovevano sapere che usciva dalla scuola, che lavorava in un bar, e soprattutto nessuno doveva sapere che Grimmjow l'aveva preso per il collo con così tanta violenza... non sapeva se il preside avrebbe potuto denunciarlo, e lui era in libertà vigilata, non poteva assolutamente addossarsi una denuncia o avrebbe perso tutto quanto.
Sospirò e si grattò la testa nervosamente. Pareva che dopotutto fosse costretto davvero a procurarsi qualcosa per coprire quel colore violaceo finché non avesse almeno perso l'inequivocabile forma di una mano. Che situazione ridicola, e tutto perché aveva avuto il pessimo tempismo e la sfortuna di capitare in anticipo al pub e trovare Grimmjow a pulire il tavolo da biliardo cantando...
«Mh, che guaio.»
«Uh?»
Grimmjow aveva aperto il frigorifero, ma la desolazione che vi regnava era totale, era più deserto di una tundra siberiana nel cuore dell'inverno. Lo richiuse con visibile irritazione. Ichigo, che non si era mai posto la domanda, pensò che fosse l'occasione buona.
«Grimmjow... tu lavori dalle sette a notte fonda, vero?»
«Beh, lo sai già questo.»
«E fai solo una pausa pranzo, no?»
«Sì... ma sai anche questo.»
«E quand'è che fai la spesa?»
Grimmjow si grattò il mento e si accigliò.
«Non ricordo l'ultima volta che ho fatto la spesa.» disse. «Di solito porto a casa le derrate avanzate del bar... ah, credo di essere andato a fare la spesa una volta durante la pausa, l'anno scorso... sì, ricordo che ho comprato una ciambella al cioccolato, anche.»
«Stai scherzando, vero?» domandò Ichigo, allarmato. «Al bar non c'è niente, di solito c'è solo pane, prosciutto e tonno.»
«Sì, di solito infatti mangio quello.»
«Vuoi dire che tu non mangi mai un... Grimmjow. Quando hai mangiato l'ultima volta un piatto caldo?»
Purtroppo il fatto che Grimmjow ritenesse necessario riflettere sulla risposta rendeva ovvio a Ichigo che la data in questione fosse ben radicata nel passato, e lasciava anche capire perché la sua cucina sembrava non essere mai chiamata in causa. Non poteva credere che un uomo adulto si trascurasse al punto di mangiare come un bambino abbandonato a se stesso senza supervisione, persino lui se avesse vissuto da solo si sarebbe almeno preoccupato di cucinarsi qualcosa di semplice.
«Una volta credo di aver fatto delle uova strapazzate col bacon.» disse alla fine Grimmjow, dopo una meditazione spropositata. «Credo... sì, credo fosse il mio compleanno.»
«Ma sei matto...? Come fai a essere vivo?»
«Che vuoi dire?»
«Non puoi mangiare solo pane e carne, accidenti... capisco che i tuoi ti hanno abbandonato come un randagio, ma non vuol dire che devi vivere come tale.»
Forse aveva calcato la mano battendo proprio nel suo punto più debole, ma se non altro Grimmjow sembrò aver colto il senso che intendeva. Con aria più colpevole che arrabbiata sedette di fronte a lui al tavolo. Lo guardò senza incalzarlo e alla fine gli occhi azzuri gli ricambiarono lo sguardo.
«Hai ragione, ma finché sono solo al lavoro non ho tempo di uscire durante la pausa, la uso per sistemare il bar.» disse. «Non riesco a trovare il tempo per fare qualsiasi altra cosa.»
«Perché Aizen non assume qualcuno per dividere i turni?»
«Ha preso il bar solo perché Barragan, il vecchio che ce l'aveva prima, si è indebitato fino a restare strozzato... non gli poteva restituire il prestito, quindi Aizen si è preso quello che c'era, quel vecchio posto malconcio... lo tiene aperto finché non recupererà i soldi, poi probabilmente venderà tutta la baracca per chiudere il conto aperto...»
Ichigo si rigirò la penna tra le dita, meditabondo. Quindi di fatto Aizen non era interessato a quell'attività; la teneva in piedi per raggranellare abbastanza da coprire il debito dell'ignoto Barragan. Fu folgorato da un'idea così brillante che lo fece sorridere.
«Kurosaki?»
«Ho un'idea.»
«... Cioè?»
«Usciamo.» disse, alzandosi dal tavolo. «Andiamo a fare una colazione come si deve e ti spiego.»
«Usciamo... intendi, fuori?»
«Sì, in quel grande mondo fuori dal tuo garage...»
«Vuoi fare colazione fuori? Intendi in quei bar fighetti dove fanno cappuccino e frappé dietetico?»
«Sì, proprio uno di quelli... tranquillo, offro io.»
«Chi diavolo pensi che io sia?! Non mi trascinerai in quei posti da gente altolocata!»
«Oh, tu ci verrai, Grimmjow.»
«E come pensi di obbligarmi?! La macchina è mia!»
Ichigo fece un sorriso.
«Proporrò ad Aizen di mettere al bar un karaoke, visto che canti così bene.»
Aveva la palese intenzione di provocarlo, ma l'ultima cosa che Ichigo si aspettava era di vederlo arrossire fino alle orecchie. Forse Grimmjow si accorse che il sangue gli saliva alla faccia, o forse aveva solo interpretato bene l'espressione stupita del suo interlocutore, ma si alzò imprecando e si rifugiò nel bagno, borbottando frasi sconnesse tra l'indignazione di frequentare un posto da gente ricca, l'ingratitudine di Ichigo che si permetteva di usare i suoi segreti e varie minacce che avrebbe messo in atto se non si fossero trattenuti poco.

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Capitolo 8
*** Nessun ripensamento ***


«Ammettilo che non era male.»
Grimmjow ignorò Ichigo ancora una volta e parcheggiò l'auto in prossimità del pub, senza dare il minimo segno di averlo sentito. Ichigo non poté evitare di sogghignare perché poteva anche non dire nulla sul caffè di tendenza dove lo aveva portato, tanto i due smoothie che si era scolato parlavano abbastanza chiaro. Si attardò a controllare il cellulare, intasato dai messaggi dei suoi compagni della squadra di calcio, e si distrasse soltanto quando sentì Grimmjow imprecare dentro il pub. Non che fosse allarmante, ma la veemenza di quel commento in una situazione in cui il locale doveva essere vuoto lo insospettirono, così scese immediatamente dall'auto e lo raggiunse all'interno. La prima cosa che notò fu la pozza di bagnato sotto la cassa.
«Aizen! Che cazzo hai combinato nel mio bar?!»
Aizen, che era in piedi appoggiato a un tavolo, lo guardò con una certa dose di disappunto.
«Questo è il mio bar.» puntualizzò. «E non ho fatto niente, è scoppiato un tubo.»
«Che cosa?»
Grimmjow fece il giro del bancone e imprecò ancora più forte. Riemerse un omino calvo in tuta da idraulico da dietro la colonna; Ichigo non aveva assolutamente notato la cassetta abbandonata aperta lì vicino e non aveva sospettato la presenza di un qualche tecnico.
«Che cazzo! Quanto ci vorrà per sistemarlo?»
«Ah... beh, dato che siete un'attività commerciale cercheremo di fare in fretta, credo che domattina sarà a posto.»
«DOMATTINA?!»
Grimmjow non era mai apparso così sconvolto agli occhi di Ichigo, era così sopraffatto che ammutolì guardandosi intorno. Impossibile dire se cercasse sostegno, se pensasse di sognare o se credesse di trovarsi in una candid camera. Si appoggiò al lavandino con la mano e Ichigo per una frazione di secondo pensò che si stesse sentendo male. Persino Aizen lo guardava con aria vagamente preoccupata.
«Ma... ma io devo aprire oggi
«Mi dispiace, ma non è proprio possibile...»
«Io devo aprire il bar oggi.» ripeté stolidamente.
«Signore, sono desolato, ma davvero non è possibile...» disse l'ometto. «Come vede è la conduttura principale... non avete acqua nei lavandini, nel bagno... non può lavare nulla, e finché non asciughiamo tutto abbiamo staccato anche i frigoriferi e la macchina del ghiaccio...»
Ichigo guardò Grimmjow chinarsi ad aprire il frigorifero e la macchina del ghiaccio, restando forse ancora più stordito di prima. Scorse il bancone con gli occhi azzurri e si accorse che le birre, le bibite e la frutta erano state tutte ammonticchiate accanto e dentro al secondo lavabo. Sembrava che l'idea di non poter aprire il suo bar, servire i suoi clienti e lavorare come faceva ogni giorno l'avesse devastato oltre quello che le parole potessero esprimere, perché persisteva in un silenzio affranto.
«Jaeger, per oggi restiamo chiusi.» sentenziò Aizen. «Torna domani mattina.»
«Ma... ma non posso... me la cavo con le tubature, posso...»
«Questi signori sono venuti qui apposta per fare il loro lavoro e sistemare il guasto.»
«Ma se mi lasci fare possiamo fare prima!»
«Jaeger. Non c'è niente che tu possa fare qui. Vai a casa, vai dove vuoi, ma non devi essere al bar oggi.»
«Grimmjow...»
Grimmjow girò la testa verso Ichigo e lo guardò come se non lo riconoscesse nemmeno.
«Grimmjow, ha ragione lui... non puoi lavorare con il frigorifero vuoto, senza acqua e senza corrente... andiamo via...»
«Via dove? Non ho nessun posto dove andare se non posso stare qui.»
«Non essere melodrammatico.» tagliò corto Ichigo. «Andiamo. Se resti in mezzo ai piedi non finiranno i lavori in tempo, e non apriremo nemmeno domani. È questo che vuoi?»
«Ma io...»
«È questo che vuoi?» ribatté Ichigo a voce più alta. «Vuoi stare in mezzo ai piedi e tenere chiuso tre giorni per la tua testaccia?»
Grimmjow non riuscì a dire niente: si limitò a scavalcare la cassetta degli attrezzi dell'ometto senza fare nessun commento, non riuscì nemmeno a guardare sotto il lavello, quasi lo ferisse troppo quella vista. Non scambiò nemmeno un'occhiata con Aizen e uscì dal locale senza salutare nessuno. Ichigo fece un cenno di saluto con la testa e si affrettò a rincorrerlo fuori, pensando che l'avrebbe lasciato lì, ma non fu così. Lo trovò seduto dentro l'auto, con lo sportello ancora aperto, la cintura slacciata e le chiavi in mano.
«Grimmjow... ti senti bene?»
«Sono venuto al lavoro ogni singolo giorno... con la pioggia, con il ghiaccio sui marciapiedi, la neve... con quaranta gradi all'ombra, sempre. Ogni giorno, anche quelli festivi.» disse lui con un tono che aveva dell'alienato. «Non siamo mai stati chiusi da quando lavoro qui... nemmeno quando con Barragan il locale era vuoto.»
«Ma non è la fine del mondo, non è mica andato a fuoco.» gli fece notare Ichigo salendo in macchina. «È solo un tubo rotto, domani sarà tutto come prima... anzi, non dovrai più mettere il secchio sotto il lavandino, non perderà più.»
Dato che la prospettiva di aggiustare uno dei molti problemi del locale non sembrava rincuorarlo, Ichigo tentò una nuova strada.
«Avanti, hai un giorno libero! Finalmente hai tempo di fare qualcosa! Casa tua è una desolazione, perché non facciamo la spesa? Sai, ora viviamo in un'epoca in cui le botteghe sono diventate enormi, hanno il banco frigo e delle persone leggono i codici a barre per sapere quanto costa quello che compri...»
«Mi stai del vecchio, moccioso?»
«Se mi chiami moccioso sembri ancora più vecchio.»
«Dacci un taglio, non sono vecchio...»
Grimmjow inserì le chiavi e poi si girò a guardarlo con la stessa sorpresa di qualcuno che si vede salire in macchina un perfetto sconosciuto nel parcheggio di un centro commerciale. Ichigo, che non capiva la reazione del barista, si limitò ad aspettare che parlasse.
«Cosa fai tu sulla mia macchina?»
«Grimmjow... sei vecchio, ma non così vecchio da avere l'Alzheimer... sono Ichigo, hai presente? Ichigo Kurosaki, lavoro con te.»
«Fanculo, Kurosaki, intendevo cosa fai nella mia macchina adesso!»
«In che senso, scusa? Vuoi lasciarmi qui col bar chiuso?»
«Non torni a scuola?»
Chiarito finalmente l'equivoco nella testa di Ichigo, fece un plateale sospiro.
«Eravamo d'accordo che sarei stato da te tutto il week end...»
«Ma oggi non lavoriamo... non dovresti studiare?»
Per la prima volta forse nella sua intera vita Ichigo avrebbe voluto ringraziare Ishida per averlo costretto a infilare i libri nella borsa: non gli andava assolutamente di tornare a scuola a cercare gli angoli più improbabili per riuscire a studiare, e inoltre non degnava di una risposta i compagni della squadra sportiva da un giorno intero. Preferiva scaricarli per messaggio e lasciarli sbollire nel fine settimana... e cosa più importante ancora, preferiva avere il tempo necessario per scolorire quei lividi sul collo prima di tornare a lezione.
«Ho portato i libri, mi hai visto stamattina, no?» gli ricordò. «Da te c'è silenzio, la mia scuola adesso è un delirio, con gli esami e il torneo sportivo in vista.»
«Che fine ha fatto la biblioteca, l'hanno bruciata?»
«Ah... io... beh... io non posso andarci.»
«E perché?»
Ichigo si morse nervosamente il labbro, chiedendosi come avrebbe potuto spiegare a Grimmjow che non poteva entrare nella biblioteca della sua scuola perché una volta preso dall'ira aveva scagliato un tomo contro la bibliotecaria... che per inciso, gli aveva dato del maniaco criminale a causa dei capelli arancioni e di un piercing all'orecchio. Quello era scomparso da mesi, ma quell'episodio era rimasto incancellabile sul suo curriculum scolastico, nonostante fosse stato causato da notti insonni ed eccesso di caffeina. Il suo più grande rimpianto, comunque, restava di non aver colpito l'arrogante vecchia arpia.
«Beh...» disse infine, titubante. «In realtà è una storia lunga...»
«Bene.» disse Grimmjow allacciando la cintura con l'aria rinfrancata. «Me lo racconti mentre andiamo in quel fantascientifico posto coi codici a barre sulle confezioni.»




Ichigo alzò gli occhi dal libro di matematica e gettò un'occhiata al cellulare per verificare che ore fossero. Non si stupì del tutto di scoprire che erano quasi le sette di sera, anche se la testa gli mandò una dolorosa fitta al solo pensiero che in un pomeriggio intero non aveva neanche scalfito la montagna di studio che lo attendeva per prepararsi agli esami della sessione estiva. Sfogliò il libro con aria depressa e poi lo richiuse, lasciandovi la mano posata sopra.
Che cosa avrebbe fatto se non fosse riuscito a stare al passo con lo studio? Dopotutto aveva accettato di frequentare lo stesso istituto di Chado seguendo l'idea di diventare un medico ed ereditare l'ambulatorio del padre, l'iter molto classico della gran parte degli studenti giapponesi che avevano genitori con studi privati o aziende di famiglia. Con quell'idea in testa non aveva mai esplorato altre possibilità. Non aveva mai avuto sogni infantili come disegnare manga, fare il cantante, suonare in una band o diventare calciatore, o almeno non ne rammentava. Durante i test attitudinali della scuola aveva espresso l'intenzione di studiare medicina, seppure non sentisse una vera chiamata per quel ruolo... ma gli sembrava una scelta molto naturale, aveva due sorelle sensibilmente più piccole di lui, era abituato a trattare coi bambini, lo faceva sentire utile prendersi cura di qualcun altro, e avrebbe potuto ereditare uno studio già avviato da molti anni. Era una scelta facile e neanche poi male, aveva pensato allora. Ma ora che il liceo lo stava opprimendo con una seria dose di studio si chiedeva se non avesse fatto il passo più lungo della gamba, se non si fosse sopravvalutato.
No, si rispose fermamente. Non era forse geniale quanto Ishida, ma nemmeno Chado era geniale. Lui ci riusciva, con tempo e applicazione, e anche Ichigo sarebbe stato in grado di stare al passo. Sarebbe bastato dare un taglio alle distrazioni, abbandonare l'idea di partecipare al torneo sportivo e studiare seriamente. Se non fosse stato per...
Ichigo voltò la testa e guardò Grimmjow, che gli voltava le spalle usando per la prima volta da anni la sua cucina. Il rumore sommesso e regolare gli suggerì che doveva essere impegnato ad affettare qualcosa, forse le patate alle quali appartenevano le bucce che erano ammonticchiate in una ciotola scolorita. Nella pentola una zuppa sobboliva e mandava ovunque un delizioso profumo.
Era lui il problema principale. Aveva approfittato della cassa di bibite distrutte per lavorare con lui, per alleggerirgli il lavoro dopo quel brutale pestaggio, ma ora stava meglio. Sapeva che, se Aizen non si fosse ancora ritenuto risarcito, avrebbe potuto benissimo pagare il resto in contanti, non era messo male a finanze pur essendo uno studente. Avrebbe potuto ripagare il danno, smettere di andare al lavoro al bar e recuperare lo studio in vista degli esami. Ma Grimmjow era la sola ragione che lo trattenesse dal fare la scelta più logica per un liceale, e non perché avesse bisogno di aiuto, ormai non più... ma era Ichigo che sentiva di aver bisogno della sua presenza, perché in qualche modo gli insegnava cose che non sapeva, cose che un liceo non avrebbe potuto insegnargli.
Grimmjow si voltò e non sembrò sorpreso di scoprire che Ichigo lo stesse guardando.
«Che hai, Kurosaki? Hai una faccia tremenda.»
«Grazie.»
«No, sul serio... fai una pausa, sei su quel libro da ore.» ribatté lui, e tagliò l'ultima metà di patata. «Per studiare bene devi fare una pausa ogni trenta minuti, di cinque minuti. E devi bere di più, o ti si asciuga il cervello.»
«Ma che dici?»
«È vero, me l'ha detto Kanda quando ero al liceo.»
Ichigo non riuscì a soffocare uno sbadiglio e si stropicciò gli occhi.
«Potevi dirmelo tre ore fa...»
«È vero. Scusa.»
Ichigo guardò l'altro esterrefatto, ma quello stava aggiungendo le patate alla zuppa senza badargli. Ancora abituato all'immagine dell'iracondo barista che aveva conosciuto faticava a trovare normale che parlasse con un tono pacato o che chiedesse scusa se si sbagliava. Non riusciva ad adattarsi agli sbalzi d'umore di Grimmjow; una volta gli diceva che aveva il cervello di un tacchino, altre volte lo difendeva dalle critiche degli altri. Non riusciva a capire lo schema, non sapeva se era lui a irritarlo in certi momenti o se dipendesse da tutt'altro. Grimmjow lo guardò di nuovo.
«Diventa sempre più scuro.»
«Eh?»
Ichigo capì a cosa si riferisse nello stesso momento in cui gli vide sollevare la mano e indicarsi il collo. Se lo toccò come d'abitudine, ma non c'era alcuna superficie riflettente dove potesse vedersi. Prese allora il cellulare e scrutò la propria immagine grazie alla fotocamera interna: il segno del pollice era rimasto pressochè uguale a quella mattina, ma sull'altro lato del collo era ancora più vistoso. Che fortuna, aveva davvero bisogno di un'altra preoccupazione insieme agli esami, i compiti arretrati, il lavoro che faceva di nascosto e i suoi tormenti emotivi non ancora chiariti su Grimmjow.
«Cazzo.»
«Ohi, sciacquati la bocca.»
«Ma tu dici sempre parolacce!»
«E allora?» sbottò lui. «Io sono un avanzo di galera, tu no.»
«Questo non ha davvero un senso.»
Grimmjow non rispose e sedette al tavolo, scorrendo lo sguardo sulla distesa di quaderni, libri e fogli sparsi di appunti. A Ichigo per qualche motivo venne in mente quando al bar si era messo a guardare i suoi compiti di matematica, quando aveva insultato Ishida parlando di "maestosa tracotanza", e quando quel professore aveva affermato che pochi studenti erano stati brillanti quanto lui...
«Grimmjow?»
«Cosa?»
«Senti... tu non eri male a scuola, no?»
«Meglio di te, sicuramente.»
Ichigo ignorò a fatica la frecciata e prese il quaderno d'inglese, sotto un mucchio di fogli volanti.
«Non è che daresti un'occhiata a questo?»
«Mi hai preso per una maestrina?»
«Devo consegnarlo lunedì, per favore...»
«Col cazzo.» sentenziò Grimmjow.
Non seppe dire come mai la richiesta gli fosse tanto indigesta, gli era parso più che felice di fare il maestrino dicendogli come si risolvevano gli esercizi di matematica anche quando nessuno gliel'aveva chiesto. Poi ebbe l'idea giusta, quella che forse poteva smuoverlo. Sospirò.
«E va bene... lo chiederò a Ishida... lui corregge sempre i miei compiti se glielo chiedo.»
Seppe che aveva avuto l'idea giusta quando vide lo sguardo mortifero che Grimmjow gli lanciò, ma fece finta di non notarlo e prese la borsa per riporvi il quaderno. Un momento dopo Grimmjow glielo strappò dalle mani.
«Dammi qua, cervello di tacchino.» borbottò irritato. «Quanto sei messo male se devi farti correggere i compiti? Come diavolo ti hanno preso in quella scuola?»
«L'ultimo, quello in fondo.» disse Ichigo, senza neanche degnarsi di rispondere alle basse provocazioni.
Grimmjow arrivò alle ultime pagine scritte, diede un colpetto di tosse e si accigliò. Lesse per qualche istante, poi si accigliò di più e si alzò di scatto dalla sedia, abbandonando il quaderno sul tavolo e andando verso le credenze rovinate. Ichigo lo guardò perplesso: era così malfatto che si era reso conto all'istante che era un compito inguardabile? E dire che gli pareva di andare discretamente bene in inglese.
Lo vide aprire un cassetto storto e prenderne fuori qualcosa che aveva una fantasia nera e verde. L'osservò senza capire mentre tornava a sedersi al tavolo e solo quando estrasse un paio di occhiali capì che la cosa nera e verde era una custodia di stoffa. Sbalordito oltre ogni dire lo vide infilarsi gli occhiali con la montatura a rettangolo arrotondato in verde metallizzato e riprendere a leggere sul quaderno di inglese. Per tutto il tempo della lettura Ichigo non si degnò nemmeno di cercare di interpretare la sua espressione per capire cosa pensasse del suo scritto: non fece altro che contemplare la surreale visione di un uomo con capelli azzurri, tatuaggi e occhiali da vista.
«Beh, non è male.» commentò alla fine Grimmjow posando il quaderno. «Il tuo problema è che usi linguaggi piuttosto semplici... non sono sbagliati, ma sembra scritto da un ragazzino... per esempio...»
Non tolse gli occhiali e allungò la mano per recuperare la matita, e prese a scribacchiare sulle pagine, mettendo una sbarra su alcune parole e scrivendovi sopra un sinonimo più ricercato. Ichigo sentì appena la metà di quello che gli stava spiegando, nonostante volesse a tutti i costi stare concentrato: la subdola fantasia che Grimmjow fosse davvero un suo professore lo distraeva in maniere che non aveva mai creduto possibili.
«Kurosaki... mi ascolti o no?»
«Ah, sì. Sto ascoltando.»
«Non sembra.»
«No, davvero, sto ascoltando...»
«È per gli occhiali?»
Grimmjow li sfilò guardandoli come se non li avesse mai visti prima. Sembrava quasi sorpreso di scoprire di averli sul naso.
«Sono strano con questi? Non li ho messi più dopo che ho smesso la scuola.»
«Ti servono per leggere?»
«Sì.»
«Ma al bar sei riuscito a leggere anche senza occhiali.» obiettò Ichigo, prendendoglieli dalle mani e osservandoli. «Quando avevo fatto male quei compiti di matematica.»
«Beh... i numeri li scrivi più grandi delle parole.»
«Davvero? Non ci avevo mai fatto caso...»
Spinto da un'infantile curiosità, Ichigo infilò gli occhiali verdi. Gli erano leggermente grandi alla misura delle stanghette, ma sul naso gli erano comodi. Non lo aiutavano affatto a vedere meglio cosa era scritto negli appunti, anzi, li sfocavano un po'. Non erano soltanto occhiali che ingrandivano le parole, servivano a correggere un difetto di vista.
«Ti stanno bene.» commentò Grimmjow guardandolo. «Sembri quasi uno studente serio.»
«Come sarebbe a dire? Io sono uno studente serio!»
«Che lancia libri alla bibliotecaria, marina le lezioni, esce di nascosto da scuola e lavora anche se le regole del suo liceo lo vietano... in un bar malfamato, poi...»
«Non è un bar malfamato, è solo vecchio e malmesso.» protestò Ichigo, decidendo di ignorare deliberatamente tutte le altre affermazioni. «Un po' come te.»
Il mostro di vanità che dormiva dentro Grimmjow alzò la testa e mandò una fiammata di avvertimento.
«Dov'è che sarei malmesso, eh? Io mi mantengo benissimo!» ribatté Grimmjow. «E se avessi un'uniforme potrei presentarmi a scuola e sembrerei uno studente come te... beh... con dei capelli che danno meno nell'occhio, magari...»
Si passò le dita fra i capelli, che nonostante fossero accuratamente pettinati in su cedettero a quel passaggio con una morbidezza inaspettata. Ichigo, che credeva che fossero praticamente plastificati in quella pettinatura, se ne stupì molto. Si chiese se potesse osare toccarli anche lui e dopo qualche secondo di brutale conflitto interiore alzò la mano e la avvicinò. Grimmjow gli lanciò un'occhiata intensa, ma non disse nulla e Ichigo sfiorò i capelli azzurri con la punta delle dita. Si sentiva come se stesse cercando di accarezzare una tigre.
«Sono dei bei capelli.» disse allora, sentendoli morbidi e lisci. «Non ti costa un sacco questo colore?»
«Costerebbe parecchio, sì.» ammise Grimmjow. «Se dovessi andare da un parrucchiere ogni volta che inizia a vedersi il colore vero spenderei mezzo stipendio così.»
«E allora come fai?»
«Lo faccio io... il mio vecchio capo mi procura quello che mi serve a un buon prezzo e faccio da solo.»
«Il tuo vecchio... capo?»
«Sì, quello del salone all'angolo della strada.» disse, indicando col pollice la direzione. «Ci passi davanti quando vieni al bar venendo da scuola, no?»
Ichigo fece mente locale, ma quando raggiungeva il bar dalla scuola incrociava solo un enorme salone molto chic all'angolo dove c'era il semaforo, sempre pieno di clienti, con i parrucchieri e gli apprendisti nelle loro sgargianti uniformi blu elettrico. Alzò gli occhi su Grimmjow.
«Vuoi dire... vuoi dire il salone con quel logo blu e oro?»
«Il Sapphire. Sì. Lavoravo lì, prima di lavorare per Barragan.»
Ichigo sbatté più volte le palpebre senza sapere cosa dire. Suo malgrado sorrise.
«Stai dicendo che facevi il parrucchiere?»
«No, l'apprendista.» disse lui, che evidentemente non trovava nulla di buffo in quella notizia. «Quando mi hanno rilasciato ero troppo giovane per lavorare in un posto che serviva alcolici, avevo diciassette anni, quindi sono andato a lavorare lì... poi, quando ne ho compiuti venti, sono andato a lavorare per Barragan...»
«E perché?»
Grimmjow non rispose subito come Ichigo si aspettava. Guardò la luce appesa al soffitto e ponderò la questione per diverso tempo, grattandosi il mento. Ichigo si chiese se qualcuno gli avesse mai fatto quella domanda, se lui ci avesse mai pensato.
«Non lo so. Mi piaceva anche il lavoro che facevo prima.» ammise. «Ma forse allora credevo che un posto buio e pieno di gente sgradevole fosse più adatto a me, rispetto a un salone di lusso tirato a lucido pieno di persone del tutto normali che facevano cose innocenti come farsi tagliare i capelli.»
«E ti sei mai pentito?»
Grimmjow emise un sospiro, come se sostenere quella conversazione fosse una cosa sfiancante per lui.
«Sì, in realtà... quando Barragan ha perso tutto ed è arrivato Aizen me ne sono pentito... diciamo che Barragan teneva aperto il locale come punto di scambio per cose... poco chiare.» disse Grimmjow. «Non gli importava che fosse tutto pulito, che ci fossero bicchieri, non avevamo nemmeno lo spillatore... era davvero una squallida bettola, c'era sempre poca gente e io lavoravo poco, anche se dovevo stare lì tutto il giorno... l'arrivo di Aizen ha cambiato le cose... insomma... l'hai visto anche tu che mi minaccia continuamente di licenziarmi, sapendo a cosa vado incontro se succede.»
Ichigo annuì. Non ritenne saggio svelargli che Aizen lo faceva solo per smuovere la sua voglia di fare.
«Lavoravo da solo, e con il cambio di gestione è arrivato un cambio di clientela... la prima volta che mi sono trovato davanti alla folla del week end, come è successo a te, non sapevo più cosa fare, e non avevo nessuno più esperto che mi dicesse a cosa dare precedenza, o cosa dire... francamente è stata la terza sera più brutta della mia vita.» commentò Grimmjow cupo. «E ho deciso che non sarebbe successo mai più... ho trovato sempre più modi per semplificarmi la vita e ho imparato ad avere gli occhi ovunque e usare le mani come se ne avessi otto. Era sopravvivenza, per me, o riuscivo a farlo o tornavo in prigione.»
«Ora sei diventato bravissimo, Grimmjow. Non ti perdi mai e non sbagli mai.»
«Beh, sei anni di esperienza ogni giorno fanno il loro lavoro.»
Qualcosa nel cervello di Ichigo si inceppò mentre stava per dirgli di non minimizzare quello che era riuscito a diventare. Richiuse la bocca senza aver parlato. Aveva detto di aver lavorato nel salone fino ai venti anni, quando aveva potuto lavorare al bar per Barragan. E aveva appena affermato di essere stato forgiato da sei anni di esperienza. Questo significava...
«Tu hai ventisei anni?!»
«Beh, ventisette... Non te lo avevo detto?»
«Hai dieci anni più di me?!»
Grimmjow lo guardò perplesso, forse non riuscendo a cogliere il motivo di così tanta sorpresa, poi esibì un sorriso dei suoi più irriverenti.
«Oh, non li dimostro, vero? Non sembro poi così vecchio, eh?»
Ichigo aprì la bocca più volte senza riuscire a dire niente. Si rese conto di essere l'assurda parodia di un pesce rosso, ma ciò non lo turbava nemmeno lontanamente come il rendersi conto che un barista ventisettenne aveva una specie di infatuazione per lui. Non che lo potesse negare nemmeno prima; gli sembrava che quel bacio sul collo e quelle carezze di qualche giorno prima non lasciassero alcun dubbio, ma per qualche ragione pensare che tra loro c'era una così grande differenza di età lo lasciava di sasso. Non si era aspettato un divario di dieci anni, e ciò lo deluse, come se qualsiasi tipo di rapporto fosse diventato impossibile fra di loro. Si sentì quasi come se si trovasse davvero ospite a casa di un suo professore.
Forse la confusione che provava si manifestava sul suo viso, perché anche Grimmjow cambiò espressione.
«Perché quella faccia, Kurosaki? Cosa c'è che non va nella mia età?»
«Niente... cosa non dovrebbe andare bene? Niente...»
«Hai una faccia strana... come se avessi paura.» commentò Grimmjow, posando il mento sulla mano e osservandolo con curiosità. «Ti spaventa che io sia così tanto più grande di te?»
«La cosa che mi spaventa è che uno della tua età viva accampato in un garage e mangi come un ragazzino, sì.»
Ichigo si alzò e nel disperato tentativo di sottrarsi a quelle domande si avvicinò alla pentola a controllare la zuppa. Si prese qualche momento per mescolarla con un consunto cucchiaio di legno e dato il silenzio si illuse di essere scampato al pericolo.
«Kurosaki, lascia stare quella zuppa, parliamo di questa cosa.»
«Questa cosa cosa?»
«È per il modo in cui ti ho trattato quella sera?»
«Quale sera?»
Ichigo si rese conto che il tono precipitoso della sua domanda tradiva il fatto che avesse capito di che cosa stessero parlando. Prese un respiro cercando di calmarsi e smise di rimescolare una zuppa di patate ancora crude. Non aveva senso scappare. Non aveva nessun altro a cui chiedere per fare chiarezza nei suoi pensieri, nessun altro di cui si fidasse abbastanza da scoprire una ferita così delicata.
«Sì... è anche per quella sera.» ammise infine. «Non riesco a capirti, Grimmjow, e non capisco nemmeno cosa penso io. Sono confuso, e tu mi confondi sempre di più.»
«Te l'ho già detto che capirmi non è cosa facile, e poi sei un ragazzo, mica è facile capirci qualcosa a quell'età.»
«Ora parli come un quarantenne.»
«Diciamo che la vita mi ha fatto invecchiare dentro.» tagliò corto Grimmjow con una punta di irritazione malcelata. «Ora smetti di fissare quelle patate e siediti qui.»
Ichigo abbandonò la confortante pentola delle patate e andò a sedersi, ma avrebbe preferito potersi perdere nella contemplazione della zuppa. Almeno le patate non avevano quegli occhi azzurri e intensi.
«Sappi che non starò seduto qui a parlare con te di sesso come se fosse quella conversazione tra padre e figlio.»
«Non credo che tu abbia bisogno di quella conversazione.» ribatté Grimmjow. «E poi come potrei fartela io? Non ho praticamente mai avuto un padre, figurarsi se mi parlava di cose del genere.»
Ichigo lo guardò per un momento, ma solo uno, prima di sospirare e fissare un evidenziatore. Era azzurro anche quello, ma non era così difficile guardarlo.
«Sono nervoso.»
«Sì, lo vedo, ma perché?»
«Sono confuso, non capisco che cosa vuoi da me.»
«Io credo che tu sia nervoso perché sai che cosa vorrei da te.»
Ichigo si irrigidì suo malgrado. Improvvisamente sentì la gola molto secca e desiderò avere un po' d'acqua.
«Sono sicuro che sai che cosa vorrei, sono stato esplicito nel mostrartelo... anche troppo... vero?» disse ancora lui. «Tu non ti sei accorto della differenza di età, ma io lo sapevo che frequentavi il liceo, sapevo che non avevi più di diciotto anni... avrei dovuto tenerlo a mente. Mi dispiace se questo ti ha spaventato.»
«Non è... questo... ho superato da un pezzo l'età del consenso, e poi non te l'ho nemmeno dato.»
«Lo so, per questo ho smesso, io non sono un tipo insistente.»
«Smesso? Smesso dove?» replicò Ichigo, un po' più aggressivo di quanto volesse. «Mi hai baciato sul collo solo ieri!»
«Ah... quello... quello non era... non l'ho fatto apposta, mi è venuto così.» si giustificò Grimmjow, alzando le mani. «Giuro, non era per provarci.»
Ichigo raggranellò un po' di coraggio e lo fissò negli occhi. In quel momento però sembrava essere lui quello in difficoltà e con lo sguardo sfuggente, e questo gli fece pensare che fosse in imbarazzo.
«Quindi non ci pensi più?»
«A te? In quel modo?»
Grimmjow inclinò lievemente la testa, e Ichigo si chiese se non stesse ponderando una bugia.
«Beh... diciamo che se ci penso cambio argomento.»
Ichigo lo fissò con quella che sperava essere un'espressione di disapprovazione.
«Sei... ohi, ti ho sempre davanti, ti ho pure in casa mia, mica è facile far finta che non ti ho visto!»
«Ti faccio davvero così tanto effetto? Perché mi sembra di non essere niente di speciale.»
Grimmjow fece roteare pigramente la matita fra le nocche e la osservò fino a che non gli sfuggì rotolando sul tavolo. Senza più distrazione prese un respiro profondo, ma non lo guardò.
«Non è stato tanto il tuo aspetto.»
«E allora... cosa?»
«Tu... non mi conoscevi, ma sembrava che ti importasse di me. Mi hai chiesto come mi chiamavo, e sembrava... beh, sembrava che il modo in cui Aizen mi aveva parlato ti avesse infastidito. Sembrava che ti importasse di un perfetto sconosciuto in un bar squallido.»
Ichigo ricordò bene l'avversione che gli era uscita istintiva verso Aizen, e sapeva che aveva cercato di parlare con il barista per qualcosa di diverso dall'aspettare la fine del piovasco. Avrebbe potuto solo osservarlo, o ascoltare il battibecco dei due bevitori di birra, ma non l'aveva fatto. Forse era stato davvero spinto dal fatto che gli dispiacesse per il trattamento che gli era stato riservato?
«Quando sei tornato ho pensato che forse avevi deciso di fare un altro tentativo... non so esattamente cosa credevo che pensassi, non avevo le idee chiare... quando poi sono arrivati loro, mentre eri da me, a quel punto ho creduto per un momento che fossi della banda. Ho creduto che li avessi portati tu a casa mia.»
«Ma Grimmjow, come hai potuto pensarlo?»
Lo feriva che lo avesse ritenuto uno di una banda criminale tanto vile da cercare un ex membro e consegnarlo a chi aveva un conto in sospeso con lui, ma dovette realizzare la cosa: allora erano estranei, Grimmjow aveva avuto ogni ragione per pensare che quella sgradita visita non fosse casuale.
«Non ti conoscevo... ma tu hai cercato di... aiutarmi. Nessuno della loro risma mi avrebbe assistito dopo un pestaggio. Non gli era importato di me nemmeno quando ero uno di loro e sono rimasto intrappolato svenuto in una macchina accartocciata, nessun nuovo arrivato della banda sarebbe rimasto a badare a me. Nessuno ha mai badato a me, nessuno ha mai provato ad aiutarmi, prima che arrivassi tu.»
«C'è da dire che tu non lo rendi facile, ringhiando insulti a chi ci prova.»
«Un animale ferito dall'uomo non sa che il prossimo che incontrerà potrebbe essere diverso da quelli prima. Crede che siano tutti uguali, e pensa che deve difendersi.»
«Ma tu non sei un animale... lo sai che non tutte le persone sono uguali.»
«Adesso lo so.»
Ichigo non riuscì a reprimere un sorriso. Non si era mai pentito di essere rimasto, non aveva mai pensato che avrebbe fatto meglio a lasciare che quel barista ex galeotto se la vedesse da solo con i poco raccomandabili membri della banda. Era ancora convinto di aver fatto il meglio che poteva, secondo la scelta migliore che aveva. Nemmeno quando si era spaventato e innervosito per le attenzioni disturbanti di Grimmjow si era mai pentito, e dopo quella confessione così genuina era sicuro che non se ne sarebbe pentito per tutta la sua vita, succedesse anche il più irrimediabile dei guai.
Grimmjow però parve improvvisamente corrucciato.
«Kurosaki?»
«Che c'è...?»
«Hai tre colori nell'astuccio... perché nei tuoi appunti usi solo l'azzurro?» gli domandò, ed esibì nuovamente il sorriso irritante. «Non sarà mica il tuo colore preferito? O forse ti fa pensare a me?»
Ichigo, che se n'era accorto da solo e che un po' si sentiva colpevole per questo, si alzò bruscamente per tornare a rimestare la zuppa.
«Se vuoi saperlo, è l'evidenziatore che odio di più. Lo uso per finirlo in fretta.»
L'espressione di Grimmjow si rabbuiò.

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Capitolo 9
*** L'amato custode ***


Forse era perché per la prima volta da anni si era riposato, forse perché aveva avuto una lunga nottata per dormire, forse perché aveva mangiato bene o solo perché il bar poteva essere riaperto, il giorno seguente Grimmjow mantenne un ottimo umore tutta la mattina. Era talmente allegro che pulì il biliardo fischiettando quello che a Ichigo pareva il motivetto di una pubblicità e addirittura si mise a canticchiare mentre riempiva il frigorifero.
«Non ti pare una meraviglia?»
Ichigo, che era impegnato a lavare il pavimento, si voltò incuriosito, ma quello che il barista stava guardando non era altro che la sua minuscola macchina del ghiaccio piena di cubetti. Gli brillavano tanto gli occhi che pensò che nemmeno vedere la sua Honda riverniciata, splendente e con gli interni nuovi l'avrebbe messo altrettanto di buon umore.
«Grimmjow, sei davvero malato, sai?»
«È una bella malattia, non voglio guarire.»
Ichigo scosse la testa e riprese a lavare il pavimento consunto senza riuscire a non sorridere. Lavorava in un bar incredibilmente vecchio e malconcio eppure ne andava così fiero; come si sarebbe sentito se avesse potuto avere un locale nuovo con una macchina per il ghiaccio seria e magari addirittura due interi servizi di bicchieri? Pensò che probabilmente si sarebbe commosso, anche se Ichigo faticò a immaginarselo.
Mentre era lì, appoggiato al manico dello spazzolone a cercare di immaginare come Grimmjow avrebbe potuto manifestare commozione, Ichigo notò un movimento nel retro. Aizen era arrivato presto, forse a controllare che tutto fosse in ordine dopo i lavori, ma si era fermato nel magazzino notando dalla porta socchiusa che il pavimento era bagnato. Subodorando opportunità che neanche lui riuscì a mettere a fuoco chiaramente, fece finta di non aver notato il capo e si voltò verso il bancone.
«Grimmjow?»
«Che vuoi?»
«Hai mai pensato di comprare tu il bar da Aizen?»
Seguì un silenzio sospetto, dato che fino a un attimo prima Grimmjow produceva un sonoro acciottolio facendo tintinnare le bottiglie di birra e bibite. Ichigo si spostò un po' e si piazzò strategicamente nel punto in cui uno specchio con una stampa decorativa di un alcolico gli permise di sbirciare la porta del magazzino. Finse di sistemarsi i capelli e vide Aizen, con il cellulare in mano, che sembrava in ascolto.
«L'ho pensato tante volte.» rispose Grimmjow.
«Non gliene hai mai parlato?»
«Deve avere un sacco di soldi da Barragan... anche mettendo da parte tutto il possibile, in questi anni non ho abbastanza neanche per comprare tutti i tavoli, figurarsi il bar intero.»
«Ma... è per questo che vivi in un garage e non fai mai la spesa? Per risparmiare?»
«Già.»
Ichigo si voltò, smettendo la farsa di sistemarsi i capelli, e lo guardò. Si era fatto molto serio.
«Non hai mai provato a chiedergli se... beh, se potete arrivare a un accordo?»
«Forse non l'hai notato, Kurosaki, ma Aizen mi odia.» commentò Grimmjow. «Mi tiene qui finché gli mando avanti la baracca a basso costo...»
«Non avevamo già parlato di questo?» fece Ichigo, seccato. «Aizen non ti odia, pensa che sei bravo e per questo ti tiene qui... avanti, chi altri verrebbe a lavorare il giorno dopo un pestaggio? Chi altri farebbe questo orario per sei anni? Se gli dai fiducia forse lui la darà a te.»
Il modo in cui Grimmjow lo guardò fece capire a Ichigo che non nutriva nemmeno la più vaga speranza, anzi, lo guardò quasi con compassione.
«Questo può valere per te, non per la gente con me.»
«Quanto sei testardo!» sbottò Ichigo irritato. «Per quanto ancora tirerai avanti questa storia del galeotto che non merita niente? Ti sei spaccato la schiena più di chiunque io abbia mai conosciuto, a qualcosa dev'essere servito!»
Grimmjow chiuse il frigorifero e si rialzò molto lentamente. Per un momento, anche se era arrabbiato per il suo atteggiamento disfattista, si preoccupò che gli facesse di nuovo male il fianco.
«Se tutti la pensassero come te il mondo sarebbe davvero un bel posto.»
Non tanto quello che disse, ma il tono rassegnato e dolorante in cui lo disse fece desistere Ichigo dal rispondere. Avrebbe voluto insistere per cercare di innescare una reazione di orgoglio, ma quella voce... non gliel'aveva mai sentita ed era così intrisa di sconforto che non ebbe la forza di ribattere. Lo guardò sparire dentro il locale di servizio dello spillatore, poi si voltò verso il magazzino. Non vedeva più Aizen dietro la porta, e si sentì di nuovo come la volta in cui aveva trovato il libro con la dedica in una credenza nel garage di Grimmjow. Ancora una volta si immischiava di cose che non lo riguardavano, cercando di fare qualcosa di utile, senza riuscirci. L'unica cosa che era riuscito a fare era rovinare l'umore di Grimmjow, per una volta che era felice. Sentendosi in colpa cercò disperatamente qualche altro lavoro da fare e optò per prendere tutte le bottiglie di superalcolici, inutilizzate da parecchio, per spolverarle e pulire gli scaffali. Salì sullo sgabello per pulire quello più alto e l'aggredì come se ogni granello di polvere gli avesse detto un'oscena parolaccia.
«Kurosaki?»
Ichigo si fermò e guardò giù, dove Grimmjow era in piedi a guardarlo.
«Perché ti sei incupito?» gli domandò. «Non mi sono arrabbiato.»
«Il mio umore non dipende direttamente dal tuo, Jaeger.»
Grimmjow lo guardò con una faccia che tradiva molto più di un lieve stupore. Lo vide sbattere più volte gli occhi azzurri, dopodiché si accigliò un po' di più.
«E questo da dove ti esce? Non mi hai mai chiamato Jaeger.»
«Tanto hai un nome con mille declinazioni, no? Uno vale l'altro, rispondi a tutto.»
Ichigo distolse lo sguardo e riprese le pulizie dello scaffale, sentendosi lui stesso confuso. Perché ora sentiva tutta questa irritazione? Perché, visto che era stato proprio lui a essere inopportuno, ora se la prendeva con Grimmjow? Nemmeno lui riusciva a capirsi, in quel momento.
«Ehi, Kurosaki... non sto più dietro ai tuoi sbalzi ormonali, che c'è stavolta?»
Dato che nemmeno lui stava dietro ai propri ormoni, se quelli erano a destabilizzarlo, decise di fingere di non sentire.
«Kurosaki. Guardami.»
Gli bastò un secondo per decidere di ignorarlo di nuovo, sperando che se ne andasse borbottando e che l'intera surreale situazione sbollisse così. Quando lo sentì sbuffare pensò di averla spuntata, ma poi sentì un braccio afferrargli le gambe e trascinarlo giù dallo sgabello. Mulinò le braccia stupidamente alla ricerca di un appiglio, pensando di cadere, ma la sua caduta si arrestò bruscamente lasciandolo a testa in giù col campo visivo occupato solo dalla trama della t-shirt di Grimmjow. Fece appena in tempo a capire che se l'era caricato sulla spalla che venne scaricato con malgrazia seduto sul bancone, accanto al lavello d'acciaio. Grimmjow lo fissò con ferocia.
«Ho detto: guardami
Ichigo non aveva mai percepito un'aggressività in Grimmjow se non nei pochi istanti in cui lo aveva afferrato per la gola, ma fu in questa occasione che ne ebbe davvero paura perché era una rabbia lucida, e fissò gli occhi azzurri senza osare sbattere le palpebre. L'espressione del barista non si ammorbidì che di una piccola tacca.
«S-sei... sei forte.» commentò con un filo di voce, perché era davvero quello che stava pensando.
«Certo che sono forte, cazzo.» sbottò Grimmjow, e si sollevò la maglietta mostrando gli addominali nitidamente scolpiti. «Questi non sono gonfiati ad aria, e neanche i bicipiti!»
Lasciò la maglietta e con disappunto di Ichigo non gli tolse gli occhi di dosso, né accennò ad allontanarsi.
«Sembrava tutto a posto ieri sera.» disse, solo di poco più calmo. «Sembrava tutto a posto anche stamattina. Cosa ho fatto stavolta?»
Purtroppo non era una domanda di cui sorprendersi. Ultimamente Ichigo, soprattutto la sera prima, gli aveva criticato molti atteggiamenti che gli avevano dato fastidio, che lo confondevano, che lo innervosivano... dal suo punto di vista era lecito pensare che avesse fatto di nuovo qualcosa per irritarlo, ma in realtà aveva fatto tutto lui da sé, stavolta.
«Non... non sei tu.» rispose allora, fissando lo sguardo su un portatovaglioli.
«Guardami!»
Ichigo girò di scatto la testa, ma stavolta lo guardò sentendo una rabbia crescente.
«Anzi, sai cosa? Sei tu!» sbottò. «Sei tu che sei una testa di cazzo!»
Dato che si aspettava una reazione altrettanto rabbiosa, la pacatezza di Grimmjow lo stupì.
«Sì, ma per che cosa?»
«Per... che... perché fai schifo! A che cazzo serve farti quei capelli come se fossi uno sicuro di sé e poi docciarti di merda da solo?! Mi fai incazzare, sul serio!»
Grimmjow non ebbe proprio la reazione di orgoglio che credeva: sembrò capire solo la prima cosa, e si toccò i capelli accuratamente pettinati all'insù in ciuffetti.
«Che hanno che non va i miei capelli?»
«I tuoi capelli non hanno niente che non va.»
Ichigo sospirò, davanti a tanta ottusità non riusciva neanche ad arrabbiarsi decentemente.
«I tuoi capelli sono perfetti, come sempre. Sono bellissimi, attirano l'attenzione.» gli disse, e lo guardò. «Perché non riesci a capire che anche tu sei così, e non solo i tuoi capelli? Sono strani, sono da pazzi, ma sono fantastici. Anche tu sei strano e sei un pazzo, ma sei fantastico.»
Grimmjow non rispose, e la faccia che aveva suggerì a Ichigo che non sarebbe riuscito a elaborare quello che aveva sentito e a rispondere per almeno qualche ora. Non ebbe alcuna reazione nemmeno quando Ichigo gli staccò una mano dal bancone e ci scivolò sotto per liberarsi da quel pericoloso angolo. Fu una fortuna che il suo cervello si fosse inceppato, perché anche lui iniziava a rendersi conto della grossa cosa che aveva detto a un uomo che gli si era già dichiarato; davvero una grossa cosa.
«Hai... hai detto...?»
«Negherò spudoratamente di aver detto quello che ho appena detto, quindi non chiedermelo mai!»
Ichigo afferrò la cassetta di plastica vuota delle bibite e si affrettò a sparire nel retro, ma quando fu al sicuro nella penombra del locale dalle piccole finestrelle gettò un'occhiata nel bar. 
Vide Grimmjow passarsi le mani fra i capelli per un momento, poi si raddrizzò e andò alla porta a voltare il cartello "chiuso".


Dopo l'inaspettata chiusura del bar del giorno precedente, la clientela abituale lo prese d'assalto molto prima del solito. Ichigo non aveva fatto in tempo a finire di pranzare con la sua metà di pizza che già una dozzina di clienti si erano accalcati intorno al bancone. Incapace di mangiare in pace con quella calca in attesa aveva abbandonato lo spicchio dopo avergli dato un morso che aveva la stessa disperazione di un bacio d'addio, buttandosi nel lavoro. Grimmjow non avrebbe avuto problemi a gestire gli ordini, se non fosse che tutti sembravano essere lì per chiedergli che cosa fosse successo, se fosse stato male o per quale motivo il bar era rimasto chiuso un giorno intero. Non faceva in tempo a raccontare della tubazione a qualcuno che arrivava qualcun altro a fargli ancora la stessa domanda. Ichigo a un certo punto si ritrovò spaesato: sembrava ci fossero troppe persone rispetto alle sedie e agli sgabelli, e qualche commento di Grimmjow con gli avventori gli fece capire che, alla notizia destabilizzante della chiusura del locale, tutti i clienti si erano presentati anche in giorni e orari insoliti per loro solo per verificare le condizioni del loro ritrovo fidato e del relativo amato custode.
Non esagerò a pensare che fosse davvero un "amato custode", perché in molti, pur avendo ignorato le tracce del precedente pestaggio, confidarono a Grimmjow di essersi preoccupati per la sua salute. Dal canto suo il barista, che sembrava non avere idea di come reagire a tanta premura nei suoi confronti, ne mandò amichevolmente al diavolo la maggior parte vantandosi di essere indistruttibile.
«Cosa credi, che posso farmi male a cadere dalle scale o stronzate del genere?»
Ichigo faceva del suo meglio per non sogghignare mentre lo ascoltava, riempiendo di ghiaccio alcuni bicchieri, quando vide qualcosa che lo turbò. Non riuscì a comprendere lucidamente il perché, ma la vista di un poliziotto in uniforme che entrava dalla porta gli mise paura e si affrettò a tirare un colpo di gomito contro il braccio di Grimmjow.
«C'è un poliziotto.» gli soffiò cercando di muovere la bocca il meno possibile.
«Ahia... che vuoi?»
«Un poliziotto!» sibilò Ichigo, appena più forte di prima.
Grimmjow guardò tutt'intorno nel bar, spaesato, come se non riuscisse a vedere altro che nebbia. Ichigo gli tirò un altro colpo di gomito. 
Com'è possibile che non lo veda? 
Era appena entrato dalla porta e veniva verso di lui, poi quello si sfilò gli occhiali da sole e tutti e due lo riconobbero.
«Ohi, Ben.» lo salutò Grimmjow.
«Ehi, Jaeger...»
«In visita ufficiale?»
«Beh, dovevo, ma soltanto per via del bar... insomma, visto che non eri mai mancato volevo verificare... sono passato a casa tua verso le undici, ma non ho trovato nessuno...» disse Ben, appoggiando il gomito al bancone. «Dov'eri finito?»
«È scoppiato il sifone del lavandino.» ripeté Grimmjow per l'ennesima volta. «C'era l'idraulico e abbiamo dovuto tenere chiuso... sono andato a fare la spesa, visto che avevo tempo.»
Ichigo si accorse che stava fissando Ben come fosse un marziano solo quando anche lui lo guardò.
«Ehi Ichigo, tutto bene?»
«Mi sa che non sapeva che sei un poliziotto, Ben.» commentò Grimmjow, che sembrava divertito. «Ti sei spaventato perché credevi che mi cercasse per qualche casino?»
«Ah... io... sì, più o meno...»
«Ben è il mio agente di custodia, controlla che io lavori e rispetti i termini della libertà vigilata.» disse lui, chinandosi a prendere una bottiglia. «Niente alcol, niente droga, niente roba illecita...»
«In pratica nulla a parte mangiare, lavorare e dormire, no?» fece Ben, prima di scoppiare a ridere.
«E lui sapendo bene questo non mi ha mai sganciato i soldi per tutte le partite di biliardo in cui l'ho stracciato... in pratica, tutte quante...»
«Una volta ho vinto!»
«Hai barato, Kurosaki me l'ha detto che hai spostato il boccino.»
Ichigo si affrettò a riprendere a muovere le mani e lavorare pur tendendo ancora le orecchie al loro dialogo, anche se al momento riguardava soltanto il gioco al tavolo verde. E così, quell'assiduo cliente in realtà era un poliziotto che controllava Grimmjow... non riusciva a capire se fidarsi, avrebbe anche potuto essere insospettito dagli evidenti segni di pestaggio su Grimmjow. Improvvisamente a Ichigo tornarono in mente i segni che aveva sulla gola e si chiese ansioso se li avesse notati o se avesse dei sospetti su chi glieli aveva fatti. Si sforzò di fare un profondo sospiro e rilassarsi: stava diventando paranoico.
«Signor Aizen, sono Yamada... Benjiro Yamada, l'agente di custodia di... mi sente?»
Ichigo lo guardò e si accorse che stava telefonando da un cellulare. 
Cosa vuole da Aizen?
«Jaeger, non c'è campo qui... usciamo un secondo?»
«Sì... Kurosaki, tieni il bancone un momento, dobbiamo chiamare Aizen.»
«Sì... ma... perché?»
Grimmjow si bloccò mentre aggirava il bancone e lo guardò. Sebbene fosse ben lontano dal sorridere gli sembrò non avergli mai lanciato uno sguardo più dolce di quello, prima. O forse la sua fantasia correva troppo?
«Sei preoccupato?»
Ichigo per un attimo ponderò di non rispondere, o di negare e fingere che nulla stesse accadendo, ma poi si ritrovò ad annuire. Questa volta Grimmjow gli accennò davvero un sorriso.
«Non c'è niente che non va... visto che il bar è stato chiuso e non mi ha trovato è obbligato a verificare che la mia storia sia vera, chiederà ad Aizen se il locale è stato chiuso per lavori e tutto sarà a posto.»
Ichigo fu solo in parte sollevato e annuì di nuovo senza sapere esattamente cosa dire.
«Torno subito.»
Grimmjow uscì da dietro il bar e raggiunse Ben, in piedi fuori dalla porta a vetro. Non aveva idea che la libertà vigilata fosse una cosa tanto complicata, un lungo periodo in cui bisognava lavorare e sottostare a tante regole, con un agente sempre presente per controllare. Si chiese per quanto ancora Ben sarebbe stato l'ombra di Grimmjow, mentre serviva tre bibite alla ciliegia quasi soprapensiero. Così assorto non si accorse subito di riconoscere il cliente che gli si parava davanti, finché non lo sentì ordinare.
«Io prendo il Gin Lemonade.»
Era lo stesso uomo che lo aveva chiesto la prima volta e a giudicare dal suo sorrisetto beffardo si ricordava bene che non era capace di prepararlo. Ichigo lo guardò per un momento, poi gli rispose con un sorriso di sfida.
«Certo.»
Prese lo shaker ammaccato e il ghigno dell'uomo si incrinò leggermente. Per qualche motivo sembrava averci preso gusto nel fargli fare una figuraccia, nonostante lo stesso Grimmjow l'avesse per questo trattato molto male. Ma non aveva bisogno di aiuto, stavolta, aveva osservato Grimmjow molto bene e si era accorto che nel versare il liquore contava muovendo solo le labbra. Cercò di replicare il suo ritmo e di ripetere i suoi stessi movimenti, e quando versò il cocktail nel bicchiere il colore sembrava uguale al suo. Infilò la cannuccia e posò il bicchiere sul tovagliolo.
«Ecco.»
L'uomo guardò il bicchiere, sospettoso, ma quando ne prese un sorso piegò gli angoli della bocca come se non lo trovasse affatto male. Grimmjow rientrò a passo svelto dietro il bar.
«Eccomi, Sendo, ti preparo subito Gin...»
Si bloccò del tutto vedendo che l'uomo di nome Sendo aveva già il bicchiere in mano. Aggrottò le sopracciglia con aria confusa e ispezionò il bancone, osservando i limoni e lo shaker aperto come se si stesse chiedendo quando lo aveva usato.
«Ma che... chi...?»
Grimmjow guardò Ichigo come se fosse stato un completo estraneo a trovarsi dietro il suo bancone e lo fissò in quel modo per alcuni secondi di incredulità.
«Tu...?»
Ichigo annuì e sorrise, sbarazzandosi delle bucce di limone e prendendo lo shaker per ripulirlo. Grimmjow guardò verso Sendo, che stava bevendo il suo Gin Lemonade.
«È... com'è?»
«Come il tuo.» rispose, quasi non credesse neanche lui di dover dire una cosa simile.
«Ma...» balbettò Grimmjow, prima di deglutire e guardare Ichigo. «Dove... chi te l'ha insegnato?»
«Tu, ovviamente.»
Non riuscì a non ridere guardando l'incredulità sul suo viso, ma non aggiunse nulla e si mise a versare un aperitivo analcolico rosso o arancione nei bicchieri che aveva riempito di ghiaccio. Fu in quel momento, spostandoli sul vassoio e alzando gli occhi su una sala piena di clienti allegri, che pensò che il lavoro che si era trovato a fare per una serie di casualità improbabili fosse davvero bello. Era faticoso, era caotico, ma era soddisfacente, era divertente. Portando al tavolo più numeroso l'ordinazione Ichigo si chiese per la prima volta se non gli sarebbe piaciuto svolgerlo per una vita, o quasi. Non se la sentiva di dare una risposta, neanche tenendola al sicuro dentro la propria testa, ma non potè fare a meno di pensare che forse avrebbe potuto restare fino alla fine della scuola. Si decise a parlarne con Aizen la prossima volta in cui fosse passato al bar.
«Kurosaki, Sendo ti ha lasciato una mancia.»
Ichigo alzò gli occhi dal vassoio e guardò Grimmjow, che teneva una banconota in mano, senza capire.
«Una... cosa?»
«Una mancia, Kurosaki...»
Dato che il silenzio perplesso persisteva, Grimmjow sbuffò.
«So che si sta diffondendo solo adesso in questo paese, ma addirittura non sapere che diavolo sia... in occidente si usa così quasi dappertutto, quando vai in un albergo, un ristorante o un posto del genere lasci dei soldi in più per la persona che ti ha servito. Per dirgli che hai apprezzato, no?»
Grimmjow lo tirò per il grembiule per avvicinarselo e gli ficcò i soldi nella piccola tasca dello stesso, dove Ichigo teneva anche una penna che finora non gli era mai tornata utile.
«Sono soldi tuoi.» ribadì il barista. «Sei stato bravo. La prossima volta ti insegnerò un altro cocktail... lo faccio sempre quando arriva l'estate. Si fa con l'ananas.»
Ichigo avrebbe voluto chiedergli come mai gli volesse insegnare una preparazione estiva, se pensava che avrebbe continuato a lavorare con lui ancora per un po', ma in quel momento fu distratto dall'arrivo dei clienti più insoliti di sempre: un gruppetto di ragazzi con l'uniforme della sua scuola. Sorpreso li guardò e riconobbe tutti i membri della squadra di calcio della sua sezione, quelli che aveva dovuto mollare con la scusa non tanto campata per aria di dover studiare di più in vista degli esami. Con loro c'erano anche due ragazze con l'uniforme blu di un altro istituto. Grimmjow li stava guardando a sua volta, ma per qualche motivo sembrava preoccupato. Spostò il braccio per impedire a Ichigo di uscire da dietro il bancone.
«Mi occupo io di quelli, stai nel retro.»
Lo studente sbatté più volte gli occhi, incredulo, guardando l'aria seria che Grimmjow aveva. Perché diavolo un barista in libertà vigilata si preoccupava che lui non venisse notato, quasi fosse lui quello che stava infrangendo la legge? Quello che stava facendo era solo lavorare, era una banalissima regola scolastica a vietarlo, e quelli erano tutti suoi amici.
«Che dici... sono miei amici, vado io da loro...»
«Kurosaki, tu non dovresti essere qui.»
«Ma che vuoi che sia? Ishida e Chado mi hanno già visto e non è successo niente... che vuoi che succeda? Sono i miei amici del calcio, non ti preoccupare...»
Gli spostò il braccio e andò dai suoi amici. Gli chiesero, come fecero a loro volta Ishida e Chado, cosa facesse lì e come mai ci lavorava, poi gli presentarono le due ragazze e si fecero scortare all'unico tavolo libero, l'unico lasciato deserto poiché ci batteva un caldo sole. Prese le loro ordinazioni, tutte cola e aranciata, e il lavoro proseguì esattamente come sempre, non fosse per il fatto che Grimmjow non fece altro che fissare il gruppo in cagnesco ogniqualvolta il lavoro gli permetteva di girare lo sguardo.

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Capitolo 10
*** Tempo scaduto ***


Il week end scivolò via con una velocità allarmante per Ichigo, che passava circa diciotto ore al giorno a dividersi tra studio e lavoro e forse si ritagliava un'altra oretta per tutte le altre incombenze, e il suo ritorno a scuola non fece molta differenza perché le lezioni sostituirono il turno mattutino al locale. Mercoledì, il giorno di consegna, il ragazzo aspettava con trepidazione il momento buono per uscire e attaccare il suo turno pomeridiano e nel mentre tentava di mandare a memoria la teoria di matematica. Con tutto quello che aveva da studiare e qualche nozione di bartending che cercava di imparare nella mezz'ora prima di crollare a letto, l'incontro con i ragazzi del calcio al locale gli era passato di mente esattamente come le inspiegate preoccupazioni di Grimmjow su di loro.
L'orologio da polso di Ichigo diede un sommesso doppio bip per tre volte di seguito, il segnale sonoro che dava se impostato l'allarme a un determinato orario. Ficcò il libro nella borsa senza indugio e si alzò per uscire in cortile.
«Kurosaki kun.»
Si bloccò goffamente, facendo stridere le scarpe con la suola di gomma sul pavimento dell'atrio, e si voltò. Aveva riconosciuto la voce del preside ed era piuttosto sorpreso di vederlo casualmente per la scuola: era famoso per essere una specie di fantasma che compariva solo in occasioni speciali di cerimonie, consegna dei diplomi o premiazioni per meriti sportivi.
«Sali nel mio ufficio, per favore, necessito di parlarti.»
«Ah... sì... certo.»
Ichigo mosse qualche passo verso le scale quando l'ometto gliele indicò con un gesto del braccio, sperando che non lo trattenesse a lungo per evitare di tardare al lavoro. Non poteva certo dirgli di tagliare corto perché lo aspettavano in un losco bar per il suo turno...
La vera paura, però, gli salì quando fu davanti all'ufficio e vide Norishibe, l'autoeletto capitano della squadra di calcio, che gli rivolgeva un sorrisetto perfido mentre si allontanava. In quel momento la sua memoria gli ripropose l'esatta riproduzione del ricordo del braccio di Grimmjow che gli si parava davanti mentre gli diceva di andare nel retro. Possibile che fosse per questo? Possibile che Norishibe avesse spifferato tutto al preside per vendicarsi del suo rifiuto di partecipare al torneo con loro? Ed era possibile che Grimmjow in qualche maniera avesse capito le sue intenzioni, o che lo sospettasse?
Mentre entrava nell'ufficio e prendeva posto sulla seggiola scartabellò ogni cassetto mentale per trovare delle scuse che potessero salvarlo. Il preside lo guardò a lungo prima di decidersi a parlare.
«Non mi chiedi per quale motivo sei qui perché lo sai già, Kurosaki kun?»
«No... no, non ne ho idea.»
Aveva ancora una piccola speranza che non lo sapesse. In fondo poteva non averne idea, poteva aver solo scoperto che aveva saltato alcune lezioni senza mai andare in infermeria. Forse invece voleva discutere dello stato dei suoi voti. Non sarebbe stato strano se il preside di una scuola d'élite lo avesse convocato per i voti non proprio splendidi.
«Beh, prima che io lo dica, ti voglio dare la possibilità di essere tu a confessare se hai fatto qualcosa che non dovevi.»
Fu un colpo basso che fece surriscaldare le viscere di Ichigo. Se avesse raccontato la storia della cassa di bibite rotta e del fatto che aveva lavorato qualche giorno per ripagare il danno avrebbe potuto fornire di sua sponte una versione piuttosto innocente. Non aveva bisogno di raccontare che Grimmjow lo aveva fatto dormire a casa sua più volte, non serviva nemmeno accennare al pestaggio. Era uscito un pomeriggio, cosa non vietata, era entrato in un bar poco affollato per studiare, aveva rovesciato una cassa di bibite in vetro rompendole tutte e si era offerto di ripagare il danno facendo qualche giorno di lavoro. Con quella versione non era nemmeno costretto a dire che Chado e Ishida lo sapevano, e non avrebbe dovuto ammettere che lavorava così spesso. Quello che Norishibe aveva visto era uno dei suoi turni. Era un buon piano, secondo Ichigo, quindi prese coraggio e raccontò al preside quella bella versione che glissava su tutte le cose peggiori. L'uomo ascoltò senza fiatare fino alla fine, prima di fissarlo negli occhi.
«La tua versione è piuttosto innocente, Kurosaki kun, ma io ne ho sentite due diverse da questa.»
«È per Norishibe, vero? È stato al bar sabato pomeriggio, era uno dei miei turni, ma io non sono sempre lì!»
«Certo, la versione di Norishibe dice qualcosa del genere... che tu lavori perché hai fatto dei danni, ma ti colloca lì molto più spesso...»
«Perché non lo chiede al professor Kanda? Mi hanno detto che è un cliente abituale, lui lo sa.»
Non avrebbe voluto coinvolgere il professore in quella storia, ma le cose prendevano davvero una brutta piega. Dato che ormai sapeva tutto avrebbe forse perso ogni possibilità di tornare al lavoro, ma non doveva essere espulso, a qualsiasi costo.
«Gliel'ho chiesto.» ammise il preside. «Ed è la sua storia che non si allinea con la tua e con quella di Norishibe kun.»
«Co... cosa?»
«Il professor Kanda mi ha raccontato una storia differente.»
Il preside si alzò dalla poltroncina grigia e gli diede le spalle, osservando il cortile dalla finestra.
«Nella sua versione, il barista del suddetto locale è stato aggredito piuttosto violentemente, e tu, vedendolo molto debilitato, hai deciso di aiutarlo. Questo da una settimana, tutti i giorni. Lui dice che la cassa di bibite rotte è stata una scusa.»
«Non vengo pagato... non è... non è lavoro, era solo... una cosa temporanea!»
«Bene... quindi questa condizione può finire subito. Le regole sono regole. Noi pretendiamo che i nostri studenti diano la massima priorità all'istruzione e alle attività costruttive che si organizzano qui, come lo sport e l'arte.»
«Ma... signor preside! Io non posso...»
«Kurosaki kun. Se desideri lavorare nel tempo che non passi a lezione il mio suggerimento è scegliere una scuola che non abbia questa limitazione.»
Ichigo strinse le dita sulle proprie ginocchia con forza, anche se avrebbe voluto alzarsi e urlare. Urlare che non capivano niente, che quella era una regola stupida, che potevano andarsene tutti al diavolo. Soltanto il pensiero di quello che avrebbero pensato di lui le sue sorelle glielo impedì, e nonostante ciò fu solo un freno a malapena funzionante.
«Il tuo rendimento sta crollando.» osservò il preside. «Visto che non partecipi ai tornei sportivi deduco che il motivo di questo crollo sono le distrazioni che hai trovato in quel locale o nel circondario.»
Qualsiasi tentativo di rispondere venne stroncato dalla mano dell'ometto che tutti avevano sempre preso in giro, che si sollevò a monito.
«Dato che la tua intenzione era un aiuto disinteressato a una persona in difficoltà, non ti espelleremo dalla nostra scuola per quello che hai fatto, ma d'ora in poi ti è espressamente vietata ogni forma di lavoro, che sia retribuita o meno... e per assicurarmi che tu capisca quanto è grave per noi questa violazione e quanto sia importante che tu rispetti i tuoi doveri di studente, ti sarà vietato di uscire dal territorio della scuola, in ogni orario, anche nei giorni liberi.»
«Cosa... non... non posso più uscire?»
«No, fino alla fine dell'anno... e intendo il prossimo marzo.»
«Ma... ma è giugno!»
«Esatto, Kurosaki kun, mi fa piacere che tu non perda colpi.» gli disse il preside in un fiacco tentativo di sdrammatizzare. «Se ti serve un permesso speciale per qualsiasi cosa, dì a tuo padre che mi chiami di persona per autorizzarti... in ogni caso gli manderò io stesso una comunicazione telematica nei prossimi giorni.»
Ichigo non riuscì a dare una risposta. Anche la furia era svanita, era tutto svanito. In stato di alienazione totale lasciò l'ufficio del preside e si allontanò con passo malfermo, senza sapere dove andare. Grimmjow lo aspettava per l'inizio di un turno che non avrebbe mai più fatto... non poteva nemmeno avvisare qualcuno, perché al bar non avevano il telefono, e nemmeno Grimmjow ne aveva uno. Non aveva il contatto di Aizen... non poteva uscire e andare a dirgli che cosa era successo... Grimmjow avrebbe pensato che... che cosa avrebbe pensato? Probabilmente, che aveva fatto qualcosa di sbagliato, che lo aveva fatto arrabbiare o forse che la sua confusione sul loro strano rapporto lo avesse portato a voler mettere della distanza tra loro.
Ichigo sedette a metà scala, abbandonando la borsa con il cambio di vestiti e il libro di matematica. Tanti suoi problemi si erano risolti da soli, in un certo senso: senza torneo di calcio né lavoro aveva tutto il tempo per recuperare lo studio. Avrebbe salvato gli esami e superato l'anno, cosa che non credeva fosse possibile. Ogni dubbio su Grimmjow, non vedendolo più, sarebbe scolorito fino a sparire. Da lì a nove mesi forse non avrebbe più nemmeno ricordato bene la sua faccia o la sua voce e tutte le cose che credeva di sentire nei suoi confronti si sarebbero rivelate le incertezze di un adolescente.
Si rialzò senza sentirsi affatto meglio. Gli piacevano i suoi problemi. Trovare un modo per uscire da scuola e rientrare senza essere notato al mattino presto scendendo da una Honda blu, lavorare duramente in mezzo al caos di una folla di persone che chiedeva cose diverse in un bar piccolo con gli spazi troppo stretti per due e un solo spillatore, studiare nel tempo che gli restava mentre un barista a tratti irascibile a volte dispensava consigli e a volte lo chiamava cervello di tacchino... i suoi problemi erano bellissimi.
«Kurosaki, sei ancora qui? Non dovresti essere già al bar?»
Ichigo faticò a mettere a fuoco la faccia di Ishida, che da vagamente sorpresa passò rapida allo stupore.
«È successo qualcosa? Perché stai piangendo?»
Ichigo dovette toccarsi la faccia per accorgersene, perché le lacrime gli scendevano silenziose, senza provocargli un singhiozzo né altro tipo di reazione collegata. Si affrettò ad asciugarle con il polsino di spugna che portava sul polso, ma non era impresa semplice dato che continuavano a scendere senza sosta. Imprecò a bassa voce. Non voleva che Norishibe o qualcun altro lo vedesse piangere.
«Kurosaki... dimmi che è successo.»
Non fu difficile raccontare a Ishida che cosa era successo nell'ufficio del preside, dato che il suo pianto non influenzava affatto la voce, il respiro o la gola. Tuttavia ripetere tutto gli faceva cadere addosso la certezza che era davvero accaduto, che era veramente confinato dentro la scuola per mesi, e non fu in grado di ripeterlo ancora per Chado quando li raggiunse. Fu Ishida a riassumergli la situazione.
«È davvero stato Norishibe a dirglielo?»
«Francamente è stato sleale.» commentò Ishida. «Ha raccontato tutto solo perché Kurosaki non voleva più far parte della sua squadra, non gliene importa niente del regolamento o dei suoi voti.»
Le congetture e l'indignazione dei suoi amici per qualche motivo rendevano tutto più doloroso. Forse perché contribuivano a far sì che non sembrasse solo un brutto sogno. Si sistemò la borsa in spalla e si allontanò verso il dormitorio.
«Io... vado a studiare un po'.»
«Kurosaki, cosa fai con il lavoro?»
«Non posso più uscire, Ishida, non posso andarci.»
«Sei già uscito un sacco di volte quando non potevi, ti abbiamo coperto.» disse lui. «Se lo studiamo nei dettagli potresti uscire lo stesso, non se ne accorgeranno.»
«Non posso tornare al lavoro... il professor Kanda è un cliente abituale... mi vedrà e lo sapranno anche a scuola. Se mi scoprono di nuovo mi espelleranno.»
«Avrebbero potuto espellerti anche ora, perché prima non ti importava?»
Ichigo non ebbe la forza di guardare gli occhi blu di Ishida un attimo di più, e lasciò scivolare lo sguardo su una piastrella. Era vero, la buona parola di Kanda lo aveva salvato, ma se non avessero chiesto a lui lo avrebbero espulso. Ne era consapevole anche prima, ogni volta che usciva da scuola, e in fondo forse sperava di essere scoperto ed essere rimandato a casa senza dover dire a qualcuno che si era arreso, che non ce la faceva più. Ma adesso la prospettiva era diversa. Tornare a casa senza più speranza di essere riammesso significava non rivedere mai quella città, quel bar in quella città... l'uomo che lavorava in quel bar in quella città. Aveva bisogno di tempo per capire che cosa voleva, e restare ancorato al suo banco in quella scuola era l'unico modo per guadagnare quel tempo.
«Non posso permettermi di essere espulso per una cosa così stupida.»
«Capisco.» fu la sola risposta di Ishida. «Allora ti lasciamo studiare. Noi staremo in biblioteca.»
«A dopo.»
«Sì... ciao.»
Ichigo partì a passo spedito attraverso la scuola. Non incrociò lo sguardo di nessuno, non si scusò nemmeno quando diede involontariamente una spallata a qualcuno, e raggiunse la sua stanza. Gli sembrava fredda, sconosciuta, come il primo giorno in cui era arrivato. Con la stessa circospezione di qualcuno che entra in una chiesa vuota raggiunse la sua scrivania, si sedette ed estrasse il libro di matematica, posandolo insieme agli altri. Dopo un attimo di indecisione prese il libro di scienze, ma non fece altro che aprirlo e leggere il primo titolo della pagina dove aveva posizionato il segnalibro. Abbandonò la testa sul tomo e sprofondò nella coltre nera di pensieri che aspettava solo di avvilupparlo.


Fu disturbato solo un'ora più tardi dal telefono che vibrava nella tasca dei pantaloni. Ponderò di ignorarlo così a lungo che chiunque lo stesse cercando desistette. Poco dopo, tuttavia, suonava di nuovo. Controvoglia Ichigo alzò la testa, prese il cellulare e guardò il display. Era il numero di Chado che lo stava chiamando e gli parve piuttosto bizzarro che lo chiamasse dalla biblioteca, perciò si decise a rispondere. Forse non avrebbe sentito nulla, scoprendo che era una chiamata partita per caso. In effetti nei primi secondi non udì nessuna voce, ma c'era un curioso brusio di sottofondo, molto insolito in una biblioteca.
«Kurosaki?»
Spalancò gli occhi e raddrizzò la schiena al solo sentire quella voce. Non se l'aspettava. Non se lo sarebbe mai aspettato.
«Grimmjow?»
«Sì.»
«Io... non... come...?»
Ma le domande erano piuttosto inutili. Aveva il cellulare di Chado, con quello era riuscito a telefonargli, e se c'era il suo cellulare lì c'era anche Chado. Probabilmente con Ishida. Erano andati al locale a spiegare il perché della sua assenza.
«Mi dispiace.» disse Ichigo, senza sapere bene perché. «Mi dispiace tanto.»
«Anche a me dispiace. Non ti dovevo mettere in una situazione così scomoda.» gli rispose Grimmjow, un poco disturbato da un vociare vicino. «Ti ho trattato come se tu dovessi diventare come me, ma non sei come me. Tu hai ancora tutte le opportunità. È un miracolo che non ti abbiano espulso.»
«Un miracolo che ha fatto il professor Kanda.» ammise Ichigo a malincuore. «Lui ha detto al preside che ho lavorato per aiutare te nelle condizioni in cui eri... solo per questo non mi ha rispedito a casa in posta prioritaria.»
«Beh, non importa come. Sei rimasto a bordo e questo è quello che conta.»
«Ma non posso più uscire... te lo ha detto Chado, no? Non posso uscire più in nessun orario, in nessun giorno... non potrò più venire a lavorare, non posso nemmeno passare da lì a fare un saluto.»
Ichigo si aspettava che Grimmjow gli rispondesse bruscamente come sempre, dicendogli che nessuno ci teneva a vedere la sua faccia, che col cervello di tacchino che aveva era meglio che lo legassero alla sedia davanti a un libro, e fu sorpreso che fosse così normale.
«Sì, è un peccato... sei bravo, sai. Impari presto e sorridi sempre. Ben e altri ragazzi hanno sentito che hai avuto guai a scuola e sono dispiaciuti di sapere che non tornerai.»
«Mi dispiace davvero.» ripeté Ichigo, sentendosi se possibile anche peggio. 
«Non importa, non importa, lascia che si lamentino... tu hai delle priorità e non siamo noi poveri idioti in un bar fetido. Devi diventare un dottore, no? Si può fare a meno di un barista, ma non si farà mai a meno di un dottore. Non preoccuparti per il lavoro.» tagliò corto lui in tono sbrigativo. «Me la sono cavata finora senza di te, sopravviverò altri sei anni...»
Ichigo nonostante tutte le nubi cupe riuscì a produrre un accenno di sorriso.
«Anche se...»
«Anche se?» domandò il ragazzo, percependo con preoccupazione un cambio di tono. «Anche se cosa?»
«Beh... mi dispiace che non ti abbiano scoperto almeno venerdì.»
«Cosa? Perché venerdì? Che succede venerdì?»
«Venerdì niente, succede domani.» disse Grimmjow. «Beh... oggi è l'ultimo giorno della libertà vigilata... domani torno un uomo libero. Mi sarebbe... beh, sì. Mi sarebbe piaciuto che ci fossi anche tu.»
Ichigo avrebbe voluto congratularsi, mostrarsi felice di quella notizia, perché in realtà lo era. Per come lo aveva conosciuto lui, J.J. Jaeger Jacques era un uomo dai modi bruschi ma anche gentile. Era devoto al suo lavoro in modo maniacale, un eccellente giocatore di biliardo, se voleva sapeva essere un bravo insegnante. La sua gioia poi aveva la stessa spontaneità di quella di un bambino. Nessuno meritava di essere libero più di lui...
«È fantastico, Grimmjow.» disse, a voce bassa e priva di entusiasmo. «Solo che... è... buffo, no? Tu torni libero, e io rimango agli arresti domiciliari a scuola fino a marzo...»
«Sono stato qui per nove anni... mi troverai ancora qui a marzo.» replicò Grimmjow, per niente impensierito dalla scarsa reazione del ragazzo. «Quando ti lasceranno uscire passa di qui a salutarmi. Non mi nascondo.»
«Tu mi aspetteresti fino a marzo?»
La domanda era piuttosto bizzarra. Grimmjow viveva in un garage nei paraggi, lavorava in un bar in quella città, ci viveva da più di dieci anni, conosceva tutti. La sua vita si era radicata lì, non aveva senso chiedere se avrebbe aspettato, perché non aveva certo bisogno di un altro motivo per restare. Che lo volesse o no, marzo sarebbe arrivato comunque.
«Ti aspetterò.» rispose invece Grimmjow, dopo una breve pausa. «Fino a marzo del prossimo anno, o di quello dopo, o quello dopo ancora. Finché ci sarà il mio bar aspetterò che torni a fare i tuoi pessimi compiti di matematica sul tavolo dell'angolo.»
«Mi dispiace tanto... vorrei poter lavorare ancora con te... stavo bene nel tuo bar.»
«Lo so, è una tana accogliente. Anche io ci sto bene. Mai dire mai, comunque.»
«Possiamo dirlo molto chiaramente stavolta.»
«Mai dire mai. Fidati di un vecchio, Kurosaki.»
Inspiegabilmente quella convinzione diede a Ichigo un barlume di fiducia nel futuro, come un faro lontano in  mezzo a una nebbia notturna. Riuscì a sorridere.
«Tu non sei così vecchio, Grimmjow.»
«Ah, grazie per averlo notato. Non per vantarmi, ma sotto l'azzurro non ho capelli bianchi.»
Una voce che a Ichigo non sembrò quella di uno degli amici disse qualcosa molto vicino al telefono, e Grimmjow replicò con una sonora parolaccia seguita dall'ordine di "tornarsene dentro", il che gli lasciò supporre che il barista fosse andato fuori dal locale per telefonargli, dato che all'interno il segnale era sempre basso. Fu un pensiero egoistico, ma fu felice che quella chiamata fosse più importante dei clienti al bancone.
«Scusa.» gli disse Grimmjow. «Un idiota voleva sapere se avevo intenzione di scioperare come te.»
«Scusami... ti sto trattenendo troppo. Non preoccuparti per me, torna dai clienti.»
«Oh no, non ci penso nemmeno.» rispose Grimmjow, che aveva un tono piuttosto divertito che il giovane non seppe spiegarsi. «Ho lasciato Aizen dietro il bancone da solo. Ah, Kurosaki, dovresti proprio vederlo, è troppo impedito, potrei stare a guardarlo per ore.»
Dopo un momento di silenzio, Ichigo iniziò a ridere. I primi secondi furono quasi dolorosi, come se in quel poco tempo di depressione avesse dimenticato come un umano facesse a produrre una risata, e quella riecheggiò in modo strano nella stanza vuota. Fu un toccasana comunque, perché si sentì molto più leggero.
«Non puoi lasciarlo lì, ci farà fallire il bar! Con la fatica che facciamo per tenerlo in piedi!»
«No, credimi, è salutare, capisce quanto fa schifo servire con così pochi bicchieri, una macchina del ghiaccio per bambini e uno spillatore rotto. Ah, sì. Si è rotto di nuovo stamattina, l'ho dovuto riattaccare con il nastro adesivo, e adesso spruzza schiuma dappertutto.»
«A lui lo hai detto?»
«Se n'è accorto alla prima birra.»
Ichigo rise di nuovo e il carico che si sentiva sulle spalle si alleggerì di nuovo.
«Sei veramente uno stronzo.»
«Non sono io, mio caro ragazzo, è il karma all'opera. Tutta la merda che mi ha spalato addosso adesso gli torna. Puoi chiamarla giustizia divina, se vuoi.»
«Il tuo karma manderà il locale sul lastrico.»
«La prospettiva non è mai stata così bella.»
«Non essere ridicolo... ora vai... davvero, mi sento in colpa.»
«Immaginavo che avresti detto qualcosa del genere.» disse Grimmjow. «Beh, vado a salvare il boss. Ti faccio sapere se la lezione gli servirà a qualcosa.»
«E come farai?»
«Il tuo amico mi ha lasciato il tuo numero e la tua email... chiederò a qualcuno di farmi scrivere o chiamare nei prossimi giorni. A quest'ora va bene?»
«Non c'è problema... non ho corsi nel pomeriggio, sarò sempre in camera mia. Ti posso rispondere a tutte le ore.»
«Okay. Tu fai il tuo dovere, Kurosaki... ora che hai avuto una seconda possibilità non buttarla via.»
«Lo so... lo so. Davvero, mi impegnerò.»
«Ci sentiamo presto.»
Grimmjow chiuse la telefonata. Ichigo abbassò il cellulare e cercò di immaginarlo rientrare nel bar affollato, riprendere il posto dietro il bancone e salvare la situazione come lo aveva già visto fare, facendo decine di cose quasi contemporaneamente, come se avesse più paia di mani. Invidiò molto Aizen, che pure doveva essere sopraffatto, confuso e coperto di schiuma di birra calda, perché poteva essere lì a vederlo. Aveva ordinato l'ananas per il cocktail estivo, ma non poteva più farselo insegnare.
Mise da parte il telefono e guardò il libro, ricordando che la prima lettura di quel capitolo l'aveva fatta mentre Grimmjow usava per la prima volta la sua cucina dopo molti mesi. Sorrise, si armò di evidenziatore e si lanciò nella lettura, ma restò interdetto quando la prima stesura d'inchiostro andò praticamente a vuoto. L'evidenziatore azzurro si era esaurito, proprio come il suo tempo con il barista con i capelli dello stesso colore.

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Capitolo 11
*** L'ultimo turno ***


Nonostante il brutto colpo subìto Ichigo riuscì a studiare, e con notevole profitto. Se ne sorprese ma ne fu anche felice, perché al momento che i suoi voti riprendessero quota era l'obiettivo principale della sua vita, e recuperò quasi l'intero programma di scienze e matematica in un giorno.
Il cambiamento fu vistoso, specie quando a lezione riuscì a dare tutte le risposte giuste alle domande dei suoi professori. Norishibe in particolare sembrò piuttosto rabbuiato, forse pensava che la sua vendetta per il torneo sportivo non fosse stata abbastanza dura, ma se soltanto avesse potuto leggere dentro Ichigo Kurosaki avrebbe saputo di aver affondato il coltello nel punto peggiore.
Quando gli capitava di guardare dalla finestra e addocchiare il punto del cortile dal quale soleva uscire provava la gran voglia di scappare ancora, ma non poteva permetterselo: lo avrebbero espulso, e se Grimmjow l'avesse visto infrangere le regole con quel rischio lo avrebbe preso a calci per tutta la strada fino a scuola, o peggio, fino a casa sua.
Disertò il torneo sportivo anche nel tifo e fu perversamente felice quando scoprì che la loro squadra di calcio era stata eliminata per prima con una batosta a doppia cifra. Mentre Ishida glielo diceva Ichigo non poté che sogghignare con gusto e pensare a quanto era potente il rinculo del karma.
Mentre il compagno di classe era nella camerata il cellulare di Ichigo squillò e lo tirò fuori dalla tasca come se fosse incandescente. Non sentiva Grimmjow da quella prima telefonata ed era sicuro che a quell'ora di pomeriggio potesse essere il solo a chiamarlo. Ignorò il numero sconosciuto e rispose.
«Grimmjow!»
«Indovinato, ragazzino, anche se il tuo deejay preferito trasmette dal telefono di Handa.»
«Handa? Il professore è lì?»
«No, il professore è lì.»
«Lì... Non ho capito niente!»
«Voglio dire che il professore è esattamente dove dovrebbe essere, a scuola... e no, non gli ho rubato il cellulare.»
«Co... vuoi dire che...»
«Che sono anch'io a scuola... sono nel cortile, a vedere il torneo sportivo. Vieni fuori, ovunque tu ti sia nascosto, il nostro amico spione ha preso una tale smerdata che non farà rivedere la sua faccia in giro per un paio di mesi... e aspetta che torni al bar.» aggiunse lui, con l'aria divertita. «Dirò a tutti quanto ha fatto schifo, per l'umiliazione gli farò lasciare la città.»
«Dimmi dove sei!»
Ichigo buttò all'aria il libro nella fretta di alzarsi dalla scrivania e corse fuori senza dare alcuna spiegazione a Ishida, che dopotutto non ne necessitava dopo aver sentito quel nome. Il ragazzo si lanciò giù per le scale alla massima velocità, per sua fortuna non c'erano insegnanti a sgridarlo.
«Sono vicino all'acero. Dove c'è quella vecchia centralina... hai presente?»
Ichigo chiuse la telefonata e uscì dalla scuola spalancando la porta. Nel via vai di squadre, tifoserie, professori e genitori venuti per l'occasione nessuno fece caso a lui o alla sua premura e cercò con lo sguardo una macchia azzurra inconfondibile, anche se non la trovò. Solo quando si fu tolto un gruppo di ragazze in completo da tennis dal davanti riuscì a vedere il suo barista preferito appoggiato al tronco dell'albero. Il professore si stava allontanando da lui, probabilmente dopo aver avuto indietro il suo cellulare. Lo raggiunse con il fiato un po' appesantito e il sorriso sulla faccia.
«C-certo che so dov'è... è il punto da cui esco di solito senza farmi vedere...»
«Scavalchi da qui?»
«L'albero aiuta... sono felice di rivederti, Grimmjow... hai una bella cera...»
«Anche tu.» rispose lui. «Forse perché adesso riesci a dormire decentemente.»
«Ho fin troppo tempo adesso, se non ne perdo abbastanza mi ritroverò in cima alla classifica degli esami.»
«È il minimo che mi aspetto, babbeo!»
Ichigo schivò la nocca che Grimmjow cercava di piantargli nella fronte e rise. Era fantastico rivederlo di nuovo, visto che pensava che non sarebbe successo fino alla primavera successiva, e qualcosa nell'espressione insolitamente rilassata del barista lo convinse che anche lui fosse felice.
«Che cosa fai qui, comunque...? E il bar? Non avrai lasciato di nuovo tutto ad Aizen...»
«Ah, no... siamo chiusi... lo spillatore ha dato il collo definitivamente e uno dei frigoriferi non funziona più... quel cazzo di posto cade a pezzi. Mi sa che Aizen gli dovrà far mettere le mani da qualcuno di bravo per rimetterlo in piedi.»
«Accidenti... mi dispiace, Grimmjow, davvero.»
«Non fa niente... sono andato a fare la spesa stamattina... forte, eh, due volte in meno di due settimane!»
«Non dirlo come fosse un riconoscimento al valore!»
«Senti, Kurosaki... c'è una cosa più importante di cui ti devo parlare.»
Non sapeva dire come mai ma l'idea diede un brivido a Ichigo, mettendogli addosso la sensazione che quell'incontro di persona fosse stato voluto per non dire qualcosa di molto sgradevole al telefono... forse, un addio?
«Spostiamoci più in là... c'è troppo chiasso.»
Grimmjow si mosse con familiarità nel cortile dell'istituto, era ovvio che c'era già stato e che era ancora impressa nella sua memoria la struttura non esattamente lineare delle ali in mattoni e degli ingressi laterali, non simmetrici tra loro. Il posto in cui si fermarono era proprio sotto le finestre ad arco della biblioteca, e Grimmjow vi sbirciò dentro aggrappandosi al davanzale esterno.
«Nessuna traccia del tuo predatore naturale.» disse, prima di lasciarsi ricadere sull'erba.
«Lascia perdere l'arpia, che cosa volevi dirmi?»
«Beh, non ha senso girarci intorno... il bar cade a pezzi, Kurosaki... lo spillatore, il frigorifero... la macchina del ghiaccio a volte si inceppa, abbiamo tre prese di corrente che non funzionano più, e ho la sensazione che si sfasci di più ogni giorno che passa... come un vecchio malato. Sta per crollare.»
«Vuoi dire che...?»
«Voglio dire che Ichimaru ha fatto i suoi calcoli e Aizen ci sta pensando su.» disse Grimmjow. «Me l'ha detto ieri sera, all'ora di chiusura... ha detto che quando sei arrivato tu le cose sembravano migliorare, ma quel posto è un rudere... aveva in mente di chiederti se volevi lavorare di nuovo da noi dopo le vacanze, quando tornavi, e stare a vedere se gli affari miglioravano abbastanza da spendere i soldi per ristrutturarlo... ma...»
«Ma io non posso...» concluse Ichigo, sentendosi depresso quanto il primo giorno di reclusione.
«Non è colpa tua... con o senza di te, quel posto non reggerà un altro trimestre. Salterà un altro tubo, qualcosa andrà in corto circuito... io già costo il minimo, Aizen non butterà altri soldi in quel bar se pensa che non gli restituirà i soldi che ha prestato a Barragan.»
«E quanto sarebbe, questo debito?»
«Quello che potremmo guadagnare io e te con un bar a piena efficenza per un anno.» disse Grimmjow. «Se avessimo le attrezzature che funzionano, una coppia come la nostra tirerebbe su tutti i soldi che servono... ma non abbiamo più tempo. Anche se tu potessi lavorare, il locale non ce la fa... ero venuto a dirti che probabilmente, quando rientrerai dalle vacanze, non troverai più il nostro bar e il tuo tavolo riservato nell'angolo.»
«Ma non puoi lasciare che succeda, Grimmjow! Quel posto è la tua vita!»
«Sai... ci ho messo un po' per capirlo... e non è così.»
Grimmjow lo guardò dritto negli occhi e Ichigo si accorse che tutto quel gran peso che sembrava trascinarlo verso il fondo ogni giorno di più era come svanito. Aveva un'aria stranamente serena nonostante stesse annunciando la chiusura inevitabile del suo posto di lavoro, quello dove aveva dato anima e sangue per sei anni, quello che solo poco tempo prima non poteva accettare di chiudere per un singolo giorno senza trovarsi spaesato e confuso.
«Prima rappresentava tutto... perdere quel posto di lavoro significava finire di nuovo in prigione per scontare i cinque anni che erano stati pattuiti con il tribunale... ma adesso sono libero. Ho scontato la mia punizione. Ora chiudere quel locale non mette a rischio la mia vita... solo... mi dispiace. Io adoro essere un barista. Il loro barista... vengono lì per me, erano tutti lì giovedì scorso per festeggiare con me la fine della vigilata... ho dei bei ricordi di quel posto.»
«Anche io ne ho.» disse Ichigo. «Capisco che cosa vuoi dire... è un orrido, squallido bar, ma è... il nostro bar.»
«Era il nostro bar... avrei... voluto tenerlo aperto finché non fossi tornato.» disse Grimmjow, e il suo sguardo scivolò sulla punta dei suoi vecchi stivali. «Se chiuderemo... volevo solo che sapessi che non ho deciso io... se quando tornerai sarà solo una serranda chiusa su una stanza vuota, non sono stato io a lasciarlo andare in rovina. Ho fatto tutto quello che potevo per salvarlo.»
Era un brutto colpo, onestamente. Ichigo aveva affrontato la punizione con la speranza che la prossima primavera sarebbe almeno potuto tornare come cliente, per ritrovare tutto l'effervescente clima dell'Espada... il nome del locale era su un'insegna così rovinata e mal posizionata che non la si notava, e quasi nessuno lo usava, era semplicemente "il bar di Jay", "il nostro bar", lo era per tutti. Frequentato da ubriaconi alle dieci del mattino, dal farmacista, dal poliziotto, dal professore... era un posto magico dove tutti i tre mondi di Grimmjow si collegavano, quello della sua scuola, quello della prigione e quello di uomo libero... Ichigo capiva perfettamente che doveva soffrire molto l'idea di perderlo senza poter fare nulla. Cercare di dargli altri suggerimenti lo avrebbe solo ferito ulteriormente.
«So che hai fatto tutto quello che potevi... ma... voglio affrontare l'estate con la speranza di trovarlo ancora aperto quando ritornerò.»
«E ritornerai?»
Ichigo lo guardò in faccia, era piuttosto serio. Capiva perché: aveva espresso tali e tanti dubbi, se valesse o no la pena di riuscire bene negli esami e proseguire gli studi in una scuola così importante senza avere la certezza di cosa fare dopo. Si appoggiò di schiena al muro di mattoni rossastri.
«Prenderò dei voti così alti questo trimestre che mi imploreranno di tornare... anzi, li prenderò così alti che al mio ritorno chiederò al preside se posso lavorare con te nel fine settimana, con il permesso di mio padre.»
«Questo è un gran piano, Kurosaki.»
«Se non sono in grado di prendere voti alti e lavorare nel week end, allora non sono degno di fare coppia con te nel nuovo bar.» rispose Ichigo, e sorrise. «E io non voglio lasciare il mio posto a nessun altro.»
«Beh... se questo è quello che vuoi fare, lo dirò ad Aizen... e anche all'impianto elettrico... magari se pensa di rivederti terrà duro anche lui. Potrebbe aver ceduto per la tristezza.»
«Che animo delicato...»
«Sai come sono i vecchi... nostalgici e soli... lui non fa eccezione, sarà più vecchio di Barragan.» commentò Grimmjow, ma poi si fece pensieroso. «... Non so se quando Barragan era giovane avevano già scoperto l'elettricità. Forse facevano ancora strane danze per il fuoco e sacrifici umani per ingraziarsi gli dèi.»
Ichigo rise, anche se non aveva idea di che aspetto avesse il vecchio Barragan Grimmjow lo aveva usato molte volte come termine di paragone per tempi remoti e attrezzature vecchie. Il silenzio che restò dopo tra loro era molto più imbarazzante di quanto fosse mai stato prima, forse perché entrambi sembravano voler trovare il coraggio di dire qualcosa che li spaventava. Il primo a riuscirci però fu Grimmjow.
«Andiamo al bar.» disse. «Adesso, mentre ci sono gli eventi sportivi.»
«Cosa? Ma... ma non hai detto che è chiuso?»
«Lo è, ma io ho sempre le chiavi.»
«Vuoi aprire a quest'ora? Con lo spillatore rotto, e...»
«No, non voglio aprire... è... per noi, Kurosaki. Potrebbe essere l'ultima volta che...»
Grimmjow esitò e un funesto completamento della frase passò anche nella testa di Ichigo. Poteva essere l'ultima volta che si sarebbero visti... se fosse successo qualcosa a casa, se non fosse stato ammesso, se lui avesse trovato un lavoro da un'altra parte nonostante le sue radici fossero lì... in fondo poco gli ci sarebbe voluto per caricare tutto sulla sua Honda blu e andare via, a cercare fortuna dove nessuno avrebbe saputo nulla del suo passato.
Ichigo gli sfiorò il gomito.
«Hai ragione... andiamo.»

Non fu difficile andarsene, con il cortile gremito di studenti e genitori che entravano e uscivano a seconda delle classi e delle squadre attive sui campi. Anche se l'automobile era parcheggiata nei pressi si avviarono a piedi, Ichigo sentiva il bisogno anche di rifare quella strada. Anche se il pensiero andò alla prima volta che l'aveva percorsa inconsapevole di cosa vi aveva trovato, il cielo azzurro e il sole sfolgorante non avrebbero potuto essere più diversi da quel grigio plumbeo di allora... gli sembrava di aver vissuto dei mesi interi, degli anni nel fatiscente locale per quanto vi aveva imparato e quanto vi si era affezionato, eppure erano appena due settimane.
Rientrarvi fu una fitta di nostalgia come Ichigo dubitava di provarne persino al suo ritorno a casa a Karakura, ma era strano vederlo senza le luci accese sul bancone, quelle che Grimmjow accendeva per prime al suo arrivo...
«E siamo di nuovo qui.» disse Grimmjow, riprendendo il suo posto dietro il bancone. «Pensavo di poter diventare vecchio dietro questo bancone.»
Se si aspettava una battuta sulla sua età ne fu deluso, perché Ichigo non replicò e si limitò a sorridere. Si sedette sullo stesso sgabello di quella mattina e si guardò intorno. Aveva poi conosciuto di persona i due tipi loschi che allora aveva visto bere birra di mattina, due tipi in realtà simpatici e alla mano, che avevano cercato per tre volte di convincerlo a giocare a biliardo con loro. Tutto di quel posto era magico, tutte le persone che c'erano dentro erano diverse da come sembravano: Grimmjow era una persona seria sempre al lavoro, al contrario del lazzarone che giocava a biliardo anziché lavorare, Aizen era un uomo d'affari tutto sommato gentile che aveva tenuto aperto un locale che non guadagnava quasi niente solo per permettere che il barista potesse finire il suo periodo di libertà vigilata lavorandovi, un giocatore incallito e un po' furbetto era invece Ben il poliziotto... quel posto così vecchio e trasandato nella sua bruttezza esaltava i lati migliori di tutti, persino quello di Ichigo, che si era scoperto anche un tipo socievole in mezzo a quella strana famiglia. Era così, i clienti dell'Espada erano la famiglia di Grimmjow, e un po' anche la sua ora che era lontano da casa...
«A che cosa pensi, Kurosaki?»
«A tutto.» rispose lui sincero. «Dalla prima volta che ho messo piede qui, fino... la prima volta non ti ho neanche visto, eri lì dietro... ora so che stavi rimettendo il secchio sotto il tubo del lavandino.»
«Esatto... e tu mi hai fissato i capelli.»
«Conosci qualcuno dei tuoi clienti che non lo abbia fatto?»
«In verità, no... beh, è quello che volevo quando ho scelto questo look.»
«È un peccato che gli impianti e le attrezzature siano malconce.» osservò Ichigo, passando la mano su una vistosa scheggiatura del bordo del bancone. «Se fosse stato solo l'aspetto, Aizen forse avrebbe accettato di rinfrescarlo un po'... sarebbe bastato poco per renderlo un posto speciale.»
«Speciale come i miei capelli, era questo il collegamento tra i due discorsi?»
«Beh, sì... quando ho visto quanto i clienti ti adorano ho pensato che se il bar ti somigliasse di più sarebbe stato perfetto... sarebbe stato bello usare lo stesso azzurro. Immaginati per esempio il panno del biliardo, le luci sopra le bottiglie e... sì, magari la fodera nuova agli sgabelli, tutto del tuo stesso azzurro. Sarebbe stato una bomba, no?»
«Ah, basta con quell'evidenziatore, Kurosaki... cambia colore, o ti rincoglionisci.»
«L'ho già cambiato, è finito, ora è il turno del giallo.»
Cadde di nuovo il silenzio e Ichigo si alzò dallo sgabello. Andò prima al tavolo nell'angolo, quello sopra il quale si era addormentato così profondamente, e passò le dita su tutti i tavoli, sugli schienali delle panche e delle sedie, ricordando le facce di alcuni clienti sempre nello stesso posto, e raggiunse il biliardo. Il panno era molto rovinato e forato in un angolo da un giocatore maldestro. Nemmeno quello reggeva più lo sforzo, sarebbe stato da cambiare, ma se stavano per chiudere non ne sarebbe valsa la pena. L'Espada senza il biliardo era quasi come l'Espada senza il suo barista.
«Ehi, Kurosaki... ti va di fare la tua ultima lezione di bartending?»
«Mh? E sarebbe?»
«Avevo detto che ti avrei insegnato il mio drink con l'ananas, quello che va tanto in estate... senza sapere quando riapriremo quella frutta potrebbe anche andare a male.» osservò Grimmjow, e prese alcuni bicchieri. «Sarebbe un peccato sprecarla.»
«Sicuro che mi va.» disse, e andò dietro il bancone. «Anche se non dovessi mai più mettere piede dietro il bancone di un bar per il resto della vita, giuro di conservare la tua ricetta per ogni occasione domestica possibile.»
«Leccaculo
Grmmjow gli lanciò il corto grembiule da bar che Ichigo aveva sempre messo quando lavorava lì e non riuscì a non sorridere indossandolo ancora una volta.
Fu divertente passare qualche tempo lì, replicando la ricetta tutto sommato semplice di Grimmjow. In realtà aveva imparato le dosi e il procedimento solo guardandolo due volte, ma sbagliò di proposito un paio di cocktail solo perché quell'ultimo turno all'Espada durasse qualche minuto in più. Quando li assaggiarono, Ichigo con estrema moderazione, erano esattamente identici.
«Saremmo stati davvero un'ottima squadra.» commentò Grimmjow. «Non è facile in realtà adattarsi ai ritmi e agli standard di qualcun altro... ma tu sei veloce. Ti adatti subito. Faresti un sacco di soldi con questo lavoro.»
«Lo dici come se ti dispiacesse.»
«Infatti mi dispiace... mi dispiace che non possiamo più lavorare insieme. La tua presenza ha... cambiato la mia vita.»
Ichigo lo guardò incredulo, restando spiazzato per qualche attimo.
«Ma che... non ho fatto niente... stava già andando tutto bene, prima che ti incontrassi... eri già bravo, facevi un ottimo lavoro...»
«Non riuscivo a lasciarmi il passato davvero alle spalle... non avevo nemmeno mai parlato dei miei genitori, prima di incontrarti. Era qualcosa con cui non volevo fare i conti, volevo solo lavorare così tanto da sfinirmi e non pensare a niente. Anche i ragazzi... prima che tu me lo dicessi, io credevo venissero qui solo perchè volevano un posto dove fare casino e bere a poco prezzo. Non davo nessun valore alla mia esistenza, credevo che fosse tutto finito nel momento in cui ho ammazzato quel vecchio.»
«E adesso un valore te lo dai?»
«Adesso ho di nuovo dei progetti per il futuro... fino a ora ho pensato solo che avrei passato la vita faticando di proposito per espiare.»
Ichigo accennò un sorriso e si appoggiò sul bordo del lavabo pieno di buccia e foglie d'ananas.
«Se ho una piccola parte in tutto questo, ne sono davvero felice.»
«Hai una parte enorme in tutto questo, Kurosaki.»
Il modo in cui lo guardava sembrava chiedergli qualcosa, e nell'istante stesso in cui lo vide abbassare la testa verso di lui capì che cosa fosse. Non si mosse e non disse niente per fermarlo, poteva essere l'ultima occasione anche per questo...
Poi il cellulare che aveva in tasca squillò e Grimmjow si raddrizzò prima di arrivare anche solo vicino a sfiorarlo. Ichigo balbettò qualcosa di insensato e inutile sul telefono e quando lo prese capì immediatamente perché Ishida lo stava chiamando: erano quasi le sei del pomeriggio e presto la prima giornata di torneo si sarebbe conclusa. Doveva fare ritorno a scuola prima che la folla sciamasse e fosse troppo facile notarlo mentre rientrava.
«Io... devo tornare...»
«Lo so.»
«È stato bello tornare qui. Grazie di essere venuto a prendermi fino a scuola.»
«Era il minimo... dovevo darti la notizia di persona.»
Ichigo si tolse il grembiule e lo appallottolò, ma esitò prima di metterlo via.
«Ehi, Grimmjow... potrei portarlo via?»
«Cosa? Il grembiule?»
«Sì, pensavo... l'ho sempre messo qui... e i ragazzi... mi hanno sempre preso in giro, dicendo quanto la prendevo seriamente per mettermelo in un posto come questo...»
«Se vuoi, prendilo... potremmo tenere aperto altri cinquant'anni ma ti assicuro che non lo metterei nemmeno se lavorassi nudo.»
«Grazie... ma nel caso fosse possibile farli nuovi per quell'ipotetico bar che ti assomiglia, falli fare azzurri.»
«Ah, sicuro... ma fossi in te non ci metterei il pensiero su.»
Ichigo fece il giro del bancone e si fermò sulla porta.
«Tu... mi accompagni?»
«Mh?»
«A scuola... voglio dire, la tua macchina è lì davanti...»
«La verrò a prendere più tardi... ho... bisogno di stare ancora un po' qui.» disse lui, e si appoggiò di gomiti sul bancone. «Ho un attacco di vecchiaia, non voglio che tu lo veda. Non è una bella cosa.»
Ichigo sorrise a fatica e lasciò il locale. Avrebbe voluto restare e cercare un modo per confortarlo, per incoraggiarlo... ma comprendeva che aveva solo bisogno dei suoi spazi per elaborare, perché oltre la chiusura ormai imminente dell'Espada quell'uomo aveva altre cose da assimilare. Nel giro di due settimane aveva chiuso un conto col passato, riscoperto le possibilità del suo presente e, plausibilmente, perso un amore che non era riuscito a concretizzare. Per Ichigo, l'idea di doversene andare subito dopo gli esami era deprimente. Dubitava che, quale che fossero i suoi voti finali, sarebbe riuscito a godersi le vacanze sapendo di lasciare l'Espada affondare con il suo fiero capitano al timone fino all'ultimo giorno.

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Capitolo 12
*** Una volta ancora ***



La famiglia Kurosaki scoprì che Ichigo durante quell'unico trimestre lontano da casa era molto cambiato, e per quante domande gli ponessero le sorelline il fratello maggiore diede soltanto risposte evasive, dando la colpa del suo umore sottotono alla mancata partecipazione al torneo sportivo che era finito con una tragica disfatta della sua classe in quasi tutti gli eventi.
Come Ichigo aveva preventivato le sue vacanze non furono molto rilassanti, e ci rimuginò sopra mentre il treno lo riportava a scuola per il trimestre autunnale. Non aveva avuto modo di passare a vedere l'Espada prima di partire per casa a causa di un vistoso ritardo nella preparazione delle valigie, e non aveva ricevuto nessuna chiamata da Grimmjow per tutto il tempo.
Era molto preoccupato, perché si sarebbe aspettato una telefonata che gli dicesse qual era stato il destino del locale e del suo barista e in cuor suo Ichigo poteva solo pensare che se non riceveva chiamate era perché non c'erano più clienti a prestargli un cellulare; tuttavia altri dubbi si annidavano nella sua mente: Grimmjow una volta perso il suo posto speciale era partito per costruire una nuova vita in un nuovo luogo? Gli era forse successo qualcosa? E non ultima delle sue congetture, aveva magari trovato un altro uomo, uno più vicino alla sua età, uno che sapeva che cosa voleva, uno che gli aveva tolto del tutto dalla mente quel problematico studente? Poteva essere questo il motivo per cui non lo aveva più chiamato?
Tormentato da quei dubbi che battevano nella testa come tamburi tribali man mano che si avvicinava l'orario d'arrivo Ichigo non riusciva assolutamente a leggere il manuale che si era portato per il viaggio, e lo chiuse in una muta resa. Poteva solo aspettare, aspettare e poi vedere con i suoi occhi che cosa stava succedendo. Aveva forse il divieto ancora attivo di uscire dalla scuola, ma non potevano impedirgli di andare dove volesse prima di varcare la porta del dormitorio. Infilò le cuffie, accese la musica e fece del suo meglio per placare la tempesta dentro di lui.
Quando arrivò ignorò gli altri ragazzi della scuola, sebbene qualcuno lo conoscesse. Scandagliò la stazione e la strada dirimpetto, cercando una macchia di capelli azzurri o una vecchia Honda blu, ma non la trovò. Non seppe dire nemmeno lui se ciò gli desse conforto o meno: poteva voler dire che era al lavoro, ma anche che non gli importava che lui fosse di ritorno, o addirittura che non fosse neanche in città. Si avviò con la sua valigia al seguito che produceva un rumore molesto a causa della rotellina difettosa, ma non si sarebbe certo fermato per questo futile motivo. Doveva andare al bar, anche se doveva fare un bel tratto di strada venendo dalla stazione. Si fermò solo al momento di attraversare la carreggiata, poi vide un'auto nera accostare vicino a lui mentre il finestrino posteriore si abbassava.
«Kurosaki, sei già qui?»
«Ishida!»
«Dove stai andando?»
«Possibile che tu sappia farmi solo questa domanda?» chiese Ichigo, per metà divertito e metà irritato.
«Vai a vedere il bar?»
«Io... sì, in effetti.» ammise lui. «Potresti farmi un favore, Ishida?»
«Certo. Sali.»
Ichigo sorrise e salì così in fretta che l'autista di Ishida non ebbe tempo materiale per accostare l'auto e scendere a caricare la valigia dell'ospite nel bagagliaio, che venne invece infilata alla bell'e meglio tra Ichigo e il suo compagno di scuola. Solo quando Ishida disse all'uomo alla guida che andava bene così quello si decise a ripartire. Era una fortuna insperata, era molto più libero di muoversi senza i bagagli dietro e si risparmiava il tratto più lungo di strada. Sciocco era stato a non controllare gli orari della navetta che la scuola metteva a disposizione degli studenti che arrivavano via treno, si era solo preoccupato di arrivare presto per avere il tempo di andare al locale. Gli parve di impiegare un'eternità ad arrivare alla scuola, ma finalmente giunsero e la macchina accostò fuori dal cancello.
«Grazie, Ishida, lascio la mia roba nelle tue mani!» disse sgusciando fuori dall'auto. «Tornerò prima che arrivi Chado oggi pomeriggio!»
«Ti conviene, o manderò lui a riprenderti.» commentò lui.
Ichigo, sistemandosi la borsa a tracolla, corse via prima che qualcuno a scuola potesse notarlo: non pensava che avrebbero fatto storie su dove era stato prima di rientrare per il secondo trimestre, ma preferiva non correre alcun rischio. Attraversò con il semaforo lampeggiante per i pedoni e si fermò solo sull'altro lato della strada. Dette un'occhiata a Ishida che stava entrando con l'autista al seguito con i bagagli, e poi proseguì per la sua destinazione finale. Camminava il più svelto che potesse senza mettersi a correre, tanta era l'impazienza. In quel momento gli fu chiaro che nonostante le parole tragiche dell'ultimo incontro e il lungo silenzio di Grimmjow lui sperava ancora di trovare le luci accese, gente al tavolo da biliardo e il barista dietro il vecchio bancone...
Fu un duro colpo quando arrivò e trovò la serranda abbassata con due cartelli appiccicati sopra con dosi generose di nastro adesivo marrone. Scese i gradini mestamente e poté leggere che sul primo cartello, il più piccolo, era scritto con inchiostro nero "cessata attività", sul secondo in rosso si offriva in affitto il locale. Vedere la vecchia insegna rovinata avvolta in strati di plastica nera e legata era sconvolgente, era come assistere alla veglia funebre di un amico. Dopotutto Grimmjow aveva avuto ragione: la situazione era troppo disperata, il loro bar non era riuscito a sopravvivere fino al suo ritorno...
Ma Grimmjow allora dov'era finito? Come mai quel lungo silenzio? Possibile che non avesse trovato nessuno disposto a lasciargli mandare un'e-mail o fare una telefonata in così tanto tempo? Avrebbe almeno voluto essergli vicino in quella circostanza...
Risalì i gradini con un gran senso di smarrimento e si guardò intorno. Avrebbe voluto andare a casa sua, per scoprire se c'era ancora, almeno; ma a piedi era una scarpinata fino a quella palazzina...
Era comunque la sola opzione che aveva, per cui si incamminò in quella direzione. Arrivò all'angolo di strada più avanti quando vide qualcosa che gli diede un'idea: c'era una gelateria rinomata tra i ragazzi per le ottime offerte per gruppi di studenti e il suo logo era un cono gelato azzurro; fu quella vista a illuminarlo. Tornò immediatamente indietro camminando rapidamente, superò di nuovo la serranda chiusa del bar e puntò verso il negozio all'angolo che aveva già superato. Grimmjow aveva raccontato che era il proprietario del Sapphire, il salone di lusso, a procurargli la tinta azzurra per i capelli a un prezzo di costo, quindi se l'ex barista dell'Espada era ancora in circolazione lì qualcuno doveva pur saperlo. Almeno poteva sapere se era in città, e forse avrebbe potuto lasciargli detto che era tornato e di chiamarlo non appena ne aveva l'occasione.
Era una buona idea, quindi entrò senza esitazione nel salone. Era gremito di clienti, tutte le sedie erano occupate e una mezza dozzina di donne alzarono gli occhi da cellulari e riviste per guardarlo sorprese.
«Ehm... salve.» disse lui, impacciato. 
Una giovane donna arrivò dalle retrovie del banco che ospitava computer e ben due telefoni fissi, con alcune tazze di tè e un caffè che offrì alle clienti in attesa. Ichigo valutò che dovesse essere la segretaria, la cassiera, o qualunque fosse la qualifica delle persone che stavano sempre accanto all'ingresso di saloni di bellezza, parrucchieri e simili esercizi. Aveva anche una camicia blu zaffiro, come le magliette di tutti i parrucchieri che si affaccendavano agli specchi.
«Chiedo scusa... io... vorrei parlare con il padrone, se è possibile.»
«Riceviamo solo su appuntamento, vuoi fissarne uno?»
«Non è... devo solo parlargli.»
«Ed è urgente? Siamo molto pieni.»
«La prego, gli ruberò solo un paio di minuti, o anche meno.»
«Oh, beh, se è così... è laggiù, è l'unico con la camicia, non puoi sbagliare.»
«Grazie!»
Ichigo si avventurò al di là della zona di attesa. Nel locale c'erano strani odori e ronzii persistenti di phon in sottofondo. Addocchiò subito il proprietario, che stava controllando un giovane in maglietta blu che, dal basso dell'inesperienza di Ichigo, stava stendendo una tinta per capelli o qualcosa del genere. L'uomo notò subito lo studente dall'aria confusa e gli sorrise.
«Buongiorno, posso fare qualcosa per te?»
«Ecco, io vorrei solo chiederle una cosa, velocemente... l'uomo che comprava quella tinta azzurra per i capelli nel suo salone, è...?»
«Oh, ma certo! Jay, questo ragazzo sta cercando te!»
Ichigo voltò la testa nella stessa direzione in cui si allontanò il capo. Lo vide avvicinarsi a un uomo molto familiare, toccare la sua spalla dicendogli qualcosa, e l'uomo si voltò. Non c'era il minimo dubbio che quello fosse Grimmjow: i suoi capelli azzurri erano sempre gli stessi, la sua pettinatura era impeccabilmente estrema, ancora più di prima. Non appena lo vide gli sorrise e gli fece cenno di avvicinarsi, cosa che Ichigo fece subito.
«Ciao, Latte senza ghiaccio.» lo salutò.
«Ma cosa fai tu qui?!»
«Ci lavoro, no?»
Grimmjow accennò alla divisa blu che indossava, poi disse qualcosa al suo capo che venne coperto dall'accensione di un phon del collega accanto. Gli fece poi di nuovo lo stesso segno per farsi seguire sul retro del salone.
«Prenditi tutto il tempo che vuoi, tesoro!» gli disse il capo, poi guardò Ichigo con uno strano sorriso.
Perplesso scosse appena la testa e seguì Grimmjow oltre una porta. Superarono una stanza zeppa fino al soffitto di flaconi e scatole di coloranti per raggiungere una piccola saletta riempita da alcuni armadietti con i lucchetti, un tavolo e delle sedie. Grimmjow andò all'angolo dove c'era una caffettiera e ne versò il contenuto in un bicchiere di carta.
«Ne vuoi?»
«No, io... da quanto tempo sei qui?»
«Da quando ha chiuso il bar, in luglio... abbiamo chiuso prima ancora che finissi la scuola, quando l'impianto elettrico ha finito di friggersi... scusami se non te l'ho detto, ero un po' depresso e non volevo che mi vedessi così prima di andare a casa.»
«È stato un brutto colpo vederlo così abbandonato.» ammise Ichigo.
«Ma mi hai trovato lo stesso.»
«Beh, mi hai detto che venivi a comprare qui la tinta... ho pensato che se non avevi lasciato la città il tuo vecchio capo lo sapeva.»
«Ahh, ecco perché...» commentò lui e bevve un sorso. «Scusami se non sono venuto a prenderti... pensavo saresti arrivato nel pomeriggio e volevo darti un passaggio a scuola... insomma, per salutarti, e dirti del bar.»
«Non fa niente... sono... arrivato prima proprio per passarci.»
«Allora scusami di averti tenuto in sospeso fino adesso.»
«Dovevi dirmelo, Grimmjow... non mi importa del viaggio a vuoto, né dell'essere in sospeso... solo, abbiamo condiviso l'ultimo periodo dell'Espada, e avrei voluto condividere anche il momento della sua chiusura.»
«A cosa sarebbe servito essere depressi in due?»
«Parlare delle cose ti fa bene. Dovresti averlo capito ormai.»
«Non mi andava davvero di farlo... ho sperato fino all'ultimo che Aizen ci ripensasse e decidesse di riaprirlo, che potessi aspettarti oggi dietro il mio bancone decrepito. Non è successo e mi dispiace che tu debba vedermi in blu. Mi piace lavorare qui, ma siamo onesti, questo colore su di me sta una merda
Ichigo non poté non lasciarsi sfuggire una risata, perché in effetti quel tono di blu dava alla sua carnagione uno strano colorito, ma poi gli venne in mente qualcos'altro correlato a ciò.
«Grimmjow, ora che ci penso... non ho visto la tua macchina qui intorno.»
«Ah, la mia vecchia Honda? Non ce l'ho più, l'ho venduta.»
«Ma dici sul serio? Non lo avrai mica fatto per cercare di tenere aperto il locale?!»
«No, non sono mica pazzo, come avrei fatto? Quel catorcio non bastava neanche per riparare l'impianto elettrico... non che non ci avessi pensato, comunque.» ribatté Grimmjow secco. «No, beh, ho dato un taglio con la vecchia vita, diciamo. Via la Honda, via il garage. Ho una casa vera, adesso.»
«Co... davvero? Qui vicino?»
«Qui sopra. Sto in affitto in uno degli appartamenti sopra il salone, il capo mi fa un buon prezzo e riesco a risparmiare parecchio sullo stipendio... stavolta quando resterai avrò anche uova e bacon per la colazione.»
Ichigo rimase sorpreso. In parte per quel cambiamento netto di vita, ma soprattutto perché non capiva per quale motivo dovesse pernottare a casa sua ora che non faceva più i turni serali nel suo stesso bar. Non era un commento fatto a caso, non poteva ingannarsi; non dopo lo sguardo intenso che gli lanciò.
«Dovresti proprio chiedere al tuo preside se puoi lavorare nel week end.»
«Ma... il bar è chiuso... non ho nessuna intenzione di mettermi a tagliare capelli!»
«Vero, ma in base ai nostri calcoli a marzo apriremo il nuovo...»
«Il... nuovo? Un nuovo bar?» domandò Ichigo, confuso. «Un... i nostri calcoli? Tuoi e di chi?»
«È gelosia quella che sento?»
«Non... che dici, sii serio, per favore! Di chi?»
Il sorrisetto malizioso di Grimmjow non gli era mai piaciuto così tanto.
«Miei e di Aizen, adesso siamo soci... abbiamo preso un posto un po' più grande, giù vicino a quella grande libreria con le vetrate serigrafate, hai presente?»
Grimmjow si lanciò in una spiegazione entusiastica dei loro piani, sulla disposizione del bancone, dei tavoli e del biliardo che sarebbe stata uguale a quella dell'Espada, sull'arredamento del quale disse solo che riprendeva la sua idea di usare accenti di azzurro fluo, e tutte le sue avversioni contro i locali moderni e alla moda sembravano ormai dimenticate. Ichigo riusciva a rendersene conto a malapena: Grimmjow sarebbe di nuovo stato un barista, e lui poteva di nuovo vederlo non appena fosse arrivata la primavera... forse, con una lettera di suo padre e buoni voti finali, sarebbe anche riuscito a ottenere il permesso di lavorarci.
«Sarà perfetto questa volta, Ichigo! Devi avere quel permesso, dobbiamo di nuovo lavorare insieme! Fosse anche solo per il tempo in cui farai il liceo, ma dobbiamo, non può finire così!»
Ichigo lo guardò dritto negli occhi e si lasciò contagiare dal suo entusiasmo. D'un tratto qualsiasi dubbio scomparve. Ottenere quel permesso non solo era possibile, sicuramente sarebbe stato anche facile una volta collezionati voti massimi anche nel secondo e nel terzo trimestre. Sorrise e annuì, aprendo la borsa di scuola che portava a tracolla.
«Non mi sono mai arreso, Grimmjow.»
Sfilò il manuale di bartending che si era portato dietro e lo mostrò a Grimmjow, che lo prese e lo guardò stralunato.
«Ah, se ti può interessare, ho comprato un altro evidenziatore azzurro.»
«Non era quello che odiavi di più?»
Ichigo si avvicinò più di quanto fosse necessario per riprendere il suo libro, senza smettere di sorridere.
«Tu ci hai creduto?»
«...Sei un piccolo bastardo convincente.»
«Lo so.»
«Ma fissarsi coi colori preferiti delle rock star è una cosa da ragazzine.»
«Non lo faccio certo per questo.» replicò Ichigo, glissando sul fatto che si fosse autoproclamato rock star. «Lo uso per studiare, mi ricorda perché mi devo impegnare così tanto.»
Grimmjow non disse niente e continuò a fissarlo negli occhi mentre si avvicinava ancora e posava la fronte contro la sua. Ichigo faticò a reggere l'intensità del suo sguardo da tanto vicino. Erano ancora più vicini di quell'ultimo giorno in cui per pochissimo lui non l'aveva baciato.
«È la cosa più romantica che mi abbiano mai detto.»
«Stai messo maluccio, Grimm.»
«Non così male, dopotutto.»
Il bacio che Grimmjow gli diede subito dopo non era affatto irruento, travolgente o impetuoso come ci si sarebbe potuto aspettare da un ormai ventisettenne con quell'aspetto selvaggio, fu invece molto delicato. Fu l'idea che potesse essere stato ispirato da qualcosa di non ormonale che mise a Ichigo un vago imbarazzo, ma la sensazione che gli rimase in corpo quando le labbra si separarono era piacevole.
«Ora devo veramente tornare al lavoro.»
«E io devo tornare a scuola...»
«Kurosaki...»
«Cosa?»
Grimmjow sembrò sul punto di dire qualcosa, ma poi scosse la testa sorridendo.
«Fammi sapere se per caso il preside si è un po' ammorbidito... può darsi che ora che non c'è più il nostro bar e i tuoi voti sono migliori ti lasci uscire...»
«Se mi rivedi qui domani o il giorno dopo, vuol dire che posso di nuovo uscire.»
«Spero di sì... vorrei portarti a vedere il locale, e farti vedere i disegni di come dovrebbe venire il Light Blue.»
«Il...?»
«Light Blue... è il nome che ho deciso.»
Ichigo non riuscì a trattenersi e scoppiò in una risata. Da una parte era assurdo quanto i gusti di Grimmjow si fossero modernizzati, ma ne era felice, sarebbe venuta gente di tutte le età in un locale più al passo coi tempi e ben tenuto.
Grimmjow lo riaccompagnò al salone e lo salutò frettolosamente prima di andare a dedicarsi a una cliente con un atteggiamento fin troppo servile per un uomo del suo stampo. Ichigo venne salutato con maggiore calore dal capo di Grimmjow che l'invitò a tornare quando voleva per dei trattamenti che non aveva nemmeno idea di cosa fossero, e alla fine riuscì a riemergere sul marciapiede. 
«Light Blue.» ripeté a mezzavoce.
Più ci pensava più gli piaceva. L'entusiasmo lo pervadeva, dopo la doccia gelata del vecchio Espada chiuso e abbandonato, vedeva davanti a sé un mare infinito di possibilità, e ancora una volta si chiese se fare il barista gli piacesse abbastanza da farlo per il resto della vita. Poteva avere un'altra occasione per scoprirlo.
Non vedeva l'ora che arrivasse marzo.





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