MicroBoy- Un amore all'altezza

di Hap Collins
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Barbara ***
Capitolo 2: *** 2 - Grilli in gabbia ***
Capitolo 3: *** Stringimi forte ***
Capitolo 4: *** Ely ***
Capitolo 5: *** Il Mostro ***
Capitolo 6: *** A casa di Ely ***
Capitolo 7: *** Marti ***
Capitolo 8: *** Laura ***
Capitolo 9: *** Amore e pedali ***



Capitolo 1
*** 1. Barbara ***


Suonò la campanella dell'intervallo, uscirono tutti dall'aula tranne Marco, che si alzò dalla minuscola sedia giocattolo e passeggiò per il banco. Scendere da lì senza l'aiuto di qualcuno sarebbe stato un bel problema. Quel maledetto virus lo aveva ridotto a 15 centimetri di altezza e per l'antidoto avrebbe dovuto aspettare mesi. Intanto proseguiva la scuola, e anche essere l'unico maschio della classe a volte ingigantiva i problemi.
- Ehi microbo cosa fai lì da solo? Veronica ammiccò dalla porta. L'ultima persona che avrebbe voluto vedere.
- La tua badante è fuori servizio?
- Non è la mia badante. Scema.
Lei sorrise dispettosa andandogli incontro. Si sedette davanti a lui buttando le braccia sul tavolo che vibrò sotto i piedi di Marco. Non gli piaceva Veronica, era sempre stata una bulletta col vizio di punzecchiare, ma ora con la sua statura era diventata una minaccia seria. Il suo viso lo sovrastava e i suoi occhi erano puntati su di lui, in attesa di qualunque giochetto le passasse per la testa.
- Perchè mi guardi così male? Rise. - Non siamo amici?
- Ma per favore! Sbuffò.
- Certo che siamo amici, microbo. Ti conosco da quando eri più alto di me, ah ah.
Appoggiò il mento al braccio steso sul tavolo e fece un'espressione dispiaciuta, che Marco non aveva intenzione di bersi. Il suo viso era a pochi centimetri da lui, carina, ma troppo aggressiva. La conosceva dalle medie, era stato il suo primo bacio.
Ora si sistemava i capelli dietro l'orecchio, e i suoi occhi brillavano. Allungò la mano e lo raccolse tra indice e pollice sollevandolo in aria. Stringeva troppo.
- Sai che facciamo microbo? Una bella passeggiata per terra così fai un po' di moto e smaltisci l'acido. Lo posò sul pavimento in fondo all'aula e corse fuori ridendo.
Trovarsi a terra era la cosa più stressante. Nel giro di poco le sue compagne sarebbero rientrate per la fine dell'intervallo, vociando e scalpitando come una mandria di bufali. Si incamminò sconsolato tra sedie e banchi alti come condomini, preparandosi a gridare e sbracciarsi chiedendo di fare attenzione.
Nel silenzio sentì il passo sicuro di un paio di stivaletti, era Barbara, la sua crush segreta. Stava camminando lungo la fila di banchi masticando una gomma con aria annoiata. Marco la chiamò a gran voce. -Ti ho visto, mormorò lei indifferente.
Era bellissima con quei lunghi capelli neri sciolti sulle spalle, sempre elegante e un po' distaccata. Marco cercò di riprendere un po' di contegno, forzandosi di non dare a vedere che la stava ammirando. Lei guardava in alto come sempre. Continuò ad avvicinarsi con lo stesso passo sicuro, finché Marco vide la punta del suo stivaletto incredibilmente vicina. Ebbe un brivido, bastava un solo passo per diventare una frittata sotto la suola. Barbara deviò la traiettoria all'ultimo momento, come per evitare di schiacciare un insetto. E lo stivale scese con un tonfo sordo di fianco a lui, riprendendo la sua marcia.
Era rimasto scosso, ma decise di farsi coraggio - Mi riporteresti al mio banco per favore? Lei si voltò restando un momento in silenzio. - Sì, certo. Sembrava sorpresa dalla richiesta. Si chinò a studiarlo, poi fece scendere la mano aperta a mo' di ascensore. Marco camminò su quelle dita morbide e inciampò per l'emozione cadendole nel palmo.
- Tutto bene? Chiese Barbara sollevando la mano all'altezza degli occhi.
Marco era disteso sul palmo come sopra un morbido materasso, la faccia sprofondata in un soffice lembo di pelle che ebbe l'istinto di baciare, ma si bloccò appena in tempo.
- Mh sì, benissimo. Si rese conto che il tono era troppo ambiguo dal lampo negli occhi di Barbara,
che chiuse le dita su di lui. Rimase avvolto in un abbraccio fermo e rude. Era il contatto più intimo che avesse mai avuto con lei, ci sarebbe stato tutto il giorno in quella mano. Ma Barbara eseguì velocemente la richiesta e lo depose al suo posto.
Martina si affacciò sulla porta e seguì la scena perplessa. - È successo qualcosa?
- Quella scema di Veronica mi ha messo giù ed è scappata. Rispose lui. - Che stronza. Scusa se ti ho lasciato solo, ma dovevo proprio scappare in bagno. Martina continuava fissare con la coda dell'occhio Barbara, che si era riaccomodata al suo posto senza dire nulla. Non le piaceva, e nemmeno la faccia estasiata di Marco le piaceva. Finite le lezioni mise Marco nel taschino dello zaino, ad una altezza decente per parlarci, e si diresse verso casa.
- Ho visto come la guardavi. Sbottò improvvisamente lungo il percorso.
Marco si finse sorpreso - Chi?
- Indovina. Parlo di Miss Gelo Invernale!
- Mi ha aiutato, rispose lui. Marti spostò un ciuffo biondo e sistemò gli occhiali. -Ti guardava come uno strano animale da riporre nella gabbietta.
- Non sono affari tuoi.
- Sono tua amica, non mi piace vederti fare il pesce lesso nelle mani di una persona così problematica e pericolosa.
- Eh? Neanche fosse Hannibal Lecter!
- Forse è anche peggio. Girano strane voci, e a me dà i brividi.
- Ma che razza di discorsi. Marco fece un gesto di stizza e smise di parlare per il resto del tragitto. Marti lo riportò a casa come ogni giorno. Salutò i genitori, entrò in camera e lo depose sulla scrivania. C'erano un letto, un armadio e dei vestiti fatti su misura per lui da marchi interessati al clamore suscitato dal caso. Poteva permettersi scarpe e giacconi che normalmente sarebbero stati fuori budget, ma la cosa non lo esaltava molto.
Marti iniziò a massaggiargli la schiena con l'indice per farsi perdonare.
- Scusa ma sono un po' stanco, preferirei restare da solo.
Lei sollevò l'indice un po' delusa - Ma ci vediamo dopo per studiare?
- Non lo so. Adesso se non ti dispiace mi dovrei cambiare, o vuoi aiutarmi a fare pure quello?
Martina arrossì e se andò. Marco si rese conto di aver esagerato, ma pensò di scusarsi più tardi. Era effettivamente stanco e si distese sul letto. C'era una cosa che non aveva detto a Marti. Gli era stata assegnata la ricerca in coppia con Barbara. E non avrebbe certo chiesto il cambio. Chiuse gli occhi.
Era di nuovo stretto nella mano di Barbara. Ma invece che sul banco lo stava rimettendo a terra. Rivide la punta dello stivaletto, poi guardò su,   Barbara sorrideva. Il sorriso si trasformò in un'espressione schifata e alzò lo stivale. Sotto la suola c'era una macchia scura. La suola scese sopra di lui e la macchia  diventò sempre più grande.
Picchiò leggermente contro la testiera del letto e si svegliò imprecando.

 

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Capitolo 2
*** 2 - Grilli in gabbia ***


Squillò il telefono, Marco saltò sul tasto rispondi del touch screen, ormai era diventato abile nel ballare sullo smartphone componendo messaggi. Barbara. Per la ricerca pretendeva che fosse lui ad andare a casa sua. E come ci arrivo? Pensò. I genitori erano fuori e Marti, uhm a Marti non aveva ancora detto niente, ma difficilmente sarebbe stata contenta di andare a casa di Barbara.

- Potresti venirmi a prendere? Barbara non sembrava molto felice, ma accettò. Di lì a mezz'ora se la ritrovò in camera. Si guardava intorno con aria perplessa e un po' schifata, come se stesse visitando un tugurio, ma evitò di fare commenti sull'arredamento. - Ti posso offrire qualcosa? - No, grazie. A posto così, disse sedendosi sul letto. Teneva le gambe accavallate e fissava la stanza delle bambole allestita sul tavolo. Le mani sulle ginocchia, curatissime, e le unghie smaltate di bianco. - Ho dovuto prendere i mezzi perché la macchina serviva a mio padre. Frugò nella borsa tirando fuori uno strano oggetto che posò sulla scrivania. Era una gabbietta per grilli disse, veniva dalla Cina. Marco diventò viola, e ricordò le parole di Marti riguardo allo strano animale da mettere in gabbia.

Barbara notò l'imbarazzo e si giustificò dicendo che in borsa senza gabbia sarebbe finito sballottato tra trucchi e documenti, e non poteva certo tenerlo in pugno sull'autobus. Aveva fretta e Marco accettò di entrare nella gabbietta che lei posò nella borsa uscendo velocemente di casa. Il viaggio sull'autobus sembrò interminabile, stava seduto in fondo alla gabbia al buio e per fortuna Barbara aveva lasciato la zip aperta ed entrava un po' d'aria.

Finalmente rivide la luce del giorno. Gli occhioni di Barbara lo guardavano tra le sbarre e ogni nervosismo se andò pensando a quanto era bella. - Siamo quasi arrivati, ti porto nella gabbia perché mi va bene l'anello sopra per tenerti, però sei all'aria aperta, ok?

Barbara proseguì dondolando la gabbietta appesa al dito. Marco si rassegnò alla giostra a dondolo mentre guardava il quartiere in cui si trovava. Ville signorili e vialetti puliti. Procedevano in silenzio senza parlare, era una bella giornata e un leggero vento spazzava le foglie sul selciato. Un suono caratteristico, il frinire di un grillo. Ci mancava anche questo pensò Marco, ora lo mette insieme a me nella gabbietta.

Il grillo era uscito dall'erba e stava sul vialetto, a Marco venne in mente sé stesso a terra tra due file di banchi, poi qualcuno ti raccoglie e ti ingabbia. Barbara procedeva con la solita sicurezza guardando avanti, il grillo continuava a cantare. Un paio di passi e Marco attese l'improvvisa deviazione di traiettoria che stavolta non ci fu. l'insetto finì sotto la suola con uno sgradevole scratch e la scarpa proseguì il suo cammino come niente fosse.

Ebbe un brivido, forse non l'aveva visto. - C'era un grillo... - L'ho visto, rispose lei laconica. La gabbietta dondolò per un fruscio di vento. - I grilli piacciono a mio padre.

La casa di Barbara era un elegante villa di tre piani con stanze ampie e arredamenti di pregio. Sembrava disabitata - Mio padre non c'è quasi mai, disse salendo le scale. Arrivati in camera depositò la gabbietta sul letto e fece con comodo. Marco si rese conto che dall'interno non poteva aprire, si sedette sul fondo a guardare la sua compagna che si sistemava, apriva l'armadio prendendo i pantaloni di una tuta e tranquillamente sfilava i jeans troneggiando davanti a lui. La vista di gambe perfette e mutandine giganti gli diede un misto di eccitazione e fastidio, era sempre così distante e irreprensibile e ora lo stava trattando senza cerimonie, svestendosi davanti a lui come non contasse nulla. Barbara si fermò un momento cercando di capire cosa avesse dimenticato, quindi si voltò verso la gabbietta sul letto. - Scusa, non avevo fatto caso a te.
A Marco sembrò peggiorare le cose, ma disse che non c'era problema, tanto aveva capito che non sarebbe uscito dalla gabbia facilmente. Dopo qualche minuto finalmente si accomodò sul letto con gli appunti e aprì la gabbietta. Stava seduta a gambe incrociate davanti a lui e parlava velocemente del lavoro da fare, Marco non seguiva, la guardava e pensava all'immagine di poco prima. - Cosa ne pensi? Disse improvvisamente. - Io...eh.
- Tu non mi stavi ascoltando. La sua espressione era severa.
- Andiamo alla scrivania, forse ti concentri meglio. Si alzò sbrigativa sistemando i fogli. Marco vide la sua mano scendere veloce verso di lui afferrandolo nel pugno, una stretta che non ammetteva repliche. Capì che era meglio impegnarsi sul lavoro.
Seduto su una scatola di trucchi si mise d'impegno a seguirla, ma le sue labbra lo ipnotizzavano, sarebbe rimasto volentieri a fissarla tutto il giorno mentre parlava, era perfetta. Lei con i gomiti sul tavolo leggeva i suoi appunti e saettava lo sguardo su di lui, finché le labbra si incresparono in una smorfia di disappunto. Smise di parlare, prese la bottiglietta d'acqua dietro Marco e gliela versò sopra. - Così ti svegli.

Marco si ritrovo completamente inzuppato come fosse stato sotto una cascata. La guardò sconvolto. Lei per la prima volta diede segni di imbarazzo, quello che poteva sembrare uno scherzo innocente non lo era.
- Oddio scusa! Non pensavo, devi...devi asciugarti? Marco si era davvero svegliato e quelle labbra non sembravano più così interessanti, anche questo improvviso lampo di insicurezza l'aveva resa meno affascinate, oltre al fatto che si ritrovava bagnato come un pulcino senza la possibilità di cambiare i vestiti fradici. Barbara corse in bagno a prendere degli asciugamani, tornò in camera e realizzò che sarebbe stato più complicato del previsto, un asciugamano era grande come una tenda da circo per lui. Si mise ad asciugare il tavolo guardandolo preoccupata. - Devi cambiarti.
Marco la guardò perplesso - Portami a casa e mi cambio. - No, devi cambiarti prima. E dobbiamo asciugare i vestiti. Sembrava molto ansiosa per l'eventuale figuraccia di ripresentarsi ai genitori col figlio inzuppato come un biscotto. - Svestiti, ti aiuto ad asciugarti.
Marco titubante prese a togliersi scarpe e maglia sotto lo sguardo indagatore della compagna. - Magari le mutande puoi tenerle, aggiunse lei.
Quindi si ritrovò seminudo di fronte a Barbara, che goffamente prese a toccarlo con la punta di un asciugamano strofinando le gambe e poi la schiena. Il contatto era ruvido, le chiese di fare più piano. Lei riprese sicurezza, lo mise sul palmo della mano strofinando con attenzione, muovendolo come fosse una bambola. Marco sentiva l'indice strofinargli il petto con la punta dell'asciugamano, poi ridiscendere a prendergli le gambe fino ai piedi asciugati con precisione tra due dita. Aveva lo sguardo assorto come si fosse dimenticata di tutto il resto.
Marco avvertì un senso di calore invadere tutto il corpo, e notò che gli occhi di lei si erano fermati in un punto. Alzò la testa, si notava l'erezione anche se nascosta dalle mutande.
Rimasero in silenzio per un attimo interminabile, poi Barbara lo posò di nuovo sulla scrivania. Aveva di nuovo l'aria di chi guarda un piccolo animale. Probabilmente un grillo.

 

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Capitolo 3
*** Stringimi forte ***


Marco si ritrovò disteso gambe all'aria sul tavolo mentre la sua compagna di classe lo fissava con una smorfia. Aveva ancora l'erezione ben visibile sotto le mutande. L'imbarazzo era massimo e si accompagnava all'inquietudine. Non conosceva davvero Barbara, anzi la conosceva come un po' pericolosa, specie negli ultimi sviluppi.
Lei riportò l'attenzione al mucchietto di vestiti fradici - Provo ad asciugarli sul termosifone, disse - Ma devi darmi tutto.
- Che cos? Marco pensò di non aver capito bene.
- Non ho nessuna intenzione di guardare, ma devi lasciami tutti i vestiti! Lo incalzò. Aveva ripreso il suo fare freddo e se ne andò senza dire altro.
l'eccitazione era sparita lasciando spazio a un'estrema vulnerabilità. La camera era enorme e silenziosa, si sentì sperduto. Non voglio guardare aveva detto. Ok, ma come avrebbe dovuto coprirsi? Decise che era meglio non contrariarla, quindi sfilò le mutande e le mise nel mucchio. Rimase nudo come un bruco pensando in quale modo la situazione avrebbe potuto peggiorare ulteriormente.

La vide rientrare dopo qualche minuto e istintivamente mise le mani in mezzo alle gambe per coprirsi. A lei sfuggì per la prima volta un sorriso. Teneva qualcosa tra le mani, un guanto di lana con le dita mozze, lo posò sulla scrivania - Prova a vedere come ti sta. Raccolse il mucchietto di biancheria e lo portò con sé. Marco si avvicinò al guanto cercando di capire come indossarlo. Le dita mozze potevano fare da pantaloncini, infilò le gambe in due dei buchi e si trovò infagottato senza riuscire a proseguire oltre, ma almeno era coperto. Barbara si affacciò alla porta e guardandolo rise di nuovo - Ti aiuto, disse. Sollevò delicatamente le estremità del guanto e lo portò fino all'altezza delle ascelle.
- Ti sta proprio bene, se vuoi te lo regalo. Sorrisero insieme. Marco si riaccomodò sulla scatola di trucchi con quegli strani mutandoni ascellari.
Lei lo accarezzò sulla testa con la punta dell'indice
- Come sei buffo. Sorrise.
- Grazie, lo prendo come un complimento.
- Certo che è un complimento! Scese con l'indice al petto spingendolo indietro. Marco prese il dito fra le mani fingendo un po' di resistenza.
- Ok, sono buffo. Barbara appoggiò la testa su una mano e lo guardò compiaciuta.
- Sei arrabbiato con me?
- Ma figurati. Tentò di aggiungere qualcosa ma non era troppo convinto. Lo aveva innaffiato ed era stato sgradevole, ma restava così carina con quei lineamenti delicati e lo sguardo magnetico.
- Quello che è successo rimane tra noi, vero? Marco rispose con un sì convinto, ovvio.
- Martina è contenta se facciamo questo lavoro insieme?
Restò di stucco. - Non gliel'ho ancora detto, e non devo certo farle rapporto. Disse un po' seccato. Barbara rimase un attimo in silenzio e alzò un sopracciglio - Credo di non starle molto simpatica.
- Perché non ti conosce.
Lei sorrise di nuovo. - A te sembro simpatica? Mi sa che ti ho fatto penare oggi.
- Diciamo che non è stato sempre rilassante.
- Devo abituarmi, di solito i ragazzi sono più grandi di me. Rise.

Qualcuno stava salendo le scale, la vide mettersi in allerta, poi si ritrovò nel suo pugno trascinato lungo scrivania fino all'orlo. La porta si aprì e vide una giovane bionda piuttosto appariscente che poteva avere qualche anno più di loro. Fu trascinato in basso sotto la scrivania e si ritrovò stretto tra le gambe di Barbara.
- Cosa stai facendo? La voce squillante della bionda.
- Studio. E sarebbe il caso di bussare prima di entrare.
- Quanto sei permalosa. Volevo mostrarti le scarpe che mi ha appena comprato Bibi, non sono stupende?
Marco sentì la stretta aumentare.
- Potresti chiamare mio padre con un nome meno ridicolo?
- Nervosa oggi, ma che cos'hai lì?
Marco vide una mano arrivargli addosso come un treno spingendolo indietro fino a schiacciarlo sull'inguine. Poi la maglia si spostò a coprirlo.
- Niente, mi stavo sistemando e tu entri all'improvviso!
- Ti piacciono allora?  Meglio se non ti dico quanto sono costate!
Le cosce si strinsero ancora, Marco era completamente schiacciato all'inguine. Iniziò ad avvertire il tepore umido e piacevole della pelle di lei sotto il tessuto. Gli girò un po' la testa, e si abbandonò a quella superfice calda a cui aderiva perfettamente sentendo salire una sorta di ebrezza.
- Stupende le scarpe. Ancora meglio se te ne vai insieme a loro.
Il duello verbale continuava.
- La solita viziata acida, uno di questi giorni ti insegno un po' di buone maniere.
Barbara non rispose, rimise a posto i fogli sul tavolo ignorandola. La bionda uscì con gran rumore di tacchi.
Ci fu un lungo silenzio. Le cosce smisero di stringere, le gambe si allargarono e due dita lo cercarono staccandolo da lì. Fu nuovamente sollevato e messo sul tavolo. Due occhi sgranati e un po' preoccupati lo fissavano.
- Ti...ti sei fatto male? Marco aveva un'espressione di stuporosa beatitudine stampata in faccia. - Credo proprio di no. Disse.
Barbara dribblò l'imbarazzo. - Direi che per oggi abbiamo fatto abbastanza. Si alzò dalla sedia.
- Chi era quella?
Lei si buttò sul letto dandogli le spalle.
- La ragazza di mio padre. Ci mancava lei, e ci mancavi pure tu. Sembrava piuttosto innervosita. Evitò altre domande e rimase a contemplarle la schiena. Il contatto avuto era andato decisamente oltre le sue più incredibili previsioni, Tutto stava prendendo una piega decisamente buona e poi paf! Va bene la stronza bionda, pensò, ma non ti ho chiesto io di farmi la doccia e stringermi tra le gambe. Gli salì la nostalgia di Marti, la buona Marti. Un po' lunatica anche lei, ma sempre in modo ragionevole.
Barbara sembrava essersi completamente scordata di lui, era passata in bagno a finire di asciugare i vestiti col phon e aveva deciso che fossero sufficientemente asciutti.
- Cambiati. Ho chiuso la porta a chiave, quando la cretina se ne va ti riporto a casa.
Detto questo si era nuovamente distesa dandogli le spalle e trafficando col telefonino. Marco sì levò il guanto di dosso, rimase un attimo fermo pensando a cosa fare se lei si fosse girata a guardarlo. Ma Barbara non si girò.

 

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Capitolo 4
*** Ely ***


Il pavimento della palestra vibrava sotto i tonfi degli esercizi di educazione fisica. Marco se ne stava seduto a terra visibilmente annoiato, sopra c'era Marika, l'unica quel giorno ad essere esonerata dall'attività. Non l'aveva nemmeno invitato a salire per fare due chiacchiere, ma in fondo non avevano molta confidenza e sembrava anche imbarazzata da quella vicinanza. Marti gliel'aveva consegnato e lei l'aveva deposto tra i piedi in tutta fretta come un pacchetto. Aveva i capelli castani raccolti in una coda e se ne stava stravaccata sulla sedia a giocare col cellulare, disturbata a volte dal rumore del pallone sbuffava e riprendeva a leggere i messaggi.
Anche Marti era fredda, alla fine non le aveva detto nulla, e lei si era ritrovata a fare la ricerca in coppia con una compagna che non le piaceva proprio. Era rimasta zitta per tutto il tragitto fino a scuola, niente premure verso di lui. Ne era quasi sollevato, a volte la trovava invadente. Quando guardava nella sua direzione lei ricambiava lo sguardo di striscio e si concentrava nuovamente sul gioco. Quanto a Barbara, sembrava che quel pomeriggio insieme non ci fosse mai stato.

Il pavimento ora vibrava troppo, si alzò in piedi e prese a camminare nervosamente con le mani in tasca, guardò le caviglie immobili della compagna e si sentì ignorato da tutti. La giornata era partita male, il broncio di Marti, ma avrebbe dovuto dirle che cosa? Non era stato lui a proporre gli abbinamenti per la ricerca. Fece un giro attorno alle Vans nere e diede qualche calcetto alla suola di gomma mentre rifletteva. Marika alzò gli occhi, il piccoletto cominciava a infastidirla.

E poi c'era Barbara che nemmeno il broncio teneva. Bah, finì il giro e si accomodò a sedere sulla punta della scarpa pensieroso. Marti era presente in buona parte dei suoi ricordi. Avevano condiviso la prima sigaretta insieme, esplorato la fabbrica abbandonata in fondo alla strada facendosi inseguire dal custode. Poteva ancora sentire il dolore del ginocchio sbucciato saltando dal muro di cinta, e lei che si preoccupava di portarlo a disinfettarsi di nascosto dai genitori. Casa sua era talmente familiare che poteva scambiarla per la propria.

Sentì un colpo sotto il sedere. Marika aveva mosso la punta del piede. Decise di arrampicarsi lungo i lacci per sedersi più in alto, e infine si sdraiò usando la linguetta della scarpa come cuscino.

Guardò di nuovo Barbara. Era arrivata a inizio anno, aveva cambiato scuola e sembrava non legare con nessuno, girava con gente che faceva già l'università. In una classe tutta femminile era l'ultima arrivata, vista con sospetto. Certo non faceva niente per stemperare la tensione. Pure adesso, giocava a pallavolo con l'aria di chi sta concedendo un grande favore.
- Comodo?
- Non c'è male, disse guardando la faccia indispettita di Marika che lo fissava dall'alto.
- Vorrei ricordarti che non è un divano.
- Tranquilla, dopo pulisco e metto tutto a posto.
- Ci mancherebbe, se me le sporchi ti schiaccio.
- Ih, quanta violenza. Rilassati.
Pensò che a dimensioni normali Marika era un tappo. Carina, ma simpatica come la sabbia nelle mutande. L'avrebbe guardata dall'alto in basso con le sue scarpine e il viso da puffetta. Lasciò che tornasse col naso nel telefonino, quindi prese le stringhe bianche e cominciò a tirarle slacciandole. Tiè, un po' di dispetti alla principessa. Avvertì un movimento, poi la scarpa su cui era seduto si afflosciò. Cercò di rimettersi in piedi, ma inciampò e cadde all' indietro verso la punta della scarpa. Marika se l'era sfilata e il suo calzino bianco in un attimo gli fu sopra.
Sembrava un enorme materasso di cotone che scendeva a coprirgli le gambe e il petto. Tentò una breve resistenza con le braccia, poi si arrese al peso.
- Ecco. Te l'avevo detto che ti schiacciavo. Premette piano come fosse un piccolo peluche.
- Che bello, sei morbidissimo! Disse strofinandoci il piede sopra.
- Dai, toglimelo di dosso scema!
Marco riprovò a sollevarlo con le braccia.
- Aspetta, continua così. Massaggia un po' anche sotto le dita. Mmh che benessere.
Abbracciò la punta del piede e diede un morso al calzino senza riuscire a raggiungere la pelle sottostante, poi ci battè i pugni sopra visibilmente frustrato. Infine si lasciò spiaccicare. Lei alzò il piede guardando il piccolo rompiballe con un sorriso soddisfatto.
- Guarda che potevi farmi male sul serio! Disse Marco incazzoso rimettendosi piano a sedere e sistemandosi i vestiti.
- Ma figurati, mi hai solo massaggiato un po'. Sei bravo, dovresti farlo come lavoro.
Flettè la punta delle dita davanti alla sua faccia.
- Ma vai a cagare! Tra l'altro hai pure un odoraccio di gomma.
- Meno male che sono io quella permalosa. Rise.
Marco ne aveva abbastanza, si rimise in piedi e scese dalla scarpa rischiando di perdere l'equilibrio di nuovo.
- Dove vai adesso? Hanno detto che devo tenerti io.
- Col cazzo, vado proprio dove non ci sei te!
Puntò deciso l'ingresso palestra, ci voleva decisamente una boccata d'aria. Uscì camminando rasente al muro. Il cortile in cemento era deserto, un sacco di spazio per fare due passi e pensare. La mattinata sembrava infinita ed ebbe nostalgia di quattro calci a un pallone della giusta misura in un mondo della giusta misura. Non pieno di tipe grandi come montagne. Un paio di minuti di cammino e raggiunse la grondaia, girò l'angolo e si ritrovò lontano da qualsiasi sguardo. Si era rollato dei bei cannoni lì dietro, il brivido della trasgressione da ragazzini di qualche anno prima. I tempi in cui Veronica era sempre fornita e più simpatica. Ripensò agli ultimi tempi e decise che Marika e Veronica sarebbero finite nella lista Scherzi & Ritorsioni non appena ripristinata la normalità.
Un rumore dei passi spezzò il silenzio.
- Hai firmato il permesso di uscita? Un lampo di capelli ricci castani e occhi verdi.
- Tranquilla, la firma di tua madre è facilissima, te la falsifico io. Disse la mora più rilassata.
Marco le osservò un attimo, la riccia portava un felpa bianca e un paio di enormi Nike. La mora con la coda una maglia con due gatti glitterati, probabile produzione cinese. Visi freschi, giganti ma piccole. Di sicuro due primine.
Si addossò ancora di più al muro sperando che non lo notassero.
- Hai l'accendino? Non lo trovo più.
- Tranqui, però metti le siga che io ne ho poche.
Sembravano totalmente concentrate sui loro zaini e poco interessate a guardare per terra. Buon segno, l'angolo non era poi così distante, prese a camminare come niente fosse.
- Ecco, l'ho trovato!
Un'enorme scatolone cadde in terra.
- Uff, che impedita che sono stamattina.
Il pacchetto di sigarette era caduto poco distante da lui. Trattenne il fiato, la mora si era abbassata a raccoglierlo.
- Hai trovato l'accendino? Poi lo sguardo incrociò quello di Marco.
- Oddio, cos'è sta roba?
La riccia si allarmò.
- Quale roba?

Intuì che sarebbe stato molto meglio farsi avanti.
- Hey, non sono una roba, sono Marco. Gesticolò ampiamente per far capire che non aveva otto zampe. Le due ragazze sgranarono gli occhi.
- Oddio è il ragazzo piccolo della scuola. Che figata, non l'avevo mai visto!
La riccia si accovacciò a guardarlo meglio.
- Ciao! Io sono Paola e lei è Ely.
- Mh ok, ciao Paola, ciao Ely. Io devo tornare in palestra, ci si vede eh!
Fece per andarsene ma Ely la mora gli si parò davanti.
- Aspetta, fatti vedere che siamo curiose.
Le due ragazze si sedettero a terra circondandolo.
- Che carino, ma quanto eri alto da normale? Chiese Paola.
- Ero un metro e ottanta.
La voce quasi gli si incrinò. Le ragazze si guardarono, Ely accese una sigaretta.
- Possiamo toccarti?
Chiese.
- Hm, in che senso?
Risero con un po' di imbarazzo. Primine, pensò Marco.
- Ma hai tutti i vestiti su misura, posso vedere?
Paola toccò la maglia con due dita.
- Sì, vai piano però.
- Non hai paura ad andare in giro da solo?
- Sto attento, più che altro le distanze diventano impegnative.
Ely sedeva a gambe incrociate davanti a lui, Paola da dietro continuava a sfiorare i vestiti.
- Ti possiamo portare noi, sorrise Ely.
- Ok, un passaggio dopo ci sta.
Paola continuava a sfiorargli i vestiti, finché sentì il suo polpastrello spingere sul sedere. Sì girò verso di lei
- Oddio scusa! Rise imbarazzata.
Un'altra spinta al sedere, in questo caso sembrava volontaria, di Ely. Le piccolette prendevano coraggio. Un po' troppo.
- Sei fidanzato?
- Nah, sono in pausa di riflessione.
- Capisco, anche noi. Disse la riccia soffiando il fumo con aria vissuta.
- Ma come faresti adesso con una ragazza? Chiese Ely a bruciapelo, tanto che Paola trattenne la risata.
- Grazie per la domanda, se ne hai una di riserva è anche meglio.
- Va bene sto zitta. Posso prenderti?
Ely aveva già avvolto la mano attorno a lui e la domanda suonò superflua. - Occhio a non stringere troppo.
- Così va bene?
- Diciamo di sì. Rispose Marco trovandosi ancora una volta stretto in una mano estranea. Paola rise mentre Ely lo sollevò in aria e lo porto vicino al suo viso, i suoi grandi occhi scuri lo fissarono brillando. Piccola ma carina, pensò Marco. Poi gli arrivò una zaffata di alito alcolico, lei se ne accorse.
- Abbiamo una bottiglia con vodka e succo di frutta, ma non saprei come offrire.
- Tranquilla, come accettato. Potresti tenermi sulla mano aperta che comincio a sentirmi stretto?
- Uh sì, ecco. Lo depositò sul palmo dell'altra mano e continuò a osservarlo.
- Raga, mi cagate che comincio a sentirmi esclusa? Disse Paola da dietro.
- Piccola, si sente esclusa. Vuoi dargli un bacio? Marco si ritrovò letteralmente sotto il naso di Paola e di fronte alle sue labbra, che arricciò tirandosi indietro.
- Ma non così, dai!
- Okay ragazze, direi che è ora di andare.
- No scusa, non lo faccio più.
Ely istintivamente stava chiudendo di nuovo la mano su di lui.
- Marco?
La voce di Marika. Era spuntata da dietro e osservava la scena tra il seccato e il sorpreso.
- Sta finendo l'ora, e poi le sento io perché ti sei perso. Comunque ha detto Martina che non può accompagnarti oggi. Devi chiamare a casa.
Marco sentì un peso allo stomaco, non se l'aspettava. Poi il dettaglio di chiamare a casa, Marti conosceva benissimo il suo numero e i suoi genitori. Come cavolo avrebbe potuto chiamarli lui se non mendicando una telefonata a Marika o in segreteria?
Marika guardò meglio le due ragazze.
- E te la fai con queste? Ma come stai messo?
- Ma cosa vuoi? Ely la guardò con rabbia e strinse le dita su Marco, che ancora faceva fatica a smaltire il peso della novità.
- Tranqui Ely, disse. - Puoi fare una telefonata per me? - Certo che sì. Rispose lei.
- Bene, allora Marika ci vediamo domani. Io sto con loro.
Lei sgranò gli occhi e alzò le spalle. - Contento tu, disse. Ancora con aria meravigliata girò l'angolo e se ne andò.
Ely aveva gli occhi luminosissimi. - Dove abiti? Marco glielo spiegò.
- E' vicino, ti porto a casa io!
- Perfetto, grazie! Disse Marco. Gli stava risolvendo un bel problema, visto che entrambi i genitori erano via tutto il giorno. Paola fece bonariamente finta di nulla, si avviarono verso un'uscita secondaria della scuola e li salutò per andare verso l'autobus. Ely prese una scorciatoia pedonale tra i campi, non c'era nessuno e lo teneva  con entrambe le mani parlandogli. Si ritrovò disteso nel suo palmo con i pollici che giocavano su di lui sfiorandolo ripetutamente. Decise di non lamentarsi, in fondo era gentile e il passaggio molto comodo. Sembrava di stare su un'amaca con un pollice che ogni tanto scendeva sul petto o lungo le gambe, ci poteva stare. Si rilassò e rispose pazientemente alle sue domande. Poi notò che stava uscendo dal sentiero dirigendosi verso i cespugli.
- Dove stiamo andando? Chiese.
- Ho voglia di finire quel succo con la vodka. Si sedette dietro un albero e lo posò a terra, poi armeggiò con lo zaino e tirò fuori la bottiglia di alluminio bevendo un lungo sorso.
- Non credo sia una buona idea.
- Secondo me sì. Rise.

 

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Capitolo 5
*** Il Mostro ***


Ely lo guardava con espressione brilla, a Marco venne un brivido a essersi ficcato in quella situazione, in mezzo ai campi con una primina che reggeva l'alcol quanto una suora astemia. Si guardò attorno, oltre il piccolo spiazzo in cui erano seduti c'era un prato di fili d'erba alti come alberi, e comunque non avrebbe certo potuto salutare e andarsene come niente fosse.
- Dovrei andare a casa, mi aspettano.
- Io a casa non ho nessuno, potresti venire a farmi compagnia.
- Non posso. Dai, ti ho detto dove abito, siamo lì in dieci minuti.
Lei fece finta di non sentire.
- Sai che non sono mai stata con uno di quinta? Di solito neanche ci guardate.
- Eh, normale.
La vide accigliarsi e tentò la retromarcia. - Cioè neanche tu guarderesti uno delle medie.
- E tu cosa ne sai? Magari mi piace.
- Ok, hai ragione pure tu. Possiamo muoverci adesso? Devo pure andare in bagno.
Lei si mise a ridere. - Sei un maschio, puoi farla dove vuoi. Ma secondo me non devi fare niente.
- Sai, non mi piace farla davanti alle persone, specie se sono gigantesche e mi fissano. Disse con un filo di sarcasmo.
- Ma io non guardo, giuro! Anzi, mi giro subito.
A Marco effettivamente scappava, e lei si era davvero seduta di spalle, quindi raggiunse un filo d'erba, sbottonò i pantaloni e il getto di pipì uscì con immediato sollievo.
Qualcosa gli strinse le spalle, si ritrovò sospeso in aria mentre il getto di urina continuava a scendere come la stesse facendo dalla cima di un ponte.
- Sembra la pipì di un passero! Ely rideva tendendogli le spalle strette tra due dita.
- Mettimi giù! Altrimenti scarico nelle mutande anche qualcos'altro! Disse scalciando in aria con un lampo di vertigini, bastava un minimo allentamento delle dita e sarebbe potuto scivolare da un'altezza ottima per farsi male.
Sì ritrovò a terra sano e salvo, chiuse la cerniera dei pantaloni e si girò verso di lei rosso di rabbia e imbarazzo. Ely smise di ridere. - Era solo uno scherzo. Disse diventando timida per un attimo. ­- E comunque non ho visto niente.
- Lascia perdere. Adesso mi porti a casa che per oggi hai rotto abbastanza!
- Scusa...
Marco si voltò intenzionato ad andarsene senza sapere dove, e si ritrovò la mano di lei a sbarrargli la strada.
- Dai, ti porto io. Stese il palmo per farlo salire. Accettò, forse era la volta buona che usciva da quell'incubo. Si ritrovò davanti al viso di Ely, lo sguardo e l'alito gli ricordarono che era ancora sbronza.
- Beh, andiamo?
Lei improvvisamente lo avvicinò al suo viso, strinse le labbra e gli impresse un bacio tra la faccia e il petto. Si sentì come se che qualcuno gli avesse sbattuto una piovra in faccia. Pulì la saliva appiccicosa alla vodka con aria schifata. Ely diventò rossa.
- Io non...scusami.
- No. Tu adesso mi metti giù e ci salutiamo!
Lei portò meccanicamente la mano a terra, Marco saltò giù e prese a camminare in direzione del sentiero.
- Ma dove vai adesso? Mica puoi andare a casa a piedi? Balbettò ancora imbarazzata.
- Prenderò l'autobus! Rispose Marco con sarcasmo.
Il sentiero dalla sua altezza sembrava a un grosso fiume in secca, camminando tra ghiaia e massi che in teoria erano sassolini, Marco sbollì la rabbia e capì di essere in una situazione senza uscita. Avrebbe potuto camminare fino alla strada mettendoci ore, e poi? Di nuovo sbracciarsi, spiegare di non essere uno gnomo, e sperare che vada tutto bene?
I fili d'erba alta sui lati gli mettevano ansia, dietro c'era una giungla buia che non prometteva niente di buono. Sentiva rumori di cose che si muovevano là dentro. Era riuscito ad abituarsi alle mosche, grandi come piccioni, ma i ragni restavano una visione terrificante. Aveva urlato quando ne aveva visto uno, probabilmente piccolissimo, arrampicarsi sulla scrivania della camera da letto. Marti l'aveva fatto salire su un foglio con pazienza per poi posarlo fuori dalla finestra.
Calciò un sasso e cominciò a sentirsi sperduto.
Stupido orgoglio, pensò. Poteva farsi portare a casa ma si era impantanato con una sconosciuta, e forse lo stava seguendo perché avvertiva una presenza alle sue spalle.
Strano, non aver sentito il solito rimbombo da gigante, comunque era il caso di riappacificarsi, un bacio bavoso non era certo la fine del mondo. Si voltò e quello che vide gli ghiacciò il sangue.
Uno scorpione grande come un san bernardo, gli occhi feroci e profondi da predatore, le tenaglie che sforbiciavano e la coda che si dimenava indiavolata. Aprì la bocca ma non uscì neanche un fiato, aveva un blocco che saliva dallo stomaco alla gola stringendo sempre più. Si mise a correre sentendosi braccato da quella creatura aliena e feroce, gli sembrava di essere in un film di fantascienza.
Finì in una grossa fossa del sentiero, la sabbia frenava la corsa e davanti a lui c'era una ripida duna da oltrepassare, inciampò e cadde. Tentando di rimettersi in piedi vide il mostro scendere nella fossa, e questa volta urlò più forte che poteva.
La sabbia fino ai gomiti gli impediva movimenti rapidi, era ancora seduto a fissare l'orribile faccia della bestia, quando la punta di una grossa suola di gomma scese sullo scorpione. L'ombra di Ely sopra di lui, lo sguardo schifato mentre pigiava la punta della scarpa sull'insetto, muovendo il piede a destra e sinistra per triturarlo. Finito il lavoro sollevò la scarpa, restava solo una macchia scura di poltiglia sul terreno.
- Sei ancora convinto di andartene da solo? Disse con voce severa.
Marco riuscì finalmente ad alzarsi, corse verso la Nike sinistra di Ely e ne abbracciò la punta. Lei sorrise, lo raccolse nel pugno mettendogli la punta del pollice sotto il mento. - Ora andiamo a casa mia. Disse.

 

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Capitolo 6
*** A casa di Ely ***


La casa di Ely era piuttosto trascurata, una villetta con giardino che doveva aver visto tempi migliori. E ovunque c'era della roba accatastata senza criterio. Appoggiò Marco sul vecchio divano e si diresse verso il frigo - Vuoi una birra? Chiese. Lui si guardò intorno - I tuoi non ci sono?
- Ho solo mia madre, ma è sempre al lavoro. Rispose mentre prendeva una bottiglia.
- Ah giusto, come ti faccio bere? Rise.
- Non ho voglia di birra, e non dovresti averne neanche tu, visto che hai già bevuto un bel po'.
Lei aprì la bottiglia e prese un bicchiere, poi andò a sedersi sul divano accanto a Marco e accese la tv.
- La birra è leggera!
- Dopo una vodka è ottima per sboccare.
- Non fare il grande perché non lo sei. Con un dito lo mandò steso sulla stoffa morbida. Poi riempì il bicchiere di birra e prese a fare zapping col telecomando. Non c'era nulla di interessante. Marco si rialzò con la consapevolezza che non poteva fare molto. Era totalmente in balia di quella primina gigante beona. Forse lasciando passare un po' di tempo avrebbe potuto chiedere di telefonare a casa.
Lei lasciò un canale che trasmetteva video musicali. La sua attenzione tornò su di lui.
- Ti secca se mi tolgo le scarpe e mi metto un po' libera?
Non riuscì nemmeno a rispondere che lei cominciò a levarsi le scarpe, poi però slacciò i jeans e si tolse pure quelli. - Sono stretti, disse.
Gli slip fecero capolino con un azzurro accecante. Tolse pure le calze e si buttò sul divano stravaccata a gambe larghe.
- Ma cosa fai lì in piedi? Dai, ti aiuto a berti la birretta così ti rilassi.
Lo prese e lo avvicinò al bicchiere inclinato. Era come dover bere da una vasca di birra immergendoci la faccia, ma decise di stare al gioco. Chiuse gli occhi e diede una sorsata, una quantità di liquido esagerata entrò da bocca e narici inondando lo stomaco. Cominciò a tossire e a ributtare la birra in eccesso che gli usciva pure dal naso. Lei sorpresa dalla reazione finì per inclinare troppo il bicchiere versandosene un bel po' sulla maglia. Buttò Marco ancora intontito tra le gambe e si tolse la maglietta asciugandosi il petto.
Marco si ritrovò accovacciato tra due enormi cosce e un paio di slip, alzò lo sguardo e vide la forma dei seni di Ely sotto il reggiseno, e sopra la faccia di lei che lo fissava senza sapere bene cosa fare. Si guardarono per un tempo indefinito senza fare una mossa, poi lei decise di farsi coraggio scolandosi la birra direttamente dalla bottiglia.
- Vieni su. Disse. - Seduto lì in mezzo sembri un maniaco.
- Ma non vedo l'ora di togliermi da qua. Fammi salire!
Lo sguardo di Ely era sempre più alcolico - No. Se riesci a salire sulla mia spalla ti porto a casa, altrimenti resti lì.
Marco fece il gesto del vaffa col braccio e andò verso l'orlo del divano. Troppo alto. Poi un enorme tallone lo trascinò indietro di nuovo tra le gambe.
- Mica ti vorrai ammazzare? Sono più morbida io! Rise e si stravaccò ancora per rendere la scalata più semplice.
- Tu sei fuori! Io non faccio proprio niente. Arriverà tua madre o qualcuno a cercarmi. Si sedette a gambe incrociate voltandole le spalle.
- Ok, resta pure dove sei. Alzò il volume della tv e iniziò a canticchiare la canzone del video.
Marco si era rassegnato, era passato qualche minuto quando la sentì muoversi sopra di lui. Voleva alzarsi ma era ormai parecchio ubriaca, così si trascinò faticosamente in avanti schiacciandolo sotto il sedere.
Prima l'enorme inguine lo investì come un treno. Poi finì sotto due enormi chiappe che lo appiattirono al morbido divano. Si ritrovò in una fossa schiacciato per un paio di secondi in cui urlò più forte che poteva. Lei lo estrasse da sotto il sedere senza grazia. - Devo assolutamente andare in bagno! Disse.
Lo strinse in mano mentre camminava veloce e un po' disorientata verso il corridoio e poi nella stanza del bagno, dove si abbassò le mutande. Nel suo cervello che ormai nuotava nell'alcol, trovò ovvio e pratico sedersi sul water e appoggiare Marco direttamente sull'orlo della tavoletta. A quel punto si liberò con gran sollievo, mentre Marco guardava l'enorme cascata di urina scrosciare.
Ely finalmente sembrò rendersi conto della situazione bizzarra. - Mi hai visto nuda.
-Ti ho vista pisciare le cascate del Niagara, per essere precisi.
- Ora però dovrai farlo anche tu, così siamo pari.
- Ma non ci penso nemmeno!
- Allora ci penso io.
Avvicinò indici e pollici ai pantaloni rischiando di strapparli e fargli male.
- Va bene, faccio io, ferma. Slacciò i pantaloni e calò le mutande.
- Che piccolo! Rise ubriaca. Marco arrossì, e non disse niente, dopo tutto quello stress gli scappava davvero. Si avvicinò al bordo della tavoletta e pisciò nella tazza. Ely lo osservò divertita, portò avanti l'indice bagnando il polpastrello sotto il getto di pipì.
- Carinoo così piccolo! Ginguettò in modo irritante.
Marco sentì forte il brivido di poter finire come un giocattolo sessuale da sexy shop. Ma le pupille di Ely rotearono verso l'alto e gli occhi si chiusero. Svenne cadendo di lato a terra.
- Ely! Gridò Marco terrorizzato.
Guardò com'era caduta. Fortunatamente un braccio aveva evitato che battesse la testa sulle piastrelle.
Cosa fare? Osservò la gamba ancora appoggiata alla tavoletta, doveva arrampicarsi sul ginocchio e scendere lungo il suo corpo.
- Chi cazzo l'ha mai scalato un ginocchio? Guarda questa cosa mi fa fare.
Afferrò la pelle e si arrampicò puntando i piedi sull'osso come ad arrampicarsi su una grossa roccia. Da lì scese lungo la coscia pizzicando lembi di pelle per non cadere in quella discesa che finiva sopra la chiappa di lei.
- E dovrei pure scendere da un culo! Ely ci sei?
Non rispondeva.
Cercò di fare più in fretta. No, da un culo si rifiutava di scendere. Seguì il fianco fino alla spalla, poi giù lungo un braccio inerte.
- Ely mi senti?
Gli occhi restavano chiusi, respirava. Si avvicinò alla faccia e le diede uno schiaffetto tentando di rianimarla. Poi ci pensò meglio sulla forza dei suoi schiaffi a una ragazza gigante. Mollò un ceffone sulla guancia più forte che poteva. Equivaleva allo schiocco di un dito, si rese conto di averci messo tutta la forza. Non avrebbe mai avuto il coraggio di dare uno schiaffo a una ragazza, ma questa forse se lo sarebbe meritato.
- Mmh...
Sembrò rianimarsi per un attimo, ma rimase svenuta. Marco corse verso il soggiorno, il telefono di Ely era a terra, per fortuna l'aveva lasciato cadere dal divano. Chi chiamare? Pronto soccorso? Sì, ma anche no. Situazione troppo imbarazzante. Ci voleva qualcuno fidato, qualcuno che risolvesse problemi come Mister Wolf in Pulp Fiction. Attivò il touch screen e saltando sui tasti compose il numero.
- Pronto, Mister Wolf?
- Scusi, ma credo abbia sbagliato numero.
La voce di Marti gli diede un sollievo incredibile.

 

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Capitolo 7
*** Marti ***


Marti è arrivata dopo pochi minuti. Ely si è ripresa, ha vomitato tutto l'acol che aveva nello stomaco e l'abbiamo accompagnata a letto a smaltire la sbornia. Marti mi ha stretto in pugno con aria severa, poi mi ha messo nel taschino aperto della giacca e ci siamo avviati verso casa. Ha borbottato una serie di frasi su quanto sono irresponsabile, pareva di sentire mia madre.
Ora siamo nella mia camera, mi sono disteso nel mio mini letto sulla scrivania e lei mi sta osservando pensierosa. Mi giro dall'altra parte.
- Potresti smetterla di fissarmi? Ho fatto una cazzata, ok?
Marti sposta il viso indietro e si appoggia allo schienale della sedia.
- Comunque tutto sto casino per una ricerca in coppia. Sei così gelosa?
Le guance di Marti avvampano.
- Io non...te l'avevo detto di evitare quella stronza. E te l'avevo detto perché siamo amici. Non per altro.
Mi giro di nuovo verso di lei, ha le labbra imbronciate e gioca nervosamente con una ciocca di capelli biondi che sposta dietro l'orecchio.
- Con chi la fai la ricerca? Chiedo.
- Con Veronica. I suoi occhi diventano una fessura. Mi scappa una risata.
- Hai poco da ridere, pensa con chi dovrai farla tu. Risponde piccata.
- Non lo so con chi, Barbara mi ha scaricato. La prof mi assegnerà qualcuno. Ha detto che dobbiamo imparare a non chiuderci in gruppetti e lavorare con tutti. Per fortuna non mi sono beccato Veronica, mpfff.
Ricomincio a ridere.
- Tu resti con Barbara, e fortunatamente non da solo. Dice Marti, e tira un sospiro di sollievo. Io resto spiazzato - Che cos?
- Sì, ho visto Barbara lamentarsi con la prof. Vi ha aggiunto Laura.
La guardo perplesso - Laura la timidona? E Barbara che non mi vuole? E io dovrei affrontarle tutte e due?
Adesso è Marti che scoppia a ridere. Uno a zero per lei.
Allunga l'indice e mi fa il solletico alla pancia.
- Dai, smettila. Questo bullismo non è da te.
Rido, combattendo col suo dito enorme.
- Ma figurati, bullismo al mio migliore amico. Ride.
Le dò un morso al polpastrello - Ahia! Ritira la mano.
- Quando eravamo piccoli volevi giocare alla lotta perché vincevi sempre tu. Adesso vinco io!
Rimette l'indice sulla mia pancia con aria trionfante. Guardo lo smalto dell'unghia un po' rovinato e ci busso sopra con le nocche.
- Vuoi una mano a ritinteggiare?
Lei ritrae il dito.
- Mi arrangio da sola, fatti gli affari tuoi. Mhh!
Aggiunge una linguaccia.
- Permalosa. Rido
- Senti chi parla.
Mi giro di nuovo dall'altra parte del letto.
- Sai, non è facile essere alti poco più del tuo dito, e trovarsi in balia di giganti. Questa situazione sta diventando sempre più pesante.
- Lo so, mi dispiace.
Restiamo in silenzio per qualche attimo.
- Comunque Veronica ti aspetta...mpff ahahah!
- Scemoo! Tu stai attento Barbara, e a quello che può fare alla povera Laura.
- Ok, vigilerò sulla ragazza spaurita. Di sicuro non mi toccherà con un dito.
- Poco ma sicuro. Dice Marti. - Io invece...
Ricomincia a solleticarmi il fianco.
- Finiscilaa, o lascerò che Barby faccia di me quello che vuole!
- Tse! Quello che vorresti tu non lo farà di sicuro.
La guardo negli occhi - Vedremo!
- Tu non perdi mai le speranze, eh Marco?
- Io no, mai.
Sorrido compiaciuto.

 

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Capitolo 8
*** Laura ***


Barbara fissava Marco col suo sguardo penetrante. L'aula era semivuota per l'intervallo, sedeva davanti a lui a braccia conserte, indecisa su come iniziare la conversazione. Marco si alzò dalla sedia e prese a passeggiare per il banco con le mani in tasca.
- Volevi cambiare compagno per finire la ricerca.
Bofonchiò guardandola troneggiare sopra di lui.
- Già, invece saremo ancora insieme. Noi, e la cosa la in fondo.
Marco guardò Laura seduta nell'angolo in fondo all'aula. Capelli corvini trascurati, pelle bianchissima, aspetto dimesso come i vestiti. Osservava qualcosa fuori dalla finestra. La sua tipica modalità di difesa dal mondo esterno.
- Non è una "cosa", e parla piano che magari ti sente.
Barbara inarcò un sopracciglio, non se l'aspettava Marco così duro, e senza lo sguardo da triglia che le faceva fino a due giorni prima.
- Senti, non ce l'ho con te. Disse Barbara.
- Volevo finire subito quella stupida ricerca, e tu hai complicato le cose.
- Io? Sei tu che mi hai innaffiato, per non parlare del resto.
Barbara lo fulminò con un'occhiataccia, poi appoggiò una mano sul banco bloccandogli la strada.
- Adesso sono io che ti chiedo di abbassare la voce, mi avevi promesso che la cosa restava tra noi.
- Infatti ci resta.
Diede un paio di manate all'enorme anello al dito della compagna, a mò di pacca sulla spalla. Era sorpreso pure lui da quell'improvvisa sicurezza.
- Marco, volevo dirti che, insomma, sei l'unica persona in questa classe con cui mi sono trovata bene.
Abbassò lo sguardo. Marco rimase spiazzato da quell'apertura, doveva esserle costata uno sforzo non da poco per i suoi standard. Istintivamente le toccò la mano.
- E se puoi parlarci tu con la cos...cioè con Laura. Io potrei non essere molto amichevole. Magari vi mettete d'accordo per venire da me, ok?
Detto questo lo prese e lo appoggiò a terra.
- Vai! Disse sottovoce.
- A piedi? Non potevi portarmi tu?
- No, fidati che è meglio se vai tu.
Marco scosse la testa, poi si incamminò verso il banco di Laura. Bella idea, pensò, a questa piglierà un colpo quando mi vedrá tra i piedi.
Si avvicinò chiamandola, sembrava non sentire nulla, poi notò che aveva gli auricolari. Guardò le scarpe da running, semplici, da cestone delle offerte. Si avvicinò con cautela. Che faccio, busso? Speriamo non faccia movimenti improvvisi.
Tirò un laccio con forza. La scarpa si animò improvvisamente sollevandosi per metà e mostrando minacciosa la suola sopra di lui. Gli mancò il fiato.
Lei guardò a terra spaventata e tolse gli auricolari. Marco alzò le mani.
- Tu non vuoi spiaccicare brutalmente un compagno di classe, vero?
Le guance di Laura avvamparono, fece di no con la testa.
- Bene, mi porti su così parliamo del lavoro che faremo insieme?
- Co...come?
- Con la mano, tu la abbassi, apri il palmo e io salgo. Non c'è bisogno che mi prendi in pugno.
Laura arrossì ancora di più. Poi esitante abbassò la mano, Marco salendoci sopra percepì un piccolo brivido di lei. Lo mise sul banco velocemente, come se scottasse.
- Ok, adesso mi sento più a mio agio a parlare. Comunque bella suola pulita, tu non calpesti tutti gli esserini indifesi che ti capitano davanti, come altre qua dentro.
Si girò verso Barbara che sembrava immersa nel suo iPhone.
Laura diventò viola, e scosse di nuovo la testa.
- Hai la macchina?
- Oggi ce l'ho io. Mugugnò Barbara.
- Perfetto. Abbiamo un passaggio per tutti allora!
Il sopracciglio di Barbara si inarcò di nuovo con fare indisponente, ma non disse nulla.
Passi pesanti, qualcuno stava entrando in aula.
- Hey microbo, cosa ci fai sul banco della mummia?
Veronica si diresse ad ampie falcate verso di loro sghignazzando, ma a metà percorso la gamba con stivale a punta di Barbara si alzò a sbarrarle la strada.
- Qui non sei gradita, chiaro?
Veronica sbiancò, e uscì di nuovo velocemente con la scusa che tanto aveva dimenticato il caffè.
- Bene. Disse Marco rivolgendosi a Laura.
- Questo pomeriggio lavoreremo insieme. Io, te, e la "Cosa" laggiù.
Indicò Barbara, che alzò lo sguardo con un sorriso feroce.

 

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Capitolo 9
*** Amore e pedali ***


Barbara guidava veloce fumando una sigaretta, Marco era disteso nel posto a fianco ad ammirarla in silenzio. Le braccia si muovevano sicure tra volante e sigaretta, i capelli erano sciolti e mossi dal vento del finestrino aperto.
- Ci sei laggiù? O ti sei perso nel sedile?
- Tutto a posto. Disse lui stiracchiandosi in mezzo all'enorme seduta in gomma piuma.
- Ok, oggi ti voglio attivo. Finiamo questa roba che sono stufa di gente strana.
- Grazie, eh.
- Non parlavo solo di te, mi inquieta di più portarmi dietro quella tipa silenziosa.
Marco trattenne una risata.
- Pensa quanto può inquietarsi lei con te.
Barbara gli lanciò uno sguardo minaccioso, lo afferrò con la mano e lo mise sul cruscotto.
- Così almeno ti vedo, e non parlo con un sedile.
Controllò la strada e riportò lo sguardo su di lui.
- Tu sarai l'addetto alle relazioni con la Cosa, visto che io sono così inquietante.
Marco capì che non era il caso di replicare.
- A che ora ti devo riportare a casa?
- Quando vuoi, sono maggiorenne.
- Stasera ceno da sola, ti andrebbe di...
Barbara lasciò la frase a metà, fissava la strada con sguardo freddo.
- Potrei fermarmi da te, se vuoi. Rispose di getto Marco. Lei fece un cenno di assenso con aria sorniona, per un po' calò un silenzio carico di punti in sospeso.
Il navigatore segnalò che erano arrivati, accostarono al marciapiede in attesa di Laura.
- Puoi rimettermi sul sedile? qui mi viene il mal di mare.
Barbara lo prese più delicatamente e lo portò all'altezza del suo viso.
- Mi fido di te, ok?
Marco fece di sì con la testa, Barbara lo appoggiò sul sedile, ma senza ritirarsi subito. Aprì la mano lentamente, sembrava volerlo tenere ancora un po'.
Marco provò a scendere, ma l'abbraccio delle dita lo strinse di nuovo. Guardò in alto verso di lei, aveva un espressione più serena. Decise di abbandonarsi e stare al gioco. Di nuovo si allentò la stretta, ma al primo tentativo di divincolarsi le dita si strinsero decise intorno a lui.
- Mi sa che sono in trappola. disse.
- E ti dispiace? Sorrise lei.
- Neanche tanto, è una trappola morbida e comoda.
- Bravo.
Barbara continuava a tenerlo stretto, fino a pochi giorni prima trovava repellente quello strano pupazzetto con chissà quale malattia. Ora che l'aveva conosciuto riusciva a pensarlo come un ragazzo. Un ragazzo così delicato che poteva rompersi tra le sue mani. Tenerlo in pugno le dava un sottile sensazione di potere mista a tenerezza. Era lei condurre il gioco e decidere cosa farne. E non era ancora sicura se la cosa potesse piacerle o meno.
- Da quando sono così piccolo ho imparato a riconoscere il tipo di ragazza da come mi raccoglie.
- E di me cosa hai capito?
- Tu non sei tipo da palmo aperto.
- In effetti mi piace essere pratica, se ti prendo, ti prendo bene. Disse aumentando la stretta.
La portiera dell'auto si aprì di colpo, Laura sembrava impaziente di salire e vincere la paura di quelle persone sconosciute. Barbara tirò indietro la mano e Marco appena in tempo prima che Laura ci si sedesse sopra.
- Ma sei idiota? Per un pelo schiacciavi lui e la mia mano! Non guardi prima di sederti?
Laura arrossì, e cercò di scusarsi. Ma Barbara rincarò la dose. Marco si sentì stritolare nel suo pugno tanto che dovette urlare per attirare l'attenzione.
- Guarda cosa mi fai fare. E vai a sederti dietro, quello è il tuo posto.
Laura aveva già gli occhi lucidi, scese e aprì la portiera sul retro. Si sedette restando zitta, mentre Barbara finiva di sbollire rimettendo Marco sul sedile indolenzito.
- Ti ho fatto male? Chiese.
- No, niente di grave. Tranquilla Laura, non è successo niente. Disse Marco.
- Perché c'ero io non è successo niente.
Barbara accese il motore nervosa e fece manovra per uscire dal parcheggio.
- Altrimenti diventavi una frittata sotto il suo culo floscio! Aggiunse.
- Barbara, non esagerare. Il tono di Marco si era fatto serio e perentorio. Lo squadrò, e per un attimo immaginò di schiacciarlo sotto la suola come stava schiacciando il pedale.
- Meglio se vai dietro anche tu! Prese Marco e lo mise in grembo a Laura, che ritirò le mani di scatto imbarazzata. Lui si ritrovò in equilibrio precario e le afferrò la maglia.
- Appoggiami sul sedile. Le disse. Lei eseguì velocemente il comando come avesse in grembo una tarantola. Marco atterrò in verticale come sul materassone in gomma piuma dopo il salto in alto.
- Ma che avete tutte e due? Disse massaggiandosi la schiena. - Se continuate così mi sa che stasera finisco un ortopedia.
Barbara li guardò nello specchietto retrovisore, schiacciò frizione e acceleratore nel cambiare marcia. L'idea di averli sotto i piedi tutti e due le diede una certa soddisfazione.

 

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