Remember me

di Teo5Astor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Una coniglietta misteriosa ***
Capitolo 2: *** Atmosfera e verità ***
Capitolo 3: *** La Sindrome della Pubertà ***
Capitolo 4: *** Il gatto di Schrodinger ***
Capitolo 5: *** Il primo appuntamento ***
Capitolo 6: *** Notte magica ***
Capitolo 7: *** Ricordi in dissolvenza ***
Capitolo 8: *** Il mondo senza di te ***
Capitolo 9: *** Loop temporali e quadrifogli ***
Capitolo 10: *** Il Demone di Laplace ***
Capitolo 11: *** Un sapore che fa battere il cuore ***
Capitolo 12: *** Due cuori sotto lo stesso cielo ***
Capitolo 13: *** Doppia promessa ***
Capitolo 14: *** Il ritorno della coniglietta ***
Capitolo 15: *** Una realtà che lacera il petto ***
Capitolo 16: *** L'arcobaleno dopo la pioggia ***
Capitolo 17: *** Il ritorno del Demone ***
Capitolo 18: *** Una goccia e una lacrima ***
Capitolo 19: *** L'uccello che condivide le ali ***
Capitolo 20: *** Doppi ***
Capitolo 21: *** Occhi di ghiaccio ***
Capitolo 22: *** Il paradosso dell'adolescenza ***
Capitolo 23: *** Odiare sé stessi ***
Capitolo 24: *** Fuochi d'artificio ***
Capitolo 25: *** Il posto più bello del mondo ***
Capitolo 26: *** Testa, cuore e gambe ***
Capitolo 27: *** Giant Killing ***
Capitolo 28: *** Panico tra sorelle ***
Capitolo 29: *** La verità sotterrata da una vita ***
Capitolo 30: *** La vita dell'altra ***
Capitolo 31: *** Complesso di inferiorità ***
Capitolo 32: *** Idol, attrici, genitori e fratelli ***
Capitolo 33: *** Sweet Bullet ***
Capitolo 34: *** Complimenti ingarbugliati ***
Capitolo 35: *** C18 ***
Capitolo 36: *** La lettera misteriosa ***
Capitolo 37: *** La missione di Goku ***
Capitolo 38: *** Il mondo fuori ***
Capitolo 39: *** La vita è un sogno senza fine ***
Capitolo 40: *** Goku-kun vs Goku-san ***
Capitolo 41: *** L'ultimo obiettivo di Goku-kun ***
Capitolo 42: *** Il passato che torna a bussare ***
Capitolo 43: *** La senpai di vita ***
Capitolo 44: *** La coniglietta senpai ***
Capitolo 45: *** Punto di rottura ***
Capitolo 46: *** Due temporali nel bel mezzo del niente ***
Capitolo 47: *** La principessa dagli occhi di ghiaccio ***
Capitolo 48: *** I diciott'anni di C18 ***
Capitolo 49: *** Il bacio del vero amore ***
Capitolo 50: *** Una miriade di emozioni ***
Capitolo 51: *** La vetta del cielo ***
Capitolo 52: *** Tempesta e Impeto ***
Capitolo 53: *** La vista dalla vetta ***
Capitolo 54: *** Il confronto tra le senpai ***
Capitolo 55: *** Coniglietta per sempre ***



Capitolo 1
*** Prologo - Una coniglietta misteriosa ***


1 – Prologo: Una coniglietta misteriosa
 
 
 
6 Maggio
 
Ma dove sarà quel dannato libro?! La scuola è iniziata da un mese e già rischio di rimanere indietro se non mi muovo a scrivere qualcosa di decente per quella fottuta ricerca di storia giapponese. Eppure dovrebbe essere in questa sezione della biblioteca quel volume, forse è proprio nel ripiano più in basso.
Mi accuccio e faccio scorrere i libri velocemente con la mano… eccolo! Estraggo il libro e lo guardo soddisfatto, anche se la parte difficile verrà adesso che dovrò studiarmelo, in realtà. Che due coglioni, la scuola. Sbuffo, mentre guardo la copertina di L’eredità di Oda Nobunaga dopo 450 anni e faccio per rialzarmi.
Un suono leggero di tacchi sul pavimento, una figura sfuggente, dei lunghi capelli dorati.
Mi volto di scatto, ma non vedo nessuno tra gli scaffali. Eppure… eppure mi sembra di aver visto qualcuno, una figura che si muove leggiadra. Mi sembra di aver visto delle lunghe orecchie da coniglio. Sono pazzo, probabilmente.  
Mi alzo e vado veloce in direzione di quella visione. Un profumo fresco mi riempie i polmoni e mi inebria. Un profumo di donna. Guardo freneticamente tra i corridoi pieni di gente comune e di studenti in divisa. Studenti come me, anche se ora non sto indossando la divisa del mio liceo ma un paio di jeans aderenti strappati sul ginocchio e una maglia nera attillata che mette in risalto i muscoli a cui tanto tengo e per cui cerco di allenarmi nel poco tempo libero che ho.
Cerco freneticamente con lo sguardo e la vedo, finalmente: una ragazza bellissima, alta e bionda, un fisico tonico e atletico, che si aggira in mezzo a tutte quelle persone senza che nessuno la degni anche solo di uno sguardo. Nonostante di sguardi ne meriterebbe ben più di uno, a dire la verità.
Resto impietrito di fronte a quello spettacolo: è meravigliosa, e soprattutto è vestita come una sexy coniglietta di quelle che si vedono solo nei manga o negli anime, al massimo. Scarpe nere col tacco molto alto, collant scure, uno stretto corpetto nero lucido fatto a body che fatica a contenere il generoso seno di questa ragazza e che attrae inesorabilmente la mia attenzione a ogni suo passo. Deglutisco il nulla, mentre la ammiro, mentre mi chiedo se sto sognando. Ha un pon pon bianco in fondo alla schiena e in testa un cerchietto con due lunghe orecchie nere da coniglietta. Un colletto bianco come quello di una camicia e un papillon nero intorno al collo, due polsini bianchi coordinati al colletto abbottonati ai polsi. La seguo con lo sguardo, temo di avere la bocca spalancata. Cazzo.
Ne ho viste di cose assurde nella mia vita io, Radish Son, nonostante abbia diciassette anni compiuti da una ventina di giorni. Cose a cui nessuno crede. Cose per cui sono stato emarginato. Eppure, questa mi lascia senza parole.
 
Osservo estasiato la coniglietta bionda che cammina leggiadra tra la gente, che si muove con un’eleganza che non ho mai visto in una ragazza. Che mi fa battere il cuore come mai mi era successo prima. Nemmeno quando, ormai due anni fa, pensavo di essermi innamorato.
La guardo, mentre si ferma davanti a una donna e le agita una mano davanti alla faccia, all’altezza degli occhi, non provocando nessuna reazione in lei. Si sposta, leggera e sensuale, fino a un tavolo su cui è intento a leggere e prendere appunti un uomo. Si siede davanti a lui con le gambe accavallate, ma non viene degnata nemmeno di uno sguardo. Scende dal tavolo e passeggia con le mani dietro la schiena in mezzo a un gruppo di persone che sembrano non vederla mentre cammina. Come se fosse trasparente ai loro occhi.
Come se non esistesse.
«Ma che…» esclamo senza pensarci, allibito e allo stesso tempo estasiato da quello a cui sto assistendo.
«Shhh!» mi zittisce una vecchia e austera signora. «Si fa silenzio in biblioteca, maleducato!» mi sgrida sottovoce, fulminandomi con lo sguardo e infilandosi in un corridoio pieno di libri.
«’fanculo…» borbotto tra me, seguendola con lo sguardo per un istante, prima di girarmi istintivamente di nuovo verso la ragazza vestita da coniglietta.
È lei adesso a guardarmi, finalmente, e i suoi occhi di ghiaccio si incatenano ai miei.
Quegli occhi di ghiaccio…
Un brivido mi accarezza la schiena e sembra attraversare i miei lunghi e folti capelli neri dalle radici alle punte.
Io quegli occhi li conosco.
Li conosco da anni, in realtà, anche se loro non conoscono me.
Li conosco perché ne sono attratto da sempre. Innamorato, direi, anche se non so molto sull’amore. Ma ho sofferto per qualcosa che credevo fosse amore, quello sì.
Il mio cuore perde un battito, quando mi rendo conto che sta camminando verso di me. Quando mi rendo conto che è davvero lei. La bambina e poi ragazza che ho sempre ammirato in televisione e sulle riviste di moda, nel corso degli anni. La ragazza che frequenta la mia stessa scuola, ma a cui non ho mai nemmeno rivolto la parola.
La ragazza che guardavo senza farmi notare. Irraggiungibile.
Il libro mi sfugge di mano, ma il suo tonfo sordo non copre il suono ritmato dei tacchi della coniglietta che si sta avvicinando a me.
Vicina. Sempre più vicina. Un fremito mi attraversa. Eccitazione e ansia. Merda.
Non le tolgo gli occhi di dosso, come potrei? Il suo sguardo è triste, rassegnato, ma allo stesso tempo nobile, fiero. Il suo sguardo mi fa male e mi rianima allo stesso tempo.
Vicina, sempre più vicina.
Un nodo mi attanaglia la gola. La bocca si fa più secca. Vista da  vicino è ancora più bella, se possibile, e non solo per quel costume che indossa.
Si ferma a un metro da me e mi scruta, i suoi occhi glaciali sembrano scavarmi dentro. La sua espressione si addolcisce un po’, all’improvviso.
«Davvero riesci ancora a vedermi?» mi domanda. «Non riesco a crederci».
Respiro a pieni polmoni il suo profumo fresco e la fisso, incapace di rispondere qualcosa di sensato a quella domanda. Perché non dovrei vederla? Perché tutti quanti sembrano non vederla?
Mi limito ad annuire con la testa.
«Ti saluto» ribatte, impassibile, voltandosi e riprendendo a camminare tra la gente che assiepa la biblioteca e continua a non notarla, come fosse invisibile. Il suo sguardo è tornato vacuo, dopo che aveva brillato per un solo, indimenticabile, istante.
Un istante che non potrò mai dimenticare.
La seguo verso l’uscita, come ipnotizzato, in un punto della biblioteca dove non c’è nessuno e perdendomi per un attimo sul pon pon bianco posto sul suo sedere. Sul suo magnifico culo, per essere preciso.
«Ehm… sbaglio o sei Lazuli Eighteen?» le domando di getto, cercando di recuperare la mia consueta sicurezza.
Sì, perché la gente a scuola tende a emarginarmi, ma in realtà a me non interessa questa cosa. Non intacca la sicurezza che ho in me stesso o il mio buonumore. Onestamente, non me ne frega un cazzo di quello che la gente pensa di me. Perché dovrebbe importarmene? Se loro non sono importanti per me, perché dovrebbe interessarmi l’opinione che si sono fatti di me? Io ho due amici e un fratello minore che mi vogliono bene, mi basta questo. Mi interessa quello che pensano loro di me. Che si fottano gli altri. Io sono Rad e sotto ho due palle così, non mi interessa se la gente non lo saprà mai. Io vivo la mia vita e vado avanti, ogni giorno supero gli ostacoli che ho trovato sul mio cammino due anni fa e cerco di farlo col sorriso sulle labbra, anche quando mi sento a pezzi. Anche quando mi sembra di non farcela. Ma non ho paura, perché ho imparato a nuotare più forte quando ho rischiato di affogare. Quando ho trovato solo una mano tesa verso di me, pronta ad aiutarmi. Ad amarmi, forse. Ho imparato a correre più veloce della merda che mi è piovuta addosso all’improvviso per non farmi colpire, per non farmi travolgere. Per potermi voltare e riderle in faccia. Per poter ridere di nuovo, spensierato come una volta.
La coniglietta si blocca e si volta lentamente, facendo ondeggiare i suoi capelli biondissimi e sistemandoseli con una mano dietro l’orecchio, mentre riprende a scrutarmi con uno sguardo glaciale e indagatore al tempo stesso. Quante volte ho ammirato quel gesto in televisione? E quante volte mi è capitato di spiare quel momento a scuola, durante gli intervalli che lei regolarmente passa da sola? Già, sola. Proprio come accade quasi sempre anche a me.
«Se mi chiami così, devo presumere che frequenti il mio stesso liceo» risponde freddamente, mentre un orecchio da coniglio si piega leggermente in avanti.
«Sì, sono Radish Son, secondo anno, sezione 1».
«E io sono Lazuli Eighteen, mi hai riconosciuta anche se sono del terzo anno. Bravo».
«Beh, sei piuttosto famosa. È stato facile!» le dico, accennando un sorriso e muovendo un passo verso di lei.
«Ti do un piccolo consiglio: dimentica quello che hai visto oggi» ribatte, impassibile, senza smettere di guardarmi fissa negli occhi. «E cerca di non avere mai più niente a che fare con me» aggiunge, enigmatica e gelida.
«Eh?» riesco solo a farfugliare, incapace di reagire a quelle parole, mentre la guardo voltarsi e uscire dalla biblioteca. Tra i suoi capelli biondi noto una molletta nera glitterata a forma di coniglio, ma nel suo sguardo leggo un profondo dolore. Leggo in lei la voglia di spensieratezza, di serenità, e allo stesso tempo un peso troppo grande da portare sulle spalle. Paura, forse.
Rivedo qualcosa di me stesso in lei.
Resto impietrito.
Osservo impotente la porta che si chiude alle sue spalle.
Respiro a pieni polmoni per un’ultima volta il suo profumo fresco, prima che si dissolva nell’aria. Un profumo che ho appena conosciuto e che mi fa stare bene, non saprei nemmeno dire perché.
Un gruppo di studenti fa il suo ingresso in biblioteca e mi passa accanto, rischiando quasi di travolgermi, pietrificato come sono in mezzo al loro passaggio. Due di loro mi guardano male e si dicono qualcosa sottovoce, indicandomi. Non hanno la divisa del mio liceo, ma immagino conoscano qualcuno che viene a scuola con me e mi abbiano riconosciuto. Ovvio. Tutto normale. Ma, più che altro, almeno loro avranno notato quell’incantevole e misteriosa coniglietta bionda?
Cosa significano le sue parole? Perché me le ha dette? Cosa ci faceva in biblioteca vestita così? E perché nessuno sembrava vederla?
Sto solo sognando?
Troppe domande, troppi perché. Nessuna risposta. Sento la testa scoppiarmi. Sento il cuore esplodermi nel mio petto segnato da una profonda ed enorme cicatrice simile alla zampata di un leone o di una tigre.
«Lazuli Eighteen…» sussurro, continuando a fissare la porta e portandomi una mano sul petto. Accarezzo la mia cicatrice nascosta dalla maglietta, prima di stringere i pugni così forte da farmi male. «Come potrei dimenticarti?»
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: ciao a tutti! Prima di tutto, grazie di cuore per aver dato fiducia a questa mia nuova long, posso solo sperare che questo breve prologo vi abbia incuriosito e vi siano piaciuti i primi due personaggi che vediamo in scena!
Pian piano verranno svelati diversi misteri, niente e nessuno compare per caso in questa storia, spero vi divertirete un po’ anche voi a scervellarvi sul perché i personaggi fanno o dicono certe cose e su cosa c’è dietro tutta questa vicenda.
Molti interrogativi restano in sospeso al termine di questo capitolo, qualcosa verrà chiarito già nel prossimo e vedremo anche entrare in scena altri personaggi. A tal proposito vi anticipo solo la presenza del nostro amato Prince, la cui brotherood con Rad spero riesca a emergere anche in questa storia.
Poi, andando avanti, ci sarà spazio a poco a poco per molti altri personaggi. È una storia divisa in scaglioni, o in piccole saghe, tutte collegate tra loro una dopo l’altra e che seguono la vita di Rad, il suo rapporto con l’enigmatica Lazuli, i suoi amici, la sua famiglia, il suo passato. C’è un po’ di tutto, è una storia scolastica e sentimentale di base, ma, come vedrete, ci sarà spazio per il mistery e per il supernatural, in un certo senso.
 
A proposito di scuola, in Giappone l’anno scolastico comincia a inizio aprile e il liceo dura tre anni. Rad è in seconda nonostante abbia diciassette anni perché da loro le elementari durano sei anni, mentre le medie tre come in Italia.
Il termine “senpai” lo troverete nei prossimi capitoli e significa “collega o compagno più grande di età, sul lavoro o a scuola”. Il termine opposto è “kohai”.
Altre cose che troverete sono le desinenze alla fine dei nomi o cognomi, partendo dal presupposto che in Giappone chiamare per nome (e non per cognome) una persona è già segno di grande confidenza. Il “-san” è una desinenza onorifica, posta in segno di rispetto, mentre il “-kun” e il “-chan” si utilizzano quando ci si considera alla pari e si ritiene di usarli, il primo di solito per i nomi maschili e il secondo per quelli femminili. Esiste ad esempio anche “-sama”, che è estremamente onorifico, se non solenne.
Per il resto, Fujisawa è una città sul mare che dista una cinquantina di km da Tokyo (ed è la città di Holly e Benji, se vi ricordate).
Molti di voi sapranno già queste cose, ma ho preferito spiegarle lo stesso. Se ho sbagliato qualcosa o avete dubbi, fatemi sapere! :-)
 
Ho cercato di scrivere una storia un po’ diversa dal solito, con protagonisti principali un po’ diversi dal solito e con un’ambientazione giapponese e scolastica: non posso che sperare di avervi divertito e incuriosito, se vorrete lasciarmi il vostro parere o se avete domande da farmi io ne sarò felicissimo e onorato!
 
Pensavo di prendermi una pausa un pochino più lunga dopo “Beauty and the Beast” e “Invictus”, che sono stati particolarmente impegnativi, ma questa storia si sta scrivendo letteralmente da sola da quanto mi sto divertendo a buttarla giù e da quanto ho sentito improvvisamente il bisogno di scriverla, quindi sono di nuovo qui e spero vi farà piacere! ;-)
Ringrazio in anticipo tutti voi che avete letto questo prologo, chi inserirà questa nuova long nelle liste e chi vorrà scrivermi il suo parere o dei consigli! Un grazie speciale a chi mi ha sempre sostenuto in tutti i questi mesi e a chi mi ha trasmesso tanto entusiasmo per scrivere questa storia.
Vi piace Lazuli in versione coniglietta? E, soprattutto, perché sembra vederla solo Rad?!
 
Grazie ancora, ci vediamo giovedì prossimo col capitolo 2 e tanti misteri da svelare!
 
Teo
 
 
 

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Capitolo 2
*** Atmosfera e verità ***


2 – Atmosfera e verità
 
 
 
Dimenticarla? La fa facile lei…
Mi rigiro nel letto, mentre la luce del sole pugnala la stanza filtrando dalla tapparella che non tiro mai giù del tutto. Mi piace veder filtrare di notte la pallida luce della luna e quella dei lampioni, come adoro svegliarmi con la stanza già illuminata dal sole.
«Che palle…» sbuffo, mentre il suono della sveglia del mio cellulare sul comodino mi rimbomba nella testa e mi irrita. Ho dormito poco e niente stanotte, non ho fatto altro che pensare a quegli occhi di ghiaccio e a quel costume da coniglietta. A quelle parole enigmatiche.
«Ciao fratellone!»
Una voce squillante, due braccia che mi cingono il collo e mi tirano per abbracciarmi.
«Lasciami tranquillo, Goku…» borbotto, ancora mezzo intontito, cercando di liberarmi della presa di mio fratello. Lui ha quattordici anni, ma è come se ne avesse una paio di meno mentalmente, forse anche di più. Non per colpa sua, in realtà, ma di come ha reagito lui a quello che gli è successo due anni fa.
«Ma Goku ti vuole tanto bene!» esclama, sdraiandosi accanto a me, felice.
Apro gli occhi e gli sorrido, indossa come sempre la sua felpa arancione con in testa il cappuccio a forma di tirannosauro che contiene a fatica i suoi folti capelli neri così spettinati da avere la forma di una palma.
«Stai diventando grande, ormai» gli dico, dopo essermi alzato e aver spalancato la finestra. «Non dovresti più infilarti nel mio letto al mattino».
«Urca! Non essere crudele, fratellone!» replica lui, fingendosi corrucciato. Gli calco il cappuccio sulla fronte e mi preparo, devo andare a scuola.
 
«Ti piacciono le ragazze vestite da coniglietta, Prince?» butto lì dal nulla, senza smettere di fissare distrattamente il paesaggio che mescola continuamente i suoi colori mentre il treno su cui mi trovo col mio amico e compagno di classe Vegeta Princely sfreccia a tutta velocità verso la nostra scuola. Il vagone è pieno, soprattutto di studenti. Noi siamo in piedi e guardiamo fuori dai finestrini, ancora troppo intontiti dal sonno al mattino presto per fare discorsi sensati.
«No, tsk!» risponde, loquace come sempre.
«Dici che non ti piacciono perché le adori, forse?» ribatto, voltandomi verso di lui e accennando un ghigno.
«In effetti le adoro» sta al gioco, sorridendomi sghembo. I suoi capelli neri sono perfettamente sistemati col gel anche stamattina, in quella sua acconciatura a fiamma che, a quanto pare, tanto piace alle ragazze.
«Mettiamo il caso in cui, in biblioteca, tu ti imbatta in un’incantevole “coniglietta”… come ti comporteresti?» riprendo.
«La guarderei una seconda volta per accertarmi di non essere diventato pazzo».
«Giusto, e poi?»
«Poi credo che resterei lì impietrito da una scena così assurda, no?! Ma che cazzo di domande fai, Rad?! Ho sonno…»
«Lascia perdere, Prince» sorrido, mentre scendiamo dal vagone e ci avviamo verso la scuola, il Liceo Minegahara della Prefettura di Kanegawa, circondati da un’ondata di ragazzi e ragazze vestiti esattamente come noi: giacca marrone, camicia bianca con cravatta rossa, pantaloni o gonna corta neri a seconda del sesso.
In mezzo a quella ressa, all’improvviso, la vedo.
Una decina di metri davanti a noi.
Il mio battito aumenta. Cammina da sola tra la gente, mentre il sole sembra rendere ancora più lucenti i suoi capelli biondi. La riconoscerei ovunque, anche di spalle.
«Senti, Prince»
«Uhm?»
«La vedi davanti a noi la senpai Lazuli Eighteen?»
«Certo che la vedo, mi hai preso per un cieco?!»
«Chissà che persona è…»
«Beh, è una celebrità. A me sembra solo altezzosa, Rad».
«A me sembra molto sola» ribatto, senza toglierle gli occhi di dosso. Nessuno le parla, nessuno le si avvicina. «Anche se è una celebrità».
«Anche se si è presa una pausa dal lavoro rimane sempre famosissima, no? Figurati se è sola…» riprende Vegeta, lievemente scocciato.
«In effetti sono rimasto a bocca aperta quando ho scoperto che frequentavamo la stessa scuola» riprendo, notando la molletta nera glitterata a forma di coniglio tra i suoi capelli e riuscendo a intravedere anche il suo sguardo fiero e allo stesso tempo triste, ora che si è voltata leggermente di lato.
«Se devo essere sincero, mi fa piacere che finalmente provi interesse per una ragazza che non sia Videl Satan» mi dice Vegeta, guardandomi fisso negli occhi. «Ma non starai puntando fin troppo alto, adesso?»
«Beh, ma non ti ho mica detto che provo qualcosa per Lazuli. E non mi sono neanche dichiarato a lei, comunque» ribatto, omettendo la parte su Videl.
«E allora perché parli di lei stamattina e mi stai tirando scemo?»
«Niente, è che a scuola non l’ho mai vista parlare con nessuno. È sempre da sola».
«Veggy!»
Non ho bisogno di voltarmi per riconoscere la voce da oca di Marion che mi spacca i timpani. Intravedo Vegeta barcollare leggermente, dato che la sua ragazza deve aver iniziato come sempre a strattonarlo per il braccio e a tirarlo verso di sé. La cosa bella di queste scene è che mi fanno ridere, perché il mio amico è terribilmente a disagio. Veggy… ma come cazzo si fa?! Fatico a non ridergli a faccia.
«Smettila, dai, non starmi addosso! E non chiamarmi così davanti a tutti, tsk!» borbotta Vegeta, imbarazzato e scuro in volto. «A dopo, Rad!» aggiunge, mentre viene trascinato via dalla sua ragazza. «Ok, Veggy!» rispondo ghignando, scandendo per bene il nome e beccandomi un’occhiata che sa tanto di minaccia da parte del mio amico.
Prima che i due si perdano tra la folla, incrocio il mio sguardo con quello di Marion. I suoi grandi occhi azzurri mi guardano con estremo disprezzo anche oggi, come sempre. Sospiro, scuotendo leggermente la testa e sorridendo, mentre lei si volta di scatto e riprende a camminare spedita stretta a Vegeta. Guardo i suoi lunghi capelli azzurri sparire nel mare di divise scolastiche marroni e nere che mi circondano.
Mi odia anche lei, ovviamente, come quasi tutte le persone presenti qui a scuola.
Ma non me ne frega un cazzo, sinceramente.
 
Arrivo in classe e mi siedo al mio solito banco in ultima fila laterale, vicino alla finestra. Mi piace guardare fuori. Pensare. Sognare, a volte.
Si vede il mare, da qui. Se apro la finestra posso anche sentirne il profumo, farmi cullare dal suo canto eterno e immutabile. Mi piace vedere il mare.
Non saluto nessuno, nessuno mi saluta.
Invisibile o quasi. Ma va benissimo così.
Solo Bulma Brief mi fa un cenno col capo, seduta al prima banco davanti alla cattedra, impeccabile come sempre. Capelli turchini e divisa perfettamente in ordine, occhiali e libri già disposti davanti a lei. Maledetto genio travestito da ragazza. Le rispondo con un sorriso, prima di guardare fuori dalla finestra due gabbiani che volano e sembrano rincorrersi.
Mi sembra di vedere due occhi blu nel cielo, occhi che non vedo da due anni. Due codini neri, un sorriso dolce. I contorni del volto di Videl mi appaiono sfocati oggi, però. Chiudo gli occhi per un attimo e li riapro. Sorrido automaticamente nel vedere nel cielo gli occhi di ghiaccio di Lazuli, i suoi capelli biondi. Il suo sguardo triste che per un istante sembra brillare, come ieri in biblioteca. Sento il cuore battere un po’ più forte.
«Ho parlato poco fa con un senpai del club di calcio, te lo ricordi Napa?»
La voce di Vegeta non mi fa distogliere lo sguardo dal cielo, ma lo ascolto con attenzione. È arrivato anche lui in classe, dopo aver accompagnato Marion nella sua, cioè in quella accanto alla nostra. La coppia di gabbiani sparisce dietro una nuvola, diretti verso il mare.
«Chi, il bestione pelato che fa il portiere nella tua squadra? Lui è in classe con Lazuli se non sbaglio».
«Ecco, appunto, gli ho chiesto della senpai Lazuli» riprende Vegeta.
Mi volto e lo guardo dritto negli occhi, in piedi accanto a me con ancora lo zaino su una spalla.
«Però, prima di parlare di lei, mi ha anche detto che ti rivuole in squadra. Senza di te, in difesa facciamo cagare. Se torni in campo possiamo vincere il campionato».
«Me lo dici sempre anche tu, Prince» rispondo, ripensando a quanto mi sia sempre piaciuto giocare a calcio. Ho sempre giocato fin da piccolo. Sono entrato nel club di calcio della scuola insieme a Vegeta, all’inizio del primo anno. Eravamo le uniche due matricole che sono diventate subito titolari, ma ho dovuto mollare dopo tre partite. Non ce la facevo a star dietro a tutto, ho dovuto sacrificare la mia passione, una passione in cui me la cavavo molto bene, tra l’altro. Studio e lavoro, è diventata questa la mia vita. «Ti giuro che vorrei giocare ancora, ma adesso come adesso è impossibile… magari tra qualche mese, o all’inizio del nostro terzo anno…».
«Tsk! Per quanti gol riesca a segnare io in attacco, corriamo sempre il rischio di prenderne uno in più coi difensori del cazzo che abbiamo…» sbuffa, stizzito. Lui è la stella della squadra. Ma un giocatore, da solo, fa vincere una partita, l’organizzazione e il gioco di squadra fanno vincere i campionati. E lui lo sa benissimo.
«Vorrei tanto anch’io vincere il campionato della prefettura e andare ai nazionali con te» gli dico, in tono malinconico, ripensando alla mia maglia da gioco col numero cinque. «Ti prometto che ce la faremo» gli sorrido, allungando il pugno chiuso verso di lui.
«Ovvio» ghigna, battendo il suo pugno contro il mio.
«Dai, parlami di Lazuli… cosa ti ha detto Napa?»
«Stando a quello che dice lui, sembra che non abbia mai frequentato le lezioni durante i primi mesi del loro primo anno» spiega Vegeta.
«Come mai?»
«Per il suo lavoro. Nonostante avesse annunciato di volersi prendere una pausa alla fine della scuola media, alcuni contratti che aveva già firmato l’hanno tenuta impegnata più del previsto».
Il mio amico si interrompe per un attimo e mi scruta, come se volesse studiare la mia reazione.
«E poi?! Cazzo, non farti tirare fuori le parole di bocca con le tenaglie, Prince!»
«Ha iniziato a frequentare regolarmente solo dopo la pausa estiva del loro primo anno» riprende, sorridendomi sghembo.
«Non dev’essere stato facile per lei» sospiro, e mi rendo conto di sentirmi triste.
«Già… Lazuli Eighteen, la celebrità che ha iniziato a venire a scuola solo da metà anno. Napa dice che è una completa estranea per loro» conferma Vegeta, sedendosi al suo banco, accanto al mio.
«Una volta delineata, non è facile cambiare la struttura sociale di una classe» spiego, mentre vengo attratto dalle risate di un gruppo di quattro ragazze che camminano nel corridoio passando davanti all’entrata della nostra classe. La mia attenzione viene catturata da una ragazza minuta dai lunghi capelli blu legati in un vistoso fiocco rosso, che sembra sorridere forzatamente mentre le altre parlano e stringe le sue mani l’una nell’altra tradendo un certo nervosismo. Non sembra a suo agio, non saprei dire perché. Devono essere del primo anno, non le ho mai viste.
«Se ti distingui dalla massa, gli altri iniziano a parlarti alle spalle, a darti dell’altezzoso» riprendo, tornando a guardare Vegeta mentre la nostra classe è ormai quasi tutta piena di studenti che parlano e scherzano tra loro. «A farti passare per “diverso”».
«Non ci metterà del suo anche lei?» domanda il mio amico. «A me non sembra molto simpatica».
«No, è solo che, arrivati a un certo punto, è difficile tornare indietro. Quando ti appiccicano addosso un’etichetta è dura levarsela di dosso» rispondo in tono duro, distogliendo il mio sguardo da quello di Vegeta e riprendendo a guardare il cielo. E poi il mare. Io lo so bene, tutto questo. «L’atmosfera intorno a Lazuli la fa considerare da tutti come se non esistesse, lei non ha fatto altro che abituarsi a tutto questo. Qui a scuola, più che un’estranea, è come se non esistesse. Io almeno gli insulti li becco, no?» sorrido mestamente, non tanto per me, quanto più per la situazione di Lazuli.
«Rad, io…».
«È questa l’atmosfera che si genera in una scuola attorno ad ognuno di noi, semplicemente» lo interrompo, mentre la professoressa di inglese entra in classe ponendo fine ad ogni discorso.
 
All’ora di pranzo vado a sedermi nel cortile della scuola su una panchina isolata, nell’erba, per mangiare tranquillo il panino che mi sono portato da casa.
Penso a Lazuli, come del resto ho fatto per tutta la mattinata.
Credo che nessuno voglia avvicinarsi a lei per parlarle perché teme di distinguersi e di ritrovarsi poi isolato dal resto del gruppo. Dalla massa. Dalle regole dell’atmosfera che si è creata intorno alla figura di Lazuli in questa scuola. Sono certo che lei non stia facendo altro che cercare di interpretare questa “atmosfera”, di immedesimarsi nel ruolo che le hanno cucito addosso.
«Ehi, Son! Dobbiamo parlare!» la voce stridula di Marion mi riporta alla realtà. La guardo, in piedi davanti a me, col suo corpo da favola e il suo cervello da gallina. Mi sta fulminando con lo sguardo, mentre stringe i pugni irritata. La camicia è decisamente sbottonata all’altezza del suo generosissimo seno, ovviamente.
«Ciao dolcezza» le rispondo ironico, distrattamente, dando un morso al panino e soffermandomi in lontananza sul caos che si genera in prossimità del bar della scuola. Visti da qui, quegli studenti addossati gli uni agli altri mi sembrano tutti uguali. Privi di personalità. Formiche in un formicaio. «Perché non sei con Vegeta?»
«Perché aveva una riunione al club di calcio, stupido!» risponde, giuliva e fiera di sé. «Comunque non voglio che tu parli con Veggy. Mai più!»
Osservo perplesso i suoi grandi occhi azzurri carichi d’odio. Un po’ mi viene da ridere, un po’ provo tenerezza per lei. «Non mi sembra di interferire nella vostra relazione» le dico tranquillamente, bevendo un sorso di succo al lampone dalla cannuccia.
«Non intendo questo, e tu lo sai bene!» ribatte lei, incrociando le braccia al petto. «Tutti sanno di quel tuo famoso incidente, quello dell’ospedale!»
Sospiro leggermente, guardandola per un attimo negli occhi e dando di nuovo un morso al panino. Tofu, pomodoro, insalata e maionese senza uova: ho fatto un bel lavoro, penso compiaciuto.
«Veggy finirà in cattiva luce se la gente continua a vederlo insieme al reietto della scuola! E io non potrei sopportare una cosa simile!» riprende Marion. La sua voce mi sembra ancora più stridula, se possibile.
«Stando a quello che hai detto, anche tu adesso stai rischiando di finire in cattiva luce visto che stai passando l’intervallo con me» le sorrido. «Lo sai, vero?»
«Stai cercando di litigare, Son?!»
«Io no, anzi. Ti ringrazio per avermi fatto compagnia durante il pranzo» rispondo, alzandomi in piedi. «Però mi sembri nervosa, hai le tue cose oggi?» aggiungo, ghignando leggermente.
«M-ma.. c-come… come ti permetti!» grida con voce da oca. «Maiale schifoso!» aggiunge, rabbiosa e offesa, decisamente rossa in faccia, prima di voltarsi di scatto e andarsene. La seguo con lo sguardo e la vedo raggiungere un gruppo di suoi compagni di classe che sono arrivati in cortile in questo momento, tutti maschi. Ne abbraccia un paio, si struscia a loro, fa la gatta morta. Tutto nella norma, insomma. Non so come faccia Prince a stare con una come lei, sinceramente.
Guardo le persone che camminano a gruppetti intorno a me e penso che alla fine nessuno ha mai voglia di cambiare veramente. Anche chi si lamenta, chi si annoia, chi non si sente bene dove sta, non avrà mai il coraggio o la capacità di uscire dal gruppo.
Che si fottano tutti.
 
Finite le lezioni mi fermo ancora un po’ a scuola per la mia ricerca di storia giapponese e poi mi avvio a piedi verso la stazione, nella pace più totale, mentre il sole comincia a calare verso l’orizzonte. Quelli dei club, come Vegeta, sono ancora a scuola, gli altri se sono già andati alla fine dell’ultima ora del pomeriggio. Anche in stazione ci saranno di sicuro pochi studenti.
Arrivo sulla banchina e la voce di un ragazzo sui venticinque anni attira la mia attenzione.
«Quella è Lazuli Eighteen! Sì, ne sono certo! Le scatto una foto!» esclama, estraendo dalla tasca il suo cellulare e puntandolo davanti a sé.
«Sì, sì, è lei!» conferma eccitata quella che presumo sia la sua ragazza.
«E dai, Lazuli, girati!» le dice a gran voce lui.
Guardo sulla banchina e la vedo anch’io, girata di spalle, col suo coniglietto nero glitterato tra i capelli biondi e la cartella in mano. Non si scompone, non si volta. È sola.
Sorrido e cammino tra lei e il ragazzo che la sta fotografando, fermandomi giusto in tempo per sentire il clic del suo telefono che ha scattato la fotografia e sforzandomi anche di guardare nell’obiettivo, cercando di non ridere.
«Ehi, ma che cazzo fai?!» mi dice, pensando di farmi paura. Lo guardo meglio: orecchini, anelli, faccia da culo da sottospecie di teppista di quartiere.
«Niente, aspetto il treno» rispondo tranquillamente, fissandolo negli occhi. «Hai problemi?»
«Chi cazzo sei tu per parlarmi così?!»
«Un essere umano, direi. Tu invece sei un depravato che va in giro a fare foto alle liceali, per caso?»
«M-ma… come ti permetti, pezzo di merda!» ringhia, muovendo un passo verso di me. Non smetto di fissarlo, non mi sposto. Non mi scompongo, tengo le mani in tasca. Sono più alto e più grosso di lui, anche se sono più giovane. Voglio vedere se ha davvero le palle questo sfigato. Gli sorrido.
«Dai, basta, andiamo! Ci guardano tutti…» interviene la sua ragazza, trascinandolo via.
Li seguo con lo sguardo finché spariscono dalla mia vista, inghiottiti dalle altre persone e dagli studenti presenti sulla banchina. Mi giro e mi metto accanto a Lazuli, in attesa del treno.
«Grazie» mi dice freddamente lei, voltandosi nella mia direzione e sfilandosi dalle orecchie gli auricolari collegati al suo telefono.
Le sorrido. Il mio cuore batte un po’ più forte. Sento il sangue bollirmi nelle vene. Tengo le mani in tasca, cerco di mostrami sicuro.
«Credevi che mi sarei arrabbiata e che ti avrei detto di farti gli affari tuoi?» aggiunge, mentre il sole crea un gioco di colori bellissimo nei suoi occhi glaciali.
«Se devo essere sincero, sì».
«Volevo dirti così in effetti, ma mi sono trattenuta».
«Forse era meglio se tenevi per te anche questo» le sorrido, mentre lei torna a guardare davanti a sé, imperscrutabile come sempre. Da quello che la conosco, almeno. La imito anch’io e punto lo sguardo verso i cartelloni pubblicitari affissi davanti a noi, anche se in realtà non li vedo. È come se ci fossimo solo io e lei in questo momento. E mi sento bene.
«Ormai sono abituata a quelle cose» riprende lei.
«Però sono cose che danno sempre fastidio, immagino. La gente troppo invadente mi sta sul cazzo, mi porta allo sfinimento».
«Già, allo sfinimento… non potevi usare espressione migliore…» sospira, mentre accenna un sorriso. Un sorriso che si spegne quando inizia a vibrare il suo cellulare ricoperto da una cover fucsia con due orecchie da coniglio che spuntano sulla sua sommità. Sbircio sul display, mentre lei lo fissa tenendolo in mano davanti a sé senza muoversi. Leggo la parola “Manager”.
«Rispondi pure» le dico, riprendendo a guardare davanti a me.
«No, sta arrivando il treno» risponde, gelida, mettendo via il telefono mentre il convoglio si ferma davanti a noi. «Tanto so già cosa vuole la mia manager».
 
Ci sediamo uno accanto all’altra, il nostro vagone è semivuoto per fortuna e non c’è nessuno vicino a noi. Guardiamo entrambi davanti, restiamo qualche secondo in silenzio. Respiro il suo profumo fresco, quello che ho sentito ieri in biblioteca, e sembra baciarmi i polmoni e accarezzarmi l’anima.
«Riguardo a quella cosa di ieri…»
«Non ti avevo detto di dimenticare tutto?!» mi interrompe.
«Quel completino da coniglietta era troppo eccitante per potermelo dimenticare, lo sai, vero?» la provoco, accennandole un sorriso sghembo. Inizio a sentirmi a mio agio in sua compagnia. Penso di potermi concedere il lusso di essere me stesso, quando sono con lei. O almeno, voglio provare a essere me stesso così che lei mi conosca per quello che sono davvero.
«E-ehi! Non avrai mica fatto qualcosa di strano mentre pensavi a me, ieri sera!» esclama, tirandosi su dritta sulla schiena e voltandosi verso di me. Le sue guance sono leggermente arrossate, il suo viso è corrucciato. È bella. Ed è tenera, vista così.
Qualcuno si gira in nostra direzione, attratto dal suo tono di voce improvvisamente alto. Anche alcuni ragazzi e ragazze con la divisa del nostro liceo. Mi viene troppo da ridere, mentre Lazuli incrocia le braccia al petto e guarda di nuovo davanti a sé, sempre più rossa in faccia. La trovo bellissima. E tenerissima.
«Non che mi dia fastidio essere la fantasia sessuale di un ragazzo più giovane di me…» borbotta sottovoce, prima di zittirsi, evidentemente imbarazzata. La adoro.
«Dimmi una cosa, Radish…» riprende, sospirando. Mi sembra di nuovo triste.
«Oh, ti sei addirittura ricordata il mio nome?» le dico, sinceramente stupito e onorato. «Puoi chiamarmi Rad, se vuoi».
«So delle voci che girano sul tuo conto. Le avevo già sentite a scuola e ieri sera ho cercato un po’ in rete e sui social» continua, e mi sembra sempre più triste. Sospiro a mia volta, appoggiando la schiena al sedile e guardando davanti a me. «Dicono che due anni fa hai picchiato tre tuoi ex compagni delle medie fino a farli finire all’ospedale in un lago di sangue…».
«Sono onorato che una mia senpai, e per giunta una celebrità come te, abbia fatto ricerche su di me».
«Certo che internet è allucinante, basta un secondo per accedere a tutte queste informazioni su un singolo individuo» aggiunge, mostrandomi il display del suo telefono con i risultati della ricerca fatta scrivendo il mio nome su Google. Nulla che non sapessi già, in realtà Nulla che mi interessi davvero.
«C’è più roba su di me dell’ultima volta che avevo guardato. Occhio che divento più famoso di te» provo a scherzare. «Io non uso i social e non guardo molto lo smartphone. Mi serve a poco».
«Immagino tu non abbia amici» mi dice.
«Amici? Ne ho ben due, mi ritengo fortunato».
«Ben due?!» ripete allibita.
«Avere due amici veri basta e avanza, a mio avviso. Mi basta restare in buoni rapporti con loro per sempre, no?»
Guardo Lazuli che solleva la testa e apre leggermente la bocca, stupita dalle mie parole. Colpita da quello che ho detto, anche.
«Qual è la tua opinione riguardo alle voci sul mio conto sull’incidente dell’ospedale?» le domando, mostrandomi calmo.
«Basta ragionare un secondo per capire che è impensabile che qualcuno che ha commesso davvero un simile gesto possa venire a scuola come se nulla fosse» risponde di getto, senza scomporsi. Senza il minimo dubbio. Sorrido e la guardo negli occhi. Vorrei abbracciarla, vorrei urlare.
A volte basta poco per essere felici. Basta qualcuno che sappia vederti per quello che sei, senza pregiudizi. Qualcuno che non ha paura di nuotare controcorrente, di uscire dal gregge. Qualcuno che non abbia paura di uscire dalla mischia con la palla ovale in mano, da solo, come durante una partita di rugby, esponendosi ai colpi degli altri che a quel punto gli andranno tutti contro. Qualcuno che non abbia paura di usare la propria testa.
«Quanto mi piacerebbe che anche a scuola facessero il tuo stesso ragionamento, almeno i miei compagni di classe» esclamo sorridente, incrociando le braccia sul petto.
«Dovresti dirglielo tu a loro che quelle voci non sono vere» suggerisce Lazuli.
«Sai, le voci sul conto di una persona sono un po’ come l’atmosfera» spiego, distogliendo il mio sguardo dal suo e abbassandolo leggermente. Il mio sorriso diventa malinconico, come il tono della mia voce, senza quasi che me ne renda conto. «Una persona deve saper interpretare questa “atmosfera”, credo. Anche se per qualche motivo questa “atmosfera” ti etichetta come un poco di buono o come quello che non sei, se mal interpretata. Inoltre, le persone che la creano spesso non sono una parte attiva di questa “atmosfera”, quindi il più delle volte è del tutto inutile contrastarla. A me non interessa quello che la gente pensa di me, in fondo».
«Mi stai dicendo che, invece di provare a chiarire l’equivoco, preferisci arrenderti senza nemmeno provarci?» ribatte Lazuli, irritata e malinconica al tempo stesso, fissando i sedili vuoti davanti a sé. Il suo tono mi fa male. Le sue parole mi fanno riflettere.
Restiamo in silenzio per un paio di minuti, mentre il vagone si svuota ulteriormente. La prossima fermata sarà la mia, e mi spiace che questo viaggio debba finire. Mi rende triste. Sento un nodo in gola a cui cerco di non badare e mi volto di nuovo verso di lei. I suoi occhi di ghiaccio sono leggermente abbassati e mi sembrano di nuovo vacui, come ieri in biblioteca quando se n’è andata. Non è solo bella, non è solo una celebrità. Non so cosa provi, cosa la preoccupi. Ma mi fa tanta tenerezza questa ragazza così enigmatica. Vorrei tanto poterla aiutare. Poterla proteggere.
Respiro profondamente e mi faccio coraggio. Voglio sapere la verità su di lei, o non potrò mai aiutarla. O non potrò mai essere nulla di più per lei che un suo semplice kohai.
«Ora tocca a me farti delle domande, e non rispondermi che devo dimenticare quello che è successo» le dico all’improvviso, rompendo il silenzio e guardandola. Lei si volta leggermente e inchioda i suoi occhi di ghiaccio nei miei neri come la pece. Sospira e accenna un sorriso lieve. Triste, ma pur sempre un sorriso. «Puoi spiegarmi quello che è successo ieri?»
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: eccoci qui, dico subito grazie a tutti voi che state dando una chance a questa storia e a questi personaggi magari un po’ insoliti come protagonisti. Sono onorato per il buon riscontro che ha avuto il primo capitolo e per le bellissime parole di incoraggiamento che mi avete detto, spero di aver stuzzicato la vostra curiosità anche in questo. Un grazie speciale a chi mi ha lasciato un commento, soprattutto, e a chi ha inserito la storia nelle liste. Ringrazio anche chi preferisce leggere in silenzio, mi date tanta forza anche voi! Se avete dubbi e curiosità su quello che avete letto, chiedetemi pure!
 
Qualcosa si muove in questo capitolo, anche se le prime vere rivelazioni arriveranno nel prossimo. Vediamo Goku, e scopriamo che anche a lui è successo qualcosa due anni prima, qualcosa che l’ha segnato. Perché parla di sé stesso in terza persona, tra l’altro?
Scopriamo quali sono le voci che girano su Radish e lo rendono un emarginato a scuola. L’atmosfera di cui parla Rad non sono altro che lo voci che girano su una persona, l’etichetta che ti appiccicano addosso in un certo ambiente. Ma, spesso e volentieri, l’atmosfera è molto diversa dalla verità. L’atmosfera, almeno a scuola, ha reso Rad un emarginato da evitare e di cui si può parlare alle spalle, mentre ha reso Lazuli così estranea ai suoi compagni di classe da risultare una sorta di presenza invisibile, visto che nessuno la guarda o le rivolge la parola.
Incontriamo anche Vegeta e Bulma, i due unici amici di Rad. Non stanno insieme i due, sono solo compagni di classe. Vi è piaciuta Marion, la fidanzata del Prince? Immagino di no, a me sembra un po’ odiosetta! Potrà nascere qualcosa tra i due amici di Rad?
Incrociamo anche un altro personaggio che avrà ruolo, anche se per ora l’ho solo descritto senza nominarlo… sapete dirmi di chi sto parlando?
Ma, soprattutto, cominciamo a conoscere un po’ di più Lazuli e la sua personalità. Tra l’altro, il mistero buttato lì nel primo capitolo si infittisce: perché il giorno prima nella biblioteca di Fujisawa nessuno la vedeva, mentre a scuola tutti sembrano vederla normalmente?
Nel prossimo capitolo avremo alcune risposte: quello che sta passando Lazuli e ciò che è successo in biblioteca, quello che è capitato a Goku e la storia delle cicatrici di Rad, legate alle voci che lo riguardano risalenti a due anni prima. Rad e Lazuli iniziano a conoscersi meglio!
 
Ci vediamo giovedì prossimo, spero vi siate divertiti in questo capitolo! Io ci sto mettendo il cuore qui dentro, so che magari sembra stupido, ma mi sto particolarmente emozionando nello scrivere questa long. E la sto scrivendo di getto, spero che in qualche modo possiate rispecchiarvi anche voi in questi personaggi e in quello che provano!
 
Teo
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** La Sindrome della Pubertà ***


3 – La Sindrome della Pubertà
 
 
 
«Ho cominciato a lavorare nel mondo dello spettacolo all’età di sei anni» comincia Lazuli, sospirando malinconicamente e distogliendo lo sguardo dal mio. «Ho ottenuto la parte della protagonista in un telefilm che trasmettevano al mattino, quello è stato il mio esordio».
«Me lo ricordo bene quel telefilm, da lì sono diventato un tuo fan» le sorrido.
«Da quel giorno e negli anni successivi i lavori si moltiplicarono: programmi tv, film, spot pubblicitari e servizi fotografici per le riviste. Ero costantemente al centro dell’attenzione».
«Non c’era giorno che non comparissi in televisione» le confermo. «Ricordo anche delle tue splendide gigantografie sui cartelloni pubblicitari un po’ dappertutto, oltre alle riviste che ti mettevano sempre in copertina».
«All’inizio lo trovavo divertente, ma col tempo è diventato sempre più stressante. Ovunque andassi c’era sempre qualcuno che mi riconosceva come Lazuli Eighteen, che mi additava, che si comportava in modo invadente» continua, alzandosi in piedi e dirigendosi verso la porta del treno che si sta ormai per fermare. «Io scendo qui».
«Davvero?! È anche la mia fermata questa» le dico, scendendo dal treno al suo fianco e cominciando a camminare accanto a lei sulla banchina.
«A un certo punto ho cominciato a desiderare di ritrovarmi in un mondo dove nessuno sapesse chi fossi» sospira Lazuli. Volto la testa verso di lei leggermente, per vederla in faccia. Il suo sguardo è fiero, cammina a testa alta e sembra imperscrutabile. Ma io capisco che sta soffrendo dentro. Lo capisco e mi fa male. Sembra che stia cercando di farsi forza per andare avanti a parlare, anche se non vuole darlo a vedere. Si volta verso di me, forse in cerca di una reazione. Le sorrido, e lei torna a guardare davanti a sé. Fa un respiro forte.
«Tutto è cominciato poco più di una settimana fa, il primo giorno della Golden Week. Sei libero di non credermi, ma da quel momento ho iniziato a notare che alcune persone era come se non mi vedessero più».
«Io ti credo» le dico di getto. «Mi fido di te» aggiungo, e vedo che lei accenna un sorriso.
«Quel giorno, quando per strada la gente sembrava non vedermi e rischiava di travolgermi camminando sul marciapiede, ho deciso di andare all’Acquario di Enoshima per vedere se sarebbe cambiato qualcosa. Ma anche lì le persone mi urtavano e se gli dicevo qualcosa non mi rispondevano, come se non esistessi».
La osservo, mentre abbassa lo sguardo e stringe i pugni. Penso abbia paura per quello che le sta succedendo, anche se non mi sembra tipa da ammetterlo tanto facilmente.
«All’inizio ho pensato che fosse tutto frutto della mia immaginazione, che fosse tutto un caso. Che magari la gente era presa dal guardare i pesci e non badava a me. Ma poi, tornando a casa, sono entrata in un bar e il cameriere non mi vedeva, neanche chiamandolo più volte a un passo da lui. Non mi ha nemmeno guardata, continuava a fare quello che stava facendo prima. Finché, a un certo punto, è entrata un’altra persona nel bar e si è fermata accanto a me salutando il cameriere e lui è accorso subito per farla accomodare. Era come se fossi invisibile».
«Io l’avrei ribaltato quel cameriere se fossi stato lì» le dico, per tirarle su il morale. «Come si è permesso di non servire subito una come te? Come ha potuto non vedere una come Lazuli Eighteen davanti a lui?»
Le strappo un sorriso, almeno. Credo di capire quello che sta provando. «Devo prendere una borsa dalla cassetta di sicurezza della stazione, non potevo portarla a scuola» mi dice, tirando fuori una chiave e aprendo il piccolo armadietto numerato che nel frattempo abbiamo raggiunto. Mi fermo accanto a lei, e in quel momento mi schiaccia il piede. Non lo sposta, forse non se ne è nemmeno accorta dato che ci carica sopra tranquillamente il suo peso.
«Senpai, il piede…» le dico, mentre lei tira fuori un sacchetto di carta dalla cassetta di sicurezza e la richiude.
«Ha qualcosa di strano il mio piede?» mi domanda, guardandomi di sottecchi con uno sguardo indecifrabile. «Guarda che lo so che te lo sto calpestando, è la tua punizione per essere così curioso».
«Infatti il tuo piede mi sta mandando al settimo cielo» ghigno, stando al suo gioco.
«Non chiamarmi “senpai”, mi fai sentire vecchia» ghigna leggermente a sua volta. I suoi occhi brillano un po’ di più. E il mio cuore batte un po’ più forte. «Hai il permesso di chiamarmi Lazuli, se vuoi. Anche Là, se ti fa piacere».
«Va bene, senpai! Grazie» esclamo, beccandomi un pestone molto più forte sul piede e guadagnando un sorriso un po’ più vero da parte sua, nonostante cerchi di guardarmi male.
«Comunque, una volta uscita da quel bar me ne sono tornata in fretta e furia a casa, a Fujisawa, e lì tutti sembravano vedermi normalmente» riprende Lazuli. «Da quel giorno ho iniziato a girovagare per vedere se era stato un caso oppure no quello che mi era successo».
«E quel costume da coniglietta così dannatamente sexy?» le chiedo, indicando con lo sguardo il contenuto della borsa, che ha appena tirato fuori dalla cassetta, da cui spuntano le due orecchie nere del cerchietto che le ho visto indossare ieri.
«Vestita così attiro sicuramente l’attenzione, no?» esclama soddisfatta, sorridendo. È incantevole quando sorride così. Quando sembra serena.
«Quindi anche oggi hai intenzione di calarti nei panni della coniglietta selvatica più sexy di tutto il Giappone?» le chiedo, riprendendo a camminare accanto a lei con le mani in tasca.
«Di tutto il Giappone?» mi domanda a sua volta.
«Di tutta l’Asia?»
«Uhmmm…»
«Ok, la coniglietta selvatica più sexy del mondo» le dico, stando al suo gioco. «Va bene così?»
«Forse… ma puoi fare di meglio» mi sorride. «E comunque vedi di non interferire, adesso» aggiunge, gelida e lapidaria, voltandosi e accelerando il passo verso l’uscita della stazione.
«Un panino alla crema, per favore» ordina in una piccola panetteria sul piazzale antistante. Uno di quei chioschi che danno direttamente sulla strada. Mi avvicino un po’ anch’io, e noto subito che la donna dietro al bancone non la guarda nemmeno e continua a sistemare dei dolci nella vetrina. «Mi scusi. Un panino alla crema, per favore» insiste Lazuli, alzando il tono della voce, senza tuttavia ottenere risposte.
La situazione è più grave di quanto credessi, cazzo. Mi avvicino al bancone, di fianco a lei. «Mi scusi, un panino alla crema, per favore» domando.
«Subito! Basta così?» mi domanda la donna, servendomi subito.
 
«Sei sicura di non essere preoccupata per tutto questo?» domando a Lazuli, mentre ci allontaniamo dalla stazione camminando uno accanto all’altra. Lei sta mangiando il dolce che le ho appena preso, la sua espressione è tornata malinconica.
«Non poter più mangiare questi panini che tanto mi piacciono mi preoccupa un po’, in effetti» prova a scherzare. «Devi dirmi la verità, adesso: credi davvero a tutte queste follie che ti ho raccontato?» mi domanda, fisandomi all’improvviso con quei suoi bellissimi occhi di ghiaccio in cerca di conferme. Di conforto, Di aiuto, forse.
«Certo che ti credo, te l’ho detto anche prima» le dico, serio. «E mi sarei fidato di te in ogni caso, anche senza la storia del panino alla crema» aggiungo, e noto che lei arrossisce leggermente, distogliendo lo sguardo dal mio. «So come vengono chiamati casi come questo, anche se alla maggior parte delle persone sembrano assurdi: “Sindrome della Pubertà”».
Lazuli mi fissa di nuovo negli occhi, come se stesse cercando di scavarci dentro. Il suo volto non tradisce emozioni, apparentemente.
«Si tratta di esperienze paranormali che possono capitare durante il periodo dell’adolescenza e della tardo-adolescenza» spiego, senza distogliere lo sguardo dal suo. «Possono essere causate da un’eccessiva sensibilità o instabilità emotiva. Dal dolore, dal disagio, dalla paura».
«Sindrome della Pubertà, eh? Non ne ho mai sentito parlare…» ribatte Lazuli, mentre riprendiamo a camminare e ci inoltriamo nella zona residenziale del quartiere di Fujisawa in cui abito.
«Cose come vedere il futuro, leggere nel pensiero delle altre persone, scambiarsi di corpo con qualcun altro, sdoppiarsi, ritrovarsi addosso delle ferite senza aver fatto nulla… fenomeni come questi sono stati raggruppati sotto il nome di Sindrome della Pubertà, anche se non si sa chi abbia ideato questo nome e non esistono veri studi in materia».
«Non è solo una leggenda metropolitana?» chiede Lazuli, mentre mi fermo davanti all’ingresso della portineria del mio condominio. «Dove siamo?» aggiunge, osservando il palazzo giallo chiaro alle mie spalle.
«Casa mia» le spiego. «Vieni su un attimo, voglio farti vedere una cosa» le propongo, senza timore. Mi sento a mio agio con lei, mi sembra di conoscerla da sempre. «Prometto che non ti farò nulla, tranquilla!» esclamo, sorridendole. «Voglio solo farti capire perché ti credo e perché dico che capisco quello che ti sta succedendo».
«Mica ho paura di te, ti pare!» risponde irritata Lazuli, spintonandomi e dirigendosi per prima verso la portineria. Credo di adorarla già.
 
Le faccio strada lungo le scale del condominio e cominciamo a salire.
«Non prendi mai l’ascensore?» mi domanda.
«Tendo a far sempre le scale, è un modo come un altro per fare un po’ di allenamento senza accorgermene» le rispondo, sorridendo.
«Faccio sempre così anch’io» mi dice, accennando un sorriso.
Entriamo in casa, subito accolti dalla vista di Balzar, il nostro gatto bianco, che sta dormendo beatamente sul divano del salotto e non ci degna neanche di uno sguardo. Lazuli mi segue, entrando timidamente anche lei in salotto e guardandosi intorno incuriosita. La conduco nella mia stanza e chiudo la porta alle nostre spalle.
«Hai una casa e una camera davvero ordinate» si complimenta lei.
«Certo, per chi mi hai preso? E pensa che faccio tutto io, senpai!» rispondo, facendole l’occhiolino.
«Ti ho detto di smetterla con questo “senpai”!» esclama irritata, guardandomi male e avvicinandosi a me minacciosa.
«E va bene, Lazuli» sospiro, ghignando.
«Lazuli è fin troppo lungo, chiamami Là!» ribatte lei, afferrando la mia cravatta rossa e tirandomi verso di sé. «Dovresti aggiungere il “-san” in segno di rispetto, ma farò un’eccezione solo per te» aggiunge, accennando un sorrisetto quasi sadico. Mi perdo un istante nei suoi occhi così puri, così vicini ai miei. Nel suo profumo fresco, così buono. Nel suo respiro caldo che riesce ad accarezzarmi le labbra da questa distanza. Quanto vorrei colmarla, questa distanza. Quanto vorrei baciarla, adesso.
«Ok, Là» sospiro, posando lo sguardo sulle sue labbra, che mi sembrano sempre più vicine. Lei arrossisce leggermente e molla la presa sulla mia cravatta, girandosi di scatto e dandomi le spalle. È imbarazzata. Ed è dolcissima.
«Per quanto riguarda te, invece, non mi piace chiamarti Son, mentre Radish è troppo lungo. Quindi ho deciso che ti chiamerò Rad o Rad-kun» afferma, cercando di darsi un tono e di non mostrarmi il suo improvviso imbarazzo.
«Va bene Rad» le dico, mentre mi sono già tolto la giacca e la cravatta e sto finendo di sbottonarmi la camicia.
«P-perché ti stai spogliando?!» grida all’improvviso Lazuli, dopo essersi voltata di nuovo verso di me proprio mentre sto cominciando a sfilarmi la camicia. «Avevi detto che non mi avresti fatto nulla! Maiale, pervertito!» aggiunge, con una voce così stridula che mi fa troppo ridere, visto che lei appare sempre posata e impeccabile. «Esibizionista!» conclude, con un tono di voce più simile al suo abituale, forse distratta dai miei muscoli, che curo tanto nel poco tempo libero che ho. O dalle mia enormi cicatrici, che poi è il motivo per cui mi sono spogliato, in realtà.
«Sono vere?» mi domanda in tono triste, fissando il mio petto sfregiato da tre grosse cicatrici parallele tra loro che lo attraversano in diagonale in tutta la sua ampiezza fino ai miei addominali. Sembra la zampata di un leone, di una tigre, magari di un grizzly. Non voglio vederla triste, però.
«Intendi se è vera la cicatrice o la mia muscolatura?» provo a scherzare. «Sai, faccio un po’ di esercizi in casa nel tempo libero».
«Scemo!» mi risponde, corrucciando lo sguardo. È dolcissima.
«Comunque queste cicatrici sono vere, sarei un pazzo a tatuarmi qualcosa del genere sul petto» le spiego, mentre lei si avvicina a me con lo sguardo fisso su quello che le sto mostrando.
«Posso toccarle?» mi domanda, a un passo da me.
«Certo, se non ti ecciti troppo» ghigno, mentre lei mi incenerisce con lo sguardo e allunga lentamente la sua mano verso di me.
«Ah…» sospiro in tono soffocato, come se stessi godendo, non appena sento la sua mano accarezzarmi il petto delicatamente.
«Niente versi strani» mi sgrida, senza guardarmi in faccia.
«Non è colpa mia, è un punto sensibile» provo a scherzare, anche se lo faccio solo perché il mio cuore sta battendo all’impazzata e il suo contatto sul mio corpo mi sta davvero facendo bollire il sangue nelle vene. Sento il suo profumo fresco a pochissimi centimetri da me, la luce che emanano i suoi capelli biondissimi così vicini alla mia faccia. Sento il suo respiro sul petto, un brivido caldo che parte dalla base del collo mi accarezza la schiena. «Fai piano…»
«Così va bene?» mi chiede, passando lentamente un dito sulla cicatrice centrale, quella più grossa.
«Così mi fai impazzire» sospiro, inarcando leggermente la schiena. Un po’ scherzo e un po’ no, ma questo non mi evita un improvviso pugno sferrato direttamente nello stomaco.
«Ahia! Mi fai male così!» protesto, piegandomi in avanti con entrambe le mani appoggiate sulla pancia. L’ho sentito davvero, picchia duro questa ragazza. E mi piace ancora di più. «Cazzo…» sbuffo, sollevandomi a fatica.
«Secondo me ti piace, invece» ghigna Lazuli, guardandomi soddisfatta e con le braccia incrociate sul petto. «Per me sei un masochista, ti piace essere frustato dalla tua padrona o cose simili».
Le sorrido sghembo a mia volta, ci scambiamo uno sguardo d’intesa. Mi sento complice con lei, mi sembra che ci capiamo senza nemmeno parlarci. E senza quasi conoscerci. Non ho davanti a me, nella mia camera, la celebrità che ho sempre ammirato. Ho semplicemente una ragazza come me, una mia senpai, e così è ancora più bello.
«Come ti sei fatto quelle cicatrici?» mi domanda, avvicinandosi di nuovo a me.
«In realtà non lo so, e forse questo ti sembrerà assurdo» le rispondo, serio. «Voglio farti vedere un’altra cosa» le dico, dirigendomi verso la mia scrivania e aprendo un cassetto. «E non mi riferisco a quello che ho tra le gambe, tranquilla!» rido, per alleggerire il momento.
«Sei un cretino, Rad!» esclama lei. «Più ti conosco e più me ne rendo conto».
«Lo so e ne vado fiero, ma secondo me ti piacciono i cretini» le butto lì, guardandola negli occhi, mentre tiro fuori dal cassetto una fotografia.
«Umpf!» sbuffa lei in tutta risposta, girando la testa di scatto e chiudendo gli occhi, con le braccia incrociate sul petto. È arrossita leggermente. Ma il sorriso sul mio volto si spegne quando osservo la foto che sto per mostrarle.
«Guarda» le dico, passandole l’immagine. «Questo è mio fratello Goku in una foto scattata due anni fa quando aveva dodici anni» aggiungo, mentre lei guarda mio fratello immortalato in divisa scolastica seduto su una sedia. Il suo corpo è ricoperto di lividi, bende leggermente arrossate a causa del sangue e cerotti. Il suo sguardo è spento, gli occhi bassi verso il pavimento.
«Cosa gli è successo?» mi domanda allarmata, guardandomi negli occhi.
«Non è stato aggredito da nessuno, è stato vittima di cyberbullismo».
«E gli ematomi? Le ferite? Non capisco…».
«Una sera ha visualizzato senza rispondere un messaggio del rappresentante della sua classe, che da allora ha iniziato a prenderlo di mira coinvolgendo anche molti altri suoi compagni. Hanno cominciato a bersagliarlo con insulti e minacce sui vari social e mandandogli messaggi anonimi» le spiego. «Goku ha iniziato a soffrirne sempre di più, anche perché a scuola si è ritrovato improvvisamente isolato, finché un giorno, davanti a me, in casa, ha cominciato improvvisamente a riempirsi di tagli e lividi nonostante fosse immobile e non stesse facendo nulla».
Guardo Lazuli. Ha gli occhi sgranati e tristi, si sofferma di nuovo sulla foto di Goku che stringe tra le mani e poi si rivolge di nuovo a me. «È per questo che credo nella Sindrome della Pubertà. L’ho scoperta così… Goku anche adesso è come se avesse due anni in meno di quelli che ha, sia a livello emotivo, mentale, che per la sua voce e le cose che dice. È cresciuto solo fisicamente» le spiego. «Anzi, è regredito ancora di più nella sua infanzia in quel momento, sotto certi punti di vista, come a volervi cercare riparo».
«Risalgono ad allora anche le tue cicatrici?» mi domanda, con voce piena di preoccupazione.
Annuisco lentamente, mentre mi porto la mano destra sul petto. «Non so cosa sia successo, so solo che un giorno mi sono svegliato in un lago di sangue e sono stato portato d’urgenza in ospedale».
«Quindi è questa la verità sull’incidente dell’ospedale di cui tutti parlano e che ti ha rovinato la reputazione!» esclama Lazuli, che nel frattempo si è seduta sul mio letto.
«Già… sono io ad essere stato ricoverato quella volta, non certo tre miei ex compagni di classe immaginari» le sorrido, mentre sento la porta alle mie spalle aprirsi lentamente.
«Ehi, fratellone! Sei qui?!» domanda Goku con voce squillante, facendo per entrare in camera. Indossa la sua solita felpa arancione del tirannosauro, con tanto di cappuccio calcato sulla testa. Si blocca all’improvviso e si irrigidisce quando vede Lazuli. Sgrana gli occhi e indietreggia, intimorito dalla sua presenza. «Mi devi avvertire se hai intenzione di portare in casa una ragazza per fare certe cose!» mi dice sottovoce, impaurito.
«Goku, sei fuori strada…» gli dico sbuffando, mentre Lazuli ci osserva perplessa, sempre seduta sul letto.
«Allora è una venditrice porta a porta?»
«No».
«È una ladra?»
«È solo una mia senpai, stai tranquillo!» gli dico ridendo, mentre lui la scruta sospettoso, stringendo con entrambe le mani la porta della mia camera. Diffidente e spaventato. È buffo.
«Mi chiamo Lazuli Eighteen, piacere di conoscerti» interviene Lazuli, sorridendo dolcemente.
«Urca!» sussurra Goku, staccandosi lentamente dalla porta e cercando di guardare in faccia la ragazza. «G-goku Son, piacere» aggiunge, con un tono di voce bassissimo. Ha paura, non è abituato a vedere nessuno al di fuori di me da due anni, ormai. «E lui è Balzar» spiega, indicando il nostro gatto che nel frattempo si è svegliato ed è entrato anche lui nella stanza.
«Grazie per avermelo presentato, Goku-kun!» esclama Lazuli, alzandosi in piedi e sorridendo radiosa verso Goku. Sembra fredda, ma in realtà è una che ci sa fare. È una bella persona. Una di quelle persone che meriterebbero di essere sempre felici.
Goku accenna un sorriso forzato e corre via.
«Perdonalo, non è abituato ad avere a che fare con persone che non conosce, non si sente a suo agio. Da quando ha avuto quel problema non ha più voluto nemmeno uscire di casa, non va neanche a scuola. Cerco di seguirlo io per non farlo restare indietro con gli studi» le spiego, accennando un sorriso.
«Sembra che non mi abbia riconosciuto» dice Lazuli.
«Ha ripreso solo negli ultimi mesi e gradualmente a guardare la televisione, proprio nel periodo in cui ti sei fermata col lavoro» le rispondo. «Da quando si è allontanato da internet i sintomi della Sindrome della Pubertà sono cessati. È anche per questo che io uso poco il mio cellulare e non guardo più di tanto internet».
«Pensi che il mio sia un caso simile?» mi chiede Lazuli, mentre Balzar salta sul letto e si accoccola comodamente.
«Dopotutto a scuola reciti alla perfezione il ruolo che ti hanno etichettato addosso, ti muovi alla grande in quell’atmosfera» le spiego. «Quindi, se vuoi un suggerimento, per evitare di peggiorare la situazione credo sia meglio che tu faccia ritorno nel mondo dello spettacolo».
«Ma cosa dici…» sospira lei, guardandomi negli occhi e sorridendo. Fisso i suoi occhi glaciali e ci leggo dentro più di quanto lei possa immaginare. Ci leggo qualcosa a proposito dei suoi sogni, delle sue speranze. Delle sue delusioni, delle sue paure. Lei non è quella che appare a scuola agli occhi di tutti, non è la ragazza che si è cucita addosso l’atmosfera generata dalle voci sul suo conto. Non ho il quadro completo su di lei, non ho ancora tutti i pezzi del puzzle che compongono la sua vita e la sua anima, ma qualcosa l’ho capito. Ne sono certo.
Lei… lei è speciale.
E lei merita di tornare nel mondo dello spettacolo, perché è quello che vuole, anche se per qualche motivo non lo ammette.
«Per quanto tu possa recitare alla perfezione a scuola il ruolo che l’atmosfera ha creato intorno a te, nessuno potrà ignorarti se tornerai ad essere costantemente in tv, suoi giornali, su internet, sui muri della città, nelle pubblicità sul treno. Nessuno si dimenticherà più della tua esistenza, non sarai più invisibile agli occhi di nessuno».
Mi fermo per un istante e la guardo in faccia, sembra colpita dalle mie parole. «Io penso che tu frema dalla voglia di tornare nel mondo dello spettacolo, per me dovresti farlo» aggiungo, guardandola intensamente.
«Quando avrei detto che voglio tornarci?» mi domanda, accennando un lieve broncio che la rende ancora più carina.
«Non l’hai mai detto, te l’ho semplicemente letto negli occhi» le dico, sorridendole. «Dovresti fare ciò che più ti piace».
I suoi occhi di ghiaccio sembrano brillare per un lungo istante, prima di farsi improvvisamente vacui. Malinconici. Pieni di dolore.
«Hai talento, esperienza, sei bella e sei gentile…» provo a rincuorarla. «E penso che anche la tua manager aspetti il tuo ritorno e si preoccupi per te…».
«Non tirare in ballo quella persona» mi interrompe all’improvviso, con un tono di voce che farebbe gelare il sangue nelle vene a chiunque. «Non ficcare il naso in cose che non ti riguardano» aggiunge, afferrando di scatto la sua cartella e dirigendosi a passo veloce verso l’uscita, spostandomi con uno spintone.
«Ehi, aspetta!» provo a fermarla. Non capisco cosa ho detto di sbagliato.
«Me ne torno a casa» risponde, gelida, senza nemmeno voltarsi.
«Hai dimenticato la tua borsa!» le dico, rincorrendola fin sul pianerottolo per restituirle il sacchetto contenente il costume da coniglietta.
«Puoi tenertelo!» mi dice con disprezzo, voltandosi per un’ultima volta verso di me prima di andarsene definitivamente.
I suoi occhi di ghiaccio mi feriscono, il suo sguardo gelido mi fa male. Tanto. Stringo al petto quel sacchetto di carta e una delle orecchie da coniglio accarezza le mie cicatrici. Provo dolore. Lungo le mie cicatrici e un po’ più in profondità, all’altezza del cuore. Abbasso lo sguardo, e il suo profumo fresco ancora addosso a quello strano e incantevole costume mi attraversa le narici e mi arriva fino all’anima. Mi scorre nelle vene.
 
Sorrido mestamente, mentre rientro in casa e chiudo la porta alle mie spalle. Non so cosa ho sbagliato, ma so che devo scoprirlo. Che devo rimediare, in qualche modo.
Cerco sue notizie su internet, proprio come ha fatto lei con me. A parte le solite cose relative ai suoi lavori nel mondo dello spettacolo, trovo anche articoli che riportano voci, indiscrezioni. Non sono notizie ufficiali, non so se possano essere tutte vere, ma forse ho fatto qualche passo di troppo in un assurdo campo minato insistendo con lei per farla tornare sulle scene e parlandole della sua manager. Filtro le notizie relative alla sua scelta di prendersi una pausa dal lavoro ed esce di tutto, e penso che a me è andata anche bene che certe voci mi abbiano semplicemente accusato di aver pestato a sangue tre ragazzi. C’è chi scrive che Lazuli si sia ritirata perché incinta, chi dice che sia entrata nel mondo del porno, chi che sia andata a vivere negli Stati Uniti, chi ipotizza che si sia montata troppo la testa e nessuno la sopporti più in quell’ambiente. Stronzate, farei a pezzi i bastardi che hanno scritto certe cose se li avessi qui davanti a me adesso. Alcuni articoli parlano di un pesante litigio con la sua manager, per motivi ignoti. Si dice che abbia rotto i rapporti con sua madre, che sia scappata di casa ormai da due anni e viva da sola in un luogo sconosciuto. Che sua madre l’abbia aggredita fino a ferirla, che suo padre l’abbia abbandonata da piccola, che abbia una sorella minore di cui nessuno conosce l’identità. Leggo distrattamente a un certo punto, faccio scorrere le notizie in maniera veloce e ci do peso fino a un certo punto, dato che sta uscendo di tutto e di più.
Non so se ci sia qualcosa di vero in tutto queste voci, in tutte queste cattiverie gratuite. Io so solo che la tristezza e il dolore che le ho letto negli occhi non dipendono solo dal manifestarsi in lei di alcuni sintomi che secondo me sono legati alla Sindrome della Pubertà, piuttosto a quello che ha causato il suo malessere, la sua instabilità emotiva che l’ha fatta arrivare a scomparire alla vista di molte persone. Come se non esistesse più.
Nei suoi occhi ho letto soprattutto la dolcezza, la gentilezza, la voglia di spensieratezza. La sua voglia di tornare sulle scene, nonostante qualcosa la blocchi, apparentemente. La voglia di essere felice. E lei se lo meriterebbe, di essere felice. Questo lo so per certo. Come so per certo di volerla aiutare, in qualche modo. Ma ho sbagliato, ho toccato una parte sensibile di lei che non avrei dovuto.
Sospiro, passandomi una mano tra i capelli, mentre il cuore mi sembra improvvisamente tanto pesante nel petto. Mentre anche le mie cicatrici vorrebbero urlare.
Da quel giorno Lazuli non è più venuta a scuola.
Non ho più avuto sue notizie. E non so dove cercarla.
Mi resta solo il suo costume da coniglietta, ancora in quel sacchetto di carta. Con ancora il suo profumo fresco addosso.
Mi fa male tutto questo. Tanto.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: molto bene, i nostri protagonisti fanno diversi passi avanti in questo capitolo, ma ne fanno molti di più indietro, a giudicare dalla fuga finale di Lazuli e dalla sua successiva sparizione anche da scuola. Non so voi, e non c’entra il fatto che li ho descritti io così, ma mi sto affezionando parecchio a questi due personaggi, li trovo di una tenerezza assurda.
Cosa ha detto di sbagliato Rad? Sembravano andare così d’accordo…
 
Ma andiamo con ordine. Per definizione, la pubertà è un periodo che dura dai 10 ai 18 anni per le ragazze e dai 12 ai 21 per i ragazzi. I nostri protagonisti ci sono ancora dentro in pieno, anche se ovviamente non esiste nessuna Sindrome della Pubertà in realtà, ma è solo un espediente narrativo pseudoscientifico per giustificare una serie di fenomeni molto diversi tra loro. Abbiamo visto i casi di Lazuli, Radish e Goku in questo capitolo, ma ne vedremo altri più avanti, quando entreranno in scena altri personaggi. Verrà precisato in uno dei capitoli successivi, ma in questo momento Lazuli ha 17 anni e mezzo, deve ancora fare i 18 anche se è al terzo e ultimo anno di liceo.
La Golden Week è una settimana (neanche in realtà, 4 o 5 giorni al massimo) in cui i giapponesi celebrano una dopo l’altra una serie di festività e si sta a casa da scuola e dal lavoro. Una delle pochissime pause che si concedono e si colloca tra fine aprile e inizio maggio.
 
Da quello che succede alla stazione di Fujisawa e da quanto successo il giorno prima in biblioteca, capiamo che ormai sempre più persone non riescono a vedere Lazuli, e non c’è costume da coniglietta che tenga, purtroppo. La situazione sta peggiorando, in più si aggiunge il mistero che l’ha spinta a lasciare il mondo dello spettacolo e a non volerci tornare. Tra le notizie che trova in rete Rad su di lei, qualcosa di vero c’è, almeno per alcune… potete divertirvi a ipotizzare quali, se volete!
La situazione di Goku è stata solo accennata da Rad e verrà approfondita più avanti. Il trauma che ha subito Goku  è stato ancora più forte di quanto ha detto Rad a Lazuli, e, in qualche modo, si riallaccerà alla fine che hanno fatto Bardack e Gine (che sono vivi, rispondendo alle giuste preoccupazioni presenti in qualche recensione).
Vi piacciono le cicatrici di Radish? Riuscite a immaginarle? Poveretto, deve aver sofferto molto anche lui. Come Lazuli, anche se sappiamo ancora poco di lei. Loro due sono tenerissimi insieme secondo me, spero vi siano piaciuti. E spero anche che si possano chiarire, sappiate che sto soffrendo con loro!
 
Cosa dite, riusciranno a chiarirsi i nostri protagonisti nel prossimo capitolo? Tornerà a scuola Lazuli?
Per ora posso dirvi che ci sarà un salto temporale di due settimane in avanti, quindi il prossimo capitolo comincerà due settimane dopo la fuga di Lazuli da casa di Rad.
Posso anticiparvi che tornerà in scena Vegeta e, soprattutto, conosceremo finalmente Bulma, fondamentale nel dare una mano a Rad in questa situazione. Dovete immaginarvela più sullo stile di Mirai Bulma in questa storia, sia fisicamente che come personalità. Arriverà anche un nuovo personaggio femminile, una che forse ricordo solo io nel mondo di Dragon Ball, ma me lo direte voi! Sono aperte le scommesse, ma questa è inindovinabile senza nessun aiuto! ;-)
Ne approfitto per fare i complimenti a Shanley, Debsy, MyManga e CTE che hanno beccato la presenza di Lunch in versione “buona” nel precedente capitolo. Più avanti avrà ruolo anche lei nella storia.
 
Un grazie gigantesco a tutti voi che mi state seguendo in queste prime settimane e che mi state dando tanto entusiasmo, forse non riuscite a capire quanto! Ve l’ho detto, mi sento tanto legato per qualche motivo a questa storia, per me è un onore e una gioia condividerla con voi e leggere che vi immedesimate nei due protagonisti o che gli volete bene. Io la penso come voi, e non posso che sentirmi onorato per certe cose che ho letto da parte vostra.
Ce la sto mettendo tutta, spero vi sia piaciuto questo capitolo e vi abbia stuzzicato in attesa di quello di giovedì prossimo.
Grazie a tutti voi che mi avete scritto, a chi vorrà farlo dopo questo capitolo, a chi sta mettendo la storia nelle liste e a chi sta avendo fiducia in questi personaggi che io sto amando.
Grazie mille poi a Misatona, che ci regala un tenerissimo Goku adolescente con la felpa da tirannosauro e ci promette anche altri disegni dei protagonisti per i prossimi capitoli!
E, infine, grazie a Efp e a tutti voi che mi state seguendo dalla mia primissima storia che, caso vuole, avevo pubblicato esattamente un anno fa, senza aver mai nemmeno letto prima una fanfic. Era il primo capitolo di “New World”, ed è bello vedere che alcuni di voi che mi avevano recensito allora lo stiano facendo ancora oggi, con questa storia e dopo un anno così bello e intenso. È un onore per me, davvero! E vi ringrazio di cuore, anche per avervi potuto conoscere.
Ci vediamo giovedì!
Teo
         

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Capitolo 4
*** Il gatto di Schrodinger ***


4 – Il gatto di Schrodinger
 
 
 
19 maggio
 
«Ehi, Prince, tu sai perché Lazuli Eighteen si sia presa una pausa dal mondo dello spettacolo?» chiedo a Vegeta, nel magazzino del ristorante “Kame House” dove lavoriamo come camerieri. Ci stiamo prendendo una piccola pausa, giusto il tempo di bere un tè matcha per ricaricarci. Avremmo bisogno entrambi di correggerlo con qualcosa di forte, in realtà, per sopportare i clienti fino alla chiusura serale, ma non penso che il capo sarebbe d’accordo. Lavoro qui praticamente tutte le sere da due anni, Vegeta ha cominciato più di recente e viene quando non ha gli allenamenti di calcio. Faccio fatica ad aver risultati decenti a scuola, ma resto a galla in qualche modo, mentre ho dovuto rinunciare quasi subito a far parte anch’io del club di calcio nonostante sia la mia passione. Purtroppo è necessario che lavori quasi tutti i giorni qui, per me e per Goku.
«Pensavo che la motivazione ufficiale fosse quella di volersi concentrare sugli studi» sospira Vegeta, irritato, squadrandomi. «Perché continui a parlare di lei?»
«Son, c’è di nuovo quella donna che vuole parlarti» annuncia il proprietario del ristorante, il vecchio Muten, entrando velocemente in magazzino. «Quel bel bocconcino viene sempre qui grazie a te, dovrei darti un aumento solo per quello!» ridacchia, mentre osserva bramoso e con un sorriso da ebete stampato in faccia in direzione della sala. «Adesso arriva, bellezza!» aggiunge, con un rivolo di sangue che lentamente comincia a colargli dal naso verso la sua barba bianca. È paonazzo. Ed è un porco, come sempre.
«Cazzo, capo, siediti un attimo a riprenderti…» sbuffo, alzandomi e facendolo sedere al mio posto. La sua espressione è beata, non so neanche se mi abbia sentito.
«Prince, fallo tornare in lui, io vado a vedere cosa vuole quella là… anche se già lo so…» sbuffo.
«Tsk!» risponde il mio amico, mentre chiudo la porta. So già che gli tirerà in faccia un bicchiere d’acqua gelida, nella migliore delle ipotesi. Oppure gli mollerà un paio di ceffoni.
 
«Uh, da quanto tempo!» esclama, melliflua e irridente, la donna che mi ha mandato a chiamare. Ripone la lista del nostro ristorante e mi guarda, sorridendomi dolcemente. I suoi lunghi capelli biondi le accarezzano le spalle e la camicetta bianca aderente che indossa, mentre una minigonna stretta nera e tacchi dello stesso colore completano il suo look. Sempre molto bella, non c’è che dire. E sempre piena di fogli, appunti, materiale su cui scrivere, a giudicare da quello che spunta dalla sua borsa accanto a lei.
«Scusi, lei sarebbe?» domando, serio ma ironico, tirando fuori dalla tasca il taccuino per le ordinazioni. È sempre una scocciatura avere a che fare con questa qui, ne avrei fatto volentieri a meno oggi.
«Capisco, e così vuoi giocare stasera…» mi sorride furba. «Piacere di conoscerti, questo è il mio biglietto da visita!» esclama, porgendomi un bigliettino della sezione cronisti della “Fuji Tv” su cui leggo il suo nome, che già so, ovviamente: Husky Hasuki.
«Cosa posso fare per lei?» le domando tranquillamente.
«Ero in zona per un servizio vicino alla spiaggia e così ho pensato di venir qui a fare uno spuntino».
«Cosa posso portarle?»
«Un Radish-kun da portare via, grazie!» esclama, sorridendo e incrociando le braccia al petto.
«Noto in lei qualche problema a livello cerebrale, stasera. Non preferirebbe ordinare un’ambulanza?» le domando a mia volta.
«A proposito di ospedale, non hai ancora voglia di parlare dell’incidente?» mi chiede, socchiudendo leggermente i suoi occhi castani, come se volesse scrutarmi meglio.
«Non avrò mai voglia di parlare di quell’incidente» ribatto, serio, fissandola a mia volta.
«Dai, mi accontento anche solo di una foto delle cicatrici che hai sul petto!»
«Anche no…» sbuffo, per poi fermarmi un istante a pensare che questa donna, finalmente, può essermi d’aiuto e non solo essere una scocciatura. Due anni fa, quando sono stato ricoverato in ospedale, lei si trovava lì per caso e ha visto le condizioni in cui mi trovavo. Ha creduto alla mia storia, a differenza di tutti gli altri, ma da quel giorno si è messa a indagare sui casi relativi alla Sindrome della Pubertà e non mi dà tregua. Alla fine ha creduto alla mia versione dei fatti più per motivi suoi professionali che per motivi umani, però è sempre stata gentile e corretta con me, non pubblicando nulla senza il mio consenso. Tuttavia è un po’ pesante. E insistente. «Husky-san, sai per caso il motivo dietro alla pausa dalle scene di Lazuli Eighteen?» le domando a bruciapelo.
La giornalista sembra sorpresa per un attimo da ciò che le ho chiesto, ma subito i suoi occhi brillano furbi e un sorrisetto si dipinge sul suo volto. «Credo di sapere qualcosina che la gente comune non sa…» sospira beffarda, allargando le braccia in modo teatrale. «Potremmo accordarci, Radish-kun».
 
«Ho saputo che ultimamente sei ossessionato da Eighteen-senpai» arriva subito dritta al punto Bulma, quando la raggiungo nel laboratorio del club di scienze il giorno dopo e mi siedo davanti al grande tavolo da lavoro. Porta il suo solito lungo camice bianco aperto e si destreggia abilmente tra diverse provette piene di liquidi strani e talvolta colorati che ribollono. Si segna cose sui suoi appunti, sorride e impreca per motivi che non capisco e che non voglio nemmeno provare a capire. Tutto nella norma, anche se a volte mi sembra di essere nel laboratorio di una scienziata pazza. «Deduco ti sia passata la cotta per Videl Satan» aggiunge, arrivando direttamente a bersaglio per la seconda volta in pochi secondi, senza nemmeno degnarmi di uno sguardo, troppo presa dal continuare le sue difficili operazioni. Ma lei è multitasking, so per certo di avere la sua completa attenzione. Il suo tono è calmo, come al solito, ha i capelli turchini sciolti e gli occhiali che le danno ancora di più un’aria da scienziata. È sempre così razionale lei, a volte parlandole mi sembra che riduca tutto a una formula chimica, un’equazione matematica, un’operazione geometrica. Ma è anche questo che mi piace di lei, la mia unica amica oltre a Vegeta. «La famosa Videl Satan che nessuno a parte te hai mai visto, tra l’altro… quindi, meglio così».
«Prima Vegeta, adesso tu… a volte sospetto che passiate più tempo insieme di quanto non diate a vedere…» sbuffo, con i gomiti appoggiati sul tavolo e con il mento sulle mie dita intrecciate tra loro, per cercare di capire cosa stia combinando la mia amica con quella specie di intruglio che sta mescolando adesso.
«Sei curioso di sapere quello che sto studiando? Immagino di no…».
«In effetti, no…».
«Non avevo dubbi, sei uno scimmione al pari del tuo amico, del resto…» sospira Bulma, spostando uno sgabello e sedendosi accanto a me.
«È possibile che una persona diventi improvvisamente invisibile?» le chiedo di getto. Diretto come lei.
«Vai da un oculista, se pensi di non vederci bene» ribatte lei sbuffando. Forse pensa che la stia prendendo in giro.
«Intendo il non riuscire a vedere una persona nonostante sia presente, come quei supereroi che hanno il potere di diventare invisibili» cerco di spiegarle.
«Stai cercando un modo per intrufolarti nel bagno delle ragazze senza essere visto?» mi domanda sospettosa, guardandomi male. «Lo so che sei un maiale, Son-kun».
«Sto parlando seriamente, Bulma».
«Se ti riferisci alla Sindrome della Pubertà, mi pare di avertelo già detto: io sono scettica a riguardo».
«Lo so, in effetti è una cosa inspiegabile. Infatti sono qui da te perché sei l’unica che può darmi una risposta sensata» le dico, interrompendomi per guardarla dritta nei suoi occhi azzurri. «Mettiamo il caso che io, qui seduto accanto a te, all’improvviso diventi invisibile ai tuoi occhi. È teoricamente possibile?»
«Magari se io fossi presa da qualcos’altro, o semplicemente sovrappensiero… la mente umana ignora ciò che non vuole vedere».
«Esatto, ma se non fosse questo il caso?»
«Esiste anche la teoria dell’osservazione, la teoria secondo la quale tutto quello che esiste in questo mondo non esiste davvero finché qualcuno non lo osserva» spiega Bulma, fissandomi, serissima. «Avrai sicuramente sentito parlare del “gatto di Schrodinger”, vero?»
«Sì, so qualcosa di vago a riguardo…».
«Entrerò per un attimo nel mondo della fisica quantistica, tralasciando la Sindrome della Pubertà» mi spiega Bulma, posizionando una scatola di cartone sul tavolo. «In questa scatola inseriamo un gatto, anche se questa è solo una statuetta portafortuna» continua, mostrandomi una gatto bianco di ceramica con la zampa sollevata. «Poi mettiamo insieme a lui una sorgente radioattiva talmente piccola da avere solo una possibilità in un’ora che un suo atomo decada» aggiunge, afferrando un piccolo recipiente trasparente pieno di liquido con una pinza e posizionandolo accanto al gatto. «Infine, una fiala di cianuro che si romperà non appena avvertirà l’eventuale radiazione emessa. A questo punto chiudiamo la scatola e aspettiamo trenta minuti».
La guardo, per poi scrutare la scatola davanti a me.
«Ok, facciamo finta che i trenta minuti siano passati» riprende Bulma, sistemandosi gli occhiali sul naso con la mano. «Secondo te cos’è successo? Il gatto è vivo o morto?»
«Dato che la probabilità che venga emessa una radiazione è di una in un’ora, se aspettiamo mezz’ora il gatto ha il 50% di possibilità di essere vivo e il 50% di essere morto» rispondo, sorprendendomi  per la mia intelligenza.
«Giusto, quindi la condizione del gatto può essere definita solo mediante l’osservazione» conferma Bulma, aprendo di nuovo la scatola. «In pratica, finché non apri la scatola e verifichi di persona, il gatto può considerarsi sia vivo che morto allo stesso tempo».
«Stai dicendo che lo stesso può valere per le persone? Che l’esistenza di qualcuno non è determinata finché non viene definita da un osservatore?» le domando, pensando subito a Lazuli.
«Ho cercato solo di dare una risposta sensata alla tua domanda, per quanto mi sembrasse insensata» risponde Bulma, sfilandosi il camice e facendo per uscire dal laboratorio. «Pensaci su, ora dobbiamo tornare in classe».
 
«Quando la gente la vedeva in tv e sui giornali, l’esistenza di Lazuli Eighteen era sicuramente appurata» penso intensamente, mentre esco dalla stazione di Fujisawa alla fine della giornata scolastica.
«Un panino alla crema, per favore» ordino, nel negozietto dove mi ero fermato l’altra volta con Lazuli. Non riesco a non pensare a lei, non ce la faccio proprio.
«Certo, te lo preparo subito!» esclama gentile la donna dietro al bancone, la stessa di quella volta.
«Per caso lei conosce Lazuli Eighteen?» le domando, mentre mi porge il sacchetto di carta con il mio panino alla crema.
«Eh?» mi guarda allibita.
«Mi riferisco a Lazuli Eighteen, un’attrice e modella diciottenne che lavora nel mondo dello spettacolo già da una dozzina d’anni!» insisto.
«Eighteen? Non conosco nessuna attrice che si chiama così…».
Mi dirigo verso casa, con il sole che ormai è tramontato quasi del tutto e con la testa piena di dubbi e supposizioni. Il fatto che la gente non stia più osservando Lazuli non ha come unica conseguenza quella di non riuscire più a vederla: anche la sua stessa esistenza è in pericolo.
Sgrano gli occhi, alla conclusione del mio ragionamento. Non so perché, ma comincio a correre verso casa. Corro con tutte le forze che ho, più veloce che posso, fino a farmi bruciare i polmoni. Salgo le scale di corsa e arrivo sul pianerottolo di casa mia. Mi appoggio al muro con una mano.
Sorrido.
Il mio cuore riprende a battere come non succedeva da giorni, e non c’entra nulla lo sforzo fisico per la corsa. Il mio cuore batte perché c’è Lazuli seduta sul pavimento del pianerottolo, accanto al mio zerbino. Ha le ginocchia raccolte sul petto e strette tra le sue braccia, la schiena appoggiata al muro di fianco all’ingresso di casa. Indossa la divisa scolastica, come me, e la sua solita molletta nera glitterata a forma di testa di coniglio tra i capelli biondissimi.
Lei mi guarda, io la guardo. Sorrido un po’ di più. Lei non sorride, ma mi rendo conto che le stanno sorridendo gli occhi.
«Finalmente sei tornato!» esclama, irritata, fulminandomi con lo sguardo.
«Morivi così tanto dalla voglia di vedermi?» sospiro, avvicinandomi a lei. Il suo stomaco brontola, lei arrossisce e distoglie lo sguardo dal mio, imbarazzata.
«Fame, eh?» le chiedo, ormai a un passo da lei.
«Vedo che sei sempre inopportuno» ringhia, senza guardarmi.
«Lo so, non posso farci niente» le rispondo, allargando le braccia.
«Non riesco più a fare la spesa» mi dice, sempre rifiutandosi di guardarmi in faccia. «In queste ultime due settimane sempre più persone hanno smesso di vedermi. Tutta la zona attorno alla stazione di Fujisawa ormai non mi vede più».
«Tieni, l’ho appena preso pensando a te» le dico, porgendole il sacchetto di carta con il panino alla crema.
Lei lo afferra e mi guarda negli occhi di nuovo, finalmente. E nel suo sguardo di ghiaccio leggo ancora tutta la dolcezza e l’insicurezza che vi avevo scorto due settimane fa. Tutta la paura, il bisogno di affetto, di sostegno. Le sorrido, nel modo più dolce che conosco.
Le tendo una mano e lei la stringe. Si rialza, per poi divorare il suo panino alla crema preferito.
 
Penso che sembriamo davvero una coppia in questo momento, ora che sto spingendo il carrello mentre Lazuli sceglie le verdure da comprare. L’ho accompagnata a fare la spesa, una cosa che lei non può più fare dato che nessun negoziante della zona riesce più a vederla ormai. Sorrido osservandola, mi sento felice qui con lei.
«Cos’hai da sorridere?» mi domanda, cercando di essere fredda come sempre. Ma io so che non lo è davvero.
«Niente, niente…» le rispondo.
«Certo che è una strana sensazione essere in mezzo a tanta gente senza che nessuno possa vedermi…» mi dice, afferrando una carota e agitandola davanti al volto di una signora che sta prendendo dei pomodori accanto a lei.
«Dici che le persone che hai intorno non possono vedere nemmeno la carota, dal momento che la stai tenendo tu in mano?» le chiedo.
«Suppongo che tutto quello che tocco diventi invisibile» mi spiega.
«Potresti portare via tutto gratis, allora! Altro che fare la spesa o patire la fame!» rido.
«Per chi mi hai preso?! Non lo farei mai!» sbuffa, incrociando le braccia sul petto e guardandomi male.
«Dai, scherzavo!» le sorrido, avvicinandomi a lei. «Quindi… cosa mi succederebbe se ti toccassi?»
«Uhm… è un modo indiretto per dirmi che vuoi tenermi per mano?» mi domanda a sua volta, accennando un sorriso furbo e inclinando leggermente la testa verso la spalla.
«Beh, più che altro per fare un esperimento…» butto lì.
«Esperimento?!» sbotta lei. «Avrei preferito che volessi tenermi per mano, te lo scordi allora!» aggiunge, voltandosi di scatto, offesa, e riprendendo a camminare.
«I-in realtà volevo solo tenerti per mano!» provo a rimediare goffamente, inseguendola.
«Devi impegnarti di più» ribatte, altezzosa, voltandosi di nuovo verso di me e accennando un lieve sorriso. Ha entrambe le mani dietro la schiena e mi guarda, in attesa della mia mossa.
«Non ho mai avuto l’onore di camminare mano nella mano con una ragazza e vorrei che tu fossi la mia prima volta» le dico, inchinandomi lievemente in modo piuttosto teatrale e al contempo allungando il mio braccio destro verso di lei, con il palmo della mano rivolto verso l’alto.
«È una dichiarazione raccapricciante, lo sai?» mi risponde, arrossendo leggermente e sollevando un po’ un sopracciglio, perplessa.
«Ne sono consapevole» ghigno.
«Beh, per questa volta farò un’eccezione: sei promosso» ribatte, avvicinandosi a me e prendendo la mia mano. Intrecciando le sue dita intorno alle mie e stringendosi a me. Siamo davvero attaccati e il calore che mi trasmette la sua mano e il suo corpo appoggiato al mio mi danno una sensazione di benessere che non saprei descrivere. Il suo profumo fresco mi annebbia la lucidità per un paio di secondi, mentre mi volto verso di lei e noto che mi sta fissando coi suoi occhi di ghiaccio, improvvisamente sospettosi. Mi ribolle il sangue nelle vene, vorrei tanto tornare a casa con lei adesso, altro che fare la spesa!
«Scommetto che stai pensando a cose sconce, vero?» mi domanda a bruciapelo, senza smettere di fissarmi e sorridendo maliziosa.
«A cose mille volte più oscene di quanto tu possa immaginare, in realtà» ribatto, stando al suo gioco. Anche se, in fondo, sto solo dicendo la verità.
«Te l’ho detto, non mi dà fastidio essere la fantasia sessuale di un ragazzo più giovane di me» sospira, ghignando un po’ di più e scivolando davanti a me per strusciarsi sensualmente sul mio corpo, fino ad avvicinare le labbra a pochissimi centimetri dalle mie. «Chiaro?» aggiunge, accarezzandomi la bocca col suo respiro caldo.
«Cazzo!» esclamo goffamente e a gran voce, sorpreso dalla sua mossa, mentre sento un movimento sospetto tra le mie gambe a causa di questo contatto e capisco anche di essere arrossito.
«Tutto bene?!» mi chiede una donna che sta passando davanti a noi in quel momento. Si ferma e mi guarda male, prima di riprendere a camminare spingendo il suo carrello.
«S-sì, grazie» borbotto. «Direi che la gente mi vede benissimo» aggiungo, rivolto stavolta a Lazuli che continua a guardarmi con un sorrisetto malizioso e soddisfatto stampato sul volto, mentre il mio cuore batte all’impazzata e la situazione all’interno dei miei pantaloni non è delle migliori.
«Bene, è stato un bell’esperimento direi…» mi sussurra in un orecchio, facendomi provare un meraviglioso brivido lungo la schiena. «Adesso andiamo a casa».
 
«Non vedo l’ora di vedere casa tua!» esclamo, camminando sul marciapiede al fianco di Lazuli con i suoi sacchetti della spesa tra le mani. È sera ormai, le luci dei lampioni si accendono davanti ai nostri occhi. Entriamo nella zona residenziale, non c’è nessuno in giro oltre a noi in questa via.
«Guarda che non ti faccio mica salire» ribatte, smontandomi in mezzo secondo. «Anche se vivo da sola».
«Davvero?» le chiedo.
«Guarda che in teoria io e te staremmo ancora litigando» risponde, senza guardarmi. «Ci eravamo congedati litigando due settimane fa. Vorrai chiarire le cose con me, immagino. Magari vuoi scusarti».
«Beh, ma non è colpa mia se non sei onesta con te stessa» ribatto. «Se vuoi fare l’attrice, fallo e basta».
«Tu dovresti farti gli affari tuoi» risponde, gelida e sfuggente. «Non sai niente».
«Qualcosa la so, invece» ribatto di nuovo. «È tutto dovuto a quella lunga serie di servizi fotografici in giro per tutto il Giappone che hai fatto tra le fine delle medie e la prima metà del tuo primo anno di liceo. Tu non volevi farlo, eri arrivata stressata alla fine delle riprese del tuo ultimo film e avevi superato ugualmente i test d’ingresso per il liceo in qualche modo, a quel punto volevi cominciare a frequentarlo dall’inizio, e allo stesso tempo avevi bisogno di prenderti una piccola pausa dal lavoro». Mi interrompo, non appena noto che lei smette di camminare e abbassa la testa, malinconica e arrabbiata. Stringe i pugni, non dice niente. «La tua manager, ovvero tua madre, se n’è fregata di quello che volevi fare tu e ha firmato dei contratti molto vantaggiosi per lei a tua insaputa. Non potevi tirarti indietro, la penale sarebbe stata troppo alta da pagare. Hai lavorato per quei mesi, ma hai litigato pesantemente con tua madre. Per questo vivi da sola, e per questo hai voluto vendicarti ritirandoti dalle scene». Mi interrompo di nuovo e la guardo, in attesa di una sua reazione. Il suo sguardo è sempre più basso, i pugni sempre più stretti. Sento un singhiozzo, ne sento un altro. Mi fa male vederla così. Tanto male. Ma devo essere sincero con lei. Per il suo bene, soprattutto, a costo di farmi odiare. «Io penso che stai facendo una cazzata, adesso».
«Stai zitto!» sibila, cercando di soffocare a fatica le lacrime.
«Non ha senso rinunciare a fare quello che in realtà vorresti solo per colpa di una stronza com’è stata tua madre!» continuo, cercando di mantenere un tono calmo e sicuro. «Lo capisci o no che stai solo facendo del male a te stessa comportandoti così?! È più importante vivere il tuo sogno alle tue condizioni e come piace a te o farla pagare a una persona che ha dimostrato di non valere niente?!»
Lazuli si volta di scatto in mia direzione e solleva la testa. Le sue guance sono rigate di lacrime, i suoi occhi di ghiaccio lucidi sono colmi di rabbia e frustrazione. Mi fa malissimo vederla così. Mi provoca molto più dolore dello schiaffo che mi rifila in faccia, senza smettere di fissarmi negli occhi.
Io continuo a guardarla, immobile, continuando a reggere le buste della spesa. Più che la guancia, mi sento il cuore in fiamme. Non voglio vederla soffrire. Non voglio che pianga.
Cosa darei per vederti ridere, Lazuli.
«Ti ho detto di stare zitto!» sbraita, stringendo i pugni. «Cosa credi?! Non è stata una decisione facile!» aggiunge, asciugandosi le lacrime con un gesto di stizza. «Ero ancora una ragazzina, è stato terribile rendermi conto che per mia madre non ero altro che una macchina da soldi! Dovevo sorridere per forza sui vari set, lo capisci?! Con lei a pochi metri da me che mi osservava, senza mai farmi un complimento, senza mai appoggiarmi in qualcosa, senza mai sentire le mie ragioni e i miei bisogni!»
Si ferma per qualche secondo, ansimando e senza smettere di fissarmi, piena di rabbia e rancore sopiti. Penso le stia facendo bene sfogarsi.
«È arrivata a farmi odiare quello che amavo fare! Voleva sempre di più, non era mai abbastanza quello che facevo! Voleva arrivare in vetta usando me, te ne rendi conto?! Perché lei ha fallito in questa carriera, sono sempre e solo stata un mezzo per lei!» riprende, un po’ più calma.
«Sono sempre più convinto che dovresti tornare, Là» le sorrido dolcemente.
«Perché?» sussurra, asciugandosi di nuovo le lacrime e regalandomi uno sguardo che trasmette solo tenerezza. Non più odio o rabbia.
«Perché ti fa ancora star bene lavorare in quel mondo, e adesso puoi farlo alle tue condizioni» le spiego, avvicinandomi a lei. «Non cercare scuse per qualcosa che in realtà vorresti fare. Fallo e basta» aggiungo, mentre lei abbassa la testa mestamente.
«Chi ti ha detto il motivo della mia pausa?» mi domanda dopo qualche secondo di silenzio, tornando a guardarmi in faccia. Sembra essersi ricomposta ormai, la sua espressione è tornata fredda ed enigmatica come sempre. Mi sento sollevato.
«E-ehm…» balbetto, non sapendo bene cosa rispondere. Distolgo lo sguardo dal suo, in cerca di una scusa credibile a cui non avevo ancora pensato.
«Guardami negli occhi quando ti parlo!» ordina Lazuli perentoria, stringendomi la guancia ancora arrossata per il suo ceffone tra le dite e facendomi girare la faccia verso la sua.
«Ahia, cazzo!» sbuffo. «Quando è capitato l’incidente a Goku e poi anche a me, ho conosciuto per caso una giornalista che stava indagando sul bullismo e che successivamente ha iniziato a documentarsi sulla Sindrome della Pubertà. Si chiama Husky Hasuki».
«Ah, la conosco! Mi è capitato di lavorare con lei in passato» spiega Lazuli, mollando la presa sulla mia guancia. «Dimmi la verità, Rad: hai fatto un accordo con lei per avere queste informazioni su di me?»
«Le ho… le ho lasciato scattare una foto alle mie cicatrici ieri sera, è venuta a cercarmi al lavoro» sospiro.
«Ma sei pazzo?! Ti troverai i giornalisti fuori dalla porta di casa!» grida Lazuli, avvicinando la sua faccia alla mia. Si preoccupa per me e mi fa piacere. Tanto anche. E ha ragione. «Non ti daranno tregua! E questo potrebbe avere effetti negativi su tuo fratello!»
Abbasso la testa, sbuffando. Ha ragione, ma forse è fin troppo pessimista.
«Dammi subito il numero di Husky, muoviti» mi ordina, allungando la mano verso di me.
«E va bene, mia regina…» le dico, passandole il biglietto da visita che mia ha lasciato ieri la giornalista.
«Tu sottovaluti troppo i media, scemo» mi dice, irritata, voltandosi e tirando fuori dalla borsa il suo cellulare dalla cover fucsia con tanto di orecchie da coniglio.
«Mi scuso per la chiamata improvvisa» le sento dire al telefono. «Sono Lazuli Eighteen, abbiamo già avuto modo di lavorare insieme in passato. Posso rubarle solo qualche minuto?»
«Immagino tu voglia parlarmi di Rad-kun, o sbaglio?» le domanda Husky, di cui riesco a percepire la voce in lontananza attraverso il telefono. «Che rapporto c’è tra voi due?»
«È un mio kohai a scuola» le spiega Lazuli. «Le chiedo di non mostrare le foto delle sue cicatrici in televisione. In cambiò le assicurerò uno scoop».
«No, Lazuli! Aspetta…» provo a intervenire, tirandola per un braccio per avere la sua attenzione. Lei si volta e mi fulmina con lo sguardo, divincolandosi con uno strattone e facendomi segno di stare zitto con un dito davanti alla bocca.
«Presto tornerò nel mondo dello spettacolo, ma non mi affiderò più a mia madre» dice Lazuli, sicura di sé e senza tradire emozioni. Sorrido a quelle parole, non solo perché lei mi sta tirando fuori da possibili futuri guai. Sorrido soprattutto per la sua decisione. «Mi farò seguire da un’altra agenzia. Quando tornerò, prometto l’esclusiva a lei e al canale per cui lavora».
 
«Mi dispiace…» dico a Lazuli, non appena chiude la telefonata con Husky dopo aver stretto quell’accordo e riprendiamo a camminare verso casa.
«Perché ti scusi?»
«Perché le hai detto che tornerai a fare l’attrice».
«Ho capito che in fondo avevi ragione… l’ho capito in queste ultime due settimane in cui non ci siamo visti, in realtà» mi sorride. «Mi divertivo a recitare e a farmi fotografare, ho sempre pensato che l’avrei fatto per tutta la vita. Forse mi sono ritrovata in questa cosa della Sindrome della Pubertà perché non ho fatto altro che mentire a me stessa ultimamente» aggiunge, prima di fermarsi all’improvviso. «Ecco, io sono arrivata a casa» mi spiega, indicandomi il palazzo al nostro fianco.
«Eh?! Ma vivi davanti a me?!» esclamo, sorpreso da questa cosa e dal fatto che non me l’avesse detto due settimane fa. Anche per non averla mai vista in zona prima, nemmeno per caso.
«Ti chiedo scusa per lo schiaffo di prima e ti ringrazio per la spesa» mi risponde, eludendo la mia domanda e dirigendosi verso l’ingresso del suo condominio dopo avermi strappato di mano i sacchetti. «Ah, scusa!» esclama dopo qualche passo, tornando indietro verso di me. «Dammi il tuo telefono».
«Eh?» le dico, porgendole il mio sgangherato e vecchiotto cellulare.
«Uhm… l’hai preso in un museo, Rad?» borbotta, squadrandomi e appoggiando le buste della spesa per terra. «Pazienza…» sospira, afferrando il mio telefono e digitando qualcosa coi tasti. «Ecco, adesso ci siamo scambiati i numeri. Domenica usciamo insieme» sorride felice, mentre mi rimette in mano il cellulare e mi dà un bacio sulla guancia, prima di riprendere i sacchetti della spesa e correre verso la portineria del suo palazzo.
Stasera tutto mi sembra bellissimo, ma lei lo è un po’ di più.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: eccoci di nuovo qui, pubblico con qualche ora di anticipo anche se non è ancora giovedì, spero ne sarete felici.
Allora, una doverosa precisazione relativa al capitolo di settimana scorsa: il forte turbamento emotivo che due anni prima ha causato a Rad la Sindrome della Pubertà e le conseguenti ferite sul petto è stato il dolore che ha provato nel vedere Goku ridotto così, sommato ad altre problematiche occorse a suo fratello e ai suoi genitori in quel momento. Queste cose verranno chiarite molto più avanti.
Poi, la Sindrome della Pubertà è una “malattia” immaginaria e quindi da prendere con le pinze, serve a cercare di dare una spiegazione razionale a cose che razionali non sono. La causa che la scatena è sempre quella, cioè l’estremo turbamento emotivo nella fase della pubertà. Ovviamente il turbamento può avere varie cause, come vediamo nei primi tre casi di Sindrome esaminati. Gli effetti, invece, possono essere i più disparati e fantasiosi. Radish ne fa un elenco a Lazuli, pur parlando per sentito dire. Più avanti vedremo se altri personaggi che incontreranno sul loro cammino i nostri eroi avranno quei problemi. Ad esempio, se siete fan di Chichi, sappiate che più avanti entrerà pesantemente in scena anche lei.
 
Ok, parliamo di questo capitolo adesso. Il gatto di Schrodinger fa molto “Big Bang Theory”, no?! :-)
Ve l’aspettavate Husky?! Sarà mai comparsa in una storia su efp?! Boh, nemmeno io la ricordavo in realtà… fa una comparsata durante la saga del Red Ribbon, è quasi una sosia di Lunch bionda. Niente, ho pensato di darle una particina.
Per il resto, soprattutto, vediamo Lazuli tornare a cercare Rad dopo ben due settimane. Spero vi sia piaciuta la loro parte insieme, io li trovo adorabili. Soprattutto lei, un po’ maliziosa e un po’ ingenua/imbarazzata, un po’ dura e un po’ dolce, un po’ manesca e un po’ capace di essere tenerissima. Lei è “sweet and psycho”, in pratica, e spero vi piaccia il modo in cui la sto rendendo attraverso ciò che vede e prova Rad. Lui è un personaggio più facile da “gestire”, spero continui a piacervi anche lui!
Abbiamo una rivelazione importantissima sul passato di Lazuli e,  come molti di voi avevano immaginato, c’entrava la manager. Che, sorpresa, è addirittura sua mamma!
Abbiamo finalmente conosciuto Bulma, spero vi sia piaciuta anche lei in questa versione più vicina alla sua controparte nel mondo Mirai. Lei chiama Radish “Son-kun”, come fa Bulma con Goku nella serie originale giapponese. Vi chiedo scusa in anticipo se ho scritto inesattezze o forzature nei suoi discorsi di fisica, ma dovete sapere che io odiavo questa materia ai tempi del liceo scientifico, dopo il quale ho intrapreso, saggiamente, tutt’altra strada! ;-)
Abbiamo anche intravisto Muten, un po’ di disagio ci sta sempre bene! Sarà un personaggio estremamente secondario lui.
 
Bene, siete contenti che ci sarà il primo appuntamento tra i nostri protagonisti? Ve l’aspettavate dopo il casino dell’altra volta? Andrà tutto bene?
Il prossimo capitolo comincerà praticamente subito da lì, con tanto di entrata in scena della già comparsa (di sfuggita) Lunch in versione good.
Sapremo qualcosa di più sui genitori di Rad e, soprattutto, conosceremo la mamma di Lazuli. Non scervellatevi, però: non sarà impersonata da nessuno e non avrà nome, la ricorderemo come “la mamma di Lazuli” e basta, un po’ come “la mamma di Stifler”. Chi ha amato American Pie, come me, capirà! ;-)
Sapremo finalmente qualcosa in più su Videl Satan, poi, una presenza che aleggia come uno spettro su questa storia fin dall’inizio.
Allora, vi piace la scelta di Lazuli di tornare nel mondo dello spettacolo, alle sue condizioni stavolta?
 
Un grazie speciale va ancora a tutti voi che mi state trasmettendo tantissimo entusiasmo con i vostri commenti. Sto amando questa storia e vedere quello che mi scrivete nonostante abbia protagonisti diversi dal solito e tematiche non leggerissime mi riempie il cuore. Un grazie enorme a chi mi lascia sempre il suo parere e a chi vorrà farlo per la prima volta in questo capitolo. Ma un grazie altrettanto grande va a chi sta leggendo e apprezzando questa storia, a chi magari le sta dando una possibilità e che non ho mai conosciuto.
Ringrazio poi la Misatona anche questa settimana, anche perché non mi aspettavo questo disegno così presto e, soprattutto, non pensavo che sarebbe stato così perfetto: dopo Goku con la felpa da T-Rex, abbiamo finalmente la protagonista indiscussa della storia, la nostra Lazuli in versione Bunny Girl. Niente, spero vi piaccia perché è bellissima secondo me. E aspetto con ansia Rad con le cicatrici sul petto, a questo punto. Penso di parlare a nome di tutti, quindi non vedo l’ora! ;-)
 
Bene, mi dilungo sempre troppo nelle note finali e degenero, maledizione. Quindi vi saluto e vi do appuntamento a giovedì prossimo! Le anticipazioni ve le ho date, il titolo sarà “Il primo appuntamento” e spero continuerà a divertirvi questa storia e, magari, anche a farvi battere il cuore!
 
Teo
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Il primo appuntamento ***


5 – Il primo appuntamento
 
 
 
«Non avrò molto tempo libero quando rientrerò nel mondo dello spettacolo, quindi voglio uscire con te già domenica questa» dice Lazuli, voltandosi un’ultima volta in cima ai gradini che danno accesso alla portineria dell’elegante condominio in cui vive. «Vivo qui da due anni e non ho ancora visto Kamakura, questa mi sembra una buona occasione».
«Posso considerarlo come un…» butto lì, ancora troppo confuso e felice per quello che sta succedendo stasera dal riuscire a dire qualcosa di sensato.
«Non è un appuntamento» mi interrompe lei, gelandomi. In realtà la adoro quando fa così.
«Non è giusto…» sbuffo, fingendomi corrucciato e facendola ridere. Quanto mi piace riuscire a farla ridere. Mi fa sentire bene.
«Ci vediamo alle 14:30 alla stazione della linea Enoden di Fujisawa, allora» mi dice, regalandomi l’ultimo sorriso di questa assurda e magnifica serata. «Arriva anche solo un secondo in ritardo e me ne torno a casa!» aggiunge, improvvisamente serissima, regalandomi così anche l’ultima doccia fredda di questa assurda e magnifica serata, prima di entrare definitivamente nel palazzo e lasciarmi lì, inebetito.
«Sì, cazzo!» esulto, una volta rientrato in casa. Sto finalmente realizzando che uscirò con Lazuli Eighteen tra cinque giorni!
«Urca! È successo qualcosa, fratellone?!» accorre subito Goku con la sua felpa da tirannosauro, preoccupato per il mio urlo di gioia.
«C’è che finalmente la ruota sembra aver ripreso a girare anche per me!» gli rispondo.
«Non capisco… condividi questo “Sì, cazzo!” anche con Goku!» protesta, mettendo il muso.
«Un giorno mi capirai, fratellino…» gli sorrido, tirandogli giù il cappuccio dalla testa e scompigliandogli i capelli.
 
 
25 maggio
 
«Uhm…».
Osservo pensieroso due paia di boxer distesi sul letto, pensando se indossare quelli blu elettrico o quelli giallo fluo. Sono appena uscito dalla doccia e sono in camera mia con l’asciugamano legato in vita, mentre decido cosa indossare per il mio appuntamento con Lazuli. Noto con la coda dell’occhio Goku che mi osserva perplesso all’ingresso della stanza, probabilmente non capisce perché sono indeciso persino sulla scelta delle mutande.
«Un uomo deve essere pronto per ogni evenienza quando esce con una ragazza» gli spiego, afferrando i boxer blu e infilandomeli. Metto poi una maglia bianca con un lupo nero stampato davanti, dei jeans a vita bassa strappati grigio scuro e delle scarpe sportive bianche ed esco per andare a piedi verso la stazione. Sono in perfetto orario. E sono felice.
Passando davanti al parco giochi, scorgo al suo interno una bambina di tre o quattro anni che piange disperatamente, da sola.
«Qualcosa non va?» le chiedo, avvicinandomi a lei e chinandomi leggermente per mettermi all’altezza del suo viso. Lei smette di piangere e mi guarda.
«Tu non sei la mia mammaaaaa!» urla all’improvviso, riprendendo a piangere disperata.
«No, non sono decisamente la tua mamma…» sospiro, rialzandomi e guardandomi intorno. «Ti sei persa, eh?» le sorrido, dandole una carezza sulla testa per cercare di rassicurarla. «Non ti preoccupare, adesso la troviamo sicuramente».
«D-davvero?!» mi chiede, tra un singhiozzo e l’altro.
«Certo, ci penso io!» le dico, facendola smettere di piangere.
«Toglile le mani di dosso, lurido pervertito!» sento urlare alle mie spalle, prima che un calcio poderoso mi colpisca in pieno sul sedere e mi sbilanci in avanti, rischiando di farmi cadere.
«Scappa!» urla la stessa voce, rivolta alla bambina.
«Ma sei… ma sei pazza?!» borbotto, voltandomi in direzione della voce misteriosa e scoprendo con mia grande sorpresa che quel calcio così ben assestato me l’ha dato una ragazza, anche piuttosto minuta a dire la verità. «Non hai capito niente! Quella bambina si è persa e io la stavo solo aiutando a cercare sua mamma!»
«Eh?!» esclama la nuova arrivata. Ora che la guardo meglio mi sembra di averla già vista da qualche parte. I suoi lunghi capelli blu legati in un vistoso fiocco rosso mi dicono qualcosa, sembra più piccola di me.
«Sì, è vero» conferma la bambina, con un filo di voce.
«Ahia, cazzo…» sospiro sottovoce, massaggiandomi il sedere.
«Scusami, mi dispiace tanto!» esclama la ragazza, avvicinandosi a me. Il suo viso è totalmente diverso da prima, quando era arrabbiata. Ora la sua espressione è così dolce e ingenua da farla quasi sembrare un’altra persona. Si inchina leggermente.
«Mi hai aperto il culo in due, lo sai?» le bisbiglio, contrariato, facendola arrossire. È abbastanza timida, in realtà.
«E va bene, ho capito!» esclama all’improvviso, con un’espressione del tutto diversa stampata sul volto. Non sembra più timida e indifesa, ora mi sorride sadica. «Dammi anche tu un calcio nel sedere o una sculacciata, così saremo pari!» aggiunge, prima di voltarsi e abbassarsi a novanta gradi, appoggiata a uno scivolo. Indossa una gonna molto corta, e mi lascia un attimo basito, accanto alla bambina che stavo cercando di aiutare.
«Eh?» le dico perplesso.
«Muoviti, ho un appuntamento con delle mie amiche e mi stai facendo fare tardi!» sbotta.
«Guarda che anch’io avrei un appuntamento!» ribatto, proprio mentre vedo arrivare dalla strada un poliziotto di quartiere in bicicletta.
«Ehi, cosa state facendo?!» ci domanda, dirigendosi verso di noi con la ragazza dai lunghi capelli blu ancora piegata in avanti. Comincia di nuovo ad arrossire, la sua voce si fa tremolante.
Ho a che fare con una ragazza bipolare, una bambina che si è persa e un poliziotto. Ok.
«Venite con me in centrale» ci dice l’agente, dopo che gli ho spiegato la vicenda. Bene, sta andando a puttane il mio primo appuntamento con Lazuli. Benissimo. Non le scrivo nulla, questa storia sembra così assurda, del resto… penserebbe a una scusa.
 
«Che disastro!» sbuffa la ragazza dai capelli blu, quasi un’ora e mezza dopo, quando riusciamo finalmente ad andarcene dalla centrale della polizia.
«Se durante le deposizioni avessi mollato un attimo il tuo telefono, avremmo fatto molto prima!» le dico, irritato. «Non hai fatto altro che mandare messaggi tutto il tempo, anche il poliziotto era scocciato!»
«Non è mica colpa mia se continuavo a ricevere messaggi! Dovevo rispondere alle mie amiche!» prova a giustificarsi, offesa. «Se non rispondessi subito, scommetto che smetterebbero di essere mie amiche!»
«E tu le consideri amiche?! Bah…» sbuffo. «Ora vado, anche se è tardissimo per il mio appuntamento…» aggiungo, correndo verso la stazione.
«Ciao, ci si vede!» mi urla la ragazza dai capelli di blu, mentre svolto l’angolo e penso che Lazuli mi ammazzerà la prossima volta che la rivedrò. Non mi ha scritto nessun messaggio, ma dubito sia ancora lì ad aspettarmi. Dubito che usciremo mai più insieme, purtroppo. Ma che cazzo ho fatto di male io?!
Merda, merda, merda! Perché devo sempre essere una calamita per i casini?!
Corro a più non posso fino alla stazione, mi brucia il fianco da quanto mi manca il fiato. Arrivo all’ingresso della linea Enoden e mi piego sulle ginocchia, stremato. Mi guardo intorno, ma non la vedo. Ovviamente. Sono quasi le 16:00, è stato folle da parte mia sperare anche solo lontanamente di poterla trovare ancora qui.
Sospiro profondamente, rassegnato. Triste, soprattutto.
Vaffanculo! Altro che ruota che finalmente comincia a girare anche per me…
«Ne hai di fegato per farmi aspettare un’ora e ventisette minuti!»
Una voce irritata alle mie spalle mi gela il sangue e mi riempie il cuore allo stesso tempo. Una voce che riconoscerei tra mille, ormai.
Mi volto e guardo Lazuli, che mi fissa con fare polemico e altezzoso tenendo le braccia incrociate sul petto. Indossa una maglietta aderente nera leggermente scollata sotto a un gilet di jeans, una minigonna di jeans che le fascia i fianchi, leggings neri, una cintura marrone e degli stivaletti dello stesso colore. È semplicemente bellissima. Le sorrido. Sono felice che sia ancora qui, forse troppo per riuscire a descriverlo a parole. Ha anche la sua solita mollettina glitterata a forma di coniglio tra i capelli.
«Non pensavo che Lazuli Eighteen fosse tipa da aspettare un ragazzo ritardatario» la provoco. «Comunque, mi dispiace. Tanto, anche. Ma non è stata colpa mia!» aggiungo, chinando il capo e giungendo le mani in modo teatrale.
«Io faccio quello che mi pare» mi dice freddamente, passandomi accanto e dirigendosi verso l’obliteratrice e i tornelli alle mie spalle. Il suo profumo fresco mi pervade. Mi fa sentire bene. È dolcissima quando fa l’offesa. «Muoviti, voglio vedere Kamakura» ordina, timbrando il suo biglietto e dirigendosi verso i binari. «Ora dovrai tirar fuori una buona scusa per il tuo ritardo» continua minacciosa.
Le spiego quello che è successo, in fondo sono davvero in buona fede.
«Ho capito…» sbuffa, scocciata, alla fine del mio racconto, mentre siamo seduti sul treno. Il vagone è piuttosto tranquillo. «Almeno è arrivata alla fine quella pessima madre a riprendersi la bambina? Il mondo è pieno di pessime madri, a quanto pare…».  
«Per fortuna sì, è arrivata» le rispondo. Penso anche a mia madre, ma solo per un istante. Non voglio essere triste, non adesso.
«Sicuro che non c’è altro?» mi chiede a bruciapelo, guardando fissa davanti a sé fuori dal finestrino. «Sai, già non mi va a genio la storia del ritardo, in più sapere che eri insieme a una ragazza non fa altro che peggiorare la situazione».
«Non è successo nient’altro» sorrido. Vuole farsi vedere fredda e superiore, ma in realtà ci tiene a me. Lo spero, almeno.
«Se scopro che mi hai mentito, ti faccio mangiare i Pocky dal naso» mi spiega tranquillamente, voltandosi poi in mia direzione e fissandomi con uno sguardo glaciale e infuocato al tempo stesso, mentre tira fuori dalla borsa una scatoletta di bastoncini ricoperti di cioccolato bianco.
«Me ne infilerai solo uno, spero, nel caso».
«No, tutta la confezione» mi minaccia, prima di riprendere di nuovo a guardare davanti a sé mangiando un Pocky. Me ne offre uno, mentre il suo sguardo si fa malinconico. Mi fa una tenerezza che non saprei descrivere. Vorrei tanto proteggerla da quello che la preoccupa, da quello che le fa paura. Dal mondo, che a volte sa essere davvero infame.
Dalla realtà, che a volte può essere così dura da accettare da lacerarti il petto. Letteralmente, nel mio caso. Soprattutto se sei troppo piccolo per sapere come gestire problemi più grandi di te. O se non sei abbastanza forte.
«Rad…» sospira, dopo qualche secondo di silenzio. «Perché ti interessi tanto a me? Io sono una ragazza problematica, di solito la gente sta alla larga dalle persone come me».
«Perché adoro il tuo cinismo» le spiego. «Anche se forse è questo tuo essere così cinica che ti porta a non avere amici».
«Dammi una risposta seria» mi dice, tornando a guardarmi negli occhi. «Perché cerchi di aiutarmi? Perché fai tutto questo per me?»
«Perché questa è l’occasione per avvicinarmi alla mia bellissima senpai» le rispondo, cercando di farla ridere. Anche se in realtà non è che stia proprio scherzando. «Passare del tempo con te mi manda letteralmente in estasi».
«Non ti ho detto di rivelarmi i tuoi secondi fini, che sono fin troppo evidenti, tra l’altro» ribatte, socchiudendo leggermente gli occhi per scrutarmi e accennando un sorriso.
«Eh, ma mi hai detto tu che volevi una risposta seria…» sbuffo, guardandola negli occhi. Lei continua a fissarmi, mi rendo conto che ha capito che c’è qualcosa in più che mi spinge a starle accanto. A provare ad aiutarla. Lei mi legge dentro. Mi capisce.
Inspiro profondamente, non è facile dire questo proprio a lei. Perché mi fa ancora un po’ male parlarne, e perché non vorrei parlarne con Lazuli. Non adesso, almeno. Ma devo farlo, sento che è giusto così.
Sento che con lei posso concedermi il lusso di essere me stesso. Fino in fondo.
«È brutto non avere nessuno su cui contare quando se ne ha più bisogno… quando le cose vanno male…» le dico, tornando a guardare fuori dal finestrino. La mia voce si è fatta malinconica, senza nemmeno rendermene conto. «Quando mio fratello ha mostrato i primi sintomi della Sindrome della Pubertà, nessuno ci ha dato ascolto. Peggio ancora quando mi si sono formati quei tre squarci sul petto».
«E i vostri genitori?»
«Non viviamo più insieme da quando Goku è stato male… nostra madre non è… non è riuscita ad accettare la situazione» rispondo, con un filo di voce. Mi rendo conto di avere gli occhi lucidi. Giro la testa leggermente nella direzione opposta a quella di Lazuli e ricaccio indietro le lacrime. Vaffanculo, lacrime. Vaffanculo, dolore. Io sono più forte. Non sono più quello di due anni fa.
«Però… però c’è stata una persona che a un certo punto ha deciso di credermi, e non mi riferisco a quella giornalista. Lei, in fondo, aveva visto in quella storia semplicemente un’opportunità per il suo lavoro» riprendo, e noto che Lazuli mi sta fissando. Accenno un sorriso, seppur piuttosto triste. «Credo che non sarei uscito facilmente da quella situazione, se non avessi incontrato quella persona» ammetto con estrema sincerità. «È per questo che voglio esserci per te, così come quella persona c’è stata per me, due anni fa».
«Si tratta di una ragazza, vero?» mi domanda Lazuli.
«Eh?!» esclamo, quasi senza rendermene conto e guardandola di nuovo negli occhi. Il suo sguardo, da dolce diventa improvvisamente duro. Glaciale.
«Io scendo qui» annuncia, gelida, non appena le porte del treno si aprono davanti a noi alla fermata di Shichirigahama. Si alza di scatto ed esce dal vagone, lasciandomi basito. Si è offesa? È gelosa?
«Eh?! E Kamakura?!» le chiedo, perplesso, mentre mi affanno per seguirla e non farmi chiudere dentro dalle porte automatiche del treno.
«Per colpa tua è tardi per andare a Kamakura!» sbotta, fredda come sa essere solo lei, senza nemmeno voltarsi e accelerando il passo sulla banchina.
«E-ehi, aspettami!» le dico, correndo per affiancarla. «Io non volevo…».
«Ho voglia di vedere il mare» mi interrompe, facendo strada verso una meta anche a me ben nota. «Visto che mi hai voluta seguire, continua il tuo racconto mentre andiamo alla spiaggia» aggiunge, senza guardarmi, camminandomi davanti con le mani dietro la schiena
Già, il mare… e quella spiaggia…
 
Due anni prima
 
Non saprei dire da quanto tempo sono seduto sulla sabbia, con le gambe raccolte sul petto e il mento che sprofonda tra le ginocchia. Perso tra i miei pensieri da quasi quindicenne che deve prendere in mano la sua vita troppo presto, mentre la osserva inesorabilmente sgretolarsi tra le sue mani senza riuscire a far nulla. Solo, sempre più solo. Un fratello che non è più quello di prima, due genitori che non accettano questa novità, tre enormi cicatrici che mi solcano il petto senza che io abbia fatto nulla per procurarmele. Nessuno che mi crede. Le voci sul mio conto che iniziano a circolare. E mi fanno male, anche se cerco di non pensarci.
Mi sembra di essere troppo piccolo per affrontare problemi così grandi. Mi sento solo.
Solo, sempre più solo.
L’acqua cristallina del mare che avanza sulla battigia, verso di me, fino a sfiorarmi i piedi, e poi si ritrae verso l’orizzonte. Un moto infinito, un suono rilassante.
Dovrei fregarmene di tutto, come fa il mare. Così grande, così forte, che anche durante una tempesta la pioggia dà l’impressione di sfiorarlo appena. Mi sembra invincibile.
Ma io non sono così, non sono abbastanza forte da fregarmene. Non riesco più a sorridere. Davvero un tempo sapevo addirittura ridere?
Guardo l’acqua verso l’orizzonte, ed è bellissima. Blu. Quando la marea la porta verso di me, invece, è così trasparente da sembrare di ghiaccio.
In lontananza il blu sembra volermi guidare, rassicurare. Da vicino il color  ghiaccio sembra voglia accarezzarmi, farmi capire che ci sarà sempre.
Meglio il blu o meglio il ghiaccio?
«Lo sai?»
Una voce allegra e gentile mi fa voltare di scatto alla mia sinistra, non mi ero accorto che fosse arrivato qualcun altro in questa spiaggia deserta. C’è una ragazza, in piedi, scalza, che sorride e guarda il mare. Ha la mani dietro la schiena e indossa una divisa scolastica. Gonna corta blu, camicetta bianca e giacca marrone chiaro. I suoi lunghi e lucidi capelli neri sono legati in due codini laterali.
«Se calcolata all’altezza degl’occhi, la distanza dell’orizzonte è di circa quattro kilometri!» mi spiega, prima di guardarmi e sorridermi con una dolcezza con cui nessuno mi aveva mai sorriso prima. I suoi occhi sono blu, blu come il mare all’orizzonte. A quattro kilometri da me, a quanto pare.
La guardo, e non so cosa dire. Non riesco nemmeno a sorriderle, perché forse non so neanche più farlo. Però sento il cuore battermi nel petto, nel mio petto sfregiato. Lo sento battere forte, come non succedeva da tempo. Una, due, tre volte. E poi ancora, e ancora.
«Mi chiamo Videl Satan, frequento la terza media alla scuola Minegahara e tra poco comincerò lì anche il liceo!» mi spiega, sorridendomi ancora di più. «E tu? Come ti chiami?»
 
«Tu frequentavi il secondo anno delle medie allora, giusto?» mi interrompe Lazuli. «Questa… questa Videl ha la mia età, a quanto pare» sibila, cominciando a scendere la scalinata di pietra che ci conduce alla spiaggia. «Hai scelto il liceo Minegahara solo per poterla incontrare di nuovo?»
«Beh, se devo essere sincero… sì…» ammetto.
«Ma lei ti ha rifiutato, vero?» mi chiede Lazuli, smettendo improvvisamente di camminare davanti a me con le mani dietro la schiena.
«A dire la verità ci siamo baciati solo una volta in quel periodo, ma da quel giorno non l’ho più vista. Alla fine ho scoperto che alla Minegahara non c’era una studentessa con quel nome» le spiego, mentre lei si volta di scatto e mi pianta addosso quei meravigliosi occhi di ghiaccio che si ritrova. Color ghiaccio, come l’acqua che la marea porta fino ai nostri piedi, prima di ritrarsi di nuovo verso l’orizzonte, dove l’acqua appare blu. Blu e lontana.
«Ho persino controllato l’elenco degli alunni, sia delle medie negli anni passati, sia del liceo. Ma niente, non esiste nessuna studentessa con quel nome, a quanto pare» riprendo, abbassando gli occhi verso l’acqua trasparente che sembra volermi accarezzare. «Eppure sono certo di aver conosciuto una ragazza di nome Videl Satan e di essere stato salvato dalla sua presenza».
«Sei ancora innamorato di lei?» mi domanda Lazuli, in apparenza imperturbabile, continuando a fissarmi intensamente negli occhi. Cercando di scavarmi dentro. Perché lei sa farlo. Perché io voglio che lei lo faccia.
«Mi piaceva, due anni fa» ammetto candidamente. Non avrebbe senso mentire. Non so mentire a Lazuli, e non voglio nemmeno farlo. Non lo farò mai. «Molto».
«Ammetti di essere innamorato di un’altra ragazza nel bel mezzo di un appuntamento con me…» esclama lei, piuttosto acida e irritata. Incrocia le braccia sul petto con stizza e volta la testa di scatto, facendo ondeggiare i suoi capelli biondi. «Ma quanto fai schifo?!» aggiunge, girando il coltello nella piaga.
«M-ma… me l’hai chiesto tu!» provo a giustificarmi. «E poi ho detto che mi “piaceva”, non che mi piace ancora! C’è una bella differenza!» protesto.
«È arrivata» mi dice Lazuli, indifferente alle mie parole, guardando oltre le mie spalle in direzione della strada. Mi giro e vedo scendere da una macchina sportiva nera una donna sulla quarantina dai lunghi e lisci capelli biondi, fasciata in un tubino nero e con un paio di occhiali dalla montatura nera che le conferiscono un’aria ancora più austera e severa, nonostante mi sembri molto ben curata. Scende la scalinata di pietra e si dirige verso di noi, guardandosi intorno. Sembra scocciata e di fretta. È una bella donna, ma soprattutto mi sembra gelida.
«Chi è che è arrivata?» domando, perplesso, rivolto a Lazuli. Lei tira fuori il suo cellulare e mi mostra un messaggio scritto da lei la sera del 20 maggio, quella in cui abbiamo fatto la spesa insieme, inviato a un contatto salvato come “Manager” e il cui testo recita: Fatti trovare alla spiaggia Shichirigahama alle 17:00 di domenica 25.
«Manager?!» esclamo, allibito, dopo aver realizzato il tutto. «Ma allora quella che sta arrivando è tua madre!» aggiungo, voltandomi verso la donna che nel frattempo ha raggiunto la spiaggia.
«Voglio dirle chiaramente che ho deciso di tornare sulle scene, ma che lei non sarà più la mia manager. Mi affiderò a un’altra agenzia» spiega Lazuli, fissando sua madre a distanza con occhi pieni di risentimento e delusione. Sembra decisa, nonostante non debba essere facile per lei.
«Sei sicura di volerlo fare? Se hai bisogno di una mano, conta su di me» le dico, mentre guardiamo entrambi in direzione di sua madre, che si è fermata in mezzo alla spiaggia con le mani sui fianchi e si guarda intorno, irritata.
«Continueremo il nostro appuntamento dopo che avrò finito con lei, aspettami qui» mi risponde, accennando un sorriso e dirigendosi verso sua madre.
Osservo Lazuli camminare decisa, mentre sua madre si gira proprio in quel momento verso di noi e riprende a camminare anche lei. Solo che, più che guardare sua figlia, sembra guardare me. Lazuli si ferma a un paio di metri da sua mamma, ma la donna continua a camminare, passandole accanto senza degnarla nemmeno di uno sguardo, e si dirige verso di me.
Guardo Lazuli, impietrita, le braccia distese lungo i fianchi e le mani leggermente aperte. Si volta di scatto, i suoi occhi di ghiaccio sono sgranati. Pieni di dolore.
Sgrano a mia volta gli occhi. Sento una fitta nel petto. Un nodo alla gola.
Nemmeno sua madre riesce più a vedere Lazuli.
«Sei stato tu a chiamarmi?» mi domanda la donna in tono scocciato, fermandosi a un paio di metri da me e incrociando le braccia sul petto. Distolgo lo sguardo da Lazuli, che osserva la scena con la bocca leggermente aperta, e lo fisso sulla persona che ho davanti. Si vede che è sua madre, le assomiglia. Solo che a questa donna manca una cosa fondamentale, a differenza di sua figlia: le manca il cuore.
«Chi sei? Cosa vuoi?» mi incalza. La sua voce è severa. Guardo di nuovo Lazuli. I suoi occhi sono lucidi, la sua anima si sta sbriciolando lentamente senza che io possa fare qualcosa per impedirlo. Stringo i pugni così forte da farmi male.
«Mi chiamo Radish Son, sono un kohai di Lazuli-san» mi presento.
«Di chi?» mi domanda, perplessa.
«Di Lazuli-san!» ripeto.
«E chi sarebbe?»
«Come, “chi sarebbe”?! È sua figlia!»
«Cosa stai dicendo?! Io non ho nessuna figlia! Smettila di scherzare e di farmi perdere tempo!»
«Ma io non sto scherzando! Il messaggio che le chiedeva di recarsi qui l’avrà ricevuto da lei, no?»
«Intendi questo messaggio?» mi chiede, mostrandomi il suo cellulare con il messaggio inviatole da Lazuli sul display. «Come vedi, il mittente è anonimo. Non so chi me l’abbia inviato».
«Eh?» riesco a dire, sgranando ancora di più gli occhi e guardando Lazuli, pietrificata e spaventata.
«Ho fatto i salti mortali per trovare il tempo per venire qui oggi, e guarda cosa mi ritrovo…» sbuffa la donna. «Cosa significa tutto questo?»
«È sua madre! Come può essersi dimenticata di lei?!» le grido in faccia, quasi senza rendermene conto. «Non può essersi addirittura dimenticata di lei dopo tutto il male che le ha fatto!»
«Basta, Rad! Basta così!» mi interrompe Lazuli, correndo verso di me e abbracciandomi. Affonda la testa nel mio petto, mi stringe forte. Trattiene a stento un singhiozzo. «Basta, per favore…» sussurra.
«Perché?! Io non ho ancora finito di dirle quello che penso!» urlo. Mi sento fuori di me.
«Basta… basta, ti prego…» mi implora di nuovo, cercando la mia mano con la sua e stringendola forte, mentre con l’altra continua a cingermi la schiena. Riprendo fiato, cerco di tornare in me e di calmarmi.
«Ne ho abbastanza di questa pagliacciata! Mi hai fatto perdere fin troppo tempo!» sbotta la madre di Lazuli, prima di andarsene dalla spiaggia.
La seguo con lo sguardo per qualche metro, rassegnato. Sento un singhiozzo sommesso di Lazuli contro il mio petto. Ne sento un altro. Le accarezzo la nuca con una mano, la stringo un po’ di più a me. Voglio che sappia che io ci sono per lei. Che ci sarò sempre, se lei lo vorrà. Che non deve avere per forza bisogno di una madre come quella per essere felice.
Vorrei dirgliele, queste cose. Ma non ce la faccio. Non adesso, almeno.
Le accarezzo ancora la testa, e ancora. Lei mi stringe più forte la mano. Mi punta quasi le unghie nella schiena con l’altra, da quanto sta stringendo la maglietta per non staccarsi da me. Appoggio la testa contro la sua, mentre il suo profumo fresco mi avvolge e il suono delle onde tranquille del mare cerca di calmarmi. Di dirmi che va tutto bene. Che andrà tutto bene.
«Perché… perché le cose devono andare così?!» singhiozza Lazuli. «Io… io… cosa ho fatto di male?!»
«Non sempre le cose vanno come vorremmo… o come meriteremmo. E anche i genitori non ce li possiamo scegliere, non è colpa nostra se sono così…» le rispondo, accarezzandole la testa. «A volte la realtà può fare così schifo da lacerarti il petto. Letteralmente, come è successo a me. Perché non sai come reagire, perché hai paura, perché senti di non essere abbastanza grande per farcela. Di non essere abbastanza forte».
Mi interrompo, e sento il suo respiro farsi più regolare. I singhiozzi diminuiscono, eppure continua a stringermi forte. Le accarezzo di nuovo i capelli. Sento il suo cuore battere sul mio petto sfregiato da una realtà che non sono stato in grado di affrontare due anni fa. Ma ora è diverso. Ora sono io ad essere diverso.
«A un certo punto poi accetti la realtà, capisci che puoi affrontarla, per quanto faccia schifo. Ti accetti per quello che sei e vai avanti, reagisci. Restano i segni addosso, magari, ma alla fine vai avanti lo stesso. I segni restano solo un ricordo del passato, stanno lì a ricordarti che sei stato più forte di quello che è accaduto» riprendo, mentre la sua mano resta stretta alla mia. Mentre il suo cuore batte più forte. «Io non ti lascerò affrontare tutto questo da sola, non voglio farti vivere quello che ho vissuto io. In due è più facile farcela. In due si può lottare come dei giganti contro ogni dolore».
Restiamo così, in silenzio, in questa spiaggia deserta che io conosco bene. La spiaggia in cui ho imparato a rialzarmi di nuovo, una volta. E in cui non lascerò che sia Lazuli a cadere, oggi.
Restiamo così, e non saprei dire per quanto. So solo che non potrei desiderare altro, adesso.
«Rad…» mi sussurra, senza guardarmi.
«Sì?» le chiedo, accarezzandole di nuovo la nuca e dandole un leggero bacio sulla testa.
«Io… se… se anche tu dovessi…» prova a dire.
«Non succederà, te lo prometto» la interrompo. «Io mi ricorderò sempre di te, Là» aggiungo, senza esitazioni. «Non potrei mai dimenticarti».
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: ok, lasciamo i nostri protagonisti abbracciati sulla spiaggia a dirsi cose carine dopo i danni provocati dalla famosa “mamma di Lazuli”. Tutto questo, però, aggiunge un dubbio sulla situazione della nostra protagonista: sembra che le persone che non la vedono più abbiano anche perso ogni ricordo relativo a lei, a giudicare da quello che dice sua madre. E, se ci pensate, questa sarebbe una cosa devastante.
Il finale è un po’ triste, anche se Rad fa del suo meglio per trovare le parole giuste: spero vi sia piaciuto, sia il finale che il capitolo! In ogni caso l’appuntamento prosegue nel prossimo, per il momento salutiamo i nostri eroi sulla stessa spiaggia in cui Rad ha conosciuto Videl poco più di due anni prima. Si tratta di una spiaggia tranquilla e non attrezzata per il turismo attaccata a Fujisawa, considerando che Kamakura (quella che doveva essere la destinazione del loro appuntamento) è a soli 6 km da Fujisawa e la fermata del treno che conduce a questa spiaggia dal nome impronunciabile si trova prima. I Pocky, invece, sono quei bastoncini ricoperti di cioccolato di vari gusti conosciuti in Italia come Mikado.
Abbiamo avuto un assaggio del personaggio di Videl Satan, vi è piaciuta? È un personaggio avvolto nel mistero, direi. E, così a naso, non mi sembra stare esattamente simpatica a Lazuli.
Stessa cosa per la ragazza dai capelli blu che prende a calci Rad e lo fa arrivare tardi all’appuntamento. Anche lei non sembra andare a genio alla nostra Lazuli. L’avete riconosciuta? Dai, è facile! È già comparsa di striscio e alcuni di voi l’avevano beccata subito.
Lei avrà ruolo molto prima di Chichi, per la quale bisognerà avere pazienza stando alla trama e al ruolo che ho in mente per lei. Che sarà molto bello e particolare nelle mie intenzioni, per questo mi fa piacere che c’è stato molto entusiasmo per l’annuncio della sua presenza nel “cast” di questa AU. Non l’ho detto subito perché sapevo che ci sarebbe voluto tempo per il suo ingresso sulla scena, ma era prevista fin dall’inizio. Infatti, in qualche modo e indirettamente, si è già parlato di lei tra le righe in uno dei precedenti capitoli. Mi sono affezionato anche a lei dopo “Beauty and the Beast”, quindi fin da subito ho pensato che ci sarebbe stata bene anche in questa avventura!
Tornando al capitolo, Radish non sembra parlare volentieri della sua famiglia, ma qualcosa ci dice a riguardo. Oggi lo vediamo così, ma due anni fa deve aver vissuto dei momenti davvero difficili secondo me. Cosa sarà successo? Ci vorrà pazienza per sapere tutto, lo sapete. ;-)
Nel frattempo spero vi sarete goduti certi atteggiamenti e certe battute di Lazuli, spero siano uscite bene, con i suoi modi spesso gelidi e a volte estremamente teneri!
 
Niente, non mi resta che ringraziare ancora una volta tutti voi che state leggendo questa storia e che la state apprezzando. Non potete capire quanto mi faccia piacere, perché fatico anch’io a spiegarmi quanto mi sto legando a questi personaggi e alle loro vicende!
Mi avete scritto cose bellissime e trasmesso tanto entusiasmo, non so davvero come ringraziarvi!
Grazie in anticipo a chi vorrà lasciarmi il suo parere e chiedermi chiarimenti a riguardo, a chi continua a leggere questa long e a chi la sta inserendo nelle varie categorie.
Ci vediamo giovedì prossimo, se volete uno spoiler il titolo sarà “Notte magica”, quindi sembra promettere bene. Spero di avervi emozionato e divertito in questo, e spero che lo farò ancora di più nel prossimo… ci sarà anche una telefonata memorabile tra Rad e Vegeta, quindi non perdetevelo! E vedremo soprattutto se i nostri Raduli (per chi ancora non lo sapesse, è un neologismo osceno creato da me qualche tempo fa) faranno ancora qualche passo l’uno verso l’altra!
Ho aggiornato anche questa settimana con qualche ora di anticipo perché domani, finalmente, esce al cinema il tanto atteso film su Broly e così oggi potete ingannare l’attesa leggendo i miei deliri su Efp, magari! ;-)
Io andrò subito domani sera, non vedo l’ora!
 
Teo
 
 
 

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Capitolo 6
*** Notte magica ***


6 – Notte magica
 
 
 
«Mi scusi…» chiedo a un uomo in giacca e cravatta con in mano una valigetta che incrocio sulla banchina della stazione di Fujisawa, dove nel frattempo siamo tornati. È sera, ormai, e c’è buio. «Le dice niente il nome di Lazuli Eighteen, l’attrice e modella famosa fin da bambina?»
«No, non la conosco» mi risponde, perplesso e sbrigativo, prima di riprendere a camminare.
Provo a chiedere ad altre persone, ma la risposta è sempre la stessa. La situazione è sempre più preoccupante. Lazuli mi segue a testa bassa, non dice nulla. Sta soffrendo. E ha paura, anche se fatica ad ammetterlo.
Mi rendo conto di una cosa, ripensando a quello che è successo oggi pomeriggio con la mamma di Lazuli e alle risposte che mi stanno dando i passanti. Una cosa che non avevo considerato in queste ultime due settimane. Una cosa terribile. E se diventare invisibili agli occhi delle persone non significasse soltanto scomparire dalla loro vista? E se si sparisse anche dai loro ricordi?
Guardo Lazuli, e il suo volto mi sembra sempre più affranto. Ci passa accanto tantissima gente, ma nessuno la può vedere. Solo io.
Decido di provare a telefonare a Husky, la giornalista. Lei la conosce di persona, inoltre si sono parlate solo cinque giorni fa!
«Ciao Rad-kun! Hai cambiato idea per quella foto?»
«No, volevo solo chiederti se ti ricordi di Lazuli Eighteen».
«Lazuli Eighteen? E chi sarebbe?»
Resto di sasso. Sgrano gli occhi e guardo Lazuli, che abbassa ancora di più lo sguardo e stringe i pugni. Cazzo, la situazione è peggiore di quanto immaginassi.
«Pronto? Ci sei ancora, Rad-kun?»
«Come puoi non conoscere Lazuli Eighteen?!»
«Non so chi sia…».
«E allora con chi ti sei accordata per decidere di non rendere pubblica la mia foto?!»
«Stai tranquillo per quella foto, non la renderò pubblica senza il tuo permesso!»
«Sì, ma a chi l’hai promesso?!»
«A chi dovrei averlo promesso?! A te, Rad-kun! Stai bene?»
«Sì… sì… scusa il disturbo. Ciao».
 
«Grazie di tutto per oggi» mi dice Lazuli, all’improvviso, non appena chiudo la chiamata con Husky. «Ciao» aggiunge con un filo di voce e senza guardarmi, girandosi e allontanandosi da me a passo veloce.
«Aspetta!» le grido, inseguendola. «Aspetta» ripeto, quando la raggiungo e le prendo una mano, fermandola. «Andiamo, Là!».
«Andiamo dove?!» sibila, senza voltarsi.
«Da qualche parte, in una città lontana da qui!» esclamo, alzando il tono della voce. «Lì potrebbe esserci ancora qualcuno in grado di vederti! Proviamo!»
«Sì, e poi?» mi fredda. «Cosa faremo una volta che avremo scoperto che solo tu riesci a vedermi e a ricordarti di me?!» aggiunge, alzando a sua volta la voce e cercando di liberarsi della mia presa con uno strattone. Ma io non la mollo.
«Non lo so! Ma, se non altro, avrò modo di restarti accanto per tutto il tempo» le rispondo con estrema sincerità.
Lazuli smette di provare a liberarsi della mia presa, le sue dita si avvolgono delicatamente intorno alle mie. Rialza la testa, osserva un punto indefinito davanti a sé. Tra la gente che le passa accanto e non la vede. Come se non esistesse. Come se non fosse mai esistita.
«A volte sei fin troppo sfacciato per essere più piccolo di me» mi dice. Il suo tono è tornato calmo, quasi asettico, come quando è di buonumore.
«Non voglio che il nostro appuntamento finisca, Là».
Lei si volta e mi guarda negli occhi. Le nostre mani sono ancora strette l’una all’altra. «E va bene…» sospira. «Se non sei ancora pronto a lasciarmi andare, allora…» aggiunge, prima di interrompersi, distogliendo lo sguardo dal mio. Sembra imbarazzata. È così carina, così indifesa quando fa così. «Allora non dispiacerebbe neanche a me proseguire questa serata insieme».
 
«Lasciate un messaggio dopo il segnale acustico».
«Goku, sono io!» esclamo, ben consapevole che mio fratello starà fissando lo schermo del telefono fisso di casa nostra senza rispondere, non riconoscendo sul display il mio numero. Sto chiamando infatti col cellulare di Lazuli, al mio si è scaricata la batteria. Non ci bado mai troppo a queste cose, è un mio difetto. Goku, invece, non parla al telefono con nessuno al di fuori di me, un altro trauma che gli è rimasto addosso dopo quello che ha vissuto due anni fa.
«Ciao fratellone! Cosa c’è?» mi risponde subito, infatti.
«Scusa, ma stasera non torno a casa. Devo andare in un posto lontano» gli spiego.
«Urca! A fare cosa?»
«Ti ricordi Lazuli Eighteen, la ragazza che era a casa nostra l’altro giorno?»
«Uhm… no, perché?»
«Tranquillo, non importa. In cucina c’è del ramen istantaneo, cena con quello stasera, ok? Io torno domani, sono certo che te la caverai! Mi fido di te, Goku!»
«Certo, Goku se la caverà! Ciao fratellone
Saluto mio fratello e salgo sul primo treno in partenza con Lazuli. Andiamo lontano, stanotte. Non conta la meta. Scopro che siamo diretti a Ogaki, mi chiedo se trecentocinquanta km di distanza saranno in grado di darci delle risposte. Risposte positive, più che altro.
«Qui c’è scritto che Ogaki è la seconda città più popolosa della prefettura di Gifu» mi spiega Lazuli, che sta facendo ricerche tramite il suo telefono ed è seduta accanto a me in un vagone decisamente tranquillo del treno. Non potrebbe essere altrimenti, data l’ora. «Dice anche che è pieno di falde acquifere».
«Davvero?» le rispondo distrattamente, perso tra mille pensieri. Sto andando in una città lontana e di notte insieme a Lazuli Eighteen, dopo aver passato il pomeriggio con lei. Fatico ancora ad elaborare tutto questo. Non riesco a godermi pienamente questo momento, come se un terribile pericolo incombesse su di lei. E su di noi, perché io non potrei mai perdonarmi se non dovessi riuscire a salvarla, in qualche modo. Se dovessi dimenticarla.
«Dimmi una cosa, Rad…» sospira Lazuli in tono malinconico, girando il volto e guardando fuori dal finestrino. Mi perdo nei suoi occhi di ghiaccio carichi di tristezza riflessi nel vetro e mi si stringe il cuore in una morsa terribile. Dolore puro.
È questo che si prova quando si ama una ragazza? Si soffre come e più di lei quando sta male? Si gioisce come e più di lei quando è felice? Credo di sì, credo di capirlo dopo ogni singolo minuto in più che passo insieme a lei.
«Cosa?» le chiedo.
«Riesci a vedermi?»
«Sì, ti vedo».
«Riesci a sentire la mia voce?»
«Forte e chiaro».
«Riesci a ricordare chi sono?»
«Lazuli Eighteen. Una ragazza bellissima che frequenta il terzo anno al Liceo Minegahara della prefettura di Kanegawa» le sorrido, cercando di incrociare il suo sguardo attraverso il vetro che ci riflette a causa del buio esterno. «Una ragazza che è entrata nel mondo dello spettacolo già da bambina, ottenendo da allora un lavoro dopo l’altro» aggiungo, prima di fermarmi qualche secondo, in attesa di una sua reazione che invece non arriva. «Mi piace molto la sua personalità, anche se a volte è un po’ distorta e non sempre è onesta con sé stessa» continuo, trasformando il mio sorriso in un lieve ghigno.
«Non è vero!» si gira di scatto stizzita, arrossendo leggermente e guardandomi con fare offeso. Bersaglio colpito, ormai sto imparando come prenderla. Mi guarda negli occhi, ci guarda attraverso. E io faccio lo stesso con lei.
«Infatti questa ragazza che conosco, questa Lazuli Eighteen, cerca disperatamente di nascondere la sua preoccupazione» le spiego, appoggiando la mia mano sopra la sua.
«Non ti ho dato il permesso di prendermi per mano» sibila, senza tuttavia spostare la sua mano, appoggiata sul sedile sotto alla mia. «Ti ci stai abituando troppo, oggi».
«Lo faccio e basta, anche senza il tuo permesso» ribatto con decisione, senza smettere di guardarla intensamente. Sono serio. Lei sgrana gli occhi, glieli vedo brillare. Adoro quando li fa brillare così, anche se lo fa troppo poco e troppo raramente da quando la conosco a causa di tutto quello che sta passando. Arrossisce leggermente, cercando comunque di ricomporsi e di darsi un tono. La adoro quando fa così. Quando fa la dura, anche se ho capito benissimo che lei è la ragazza più dolce che abbia mai conosciuto. Solo che sa essere dolce a modo suo, non tutti possono capirlo. E a me va benissimo così.
«E va bene» acconsente, seria e risoluta, cercando di mostrarsi distaccata. Capovolge la sua mano sotto alla mia e intreccia le sue dita nelle mie, stringendo forte la presa. Mi sento bene. Mi sento vivo. «Ma è solo per questa volta» aggiunge, guardando davanti a sé e fingendosi più sicura di quanto non sia. Sento il suo calore scorrere in me.
Le sorrido, e mi godo questo lungo viaggio mano nella mano. Un viaggio in cerca di risposte in un luogo sconosciuto. Un viaggio con la ragazza che mi rendo conto di amare e di voler proteggere ad ogni costo. Un viaggio che vorrei non finisse mai.
 
«Scusi, le è familiare il nome di Lazuli Eighteen?» chiedo al capostazione di Ogaki, non appena scendiamo dal treno una volta arrivati a destinazione. «Aveva anche fatto la pubblicità dello shinkansen un paio di anni fa».
«Eighteen? Davvero c’era un’attrice che si chiamava così?» mi risponde, allibito.
«La ringrazio» gli dico, uscendo dalla stazione ormai deserta insieme a Lazuli, sempre al mio fianco. Questo era il capolinea del nostro treno, adesso ci dirigiamo a piedi verso un hotel qui in zona che ha prenotato lei durante il viaggio.
«È un buco di camera» esclamo, non appena entriamo nella stanza a noi riservata. Un letto singolo, una piccola scrivania a un metro e mezzo di distanza, una televisione e un minuscolo bagno, il cui ingresso è praticamente attaccato alla testata del letto.
«Cosa ti aspettavi? Quando quello della reception ti ha visto arrivare da solo ha pensato che avessi sbagliato prenotazione e ti ha obbligato a venire qui, invece che nella camera doppia che avevo prenotato io. Nemmeno lui mi vede» sbuffa, scocciata. «Mi faccio una doccia» aggiunge, entrando in bagno.
«Eh?! Doccia?!» esclamo con aria sognante, voltandomi di scatto in sua direzione.
«Non provare a sbirciare» ordina Lazuli, minacciosa, riaprendo la porta leggermente e fulminandomi con una delle sue migliori occhiatacce glaciali.
«Non c’è pericolo, mi basta solo sentire il rumore dell’acqua sul tuo corpo nudo per sognare!» ribatto, sorridendo sghembo. Lei mi guarda ancora più malamente, prima di alzare inesorabilmente il dito indice dirigendolo verso la porta della stanza, intimandomi di uscire.
«Pensavo che una bella signora matura come te avrebbe preferito tormentare un ragazzino come me con il dolce suono dell’acqua della doccia che scorre sul suo corpo» le spiego, allargando leggermente le braccia.
«Guarda che mi fa piacere, cosa credi?» risponde, distogliendo lo sguardo dal mio. La trovo adorabile quando si imbarazza. «Però non metterti a fare cose strane per conto tuo mentre sono in doccia!»
«In che senso “cose strane”? Non capisco…».
«Scemo! Fai un po’ come ti pare!» mi grida contro, arrossendo e sbattendo la porta del bagno. È fin troppo carina quando fa così, penso, mentre metto in carica il telefono e ritorno serio. Devo fare una telefonata importante, adesso. Fondamentale, direi.
 
«Pronto?!»
«Ehi, Prince, sono io».
«Rad… cazzo, ma lo sai che ore sono?!» impreca il mio amico, con la voce impastata dal sonno.
«1:16» gli rispondo, leggendo l’orario sulla sveglia appoggiata sulla scrivania.
«Lo so anch’io, coglione… tsk!»
«Sì, ti voglio bene anch’io. Ma ho bisogno di te, è un’emergenza» gli spiego. «Ti ricordi di Eighteen-senpai?»
«Ma che domande del cazzo fai, Rad?! Mi chiami di notte solo per questo?! Pensi che sono rincoglionito?! Certo che me la ricordo, perché non dovrei?!» sbotta Vegeta, facendomi sorridere e allo stesso tempo alleggerendomi il cuore da un peso enorme. Almeno a scuola la gente si ricorda ancora di Lazuli, a quanto pare. «Tu sei ossessionato da quella ragazza!»
«Ti ricordi davvero di lei? Non mi stai prendendo per il culo?» gli chiedo, alzando il tono della mia voce. Mi sento felice. Tanto, anche.
«Ti ho già detto di sì! Ma che cazzo stai facendo?! Lasciami dormire, adesso
«Grazie Prince! Va tutto bene, adesso. Provo a chiamare anche Bulma!»
«Fai un po’ quel cazzo che vuoi, basta che non mi rompi più i coglioni per stanotte, tsk!» conclude Vegeta, sbattendomi idealmente il telefono in faccia.
Chiamo subito Bulma, ho bisogno del suo aiuto. Forse è l’unica che può concretamente aiutarmi, lei è la persona più intelligente che conosco.
«Sai che ore sono?!» sbotta la mia amica con voce irritata, prima di sbadigliare sonoramente.
«1:19».
«Risposta sbagliata. L’ora giusta è 1:21, il tuo orologio è indietro».
Eccola, la solita, adorabile, precisina del cazzo.
«Ho bisogno del tuo aiuto, Bulma: adesso sono a Ogaki con Eighteen-senpai perché al di fuori dell’ambiente scolastico, a quanto pare, nessuno, non solo non la vede più, ma non si ricorda nemmeno di lei. E persino qui è la stessa cosa».
«Capisco. Ecco perché mi chiedevi della Sindrome della Pubertà l’altro giorno».
«Mi serve che scopri il motivo per cui si presenta e che trovi un modo per risolvere il problema».
«Mi stai chiedendo una cosa impossibile, te ne rendi conto, Son-kun?!»
«Io… io sono disperato, Bulma. Non so cosa fare per salvarla!»
«Un giorno che era di luna buona, Vegeta mi ha spiegato che uno dei tuoi lati positivi è che sai quando dire “Grazie”, “Scusa” e “Aiutami”. Lo penso anch’io… domani vieni a scuola?»
«Non credo di farcela per la mattina… perché?»
«Perché penso che la causa debba essere cercata proprio a scuola. Dopotutto gli altri studenti riescono ancora a vederla. Ci penserò ancora un po’ su finché non crollerò per il sonno, non aspettarti miracoli».
«Ti ringrazio, Bulma, sei un’amica. Ci vediamo domani a scuola, arriverò per pranzo. Scusa ancora per l’ora, buona notte».
 
«Come faccio per l’intimo?»
La voce di Lazuli mi fa voltare verso il bagno, non appena chiudo la telefonata con Bulma. Ha già finito la doccia, maledizione, senza darmi neppure il tempo di fantasticare un po’ su di lei.
«In che senso, scus..» mi interrompo, non appena la vedo, con un lungo asciugamano bianco legato sopra il seno e un altro più piccolo in testa sistemato come un turbante intorno ai capelli bagnati. Spunta solo la testa e la parte superiore del suo busto dalla porta socchiusa del bagno, ma ciò che vedo basta già a farmi decisamente bollire il sangue nelle vene e a farmi sudare.
«Cos’hai da guardare, maiale!» sbotta lei, leggermente rossa in faccia, richiamando la mia attenzione.
«S-sì, l’intimo…» farfuglio, ammaliato.
«Mi va bene mettere su gli stessi vestiti, ma le mutandine le voglio cambiare» riprende, in tono polemico.
«E hai bisogno del mio aiuto per questo? Volentieri!» esclamo, sollevando ritmicamente le sopracciglia e ghignando.
«Cretino, accompagnami al konbini davanti al quale siamo passati prima! Comprerò anche qualcosa che mi faccia da pigiama e prenderò un paio di boxer anche a te».
«Oh, conserverò per sempre i boxer che mi regalerà la mia bellissima senpai in una notte magica come questa, e penserò sempre a te ogni volta che li infilerò» ghigno, mentre lei mi incenerisce con lo sguardo.
«Asciugo i capelli e andiamo, maiale!» sbotta, prima di sbattere di nuovo la porta del bagno.
Sì, la amo sul serio.
 
«È una strana sensazione» mi dice Lazuli, mentre usciamo dal konbini e camminiamo sul marciapiede deserto per fare ritorno in albergo. Stringo in una mano il sacchetto con i vestiti che abbiamo comprato, lei si è anche presa una maglietta e degli shorts per dormire, oltre all’intimo per entrambi. Sta guardando il cielo. È una notte stellata. È una notte bellissima. «Sai, essere in una città che non si conosce, scoprirla un po’ alla volta».
«Non hai girato in lungo e in largo per lavoro?» le chiedo.
«Non erano viaggi di piacere, mi portavano sul set e poi si tornava in albergo. Per mia madre tutto il resto sarebbe stata solo una perdita di tempo» mi spiega.
«Capisco cosa intendi…» sospiro. La sua voce sembra serena, nonostante tutto, e lo stesso vale per il suo volto, ora che mi perdo in lei, guardandola, mentre oltrepassiamo un negozio di fiori chiuso.
«Ma la cosa più strana di tutte è scoprire di notte una città sconosciuta camminando insieme a un ragazzo più giovane che nemmeno conoscevo fino a due settimane fa» riprende, accennando un lieve sorriso.
«Nemmeno io avrei mai immaginato di venire in una città lontana, di notte, con Lazuli Eighteen in persona. Se ripenso a me stesso da piccolo, davanti alla tv a guardare il tuo primo telefilm, mi sembra tutto ancora più strano adesso. Ancora più bello, se possibile» ammetto, con estrema sincerità, guardando le stelle che ci sovrastano.
«È un onore per te» mi sorride Lazuli, altezzosa e allo stesso tempo dolce, avvicinandosi a me e prendendo il mio braccio tra le sue mani. Appoggia la testa all’altezza della mia spalla e continuiamo a camminare così. Vuole scherzare, ma è anche così tenera che mi sento improvvisamente le gambe molli. Cazzo, ma cosa mi fa ogni volta questa dannata ragazza?!
«Me lo ricorderò per tutta la vita, davvero…» sospiro di nuovo, accennando a mia volta un sorriso. Sono sincero, e lo sa anche Lazuli. Glielo leggo negli occhi, mentre la guardo. Distolgo lo sguardo dal suo, quando mi rendo conto che la sua espressione sta mutando. La gioia sta lasciando spazio alla preoccupazione. L’allegria alla paura. Capisco cosa prova. «Non lo dimenticherò mai e poi mai!» esclamo, deciso a dare forza anche a lei.
«E se invece lo facessi?» sussurra lei.
«Potrai infilarmi nel naso tutti i Pocky che vorrai e potrai anche darmi un altro dei tuoi ceffoni» le sorrido, mentre rientriamo in albergo e torniamo in camera.
 
Mi faccio una doccia veloce e, quando esco dal bagno indossando solo i boxer che mi ha appena comprato, trovo Lazuli già sdraiata che occupa metà del letto, quella vicina al muro, con le lenzuola tirate su fino al mento. Ha già spento la luce, la stanza è illuminata solo dalla luce soffusa della abat-jour sul comodino.
«T-tu dormi così?!» esclama.
«Di solito dormo così, ma se ti dà fastidio mi vesto» rispondo. «Se invece non ti fanno senso le mie cicatrici e ti piacciono i miei muscoli, meglio così!» ghigno.
«Fai quello che ti pare, stupido!» sbotta lei, girandosi di scatto verso il muro. «Dormi pure così, visto che ci sei abituato» farfuglia, con la voce ovattata per la faccia premuta contro il cuscino. Mi fa sorridere.
«Se vuoi dormo per terra» le dico.
«Ma sei scemo?! Vieni qui anche tu, ci stiamo!» mi ordina, voltandosi di nuovo come prima.
Mi infilo un po’ impacciato sotto alle lenzuola e mi sdraio, anch’io restando disteso a pancia in su e guardando il soffitto. Sono felice, ma sono anche un po’ a disagio. Sento il corpo di Lazuli praticamente attaccato al mio in questo letto singolo troppo piccolo per entrambi. Sento il suo profumo fresco. Il suo respiro. Il suo calore.
Vorrei dire tante cose, e, ancora di più, vorrei fare tante cose. Vorrei abbracciarla, vorrei baciarla. Vorrei fare l’amore con lei, vorrei avere la mia prima volta con lei. Deglutisco il nulla.
Mi chiedo cosa voglia lei, cosa si aspetti da me. So che ha paura per tutto quello che le sta succedendo, immagino che non abbia la testa per fare certi pensieri in questo momento. E poi, soprattutto, io le piaccio davvero? Quando tutto questo casino si sarà risolto vorrà continuare a frequentarmi?
«Si sta un po’ stretti, effettivamente» sussurra Lazuli, rompendo questo silenzio imbarazzante. Mi sento strano, mi sembra di aver perso improvvisamente tutta la mia baldanza da quando mi sono sdraiato accanto a lei. Attaccato a lei, alle sua pelle morbida. Sotto alle sue stesse lenzuola. Avvolto e travolto dalla sua sola presenza.
Lei è la ragazza che ho sempre sognato, forse anche nel periodo in cui mi ero idealizzato Videl. Me l’ero idealizzata per tutto quello che aveva fatto per me, ma non so se l’ho amata davvero. Non ero in grado di capirlo, a soli quindici anni. Forse la mia era semplicemente gratitudine. Ammirazione. Ho sofferto per lei, quando è sparita. Ma penso che ne sia valsa la pena per arrivare fin qui. Per essere qui con Lazuli. Non so perché, probabilmente sto bruciando le tappe, ma sento che lei è tutto il mio mondo.
«Te l’ho detto, se vuoi dormo sul tappeto» le dico, facendo per scendere dal letto. La sua mano si stringe intorno al mio polso e mi blocca.
«Ti ho detto che tu dormi qui» ordina, apparentemente distaccata, continuando a fissare il soffitto. Mi sdraio di nuovo e guardo anch’io verso l’alto. «Raccontami qualcosa di divertente».
«Uhm… è difficile così su due piedi…» ribatto, concentrandomi. «All’1:16 ho telefonato a un mio amico e mi ha mandato a fare in culo».
«Ha fatto bene, sei fastidioso quando ti ci metti, in effetti» risponde lei, e giurerei che stia sorridendo. «Hai chiamato qualcun altro, poi?»
«Ho chiamato anche una mia amica. Come sai, ho ben due amici».
«Hai telefonato a una tua amica mentre sei in una stanza d’albergo, di notte, insieme a me?! Fai schifo, lo sai?!» ribatte piccata, restando poi in silenzio per qualche secondo, offesa. Gelosa, forse.
«Dai, non fare così» le dico. «Ti piace così tanto mettermi in difficoltà?!»
«Lo so che in fin dei conti ti piace quando ti maltratto».
«Non credo esista un ragazzo a cui non piacerebbe essere stuzzicato da una senpai bellissima».
«Era un complimento?»
«Un elogio».
Giurerei che stia sorridendo di nuovo, compiaciuta.
 
Restiamo in silenzio per qualche secondo, con il suono dei nostri respiri e i battiti martellanti del mio cuore come unico sottofondo.
«Ehi, Rad, ti va di baciarci?» domanda freddamente e all’improvviso Lazuli con il suo solito fare distaccato, continuando a fissare il soffitto. Una sorta di scossa elettrica mi attraversa la schiena fino a farmi quasi rizzare i miei lunghi capelli neri. Mi si secca la gola, il battito aumenta tremendamente. La guardo, e mi sembra stia accennando un sorriso. Forse mi sta prendendo in giro, o forse no. Devo recuperare anch’io un po’ di freddezza, stare al gioco.
«Lazuli-san, sei consapevole che non sapremo fermarci a un bacio?» le domando.
«Sei un maiale, ma forse hai ragione» mi risponde, impassibile. «Cretino» aggiunge, prima di voltarsi di lato verso il muro e darmi le spalle. Sento i suoi piedi contro la mia caviglia. Sento molto caldo, mentre cerco di pensare con lucidità. Mi stava prendendo per il culo o no? «Dormiamo. Buonanotte» mi liquida, gelida.
Sospiro, guardando la sua chioma dorata a pochi centimetri da me, prima di riprendere a soffermarmi sul soffitto. E chi dorme, stanotte? Come posso? Cosa dovrei fare?
«Dimmi una cosa, Rad» sussurra Lazuli, sempre con il volto rivolto verso il muro.
«Non hai detto che dovevamo dormire?» la provoco.
«Ho cambiato idea» mi fredda. «Cosa faresti se iniziassi a tremare e a piangere perché non voglio svanire?» mi chiede, con una voce così carica di purezza e ingenuità da farmi riempire a me, gli occhi di lacrime. Io, che due anni fa ho deciso che non avrei più pianto. Che ho deciso che è più bello sorridere, anche quando è dura farlo.
«Ti abbraccerei da dietro e ti sussurrerei all’orecchio che va tutto bene» le rispondo.
«Allora non lo farò di sicuro» ribatte, col suo solito tono. Il tono che mi fa capire che va tutto bene.
«Perché? Ho detto qualcosa di sbagliato?»
«No, perché ne approfitteresti per palparmi, lo so che sei un maiale» risponde, nascondendo a malapena una risata.
«Mi hai beccato…» sbuffo ironicamente, facendola ridere. Mi piace sentirla ridere.
«Tu sei l’unico che mi fa sempre ridere, mi piace passare il tempo con te» mi dice, cogliendomi di sorpresa e riempiendomi il cuore di gioia allo stesso tempo. «Io quando ho paura vorrei sempre cercare di ridere, vorrei avere qualcuno che mi faccia ridere e che mi dica che andrà tutto bene».
«Se lo vorrai, io ci sarò per te anche quando non ci sarà più nessun motivo per avere paura» le rispondo, deciso. Credo di non essere mai stato così serio.
Lazuli si volta verso di me e si solleva leggermente, aiutandosi col gomito. Mi guarda fissa negli occhi. «Non voglio scomparire, non ora che ho deciso di tornare a fare l’attrice» esclama, mentre i suoi occhi di ghiaccio si sciolgono in lacrime. Lacrime che si sforza con tutta sé stessa di trattenere. «Voglio tornare a recitare nei film, nei telefilm e nelle pubblicità. Vorrei anche tanto fare degli spettacoli teatrali, è un mio sogno».
«Io sarò lì a vederti quando salirai su quel palco, allora. Io lo so che ci riuscirai» le dico.
«Sai anche perché non vorrei scomparire, soprattutto?» mi domanda, accennando un sorriso. «Perché ho conosciuto un kohai un po’ sfacciatello, ma abbastanza simpatico, e, grazie a lui anche andare a scuola mi sembrerà finalmente divertente».
Mi sollevo leggermente anch’io e avvicino la mia faccia alla sua, mentre lei sgrana leggermente gli occhi, sorpresa. Appoggio la mia fronte alla sua, lascio che il suo respiro caldo accarezzi le mie labbra e che il suo profumo fresco mi pervada. «Io non ti dimenticherò, Là. Ti fidi di me?»
«S-sì… ma ne sei certo?».
«Certo. Avrai una vita piena di successo e sarai felice, sperimenterai un sacco di cose diverse e visiterai tutte le città sconosciute che vorrai» le dico, mentre sento il cuore letteralmente esplodermi nel petto. «E, a proposito della tua domanda di prima, certo che mi andrebbe di baciarti. E certo anche che mi piacerebbe andare oltre con te. Avere la mia prima volta con te» ammetto sinceramente, mentre sento un fremito attraversare Lazuli. «Solo che non voglio che questo avvenga mentre tu hai paura. Io voglio solo che tu sia felice, e, quando lo sarai, potrai baciare chi vorrai. Non necessariamente me».
Lazuli sposta la fronte dalla mia e mi abbraccia, appoggiando la testa sulla mia spalla e stringendomi forte. Le accarezzo la nuca con la mano, mentre scivoliamo sul materasso e ci ritroviamo di nuovo sdraiati. Disteso di nuovo a pancia in su, ma stavolta con Lazuli appoggiata con la testa sul mio petto, vicino alla spalla, mentre con un braccio mi cinge il torace. Il suo contatto sulle mie enormi cicatrici mi fa sentire bene, mi fa sentire come se fosse sempre andato tutto bene. Come se tutto quel dolore del cazzo che ho dovuto ingoiare non fosse mai esistito.
«Paura o no, ti sei giocato la tua occasione di rubare il mio primo bacio, non solo la mia prima volta, lo sai?» sussurra Lazuli in tono strafottente, dopo alcuni secondi di silenzio. «Magari era anche la tua ultima occasione, chissà…».
«Maledetta…» sorrido, restando al gioco. «Davvero? Il tuo primo bacio?»
«Sono diffidente di natura e non ho mai avuto amici» mi spiega. «Ho sempre avuto intorno gente solo perché ero Lazuli Eighteen, l’attrice famosa, la stessa gente che poi ha iniziato ad odiarmi quando mi sono presa una pausa. Non amo stare in mezzo a gente così, sto meglio da sola».
Le accarezzo la testa con la mano, le faccio delicatamente dei grattini tra i capelli. «Ora va tutto bene, però. E andrà tutto bene» le dico, dandole poi un bacio sulla testa e accarezzandole una spalla. Lei si stringe di più a me, prende la mia mano sotto alle lenzuola e la stringe alla sua, mentre appoggia una coscia sulla mia e la tira leggermente verso di sé, per essere più comoda.
Mi sento improvvisamente bollente. La gola secchissima e il cuore che pompa sangue più forte che mai, soprattutto in un punto ben preciso del mio corpo. Merda.
Lazuli sposta leggermente il ginocchio e, accidentalmente, o forse no, nel caso l’abbia fatto di proposito per verificare la mia reazione, incontra il durissimo rigonfiamento che si è formato nei miei boxer nuovi di pacca. Cazzo, che figura di merda!
«Sbaglio, o non siamo più soli in questo piccolo e stretto letto, Radish-kun?» mi sbeffeggia Lazuli, che sembra divertita a giudicare dal suo tono. Meglio così, temevo mi avrebbe dato uno dei suoi proverbiali ceffoni.
«N-no… non è come credi, io…» farfuglio a caso.
«Guarda che mi fa piacere, scemo!» ridacchia. «Tanto lo so che sei un porco!»
«Già…» sospiro, un filo imbarazzato.
Restiamo in silenzio e immobili per un po’. Io, lei e il palo della luce che mi ritrovo tra le gambe e che credo mi farà compagnia per tutta la notte.
«Grazie» sussurra Lazuli, seria. «Grazie per non avermi abbandonata. Grazie per esserci».
«Grazie a te, per esserci» le rispondo, riprendendo a farle i grattini sulla testa lentamente. «Ora cerca di dormire, io resterò sveglio finché non ti sarai addormentata».
«Ho un po’ paura, Rad. Non so se riesco a dormire…» sospira.
«Conta i battiti del mio cuore, vedrai che ti addormenterai subito così» le suggerisco. «E, mentre ti addormenterai, pensa che quei battiti sono solo per te. Che sono tutti per te».
Lazuli mi stringe più forte e chiude gli occhi, con la testa sul mio petto. Con il mio cuore che la culla.
È fatta così la felicità?
Credo di sì.
Credo proprio di sì.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: niente da fare per il nostro eroe, che deve riporre la spada nel fodero quando sembrava a un passo dal poterla sguainare. Scherzi a parte, io ho trovato tenerissimi i nostri Rad e Lazuli!
Spero vi siano piaciuti i loro momenti insieme sul treno e, soprattutto, in camera. È stata davvero una notte magica per loro, stanno imparando cosa rappresentano l’uno per l’altra in un momento terribile, visto che Lazuli sa benissimo che sta sparendo letteralmente non solo dalla vista di tutti, ma anche dai loro ricordi. Non esisterebbe letteralmente più in quel caso. E ha paura, direi che è comprensibile. In più ha appena subito una brutta botta da sua mamma perché, va bene la Sindrome della Pubertà, però nel momento in cui Radish e altri studenti riescono ancora a vederla sarebbe scontato pensare che anche sua madre ne sia ancora in grado. E invece no, su di le gli effetti della Sindrome sono stati subito efficaci, come un qualunque sconosciuto. Purtroppo gli effetti si stanno ampliando su sempre più persone, ad esempio Husky.
Non penso che la nostra Lazuli fosse nel mood migliore per dare quello che, lo scopriamo adesso, sarebbe addirittura il suo primo bacio. Rad è un gentiluomo e non forza le cose, anche se forse lei era ben disposta, nonostante tutto. Penso sia normale che entrambi fossero un po’ impacciati, io li ho trovati adorabili e spero vi abbiano emozionato e anche fatto ridere. I momenti in cui lei lo prende per mano pur facendo la distaccata mi fanno sciogliere, ma magari sono io che divento sempre più sensibile ogni volta che aggiungo una tacca al conto dei miei anni! ;-)
 
Momento Alberto Angela: Ogaki, come capiamo dal testo, è una città lontana da Fujisawa ben 350 km. I konbini sono piccoli supermercati aperti 24h che vendono un po’ di tutto, mentre lo shinkansen è il famoso treno ultramegaiperveloce giapponese.
Se avete altri dubbi chiedetemi pure, magari ho tralasciato qualcosa.
 
Vi è piaciuto il sonetto che dedica Prince al nostro Rad via telefono? E Bulma, riuscirà a trovare una soluzione? Il nostro Rad riuscirà a dormire? Io ho dei dubbi, anche se forse non sarà una cosa negativa per lui non addormentarsi…
E Lazuli invece? Avrà contato i battiti del cuore di Rad? Diventerà ancora più invisibile tornando a Fujisawa?
Io ve lo dico, i prossimi due capitoli sono secondo me i più belli tra quelli di questa prima “saga” di questa (lunga) long e sono strettamente legati tra loro. Vi avviso di già: tenete a portata un pacchetto di fazzoletti, potrebbero servirvi (come sono serviti a me) durante la lettura di “Ricordi in dissolvenza”, il prossimo capitolo. Il titolo mette i brividi, maledizione!
 
Non mi resta che ringraziare tutti voi che continuate a leggere e ad apprezzare questa storia, spero che continui a divertirvi e a farvi anche un po’ battere il cuore, se vi immedesimate nei protagonisti!
Grazie a chi mi lascia sempre il suo parere e a chi vorrà farlo anche stavolta, è una cosa che mi emoziona sempre e mi fa troppo piacere! E poi grazie a chi legge in silenzio e inserisce la storia nelle liste, non dimenticate mai che siete anche voi la mia forza, anche se non posso ringraziarvi direttamente.
Grazie ancora a chi si è ricordato del mio compleanno, anche a chi se ne è ricordato solo per il fatto di aver letto la mia OS “Il mare se ne frega” di ormai un anno fa in cui l’avevo detto. Grazie davvero, mi avete stupito!
E grazie, infine, alla Misatona che ci ha regalato un fantastico disegno del Rad di questa storia in versione sfregiato! Vi piace? Ve le immaginavate così le cicatrici sul suo petto? Stupenda accoppiata, lui in versione Scar e Lazuli in versione Bunny, almeno secondo me!
 
Niente, spero abbiate visto anche voi il film di Dragon Ball Super al cinema e l’abbiate amato come ho fatto io! Radish da bambino è meraviglioso, no?!
Ci vediamo giovedì (o magari mercoledì sera, ormai mi piace anche così)!
 
Teo
 
 

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Capitolo 7
*** Ricordi in dissolvenza ***


7 – Ricordi in dissolvenza
 
 
 
Giro leggermente la testa in direzione del comodino e leggo per l’ennesima volta l’ora sul display luminoso della sveglia dell’albergo. Segna le 06:31, e io non ho dormito assolutamente nulla stanotte.
26 maggio, leggo ancora, per non pensare alla durissima erezione che mi ha fatto compagnia nelle ultime quattro ore, quelle in cui Lazuli ha dormito. Quelle in cui ha dormito appoggiata a me.
Non ho avuto bisogno di dormire per sognare. Non stanotte.
Mi giro di nuovo verso di lei e incrocio il suo sguardo. La sua testa è ancora appoggiata al mio petto, ma i suoi occhi di ghiaccio mi fissano, adesso. La guardo a mia volta, la contemplo in silenzio. Penso che sarebbe bello svegliarsi così tutti i giorni, vedere lei per prima nella mia giornata.
«Buongiorno» sussurra, sorridendomi, sfilando la sua mano dalla mia e facendosi scivolare lentamente sul cuscino, senza smettere di guardarmi. Ha dormito stringendo la mia mano. Ha dormito stretta a me.
Lazuli Eightenn si è addormentata tenendomi per mano e appoggiata sul mio petto, non riesco ancora a realizzare bene quello che è successo. 
«Ciao» le dico, sorridendo a mia volta. Mi manca già il suo calore, il suo profumo fresco. Eppure lei è qui, accanto a me.
«Non sei riuscito a dormire, vero?»
«Non sono riuscito a chiudere occhio».
«Mi stai dicendo che è colpa mia?»
«Assolutamente sì, l’emozione è stata troppa».
«Mi sembra giusto» ghigna lievemente. Mi piace che abbia voglia di scherzare un po’, non voglio vederla triste. «Invece dormire accanto a te non è stato nulla di che».
«Mi fa piacere sentirtelo dire, vorrà dire che la prossima volta che dormiremo insieme ti farò una bella sorpresa» ghigno a mia volta.
«Certo, intanto resta pure convinto che ti concederò un’altra notte in mia compagnia…» sbadiglia, mettendosi a sedere e stiracchiandosi le braccia. «Adesso torniamo a Fujisawa e andiamo a scuola insieme dopo la pausa pranzo, ok?»
«Agli ordini, mia bella senpai!»
«Allora esci da questa stanza oppure chiuditi in bagno, devo cambiarmi» ordina freddamente.
«Beh, ma se vuoi, per me non c’è problema a restare qui mentre…» comincio, per poi interrompermi di fronte al suo più classico sguardo omicida. «E va bene, va bene…» borbotto, scendendo dal letto senza pensarci troppo su. Non ricordandomi che la situazione tra le mie gambe non è più esattamente sotto controllo e che ho passato la notte con un paio di boxer aderenti e basta. Merda!
«Sparisci dalla mia vista, porco che non sei altro» sibila Lazuli, mentre mi fissa. Sta sorridendo, anche se un po’ è arrossita. «Non pensavo fossi ancora conciato così».
«Colpa tua…» le rispondo ghignando, mentre cerco di infilarmi i pantaloni.
«Mi fa piacere, anche se questo non cambia il fatto che sei un maiale senza speranza. E ora, sparisci».
 
Stiamo per entrare alla stazione di Ogaki, quando incrociamo un signore con al guinzaglio un cane che ci viene incontro. Lazuli si abbassa per accarezzare il cane, ma sia lui che il suo padrone passano oltre, senza degnarla di uno sguardo. Noto la tristezza dipingersi sul suo volto, e mi si stringe il cuore. È passato un giorno, ma anche oggi sembro l’unico a vederla, qui.
La notte passata insieme ci ha aiutato a darci forza a vicenda, a scambiarci quell’affetto che tanto ci manca e ci è mancato per troppo tempo. A fantasticare sul fatto che tutto si sarebbe risolto nel migliore dei modi, senza sapere come, però. Ma adesso è mattina, il sole è alto nel cielo. Adesso è tempo di affrontare la realtà, purtroppo. Già, purtroppo… perché si sa che spesso la realtà non è all’altezza della fantasia.
«Andiamo, Là» le dico, allungando la mia mano verso di lei, ancora accucciata a terra. La prende e si rialza, la stringe forte mentre ci dirigiamo verso il treno. Intreccia le sue dita nelle mie. La stringe forte, sì, e non la molla per tutto il lungo viaggio di ritorno che ci riporta a Fujisawa. Non parla molto, ma certi suoi gesti, certi suoi sguardi, valgono più di mille parole.
 
Facciamo un salto veloce a casa entrambi, per cambiarci, mangiare qualcosa e prendere le cartelle, per poi dirigerci a scuola insieme per seguire le lezioni del pomeriggio. Saliamo le scale del liceo uno accanto all’altra e noto subito che due ragazzi che stanno scendendo velocemente in direzione opposta alla nostra rischiano di travolgere Lazuli. Come se non l’avessero vista. Entriamo nel grande corridoio che dà su alcune classi e nessuno dei tantissimi studenti presenti si volta verso di noi e ci degna di uno sguardo, a parte qualche immancabile occhiataccia nei miei confronti. ‘Fanculo.
«Fanno solo finta di non notarti o non riescono proprio a vederti?» chiedo a Lazuli, che istintivamente ha afferrato tra pollice e indice la piega della mia giacca all’altezza del gomito. Come se non volesse lasciarmi andare. Ha la testa bassa. «Andrà tutto bene in ogni caso, ok, Là? Perché ci sono qui io».
«Provo… provo ad andare a vedere nella mia classe» sospira lei, dirigendosi verso le scale per salire al piano superiore, dove ci sono le aule del terzo anno.
«Son-kun».
Mi giro e mi ritrovo davanti Bulma, con il suo solito lungo camice  bianco da scienziata aperto, sopra alla divisa.
«Ciao Bulma» le sorrido, anche se sono molto preoccupato.
«Non ho buone notizie» mi dice, diretta ed essenziale come sempre. «È probabile che tutti si siano dimenticati di Eighteen-senpai. Anche Vegeta non si ricorda più di lei».
«Come?! L’ho sentito stanotte e se la ricordava… cazzo…» esclamo a denti stretti, mentre le risate di un gruppetto di quattro ragazze, apparentemente del primo anno, ci interrompono. Incrocio il mio sguardo con quello di una ragazza minuta dai lunghi capelli blu legati in un vistoso fiocco rosso.
«M-ma tu sei quello di ieri!» farfuglia sottovoce, bloccandosi all’improvviso davanti a me con i suoi occhi nocciola sgranati. Le sue amiche si fermano a loro volta. Mi guardano male. Non penso l’abbiano sentita.
«Senti, sai chi è Eighteen-senpai, vero?!» le domando a bruciapelo. L’ho riconosciuta anch’io, è la pazza che ieri mi ha dato una pedata nel culo al parchetto e mi ha fatto arrivare tardi all’appuntamento con Lazuli. Ecco dove l’avevo già vista.
«Eh?!» ribatte, sgranando gli occhi ancora di più.
«La senpai Lazuli Eighteen, frequenta il terzo anno!» insisto, guardando negli occhi anche le sue amiche, una dopo l’altra.
«Ehi, Lunch-chan, perché il senpai dell’incidente dell’ospedale ti sta parlando?» le chiede una sua amica, quella coi capelli argentati. Quella con lo sguardo meno ostile nei miei confronti, almeno se rapportato a quello delle altre due.
«Eh? N-non lo so…» balbetta la ragazza dai capelli blu, che a quanto pare si chiama Lunch, abbassando la testa visibilmente a disagio. Si vergogna di me.
«Eightcosa-senpai?! E chi sarebbe?» borbotta l’amica dai capelli biondi.
«Dai, andiamo via» dice freddamente l’unica che non aveva ancora parlato, una ragazza alta dai lunghi capelli rossi e un’espressione dura dipinta sul volto.
«Perché non ti ricordi di lei?! Parlo di Lazuli Eighteen, è un’attrice famosa!» grido, seguendo Lunch per qualche passo. Ma lei non si volta nemmeno, continua a camminare col suo gruppetto. «Ehi! Ehi!» insisto, inutilmente. Stringo i pugni così forte da farmi male, mentre Bulma mi si avvicina e mi dice di seguirla nel laboratorio del club di scienze.
«Mi viene in mente solo una possibile spiegazione…» mi spiega, una volta giunti lì, mentre sorseggia una tazza colma di caffè. «Hai dormito la scorsa notte?»
«Non ho chiuso occhio» le rispondo, seduto in mezzo a provette e contenitori pieni di strani liquidi colorati.
«Nemmeno io ho più dormito dopo che ci siamo sentiti per telefono» mi spiega. «È possibile che sia solo una coincidenza, ma potrebbe anche essere questo il motivo per cui noi due riusciamo ancora a ricordarci di lei».
«Intendi che ci ricordiamo ancora di Lazuli perché non abbiamo dormito?» le domando, fissando intensamente i suoi occhi azzurri dietro alle lenti dei suoi occhiali.
«Ti ricordi quando abbiamo parlato della Teoria dell’Osservazione?» mi chiede a sua volta.
«Il gatto di Schrodinger…» sibilo.
«Sinceramente ero convinta che fosse tutto assurdo, ma ora che ne ho la prova concreta mi sento quasi la pelle d’oca» mi spiega, mostrandosi molto calma come sempre.
«Intendi la Sindrome della Pubertà?»
«No, intendo il fatto che, qui a scuola, Eighteen-senpai venisse trattata da tutti come imponeva l’atmosfera che si era venuta a creare intorno a lei ancora prima che cominciasse a scomparire fisicamente dalla vista di tutti» afferma, senza smettere di fissarmi. «Anch’io mi sono lasciata trascinare da questa atmosfera nei suoi confronti e, nonostante fosse strano che venisse ignorata da tutti, ho accettato inconsciamente questa cosa senza farmi troppe domande» sospira.
«Dici che è possibile venir inghiottiti dall’atmosfera solo se non si hanno dubbi relativi alla sua veridicità?» le chiedo.
«Probabilmente sì. Io penso che la causa di tutto questo risieda nell’atmosfera che si è generata in questa scuola intorno a Lazuli e che ha avvolto lentamente tutto il suo mondo. Prima è sparita nel mondo esterno alla scuola, e ora persino nel luogo dove è nata l’atmosfera che ha reso possibile tutto questo» mi dice.
«Io non ho mai creduto a questa atmosfera! Anche quando tutti la vedevano ma la trattavano come se fosse invisibile, io non ho mai avuto dubbi sulla sua esistenza, sulla sua vera personalità! Io l’ho sempre guardata, l’ho sempre ammirata! Lo capisci?!» esclamo battendo i pugni sul tavolo e facendo tintinnare alcune ampolle tra loro. «Non mi dimenticherò di lei!»
«Credo che quest’atmosfera stia diventando troppo forte per potervi resistere, arrivati a questo punto. Non è un caso che tu sia l’ultimo a ricordarti di lei, ma non credo potrai resistere ancora a lungo. Per quanto riguarda me, ipotizzo che sia solo questione di ore ormai, prima che la dimenticherò anch’io» mi spiega, scuotendo leggermente la testa e abbassando lo sguardo. «Ma se la causa di tutto risiede in questa scuola, anche la soluzione si deve trovare qui. Eighteen-senpai si è talmente assuefatta a questa atmosfera che l’ha portata con sé inconsciamente al di fuori della scuola, per questo la gente ha iniziato a non vederla più. Ma quell’atmosfera è nata qui a scuola, quindi il modo per abbatterla deve trovarsi qui, per forza».
«Io… io troverò una fottuta soluzione, allora!» ringhio, sforzandomi di non farmi prendere dall’ansia e dalla rabbia.
«Stando alla Teoria dell’Osservazione, non venendo osservata da nessuno all’interno di queste mura, l’esistenza di Eighteen-senpai non può essere definita» riprende Bulma. «Questa scuola rappresenta la scatola, mentre lei è il gatto imprigionato al suo interno».
La mia amica si alza e cammina in direzione della finestra, guardando il mare illuminato dal sole che si perde all’orizzonte. «Se la cognizione e l’osservazione sono i fattori chiave, è ragionevole accettare che il sonno, una fase in cui la coscienza non è di fatto operativa, provochi la perdita dei ricordi».
«Stai dicendo che se avessi dormito la scorsa notte, anch’io me la sarei dimenticata?!» sbotto, spingendo via la sedia alle mie spalle.
«Probabilmente sì, al massimo avresti resistito un giorno in più perché sei tu, perché non ti fai condizionare dall’atmosfera» risponde, serissima. «Non voglio illuderti, Son-kun: domani mattina non ricorderai più nulla di Eighteen-senpai».
«No! No!» sbraito. «Io sarò più forte di questa atmosfera del cazzo, io sono sempre stato più forte di tutto!» aggiungo, uscendo dal laboratorio sbattendo la porta.
 
«Ehi, Rad, stai bene?» mi domanda Lazuli, mentre usciamo dalla stazione di Fujisawa camminando uno accanto all’altra al termine delle lezioni. «Hai parlato pochissimo durante il viaggio, c’è qualcosa che non va?» aggiunge dolcemente.
Mi sorride. È molto più carina del solito, molto più gentile. Certo che c’è qualcosa che non va. Ma questo l’ha capito da sola, è stato sufficiente guardarmi perché lo capisse. Ma non voglio dirle niente, non voglio metterle paura.
Non voglio dimenticarla. Sono io ad avere paura, adesso.
«No, va tutto bene» le sorrido a mia volta, mentre la mia vista comincia ad appannarsi a causa del sonno. Resto fermo davanti a lei e la guardo negli occhi. Nei suoi bellissimi occhi di ghiaccio. Potrei davvero dimenticarmeli?
Sento l’ansia salire dentro di me, dallo stomaco fino alla gola. Mi toglie il respiro. Abbasso lo sguardo, il mio sorriso si spegne.
«Dovresti andare al lavoro, Rad. Farai tardi se non ti sbrighi» mi dice Lazuli. Si avvicina e mi abbraccia, mi passa una mano tra i miei folti capelli. Sgrano gli occhi, incrocio lo sguardo della gente che ci passa accanto. Che non sa che Lazuli mi sta abbracciando, perché non è in grado di vederla. Sento i miei occhi inumidirsi.
«Io… io non voglio andare al lavoro stasera…» farfuglio, ingoiando un singhiozzo e ricacciando indietro le lacrime. Lazuli si stacca da me e appoggia le mani sulle mie spalle, tenendo le braccia tese. La sua espressione è severa, adesso.
«Non puoi ignorare le tue responsabilità» mi dice, gelida e con tono autoritario.
«Io voglio… voglio stare con te stasera» le rispondo.
Mi sorride dolcemente, come solo lei sa essere quando vuole. Mi fa sciogliere il cuore. «Non preoccuparti per me, me la caverò!» esclama, felice. I suoi occhi di ghiaccio brillano. «Ci vediamo domani!» aggiunge, dandomi un bacio sulla guancia e correndo via in mezzo alla gente. Gente che non è in grado di vederla.
Già, avremo un domani? Sospiro, e mi dirigo verso il ristorante “Kame House”, col cuore pesante e la testa piena di angosce.
 
Mi metto il grembiule da cameriere e comincio a prendere le ordinazioni dai clienti. Sento a malapena quello che mi dicono, scrivo, sorrido di circostanza. Penso a lei, non faccio altro che pensare a lei.
Non so cosa fare, non riesco a trovare una soluzione a tutto questo casino.
Non essendo osservata, l’esistenza di Lazuli non può essere definita. È per questo che sta svanendo. Non essere riconosciuta da nessuno è come non esistere affatto.
Svanire equivale a morire? Lazuli sta morendo mentre io pulisco un cazzo di tavolo di merda con uno straccio! Vaffanculo! I miei occhi si riempiono di nuovo di lacrime, mentre rientro in magazzino e getto per terra lo strofinaccio, prima di dare un pugno al muro.
Vorrei urlare, cazzo. Vorrei che qualcuno mi dicesse che ce la farò a salvare Lazuli, che non la lascerò sola. Mi sento stanco. Stanco e spaventato. Faccio dei respiri profondi, mi calmo. Completo il turno e mi dirigo verso casa, è molto tardi ormai.
Penso all’atmosfera che qualcuno crea intorno ad ognuno di noi. L’atmosfera è invisibile, eppure fa sentire eccome la sua presenza. Una volta ho detto a Lazuli che sarebbe inutile scontrarsi con questa atmosfera. Ma aveva ragione lei: non posso lasciare le cose come stanno, io posso essere più forte di questa atmosfera di merda! Io non devo arrendermi.
«Se mi dovessi addormentare, l’atmosfera sicuramente inghiottirebbe anche me, come ha detto Bulma» mormoro tra me e me, mentre entro in un konbini vicino a casa mia. «Ma, finché resterò cosciente, non potrò dimenticarmi di Lazuli».
Compro lattine di Red Bull, bottigliette di caffè freddo, scatolette di mentine. Riempio una borsa. Non ho altre idee al momento.
Rientro in casa e mi siedo alla scrivania, devo anche studiare. Studierò tutta la notte e mi terrò sveglio con questa roba, penso, mentre comincio a bere una lattina anche se non mi andrebbe, in realtà. Mi intravedo allo specchio, ho gli occhi gonfi e tutt’altro che una bella cera. Ma non posso mollare.
«Cosa stai bevendo, fratellone?» mi domanda Goku, perplesso, all’ingresso della mia stanza. Ha la felpa del tirannosauro col cappuccio in testa e il nostro gatto Balzar in braccio. La sua espressione è a metà tra l’essere preoccupata e l’essere contrariata. Ha capito anche lui che c’è qualcosa che non va, il mio aspetto orribile di certo l’avrà aiutato.
«Per i prossimi tre giorni sarò impegnato con gli esami di metà semestre» gli spiego, sorridendo e cercando di rassicurarlo. «Tu vai pure a dormire, io studierò fino a tardi. Questa roba mi aiuterà a restare sveglio» lo congedo.
Ora che sono solo, e prima di tentare di studiare qualcosa, devo fare una cosa fondamentale. Devo farlo mentre sono ancora lucido. Apro un quaderno e prendo in mano una biro.
È l’unica idea che ho avuto, per il momento: scrivere una sorta di lettera al me stesso che si dimenticherà di Lazuli, sperando che, grazie alle parole che butterò giù ora, potrà riuscire a ricordarsela. Lascerò questo quaderno aperto sulla scrivania, lo noterà per forza anche il me stesso che non sarà in grado di ricordare questo momento, oltre che l’esistenza stessa di Lazuli.
Lascio cadere dalla scatoletta una decina di mentine sul palmo della mia mano e me le infilo in bocca. Stringo più forte la biro e respiro profondamente, prima di cominciare a riordinare i miei pensieri:
 
Quello che sto per scrivere potrà sembrarti assurdo, ma in realtà è tutto vero. Quindi vedi di leggere fino alla fine, stronzo. Senza se e senza ma.
 
6 maggio
Nella biblioteca di Fujisawa mi sono imbattuto in una coniglietta selvatica. Alla fine ho scoperto che era una mia senpai con indosso un costume, la famosa Lazuli Eighteen. Frequenta il terzo anno al Liceo Minegahara.
[…]
Notte tra il 26 e il 27 maggio, firmato Radish Son
 
Concludo così, dopo aver riassunto per iscritto tutti gli avvenimenti di queste fantastiche e folli tre settimane. Cerco anche di studiare qualcosa poi, mi prendo a schiaffi per non dormire. Infilo la testa sotto l’acqua ghiacciata. Altro caffè, altra Red Bull. Vorrei vomitare, dovrei dormire.
Mi faccio una doccia quando ormai è mattina e mi vesto per andare a scuola. Non dormo da due notti ormai, ma ce l’ho fatta. Ho lo sguardo allucinato e una faccia spaventosa, non ho nemmeno la forza di sistemarmi la cravatta della divisa. La lascio storta ed esco, con il sole che splende e mi stordisce, data la situazione in cui verso. Barcollo, scendendo la scalinata della portineria.
«Non hai una bella cera».
Sollevo lo sguardo e mi trovo davanti Lazuli, con le braccia incrociate sul petto e un’espressione severa dipinta sul volto. Sorrido, la vedo ancora. Posso ancora salvarla, in qualche modo.
«Tu sei sempre bellissima, invece» le dico, avvicinandomi verso di lei. Mi sembra un’oasi in mezzo al deserto, stamattina. «Ma come fai?»
«Lasciati sistemare la cravatta» borbotta, mentre me la aggiusta e mi avvolge col suo profumo fresco. Mentre mi travolge con la sua sola presenza. È davvero possibile dimenticarsi dell’esistenza di una persona? Come potrei dimenticarmi una ragazza così? «Non puoi andare in giro conciato così, soprattutto se sei in giro con me».
«Non pensavo ti saresti calata nei panni della novella sposina così in fretta!» esclamo, ghignando.
«Limita la stupidità alla tua faccia, Son» ribatte freddamente, dopo essere un po’ arrossita, in realtà.
«Non mi chiami più “Rad”?»
«Non meriti la mia confidenza stamattina» mi risponde, gelida. «Ora muoviti, o faremo tardi».
«Farai anche tu gli esami di metà semestre oggi? Potrai copiare a volontà!» provo a scherzare, mentre cammino al suo fianco.
«Per chi mi hai preso?! Non mi servono simili trucchetti!» ribatte Lazuli, stizzita, fulminandomi con lo sguardo. «Guarda che me la cavo molto bene a scuola».
«Ci avrei giurato» le sorrido.
«Però è tutto inutile se non mi passano il foglio delle domande…» sospira, improvvisamente triste.
«Eppure continui a frequentare le lezioni. Si vede che sei una diligente. Sei brava».
«A casa non avrei comunque nulla da fare, inoltre posso sempre sperare che qualcun altro possa tornare a vedermi, oltre a te» mi sorride. Mi sembra positiva, e mi fa piacere vederla così. «E poi…».
«Poi cosa?» la incalzo.
«Vengo a scuola per passare del tempo con te, no?!» esclama, stizzita, senza guardarmi.
Le sorrido e mi avvicino a lei. Le passo il braccio intorno alle spalle e la stringo a me, mentre continuiamo a camminare. Lei mi lascia fare. Appoggia la testa tra il mio petto e la spalla e continua a camminare, in silenzio.
Penso che sia il nostro modo di dirci che andrà tutto bene anche oggi. Che ce la faremo.
O, almeno, il mio cuore mi dice che è così.
 
Seduto al mio banco, mi ritrovo davanti i fogli dell’esame. Oggi è il turno di storia giapponese e inglese, mentre domani e dopodomani avremo le altre materie. Mentre compilo l’intestazione col mio nome inizio ad avere già i primi colpi di sonno. Vista offuscata, palpebre pesanti. Il cervello che sembra urlare nella mia testa. Non posso… non posso addormentarmi! Non posso dimenticarmi di Lazuli!
Sollevo la testa di scatto e sposto leggermente il banco colpendolo involontariamente con una ginocchiata. Qualcuno si volta a guardarmi, il professore mi osserva severo e sospettoso per qualche secondo. Non me ne frega un cazzo, sono sveglio. E resterò sveglio.
Durante la pausa pranzo mi si avvicina Bulma, sembra preoccupata. Io sono seduto, immobile e con gli occhi sgranati, che fisso un punto indefinito del mare dalla finestra. Indossa già il suo lungo camice bianco da scienziata, lo tiene aperto come sempre.
«Son-kun, come mai hai quelle occhiaie? Scommetto che è almeno due notti che non dormi» mi dice, scrutandomi senza togliere le mani dalle tasche del camice. Ho già capito tutto.
«Non ti ricordi più niente, vero, Bulma?»
«Eh? Di cosa dovrei ricordarmi?»
«Lascia stare, non importa. A dopo» le sorrido mestamente, alzandomi e cominciando a camminare, o meglio, a barcollare, in corridoio. Bulma mi segue con lo sguardo, perplessa. Alla fine aveva ragione lei. La sua ipotesi era giusta. Sollevo lo sguardo e ghigno.
Ce la farò, non so come, ma ce la farò.
 
Dopo il lavoro mi fermo ancora al konbini a fare scorta di roba da bere e da mangiare che possa aiutarmi a non dormire per la terza notte consecutiva. Mi sento stravolto, allucinato e distrutto, ma non sarò di certo io a mollare.
Non studio quasi nulla per l’esame di domani, non riesco a concentrami. Penso a una soluzione per Lazuli, provo a cercare su alcuni libri di meccanica quantistica che ho preso in prestito nella biblioteca della scuola, tento di ingegnarmi. Ma niente, tutto inutile.
«Ehi Rad, ma che cazzo stai combinando ultimamente? Fai schifo, sembri uno zombie!» mi dice Vegeta, sprezzante e allo stesso tempo preoccupato, mentre ci dirigiamo verso scuola col treno. Stamattina non c’era Lazuli ad aspettarmi sotto casa, forse ha deciso di non venire a scuola. Ci siamo scambiati i numeri, ma non abbiamo mai avuto bisogno di mandarci messaggi. Dovrei scriverle qualcosa, adesso? No, meglio lasciarla tranquilla. Probabilmente la incontrerò comunque più tardi.
«Sto bene, Prince. Non rompermi il cazzo…» farfuglio, prima di sbadigliare sonoramente.
Arriviamo al liceo e ci sediamo ai nostri banchi, dove ci vengono subito distribuiti i fogli per il secondo giorno di esami. Mi sento la testa pesantissima, ho delle occhiaie nere e profonde, sembra quasi che sono stato preso a pugni da qualcuno. Riesco a leggere a malapena la data sul foglio: 28 maggio. Sono tre notti di fila che non dormo. Mi si chiudono da sole le palpebre. Mi conficco la punta della biro nella mano, premendo con forza per farmi del male e recuperare lucidità. Mi sembra di vedere la porta della classe socchiusa e mi giro di scatto in quella direzione. La vedo richiudersi lentamente, ma, soprattutto, faccio in tempo a intravedere Lazuli che prova a non farsi notare. Mi stava guardando dal corridoio, sembrava preoccupata. Nessuno la vede, ma io continuerò a vederla. Non mi dimenticherò mai di lei.
 
Finita la scuola, vado al lavoro come al solito. E, dopo il lavoro, mi fermo anche stasera al solito konbini per prendere qualcosa che mi permetta di restare sveglio.
«Cos’hai comprato?»
Sollevo lo sguardo e vedo Lazuli, ferma davanti a me con le braccia incrociate sul petto e lo sguardo severo. La sua voce è irritata.
«Ah… ecco, le solite cose…» farfuglio, troppo stravolto per riuscire a dire qualcosa di sensato.
«Lo sapevo, non stai dormendo, eh?» sbuffa, addolcendo però i tratti del suo volto. I suoi occhi mi sembrano molto preoccupati, mentre la luce del lampione si riflette sulla mollettina nera glitterata a forma di coniglio fissata tra i suoi capelli biondi. «Dai, andiamo a casa tua. Ti aiuto a studiare stasera» mi dice, distogliendo lo sguardo dal mio e prendendomi per mano. Mi lascio guidare, la lascio fare. Mi sento meglio, ora sto bene. Sì, quando sono con lei sto bene.
«Domani è l’ultimo giorno di esami, no? Quindi siediti davanti a me e ascoltami, queste cose le ho già studiate l’anno scorso» mi dice, perentoria, sedendosi sul tappeto davanti al basso tavolino di legno che dal salotto ho portato nella mia stanza.
«Darò anche l’anima se mi farai da sexy professoressa con indosso il tuo costume da coniglietta!» esclamo, sorridendo sghembo e fissandola negli occhi.
«Se lo indossassi, saresti più impegnato a fare pensieri sconci che a studiare!» ribatte lei, imbarazzata, distogliendo di scatto lo sguardo dal mio. È adorabile.
«Hai ragione…» sbuffo, sedendomi. Mi spiega delle cose di matematica e mi dice di svolgere un esercizio, mentre fisso il foglio davanti a me e vedo fondersi insieme i vari numeri e le lettere. L’adrenalina che ho addosso grazie alla presenza di Lazuli mi sta tenendo sveglio, ma sento di essere al limite. Questa è la mia quarta notte insonne, gli occhi mi bruciano come non mai.
«Se farai tutto giusto, ti ricompenserò» mi dice Lazuli, catturando la mia attenzione. Apre una confezioni di Pocky ricoperti di cioccolato bianco e fragola e ne mangia uno, prima di bere un sorso del tè matcha che ha preparato per entrambi poco fa.
«Nel senso che farai tutto ciò che vorrò?» le chiedo, malizioso.
«Diciamo di sì, ma dovrò darti dei limiti dato che sei un porco» ribatte lei, stando al gioco.
«Uhm… allora, se l’andare a letto insieme non dovesse rientrare nei tuoi limiti, mi accontenterò di fare un bagno con te» butto lì, ghignando.
«Scordatelo» mi fredda.
«Allora potremmo proseguire l’appuntamento di domenica scorsa e andare a Kamakura».
«Sicuro ti basti una cosa così poco estrema? Non prendermi in giro…» sbuffa, guardandomi male.
«Beh, te l’ho detto: vorrei avere la mia prima volta con te, in realtà» ammetto, ridacchiando.
Lazuli si avvicina, il suo sguardo è gelido. Mi pizzica forte una guancia e mi tira verso di sé, facendomi male. «Sei fin troppo sfacciato, a volte, per essere più piccolo di me» afferma, con tutta la freddezza che la contraddistingue quando vuole.
«Ma sono davvero così tanto più piccolo di te?» protesto. «Quand’è il tuo compleanno?»
«Il 2 dicembre» risponde. «Il tuo?»
«Il 15 aprile, quindi abbiamo diciassette anni entrambi in questo momento!» rido, mentre Lazuli si sporge e tira con forza la coda con cui mi sono legato i miei lunghi capelli neri. «Ahia! Ma cosa ho fatto stavolta?!» borbotto.
«Eri già stupido prima ancora di nascere» mi dice, gelida. «Se ti fossi dato una mossa a nascere una quindicina di giorni prima, in questi anni saremmo potuti essere in classe insieme».
«È il tuo modo per dirmi che ti sarebbe piaciuto avermi come compagno di classe e che avresti voluto conoscermi prima?» le chiedo, sorridendole.
«È un modo per dirti che mi piace passare il tempo con te, stupido» ribatte, stizzita e imbarazzata, distogliendo i suoi occhi dai miei e incrociando le braccia sul petto. Prende in mano un libro e lo apre, cercando di darsi un tono. Di fare la dura. Mi piace quando fa così. «Non montarti la testa, Son. Adesso cambiamo materia, sono stufa di matematica. Facciamo giapponese moderno, analisi grammaticale».
Prendo in mano la biro e cambio quaderno. La guardo, in attesa di istruzioni.
«Scrivi una frase che usi il significato della parola “garanzia” intesa come verbo e un’altra in cui è intesa come sostantivo» mi ordina.
«Signorina professoressa, vanno bene anche frasi maliziose?»
«Scrivi e basta, oppure me ne vado».
«Allora, in “Garantirò a Lazuli-san un futuro felice” uso “garanzia” come verbo, mentre in “Io e Lazuli-san abbiamo la garanzia che trascorreremo una magnifica vita coniugale” come nome. Giusto?»
In tutta risposta Lazuli arrotola il libro e mi colpisce in testa. «Almeno hai avuto il buon gusto di usare il “-san” dopo il mio nome» mi dice, guardandomi male.
Le sorrido, e bevo un po’ del tè matcha che mi ha preparato lei. Mi piacerebbe passare tanti momenti così, insieme. Sono piccole cose, ma sono anche le migliori.
«Tuo fratello come sta?» mi chiede Lazuli.
«Come al solito, starà dormendo adesso. Tu invece sei figlia unica?»
«Ho una sorella che ha due anni in meno di me» sospira, bevendo un sorso di tè e distogliendo lo sguardo dal mio. «Non ho ricordi dei miei genitori insieme. Hanno divorziato poco dopo che sono nata, poi mio padre si è risposato subito ed è nata lei».
«È carina?» le chiedo, un po’ per provocarla e un po’ per alleggerire la tensione.
«Non quanto me, ovviamente» risponde Lazuli, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Mi sorride.
«Sei modesta, vedo» sorrido sghembo a mia volta, mentre inizio a sentirmi improvvisamente le palpebre più pesanti che mai.
«Vuoi dirmi che preferisci le ragazze che, pur sapendo di essere più carine, fanno le false modeste e vanno in giro a lodare la bellezza delle altre?» ribatte freddamente. Sta giocando a fare l’altezzosa. Mi squadra dall’alto in basso.
«No… quelle… quelle le detesto proprio…» sospiro a fatica, mentre perdo la presa sulla biro e la mia testa si avvicina inesorabilmente al tavolino.
«Vero? Le detesto anch’io…» conferma lei. Non sorride più.
«Però… dai, è… è pur sempre tua… tua sorella…» dico a fatica, mentre sento la carta del quaderno contro la mia guancia. No… no! Sto cedendo, mi sto addormentando! Cerco di sgranare gli occhi, ma vedo tutto sfocato. Non riesco più a muovermi. Cazzo!
«Ho dovuto scioglierti nel tè ben due pastiglie di sonnifero perché non volevi proprio saperne di cedere, ma non potevi passare un’altra notte insonne… mi capisci, vero?» mi chiede Lazuli. Sento la sua voce lontanissima. «Mi preoccupo per te…».
«N-non posso… non posso ancora dormire… io devo…» farfuglio, mentre mi si chiudono gli occhi senza che io riesca ad oppormi. Mi sento tutto intorpidito.
«Ce l’hai messa davvero tutta, Rad» dice Lazuli, e la sua voce mi arriva come se stessi sognando. Sento la sua mano che mi accarezza la testa. Lentamente, dolcemente. «Non puoi neanche capire quanto hai fatto per me in queste ultime tre settimane».
«No… Là… Là, ti prego… c’è ancora molto da fare…» farfuglio, facendo una fatica immane. Sgrano gli occhi di nuovo, con quelle che sento essere le mie ultime forze. Allungo disperatamente una mano verso di lei. E lei la stringe, intreccia le sue dita intorno alle mie.
«Hai fatto abbastanza, davvero. Ora devi riposarti» mi dice dolcemente, senza smettere di accarezzarmi la testa e tenermi la mano.
«Non posso…» sussurro, cercando di guardarla negli occhi. Sta sorridendo, ma le sue guance sono rigate di lacrime.
«Sono abituata a stare da sola. Me la caverò, non devi preoccuparti più per me» continua, senza smettere di sorridere. Senza smettere di piangere. «Non fa nulla se ti dimenticherai di me» sussurra, appoggiando la sua fronte contro la mia. Le nostre facce sono premute entrambe contro uno stupido quaderno di giapponese moderno. Vedo sempre più offuscato, non percepisco quasi più nulla. Mi rendo conto che sto piangendo anch’io, e che non ho la forza di smettere. Non voglio smettere. E non voglio dormire.
Non voglio dimenticarmi di Lazuli.
«Ti chiedo scusa, ti ho causato solo un sacco di problemi. Invece tu… tu mi hai resa felice» le sento dire, sempre più in lontananza. «Nessuno mi aveva mai reso davvero felice».
Percepisco tutto sempre più ovattato, è come se fluttuassi in un mondo onirico. Scuro, sempre più scuro. Un buco nero mi attira verso sé. Mi inghiotte.
Precipito in un vuoto senza fine. In una voragine all’interno di me stesso.
«Grazie di tutto, Rad. Sogni d’oro».
Qualcosa sfiora appena le mie labbra, delicatamente. È una bella sensazione. Sì, le sue labbra sulle mie, per un istante. Sono loro. Muovo anch’io le mie labbra, con l’ultimo barlume di coscienza che mi resta, in quell’istante.
Un istante indimenticabile, destinato ad essere dimenticato.
Il nostro primo bacio, destinato ad essere anche l’ultimo.
Sento altre lacrime calde bagnarmi la guancia e arrivarmi fino alla bocca. Percepisco appena il loro sapore salato. Lacrime non solo mie, ma soprattutto sue.
«Addio».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: eccoci qui, avevo creato un pochino di hype intorno a questo capitolo e a quello che verrà pubblicato settimana prossima, spero solo di non avervi deluso a questo punto.
Scrivere la parte finale di questo capitolo mi ha abbastanza devastato a livello emotivo, forse mi era successa una cosa simile solo in un’altra storia molto diversa da questa, cioè “Dove finisce il cielo”. Immaginarmi Rad che cerca di resistere in quelle condizioni e Lazuli che, pur avendo capito a quale destino stia andando incontro, lo “narcotizza” perché preoccupata per lui e poi piange insieme a lui mi ha fatto a pezzi. Anche perché prima c’erano stati dei momenti davvero carini tra loro, quindi  è stata un po’ una doccia gelida anche per me decidere di dare quella svolta agli eventi.
Però, almeno, una sorta di bacio tra le lacrime se lo sono dati, i nostri eroi!
 
Bulma è l’ultima a cedere, prima di Rad. Avendo dormito poco quando Radish l’aveva svegliata di notte, era in grado di ricordarsi ancora di Lazuli perché non era ancora giunta alla fase del sonno profondo. Vegeta, invece, essendosi poi riaddormentato, ha perso la capacità di vedere la nostra bionda e anche di ricordarsi di lei. Anche Lunch, di cui finalmente viene svelata l’identità ufficialmente, non ha più ricordi di Lazuli, e lo stesso vale per le sue tre compagne di classe non propriamente simpaticissime che incontreremo di nuovo in futuro.
Bulma ci regala anche qualche perla a livello scientifico, il concetto è che Lazuli si è talmente abituata ad essere considerata invisibile a scuola da tutti (perché, anche se fisicamente la vedevano, non le rivolgevano la parola) da portare inconsciamente con sé questa atmosfera anche al di fuori della scuola, dove, pian piano, la gente che la conosceva o meno ha iniziato gradualmente a non vederla più. Ora anche a scuola non le vede più nessuno, a parte Rad dopo che anche Bulma ha ceduto, ma, secondo la nostra scienziata la soluzione deve per forza risiedere nella stesso luogo che ha generato l’atmosfera che ha avvolto gradualmente Lazuli, cioè la scuola. Questo, unito al turbamento emotivo che viveva Lazuli a causa della sua situazione familiare e lavorativa, ha fatto sì che la Sindrome della Pubertà si manifestasse in questo modo nel suo caso specifico.
 
Scopriamo anche una succosa novità sulla vita privata della nostra protagonista: ha una sorella minore, come del resto era comparso anche nel mare di notizie vere e false che aveva trovato Rad in rete all’inizio della storia. Chi sarà mai? Questa è una storia un po’ particolare, quindi ho voluto provare a stupire anche da questo punto di vista, spero apprezzerete. Il mio amico Lapis non ci stava proprio bene in questo ruolo, più avanti capirete anche perché era meglio darle una sorella e non un fratello in questa storia. Comunque ci vorrà tempo per vedere in azione questa sorella, con cui ha in comune solo il padre.
 
Una precisazione: Lazuli sgrida Rad per non essere nato entro il 31 marzo, sostanzialmente. Infatti le classi scolastiche vengono composte tra i nati dall’1 aprile di un certo anno al 31 marzo dell’anno successivo. Non sono basate solo sul classico anno di nascita come in Italia, quindi i nostri protagonisti non frequentano lo stesso anno scolastico per soli quindici giorni. Ed ecco anche svelato che manca ancora tanto al diciottesimo compleanno di Lazuli, come avevo già spiegato in una nota.
 
Niente, ringrazio tutti voi che continuate a seguirmi, incoraggiarmi e sostenervi. Vi ringrazio di cuore perché contribuite in maniera fondamentale a far crescere questa storia che mi è entrata ormai nelle vene e fate crescere anche me sotto tanti punti di vista. Quindi vi ringrazio, davvero. A chi recensisce, soprattutto, ma proprio tutti quanti! Grazie, siete la mia forza!
 
Allora, cosa dite? Rad si sarà davvero dimenticato di Lazuli quando si sveglierà? E cosa succederà alla nostra eroina?
Io ve lo dico già il titolo del prossimo capitolo, che non vedo l’ora di farvi leggere dal momento in cui l’ho buttato giù: “Il mondo senza di te”.
Cosa ne pensate? Promette bene? Direi di no… ;-)
Però dai, io resto lo stesso di ottimo umore, reduce da una straordinaria Fiera del Fumetto ricca d’incontri che ho appena vissuto e da un 3-0 calcistico niente male!
A settimana prossima!
 
Teo
 
 

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Capitolo 8
*** Il mondo senza di te ***


8 – Il mondo senza di te
 
 
 
«Fratellone! Fratellone, svegliati!»
La voce di Goku mi rimbomba nella testa. Me la sento esplodere, cazzo.
«Fratellone, non senti la sveglia?!» prosegue, scuotendomi per le spalle.
«Hai l’ultimo giorno di esami oggi, farai tardi!» grida, convincendomi finalmente ad aprire gli occhi.
Mi guardo intorno. Sono nel mio letto, ma mi sembra di aver dormito per un giorno intero. Mi sento intontito, confuso. «Mi hai salvato, Goku» farfuglio, mettendomi a sedere. Scendendo dal letto urto un sacchetto di carta bianco e ne rovescio inavvertitamente il contenuto sul pavimento.
«Urcaaa! E questo cosa sarebbe?!» esclama Goku, perplesso, tenendo tra le mani quello che ha tutta l’aria di essere un costume da coniglietta sexy.
Già, perché avevo quel costume accanto al letto? Cosa ho fatto ieri sera? La testa… una fitta alla testa, cazzo!
«Stai bene, fratellone? Goku era molto preoccupato per te ultimamente! Non dormivi da tre notti…».
«Sì, sì, sto bene, Goku. L’avrò comprato per te quel costume, almeno lo alterni alla tua felpa del tirannosauro, no?» rido, per prenderlo in giro.
«Goku non metterà mai un costume da ragazza!» ribatte, correndo via e lasciandomi solo nella mia stanza.
Stringo tra le mani quel costume, lo osservo. Mi attrae a sé, lo avvicino al volto. Subito un profumo fresco mi riempie le narici e mi scuote dall’interno, come uno shock. È un profumo che conosco, che mi sento addosso. Ma che non ricordo.
Un profumo che sa di noi, anche se non saprei attribuire quel “noi” a un’altra persona, oltre a me. È un profumo che mi ricorda una ragazza e un insieme di sensazioni. Mi ricorda qualcosa che non avrei mai potuto dimenticare, se fosse stato reale.
Devo essere diventato pazzo, è l’unica spiegazione. Appoggio il costume da coniglietta sul letto, mentre la testa sembra potermi scoppiare da un momento all’altro.
Mi guardo intorno, e noto subito il tavolino basso di legno del salotto con sopra un quaderno e una biro. Perché l’ho portato qui nella mia camera ieri sera?
Mi avvicino e sollevo il quaderno. Giapponese moderno, mi ricordo di averlo studiato ieri sera, in effetti.
Leggo le ultime frasi che ho scritto, l’esercizio chiedeva di usare la parola “garanzia” come verbo e come sostantivo: “Garantirò a […] un futuro felice” e “Io e […] abbiamo la garanzia che trascorreremo una magnifica vita coniugale”.
Perché non ho scritto il nome proprio della persona a cui erano riferite queste due frasi? Ero ubriaco ieri sera? Cosa significa quello spazio bianco al posto del nome?
Inoltre, la pagina del quaderno è piuttosto increspata, come se si fosse asciugata dopo essere stata bagnata. Ho bevuto davvero ieri sera mentre studiavo? La camera è in ordine, dopotutto. L’inchiostro è addirittura sbavato in certi punti, devo aver fatto un bel danno mentre studiavo! Mi sento un rincoglionito stamattina: prima il costume da coniglietta, ora questo quaderno. E poi, perché non ho studiato alla mia solita scrivania? Mi volto e noto la presenza di un altro quaderno aperto. Lo sollevo e comincio a leggere, sembra un diario scritto da me:
 
Quello che sto per scrivere potrà sembrarti assurdo, ma in realtà è tutto vero. Quindi vedi di leggere fino alla fine, stronzo. Senza se e senza ma.
 
6 maggio
Nella biblioteca di Fujisawa mi sono imbattuto in una coniglietta selvatica. Alla fine ho scoperto che era una mia senpai con indosso un costume, la famosa […]. Frequenta il terzo anno al Liceo Minegahara.
 
Ma che roba è?! Che cazzo sta succedendo oggi?! E perché anche qui ho lasciato uno spazio bianco al posto di scrivere un nome femminile?!
Perché parlo di un costume da coniglietta?! È quello sul mio letto?! Cosa ci faceva nella mia stanza stamattina?!
Continuo a leggere, e resto basito. C’è scritto che sono andato ad Ogaki con questa ragazza che non cito mai, sostituita dal solito spazio bianco lasciato sul foglio. Io ricordo benissimo di essere andato ad Ogaki, ma non c’ero andato da solo? Anche alla spiaggia di Shinigahara ricordo benissimo di esserci andato domenica, ma anche lì ero da solo. Devo per caso riempire gli spazi bianchi che ho lasciato con il nome della mia futura ragazza? O con quello di Videl Satan? No, non c’entra Videl… nelle ultime settimane non ho praticamente più pensato a lei, di questo sono assolutamente certo.
Perché ho scritto queste cose nella notte tra il 26 e il 27 maggio e le noto solo adesso, che è il 29 maggio?
«Deve essermi andato a puttane il cervello…» ridacchio, chiudendo il quaderno e lasciandolo cadere sulla scrivania.
«Ehi, Rad, ti va di baciarci?»
Mi volto di scatto. Ma sono solo, ovviamente. Di chi era la voce che ho sentito nella mia testa?! Era una voce femminile, una voce che non mi sembra di conoscere, ma che allo stesso tempo mi ricorda qualcosa… così dolce, così suadente. Così familiare, soprattutto. Mi torna alla mente la camera d’albergo in cui ho dormito a Ogaki, come in un flash, e non saprei dire per quale motivo.
Sto diventando davvero pazzo? Mi sento bene dopo aver sentito questa voce, eppure mi sento anche così triste… così vuoto… perché?! Mi sento solo, incompleto. Che cazzo mi succede stamattina?!
Mi sembra che manchi qualcosa al mio mondo, oggi.
Eppure non saprei dire cosa. Non saprei dire chi.
 
Esco dalla portineria del mio condominio e mi fermo un attimo a guardare il palazzo davanti, non so nemmeno perché.
«Rad».
Una voce. Di nuovo quella voce.
Mi giro di scatto. Ma sono solo. E mi sento solo.
Era ancora tutto frutto della mia immaginazione.
Cammino a testa bassa sotto un magnifico sole che rasserena il cielo, ma non certo i miei pensieri. Mi sento la testa scoppiare, continuo a pensare al significato di quello strano diario che a quanto pare ho scritto io e lasciato sulla scrivania. A quelle descrizioni così dettagliate di certi eventi che ho vissuto, con l’unico dettaglio che io ricordo di averli vissuti diversamente.
Mi volto di nuovo, alla mia destra. Non c’è nessuno.
Sospiro.
Eppure… eppure mi è sembrato di aver sentito un calore rassicurante avvolgermi la mano, come se qualcuno me la stesse stringendo. Un tocco morbido, delicato. Qualcosa di familiare. Mi sento il cuore pesante. E mi sembra di sentire una ragazza piangere sommessamente, come se la stessi sognando.
Un flash. Sgrano gli occhi.
Rivedo me stesso in lacrime col volto appoggiato sul quaderno di giapponese moderno, in camera mia. Ripenso a quelle due strane frasi. A quegli spazi bianchi anche al loro interno, come nel diario che, a quanto pare, ho scritto. E a quel costume da coniglietta.
Mi scoppia la testa. Mi stringo le tempie con le mani e mi inginocchio, sopraffatto dal dolore. Merda, ma che cazzo sta succedendo?
Respiro profondamente, cerco di calmarmi. Il battito del mio cuore aumenta. Sento un nodo stringermi la gola. Respiro di nuovo. Calma, Rad. Sei forte… sei sempre stato forte.
Una mano mi accarezza la testa.
Mi giro di scatto. Ma sono solo.
«Grazie, Rad».
Ancora quella voce. Mi asciugo le lacrime che hanno cominciato a uscire dai miei occhi senza che quasi me ne rendessi conto. Le asciugo con un gesto di stizza, mentre mi rialzo in piedi. Faccio una fatica terribile a rialzarmi, mi sento un peso enorme che grava sulla mia schiena e che sembra schiacciarmi. Mi sento il mondo sulle spalle, più del solito. Più di quanto mi sia abituato in questi ultimi due anni. Mi sento un altro mondo sulle spalle, ma non so di chi sia. Nemmeno so perché lo sento così distintamente. Ma il cuore… il cuore è schiacciato da un peso ancora più grande in questo momento. Fatico a respirare.
Guardo il cielo. È azzurro, ma lo vedo grigio.
Corro via, per arrivare il prima possibile in stazione e andare a scuola. Corro fino a farmi bruciare i polmoni. Corro perché non voglio pensare.
 
«Oggi finalmente non hai una faccia da cazzo, Rad» esclama Vegeta, guardandomi con quel suo tipico sorriso sghembo stampato in faccia mentre il treno che ci porta a scuola continua a riempirsi di studenti. «Non più del solito, almeno».
«Eh?» gli rispondo distrattamente, perso tra i miei pensieri, mentre riprendo a guardare fuori dal finestrino.
«Erano tre giorni di fila che sembravi uno zombie. Ieri, poi, facevi schifo a vedersi con quelle occhiaie così nere e gonfie!»
«Davvero?» sbiascico.
«Ma che cazzo hai, Rad?!» prova a scuotermi Vegeta, imponendomi di guardarlo in faccia. «Non hai più le occhiaie, ma hai gli occhi rossi e gonfi: hai pianto come una femminuccia o ti sei fatto una canna mentre venivi in stazione?!»
«Vaffanculo, Prince» ribatto, accennando un sorriso.
«Non dirmi che stai facendo davvero tutte queste notti in bianco per gli esami?!» mi incalza.
«No, mi fa abbastanza cagare studiare. Preferisco dormire» gli rispondo, provando a ghignare. Anche se non ho molta voglia di scherzare.
«Cosa c’è che non va?» mi chiede Vegeta, improvvisamente serio.
«Non lo so nemmeno io, in realtà…» sorrido amaramente. «Credo c’entri una ragazza, ma ho la testa che scoppia stamattina…».
«Ancora Videl Satan?! È acqua passata, Rad. Che vada a cagare quella lì, tsk!»
«No, no… non lei… non ti ho parlato di nessun’altra in queste ultime tre settimane?»
«Se non sono diventato rincoglionito, no. Però ti ho visto spesso insieme a Bulma negli ultimi tempi, ti piace lei per caso?!»
«Bulma è la mia unica amica oltre a te, Prince. E voi mi dovete durare per tutta la vita come amici, no? Quindi non potrei mai provarci con lei» gli spiego. «E poi, sinceramente, forse un po’ rincoglionito lo sei tu, se non hai ancora capito chi piace a Bulma».
«Ah, sì?! E chi le piace?! Tsk!»
Mi volto di scatto. Sgrano gli occhi. Ancora quella sensazione. Ma non c’è nessuno, solo sguardi carichi d’odio che mi osservano sprezzanti.
«Cosa c’è, Rad?» si volta anche Vegeta.
«Mi sembrava che qualcuno mi stesse osservando» farfuglio, confuso. «Mi sembrava ci fosse qualcuno accanto a me…».
«Forse lavori troppo, Rad… stai attento a non esagerare, mi sembri stanco ultimamente…» sbuffa Vegeta, mentre il treno giunge alla nostra fermata. «Vado a cercare Marion, ci vediamo dopo in classe. Vedi di stare tranquillo e di non fare cazzate, ok?!» aggiunge, allungando il suo pugno chiuso verso di me.
«Ok» sospiro, battendo il mio pugno contro il suo e dirigendomi verso la scuola.
Solo, come al solito. Il problema è che oggi mi sento per la prima volta davvero “solo”. E non capisco perché.
 
Salgo le scale fino al secondo piano per dirigermi in classe, e mi sembra di scalare una montagna.
«Son-kun».
Guardo alla mia destra e vedo Bulma, sola, come spesso accade, dato che preferisce passare il suo tempo libero a studiare o a fare esperimenti in laboratorio e per questo non è propriamente ben vista dal resto della classe. Ha la schiena appoggiata al muro e le braccia incrociate al petto.
«Ciao Bulma, cosa fai già col camice?» le chiedo, notando il suo solito camice bianco aperto che usa nel laboratorio del club di scienze nella pausa pranzo e dopo le lezioni.
«Oggi sono venuta qui un’ora prima, avevo un esperimento da portare a termine» mi spiega. «Comunque, tieni» aggiunge, porgendomi una busta bianca.
«Hai deciso di scrivermi una lettera d’amore?» le chiedo, mentre apro la busta.
«Anche no» sbuffa lei.
«Peccato, sei sempre stata la mia turchina preferita» provo a scherzare.
«L’ho scritta io nella notte tra il 26 e il 27 maggio questa lettera , a quanto pare, solo che non ricordo di averlo fatto e non so perché l’ho fatto» continua, senza dar peso alle mie parole.
«Eh?! Tra il 26 e il 27 maggio?!» esclamo, ripensando a quella specie di diario che ho trovato sulla mia scrivania stamattina.
«Ho trovato quella busta nel mio libro di scienze stamattina, c’era attaccato sopra un post-it sempre scritto da me che diceva che dovevo consegnartela» riprende, perplessa e allo stesso tempo tranquilla, come suo solito.
«Consideriamo l’ipotesi secondo la quale tutto ciò che esiste in questo mondo è determinato solo nel momento in cui viene effettivamente osservato» comincio a leggere ad alta voce il contenuto della lettera. «Perché hai scritto queste cose, Bulma?»
«Non ne ho idea, non ricordo nulla. Non so perché ho scritto a proposito della Teoria dell’Osservazione» risponde, sfilandosi il camice e restando con la divisa del liceo. «Ne parliamo dopo, al massimo. Ora vado in classe a ripassare» aggiunge, prima di incamminarsi nel corridoio.
«Se la scomparsa di […] è causata dall’inconscio disinteresse degli altri studenti nei suoi confronti, allora Son-kun non deve fare altro che crearle un motivo per esistere. Ad esempio, l’amore che prova per lei deve imporsi sull’inconsapevolezza dell’intero corpo studentesco e sull’atmosfera che si è generata in questa scuola» continuo a leggere.
Cosa significa tutto questo?! Amore?! E perché ancora quel maledetto spazio bianco al posto del nome di questa fantomatica ragazza?! Il mio quaderno di giapponese moderno, il mio racconto sotto forma di diario sulla mia scrivania, la lettera di Bulma… sono confuso, mi sento a pezzi. E poi c’è quel costume da coniglietta, come se non bastasse.
Ancora quella sensazione di presenza. Mi volto di scatto a destra e poi a sinistra. Ma non c’è nessuno in corridoio, nessuno per cui valga la pena vivere, almeno. Per cui valga la pena combattere. Per cui valga la pena amare.
 
Mi siedo al mio posto e guardo il mare. Osservo anche il cielo, quel cielo in cui vorrei tanto volare, se solo non mi sentissi un uccello con una sola ala, oggi più del solito. Una creatura incompleta, di cui avevo letto in un libro da bambino e in cui mi ero subito immedesimato.
Penso. Penso, ma mi sembra di non arrivare mai al punto.
Due gabbiani giocano nel cielo e spariscono dalla mia vista. Il cielo è sempre azzurro, ma io lo vedo ancora più grigio. Una fitta alla testa, le tempie che sembrano esplodermi. Merda.
Entra il professore di giapponese moderno e comincia a distribuire i fogli per l’esame della sua materia. Cerco di concentrarmi, ma fatico a farlo. Il mio cuore sembra un macigno quest’oggi. Un senso di angoscia mi attanaglia lo stomaco e risale fino alla gola.
Leggo un quesito: “Indicare se la parola garanzia è usata come sostantivo o come verbo”.
Sgrano gli occhi. “Garanzia”. Il mio cuore batte improvvisamente più forte. Batte di nuovo. Ripenso alle due frasi che ho scritto sul quaderno lasciato sul tavolino di legno in camera mia con la parola “garanzia”. Su quelle pagine increspate, perché qualcosa ieri sera le aveva bagnate. Rivedo me stesso in lacrime, con la testa appoggiata su quel quaderno. Ma non sono solo, no! Vedo… vedo una figura al mio fianco! Una ragazza, sì è una ragazza! Ma perché piange anche lei?! Non riesco a definire la sua immagine, la testa sembra scoppiarmi mentre la biro mi sfugge dalla mano e rotola sul banco.
«Scrivi una frase che usi il significato della parola “garanzia” intesa come verbo e un’altra in cui è intesa come sostantivo».
Sì, è la stessa voce che sento da stamattina! La sento nitidamente, anche se è solo nella mia testa. Vedo dei capelli biondi farsi strada nei meandri della mia coscienza. Una molletta nera glitterata a forma di coniglio.
«Almeno hai avuto il buon gusto di usare il “-san” dopo il mio nome».
Ancora quella voce. Mi sembra di conoscerla. Di conoscerla da sempre.
Vedo degli occhi di ghiaccio, e il mio cuore perde un battito. Sono gli occhi che stavano piangendo insieme a me su quel dannato quaderno! Ma ora li vedo fieri, freddi… li vedo dolcissimi, bisognosi d’affetto come non ne ho mai visti in vita mia.
«Non farci l’abitudine».
Ancora la sua voce. Rivedo me e lei insieme, sul treno diretto ad Ogaki. Mano nella mano.
«Grazie per non avermi abbandonata. Grazie per esserci».
Sì, sì è la sua voce! E qui eravamo nella nostra stanza nell’albergo di Ogaki, quando abbiamo passato la notte insieme!
La mia mente viene bombardata di immagini e sensazioni, di profumi ed emozioni. Il mio cuore batte come non aveva mai battuto prima.
Sì, quel profumo fresco rimasto addosso al costume da coniglietta che lasciato sul mio letto lo conosco benissimo. Quel profumo, stamattina, sapeva di te. E sapeva di noi.
Mi sfioro le labbra con le dita. Le stesse labbra su cui si sono posate delicatamente le sue, ieri sera.
Vedo lei, nella mia testa. La vedo benissimo, adesso. Sta camminando vestita da coniglietta nella biblioteca di Fujisawa, quel giorno in cui solo io ero in grado di vederla. Quel giorno fottutamente bello che mi ha cambiato la vita. Che gli ha dato un senso.
Fisso il foglio dell’esame che ho davanti. È bagnato di lacrime, delle mie lacrime. Sto piangendo, piango davanti a tutti e non me ne frega un cazzo.
Perché sono felice, perché la vedo. Perché mi ricordo tutto. E perché non volevo viverci in un mondo senza di lei.
Mi asciugo le lacrime con un gesto rabbioso, impaziente. Mi alzo di scatto, facendo cadere la sedia. Tutti mi guardano, bisbigliano tra loro. Mi deridono. Che vadano a farsi fottere.
Rivedo me stesso abbracciato a lei in spiaggia. Lei mi stringeva forte quel giorno. E ripenso a noi al supermercato, insieme. E poi in camera mia, mentre le mostro le mie cicatrici. Il cuore batte all’impazzata, mentre corro verso l’uscita della classe.
«Torna a sederti, Son!» ordina a muso duro il professore.
«Devo andare in bagno!» grido, spalancando la porta della mia classe e correndo nel corridoio vuoto, diretto verso le scale.
Sì, sì! Mi sto ricordando tutto! Stanno riaffiorando tutti i miei ricordi legati a quella ragazza così importante per me! Ora so cosa devo fare, so come salvarla! La soluzione era qui a scuola, è sempre stata qui! Come ho fatto a non pensarci prima?!
 
Comincio a scendere le scale, più veloce che posso. Dovrò scontrarmi con quell’atmosfera del cazzo che ha generato tutto questo, ma ce la farò, posso sconfiggerla! Devo sconfiggerla! L’ho accettata per tutto questo tempo per quanto riguarda me stesso perché sono stato un codardo, non solo perché non me ne fregava un cazzo! Ma non posso accettare che l’atmosfera intorno a lei continui ad esistere! Riuscirò a salvarla, batterò l’atmosfera!
È facile vivere assecondando il flusso degli eventi, lasciarsi guidare dalla massa, cercare di non distinguersi. Cercare di non correre il rischio di attirare critiche. È facile vivere lasciandosi guidare da pregiudizi e stereotipi, dai pettegolezzi e dal sentito dire. È comodo vivere seguendo l’atmosfera, l’atmosfera che non si fa scalfire apparentemente da nulla. Come l’atmosfera che permea questa scuola.
Stabilire in autonomia cosa è giusto e cosa no richiede tempo ed energie, saper giudicare con la propria testa è considerato uno sforzo troppo grande da alcuni. C’è sempre il rischio di farsi male quando si prova ad andare controcorrente. Ad uscire dalla mischia, a distinguersi dalla massa. Ti additano, ti danno del diverso. Ma non si rendono conto di essere copie l’uno dell’altro, non si rendono nemmeno conto di non essere felici sul serio. E allora se la prendono con gli altri, con chi giudicano più debole solo per il fatto che è in minoranza.
Ma io mi sono rotto il cazzo, oggi. Ho un motivo per cui vivere, una ragione per combattere. È lei, semplicemente. Lei è diventata il mio mondo in sole tre settimane, o, forse, lo è sempre stato. So per certo che un mondo senza di lei non lo voglio. Non lo accetto.
Continuo a correre. I polmoni bruciano. Il cuore scoppia.
Seguire il branco dà sicurezza a tutti, non si è costretti a vedere ciò che non si vuole vedere, non si è costretti a pensare ciò che non si vuole pensare, si può lasciare che siano gli altri a decidere tutto. Ma la logica del “lo fanno tutti” non legittima qualcuno a ferire un’altra persona. Solo perché “lo dicono tutti” o “lo pensano tutti” non significa che sia necessariamente la cosa giusta da fare. Che poi, chi sono questi “tutti”? Dei luridi pezzi di merda, il più delle volte, ecco cosa sono!
 
Esco dall’ingresso principale e comincio a scendere l’ampia e alta scalinata dell’ingresso. Corro con tutte le mie forze verso il campo da calcio della scuola, la mia meta finale.
Corro e penso a lei. Corro e sorrido.
Mi ricordo i suoi sguardi, i suoi occhi. Le sue battute, la sua timidezza travestita da freddezza. I suoi capelli biondi. La prima volta in cui mi ha parlato, con addosso quel costume da coniglietta, meraviglioso e devastante per i miei sensi.
Lei mi ha sempre trattato come se fossi molto più piccolo solo per potermi prendere in giro, per poter ridere insieme a me. A volte provava a fare battute più spinte, come faccio sempre io, ma era tenerissima perché alla fine arrossiva. E poi era adorabile quando cercava di nascondere il suo imbarazzo dietro a uno sguardo truce. Non sapeva che quei suoi maledetti occhi di ghiaccio parlavano al posto suo, non sapeva che quando brillavano mi facevano battere il cuore più forte!
Lei era bellissima, e lo sarà ancora. Tutti sapranno quanto cazzo è bella! Quanto merita di essere guardata! E quanto merita di esistere ai loro occhi per la persona che è!
Corro verso il centro del campo, corro più forte che posso.
Lei ha sempre amato giocare a fare la reginetta capricciosa, l’egoista, l’altezzosa. Ma lei è anche così pura, così dolce. Nemmeno lei sa quanto, non se ne rende nemmeno conto. Lei mi fa sentire bene.
Non vi permetterò più di ignorarla, bastardi! Non vi permetterò più di far finta di niente! Non la tratterete più come se fosse invisibile! Farò in modo che vi resti così impressa nella mente da non poterla più ignorare! Da non poterla più dimenticare!
Mi fermo, e osservo l’imponente edificio scolastico che mi si para davanti. Dal campo di calcio si domina il lato lungo dell’edificio, quindi da qui potranno vedermi più persone possibili. Tre piani di classi, oltre al piano terra dedicato ai laboratori e alla palestra. Una fila lunghissima di finestre, centinaia di persone dietro di esse.
Riprendo fiato, mi concentro. Mi sono rotto i coglioni di assecondare questa atmosfera di merda! Sono solo un mucchio di cazzate!
Respiro a pieni polmoni.
«Ascoltatemi tuttiii! E sturatevi bene le orecchieee!» grido, con tutta la voce che ho. «Io, Radish Son, secondo anno, prima sezione, vi comunico che Lazuli Eighteen, terzo anno, prima sezione, è la ragazza di cui sono innamoratooo!» aggiungo, sbraitando con tutte le mie forze.
Osservo le finestre, ma nessuno si fa vedere. Eppure devono avermi sentito! Forza, stronzi, ho bisogno di voi per una volta! Per una fottuta volta!
Che sia stato tutto inutile?!
Appoggio le mani sulle ginocchia, mentre cerco di riprendere fiato.
Mi sono davvero messo in ridicolo per nulla?! È per questo che non volevo scontrarmi con l’atmosfera! Stringo i pugni così forte da farmi male. No, non posso mollare! Non adesso!
«Lazuliii! Mi piaciii!» sbraito, fino a che sento la gola raschiare per lo sforzo. «Mi piaci, mi piaci, mi piaci, mi piaci, mi piaciii!» urlo, dimenandomi come un ossesso. «Là! Voglio tenerti per mano, voglio andare ancora con te alla spiaggia Shinigahara! Voglio vederti ancora con quel completino da coniglietta!»
Vedo le finestre riempirsi improvvisamente di studenti e professori. Staranno pensando che sono un pazzo, ma non mi interessa. Ho bisogno di loro per salvare Lazuli, non me ne frega un cazzo di quello che penseranno di me.
«Lazuli! Voglio abbracciarti forte! E voglio anche baciarti, hai capito!?» grido, mentre la mia voce diventa sempre più roca.
Guardo ancora la gente che osserva il mio spettacolo personale. Alcuni ridacchiano, altri sono a bocca aperta, altri ancora sono sconvolti.
«Lazuli! In poche parole, ti amo! Ti amo con tutto me stessooo!» sbraito, prima di chinarmi di nuovo sulle ginocchia, ansimando. Chiudo gli occhi.
«Non c’è bisogno di urlare così tanto. Ti sento».
Una voce che conosco mi fa voltare di scatto alla mia destra. Una voce che mi fa stare bene. Quel tono apparentemente freddo lo riconoscerei ovunque. Sorrido. Sì, anche quegli occhi di ghiaccio che mi osservano con aria truce li riconoscerei tra milioni. Quei capelli biondi mossi dalla leggera e calda brezza che arriva dal mare.
Alle sue spalle il cielo è azzurro, ma io lo vedo color ghiaccio.
«Stai dando fastidio a tutti!» mi sgrida. Ha le braccia conserte ed è ferma a una decina di metri da me. Sta facendo la sostenuta. È adorabile, proprio come la ricordavo.
«Già che c’ero, ho pensato di far sapere al mondo intero quello che provo per te» le sorrido sghembo.
«Sei uno stupido».
«Sempre meglio di quelli che fanno finta di essere intelligenti, no?»
«Sei un vero stupido, invece!» ribatte, alzando il tono della voce e lasciando cadere lungo i fianchi le braccia. Stringe i pugni. «Non capisci che inizieranno a girare altre strane voci sul tuo conto perché hai fatto tutto questo?!»
«Se queste voci riguarderanno me e te, insieme, le accoglierò a braccia aperte. Anzi, non vedo l’ora!»
«Non è questo il punto…» sospira Lazuli. I suoi occhi si riempiono improvvisamente di lacrime. «Stupido!» singhiozza, cercando di trattenersi. «Sei uno stupido, Rad!» grida, cominciando poi a correre verso di me.
Apro le braccia, certo che voglia abbracciarmi. E, invece, mi ritrovo a ricevere un poderoso schiaffo sulla guancia. Anche la sua forza me la ricordo bene, in effetti.
«Ahia! Ma perché?!» protesto, massaggiandomi la guancia.
«Questo era per avermi dimenticata!» sibila, gelida, mentre afferra la cravatta della mia divisa scolastica e la stringe in una mano. «Questo è per esserti ricordato di me. Per avermi salvata» aggiunge, tirandomi verso di sé e baciandomi.
Il contatto con le sue labbra morbide e con la sua lingua mi lascia di sasso per un istante, mentre sento le ginocchia cedermi. Le metto le mani sui fianchi e la stringo a me, ricambiando questo bacio che sa di amore e di disperazione. Di speranza e di paura di non farcela. Sa di vita, soprattutto, quella vita a cui non voglio più rinunciare. Quella vita in cui c’è lei nel mio mondo.
Il suo sapore dolce mi riempie l’anima e mi annulla in lei allo stesso tempo, mentre sento il cuore battere così forte che potrebbe farmi esplodere il petto.
Non riesco a staccarmi, non ne sono capace. Non voglio allontanarmi da questo bacio che sa di lei. Il suo primo bacio, ma è come se fosse la stessa cosa per me. Perché lei è diversa, lo so. Perché lei… beh, lei è lei. Punto.
 
Lazuli si stacca lentamente dalla mia bocca e appoggia la fronte contro la mia. Restiamo in silenzio, un silenzio interrotto solo dal brusio della gente che si sta godendo lo spettacolo dalle finestre della scuola.
«Ehi, ma cosa ci trova Lazuli Eighteen in uno come quello?!» sento dire in lontananza da una voce maschile.
«Perché Eighteen-senpai era già nel campo da calcio?» mi sembra di sentire chiedere ad una ragazza.
Sì, la vedono tutti. C’è l’ho fatta, non sono più l’unico a riuscire a vedere Lazuli! Tutto il mondo è tornato a vederla, a ricordarsi di lei! Ho sconfitto l’atmosfera!
«Comunque ieri sera mi hai detto che non importava se mi fossi dimenticato di te. Me lo ricordo bene» sussurro dolcemente, sorridendo.
«Ah sì? Io non ricordo di averlo detto, invece» ribatte freddamente Lazuli, accennando un lieve sorriso. «Quindi, cos’hai da dire in tua discolpa?».
«Volevo solo avere una seconda possibilità di incontrarti per la prima volta» le rispondo, soffiando leggermente sulle sue labbra.
«Possibile che hai sempre la frase giusta da dire al momento giusto? Ti odio, stupido» sussurra, apparentemente stizzita, prima di baciarmi di nuovo. Prima di permettermi di godere di nuovo della dolcezza del suo sapore, mentre il suo profumo fresco sembra accarezzarmi. «Però non ti perdono lo stesso, quindi non abituarti ai miei baci» mi dice, staccandosi da me per guardarmi in faccia. Sorride, ma i suoi occhi di ghiaccio sono lucidi. Mi abbraccia all’improvviso, mi stringe forte. Appoggia la testa contro il mio petto, mentre io le accarezzo la testa delicatamente.
«Ho avuto paura oggi, Rad» sussurra.
«Anch’io ho avuto paura, Là. Perché ho visto com’è il mondo senza di te. E io, in un mondo simile, non voglio viverci» le dico dolcemente, mentre lei si stacca da me e mi guarda di nuovo negli occhi, con un’espressione di una purezza disarmante. «Non potrò mai perdonarmi per averti fatta soffrire, non dovevo dimenticarmi di te» sospiro, abbassando la testa.
«E invece dovrai farti perdonare» ribatte Lazuli, facendo un passo indietro e guardandomi con aria truce, prima di gettare un’occhiata alle finestre pieni di studenti alle mie spalle e poi tornare a fissarmi negli occhi, gelandomi come solo lei sa fare quando vuole. «Anche se non so se potrò mai perdonarti, sia per esserti dimenticato di me, sia per tutto questo, dato che non mi sono mai vergognata così tanto in vita mia come in questo momento».
Avanzo di un passo verso di lei e le appoggio le mani sulle spalle, stringendogliele leggermente. «Vorrà dire che non ti lascerò finché non mi avrai perdonato» ribatto, serio, guardandola dritta nei suoi occhi di ghiaccio.
«Allora dovrà passare una vita intera» mi risponde quasi sottovoce, arrossendo lievemente e distogliendo lo sguardo dal mio.
«Davvero?!» le chiedo, sorridendo come non mai.
«Beh, non ti sta bene, forse?!» ribatte freddamente, tornando a guardarmi negli occhi. «Dopo tutto il coraggio che c’è voluto per dirtelo, non ti sta bene?!» aggiunge, irritata, alzando il tono della voce e avvicinando il suo volto al mio, minacciosa e tenera al tempo stesso.
«Certo che mi sta bene!» le sorrido.
«Tutto qui?! Non è esattamente quello che vorrei sentirmi dire in questo momento!» esclama, calpestandomi un piede con forza.
«Ahia! E va bene… sono innamorato di te!» le dico, mentre lei continua a scrutarmi impassibile. I suoi occhi sembra stiano cercando di scavarmi dentro.
«Davvero?» mi chiede, sospettosa, socchiudendo leggermente gli occhi.
«No, scherzo» rispondo. «In realtà ti amo follemente».
«Facciamo così, Rad…» sospira Lazuli, addolcendo il suo sguardo. «Ridimmi la stessa cosa tra un mese».
«Perché?»
«Perché passerei per una di quelle che si lasciano trasportare dall’impeto del momento se ti dessi una risposta adesso» spiega, incrociando le braccia al petto e facendo la sostenuta.
«Se fosse per me ti bacerei ancora subito, invece… per non dire altro…» le sorrido.
«Forse il mio cuore sta battendo all’impazzata proprio per colpa tua e per tutta questa situazione» sbuffa Lazuli, sforzandosi di continuare a mostrarsi distaccata.
«Beh, tanto passeremo lo stesso il tempo insieme in questo mese, no? Quindi, dato che so già che non potrò resistere per un mese intero, posso dirti tutti i giorni che ti amo?» le propongo.
Gli occhi di Lazuli brillano, mentre lascia ricadere le braccia lungo i fianchi e mi guarda dolcemente. «Certo, basta che lo farai tutti i giorni per un mese intero» acconsente, prima di allungare il suo dito indice e premerlo contro il mio naso, facendo forza. «Se salterai anche solo un giorno, allora vorrà dire che i tuoi sentimenti sono cambiati».
«Non cambieranno mai i miei sentimenti» ribatto, serio. Afferro la sua mano con cui mi stava schiacciando il naso e stringo il suo dito mignolo con il mio. «È una promessa questa, ok?» le dico.
«Ok!» mi risponde, sorridendo felice. È bello vederla così serena.
Si stacca dalla mia mano e, sempre sorridendo, si gira verso la scuola. Verso tutta la gente che ci sta guardando dall’alto. «Certo che alla gente piace proprio assecondare l’atmosfera» esclama, facendo qualche passo in avanti. «Tu non hai avuto paura di affrontare l’atmosfera e tutta questa gente pur di salvarmi, ma non hai mai mosso un dito per proteggere te stesso» aggiunge, senza guardarmi. Osserva gli studenti e i professori che assistono attoniti alla scena. Cerco di guardarla in faccia, e noto che ha un lieve ghigno dipinto sul volto. Che li guarda con aria di sfida. I suoi occhi di ghiaccio brillano.
«Le voci secondo cui Radish Son avrebbe mandato all’ospedale dei suoi ex compagni di classe sono solo un mucchio di sciocchezze!» sbraita all’improvviso, cogliendomi del tutto alla sprovvista. «Era giusto che lo sapessero tutti, non credi?» mi domanda freddamente, ricomponendosi come suo solito.
«Io… io non so cosa dire…» farfuglio, mentre sento il cuore battere ancora più forte, se possibile. Lei si è esposta per me, ha voluto lottare per me.
Il vice preside fa capolino proprio in quel momento all’interno del campo di calcio, camminando verso di noi a passo di carica.
«Chissà che strigliata mi daranno i professori…» sospiro, accennando un sorriso.
«Che male c’è? Ci divideremo la ramanzina, no?» mi rassicura Lazuli, sorridendomi come raramente le ho visto fare.
«Beh, mi piace questa cosa!» le sorrido a mia volta.
«Ehi, voi due! Venite subito qui!» grida il vice preside, mentre io e Lazuli ci scambiamo uno sguardo d’intesa.
«Sai una cosa, Rad?» mi dice Lazuli, mentre intreccia le sue dita intorno a quelle della mia mano e iniziamo a camminare verso il vice preside. «È vero che non mi sono mai vergognata così tanto fino ad oggi, ma è anche vero che non sono mai stata così felice in vita mia!» aggiunge, regalandomi un sorriso meraviglioso. Un sorriso che non dimenticherò mai.
«Sai una cosa, Là?» ribatto, guardandola dritta negl’occhi. «Quando sorridi, il mondo è più bello».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: ero stato crudele a chiudere in quel modo il capitolo di settimana scorsa, spero di essermi fatto perdonare con questo! E spero anche che vi sia piaciuto quello che è successo, io onestamente è dall’inizio di questa storia che non vedevo l’ora di pubblicare i capitoli 7 e 8 perché penso che i nostri protagonisti abbiamo sublimato sé stessi.
Rad è tenace e l’amore che prova per Là è talmente forte da sconfiggere sia la Sindrome della Pubertà che l’atmosfera che si era generata a scuola intorno a Lazuli. Lei si era ormai assuefatta a tal punto ad essere considerata invisibile da tutti gli studenti che non le rivolgevano la parola da aver portato anche al di fuori dell’edificio scolastico questa “aura” che la avvolgeva. Per questo motivo, quando si è scatenata in lei la Sindrome, ha avuto questo effetto di renderla davvero invisibile e anche inesistente a livello di ricordi per tutti.
Rad ha saputo tenere duro come un pugile che continua a rialzarsi o come una squadra di calcio che non molla neanche quando è sotto di due gol, e, così facendo, riesce a salvarla.
Mi sembrava questo il momento migliore per il loro vero primo bacio, perché penso che ci voleva qualcosa di spettacolare per questi due!
 
Succederanno ancora un sacco di cose in questa storia, siamo ancora nelle fasi iniziali e spero ne sarete felici. Nel prossimo capitolo andremo direttamente a vedere cosa succede a un mese di distanza da questo bacio, visto che Rad ha deciso che si dichiarerà ogni giorno e lei ha acconsentito, prima di dare la sua risposta definitiva a freddo.
Cosa dite, accetterà Lazuli? O succederà qualche nuovo problema ai nostri eroi?
Non so voi, ma io ho trovato Là dolcissima col suo modo di fare un po’ così. ;-)
 
Un grazie gigantesco va a chi mi lascia sempre il suo parere e a chi fa teorie su questa storia, perché ci sono ancora diversi misteri da svelare e altri ne arriveranno già dal prossimo capitolo. Il vostro entusiasmo e le vostre parole sono la cosa più bella che mi lasciate grazie a questa long, anche perché non avrei mai detto che sarebbe potuta crescere fino a questo punto a livello di seguito quando ho iniziato a buttarla giù. Quindi grazie davvero, vedere che il seguito di questa long sta crescendo col passare delle settimane è una soddisfazione che fatico a descrivere perché adoro questa storia e questa coppia. Quindi grazie ancora, anche a chi ha appena iniziato la storia e a chi si è messo in pari in un giorno per seguirla in diretta. Mi avete emozionato, davvero.
Ringrazio poi chi sta leggendo in silenzio e chi inserisce nelle liste: siete sempre anche voi la mia forza, non dimenticatevelo!
Poi, un grazie speciale va a Sapphir Dream, che giovedì mattina scorso mi ha inviato a sorpresa un disegno meraviglioso che mi ha abbastanza commosso relativo alla scena finale del cap. 7 che aveva letto mercoledì sera, quando Rad crolla sotto l’effetto dei sonniferi e piange con Là. Ve lo allego con questo capitolo, e, ogni volta che lo guardo, resto senza parole!
Ringrazio tantissimo anche la Misatona che, in attesa di nuovi disegni per questa long, mi ha creato il mio nuovo avatar assemblando due dei suoi splendidi disegni di Rad e Là che già avevo postato nello scorse settimane!
 
Niente, non mi resta che darvi appuntamento a settimana prossima per scoprire cosa risponderà Lazuli alla proposta di Radish, per vedere se ci saranno nuovi misteri da svelare e se qualcuno proverà a scompigliare le carte sul tavolo.
Volete il titolo? “Loop temporali e quadrifogli” ;-)
Dice poco, in effetti, anche se immagino che di fronte al titolo del capitolo di oggi non vi sareste immaginati che ci sarebbe stato un finale così bello! Quindi, occhi aperti e a settimana prossima!
 
Teo
 
 
 
 

RadLa
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Capitolo 9
*** Loop temporali e quadrifogli ***


9 – Loop temporali e quadrifogli
 
 
 
27 giugno
 
«Fratellone, sbrigati o farai tardi a scuola!» mi avvisa Goku, seduto sul divano a guardare la televisione insieme al nostro gatto Balzar, mentre sto cercando di vestirmi e fare colazione in contemporanea. Sono in ritardo, come sempre.
«Non hai caldo con quella felpa?» gli domando, in tutta risposta.
«No, perché a Goku piace troppo! Gliel’ha regalata il suo fratellone!» risponde ridendo, calcandosi il cappuccio da tirannosauro sui suoi capelli a palma.
«Apriamo il notiziario di oggi, venerdì 27 giugno, con la grande vittoria di ieri sera della nazionale giapponese contro la Corea del Sud» sento esclamare dalla presentatrice del telegiornale, che nel frattempo è iniziato. Mi fiondo davanti al divano, cercando in contemporanea di allacciarmi decentemente la cravatta della divisa scolastica. «1-0, grazie a un gran goal su punizione da parte di Keisuke Honda» continua, mentre sullo schermo scorrono le immagini dell’azione del goal della vittoria.
«Ciao Goku, io vado!» mi congedo, aprendo la porta di casa.
«Ciao fratellone, buona giornata!»
Mi dirigo a scuola, felice per la vittoria della nazionale di ieri sera. Anche se purtroppo non ho fatto in tempo a vedere la partita perché ho lavorato fino a tardi. Ma sono felice soprattutto di rivedere Lazuli, come ogni giorno. Lei mi riempie il cuore e la vita con la sua sola presenza, forse non riesce neanche a immaginare quanto. È passato quasi un mese da quando mi sono dichiarato, da quando sono riuscito a sconfiggere l’atmosfera e a riportarla nel mio mondo. Nel mondo di tutti, in realtà, perché lei merita di essere ammirata da tutti per la persona che è. Nessuno dovrà più permettersi di ignorarla.
Per il resto, io sto mantenendo la mia promessa, e non c’è giorno in cui non te le abbia dichiarato il mio amore. E lei, dal canto suo, non c’è giorno in cui non mi abbia freddato con qualche battutina delle sue o con qualche occhiataccia. Sempre arrossendo un po’, però. E sempre con quei suoi dannatissimi occhi di ghiaccio che luccicavano per la felicità. Imparo ogni giorno di più a conoscerla. E, ogni giorno che passa, mi rendo conto di provare qualcosa di sempre più forte per lei.
E lei lo sa, perché glielo leggo negli occhi. Perché lei è come me.
 
«Ehi, Rad, ma non ti mettono caldo quei capelli così lunghi in estate? Io suderei come una bestia, tsk!» mi provoca Vegeta, mentre sistemo le scarpe nel mio armadietto all’ingresso della scuola.
«Secondo me sei solo invidioso dei miei capelli, come della mia altezza, Prince» ghigno. «Mi basta legarli in una coda, no? Non rompere i coglioni, dai».
«Io sono più bello, comunque» ridacchia a sua volta.
«Questo è tutto da vedere» ribatto. «Al massimo sei più popolare, che è diverso».
«Dai, smettetela di fare gli scimmioni come al solito, voi due! Andiamo in classe o faremo tardi» ci interrompe Bulma, guardandoci con aria severa e le braccia incrociate sul petto.
«Ah! Ciao Bulma!» esclama Vegeta, insospettabilmente gentile. Anche se in realtà è gentile solo con lei, oltre che con Marion. Chissà, se ne renderà conto quel testone?
«Ciao Vegeta» sospira Bulma, abbassando leggermente la testa. Sbaglio o solo con lui è quasi timida? Bah, andiamo, che è meglio. Sorrido anch’io alla mia amica e mi dirigo verso la classe.
«Hai visto il goal di Honda ieri sera?!» mi chiede Vegeta.
«L’ho visto stamattina al telegiornale, ieri sera ho finito tardi al lavoro. C’era pieno di clienti» sbuffo.
«Già, che rottura di palle! Meno male che non ero di turno!» ridacchia Vegeta, mentre Bulma ci osserva in silenzio, camminando accanto a lui.
«Faccio un salto a salutare Marion, altrimenti poi mi tira scemo! Tsk!» borbotta Vegeta, stizzito, congedandosi da noi con un cenno del capo.
«Auguri Prince!» rispondo ghignando, mentre Bulma non lo guarda nemmeno mentre si allontana. Stringe i pugni, però, fino a farsi sbiancare le mani.
 
La mattinata trascorre veloce, tra alcune pessime battute del professore di fisica durante la sua lezione e il colletto bianco della camicia del professore di giapponese moderno sporco di rossetto.
Per fortuna durante la pausa pranzo ho appuntamento con Lazuli, mi manca non averla ancora vista oggi. Anche le mie pause pranzo sono molto cambiate nell’ultimo mese, ormai mangio sempre insieme a lei. E non potrei chiedere di meglio.
Oggi ci siamo messi d’accordo per trovarci in una classe che resta sempre vuota in questi orari, almeno possiamo stare tranquilli per conto nostro.
«Alla fine mi hai preparato davvero il bento, e tra l’altro ha l’aria di essere tutto squisito!» esclamo, dopo aver aperto il contenitore azzurro suddiviso in scomparti che Lazuli ha preparato per me. Riso bianco, riso nero, verdure di vari tipi e tofu affumicato. Tutto disposto alla perfezione, creando un bellissimo effetto visivo.
«Te l’ho preparato solo perché un certo sfacciatello di mia conoscenza ieri se ne è uscito con un “Non pensavo che sapessi cucinare così bene, Là”» ribatte Lazuli, guardandomi di sottecchi mentre appoggia sul banco che stiamo condividendo due bottigliette di tè verde. Siamo seduti uno di fronte all’altra, e mi sembra tutto meraviglioso nella sua semplicità.
«In effetti non avrei dovuto provocarti, ti chiedo umilmente scusa, Lazuli-san» esclamo, chinando il capo in modo teatrale.
«Uhm…» mi squadra, sospettosa e distaccata. «L’importante è che tu abbia capito… e che ogni tanto ti ricordi di aggiungere il “–san” al mio nome, sono pur sempre più grande di te».
«Sai, conoscendoti, ero convinto che mi avresti tenuto a digiuno oggi a pranzo. Non mi aspettavo che mi avresti portato davvero il bento preparato da te» ghigno, per provocarla.
Lei mi fulmina con un’occhiataccia gelida, prima di pizzicarmi forte una guancia e tirarmi verso di sé. «Mi consideri così sadica, Rad?» sibila. «Muoviti a mangiare, prima che cambio idea e mi riporto tutto a casa. Stupido».
«Ti amo, Là» le dico a bruciapelo, non appena mi libera dalla sua presa. «Mettiamoci insieme, ti va?»
Lei mi guarda negli occhi distrattamente per un istante, prima di prendere un pezzo di tofu con le bacchette e portarselo alla bocca. Si volta alla sua sinistra, osserva il mare dalla finestra. Arrossisce leggermente. La adoro.
«Mi ignori, Là?»
«È un mese intero che me lo ripeti, ormai non mi fa più lo stesso effetto di prima» mi gela, senza voltarsi. «Non mi provoca più il batticuore di quel giorno nel campo di calcio».
«Sei crudele, l’avevi detto tu che non dovevo saltare neanche un giorno» sbuffo, con un tono a metà tra l’ironico e l’atterrito.
«Ah, già, Rad!» si volta di scatto, guardandomi dritto negli occhi e sorridendo radiosa. Lei forse neanche lo sa quanto mi piace vederla così, quanto sono felice quando so che è davvero felice. «Ieri sera mi ha chiamata la mia nuova manager per dirmi che mi hanno presa per un telefilm che inizierà a luglio!»
«Davvero?!» sorrido a mia volta. Sì, amo vederla felice.
«Niente di che, eh… andrà in onda in seconda serata. Per il momento avrò una parte verso la metà del primo episodio, poi si vedrà come la pensa il regista» mi spiega. «Vogliono valutarmi, ma almeno ho la possibilità di rientrare nel mondo dello spettacolo».
«Sono troppo contento, non puoi capire quanto!» esclamo.
«Guarda, ho portato anche il copione» mi dice, tirando fuori dalla cartella un libretto rosso. «Dovrò anche girare una scena con un bacio, tra le altre cose…» aggiunge, sfogliando distrattamente tra le pagine.
Eh?! Bacio?! Senza nemmeno rendermene conto stringo i pugni così forte da farmi male. Cazzo, sono davvero così geloso di lei? Sì, lo sono… forse dovrò abituarmi a certe cose, dato che è un’attrice. E dato che la amo.
Distendo nuovamente le mani, respiro profondamente. Cerco di calmarmi.
Mi sembra che mi stia osservando di nascosto, mentre finge di leggere il copione. Forse ha accennato un sorriso. È così divertente tutto questo?
«Scusa… cos’è che hai detto?» sospiro.
«C’è una scena con un bacio» ripete, sollevando leggermente il copione e sorridendo.
«Ok, penso che dovresti rifiutare la parte» sbotto, senza nemmeno rendermene conto. Cazzo, dovrei essere più accomodante! È il suo lavoro! È lavoro, merda!
«Che male c’è? Non è mica la mia prima volta!» ribatte, scocciata.
«C-come non è la tua prima volta?! Con quell’attore, intendi?! Chi è?!» farfuglio, con gli occhi sgranati.
«Sto parlando di te, scemo! Ti ho concesso il mio primo bacio e nemmeno te lo ricordi? Ma quanto fai schifo, Rad?» mi sgrida, trucidandomi con una delle sue occhiate glaciali.
«Scusa, scusa, Là! Non avevo capito che stessi parlando del nostro primo bacio, ero troppo focalizzato sul bacio di scena che dovrai dare e non ho capito più un cazzo!» esclamo, portandomi una mano dietro la nuca.
Il suo sguardo si addolcisce leggermente. Anzi, il suo volto assume dei tratti ancora più sensuali, all’improvviso. «Cosa dici, vogliamo fare un ripasso adesso del nostro primo bacio?» sussurra, con voce suadente, appoggiando la testa sulla sua mano aperta e sorridendomi.
«Assolutamente sì» rispondo in un nanosecondo, mettendomi sull’attenti.
«Chiudi gli occhi, allora…» sospira. Le obbedisco, ovviamente. E aspetto il morbido contatto delle sue labbra sulle mie, quella magica sensazione. «Arrivo…» aggiunge melliflua, mentre sento il rumore della sua sedia spostata sul pavimento. Si è alzata in piedi, mi sta per baciare. Sento un contatto sulle labbra, meno caldo di quanto ricordassi. Meno morbido, meno dolce. Riapro gli occhi e vedo Lazuli che trattiene a stento una risata, mentre sta appoggiando un pezzo di tofu sulla mia bocca con le sue bacchette. Apro la bocca o lo mangio, abbastanza scocciato. Mi ha fregato stavolta, lo ammetto. Maledetta!
«Comunque mi hai mandato al settimo cielo lo stesso» le dico, mostrandomi superiore. «Mi hai messo in bocca le tue bacchette, il tuo sapore mi ha pervaso e mi anche eccitato».
«Sei un cretino» ribatte, sedendosi e cercando di darsi un tono. È leggermente arrossita, forse l’ho fregata io, adesso. Mangia del riso bianco, evita il mio sguardo osservando di nuovo il mare. «Ah, per la cronaca, non tocca a me» aggiunge, con aria apparentemente distaccata.
«Eh?» le chiedo, perplesso.
«La scena del bacio non tocca a me, ma alla protagonista» ghigna leggermente, tornando a fissarmi negl’occhi.
«Sei fin troppo tremenda con me, a volte» rispondo, tirando al contempo un sincero sospiro di sollievo. «Sei sadica, ecco».
«Ma a te piaccio proprio perché sono così, no?» mi chiede, dolcemente. Mi sembra così ingenua quando ha questa voce, questi atteggiamenti. Questi dubbi. Mi sembra così indifesa che vorrei stringerla a me e non lasciarla più.
«Di questo passo, però, il mio amore ha le ore contate…» butto lì.
«M-ma come?!» sbotta, allarmata, poggiando energicamente entrambe le mani sul banco e alzando il tono della voce.
«Cerca di capirmi, Là… da quello che mi hai risposto prima quando ti ho detto che ti amo, sembra quasi che io non ti interessi più» sbuffo, abbassando lo sguardo. «Quando hai detto che non ti fanno più battere il cuore le mie parole, in realtà mi hai distrutto».
Lazuli sgrana gli occhi, cerca il contatto coi miei per un istante che mi sembra infinito. Accenna un sorriso e abbassa lo sguardo. Arrossisce un po’. «Beh… ma non ti ho detto mica di “no”, alla fine…».
«Allora è un “sì”?» esclamo, mentre sento il cuore esplodermi nel petto.
«È… è un sì» sussurra Lazuli, senza guardarmi. È di una dolcezza disarmante, non riesco a capire come sappia essere dura e un secondo dopo così tenera questa ragazza. Non riesco ancora a capire come faccia ad essere così speciale. E non riesco ancora a capire come sia riuscito uno come me a mettersi insieme ad una come lei. La vedevo in televisione da bambino, ma non avrei mai potuto neanche lontanamente immaginare di poter arrivare fino a questo punto con lei.
Sono… sono felice, semplicemente.
«Ehi» le sussurro, allungando il braccio e sollevandole delicatamente il mento tra indice e pollice. Mi alzo, scostando la sedia senza fare troppo rumore. Le impongo di guardarmi dritto negl’occhi. Mi perdo nei suoi, troppo belli per uno come me. Per il reietto della scuola. «E quel bacio, allora?» le soffio delicatamente sulle labbra. La sento in mia balia, sembra affidarsi totalmente a me. Ed è una sensazione che mi appaga, perché io non permetterò mai e poi mai a nessuno di farla soffrire di nuovo.
«Non a scuola, Rad…» prova ad opporsi, con un debole alito di voce. «Mi sono vergognata da morire l’altra volta, lo sai… e se entra qualcuno?»
«Non mi interessa, Là» ribatto. «Ho voglia di te, del tuo sapore… non posso più aspettare…».
«Ti avevo detto di aspettare un mese… e un mese non è ancora passato…».
«Guarda che me lo ricordo che ci siamo baciati un bel po’ di volte in questo mese, nonostante quello che mi avevi detto quel giorno… compresa ieri sera…».
«Non avevo detto che non ti avrei baciato per un mese, ma che avevo bisogno di tempo per darti una risposta…» sospira, offesa, avvicinandosi ancora di più alla mia bocca. Sento il suo respiro sulla pelle. Ed è tutto meraviglioso.
«E mi hai dato quella risposta, oggi. Ora voglio sentire che effetto fa baciare la “mia ragazza”…» ribatto sottovoce, colmando poi i pochi centimetri che ancora ci separano e unendo le mie labbra alle sue. Un bacio dolce, lungo. Intenso. Un bacio che sa di lei. Che sa di noi, oggi più che mai.
 
 
 
27 giugno (bis)
 
«Fratellone, sbrigati a uscire o farai tardi a scuola!» mi avvisa Goku dal salotto.
Questa mattina mi sono alzato decisamente di buonumore, non vedo l’ora di andare a scuola e di vedere Lazuli. Oggi è ufficialmente il nostro primo giorno da fidanzati, ancora quasi non mi sembra vero! Fischietto, mentre mangio qualcosa al volo e cerco di sistemarmi la cravatta della divisa scolastica. Cazzo, faccio sempre fatica e rischio di far tardi, proprio come ieri. Se so che non devo fare il viaggio in treno con Lazuli tendo sempre ad arrivare all’ultimo a scuola. E lei, in questi ultimi giorni, deve arrivare prima a scuola per via di una ricerca che devono fare quelli del terzo anno.
«Urcaaa, fratellone? Oggi mi sembri di ottimo umore!» esclama Goku, non appena faccio capolino in salotto. È seduto sul divano insieme a Balzar davanti alla tv accesa.
«Certo, ieri la mia tenacia è stata ripagata: io e Lazuli stiamo ufficialmente ins…» spiego, gonfiando il petto con orgoglio, prima di interrompermi improvvisamente e sgranare gli occhi in direzione della televisione.
«Apriamo il notiziario di oggi, venerdì 27 giugno, con la grande vittoria di ieri sera della nazionale giapponese contro la Corea del Sud».
Eh?! Ma oggi non è sabato 28 giugno?! E questo servizio non l’ho già visto ieri? Mi ricordo bene anche il goal di Honda!
«1-0, grazie a un gran goal su punizione da parte di Keisuke Honda» continua la conduttrice, mentre sullo schermo scorrono le immagini dell’azione del goal della vittoria.
Resto a bocca aperta, immobile. Ma che cazzo sta succedendo?! Mi sono improvvisamente rincoglionito? Ho avuto una visione del futuro, ieri? Ho sognato tutto?
«Cosa c’è, fratellone? Stai bene?» mi chiede Goku, perplesso.
«Forse ti sembrerà una domanda strana… ma non sono le stesse notizie di ieri?» domando, allibito e confuso.
«Uhm… no. Ha giocato ieri sera la Nazionale, Goku ha guardato la partita mentre tu eri al lavoro!»
 
Arrivo a scuola, con la testa pieni di dubbi. Me la sento esplodere, a dir la verità. E un po’ ho paura di una cosa, soprattutto: se sto rivivendo davvero la giornata di ieri, allora non mi sono ancora messo insieme a Lazuli?
«Ehi, Rad, ma non ti mettono caldo quei capelli così lunghi in estate? Io suderei come una bestia, tsk!» mi provoca Vegeta, interrompendo il flusso dei miei pensieri mentre sistemo le scarpe nell’armadietto all’ingresso della scuola. È davvero tutto come ieri, lui mi ha già detto queste cose. Cazzo.
«Secondo me sei solo invidioso dei miei capelli, come della mia altezza, Prince» ghigno. «Mi basta legarli in una coda, no? Non rompere i coglioni, dai» gli rispondo, con le stesse parole che credo di aver usato ieri.
«Io sono più bello, comunque» ridacchia a sua volta.
«Questo è tutto da vedere» ribatto, in attesa che arrivi Bulma, come da copione di questo film già visto a cui sembra stia assistendo solo io. «Al massimo sei più popolare, che è diverso».
«Dai, smettetela di fare gli scimmioni come al solito, voi due! Andiamo in classe o faremo tardi» ci interrompe Bulma, guardandoci con aria severa e le braccia incrociate sul petto.
«Ah! Ciao Bulma!» esclama Vegeta.
«Ciao Vegeta» risponde lei, abbassando leggermente la testa.
Tutto esattamente come ieri.
«Cosa c’è, Rad?» mi domanda Vegeta, mentre ci dirigiamo tutti e tre verso la nostra classe. «Sembri pensieroso… e tu raramente pensi a qualcosa di sensato, tsk!»
«Non abbiamo già avuto la stessa identica conversazione ieri?» gli chiedo.
«Non mi pare proprio, l’unica cosa identica a ieri è la tua faccia da rincoglionito» sorride sghembo.
«Anche tu non ricordi questa conversazione, Bulma?» domando alla mia amica, che cammina a testa bassa e in silenzio accanto a lui. Nel frattempo ne approfitto per mollare un pugno dritto nello stomaco a Vegeta, che si piega in due per il dolore senza smettere di camminare. «Questo era per il “rincoglionito”, Prince. E perché ti voglio taaanto bene».
«B-bastardo…» impreca Vegeta a fatica. Non se l’aspettava la mia mossa.
«Siete imbarazzanti voi due insieme, lo sapete?» sospira Bulma, guardandoci di sbieco. «E comunque non abbiamo mai avuto questa conversazione prima, Son-kun».
«Bene, faccio un salto a salutare Marion, altrimenti poi mi tira scemo! Tsk!» borbotta Vegeta, stizzito, congedandosi da noi con un cenno del capo.
«Auguri Prince!» rispondo ghignando, mentre Bulma non lo guarda nemmeno mentre si allontana. Stringe i pugni nervosamente.
Tutto esattamente come ieri.
 
Andiamo in classe, ma durante le lezioni mattutine non faccio altro che avere conferme di aver già vissuto tutto questo: quello che fanno e dicono i miei compagni, le pessime battute del professore di fisica e il colletto bianco della camicia di quello di giapponese moderno sporco di rossetto. Non capisco. Non so come sia possibile tutto questo.
E se c’entrasse di nuovo la Sindrome della Pubertà, in qualche modo?! Eppure io sono tranquillo e sereno in questo periodo. Anzi, non sono mai stato così felice in vita mia come in quest’ultimo mese.
Se oggi è ieri, allora io e Lazuli non siamo ancora ufficialmente insieme. Non appena inizia la pausa pranzo mi dirigo verso l’aula dove mi ero dato appuntamento ieri con lei, per mangiare insieme il bento che mi avrà preparato. Le farò di nuovo la dichiarazione, magari in modo più spiccio di ieri. Tanto ormai ho già la conferma che anche lei è cotta di me, quindi andrà tutto bene. Se le parlassi del loop temporale che sto vivendo rischierei di rovinare il momento e anche di farla preoccupare per niente. E non voglio rischiare di non mettermi insieme a lei oggi, né tantomeno farla preoccupare.
«Ti amo, Là» le dico a bruciapelo, non appena apro la confezione azzurra del bento che ha fatto per me. «Mettiamoci insieme, ti va?»
Lei mi guarda negl’occhi distrattamente per un istante, prima di prendere un pezzo di tofu con le bacchette e portarselo alla bocca. Si volta alla sua sinistra, osserva il mare dalla finestra. Arrossisce leggermente. La adoro. Oggi come ieri, sì. Oggi più di ieri. Non mi dispiace certo rivivere in loop i momenti passati insieme a lei.
«Mi ignori, Là?»
«È un mese intero che me lo ripeti, ormai non mi fa più lo stesso effetto di prima» mi gela, senza voltarsi. O almeno, ieri mi aveva gelato. Oggi ho preparato un copione diverso, per vedere l’effetto che fa. «Non mi provoca più il batticuore di quel giorno nel campo di calcio».
«Capisco. Quindi è un “no”, giusto?» sospiro mestamente. «A quanto pare dovrò cercarmi un nuovo amore…».
«Ehi! A-aspetta!» farfuglia Lazuli, sgranando gli occhi e piantandoli nei miei. Si alza di scatto facendo cadere la sedia alle sue spalle.
«Grazie di tutto, Lazuli-san» le dico serio, alzandomi a mia volta e facendo un leggero inchino. Sono uno stronzo di merda, lo so. Ma so anche che andrà tutto bene.
«Non ti ho mica detto di “no”, stupido!» protesta lei, alzando il tono della voce e fulminandomi con un’occhiataccia delle sue. La sua espressione non è solo dura, ma anche sinceramente preoccupata. È dolcissima, maledetta! «Perché ti sei già arreso?!» aggiunge, mettendo il broncio.
«Quindi è un “sì”, il tuo?!» esclamo, ghignando leggermente.
«S-sì…» sibila Lazuli, distogliendo lo sguardo dal mio e arrossendo leggermente.
«Ehi» le sussurro, sollevandole il mento tra indice e pollice per guardarla di nuovo negli occhi. Sono un po’ lucidi e un po’ furibondi, forse ho esagerato. «Me lo spieghi dove potrei trovare un’altra come te? Non la voglio nemmeno cercare un’altra, hai capito? Perché amo te. Punto».
«Sei… sei uno stronzo! Mi hai preso in giro, vero?!» ribatte, stizzita, pur avvicinandosi allo stesso tempo inesorabilmente alle mie labbra.
«Certo che l’ho fatto, ma solo per arrivare a questo…» le soffio sulle labbra, prima di unire la mia bocca alla sua, senza darle il tempo di rispondermi. Un bacio ancora più bello di quello di ieri, ancora più avido di noi. Il suo sapore mi consuma e mi rigenera allo stesso tempo, mi uccide e mi riporta in vita, mi crea dipendenza e mi fa stare bene. Lei è fantastica, c’è poco da dire.
«Guai a te se mi fai di nuovo uno scherzo del genere…» sussurra Lazuli, appoggiando la fronte alla mia.
«Non mi permetterò più, tranquilla. E sai perché?» le rispondo, sorridendo e accarezzandole i suoi capelli dorati. «Stavo pensando che se il mondo fosse un grande prato, tu saresti un quadrifoglio e io sarei solo un povero stronzo che ha avuto la fortuna di trovarti. Di raccoglierti, per custodirti per sempre».
Lazuli resta in silenzio per un istante, prima di spostare con un gesto istintivo le due confezioni di bento e le bottigliette di tè verde contro il muro. Sale con le ginocchia sul banco e mi bacia di nuovo. Un bacio ancora più intenso di prima, più pieno di noi di prima. Un momento che vorrei rivivere in loop per sempre.
«E comunque…» mi sussurra, dopo essersi staccata da me ed essere scesa dal banco. «Io sono senz’altro un quadrifoglio e tu sei senz’altro uno stronzo, ma lascia che ti dica una cosa: sei anche tu un quadrifoglio, nello stesso grande prato dove ci sono anch’io. Un quadrifoglio un po’ stupido, un po’ stronzo e un po’ maiale, ma pur sempre un quadrifoglio» mi spiega mentre si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio, con la sua aria apparentemente distaccata e, allo stesso tempo, accennando un sorriso meraviglioso che mi fa battere il cuore più forte.
 
Benissimo, tutto risolto! Non potrei chiedere di meglio: anche oggi io e Lazuli ci siamo messi insieme, ho sistemato le cose e domani sarà una giornata meravigliosa senza alcun dubbio! Cammino con un sorriso, probabilmente da ebete, stampato sulla faccia mentre scendo le scale dopo aver accompagnato Lazuli nella sua classe.
«Ehi, ti andrebbe di metterti con me?»
Una voce maschile molto sicura di sé attira la mia attenzione. Mi volto con discrezione, e noto un ragazzo dai lunghi capelli neri e con un paio di cicatrici sul volto appoggiato con la schiena al muro, con le mani in tasca. Si atteggia a belloccio, ma a me sembra solo pieno di sé. Lo conosco di fama, perché si contende con Vegeta la palma di ragazzo più popolare della scuola: è Yamcha Wolf, il capitano della squadra di baseball, ed è al terzo anno. Davanti a lui c’è una ragazza minuta dai lunghi capelli blu legati in un grande fiocco rosso. È paonazza, guarda verso il basso e giocherella nervosamente con le mani. La riconosco, è quella che mi ha dato una pedata nel culo e ha rischiato di far saltare il mio primo appuntamento con Lazuli. Mi pare che le sue amiche l’abbiano chiamata Lunch, quel giorno in cui ha fatto finta di non conoscermi.
«E-ecco… ecco io…» la sento balbettare.
«Cos’è, non ti vado bene, forse?» ribatte lui, irritato e con fare saccente.
«E-ehm… non… non intendevo quello, dammi solo un po’ di tempo per pensarci…» gli risponde Lunch imbarazzata, mentre tolgo il disturbo senza farmi notare. Non mi interessa molto l’esito di questa dichiarazione, l’importante è che oggi la mia sia andata a buon fine, no?! Io e Lazuli siamo una coppia ormai, e domani sarà tutto perfetto!
Non vedo l’ora di uscire da questo loop temporale. Non vedo l’ora di svegliarmi domani e di rendermi conto che lei è davvero la mia ragazza.
Sì, domani sarà tutto una figata, ne sono certo! Perché io sono diventato ufficialmente il ragazzo di Lazuli Eighteen, e non potrei desiderare nulla di più.
Lei è il quadrifoglio che ho avuto la botta di culo di trovare in questo immenso prato che è il mio mondo, dopo aver visto persino come poteva essere il mondo senza di lei.
E dopo aver capito che, in un mondo del genere, proprio non ci volevo vivere.
Lei è il mio quadrifoglio, e mi prenderò cura di lei per sempre.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: eccoci qui, un mese dopo la spettacolare dichiarazione di Rad davanti a tutta la scuola, dichiarazione che ha anche salvato Là da quello che sembrava ormai un destino irreversibile. Tutto è tornato alla normalità, Lazuli non risulta più invisibile a nessuno e sta anche per tornare a fare l’attrice. Però qualcosa sembra andare storto, all’improvviso, e Radish (solo Radish?) rivive due volte la stessa giornata, quella in cui si mette insieme ufficialmente a Là.
Cosa ci sarà sotto? Perché Rad ha rivissuto proprio quella giornata? Vi siete fatti delle idee a riguardo? E poi, soprattutto, arriverà il “domani” tanto agognato per Rad o ci sarà un terzo loop temporale?
 
Abbiamo poi conosciuto una new entry: Yamcha Wolf, alle prese con la piccola primina Lunch, che riaccogliamo in scena. Chissà come sarà andata a finire la loro vicenda, a Rad non interessava più di tanto la cosa e quindi non lo sappiamo.
Abbiamo anche visto una Bulma un po’ stizzita nel sentir Vegeta nominare Marion.
 
Bene, io non posso che ringraziare tutti voi per le cose meravigliose che mi avete detto dopo lo scorso capitolo e, in generale, dopo gli ultimi due capitoli nel loro complesso. Spero vi sia piaciuto anche questo e che vi abbia divertito e emozionato lo stesso, magari che abbia anche acceso di nuovo la vostra curiosità!
Un grazie speciale va come sempre a chi mi lascia il suo parere e mi carica tantissimo, ma anche a chi sta leggendo la storia e la sta inserendo nelle liste. Vedere i numeri crescere col passare delle settimane non può che rendermi felice, soprattutto visto che considero speciale questa long e i suoi due protagonisti principali!
Quindi grazie ancora, davvero!
 
Ok, cosa dite? Tira aria di Sindrome della Pubertà anche se adesso Lazuli ne è guarita?
E poi, vi è piaciuta di più la prima o la seconda dichiarazione che le ha fatto Rad per convincerla a dirgli di sì nel doppio 27 giugno che hanno vissuto?
Il titolo del capitolo di settimana prossima penso non vi dirà nulla, perché arriva direttamente dalla nostra geniale scienziata Bulma e dal suo campo di studi: “Il Demone di Laplace”.
Suona un po’ sinistro, no? Vi anticipo che Rad avrà bisogno di Bulma, ovviamente, se lei tirerà fuori proprio quelle parole! ;-)
Ci vediamo mercoledì!
 
Teo

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Capitolo 10
*** Il Demone di Laplace ***


10 – Il Demone di Laplace
 
 
 
27 giugno (tris)
 
«Apriamo il notiziario di oggi, venerdì 27 giugno, con la grande vittoria di ieri sera della nazionale giapponese contro la Corea del Sud» sento esclamare dalla presentatrice del telegiornale, non appena entro in salotto, pronto per uscire e andare a scuola.
«No! Non di nuovo! Cazzo!» impreco, sgranando gli occhi e mettendomi le mani tra i capelli.
«Cos’è che è successo “di nuovo”, fratellone? Sei arrabbiato?» mi domanda Goku, seduto sul divano accanto a Balzar.
«Niente, una cosa di scuola…» sospiro, scompigliandogli un po’ i capelli contenuti a fatica dal cappuccio a forma di tirannosauro. «Ora vado, fai il bravo!»
Non so più cosa fare, comincia a preoccuparmi questo loop temporale dal quale non riesco a uscire. Qual è il mio ruolo in tutto questo? Non posso essere io a subire di nuovo gli effetti della Sindrome della Pubertà, mi sento sereno come mai prima in questo periodo!
Merda, e se oggi qualcosa andasse storto e non riuscissi a mettermi insieme a Lazuli?! No, non ci voglio nemmeno pensare. Ne parlerò con Bulma, lei saprà di sicuro aiutarmi.
Una volta arrivato a scuola, evito la solita conversazione sui miei capelli con Vegeta mentre mi cambio le scarpe all’ingresso e vado a cercare subito la mia amica dai capelli turchini. Ho bisogno di avere delle risposte. La porto con me nel laboratorio di scienze e le spiego tutto quello che mi sta succedendo. Lei mi osserva, impassibile e pensierosa, per poi mettersi a sistemare delle provette trasparenti e dei contenitori vuoti. Indossa come al solito il suo lungo camice bianco aperto sopra alla divisa. Mi siedo sul solito sgabello davanti al suo tavolo da lavoro, in attesa che mi dica se sono pazzo. E di una soluzione, magari.
«Son-kun…» sospira a un certo punto. «Questa si chiama Sindrome della Seconda Media».
«Ti ricordo che sono in seconda liceo, simpaticona».
«Ah, sì? Non si direbbe, dato quello che fai e quello che dici. Allora vada per Sindrome della Seconda Liceo» ribatte, squadrandomi. Forse si chiede se mi sto prendendo gioco di lei. «A parte questo, non potrebbe essere la tua amatissima Sindrome della Pubertà?»
«Non vede perché dovrebbe colpire di nuovo me, mi sento benissimo emotivamente in questo periodo. Quando mi sono comparse le ferite sul petto due anni fa, invece, ero stravolto per quello che stava succedendo a mio fratello e alla mia famiglia» le spiego. «Cerca di trovare una soluzione, ti prego! Domani sembra non volerne sapere di arrivare solo per me!»
«Dovrai arrivarci da solo a domani, a quanto pare» ribatte tranquillamente, mentre digita qualcosa sul suo cellulare e fissa il display. «Oltre a me, nemmeno gli altri sette miliardi di abitanti di questo pianeta stanno vivendo la giornata di oggi per la terza volta» aggiunge, mostrandomi i risultati nulli della sua ricerca su Google alla richiesta “27 giugno terzo loop temporale”.
«Ti supplico, Bulma» la imploro, congiungendo le mani e inchinandomi leggermente. «Saprò sdebitarmi in futuro, te lo prometto».
«Hai detto di essere bloccato in un loop temporale» sospira la mia amica, mentre si rimette in tasca il cellulare. «Secondo me non dovresti fissarti troppo con questa linea di pensiero».
«Perché?»
«Perché è praticamente impossibile tornare indietro nel passato, ci vorrebbe una macchina del tempo che, ad oggi, nessuno ha ancora inventato. Nemmeno io, per quanto mi piacerebbe farlo, prima o poi» risponde, guardandomi fisso coi suoi occhi azzurri. «Questo 27 giugno che tu stai vivendo per la terza volta, potrebbe essere solo un futuro osservato considerando un riferimento temporale precedente».
«Ma se tornare nel passato è difficile, andare nel futuro non dovrebbe esserlo ancora di più?» le chiedo, perplesso e confuso.
«Sto parlando di preveggenza, Son-kun, non di viaggi temporali» sibila, forse irritata dalla mia ignoranza in materia.
«Non che la cosa sia più semplice da capire…» sbuffo.
«Hai mai sentito parlare del Demone di Laplace?» mi chiede Bulma, appoggiando entrambe le mani sul tavolo da laboratorio e abbassando leggermente il tono della voce. È serissima, ha lo sguardo di quando ha trovato le risposte che cercava.
«Sfortunatamente non conosco nessun demone, a parte Lazuli quando si incazza!» ridacchio, beccandomi un’occhiataccia in tutta risposta.
«Tutta la materia presente nell’universo risponde alle stesse leggi della fisica» sospira Bulma, alzando gli occhi al cielo, con il tono di chi sta spiegando una cosa molto difficile a un bambino delle elementari. E, ad essere sinceri, le mie conoscenze di fisica sono rimaste più o meno le stesse di quando andavo alle elementari. «Se si riuscisse a tradurre tutte queste leggi in un’unica equazione e poi la si risolvesse, si sarebbe in grado di predire il futuro con certezza».
«Non ci sto capendo un cazzo, Bulma…» ammetto candidamente. Lei si sistema gli occhiali con un gesto della mano e chiude un attimo gli occhi. Credo stia contando mentalmente fino a dieci per non mandarmi a cagare. È proprio un’amica.
«Allora, Son-kun, per farla breve: se qualcuno conoscesse con precisione assoluta la posizione e la quantità di moto di ogni singolo atomo dell’universo, potrebbe calcolare le loro interazioni future sfruttando le leggi della meccanica classica».
«Di ogni singolo atomo dell’universo?!» esclamo. «Sarà un numero pazzesco!»
«Certo. Infatti analizzare tutti quei dati mediante equazioni richiederebbe un tempo considerevole» conferma. «Sarebbe inutile calcolare cosa accadrà tra un secondo nel futuro, se questo calcolo dovesse richiedere più di un secondo per farlo».
«Giusto» le dico, fissandola, ammirato dalla sua intelligenza.
«Per questo motivo, il fisico Laplace ipotizzò l’esistenza di un essere capace di una simile impresa» continua. «Sto parlando del Demone di Laplace: un essere capace di conoscere esattamente la posizione e la quantità di moto di ogni singolo atomo nell’universo e calcolare istantaneamente il futuro».
«E quello che sto vivendo ora sarebbe un futuro ottenuto risolvendo quei calcoli?»
«Esatto».
«Non vorrei contraddirti, ma ti sembro davvero uno di questi Demoni del tuo amico Laplace?!»
«Infatti non credo affatto sia tu il Demone di Laplace, ma evidentemente hai un ruolo in tutto questo. Ti toccherà trovare il Demone, se vorrai uscire dal loop temporale».
«E come faccio?»
«Il Demone è probabilmente l’unica persona consapevole di star vivendo questo 27 giugno per la terza volta e, di conseguenza, anche l’unica a comportarsi in modo diverso in ognuno di questi loop temporali».
«Ma perché allora sono rimasto coinvolto anch’io in questo loop?!»
«Penso che il Demone di Laplace abbia qualche problema con la Sindrome della Pubertà, è l’unica spiegazione che so darmi. E tu hai sviluppato una qualche resistenza contro gli effetti della Sindrome» mi spiega Bulma, mentre infila dei fogli pieni di dati nella sua cartella. «Sia perché ci sei già passato due anni fa, sia, soprattutto, perché un mese fa hai dimostrato di essere più forte degli effetti della Sindrome che ha colpito Eighteen-senpai e che era anche rafforzata dall’atmosfera presente in questa scuola».
«Lo so, non era da tutti sconfiggere l’atmosfera e riportare indietro la mia Lazuli!» esclamo, allargando le braccia in modo teatrale.
«Comunque, sappi che mi sono vergognata da morire per te per quella maldestra dichiarazione davanti alla scuola, Son-kun» ribatte Bulma, guardandomi con faccia lievemente schifata. «Mi immagino lei quanto si sia vergognata, poverina…».
«Questi sono dettagli…» borbotto. «Come posso restringere il campo di ricerca per trovare questo fottuto Demone?»
«Se sei sfortunato lo dovrai cercare tra le sette miliardi di persone del mondo, mentre, se sei fortunato, lo potrai trovare qui a scuola. C’entra la Sindrome della Pubertà e c’entri tu, io ti suggerisco di cominciare da qui, Son-kun. Probabilmente hai avuto di recente un qualche tipo di contatto con il Demone» conclude Bulma, prima di dirigersi verso l’uscita del laboratorio.
 
Durante le lezioni del mattino cerco di osservare i miei compagni di classe e i professori, ma non noto nessuno che si comporti in modo diverso rispetto ai precedenti anelli temporali: stessi movimenti e stesse parole dette dagli studenti, stesse battutacce del professore di fisica, stessa macchia di rossetto sul colletto della camicia per quello di giapponese moderno.
Mi sembra di impazzire, per fortuna adesso, in pausa pranzo, arriverà l’unica consolazione per la mia giornata, ossia il fatto che mi metterò insieme a Lazuli e la bacerò. Questo sì che è un momento che rivivrei più che volentieri in loop per infinte volte, mi sento troppo bene quando sono insieme a lei. E, anche stavolta, andrà tutto bene. Diventeremo ufficialmente una coppia anche in questa terza ripetizione della stessa giornata.
Entro nella classe dove mi sono dato appuntamento con Lazuli per mangiare insieme il bento che mi avrà preparato anche oggi e mi dirigo verso il banco vicino alla finestra dove ci siederemo insieme e dove ci fidanzeremo.
«Etciù!»
Mi volto di scatto verso la cattedra, e sento un rumore sordo oltre allo starnuto che mi ha quasi fatto spaventare, convinto com’ero di essere da solo.
«Ahia…» sento imprecare una voce femminile. Non è la voce di Lazuli e sembra provenire dalla cattedra.
Mi avvicino con le mani in tasca e con un sorriso accennato sul volto. Ho già trovato il Demone di Laplace, perché negl’altri due loop temporali che ho vissuto nessun altro è entrato in questa classe durante la pausa pranzo, a parte me e Lazuli.
«Sei Son-senpai, giusto?» mi domanda timidamente una ragazza minuta dai lunghi capelli blu legati in un vistoso fiocco rosso, uscendo allo scoperto da sotto la cattedra. Evidentemente si era nascosta lì. La riconosco, e quasi non ci credo che sia davvero lei il famoso Demone. Come che sia ancora lei a rischiare di mandare tutto a puttane tra me e Lazuli.
«Radish Son, secondo anno» le dico, accennando un sorriso.
«Lunch Yoidesu, primo anno. Piacere di conoscerti» mi risponde, chinandosi leggermente col busto.
«Non essere così formale con me, siamo compagni di calci nelle chiappe, dopotutto!» esclamo, ghignando.
«Dimenticati subito di quella cosa!» protesta, arrossendo vistosamente.
«Dimmi la verità, Lunch» le dico, avvicinandomi serio a lei. «Quante volte hai vissuto questa giornata?»
Lei abbassa la testa e sospira. Non mi risponde.
«Per me è la terza» continuo.
«Anche per me è la terza, per fortuna non sono l’unica!» esclama, mentre i suoi occhi castani si riempiono di lacrime. «C-cosa sta succedendo?! Ho paura, aiutami!» singhiozza. Bene, come pensavo è lei il Demone di Laplace e probabilmente sta soffrendo dentro di sé per qualche motivo che l’ha fatta incorrere nella Sindrome della Pubertà, generando tutto questo casino.
«Hai qualche idea sulla causa di tutto questo e su come uscirne?» le domando, avvicinandomi a lei. «Non piangere, tutto si può risolvere» la rassicuro, abbassando la mia testa all’altezza della sua e sorridendole. Lei arrossisce e si asciuga velocemente le lacrime.
«Io… io non ho nessuna idea…» sospira.
«Credo che sia tutto collegato a un fenomeno che si chiama Sindrome della Pubertà, causato da una profonda instabilità emotiva. Può avere diversi effetti» le spiego. «So che sembra assurdo, ma devi fidarti di me. Ci sono passato anch’io, una volta trovata la causa se ne può uscire senza problemi».
«Sei sicuro di esserci con la testa, senpai? Non sono solo voci che girano su internet quelle su questa Sindrome?».
A volte sembra timidissima e a volte dimostra un bel caratterino. È piuttosto strana questa ragazza, forse è un pochino bipolare.
«Ti è per caso successo qualcosa di brutto ultimamente o sei preoccupata per qualcosa?» le chiedo, non badando alla sua provocazione. Avrei una certa fretta di risolvere la questione.
«Beh… veramente… ah, scusa! Mi è arrivato un messaggio!» si interrompe, tirando fuori dalla tasca il cellulare e cominciando a digitare furiosamente. Me lo ricordo bene che è una fanatica del telefono. Spero non metta a dura prova la mia pazienza, anche perché sta per arrivare Lazuli e avrò qualcosa di più importante e gratificante da fare che cercare di risolvere i suoi problemi.
«Smettila di gingillarti col telefono mentre parli con me» le dico, sfilandole il cellulare dalle mani e tendendo il braccio verso l’alto, in modo che lei non possa raggiungerlo neanche saltando, data la mia altezza. «Mi sembra di rivivere quel giorno al commissariato, hai rischiato di farmi saltare un appuntamento fondamentale quella volta, lo sai?»
«Ridammelo!» grida, saltellando freneticamente e riempiendomi di pugni sul petto che in realtà mi fanno solo il solletico. «Non parlerò e messaggerò più in contemporanea, davvero!»
«Tieni…» sbuffo, passandole il telefono. Lei, ovviamente, riprende subito a scrivere, più invasata di prima. «Hai deciso di messaggiare e non parlare con me, noto».
«Stai buono un attimo, non distrarmi!» sbotta, lasciandomi basito. Cioè, un secondo fa piangeva dalla paura e ora nemmeno mi caga per dar retta al telefono?!
«Almeno sei consapevole di essere un filino strana?» le chiedo.
«Bene! Dicevamo?» mi chiede, sorridendomi radiosa come se niente fosse, dopo aver finito di scrivere e aver messo via il cellulare.
«Ti chiedevo se ti è successo qualcosa di brutto ultimamente o se sei preoccupata per qualcosa» sbuffo, esasperato. «Se me lo dici possiamo superare questo dannato 27 giugno, che, detto tra noi, inizia a rompermi le palle».
«Forse mi preoccupa il fatto di essere ingrassata…» sospira lei, abbassando la testa.
«Non dire cazzate, non ho tempo da perdere» ribatto.
«Come ti permetti di metter in dubbio le mie parol… ah, nascondiamoci!» sbotta lei, prima di afferrarmi all’improvviso per la camicia e trascinarmi insieme a lei sotto alla cattedra. Ci stiamo a malapena, sono incastrato data la mia mole e in più sono addossato a lei.
«Ma che caz…» provo a dire.
«Shhh!» mi interrompe, tappandomi la bocca con la sua mano, mentre sento aprirsi la porta anteriore della classe, quella posizionata in linea con la cattedra.
Dei passi attirano la mia attenzione, così provo a sbirciare e noto con sorpresa Yamcha Wolf che si guarda intorno, scocciato e irritato, con le mani in tasca. «Non sta cercando te?» sussurro a Lunch, che mi fissa paonazza a pochissimi centimetri dalla mia faccia.
«Sì, ma gli avevo scritto che avevo da fare in pausa pranzo» mi spiega, sussurrando con voce tremolante, mentre Yamcha esce dalla classe sbattendo la porta e Lunch tira un sospiro di sollievo.
«Devi andare ad ascoltare la sua dichiarazione» le dico.
«E te come fai a saperlo?!»
«Vi ho visti per caso sulle scale, nel nostro secondo 27 giugno. Perché ti nascondi da lui?»
«Perché Wolf-senpai piace a Lucy-chan!»
«Ah, grazie! Ora sì che capisco tutto!»
«Lucy-chan è una mia amica e compagna di classe» mi spiega Lunch, guardandomi di sbieco. «Lei è la ragazza più popolare della nostra classe e spesso mi chiedeva di accompagnarla a vedere gli allenamenti della squadra di baseball. Lei dice sempre che lui è un figo, in realtà io andavo solo per farle compagnia».
«Però alla fine lui ha puntato te…» deduco, mentre Lunch abbassa lo sguardo mestamente. «A te non piace lui?»
«No, non mi piacciono i tipi popolari».
«Allora lasciagli fare la sua dichiarazione e poi dagli il due di picche, no?»
«Se lo facessi verrei subito emarginata dalla classe, non capisci?!» esclama lei, tornando a fissarmi negli occhi, ancora sotto alla cattedra. «A Lucy-chan… a una mia amica piace lui! E lui vuole dichiararsi a me! Non va bene! Perché mi ha cacciata in questa situazione quello stupido!» aggiunge, gridando.
«Non urlare o ti sentirà, potrebbe essere ancora qua fuori» la avviso, proprio mentre la porta si riapre.
«Ah!» grida Lunch, dandomi una spallata per abbracciarmi e facendomi perdere l’equilibrio. Cado all’indietro e ribalto la cattedra, che si rovescia alle mie spalle e fa sì che mi ritrovi disteso con la schiena sul pavimento della classe, con Lunch sdraiata a cavalcioni sopra di me, ancora abbracciata.
«Quindi erano questi i tuoi impegni in pausa pranzo, eh?» dice Yamcha a Lunch, guardandola con aria truce. «Hai un pessimo gusto in fatto di uomini, lasciatelo dire» aggiunge, richiudendo la porta.
«Ehi, aspetta!» gli grido, con Lunch ancora sopra di me, paralizzata dall’imbarazzo. «Non è come sembra!»
Proprio in quel momento sento aprirsi anche la porta posteriore della classe, quella all’altezza dell’ultima fila.
Sudo freddo, sto già prevedendo il futuro senza bisogno di essere quel cazzo di Demone di Laplace! Merda, è arrivata Lazuli e io sono sdraiato per terra con una ragazza sopra di me a cavalcioni che mi abbraccia!
I suoi occhi di ghiaccio si puntano nei miei e sento un brivido gelarmi fino alle ossa. Il suo sguardo è incandescente, mentre noto la sua mano stringere con forza la maniglia della porta fino a farla cigolare in modo sinistro. Ci scambiamo uno sguardo che mi sembra lungo secoli, mentre anche Lunch guarda nella sua direzione e la tensione è così palpabile che si potrebbe tagliare a fette.
«Non è come pensi» farfuglio, cercando di ostentare sicurezza e spingendo via Lunch. Lazuli sbatte la porta e se ne va in corridoio. Merda, merda! Merda!
Riesco a liberarmi della presa di Lunch e le corro dietro, col cuore che mi sembra scoppiare.
«Aspetta, Là! Lasciami spiegare tutto, ti prego!» la imploro a gran voce, dopo averla raggiunta in corridoio e averle afferrato una mano.
«Non rivolgermi la parola. Non ho voglia di sentire la tua voce» ribatte, glaciale, senza nemmeno voltarsi e liberandosi con uno strattone.
La guardo allontanarsi, mentre sento il cuore andarmi letteralmente a pezzi. Perché è andata così oggi?! Cosa ho fatto di male per cacciarmi in una situazione simile?! Non poteva restare tutto come nel primo o nel secondo anello temporale che ho vissuto con Lazuli?!
Mi sento affranto, non solo non sono riuscito a mettermi insieme a lei in questo terzo anello temporale, ma ho fatto un casino atroce senza averne nessuna colpa.
Cerco di rassicurarmi da solo mentre mi dirigo mestamente verso la mia classe. Tanto domani il loop temporale ricomincerà di nuovo da capo per la quarta volta e lei si dimenticherà tutto, no? Avrò modo di mettermi insieme a lei di nuovo come se nulla fosse successo e in più sistemerò la storia del Demone di Laplace. Respiro profondamente, cercando di farmi forza e di essere positivo.
 
 
28 giugno
 
«Buongiorno a tutti, oggi è sabato 28 giugno e cominciamo subito con una notizia sensazionale…» sento esclamare dalla presentatrice del telegiornale dalla tv accesa in salotto. Resto impietrito e probabilmente con la bocca spalancata davanti allo schermo, mentre Balzar fa le fusa strusciandosi sulla mia caviglia.
«Cosa c’è, fratellone?» mi domanda Goku, perplesso, appena uscito dalla cucina con una tazza di caffè in mano e il cappuccio da tirannosauro in testa.
«Goku, tirami un pugno per favore» gli chiedo, senza smettere di fissare la tv.
«Sì! Giochiamo!» grida mia fratello, prima di darmi un poderoso gancio nello stomaco che mi fa piegare in due dal dolore.
«Ahia, cazzo!» impreco a denti stretti. «Non ti ho detto di ammazzarmi!» rido, tirandomi su e passando un braccio intorno al collo di Goku. «Bravo, stai diventando forte!» aggiungo, scompigliandogli i capelli.
Bene, sono nella merda fino al collo, a questo punto. Sono uscito dal loop nell’unico anello temporale che avrei voluto cancellare, ovviamente. Il mio solito culo.
E ora non so cosa fare, non so cosa pensare. Prendo il telefono e chiamo Bulma.
«Cosa vuoi di sabato mattina, Son-kun? Tra poco ci vediamo a scuola…» sbuffa la mia amica.
«Costruiscimi un macchina del tempo, ti prego!»
«Posso riagganciare o devo per forza mandarti a cagare?»
«Non sono mai stato così serio, e non metterti a rispondermi come farebbe Prince!»
«Mi starei vestendo in questo momento, sono in ritardo».
«Voglio tutti i dettagli, allora! A che punto sei?»
«Mi sto infilando le calze. Arrivi tardi».
«Non me ne va bene una, oggi…».
«Dai, non farmi perdere tempo, maiale che non sei altro! Che cosa volevi
«Ti ricordi la chiacchierata di ieri sul rivivere la stessa giornata?»
«Sì, e a quanto pare sei riuscito a uscire dal tuo loop temporale. Congratulazioni».
«Sì, ma le cose non sono andate come volevo…».
«Bene, mi sono infilata le calze e ora devo uscire, ne riparliamo dopo» mi liquida, riagganciando.
 
Vado a scuola, con la testa piena di dubbi. Se non posso rivivere la giornata di ieri, devo per forza chiarire il malinteso con Lazuli e ricominciare daccapo. Spero mi crederà…
La cerco nella sua classe, ma non la vedo. Magari è andata in bagno, vorrei parlarle prima delle lezioni perché non voglio che ce l’abbia con me o che stia male a causa mia.
«Ehi, Son! Cosa ci fai qui?» esclama una voce maschile che conosco, mentre ricevo una vigorosa pacca sulle spalle. «Cercavi me, vero?»
«Ciao Napa-senpai» sbuffo, continuando a guardarmi intorno. «Veramente cercavo Lazuli, l’hai vista per caso?»
«Ah, sì… giusto, giusto…» borbotta l’energumeno rasato, deluso. «Non si è vista oggi, mi spiace! Ma non dovresti essere tu a saperlo se viene o meno a scuola la tua ragazza?» mi chiede, e penso che sia bello che tutti ci considerino già una coppia da quando ci siamo baciati sul campo di calcio. Il problema è che non lo siamo ancora diventati ufficialmente in questa maledetta linea temporale e che, forse, non lo diventeremo mai.
«Sì, sì… ciao…» sospiro, uscendo dalla classe.
«Son, le porte del club di calcio sono sempre aperte per te, ricordatelo».
«Grazie, senpai» gli sorrido.
«Ti voglio in campo per il campionato, dobbiamo andare ai Nazionali quest’anno. Solo con te in difesa possiamo farcela!»
«Farò di tutto per esserci» gli prometto mestamente, per poi dirigermi verso il laboratorio di scienze a piano terra.
 
«Quindi il Demone di Laplace era quella ragazza del primo anno, eh?» riflette Bulma, stringendo tra le mani una tazza di caffè, dopo che le ho spiegato tutto.
«Ha evitato che un ragazzo si dichiarasse a lei e questo ha risolto il problema, a quanto pare. Era questa la causa del suo turbamento emotivo che ha scatenato la Sindrome della Pubertà» aggiungo, soffermandomi poi sulla mia amica, che osserva il caffè fumante nella sua tazza con aria malinconica. Non mi sembra neanche lei, mi fa male vederla così.
«Tutto bene, Bulma? Mi sembri giù di morale» le chiedo.
«Meglio dirtelo e farmi ridere dietro, piuttosto che tenermelo dentro per sempre…» sbuffa lei, guardando fuori dalla finestra.
«Non ti riderò dietro, dimmi…».
«Stamattina ho trovato Vegeta sul treno e abbiamo fatto il viaggio insieme…».
«Siete già arrivati in seconda base?!» provo a scherzare, per alleggerire la tensione.
«No, cretino. Ma, nonostante lui sia fidanzato, io mi sento bene quando sono con lui. Non so nemmeno perché… ma non mi piace sentirmi così. Non mi sembra nemmeno giusto nei confronti della sua ragazza…» sospira.
«Secondo me ti fai troppi paranoie» le rispondo. «Cosa provi invece quando sei insieme a me, come adesso?»
«Mi si accappona la pelle, Son-kun» mi dice, tornando a puntare i suoi occhi azzurri nei miei.
«Brava, così ti riconosco» le sorrido.
Lei sorride a sua volta, ma il suo viso è un sole spento stamattina. Allunga il braccio coperto dal camice bianco sul tavolo da laboratorio e ci appoggia sopra la testa. «Mi sento peggio ogni giorno che passa per questa storia…» sospira, sconsolata.
«Dovresti dirglielo, Bulma».
«E cosa dovrei dirgli?!»
«Che lo ami… digli che lo ami!»
«Risparmiami le ovvietà, ti prego… io non sono come te. E poi lui è fidanzato, non mi sembra una cosa corretta…».
«Io penso che dovresti chiarire questa cosa il prima possibile, prima che peggiori ancora» le dico, alzandomi dallo sgabello davanti a lei su cui ero seduto e dirigendomi dal lato del tavolo dove è seduta. Distendo anch’io un braccio sul piano da lavoro e ci appoggio sopra la testa, per guardarla negli occhi. «Tu sei molto meglio di Marion, sia fisicamente che per la testa che hai. Sono certo che anche uno scimmione come Prince lo sappia già. Non farti del male da sola, soffrendo dentro di te».
«Grazie Son-kun» mi sorride, rialzando la testa. «Tu cosa farai, invece?»
«Devo chiarirmi con Lazuli e poi sarà tutto a posto, dal mio punto di vista».
«Non hai pensato che, una volta chiarito il malinteso, Wolf-senpai possa di nuovo dichiararsi a Lunch?»
«Temi che potrei sprofondare in un nuovo loop temporale per colpa di quella ragazza?!»
«Forse l’ha anche già capito da solo che è stata solo un’incomprensione, come l’avrà già capito da sola Eighteen-senpai. Ti ricordo che un mese fa hai urlato ai quattro venti e davanti a tutta la scuola durante gli esami il tuo amore per lei» si ferma un attimo e mi guarda dritto negli occhi. «Io sarei morta dalla vergogna quel giorno se fossi stata in voi due, ci penso ogni volta che mi torna alla mente».
«Non cambiare discorso… mi ha già fatto un culo così il vice preside quella volta, mi sono preso tutta la responsabilità per scagionare Lazuli…» sbuffo, guardandola male. «Dunque temi che potrò ritrovarmi presto in un nuovo loop temporale?»
«Ci sono buone possibilità».
«Mi stai dicendo che un futuro in cui io e Lazuli stiamo insieme non potrà mai esistere?!» sbotto, alzandomi in piedi e battendo i pugni sul tavolo.
«Non lo so, Son-kun. Non lo so…» sospira. «Io spero possa esistere, ma devi essere pronto a tutto».
 
 
 
 
 
 
 
Note: allora, cosa dite: potrà esistere o no un futuro in cui Rad e Là potranno stare ufficialmente insieme?
Abbiamo conosciuto meglio Lunch Yoidesu, vi è piaciuta? Arriva e incasina la vita al povero Rad, facendo infuriare Lazuli. Il suo cognome significa “buona” in giapponese, ho pensato di chiamarla così dato che è la versione “good” del personaggio che abbiamo visto in Dragon Ball.
È Lunch il Demone di Laplace di cui parlava Bulma e purtroppo gli effetti che sta avendo su di lei la Sindrome coinvolgono anche Radish (solo lui?)
Spero vi sia piaciuto questo capitolo anche se si conclude in modo decisamente amaro per il nostro eroe, nel prossimo vedremo se riuscirà a chiarirsi con Lazuli, che non sembra aver preso bene la scena a cui ha assistito, e se riuscirà a saperne di più su Lunch e sulle sue responsabilità in questa vicenda legata ai loop.
Sarà una “saga” molto bella all’interno della storia e molte cose verranno svelate anche sulla famiglia di Radish, oltre a vedere se e come evolverà la sua storia d’amore con Là. In più c’è Lunch e la stessa Bulma comincia a soffrire a causa di Vegeta. Un casino dopo l’altro, maledizione!
 
Ringrazio tutti voi che mi seguite sempre e che mi lasciate ogni settimana il vostro parere, siete semplicemente fantastici e mi riempite di entusiasmo! Un grazie speciale anche a chi continua a leggere in silenzio e a inserire la storia nelle liste, non avrei mai potuto immaginare di avere un simile seguito con questi personaggi, eppure è solo merito vostro e vorrei ringraziarvi uno ad uno!
Grazie poi a Misatona, che ci regala un bellissimo bacio tra Rad e Là in divisa scolastica tratto dai fatti del capitolo 9!
Un grazie anche a Sapphir Dream, che mi ha già inviato dei disegni per un’altra mini long che sto scrivendo e che a breve pubblicherò in parallelo a questa. Si chiamerà “Mythos” e sarà una rivisitazione molto personalizzata del mito di Medusa e Perseo, con in allegato un bel viaggetto nell’Ade. Ci saranno tantissimi personaggi in azione e non vedo l’ora di farvi vedere anche i suoi disegni! ;-)
 
Ah già, nel prossimo capitolo arrivano in pompa magna anche le tre amiche di Lunch, così ve le farò conoscere! Chi saranno? Per queste tre ho pensato di fare una sorta di crossover, visto che avranno una piccola parte. Da che altro manga/anime le avrò prese in prestito? :-)
In ogni caso penso che la parte più succosa sarà quella del confronto tra Rad e Là, oltre ad una clamorosa proposta da parte di Lunch!
Volete il titolo? “Un sapore che fa battere il cuore”.
Ci vediamo mercoledì!
 
Teo
 

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Capitolo 11
*** Un sapore che fa battere il cuore ***


11 – Un sapore che fa battere il cuore
 
 
 
Dopo la scuola vado direttamente al “Kame House”, pronto a cominciare un nuovo turno di lavoro con la testa affollata di dubbi e paure.
E se davvero io e Lazuli non fossimo destinati a stare insieme in nessuna linea temporale?
Non voglio nemmeno pensarci, ma non riesco neanche a far finta di niente. Lei non si è fatta vedere a scuola oggi, e io non ho avuto il coraggio di chiamarla o mandarle un messaggio. Credo sia meglio parlarle di persona di quello che è successo. Penso che mi crederà, spero solo di non ricadere a quel punto in un nuovo loop temporale e di rivivere di nuovo questa giornata di merda.
Indosso la divisa da cameriere e mi lascio cadere sulla sedia, con le mani tra i capelli e la faccia stravolta. Devo ancora cominciare e già non ce la faccio più.
«Che faccia da cazzo hai, Rad?! Sembri un cadavere».
«Ciao Prince… sei un tesoro come sempre!» rispondo, sforzandomi di ghignare al mio amico che, nel frattempo, ha fatto il suo ingresso trionfale in magazzino.
«Allora? Cosa c’è che non va?» mi incalza, fissandomi a braccia conserte e con la schiena appoggiata al muro.
«Niente di che, ho fatto incazzare Lazuli per una stronzata, ma conto di sistemare tutto» rispondo. «Piuttosto, riguardo a Bulma…» aggiungo, mentre noto le sopracciglia di Vegeta fare un impercettibile movimento verso l’alto. Ho la sua più completa attenzione. Sorrido.
«Bulma cosa?» sbotta, impaziente.
«Ecco, penso che…».
«Ragazzi, ho un annuncio importante per voi!» esclama Muten, il proprietario del ristorante, spalancando la porta del magazzino e interrompendo il nostro discorso. «Vi presento Lunch Yoidesu, da oggi lavorerà con noi! Insegnatele tutto ciò che c’è da sapere, ok?! E trattatela bene, è molto carina e anche molto gentile, a differenza di voi due!» aggiunge il vecchio, mentre la nostra nuova collega si inchina leggermente, col viso paonazzo per la vergogna.
Resto a bocca aperta, e nemmeno Vegeta può capirne il motivo, dato che non gli ho raccontato nulla della vicenda del loop temporale.
«Lunch?!» esclamo, sbalordito.
«Ah! S-senpai?!» ribatte lei, sgranando a sua volta i suoi occhi nocciola e arrossendo ancora di più. Mi chiedo cosa ho fatto di male per ritrovarmi persino qui il Demone di Laplace, la causa di tutti i miei attuali problemi.
«Bene, allora se vi conoscete già l’affido a te! È una tua kohai, spiegale tutto tu!» interviene Muten. «Ah, non viene più a trovarti la tua amica giornalista?!» aggiunge con aria sognante, prima di dileguarsi dal magazzino dopo un’occhiataccia congiunta da parte mia e di Vegeta.
«L-lunch Yoidesu, piacere di conoscerti» si presente educatamente al mio amico la nostra nuova collega.
«Tsk! Guarda che lo so che tu e Rad siete compagni di calci nel culo!» ride, facendola diventare ancora più paonazza. «Io sono Vegeta Princely, comunque!»
«Perché l’hai raccontato in giro?!» mi grida contro lei, improvvisamente combattiva, per non dire furibonda.
«Che gusto c’è a non condividere con gli amici una cosa tanto spassosa?» rispondo, facendo spallucce.
«Son, vieni a prendere l’ordine al tavolo 7!» mi chiama a gran voce Muten.
Mi dirigo in sala, e noto subito che le tra ragazze sedute a quel tavolo sembrano scrutarmi con fare indagatore. Mi sembra di averle già viste da qualche parte.
«Buonasera, pronte per ordinare?» domando loro, scontrandomi con occhiate che sembrano scandagliarmi ai raggi x.
«Provi davvero qualcosa per Lunch-chan?!» mi domanda subito in tono duro una ragazza dai lunghi capelli rossi. Ecco dove le ho già viste: sono le tre amiche di Lunch, quelle che la tempestano di messaggi e che mi guardavano male quando lei ha fatto finta di non conoscermi un mese fa a scuola. Capelli rossi, capelli biondi e capelli argentati, da quello che le conosco io. Una di loro sarà quella a cui piace quel mollusco di Wolf, per forza.
«Mi spiace, ma qui non serviamo un “provi davvero qualcosa per Lunch-chan”» ribatto, accennando un sorriso sghembo.
«Guarda che sono seria!» insiste la rossa. Vorrei risponderle che “Lunch-chan”, come la chiama lei, mi ha semplicemente incasinato la vita al momento, ma non mi sembra carino.
«Ci è venuto il dubbio perché è passato fin troppo poco tempo da quando ti sei lasciato con Eighteen-senpai!» interviene la bionda.
La guardo stranito, sollevando gli occhi dal taccuino delle ordinazioni. Ma che cazzo sta dicendo?! Lasciato?!
«Lunch-chan è sicuramente carina, ma cos’altro ti piace di lei?» si intromette capelli argento, che almeno ha un tono lievemente più gentile nei confronti di un povero stronzo che non ci sta capendo nulla, come il sottoscritto.
«Penso ci sia un malinteso…» provo a ribattere.
«Non devi nasconderlo, noi tre lo sappiamo già!» esclama capelli argento, sorridendo.
«Ecco Lunch-chan!» esclama la bionda, cominciando a sbracciarsi per farsi notare dalla mia nuova collega e, me lo sento, fonte di ulteriori problemi.
«Mira-chan! Siete venute davvero!» esclama Lunch, abbracciando capelli argento. «Erza-chan, Lucy-chan, sono troppo felice per questa vostra sorpresa!» aggiunge, abbracciando prima la rossa e poi la bionda.
«Sei carinissima con quella divisa!» esclama la bionda, presumo Lucy.
«Senpai, prova a giocare coi suoi sentimenti e non la passerai liscia» dice in tono gelido la rossa, deduco Erza, rivolgendosi invece a me.
Sbuffo e cerco il contatto visivo con Lunch, in cerca di spiegazioni. Lei abbassa lo sguardo e accenna un sorriso. «Prendo io il loro ordine, senpai. Vai pure» mi congeda.
 
Arrivato a fine turno, mi cambio in fretta ed esco dall’uscita sul retro. Non ho nemmeno avuto modo di parlare con Lunch, non ne ho neanche voglia adesso. Voglio solo tornarmene a casa e trovare un modo per chiarire le cose con Lazuli, non mi interessano i discorsi incomprendibili delle tre amiche della mia nuova collega.
«Senpai, mi dovresti fare un favore!» mi rincorre Lunch.
«Anche no…» sbuffo, senza nemmeno guardarla. Inizio ad essere spazientito da questa storia. Stanco, anche.
«Almeno ascoltami, prima!» mi implora, piagnucolando.
«Guarda che l’ho capito da solo: vuoi chiedermi di stare zitto e lasciare che la gente pensi che io e te stiamo insieme, vero?» ribatto, senza voltarmi. Senza smettere di camminare.
«Eh?! Come facevi a saperlo già?!»
«L’ho dedotto, no? Hai paura che Wolf torni da te una volta chiarito che quello di ieri era un malinteso, no?» le rispondo. «Ma non dovresti pensare a queste scemenze, dovresti concentrarti sulla Sindrome della Pubertà».
«Ma tanto siamo riusciti ad uscire dal loop temporale, giusto?! Quindi non è più un problema questa Sindrome! Però sono nei guai adesso, devi aiutarmi! Ti prego!»
«E per quanto vorresti trascinare questa assurdità?! Fino al diploma?!» mi fermo e mi volto, per guardarla dritta negl’occhi. «Forse ti sfugge un dettaglio: io una ragazza vera ce l’ho già, tutto questo non farebbe che crearmi casini su casini. Anzi, ce l’avevo la ragazza nei primi due anelli temporali che hai generato, in questo devo ancora chiarirmi con lei» aggiungo con tono duro.
«Io… io ho pensato a tutto…» ribatte timidamente Lunch, abbassando la testa. «Dobbiamo fingere fino alla fine del primo semestre, sono solo tre settimane! Ti prego! Alla fine della pausa estiva, quando torneremo a scuola, diremo che ci siamo lasciati e tutto tornerà come prima!»
«No» le rispondo, riprendendo a camminare.
«Dai, senpai!» piagnucola, attaccandosi al mio braccio.
Mi divincolo dalla sua presa con un lieve strattone e vado avanti nella strada buia e semideserta. Lei mi segue in silenzio e a testa bassa. Non vuole saperne di mollare, mi chiedo cosa le passi davvero per la testa.
«Non penso che sarebbe una buona idea per te fingere di stare insieme al ragazzo con la peggiore reputazione di tutta la scuola» le dico, a un certo punto.
«Forse non lo sai, ma nell’ultimo mese la tua popolarità è salita vertiginosamente tra le ragazze a scuola, soprattutto tra quelle del primo anno» spiega, sorridendo. «Dopo quella dichiarazione spettacolare in molte hanno cominciato a trovarti passabile».
«Passabile?» rispondo, guardandola di sbieco.
«Beh, no… ecco… noi diciamo che sei un figo… c-cioè, le ragazze a scuola lo dicono, ecco…» farfuglia, arrossendo vistosamente e abbassando lo sguardo.
«Ecco, così va meglio» ghigno. Certo che basta poco alla gente che ha paura di andare controcorrente per cambiare idea e seguire la maggioranza. Nel giro di un mese questa ragazza è passata dal far finta di non conoscermi al far finta che io sia il suo fidanzato. Non capirò mai fino in fondo i meccanismi che creano l’atmosfera attorno ad ognuno di noi, che generano le etichette che ci appiccicano addosso. «Però per te non farei mai una dichiarazione simile» aggiungo, facendola sorridere di nuovo. Mi fa tenerezza. Anche se mi sta incasinando la vita, in realtà è semplicemente una ragazza che è terrorizzata dal giudizio degl’altri.
«Forse sarebbe troppo improvviso annunciare che siamo proprio fidanzati, dovremmo dire qualcosa del tipo che siamo “più che amici” e andare per gradi!» continua a fantasticare lei.
«Vuoi dire in giro che siamo dei “trombamici”, in pratica?» sospiro.
«No, scemo!» arrossisce di nuovo.
«Ma ti rendi conto di quello che vuoi fare?!» sbuffo. «Tu vuoi mentire all’intera scuola, a tutti!»
«Guarda che lo so! E sono pronta a tutto!» ribatte decisa, tirando fuori quel suo carattere che alterna alla timidezza che sembra contraddistinguerla il più delle volte. Abbassa improvvisamente lo sguardo, la sua espressione si fa malinconica. «Abitavo a Fukuoka fino alla fine terza media, vivo qui solo da tre mesi. Le uniche amicizie che ho sono quelle che mi sono fatta al liceo».
«Intendi le tre di prima?»
«Sì, se non faccio qualcosa per la storia della dichiarazione di Wolf-senpai verrei di sicuro isolata dall’intera classe perché Lucy-chan mi odierebbe, pensando che l’ho tradita».
Lunch stringe i pugni e i suoi occhi si riempiono di lacrime. «Mi ritroverei a passare l’intervallo da sola e la pausa pranzo per conto mio».
«Guarda che stare da soli ha i suoi benefici, eh! E te lo dico io, che ci sono abituato… innanzitutto, nessuno ti rompe i coglioni» le rispondo, serio. «Inoltre, non devi fare di tutto per integrarti, se non ti interessa. E non ci si sente davvero soli come credi tu».
«Il problema non è il sentirsi soli o meno, ma che è imbarazzante essere da soli» sospira lei, tornando a guardarmi. Le sue guance sono rigate da lacrime che non riesce più a trattenere. «Non voglio che gli altri mi guardino e pensino che io sia sempre da sola. Non voglio che mi reputino una sfigata».
La guardo in silenzio e in lei, in qualche modo, rivedo Goku. Ripenso a quello che ha passato, a quanto sia successo tutto così in fretta due anni fa. A quanto ha sofferto. A quanto ha sofferto la mia famiglia, da quel momento. E a quanto ho sofferto io. Porto istintivamente la mano destra sul petto e mi stringo la camicia all’altezza delle cicatrici.
«Senpai, stai bene?» chiede Lunch, allarmata, mentre si asciuga le lacrime.
«Ti aiuterò» le rispondo. Non posso lasciarla sola adesso, non è pronta ad affrontare tutto questo. Non voglio che riviva qualcosa di simile a quello che ha passato Goku. Io non sono riuscito a salvare Goku allora, proverò a salvare questa ragazza, almeno.
«Davvero?!» grida, abbracciandomi felice. Mi stringe forte, mentre io mantengo le braccia distese lungo i fianchi.
«Stiamo fingendo, ricordatelo» le dico, allontanandola delicatamente da me.
«S-sì, scusa!» balbetta, arrossendo vistosamente e abbassando lo sguardo. «Però… però, ecco… avrei un altro favore da chiederti».
«Cosa?» sbuffo.
«D-domani… dopo il lavoro… ecco, ti… ti andrebbe di uscire con me?» chiede, inchinandosi leggermente, paonazza.
«E perché mai dovremmo uscire insieme io e te?»
«Lucy-chan mi ha chiesto se usciamo insieme io e te…».
«Dille che siamo usciti e che ci siamo divertiti un mondo, chiudila lì… che cazzo te ne frega?! Non tirarti complessi inutili…».
«Ho bisogno di fare almeno una foto in giro con te, non si sa mai! Io e le ragazze messaggiamo sempre tra noi!»
«Ho notato…» sospiro. «Ne devo parlare con Lazuli, ho detto che voglio aiutarti, non che voglio mandare all’aria la mia storia con lei» mi congedo, salutandola con la mano e dirigendomi verso casa col cuore pesante come un macigno e la testa che mi sembra scoppiare.
 
Entro in casa e vado subito a farmi una doccia, ne ho anche bisogno per distendere i nervi. Cosa dico a Lazuli?! Già devo chiarire il malinteso di ieri, in più devo anche annunciarle che devo far finta di essere il fidanzato di quella che ha visto sdraiata sopra di me per far sì che non venga emarginata da tutti e che ho accettato tutto questo solo perché lei mi ha ricordato Goku.
Mi crederà?! Penso di sì, anche perché le dirò la verità e lei se ne renderà conto. Perché è intelligente, è sensibile e ci capiamo al volo. Non ho mai conosciuto nessuno che sembrasse sempre viaggiare sulle mie stesse frequenze come fa lei, ed è strano poterlo dire con certezza pur conoscendola solo da un mese e mezzo, di fatto.
Le chiederò scusa, credo che mi perdonerà. Conoscendola, è probabile che mi dirà tutta seria di prostrarmi ai suoi piedi per implorare pietà e, quando lo farà, sfodererà uno dei suoi sorrisini soddisfatti. E io, sinceramente, non vedo l’ora di quel momento.
Esco dal bagno in boxer e con un asciugamano arrotolato appoggiato dietro al collo che mi ricade sul petto. Goku è ancora in salotto a guardare la tv.
«Fratellone! Quella non è la ragazza che hai portato a casa una sera?!» grida mio fratello, mentre accorro davanti alla televisione anch’io.
Ha ragione, c’è Lazuli in tv in uno spot e penso che sia bellissimo rivederla lì dopo tutto questo tempo. «Sì, è lei» sorrido, senza riuscire a togliere lo sguardo dallo schermo. Cammina sulla spiaggia e tira fuori dalla tasca un pacchetto di cicche fucsia. Sorride verso la telecamera, e sembra che stia sorridendo verso di me. È stupenda, mentre cammina sulla sabbia a piedi nudi con le scarpe in mano e un leggero vestitino lilla. Guarda di nuovo la telecamera e crea un palloncino fucsia con la cicca che ha in bocca, fino a farlo esplodere per poi riportarlo nella sua bocca, sorridendo di nuovo. È un sorriso di scena, ma è un sorriso di scena dannatamente meraviglioso. I suoi di ghiaccio brillano, mentre il mare illuminato dal sole alle sue spalle si increspa. Sembra felice, e sembra anche che stia masticando il mio cuore e ne stia facendo un pallone, con quella maledetta cicca fucsia, per come mi sento. Per quanto mi manca. Mostra di nuovo il pacchetto di cicche e ne dice la marca, prima di correre via ridendo.
Questo è il ritorno ufficiale di Lazuli Eighteen sulle scene dopo quasi due anni, e mi sembra tutto meraviglioso.
Resto imbambolato davanti alla tv anche durante lo spot successivo, senza nemmeno riuscire a distinguere di cosa si tratti.
«Fratellone! Fratellone!» mi chiama Goku a gran voce, arrivando persino a scuotermi un braccio per farmi destare dal mio torpore. «Hanno suonato il citofono! Io ho paura ad andare a rispondere, lo sai!»
«Eh? Ah, sì…» farfuglio, mentre mi dirigo verso il videocitofono di casa. «Ma chi può essere a quest’ora?!»
Sollevo la cornetta distrattamente, mentre compare l’immagine di chi ha suonato e resto impietrito.
«Sono io» dice Lazuli, lapidaria, senza nemmeno guardare verso il citofono. Sorrido, anche se in realtà vorrei sbraitare tutta la mia gioia nel vederla qui. Le apro la portineria, per poi aprire anche la porta di casa e aspettarla sul pianerottolo, incurante di essere seminudo.
Quando la vedo comparire resto incantato dalla sua bellezza, a cui temo non mi abituerò mai: sneakers bianche, gonna corta e morbida celeste e maglia aderente bianca. Più la sua solita spilla nera glitterata a forma di coniglio tra i capelli. Si ferma davanti a me e mi incenerisce con lo sguardo, prima di tutto. Fa un altro passo in avanti, giusto per darmi uno dei suoi memorabili ceffoni sulla guancia, prima che io possa anche solo dire qualcosa.
«Perché non sei venuto a chiarire la situazione?» mi chiede, impassibile, mentre si sistema una ciocca di capelli dorati dietro l’orecchio. La guardo, mentre mi massaggio la guancia con una mano e le sorrido, e noto che stringe in una mano un sacchetto.
«Perché sono un coglione…» le rispondo.
«Bravo, Son, prima risposta esatta» ribatte, guardandomi di sbieco. «Potrei anche decidermi ad entrare se vai avanti così».
«Ma certo, mia regina Lazuli-sama, entrate pure» sorrido sghembo, inchinandomi in modo teatrale con una mano appoggiata al petto e con l’altro braccio disteso ad indicare la porta spalancata.
«Umpf!» esclama lei, passandomi accanto senza degnarmi di uno sguardo ed entrando in casa, non dimenticandosi ovviamente di darmi un pestone ben assestato sul mio piede scalzo. Penso che sia più che adorabile questa ragazza, mentre il suo profumo fresco mi avvolge e mi fa battere il cuore. La seguo in casa, e noto la testa di Goku spuntare dallo schienale del divano, seminascosto.
«Goku, vado un attimo in camera mia con Lazuli» gli annuncio, dirigendomi verso la mia stanza.
«Ciao Goku-kun, e scusa per l’orario!» gli sorride lei, dopo aver lasciato le scarpe all’ingresso, mentre mio fratello sprofonda nel divano, intimorito, e risponde al saluto solo agitando una mano e facendola spuntare da sopra lo schienale.
«Bene, ora inginocchiati e vedi di pensare bene a quello che hai da dirmi» mi ordina gelida Lazuli, una volta rimasti soli, dopo essersi seduta sul mio letto. Incrocia le braccia sul petto e accavalla le gambe. Mi guarda malissimo, ma nemmeno lei può capire quanto la trovo bella e quanto io sia felice che sia qui. In ginocchio? Beh, tutto come previsto. Le sorrido. «Com’è possibile che tu sia sempre mezzo nudo quando siamo da qualche parte insieme?!» aggiunge.
«Ti dispiace la cosa?» ghigno, mentre mi metto in ginocchio a un paio di metri da lei.
«N-non ho detto questo, scemo!» sbotta, arrossendo leggermente e voltando di scatto lo sguardo. «E non cambiare discorso, devo ancora decidere se voglio perdonarti».
Le racconto tutto, ma proprio tutto. Il triplo loop temporale, la giornata di oggi e quello che mi ha chiesto Lunch. Lei non batte ciglio, continua a fissarmi impassibile finché non termino la mia versione dei fatti. Mi fissa in silenzio, mentre cerca di scavarmi dentro con i suoi meravigliosi occhi di ghiaccio. Fa dondolare leggermente la gamba che tiene accavallata sull’altra. Sta godendo nel farmi sentire un condannato sul patibolo, lo so quanto ama fare la sadica. Maledetta. Bella e dannata. Dolcissima, soprattutto.
«Ho capito la situazione» dice, finalmente, con un tono talmente distaccato che non sembra nemmeno che tutta questa storia la riguardi. «Non è facile essere una liceale, in effetti».
«Tutto qui?!» ribatto, allibito e ormai pronto allo scatenarsi della sua ira.
«Se ti rimproverassi o ti dessi altri botte tu goderesti e basta, no? Guarda che lo so che sei un masochista… quindi, nel tuo caso, non punirti e già di per sé una punizione» ribatte, sospirando e appoggiando entrambe le mani sul materasso. Anche le sue gambe non sono più accavallate, e sono esattamente all’altezza della mia visuale. Sento il sangue bollirmi nelle vene e il cervello appannarsi, mentre cerco di focalizzare la mia attenzione sulle sue parole, prima che cambi idea. «Ma guai a te se non mi hai detto tutto» aggiunge, glaciale.
Resto in silenzio, incapace di rispondere qualcosa di sensato e concentrato su quello che riesco a intravedere dalle sue gambe semiaperte.
«Mi stai nascondendo qualcosa?!» insiste lei, appoggiando un gomito sulla coscia e poi il mento sulla mano aperta, come a volermi fissare con maggiore attenzione.
«Veramente è da un po’ che la vista delle tue gambe semiaperte mi sta mandando in estasi» ammetto.
«Questo lo sapevo già!» esclama lei, accavallando in fretta e furia le gambe e raddrizzando la schiena, come a volersi dare un tono. «G-guarda che me n’ero accorta già io, stupido» arrossisce, senza guardarmi. «Dai, dimmi cosa ti passa per la testa» sospira, rassegnata.
«Quando Lunch mi ha detto che teme di essere isolata dal resto della classe a causa della dichiarazione di Yamcha Wolf ho rivisto in lei lo sguardo che aveva Goku due anni fa quando è successo tutto il casino di cui ti avevo parlato. Ho rivisto gli stessi occhi, ho sentito le stesse parole di allora. Ho percepito la stessa paura» sussurro, stringendo i pugni così forte da farmi male. «Non sono riuscito a salvare Goku quella volta e mi sento ancora in colpa per questo. Non posso far finta di niente con lei, anche se mi sta solo incasinando la vita».
«Mi annoia la piega che ha preso questo discorso» ribatte freddamente Lazuli, incrociando di nuovo le braccia sul petto.
«Guarda che non ti ho mentito!» protesto.
«Mi annoio perché non posso più maltrattarti per questa vicenda, ora che hai tirato in ballo tuo fratello. Per questa volta chiuderò un occhio» conclude.
«Non so come ringraziarti, Lazuli-sama!» esclamo, prostrandomi ai suoi piedi.
«Però se ti lasciassi andare così potresti anche non imparare nulla da quello che hai combinato stavolta e fare altri danni in futuro» aggiunge, pensierosa, mentre sollevo la testa dal pavimento. «Devi mostrarmi che sei in buona fede».
«Cosa vuoi che faccia?!»
«Arrivaci da solo, stupido di un Rad».
«Allora… ti posso saltare addosso?» ghigno, alzandomi in piedi e facendo per tuffarmi sul letto sopra di lei.
«Non devi dimostrarmi che sei arrapato, ma che sei in buona fede, maiale!» ribatte lei, fermando il mio tentativo piantandomi un suo piede sulla faccia per spingermi via. Preme contro il mio naso e spinge. Glielo afferro con entrambe le mani, perché, nonostante sia una sensazione meravigliosa, mi sta anche facendo male.
«D-domani potremmo andare a vedere le orchidee a Kamakura, ti va?!» farfuglio, mentre continua a premere il suo piede con forza anche contro la mia bocca.
«Mollami il piede, maiale che non sei altro!» sbotta, cominciando a dimenarsi, visto che ormai l’ho afferrato con entrambe le mani.
«Come vuoi…» acconsento, prima di iniziare a farle il solletico con una mano. Lei comincia a ridere e dimenarsi sul letto, finché, scalciando con la gamba rimasta libera mi colpisce un ginocchio e mi fa perdere l’equilibrio. Cado sul letto accanto a lei, con i nostri volti a pochi centimetri di distanza. Lei smette di ridere e mi guarda dritto negli occhi, sistemandosi una ciocca di capelli che le coprivano la visuale.
«Me la pagherai cara per questo affronto, lo sai?» sussurra, con il suo respiro caldo che mi accarezza le labbra. «Nessuno mi aveva mai fatto il solletico prima».
Le sorrido. Le accarezzo la testa delicatamente. «Mi sei mancata, Là. Mi sei mancata da morire» le dico, avvicinando le mie labbra alle sue. Dio solo sa quanto vorrei farla mia, adesso. Qui e ora. Avere la mia prima volta con lei. La nostra prima volta.
Le nostre labbra si sfiorano appena, quando un tonfo proveniente dalla porta chiusa della stanza attira la nostra attenzione e rovina l’atmosfera che si era venuta a creare.
«Ti sei distratto…» sorride sadica Lazuli, prima di darmi una manata in faccia per spingermi giù dal letto, visto che mi trovavo sul bordo.
«Merda…» impreco, dopo essere caduto rovinosamente sul pavimento e aver visto svanire i miei sogni di gloria.
«Ti avevo detto che te l’avrei fatta pagare per il solletico, no?» ride Lazuli, spuntando dal bordo del letto e guardando verso il pavimento. «Tra l’altro noto con piacere che sei sempre sull’attenti quando sei in mia compagnia, bravo» aggiunge maliziosa e sorridendo leggermente, indicando con un cenno del capo in direzione del rigonfiamento improvviso tra i miei boxer aderenti.
«Se vuoi libero la bestia» le dico, ancora sdraiato sul pavimento, sollevando ritmicamente le sopracciglia.
«Non mi sembra il caso, cretino!» ribatte lei, arrossendo leggermente e tirandomi un cuscino in faccia. Mi piace questo lato di lei: le piace fare la maliziosa, ma allo stesso tempo si imbarazza per poco. È fantastica. «Piuttosto, dovresti controllare cosa sta succedendo di là…» aggiunge, alludendo al tonfo di poco fa.
«Sì, sì… ora guardo…» sbuffo, infilandomi un paio di pantaloncini da calcio e dirigendomi verso la porta.
«Comunque domani non possiamo uscire insieme, parto per Kagoshima per le riprese del telefilm che segnerà il mio ritorno sulle scene in una serie tv. Starò via poco più che una settimana» spiega Lazuli, soddisfatta per il suo lavoro ma anche dispiaciuta per il distacco, immagino. Perché è così che mi sento io.
«Sono felicissimo per questa notizia, anche se mi mancherai un casino» le dico.
«Anche… anche tu…» sospira, senza guardarmi. Sorrido, e il mio cuore batte decisamente più forte che mai. «Ah, già, ecco!» esclama, come a voler cambiare discorso, passandomi il sacchetto che aveva appoggiato accanto al letto. «Tieni».
Guardo all’interno e vedo qualcosa che ha tutta l’aria di essere un capo di abbigliamento piegato al suo interno.
«È un tuo vestito? Posso usarlo come tuo rimpiazzo mentre sarai a Kagoshima?» le chiedo.
«No, cretino, è una maglietta che ho comprato stamattina per tuo fratello vicino alla spiaggia dove ho fatto le riprese per il nuovo spot delle cicche!» ribatte lei, irritata.
«Per Goku?!»
«B-beh… mi hai detto che tra poco compie quindici anni, no?» risponde, arrossendo leggermente e distogliendo lo sguardo dal mio. «Ho pensato che avrà caldo con sempre su quella felpa che gli hai preso tu… e poi, magari, con quella maglietta gli tornerà anche la voglia di provare a uscire di casa…».
Le sorrido. Resto immobile e in silenzio, sempre più convinto di quanto lei sia una persona speciale. Era arrabbiata con me, non mi sono fatto nemmeno sentire per chiarire le cose. Eppure è venuta qui di sua iniziativa, addirittura con un regalo per mio fratello. Lei non ha mai dubitato di me. E io la amo da impazzire, cazzo.
«C-che c’è?!» sbotta, guardandomi di sbieco e incrociando le braccia al petto. «È un regalo per lui, non per te!» aggiunge, imbronciata.
«Mi fa piacere che ti interessi a Goku, davvero! E ho anche visto poco fa il tuo spot in televisione, sei stata semplicemente stupenda» esclamo, mentre lei abbassa gli occhi e accenna un sorriso.
«Lo pensi sul serio?» mi chiede.
«Certo, mi mancava non vederti in tv! Ora vado a chiamare mio fratello, così vedo anche se ha fatto qualche casino, prima…».
Apro la porta della stanza e colpisco in pieno sulla fronte Goku. Evidentemente ci era appoggiato sopra con la faccia. Presumo che lo fosse già da prima.
«Si può sapere cosa stai combinando qui fuori?» sbuffo, divertito, mentre si massaggia la fronte.
«N-non è come pensi! Goku stava giocando con Balzar a fare il ninja!» esclama, mentre osservo il “ninja Balzar” dormire beatamente, svaccato sul divano.
«Meno male» gli sorrido. «Temevo stessi origliando, anche se sai già che è una cosa che non si fa. Meglio così allora, dai vieni» gli dico, afferrandogli un polso e trascinandolo in camera.
«Buonasera di nuovo!» sorride radiosa Lazuli, seduta sul letto.
«B-buonasera…» balbetta Goku, nascosto dietro di me, guardandola appena.
«Lazuli ti ha preso un regalo» gli spiego, passandogli il sacchetto.
«Urcaaa! Davvero!» esclama mio fratello. I suoi occhi neri brillano di gioia, mentre apre una maglietta arancione con stampato sul davanti un tirannosauro che ruggisce.
«Perché non la provi?» gli chiede Lazuli, che solo con lui sa essere così disponibile e gentile, a quanto pare. Ci sa dannatamente fare, è proprio la ragazza più speciale che potessi mai incontrare sulla mia strada. «Hai visto? Sul retro della maglia c’è anche un piccolo triceratopo, che è il mio dinosauro preferito!»
Goku annuisce e le sorride felice, anche se imbarazzato. Si sfila subito la sua felpa e indossa la maglia. Ammetto che Lazuli ha occhio anche con le taglie, gli sta perfetta.
«Wow! Ti sta benissimo questa maglietta!» esclama Lazuli, sistemandogliela un po’ meglio sulle spalle.
«È… è la prima volta che Goku indossa una maglia così bella. Si vergogna un pochino, anche se gli piace molto…» sussurra lui, senza riuscire a guardarla in faccia.
«Non dimenticarti di ringraziarla» gli spiego.
«Ah, giusto! Grazie infinite!» esclama, inchinandosi leggermente. «Il-il mio fratellone mi ha insegnato che si ringraziano così le persone gentili!»
«L’ho fatto con piacere!» sorride Lazuli.
«Ecco… Goku può chiamarti Lazuli-san?!» domanda lui a bruciapelo, sforzandosi con tutto sé stesso di guardarla negl’occhi.
«Certo che puoi! E io posso chiamarti Goku-kun?»
«Sì!» sorride felice Goku, guardandola in faccia. È contento, si vede. «Goku-kun ti ha visto in televisione poco fa e pensa che sei stata molto brava!»
«Sei molto gentile, Goku-kun! Nel sacchetto dove c’era la maglietta troverai anche qualche pacchetto di cicche. Me le hanno date stamattina dopo le riprese, spero ti piacciano!»
«Urcaaa! Grazie Lazuli-san!» esclama felice.
 
«Grazie davvero per stasera» dico a Lazuli, dopo aver chiuso alle mie spalle l’ingresso della portineria del condominio. Ci tenevo ad accompagnarla a casa, anche se alla fine abita semplicemente dall’altro lato della strada.
«Da quando sei così formale?»
«Vedi… era da una vita che Goku non parlava con qualcuno che non fossi io, visto che non esce mai di casa».
«Sono felice anch’io» sorride Lazuli.
«Ti amo, Là» ribatto, prendendola per mano. «Ti amo un casino. Ci tenevo a dirtelo, ieri e oggi non ho potuto farlo e volevo completare il mese, come mi avevi chiesto».
«In realtà me l’hai già detto, devi sapere che mi ricordo tutto benissimo» risponde lei, sorridendo furba. «Ho vissuto anch’io i tuoi stessi loop temporali causati da quella primina, solo che non ti ho detto niente. All’inizio non volevo farti preoccupare, ma poi ho deciso di vedere cosa avresti combinato e cosa mi avresti raccontato stasera».
Mi sento improvvisamente sollevato, è bello che non si sia dimenticata nulla neanche lei. È stupendo aver vissuto tutto questo insieme a lei.
«Allora… allora io e te stiamo insieme? Nonostante tutto il casino successo ieri?» le chiedo, speranzoso.
«Non ho detto questo» mi fredda, ghignando sadica. «Ti dovrai ancora guadagnare la mia scelta, a quanto pare, visto che in questo anello temporale avrai una finta fidanzata per tre settimane» sospira, guardandomi improvvisamente male. Scioglie la sua mano dalla mia e mi pizzica improvvisamente la guancia, tirandomi verso di sé. «Vedi di rigare dritto, chiaro?! Non mi va certo a genio tutta questa storia!»
«Non preoccuparti, Là. Ho occhi solo per te, davvero!»
«Mi fido di te, Rad» sospira, mollando la presa sulla mia guancia e guardando le stelle che illuminano questa notte meravigliosamente bella. Bella non quanto Lazuli, in realtà. «È di quella primina che non mi fido, perché temo che non sarà in grado di gestire tutto questo. E non mi piace che voglia uscire con te già domani».
«Non ti devi preoccupare, Là. Ci penso io».
«Tu proprio non capisci, vero?» sospira di nuovo, abbassando lo sguardo. «Non capisci l’effetto che puoi fare su una ragazza… soprattutto se è una ragazza fragile come quella…» aggiunge, voltandosi verso la portineria del suo palazzo. «Buonanotte» mi dice malinconicamente, senza voltarsi.
La raggiungo e le afferro un polso, le cingo la vita e la faccio voltare in mia direzione. La bacio, senza darle la possibilità di dire niente. Lei mi stringe forte. Ricambia il mio bacio. Ed è un bacio intenso, dolce. Un bacio disperato. Perché anche a me non piace questa situazione, non vorrei viverla. E non vorrei che lei se ne andasse per una settimana.
Non saprei dire quanto possa essere durato questo bacio, so solo che non sarebbe stato mai abbastanza se fosse dipeso da me.
«Buonanotte, Là. Fidati di me, andrà tutto bene. E mi mancherai da morire» le dico sottovoce, mentre lei si scioglie dal mio abbraccio.
«Mi mancherai anche tu» sussurra, per poi dirigersi verso l’ingresso del suo condominio. Si gira un’ultima volta e mi regala un sorriso meraviglioso. I suoi occhi di ghiaccio sembrano brillare ancora di più in questa notte piena di stelle. «Mi piace baciarti, Rad» dice, mentre si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Hai un sapore che fa battere il cuore».
 
 
 
 
 
 
Note: eccoci qui, spero vi siate divertiti perché sono successe tante cose in questo capitolo. I nostri protagonisti si chiariscono e in più salta fuori che anche Lazuli ha vissuto il triplo loop temporale. Spero vi sia piaciuta la loro parte, a me ha divertito tantissimo scriverla! Come spero che vi sia piaciuta la parte di Lazuli che fa il regalo a Goku, che da adesso in poi definirà sé stesso come “Goku-kun” quando parla in terza persona.
Lazuli è tornata in tv con uno spot, ma ora purtroppo deve andare a Kagoshima, a 1300 km da Fujisawa con anche il mare in mezzo, per girare il telefilm. Tutto questo proprio mentre Rad accetta il folle piano di Lunch che spera di evitare un’altra dichiarazione da parte di Yamcha.
Cosa dite, Lazuli ci ha visto lungo su questa primina? Eppure Rad sembra tranquillo…
Tra l’altro Lunch arriva da Fukuoka, una città a 1000 km da Fujisawa, anch’essa sull’Isola di Kyushu come Kagoshima (che sarebbe poi la seconda isola giapponese come grandezza, a sud di quella principale). Momento Alberto Angela from Japan finito anche per oggi. ;-)
 
Lunch è un personaggio un po’ ambiguo in questa storia, ha tanti difetti e tantissime insicurezze. È proprio per questo che la ritengo anche molto “vera”. Ci terrei a farvi notare quello che dice sulla solitudine, quella frase che colpisce molto Rad e, in fin dei conti, persino Lazuli, che è quella che deve mandar giù il rospo più grosso alla fine di questa vicenda.
Spero abbiate apprezzato questa riflessione, mi piace che questa storia sia anche molto vera per i sentimenti che richiama, non solo d’amore ma in generale.
 
Rad e Prince vengono interrotti proprio mentre stavano per parlare di Bulma, prendetevela con Muten! Come Rad e Lazuli interrotti da Goku sul più bello!
Abbiamo conosciuto anche le tre amiche di Lunch e sono prese in prestito da Fairy Tail, i miei complimenti più sinceri a Martinagoten per averle beccate al termine dello scorso capitolo! Ora un nuovo indovinello, perché settimana prossima avremo una new entry nella storia, una ragazza dal mondo di Dragon Ball per una piccola parte: chi sarà? È facile, vi aiuto dicendo che non è (ancora) Chichi!
 
Ringrazio tantissimo tutti voi che mi lasciate sempre il vostro parere e chi aspetta con grande entusiasmo l’aggiornamento di questa long: sono onorato, mi rendete felice ogni settimana! Grazie a chi continua a leggere la storia, sappiate che anche voi quando volete potete chiedermi chiarimenti sulle vicende dei nostri eroi!
 
Nel prossimo capitolo vedremo il finto appuntamento tra Rad e Lunch, con Lazuli lontana e presente solo telefonicamente. Avremo modo di conoscere meglio la primina (oltre a saper qualcosa in più su Yamcha e sulla new entry misteriosa), dite che andrà tutto bene? Come reagirà Lazuli a 1300 km di distanza?
 
Per chi di voi non mi abbia ancora fuori dagli occhi, domenica comincio a pubblicare una nuova mini long dal titolo “Mythos”, come vi avevo anticipato. I personaggi principali saranno Mirai Trunks, Lazuli e Mirai Mai, ma ne vedremo comparire tantissimi altri come Vegeta, Bulma, Radish, Mirai Gohan, Lapis e praticamente tutti i villain, persino un personaggio tratto da un film di Dragon Ball che adoro e che non avevo mai inserito in nessuna storia.
Sarà una rivisitazione del mito di Perseo e Medusa con annesso un viaggio nell’Ade, se vi farà piacere ci rivedremo anche lì per qualche settimana, altrimenti ci sentiamo mercoledì prossimo col nuovo capitolo di “Remember me” dal titolo “Due cuori sotto lo stesso cielo”.
A chi si riferirà?
 
Teo
 
 

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Capitolo 12
*** Due cuori sotto lo stesso cielo ***


12 – Due cuori sotto lo stesso cielo
 
 
 
29 giugno
 
«Prince, lo conosci Yamcha Wolf della squadra di baseball?» chiedo a Vegeta nel magazzino del “Kame House”, mentre ci cambiamo dopo aver lavorato nell’orario di pranzo.
«Chi, quel mollusco che si atteggia a star della scuola solo perché è il capitano del club di baseball?! Conosco qualcuno della sua squadra perché ci alleniamo su campi vicini».
«Ti sta sul cazzo perché vuoi essere tu il più popolare della scuola?» lo provoco.
«Tsk! Io sono già il più popolare della scuola, pur essendo ancora solo al secondo anno. Quello è una mezza sega al mio confronto!»
«Non ne dubito, ma sappi che quando tornerò a giocare a calcio anch’io dovrai cedermi lo scettro, sarà inevitabile» ghigno.
«Vaffanculo, Rad… torna in campo e basta!»
«Lo so, lo so, Prince…» sospiro. «Ma ora ho bisogno di saperne di più su Wolf, giusto per capire se sentirmi in colpa o meno dato che gli sto facendo un torto. Ti ho già spiegato del casino con Lunch, no?»
Ho spiegato anche a lui tutta la vicenda, omettendo solo il dettaglio dei loop temporali. In questo momento, in fondo, è un problema secondario rispetto a gestire le tre settimane che mi aspettano da finto fidanzato di Lunch.
«Te ne dovresti sbattere dei sensi di colpa, Rad! Quello è un coglione, fa il figo solo perché ha successo tra le ragazze, stando a quello che scrive lui sul gruppo congiunto del club di calcio e di baseball che hanno messo su alcuni dei miei compagni» ringhia. «Ovviamente hanno messo dentro anche me, e, ovviamente, ho silenziato il gruppo e non interagisco mai. Però a volte mi capita di leggere le stronzate che scrivono».
«Quindi? Dammi una ragione per cui debba starmi sul cazzo anche a me» insisto.
«Ieri si lamentava che la sua ragazza non vuole farlo… dice di essere insieme a una del terzo anno di un’altra scuola, poi non so se sia una cazzata. Ci ha mica appena provato con Lunch?! Tsk!»
«Non sapevo avesse già la ragazza…» scuoto la testa, dopo essermi infilato la maglietta.
«Diceva che vuole mollarla se non gliela darà in fretta. E, in più, critica sempre le sue fantomatiche ex, vere o immaginarie che siano».
«Grazie, Prince. Era quello che volevo sentire. Ora posso comportarmi liberamente senza sentirmi in colpa».
 
Mi dirigo alla stazione, dove mi sono dato appuntamento con Lunch, e mi siedo su una panchina ad aspettarla. Lei non ha lavorato oggi, però è in ritardo. Già farei a meno di tutta questa storia, in più partiamo male, direi. Voglio aiutarla, ma spero davvero che questo periodo passi in fretta. Penso a Lazuli e a quello che starà facendo sul set a Kagoshima in questo momento. È il suo ritorno ufficiale su un set di un telefilm, una seconda prima volta per lei. Sarà tesa? Sarà emozionata? Dubito… lei è fredda come il ghiaccio e ha il cuore caldo come l’amore, se la caverà alla grandissima di certo!
«E-eccomi…» sento sospirare all’improvviso.
Mi volto e guardo Lunch in piedi davanti a me. È tutta rossa in faccia e ha lo sguardo rivolto verso il basso, mentre giochicchia nervosamente con le mani stringendole l’una nell’altra. Ha i capelli blu mossi e legati con il suo solito fioccone rosso, una camicetta sbracciata beige e degli shorts di jeans chiari. Anche la borsa che porta a tracolla è rossa, mentre i suoi sandali bassi sono beige come la camicetta. In mano, come sempre, ha il suo dannato cellulare.
«Hai la faccia più rossa della tua borsa perché sei arrivata in ritardo?» le sorrido.
«Di cosa ti lamenti?!» sbotta lei, improvvisamente grintosa. «Ci tenevo a prepararmi a dovere! E ad essere… beh, ad essere carina per te…» aggiunge sottovoce.
«In effetti sei carina oggi, dai…» sospiro, alzandomi e facendola diventare paonazza.
«N-non prendermi in giro! Anzi, dammi il tuo numero di telefono e tutti i tuoi contatti social, così dopo posso taggarti nelle foto che faremo e che posterò!»
«È già tanto che ho un telefono, figurati se uso i social…» sbuffo, camminando senza guardarla verso il treno che, nel frattempo, si sta fermando davanti a noi.
«Eh?! Ma come fai a vivere così?!»
«Perché? La gente muore se usa poco e niente il cellulare?»
«Certo! Io morirei!» esclama, irritata, mentre mi siedo a bordo del treno e lei si accomoda accanto a me, prima di sbadigliare sonoramente.
«Inizi già a sbadigliare? Avevi davvero voglia di uscire con me oggi, eh?» le sorrido sghembo.
«N-non è come pensi!» esclama, arrossendo. «Ho dormito poco stanotte».
«Quindi eri troppo nervosa per dormire all’idea di uscire con me?»
«No, ho messaggiato con le mie amiche fino alle due di notte!» ribatte Lunch, guardandomi di sbieco. «Poi ho guardato dei video buffi di cani e gatti e nel frattempo si è fatta mattina».
«Potevi andare a dormire se avevi sonno, no?» sospiro, scuotendo la testa.
«Ma non capisci?! Non posso essere la prima ad andare a letto!» sbotta lei, stringendo i pugni. La gente sul vagone si volta in nostra direzione. Io resto impassibile, cercando di non ridere, mentre lei abbassa la testa e arrossisce.
«Sì, ma almeno i video sugli animali potevi guardarli un’altra volta…».
«Tutte hanno scritto di averli già visti, dovevo stare al passo! Me li ha consigliata Lucy-chan, capisci?!»
«Che palle ‘sta Lucy-chan…» sbuffo.
«Ah, giusto! Devo scrivere sul gruppo cosa ne penso di quei video!» sorride Lunch, prima di cominciare a digitare furiosamente sul cellulare.
La osservo perplesso. Penso che non sarà per nulla facile aiutarla, e non solo per la storia di fare i finti fidanzati. Questa ragazza vive nel terrore del giudizio degl’altri, è veramente agli antipodi rispetto a me. Riusciremo a trovare un punto di contatto per lasciarci davvero alle spalle il loop temporale che ha generato? Fragile com’è, immagino ci sia sempre il rischio di ricadere dentro un nuovo loop. In più, umanamente mi spiace vederla così. Devo conoscerla meglio per poterla aiutare, però.
 
Cammino all’interno dell’acquario di Enoshima insieme a Lunch e non faccio che pensare a Lazuli. Ricordo che anche lei era venuta qui nel giorno in cui si è resa conto che stava scomparendo. Sorrido, mentre guardo una coppia di bellissimi pesci colorati nuotare insieme in un’enorme vasca. Mi manca. Cazzo, se mi manca.
«Wow! Senpai, ci sono gli squali!» esclama Lunch tutta eccitata, tirandomi per un braccio e facendomi tornare alla realtà. Sono felice che si stia divertendo, in fondo ho scelto io di venire qui. Forse per sentire Lazuli più vicina, non saprei. «Dai, facciamoci una foto davanti a questa vasca!»
«Devo per forza?» sbuffo.
«Ti prego, senpai! Ti pregooo!» mugugna, stritolandomi un polso.
«E va bene, va bene…» cedo, mentre lei si mette in posa al mio fianco e fa l’occhiolino rivolta al suo cellulare. Con una mano si stringe al mio braccio, mentre con l’altra forma una “V” con l’indice e il medio. Io mi sforzo di sorridere decentemente. Va che cazzo mi tocca fare.
«Hai la stessa voglia di vivere di un cadavere in questa foto» borbotta lei, guardandomi male, dopo aver visto l’immagine sul display.
«È la mia tipica voglia di vivere quella, allora» sbuffo, riprendendo a camminare con le mani intrecciate dietro la nuca. In effetti sono uscito di merda, pazienza.
«Dai, ti prendo in giro! Sei uscito carino nella foto!» esclama Lunch, correndomi dietro. La guardo negli occhi e lei sorride, sembra felice. Le sorrido anch’io, mentre mi avvicino alla gigantesca vetrata che ci separa dall’habitat dei pinguini.
«Adesso i nostri pinguini faranno tutti un tuffo per voi!» esclama in quel momento un’addestratrice all’interno della vasca con un secchio pieno di pesci in mano. Un gruppo di pinguini la guarda, sul bordo di un sentiero che dalla riproduzione di una scogliera porta a una specie di trampolino verso l’acqua. La donna comincia a camminare e tutti i pinguini la seguono, disponendosi ordinatamente in fila indiana e ciondolando ad ogni passo come solo loro sanno fare.
«Oh, uno sembra essersi appisolato!» esclama l’addestratrice, indicando un pinguino, in disparte, che non segue il resto del gruppo. È in piedi, con la testa appoggiata al petto e gli occhi chiusi. Li apre all’improvviso e si guarda intorno. Osserva il gruppo per un attimo, prima di decidere di camminare nella direzione opposta e di fermarsi a osservare la gente al di là della vetrata. Tutti ridono.
«Quel pinguino che se ne sta da solo in disparte ti assomiglia!» esclama Lunch, mentre le persone intorno a noi continuano a ridere divertite guardandolo.
«Tu invece sei quello iperattivo che apre la fila, scommetto!» ribatto.
«No, io sono l’ultimo della fila» risponde lei, abbassando la testa. «Quello che segue gli altri».
La guardo, in silenzio. Voglio vedere dove andrà a parare.
«Sai, io ammiro quel pinguino… quello come te» riprende, sospirando. Rialza lo sguardo e accenna un sorriso malinconico verso la vasca. «Non gli importa se tutti ridono di lui. Non gliene frega niente di seguire il gruppo se ha voglia di fare altro…».
«Dai, andiamo a fare due passi sulla spiaggia qua fuori» le dico, per cambiare discorso. «Ho voglia di vedere il mare, quello vero».
 
«Sai, alle medie non ero così come mi vedi adesso» dice Lunch, mentre passeggiamo sulla spiaggia. Mi mostra una foto sul suo telefono che la ritrae il giorno della cerimonia di consegna del diploma alla fine della terza media, quindi poco più di tre mesi fa. Ed è vero, è molto diversa seppur sia passato così poco tempo. Ha lo sguardo ancora più insicuro di quando si imbarazza abitualmente, mentre anche i capelli e in generale la sua postura mi sembrano molto differenti da oggi. È una ragazza timidissima e insicura quella che vedo nello schermo, non solo timida come quella che ho davanti oggi. Timida ma anche feroce, quando vuole, per essere precisi.
«È vero, eri una sempliciotta!» ghigno volutamente, per toglierle di dosso quell’aria malinconica che è calata su di lei.
«Ecco, lo sapevo! Non dovevo fartela vedere!» sbraita lei, mettendo il telefono in borsa con un gesto di stizza e arrossendo.
«Guarda che hai fatto tutto tu…» sorrido, voltandomi in direzione del mare.
«Vivevo a Fukuoka, poi mio padre ha dovuto trasferirsi qui per lavoro» mi spiega, guardando anche lei in direzione dell’orizzonte. «A scuola facevo parte di un gruppetto piuttosto anonimo, non avevo molte amiche. Per questo avevo tanta paura a venire qui a Fujisawa, così vicina a Tokyo e a persone che sicuramente avranno fatto più esperienze di me nella loro vita. Ero sicura che non avrei trovato amiche qui, che sarei stata presa di mira dai bulli» sospira, fermandosi. Mi fermo anch’io, e la guardo con la coda dell’occhio. «Per questo ho cominciato a truccarmi di più e ho cambiato pettinatura. Ho anche comprato tanti vestiti nuovi e alla moda. Ho persino imparato a nascondere il mio accento per sembrare una di qui, lo sai?»
«Ti piaci come sei ora?» le chiedo.
«Mi piaccio. Tantissimo, se devo essere sincera» sorride lei, tornando a guardarmi.
«Allora perché ti fai tutti questi problemi? Io proprio non ti capisco» ribatto. «Sei una rottura di palle, cara Lunch, quando cominci a farti troppe paranoie. Scusami, ma te lo dovevo dire!» esclamo, regalandole un sorriso sghembo.
«Come… come ti permetti?!» sbraita, stringendo i pugni e avvicinandosi minacciosa.
«Intendo che non importa quello che eri un tempo. Conta quello che sei ora, soprattutto se sei felice di come sei adesso» le sorrido. «A prescindere dalla motivazione, hai fatto di tutto per cambiare perché sentivi di volerlo fare, no?»
«S-sì» annuisce, arrossendo visibilmente.
«E ora ti piaci, giusto? Quindi non farti troppe seghe mentali su quello che possono pensare gli altri di te! Devi essere fiera di te stessa e di quello che hai saputo diventare. Hai lasciato mille chilometri di distanza tra la te stessa che non ti piaceva più e quella che ti piace adesso, dovresti andarne fiera. Non è da tutti».
Lei sorride, i suoi occhi sono lucidi. Riprendiamo a camminare, finché notiamo una ragazza dai lunghi capelli neri da sola in riva al mare, che sembra cercare qualcosa per terra.
«Ma quella è Mai-chan, una mia compagna di classe!» esclama Lunch. «Mai-chan!» la chiama, agitando una mano per salutarla.
«Se è come le altre tue amiche, auguri allora…» borbotto sottovoce, mentre ci dirigiamo verso di lei.
«L-lunch-chan!» risponde lei, un po’ intimidita. «S-senpai!» aggiunge, accennando un inchino in mia direzione. «Ti… ti chiedo scusa per averti giudicato male anch’io all’inizio, dopo quello che hai fatto ti sei riscattato alla grande, qualunque cosa tu abbia combinato alle medie!» aggiunge, tutta d’un fiato, col volto paonazzo e senza guardarmi.
Non mi stupirò mai abbastanza dell’effetto dirompente che può avere l’atmosfera sulla gente. Sono passato dall’essere considerato un criminale a diventare una sorta di nuovo idolo per le primine. Se continuo così, va a finire che divento il più popolare della scuola nonostante non me ne freghi un cazzo, altro che Prince o Wolf.
«Non preoccuparti» le sorrido.
«Stai cercando qualcosa, Mai-chan?» interviene Lunch.
«S-sì».
«Ti do una mano allora!»
«N-non serve!» ribatte Mai, imbarazzata, sgranando gli occhi. «T-tu fai parte del gruppo di Lucy-san…».
«Chissenefrega di gruppi e gruppetti, adesso ti aiutiamo noi» intervengo io, facendo un passo verso di lei e guardandola negli occhi. «In tre facciamo prima, no? Cos’hai perso?»
«V-vi ringrazio!» arrossisce nuovamente. «Mi si è staccato il ciondolo del cellulare che ho preso insieme alle mie amiche. È a forma di medusa, ce l’abbiamo tutte uguali».
«Ti è caduto qui in spiaggia?» domando, guardandomi intorno.
«S-sì… ti chiedo scusa per il disturbo!» si inchina di nuovo.
«Non devi scusarti» ribatto, prendendole il mento tra indice e pollice e costringendola a guardarmi in faccia. È paonazza, ma almeno è molto gentile per essere un’amica di Lunch. «Ok?»
«Anche se è un po’ strano non devi avere paura di lui!» aggiunge Lunch, ridendo.
«S-sì» sorride Mai.
«Eh?! Io, strano?!» sbotto, fingendomi offeso e facendole ridere entrambe. «Ma non è là in riva al mare il tuo ciondolo?!» esclamo, indicandolo sulla battigia a una decina di metri da noi.
«Sì, è quello!» grida Lunch, correndo in quella direzione. Sta infatti arrivando un’onda verso la spiaggia, pronta a risucchiarlo e portarlo con sé in mare.
«Attenta all’onda!» provo a dirle.
«Preso!» urla trionfale Lunch, sollevando verso l’alto il ciondolo proprio un attimo prima che l’onda la colpisca e le faccia perdere l’equilibrio, facendola cadere in acqua.
«Tutto ok?!» le chiede Mai, aiutandola a rialzarsi.
«Sì, ce l’ho fatta!» esclama felice Lunch, fradicia dalla testa ai piedi, restituendole il ciondolo.
 
 
30 giugno
 
«Hai preso freddo ieri tornando a casa coi vestiti bagnati?» chiedo a Lunch, alla fine della prima ora, raggiungendola nell’infermeria della scuola.
«Senpai!» esclama lei, mettendosi a sedere con la schiena appoggiata alla testata del letto.
«È venuta a dirmelo Lucy al cambio dell’ora» le spiego, avvicinandomi a lei e sedendomi su uno sgabello accanto al letto.
«Sto bene, adesso! Ho solo preso un po’ di raffreddore…».
«Ti va un’arancia? Te ne ho prese alcune al negozio qui vicino, farai bene a mangiare un po’ di vitamina C in questi giorni» dico, porgendole un sacchetto di carta pieno di arance.
«Lo sai che è contro le regole andarsene dalla scuola durante le ore di lezione?» mi chiede Lunch, con lo sguardo corrucciato.
«Sai cosa me ne frega delle regole!» rido.
«Dovresti essere in classe, adesso!» sbotta, guardandomi male. «Non voglio che ti cacci nei guai per colpa mia! Cosa dirai al professore?!»
«Ma sì, non preoccuparti… ho interrotto gli esami di metà semestre di tutta la scuola per urlare il mio amore a una ragazza, figurati se mi spaventa questo!» rido di nuovo.
«Già… hai fatto una bella dichiarazione quella volta…» sospira malinconica Lunch, distogliendo lo sguardo dal mio e stringendo con le mani il lenzuolo bianco.
Ma cos’ha all’improvviso?!
«Comunque dirò al professore che stavo cagando o che stavo vomitando, mi lascerò guidare dall’estro del momento!» rido di nuovo, per provare a far ridere anche lei.
«Tu sei pazzo, lo sai?» mi chiede Lunch, sorridendo e guardandomi di nuovo.
«Allora la vuoi o no l’arancia? Altrimenti me ne vado…» la provoco.
«La voglio» sbuffa lei, incrociando le braccia sul petto e girando la faccia di scatto. «Grazie».
«Ti devo imboccare o ce la fai da sola?» la provoco di nuovo, cominciando a sbucciare l’agrume.
«F-faccio da sola!» esclama, sgranando gli occhi e voltandosi in mia direzione, paonazza. Mi strappa di mano l’arancia e continua a sbucciarla. Il suo sguardo torna di nuovo malinconico.
«Senpai, dimmi una cosa…» sospira, a testa bassa. «Perché hai accettato la mia folle richiesta? E perché anche Eightenn-senpai è stata d’accordo?»
«Perché mi sembrava che avessi un disperato bisogno di aiuto» le rispondo sinceramente. «E io non abbandono chi ha bisogno di me. Lazuli la pensa così anche lei, non è la persona fredda che tutti pensano sia».
«Anche se ci conosciamo a malapena tu hai capito che avevo bisogno?»
«Guarda che non ci conosciamo a malapena, siamo compagni di calci nelle chiappe io e te!»
«Uffa, la mia era una domanda seria!» sbotta Lunch, mettendosi in bocca una fetta di arancia.
«Ora ti faccio io una domanda seria, invece: perché sei venuta a scuola se non stavi bene?»
«Perché non sarei potuta stare al passo coi discorsi di Lucy-chan e le altre se fossi rimasta assente oggi».
«Per un solo giorno?!»
«Anche un giorno potrebbe essere fatale! Potrebbero… beh, potrebbero escludermi dal loro gruppo».
«Potresti passare più tempo con Mai e le sue amiche. Mi sembrava una persona a posto, lei».
«Ma non capisci?! Lucy-chan e le altre sono le più popolari della classe e mi hanno scelta come loro amica!»
«Beh, se dovevi passare la mattinata in infermeria tanto valeva starsene a casa…» sbuffo.
«Sto da schifo perché non faccio altro che immaginare quello che staranno pensando i miei compagni di classe adesso di me, visto che sono finita in infermeria…».
«Ti fai troppi problemi».
«No, sei tu che non capisci! Come poteva starti bene essere considerato il reietto della scuola?! Essere deriso da tutti quanti?!»
«Guarda che non me ne frega niente di essere amato dall’intera umanità».
«Io voglio essere benvoluta da tutti, invece!» esclama Lunch, prima di abbassare la testa mestamente. «O almeno non voglio essere odiata…».
«A me basta il giudizio di una sola persona» ribatto prontamente, serissimo. «Anche se il mondo intero dovesse odiarmi, per continuare a vivere e a sorridere mi basterebbe sapere che quella sola persona ha bisogno di me» aggiungo, guardando poi fuori dalla finestra. Penso a Lazuli. E mi manca, cazzo. Stai guardando anche tu il cielo in questo preciso momento, Lazuli?
Lunch sgrana gli occhi e mi fissa intensamente, colpita dalle mie parole. Le sorrido, ma lei abbassa di nuovo lo sguardo.
«Grazie per le arance, senpai» dice malinconicamente. «Torna pure in classe, non voglio rischiare di attaccarti il raffreddore» aggiunge, prima di sdraiarsi di nuovo e coprirsi con le lenzuola, dandomi le spalle.
 
 
2 luglio
 
«Senpai, ti ho comprato delle pesche per sdebitarmi per l’altro giorno!» esclama Lunch, all’ingresso della mia classe, porgendomi in mano un sacchetto di carta. Mi stava aspettando prima dell’inizio delle lezioni, a quanto pare.
«Perché delle pesche? Per ricordarmi la forma del tuo sedere o perché siamo compagni di calci nelle chiappe?» ribatto, sbadigliando.
«Smettila di fare il cretino!» sbotta, guardandomi malissimo.
«Stasera me le gusterò una ad una pensando a te, allora» le sorrido sghembo, facendola arrossire.
«Ti ho detto di smetterla di fare lo scemo!» ribatte, colpendomi con una raffica di pugnetti il petto. Non resisto e le scoppio a ridere in faccia, contagiando anche lei.
 
«Senpai, posso chiederti una cosa su Eighteen-senpai?» mi domanda Lunch, mentre stiamo svolgendo insieme il nostro turno serale al “Kame House”. C’è poca gente stasera.
«Dimmi».
«Vi siete fidanzati ufficialmente anche in questo anello temporale?» chiede, abbassando la testa.
«Ufficialmente no, a differenza dei primi due loop temporali. Ma va tutto alla grande lo stesso con lei, a breve sistemeremo anche questa cosa» sospiro, perdendomi nel cielo rossastro al tramonto che scorgo dalla finestra.
«Ma lei… beh, lei è una celebrità. Non ti fa paura stare con una… con una come lei? E se si dovesse stancare di te?»
Osservo Lunch, a testa bassa, che giocherella nervosamente col taccuino delle ordinazioni. Ha lo sguardo triste.
«Non succederà».
«Come fai a saperlo?!»
«Perché mi fido di lei, e anche di me stesso».
«Come fai a fidarti di qualcuno a tal punto?!»
«Beh, nel caso di Lazuli la risposta è semplice: perché la amo».
«E lei ti ha detto che ti ama?!» mi incalza Lunch, guardandomi dritto negli occhi. Ha lo sguardo combattivo stavolta, anche se i suoi occhi nocciola mi sembrano velati di lacrime. Ma forse è solo un effetto del riflesso del tramonto.
«Uhm… tecnicamente non me l’ha detto a parole, ma me l’ha fatto capire» le rispondo. «Ogni persona è diversa dall’altra, lei non è una di molte parole. Ma sono i gesti quelli che contano».
«Spero per te che tu non ti sia sognato tutto, senpai!» esclama, ridendo.
«Cosa intendi?» le chiedo, perplesso.
«Niente, niente! Stavo scherzando! Dai, diamoci da fare!» ride, o forse si sforza di ridere.
Entriamo in magazzino, dove Muten sta seguendo una televendita di materiale da palestra sponsorizzato da un gruppo di ragazze decisamente poco vestite. Eccolo, solito vecchio maiale.
«Hai visto che bei bocconcini, Son?!» mi domanda, mentre un rivolo di sangue comincia a colargli dal naso.
«Già!» rido, mentre Lunch diventa paonazza.
Proprio in quel momento comincia la pubblicità e, caso vuole, il primo spot è proprio quello delle cicche con Lazuli al mare.
Sorrido, non saprei dire quante volte ho guardato questo spot sul telefono in questi giorni. Sarò patetico, ma mi viene spontaneo farlo quando sento la sua mancanza.
«Ehi, Son! C’è la tua ragazza in tv, hai visto?!» mi fa notare Muten. Ormai la conosce anche lui, visto che è venuta qui a mangiare o ad aspettarmi dopo il lavoro alcune volte in questo mese. «Certo che è proprio carina, sei stato fortunato ragazzo!»
«Lo so che ho avuto una botta di culo, quindi non farmi vergognare la prossima volta che verrà qui!» ribatto, fulminandolo con un’occhiataccia.
«T-tranquillo, Son!» mi rassicura il vecchio pervertito, prima di scoppiare a ridere e far ridere anche me. Solo Lunch non ride, continua a fissare la televisione con occhi vacui. La osservo, mentre torna nella sala ristorante a testa bassa. Fatico a capirla a volte.
 
Finisco di asciugarmi dopo aver fatto la doccia e mi infilo i boxer. È stata una giornata pesante, la serata al lavoro sembrava non passare più. Sento vibrare il cellulare, ho tolto la suoneria perché Goku è già andato a dormire.
Leggo il nome sul display e sorrido. Il mio cuore batte più forte.
«Ciao Là! Ti ho pensato intensamente tutta sera, lo sai?»
«Infatti ti ho chiamato perché ho pensato che volessi sentire la mia voce».
«Oh, sì, il suono più eccitante e dolce che conosco!»
«Spero che tu abbia ancora su le mutande, Rad. Ho capito che ti piace fantasticare su di me, però…».
«Ho su solo i boxer! Ancora per poco, probabilmente…».
«Sei un porco, lo sai?!»
«Dai, scherzo! Sono appena uscito dalla doccia!»
«Questo non cambia il fatto che tu sia un maiale».
«Certo, infatti nelle notti insonni c’è la possibilità che tu debba venire in mio soccorso!»
«Ok, ok… fatti tutti i film mentali che vuoi…» sospira Lazuli, dall’altra parte della linea. «Piuttosto, come vanno lì le cose? Procede tutto bene con la tua adorabile e finta ragazza?» aggiunge, calcando particolarmente il tono sulla parola “adorabile”. «E stai ben attento a quello che mi risponderai. E, soprattutto, vedi di non mentirmi».
«Mah… non ci sono grosse novità, te l’ho detto com’è andata domenica in giro con lei. Oggi mi ha portato delle pesche a scuola, stasera al lavoro mi chiedeva di te, per il resto era abbastanza silenziosa».
«E cosa voleva sapere di me?» ringhia, scocciata. «E tu cosa le hai detto?»
«Mi ha chiesto se ci siamo messi insieme ufficialmente anche in questo anello temporale» le spiego. «Io le ho detto che non mi serve che la cosa sia ufficiale per sentirmi il tuo fidanzato…».
«E…?»
«E le ho detto che ti amo, ovviamente».
«Uhm…».
«Ho detto qualcosa di sbagliato?» chiedo, mentre me la immagino col suo sorrisetto appena accennato e gli occhi di ghiaccio che brillano furbi. Fa sempre così quando vuole prendermi in giro. E quando è felice. «C’era una risposta migliore alla tua domanda?»
«Sì, c’era una risposta migliore che avresti potuto darmi».
«Quale sarebbe?»
«”Esco subito di casa e vengo a trovarti a Kagoshima”, o qualcosa di simile…» dice, con un filo di voce. Ma mi basta per sentirmi improvvisamente leggero. Per sentirmi il cuore esplodermi nel petto.
«Ti giuro che, se potessi, sarei già lì… mi manchi da morire».
«Mi manchi anche tu, scemo».
«Se vengo lì posso saltarti addosso completamente nudo?»
«Sei il solito porco, Son» ribatte, gelida e ironica, facendomi ridere di gusto. Ride anche lei, e non potrei chiedere di meglio.
«Ehi, Là… ti stai divertendo?» le chiedo, tornando serio.
«Sì, Rad! Anche se non mi piace stare lontana da te, io… beh, io ti volevo ringraziare per avermi convinta a tornare nel mondo dello spettacolo! Sento che questo lavoro è quello della mia vita, non so come spiegartelo».
«Non devi ringraziarmi, mi basta sapere che ti manco. E che sei felice, soprattutto».
«Non c’è un lavoro che tu sogneresti di fare?»
«Beh, mi piacerebbe fare il Babbo Natale! O la renna Rudolph, in alternativa».
«Scommetto che vorresti farlo solo per avere 364 giorni di ferie all’anno, giusto?»
«Ovvio, mi hai beccato!» rido, e sento ridere di gusto anche lei dall’altra parte della linea. «Ormai mi conosci troppo bene».
«Mi piace stare con te perché mi fai sempre ridere, anche se a volte temo che tu sia stupido per davvero!»
«Certo che lo sono per davvero!» rido ancora.
«Ehi, Rad…» sussurra Lazuli, una volta tornata seria. «Dimmi qualcosa di bello prima di andare a dormire. Io… io mi sento un po’ sola stasera».
Mi avvicino alla finestra e guardo fuori, verso l’alto. Come faccio spesso quando penso a lei.
«Lo vedi il cielo, Là?»
«».
«Le vedi le stelle?»
«».
«Brillano anche a Kagoshima come brillano qui a Fujisawa?»
«».
«Allora stiamo guardando lo stesso cielo, tutti e due nello stesso preciso istante» le dico, in un dolce sussurro con cui cerco idealmente di abbracciarla e stringerla forte a me. «E se possiamo guardare entrambi lo stesso cielo, allora non siamo poi così lontani».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: bene, abbiamo visto il primo appuntamento di Rad e Lunch e abbiamo imparato a conoscere meglio la nostra primina. Cosa pensate di lei? Sta gestendo bene il suo ruolo di finta fidanzata?
Rad è molto gentile con lei, ma sembra pensare sempre e solo a Lazuli, non trovate? Per me è bellissimo quello che dice a Lunch in infermeria riferendosi a Là! Spero vi sia piaciuta quella parte!
Come spero abbiate apprezzato la telefonata tra Rad e Là, spettacolari anche se divisi da 1300 km secondo me. Io penso che Là stia soffrendo molto per questa situazione, anche se si fida di Rad si vede che è più dolce in certe sue uscite.
La misteriosa new entry era Mai, e faccio i complimenti a Eevaa e Summer che l’avevano beccata. Piccola parte per lei, giusto per fare un paragone con le tre amiche di Lunch.
A chi mi chiedeva di Videl: posso anticiparvi che a breve ci sarà un lungo flashback dedicato a lei che si ricollegherà a quello che aveva già accennato Rad tempo fa, così la conosceremo meglio. Siete curiosi per lei? ;-)
 
Nel prossimo capitolo succederanno tante cose e ci sarà anche un bel po’ di azione. Ci sarà un momento VegeBul (attesissimo, lo so), tornerà in scena anche Marion (attesissima anche lei, so che vi mancava) e vedremo un confronto importantissimo tra Rad e Yamcha!
Lazuli, purtroppo, la sentiremo ancora una volta solo telefonicamente, la ribalta è ancora per Lunch. Però le telefonate di Là meritano sempre, fidatevi! ;-)
Ci saranno anche due amici sfigati di Yamcha, riuscite a immaginarli?
 
Ringrazio tutti voi che mi lasciate sempre il vostro parere e state facendo volare questa storia, mi rendete felice ed è bello sapere cosa ne pensate ogni settimana! Grazie a chi continua a leggerla e ad apprezzarla, anche a chi l’ha inserita nelle liste!
Un grazie immenso anche a chi ha voluto dare una possibilità a “Mythos”, la mini long che pubblico alla domenica e che mi ha lasciato il suo parere anche lì. L’ho apprezzato tanto! Il cap 2 uscirà domenica, quindi vi farò lì gli auguri di Pasqua, mentre con “Remember me” ci vediamo mercoledì prossimo come al solito e quindi comincio già adesso ad augurarvi una buona Pasqua, sperando che passerete delle belle giornate!
A mercoledì allora, il titolo sarà “Doppia promessa”!
 
Teo
 
 
 

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Capitolo 13
*** Doppia promessa ***


13 – Doppia promessa
 
 
 
5 luglio
 
«Bulma, ho quasi finito di sistemare anche questo armadietto» avviso la mia amica, ancora chinato e seminascosto dall’anta del mobile posizionato in un angolo del laboratorio di scienze che la sto aiutando a riordinare. «Inizio ad averne le palle piene, però» sbuffo, piuttosto stufo di questa pausa pranzo. Lazuli è ancora a Kagoshima, purtroppo, mentre Lunch è con le sue solite amiche, per fortuna. Non smanio di girare per la scuola fingendo di essere il suo ragazzo.
«Guarda che non ti ha chiesto nessuno di aiutarmi, scimmione che non sei altro! E guai a te se rompi qualcosa!» mi sgrida Bulma, guardandomi male, per poi riprendere a scrivere qualcosa sui suoi appunti. In effetti mi sono proposto io, le do una mano volentieri con tutto quello che ha fatto per me. Inoltre qui posso stare tranquillo, il che non è male in questo periodo allucinante che devo vivere fino alla pausa estiva.
«Ehi, Bulma!»
L’inconfondibile voce di Vegeta attira la mia attenzione, mentre finisco di posizionare dei contenitori di vetro e delle ampolle nel mobile.
«Vegeta!» risponde Bulma, sorpresa, guardando fuori dalla finestra. Il laboratorio è al piano terra della scuola e il mio amico ha gli allenamenti di calcio in questa pausa pranzo. Non lo vedo dalla mia posizione, ma le sta parlando direttamente dal cortile. «Come mai qui? Hai bisogno di qualcosa?»
«Stavo cercando quel deficiente di Rad, l’hai visto? O sta giocando a fare il fidanzatino con la primina? Tsk, che coglione!»
«Immaginavo fossi qui per lui…» sbuffa Bulma. «Comunque è…».
«Sì, è qui il coglione!» mi intrometto io, rialzandomi e dirigendomi verso la finestra. «Ciao Prince, sento la tua puzza di sudore fin qui» ghigno, alludendo al fatto che è ancora vestito con la sua maglia numero nove del club di calcio, con tanto di scarpette ai piedi. «Vabbè, vi lascio soli… mi sento di troppo qui» aggiungo, dirigendomi verso l’uscita del laboratorio e chiudendo la porta alle mie spalle.
Quella stessa porta che, un secondo dopo, si riapre di scatto, rischiando di travolgermi.
«Ma sei scemo?!» sibila Bulma a denti stretti, afferrando la mia camicia e strattonandomi minacciosa. È decisamente rossa in faccia, fatico a restare serio. È raro vederla perdere la calma. «Non devi lasciarci soli apposta! Vegeta se ne accorgerà!»
«Se bastassero solo queste piccole cose se ne sarebbe già accorto da un pezzo… è più ottuso di quanto tu creda su certe cose» ribatto a bassa voce, tornando a guardare Vegeta che ci osserva dalla finestra, perplesso e irritato.
«Dai, te lo spiego dopo in classe, Rad!» mi grida, accennando un saluto con la mano e corricchiando via. «Mi sono rotto le palle di aspettare, tsk!»
«Intendo che si sarebbe dovuto già accorgere dei tuoi sentimenti, come me ne sono accorto io senza che tu me ne abbia mai parlato prima…» riprendo, mentre Bulma molla la presa sulla mia camicia e abbassa la testa.
«Già… ma tanto sarebbe solo un problema se anche se ne accorgesse…» sospira lei.
«Se vuoi gli parlo io» propongo.
«No, Son-kun… non voglio…» sospira di nuovo, stringendo i pugni. «E poi… e poi lui è già fidanzato e non mi sembra una cosa corretta» aggiunge, voltandosi e rientrando nel laboratorio, trascinandomi con sé stringendo il mio polso. «Dai, facciamo una pausa adesso. Ho voglia di parlare d’altro».
«Ormai è passata una settimana e non ci sono più stati loop temporali» comincio, seduto sul mio solito sgabello davanti a Bulma, che nel frattempo si è preparata un caffè e lo sta bevendo stando ben attenta alle mie parole. «Mi chiedo se sia davvero chiusa qui questa storia».
«Forse è come avevi ipotizzato tu all’inizio» spiega lei, appoggiando la tazza sul tavolo da lavoro. «Quella primina con cui fingi di stare insieme era il Demone di Laplace, che continuava a tirare il dado finché non ha trovato un futuro a lei conveniente. Dal momento che è soddisfatta della situazione attuale non sente bisogno di tirare di nuovo il dado, secondo me».
«Però non sembra essere conscia di tutto questo» le dico.
«Se lo fosse, sarebbe veramente un demone in tutto per tutto» conclude Bulma, socchiudendo i suoi occhi azzurri e fissandoli nei miei. «Ora ho bisogno della massima concentrazione per fare un esperimento, ci vediamo dopo in classe» mi liquida.
 
Appena fuori dal laboratorio mi imbatto in Marion, che mi fissa con aria truce e le braccia incrociate sotto al seno. Sembra arrabbiata… strano, eh? E sembrava mi stesse aspettando, purtroppo.
«Ciao bellezza» le sorrido, facendo per andare oltre con le mani in tasca.
«Dobbiamo parlare, Son!» esclama, stridula. «Sul tetto, lì non ci disturberà nessuno!»
«Se devi dichiararmi il tuo amore puoi farlo anche qui, non ho voglia di fare quattro piani per questo» ghigno.
«Seguimi e basta! Quanto ti odio!» ringhia, camminando a passo di carica verso le scale, mentre io la seguo passeggiando con le mani intrecciate dietro la nuca. «Muoviti!» mi incalza, voltandosi e lanciandomi un’occhiata carica di rabbia.
«Ti verranno le rughe prima che avrai compiuto vent’anni se continui a fare quelle facce…» la provoco.
«Ah! Davvero?! Davvero, davvero, davvero?!» grida, con voce da oca e lo sguardo terrorizzato, cominciando a massaggiarsi la faccia freneticamente con entrambe le mani.
La osservo perplesso, prima di scoppiare a ridere.
«Sei… sei uno stronzo!» sbraita, paonazza e imbarazzata, proprio mentre raggiungiamo la terrazza sul tetto della scuola.
«Cosa avevi bisogno, bellezza?» le chiedo, guardando il monte Fuji che si innalza davanti a noi in tutto il suo splendore.
«Non ti avevo detto di stare alla larga dal mio Veggy?!»
“Il mio Veggy”… ma che cazzo mi tocca sentire?!
«Non ci vado mica a letto insieme, tranquilla!» le sorrido sghembo.
«Sto parlando seriamente!» sbotta, stringendo i pugni e avvicinandosi a me. «E che rapporto c’è tra lui e quella secchiona del laboratorio di scienze?! Li vedo parlare insieme spesso!»
«Chiedilo a Vegeta perché parla con lei. Siamo tutti e tre in classe insieme, nel caso non l’avessi notato…» sbuffo, mettendo di nuovo le mani in tasca.
«E invece me lo devi dire tu perché parlano! Sei suo amico, no?!» ringhia, mentre i suoi occhioni azzurri carichi d’odio si fissano nei miei. «Dimmelo, dimmelo, dimmelo!»
«Mi sembri più irritata del solito oggi, bellezza» le rispondo tranquillamente. «Sei costipata, per caso? No, perché nel konbini vicino a casa mia vendono un prodotto che dicono faccia miracoli e se vuoi…».
«Mi fai schifo! Muori!» sbraita Marion, paonazza, correndo verso le scale. «Fai davvero schifo!» aggiunge, prima di rientrare sbattendo la porta.
«Mangia più fibre, almeno!» le urlo, in tutta risposta.
 
«Prince, una volta questa cosa mi divertiva, ma ora ammetto che inizia a fracassarmi i coglioni» dico a Vegeta, al termine del nostro turno serale al “Kame House”. «È venuta ancora la tua ragazza a rompermi le palle per te, io non so più come prenderla, sinceramente».
«Io non so più che cazzo dirle» sbuffa Vegeta. «Non so perché fa così, non la capisco! Tsk!»
«Non ti dico di scegliere “o lei o me” perché sembreremmo una coppietta noi due, ma il succo del suo discorso è quello».
«Che schifo pensare a me e te come una coppia!» ride Vegeta. «Non farmi vomitare!»
«In effetti ha più un bel culo lei di me, capirei la tua scelta» rido a mia volta.
«Questo è ovvio, ma, tette e culo a parte, non avrei dubbi se dovessi scegliere» sbuffa di nuovo Vegeta.
«Non ti chiedo di scegliere, Prince» gli dico, guardandolo serio negl’occhi. «Ti chiedo di pensare a te stesso, prima di tutto. So che sei ottuso, ma credo tu sia in grado di capire se sei felice o meno, adesso» aggiungo, mentre lui distoglie lo sguardo dal mio. «O se potresti esserlo di più grazie a una persona che ti capisce davvero, e che magari è più vicina a te di quanto tu possa immaginare».
Il mio amico si volta di scatto e torna a guardarmi in faccia, perplesso. «Non stai parlando di te, vero?»
«Secondo te, coglione?» ribatto, alzando gli occhi al cielo.
«No, abbiamo già detto che faremmo schifo!» ride. Niente, non ci arriva proprio che sto parlando di Bulma. «Ma tu come fai a far funzionare le cose con una ragazza vera e una finta come stai facendo in questi giorni?»
«Guarda, non vedo l’ora che finisca tutto questo» sbuffo. «Ho voglia di vivere alla luce del sole la mia storia con Lazuli».
«Ero indeciso se dirtelo o meno, ma devi sapere che girano voci poco piacevoli su Lunch. Mi sembrava giusto fartelo sapere, visto che l’ho letto sul gruppo congiunto del club di calcio e di quello di baseball» mi spiega Vegeta.
«Cioè?»
«Dicono che è una troia che va con tutti… e che voi due state scopando alla grande».
«Scommetto che è partito tutto da quel pezzo di merda di Wolf, vero?»
«Sei perspicace, Rad. Se hai bisogno di una mano fammi un fischio» dice Vegeta, scrocchiandosi le dita e ghignando.
«Lascia perdere, basto e avanzo io».
 
 
7 luglio
 
«Piantala di fare quel muso lungo» sorrido a Lunch, seduta da sola su una panchina in attesa del treno alla fine delle lezioni. Ha lo sguardo corrucciato e stringe forte al petto la sua cartella.
«Senpai!» esclama, sorridendo a sua volta.
«Dicono che ci danno dentro alla grande quei due!»
«Quella è una che la dà a tutti!»
«Era già nota per fare queste cose nella sua vecchia scuola!»
Mi guardo intorno, mentre Lunch abbassa la testa mestamente, e vedo diversi gruppetti di studenti che bisbigliano guardandoci male, pensando di non essere visti. Basta così poco per creare un’etichetta, quell’atmosfera in grado di rovinare la vita a una persona. A volte basta anche solo una persona che abbia un po’ di influenza e carisma sugli altri per generarla. Uno senza scrupoli.
Uno come Yamcha Wolf.
Ma a volte basta uno con un po’ di coraggio e che sa cosa deve fare per annullarla, per impedirle di svilupparsi prima che sia troppo tardi.
Uno come me.
«Ah, ah, ah! Le primine di oggi sono proprio indemoniate, eh?!» ride sguaiatamente Wolf, arrivato proprio in quel momento sulla banchina insieme a due suoi amici del club di baseball. Li conosco di vista, mi pare si chiamino Tensing e Riff. Due sfigati come tanti altri, per quanto mi riguarda. Ridono anche loro, ormai a un paio di metri da noi. Sento gli sguardi della gente addosso. I vari gruppetti si zittiscono all’improvviso. Vogliono godersi la scena, immagino.
Guardo Lunch, a testa bassa e con gli occhi pieni di lacrime. Muovo un passo verso Wolf e gli ghigno in faccia. A un passo da lui. Lo fisso negl’occhi, a testa alta.
«Tu che cazzo vuoi?!» ringhia, stringendo i pugni, affiancato dai suoi due amici che lo imitano. «Sbaglio o mi hai riso in faccia?!»
«Non sbagli, sei più intelligente di quanto pensassi» esclamo ironicamente, senza smettere di sorridergli sghembo. «E non ho ancora finito… è un problema?»
«Non prendermi per il culo!» sbotta, alzando il tono della voce.
«Non ti sto prendendo per il culo, ti sto solo dando del coglione» gli rispondo, un istante prima di ricevere un pugno all’altezza dello zigomo, così forte da farmi girare la faccia leggermente. Ma non faccio neanche un passo indietro.
Sento delle urla intorno a me.
«Senpai!» grida Lunch, alzandosi e stringendomi un braccio. Mi volto verso di lei e le sorrido, allontanandola delicatamente.
Mi faccio scrocchiare il collo un paio di volte e torno a guardare Wolf. Sembra stupito. Ghigno di nuovo, piegando la testa verso la mia spalla e sgranando gli occhi. «Avevo giusto un po’ di prurito sulla guancia, ti ringrazio» gli spiego.
«Come cazzo fai a essere ancora in piedi?!» grida Wolf, sgranando gli occhi a sua volta.
«Sai, a un certo punto della mia vita ho imparato a non indietreggiare neanche per prendere la rincorsa» gli spiego, mentre mi faccio scrocchiare le dita delle mani. «E sai un’altra cosa? Adesso mi è venuto un po’ di prurito anche alla mano destra» aggiungo, prima di stampargli un gancio destro nello stesso identico punto in cui me l’aveva sferrato lui.
Lo guardo crollare a terra, lungo disteso sulla schiena, neanche fosse un birillo colpito da una palla da bowling.
«Yamcha-san! Yamcha-san!» piagnucola quello che presumo sia Riff, inginocchiato accanto a lui, mentre gli scuote le spalle.
«Tu… tu! Cosa gli hai fatto?!» sbraita l’altro, Tensing. Fatico a distinguerli, entrambi rasati e con l’unica differenza dell’altezza diversa.
«Niente di più e niente di meno di quanto non mi abbia fatto lui prima» spiego tranquillamente, facendo un passo verso Wolf, mentre il vociare intorno a noi si fa sempre più insistente. Mi abbasso verso di lui e lo sollevo per il bavero della sua camicia.
«Lascialo stare!» protesta Riff, con voce stridula. Mi basta guardarlo un secondo per zittirlo.
«Adesso ascoltami bene» sibilo, rivolto a Wolf. «Riesci a sentirmi?»
Mi risponde facendo cenno di sì con la testa. Riapre anche gli occhi. Meno male, sarebbe stato un bel casino lasciarlo qui svenuto. E poi non ho ancora finito con lui. Certo che è proprio messo male, non pensavo di averlo colpito così forte.
«Quelli come te che vanno in giro a dire stronzate sulla gente e che si inventano le cose mi stanno sul cazzo» gli spiego. «Sono solo dei poveri falliti che pensano di riempire la loro vita rovinando quella degli altri. Se fossi al posto tuo, io mi vergognerei di vivere» aggiungo, spintonandolo di nuovo a terra e riprendendo a guardarlo dall’alto. Mi metto le mani in tasca, mentre i suoi amici lo aiutano a mettersi seduto sulla banchina. I suoi occhi neri carichi d’odio e di paura si fissano nei miei. Carichi di umiliazione, soprattutto.
«Se dovessi sentire ancora girare le stronzate che hai inventato su di lei…» riprendo, indicando Lunch. «Sappi che ti verrò a cercare, e la prossima volta potrei avere prurito a entrambe le mani. E verrò a cercare anche voi due, falliti del cazzo» aggiungo, guardando prima Tensing e poi Riff. «E vi darò così tanti calci nel culo da farvi ricrescere i capelli fino a farli diventare più lunghi dei miei».
«Senpai, basta così…» sussurra Lunch alle mie spalle, tirandomi leggermente la camicia.
«No, devo dirgli ancora una cosa» rispondo, muovendo un altro passa verso Wolf e appoggiando la suola della mia scarpa sulla sua fronte. Lo colpisco senza imprimere troppa forza, giusto per farlo cadere di nuovo disteso a terra.
«Tu la devi smettere di andare in giro a parlar male delle ragazze che dici di farti, anche perché secondo me sono tutte cazzate e sei un gran segaiolo!» sbotto.
«C-come ti permetti!» farfuglia, rimettendosi di nuovo a sedere.
«Tu ti vanti sempre delle tue fantomatiche conquiste, no? Ma la realtà è che non hai rispetto delle donne, per questo mi stai sul cazzo» riprendo. «Io non ho problemi a dirti che sono ancora vergine perché, semplicemente, non ho ancora trovato quella giusta. E non sarò mai uno che illude una ragazza solo per portarsela a letto».
Mi interrompo e lo guardo fisso negli occhi, mentre la gente intorno a noi è sempre di più. Leggo la paura nei suoi occhi, sento l’odore del sangue. «Ora chiedile scusa per tutte le cazzate che hai messo in giro su di lei» gli ordino, indicando Lunch. Lui resta in silenzio, distogliendo lo sguardo dal mio. «Muoviti!» sbraito.
«S-scusa…» sussurra, senza guardarla.
«Dai, andiamo» dico a Lunch, afferrandole un polso e trascinandola via da quel caos. «Prendiamo il prossimo treno, ho voglia di fare un giro» aggiungo, facendo per abbandonare la banchina. «Ah già, Wolf! Ti conviene lavarti la faccia, ieri ho schiacciato una cacca di cane proprio con la scarpa che ti ho pestato sulla fronte!» concludo ridendo, prima di uscire dalla stazione con Lunch.
 
«Non avrai esagerato, senpai?» chiede Lunch, mentre ci dirigiamo verso la spiaggia.
«Uhm… fammi pensare… no!» esclamo, ridendo.
«È vero, non hai esagerato!» ride a sua volta. «Però… ecco… grazie!»
«Non devi ringraziarmi. Non sopporto certe cose, è più forte di me» rispondo, fermandomi a osservare il mare. Penso a Lazuli, a cosa starà facendo adesso. A quanto mi manca. E a quanto ho fatto anche per lei tutto questo. Perché non sopportavo girassero certe voci su me e Lunch, visto che tra un paio di settimane, se tutto andrà bene, torneremo ad essere una coppia alla luce del sole.
«Sai, ho pensato tanto alle parole che mi hai detto l’altro giorno in infermeria» riprende Lunch, distogliendomi dai miei pensieri. Si è accucciata e fai dei disegni nella sabbia col dito. «”A me basta il giudizio di una sola persona. Anche se il mondo intero dovesse odiarmi, per continuare a vivere e a sorridere mi basterebbe sapere che quella sola persona ha bisogno di me”» aggiunge, imitandomi. Ha ragione, sono le esatte parole che ho usato io, mentre parlavo con lei e pensavo a Lazuli.
«Da Radish Son ci sono sempre lezioni importanti da imparare» le sorrido scherzoso, prima di tornare a guardare il mare.
«Sai, prima ho avuto la sensazione di essere davvero la tua ragazza…» sospira, sorridendo malinconica. «Mi sono sentita importante, e non mi era mai successo».
«Se devo fingere di essere il tuo fidanzato per altre due settimane ci tengo a fare le cose per bene» le spiego. «E ci tengo che la gente non vada in giro a dire cazzate su di te, perché so quanto possano far male certe voci».
«Io… io penso che nessuno si spingerebbe a tanto per una finta fidanzata» sospira di nuovo, rialzandosi e guardandomi dritta negl’occhi. Arrossisce, allunga la mano verso la mia e la stringe.
«Non fraintendermi» le dico, ritraendo la mano delicatamente. «L’ho fatto per te, ma l’ho fatto anche per Lazuli. E poi l’ho fatto perché sono un perfezionista, se devo interpretare un ruolo lo faccio bene!» sorrido.
«Guarda che lo sapevo, eh!» ride a sua volta Lunch. Anche se la sua risata mi sembra un po’ forzata e i suoi occhi mi appaiono tristi. Ma forse mi sbaglio. Perché dovrebbe essere triste? L’ho appena tirata fuori dai guai, no?
Restiamo in silenzio a guardare il mare, lei mi sembra imbarazzata. La suoneria del suo telefono mi distoglie dalle mie riflessioni.
«È un messaggio di Lucy-chan!» esclama Lunch, cominciando a digitare sul cellulare. «Dice che sei stato un figo e che Wolf-senpai l’ha proprio delusa!» aggiunge, ridendo.
«Se le è bastato un pugno e un po’ di cacca di cane in faccia per farle passare la cotta, direi che non era una cosa così seria» sbuffo divertito. «Dai, andiamo adesso».
«E-ecco, senpai… devo dirti una cosa» sussurra Lunch, mentre riprendiamo a camminare. «Io non l’ho ancora fatto».
«Fatto cosa?» la provoco, apposta per metterla in imbarazzo.
«Intendo che sono ancora vergine, scemo!» sbotta, paonazza, stringendo i pugni.
«Davvero credevi che avrei dato retta a quella voci?!» rido di gusto.
«Smettila di ridere, cretino!» ribatte, corrucciata. «Non lo credevo, ma volevo esserne certa!»
«Ma mica mi avevi detto che avevi già avuto un ragazzo, in passato?» le chiedo, ricordando che mi aveva confidato questa cosa quando ci siamo conosciuti meglio.
«Era una bugia» sospira. «Ma non avevo scelta, le mie amiche hanno detto di aver avuto un fidanzato alle medie e, ovviamente, si aspettavano che ne avessi avuto uno anch’io».
«Tutto chiaro» le dico, scuotendo leggermente la testa. «Ma io non ti giudico continuamente come fanno queste tue “grandi amiche”. Potevi dirmi la verità».
«Io… io credevo che mi avresti preso in giro se ti avessi detto che non ero mai uscita con nessuno» sussurra Lunch, abbassando la testa. «Cioè, tu hai una storia con una come Lazuli Eighteen e una insignificante come me ti chiede di fingere di mollarla e di stare con lei perché ha paura del giudizio degl’altri. Non volevo… non volevo che pensassi che sono una sfigata».
«Non ho mai pensato che tu fossi una sfigata» le dico, serio. «Né tantomeno penso che tu sia insignificante. Però, se vuoi saperlo, credo che sei una che si fa troppe paranoie e che dà troppo peso a quello che potrebbero pensare di lei gli altri».
«Lo so…» sospira malinconica, scalciando una conchiglia sulla sabbia, prima di fermarsi improvvisamente. «Senti, senpai» sussurra, a testa bassa. «Io… io vorrei sdebitarmi per tutto quello che stai facendo per me e per quello che hai fatto oggi davanti a tutti…».
Mi avvicino a lei e le sollevo il mento tra indice e pollice, per imporle di guardarmi in faccia. Ha gli occhi lucidi e sta anche arrossendo.
«Facciamo così» le sorrido. «Quando questa bugia sarà finita, dovrai restare mia amica».
Lei sgrana i suoi occhi color nocciola per un lungo istante. Stringe i pugni, prima di abbracciarmi. «Diventerò la tua migliore amica, senpai!»
 
«Ciao Là, non puoi capire quanto avevo voglia di sentire la tua voce oggi!» esclamo al telefono, appoggiato coi gomiti al davanzale della finestra di camera mia. È stata una lunga serata al lavoro, ma sentire Lazuli mi ripaga di ogni fatica. Anche se ci sono milletrecento kilometri a separarci, oltre a un bel pezzo di mare.
«Hai su le mutande almeno?»
«È un dettaglio irrilevante» sorrido, immaginando lo stia facendo anche lei. «Tanto mi eccito lo stesso se parlo con te».
«Cosa devo fare con te, Rad?!» sospira, fingendosi esasperata.
«Venire qui il prima possibile, ad esempio».
«Domani arrivo, oggi siamo riusciti a finire le riprese
«Davvero?! E cosa aspettavi a dirmelo?!»
«Lo sai che mi piace tenerti sulle spine» risponde sadica.
«E mi piaci per questo!» rido. «Allora, tutto bene le riprese di oggi?»
«Sì, il regista ha detto che sono andata alla grande! E la mia nuova manager dice che nell’ambiente si sta parlando molto del mio ritorno e del fatto che non ho perso lo smalto di un tempo
«Non avevo dubbi, Là. Ho sempre creduto in te… ti ammiro fin da quando eravamo bambini».
«Lo so, Rad. E le cose che mi dici tu… beh, ecco… sono le uniche che contano veramente per me…» sussurra.
Sento il cuore battermi più forte. Mi sembra di essere improvvisamente così leggero da potermi teletrasportare in un istante fino a Kagoshima. Non desidererei altro. Mi manca troppo il contatto con lei, il suo profumo. Il suo calore e i suoi occhi di ghiaccio, l’ossimoro più bello che potessi mai incontrare sulla mia strada.
«Là…».
«Sì?»
«Ti amo. Ti amo un casino».
Lei resta in silenzio, e mi sembra di poter sentire i battiti del suo cuore attraverso il mio cellulare.
«Rad… quando finirà questa situazione? Io voglio che torni tutto come prima. Io… lo voglio e basta… cioè, ti voglio per me e basta…» sussurra con disarmante sincerità, indifesa come solo lei sa essere in certi momenti.
«Sono stanco anch’io di tutto questo, te lo assicuro. E vivere certe cose in prima persona è sempre più difficile per me. Tra una decina di giorni sarà tutto finito. Penso… che siamo stati bravi a prendere questa decisione Là, ad aiutare una persona che aveva bisogno» sospiro.
«Mi spiace non essere lì con te, per aiutarti in tutto questo…».
«Davvero ti dispiace?» la provoco, sapendo benissimo dove andrà a parare.
«In realtà no, perché non sopporterei di vederti fare il finto fidanzato di un’altra, anche se sono al corrente di tutto. Infatti penso che verrò il minimo indispensabile a scuola nei prossimi giorni» ribatte, improvvisamente gelida. È semplicemente adorabile.
«Ti adoro quando fai così, Là… quando sei sweet and psycho!» ghigno, certo che lo stia facendo anche lei.
«Com’è stata la tua giornata, Rad? Sei uscito con quella primina? Ci ha provato con te?!»
«Frena, frena!» rido. «In realtà oggi ho fatto a botte con uno in stazione…» sussurro.
«Che cosa hai fatto?! Razza di scemo di un Rad! Ma possibile che ti lascio solo un attimo e ti cacci nei guai?!» grida lei, probabilmente svegliando l’intero hotel in cui alloggia. «Ti sei fatto male?! Hai perso sangue?! Sei andato a farti visitare?!»
«Potrai visitarmi tu stessa domani» le dico maliziosamente. «Se vuoi possiamo giocare al dottore…».
«Sono serissima, cretino!» ribatte, gelida.
«Uffa… vabbè, Yamcha Wolf mi ha dato un pugno in faccia e non mi ha fatto niente, io mi sono limitato a restituirglielo. Il mio, però, l’ha sentito eccome».
«Wolf non è quello che si era dichiarato alla tua primina? È per colpa sua che stiamo vivendo tutto questo…» ringhia.
«Sì, proprio lui. È uno stronzo colossale, tra l’altro».
«Perché ti ha dato un pugno? Non dovevi farti coinvolgere, stupido
«Perché ha messo in giro delle voci secondo cui Lunch già alle medie la dava a tutti…».
«E… ?»
«E che io e lei lo facciamo come conigli anche se ci siamo appena messi insieme…» sbuffo.
«Allora dovevi anche spaccargliela quella faccia da lurido bavoso che si ritrova!» sbraita Lazuli, perdendo di nuovo il suo abituale aplomb. Mi viene da ridere. Ma mi sento anche tanto orgoglioso che sia così gelosa di me.
«Non sopportavo che su Lunch girassero delle voci inventate da lui, perché so benissimo quanto possano far male, ancora di più se si è fragili come lei» riprendo. «E, soprattutto, non volevo che tutti pensassero che io lo sto facendo con lei, visto che dopo la pausa estiva vorrei tornare a scuola insieme a te come una vera coppia» aggiungo, con estrema sincerità. «Ho detto davanti a tutti che sono vergine, non me ne frega un cazzo se qualcuno mi prenderà per il culo. A me interessa averla con te la mia prima volta, il resto non conta».
«Non cambierai mai tu, Rad…» sospira Lazuli dolcemente. Immagino stia sorridendo. E immagino sia il suo modo per dirmi che è fiera di me, in fondo. «Spero solo che la tua adorabilissima e fintissima fidanzatina non abbia frainteso il tuo gesto. Mi auguro che non complicherà le cose» aggiunge, con ben altro tono.
«Ho spiegato tutto anche a lei, dopo. E le ho detto che la considero una mia amica. Punto».
«Speriamo… non è che mi convinca del tutto, quella lì…» sbuffa Lazuli, prima di restare qualche secondo in silenzio. «Rad, stai guardando anche tu il cielo?»
«Sì, Là».
«Sai… mi manchi e volevo sentirti più vicino, come mi hai insegnato tu».
«Scommetto che le stelle brillano un po’ di più stasera a Kagoshima».
«Perché?»
«Perché le stai guardando tu, da lì. E, dalla mia finestra, le vedo tutte più luminose verso sud. Non può essere un caso».
«Rad…».
«Dimmi».
«Non vedo l’ora che sia domani… ho voglia di essere felice…».
«Anch’io, Là… e ti prometto che saremo felici».
 
 
 
 
 
 
 
Note: eccoci qui, un capitolo pieno di avvenimenti come vi avevo detto! Prima di tutto, la doppia promessa del titolo si riferisce a quella che si fanno Rad e Lunch sul restare “amici” e quella che poi alla fine si fanno Rad e Là sull’essere “felici”.
Voi cosa dite, sapranno mantenerle queste promesse? Soprattutto Lunch, dopo tutto quello che è successo tra Rad e Yamcha? E Là, siete felici che ritorni finalmente a Fujisawa?
Spero vi sia piaciuto il confronto tra Rad e Yamcha e quello che dice il nostro capellone, speriamo solo che la primina non abbia equivocato! I miei complimenti vanno a Shanley e a Martina che hanno beccato Tensing, mentre Riff non l’aveva pensato nessuno. Per quanto riguarda Crilin, invece, posso già dirvi che farà una piccola comparsata molto più avanti e sarà coetaneo di Goku.
C’è stato anche un piccolissimo momento VegeBul, ma è subito arrivata la nostra Marion, come sempre amatissima da tutti. E meno male che c’è lei, altrimenti la più odiata sarebbe Lunch in questa storia! ;-)
 
Comunque, nel prossimo capitolo non comparirà Lunch e sarà interamente dedicato ai nostri Rad e Là: siete contenti?
Lazuli torna da Kagoshima dopo più di una settimana e penso che sarà un capitolo molto bello, sia per quello che faranno i nostri che per le cose che salteranno fuori. Là, infatti, racconterà una cosa inedita successa un anno prima, quando lei era al secondo anno e Rad era un primino.
Io ve lo dico, il titolo sarà “Il ritorno della coniglietta”, quindi non escludo che potremmo anche rivedere la nostra bionda dagli occhi di ghiaccio con il suo costume da coniglietta del cap. 1. A tal proposito, se qualcuno vuole fare un altro disegno di Bunny Lazuli come aveva già fatto la Misatona, sarà super gradito da allegare al prossimo capitolo! :-)
Cosa succederà se davvero lei indosserà di nuovo quel costume? E perché dovrebbe farlo?
 
Come sempre ringrazio tutti voi che state seguendo con grande entusiasmo questa storia e contribuite a farla crescere ogni settimana, io non vedo l’ora di leggere quello che ne pensate e mi fa sempre troppo piacere! Grazie quindi a tutti voi che mi lasciate il vostro parere, a chi vorrà farlo magari in questo capitolo per la prima volta, a chi legge e a chi ha inserito la long nelle varie categorie!
Spero abbiate passato dei bei momenti tra Pasqua e Pasquetta, per il resto ci vediamo mercoledì con “Remember me” e già domenica con “Mythos”!
A presto!
 
Teo
 
 

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Capitolo 14
*** Il ritorno della coniglietta ***


14 – Il ritorno della coniglietta
 
 
 
8 luglio
 
Ho passato l’intero giorno nell’attesa spasmodica che arrivasse sera. Nella speranza di rivedere Lazuli, che mi ha detto che sarebbe passata di qui se avesse fatto in tempo e se non ci fossero stati intoppi nel suo viaggio di ritorno.
È stata una lunghissima giornata a scuola, tutta colpa dello spettacolo che ho dato ieri in stazione. Non ho parlato con Lunch, visto che ogni volta che la incrociavo lei arrossiva e le sue solite tre amiche la trascinavano via sorridendomi e ridacchiando, gentili come mai erano apparse nei miei confronti. In realtà preferivo quando mi guardavano male, in fondo è quello a cui sono abituato.
Sbuffo. Spero davvero che tutti si berranno la storia che io e Lunch ci lasceremo alla fine di settimana prossima e che potrò così riprendere in mano la mia vita con Lazuli alla luce del sole. E anche della luna, penso, osservandola nella sua pallida lucentezza dalla finestra della mia stanza.
Spero di non aver esagerato ieri, di non essermi fatto prendere troppo la mano. Girano già diversi video in rete di studenti che hanno ripreso la scena e ammetto che questa cosa mi sta parecchio sul cazzo.
Bulma, ovviamente, mi ha fatto una ramanzina che non finiva più per il mio comportamento, mentre Vegeta mi ha fatto anche lui una ramanzina, a modo suo, perché secondo il suo parere non ho dato abbastanza botte a Wolf. Ho incrociato persino lui, oggi, in stazione, con la faccia gonfia e la testa bassa. Ha cambiato strada non appena mi ha visto, meglio così.
Ho finito presto al lavoro stasera e ora dovrei studiare per gli esami di fine semestre di sabato. Ho ancora solo due giorni di tempo per prepararmi, oltre a stasera, e non sono messo per niente bene se devo essere sincero. Eppure non riesco a concentrarmi, non riesco a pensare a nient’altro che non sia lei.
 
Sento suonare il citofono e, dopo non più di mezzo secondo, mi ritrovo già davanti allo schermo. Il mio cuore batte fortissimo nel petto, mentre vedo Lazuli sistemarsi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Apro e la aspetto sul pianerottolo, impaziente.
I suoi passi sulle scale fanno accelerare i miei battiti. Vicini, sempre più vicini. Mi sento un po’ un coglione, ma è bello avere qualcuno di speciale che non vedi l’ora di riabbracciare. Anche se è poco più di una settimana che non ci vediamo mi sembra passata un’eternità. Chissà se anche per lei è lo stesso.
La vedo comparire, e non si direbbe che si sia sobbarcata un viaggio così lungo. Dovrebbe apparire stanca, ma lei riesce sempre ad essere bellissima. Anche così, casual, in jeans, sneakers e maglietta. È il più bell’abito da sera con cui potesse presentarsi qui, oggi.
Le sorrido, mentre cammino verso di lei sempre più veloce. Lei non sorride, ma comincia a correre. Apro le braccia, ma tutto quello che ricevo è una sberla sulla faccia che mi fa molto più male del pugno che ho ricevuto ieri da Wolf. Una scena che mi riporta a quaranta giorni fa sul campo da calcio della scuola.
«Questo è per esserti fatto prendere troppo la mano ieri facendo a botte» sibila, gelandomi con uno sguardo glaciale. «Questo invece è perché non sai nemmeno tu quanto mi sei mancato, scemo di un Rad» aggiunge, mettendomi le braccia intorno al collo e baciandomi.
Sento quasi le gambe cedermi, proprio come quel giorno a scuola. Il giorno in cui sono riuscito a farla tornare indietro. Il giorno in cui mi sono rifiutato di vivere in un modo senza di lei.
Il suo sapore mi pervade, il suo profumo fresco mia avvolge. La stringo forte per i fianchi e la spingo con la schiena contro il muro accanto alla porta di casa mia.
«Nemmeno tu forse riesci a renderti conto di quanto mi sei mancata» sussurro roco, riprendendo a baciarla avidamente e premendo il mio bacino contro il suo. Lei si lascia scappare un gemito, mentre sento l’eccitazione crescere inesorabilmente dentro di me. E verso di lei, soprattutto.
«No, Rad… non qui…» ansima, spingendomi via dolcemente e accennando un sorriso.
Appoggio la fronte contro la sua. «Volevo solo dirti “bentornata”, Là» sorrido.
«E io l’ho apprezzato» sorride a sua volta, dandomi un bacio a fior di labbra e prendendomi per mano. «Sono venuta in tuo aiuto perché ci tengo che superi gli esami sabato» aggiunge, trascinandomi verso l’ingresso. «E perché sono sicura che sei in alto mare con lo studio» continua, gelida, fissandomi all’improvviso con aria sospettosa. «O sbaglio?!»
«Non sbagli…» sbuffo, abbassando la testa e seguendola mestamente. «Anche se, a dir la verità, sono in altissimo mare».
 
«Non ti distrarre, asino» sibila freddamente Lazuli, non appena distolgo lo sguardo dal quaderno che ho davanti. Non ne posso più di studiare, mi scoppia la testa.
Siamo seduti per terra, uno davanti all’altra, al tavolino basso che dal salotto ho portato nella mia stanza, proprio come avevamo fatto la sera in cui avevamo studiato insieme finché poi lei mi aveva dato dei sonniferi per farmi addormentare. È bello essere ancora qui adesso, e sapere che comunque andranno le cose non correrò mai più il rischio di dimenticarmi di lei.
Sorrido, mentre lei mi guarda con espressione severa e le braccia incrociate sotto il seno. In mano stringe una matita e davanti a sé ha un libro aperto. È meravigliosa.
«Mi accontento di passare anche col minimo sindacale» le rispondo.
«Non ti devi accontentare» ribatte, impassibile e autoritaria. «Hai mai pensato cosa vorresti fare in futuro?» mi chiede.
«Di sicuro non farò mai il poliziotto» rispondo, mentre un lieve ghigno si dipinge sul mio volto. «Altrimenti ti arresterei e ti farei dare l’ergastolo da scontare qui, in camera mia».
«S-sto parlando seriamente, maiale» sbotta lei, arrossendo leggermente e distogliendo lo sguardo dal mio. «Allora?!» aggiunge, irritata e imbarazzata, riprendendo a guardarmi con aria truce.
«Voglio restare con te finché morte non ci separi!» esclamo solennemente e senza esitazione, raddrizzando la schiena e mettendomi sull’attenti.
Lei mi fissa in silenzio e comincia a premere furiosamente sulla capocchia della matita, facendone uscire tutta la mina. Il suo sguardo di ghiaccio è infuocato.
«Ok, ho capito, faccio il serio…» sbuffo. «Penso… penso che andrò all’università. Anche se non so quale, e non so a far cosa» aggiungo. «E comunque quello che ho detto prima lo pensavo veramente…» borbotto, distogliendo lo sguardo dal suo.
«Beh… guarda… guarda che lo sapevo già quello!» sbotta, arrossendo leggermente. «Anch’io voglio iscrivermi all’università, comunque».
«Non ti concentrerai solo sul lavoro?»
«Posso fare benissimo entrambe le cose, non ho mai avuto difficoltà a studiare» risponde, altezzosa. «Ho deciso di andare all’università pubblica di Yokohama».
«Con i tuoi voti non avrai nessuna difficoltà ad essere ammessa».
«Non ti piacerebbe frequentare la mia stessa università, Rad?»
«Sarebbe bellissimo…» sospiro.
«Allora devi studiare tanto per questo!» sbotta di nuovo. «E reputati fortunato che non ti do un’altra sberla per essere nato con quindici giorni di ritardo e non poter iniziare direttamente con me l’università l’anno prossimo!»
«Ma io cosa c’entro se sono nato il 15 aprile?!» protesto, facendola sorridere.
«Mettiti sotto a studiare allora, se non vuoi incorrere nella mia ira!» scherza lei.
«Il problema è che a volte non mi sembra di avere la testa per riuscire a studiare come vorrei… ci sono giorni in cui mi sembra di non capire niente» sospiro, serio.
«E se ti spiegassi le cose con indosso il mio completino da coniglietta? Studieresti impegnandoti di più così?» propone Lazuli, arrossendo leggermente e lasciandomi di sasso. Il suo completino è sempre rimasto qui a casa mia da quando me l’ha lasciato.
«Sarei motivato alla grande sotto ogni punto di vista!» esclamo all’istante, scattando di nuovo sull’attenti.
«Fai questo esercizio allora…» sospira lei, mostrandomi una cosa sul libro e alzandosi, uscendo dalla stanza.
Poco dopo rientra e si siede di nuovo davanti a me, impassibile, incrociando di nuovo le braccia e mettendo ancora di più il risalto il suo seno, che emerge prepotentemente dallo scollatissimo body lucido nero del suo completino da coniglietta. Mi guarda negli occhi e io la fisso a mia volta, sognante e muto. Sì, perché ho perso le parole. Perché è troppo bella vestita così, è meravigliosa come quel giorno in biblioteca. Quel giorno che mi ha cambiato la vita.
«Beh?! C’è qualcosa che non va?!» domanda, lapidaria e scocciata. Il suo sguardo è duro, ma le sue gote leggermente arrossate la tradiscono ancora una volta, mentre una delle lunghe orecchie nere da coniglio del suo cerchietto si piega un po’ in avanti.
«Non credevo l’avresti indossato davvero… sei incantevole come quel giorno» le sorrido.
«Guarda il libro, non me!» mi gela, indicando severamente con il dito l’esercizio che dovrei svolgere.
«Ti senti bene, Là?» le chiedo.
In effetti non credevo davvero si sarebbe vestita così per me per motivarmi a studiare. L’altra volta aveva rifiutato la mia proposta, stavolta è partito addirittura tutto da lei.
«Perché?!»
«Perché sei stranamente accomodante con me, stasera. A parte per il ceffone che mi hai dato prima, vabbè» rido, mettendomi una mano dietro la nuca. «Ti è per caso successo qualcosa o ti sono solo mancato tantissimo in questi giorni?»
«Non direi…» sospira, incrociando di nuovo le braccia sotto il seno e distogliendo lo sguardo dal mio. Arrossisce un po’ di più, la sua voce si fa quasi tremante. «È solo che… è solo che penso sia giusto assecondarti, di tanto in tanto. Anche se sei un pervertito» aggiunge in un sussurro. «Ah, e scusa per la sberla di prima».
«Ma va, lo sai che sono un masochista e tu sei la mia regina, no?!» rido. «E mi fa piacere se mi assecondi, ma non mi sembra che tu abbia risposto alla mia domanda».
«È… è solo che non pensavo che avresti attaccato briga con qualcuno per lei!» sbotta, sgranando gli occhi e fissandoli nei miei. «Ho visto i video, scemo!»
«Ma ti avevo raccontato tutto ieri al telefono!» mi giustifico.
«Lo so, ma mi ha fatto male lo stesso vedere quelle cose…» sospira, stringendo i pugni. «Perché lei… perché lei… ecco… sembrava la tua vera ragazza…» aggiunge, abbassando lo sguardo.
Sorrido, mentre mi sento improvvisamente molto più leggero. È bello sapere che la persona che ami sia gelosa di te. Che pensa a te, che si preoccupa per te.
Gattono dal suo lato del tavolino e le sollevo il mento delicatamente tra indice e pollice. I suoi occhi di ghiaccio sono lucidi. Orgoglio, rabbia, dolore. È questo che ci leggo dentro. Ma soprattutto ci leggo dentro anche l’amore. Quell’amore che so che prova per me, anche se non me lo dice. Perché lei sa benissimo che non ha bisogno di dirmelo perché io ne sia consapevole.
«Volevi solo le mie attenzioni, allora» le soffio sulle labbra con voce roca.
«Guarda che ti do un pugno se lo dici di nuovo…» sussurra lei, poco convinta, mordicchiandosi il labbro inferiore.
«Ma lo sai già che io vedo solo te… e che voglio solo te» le dico sottovoce. «Ieri ho fatto a botte soprattutto perché pensavo a te, al nostro futuro» aggiungo, cingendola con un braccio intorno alla vita e stringendola a me.
«Rad…» geme lei, con il suo seno che fatica a restare compresso in quello striminzito body che preme contro le cicatrici del mio petto.
«Sai, Là, io ho sempre sognato di volare nel cielo. Forse per quello mi piace guardarlo, come mi piace osservare il mare» le spiego, ormai a pochi millimetri dalla sua bocca. Lei mi lascia fare, si affida a me. Sento la sua mano accarezzarmi la nuca e scendere sul collo, mentre un orecchio da coniglia si appoggia sui mie folti capelli neri. «Però mi sono sempre sentito come un uccello incapace di volare. Un uccello di cui avevo letto la storia su un libro, da bambino. Un uccello con una sola ala» proseguo. Lei sgrana gli occhi, come se sapesse di cosa sto parlando.
«Rad, anch’io…».
«Shhh…» la interrompo, appoggiandole un dito sulle sue morbide labbra. «Io insieme a te posso volare in quel cielo che ho sempre sognato di raggiungere. Insieme possiamo farlo» le spiego dolcemente. «Solo con te voglio volare, questo devi sempre tenerlo a mente» aggiungo, prima di sigillare il mio discorso con un bacio avido e prepotente. Un bacio che lei ricambia con tutta sé stessa, stringendomi forte a sé.
La prendo in braccio come se fosse una principessa, in silenzio, e la appoggio sul letto, sdraiandomi poi sopra di lei e riprendendo a baciarla.
Lei non mi ferma, non dice niente. Continua a baciarmi. Mi fa capire di non fermarmi.
La mia eccitazione preme contro il suo bacino, ed è proprio lei a infilare la mano nei miei pantaloncini facendomi gemere dal piacere. Le bacio il collo, mentre scosto la parte inferiore del suo body con le dita e incontro per la prima volta la sua femminilità. Così calda, così bagnata, così invitante. La sento ansimare, mentre mi graffia la schiena con la sua mano infilata sotto alla mia maglietta. Sento il suo profumo di donna, il suo profumo d’amore. Lo respiro a pieni polmoni.
È tutto così nuovo per me, e anche per lei. Ed è tutto così bello. Così bello che vorrei non finisse mai questo momento…
«Fratellone!»
Bum bum bum
Sento bussare freneticamente alla porta di camera mia, chiusa a chiave da Lazuli, evidentemente, quando è tornata di qua vestita da coniglietta. Che avesse previsto tutto questo?! È diabolica, allora. E mi piace ancora di più.
«Fratellone!» grida ancora Goku, cominciando a farmi imprecare mentalmente.
Sono a un passo dal paradiso, Goku! Cazzo!
«Rad…» sospira Lazuli, accarezzandomi la nuca e sorridendomi rassegnata.
«Emergenza, fratellone!»
Bum bum bum
«Cosa c’è?! Stiamo studiando per gli esami!» sbotto, coi nervi a fior di pelle.
«Balzar ha vomitato per terra davanti alla televisione!»
Merda! Merda, merda, merda! Gatto di merda!
«Lascia lì e vai a letto, pulisco dopo io!» dico, cercando di baciare di nuovo Lazuli, che, in tutta risposta mi dà uno scappellotto sulla nuca.
«Vai a prenderti cura del tuo gatto» dice severamente, indicandomi perentoria l’uscita della stanza. «Dovresti sapere che amo gli animali, e poi in ogni caso la poesia del momento è andata a farsi benedire».
«Già… cazzo…» sbuffo, rialzandomi e cercando di darmi un contegno, visto che sono chiaramente in condizioni pietose. Anche Lazuli si mette a sedere sul letto e cerca di ricomporsi, mentre apro la porta della stanza e mi trovo Goku davanti che saltella.
«Emergenza, fratellone! Emergenza!» esclama freneticamente, indicandomi Balzar, seduto sul pavimento accanto alla piccola chiazza di cibo che ha appena rimesso.
«Quante volte ti ho spiegato di non farlo mangiare come un porco mentre guardate la tele insieme?!» sbotto, guardando male mio fratello minore, che indossa la maglietta dei dinosauri che gli ha regalato Lazuli.
«Scusa fratellone…» farfuglia, abbassando la testa mortificato. «Urca! Ti stai preparando per il prossimo Carnevale, Lazuli-san?! O per un recita a scuola?!» aggiunge, vedendo la mia coniglietta preferita seduta ancora sul letto. Lei lo fissa allibita, prima di sciogliersi in un sorriso. Ha i capelli ancora scompigliati e il cerchietto con le orecchie tutto storto su un lato. I nostri sguardi si incrociano e non riusciamo a non scoppiare a ridere di gusto.
«Uffa, Goku-kun non capisce!» protesta mio fratello.
«È come hai detto tu, Goku!» gli dico, scompigliandogli i capelli. «Dai, dammi una mano a pulire che poi devo tornare a studiare!»
 
«Bene, vogliamo ricominciare?» chiedo roco a Lazuli, una volta tornato in camera. Si è rimessa di nuovo al tavolino e sta studiando per conto suo. Dopotutto anche lei ha gli esami sabato, e avrà avuto ben poco tempo per prepararsi durante le riprese del telefilm. «Ho mandato a letto Goku».
«Ti sei lavato bene le mani?» mi chiede, senza alzare gli occhi dal suo quaderno.
«Certo, sono tutto tuo».
«Allora riprendiamo a studiare, ci tengo che tu faccia l’università con me, per le altre cose ci sarà tempo e modo» decreta, ponendo fine ai miei sogni di gloria per oggi.
«Ah già, ti sei pulito per bene la scarpa con cui hai detto di aver pestato la cacca ieri?»
«Era una cazzata per far prendere un colpo a quello sfigato!» rido.
«Ci avrei scommesso» dice lei, sollevando lo sguardo dal quaderno e incatenando i suoi occhi di ghiaccio nei miei, con un sorriso sadico dipinto sul viso.
«Dobbiamo studiare per forza?» piagnucolo. «Mi farai impazzire, lo sai? Soprattutto vestita così».
«È quello che voglio, infatti» sibila, sorridendomi furba di nuovo. «Farti impazzire, intendo» aggiunge, sadica. «Studia, adesso. Io non verrò a scuola fino a sabato per fare una full immersion di studio per gli esami, dovendomi preparare per le riprese ed essendo stata quasi sempre sul set ho avuto pochissimo tempo».
«Sarà ancora peggio a scuola senza di te, che palle…».
«Tanto devi ancora fingere di fare il fidanzatino della primina, no? Divertiti con lei» risponde, gelida.
«Sei cattiva, Là».
«Lo so».
«Ti odio».
«No che non mi odi».
«Infatti ti amo».
«Ci mancherebbe» accenna un sorriso, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e guardandomi con i suoi occhi di ghiaccio che brillano. «Adesso studia, scimmione».
Ce la metto tutta, riesco anche a fare alcuni esercizi e a capirci qualcosa. Mi ritengo abbastanza soddisfatto, dai.
«È da un po’ che volevo dirti una cosa» mi interrompe Lazuli a un certo punto, appoggiando la matita sul tavolo e guardandomi. «Penso che dovresti riprendere a giocare a calcio. E penso anche che ti prenderanno subito nella squadra dell’università di Yokohama».
«Perché dici questo?»
«Perché so che sei forte. E perché so che a Yokohama ci sono ben due squadre della J-League, oltre al fatto che Tokyo è qui attaccata. Ci saranno sempre osservatori alle partite, e tu lo sai meglio di me» dice, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «E poi a Yokohama si è giocata la finale dei Mondiali del 2002, è destino che la tua carriera parta da lì».
«E tu come fai a sapere che sono bravo a giocare? Te l’ha detto Napa?» le chiedo, sapendo che il capitano e portiere del club di calcio è in classe con lei. «E poi non sapevo che fossi preparata anche sul calcio. Non smetti mai di stupirmi».
«Guarda che mi è sempre piaciuto il calcio» sbotta lei. «E so anche che a Yokohama gioca ancora Miura. Anche se ha più di cinquant’anni ormai, se la cava meglio di gran parte dei suoi compagni di squadra».
«Wow, sei una fan dell’eterno King Kazu?!» le chiedo stupito. «Il primo giapponese a giocare in Italia, lo adoro!»
«Certo che sono una sua fan anch’io» dice, con apparente distacco. «E comunque non ho parlato con nessuno del club di calcio, per quanto riguarda te. Parlo il minimo indispensabile con la gente, dovresti saperlo».
«E allora come puoi dire che sono bravo? Credi in me solo perché sono io?»
«Questo è ovvio, scemo» mi fredda. «Ma ti dico così anche perché ti ho visto giocare, una volta. E perché ne capisco di calcio» aggiunge, serissima. «Tu sei forte, Rad. E hai i mezzi per sfondare nel calcio, così come io sono sicura che sfonderò nello spettacolo dopo che tu mi hai spinto a rientraci».
«Mi hai visto giocare?!» esclamo, sbigottito. «Non gioco una partita dall’estate scorsa, ormai! Ho giusto tenuto duro in qualche modo nel primo semestre del mio primo anno al liceo, ma riuscivo ad allenarmi poco e ho giocato pochissime partite» aggiungo, non riuscendo a nascondere una nota malinconica. «E poi, scusa, neanche mi conoscevi!»
«È vero, non ti conoscevo. Ma, quando ti sei presentato quel giorno in biblioteca, io sapevo benissimo che eri un kohai della mia scuola, anche se non sapevo il tuo nome» mi spiega, serissima. «Ti ho visto giocare una sola volta, ma mi eri rimasto impresso».
«Mi stai prendendo in giro, Là?»
«Ti sembro una che ha voglia di scherzare?!» mi fulmina con lo sguardo, facendo ondeggiare entrambe le orecchie da coniglio del suo cerchietto.
«Sei adorabile, lo sai?»
«Questo lo so già, cretino» sbuffa, incrociando le braccia sotto il seno e distogliendo lo sguardo dal mio. «Io… ecco, io… ero rimasta a vedere una partita che era appena iniziata perché mi piaceva quel capellone con la maglia numero 5» sibila, arrossendo visibilmente. Mi si riempie il cuore a sentire tutto questo. Uno come me piaceva a una come Lazuli Eighteen già allora?! «Ero venuta a consegnare dei moduli a scuola quel giorno di fine luglio, durante la pausa estiva. E ho visto che c’era una partita di calcio appena iniziata, proprio sullo stesso campo dove tu ti sei dichiarato quaranta giorni fa» mi spiega, alzando lo sguardo verso il cielo fuori dalla finestra. «Stavo per andarmene, poi ho visto te».
«Ero bello a tal punto da folgorare una celebrità come Lazuli Eighteen?» la provoco, guadagnandomi un’occhiataccia glaciale come risposta. Però l’ho fatta arrossire un po’ di più. Le sorrido. Non potrei essere più felice nel sentirle dire queste cose.
«Non capita tutti i giorni di vedere un primino che gioca titolare in difesa e non fa toccare palla al centravanti avversario. Soprattutto uno come quello là, che era più grosso di te e probabilmente del terzo anno» dice Lazuli, con apparente distacco. «E non capita tutti i giorni di vedere un difensore far goal» aggiunge, accennando un sorriso. «Me lo ricordo benissimo, avevi segnato di testa proprio nella porta dietro cui stavo guardando io la partita. Avevate vinto 3-0 contro una squadra di Kawasaki».
«Già, è stata la mia ultima partita quella».
«Lo so, ero venuta apposta al campo per vedere la partita successiva qualche giorno dopo. Ma, dato che non eri in campo e nemmeno in panchina me ne sono tornata a casa. Poi ho saputo che la tua squadra perse malamente quel giorno senza di te e venne eliminata».
«È vero…» sospiro. «Ma, scusa, hai detto che eri dietro alla porta?! Allora eri tu quella ragazza!» esclamo, ricordando benissimo di aver incrociato i suoi occhi proprio mentre prendevo posizione nell’area di rigore, in attesa della battuta del calcio d’angolo sui cui sviluppi avrei poi segnato. Era stato un istante ed ero concentrato sulla partita, quindi non l’avevo riconosciuta.
«Sì, ero lì da sola» annuisce. «E mi ero messa lì a guardare la partita proprio per restare da sola. Indossavo un cappellino con la visiera per non farmi riconoscere da nessuno».
«Forse non ci crederai, ma prima di segnare sono certo di aver incrociato il tuo sguardo per un istante, quel giorno» le spiego. «Tu mi piacevi già allora… mi piacevi da sempre, in realtà… ma non ti avevo riconosciuta».
«Certo che me li ricordo i tuoi occhi di quel giorno, Rad» conferma lei, sorridendo. «E infatti, da quel giorno, non ti ho mai perso di vista a scuola. In realtà mi faceva piacere quando mi accorgevo che mi guardavi anche tu. Perché so che mi guardavi spesso anche se tu pensavi di non essere visto. Non sono mica scema».
«Davvero?! Cioè, davvero a volte mi guardavi anche tu?!» esclamo, facendola arrossire di nuovo. «Non potevamo conoscerci prima, allora?!»
«Io sono diffidente di natura, non avrei mai fatto il primo passo» mi spiega. «Però speravo che un giorno ti saresti fatto avanti, almeno per poter decidere se valeva la pena darti una possibilità o meno di conoscermi».
«E perché allora in biblioteca eri stata così sfuggente quando ci siamo parlati per la prima volta due mesi fa?»
«Perché non volevo coinvolgerti nei miei problemi» dice, e i suoi occhi diventano lucidi. «Perché sono sempre stata convinta di essere una ragazza problematica».
«Invece sei la ragazza più speciale del mondo, questo non te lo devi mai dimenticare» le sorrido, accarezzandole delicatamente una guancia e facendola sorridere a sua volta. Mi strange la mano con entrambe le sue e muove lentamente la testa, appoggiandola alla mia mano aperta.
«Torna in campo, Rad» riprende, dolcemente. «Quando diventerai un calciatore mi piacerebbe tanto girare qualche pubblicità insieme a te, lo sai?»
«Sarebbe bellissimo, Là» rispondo, felice. «Sono certo che ce la faremo, spero di poter riprendere il prima possibile a giocare, magari già nel secondo semestre di quest’anno» aggiungo, malinconico. «Ma non dipende solo da me. Devo lavorare tanto, devo badare a mio fratello, devo far funzionare le cose… e poi… poi dipende soprattutto dai miei genitori…».
«Rad» mi dice Lazuli, venendosi a sedere accanto a me e accarezzandomi la nuca. «Ho capito da sola da quando ti conosco che non è un argomento che ami, ma ti va di parlarmi dei tuoi genitori? Non mi hai mai spiegato dove sono… e poi sono convinta che non mi hai detto tutto su tuo fratello».
«Già…» sorrido malinconico, guardandola negli occhi. «Tu sei sempre un passo avanti, Là. Tu mi capisci senza che io abbia bisogno di parlarti. Sei fantastica».
«Tu hai fatto tanto per me, vorrei esserti di aiuto anch’io, se posso, in qualche modo» mi dice dolcemente.
«Tu fai già tantissimo per me. Neanche tu immagini quanto, forse» ribatto.
«Ma vorrei fare di più. Devi sempre ricordarti che a me puoi dire tutto. E che io ci sarò sempre per te» risponde, serissima. «Io sarò sempre dalla tua parte».
«Non saprei come fare, senza di te» sospiro. «Ti racconto tutto quello che ancora non sai, allora».
 
 
 
 
 
 
 
Note: eccoci, un finale un po’ così, giusto per farsi odiare. :-)
I prossimi due capitoli, infatti, saranno dedicati a dei lunghi flashback in cui Rad racconta a Là un po’ di cose sul suo passato e sui suoi genitori, su Goku e persino su Videl. So che molti di voi aspettavano questo momento sin dai primi capitoli per saperne di più, spero che apprezzerete! Cosa sarà successo a Gine e Bardack? Dove sono?
Ma, tornando a questo capitolo, spero che vi sia piaciuto il ritorno di Là e quello che si dicono e fanno lei e Rad. Avete maledetto anche voi Goku e il gatto Balzar in quel momento, vero?! Povero Rad,  presidente onorario del team “mai una gioia”! ;-)
Chissà se e quando i nostri adorati protagonisti avranno la loro prima volta, in effetti era stato sudato anche il loro primo bacio se ricordate.
 
Però scopriamo una cosa molto carina secondo me: Lazuli aveva già adocchiato Radish un anno prima quando gli aveva visto giocare la sua ultima partita e i due si erano già scambiati inconsapevolmente il loro primo sguardo! Rad segna in quel momento, anche se aveva già rubato il cuore della sua senpai senza saperlo. Tornerà davvero in campo prima o poi?
Penso che sia molto bello il modo in cui lei lo sprona, al di là del fatto che sia appassionata di calcio (una cosa comune in Giappone per le ragazze, la nazionale femminile di calcio è tra le più forti al mondo ed è considerato uno sport unisex da loro, come in effetti dovrebbe essere anche secondo me) e se ne intenda. Ovviamente c’è molto di me in quella parte, a partire dal ruolo e dal numero di maglia che aveva Rad. Spero vi sia piaciuta la digressione calcistica, in cui inseriamo anche Kazuyoshi Miura, miglior marcatore della storia della nazionale giapponese e primo nipponico a giocare e segnare nel campionato italiano (nel lontano 1994, con la maglia del Genoa, in un epoca in cui era considerato una cosa da pionieri o folli sognatori andare a giocare fuori dall’Asia per un giapponese, figuriamoci nel campionato più difficile del mondo come il nostro). Ha 52 anni e, non so come faccia, gioca ancora nello Yokohama F.C. e lo fa anche bene da quel che leggo, anche se da attaccante si è trasformato ormai in centrocampista. “King Kazu” è il suo soprannome e pensate che compare persino nel Movie 16 di Detective Conan intitolato “L’Undicesimo Attaccante”, magari l’avete anche visto qualche anno fa.
Un paio di spiegazioni geografiche: Yokohama, la città in cui vorrebbero andare insieme all’università Rad e Là, è a meno di 20km da Fujisawa, mentre Kawasaki ne dista circa una trentina.
 
Bene, vi mancava Là vestita da coniglietta?! Ringrazio subito la Misatona per un’altra bellissima versione di Bunny Lazuli che calza a pennello con questo capitolo! Spero poi, appunto, che vi sia piaciuta quella parte del capitolo tra lei e Rad!
Un grazie specialissimo a chi mi lascia sempre il suo parere e che dimostra sempre entusiasmo per questa storia, a chi continua a leggere e a inserire nelle liste. Per me è sempre un onore, non esitate a farmi domande se avete dubbi o anche solo per un incoraggiamento o un consiglio, sempre ben accetti! ;-)
 
Ok, non mi resta che augurarvi un buon 1 maggio e darvi appuntamento a mercoledì prossimo con “Una realtà che lacera il petto”, dove finalmente conosceremo Bardack e Gine! Ci vediamo invece già domenica con chi di voi sta seguendo anche Mythos, sarà un gran capitolo anche quello e dal titolo inequivocabile di “Lazuli Medusa”!
 
Teo
 

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Capitolo 15
*** Una realtà che lacera il petto ***


15 – Una realtà che lacera il petto
 
 
 
Due anni prima
 
«Alzati, Goku! Possibile che tu sia sempre in ritardo?!» esclamo, entrando nella stanza di mio fratello e accendendo la luce. Sempre la stessa storia: io già pronto per andare a scuola e lui  ancora a letto. E ce ne vuole a essere più ritardatari di me, eh. «Muoviti, la mamma ha già messo in tavola la colazione!»
Guardo mio fratello destarsi lentamente e mettersi a sedere contro la testiera del letto. Sembra intontito. Più del solito, almeno.
Però oggi è una giornata diversa. A qualche giorno di distanza da quando sono comparse quelle strane ferite sul corpo di Goku, i nostri genitori vogliono che torni a scuola. Loro pensano che se le sia autoinflitte, in più ha cancellato subito i messaggi minacciosi che dice di aver ricevuto. Solo io gli credo, e non capisco perché i miei si comportino così.
Certo, gli sono stati vicini più che mai in questi giorni. L’hanno fatto sentire bene, l’ho visto anche tornare a sorridere grazie alle parole e ai gesti d’affetto di nostra madre. Però… però non mi sembra giusto tutto questo. Io le ho viste comparire davanti ai miei occhi quelle ferite e ho cominciato a trovare in rete notizie relative a una certa Sindrome della Pubertà. Molti dicono che sono solo voci, leggende metropolitane. Io mi sento smarrito, ma sto cercando di fare del mio meglio per aiutare mio fratello. Ad esempio oggi lo accompagnerò a scuola, e voglio vedere se i suoi compagni che gli hanno creato problemi si azzarderanno ancora a comportarsi così dopo che gli avrò messo paura. Goku non voleva tornare, diceva di non sentirsi ancora pronto. I miei hanno insistito, però. Spero che andrà tutto per il meglio.
«Dai, non fare così…» cerco di rassicurarlo. «La mamma e il papà vogliono che torni a scuola oggi, ti accompagno io in classe e faccio brutto con quei tuoi compagni che ti hanno rotto le palle, vedrai che non lo faranno più. Ci penso io, te l’ho detto anche ieri sera».
«E-e tu chi sei?!» urla, sgranando gli occhi, con una voce che non sembra nemmeno la sua.
«Eh?! Dai, Goku, è tardi…» sbuffo, facendo per uscire.
«D-dove mi trovo?!» grida, guardandosi intorno freneticamente. Sembra spaventato. Tanto, anche. «Cosa sta succedendo?! Io… io…».
 
«I sintomi di Goku indicano una forma di disturbo dissociativo» ci spiega la dottoressa, stringendo tra le mani gli esiti degli esami a cui è stato sottoposto mio fratello. Ora sta dormendo, ricoverato nell’ospedale vicino alla spiaggia di Shichirigahama.
«D-disturbo dissociativo?» ripete mia mamma con voce tremante. «Bardack, io…» aggiunge, guardando spaventata mio padre, seduto accanto a lei.
«Andrà tutto bene, Gine. Dobbiamo cercare di stare calmi» prova a rincuorarla lui, in tono poco convinto, cingendo le sue spalle con un braccio. Li osservo da dietro, in piedi, e mi fa paura vederli così spaventati.
Cosa sta succedendo?! Davvero i miei genitori hanno paura?! Ho sempre pensato che i genitori fossero quel genere di persone che risolvono i problemi, come fossero degli eroi. Che sanno sempre quello che bisogna fare. Che hanno le soluzioni.
Non ho ancora quindici anni, e mi sembra di scoprire un’amara verità: i genitori sono persone normali, come noi figli, e non sempre sanno quello che devono fare. A volte hanno paura. A volte possono sbagliare, probabilmente.
«È una patologia che provoca nel soggetto una perdita della propria identità, della consapevolezza di sé» riprende la dottoressa. «Come è successo a vostro figlio, anche molti altri pazienti hanno manifestato una perdita parziale o totale della memoria. In questo preciso momento non ha ricordi legati a voi, nonostante siate la sua famiglia».
«Com’è potuto succedere?!» sbotta mio papà, mentre mia madre scoppia in lacrime.
Abbasso la testa. Stringo i pugni.
Sento per la prima volta una fitta trapassarmi il petto. Ma è solo un attimo. Sto bene.
«Uno stress estremo o un forte trauma psicologico possono essere tra le possibili cause» risponde la dottoressa, in tono asettico.
Gli insulti ricevuti sono stati qualcosa di talmente doloroso per Goku da portarlo a disfarsi di una parte dei suoi ricordi. Probabilmente, facendo così, è riuscito a non crollare del tutto.
 
All’inizio non è stato facile interagire con lui. Non sapevo come fare, non si ricordava davvero più nulla.
«Goku, mi sono fermato a comprarti un manga mentre venivo qui!» esclamo, entrando nella stanza di ospedale di mio fratello e porgendogli il nuovo fumetto della sua serie preferita. Lui ama leggere, soprattutto i manga. Cerco di riavvicinarmi a lui un passo alla volta. «Mi avevi detto che non vedevi l’ora di leggerlo».
Volge lo sguardo verso di me, ma i suoi occhi sono vacui. «G-grazie…» farfuglia timidamente, con una voce che ancora fatico a riconoscere come sua. Sì, perché il timbro della sua voce è diventato più infantile, come certi suoi atteggiamenti. E anche il suo carattere è diverso. «E-ehm… a Goku-san piaceva questa serie?» domanda, impaurito, stringendo forte tra le mani il manga che gli ho dato.
“Goku-san”… il modo in cui ha cominciato a chiamare il vecchio sé stesso, quello di cui non ha più nessun ricordo. Quello che tutti rivogliono indietro. Quello che merita rispetto anche secondo lui, a giudicare da quel “-san” finale.
«S-sai… Goku non si ricorda di questa serie…» sussurra, guardandomi negl’occhi e accennando un sorriso. «N-non sei arrabbiato, vero? Almeno a te piace Goku?» mi chiede, con gli occhi che si riempiono di lacrime. «Tutti vogliono Goku-san, ma io sono solo Goku… e non so cosa fare…» sospira, tirando su col naso.
Mi fa una pena che non saprei descrivere.
“Goku”… il modo in cui chiama il sé stesso che è adesso, la persona priva di ricordi che è.
Sento il cuore andare in frantumi. E una scossa attraversarmi il petto, ancora una volta. Porto istintivamente una mano nel punto che mi fa male e stringo la camicia. Ansimo.
«S-stai bene, fratellone?» domanda timidamente Goku, allungando una mano fino a sfiorarmi i capelli, per poi ritrarla istintivamente. «G-goku può chiamarti fratellone anche se sei il fratellone di Goku-san?»
«Certo che puoi» gli sorrido dolcemente, rialzando la testa. Il dolore è passato, anche stavolta. «Anzi, devi chiamarmi così: perché io sono il fratellone di Goku, non di Goku-san!»
 
Passano i giorni e le cose, poco alla volta, vanno sempre meglio tra me e lui. Tra un esame e l’altro a cui lo sottopongono e tra un pianto disperato e l’altro di mia mamma, che si sente terribilmente in colpa, imparo a conoscere meglio la nuova versione di mio fratello minore. Non solo il suo modo di parlare e la sua voce sono cambiate, ma è anche diventato mancino, ad esempio. Sono cambiati i suoi gusti relativi al cibo e alle cose che adesso sembrano interessargli. Un giorno ho cominciato a parlargli dei dinosauri e lui ha subito dimostrato tanto entusiasmo per questo. Non gli erano mai piaciuti, ero io un loro fan quando ero piccolo, soprattutto, ma la stessa passione non l’avevo mai condivisa con mio fratello.
Una volta dimesso dall’ospedale e tornato a casa, continuo a notare nuovi cambiamenti in lui: cammina in modo diverso da quello che ricordavo, si rifiuta di uscire di casa e anche i suoi vestiti sembrano non piacergli più, come gran parte delle sue cose.
Non è più il Goku che conoscevo, ma gli voglio bene lo stesso.
Anche il suo modo di rapportarsi coi nostri genitori è molto cambiato. Per lui sono praticamente degli estranei. Sembra impaurito e imbarazzato davanti a loro, come se pensasse di averli delusi perché non è più in grado di essere la persona che loro ricordavano e che loro vorrebbero che tornasse a essere. Gli mettono addosso pressione e neanche se ne rendono conto. Non lo fanno con cattiveria, questo l’ho capito, però sembra che non lo accettino. Provo a parlargliene, ma anche mia madre non la riconosco più. Ogni giorno che passa mi sembra diversa. Appena Goku è stato male piangeva continuamente, ora sorride sempre, senza motivo. Ma il suo è un sorriso vuoto, come i suoi occhi neri che ormai sembrano grigi da quanto sono spenti. Non sta più andando al lavoro, resta sempre in casa insieme a Goku. Parla sempre di meno con noi.
Mio padre sembra invecchiato di anni nel giro di pochi giorni. I suoi occhi sono perennemente arrossati, è diventato sfuggente anche lui e sembra essersi chiuso in sé stesso. Ha sempre la barba incolta, ormai. Quella stessa barba che non riesce a crescere sulla profonda cicatrice che gli solca la guancia da sempre e che non ho mai ben capito come si sia procurato. Una volta, quando ero piccolo, mia madre mi aveva spiegato che se l’era fatta facendo a botte con dei teppisti più grandi di lui quando andava al liceo, e che quindi io non avrei mai dovuto lasciarmi coinvolgere in una rissa.
Vago come un fantasma per casa, mentre osservo intorno a me la mia famiglia sgretolarsi lentamente e inesorabilmente, consumata dal dolore e dai sensi di colpa.
Non ho ancora quindici anni e mi ritrovo in mezzo, in un limbo di cui non intravedo più né l’inizio né la fine. Ogni giorno mi sembra di avere un peso sempre più grande da portare sulle spalle. Ci sono momenti in cui mi sembra di soffocare, ma non lo dico a nessuno. Non so cosa devo fare, non so come sistemare le cose… ma so che devo farmi vedere forte, indifferente. Anche se le fitte al petto sono diventate sempre più frequenti e sempre più lunghe, soprattutto alla sera, quando vado a letto e provo a dormire.
Non ho ancora quindici anni, ma ogni giorno che passa mi sembra di avere un mondo sempre più grande da portare sulle spalle. Un mondo fatto di problemi più grandi di me. Di paure. Di speranze. Un mondo che mi schiaccia, che mi opprime, che mi toglie il respiro. Una realtà che mi lacera il petto.
 
Uno di quei giorni, torno a casa da scuola nel tardo pomeriggio e vedo Goku in salotto intento ad accarezzare Balzar.
«Ciao fratellone!» mi sorride, senza rendersi conto di avere un enorme ematoma tra la parte superiore del petto e la mascella. No, non di nuovo!
«Mamma!» grido, correndo a cercarla. Penso sia in camera da letto. «A Goku… a Goku sono comparsi di nuovo quei lividi! Sta succedendo di nuovo!»
«Ah, capisco» risponde in tono asettico. Non mi guarda nemmeno, mentre mi cadono letteralmente le braccia lungo i fianchi. È seduta per terra, intenta a sbattere e poi ripiegare con cura una pila di vestiti di Goku. Il suo sguardo è vacuo, ormai non sorride neanche più senza motivo. «Va tutto bene, Goku. Va tutto bene, Goku» continua a ripetere in un perenne sussurro simile a una cantilena. I miei occhi si riempiono di lacrime, incapace di accettare questa realtà del cazzo che si è portata via prima mio fratello e ora mia madre. Chi sarà il prossimo?! Io o mio padre?! Chi crollerà per primo?!
Mi avvicino a lei, tremando, mentre sta piegando l’ennesima maglietta di mio fratello con estrema cura. La accarezza dolcemente, prima di riporla con le altre.
Crollo in ginocchio davanti a lei, con gli occhi sgranati, mentre il petto comincia a farmi così male che temo potrebbe esplodere da un momento all’altro.
«Mamma… io…» le dico, mentre sento lacrime calde bagnarmi le guance.
«Non devi preoccuparti di nulla, Radish» ribatte lei, tranquilla, guardandomi finalmente negli occhi. «Perché stai piangendo? Va tutto bene, Radish. Goku sta bene, Radish» comincia a cantilenare.
Il petto mi fa sempre più male. Sempre di più.
Mi viene spontaneo un gesto che non facevo più da chissà quanti anni, forse da quando andavo all’asilo: abbraccio mia madre. Piango abbracciato a mia madre. Lei smette di piegare l’ennesima maglietta di Goku e mi abbraccia per un istante che sembra infinito. Sento anche una sua lacrima bagnarmi il volto, e il petto comincia a farmi meno male. Poi si stacca improvvisamente da me e ricomincia il suo lavoro, e con esso la sua nenia. Non piange più. «Va tutto bene, Goku. Va tutto bene, Goku».
Mia mamma non ha retto il colpo per tutto quello che sta succedendo e la sua salute mentale ne è uscita compromessa.
Un rumore attira la mia attenzione. Mi volto e vedo mio padre che osserva impietrito la scena, con la valigetta da lavoro abbandonata ai suoi piedi. Ha gli occhi sgranati, la bocca semiaperta. Le sue mani tremano. E sta piangendo. Non avevo mai visto piangere mio padre, non pensavo nemmeno che i papà sapessero piangere.
Una nuova fitta al petto mi fa piegare in avanti dal dolore. Comincia di nuovo a mancarmi l’aria. Respiro profondamente, mentre sento le mani di mio padre scuotermi le spalle. Mi dice qualcosa, ma non sento niente. So solo che riesco a farmi forza e a rialzarmi, uscendo dalla stanza. Non devo cedere, almeno io.
 
E, invece, alla fine ho ceduto. Quella stessa notte, una fitta al petto più forte della altre mi sveglia di soprassalto. Mi porto istintivamente una mano all’altezza del cuore e sento qualcosa di strano al tatto. Osservo la mia mano e mi accorgo che è tutta sporca di sangue. Del mio sangue, che sgorga dal petto che mi brucia e mi fa contorcere dal dolore. Mi alzo di scatto, il mio letto è un bagno di sangue. Urlo, mentre mi sfilo la maglia e la getto a terra. Ho tre profondi e lunghi squarci che mi attraversano il petto in diagonale.
Ci ho provato. Ci ho provato davvero a resistere, a essere forte. Ma alla fine non ce l’ho fatta.
Mio padre non c’è, è in ospedale con mia mamma. È stata ricoverata.
Allora era tutto vero: la Sindrome della Pubertà esiste e io sono solo l’ennesima vittima di tutto questo.
«Fratellone! Stai bene?!» grida Goku dalla sua stanza. Mi ha sentito, ma ha paura ad uscire da camera sua di notte. Meglio così, non posso farmi vedere da lui in questo stato.
«S-sì… ho… fatto un incubo!» sbiascico, mentre cerco di tamponarmi le ferite con le lenzuola. «T-torna pure a… dormire!»
Crollo a terra, nelle tenebre. Mi appoggio con la schiena contro il letto e stringo forte il lenzuolo contro il mio petto lacerato da questa realtà del cazzo.
Piango. Piango perché non so cos’altro fare. Perché penso di non meritarmi tutto questo.
 
Mi ritrova così mio padre, la mattina dopo, ma non ricordo molto di quello che è successo. So solo che mi risveglio in un letto d’ospedale, con tutto il torace bendato e nessun dottore disposto a credere alla mia versione dei fatti. Mio padre non dice niente, è stravolto. Fa la spola tra la mia stanza, quella di mia madre in psichiatria e casa nostra, dove c’è Goku.
Per quanto provi a spiegare le mie ragioni, per tutti i dottori il mio è solo un delirio. Un problema psichiatrico simile a quello di mia madre. A un certo punto ho capito che avrebbero trasferito anche me in psichiatria se non l’avessi piantata, e che a quel punto non sarei più uscito da questo ospedale di merda. Secondo loro mi ero autoinflitto quei tre squarci oppure ero stato aggredito da un gruppo di persone a cui non andavo a genio. Te lo ripetono talmente tante volte che alla fine quasi ci credi anche tu che abbiano ragione. Ma io, in realtà, sapevo benissimo com’erano andate le cose. C’erano dei ragazzi ricoverati per vari motivi che mi guardavano come fossi un alieno o un pazzo, magari un criminale, per poi parlottare tra loro. Chissà quali storie si stanno inventando su di me, sulle mie ferite che, dicono i dottori, resteranno impresse sul mio petto. Solo una giornalista, una certa Husky, crede alle mie parole dopo averle sentite per caso. Ma non mi fido di lei, perché dovrei farlo? Sta solo facendo il suo lavoro, dopotutto, anche se è l’unica persona gentile con me qui dentro e ogni tanto viene a farmi compagnia e prova a farmi ridere. Solo che io non so se sono più capace di ridere, nemmeno di sorridere probabilmente.
Mi sento solo, impotente. Non ho potuto salvare Goku, forse non merito neanche di salvare me stesso.
 
 
Lazuli mi abbraccia, interrompendo il mio lungo racconto. Mi stringe forte. Mi lascia sentire il suo cuore battere contro il mio. Appoggiato sulle mie cicatrici. Un sensazione che sa di pace, che mi fa immaginare che il mio petto non sarà mai più sfregiato finché avrò lei al mio fianco. Che mi dà la certezza che nessuna realtà potrà mai più lacerarmi il petto finché potrò specchiarmi nei suoi occhi di ghiaccio. Finché lei sarà qui, davanti a me.
«Come sta tua mamma? La vedi mai?» mi domanda, in un dolce sussurro.
«Mio padre dice che sta migliorando, giorno dopo giorno. Io l’ho vista tre volte da allora, Goku mai. I medici dicono sia meglio così».
«E tuo padre?»
«Lui… lui è stanco. Ho deciso di andare a lavorare perché non ce la faceva più con gli straordinari al lavoro e, allo stesso tempo, badare a mia madre. Ho deciso io di fare così, non me l’ha chiesto lui» le spiego. «Lo sento a volte per telefono, ma viene pochissimo a casa nostra. I medici hanno detto anche a lui di non vedere troppo spesso Goku, che ha bisogno di tranquillità prima di tutto».
«Come fai a convivere con tutto questo dentro di te?» chiede, malinconica. «Come fai a sorridere sempre, a esserci sempre per gli altri, quando nessuno c’è stato per te?»
«Sai, a volte vorrei che la mia vita fosse un film in cui montare solo le parti in cui sono stato felice» le spiego. «Però non si può fare, quindi cerco di sorridere lo stesso. Tanto il passato è passato, ormai, no?»
«Rad, io… io avrei tanto voluto esserci per te, allora, come tu ci sei stato per me quando tutto andava male» sussurra, mentre mi stringe più forte. «Tu sei stato il solo a restarmi accanto, e nemmeno mi conoscevi. Io… io avrei dovuto esserci lo stesso per te, non so come hai potuto superare tutto quello che ti è capitato ed essere la persona che sei adesso».
«Per me l’importante è che ci sei ora, Là. E che ci sarai in futuro, sia quando saremo felici che quando mi pioverà addosso ancora qualche casino» le rispondo, accarezzandole i capelli. «Non devi diventare triste pensando a quello che mi è successo, io ce l’ho fatta lo stesso in qualche modo, no?»
«È stato…» bisbiglia, prima di interrompersi. «No, scusa, niente».
Resto qualche secondo in silenzio, stretto a lei. So dove sta andando a parare e dove finirà questa conversazione. Mi chiedo se sia un bene, per me. Probabilmente no, ma io ho scelto fin dall’inizio che sarei stato sempre sincero con Lazuli. Anche perché so che lei si comporta allo stesso modo nei miei riguardi, non ne ho mai dubitato neanche per un istante.
«Dimmi pure, Là».
Si stacca dal mio petto e mi guarda in faccia, stringendomi entrambe le mani nelle sue. Ha gli occhi lucidi e il cerchietto da coniglietta ormai tutto storto. È bella, che dire “bella” non sarebbe mai abbastanza per descriverla.
«È stato grazie a lei, vero?» sibila, fredda. «È stato grazie a quella ragazza di cui mi avevi parlato una volta se sei riuscito ad andare avanti?»
«Sì… credo di sì…» rispondo, distogliendo lo sguardo dal suo. Videl è il mio passato, ormai. Le sono grato, gliene sarò sempre, ma non provo più nulla per lei.
«Devi dirmi cosa ha fatto per te, cosa è stata per te» riprende, ancora più gelida.
«Io, veramente… non so se abbia senso parlarne adesso, e non mi va molto…» provo a oppormi. «Non provo più nulla per lei, te lo giuro».
«Guarda che mi fido di te, scemo» ribatte, offesa, incrociando le braccia sotto il seno e voltandosi di lato con la faccia. «Però lei c’è stata, a differenza mia, quando tu avevi bisogno di qualcuno» aggiunge, irritata. «Io… io le sono grata per quello che ha fatto per te, anche se mi fa soffrire tutto questo!» sbotta, tornando a guardarmi. «Dobbiamo dirci tutto tra noi, Rad».
«Ok…» sospiro, sorridendole e sistemandole delicatamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio, per poi accarezzarle la guancia.
Accenna un sorriso anche lei, prima di prendere la mia mano e stringerla tra le sue, appoggiandola sulla coscia.
«In ogni caso, anche se ho detto che sono grata a quella là, sappi anche che la odio allo stesso tempo» sibila, glaciale, cominciando lentamente a conficcare le unghie nella dorso della mia mano. «Non sopporto l’idea di quello che possa esserci stato tra voi».
 
 
 
 
 
 
 
Note: una chiusura dedicata a Lazuli in versione soft psycho giusto per stemperare un po’, dopo un capitolo dedicato a un lungo flashback decisamente triste e commovente.
Non lo so, penso che a volte capiti di essere troppo piccoli o di sentirsi non abbastanza forti per affrontare problemi che sono o appaiono troppo grandi.
A volte capita che la realtà faccia così schifo da farci male fisicamente o da distruggerci psicologicamente, non tutti reagiscono allo stesso modo e con gli stessi tempi. Alcuni ce la fanno da soli, altri hanno bisogno di aiuto. Ci sono quelli che capiscono che il mondo non può cambiare, ma possono cambiare gli occhi con cui guardarlo e lo spirito con cui affrontarlo. Rad penso faccia parte di quest’ultima categoria e, a modo suo, anche Lazuli, di cui comunque abbiamo saputo qualcosa relativamente a un passato difficile sin da quando era piccolissima.
C’era tanta attesa per Bardack e Gine, spero ne sia valsa la pena nonostante non emergano come dei genitori modello, anche se probabilmente neanche se ne rendono conto, come spesso capita a molti genitori se proviamo ad analizzare con freddezza i loro comportamenti. Però non sono cattivi, e il fatto che Gine crolli è per “eccesso” d’amore e dispiacere nei confronti di Goku. Il paragone con la mamma di Lazuli mi sembra impietoso in questo senso, per non parlare del padre, che di fatto l’ha abbandonata appena nata e si è fatto subito una nuova famiglia con un’altra figlia.
Scopriamo anche tutto su Goku e sul perché è così, sul motivo per cui si esprime così. Da quando Là l’ha chiamato “Goku-kun” ormai sta usando questo appellativo per definire sé stesso quando parla, ma, due anni prima, chiamava sé stesso solo “Goku” per opporlo al “Goku-san” di cui non ricordava più nulla.
 
Un grazie specialissimo va anche oggi a chi dedica sempre parte del suo tempo a leggere e a lasciarmi il suo parere, che è sempre una cosa fondamentale per un autore e diventa sempre più importante quando una long comincia a diventare articolata. Quindi, grazie di cuore a tutti, sarei curioso di sapere cosa ne pensa di questo flashback anche chi di solito legge in silenzio, mi farebbe piacere!
Dato che nel cap. 4 di “Mythos” ho postato un mio disegno di Lazuli in versione Gorgone Medusa, ho pensato finalmente di fare la stessa cosa anche in questa storia. Ho trovato un disegno fatto un annetto fa con Yamcha in versione giocatore di baseball e mi è sembrato perfetto per il Yamcha Wolf di questa storia, dunque ve lo allego anche se non me la cavo poi così bene per come vedo io le cose, anzi! ;-)
 
Bene, il capitolo però si è chiuso col botto: siete curiosi da sapere qualcosa in più su Videl con un altro lungo flashback? Reagirà con calma e sangue freddo la nostra Là al racconto di Rad?
Bene, ci vediamo mercoledì prossimo con “L’arcobaleno dopo la pioggia”, l’ultimo capitolo prima di tornare ad occuparci della vicenda di Lunch, che immagino vi manchi molto! ;-)
Ci vediamo invece domenica con “Mythos” e il cap. 5 “L’amore di una dea”, per chi la sta seguendo o volesse iniziarla!
 
Teo
 
 
 
 

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Capitolo 16
*** L'arcobaleno dopo la pioggia ***


16 – L’arcobaleno dopo la pioggia
 
 
 
 
Due anni prima
 
Un giorno, stanco di tutto quello che stavo passando, riesco a sgattaiolare fuori dall’ospedale per dirigermi alla spiaggia di Shichirigahama, raggiungibile a piedi da lì.
Mi sento a pezzi, più a livello mentale che fisicamente, nonostante le fasciature che continuano a coprire le profonde cicatrici con cui dovrò imparare a convivere.
Ho voglia di vedere il mare, di non pensare a niente. Di provare a fregarmene, come fa lui. Grande, immenso, forte. Sembra infinito.
Così blu, verso l’orizzonte. Così trasparente da sembrare di ghiaccio quando risale sulla battigia, sfiorandomi i piedi, ora che mi sono seduto sulla sabbia.
Fisso lo sguardo davanti a me, ma non sento nulla a parte il rumore rilassante delle onde e il profumo di sale. Mi sembra di essere un guscio vuoto. Mi sento solo. Tanto.
«Lo sai?»
Una voce allegra e gentile mi fa voltare di scatto alla mia sinistra, non mi ero accorto che fosse arrivato qualcun altro in questa spiaggia deserta. C’è una ragazza, in piedi, scalza, che sorride e guarda il mare. Ha la mani dietro la schiena e indossa una divisa scolastica. Gonna corta blu, camicetta bianca e giacca marrone chiaro. I suoi lunghi e lucidi capelli neri sono legati in due codini laterali.
«Se calcolata all’altezza degl’occhi, la distanza dell’orizzonte è di circa quattro kilometri!» mi spiega, prima di guardarmi e sorridermi con una dolcezza con cui nessuno mi aveva mai sorriso prima. I suoi occhi sono blu, blu come il mare all’orizzonte. A quattro kilometri da me, a quanto pare.
La guardo, e non so cosa dire. Non riesco nemmeno a sorriderle, perché forse non so neanche più farlo. Però sento il cuore battermi nel petto, nel mio petto sfregiato. Lo sento battere forte, come non succedeva da tempo. Una, due, tre volte. E poi ancora, e ancora.
«Mi chiamo Videl Satan, frequento la terza media alla scuola Minegahara e tra poco comincerò lì anche il liceo!» spiega, sorridendomi ancora di più. «E tu? Come ti chiami?»
«R-radish Son, sono al secondo anno delle medie alla Fuji School» rispondo timidamente.
Lei si accuccia al mio fianco e mi sorride di nuovo. «Sei più piccolo di me, anche se non si direbbe!» esclama, furba. «Cosa ci fai qui?»
Le spiego tutto quello che mi è successo nell’ultimo periodo. Lei ascolta in silenzio, seria, senza distogliere mai i suoi grandi occhi blu dai miei.
«Non pretendo che tu mi creda» concludo. «Tanto non mi crede nessuno, pensano che sono pazzo» aggiungo sconsolato, riprendendo a guardare il mare.
«Io ti credo invece! Perché non dovrei farlo?» ride Videl, avvicinandosi al mare e entrando in acqua fino a bagnarsi le caviglie. Infila le mani sotto il pelo dell’acqua e schizza verso l’alto, creando un gioco di luce che ricorda i colori dell’arcobaleno grazie al riflesso del sole. «Hai visto?!» mi chiede, felice. «Dopo la pioggia torna sempre il sole, lo sai? A volte possiamo vedere addirittura l’arcobaleno dopo la pioggia! E, se non avesse piovuto prima, non ci saremmo potuti godere un simile spettacolo!» aggiunge allegramente. «Alla fine, se ci pensi, anche il rumore della pioggia può essere una canzone bellissima. Basta volerlo».
Le sorrido. Allora ne sono ancora capace, a quanto pare.
Lei è positività, è speranza. È tutto quello che pensavo di aver perso per sempre.
 
Da quel giorno, le mie fughe dalla stanza d’ospedale diventano sempre più frequenti. Continuano a tenermi ricoverato, ma ogni giorno che passa mi sento meglio, sia fisicamente che mentalmente. Ogni giorno scappo dall’ospedale e mi dirigo alla spiaggia. E, ogni giorno, Videl è lì ad aspettarmi. Non ci diamo appuntamento, non ho nemmeno il suo numero. Non mi sembra nemmeno di averne bisogno, perché tanto so che la troverò lì.
Uno di quei giorni guardiamo il mare, in piedi, uno accanto all’altra. In silenzio. La brezza marina fa ondeggiare i suoi codini neri e anche la gonna corta della sua divisa scolastica. Io mi sento bene, così vicino a lei. Mi sento vivo.
«Stai pensando a tuo fratello, Rad?» mi chiede, con la sua voce che si sovrappone al rilassante suono delle onde, senza smettere di fissare l’orizzonte.
«No, stavo pensando a te» rispondo, senza pensarci. Ormai siamo entrati in confidenza, mi piace parlare con lei. Stare con lei.
Mi piace e basta.
«Capisco. Stavi facendo qualche pensiero sconcio?»
«Ci crederesti se ti dicessi di no?»
«Uhm… no» ribatte, voltandosi verso di me con un sorriso dolce stampato sul volto. I suoi occhi blu riflettono la luce del sole. E sono bellissimi.
«Però mi stavo davvero chiedendo come mai hai deciso di credermi quando ti ho raccontato la mia assurda storia» sorrido a mia volta, prima che lei distolga lo sguardo dal mio e riprenda a osservare il mare. «Nessuno crede a quello che è successo a me e a Goku. Alla Sindrome della Pubertà, a tutto il dolore che ho provato».
«Il mio pensiero è che ci siano tante prospettive diverse quante sono le persone» risponde, con un tono talmente sereno da farmi sentire una piacevole sensazione nel petto all’istante. Sta sorridendo, mentre si sistema una ciocca di capelli neri mossi dalla brezza marina. «Per esempio, tu riesci a vedere un orizzonte più distante rispetto a quello che vedo io. Sei più alto di me, e hai anche una sensibilità che nemmeno tu sai di avere. Io credo che tu sia destinato a fare grandi cose nella tua vita, Rad. Ad essere felice, prima di tutto. E a rendere felici gli altri».
«Perché, invece, tutte le persone con cui ho parlato sembrano avere la stessa prospettiva?» le chiedo.
«Forse sei stato solo sfortunato, non sempre incontriamo persone che hanno un punto di vista sulle cose simile al nostro o che siano disposte a buttare almeno un’occhiata dalla prospettiva di qualcun altro».
«Già…» sospiro.
«Però poi hai incontrato me, ad esempio» riprende, in tono allegro. «E io avevo un punto di vista diverso da quelli con cui ti eri imbattuto prima, anche se non mi conoscevi».
«Videl, io…» provo a dirle, prima di interrompermi goffamente. Vorrei dirle che la amo, anche se in realtà non so neanche bene cosa sia l’amore. Non so se la amo o se mi piace solo fisicamente. Non so se le sono semplicemente grato o se c’è davvero qualcosa di più.
«Guarda la brezza marina, ad esempio» riprende, allargando le braccia e chiudendo gli occhi. Il vento le fa volare indietro i suoi due codini e le fa muovere le pieghe della gonna. «C’è chi la trova piacevole e chi invece non la sopporta, perché gli rende la pelle e i capelli appiccicosi. A te piace?» chiede, voltandosi improvvisamente verso di me e avvicinandosi.
Siamo così vicini che sento il suo respiro sulla pelle. Non siamo mai stati così vicini. Mi sento il cuore in gola.
I suoi grandi occhi blu sono incatenati ai miei, mentre non smette di sorridere. Ha le mani dietro la schiena ed è piegata leggermente in avanti.
Forse sono confuso e disorientato, ma la sua bocca mi sembra a pochi centimetri dalla mia.
«A… a me sì…» farfuglio.
«Anche a me piace» sorride lei. «Tanto» aggiunge, prima di azzerare improvvisamente le distanze tra noi e baciarmi dolcemente.
Il mio cuore perde un battito, forse anche più di uno, mentre la sua lingua incontra la mia ed entro in contatto col suo sapore. Un sapore che mi fa rinascere, che mi fa pensare che le cose dovranno andar bene per forza da adesso in poi.
Sento le sua mani cingere la mia schiena. La abbraccio forte, la stringo a me. Non sento più nulla. Ogni suono, profumo e sensazione mi appare lontano. Ogni problema, soprattutto, mi sembra non sia mai esistito. È il mio primo bacio, e non poteva arrivare in un momento migliore per me.
Mi basta lei, le sue labbra morbide, la sua essenza. Mi basta sapere che ogni volta che avrò bisogno, lei ci sarà.
 
«Visto che è stato il destino a farci incontrare, voglio darti un consiglio magnifico come tua senpai di vita!» mi dice, dopo essersi sciolta dal mio abbraccio e da quel lungo e indimenticabile bacio.
«Non avevo mai sentito nessuno definire “magnifici” i propri consigli!» le sorrido, prendendola per mano.
«Beh, ma io sono diversa, no?» mi fa l’occhiolino, prima di intrecciare le sue dita intorno alle mie e voltarsi di nuovo in direzione del mare.
La imito, ed è stupendo guardare l’orizzonte mano nella mano con lei dopo averla appena baciata.
«La mia vita non è mai stata piena di sogni o di speranze, però sono riuscita comunque a darle un significato» mi spiega, mentre la brezza riprende a farle svolazzare i codini. «Sai cosa ho capito, Rad? Che la vita ci mette davanti delle sfide con lo scopo di farci diventare più gentili».
«Per diventare più gentili?» le chiedo, voltandomi verso di lei.
«Sì, io ho deciso di vivere con la speranza di diventare ogni giorno una persona un po’ più gentile!» mi sorride, felice. Emette serenità con la sua sola presenza.
Non so nemmeno io perché, ma mentre la guardo i miei occhi si riempiono di lacrime.
«Dimmi una cosa, Videl» sussurro, cercando di non piangere. «Posso sperare anch’io in una vita simile alla tua?»
«Ma certo, Rad!» esclama, facendo un passo verso di me e accarezzandomi dolcemente la guancia. La guardo negli occhi, mentre mi sorride, e le lacrime cominciano a scorrermi sul volto. Non so perché piango. Mi sento così felice per quello che è appena successo. Ma mi sento tanto male dentro, per tutto quello che sto attraversando.
E poi, non lo so…  tutto questo sa tremendamente d’addio.
«Ora che hai sperimentato un dolore che gli altri non sono in grado di comprendere, sono convinta che diventerai la persona più gentile del mondo!» riprende Videl, asciugandomi le lacrime e puntando il suo indice e il suo pollice alle estremità della mia bocca. Sposta entrambe le dita verso l’alto e disegna un sorriso sul mio volto ancora bagnato dalle lacrime. Lacrime che si porta via la brezza marina. «Diventerai un grande sostegno per molti!» aggiunge, felice. I suoi occhi blu sono così luminosi, così belli.
«Come potrò aiutare gli altri se non sono riuscito a proteggere nemmeno me stesso, per non parlare di mio fratello?»
«Aiutare gli altri significa sostenerli quando sono spaventati, no? Sono certa che ce la farai!»
«Tu… tu non hai mai paura?»
«Certo che ne ho, Rad! Ma, per quanto possa essere spaventata, cerco di sorridere sempre come se andasse tutto bene. Perché chi ride è più forte, secondo me!»
«Sì…» sorrido, senza bisogno delle sue dita sulla bocca. «Sì!» ripeto, sempre più convinto.
«E, se un giorno ti sentirai di nuovo al limite, pensa per cosa stringi i pugni. Per chi combatti, per chi devi andare avanti» riprende, accarezzandomi una guancia. «Per chi devi sorridere».
«Lo farò» le dico, stregato dalle sue parole. Dalla sua filosofia di vita. Dalla sua personalità.
«Sono fiera di te, Rad!» esclama, mollando la presa della mia mano. «Sono felice di averti conosciuto! Ora devo andare!» aggiunge, salutandomi con la mano e allontanandosi dalla spiaggia senza mai voltarsi indietro, leggiadra come una piuma.
La guardo andarsene, senza riuscire a dirle una parola.
 
Il giorno seguente vengo dimesso, e prima di tornare a casa, torno alla spiaggia come avevo fatto ogni giorno fino a quel momento. Videl non c’è, però. Aspetto a lungo, ma inutilmente.
Decido di fare ritorno a casa, a quel punto, prima che si faccia troppo tardi. Mia madre nel frattempo è stata trasferita in una casa di cura e mio padre ha bisogno che torni  da Goku. Sulla via del ritorno mi fermo a comprare una penna con la capocchia a forma di tirannosauro e un diario blu con stampata sulla copertina una sfera arancione sulla quale sono raffigurate quattro stelle rosse. Consegno tutto a Goku, non appena lo rivedo, chiuso in camera sua. È felice di vedermi, ha gli occhi lucidi.
«Stai meglio, fratellone? Che cos’è?» mi domanda. «Tu sei stato male per colpa di Goku?»
«Io sto bene, non devi preoccuparti più per me, chiaro? E non dire mai più una cosa simile!» gli dico, scompigliandogli i suoi capelli a palma. «Ho pensato che su quel diario potresti scrivere ogni giorno quello che hai fatto e i tuoi pensieri, tutto con parole tue, per divertimento. Scrivere i tuoi obiettivi, le cose che ti piacciono».
«Urcaaa! Sembra una cosa divertente!» sorride, stringendo al petto il diario. «La penna è bellissima, piace un sacco a Goku!»
«Potresti inaugurarla scrivendo il tuo nome sul diario!»
«Va bene!» risponde, afferrando la penna con la mano sinistra e facendo per scrivere. Si blocca all’improvviso e se la passa nella mano destra, accingendosi di nuovo a scrivere il suo nome. La sua mano trema leggermente.
«Aspetta» lo fermo. «Non devi sforzarti di scrivere con la destra, se ti trovi meglio con la sinistra».
«Ma la mamma quando era a casa diceva sempre che Goku-san scriveva con la destra e che Goku non deve scrivere con la sinistra! Anche il papà dice sempre così…» sospira mestamente, abbassando la testa.
«Tu sei Goku o Goku-san?» gli chiedo.
«G-goku…».
«E a Goku piace scrivere con la mano sinistra?»
«S-sì…».
«E allora scrivi con la sinistra, io la penso come te! Non ti diranno più niente, tranquillo» gli sorrido. «Ci penso io a spiegarglielo».
Lui mi guarda e sorride, disorientato. I suoi occhi sono pieni di lacrime, però. «La mamma… la mamma sta male per colpa di Goku perché preferiva Goku-san, vero? E anche il papà la pensa così… Goku l’ha capito da solo… Goku non piace a nessuno…» singhiozza.
«Non devi pensare a queste cose, perché tu non hai fatto niente di male! La mamma sta bene, ha solo bisogno di un po’ di riposo, capita a tutti di aver bisogno di riposo, a volte. E a lei ci penserà papà, non ti devi preoccupare» provo a rassicurarlo. «E smettila di pensare a Goku-san. Io davanti a me vedo Goku, e sono felicissimo di parlare con lui!» aggiungo, accarezzandogli di nuovo la testa. «Mi dispiace per tutto quello che è successo, ma insieme ce la faremo ad essere forti, ok?»
Mio fratello scoppia in un pianto disperato, mentre mi abbraccia così forte da farmi male. «Tu sei l’unico a vedere Goku per quello che è!» grida, in lacrime. «A Goku fanno paura gli sguardi delle persone, anche quello delle mamma e del papà! Ma il tuo no! Grazie… grazie, fratellone!»
 
Il giorno dopo, mio padre mi prende da parte. È stravolto, sembra sul punto di crollare anche lui. Però tiene duro, in qualche modo. Mi sorride. Un sorriso spento. Stanco.
«Mi dispiace, Radish. Per tutto» sospira. «Non ho saputo proteggere nessuno della mia famiglia, e per questo odio ancora di più doverti fare questo discorso».
«Dimmi. Io sto bene ormai, non crollerò più».
«Tu stai bene davvero?» mi domanda con voce stanca. Non sembra neanche più lui.
«Sì…» sospiro, distogliendo lo sguardo dal suo.
«Ho bisogno che tu ti prenda cura di Goku, perché io devo dedicarmi totalmente a tua madre. I medici dicono che può farcela, ma che ha bisogno di stare tranquilla. Tu e Goku non potrete vederla per un po’, non so per quanto» mi spiega, tenendosi la testa tra le mani. «Per il bene di tuo fratello, i medici consigliano anche che voi due cambiate casa. Un nuovo ambiente dovrebbe aiutarlo a ricominciare da zero e stare tranquillo, in più solo con te riesce ad essere felice. Ho preso in affitto un appartamento in un altro quartiere, vicino alla stazione. Farò gli straordinari al lavoro e nel tempo libero andrò dalla mamma, credo che ce la farò» aggiunge, guardandomi negli occhi. «So quello che hai passato anche tu, ma da solo non posso farcela. E, in più, i medici consigliano anche a me di stare lontano da Goku per un po’, sembra che gli metta troppa pressione addosso senza nemmeno che me ne renda conto. Sono un fallimento come padre, Radish».
Non l’ho mai visto così rassegnato.
«Non sei un fallimento, papà» provo a rassicurarlo. «Pensa a prenderti cura della mamma, di Goku mi occuperò io. Ne usciremo tutti insieme, vedrai».
Quello stesso giorno io e Goku abbiamo messo insieme le nostre cose e ci siamo trasferiti nel nuovo appartamento insieme a Balzar.
«Radish, ti affido tuo fratello. Mi raccomando» si congeda mio padre, quella sera.
«Tu pensa alla mamma, noi ce la caveremo» gli rispondo, mentre Goku resta seminascosto alle mie spalle, stringendo forte il mio braccio e la mia maglia sulla schiena.
«Goku» lo chiama mio papà, sorridendogli. Lui lo guarda per un istante, prima di abbassare la testa e stringersi più forte a me. «Prenditi tutto il tempo che ti serve, non devi strafare. La mamma e il papà ti aspetteranno anche per sempre, se sarà necessario» aggiunge, prima di uscire dalla porta della nostra nuova casa.
«Hai visto, fratellone?» sospira sconsolato Goku. «Tutti vedono solo Goku-san… e a Goku fanno paura le altre persone».
 
 
«Ovviamente spero anch’io che Goku riacquisti la memoria» dico a Lazuli, che non ha smesso un secondo di fissarmi negli occhi durante il mio racconto. «È scontato che vorrei tornasse il vecchio Goku… però… però mi sono chiesto più volte cosa accadrebbe al Goku attuale se quello vecchio ricomparisse».
«Pensi che si dimenticherebbe tutto quello che è successo negli ultimi due anni? Il rapporto che avete costruito?» domanda Lazuli.
«È la cosa che mi fa più paura» ammetto. «Sarebbe… sarebbe quasi come se morisse davanti ai miei occhi».
«Io penso che non si dimenticherà mai quello che tu hai fatto per lui» prova a rassicurarmi. «Gli stai facendo anche da padre, sei tutto il suo mondo… magari non sarà facile all’inizio, ma poi si ricorderà tutto».
«Lo spero…».
«Piuttosto, perché non mi hai raccontato subito tutta la storia su Goku e la tua famiglia?!» chiede, un po’ irritata e un po’ offesa. «Ti sarei potuta stare vicina fin da subito, scemo» aggiunge, distogliendo lo sguardo dal mio.
«Perché vedevo che Goku si affezionava sempre di più anche a te e avevo paura che le cose sarebbero cambiate se tu avessi saputo subito che lui era una persona diversa, un tempo» sospiro, sconsolato. «Ti chiedo scusa, non volevo farti arrabbiare».
«Guarda che non sono mica arrabbiata per la storia di Goku» ribatte, gelida.
«Sì, che lo sei…».
«Sono arrabbiata per quella sgualdrina!» esclama, conficcando le unghie nella mia mano e tornando di scatto a guardarmi negl’occhi. «L’hai più rivista dopo che ti hanno dimesso dall’ospedale?!»
«Per alcuni giorni sono andato alla spiaggia, ma non l’ho mai più vista. E anche a scuola, come già ti avevo spiegato, sembra non essere mai esistita una ragazza iscritta con quel nome, sia alle medie che al liceo» le spiego, mentre sento la mano pulsarmi dal dolore. Mi fa piacere che sia gelosa, però così mi fa male sul serio!
«Sei sicuro che non ti piaccia più?!» chiede, premendo più forte con le unghie. «A quanto pare hai sempre avuto una predilezione per le tue senpai».
«Ma certo che non mi piace più, lo sai che ho in testa solo te, Là!» provo a giustificarmi. «Lo sai che ti amo, quello che provavo per lei non era amore. Era ammirazione, gratitudine… che cazzo ne so… solo che allora non me ne rendevo conto».
«Sarà meglio» sibila, mollando la presa sulla mia mano dolorante e afferrandomi il mento. Avvicina la sua faccia alla mia e mi guarda dritto negl’occhi. «Sai, odio quella ragazza per il fatto di averti rubato il primo bacio» mi spiega, glaciale. «Però le sono grata per alcune cose: ti ha aiutato a uscire da un momento terribile; ti ha insegnato una filosofia di vita che ammiro, anche se io tendo ad odiare tutti per come sono fatta; ha fatto sì che ti iscrivessi al Liceo Minegahara, così abbiamo potuto fare la stessa scuola noi due».
«La penso come te» le sorrido. «Anche se col senno di poi avrei preferito darlo a te il mio primo bacio, davvero» aggiungo. Accarezzandole i capelli. Il suo respiro accarezza le mie labbra. I suoi occhi di ghiaccio mi scavano dentro, mentre continuano a fulminarmi. La mia “sweet and psycho” preferita.
«E invece hai baciato quella là perché sei un maiale e lo eri già allora, scemo» sibila. «E poi le sono grata per una cosa, soprattutto: quella di essere sparita dalla tua vita dopo averti baciato» aggiunge, prima di infilarmi la lingua in bocca all’improvviso e regalarmi un bacio che mi toglie letteralmente il fiato.
Un vento di passioni, un impeto di sensualità. Un bacio avido. Breve ma intenso.
Si stacca da me e mi fissa con sguardo duro. Non tradisce emozioni.
«Deduco che tu non sia più arrabbiata con me» le sorrido sghembo.
«Certo che lo sono» ribatte, distaccata, mentre si rialza e raccoglie i suoi vestiti per terra. Si dirige verso l’uscita della mia stanza, e mi perdo per un istante a fissare il ponpon bianco sopra il suo magnifico sedere.
«E allora perché mi hai baciato?»
«Per segnare il territorio, no?» mi spiega, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Accenna un sorriso furbo, mentre i suoi di ghiaccio brillano più delle stelle che splendono stanotte. «Per far capire a quella là di starsene al suo posto, se mai dovesse decidere di tornare a farsi viva».
 
 
 
 
 
 
 
Note: eccoci, con un pizzico di PsychoLà nel finale per stemperare i toni anche stavolta. Alla fine ha reagito meglio del previsto, credo. ;-)
Capitolo dolceamaro direi, spero vi sia piaciuta sia la parte su Videl, che tuttavia non ha risolto gli interrogativi che accompagnano questo personaggio fin dall’inizio, che quella su Goku, in cui scopriamo come mai i due fratelli Son vivono da soli.
Ovviamente tutti sperano che Goku torni il vecchio sé stesso, ma Rad introduce uno spunto non banale: cosa succederebbe al Goku-kun degli ultimi due anni se dovesse tornargli la memoria e la personalità di Goku-san?
E Videl, cosa ne pensate di lei? Rileggendo il capitolo mi sono reso conto che ricorda molto All Might di “My Hero Academia” in certe cose che dice, a me personalmente piace la sua filosofia di vita. Che fine avrà fatto?
 
Come anticipato, da mercoledì prossimo si torna alla vicenda di Lunch, ormai prossima alla soluzione. Negli ultimi tre capitoli la narrazione si è sostanzialmente interrotta alla sera dell’8 luglio, quando Lazuli torna dalle riprese e si veste da coniglietta mentre studia con Radish a casa di lui per gli esami di fine prime semestre, che si terranno l’11 luglio. Ecco, nel prossimo capitolo vedremo il giorno degli esami e, soprattutto, il 18 luglio, cioè l’ultimo giorno di scuola prima della pausa estiva e ultimo giorno di Lunch come finta fidanzata di Rad. Cosa dite, andrà tutto bene?
 
Ringrazio anche oggi tutti voi che continuate a leggere con entusiasmo questa storia, perché siete tantissimi e io davvero non avrei mai potuto immaginarlo con questi protagonisti insoliti. Quindi grazie ancora, e grazie soprattutto a chi mi lascia sempre il suo parere e mi fa sentire che c’è, che apprezza o mi dà consigli. Grazie poi a chi riesce a seguire anche Mythos, con cui ci rivediamo domenica, sappiate che ne sono onorato perché so che non è semplice seguire due storie in parallelo dato che portano via molto tempo.
Bene, non mi resta che darvi appuntamento a mercoledì prossimo con “Il ritorno del Demone”, un titolo che è tutto un programma!
 
Teo

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Capitolo 17
*** Il ritorno del Demone ***


17 – Il ritorno del Demone
 
 
 
11 luglio
 
Finalmente sono passati anche questi maledettissimi esami di fine semestre e tra una settimana comincerà la tanto attesa pausa estiva. Terminerà questo primo semestre e, soprattutto, questa storia in cui devo fingere davanti a tutta la scuola di essere il fidanzato di Lunch. Mi ha fatto piacere aiutarla, ma credo che ormai il pericolo che le faceva tanta paura sia scongiurato. Non perderà le sue amiche, se davvero si possono definire tali per come vedo io le cose, a causa di Wolf e tutto tornerà alla normalità.
Io, in particolare, avrei voglia di tornare alla normalità, ossia alla mia quotidianità con Lazuli. So che per lei è lo stesso, anche se non me lo fa pesare. Anche se non l’ha mai convinta del tutto l’atteggiamento di Lunch. Sarà semplice gelosia la sua? O, come spesso accade, lei è un passo avanti a me e ha capito qualcosa prima? È sempre più avanti rispetto a me e, ogni giorno che passa, credo che sarei perso senza lei al mio fianco.
Le ho raccontato tutto tre sere fa, ma davvero tutto: il mio dolore, la mia famiglia, persino di Videl. Ne siamo usciti più forti. Più uniti.
In queste ultime due sere abbiamo studiato insieme, anche se stavolta mi ha imposto, con le cattive soprattutto, di concentrarmi sullo studio e basta. Ha più paura lei di me che non faremo l’università insieme se non migliorerò i miei voti, quindi niente baci e niente costume da coniglietta. Io forse sono solo più superficiale, ma sono certo che frequenteremo insieme l’università nonostante io sia sostanzialmente uno che si impegna il minimo indispensabile a scuola.
Penso a lei, ancora chiusa in classe dato che gli esami del terzo anno sono più lunghi, mentre mi dirigo da solo verso l’uscita della scuola.
«Senpai!»
La voce squillante di Lunch attira la mia attenzione. Mi sorride, finisce di digitare qualcosa sul cellulare e mi corre incontro radiosa. Ho come l’impressione che si sia ancora di più legata a me dopo che ho pestato Wolf in stazione l’altro giorno. Ma sono certo che manterrà la sua promessa, come io sto mantenendo la mia pur di aiutarla. E come sta facendo Lazuli, perché probabilmente è lei quella che sta soffrendo di più per questa storia anche se fa sempre la dura.
«Come sono andati gli esami?» le chiedo, mentre la raggiungo tenendo le mani in tasca.
«Insomma… a te invece?»
«Alla grande…».
«Hai già capito di averli superati?!»
«No, bocciato alla grande! Dovrò recuperare nel secondo semestre!»
«Ah, quindi forse siamo sulla stessa barca!» ridacchia, mentre penso che Lazuli mi ammazzerà sul serio stavolta.
 
«Ho promesso a Lucy-chan e alle altre che sarei andata al mare con loro domani!» esclama Lunch, mentre camminiamo verso la stazione. «Mi accompagni a prendere un costume nuovo?»
«Non puoi mettere quello dell’anno scorso?» sbuffo.
«Ma non capisci?! Mi hanno già visto con quel costume, ne voglio uno più alla moda come loro!» piagnucola, strattonandomi il braccio.
«E va bene…» acconsento.
«S-senpai…» balbetta Lunch, mentre guarda i costumi esposti nel negozio in cui siamo entrati. Sembra malinconica, all’improvviso. Ed è anche un po’ rossa in faccia. «Andrai mai al mare con Eighteen-senpai?»
«Non lo so… è molto famosa, nelle spiagge turistiche potrebbero darci fastidio. Ci piace andare nelle spiagge piccole e deserte, come quella di Shichirigahama » le spiego.
«Comunque… quando metteremo fine alla nostra finta storia potrai contare su di me per far andare bene le cose con lei! Ti ho promesso che diventerò la tua migliore amica» sorride. O si sforza di sorridere, non saprei.
«E secondo te di chi è la colpa se io e lei non stiamo già insieme ufficialmente?» ghigno, puntando il dito indice in mezzo alla fronte di Lunch e spingendola leggermente indietro. Scoppio a ridere, mentre lei diventa tutta rossa.
«U-uffa, sei cattivo, senpai…» borbotta. «È per questo che voglio aiutarti…».
«Apprezzo il pensiero e la tua amicizia, ma non preoccuparti della mia storia con Lazuli. A quello ci penso io, tranquilla» rispondo, serio. «Piuttosto, non dovremmo pensare a come lasciarci sabato prossimo?»
«Ho già pensato a come mollarti, cosa credi?!» sbuffa, irritata. I suoi occhi nocciola, perdono presto la loro luminosità, mentre distoglie lo sguardo dal mio.
«Aspetta… sarò io ad essere scaricato?!» butto lì, ridendo.
«Nonostante tutto, non riesci a toglierti dalla testa Eighteen-senpai. Io me ne sono resa conto e per questo ti ho lasciato» ribatte, accennando un sorriso. Un sorriso che mi sembra spento.
«È tremendamente realistico» ghigno.
«Alla fine ti saluterò con un bel “Non voglio più saperne di te!” e uno schiaffo sulla faccia» continua, tornando a guardarmi negl’occhi.
«Devi darmi per forza anche uno schiaffo?!»
«Voglio essere una perfezionista e il realismo è fondamentale. Me l’hai insegnato tu!»
«E va bene…» sbuffo.
«Senpai…».
«Uhm?»
«S-sabato prossimo, dopo la cerimonia di chiusura del semestre… ecco… ti andrebbe di andare insieme al mare?» farfuglia Lunch, paonazza, abbassando lo sguardo.
«E la nostra litigata?»
«La faremo alla fine del nostro appuntamento al mare, se sei d’accordo…» sussurra. «Mi sarebbe piaciuto andare al mare con te, almeno una volta».
«E va bene…» sospiro, rassegnato. Un’ultima buona azione per un’amica, cosa potrebbe andare storto?
 
 
18 luglio
 
«Fratellone! È mattina!»
La voce squillante di Goku mi obbliga ad aprire gli occhi. «Dai che domani inizia la pausa estiva!»
«Ciao Goku…» sospiro. «Devo solo sopravvivere alla giornata di oggi» sorrido, mentre mi metto a sedere sul letto, pensando che finalmente concluderò la mia missione per aiutare Lunch e potrò dedicarmi finalmente solo alla mia adorata Lazuli.
«Ehi, Rad, che programmi hai per quest’estate?» mi chiede Vegeta sul treno che ci porta verso il liceo. È stranamente di buon umore, probabilmente perché è l’ultimo giorno prima della pausa estiva.
«Godermi Lazuli, finalmente» sospiro. «E lavorare. Tanto, anche».
«Allora oggi sistemi le cose con Lunch? Inizio ad essere irritato io per te e per questa cazzata, tsk!»
«Se Dio vuole, sì» sbuffo. «Non fraintendermi, Prince. Voglio bene a Lunch e l’ho aiutata volentieri, però adesso sono stanco e ho voglia di stare con Lazuli».
«In fondo è una brava ragazza Lunch, se in futuro Wolf le romperà ancora i coglioni interverrò direttamente io» ringhia Vegeta, guardandomi male. «Tu ci sei andato giù troppo leggero con quel mollusco, sei il solito sentimentale del cazzo! Tsk!»
«Vedi di non farti sbattere in galera, coglione, che avete un paio di partite importanti a breve, no? Ho visto il programma del campionato di calcio, dovete farcela a passare il turno!» esclamo, ridendo.
«Già…» sbuffa Vegeta. «Sarà durissima per noi passare… torna in campo, Rad».
«Mi ha detto anche Lazuli che dovrei tornare…».
«E tu a lei immagino che darai retta, visto che ragioni con l’uccello!»
Ghigno verso Vegeta, che mi sta fissando con un sorriso sghembo stampato sulla faccia. «Non lo so, Prince… non adesso, almeno. Devo lavorare tanto quest’estate e poi non mi sembra corretto verso i tuoi compagni che si stanno allenando da almeno tre mesi».
«Te l’ho detto che sei un sentimentale del cazzo… io voglio vincere, se loro si allenano e continuano ad essere più scarsi di te è un problema loro, non tuo!»
«Tu cosa farai quest’estate, oltre al calcio?» gli domando.
«Verrò a lavorare anch’io, perché so che senza di me saresti perso» sbotta Vegeta, dandomi un pugno sulla spalla, che, ovviamente ricambio colpendolo a mia volta. «E poi… poi vedrò di sistemare le cose con Marion…» sbuffa.
«Come va con lei? Se ti va di parlarne…».
«Non benissimo, e non da oggi… sono un po’ stanco, Rad» sospira il mio amico, distogliendo lo sguardo dal mio. «A volte lei… lei è… snervante! Tsk!»
«Cerca di fare la cosa giusta per te allora, Prince» gli dico, appoggiandogli una mano sulla spalla. «Stavo pensando che magari una sera potremmo uscire insieme e invitare anche Bulma».
«Perché anche lei?!»
«Perché è nostra amica, coglione. E sarebbe un peccato non vederla per oltre un mese senza la scuola».
«Va bene, Rad. Ora vado a cercare Marion, a dopo» si congeda Vegeta, una volta arrivati a destinazione.
 
Dopo la cerimonia di chiusura mi dirigo direttamente verso la stazione, dove mi sono dato appuntamento con Lunch per andare in spiaggia. Dopo questo pomeriggio finalmente porremo fine a questa finzione e tutto potrà tornare alla normalità.
«Senpai!» mi chiama lei, mentre arriva correndo e mi sorride. «Mi sono già messa il costume sotto alla divisa nello spogliatoio della scuola!»
«Io mi cambio al volo in spiaggia, ho tutto nello zaino» le dico, guardandola dritta negl’occhi e cominciando a sorridere sghembo. «Non vedo l’ora di vedere la mia kohai in costume» ghigno, per metterla in imbarazzo.
«Hai la faccia da depravato, lo sai?!» sbotta, paonazza.
«Ah, e te ne accorgi solo oggi?!» rispondo, ridendo, proprio mentre arriva il treno.
La spiaggia è particolarmente affollata e piena di ombrelloni, del resto è una magnifica giornata. Vado a cambiarmi in una cabina e mi infilo il costume. Faccio per sfilarmi anche la maglietta, ma lo specchio che ho davanti mi ricorda che ho delle enormi cicatrici sul petto che potrebbero spaventare Lunch e attirare soprattutto gli sguardi della gente. Una cosa che mi sta tremendamente sul cazzo, nonostante non mi interessi quello che potrebbero pensare. È anche per questo che non amo andare nelle spiagge puramente turistiche come questa, pur adorando il mare.
Mi dirigo verso il nostro ombrellone con su la maglietta, proprio mentre Lunch sta finendo di svestirsi e si sta sfilando la gonna della divisa scolastica.
«S-senpai…» sospira, abbassando la testa. È tutta rossa in faccia, in tinta col colore del suo bikini, direi.
«Bene, andiamo a farci una nuotata!» esclamo, afferrandole il polso e trascinandola con me verso il mare. Ho voglia di fare il bagno, ora che siamo qui. L’acqua è davvero invitante e non vedo l’ora di lasciarmi cullare da lei. Sarebbe bello nuotare nel mare con Lazuli, credo che lo faremo sicuramente quest’estate.
«A-aspetta!» sbotta Lunch, bloccandosi e interrompendo le mie fantisticherie su Lazuli in costume da bagno immersa con me in mare. «N-non mi dici niente?»
La osservo dall’alto in basso, mentre lei continua a guardare per terra, sempre più rossa. È in cerca di complimenti? In effetti ha un bel fisico, devo dargliene atto. E questo costume è decisamente audace per una che solitamente è così timida, anche se io so bene che a volte ha certi scatti d’ira che la fanno sembrare quasi bipolare.
«Beh… sei carina» le concedo, prima che fraintenda. Lo penso davvero che è carina, ma non mi passa neanche per l’anticamera del cervello di andare oltre con lei. La considero un’amica e ci tengo a lei, ma il mio cuore batte solo ed esclusivamente per Lazuli. Che è anche decisamente più bella, tra l’altro, non solo “carina”.
«Non mettermi in imbarazzo!» sbraita, all’improvviso irritata, stringendo i pugni.
«Cosa vuoi che ti dica allora?!»
«C-che… che sono… carina…» sussurra, di nuovo rossa in faccia e a testa bassa, scalciando leggermente la sabbia.
«Vedi che sei bipolare?!» esclamo ridendo, afferrandola di nuovo per il polso e trascinandomela dietro.
«Senpai… n-non ti togli la maglia?!» chiede timidamente.
Mi fermo e mi volto verso di lei, sollevandola leggermente e lasciandole intravedere una parte delle mie cicatrici. Lei diventa letteralmente paonazza.
«I-io… non sapevo che…» farfuglia, fissandomi l’addome, portandosi le mani davanti alla bocca e sgranando gli occhi.
«Sì, è una lunga storia… magari un giorno te la racconterò, comunque è tutta colpa della Sindrome della Pubert…».
«Non sapevo che avessi tutti quei muscoli, senpai?! Ma che addominali hai?!» esclama Lunch, interrompendomi.
«Eh?» le chiedo, perplesso. Questa è completamente fuori di testa, altro che bipolare. «E le cicatrici? Non ti fanno senso?»
«Quali cicatrici?»
«Queste, cazzo!» sbotto, indicandogliele.
«Ah…» dice Lunch. Non sembra molto sorpresa. «Chi vuoi che ci faccia caso a quelle con i muscoli che ti ritrovi?» sorride.
«Forse hai ragione» le sorrido a mia volta, sfilandomi la maglia e gettandola sotto l’ombrellone. «Grazie, sei un’amica».
«Già, un’amica…» sospira, e per un istante i suoi occhi nocciola mi sembrano un po’ più spenti. Prima che mi prenda per mano e mi conduca con lei verso il bagnasciuga.
 
Alla fine è stato un bel pomeriggio, lo ammetto. Mi sono divertito, e anche Lunch mi sembrava felice. Abbiamo fatto il bagno, giocato a schizzarci con l’acqua e fatto un castello con la sabbia. Gli sguardi della gente su di me non sono poi stati così tanti, nonostante le mie cicatrici in bella vista. O almeno, io non ci ho fatto caso visto che, in fondo, non me ne importava. A un certo punto ha piovuto per una mezzoretta, prima che tornasse a splendere il sole come prima, così ne abbiamo approfittato per mangiare una granita al bar della spiaggia. Mi si è anche quasi congelato il cervello perché ho aspirato troppo velocemente dalla cannuccia e ho visto Lunch ridere di gusto mentre imprecavo. Sono sincero, mi fa piacere che si sia divertita. Perché io ho sempre pensato al disagio che ha provocato a me e a Lazuli questa situazione nelle ultime tre settimane, ma immagino che Lunch possa essere un po’ spaventata da quello che potrà succedere da domani, Da quando tutta questa bugia sarà finita una volta per tutte. Non sarà facile per lei tornare alla vita di tutti i giorni, probabilmente, soprattutto quando ci sarà da ricominciare la scuola. E poi… non lo so, a volte sembra quasi non considerarmi più come solo un semplice amico che le sta dando una mano. Mi è capitato spesso di ripensare alle parole che mi aveva detto Lazuli prima di partire per Kagoshima, quando le avevo spiegato questa situazione. Lei si era detta subito d’accordo sul fatto che dovessi aiutare Lunch, ma allo stesso tempo aveva quasi voluto mettermi in guardia da lei. Non ho voluto mai pensare troppo a quelle sue parole, piuttosto mi sono limitato a cercare di far funzionare le cose. E oggi, tre settimane dopo, credo di avercela fatta, in qualche modo.
«Una cosa, senpai…» interrompe il silenzioso flusso dei miei pensieri Lunch, mentre stiamo osservando il sole al tramonto seduti sulla sabbia della spiaggia che ormai si è quasi del tutto svuotata. Ci siamo rivestiti, e l’odore di sale e pelle cotta dal sole mi riempie le narici.
«Hai ancora fame?» le chiedo, senza smettere di guardare l’orizzonte.
«No, volevo solo ringraziarti. Per tutto» sospira dolcemente. «Stringiamoci la mano» mi dice, allungando il suo braccio verso di me e sorridendomi.
«Perché?» le chiedo, perplesso.
«Per salutarci, no?!»
Allungo la mano verso la sua e gliela stringo. Lei sorride di più. Non molla la presa.
«Alla fine di tutto, sei ancora innamorato di Eighteen-senpai, giusto?»
«Certo».
«Quindi io mi sono stufata e ti ho lasciato».
«Manca solo lo schiaffo, in teoria».
«Facciamo finta che te l’abbia dato, sarei un’ingrata se te lo dessi sul serio dopo tutto quello che hai fatto per me» sorride, dandomi una carezza sulla guancia con la mano libera.
«Meglio così allora» le sorrido. «Sei stata brava».
«Già…» sospira, mollando la mia mano e alzandosi in piedi.
«Passa una bella estate, ci vediamo al lavoro quando saremo di turno insieme, allora!» le dico, senza alzarmi. Ho voglia di stare ancora un po’ qui. Da solo, magari per chiamare Lazuli.
«Spero che tu ed Eighteen-senpai vi metterete ufficialmente insieme» mi dice, mentre si comincia a incamminare. I suoi occhi mi sembrano un po’ lucidi, ma forse è solo l’effetto del sole al tramonto.
«Farò del mio meglio» le sorrido, prima di riprendere a osservare il mare e telefonare a Lazuli per dirle che è andato tutto bene.
Che ce l’abbiamo fatta.
 
 
18 luglio (bis)
 
«Fratellone! È mattina!»
La voce squillante di Goku mi fa svegliare di soprassalto. Lo guardo, perplesso e irritato, prima di voltarmi dall’altro lato e richiudere gli occhi.
«Senti, Goku, c’è una cosa che si chiama “pausa estiva” e quindi vorrei dormire. Ciao».
«Ma… non inizia domani la pausa estiva?!» esclama mio fratello.
«No, oggi».
«Guarda che è sabato, fratellone!»
Sgrano gli occhi, mi sollevo dal letto di scatto. No, non di nuovo! Non di nuovo!
Afferro la sveglia sul mio comodino e leggo la data sul display: 18 luglio. Merda. Oggi è ancora ieri. Sono finito di nuovo dentro a un loop temporale!
Perché?! Cosa cazzo ho fatto di male io?! Proprio oggi poi, che avrei potuto finalmente riprendere alla luce del sole la mia storia con Lazuli!
«Fratellone, stai bene?»
«Sì, Goku. Ora mi preparo e vado a scuola, aspettami in cucina che facciamo colazione» sbuffo, per poi prendere in mano il mio telefono e chiamare Lazuli.
«O risolvi tu questa situazione oggi, oppure faccio io un discorsetto a quell’ingrata di una primina!» esordisce Lazuli, senza nemmeno salutarmi, glaciale e in versione “furibonda”.
«Ciao Là, deduco che non mi hai lasciato da solo nemmeno stavolta nel loop temporale!» provo a scherzare.
«Rad, trova una soluzione. Se è stata lei anche stavolta, come credo, devi farle capire di smetterla
«Spero che sia ancora lei la causa, altrimenti non saprei che pesci pigliare…».
«È lei di sicuro, l’ho aiutata volentieri, ma ti avevo detto subito che si sarebbe innamorata di te!» ringhia, sbattendomi il telefono in faccia.
Mi lascio cadere sul letto, con la testa che sembra stia per scoppiarmi.
Ti amo” le scrivo in un messaggio, giusto perché lo sappia. E perché mi sta sul cazzo lasciare le conversazioni in sospeso. Sembra che abbiamo litigato così, e mi fa male questa cosa. Anche perché quello che è successo non dipende da noi. O almeno, lo spero. Spero che il problema sia ancora una volta Lunch, e non che io e Lazuli non siamo destinati a stare insieme in nessuna cazzo di linea temporale.
Sospiro sconsolato, quando noto che Lazuli ha visualizzato e non ha risposto nulla. Mi preparo e vado a scuola, sapendo già in anticipo che sul treno avrò la stessa identica conversazione di ieri con Vegeta.
Una volta arrivato a scuola e dopo essermi congedato dal mio amico, mi dirigo subito verso la classe di Lunch. La trovo a chiacchierare con le sue solite tre amiche, che, non appena mi vedono, mi salutano ammiccando e la spingono verso di me ridacchiando.
«C-cosa c’è, senpai?» chiede Lunch, che nel frattempo è arrossita vistosamente.
«Ti è successo qualcosa di brutto?!»
«Perché?!» ribatte, sgranando gli occhi perplessa.
«Come “perché”?! Siamo ricaduti nel loop temporale!»
«Eh?!»
«Scusa, non stai rivivendo anche tu la giornata di ieri?!»
«No, perché? È successo di nuovo come tre settimane fa?» domanda Lunch, allibita, proprio mentre suona la campanella d’inizio delle lezioni. Sembra non saperne niente davvero.
«Lascia perdere…» sbuffo.
«S-senpai, dopo allora andiamo al mare?»
«Sì, ci atterremo al piano» le dico, prima di tornare in classe con la testa piena di dubbi e di paure.
Proprio in quel momento mi vibra il cellulare in tasca. È un messaggio di Lazuli: “Scusa per prima, lo so che non è colpa tua. Ci vediamo”.
Rimetto in tasca il telefono e sorrido. Mi sento già meglio. Molto meglio.
 
«Allora, cosa ne pensi?» domando a Bulma, seduto nel laboratorio di scienze durante la pausa pranzo.
«Sei sicuro di esserci con la testa, Son-kun?» mi domanda a sua volta, sistemandosi gli occhiali sul naso, mentre cammina velocemente per il laboratorio e il camice bianco aperto le svolazza alle spalle quasi come fosse un mantello.
«Lo so di essere rincoglionito, ma non capisco cosa intendi tu. Spiegati meglio, per favore».
«Intendo che mi hai chiesto una cosa talmente ovvia che ci arriverebbe anche un bambino. Se quella primina è ancora davvero il Demone di Laplace, la soluzione è molto semplice».
«Semplice?! Cosa devo fare?»
«Prima di tutto devi capire quale sarebbe la differenza più grossa tra oggi, 18 luglio, e quello che dovrebbe essere domani, 19 luglio. Qualcosa che oggi c’è e domani non ci sarebbe, che oggi è in un modo e domani sarebbe diverso» mi spiega, guardandomi negli occhi serissima, ferma a un metro da me. «Ti do un aiuto perché ti voglio bene e mi sembri in difficoltà, Son-kun: la vostra finta relazione, che da domani dovrebbe finire».
Sospiro, abbassando la testa. Lo sapevo già, anche se non volevo ammetterlo. Aveva ragione Lazuli, fin dall’inizio.
«Guarda che lo so che c’eri arrivato anche da solo, ma avevi bisogno di una conferma, di un consiglio o di un incoraggiamento. Beh, te li ho dati. Sta a te sistemare le cose».
«E cosa dovrei fare? Lei dice di non saperne nulla!»
«Non sono stupida, Son-kun. E nemmeno tu lo sei, nonostante sei uno scimmione» sbuffa. «So benissimo che tu sai già in cuor tuo perché il Demone ha ricominciato a tirare il dado».
«Perché il futuro che ha intravisto non le piace… e preferisce un eterno presente come questo?»
«Hai fatto centro, ti meriteresti un bel voto se fossi un mio studente» ghigna la mia amica dai capelli turchini. «E sai perché fa così?»
«Credo di sì…» sospiro. «Dimmelo tu, però, Bulma».
«Perché si è innamorata di te, razza di zuccone!»
«E se continua a dire che non sta vivendo anche lei questo loop temporale?»
«Tu sei certo di non essere il Demone di Laplace, Son-kun?»
«Certo che non lo sono, non ho nessuna preoccupazione che possa provocarmi la Sindrome della Pubertà perché sto da Dio da quando frequento Lazuli!»
«Ecco, questo lo sapevo anch’io. Quindi devi partire dal presupposto che il Demone deve essere per forza quella primina. Devi metterla con le spalle al muro non appena ti accorgi che sta mentendo e farle capire che non può far durare in eterno questo 18 luglio. Per lei stessa, per te e per la tua vera ragazza» mi spiega Bulma, mentre si sfila il camice. «Soprattutto per Eighteen-senpai. Se fossi stata io nei suoi panni ti avrei già ammazzato, mio caro Son-kun. Tienitela stretta, deve amarti proprio tanto per come vedo io le cose».
 
Alla fine della cerimonia di chiusura del semestre aspetto Lunch in stazione, per poi passare insieme il pomeriggio al mare come avevamo deciso. Mi sforzo di recitare le stesse battute che ho usato nella giornata di oggi che ho vissuto ieri, per cercare di studiare le sue mosse. Per capire se il Demone si sarebbe rivelato. Se si sarebbe tradito.
Ma, da quello che ho visto, nulla è cambiato da parte sua. Ha avuto le stesse reazioni di ieri, mi ha detto le stesse identiche cose. Tutto è stato uguale: i suoi momenti di imbarazzo, la scena della maglietta che non mi ero tolto, il bagno insieme, i castelli di sabbia, la granita che mi ha quasi congelato il cervello e la fine della nostra finta relazione guardando il sole al tramonto.
Spero che domani arriverà sul serio. E che potrò ricominciare la mia relazione con Lazuli, che è l’unica cosa che conta per me.
 
 
18 luglio (tris)
 
Stringo impietrito tra le mani la sveglia del mio comodino, mentre Goku continua a parlare in sottofondo. Oggi è ancora il 18 luglio, cazzo! Mi sembra di impazzire.
Sento vibrare il cellulare e leggo il nome di Lazuli sul display. Mi sta chiamando, e la cosa non può che rendermi felice. Ma so già che sarà furente. Tanto, immagino.
«Allora?!» ringhia.
«Ehm… ciao Là, una magnifica giornata, non trovi? Guarda che bel sol…».
«Rad» mi interrompe, lapidaria, in un tono talmente gelido da farmi provare un brivido lungo la schiena.
«Sì?» faccio il finto tonto. «Vuoi forse dirmi che stai per attraversare la strada per salire in casa mia? Ti aspetto a letto, nel caso!»
«Se venissi lì adesso, non sarebbe una buona cosa per te. Fidati» mi spiega.
«Sei crudele».
«Certo, e ne vado fiera. Quindi, non fare il cretino e trova una soluzione con quella primina. Non costringermi a prendere in mano la situazione».
«Ieri ho provato a replicare nello stesso modo la giornata vissuta l’altro ieri e lei non si è tradita. Oggi proverò a fare una piccola modifica. Però non escludo che domani potrebbe essere ancora il 18 luglio, ma ti giuro che sarà l’ultimo 18 luglio che vivremo in questo loop, eventualmente. Perché ho già un piano».
«Basta che ci tiri fuori da tutto questo, prima che mi stufi di aspettare la tua famosa dichiarazione» sbuffa, irritata.
«Ti amo, Là».
«Sarà meglio. Ti tengo d’occhio» mi minaccia. «Ciao».
 
A scuola e poi al mare con Lunch tutto si ripete esattamente come ieri. Mi sforzo di ripetere per la terza volta le stesse battute e di fare le stesse cose, anche se è inevitabile che ci sia meno entusiasmo da parte mia e anche un po’ di irritazione che tuttavia credo di riuscire a celare. Lunch, invece, sembra sempre la stessa. Ride, scherza, arrossisce: tutto come nei primi due anelli temporali.
Quando andiamo a mangiare la granita attuo la prima parte del mio piano: questa volta, infatti, la mangio più lentamente, così da non dover imprecare per la sensazione di avere il cervello congelato all’altezza della fronte con conseguente risata di Lunch.
Finisco così tranquillamente la mia granita, mentre osservo Lunch, in silenzio. Voglio che sia lei a dire qualcosa.
«Sei stato bravo a mangiare la granita senza farti venire il mal di testa, senpai!» esclama ridendo, a un certo punto.
«E tu come fai a sapere che di solito la mangio con talmente tanta foga che mi sembra che mi si congeli il cervello, a un certo punto?» le domando, fingendomi disinteressato alla mia stessa domanda. «Non mi hai mai visto mangiare una granita o un gelato prima d’ora, no?»
«Ehm… ecco… io, io l’ho immaginato, senpai!» ribatte, visibilmente a disagio, abbassando al testa e sforzandosi di ridere.
Sorrido, soddisfatto. Ti ho dato scacco matto, Demone di Laplace.
Domani so già che sarà ancora il 18 luglio, ma ora so cosa devo fare per sistemare le cose.
Per uscire da questo folle loop temporale.
Quando Lunch mi saluta, al tramonto, dopo avermi teoricamente scaricato, scrivo subito un messaggio a Lazuli: «Scacco matto al Demone, domani so già come sistemare tutto».
«Mi stai dicendo che mi farai aspettare ancora un giorno? Dovrai pagare per questo, scemo» mi risponde subito, facendomi sorridere, mentre guardo il mare al tramonto davanti a me.
«Posso pagarti in natura?» le scrivo.
«Sei un porco, fai schifo. Vai pure dietro alla tua adorabile primina» mi risponde.
«Dai, non essere arrabbiata: sei solo tu che assomigli alla felicità, per me!».
«Risposta sbagliata, Son».
«Perché?»
«Perché io sono la felicità per te, non è che le assomiglio e basta. Stupido».
«Hai ragione, Là. Ti amo».
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: eccoci, come tutti temevate, Lunch è tornata giusto giusto per indossare di nuovo i panni del Demone di Laplace e incasinare la vita ai nostri protagonisti. Cosa dite, vivremo un quarto 18 luglio all’inizio del nuovo capitolo? Dovrà intervenire in prima persona Lazuli (magari evitando di farsi sbattere in galera per omicidio)? Cosa ha in mente Rad?
Qualunque cosa accada, sappiate che siamo alla resa dei conti per questa saga relativa alla primina bipolare. Immagino che questo capitolo non abbia contribuito ad aumentare la sua già scorsa popolarità all’interno di questa storia.
Per il resto, purtroppo Là compare poco e solo via telefono e Vegeta ci rivela qualcosa di importante sulla sua situazione con Marion. Staremo a vedere, so che stimate tutti l’azzurra e quindi credo siate dispiaciuti per questo! ;-)
 
Parlando del capitolo di settimana scorsa, sappiate che ho adorato tutte le vostre teorie relative a Videl su chi sia e dove sia. Continuate a pensarci, perché sentiremo ancora parlare di lei. Comunque sono felice che vi sia piaciuta, in certe cose è molto simile a Lazuli, mentre in altre è diametralmente opposta. Al di là della sua sparizione Rad ha già fatto la sua scelta, ma ciò non toglie che Videl abbia fatto grandi cose per lui e che prima o poi sarebbe bello chiarire i misteri che aleggiano intorno a lei.
Vi ringrazio anche per la parte su Goku e la famiglia di Radish, e relative riflessioni a riguardo!
Un grazie speciale poi come sempre a chi mi dedica un pensiero in una recensione e dimostra sempre entusiasmo per questa storia, spero vi sia piaciuto tornare ad andare avanti con la trama dopo tre capitoli dedicati alla serata tra Rad e Là in cui sono emerse tante cose.
Ringrazio chi continua a leggere e a inserire la long nelle liste, siete in tanti e siete il mio orgoglio. Grazie!
 
Bene, non mi resta che darvi appuntamento a mercoledì prossimo per vedere se finiranno questi loop e se Lunch davvero non è consapevole/responsabile di quello che sta accadendo… voi cosa ne pensate? Per ora vi dico il titolo: “Una goccia e una lacrima”.
Ci vediamo già domenica con il settimo e terzultimo capitolo di “Mythos”, invece, per chi la segue o vorrà iniziarla!
 
Teo

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Capitolo 18
*** Una goccia e una lacrima ***


18 – Una goccia e una lacrima
 
 
 
18 luglio (quater)
 
«Fratellone! È mattina!»
La voce squillante di Goku che mi obbliga ad aprire gli occhi con la stessa frase per il quarto giorno di fila, ormai, non mi sorprende più. Guardo la sveglia, tutto come previsto. Oggi me l’aspettavo, e gliel’avevo già detto anche a Lazuli. Spero che il mio piano funzioni, ovviamente. Anche se mi auguro di non ferire troppo Lunch, perché non se lo merita nonostante mi stia creando un sacco di casini. Però li sta creando indirettamente anche a Lazuli, e questo non va bene dal mio punto di vista. Devo sistemare la questione e devo farlo oggi. Punto.
«Senti, Prince» dico a Vegeta, mentre entrambi fissiamo con sguardo assente fuori dal finestrino, sul treno che ci sta portando a scuola. «Ho bisogno di un consiglio».
Il mio amico si volta verso di me e mi osserva, sollevando appena un sopracciglio.
«Tu stai ancora con Marion, giusto?» gli chiedo.
«Che domande del cazzo fai, Rad?! Lo sai benissimo che stiamo insieme!» sbotta, irritato. «Anche se dovremmo sistemare delle cose, perché non va tutto alla grande come una volta…».
«Sono certo che si sistemerà tutto, Prince, e che qualcuno ti aiuterà in questo» lo rincuoro, appoggiandogli una mano sulla spalla.
«Tu?!» sbuffa, guardandomi male.
Pensavo a Bulma, ma so benissimo che è inutile fare allusioni con lui, dato che non ci arriva proprio. E poi sono io ad avere bisogno davvero di un suo consiglio.
«Lascia perdere…» sospiro. «Allora: se tu fossi fidanzato e ci fosse un’altra ragazza innamorata di te, cosa faresti? Come ti comporteresti dopo esserti reso conto dei suoi sentimenti?»
«Lunch lo sa?» chiede Vegeta. Quando vuole, allora, sa essere perspicace. «Cioè, sa che tu lo sai? Che lei si è innamorata di te, intendo? Cazzo, che casino! Tsk!»
«Io non ho mai nominato Lunch» gli sorrido.
«Non prendermi per il culo, Rad. È talmente evidente… allora, lo sa o no?!»
«Non ancora. Non le ho detto che ho capito che mi ama».
«Forse a furia di stare con te sto diventando anch’io un sentimentale del cazzo, ma mi sembrerebbe un po’ egoista se la costringessi a dichiararti chiaramente quello che prova per te».
«Lo so, Prince…».
«Però non potrei neanche fare finta di niente in eterno, se fossi in te… Che situazione del cazzo! Tsk!»
«Già, è proprio una situazione del cazzo…».
 
Al termine della cerimonia di chiusura del semestre aspetto Lunch appena fuori da scuola e non in stazione, come invece avevo fatto negli altri anelli temporali. Ormai so per certo che sta mentendo, quindi ho deciso di cambiare le carte in tavola, oggi. Appoggio la schiena al muro e metto le mani in tasca, osservando distrattamente gli studenti che si allontanano.
«Senpai!»
La voce di Lunch mi fa voltare verso di lei. «Come mai non mi hai aspettata in stazione?»
«Mi andava di stare qui…» rispondo, senza guardarla. «E poi, perché avrei dovuto aspettarti in stazione? Sapevi già che mi avresti trovato lì?»
«Ehm… ecco, no… io…» comincia a farfugliare, prima di interrompersi all’improvviso e sgranare gli occhi.
Mi giro anch’io e mi accorgo solo in quel momento di Lazuli, che la sta letteralmente incenerendo con lo sguardo, ferma a pochi metri da noi. Sta uscendo anche lei da scuola, del resto. E sta anche stritolando la spallina del suo zaino, da quanto la sta stringendo forte con una mano.
«E-eightenn-s-senpai!» esclama Lunch, inchinandosi leggermente in direzione di Lazuli. Il suo colorito è passato dal bianco cadaverico al rosso vivo nello spazio di pochi secondi. Fanno davvero così paura alla gente le occhiatacce demoniache della mia dolce metà?
«I-io… vorrei solo…» farfuglia Lunch, che forse è indecisa se ringraziarla per quello che sta facendo indirettamente per lei o scusarsi per questa storia dei loop temporali.
«Non chiamarmi “senpai”» la interrompe Lazuli, gelida, mentre si sistema una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio, prima di voltarsi e andarsene per la sua strada. I nostri sguardi si incrociano per un solo, magico, istante. Accenniamo entrambi un sorriso d’intesa. Quanto mi piace quando riusciamo ad essere così complici io e lei. Magari può sembrare una stronzata, ma è una cosa che mi fa stare dannatamente bene.
«Dai, andiamo» dico a Lunch, non appena la sagoma di Lazuli non compare più davanti a noi. «Guarda che non ti mangia mica, a me ne ha combinate di molto peggiori, eh!» rido. «E mi piace per questo».
«Ah… sì, senpai! Ho voglia di andare al mare con te!» esclama Lunch, che sembra essersi ripresa dal lieve shock provocato dal faccia a faccia con Lazuli e dal fuoco emanato dai suoi occhi di ghiaccio. Adoro la mia principessa in versione psycho!
«Sarò sincero con te» le rispondo, cominciando a camminare sempre con le mani in tasca. «È la quarta volta che rivivo questa giornata, e lo stesso vale per Lazuli. Quindi non ho voglia di andare al mare».
«Dove andiamo, allora?» chiede, seguendomi senza opporsi.
«Prendiamo il treno per Enoshima» le dico.
 
Una volta arrivati, passiamo il pomeriggio passeggiando tra le vie della città, sia quelle più moderne che quelle più tradizionali che la rendono celebre. Entriamo in diversi negozi, è piacevole l’atmosfera che si respira qui. È un luogo che sa molto di storia giapponese e di cultura, grazie anche al grande tempio Hetsunomiya che troneggia dall’alto di una lunghissima scalinata e che sovrasta la città. Facciamo uno spuntino, prima di decidere di andare a visitarlo. Percorriamo una scalinata che sembra infinita, fermandoci di tanto in tanto ad osservare statue dorate del Buddha di diverse dimensioni incastonate in nicchie scavate nella roccia che costeggia la salita immersa in una fitta e verdeggiante vegetazione. Lunch arranca alle mie spalle, non ce la fa più.
«Muoviti, sei anche una primina!» la provoco, ridendo.
«E questo cosa c’entra?!»
«Beh, sei più giovane di me, dovresti avere più forza! Dai, è tutto allenamento!»
«Non sei carino, dovresti prendermi in braccio e portarmi su tu! O almeno in groppa».
«Sei troppo pesante».
«Come ti permetti!» sbotta, dandomi un calcio nel sedere, proprio come la prima volta che ci siamo conosciuti.
«Allora è un vizio il tuo?!» la guardo male, prima di mettermi a ridere.
«S-scusami, senpai…» arrossisce Lunch, improvvisamente intimidita. Sì, è decisamente bipolare questa ragazza.
Ci fermiamo per qualche istante a pregare davanti all’altare principale, prima che la mia attenzione venga attratta da una bancarella nel piazzale antistante il tempio.
«Pare che queste tavolette aiutino nelle relazioni amorose» dico a Lunch, afferrando una tavoletta votiva rettangolare di legno dipinta di rosa esposta nello stand. «Ne voglio compilare una» affermo, prendendo un pennarello nero e scrivendo il mio nome all’interno del cuore rosso il cui contorno è disegnato al centro della tavoletta. Su un lato del cuore bisogna scrivere il proprio nome, sull’altro lo deve scrivere il partner.
«Eh! Vuoi mentire agli dei, senpai?!» esclama Lunch, paonazza. «È un peccato gravissimo!»
Non le do retta, continuando a scrivere.
«Però… se proprio insisti, scriverò lo stesso il mio nom…».
«Vado ad appenderlo» le sorrido, interrompendola. Le faccio vedere che ho scritto il nome e cognome di Lazuli sull’altro lato del cuore. Non mi piace fare lo stronzo, ma sono semplicemente sincero.
«A-ah… n-non avevo capito parlassi di Eighteen-senpai!» esclama Lunch, tutta rossa, distogliendo lo sguardo dal mio.
«Che nome dovevo scrivere, scusa? L’hai detto tu che non bisogna mentire agli dei, io e te ci siamo limitati a mentire all’intera scuola!» rido, mentre lei appare sempre più imbarazzata. «Anche se io penso di essermi già guadagnato comunque un biglietto di sola andata per l’inferno» aggiungo, per farla ridere, mentre metto la mia offerta votiva nella scatola di legno apposita. «Vado ad appenderla».
Ci dirigiamo sul lato opposto del piazzale, dove solo una staccionata di legno ci separa da uno strapiombo fitto della stessa vegetazione rigogliosa e verdeggiante che abbiamo incontrato durante la salita verso il tempio. Oltre questo bosco, si intravede la città vista dall’alto e, soprattutto, il mare sullo sfondo regala uno spettacolo mozzafiato. Ed è proprio davanti alla staccionata che ci separa da questa meraviglia che sono posizionate le bacheche di legno su cui appendere le tavolette votive. Ce ne sono tantissime, e mi chiedo se tutte queste coppie siano ancora felici insieme. Spero di sì, come spero che io lo sarò sempre con la mia Lazuli. Ma non ho dubbi su di lei. Su di noi. Cercherò di non deluderla mai, di renderla felice come merita.
«Sai, un giorno spero di tornare qui con Lazuli e di appendere una nuova tavoletta votiva, firmata anche da lei stavolta» spiego a Lunch, mentre annodo il filo rosso per fissare la tavoletta al chiodo della bacheca, lasciandola poi penzolare. Una sacerdotessa vestita con un kimono bianco con gonna rossa batte le mani tre volte e suona una campanella, prima di inchinarsi giungendo le mani. Anch’io mi inchino verso di lei. La benedizione è completata.
«Anche se in realtà non so se a Lazuli possano piacere davvero cose come le tavolette votive…» butto lì, rivolto a Lunch, che ha osservato la scena in silenzio.
«A… a me… piacciono, senpai» sussurra timidamente, senza guardarmi, mentre ci dirigiamo verso un’ampia balconata seguendo la staccionata vicino alla quale ho appeso la tavoletta. Da qui si può vedere ancora meglio il mare, ed è uno spettacolo meraviglioso.
«Allora vedrai che un giorno verrai qui con qualcuno di speciale e appenderete insieme la vostra tavoletta votiva» provo a rincuorarla. «Da stasera tornerai single anche agli occhi di tutta la scuola, no? Sono certo che avrai la fila di ragazzi che vorranno uscire con te. Vedi di scegliere bene, più che altro» aggiungo, appoggiandomi alla balaustra con entrambi i gomiti per godermi il panorama.
«Qualcuno di speciale?» ripete lei, mestamente. «Ma, veramente… io, in realtà… no, scusa, senpai…».
La guardo con la coda dell’occhio, fingendo indifferenza. Mi fa male vederla così. Ma credo sia necessario, anche per lei.
Restiamo in silenzio a guardare il mare dall’alto per qualche minuto, persi ognuno nei propri pensieri. È bellissimo quassù. Si respira pace, serenità. E si respira la storia, anche. Vorrei ci fosse Lazuli qui.
«Senpai» mi chiama Lunch, timidamente.
«Uhm» bofonchio, senza smettere di guardare il mare.
«R-riguardo alla cosa di prima… e-ecco… no, lascia perdere» farfuglia. «Senti, perché non andiamo al mare come avevamo deciso? Facciamo ancora in tempo!» mi sorride. «Ho già il costume sotto la divisa! Non vuoi vedermi in costume?»
Resto in silenzio, senza guardarla, cercando le parole giuste.
«Senpai…».
«Basta mentirmi, Lunch» le dico, perentorio, continuando a osservare il mare.
«Eh?! Perché?! Hai una faccia spaventosa in questo momento…» prova a scherzare lei. «Va tutto bene? È successo qualcosa?»
«Davvero pensavi che non me ne sarei accorto?» ribatto, serissimo, guardandola finalmente negl’occhi.
«Di cosa stai parlando?» fa la finta tonta, anche se la sua voce trema leggermente.
«Anche se per finta, siamo stati insieme per tre settimane» rispondo, guardandola in faccia. «Sono uno che sa leggere tra le righe, ma ho deciso di non farlo» aggiungo, staccandomi dalla balaustra e ponendomi direttamente di fronte a lei. «Se non vuoi dirlo tu, lo farò io».
Lei abbassa la testa e stringe i pugni. Ha capito di sicuro dove voglio andare a parare. Ma resta in silenzio.
«Puoi tirare il dado tutte le volte che vuoi, ma i sentimenti delle persone non cambiano altrettanto semplicemente» le dico, mentre lei solleva la testa solo per osservare il mare. «Così come una bugia non potrà mai diventare verità, allo stesso modo una verità non potrà mai diventare una bugia».
«Neanche dopo cento volte?» domanda, con un filo di voce, continuando a fissare il mare.
«No».
«Neanche dopo mille volte».
«Nemmeno. Puoi provarci anche un miliardo di volte, ma non cambierà nulla» le spiego. «È solo la pazienza che io e Lazuli siamo disposti a sopportare che potrebbe cambiare, come hai già potuto vedere oggi».
Osservo Lunch, che sospira profondamente, incapace di rispondermi qualcosa. Mi fa male vederla così, ma credo che abbiamo giocato tutti fin troppo, ormai.
«L’amore che provo per Lazuli non cambierà mai, neanche ripetendo all’infinito questa giornata» riprendo. «E anche i tuoi sentimenti rimarranno gli stessi».
Proprio in quel momento comincia a piovere, come previsto. Come era successo nei precedenti loop temporali passati in spiaggia. Restiamo immobili, sotto la pioggia battente di questo temporale estivo.
«Sei un bugiardo» sibila Lunch, con la voce spezzata da un pianto che ormai fatica a trattenere. Stringe forte la balaustra con entrambe le mani, mentre abbassa lo sguardo mestamente. «I miei sentimenti cambiano eccome. Si intensificano ogni volta che riviviamo questa giornata» aggiunge, sottovoce. «Mi ero ripromessa di dimenticarli, ma non ce l’ho fatta. Ogni volta dicevo che sarebbe stata l’ultima, che ti avrei lasciato andare. E, invece, niente, anche se avevo deciso di rinunciare a questi sentimenti…».
La guardo senza dire nulla, bagnato fradicio e con la camicia della divisa scolastica appiccicata addosso. Voglio che sia lei a continuare, a esternare una volta per tutte quello che ha dentro. Per poter andare avanti, una volta per tutte. Anche se farà malissimo a entrambi.
«Sai, oggi volevo godermi al massimo quest’ultimo appuntamento e finire questa finta relazione con un sorriso. Tu saresti stato finalmente libero di metterti insieme a Eighteen-senpai, mentre io sarei potuta diventare una tua buona amica con l’inizio del nuovo semestre» sospira, guardando improvvisamente verso il cielo. Credo non sia solo pioggia quella che le bagna il volto. Penso siano soprattutto lacrime. Mi fa male vedere la gente piangere. E fa malissimo essere proprio io la causa del dolore di qualcun altro. «Volevo davvero che tu diventassi il mio più grande amico. Quello con cui avrei sempre potuto confidarmi, quello da cui, magari, mi sarei anche potuta fare un po’ viziare, essendo una tua kohai. Pensavo che un giorno avremmo potuto ridere insieme di gusto per aver fatto finta di essere una coppia per tre settimane. Sai, pensavo che saremmo rimasti amici per sempre, senpai».
Si volta verso di me, lentamente. «Io desideravo solo questo, non chiedevo niente di speciale. Non volevo comportarmi da egoista, non volevo creare problemi a nessuno…» aggiunge, laconica. «Allora… allora… perché domani non vuole saperne di arrivare?! Perché i miei sentimenti diventano più forti ogni giorno che passa?!» grida, all’improvviso. «Tutto questo… tutto questo è troppo crudele! Ho persino provato a far finta che non fossero mai esistiti questi sentimenti!»
«Non serve che tu lo faccia» la interrompo.
«Devo farlo, invece!» urla, sgranando gli occhi. «Cerca di capirmi, tu sei innamorato di Eighteen-senpai! Per te… per te sono solo una seccatura! Gli amici non dovrebbero provare questi sentimenti che provo io!»
«Non ti ho mai detto che sei una seccatura» ribatto, cercando di mostrarmi calmo, mentre lei piange disperatamente e la pioggia non smette di cadere.
«Ti odio! Ti odio tantissimo!» sbraita. «È tutta colpa tua! Sei stato troppo gentile con me!»
«Hai ragione, è colpa mia» ammetto. «E proprio per questo non ti dirò di trattenerti. Urlami pure quello che vuoi, se può aiutarti a star meglio».
«Io… io non mi sopporto! Questa non sono io!» grida, stringendo i pugni.
«Invece sì. Anche questa è una parte di te» ribatto, restando impassibile.
«Non è vero! Questa non sono io!» urla, chiudendo gli occhi e scuotendo la testa. «Io non vedevo l’ora che arrivasse questa pausa estiva per poter diventare tua amica, tutto qua!»
«Smettila di mentire a te stessa» le rispondo, alzando per la prima volta anch’io il tono della voce. «Hai sedici anni, sei carina, intelligente e hai un bel carattere. Niente sarà impossibile per te da adesso in poi!»
«Non vale… non puoi dirmi certe cose…» sospira, guardandomi negli occhi. Sembra essersi calmata, almeno un po’.
«Dai, non trattenerti» le sorrido. «Va tutto bene».
«Sei uno stupido! Ti odio! Ti odio tantissimo, stupido che non sei altro!» riprende a sbraitare, senza smettere di piangere. «Però… però… mi piaci…» aggiunge, in un sussurro tra le lacrime, mentre smette di piovere e torna il sole a splendere su di noi. «Sono innamorata di te» mi dice, guardandomi dritto negl’occhi. «Sono follemente innamorata di teee!» sbraita.
«Lunch… sei stata grande» le dico, dopo essere rimasto per qualche secondo a guardarla in silenzio. Le sorrido, mentre scoppia di nuovo in un pianto disperato. «Credo che un giorno capirai che questo che provi per me non è amore. Non quello vero, almeno. Ammirazione, forse. Gratitudine. Ci sono passato, quindi so che fa male. Ma fidati del tuo senpai: un giorno rideremo insieme davvero per tutto questo, come buoni amici. Perché, alla fine, chi ride è più forte, me l’aveva insegnato una persona tempo fa. Fidati di me».
La abbraccio, perché non so cos’altro fare. Cos’altro dire.
Penso che sarà il tempo a sistemare le cose. Credo che capirà, prima o poi. Anche se magari farà male nel frattempo.
Perché credo che una notte anche se è lunga poi ce l’ha una fine, e che in certi momenti non c’è proprio un cazzo da dire.
Quello che so per certo è che domani arriverà di sicuro, ed è giusto così. Per tutti.
 
 
 
 
 
 
Note: allora, cosa ne pensate? Arriverà davvero il 19 luglio come pensa Rad a questo punto? Non è che Lunch ha magari in serbo qualche altra sorpresa “temporale”?
Spero vi sia piaciuto questo capitolo e che abbiate apprezzato il modo in cui Rad ha provato a gestire la situazione. Là sembrava un po’ meno diplomatica nella sua breve ma intensa apparizione, ma lei ci piace così, giusto? ;-)
Bene, nel prossimo capitolo chiudiamo definitivamente questa saga dedicata a Lunch, qualunque cosa accada. Sarà un capitolo intenso, perché succederanno un paio di cose abbastanza impensabili, un colpo di scena subito all’inizio e una clamorosa bomba alla fine che darà il via alla nuova saga interna a questa long.
In tutto questo, Rad e Là riusciranno a mettersi insieme ufficialmente ora che Lunch ha ammesso tutto?
Il prossimo capitolo si intitola “L’uccello che condivide le ali” e sarà davvero bello e importante, secondo me. Se conoscete Darling in the Franxx questo titolo non vi suonerà nuovo, ho preso spunto da lì.
 
Ringrazio come sempre tutti voi che continuate ad apprezzare questa long e mi lasciate sempre il vostro parere. Un grazie speciale va anche a chi legge in silenzio e ha inserito la storia nelle liste. Se avete dubbi o curiosità, magari anche sul tempio descritto nel capitolo o altro, chiedete pure!
 
Ci vediamo mercoledì prossimo con il capitolo bomba che vi ho accennato, mentre già domenica per il penultimo atto di “Mythos” per chi la sta seguendo o volesse leggere qualcosa di diverso!
 
Teo
 
 

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Capitolo 19
*** L'uccello che condivide le ali ***


19 – L’uccello che condivide le ali
 
 
 
27 giugno (quater)
 
«Apriamo il notiziario di oggi, venerdì 27 giugno, con la grande vittoria di ieri sera della nazionale giapponese contro la Corea del Sud» sento esclamare dalla presentatrice del telegiornale che sta guardando Goku, non appena faccio capolino in salotto dopo essere stato svegliato proprio da lui.
Resto impietrito accanto al divano.
«Quella ragazza è un portento» sbiascico, con gli occhi sgranati. «O un vero Demone peggio del Demone di Laplace…».
«Fratellone?! Stai bene?!» mi chiede Goku, allibito.
«È come… è come se fosse stata tutta una simulazione del futuro?!» farfuglio, fissando il volto incredulo di mio fratello.
«Uhm… Goku non capisce niente…».
«Lo so, non preoccuparti!» sorrido, correndo in camera per recuperare il cellulare. Lo prendo in mano, proprio mentre comincia a vibrare. Sorrido un po’ di più. È Lazuli.
«Ciao Là!»
«Cos’hai combinato, imbecille?!»
«Non sei contenta? Siamo tornati indietro di tre settimane, non dovremo più fingere di esserci lasciati!»
«Ti ricordo che non ci siamo ancora messi insieme».
«Giusto, hai ragione tu, mia regina!»
«Rad?»
«Sì?»
«Sono felice. Sei stato bravo. Ora preparo il bento che ti avevo promesso, ci vediamo in pausa pranzo nella solita aula delle altre volte».
«Non vedo l’ora, Là. Non vedo davvero l’ora».
«Però se ti trovo ancora con quella primina a cavalcioni sopra di te come l’ultima volta, sappi che ti ammazzo».
 
Alla fine delle lezioni mattutine mi dirigo a tutta velocità verso la classe dove mi ero già dato appuntamento con Lazuli e dove mi ero dichiarato le prime due volte che ho vissuto questa giornata. La stessa aula dove, nel terzo loop temporale, Lunch mi è franata addosso davanti agli occhi di Wolf, prima, e della mia senpai preferita, poi.
Questa volta, la quarta, sarà quella buona?!
Quando apro la porta trovo Lazuli già seduta, che guarda il mare fuori dalla finestra. Ha già unito due banchi uno davanti all’altro e apparecchiato, con il bento preparato da lei.
«Ho preferito arrivare per prima stavolta» mi dice freddamente, senza voltarsi. «Volevo controllare che non ci fosse quella primina in mezzo ai piedi».
«Sai, non me n’è mai fregato molto di quello che pensasse la gente di me, ma sono felice che siamo tornati indietro di tre settimane e che non dovrò fingere di stare con Lunch» le rispondo, sedendomi davanti a lei. «Mi pesava tantissimo non poter essere noi stessi alla luce del sole e anche il fatto che tutti pensassero che mi fossi già trovato un’altra per sostituirti, prima di rimettermi con te».
«Guarda che io e te non stiamo insieme» risponde, gelida, voltandosi finalmente verso di me. Accenna un sorriso, mentre si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Ma sappi che sono felice anch’io che questa cosa resterà solo un nostro ricordo, che non dovremo condividerlo con nessuno a parte quella primina dall’innamoramento facile».
«Mi stai dicendo che sei gelosa?» la provoco, sorridendole sghembo.
«Ti sto dicendo che se provi anche solo lontanamente a pensare di poter fare un’altra volta una cosa del genere finiresti molto male» sbotta, alzandosi di scatto e afferrando la mia cravatta. Mi tira verso di sé, a pochi centimetri dal suo volto, mentre mi incenerisce col suo sguardo di ghiaccio. «Chiaro?» aggiunge, prima di spingermi di nuovo contro la mia sedia e tornare a sedersi, ricomponendosi come se nulla fosse successo.
«C-certo, mia suprema regina» farfuglio, allentandomi il nodo della cravatta. «L’unica cosa che mi fa soffrire è che dovrai andare di nuovo a Kagoshima a girare quel telefilm».
«Ne avrei fatto a meno anch’io, ma almeno potrò fare un lavoro migliore conoscendo già bene il copione e le richieste del regista» spiega, aprendo la confezione fucsia del suo bento. «Però tu mi devi telefonare sempre come nell’altro anello temporale, ok?» aggiunge, fingendo indifferenza e distogliendo lo sguardo dal mio.
«Certo, Là» le dico, prendendole delicatamente il mento tra indice e pollice per farla voltare verso di me. «Tu guarda sempre il cielo quando sentirai la mia mancanza, perché lo starò facendo di sicuro anch’io».
«O-ok…» risponde in un sussurro, arrossendo leggermente.
«Perché se guardiamo entrambi lo stesso cielo, non siamo poi così lontani. Giusto?» aggiungo, incatenando i miei occhi nei suoi.
«S-sì…» mi dice, ed è dolcissima. Sembra così indifesa.
«Sei adorabile quando fai così, lo sai?» le sorrido, accarezzandole i capelli.
«E tu… tu sei uno stupido!» ribatte, irritata e decisamente rossa in faccia. Spinge via la mia mano e incrocia le braccia sotto il seno, tornando a guardare fuori dalla finestra. «Sarà meglio che sfrutterai questa occasione anche per fare decentemente gli esami di metà semestre stavolta!» sbotta. «Sai già la domande, visto che immagino saranno le stesse. Quindi ti farò studiare come dico io e persino un asino come te potrà prendere il massimo dei voti per una volta!»
«Addirittura il massimo?!» sbuffo. «Ok che so già le domande, però…».
«”Però” un corno!» mi interrompe, alzando il tono della voce e tornando a guardarmi dritta negl’occhi. «A meno che tu non preferisca che io faccia l’università con qualcun altro» aggiunge, mentre un lieve ghigno le si dipinge sul volto.
«Questo mai!» ghigno a mia volta.
«Allora mangia, invece di parlare sempre per niente» ribatte, afferrando le sue bacchette e indicando la scatola che aveva già preparato davanti a me.
«Ti amo, Là» le dico a bruciapelo, non appena apro la confezione azzurra del bento che ha fatto per me. «Mettiamoci insieme, ti va?»
Lei mi guarda negli occhi distrattamente per un istante, prima di prendere un pezzo di tofu con le bacchette e portarselo alla bocca. Si volta alla sua sinistra, osserva il mare dalla finestra. Arrossisce leggermente. La adoro. Oggi come ieri, sì. Oggi più di ieri. Non mi dispiace certo rivivere in loop i momenti passati insieme a lei.
«Mi ignori, Là?»
«È un mese intero che me lo ripeti, anzi, di più, considerando quest’ultimo loop. Ormai non mi fa più lo stesso effetto di prima» mi gela, senza voltarsi. O almeno, mi aveva gelato la prima volta. Lo sa anche lei, immagino, però vedo che sta giocando a seguire lo stesso copione delle altre volte. «Non mi provoca più il batticuore di quel giorno nel campo di calcio».
«Capisco. Quindi è un “no”, giusto?» sospiro mestamente. «A quanto pare dovrò cercarmi un nuovo amore…».
«Ehi! A-aspetta!» farfuglia Lazuli, sgranando gli occhi e piantandoli nei miei. Si alza di scatto facendo cadere la sedia alle sue spalle. «Da adesso ti devi impegnare, però. Non mi accontento più della dichiarazione che mi hai già fatto l’ultima volta, quella dei quadrifogli. E nemmeno della prima, anche se erano belle tutte e due» aggiunge, con un lieve ghigno dipinto sul volto. Si risiede e mi sorride, aspettando la mia prossima mossa. «E comunque non dire mai più certe cose, nemmeno per scherzo. O ti faccio fuori».
Le sorrido a mia volta, prima di guardare il mare e poi, soprattutto, il cielo. Vedo due gabbiani che volano insieme verso l’orizzonte.
«Ehi, Là, ti ricordi quando ti ho detto che avrei sempre voluto volare, ma che mi sono anche sempre sentito come un uccello con una sola ala?»
«S-sì…» esclama, facendo cadere le bacchette sulla tovaglietta e sgranando leggermente gli occhi. Mi volto verso di lei e glieli vedo brillare. Avevo già notato che, per qualche motivo, questa storia l’aveva colpita quando l’avevo accennata. «Avevi detto che da quando mi hai conosciuta, in qualche modo, ti sembra di poter volare finalmente. Anche con una sola ala».
«Giusto. E lo sai come faccio a volare anche con una sola ala?» le dico.
«Sì» mi risponde, mentre i suoi occhi improvvisamente diventano lucidi.
«Come fai a saperlo?» le chiedo, stupito. Mi ero preparato una storia da raccontarle, per stupirla, ma forse la conosce già. Strano, di solito non la sa mai nessuno questa storia che avevo letto su un libro da bambino e che mi è sempre rimasta impressa.
«Lo so e basta» sussurra. Sembra commossa, è stranissimo vederla così. «Lo so perché io sono come te. Anch’io mi sono sempre sentita come un uccello con una sola ala, fin da quando ero una bambina».
«Avevi anche tu quel libro?!» le chiedo, mentre il cuore comincia a battermi all’impazzata e un vortice di emozioni mi salgono dallo stomaco fino alla gola.
«S-sì…» sorride. «Sei la prima persona con cui parlo che conosce questa storia, quando ero piccola gli altri bambini mi prendevano in giro e dicevano che me l’ero inventata. Col tempo ho smesso anche di chiedere se qualcuno la conoscesse» aggiunge, con gli occhi sempre più lucidi e un sorriso sempre più ampio. «Mia mamma, un giorno, mi ha anche buttato via quel libro illustrato. Diceva che ero diventata grande, ma io non l’ho mai dimenticato».
«È vero, anch’io non ho mai incontrato nessuno che conoscesse quel libro. Ma dovrei avercelo ancora da qualche parte, nella casa vecchia, però» le spiego. Un po’ mi sto commovendo anch’io, cazzo! «Allora non c’è bisogno che te la racconti, immagino» le sorrido.
«No, raccontamela» mi dice, allungando la mano improvvisamente e afferrando la mia. Intreccia le sue dita intorno alle mie. «Per favore, Rad» mi sorride, e credo di non averla mai vista così bella come in questo momento.
Il suo sguardo, in questo preciso istante, mi confonde e mi fa battere il cuore. Mi fa sciogliere. Mi fa sentire parte di lei.
«La leggenda narra che esiste un uccello che non è capace di volare, ma che sogna il cielo fin da quando è nato. Gli uccelli di questa specie sono molto rari, nascono con una sola ala» comincio a raccontare, mentre Lazuli mi stringe più forte la mano. «Vivono da soli, nascosti, cercando di sopravvivere senza poter volare. Vivono sognando quel cielo dove vedono gli altri uccelli, così simili a loro, potersi librare senza problemi. Soffrono, non c’è nulla che gli venga regalato nella loro vita. Si sentono diversi, esclusi. Eppure non mollano, vanno avanti per la loro strada piena di ostacoli da superare, continuando a sognare il cielo. Quel cielo che non sanno se riusciranno mai a raggiungere».
Mi interrompo, perché vedo una lacrima scendere leggera sulla guancia di Lazuli mentre sorride. Gliela asciugo, senza rendermi conto che ne sta scendendo una anche a me. E anch’io sto sorridendo. Sono proprio un coglione. Un cazzo di sentimentale, come dice Vegeta. Però so che posso essere me stesso davanti a lei. Solo davanti a lei.
«Questa è la storia del Jian, “l’uccello che condivide le ali”» riprendo, ripensando a quel vecchio libro illustrato che leggevo sempre da bambino e di cui nessun altro aveva mai conosciuto l’esistenza. Proprio la stessa cosa che è successa a Lazuli. «Il Jian, quando nasce e mentre lotta ogni giorno per sopravvivere, non sa ancora che un particolare destino scorre nelle sue vene. Un destino speciale» continuo, senza potermi staccare dai magnetici occhi di ghiaccio di Lazuli. «Il Jian, quando finalmente incontra un altro raro esemplare della sua stessa specie ma di sesso opposto al suo, si rende conto che lui, così com’è, è una creatura incompleta. Un uccello che non potrà mai spiccare il volo. La stessa cosa la capisce anche l’altro esemplare. Entrambi, però, capiscono improvvisamente anche che non è vero che non potranno mai volare insieme agli altri uccelli che li hanno sempre guardati dall’alto. Che saranno anche incompleti, ma che sono soprattutto speciali».
«Il Jian, “l’uccello che condivide le ali”» mi interrompe Lazuli, con un tono di voce così dolce che non mi sembra neanche il suo. «Una specie dotata di una sola ala. Se il maschio e la femmina non si appoggiano l’uno all’altra non sono in grado di volare. Ma, quando lo fanno, riescono a librarsi molto più in alto di qualsiasi altra specie di uccelli».
«Una volta arrivati nel cielo, vicino alla nuvole, si rendono conto che ci sono anche altre coppie di Jian che volano, solo che, visti dal basso, sembravano dei comuni uccelli. Le loro teste sono talmente vicine da apparire un’unica entità da lontano» riprendo io. «I due Jian, realizzano che quello che avevano sempre sognato era anche sempre stato davvero possibile. Perché “l’uccello che condivide le ali” è, soprattutto, una creatura speciale. Unica».
Mi interrompo, e asciugo di nuovo una lacrime scesa sul volto sorridente e meraviglioso di Lazuli. L’ho già vista piangere, ma non l’ho mai vista così. È… è semplicemente meravigliosa.
«Sono creature incomplete, tuttavia il loro modo di vivere, io… beh, io l’ho sempre trovato…» continuo, guardando negli occhi Lazuli.
«… stupendo» aggiungo, rendendomi conto che la sua voce si è sovrapposta alla mia. Abbiamo completato la frase insieme.
Lazuli si alza, senza dire una parola, e viene verso di me. Mi alzo anch’io, e quasi non faccio in tempo a rendermi conto di avere le sue braccia intorno al collo.
Mi bacia. Mi bacia e mi toglie il fiato.
Un bacio dal sapore dolcissimo e allo stesso tempo salato dalle lacrime che scorrono libere sui nostri volti.
Mi sento una cosa sola con lei, ed è una sensazione impagabile.
È un bacio intenso, che brucia passione e amore. Uno di quei baci che fanno battere davvero il cuore.
La stringo sui fianchi e la incollo a me, perché vorrei davvero che non finisse mai questo momento.
Vorrei volare nel cielo con lei, e vorrei farlo per sempre.
«Rad» sussurra Lazuli, appoggiando la testa alla mia. «Allora, secondo te, noi due potremo volare via, insieme?»
«Certo, Là. E potremo volare ogni volta che vorrai» le rispondo dolcemente. «E per quanto tempo vorrai».
«Mettiamoci insieme, Rad!» esclama, sorridendo felice. «Stavolta sul serio, però».
«Non chiedo altro, Là» le rispondo, mentre sento il petto letteralmente esplodere sotto le mie profonde cicatrici. La tiro a me e la bacio di nuovo, perché sento di non poterne fare a meno.
Perché da adesso, io e Lazuli Eighteen siamo ufficialmente una coppia.
«Ti amo, Là» le dico, quando finalmente riusciamo a staccarci l’uno dall’altra.
«Io… io…» farfuglia lei, arrossendo leggermente e distogliendo lo sguardo dal mio. È così tenera quando si imbarazza. Ci siamo baciati fino ad un attimo fa, eppure si intimidisce nel provare a dirmi quello che prova. Ha un carattere fantastico, e si vede che i sentimenti per lei non sono un gioco. Che sono roba seria.
«Stai forse cercando di dirmi quello che provi per me?» le chiedo, accarezzandole i capelli.
«B-beh, tanto a chi vuoi che interessi?! Non è evidente?!» farfuglia, offesa, scostando la testa per allontanare la mia mano.
«A me interessa» le sorrido.
«Vuoi… vuoi proprio saperlo a tutti i costi?» mi chiede timidamente, tornando a guardarmi negl’occhi. Sta di nuovo arrossendo, e il suo volto è di una bellezza e di una tenerezza che mi spiazzano e mi emozionano allo stesso tempo.
«Sì…» sussurro, deglutendo il nulla, perso nel suo sguardo di ghiaccio.
Mi afferra per la cravatta e mi tira a sé, baciandomi di nuovo. Togliendomi di nuovo il fiato.
«Ti amo, Rad» mi dice in un sussurro, prima di spingermi indietro mollando la presa, accennando un ghigno dei suoi. «Ma non montarti troppo la testa, adesso».
 
Scendo le scale per tornare verso la mia classe, barcollando da quanto mi sembra di essere sulle nuvole. Credo di non essere mai stato felice come in questo momento. Ho il profumo di Lazuli ancora addosso e il suo sapore dentro di me, ma soprattutto per la prima volta mi ha addirittura detto che mi ama. E ci siamo messi insieme, questa volta per davvero. Senza loop, senza cazzate.
«Mi spiace, ma non posso mettermi con te».
Una voce che conosco bene mi riporta coi piedi per terra e mi fa anche accennare un sorriso. Intravedo Lunch insieme a Yamcha Wolf, che deve essersi appena dichiarato a lei.
«Non hai già un ragazzo, giusto?» ribatte lui, offeso, con la schiena appoggiata al muro e le mani in tasca.
«Giusto».
«Allora ti piace già qualcuno?!»
«Sì, e pensa che è talmente un cavernicolo che usa a  malapena il cellulare!» sorride Lunch, mentre mi allontano senza farmi vedere.
Mi fermo in corridoio e, pochi secondi dopo, vedo passarmi davanti Wolf a testa bassa. Mi guarda per un istante, prima di tirare dritto, scurissimo in volto. Non ci conosciamo in questa linea temporale, del resto. E gli è anche andata bene, visto come l’avevo ridotto in stazione!
«Chi sarebbe il cavernicolo, scusa?» domando a Lunch, quando compare anche lei davanti ai miei occhi. Faccio l’indifferente, appoggiato al muro con le mani intrecciate dietro la nuca.
«Non ricordo di aver fatto il tuo nome!» arrossisce lei, coi pugni chiusi appoggiati ai fianchi. «Piuttosto, vedi di assumerti le tue responsabilità, senpai!»
«Responsabilità?!»
«Certo, ora Lucy-chan e le altre mi odieranno, quindi verrò isolata dal resto della classe!»
«Non verrai isolata. Mai ti vuole bene e la stessa Lucy non prova niente di serio per Wolf, appena se ne renderà conto verrà lei a cercarti. Fidati del tuo senpai» provo a rassicurarla.
«Imbranata come sono, invece, resterò isolata…» sospira, abbassando lo sguardo.
«Smettila, non sei un’imbranata» le dico, sollevandole gli angoli della bocca con le mie dita come aveva fatto Videl con me due anni fa in spiaggia. «Te lo ricordi? Chi ride è più forte, no?» aggiungo, facendole l’occhiolino. «E comunque non capisco perché devi dire che dovrei assumermi le mie responsabilità. Non c’entro nulla in tutte queste paranoie che ti tiri».
«C’entri eccome! È tutta colpa tua!» sbotta, spostando con una manata le mie dita dalla sua bocca, continuando a sorridere, però.
«Per quale motivo?» sbuffo.
«Perché sei stato tu a farmi diventare una donna!» esclama, facendo brillare i suoi occhi nocciola e fissandoli nei miei.
«Credo di aver capito cosa intendi, ma ti è uscita una cosa sconcissima, lo sai?» le sorrido sghembo.
«Perché devi fare sempre il cretino anche se ti parlo seriamente?!» ringhia Lunch, irritata, stringendo i pugni e diventando al contempo paonazza.
«Beh, in ogni caso quello che conta è che resterò tuo amico qualunque cosa accada, ok?» la rassicuro di nuovo. «Quindi non devi preoccuparti di rimanere sola».
«Guarda che sono io a concederti il privilegio di essere mio amico» sibila, guardandomi di sottecchi, prima di sciogliersi in un sorriso sincero e meraviglioso che mi fa capire che tutto andrà per il meglio. Anche per lei, non solo per me e Lazuli.
 
Nelle tre settimane successive, tutti gli avvenimenti che avevamo vissuto io, Lazuli e Lunch si sono verificati di nuovo, nonostante in questa linea temporale non abbia dovuto fingere di lasciare la mia ragazza e mentire davanti all’intera scuola insieme a una primina.
Lunch ha cominciato a lavorare al “Kame House”, Lazuli ha girato lo spot delle cicche e ha regalato a Goku la maglietta, conquistandosi la sua fiducia e vincendo la sua diffidenza. È andata poi a Kagoshima per girare il suo telefilm e ci siamo sentiti sempre al telefono. Quando è tornata mi ha aiutato a studiare vestita da coniglietta e anche stavolta ho provato ad andare oltre al bacio con lei, ma ci ha pensato ancora Goku a interromperci sul più bello nonostante mi fossi raccomandato con lui di tenere a digiuno Balzar quella sera. Ho anche fatto imbarazzare di nuovo Bulma nel laboratorio di scienze con Vegeta e mi sono dovuto sorbire la scenata di Marion.
Ho persino preso il massimo dei voti agli esami di fine semestre, visto che le domande erano le stesse. Lazuli non mi ha dato molta soddisfazione per questo, ma si vedeva che era soddisfatta e forse anche sollevata vedendo più vicino per me il traguardo di poter fare la stessa università che frequenterà lei. 
Sono contento di aver rivissuto queste tre settimane insieme a Lazuli, anche se ammetto che è stata dura per entrambi separarci ancora una volta per una settimana durante le riprese del telefilm. Ma è una cosa con cui impareremo a convivere, visto che è il suo lavoro e si vede che è felice nel mondo dello spettacolo.
Sono felice anch’io, perché non c’è cosa più bella nel vedere la felicità dipinta sul volto della persona che ami.
 
 
18 luglio
 
«Capisco…» sospira Bulma, mentre armeggia con una provetta nel laboratorio di scienze dopo che le ho raccontato tutta questa incredibile vicenda. Ho aspettato apposta l’ultimo giorno di scuola prima della pausa estiva per dirle tutto, proprio perché con oggi terminano le giornate che abbiamo già vissuto nel precedente anello temporale. È la quinta volta che rivivo il 18 luglio, ma questa non è nemmeno lontanamente paragonabile alle altre. È tutto diverso, è tutto dannatamente perfetto.
«Tutto a un tratto, la ragazza che cercava di integrarsi tenendo sott’occhio i segnali sociali è diventata capace di predire il futuro come il Demone di Laplace» riprende, mentre scorgo dalla finestra proprio Lunch passeggiare in cortile insieme a Mai e altre due loro compagne di classe che non conosco. Sorride serena, e strappa un sorriso anche a me. Non è rimasta sola, sapevo che avrei potuto contare su Mai da quando l’ho conosciuta nel precedente anello temporale. Come so per certo che prima o poi anche Lucy e le altre torneranno da Lunch.
«Bulma, dimmi una cosa» scuoto la testa lentamente, osservando Lunch che si allontana con le sue nuove amiche. «Perché, tra sette miliardi di persone, sono stato proprio io ad essere risucchiato in questo fenomeno?»
«Correlazione quantistica. Non credi, Son-kun?» risponde senza guardarmi, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, scrivendo dei dati su un’etichetta.
«Secondo te io posso avere anche solo una vaga idea di cosa sia questa “correlazione quantistica”?!» sbuffo, appoggiando la schiena al muro, rassegnato.
Bulma si volta in mia direzione e mi scruta coi suoi occhi azzurri come se fossi un analfabeta, sistemandosi gli occhiali sul naso con un dito e respirando profondamente.
«Si tratta di un fenomeno secondo cui due particelle non interagenti tra loro e poste a una distanza qualsiasi possono scambiarsi istantaneamente informazioni e muoversi allo stesso modo» sospira, quasi scocciata dalla mia ignoranza.
«In pratica stai dicendo che prima io e Lunch e poi io e Lazuli ci saremmo correlati e avremmo agito in sincronia?»
«Proprio così».
«E come sarebbe avvenuta questa correlazione?»
«Prima di tutto, ricordati che siamo anche nel campo della Sindrome della Pubertà. Tu l’hai già affrontata e l’hai anche sconfitta per conto di Eighteen-senpai, quindi è come se fossi più resistente ai suoi effetti rispetto alle persone comuni. Inoltre, non sottovalutare il fatto che quella primina si sia innamorata di te. Probabilmente l’avevi già colpita prima, per qualche assurdo motivo» risponde Bulma, guardandomi fisso. «Per quanto riguarda la correlazione quantistica, questa si verifica dopo che due particelle collidono. Ti sei per caso scontrato con quella primina di recente? Non ti chiederò invece se ti sei per caso “scontrato” anche con Eighteen-senpai… povera ragazza…» sospira, scuotendo leggermente la testa.
«Non vuoi sapere i dettagli delle mie prodezze amatorie con Lazuli?» ribatto, sollevando ritmicamente le sopracciglia.
«Son-kun, piantala» sbuffa Bulma, riprendendo a osservare le sue provette piene di strani liquidi che gorgogliano.
«Comunque, per quanto riguarda Lunch, una volta mi ha dato un calcio nel culo. Dici che basta come collisione?»
Bulma smette di prestare attenzione ai suoi esperimenti e torna a guardarmi, serissima.
«Son-kun» mi dice. «Girati».
«Eh?!» farfuglio, mentre eseguo il suo ordine.
«Ora facciamo un esperimento, voglio vedere se le particelle collidono abbastanza» aggiunge, prima di tirarmi una poderosa pedata nel sedere che mi fa quasi cadere contro il muro.
 
Dopo la cerimonia di chiusura faccio un giro in città con Lazuli, ed è meraviglioso pensare a tutto quello che abbiamo passato per arrivare fin qui. Penso agli altri 18 luglio che ho passato al mare oppure al tempio con Lunch, per non parlare di quando ci eravamo appena conosciuti e ho rischiato di perderla, dimenticandomi di lei.
Abbiamo anche fatto la spesa insieme, perché Lazuli si è offerta di cucinare a casa mia stasera. È tutto così bello nella sua semplicità che mi sembra di sognare.
Sorrido, mentre comincia a piovere e tiro fuori l’ombrello dallo zaino. Sapevo che avrebbe piovuto a quest’ora, e mi piace che Lazuli si stringa a me mentre camminiamo sotto un unico ombrello. Mi prende sottobraccio e accenna un sorriso, mentre il suo profumo fresco mi riempie i polmoni e i suoi occhi di ghiaccio mi fanno battere il cuore più forte.
Camminiamo, stretti l’uno all’altra, con il rumore della pioggia come sottofondo. Aveva ragione Videl quando me l’ha detto due anni fa: anche il rumore della pioggia può essere una canzone bellissima.
«Non vedo l’ora di vederti col grembiule» dico a Lazuli, quando abbiamo ormai raggiunto il nostro quartiere.
«Non lo metto mai quando cucino» ribatte, lapidaria.
«Ma come?!» piagnucolo.
«Ok, ok. Ho capito…» sbuffa, accennando un sorriso. «Mi troveresti carina col grembiule?»
«Forse carina non è il termine esatto» le sorrido sghembo. «Diciamo che ti troverei figa, Là. Magari con un grembiule e niente sotto».
«Sei un porco, Rad» risponde, gelida. «P-però mi fa piacere…» aggiunge sottovoce, arrossendo lievemente e distogliendo lo sguardo dal mio. «Se non ti comporti bene guarda che ti metto i lassativi nel cibo» mi minaccia.
«Uffa, scherzavo!» rido.
«Lo so che eri serio, porco che non sei altro» sorride lei, dandomi un improvviso bacio a fior di labbra che fa aumentare i mie battiti vertiginosamente, proprio mentre arriviamo in prossimità della portineria di casa mia.
Notiamo una ragazzina che potrebbe frequentare all’incirca la prima media in divisa scolastica girata di spalle e coperta da un ombrello, china su uno scatolone di cartone accanto alla scalinata d’ingresso.
«È successo qualcosa?» le chiede Lazuli, guardando nello scatolone.
«Qualcuno ha abbandonato un gattino qui» risponde la ragazzina, senza voltarsi, ma permettendoci di vedere un cucciolo di gatto grigio dal pelo corto tutto bagnato. Sembra piuttosto deperito, oltre che infreddolito.
Mi guardo intorno, ma non c’è nessuno. È chiaro che qualche pezzo di merda l’ha abbandonato qui da qualche ora.
«Tienimi l’ombrello, Là, per favore» dico, mentre mi accuccio accanto alla ragazzina per osservare meglio il gatto. Lazuli ha gli occhi lucidi e stringe i pugni per la rabbia, anche lei ama molto gli animali.
«Per il momento lo porto su in casa da me» spiego alla ragazzina, prendendo il braccio il gattino tremante e fradicio.
«In realtà pensavo di adottarlo io» risponde.
«Allora ti lascio il mio numero, chiamami più tardi che intanto lo asciugo e gli do qualcosa da mangiare» le dico, accarezzando la testa del gattino. «Mi chiamo Radish Son» aggiungo, guardandola in faccia per la prima volta e sorridendole. Sgrano gli occhi, mentre sono costretto ad appoggiare una mano sull’asfalto bagnato per non cadere.
Occhi blu, codini neri. Lo stesso sorriso.
«Io mi chiamo Videl Satan, piacere di conoscerti!»
 
 
 
 
 
 
Note: cosa dite, è stato abbastanza grande il colpo di scena finale?!
In effetti l’ultima riga fa quasi passare in secondo piano tutto ciò che di imprevisto e meraviglioso è successo in questo capitolo. L’imprevisto è che Lunch crea un ultimo loop clamoroso e riavvolge il nastro, prima di affrontare Yamcha e assumersi le sue responsabilità.
Meraviglioso è invece, secondo me, il modo in cui Rad e Là riescono finalmente a mettersi insieme. Ve lo ricordate quando si erano messi insieme inutilmente nei primi due loop annullati da Lunch? Era il capitolo 9 e ora siamo al 19, è stata dura ma ce l’hanno fatta!
Spero vi sia piaciuta la storia del Jian e in generale la scena della dichiarazione, addirittura alla fine è Lazuli a chiedere a Rad di mettersi insieme. Cosa ne pensate allora di questo uccello che condivide le ali? Se conoscete Darling in the Franxx avrete notato che è una storia che ho preso da lì, ho voluto fare questo omaggio a una serie che ho amato come poche altre tra quelle uscite di recente e in generale tra tutte quelle che ho visto.
La narrazione si interrompe ancora una volta in quel maledetto 18 luglio, vissuto per la quinta volta da Rad e nemmeno stavolta tranquillo a giudicare da quello che accade nelle ultime righe. Il 18 luglio in omaggio di C18, perché no?
Ma è una ragazzina di prima media o è Videl Satan quella che compare sotto casa di Radish con un gattino? Cosa sta succedendo?
Avete idee per il nome del nuovo gatto?
 
Bene, ringrazio anche stavolta chi sta continuando a leggere questa long e chi ha entusiasmo e curiosità nel farlo, quando me lo fate sapere non potete che rendermi davvero felice. Amo particolarmente questa storia e sapere che continua a piacervi anche dopo quattro mesi di pubblicazione per me è emozionante e anche appagante, quindi grazie di cuore! Un grazie speciale va a chi mi lascia sempre il suo parere, che per me è fondamentale, e a chi vorrà farlo stavolta dato la svolta pesante che ha preso la storia con la chiusura della saga di Lunch. Aspetto con ansia anche il verdetto di chi di solito non lascia recensioni, ne sarei curioso e anche onorato. In ogni caso, grazie mille anche a chi legge e apprezza in silenzio.
 
Allora, come detto, da adesso entriamo in una nuova saga. Chi sarà la protagonista adesso? Questa misteriosa e strana Videl? O magari Bulma? Non dimenticatevi di Bulma e Vegeta perché… perché non mi ricordo! ;-)
Quindi occhio al prossimo capitolo, di mercoledì prossimo, che si intitola “Doppi”. Cosa vorrà dire?
E, a proposito di Vegeta, occhio al capitolo finale della minilong Mythos che pubblicherò venerdì e che si intitolerà “Per sempre”!
Ci vediamo presto e viva l’estate che finalmente è arrivata!
 
Teo

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Capitolo 20
*** Doppi ***


20 – Doppi
 
 
 
2 agosto
 
Sono passate due settimane da quando ho incontrato sotto casa quella ragazzina che ha lo stesso nome e la stessa fisionomia di Videl Satan, la ragazza di cui mi ero innamorato due anni fa e che non avevo più visto da allora. Lei non sembra sapere chi sono. Non sembra essere la Videl che ho conosciuto io, soprattutto.
Non è successo niente di particolare in queste ultime due settimane, se non che questa ragazzina di dodici anni che si chiama Videl Satan viene quasi tutti i giorni a casa mia con la scusa di trovare Beerus, il gattino abbandonato che aveva trovato lei sotto la pioggia e che per il momento vive qui con noi. A me non crea problemi averla in casa, anche perché con la scusa dei gatti ha fatto amicizia con Goku e a lui non può che far bene rapportarsi con qualcuno di diverso da me e anche da Lazuli, che ormai adora.
E come dargli torto? La adoro anch’io la mia Lazuli, ed è stata proprio lei a decidere il nome del nuovo gattino. C’era in televisione uno spot della birra Asashi proprio mentre stavamo pensando al nome per il nuovo arrivato e così lei, con estrema naturalezza, ha proposto Beerus chiudendo la questione nel giro di pochi secondi. Ovviamente mio fratello ha subito accettato, visto che ormai ascolta Lazuli più di quanto non dia retta a me, e, in più, è piaciuto anche a Videl.
Già, Videl… sia io che Lazuli non riusciamo a spiegarci se tutto questo sia un caso o se ci sia sotto dell’altro. Lei sembra tranquilla, comunque, e questo rasserena anche me. Però vorrei davvero vederci chiaro in questa storia, mi sembra tutto troppo assurdo per essere una coincidenza casuale.
Perché è comparsa una Videl Satan identica a quella che conoscevo io, ma di sei anni più giovane? Se fosse lei dovrebbe almeno ricordarsi di me… di quello che c’è stato tra noi due anni fa…
 
«Ti sei comportato bene, Beerus?» domanda dolcemente Videl al gattino grigio dopo aver varcato la porta di casa mia ed essersi accucciata verso di lui, distogliendomi dai mie pensieri.
«Mi spiace tanto, ti avevo detto che avrei voluto adottarlo, ma non sono ancora riuscita a parlarne coi miei» mi spiega, guardandomi mortificata coi suoi grandi occhi blu. Gli stessi che avevo conosciuto due anni fa nel periodo più brutto della mia vita.
«Tranquilla, può restare qui da noi senza problemi. Sembra divertirsi con Balzar» le rispondo, mentre i due gatti cominciano a giocare facendo la lotta. «Intanto puoi esercitarti a prenderti cura di lui, così saprai già cosa fare quando lo porterai a casa tua».
«Hai ragione! Grazie!» mi sorride euforica, facendo ondeggiare i suoi lunghi codini laterali neri.
«Fratellone» bisbiglia Goku, comparendo all’improvviso alle mie spalle e strattonandomi la maglietta. Mi guarda male, mentre mi tira verso la sua stanza. «A Goku-kun sta simpatica Videl-chan, ma non accetterebbe mai che lei diventasse la tua sorellina preferita! Goku-kun vuole essere l’unico fratellino preferito! Per te e per Lazuli-san!»
«Ma certo che sei tu il mio preferito, cosa vai a pensare?!» rido, scompigliandogli i capelli. «E anche Là la pensa così, figurati!»
«Allora cos’è per te Videl-chan, fratellone?!» mi incalza Goku, scrutandomi sospettoso.
«Me lo chiedo anch’io…» sospiro, mentre la osservo versare i croccantini ai due gatti nelle rispettive ciotole e ridere allegramente.
«Videl-chan» la chiamo, trascinando con me mio fratello. «Non stavi scherzando quando mi hai detto di non avere sorelle maggiori, vero?»
«No, sono figlia unica» risponde senza esitazioni.
«Non hai magari una cugina che ti somiglia molto?» insisto.
«Non direi…» ribatte, osservandomi perplessa, mentre mi rendo conto che forse è il caso di mettere al corrente Bulma di questa ennesima novità. Non ho ancora avuto modo di vederla durante la pausa estiva, ma direi che questo è il momento giusto per farlo.
 
«Bulma, tutto bene?!» chiedo perplesso alla mia amica dopo averla raggiunta in biblioteca, dove mi ha detto di raggiungerla.
La squadro dall’alto in basso lentamente, mi sembra avere qualcosa di diverso oggi. È più… è più provocante, direi.
Ha i capelli raccolti in una coda alta, anche se da quando la conosco li ha sempre portati sciolti. È molto più truccata del solito, non porta gli occhiali e ha anche la camicetta della divisa scolastica decisamente sbottonata sul seno, oltre al fatto che si muove in maniera più maliziosa di quanto avessi mai notato.
«Fa troppo caldo per tenere i capelli sciolti, oggi» sbuffa, arrossendo leggermente e liquidando la questione in una frase.
«Non ti avevo mai vista senza occhiali…» insisto, perplesso.
«Avevo voglia di mettere le lenti a contatto, Son-kun» sibila, distogliendo lo sguardo dal mio e incrociando le braccia sotto il seno.
«Come mai sei in giro con la divisa scolastica?»
«Sto per andare a scuola, è un problema?!»
«No, ma se ci stai andando perché speri di incontrare Vegeta non lo troverai lì. È di turno al “Kame House”, adesso».
«Vado a scuola perché sono l’unico membro del club di scienze. Lo chiuderanno se non dimostro che faccio qualcosa, no?» sbuffa di nuovo, tornando a guardarmi in faccia. «Beh? Di cosa volevi parlarmi?!»
«A-ah, ecco… ho incontrato Videl Satan».
«La tua prima cotta?» scuote la testa Bulma, accennando un sorriso. «Dunque esiste davvero, eh? Se vuoi saperlo, io non ne ero mai stata convinta fino in fondo…».
«Non ci crederai, ma adesso sembra essere diventata una ragazzina del primo anno delle medie!»
«Sicuro di esserci con la testa, Son-kun? Non ho tempo da perdere…».
«In effetti ho seri dubbi sulla mia sanità mentale, Bulma».
«Potrebbe essere semplicemente un’altra ragazza col suo stesso nome e che le assomiglia» mi spiega tranquillamente. «Del resto, si dice che al mondo esistano almeno due sosia di ognuno di noi» aggiunge, stringendo più forte il libro di fisica che stringe tra le mani, tradendo un certo nervosismo.
«Non è una leggenda metropolitana?» ridacchio.
«Già, è solo una leggenda metropolitana…» sospira, accennando un sorriso che mi sembra triste. «Comunque, per il momento non è successo nulla di male, no?»
«Direi di no».
«Allora non preoccuparti» conclude, cominciando a camminare verso l’uscita.
La seguo, e noto un cartellone pubblicitario in strada che attira la mia attenzione.
«Hai visto?» le dico. «In questi giorni fanno tanti spettacoli pirotecnici di sera!»
«Penso che il più bello sia sempre quello di Chigasaki» mi risponde, malinconica.
«Ti ricordi l’anno scorso quando siamo andati a vederlo insieme a Vegeta?» le sorrido, anche se lei continua a sembrarmi impassibile.
«Già…».
«Era stato bello, in effetti, anche se purtroppo ti eri vestita in modo normale, tu» provo a stuzzicarla. «Potevi mettere lo yukata!»
«Perché avrei dovuto indossare qualcosa di così scomodo?! Solo per farti contento?!» sbotta, guardandomi male.
«Magari per farti vedere da Vegeta, no?» le sorrido sghembo.
«Tanto sarei stata malissimo con lo yukata…» sospira, abbassando la testa.
«Non mi risulta che lo yukata stia malissimo a chi ha le tette enormi» sorrido di nuovo, sollevandole il mento tra indice e pollice per costringerla a guardarmi negl’occhi.
«Sei il solito maiale, Son-Kun!» accenna un sorriso, finalmente, prima di darmi uno scappellotto sulla nuca.
«Comunque per me staresti benissimo con lo yukata e questa tua nuova acconciatura!» le sorrido di nuovo, massaggiandomi la testa nel punto in cui mi hai colpito.
«Non rischi di far tardi al lavoro?!» sbotta Bulma, visibilmente imbarazzata, riprendendo a camminare. «Ti saluto, Son-kun».
«Grazie per avermi ascoltato, Bulma».
 
«Sbaglio o sei ancora più abbronzato, Prince?» domando a Vegeta, alla fine del suo turno serale al “Kame House”. Io ne avrò ancora per un po’, purtroppo.
«L’altro giorno sono andato al mare con Marion, in effetti» mi risponde, mentre si toglie la camicia da cameriere. «E abbiamo scazzato ancora, tsk!»
«Prince, mi spiace che ti rovini il fegato per questa storia… lo sai come la penso».
«“Storia”… non so nemmeno più se abbiamo una storia, Rad» sbuffa, gettando a terra con rabbia la camicia. «Per quale cazzo di motivo non riesco ad avere una storia normale, io?!» sbotta, stringendo i pugni, mentre gli raccolgo la camicia e gliela appendo nel suo armadietto. «Tu ed Eighteen-senpai siete così… così complici… non so nemmeno io cosa cazzo siete, ma si vede che state bene insieme! Io invece sono qui a cercare di far funzionare le cose da troppo tempo e a farmi girare i coglioni!»
«Bisogna essere in due a volere certe cose, Prince» provo a rincuorarlo, appoggiandogli una mano sulla spalla. «Non impuntarti su Marion se pensi che non sia più quella giusta, io credo che non dovresti neanche guardarti più di tanto intorno se vuoi avere una seconda possibilità per avere una “storia” come si deve».
«Tsk! Odio sentirmi così!» ringhia Vegeta, liberandosi dalla mia presa sulla spalla con un movimento brusco e dandomi un pugno nello stomaco, per poi sorridermi sghembo. «Ma ora sto meglio grazie a te, Rad!»
«Vaffanculo, Prince!» rido a mia volta, restituendogli il colpo e facendolo imprecare.
«Allora, come va con la tua ragazza supermegaperfetta?» mi chiede, prendendomi anche in giro allo stesso tempo. «Sei cotto come mai prima, comunque. Quando la guardi sembra che hai gli occhi a cuore da quanto ti viene la faccia da coglione!»
«Te lo scandisco meglio: v-a-f-f-a-n-c-u-l-o» ribatto, ridendo. «Comunque le faccio gli occhi a cuore via telefono da una settimana visto che è supermegaimpegnata col lavoro» sbuffo, con un velo di tristezza nel tono della voce. È vero però, mi manca un casino. Penso che soffrirò sempre la lontananza da lei quando deve andar via per lavoro. Merda.
«L’ho vista proprio ieri in tv» mi dice, mentre si sistema la maglietta.
«Eh sì, per fortuna anch’io riesco a vederla tutti i giorni in televisione!» sospiro, sorridendo.
La porta del magazzino che si apre e un inconfondibile rumore di passi prodotti da qualcuno che sta indossando un paio di geta interrompono il nostro discorso.
«Buonasera Vegeta-senpai!» esclama Lunch, vestita con un elegantissimo yukata bianco con motivi floreali arancioni fissato sopra la vita con un obi anch’esso arancione. «Ci sei anche tu, senpai! Non ti avevo visto!» arrossisce vistosamente, non appena nota la mia presenza.
«Sei venuta a farti vedere dai tuoi senpai preferiti con quel grazioso yukata?» le sorrido sghembo, mentre anche Vegeta ridacchia.
«Sono qui solo perché non so ancora i miei turni della prossima settimana, stupidi!» sbotta, facendoci la linguaccia.
«Lasciatelo direi: stai molto bene in yukata» la provoco, sollevando ritmicamente le sopracciglia.
«Smettila di guardarmi il seno, senpai!» esclama, paonazza. «T-tanto lo so che non è abbastanza grande da appoggiarsi sull’obi!»
«Compensi coi fianchi e il tuo bel culo, però!» interviene Vegeta, dandomi man forte e facendo imbarazzare ancora di più Lunch.
«Mi date sui nervi voi due!» grida, afferrando il foglio degli orari e facendo per uscire dal magazzino. «Però ho apprezzato le vostre parole!» cinguetta, sorridendoci, prima di uscire.
 
Ho appena sparecchiato l’ennesimo tavolo e sistemato tutto, ormai non manca molto alla chiusura.
«Buonasera» dico in automatico, senza neanche guardare, quando sento aprirsi la porta del locale. Non ricevo nessuna risposta, e resto a bocca aperta quando mi accorgo che c’è Lazuli che mi osserva con le mani dietro la schiena e un sorriso accennato sul volto.
Indossa una camicetta sbracciata bianca e dei jeans scuri attillati. È sempre più bella, non so come cazzo faccia. A qualunque ora del giorno e della notte, tra l’altro.
«Là!» esclamo, stupito e felice, mentre le vado incontro e la prendo per mano.
«Sei al lavoro, Rad. Devi essere professionale» mi sgrida bonariamente lei, dandomi un pizzicotto sul naso, intrecciando allo stesso tempo le sue dita intorno alle mie e stringendo forte.
«Se non cercassi di essere professionale ti sarei già saltato addosso, lo sai?»
«Sei il solito maiale» sibila, pestandomi un piede.
«È colpa dalla lontananza, forse. Della nostalgia».
«No, è colpa tua perché sei un maiale senza speranza e basta» ribatte lapidaria, accennando però un sorriso complice.
«Non dovevi tornare domani dalle riprese?» le chiedo, mentre la faccio accomodare a un tavolo.
«Abbiamo finito prima del previsto, non c’è stato bisogno di rigirare certe scene» risponde, sfogliando il menù con fare distaccato.
«Capisco, quindi ti sei precipitata qui perché morivi dalla voglia di vedermi?» le sorrido sghembo. « Mi mandi in estasi, così».
«Non osare prendermi in giro» ringhia, fulminandomi col suo sguardo glaciale.
«Bene, signorina. Se ha deciso prendo la sua ordinazione» esclamo, tirando fuori dalla tasca il taccuino e la biro.
Ricevo uno sbuffo come risposta. E sento il suo sguardo fisso su di me.
Continuo a guardare il taccuino con la biro in mano, pronto a scrivere.
«Ha deciso, signorina?»
«Sì, voglio te…» mi sorride maliziosa.
«Oh, davvero?» sto al gioco, chinandomi verso di lei come per leggere sulla lista che tiene tra le mani. «E dove sarei nel menù?»
«Smettila di fare il cretino» esclama, dandomi uno scappellotto sulla nuca.
«Sei cattiva, Là» piagnucolo, sollevandomi di nuovo. «E mi sei mancata un casino…».
«Mi… mi dispiace…» sussurra, abbassando la testa e distogliendo lo sguardo dal mio. «So di essere una fidanzata terribile. A volte mi sembra di trascurarti per via del mio lavoro» sospira. Odio vederla triste. E odio ancora di più che si senta in colpa.
«Non sei una fidanzata terribile, Là» la rassicuro dolcemente, chinandomi verso di lei e sollevandole il mento tra indice e pollice per costringerla a guardarmi in faccia. Mi perdo nei suoi occhi di ghiaccio. Mi sembrano così puri e meravigliosi quando fa così che sento una fitta al cuore da quanto sento di amarla. «Non dirlo mai più, ok? Tu sei il mio quadrifoglio che ho avuto la botta di culo di trovare, ricordi? E sei l’unico esemplare di Jian con cui un uccello con una sola ala come me vorrebbe volare. Sono felice anch’io quando lavori e quando ti vedo in televisione o sui giornali».
«S-sì, Rad…» accenna un sorriso, mentre una ciocca di capelli biondi sfugge alla sua mollettina glitterata nera a forma di testa di coniglio e mi accarezza la guancia.
«Però quando sei al lavoro mi manchi un casino, quindi ti toccherà farti perdonare» sorrido furbo, rialzandomi e allargando le braccia.
«E va bene…» sospira, divertita. «farò tutto quello che vuoi…».
«Anche qualcosa di sconcio?!»
«Entro certi limiti sì, scemo» sbuffa, incrociando le braccia sotto il seno e guardandomi male.
«Allora sei perdonata, Lazuli-chan del mio cuore» sollevo ritmicamente le sopracciglia.
«Non montarti troppo la testa, sei pur sempre un mio kohai» ribatte, pestandomi la punta del piede energicamente col suo tallone.
«Il fatto che tu sia tornata prima mi ha già mandato in visibilio!» esclamo, mettendomi sull’attenti e facendola sorridere.
«Sei proprio uno stupido, Rad» sospira, appoggiando il gomito sul tavolo e la testa sul palmo della sua mano, guardandomi dolcemente. «Sono venuta qui subito perché mi mancavi» aggiunge, arrossendo un poco. «Tra quanto stacchi? Ti aspetto».
«Mezz’oretta e sono da te, Là!» le sorrido, col cuore che batte forte e tutta la stanchezza della giornata che sembra improvvisamente volatilizzarsi.
 
«È venuta anche oggi a casa tua la ragazzina che assomiglia al tuo primo amore?» sibila Lazuli, mentre passeggiamo mano nella mano per il centro di Fujisawa. C’è tanta gente in giro, è una bellissima serata.
«Non era il mio primo amore… non so neanch’io cos’era…» sospiro.
«È quella che ti ha baciato per prima» mi stritola la mano Lazuli, scandendo le parole con un tono di voce da far gelare il sangue nelle vene. «Non puoi capire la rabbia che provo quando ci penso. Comunque è venuta o no?!»
«Sì, è venuta anche oggi a vedere il gatto. Ti dà fastidio?»
«No, perché mai dovrei sentirmi minacciata da una ragazzina al primo anno delle medie?» ribatte, allentando la presa sulla mia mano e appoggiando la testa sulla mia spalla. «Hai scoperto qualcosa su di lei?»
«Ne ho parlato anche con Bulma, ma niente» sbuffo. «Piuttosto, preferirei giocare alla coppiettina innamorata con te, adesso» aggiungo, fermandomi in mezzo al marciapiede e baciandola all’improvviso.
Lei mi lascia fare e, anzi, ricambia avidamente il mio gesto. Mi era mancato tutto questo, anche se era passata una settimana dall’ultima volta. Il suo sapore, il suo profumo fresco, il suo calore sulla pelle. La sensazione di stringerla a me. Di abbracciarla.
Ci stacchiamo a fatica, continuando a guardarci fissi negl’occhi in silenzio. Mentre la gente ci cammina freneticamente attorno e ci evita e le luci dei lampioni e delle scritte che scorrono sui cartelloni pubblicitari si riflettono nello sguardo glaciale di Lazuli che sembra mi stia scavando dentro, fino al mio cuore.
«Questi sono i “bentornata” che mi piacciono…» sospira Lazuli, mordicchiandosi leggermente il labbro inferiore.
«Buono a sapersi…» sospiro, riprendendo a baciarla, bramoso di lei.
«Smettila scemo, siamo in mezzo alla strada!» mi sgrida Lazuli, allontanandomi con una lieve spinta e allo stesso tempo accennando un sorriso malizioso, quando si rende conto della mia eccitazione che aveva ormai cominciato a premere contro il suo bacino a causa di quel contatto prolungato.
«Guarda che è colpa tua» le sorrido sghembo.
«Lo so» ribatte, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Infatti sarà la tua fine quando non reagirai più così in momenti simili» aggiunge, con un tono a metà tra il serio e il faceto, prima di essere attratta da qualcosa alle mie spalle che la fa tornare improvvisamente seria. «Rad, ma quella non è Bulma?!»
Mi volto di scatto, giusto in tempo per vedere la mia amica entrare a passo svelto e a testa bassa in un net cafè. Mi sembra molto diversa da come l’avevo vista oggi pomeriggio. Ha i capelli sciolti e gli occhiali, innanzitutto, e poi è come se fosse trasandata, non è da lei uscire con un magliettone extralarge e i pantaloni della tuta, maggior ragione di sera.
«Che ci fa in un posto simile a quest’ora?!» chiedo, allibito, mentre mi dirigo insieme alla mia ragazza verso l’entrata del locale.
 
«Non ero mai stata in un net cafè» sussurra Lazuli, guardandosi intorno curiosa, mentre camminiamo tra i vari piccoli cubicoli chiusi dietro cui si trovano i computer e svoltiamo l’angolo ritrovandoci immersi tra una marea di manga disposti ordinatamente sugli scaffali come fossimo in biblioteca.
«Io non c’ero mai entrato a quest’ora» le rispondo, cercando un segno della presenza di Bulma. «Mi ero sempre chiesto se lavorassero davvero di notte questi posti, essendo sempre aperti».
«I cubicoli sembrano essere quasi tutti occupati, in effetti» dice Lazuli, provando a sbirciare sotto una porta chiusa.
«Dev’essere spesso così, tra quelli che dormono qui abitualmente e quelli che magari hanno perso l’ultimo treno perché hanno fatto tardi al lavoro ma non vogliono pagare un hotel» le spiego, osservando la poltrona di pelle nera davanti alla piccola scrivania col computer di un cubicolo aperto. Sembra una gabbia, sarà lungo un paio di metri e largo poco più di uno.
«Così non la troveremo mai…» sbuffa Lazuli.
«Provo a chiamarla» dico, tirando fuori il cellulare dalla tasca e digitando il numero di Bulma.
«Cosa vuoi a quest’ora, Son-kun?» domanda la mia amica al telefono, piuttosto scocciata. «Stai bene, vero?!»
«Certo, sono in giro con Là!»
«Risparmiami le storie da dolce innamorato, ti prego» sbuffa, rassegnata. «Sono stanca, vorrei andare a dormire».
«Ero solo preoccupato» sospiro.
«Perché, sei finito di nuovo in qualche guaio
«Cioè, fammi capire: per te sono sinonimo di problemi?!» sbuffo.
«Rad! Guarda!» mi dice sottovoce Lazuli, indicandomi Bulma che cammina dalla parte opposta del corridoio, a testa bassa. Non è al telefono e non si è nemmeno accorta di noi.
«Son-kun? Ci sei ancora?!» mi chiede Bulma. O meglio, la persona con cui sto parlando al telefono.
Ma cosa cazzo sta succedendo adesso?! La voce che sento al cellulare è quella di Bulma e anche il suo modo di parlare è lo stesso, così come sono sicuro che quella che ho appena visto passare sia sempre la mia compagna di classe!
Proprio in quel momento, Bulma alza lo sguardo in nostra direzione e sgrana gli occhi, prima di correre via inoltrandosi in un altro corridoio.
«Scusa, ho la batteria quasi scarica! Ti richiamo dopo!» esclamo al telefono, prima di chiudere la conversazione e lanciarmi all’inseguimento di Bulma insieme a Lazuli.
«Fermati!» grido, riuscendo ad afferrare la mia amica per un polso e costringendola a fermarsi.
«Stavi parlando con me al telefono, vero?» sussurra mestamente, senza voltarsi, stringendo forte i pugni e provando a liberarsi con uno strattone.
«Sì» rispondo, senza lasciarla, mentre Lazuli incrocia le braccia sotto il seno e la guarda senza apparentemente tradire particolari emozioni.
«Allora non ha più senso nasconderlo…» aggiunge Bulma, rassegnata, smettendo di fare forza col braccio e voltandosi lentamente verso di noi.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: molto bene, chi di voi mi ha affettuosamente insultato per il modo in cui ho chiuso il capitolo di settimana scorsa immagino lo farà anche stavolta, dato che scopriamo che sono passate due settimane e non si sa nulla sulla misteriosa Videl Satan dodicenne sosia della diciottenne che tanto è stata importante per Rad due anni prima.
Anzi, in tutto questo sembrano sorgere dei problemi legati a Bulma… chi è la ragazza con cui Radish si è incontrato in biblioteca? Chi è quella con cui è al telefono in chiusura di capitolo? E chi è invece la Bulma che si è misteriosamente rifugiata di notte in un net cafè provando a scappare da lui e Lazuli? Perché scappava?
 
Alcune spiegazioni per chi non conosce queste cose. Allora, i net cafè sono una specie di internet point aperto 24h/24 in cui gli utenti possono noleggiare ad ore (quindi anche per l’intera notte, come fosse una minuscola stanza d’albergo) un cubicolo, cioè un piccolo camerino con una poltrona, una scrivania e un computer in cui ci si può chiudere dentro. In un net cafè è poi disponibile una parte simile alla biblioteca, con scaffali pieni di manga che possono essere letti in loco. Il costo è irrisorio e molti lo usano come albergo, se non come casa praticamente. Non credo sia il massimo per una ragazza da sola stare in un posto simile di notte.
Lo yukata, invece, è il kimono attillato e lungo che si vede spesso indossare a ragazzi e ragazze in occasione di festival tipici giapponesi con lanterne, stand, mele caramellate, pesciolini da pescare per vincere premi e tutte queste cose qui e in occasione degli spettacoli pirotecnici, che siano legati o slegati a particolari festival serali. L’obi è la cintura alta di tessuto che va dalla vita al seno nelle ragazze e che serve a fissare lo yukata. I geta sono i sandali di legno a infradito che completano di solito questo look tipico per queste occasioni. A quanto pare è segno di eleganza, finezza e soprattutto di estrema bellezza indossare uno yukata. Si usa in occasioni speciali e le ragazze vengono considerate bellissime quando lo indossano.
Voi cosa ne pensate, vi piace questo look?
Abbiamo già visto Lunch vestita così, nei prossimi capitoli lo vedremo su anche ai veri protagonisti della storia. Vi do questo piccolo anticipo, così se qualcuna delle disegnatrici di questa storia vuole farsi avanti per fare i Raduli o i VegeBul in yukata (o la stessa Lunch, magari con Mai, perché no?) me lo può far sapere senza fretta! ;-)
Ecco, Lunch… ora che ha seppellito l’ascia di guerra è diventata più simpatica a molti, così diversi di voi mi hanno chiesto se la vedremo ancora in scena. La risposta è sì, come si è potuto vedere già da questo capitolo, anche se avrà meno spazio rispetto a come ci si era abituati per lasciarlo ad altri.
 
Ringrazio come sempre tutti voi che mi lasciate sempre il vostro parere e mi fate capire che ci siete, che questa storia vi piace e che questi personaggi continuano a emozionarvi e divertirvi! Grazie a chi legge in silenzio, a chi inserisce nelle liste e a chi ha appena iniziato dal capitolo 1, per me è sempre un grande onore e voi siete il mio incentivo più bello!
Nel prossimo capitolo scopriremo tutto su Bulma e, soprattutto, succederà una cosa clamorosa e (spero) tanto attesa! Di cosa si tratterà? Il titolo sarà “Occhi di ghiaccio”, ed è volutamente vago perché sono cattivo, ma fidatevi che sarà una bomba!
Grazie ancora ci vediamo mercoledì col capitolo 21 e chissà che se mi gira non posto prima una OS, ora che Mythos è finito (un grazie immenso a chi l’ha seguita in parallelo e a chi vorrà iniziarla, ora che è conclusa!).
 
Teo

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Capitolo 21
*** Occhi di ghiaccio ***


21 – Occhi di ghiaccio
 
 
«Ci sono due me» sospira Bulma, a testa bassa, stringendo forte tra le mani la sua borsa.
Ci siamo seduti su una panchina all’aperto in una zona tranquilla, illuminati dalla luce dei lampioni e senza troppe persone che camminano intorno a noi.
«In che senso?!» le chiedo, anche se temo di essere già a conoscenza della risposta.
«È proprio come ho detto: da tre giorni, in questo mondo, esistono due Bulma Brief».
«È legato alla Sindrome della Pubertà?» interviene Lazuli, sporgendosi per guardarla, visto che ci sono io seduto tra loro due.
«Non vorrei ammetterlo, ma… sì…» sospira ancora la mia compagna di classe con un filo di voce. Sembra distrutta.
«Ti sei già fatta un’idea?» le domando.
«Avrei già risolto il problema, se mi fosse venuta in mente un’idea» risponde, stringendo forte i pugni.
«Quindi la Bulma che ho incontrato oggi in biblioteca era la tua sosia?»
«Dato che questa è la prima volta in cui ti vedo oggi, direi proprio di sì» sbotta Bulma, guardandomi finalmente negl’occhi. «Quella brutta copia è solo una spina nel fianco e non posso nemmeno tornare a casa, dato che si è stabilita lì».
«È per questo che eri in quel net cafè?»
«Almeno ho avuto un posto dove dormire e farmi una doccia nelle ultime due notti…» sbuffa Bulma, abbassando la testa di nuovo.
«Avresti dovuto chiamarmi, stupida!» la sgrido bonariamente, dandole un piccolo scappellotto sulla nuca.
«Non volevo… non volevo creare problemi a nessuno!» sbotta lei. «È tutto… tutto… così assurdo!» aggiunge, voltandosi dall’altra parte con un gesto di stizza. Credo stia cercando di trattenere le lacrime.
Dev’essere una situazione orribile per lei, così orgogliosa e così dannatamente razionale com’è.
«Dai, che adesso sistemiamo anche questo casino e facciamo tornare tutto alla normalità!» esclamo, battendo le mani per spronare Bulma e sorridendo. «Là, a te va bene se da oggi ospito a casa mia Bulma finché non risolviamo questo casino?» aggiungo, voltandomi verso la mia ragazza, che punta i suoi occhi di ghiaccio nei miei e mi fissa, impassibile e in silenzio.
«No» risponde, gelida, prima di alzarsi e darci le spalle, incrociando le braccia sotto il seno. Persino Bulma si è voltata in sua direzione e la fissa con gli occhi sgranati. Non si aspettava quella risposta, così come non me l’aspettavo io, sinceramente.
«Eh?! Ma è una mia amica!» provo a insistere.
«Allora dimmi una cosa, Rad: saresti d’accordo se permettessi a un mio amico maschio di dormire da me?!» mi domanda, voltandosi e fulminandomi con lo sguardo.
«Non voglio nemmeno immaginarmelo…» sospiro, abbassando la testa. Mi ha fottuto alla grande. E ha ragione, soprattutto. Che situazione del cazzo!
«Visto?» ribatte Lazuli, distaccata. «È per questo che stanotte resterò anch’io da te» aggiunge, accennando un sorriso e riempiendomi il cuore di gioia come solo lei sa fare.
 
«Fratellone, hai portato a casa un’altra ragazza?!» sussurra Goku, nascondendo timidamente la faccia dietro un cuscino e facendo anche imbarazzare Bulma, mentre Lazuli chiude la porta di casa e sorride.
«Non farmi passare per un dongiovanni» ribatto, strappandogli di mano il cuscino per poi batterglielo sulla testa.
«G-guarda che Goku-kun è il tuo fratellino e ti accetta per quello che sei!» esclama, mentre Lazuli gli si avvicina sorniona e con uno sguardo che non promette nulla di buono.
«Ehi, Goku-kun» gli dice, serissima. «Ha portato qui altre ragazze tuo fratello?»
«No, Lazuli-san! E Goku-kun non ha mai visto nessun’altra con il tuo costume di Carnevale da coniglietta!» sorride lui, fiero di sé.
«Sarà meglio per lui…» sibila in tono sadico Lazuli, squadrandomi e facendomi provare un brivido lungo la schiena.
«C-costume da coniglietta? Qui… ?» sussurra perplessa Bulma, osservando prima me e poi Lazuli, che la fulmina a sua volta facendole abbassare la testa. «Sei un maiale, Son-kun» bisbiglia in mia direzione.
«Lei comunque è Bulma Brief, una mia amica e compagna di classe» sospiro, rassegnato, presentandola a mio fratello.
«Piacere» accenna un inchino in direzione di Goku.
«G-goku Son» sussurra mio fratello, abbassando la testa. Sta facendo enormi passi avanti nel rapportarsi con gli altri in quest’ultimo periodo, grazie a Lazuli soprattutto. Sono felice che conosca anche Bulma, adesso, così come mi fa piacere quando lo vedo parlare con la misteriosa ragazzina chiamata Videl. Già, un altro casino anche quello…
«Lui è Balzar, mentre il piccolino si chiama Beerus» riprende Goku, indicando i nostri gatti sul divano accanto a lui.
«Resteranno qualche giorno da noi loro due» spiego a Goku. «Potete dormire in camera mia se per voi va bene, tanto ho il letto matrimoniale» aggiungo, guardando la mia ragazza e la mia amica.
«Tu dormi con me, fratellone?»
«Scordatelo, metterò un futon qui in salotto» ribatto, lapidario.
«Faccio un salto a casa a prendere i vestiti di ricambio» spiega Lazuli, riaprendo la porta d’ingresso. «E già che ci sono mi faccio anche una doccia, porto qualcosa da vestire anche per te» aggiunge, accennando un sorriso verso Bulma prima di andarsene.
«Usa pure prima tu il bagno» dico alla mia amica, una volta rimasti soli, guadagnando un’occhiataccia in tutta risposta. «Oh, ma per chi mi hai preso?! Mica ho intenzione di sbirciare!»
«Son-kun, è inutile che fingi di non essere un porco» sibila, serissima, assottigliando i suoi occhi azzurri e puntandoli nei miei. «Non voglio nemmeno immaginare la tua reazione quando la tua ragazza si veste da coniglietta…» sospira, scuotendo la testa e dirigendosi verso il bagno.
 
«Appoggio sopra la lavatrice un altro asciugamano, nel caso ti dovesse servire» dico a Bulma, che si sta facendo il bagno, parlandole attraverso la porta chiusa. «Hai già dei vestiti di ricambio o devi aspettare Lazuli?»
«Ce li ho già, avevo appena comprato lo stretto indispensabile quando mi avete vista prima» mi risponde dall’interno della vasca. La sua voce mi sembra già più tranquilla rispetto a prima, penso stia riuscendo a rilassarsi un po’.
«Sicura di non voler mettere su il costume da coniglietta? Dovrebbe andarti bene!»
«Son-kun?»
«Sì?»
«Ti ho detto che sono a posto. Razza di maiale».
Sorrido, sollevato nel constatare che la sta tornando anche la voglia di scherzare, e mi siedo sul pavimento accanto alla lavatrice, con la schiena appoggiata alla porta del bagno.
«Ehi, Bulma» le dico, serio. «Scherzi a parte, tutto bene?»
«Se te ne vai, sì» sbuffa, irritata. «Perché ti sei seduto lì fuori?! Non voglio che la tua ragazza fraintenda se dovesse trovarti lì. Guarda che la stimo molto, sia come persona e sia perché sta con un porco irrecuperabile come te».
«Sono serio, Bulma. E voglio aiutarti come tu hai sempre fatto con me» rispondo, senza raccogliere le sue provocazioni. «Volevo sapere come va con la Sindrome della Pubertà che ti ha colpita».
«Non lo so…».
«Tutto qui?»
«Cosa vuoi che ti dica?»
«Niente. Voglio solo sapere la tua opinione».
«Io… io ho un po’ paura, Son-kun».
«Solo “un po’” eh?» sorrido, pur sapendo che Bulma non mi può vedere immersa nella vasca da bagno e con una porta chiusa a dividerci. «Sei sempre stata forte, tu. Io mi stavo cagando addosso quando mi sono ritrovato il petto sfregiato e quando mi rendevo conto che Lazuli stava per svanire anche dai miei ricordi».
«Quando ero da sola in quel net cafè avevo davvero paura, in realtà» sospira la mia amica. «È solo adesso che va un po’ meglio».
«Comunque, è davvero possibile questa cosa? Come possono esserci due copie della stessa persona?» le chiedo, pensando a quanto sia strano questo effetto della Sindrome della Pubertà.
«È sufficiente che si verifichi un teletrasporto quantistico su scala macroscopica, no?»
«Ah, certo! Come ho fatto a non pensarci prima! È ovvio!» ribatto in tono ironico. Non ho capito nulla di quello che ha detto.
«Son-kun?»
«Uhm?»
«Muori».
«Dai, Bulma, non rispondermi come farebbe Vegeta!» piagnucolo. «Lo sai anche tu che il teletrasporto è roba da film o da manga!»
«È tutto vero, invece» mi risponde sbuffando, spazientita. «Ricordi quando ti ho parlato della correlazione quantistica? Ora applicherò quella teoria cercando di spiegartela con parole semplici…».
«Ecco, brava: “semplici” e comprensibili anche per un bambino delle elementari, se non ti dispiace».
«Supponiamo esista uno schema contenente tutte le informazioni relative a me, una sorta di modello» riprende lei, sforzandosi di non tradire tutta la sua irritazione per la mia ignoranza. «Immaginiamo di inviare quelle informazioni in un punto arbitrariamente distante mediante teletrasporto quantistico».
«Tipo inviarle dalla vasca da bagno in cui ti trovi ora alla nostra scuola?»
«Esatto. E se questa mia struttura di informazioni che si trova ora a scuola venisse osservata da qualcuno, verrebbe riconosciuta e definita come Bulma Brief».
«Seguendo questa logica, non dovrebbe essere impossibile per voi due esistere contemporaneamente?»
«In teoria sì, però non ho ancora visto l’altra me faccia a faccia. Per questo non posso ancora dire con certezza se esistiamo entrambe nello stesso momento o meno».
«C’è da dire che quando ti ho vista al net cafè stavo anche parlando al telefono con l’altra te».
«Ero davvero io?»
«Beh, non ti ho vista in faccia, ma tutto mi riportava a te» le rispondo, ripensando a quel momento e alla Bulma che ho incontrato nel pomeriggio in biblioteca. «Ah, comunque si chiama “teletrasporto quantistico”, giusto? Se entrambe le vostre strutture di informazioni sono le medesime, non dovreste anche condividere la stessa coscienza e gli stessi ricordi a prescindere da chi ha visto cosa?»
«Diciamo che io, Bulma Brief, vengo osservata da me stessa» spiega la mia amica, dopo qualche secondo di silenzio. «Se, per un qualsiasi motivo, venissi osservata da due copie della mia coscienza, potremmo ritrovarci nella situazione in cui ci troviamo ora».
«In pratica ci sono due persone…» sospiro, appoggiando anche la nuca alla porta del bagno. «Come ci sei finita in questo casino?»
«Ti ho già detto che non ne ho idea» sibila, irritata e imbarazzata.
«Non c’è bisogno di dirmelo chiaramente, se non ti va» le dico, rialzandomi e conoscendo già benissimo il motivo che ha causato in Bulma tutto questo. «In ogni caso ti tirerò fuori da questo guaio in qualche modo, te lo prometto».
 
Mi rigiro per l’ennesima volta sbuffando nello scomodissimo futon che ho disteso sul tappeto del salotto tra il divano e la televisione. Ho caldo, nonostante sia in boxer e basta, come sempre quando dormo, a parte in pieno inverno dove mi concedo una maglietta. Sono scomodo, soprattutto, e non riesco a prendere sonno. Non so che ore possano essere, ma è da tanto ormai che siamo andati tutti a dormire. Di sicuro è notte fonda. Penso a Lazuli e mi chiedo come se la stia passando nel mio letto con Bulma. Starà dormendo? Avranno sparlato di me come è ovvio che sia, conoscendo quanto sappiano essere “crudeli” entrambe nei mie confronti?
Sento aprirsi lentamente una porta, un rumore quasi impercettibile. Dei passi sul pavimento, leggere e felpati.
Apro gli occhi, restando sdraiato di lato, e guardo Lazuli sdraiarsi accanto a me. Mi sorride. E mi fa battere il cuore all’impazzata.
I suoi occhi di ghiaccio squarciano l’oscurità.
«Là…» le sorrido a mia volta, accarezzandole una guancia per arrivare fino ai suoi capelli dorati. È da quella notte magica che avevano passato insieme ad Ogaki che non succedeva qualcosa del genere.
«Avevo voglia di guardarti in faccia» mi risponde, distaccata.
«Immagino sia un bello spettacolo, no?» ghigno.
«Sai, Rad, stavo pensando che sto guardando la faccia del mio ragazzo, anche se è un cretino senza speranze» ribatte, arrossendo un poco. Mi sento il cuore esplodere. «È una cosa bella, ma anche strana, in un certo senso, per me».
La pallida luce della luna che entra dalla finestra le fa brillare i suoi occhi di ghiaccio e me li fa apparire come diamanti. Mi si secca la gola da quanto è bella. Indossa la canotta aderente e gli shorts che avevamo comprato insieme in quel konbini a Ogaki.
«Ammettilo che ti ho fatto venire il batticuore» sorride, sadica e soddisfatta, prendendo una mia mano e intrecciando le sue dita intorno alle mie.
«Ogni volta che ti vedo mi fai venire il batticuore, ma oggi un po’ di più» rispondo, cingendola con un braccio e avvicinandola a me. Le nostre bocche sono così vicine che posso sentire il suo respiro accarezzarmi le labbra. «Pensavo a quanta strada abbiamo fatto per arrivare fin qua. A quanti ostacoli abbiamo superato da quella notte ad Ogaki, quando eravamo vestiti esattamente come adesso».
«Beh, tu sei in mutande come al solito» mi provoca Lazuli.
«Ti dispiace la cosa?» ribatto.
«N-non ho detto questo, scemo!» risponde, irritata e imbarazzata, arrossendo di nuovo.
«Sei felice, Là?» le chiedo, accarezzandole di nuovo i capelli. «Di noi, di tutto. Anche se siamo finiti in un altro casino, adesso, a quanto pare».
«Perché non dovrei essere felice? Finalmente riesco a passare un po’ di tempo col mio ragazzo e a restare a dormire da lui» sorride di nuovo, mentre il suo profumo fresco mi avvolge e mi confonde allo stesso tempo.
«Com’è andata con Bulma?» le domando.
«Bene, mi piace come persona, ed è una rarità per me pensarlo. Si è addormentata subito, era stravolta perché credo fossero tre giorni che non riusciva a riposare serenamente. Nemmeno delle cannonate potrebbero svegliarla adesso. E tuo fratello?»
«Anche lui è crollato in un attimo e non uscirà da camera sua fino a domattina, ha paura del buio».
«Però, fammi capire una cosa» riprende Lazuli, allontanandosi leggermente da me, giusto quanto basta per fulminarmi con una delle sue occhiatacce che fanno gelare il sangue nelle vene. «Anche se sono qui sdraiata accanto a te mi chiedi della tua amica? Fai schifo, lo sai?»
«Ti adoro quando fai così…»  le sorrido sghembo, portando una mia mano dietro la sua nuca e spingendola verso di me, azzerando le distanze e baciandola. Lei ricambia e si stringe forte a me, travolgendomi col suo sapore e con tutta la sua essenza, prima di allontanarmi con uno spintone e sdraiarsi al mio fianco, fissando il soffitto.
«Sono arrabbiata con te» sbuffa. «Domani pensavo che saremmo usciti insieme, dato che ho un giorno libero…».
«Perché lo dici già come se sapessi che non accadrà?»
«Perché sicuramente cercherai di trovare una soluzione per tirar fuori dai guai Bulma» sospira, prima di voltarsi di nuovo verso di me e sorridermi. «Ti conosco bene, ormai, e ti amo anche per questo, scemo».
«Allora non sei arrabbiata sul serio?»
«Il giorno che mi farai arrabbiare sul serio ti riempirò di botte» sorride sadica. «Adesso mi sto limitando a prendermi gioco di te».
«Non vedo l’ora che mi torturerai, mia regina! Sono già eccitato!»
«Che tu fossi “eccitato” l’avevo già notato, proprio come quella volta ad Ogaki…» sussurra Lazuli, facendo brillare gli occhi e accarezzando lentamente con un ginocchio la mia eccitazione che, effettivamente, sta gridando pietà stretta nei boxer.
«Ed è sempre colpa tua…» ghigno.
«Ci mancherebbe anche che fosse colpa di qualcun altra» sibila, premendo con più forza col ginocchio giusto per schiacciarmi le palle e mozzarmi il fiato per il dolore.
«Ahia, cazzo…» impreco, dimenandomi leggermente e facendola ridere. Maledetta.
«Comunque è probabile che domani l’altra Bulma, quella falsa, andrà a scuola, giusto?» mi chiede all’improvviso, come nulla fosse.
«Penso che andrà al club di scienze, dici che dovrei fare un salto là a indagare?» ribatto, mentre il dolore mi passa e riprendo a respirare normalmente.
«Vedi che avevo ragione io quando ho predetto la giornata di domani in cui non uscirai con me?!» sbuffa Lazuli, fingendosi irritata e girandosi dall’altra parte, dandomi le spalle. «Per predire il futuro non c’è mica bisogno di giocare al Demone di Laplace, o come diamine si chiamava, come faceva la tua amichetta primina».
«E dai, Là…» le alito dietro l’orecchio, abbracciandola forte da dietro e stringendola a me. Sento la mia eccitazione premere contro il suo dannato culo sodo e il sangue ribollirmi nelle vene. Cazzo.
«Immagino che io dovrò stare qui a tenere d’occhio la vera Bulma mentre tu sei con l’altra…» sospira, muovendo lentamente il bacino giusto per farmi impazzire.
«S-sei sempre un passo avanti tu…» sorrido, cercando a fatica di trattenermi.
«Levati quel sorrisino compiaciuto dalla faccia» mi sgrida lei, voltandosi all’improvviso e pizzicandomi energicamente una guancia.
«Mi fai male!» protesto, ridendo.
«Facciamo che con questo mi sono fatta perdonare per averti trascurato per via del lavoro, ok?» sbuffa, sdraiandosi di nuovo di lato e guardandomi.
«Uhm…» bofonchio, restando in silenzio a contemplarla per qualche secondo.
«A cosa pensi?» mi chiede, sospettosa.
«A quanto cazzo sei bella» rispondo di getto, facendole spalancare e brillare i suoi occhi glaciali. «E penso anche che hai degli occhi così belli che dovresti tenerli aperti anche mentre dormi» sospiro, azzerando di nuovo le distanze e baciandola.
La sovrasto, mi sdraio sopra e continuo a baciarla, avido di lei. Di noi.
Premo tutta la mia eccitazione tra le sue gambe e la sento gemere, mentre mi passa una mano tra i capelli e mi spinge verso di lei.
«Non ti sei ancora fatta perdonare per via del lavoro, lo sai?» sussurro roco, soffiandole sulle labbra.
Lei arrossisce leggermente, prima di riprendersi da quell’attimo di smarrimento e spingermi indietro con entrambe le mani, fino a costringermi a sdraiarmi sulla schiena.
«Lo decido io se e come mi sono fatta perdonare» sussurra, gelida, prima di mettersi a cavalcioni sopra di me e sfilarsi la canotta. Mi si secca istantaneamente la gola non appena vedo il suo meraviglioso seno, per non parlare di quando comincia a muovere lentamente il suo bacino contro il mio. «Allora?» aggiunge, chinandosi verso di me e baciandomi ancora.
Che sia la volta buona?! Sto davvero per avere la mia prima volta?! E proprio con Lazuli Eighteen, la ragazza che amo, la “mia ragazza”. Il sogno che porto nel cuore sin da quando ero un bambino e non la conoscevo ancora.
La stringo a me e continuo a godermi il suo sapore, il suo calore. Non sono teso, ero pronto per questo momento con lei. So che è anche la sua prima volta, ma mi sembra a suo agio. Forse perché ci amiamo, forse perché ho la sensazione che siamo davvero sempre sulla stessa lunghezza d’onda. Che siamo complici, che siamo tutto il nostro mondo.
Non ho paura, sinceramente non vedevo l’ora che arrivasse questo momento ed è bello che ci siamo arrivati per gradi.
Sto pensando troppo, però. Cazzo.
Mi stacco a fatica dalle sue labbra e le bacio i seni leccandole lentamente i capezzoli, facendola ansimare e stringere più forte a me, prima che mi spinga di nuovo indietro e mi costringa a sdraiarmi ancora. Mi guarda per un istante, prima di sistemarsi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sfilarmi i boxer. Osserva, immagino compiaciuta visto che accenna un sorriso, ciò che trova al loro interno, prima di cominciare a darmi piacere con la sua bocca. Inarco la schiena, mentre le accarezzo i capelli. Non ero mai arrivato fino a questo punto con una ragazza, eppure mi sembra dannatamente brava.
Si stacca da me e mi fissa soddisfatta, mentre si sfila anche gli shorts e resta in perizoma, lasciandomi ancora di più senza fiato. Trovo la forza per sollevarmi e farla sdraiare di nuovo, baciandola con foga prima di iniziare lentamente a scendere sul collo e sul seno, fino ad arrivare alle sue cosce e respirare a pieni polmoni un profumo di donna che non avevo mai sentito così vicino. Le sfilo il perizoma con un gesto istintivo e mi sento esplodere il cuore nel petto quando guardo la sua femminilità e l’accarezzo con le dita, trovandola decisamente bagnata e facendo ansimare Lazuli. Inarca il bacino verso di me, accarezzandosi un seno e chiudendo gli occhi. Affondo la mia faccia tra le sue cosce e incontro per la prima volta il suo sapore di donna, così dolce e pungente al tempo stesso. Così inebriante, così buono. Così pieno di lei che non mi ci staccherei mai.
«Rad…» geme, passandomi entrambe le mani tra i miei folti capelli e allargando di più le gambe, invitandomi a continuare.
Sento che la voglio. Che la voglio troppo, adesso. Che voglio lei, e che non vorrei nessun altra. Che non ho mai voluto nessun altra, in fondo, anche quando non mi aveva nemmeno mai rivolto la parola. Nessuna, neanche Videl Satan. C’è sempre e solo stata Lazuli Eighteen nel mio mondo. È stata dura per me in certi momenti, ma ne è valsa la pena solo per il fatto di essere qui con lei adesso. Di essere “questo”, per lei. Di essere il suo ragazzo.
«Là, ti va di…» sussurro, sollevandomi lentamente dalle sue cosce e sdraiandomi sopra di lei.
«S-sì…» risponde, sfiorandomi le labbra con le sue e accennando un sorriso.
Resto per un attimo a contemplare il suo corpo nudo. La più meravigliosa opera d’arte che abbia mai avuto l’onore di ammirare. Voglio godermi tutto di lei. Voglio lei. E voglio darle piacere, lo desidero con tutto me stesso.
Punto la mia eccitazione contro la sua femminilità e spingo lentamente, cercando di non farle male.
«A-ah…» sospira, conficcandomi le unghie nella schiena e stringendosi a me, mentre entro in lei.
«S-stai bene?» balbetto, intimorito. Le ho fatto male?
«S-sì, mi piace…» sibila, accennando un sorriso, prima di passarmi una mano dietro la nuca e spingermi a baciarla.
Il suo sapore mi rilassa e fa scomparire ogni timore. Mi fa battere il cuore fortissimo.
Il calore che sento dentro di lei mi avvolge dall’interno, mi sconvolge, mi fa sentire suo come mai mi era successo prima. È difficile da descrivere… ma come cazzo si può descrivere davvero quello che si prova mentre si è una cosa sola con la ragazza che si ama? Con la ragazza per cui saresti disposto a dare tutto te stesso? A mettere la tua vita nelle sue mani?
Spingo piano, sempre più a mio agio. Sempre più fondo. Sento anche lei rilassarsi poco alla volta. Ansimare. Gemere di piacere.
Muovo il bacino con più forza, gradualmente. Lei mi bacia con foga, è come se mi dicesse di aumentare il ritmo e la frequenza delle spinte.
Faccio quello che mi dice l’istinto, quello che mi dice il suo cuore che batte forte contro il mio petto. Già, il mio petto sfregiato. Ben venga anche lui e quello che mi è capitato se ora posso essere qui con Lazuli.
La “mia” Lazuli Eighteen, a volte non mi sembra ancora vero.
Le cicatrici non riescono a coprire la mia pelle d’oca, quando sento Lazuli gemere più forte e in maniera prolungata, soffocando la sua voce e infilando avidamente la lingua nella mia bocca. Sento i muscoli del suo corpo rilassarsi gradualmente, si lascia condurre da me. Che sia venuta? Spero di sì, penso di sì. Anche perché mi sento al limite, sinceramente.
«Vieni, Rad…» mi sussurra dolcemente in un orecchio, leccandomelo e facendomi provare un brivido caldo lungo la schiena. Sembra leggermi nel pensiero a volte.
Aumento il ritmo delle mie ultime spinte, prima di liberare un gemito che fatico a contenere e con cui rischierei di svegliare l’intero palazzo, altro che Bulma e Goku, se Lazuli non mi baciasse di nuovo con foga togliendomi quasi il respiro.
I nostri cuori battono l’uno contro l’altro, mentre sento fluire tutta la mia anima e tutto quello che provo dentro di lei.
I suoi occhi di ghiaccio mi fissano, sereni. Non li ho mai visti così belli. Sta ancora ansimando, le sue guance sono leggermente arrossate.
Scivolo fuori da lei e crollo al suo fianco, respirando a pieni polmoni. Sono decisamente sudato, ma soprattutto felice. L’abbiamo davvero fatto?! Abbiamo avuto la nostra prima volta?! È stato… è stato… boh, una figata!
Lazuli appoggia la testa sul mio petto e mi stringe la mano, strusciando un ginocchio sulla mia coscia.
Non mi sono mai sentito così bene in vita mia. Così in pace con me stesso, con il mondo. Così, un’unica cosa con lei. La mia lei.
«Ti amo, Là» sussurro, con il cuore che batte così forte da farmi quasi male. Non  mi sono mai sentito così, davvero. È… è bellissimo, ecco. È tutto fottutamente perfetto.
Io e lei. Anche qui, sì, sul pavimento di casa mia.
«Anch’io Rad».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: allora, che cosa ne pensate di tutto questo?! Siete contenti? Per Rad e Là, ovviamente, visto che per Bulma la situazione si è un pochino complicata!
Sembrava che dovesse essere un capitolo dedicato interamente a Bulma e invece boom! Dopo 21 capitoli e tante peripezie i nostri protagonisti riescono a ritagliarsi la loro prima volta in maniera abbastanza inaspettata. Spero vi sia piaciuto quel momento, era nell’aria dal cap. 6 se ben ricordate, ma poi è successo davvero di tutto!
Per Bulma invece scopriamo un’amara verità: si è sdoppiata, su di lei la Sindrome della Pubertà ha avuto questo strano effetto! Riuscirà Rad ad aiutarla? Come si comporterà Bulma II (cioè l’altra Bulma che si è generata e che ora vive a casa di Bulma tranquillamente)? E Vegeta, in tutto questo riuscirà a combinare qualcosa di buono?
 
Nel prossimo capitolo, dal titolo “Il paradosso dell’adolescenza”, succederanno tante cose e vedremo in scena molti personaggi, tra cui Vegeta, Marion, le due Bulma, la piccola Videl e persino un nuovo personaggio maschile legato alla squadra di calcio. Chi sarà secondo voi? Dite che si avvicina per Radish il momento di tornare a giocare come vorrebbe Lazuli?
Scopriremo inoltre come si erano conosciuti Bulma e Vegeta all’inizio del primo anno del liceo, siete curiosi?!
 
Un grazie speciale come sempre a chi continua a seguire con passione questa storia, a chi si immedesima nei personaggi e a chi riesce a emozionarsi insieme a loro! Spero che questa long continui a piacervi e a divertirvi come all’inizio, perché devono succedere ancora un sacco di cose e dobbiamo conoscere ancora diversi personaggi, di cui uno importantissimo che arriverà nel cap. 23 (spoiler: si tratta di una ragazza).
Ringrazio chi mi lascia sempre il suo parere, chi lo farà anche stavolta e chi vorrà farlo oggi per la prima volta: siete sempre il mio incentivo più grande ed è bello confrontarsi con voi!
Grazie poi a chi legge e basta, siete fondamentali anche voi e mi piacerebbe farlo sapere a ognuno di voi!
Faccio infine i complimenti a chi aveva beccato il nome Beerus per il nuovo gatto: Corsaro Nero, Summer Moon, Eevaa e Misatona!
Bene, ci vediamo mercoledì prossimo allora!
 
Teo
 

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Capitolo 22
*** Il paradosso dell'adolescenza ***


22 – Il paradosso dell’adolescenza
 
 
 
«Sarà meglio che torni di là, adesso…» sussurra Lazuli, accennando un sorriso e lasciando la mia mano. «Non sarebbe il massimo se ci trovassero così domani mattina».
Non so quanto tempo sia passato da quando l’abbiamo fatto per la prima volta, ma so solo che non mi sarei mai voluto staccare da lei. E poco importa di essere in due in un misero futon sul pavimento del salotto di casa mia. In questo momento mi sembra il letto più comodo che abbia mai avuto.
«Resta ancora un po’, Là» provo a convincerla, afferrandole un polso. «Per favore».
«Fai il bravo, Rad» mi sorride di nuovo, dandomi un bacio a fior di labbra e rialzandosi. Quanto cazzo è bella? E quanto è meraviglioso quello che abbiamo appena fatto?! «Sono già le quattro passate».
«Sono cotto perso di te…» sospiro, fissandola nei suoi occhi di ghiaccio.
«Lo so» risponde, facendo brillare i suoi occhi nel buio della stanza. «’Notte, Rad» aggiunge, dirigendosi verso la mia stanza. «Ah, è stato bellissimo» mi sorride un’ultima volta, prima di chiudere la porta alle sue spalle.
Crollo all’indietro e fisso il soffitto, in silenzio, anche se vorrei urlare a pieni polmoni tutta la mia gioia. Sento ancora il suo profumo fresco mischiato al suo profumo di donna addosso e mi sembra tutto stupendo stanotte.
Tutto perfetto. Fottutamente perfetto.
 
 
3 agosto
 
«Mi sembri felice stamattina, Son-kun» mi dice Bulma, sorseggiando una tazza di caffè seduta al tavolo della mia cucina. Accanto a lei e davanti a me c’è la sedia vuota di Lazuli, ai fornelli a preparare dei pancake. Di fianco a me c’è la sedia vuota di Goku, che si sta vestendo.
In tutta risposta sbadiglio sonoramente e mi passo una mano tra i miei folti capelli scompigliati, sorridendo come un idiota.
Bulma guarda me e poi Lazuli, girata di spalle, prima di tornare a guardare di nuovo me e accennare un sorriso furbo, bevendo un altro sorso.
«E bravo Son-kun…» ghigna, con la faccia di una che ha capito tutto.
«Guarda che non è come pensi…» ridacchio, portandomi una mano dietro la nuca e venendo interrotto da uno sguardo di fuoco di Lazuli, mentre mette, o meglio scaglia, nei quattro piatti disposti sul tavolo i pancake che ha preparato.
È leggermente rossa in faccia, e mi fa impazzire quando fa così. Si volge poi irritata verso Bulma, guardandola negli occhi e costringendola ad abbassare lo sguardo e a sistemarsi con la mano gli occhiali sul naso, imbarazzata.
Bene, la mia ragazza ha messo fine a modo suo ad ogni discussione.
Però ammetto che mi dà un senso di pace vederla ai fornelli di casa mia, mi rende felice. Mi dà un senso di famiglia, non saprei dire con precisione. Mi fa battere il cuore.
«Urca, fratellone! Non ho mai mangiato una colazione così buona! Sono sofficiosissimi!» esclama Goku, non appena si siede a tavola e si mette a mangiare i pancake, felice.
«Allora sei d’accordo che d’ora in poi sarà Lazuli-san a cucinare per noi, visto che è così brava?» sorrido a mio fratello, prima di voltarmi verso la mia ragazza, che arrossisce vistosamente.
«Sììììì!» grida Goku, battendo le posate sul tavolo e facendo sorridere anche Bulma.
«N-non usare Goku-kun come scusa» sibila Lazuli, cercando di mostrarsi risoluta e al contempo dandomi un pestone clamoroso sul piede da sotto il tavolo. «A te piacciono, Bulma? Non so se mi sono usciti bene davvero…» chiede alla mia amica, voltandosi verso di lei e indicandole i pancake nel piatto.
«Sono buonissimi, Eighteen-senpai» sospira Bulma, improvvisamente malinconica. «Era da non so quanto tempo che non facevo colazione con qualcun altro. Sono felice qui insieme a voi».
«Non chiamarmi “senpai”, mi fai sembrare vecchia così» ribatte Lazuli, in tono apparentemente distaccato, mentre sorrido guardandole davanti a me. La mia ragazza e la mia migliore amica, mi piace vederle insieme. «Puoi chiamarmi Lazuli, se vuoi».
«Lazuli-san va bene? Sei comunque più grande di me e ci tengo a rispettarti» ribatte Bulma.
«Come vuoi» fa spallucce Lazuli, bevendo un sorso di caffè. «Almeno non sei un’irrispettosa come questo scimmione sfacciato» aggiunge, guardandomi male.
«E io cosa c’entro adesso?!» protesto.
«Tu c’entri sempre, Son» ghigna Lazuli.
«E sei uno sfacciato irrispettoso, per non dire altro…» le dà man forte Bulma.
«Uffa, non vale se vi coalizzate…» sbuffo, per poi scoppiare a ridere, mentre Goku mi ruba dal piatto un pezzo di pancake. «Giù la mani, razza di ingordo!» sgrido bonariamente mio fratello, facendo ridere lui e le ragazze.
«Ma sono troppo buoni, a Goku-kun piace tantissimo come cucina Lazuli-san!»
«Non ti devi preoccupare, tanto ce li cucinerà sempre, quando potrà. E cucinerà anche tante altre cose buone, vedrai!» lo rincuoro, scompigliandogli i capelli. «Cucinerai e mangerai sempre con noi quando potrai, vero Là?» aggiungo, voltandomi verso la mia ragazza.
«E-ecco, io… sì…» sussurra, arrossendo lievemente e distogliendo lo sguardo dal mio.
Sono felice. Sono davvero felice in questo momento.
 
Din don
Il campanello di casa interrompe questo bel momento e i miei pensieri. Mi dirigo verso la porta, anche se già immagino chi sia.
«Buongiorno Radish-san!» esclama Videl, sorridendo radiosa. Indossa un vestitino bianco che le arriva quasi alle caviglie.
«Ciao» le sorrido a mia volta. «Entra pure».
«Hai ospiti? Sicuro che non disturbo?» mi chiede, dopo aver notato le scarpe di Lazuli e Bulma all’ingresso accanto alle mie che indossavo ieri sera.
«È una lunga storia, ma non preoccuparti» la rassicuro. «Dai, entra».
«Buongiorno a tutti» si inchina leggermente la ragazzina, non appena entra in casa.
«Ciao!» bofonchia Goku, con la bocca piena.
«Ciao Videl-chan» accenna un sorriso Lazuli, mentre lei si inchina di nuovo in sua direzione. Non sembra davvero infastidita da lei la mia ragazza, è stata sincera quando me l’ha detto.
«Buongiorno, Lazuli-san!» esclama, sorridendo. «Certo che hai proprio un sacco di amiche, Radish-san!» aggiunge, volgendosi verso di me, che la osservo perplesso. «Cioè, non intendevo nel senso che sei un pervertito!» ridacchia, imbarazzata.
«Guarda che lo è» sbotta Bulma con indifferenza, mentre mangia un boccone di pancake.
«Già» conferma Lazuli, dirigendosi verso il lavandino.
«Comunque lei è Bulma Brief, una mia compagna di classe» sbuffo, rassegnato.
«Mi chiamo Videl Satan, piacere di conoscerti!» si inchina di nuovo Videl, facendo ciondolare in avanti i suoi codini neri.
«Dunque esiste davvero, anche se è più piccola del previsto…» sussurra Bulma, fissando enigmatica i miei occhi.
 
«Bulma, ci sei?» domando, non appena varco la soglia del laboratorio di scienze a scuola.
Non c’è nessuno ma, ora che ci penso, so che oggi Vegeta aveva gli allenamenti di calcio. Che sia andata al campo la copia della mia amica? Come avevamo stabilito, invece, è rimasta Lazuli a casa mia insieme alla vera Bulma e a Goku. Anche Videl era ancora lì, stava giocando coi gatti quando sono uscito.
Mi dirigo al campo di calcio dove, nel frattempo, sta per terminare l’allenamento e i miei ex compagni di squadra stanno facendo la partitella finale. Mi sento un nodo in gola nel vederli giocare, perché vorrei essere lì con loro. Ma cerco di concentrarmi sulla mia missione, che è quella di trovare Bulma II, che ho deciso di chiamare così per comodità. Ci sono diverse ragazze intorno al campo, intente a saltellare e fare il tifo, a seconda del ragazzo che piace a ciascuna di loro. Ovviamente Vegeta è quello che ha più fans, anche se devono stare attente visto che intravedo anche Marion con delle sue amiche. Finalmente noto anche Bulma II, in disparte, che guarda la partitella da un angolo, quasi a non volersi far notare. Ha lo stesso look insolito per lei e più provocante, uguale a quello con cui l’avevo vista ieri.
«Oh, ma quella è una del terzo anno?» bisbiglia un ragazzo, parlottando con due suoi amici e guardando Bulma.
«Non lo so, ma di sicuro ha un fisico da paura!» dice un altro.
«Per me è anche intelligente, non è solo sexy!» aggiunge il terzo, mentre passo oltre loro e mi avvicino a lei.
«Se la sta cavando bene Vegeta?» le chiedo, fingendo nonchalance e guardando al suo fianco la partitella. «Sei piena di fans anche tu, a quanto pare» aggiungo, indicando con un cenno del capo i tre ragazzi di cui ho captato la conversazione.
«M-mi sono fermata solo un attimo perché ero di passaggio, ero venuta per delle attività del club di scienze» balbetta lei, sorpresa nel vedermi. «E comunque non mi interessa avere fans…».
«Perché non fai anche tu degli urletti e dei saltelli come quelle galline ogni volta che Vegeta ha la palla tra i piedi?» le sorrido, indicandole col volto un gruppetto di ragazze dalla parte opposta del campo rispetto a noi.
«Sto già facendo il tifo per lui…» sospira la copia della mia amica, abbassando la testa mestamente. È davvero identica a Bulma. È… è proprio Bulma, mi sembra di vedere lei, la vera lei.
«Stai tifando nel tuo cuore?» le chiedo. «Non fai niente per farti notare da lui, magari non si è nemmeno accorto che sei qui».
«La smetti di importunarmi, Son-kun?!» ribatte irritata, puntando i suoi occhi azzurri nei miei e facendo per allontanarsi dal campo, dove nel frattempo il mister ha chiamato a sé i ragazzi ponendo fine all’allenamento.
«Da quand’è che sei innamorata di Vegeta?» la incalzo, seguendola.
«Perché lo vuoi sapere?!» sbuffa, guardandomi male.
«Semplice curiosità…».
«Una brioche al cioccolato…» sospira, abbassando di nuovo la testa.
«Eh?! Vuoi che vada a prendertene una?» le domando, perplesso.
«No, scemo» ribatte, guardandomi di sbieco. «Quando eravamo al primo anno, durante il primo semestre, un giorno mi ero dimenticata a casa il pranzo e lui mi ha dato la sua brioche senza che gli chiedessi nulla. Lui, che era sempre così burbero e distaccato, è stato l’unico ad accorgersene» aggiunge, prima di prendersi una pausa e accennare un sorriso triste guardando il cielo. «Non avevo legato con nessuno e non avevo mai comprato da mangiare al bar della scuola durante la pausa pranzo. L’assalto al bancone da parte della massa di studenti mi aveva convinto a desistere e mi stavo allontanando da lì, ma fu proprio in quel momento che Vegeta mi parlò per la prima volta».
«Immagino si sarà posto coi suoi soliti modi da scimmione, dato che non ti conosceva!» rido, facendo sorridere a sua volta Bulma II.
«”S-sei una donna, dovrebbero piacerti le cose dolci, no?!”» esclama lei, imitando la voce del nostro amico e tendendo il braccio in avanti simulando il gesto che aveva fatto Vegeta nel porle la sua brioche. «”Tanto io non ho fame oggi, tsk!”» prosegue la sua imitazione Bulma II.
«Il principe della brioche al cioccolato, eh?» la interrompo in tono ironico. «E poi?»
«E poi se n’è andato, eravamo imbarazzati entrambi e io non sono riuscita a dirgli nulla quella volta» sibila la mia amica, stringendo i pugni. «Abbiamo cominciato a parlare successivamente solo grazie a te che conoscevi tutti e due e non stai zitto un attimo».
«Uhm… quanto costa una di quelle brioche al cioccolato?» le domando pensieroso, picchiettandomi l’indice sul mento.
«130 yen».
«Basta poco per comprare il tuo amore, eh?» ridacchio. «A saperlo prima, ti avrei comprato un’intera confezione l’anno scorso e mi sarei trovato la ragazza con un anno di anticipo!»
«Son-kun…».
«Sì?»
«Muori».
«Ti voglio bene anch’io, Bulma».
«Comunque, se me l’avesse regalata qualcun altro al suo posto quella brioche, non mi sarei innamorata…» sospira, tornando seria.
«Quindi è stato grazie al suo bel faccino o al suo fisicaccio?» le domando, mentre lei arrossisce guardando in lontananza Vegeta tutto sudato uscire dal campo senza maglietta e mettere la testa sotto la fontanella dell’acqua in cerca di un po’ di fresco. «Guarda che io sono messo meglio, eh?» aggiungo, sollevando ritmicamente le sopracciglia per farla ridere.
«Tu sei un pagliaccio, è diverso» accenna un sorriso, prima che il suo sguardo torni triste. «Penso sia stata questione di tempismo, stavo passando davvero un brutto momento in quel periodo».
«Comunque se vuoi guardare Vegeta mentre parli con me fai pure, non mi offendo mica» le dico per allentare la tensione e guadagnandomi una sua occhiataccia.
«N-non capisco cosa vuoi da me oggi!» ribatte, decisamente scocciata.
«Sai, in questo momento Bulma è a casa mia» le spiego, facendola sussultare. Sgrana gli occhi, ed è strano per me guardare la mia compagna di classe senza occhiali.
«Capisco, ecco perché mi sei sembrato strano al telefono ieri sera…» sospira.
«Si può sapere cosa cazzo sta succedendo?!» le chiedo, deciso a trovare una soluzione.
«P-pensi che io sia un impostore?» mi chiede timidamente in un sussurro, tenendo la testa bassa.
«A dirla tutta, all’inizio sì. Ma, ora che abbiamo parlato un po’, ho capito che siete entrambe Bulma» rispondo sinceramente.
«L’altra me si è fatta qualche idea?»
«Ha parlato di teletrasporto quantistico…».
«Avevo pensato la stessa cosa, lo sai?» accenna un sorriso triste.
«La sua ipotesi è che la sua coscienza è osservata da lei stessa, ma che per qualche motivo, ci sono due copie della stessa esistenza».
«Lei sa perché è successo tutto questo?»
«Ha detto di non averne idea».
«E ti sei bevuto questa balla, Son-kun?!»
«Dimmelo tu, allora…» accenno un sorriso.
«Non te lo dico, anche se so benissimo che cosa ha provocato tutto questo!» ribatte irritata, dandomi le spalle e cominciando a camminare verso l’ingresso dell’edificio scolastico.
«E dai, Bulma!» protesto.
«Me ne torno al club di scienze!» sbotta, andandosene.
 
Mi siedo all’ombra per terra, con la schiena appoggiata al muro, indeciso sul da farsi. So benissimo anch’io che cosa ha causato tutto questo, ma come posso risolvere un simile casino?! Come posso, poi, se nessuna delle due Bulma sembra voler collaborare?
«Non c’era anche Bulma qui con te?!»
La voce stizzita di Vegeta interrompe il flusso dei miei pensieri, mentre il mio amico si siede accanto a me bevendo un sorso d’acqua da una bottiglietta.
«Ci tenevi a farti vedere seminudo e sudato da lei? Non ti basto io?» ribatto, ghignando.
«Ammazzati Rad, tsk!»
«Comunque, ti eri accorto che c’era anche lei?»
«Sì, ha guardato tutto l’allenamento oggi».
«Viene spesso a vederti?»
«A volte fa un salto mentre va al club di scienze… ma perché me lo chiedi? Le è successo qualcosa?!»
«In che senso, Prince?»
«Niente, mi preoccupa il fatto che uno come te sia venuto a scuola senza motivo durante la pausa estiva» risponde, squadrandomi. «Così ho pensato che fossi venuto perché era successo qualcosa a lei».
«P-princely-senpai! Ti vuole il Mister!» esclama un primino del club di calcio tutto trafelato, interrompendoci. È un mingherlino coi capelli neri corti sparati verso l’alto e sembra anche decisamente timido. «Ah! S-son-senpai! Piacere di conoscerti!» aggiunge, inchinandosi verso di me, mentre guardo interrogativo Vegeta.
«Lui è Cabba Cabetsu, un difensore centrale di riserva della nostra squadra che non ha ancora esordito in una partita ufficiale» mi spiega il mio amico, alzandosi.
«Ciao» gli dico. Fa il mio stesso ruolo e, a quanto pare, la mia fama mi precede visto che mi ha riconosciuto.
«Voi due giocherete in coppia in difesa la prossima partita» aggiunge Vegeta, sorridendo sghembo.
«Eh?!» esclama Cabba, con gli occhi sgranati, rischiando quasi di cadere all’indietro da solo.
«Uhm? E perché io? Non mi alleno da una vita…» bofonchio, alzandomi a mia volta e stiracchiandomi.
«Cabba, non discutere e vai dal Mister a dirgli che sto arrivando!» ordina Vegeta al nostro kohai.
«S-sì, senpai! A-a presto, Son-senpai!» si congeda Cabba, correndo via.
«Che cazzo sta succedendo, Prince?!»
«Lo vedi anche tu che cazzo succede, no?!» ribatte irritato il mio amico. «Come possiamo far esordire uno così proprio nella prossima partita e proprio in quel ruolo?! I due centrali difensivi titolari non ci saranno: uno è squalificato e l’altro si è infortunato».
«Oh, merda…».
«Sì, è una vera merda, Rad! E sai contro chi dobbiamo giocare il prossimo turno, che tra l’altro sarà la finale del torneo provinciale e vale come qualificazione diretta per il Campionato Nazionale?!»
«Uhmmm… la Juve? Il Barcellona?»
«Vai a cagare, coglione! Saremo contro il Liceo Joiyn di Yamato, ti rendi conto?! Contro la squadra più forte, i favoriti assoluti!»
«Gioca ancora lì quel bestione del terzo anno? Faceva parlare di sé già l’anno scorso, era tra gli attaccanti più forti della prefettura…».
«È quello il problema… come può Cabba marcare uno come quel cazzo di Broly Berserk?! È un bravo ragazzo e ha qualità, ma non ha ancora né il fisico, né il carattere, oltre all’esperienza! Mi alleno spesso con lui da solo… sta migliorando, ma non basta ancora! E in più dovremmo mettere un centrocampista o un terzino al centro della difesa al suo fianco, se non vieni tu!»
Sento l’adrenalina cominciare a pomparmi nelle vene, senza nemmeno quasi rendermene conto.
«Sta facendo bene anche in questa stagione Broly?» domando a Vegeta.
«Tsk! È a pari merito insieme a me in testa alla classifica dei marcatori del campionato!» ribatte sprezzante il mio amico. «E la sua squadra è la favorita per la vittoria finale, come ti dicevo. Noi siamo arrivati fin qui per miracolo, siamo una piccola squadra senza tradizione né vittorie passate, a differenza loro».
«Di che cazzo ti preoccupi?» lo sfido. «Non ti sono sempre piaciute le sfide, Prince?»
«Io ricordo che a noi sono sempre piaciute le sfide, Rad!» sorride sghembo, allungando il pugno chiuso verso di me. «Non me ne frega un cazzo se non sei allenato, se non giochi da un anno o se sei incasinato… mi basta che non fai toccare la palla a Broly per novanta fottutissimi minuti. Il Mister e la squadra la pensano come me».
«Allora temo che mi toccherà fargli il culo a quel Broly…» sospiro, battendo il mio pugno chiuso contro quello del mio amico. «Ora vai, minchione. Ti stanno aspettando».
A quanto pare il destino vuole farmi tornare in campo prima del previsto, per di più contro la squadra più forte e l’avversario più temibile. E con un compagno di reparto al suo esordio assoluto e probabilmente non pronto per giocare a certi livelli. Sarà una sfida, ma, se ci sarà Lazuli in tribuna a sostenermi, sono certo che ce la farò. Mi sento vivo, ed è bellissimo.
«Ah, Rad!» mi richiama Vegeta, voltandosi di nuovo dopo pochi metri di corsa. «Se dovessi aver bisogno di qualcosa fammi un fischio!»
«Per cosa?»
«Per Bulma, no?! Tsk!»
«Certo, Prince! E farai meglio a volare anche se ti dovessi chiamare di notte per lei!»
 
Decido di telefonare a casa mia, per sentire come vanno le cose. Faccio in modo che compaia il numero anonimo sul display dell’apparecchio di casa, perché so che Goku risponde solo se vede comparire il mio numero, altrimenti ha paura.
«Pronto? Risponde casa Son».
La voce di Lazuli mi fa battere all’impazzata il cuore. Volevo che fosse lei a rispondere dal telefono di casa mia. Lo so, sono stupido. Pazzo, forse. O semplicemente innamorato perso.
«Là, puoi ripeterlo un’altra volta?» ribatto roco.
«Pronto. Risponde casa Son» ripete, dopo aver sbuffato sonoramente, piuttosto stizzita.
«Ripetilo ancora con la voce da novella sposina, ti prego!» la imploro.
«Non costringermi a picchiarti quando torni a casa. Va a finire che sembro io una psicopatica» mi risponde freddamente. «Perché hai chiamato col numero privato?»
«Perché volevo vedere che effetto faceva sentire rispondere te dal telefono di casa mia».
«Che effetto fa?» sospira, rassegnata.
«Sono tutto un fuoco».
«Sei un cretino, è diverso» mi fulmina. «Allora? Come vanno le cose lì?»
«Bulma II è venuta a scuola, ma non ho scoperto niente di nuovo».
«Anche qui tutto tranquillo, lei sta ancora dando ripetizioni a Goku-kun e alla ragazzina».
«Ragazzina? Non la chiami più “Videl-chan” come prima?» la provoco.
«La chiamo come mi pare» sibila. «E sapere che ha la stessa faccia di quella tua carissima senpai a volte mi fa un po’ irritare, ma non è colpa sua».
«Ti adoro quando fai così!»
«Rad? Piantala di fare lo scemo e torna a casa, piuttosto».
«Certo, sto già tornando. Ti manco forse?»
«B-beh… un po’ sì, stupido…» sussurra, imbarazzata, prima di sbattermi il telefono in faccia.
 
«Ti stavo cercando, Son!»
Una voce stridula e inconfondibile mi costringe a voltarmi, proprio mentre sto lasciando l’edificio scolastico per fare ritorno a casa.
«Ciao dolcezza» dico distrattamente a Marion, che mi guarda male con le braccia incrociate sotto il seno, riprendendo a camminare.
«Fermati! Devo parlarti della tua amichetta secchiona!» grida, strattonandomi un braccio e facendomi fermare.
«Come siamo focose oggi…» le dico roco, sollevando ritmicamente le sopracciglia a pochi centimetri dai suoi grandi occhi azzurri.
«M-mi fai schifo!» sbotta, imbarazzata, spintonandomi.
«Comunque la mia “amichetta secchiona” ha un nome e un cognome, si chiama Bulma Brief» riprendo, serio.
«Non mi interessa come si chiama! Dille che sta giocando troppo col fuoco!»
«Eh?! Cosa intendi?»
«Perché si è fatta quel profilo social?!»
«E io che cazzo ne so dei profili social?!»
«Toh, guarda!» esclama stizzita, dandomi il suo cellulare. «Questo è il suo nuovo profilo! Pensa di farsi dei selfie migliori dei miei?!»
Faccio scorrere le immagini e resto basito, perché non avevo mai visto la mia amica farsi foto così provocanti. Sono tutti selfie in cui non le si vedono gli occhi, ma in cui si capisce benissimo che è Bulma II. C’è n’è uno con la divisa scolastica slacciata sul seno in modo da metterlo in mostra, un’altra con la bacchetta degli occhiali in bocca, un’altra ancora delle sue gambe accavallate e così via, fino ad arrivare ad una in cui sta mangiando in modo malizioso una brioche al cioccolato.
«Non lo so, proverò a chiederglielo la prossima volta che la vedo» dico a Marion, restituendole il telefono. «Comunque non le è mai interessato essere la reginetta della scuola e mettersi in competizione con te per questo, se ci tieni a saperlo. Quindi stai tranquilla».
«Anche perché le mie foto sono più belle! Vero?! Vero?!» esclama stridula, cominciando a farmi vedere immagini dal suo telefono in cui c’è lei in costume nelle pose più assurde e con le espressioni più provocanti di cui è capace.
«Ehmmm… sì, sì…» la liquido, poco convinto. «Il tuo trono non è in pericolo, dolcezza».
«Non sei convincente, Son!» sbotta di nuovo, guardandomi di sottecchi, nuovamente imbronciata.
«Perché sei sempre arrabbiata?» le domando all’improvviso. «Guarda che eri molto meglio poco fa quando sorridevi».
«D-dici che sono più bella se sono allegra?» balbetta, arrossendo vistosamente.
«Penso che tutti siano più belli se sorridono, no? Non essere sempre incazzata col mondo!»
«Non sono incazzata col mondo, ma se sono arrabbiata dovresti farti gli affari tuoi!»
«Guarda che sei tu che vieni sempre a cercarmi, dolcezza…» sbuffo, mentre lei distoglie lo sguardo dal mio e resta in silenzio. Per una volta nella vita resta in silenzio, cazzo.
«Sei arrabbiata per Vegeta?» le chiedo.
«Tu cosa sai?!»
«Praticamente nulla… non parliamo molto di queste cose noi…».
«Fai in fretta tu a parlare e a dire agli altri di essere felici, ma lo fai solo perché vanno alla grande le cose tra e la tua ragazza, no?» sibila, stizzita.
«Te lo direi lo stesso, nella mia vita c’è stata molta più merda di quanto tu sappia» le rispondo.
«Sei una persona strana, Son… mi fai sempre arrabbiare, ma sei strano…» accenna un sorriso. «Per quanto riguarda Veggy… non lo so… ecco, non voglio parlarne con te!» aggiunge, indurendo improvvisamente lo sguardo.
«Se parlare di lui ti fa incazzare a tal punto, io non posso che consigliarti di essere sincera con te stessa e valutare il da farsi. Magari all’inizio soffrirai un po’, ma poi tornerai a sorridere come una volta» le spiego, salutandola con la mano e cominciando a camminare con le mani in tasca. «Mi sei sempre sembrata una ragazza allegra e spensierata, non mi piace vederti così».
«E-ehi, Son» mi chiama di nuovo, in tono vagamente dolce. Una novità per me. «Tu e la tua ragazza state bene insieme, secondo me».
«Lo so» le sorrido.
 
«No! X e Y sono dentro la parentesi!»
Entro in casa e vengo accolto dalla voce di Bulma, che, evidentemente, è ancora alle prese con le ripetizioni di matematica.
«Ehi» mi dice Lazuli, venendomi incontro e dandomi un bacio a fior di labbra.
Mi sembra di avere un esercito nel petto da quanto mi batte forte il cuore.
«È una cosa indescrivibile tornare a casa e trovarti qui ad aspettarmi» le sussurro roco, stringendola a me e dandole un bacio come si deve.
«S-smettila, sono tutti di là!» mi allontana Lazuli dopo qualche secondo di fuoco, arrossendo lievemente. «P-però piace anche a me questa cosa…» aggiunge, guardando altrove e fingendosi distaccata.
«Fratellone! Goku-kun non capisce niente di queste cose!» si lamenta mio fratello non appena mi vede.
«Ciao Radish-san! Io invece sono riuscita a fare tutti gli esercizi!» esclama Videl, sorridente.
«Non guardatelo troppo o vi contagerà con la sua ignoranza» mi provoca Bulma, sistemandosi gli occhiali sul naso.
«Si dà il caso che io sia sensibile, eh…» sbuffo, facendole la linguaccia.
«Però è vero che sei un caprone a scuola» interviene Lazuli.
«Non è colpa mia se voi due siete dei geni!» provo a difendermi. «E comunque agli esami di fine semestre ho preso il massimo dei voti!» aggiungo trionfale.
«Caliamo un velo pietoso su quegli esami… meno male che sono andate così le cose, sennò altro che università insieme…» sibila Lazuli, dopo avermi fissato per alcuni secondi in silenzio coi suoi maledettissimi occhi di ghiaccio.
Allude al fatto che sapevo già tutte le domande grazie all’ultimo loop temporale generato da Lunch, ovviamente. E, altrettanto ovviamente, ha ragione.
Bulma sospira, scuotendo lentamente la testa e tornando a guardare i suoi libri. «Dai, basta così per oggi con lo studio» stabilisce, accolta da un grido di gioia da parte di Goku.
«Goku-kun va ad accendere la televisione!» esclama mio fratello.
«Io tornerò a casa, i miei mi aspettano per cena!» sorride Videl, dirigendosi verso l’uscita. «Grazie di tutto!» si inchina, prima di andarsene.
Osservo di nuovo la mia compagna di classe seduta al tavolo e penso alle foto che ha pubblicato Bulma II sui social, chiedendomi cosa dovrei fare e dove vuole arrivare la sua copia.
«È la mia manager» annuncia Lazuli, prendendo in mano in quel momento il suo telefono che stava vibrando.
«Ciao! È successo qualcosa?» le chiede la mia ragazza, allontanandosi di qualche passo.
«Niente, volevo solo metterti al corrente che mi hanno detto che hai fatto un ottimo lavoro ieri con le riprese!» sento in lontananza la sua manager, che deve avere un tono di voce decisamente alto. «Sei fuori casa?»
«Mi fa piacere, comunque sono a casa del mio ragazzo» risponde freddamente Lazuli.
«Ah, ok… eh?! Del tuo ragazzo?!» sento sbraitare dall’altra parte del telefono, con Lazuli che sgrana gli occhi e allontana l’apparecchio dal suo orecchio, prima di chiudersi in camera mia per continuare la conversazione.
Ne esce dopo un paio di minuti, estremamente seria e col cellulare stretto in una mano. Mi guarda dritto negl’occhi, sembra triste. Arrabbiata, anche. Cos’è successo adesso?!
«Rad, devo parlarti di una cosa».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: probabilmente non sarà stato un capitolo infuocato come il precedente, tuttavia direi che è bello denso e con una sorta di colpo di scena finale. Cosa sarà successo al telefono tra Là e la sua manager? Tra l’altro questa manager è un personaggio di DBZ (con anche una comparsata in Super), ma non so se potete indovinarlo. È difficile. ;-)
Resta anche in sospeso la questione del misterioso profilo social creato da Bulma II, che conosciamo un po’ meglio. Ringraziamo Marion per averlo fatto sapere a Rad, anche se spero vi sia piaciuta un pochino più del solito.
Soprattutto, spero vi sia piaciuto il breve racconto da parte di Bulma II del suo primo incontro con Vegeta.
Io ho anche adorato le scenette casalinghe con Lazuli e Bulma a casa insieme a Rad. Sono un bel gruppo secondo me, e mi è anche piaciuto pensare di coinvolgere Goku e la piccola Videl in queste scenette familiari. Spero vi abbiano divertito!
C’è anche poi una grandissima notizia sul fronte calcistico, che spero interessi anche a voi e non solo a me e pochi altri: Rad tornerà in campo presto e lo farà direttamente in una finale, per di più contro la squadra più forte e l’avversario più temibile. Giocherà al centro della difesa col timido primino Cabba e dovranno fermare Broly, l’attaccante più forte tra quelli del terzo anno. Ce la faranno? E riuscirà il Liceo Minegahara a vincere? Tra qualche capitolo lo scopriremo, nel frattempo faccio i complimenti al Corsaro Nero per aver beccato entrambi i calciatori Saiyan! Quando Vegeta parla di “terzino e centrocampista”, si riferisce al dover adattare giocatori che di solito fanno altri ruoli come difensori centrali, il che sarebbe un grosso problema per la squadra e un invito a nozze per uno forte come Broly per segnare tanti gol.
 
Ringrazio come sempre tutti voi che mi lasciate un commento e che continuate a seguire questa storia con entusiasmo, siete la mia forze ed è meraviglioso confrontarmi con voi su questa storia ad ogni capitolo! Grazie a chi continua a leggere e ad apprezzare questa long anche in silenzio, non posso che sperare che anche a voi stia continuando ad appassionare come all’inizio e vogliate sempre bene a questi personaggi!
Ci tengo poi a ringraziare la bravissima Saphir Dream per i tanti e splendidi disegni che mi ha già inviato e che mi invierà prossimamente. Spero sarete felici di sapere che le sue opere ci terranno compagnia per diverse settimane! Per cominciare, vi allego le meravigliose Lunch e Mai in yukata tratte dal capitolo precedente (almeno Lunch, dando per scontato che stava uscendo con la sua amica Mai).
Settimana prossima, invece, avremo un disegno con ben cinque nuove entrate femminili della storia, di cui una sarà davvero un personaggio importante nella trama e che molti di voi hanno già individuato. Le altre quattro arrivano per metà da DB Super e per metà in prestito da Fairy Tail (le ragazze di Dragon Ball sono ormai quasi finite in questa storia, del resto).
Vi anticipo già che è un disegno splendido!
 
Ecco, a proposito del nuovo capitolo, il titolo sarà “Odiare sé stessi” e cercheremo di capire cosa passa per la testa a Bulma e Bulma II. Ce la farà Rad a sistemare le cose? Vi piace Bulma II?
Ci vediamo mercoledì prossimo!
 
Teo
 

a-X9osr3-d
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Capitolo 23
*** Odiare sé stessi ***


23 – Odiare sé stessi
 
 
 
«È successo qualcosa?!» domando preoccupato a Lazuli, avvicinandomi a lei.
«Chichi-chan, che cosa ti piace di più?»
La televisione che Goku sta guardando a volume altissimo mi fa voltare in sua direzione, stizzito.
«Sei sordo, Goku?! Abbassa un po’!» sbotto.
«Scusa, fratellone…» sbuffa, facendo quello che gli ho detto.
La voce che ho sentito prima era quella del presentatore di una trasmissione in cui è stato invitato un gruppo musicale composto da cinque idol che avranno più o meno la mia età, da quello che vedo. Sono sedute sul divanetto, una accanto all’altra e vestite tutte coordinate con minigonne nere di pelle o a quadrettoni di colori diversi e giubbini di pelle aderenti alternati a maglie anch’esse a quadrettoni colorati, combinando in diversi modi questi look legati tra loro. Indossano tutte delle parigine colorate che si fermano a metà coscia, oltre a collane e braccialetti vari. Non si può certo dire che passino inosservate.
Non le conosco, sinceramente, e mi volto di nuovo verso Lazuli che, invece di rispondere alla mia domanda, sembra improvvisamente interessata a quello che sta succedendo in televisione e muove qualche passo verso lo schermo.
«Ah, sicuramente mi piace l’attrice Lazuli Eighteen!» esclama una ragazza, l’unica coi capelli neri di quel gruppo, in cui hanno tutte capigliature diverse ma abbinate a due a due come colorazioni. Due di queste ragazze hanno infatti i capelli blu, ma una, quella che indossa una mollettina a forma di girasole, li ha molto lunghi, mentre all’altra arrivano fino alle spalle e indossa una fascetta gialla. Le ultime due hanno invece i capelli argentati e pettinati rispettivamente con una coda alta e con due codini laterali.
«Ma ti avevo chiesto “cosa” ti piace, non “chi” ti piace, Chichi-chan!» risponde ridendo il presentatore, coinvolgendo anche il resto delle ragazze. «Non lo so, qualcosa da mangiare!» aggiunge. «Tipo le fragole o i daifuku ai fagioli rossi!»
Dunque si chiama Chichi l’unica mora del gruppo. Noto solo ora che ha i capelli legati in una coda e una frangetta che le arriva quasi fino agl’occhi, grandi e neri.
«Uhm… allora mi piacciono i daifuku alle fragole! Proprio come quelli che mangia Lazuli Eighteen in una scena del suo ultimo telefilm!» ribatte Chichi, facendo l’occhiolino e il segno della vittoria con le dita a favore di telecamera.
Mi sembrano tutte uguali queste idol… stessa musica, stessi balletti, stesse pose e stessi ammiccamenti davanti alle telecamere. Però questa mi sta simpatica visto che sembra essere una fan di Lazuli.
«Hai sentito cosa ha detto quella, Là?» chiedo alla mia ragazza, che smette in quel momento di guardare lo schermo e si dirige verso camera mia. Le cinque ragazze hanno iniziato a cantare una canzone e si sono disposte per ballare la coreografia. Non che sia un esperto in materia, ma avrei giurato che fosse la mora la leader del gruppo e che avesse un ruolo centrale nella coreografia. Invece in mezzo resta quella coi capelli blu lunghi, con lei alla sua destra e l’altra coi capelli blu alla sua sinistra. Più vicine a quella che sta al centro restano invece le due dai capelli argentati, che sono anche le più alte. Sembrano cavarsela bene, anche se non è proprio il mio genere di musica questo. Alle loro spalle compare un grande striscione colorato con la scritta “Sweet Bullet” e i nomi delle ragazze che compongono questa idol band: Chichi, Marcarita, Juvia, Vados, Levy. Persino i nomi sullo striscione rispettano le posizioni ricoperte dalle ragazze nella coreografia che stanno interpretando mentre cantano. La melodia è anche orecchiabile, mettono allegria.
«Seguimi, ti devo parlare» liquida la questione Lazuli in tono distaccato, eludendo la mia domanda.
Mi siedo accanto a lei sul mio letto e le sorrido. Anche lei accenna un sorriso, anche se mi sembra triste.
«Piiza-san, la mia manager, dice che non dovremmo avere appuntamenti in pubblico io e te…» sibila, stringendo forte i pugni.
«Eh?! Niente più appuntamenti?!» sbotto, alzandomi in piedi di scatto. «La tua agenzia ci sta dicendo di mollarci?!»
«Non si sono spinti a tanto, sarei già andata a strozzare la mia agente se solo si fosse permessa!» ringhia Lazuli, incrociando le braccia sotto il seno. «Vogliono solo che per un po’ non ci facciamo vedere in pubblico insieme, almeno finché non saranno finite le riprese del prossimo film. La mia manager dice si creerebbe troppo clamore attorno a me durante le riprese a causa del gossip».
«Non è che ti hanno preso per una di quelle idol a cui è proibito avere relazioni per mantenere la propria immagine immacolata?!» sospiro, sedendomi di nuovo accanto a lei.
«Sì, lasciamo perdere… tipo quelle che stava guardando tuo fratello in televisione…» sbuffa, stringendo i denti.
«O magari è una strategia pubblicitaria della tua agenzia…» ipotizzo.
«Piiza-san non mi ha detto nulla a riguardo» risponde Lazuli, scocciata. «So solo che non mi piace quando mi dicono cosa devo fare, se trovo che una cosa non abbia senso».
«E a te andrebbe bene così, allora?» le chiedo.
«Le ho detto che non è una decisione che potevo prendere da sola, quindi non le ho dato una risposta…» risponde, distogliendo lo sguardo dal mio e arrossendo lievemente. «E comunque è ovvio che non mi andrebbe bene, stupido».
«Stai dicendo che…» sussurro, sorridendo e col cuore che comincia a battermi più forte.
«Sì, che è un nostro problema! Non un mio problema!» sbotta irritata, puntando di nuovo i suoi occhi di ghiaccio, improvvisamente scintillanti, nei miei. È sempre più rossa. E sempre più adorabile.
Resto in silenzio, mentre la prendo per mano e intreccio le mie dita nelle sue. La guardo negli occhi, ripenso a quello che c’è stato tra noi la scorsa notte e a quanto mi piace stare con lei. Mi avvicino e la bacio lentamente, godendomi il suo sapore e il suo calore, tutte cose a cui so di non poter più rinunciare. Lei ricambia con dolcezza, prima di staccarsi dalle mie labbra e appoggiare la fronte contro la mia. Mi sorride.
«Forse è meglio se per un po’ facciamo come dicono loro» sussurro, cercando di essere saggio anche a costo di farmi male. Di farci male.
«Ne sei certo? A me non va a genio questa cosa…» sbuffa.
«Sei appena tornata nel mondo dello spettacolo e stai avendo successo, per adesso si sono dimostrati una buona agenzia e ti hanno procurato dei bei lavori, no?» provo a dimostrarmi positivo. «E poi hanno detto solo “per un po’”, giusto? E non hanno detto che non possiamo vederci in privato…» aggiungo roco, baciandola di nuovo con passione e sdraiandomi sopra di lei.
«Smettila di fare il maiale, sono tutti svegli adesso!» mi sgrida Lazuli dopo qualche secondo di passione bruciante, spingendomi via con un sorriso malizioso stampato sul volto.
«A te sta bene davvero se ci vedremo di meno, però? E se non potremo uscire insieme più di tanto?»
«Ovviamente è una cosa che mi sta sul cazzo e che non ha senso, però forse è meglio che per qualche settimana reciti la parte della studentessa modello, così poi otterrai abbastanza successo da poter dettare le tue condizioni anche da questo punto di vista».
«Ti amo, Rad» mi dice a bruciapelo, accennando un sorriso. «Sei fin troppo convincente quando ti ci metti».
«Ti amo anch’io, Là» sussurro, baciandola di nuovo.
 
«Bentornati» ci dice Bulma, concentrata davanti ai fornelli non appena io e Lazuli usciamo dalla mia stanza dopo un lungo, anzi, lunghissimo bacio. È intenta a mescolare qualcosa nella pentola che bolle e accanto a lei ci sono recipienti, misurini e la bilancia disposti ordinatamente in fila come se fosse nel laboratorio di scienze a scuola. Indossa anche il suo camice bianco aperto. C’è un buon profumo in cucina.
«Cosa stai facendo?» le domando, perplesso, mentre Lazuli si versa con indifferenza un bicchiere d’acqua.
«Sto preparando il riso al curry» risponde lei con nonchalance. «Non sono un’esperta, ma non posso lasciare che sia sempre Lazuli-san a cucinare».
«Fai come vuoi…» fa spallucce la mia ragazza, sedendosi e accavallando le gambe, sorseggiando l’acqua che si è versata.
«Ma… perché ti sei conciata così?!» sorrido sghembo, alludendo al camice da laboratorio.
«Non voglio rischiare di sporcarmi, no?!» ribatte stizzita.
«Ah, già, come quando Lazuli una volta ha cucinato vestita solo, e ribadisco “solo”, con un grembiulino da cucina striminzito!» ghigno, guardando negl’occhi la mia ragazza che, in tutta risposta, si alza e mi rovescia in faccia tutto ciò che restava nel suo bicchiere, prima di mollarmelo in mano e andarsi a sedere sul divano con Goku.
«Sei proprio un maiale senza speranza, Son-kun…» sospira Bulma, scuotendo lentamente la testa. «Un’altra così non la trova più un deficiente come te, lo sai?»
«Lo so, lo so…» borbotto, mentre mi asciugo la faccia e il pavimento.
 
«Urcaaa! È squisito, Bulma-san!» esclama Goku, mangiando avidamente e alla velocità della luce il suo piatto di riso al curry.
«È vero, ti è uscito alla grande!» confermo, guardando la mia amica, mentre Lazuli, seduta davanti a me, approva mangiando in silenzio.
«Mi sembra normale, ho seguito alla lettera la ricetta come se fosse una formula chimica» risponde Bulma. «Non è così diverso da quello che faccio in laboratorio».
«In effetti la cucina e la chimica hanno molto in comune» interviene Lazuli, in tono distaccato. «Però sei stata brava» aggiunge, accennando un sorriso.
«G-grazie, Lazuli-san…» sospira la mia compagna di classe, arrossendo visibilmente.
«Vegeta oggi mi ha chiesto di tornare in campo per la prossima partita, che tra l’altro è la finale del campionato provinciale» intervengo, guardando la mia ragazza, che mi fissa con attenzione. «Sono senza difensori, come centrali dovremmo giocare io e un primino che mi sembra un po’ una mezza sega caratterialmente».
«Contro chi?» mi chiede, mentre i suoi occhi di ghiaccio sembrano emettere una scintilla.
«Il liceo Joiyn di Yamato. Dovrò marcare Broly Berserk, dicono sia l’attaccante più forte della prefettura» rispondo, mentre un sorriso mi si dipinge spontaneo sul volto.
«Riuscirai a vincere lo stesso, fratellone?!» esclama Goku, a bocca piena.
«Certo che vincerà, Goku-kun» risponde al posto mio Lazuli, accennando un sorriso. «A lui piacciono le sfide».
«Sì, sarò pronto per quel giorno!» confermo, carico.
«E tu verrai a vederla con me questa partita, ok?» dice Lazuli a Bulma, col tono di chi non ammette repliche. Che stia facendo anche lei qualcosa per provare a far avvicinare Bulma, e in particolare questa Bulma, a Vegeta? Del resto, conoscendola, immagino preferirebbe venire da sola al campo a vedermi giocare.
«S-sì» balbetta la mia compagna di classe, stupita, accennando un sorriso, mentre Lazuli riprende a mangiare con apparente indifferenza.
 
«Bulma, hai un attimo?!» chiedo alla mia amica, sedendomi fuori dalla porta del bagno, dove è entrata da poco per lavarsi.
Lazuli è andata a casa a farsi la doccia anche lei e a prendere dei vestiti puliti, tornerà più tardi per dormire qui.
«Perché senti sempre il bisogno di parlarmi quando sono nella vasca?!» ribatte scocciata,
alludendo alla nostra chiacchierata di ieri.
«Perché mi eccita pensare che ci sia solo una porta tra me e una ragazza nuda» rispondo, ghignando.
«Fai schifo, Son-kun…» sbuffa.
«Parlando seriamente…» riprendo. «A volte penso che sia più facile parlare di certi argomenti se non ci si vede in faccia, no?»
«Forse…» sospira profondamente.
«Ho scoperto cosa sta facendo l’altra te stessa».
«Te l’ha detto quella mia brutta copia?»
«No, ma ho scoperto che sta usando un certo account social a nome tuo».
«Quell’account l’avevo creato io prima della pausa estiva, ma non sapevo cosa postarci. Quindi l’ho lasciato così…» sospira Bulma mestamente.
«Non andava bene postarci cose qualsiasi?» le chiedo. «Tipo: “Mi sono innamorata di uno che ha già la ragazza”».
La mia compagna di classe non risponde, speravo di provocare direttamente la sua reazione toccando un nervo scoperto come quello relativo a Vegeta. Ma si vede che non ha voglia di parlarne, sembra più restia da questo punto di vista rispetto a Bulma II.
«Volevi farti qualche nuovo amico online?» provo a domandarle. «Non hai mai apprezzato i social, proprio come me».
«Non saprei…» sussurra. «Forse volevo solo attirare l’attenzione di qualcuno… o magari avere qualche attenzione in più in generale…».
«Partire subito con delle foto piuttosto… come dire… osè, come ha fatto lei non mi è sembrata una gran mossa».
«Allora ha trovato il coraggio per postarle, quelle foto…».
«Non mi sembri stupita o particolarmente infastidita dalla cosa».
«Quando ho creato quel profilo avevo pensato di postare qualche immagine un po’ così, come fanno molte ragazze anche della nostra scuola, del resto» sospira. «Ma non ne ho mai avuto il coraggio…».
«Ma tu non sei “le altre ragazze”, Bulma. Non sei una che segue il gregge. Perché volevi postarle?»
«Perché è tutto ciò che ho…» sbuffa, dopo qualche secondo di silenzio.
«Quindi sai di avere un bel fisico e di non aver nulla da invidiare a quelle che lo ostentano in continuazione?»
«Non direi, Son-kun. Anche perché ho sempre avuto un complesso di inferiorità. Il seno e i miei tratti femminili si sono sviluppati molto prima rispetto alle ragazze della mia età» risponde con un filo di voce. «Non appena mi sono resa conto che i maschi mi sbavavano dietro come scimmie, ho iniziato ad odiare questo corpo perché mi metteva in imbarazzo. Ero solo all’inizio delle medie, ma da allora non sono cambiata da questo punto di vista».
«Perché allora l’altra te ha postato le foto che tu non hai avuto il coraggio di mettere online?»
«Perché immagino che riceva consensi. Io speravo di ricevere consensi con quelle foto, se mai le avessi pubblicate» sussurra Bulma in tono dimesso. «L’idea di ricevere complimenti da qualcuno mi faceva sentire meglio».
«Però tu non hai mai mirato ad essere apprezzata solo per il tuo corpo. Non sei mai stata come Marion o molte altre simili a lei».
«Hai ragione» conferma la mia amica. «Non sono mai riuscita a distaccarmi dal disgusto che provavo quando mi sentivo apprezzata solo per il mio fisico, ma, alla lunga, lo stress provocato tra il mio obiettivo di sentirmi apprezzata e i modi per raggiungerlo deve aver provocato questa dissociazione».
«In pratica, in questo momento esistono due Bulma Brief: una “alla disperata ricerca di attenzioni” e l’altra, cioè tu, “che non riesce ad accettare quei metodi”. Giusto?»
«Credo di sì…».
«Se ricevessi le attenzioni della sola persona che ti sta a cuore davvero ti sentiresti meglio? Te lo chiedo perché per me è così» le domando. «Sai, mi sono reso conto che, alla fin fine, l’unico consenso davvero importante per me in quello che faccio mi interessa averlo da Lazuli. Mi basterebbe anche solo un suo sorriso mentre sto affogando in un mare di merda per sentirmi meglio».
«A volte ti esprimi come uno scimmione senza cervello, Son-kun» sospira Bulma. «Ma… penso… penso che sia come dici tu».
«Cosa vuoi fare per i selfie che continua a postare l’altra te?»
«Vorrei fermarla, se possibile».
«Ok, ci penso io» le assicuro, rialzandomi.
«Cos’hai intenzione di fare?»
«Domani andrò di nuovo a scuola e passerò la giornata con l’altra te, mi farò venire in mente qualcosa. Tu non preoccuparti».
«Son-kun?»
«Uhm?»
«Grazie».
«Grazie a te per tutte le volte che mi hai tirato fuori dai casini».
 
 
4 agosto
 
Mi sto dirigendo in stazione, dove mi sono dato appuntamento con Bulma II per andare a scuola insieme e vedere di riuscire a trovare un modo per sistemare le cose.
«Hai scoperto qualcosa?» mi chiede, non appena mi vede sulla banchina. È sempre provocante come ieri e non sembra quasi la Bulma che conosco io senza occhiali.
«Solo che sei una bomba quando non hai niente addosso» le sorrido sghembo.
«Fai schifo, Son-kun» sospira, indifferente, salendo sul vagone che nel frattempo è arrivato in stazione. «Immagino che tu sia qui per dirmi di non fare stupidaggini, giusto?» riprende, non appena il treno si mette in moto.
«Ma va, ti pare?!» sbuffo. «Sai, l’agenzia di Lazuli vuole che per un po’ non ci facciamo vedere in giro insieme come una coppia, quindi ho pensato di passare la giornata con te».
«Capisco, sono la tua ruota di scorta?» mi provoca, accennando un sorriso.
«Senti, “ruota di scorta”: ti sei fatta altre foto oltre a quelle che hai già postato?»
Bulma II estrae il cellulare dalla borsa e inizia a digitare qualcosa, prima di darmelo in mano. Faccio scorrere delle sue foto in cui sembra più piccola rispetto ad adesso e, soprattutto, in cui non è in pose provocanti.
«Allora hai anche foto non porche sul telefono» ghigno.
«Quelle sono immagini di quando andavo alle medie» sospira, senza guardarmi. «Sai, non pensavo che le avrei mai mostrate a qualcuno».
«Perché me le hai fatte vedere proprio adesso, allora?»
«Per dimostrarti che non sono diventata una che pensa solo a farsi foto hot per far sbavare i maschi» ribatte, stizzita.
«Perché posti solo quelle, allora?»
«Non lo so, forse è una forma di autolesionismo» sospira di nuovo. «Forse tu non lo sai, ma io odio quella che sono. Ho cominciato ad odiarmi alle medie e quelle foto sono lì a ricordarmelo».
«L’altra te stessa ha detto una cosa molto simile ieri sera».
«Si può sapere da che parte stai?!» sbotta, guardandomi improvvisamente male.
«Io sto semplicemente dalla parte di Bulma, siete un’unica persona voi due!»
«Che risposta intelligente, Son-kun» scuote lentamente la testa, mentre si alza e si dirige verso l’uscita del vagone. «Tu dovresti lasciar perdere una di noi» aggiunge, senza voltarsi.
«Ehi, aspetta!» mi alzo a mia volta, mentre la porta si apre e Bulma II scende sulla banchina.
«Questo mondo non ha bisogno di due Bulma Brief» sibila, senza voltarsi. «Non seguirmi».
 
«Ho fatto un salto a Kamakura, alla fine» esclamo, una volta rientrato in casa, porgendo a Bulma un sacchetto di carta contenente una brioche al cioccolato.
«Con l’altra me stessa?» mi chiede, aprendo il sacchetto, stupita.
«No, da solo» sbuffo. «Lì c’è una pasticceria che mi piace e ho preso delle brioche per tutti».
«Non dovevi passare tutto il giorno con lei?»
«E invece è andata così…» sospiro, sedendomi su una sedia. «Non sei contenta della brioche al cioccolato?»
«Cosa ne sai tu della brioche al cioccolato?!» sbotta, arrossendo e distogliendo i suoi occhi azzurri dai miei. «È… è stata lei a raccontartelo, vero?»
«Di Vegeta in versione dispenser di merendine? Sì» ghigno, mentre lei mi guarda malissimo, sempre più rossa. «Come pensi di tornare una persona sola?» le chiedo, di nuovo serio.
«Ora che io e lei abbiamo vissuto esperienze diverse e che i nostri ricordi divergono, non credo che potremo mai più riunirci in un solo corpo» sibila mestamente, strappando a metà la brioche che le ho comprato e cominciando a mangiarla a testa bassa.
 
 
5 agosto
 
«Quindi? Hai deciso chi sceglierai delle due?» mi chiede Bulma II, dopo che l’ho raggiunta nel laboratorio di scienze, dove sta lavorando a qualcosa senza indossare il suo solito camice bianco.
«Non ho intenzione di scegliere, infatti ieri ho preso una brioche al cioccolato anche a te a Kamakura» le dico, porgendole il sacchetto di carta.
«Bulma, non pensi che si crepi di caldo oggi?!» sbotta Vegeta, tutto sudato e in tenuta da calcio, parlandole dalla finestra spalancata del laboratorio.
«Hai ragione» sussurra la nostra compagna di classe, imbarazzata.
«Ti piace ancora la brioche al cioccolato come l’anno scorso, allora?» le domanda.
«S-sì» sorride Bulma, abbassando la testa. Posta foto provocanti ma fa la timidona quando conta, un po’ fatico a capirla.
«E tu cosa fai qui, Rad?!» sbotta il mio amico, sgranando gli occhi, non appena si accorge della mia presenza. «Se non sei al lavoro e non hai un cazzo da fare, dovresti allenarti con noi che tra dieci giorni c’è la partita! Guarda che ti ammazzo se non vieni! Tsk!»
«Giocherò, Prince. Ma ora ho da fare» lo liquido. «E poi non ho bisogno di fare chissà quanto allenamento» ghigno, facendo volutamente lo sbruffone. In realtà so benissimo anch’io che dovrei darmi da fare se non voglio rischiare di fare una figura di merda contro l’attaccante più forte della prefettura.
«È scientificamente impossibile che tu non abbia bisogno di allenarti dopo un anno di inattività dal calcio» sibila Bulma, serissima.
«Ecco, brava! Diglielo a quel coglione!» la incita Vegeta, ridendo e facendola arrossire lievemente.
«D-dovresti andare, Son-kun» mi dice, accennando un sorriso. «Io sto bene, davvero».
«Grazie» le sorrido a mia volta, per poi uscire direttamente dalla finestra e raggiungere il mio amico al di là del davanzale.
«Dai, ti presto io la roba per allenarti, muoviti!» ringhia Vegeta.
«Ma tu sei basso, Prince! Sembrerò un coglione, mi andrà tutto corto!»
«Io non sono basso! Sei… sei tu che sei troppo alto! Tsk!» sbraita in tutta risposta, facendo scoppiare a ridere Bulma dall’interno del laboratorio e facendo sciogliere anche noi in una risata comune.
 
 
8 agosto
 
«Non sei stanco per gli allenamenti, Son-kun?» mi chiede Bulma II, squadrandomi da capo a piedi sulla banchina del treno dove l’ho raggiunta. Il sole sta tramontando, oggi ho lavorato a pranzo e ho fatto un doppio allenamento col club di calcio al mattino e al pomeriggio, ma almeno stasera sono libero.
«Certo, sono a pezzi» sbuffo. «Non sto facendo altro che allenarmi, lavorare e correre dietro a te in questi giorni».
«Quanto hai intenzione di andare avanti con questa storia?!» sibila, incrociando le braccia sotto il seno e guardandomi male. «Dovresti lasciar perdere una di noi due, te l’ho detto».
«Non lascerò perdere finché non smetterai di fare quello che stai facendo» ribatto, con un ghigno dipinto sul volto. «Oppure fino a quando non deciderai di mostrare quelle foto osé solo a me».
«Sei il solito inguaribile maiale, Son-kun» sospira, rassegnata. «Però ammiro la tua tenacia e la tua forza, non sembri stanco».
«In realtà mi sento stravolto, allenarsi da solo e lavorare è diverso che allenarsi in squadra dopo un anno e lavorare più che quando c’è la scuola!» ridacchio, portandomi una mano dietro la nuca. «Però sono felice di aver potuto riprendere a giocare, a maggior ragione in questi giorni che l’altra te stessa mi dà una mano a casa con Goku. In più Lazuli è dovuta andare a Tokyo per qualche giorno per le riprese, stanotte e la prossima non tornerà nemmeno a casa perché dovrà lavorare fino a molto tardi. Nelle scorse notti dormiva anche lei da me, uffa…» bofonchio, avvilito.
«Son-kun?» mi chiama Bulma, fissando imperturbabile davanti a sé.
«Uhm?»
«Scommetto che non la lasciavi “dormire” e basta quella povera ragazza…» aggiunge maliziosa, scuotendo la testa. «Dovresti riposarti come si deve anche tu, o andrà a finire che crollerai prima di quella partita».
Proprio in quel momento le vibra il cellulare e la vedo impallidire e sgranare gli occhi non appena legge i messaggi che le stanno arrivando. Si guarda intorno spaventata e gira freneticamente su sé stessa.
«Cosa c’è, Bulma?» le chiedo, guardando lo schermo del suo telefono.
Lei me lo passa, mentre afferra con una mano un lembo della mia maglietta sul fianco e stringe a me, tremante come una foglia. Le stanno arrivando messaggi da un utente anonimo sulla chat del suo profilo social.
«Belle le tue foto sconce! Sei una gran figa!»
«Ma quella non è la divisa del Liceo Minegahara?!»
«Sono qui in zona, dimmi dove sei che ti raggiungo!»
«Se rifiuti dirò tutto alla tua scuola!»
«Lascia fare a me!» esclamo, cominciando a digitare sul suo telefono.
«Sono il suo ragazzo, se non sparisci per sempre verrò io a cercarti e poi chiamerò la polizia a raccogliere i tuoi pezzi per provare a rimetterli insieme» invio come risposta, riconsegnando poi il cellulare alla mia amica, che mi sembra agitatissima.
«Vedrai che non romperà più le palle» provo a rassicurarla, guardandomi intorno anch’io, ma non notando nessuno di sospetto. Ci sono solo altri studenti divisi in piccoli gruppetti, le solite facce. «In ogni caso, ti accompagno a casa io, adesso. Non si sa mai».
«Cancellalo…» sussurra Bulma II, a testa bassa e con la voce rotta da lacrime che si sforza con tutta sé stessa di trattenere. Stringe più forte la mia maglietta, sembra aver davvero paura e mi fa una gran tenerezza. «Cancella quell’account, ti prego, Rad…».
«Ok, ma adesso stai tranquilla» le sorrido, mettendole sotto il naso il telefono per farle vedere il momento in cui cancello l’account. «Nelle foto non ti si vedeva in faccia e quello era il classico leone da tastiera, non succederà niente».
 
«E-ecco… mi dispiace…» sussurra Bulma II, mentre camminiamo sul marciapiede appena fuori dalla stazione del suo quartiere. Non ho mai visto casa sua, ma immagino che viva nella zona più esclusiva della città se siamo scesi qui. Continua a stringere un lembo della mia maglietta e camminare vicinissima a me, non si è mai staccata nemmeno durante il breve viaggio in treno.
«Tranquilla, oggi ho avuto modo di vedere un lato carino di te» le sorrido. «Non mi avevi mai chiamato “Rad”» ridacchio.
«È… è solo perché avevo paura, Son-kun!» sbuffa lei, arrossendo, offesa.
«Ora non ne hai più? Sai, non è facile camminare così» ghigno, indicando la sua mano che stringe la mia maglietta sul fianco.
Lei abbassa la testa, stringendo più forte la maglia.
«Va che stavo scherzando! Vuoi darmi la mano? Tanto ormai sono abituato a fare il finto fidanzato!» rido, alludendo a quello che era successo con Lunch. Anche se di quell’anello temporale abbiamo ricordi solo io e Lazuli, oltre alla stessa Lunch, avevo avuto modo di raccontare tutto a Bulma.
Lei si volta dall’altra parte, ma molla la presa sulla maglietta e intreccia le sue dita intorno alle mie, senza smettere di camminare.
«È troppo strano, Son-kun…» sibila, dopo alcuni interminabili secondi di assordante silenzio camminando mano nella mano.
«Già!» rido, mentre lei riprende a stringermi la maglietta.
«Siamo arrivati» mi spiega, dopo aver svoltato l’angolo. Una magnifica e gigantesca villa con un enorme giardino mi lascia allibito. Sapevo che i genitori di Bulma erano degli inventori e scienziati di fama mondiale, nonché titolari della famosa Capsule Corporation, ma non pensavo vivesse in una casa così bella.
«Bene, ti faccio i miei complimenti per la casa!» sorrido, cercando il contatto visivo con la mia amica che, tuttavia, continua a guardare verso il basso. «È andato tutto bene, visto?»
«I miei genitori sono in Europa per una serie di incontri di lavoro, staranno via qualche giorno. È una cosa che capita spesso» sospira mestamente. «Ecco… ecco, Son-kun… potresti passare la notte qui con me?»
 
 
 
 
 
 
Note: come molti di voi sospettavano, il grande personaggio che tra qualche capitolo avrà un ruolo importante in questa storia è proprio Chichi, che qui vediamo di sfuggita in un programma televisivo! Vi piace nel ruolo di idol, per quel poco che l’abbiamo vista? Spero abbiate apprezzato anche il resto della band chiamata Sweet Bullet, che grazie allo splendido lavoro di Sapphir Dream possiamo vedere in un magnifico disegno! Vi piacciono? Io le adoro!
Per chi non lo sapesse, le idol sono cantanti giovanissime molto diffuse in Giappone che fanno un po’ di tutto: ballano, recitano, fanno servizi fotografici e cose simili, puntando fortissimo sulla loro immagine. La loro specialità di solito è cantare ballando.
Un grazie gigante va a Sapphir per questo disegno e per i prossimi che ci terranno compagnia!
In tutto questo, come entrerà Chichi nella trama quando arriverà il suo momento?
 
L’arrivo di Chichi non deve però far passare in secondo piano ciò che viene detto a Là dalla sua manager, Piiza (ve la ricordate? Era la manager di Mr Satan!). Però lei e Rad sembrano in grado di gestire la situazione e sono tranquilli, nulla può scalfirli!
Scopriamo invece qualcosa in più sul dolore interiore che affligge Bulma, che odia sé stessa e non ha mai imparato ad accettarsi nonostante sia molto bella. In più, lo spavento causato dalla questione del profilo social, la spinge a chiedere a Rad di passare la notte da lei… cosa succederà? Lazuli, che è a cinquanta km di distanza, sarà d’accordo? Dite che ha in mente qualcosa Bulma II o è sincera?
 
Ringrazio come sempre tutti voi che mi sostenete e che continuate ad amare questi personaggi, per me è sempre un’emozione leggere il vostro parere e sapere cosa pensate della storia. Grazie anche a chi legge e basta, siete fondamentali e sono felice che siate ancora incuriositi da questa trama dopo mesi di pubblicazione! Se volete dirmi come la pensate, ovviamente ne sarò onorato!
 
Bene, il prossimo capitolo si intitolerà “Fuochi d’artificio” e succederanno davvero tante cose. Ci saranno molte rivelazioni, sia per capire totalmente ciò che tormenta davvero Bulma, sia grazie a novità importanti sul fronte Vegeta. Vedremo anche come si erano conosciuti Rad e Bulma un anno prima. Sarà una lunga notte quella del cap. 24, ma per parlarne ci rivedremo mercoledì prossimo!
 
Teo
 
 
 

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Capitolo 24
*** Fuochi d'artificio ***


24 – Fuochi d’artificio
 
 
«Te lo ricordo per dovere di cronaca, Bulma: io sono un ragazzo e tu sei una ragazza» dico alla mia compagna di classe, fissando l’immenso cancellone della sua villa. «Anche se siamo amici, sarebbe un po’ strana questa cosa di farmi dormire qui».
«Se dovesse succedere qualcosa, allora chiamerò subito Eighteen-senpai e le dirò quello che hai fatto, Son-kun» ribatte Bulma II, ritrovando un po’ della sua consueta sicurezza, mentre gira le chiavi nella serratura del cancelletto d’ingresso.
«Ah, ecco, quando le telefonerai ricordati di chiamarla “Lazuli-san”, come ha spiegato all’altra te stessa. Non le piace farsi chiamare “senpai”» sospiro, seguendola nel vialetto di casa. «Anzi, adesso provo a chiamarla io, così se è in pausa le spiego tutto subito e magari non mi ammazza».
«Ti aspetto dentro, fai in fretta» mi liquida Bulma II, entrando in casa e lasciando la porta socchiusa.
 
«Ciao Rad, abbiamo appena finito e riprenderemo dopo cena! Tutto bene gli allenamenti?»
«Ciao Là! Sono abbastanza morto, ma sono felice. Mi sembra di essere ancora forte, di avere lo stesso passo degli altri».
«Tu sei forte, non è che ti sembra di esserlo» ribatte, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «E con la copia di Bulma?»
«Ecco, appunto…» sospiro. «È successo un casino con Bulma II perché c’è un depravato che ha iniziato a mandarle messaggi da quell’account social di cui ti parlavo e lei si è spaventata. Vuole che passi la notte da lei perché i suoi non ci sono e ha paura».
«Ormai mi fido di Bulma, anche se quella copia è un po’ troppo sfacciata per i miei gusti» sibila Lazuli, tradendo una certa irritazione. «E poi mi fido di te, scemo, anche se è ovvio che mi dà fastidio questa cosa, nonostante anche a casa tua ci sia l’altra Bulma».
«Sono un casino vivente, Là…» sbuffo. «Mi spiace».
«Ma va, è che sei sempre pronto ad aiutare gli altri» risponde dolcemente. «È una bella cosa, se io stessa sono qui è solo grazie a te».
«Grazie Là, ti amo».
«Però vedi di non farmi arrabbiare e di farti sentire, anche a notte fonda!» esclama, improvvisamente gelida. «Ti ricordo che sono solo a Tokyo, faccio in un attimo ad arrivare lì e ad ammazzarti
«Ti adoro, Là» sorrido.
«Fai bene ad adorarmi» mi provoca, mentre immagino stia ghignando.
«Mi manchi, cazzo… mi spiace che devi star fuori anche domani notte».
«Mi manchi anche tu, mi è piaciuto dormire da te ultimamente».
«A me è piaciuto anche il resto che abbiamo fatto in queste notti, oltre a dormire!» ammicco.
«Ecco, vedi di non farmi preoccupare se ci tieni ad avere altre notti così» sibila. «Maiale che non sei altro».
«Sarei pronto a tutto per il corpo incantevole della mia bellissima senpai!» esclamo, mettendomi sull’attenti come se lei potesse vedermi.
«Piantala di fare il cretino o non appena ti rivedrò mi toccherà darti un ceffone in faccia» sospira, rassegnata. «Ci sentiamo più tardi quando finisco le riprese serali, Rad. Ti amo» aggiunge in un sussurro che mi fa battere il cuore fortissimo.
«Ti amo anch’io, Là».
 
«Sei sempre stato così sdolcinato, Son-kun?» sospira Bulma II, non appena varco la porta d’ingresso e mi ritrovo un attimo disorientato dalle dimensioni e dall’arredamento di casa sua. E pensare che questo è solo il piano terra, non oso immaginare come sia di sopra e il resto del giardino. Anzi, del parco, per essere precisi.
«Stavi origliando?» borbotto, fingendomi offeso.
«In verità non volevo entrare in casa da sola perché ho paura possa esserci quel maniaco da qualche parte» sussurra, abbassando la testa. «E stando vicino alla porta aperta non ho potuto fare a meno di sentire».
«Adesso allora facciamo un giro insieme così ti tranquillizzi» provo a rassicurarla. «Anche se non può essere entrato nessuno coi sistemi di sicurezza che presumo abbia una casa come questa. Avete anche i cecchini appostati sugli alberi?» aggiungo, per provare a farla ridere, ricevendo in cambio un’occhiataccia che vale più di mille parole.
 
«Son-kun?»
«Sì, sono qui…» sospiro, seduto fuori da uno dei sontuosi bagni di casa Brief in cui Bulma II si è immersa da poco nella vasca, dopo avermi imposto di farle da guardiano. È ancora visibilmente scossa per quello che è accaduto, ma è buffo ritrovarmi seduto sul pavimento con la schiena appoggiata alla porta mentre Bulma si lava, proprio come era successo a casa mia con la versione originale della mia amica.
«Son-kun?» mi richiama, dopo un paio di minuti di silenzio.
«Presente» rispondo. «Fai il bagno tranquilla, tanto non mi sposto da qui».
«S-stanotte ti va di dormire nella stessa stanza?» balbetta, profondamente a disagio. «Non farti strane idee, però».
«Ti rendi conto che mi stai facendo una domanda del genere mentre sei completamente nuda, vero? E poi sarei io il maiale…» sbuffo, per prenderla in giro.
«Muori, Son-kun».
 
«Sai, a parte la paura che ho avuto oggi, in generale è da un po’ di tempo che mi sento abbastanza spaventata…» mi confida all’improvviso Bulma II, con un filo di voce.
«Perché?» le chiedo, fissando il soffitto del suo salotto e cercando di non crollare per il sonno. Sono più o meno le tre di notte, ma le ho promesso che sarei stato sveglio finché lei non si fosse addormentata. Peccato che sia sveglia come un grillo, a quanto pare. E tanti saluti al lavoro, agli allenamenti e a tutta la fatica che mi sento addosso.
Alla fine abbiamo deciso di restare in sala, io sul pavimento in un futon, proprio come sto facendo ultimamente a casa mia, e lei sul divano, con solo un tavolino a separarci.
«Perché adesso ho sia te che Vegeta al mio fianco, ma ho paura che un giorno mi ritroverò di nuovo da sola. Non ho mai avuto molto amici… anzi, adesso non ne ho nessuno a parte voi e, forse, la tua ragazza…» sospira. «Sempre se non mi odia…».
«No, che non ti odia. Però fai incazzare me, se dici certe cose…» la rimprovero.
«Prima di conoscere te e Vegeta non avevo queste preoccupazioni» riprende, in tono triste. «Che fossi a casa o a scuola non cambiava niente: ero sempre sola, e anche i miei genitori erano sempre impegnati col lavoro».
«I genitori fanno spesso casini e nemmeno se ne rendono conto» provo a rassicurarla.
«I miei sono molto buoni con me, si vede che mi vogliono bene… se abbiamo tutto questo è grazie a loro e alla loro intelligenza» ribatte Bulma II.
«Però i soldi, a volte, invece di colmare un vuoto ne creano uno…» la interrompo.
«Già…» sospira profondamente. «Forse è anche per questo che fin da piccola ho sempre faticato ad avere amici, oltre al fatto che essere sempre la prima delle classe attira antipatie».
«Invidiosi del cazzo» bofonchio, stiracchiandomi.
«Però è cambiato tutto l’anno scorso, quando all’inizio del liceo mi sono ritrovata in classe con te e Vegeta» riprende Bulma II. «Ormai mi ero abituata a stare da sola, ma da allora ho iniziato a provare a volte un senso d’ansia».
«Tutta colpa di quella testa di cazzo del Prince…» provo a sdrammatizzare.
«Guarda che per metà è anche colpa tua, Son-kun» ribatte. «Ti ricordi quando siamo diventati amici?»
«Certo che me lo ricordo» sorrido.
 
 
Mese di aprile dell’anno precedente
 
Oggi sono arrivato per primo in classe, forse perché non avevo voglia di sentire tutto il chiacchiericcio alle mie spalle ogni volta che passo vicino a un gruppo di studenti o forse per non sentirmi addosso gli occhi indagatori dei miei nuovi compagni di classe. Devo ancora farci l’abitudine a tutto questo e ad essere trattato come un reietto da gente che non sa nulla di me. Come devo farci ancora l’abitudine al fatto che Videl Satan, il motivo che mi ha spinto a iscrivermi in questo liceo, a quanto pare non viene a scuola qui e forse non ci è mai neanche venuta. Però ho scoperto che c’è Lazuli Eighteen al secondo anno, e il solo pensare di essere nella sua stessa scuola mi fa esplodere il cuore nel petto. È una consolazione non da poco, questa! Chissà se mi rivolgerà mai la parola o se troverò mai il coraggio di parlarle… sì, come no…
Una come lei con uno come te: svegliati, Rad!
Guardo il mare fuori dalla finestra dal mio banco nell’angolo all’ultima fila e penso a come sarebbe avere una vita normale, senza tutti i casini che mi sono successi. Sorrido amaramente, mentre osservo due gabbiani volare nel cielo, e mi chiedo se io riuscirò mai davvero a spiccare il volo. Io, un uccello con una sola ala. Quello odiato da tutti.
La scuola è iniziata da tre settimane, ma le cose non vanno bene nemmeno con i miei nuovi compagni di classe. Tutti mi evitano, tranne Vegeta Princely, il mio vicino di banco, con cui ho legato senza neanche rendermene conto e che sta cercando di convincermi a iscrivermi con lui nel club di calcio.
Il rumore della porta della classe che si apre mi distoglie dai miei pensieri. Chi può essere già qui così presto? Scommetto che non appena mi vedrà uscirà di corsa e tornerà solo a ridosso della campanella. Io sono quello che ha mandato all’ospedale in un mare di sangue tre ragazzi alle medie, secondo l’opinione comune, qua. Secondo l’atmosfera del cazzo che aleggia intorno a me.
Mi rimetto a guardare fuori con indifferenza, appoggiando la testa su una mano.
Con la coda dell’occhio mi rendo conto che è Bulma Brief, il genio della classe. Non mi saluta e io stesso la ignoro, come faccio con tutti. Niente di nuovo, anche se mi sorprende che si sieda al suo posto, nel primo banco centrale davanti alla cattedra.
«È incredibile che tu riesca a venire a scuola ogni giorno, Son-kun» mi dice dopo qualche secondo, imperturbabile, voltandosi in mia direzione.
È la prima volta che mi rivolge la parola, anche se non mi ha mai guardato male, effettivamente. E poi anche lei è sempre sola, in realtà.
Mi volto verso di lei e la guardo interrogativo, mentre continua a fissarmi coi suoi occhi azzurri che mi scrutano attraverso gli occhiali.
«Ti trattano tutti con indifferenza o sparlano alle tue spalle per via dell’incidente dell’ospedale» riprende.
Mi ha chiamato davvero “Son-kun”, tra l’altro?
«Davvero tutta la scuola mi sta evitando? Non preferisci uniformarti a tutti gli altri studenti?» le rispondo facendo spallucce.
«Posso dire con sufficiente certezza, come se avessi appena risolto un calcolo matematico, che tutti gli studenti ti evitano» mi dice freddamente. «Eppure tu vieni lo stesso e non reagisci a niente: sicuro di esserci con la testa? Beh, visto che ti ostini a venire, direi di no».
«Sei proprio simpatica, Bulma-chan!» esclamo, sorridendole.
«Eh?! Io?!» ribatte, sgranando gli occhi e arrossendo. «Togli il “-chan”, non sono abituata alle desinenze sul mio nome, nessuno le usa mai!».
«Però a me fa piacere che mi chiami “Son-kun”, nessuno mi chiama così!» rido. «Comunque lo ribadisco: mi sei simpatica, Bulma».
«Mi stai prendendo in giro…» sbuffa, guardandomi di sottecchi.
«Invece è così, perché il fatto stesso che tu mi stia parlando dimostra che anche te non ci sei con la testa!»
 
 
«Dimmi la verità: eri rimasta folgorata dalla mia bellezza» la provoco, dopo aver ricordato il nostro primo incontro.
«Di sicuro dalla tua stupidità, quello sì».
«Mi fa piacere, ne vado fiero».
«Comunque, ho cominciato ad avere paura quando Vegeta si è trovato la ragazza…» riprende Bulma II, con un filo di voce.
«Vedi che è tutta colpa sua?» provo a scherzare. «Quel deficiente non fa altro che renderti triste».
«Ha parlato l’altro…» sbuffa lei, in tutta risposta. «Quando ti sei messo insieme a quella bellissima senpai ero felice, ma allo stesso tempo ho avuto paura che ti saresti allontanato anche tu da me».
«Ma sei scema o cosa?! Conto di restarti amico per tutta la vita!» ribatto, alzando il tono della voce. «E comunque non hai capito proprio nulla».
«Riguardo a cosa?»
«Dici di essere tanto innamorata di Vegeta, ma non hai capito nulla di lui» le rispondo, mettendomi a sedere. «Ti rubo un attimo il cellulare» dico, prendendo in mano il suo telefono che aveva appoggiato sul tavolino. «È uno scimmione senza cervello, ma ora vedrai anche quanto sa essere straordinario quel ragazzo. Perderai ancora di più la testa per lui».
«Fermati!» grida Bulma II, mettendosi a sedere anche lei, allarmata. «Penserà che sono strana se lo chiamo di notte!»
«Troppo tardi» bisbiglio, facendole l’occhiolino dopo aver inoltrato la chiamata.
«B-bulma?! Stai bene?!» sbotta Vegeta con la voce impastata dal sonno, non appena risponde.
«Sono Rad, vieni subito alla stazione Hon-Kugenuma. Bulma è in pericolo» gli dico tranquillamente, prima di interrompere la chiamata e guardare soddisfatto la mia amica, che penso vorrebbe strozzarmi a giudicare da come mi sta guardando.
«Ma ti rendi conto di quello che hai fatto?!» grida di nuovo, alzandosi in piedi e strappandomi il telefono dalle mani.
«Certo» le rispondo con nonchalance. «Vestiti, dobbiamo andare in stazione».
«A-adesso?!»
«Ovvio, a meno che non vuoi che Vegeta vada dalla polizia per niente…».
 
Hon-Kugenuma non è lontana da casa di Bulma, eppure, quando arriviamo nei pressi della stazione, noto subito Vegeta ansimante e ancora in sella alla sua bici che si guarda intorno freneticamente e con gli occhi sgranati. È arrivato a tempo di record, oltre ogni mia più rosea previsione.
«Bulma! Tutto ok?!» grida, facendo cadere la bici sul marciapiede e correndo verso di noi non appena ci vede. «Che cazzo le hai fatto, Rad?!» aggiunge, dandomi uno spintone e fissandomi rabbioso. «Perché mi hai chiamato dal suo telefono a quest’ora?! Ti ha fatto qualcosa?! Tsk!» aggiunge, furente, guardando negl’occhi Bulma II, che arrossisce e abbassa lo sguardo.
«Ma ti pare che le ho fatto qualcosa?!» sbotto, dandogli a mia volta uno spintone che rischia di farlo cadere.
«Vaffanculo! Pensavo le fossi saltato addosso!» ringhia, stringendo i pugni e avvicinandosi a me minaccioso.
«E secondo te ti avrei chiamato, se l’avessi fatto!» ribatto, fissandolo nei suoi occhi neri pieni di collera. «Lo so che è difficile per te, ma dovresti provare a usare il cervello ogni tanto, Prince».
«P-perché…» ci interrompe Bulma II, con un filo di voce, facendoci voltare entrambi verso di lei. «Perché…» aggiunge, scoppiando in lacrime, a testa bassa.
«Sei una testa di cazzo, Prince» rimprovero il mio amico, che sembra essersi calmato. «Devi smetterla di farla piangere».
«Come può essere colpa mia?! Tsk!»
«Certo che è colpa tua!»
«N-non è colpa sua…» interviene Bulma II, asciugandosi le lacrime.
«Certo che è carina quando piange, vero Prince?» provo a stemperare la tensione. Io volevo solo dimostrarle che Vegeta sarebbe corso da lei anche senza un motivo preciso nel cuore della notte, non puntavo certo a farla soffrire!
«E… e io che ne so?! Era da tanto tempo che non piangevo!» accenna un sorriso la nostra compagna di classe, continuando ad asciugarsi le lacrime che scorrono sul suo volto. «Però… però… ero solo una stupida…».
«Tu non sei stupida! Tsk!» si intromette Vegeta, incrociando le braccia al petto e distogliendo lo sguardo da Bulma II.
«Io soffrivo… soffrivo perché pensavo di… di essere sola» continua a piangere lei, senza riuscire a smettere. «Però… però non ero sola… n-non ero sola…» aggiunge con un filo di voce, riprendendo a sorridere.
«Rad!» sbotta Vegeta.
«Uhm?!»
«Vacci a comprare qualcosa da bere!»
«E che cazzo sono, il tuo cameriere personale notturno?!»
«Muoviti, tsk!»
«Almeno dammi i soldi, altrimenti non vengo alla partita!» lo provoco, con un sorriso sghembo stampato sul volto.
«Vai a cagare…» sibila, mettendomi in mano con stizza il suo portafogli.
«Siete… siete fantastici, voi due!» esclama Bulma, riuscendo a smettere di piangere e sciogliendosi in una risata che mi apre il cuore.
 
«Son-kun è stato proprio addomesticato a dovere da Eighteen-senpai» mi prende in giro Bulma II, seduta su una panchina accanto a un imbronciato Vegeta, non appena faccio ritorno dal primo konbini che ho trovato aperto.
«Certo, ormai è pronto per il circo!» interviene il mio amico, sprezzante.
«Sto imparando a saltare nel cerchio infuocato, ormai ci riesco quasi sempre senza bruciarmi il culo» sto al gioco, passando a Bulma una lattina di Coca Cola e lanciandone un’altra a Vegeta, mentre mi apro la mia e comincio a bere.
«Scommetto che l’hai sbattuta per farmela esplodere in faccia! Tsk!» sbotta Vegeta, guardando sospettoso la lattina.
«Ovvio» ghigno.
«Ammazzati, Rad!» ringhia, mentre si sforza di aprire lentamente la sua bibita con tutta la schiuma che gli cola sulle mani e lo fa imprecare rabbiosamente. «Dopo ti ammazzo di botte!» aggiunge, facendo scoppiare a ridere Bulma II e girando la testa di scatto, stizzito e imbarazzato.
«Beh, che si fa adesso?!» chiede Vegeta, dopo aver finito di bere ed essersi sciacquato le mani appiccicose in una fontanella.
«Vi va di andare in spiaggia?» domando a mia volta, fissando i miei amici e sollevando un sacchetto pieno di fuochi d’artificio che ho appena comprato insieme alle bibite.
«Hai preso tutto coi miei soldi?!» sbotta Vegeta.
«Certo, non sono mica scemo!» rido, facendo passare un braccio dietro al collo del mio amico e stringendolo a me. Mi spintona per liberarsi dalla mia presa, ma non ci riesce. «Allora, Bulma? Andiamo in spiaggia?» sorrido alla mia amica, passando un braccio anche dietro al suo collo e cingendole una spalla.
«S-sì…» sussurra, arrossendo e abbassando lo sguardo, mentre comincio a camminare verso la spiaggia più vicina stringendo a me i miei due migliori amici.
 
«Non c’è fin troppo vento?!» si lamenta Vegeta mentre, accovacciati e disposti in cerchio, cerchiamo di accendere dei lunghi candelotti che emettono un bagliore di luci colorate non appena prendono fuoco. L’aria continua a spegnere la fiamma dell’accendino che ho comprato, maledizione.
«Dicono che domani pomeriggio arriverà un tifone» esclama Bulma, guardando il mare e le onde che si alzano spinte dal vento.
«Stringiamoci un po’ di più allora, no?!» sbotto, spingendo una spalla di Vegeta e una di Bulma II, facendoli entrare a contatto.
«Tsk!» sbuffa Vegeta, da bravo orso, volgendo lo sguardo in direzione opposta a Bulma II, che, dal canto suo, accenna un sorriso e abbassa la testa.
«Ecco, finalmente!» esulto, riuscendo a bruciare la miccia dei candelotti.
«Guarda, Bulma!» sorride Vegeta, alzando nel cielo buio il suo candelotto che illumina la spiaggia e crea un gioco di luci magnifico.
«Ah, ah!» rido, agitando furiosamente il mio nell’aria come fosse una spada e facendo ridere il mio amico.
«Non agitarlo così forte, Son-Kun!» ride Bulma II, mentre io e Vegeta le corriamo intorno rincorrendoci tra noi come se fossimo dei bambini.
Mi sembra felice, e mi sento bene anch’io. È bello avere amici così.
«Wow!» esclama Vegeta, affascinato, quando poco dopo cominciamo a sparare verso il mare dei razzetti che sibilano nel cielo, prima di esplodere in meravigliosi cerchi colorati.
«Sono bellissimi!» ride Bulma II, con gli occhi che le brillano, accanto a lui.
«Dai, facciamo il gioco dei bastoncini!» propongo, entusiasta come se fossi tornato piccolo, tirando fuori dal sacchetto tre bastoncini di legno e accovacciandomi come prima sulla sabbia. Anche loro mi imitano, disponendosi a cerchio, mentre accendiamo in contemporanea i nostri tre legnetti e li teniamo fermi davanti a noi. Cominciano ad emettere scintille tutto intorno, e il gioco consiste nel cercare di tenere in mano il più a lungo possibile il proprio bastoncino. Magari evitando di scottarsi le dita, ecco.
«Non dici niente, Vegeta?» sussurra all’improvviso Bulma II, dopo qualche secondo di silenzio, senza smettere di fissare il suo bastoncino che continua a sparare intorno a sé scintille e illumina i suoi occhi malinconici.
«Eh?» sbotta lui, perplesso, guardando me con fare interrogativo.
«Su di me…» sospira lei. «Sul perché siamo qui di notte…».
«Beh, quando ho visto che mi ha chiamato Rad dal tuo telefono qualche domanda me la sono fatta, ma quando ti ho vista piangere ho capito che non era importante il motivo per cui mi avevate chiamato» accenna un sorriso, guardando anche lui le scintille emesse dal suo bastoncino. «Ho pensato che era bello che fossimo lì, insieme» aggiunge, facendo voltare Bulma II in sua direzione, che lo guarda con gli occhi sgranati e pieni di emozione. «Ho perso, merda! Tsk!» sbotta, scagliando sulla sabbia il suo bastoncino ormai spento.
«’fanculo, anch’io…» sbuffo, buttando anche il mio e rialzandomi. «Direi che ha vinto Bulma!» proclamo, mentre la mia amica stringe ancora tra le mani il suo bastoncino che continua a emettere scintille.
«Direi che questo è un buon posto per vedere lo spettacolo di fuochi d’artificio di Enoshima!» esclama Vegeta coi pugni chiusi appoggiati ai fianchi, osservando il cielo che sta cominciando ad albeggiare all’orizzonte. «È tra quattro giorni, no? Andiamoci tutti insieme come l’anno scorso!» propone, facendo sussultare Bulma II.
«Non hai già dei piani con la tua adorabile ragazza?» gli chiedo, visto che la mia amica resta in silenzio e probabilmente si stava chiedendo proprio questo. Inizio ad averne piene le palle di fare da tramite tra questi due, ma lo faccio perché ci tengo a loro. E sono anche qui che sto crollando dal sonno, tra l’altro.
«Io… io non ho più una ragazza…» sibila lui, stringendo i pugni e continuando a guardare il mare. Bulma II lascia cadere il suo bastoncino che ancora emette scintille sulla sabbia.
«Stai bene, Prince?» gli chiedo.
«Certo, ti pare! Tsk!» si volta in mia direzione, stizzito, facendo il gradasso. Per quanto tutto questo era nell’aria, non deve essere un momento facile nemmeno per lui. Come per Marion, del resto.
«Se ti va di parlarne…».
«No, non mi va!» mi interrompe bruscamente. «Ti ho detto che sto bene» aggiunge, mentre Bulma II continua a osservarci silenziosa. «Tu, piuttosto?! Non hai organizzato niente con Lazuli?»
«La sua agenzia ci ha proibito di frequentarci in pubblico per un po’… che due coglioni…» sbuffo, guardando anch’io il mare.
«D’altronde lei sta tornando ad essere una super celebrità…» sospira Vegeta. «Però, se vi conosco bene, immagino che ve ne sbatterete le palle di fronte a un evento del genere» aggiunge, sorridendomi sghembo.
«Bravo, Prince. Ci conosci bene, a quanto pare» ghigno a mia volta, scambiandomi uno sguardo d’intesa con lui.
«D’altronde, tu sei una testa di cazzo e lei, da quel poco che la conosco, mi sembra una con le palle quadrate che non si fa mettere i piedi in testa facilmente» prosegue, fiero della sua analisi psicologica.
«Da quando sei così perspicace tu, principe degli scimmioni?!» lo provoco, scoppiando a ridere e facendo ridere anche Bulma II.
«Tu invece hai programmi?!» chiede all’improvviso Vegeta, guardandola.
«N-no…» risponde timidamente, deglutendo il nulla.
«Allora è deciso!» stabilisce lui, afferrando le sue mani e aiutandola a rialzarsi. «Verremo qui insieme tutti e quattro!»
«In quattro come le Tartarughe Ninja… o come i moschettieri…» rifletto ad alta voce. «Nel caso, io faccio Leonardo e D’Artagnan».
«Ma la smetti di dire cazzate?!» mi provoca Vegeta.
«Tu farai Michelangelo e Phortos, i più stupidi!» lo derido. «Bulma farà Donatello, visto che è la più intelligente, e Lazuli Raffaello, la più burbera e anche cazzuta!»
«E che moschettiere sarei, io?» mi chiede Bulma II, guardandomi poco convinta.
«Athos, quello più serio. Per esclusione, a Là resta Aramis!» rispondo ridendo.
«A furia di sentire le tue stronzate si è fatto giorno, Rad» sbuffa Vegeta, mentre il sole comincia ad essere ben visibile sopra l’orizzonte. «Tra poco abbiamo gli allenamenti, vedi di non saltarli!»
«Proprio oggi doveva essere previsto quel tifone? Altrimenti ci saremmo allenati di pomeriggio… devo pure andare al lavoro per pranzo…» ribatto, avvilito e stravolto dal sonno.
«Manca solo una settimana alla partita, dobbiamo essere pronti» esclama lui, stringendo un pugno. «Appena torni a casa fatti una doccia fredda per ripigliarti e vieni al campo, vedrai che non sentirai più la fatica! Mezza sega, tsk!» prova a incitarmi, mentre lo guardo poco convinto. «Tu verrai a vedere la nostra partita?» domanda a Bulma II, facendola arrossire lievemente. È proprio cotta, cazzo.
«Sì!» gli sorride. «Sapete, non avevo mai passato la notte in bianco in questo modo…» aggiunge, sospirando. «Sono… sono felice».
«È giusto e doveroso fare un po’ di cazzate a questa età!» rido.
«Ovvio, le cazzate sono le cose migliori!» mi sostiene Vegeta, allungando il pugno chiuso verso di me, che lo colpisco col mio in segno d’intesa.
«Allora adesso facciamo una foto per celebrare questa cazzata!» propongo, tirando fuori dalla tasca il mio telefono e stringendomi accanto ai miei amici.
Faccio con le dita della mano sinistra il segno della vittoria e passo il braccio intorno al collo di Bulma II, imitato da Vegeta dall’altro lato che tuttavia tiene il pugno chiuso e guarda poco convinto la fotocamera. La nostra amica sorride, invece, sembra felice in mezzo a noi che la abbracciamo, anche se un po’ imbarazzata.
Sorrido anch’io, mentre scatto questo selfie. Sono contento, lo sono davvero.
Se ci fosse anche Lazuli qui, sarebbe tutto perfetto.
Tutto dannatamente perfetto.
 
 
 
 
 
Note: avreste mai detto che Vegeta e Marion sarebbero rimasti insieme per ben 24 capitoli quando avete iniziato questa storia, mesi fa? Ebbene, a quanto pare la loro relazione è finita, anche se non sappiamo i dettagli di una rottura che comunque era nell’aria da un po’. Comunque, i fans di Marion non si preoccupino: lei non sparirà dalla storia, la rivedremo ancora! Ne siete felici? O siete magari più felici che finalmente Vegeta sembra dimostrare interesse verso Bulma? E poco importa se sia Bulma II in questo caso… alla fine lui la invita a vedere insieme il festival dei fuochi d’artificio!
In tutto questo, c’è un però grande come una casa: come prenderà tutto quello che è successo la nostra Bulma, quella che ha passato la notte a casa di Radish mentre lo stesso Radish era in giro a divertirsi con Vegeta e Bulma II?
Inoltre, Bulma II avrà i suoi difetti, ma non ci ha provato con Rad, come molti temevano. Loro sono amici per la vita, spero vi piaccia il loro rapporto. Persino Là l’ha accettato, anche se non lesina giustamente qualche minaccia nelle sue parole a Radish.
Spero abbiate apprezzato il flashback tra Rad e Bulma, poi! E anche l’aver finalmente scoperto cosa tormentava da tempo la turchina: non solo l’odio per sé stessa e l’amore per Vegeta, ma anche e soprattutto la paura di perdere lo stesso Vegeta e persino Radish!
 
Come sempre, un grazie va a tutti voi che mi lasciate una recensione, un incoraggiamento e mi dite la vostra opinione. Siete fantastici, a me non può che fare piacere ed è bello confrontarsi dopo ogni capitolo di questa storia!
Grazie anche a chi continua a leggere ed apprezzare i miei scritti, vedere le views sempre alte mi dà molta forza e quindi ringrazio tantissimo anche voi!
Ringrazio poi ancora una volta Sapphir Dream per questo disegno meraviglioso di Là e Bulma, bellissime in yukata, che fa da anticipazione a quello che vedremo nel prossimo capitolo! E lì ne vedremo altri due di suoi disegni a tema, intanto godetevi questo, con tanto di classica mela caramellata!
Festeggiamo poi il ritorno in questa storia di uno stupendo disegno di Misatona, che ci regala un ritratto fantastico sempre delle due protagoniste femminili di questi capitoli in yukata, più Lunch! Un grazie va anche a lei, sono onorato di avere una doppietta di disegni questa settimana!
Spero vi piacciano!
 
Bene, non mi resta che darvi appuntamento a mercoledì prossimo, vi dico solo che sarà un capitolo pirotecnico, per restare a tema fuochi d’artificio. Ne vedremo davvero delle belle, anche se mancano ancora quattro giorni al festival e Rad sembra essere a pezzi tra lavoro, allenamenti e il dover star dietro a Bulma II senza aver potuto dormire. Lazuli è a Tokyo (cioè a 50 km di distanza), mentre Bulma deve ancora scoprire della nottata in spiaggia della sua copia, con tanto di foto ricordo finale coi suoi due amici. Come la prenderà? Andrà davvero una delle due Bulma al festival insieme a Vegeta? E chi delle due?
Per ora mettiamo in stand by Chichi, invece, e ringrazio tutti voi che l’avete apprezzata insieme alle altre Sweet Bullet! Arriverà il suo momento, ma adesso è tempo di pensare al climax che sta per essere raggiunto da questa “saga di Bulma”.
Il titolo sarà “Il posto più bello del mondo” e io vi anticipo solo che sarà una bomba! Ci siamo capiti, no?! ;-)
A mercoledì!
 
Teo
 
 
 

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Capitolo 25
*** Il posto più bello del mondo ***


25 – Il posto più bello del mondo
 
 
 
9 agosto
 
«Hanno ripreso le corse anche i treni nel frattempo! Tsk!» sbotta Vegeta, mentre recupera la bicicletta che aveva lasciato stanotte in stazione. «Non fare tardi agli allenamenti, Rad!» mi minaccia, dandomi appuntamento tra un paio d’ore. «Ci vediamo per lo spettacolo dei fuochi, Bulma…» aggiunge più timidamente, distogliendo lo sguardo dalla mia amica e andandosene pedalando.
«Son-kun…» sospira Bulma II, continuando a guardare Vegeta finché non sparisce dalla nostra vista.
«Se hai ancora paura, resterò con te anche oggi».
«No, sto bene» risponde, fissando i suoi occhi azzurri nei miei. «Stavo pensando all’altra me stessa, lei sta di gran lunga peggio» aggiunge, stringendo i pugni. «Lei mi odia, ma te lo chiedo per favore: aiutala» conclude, lasciandomi in mano il cellulare della mia amica e avviandosi da sola verso casa.
 
«Bentornato» mi accoglie Bulma, non appena rientro in casa. Si è già alzata anche lei e sta preparando la colazione. «Mi sembri stanco, Son-kun. Stai bene?»
«Tieni» le rispondo, accennando un sorriso e porgendole il suo telefono. «Abbiamo cancellato quell’account, credo non lo rifarà mai più».
«Capisco…» ribatte a denti stretti, abbassando la testa e afferrando il suo cellulare. «Ah…» esclama, sgranando gli occhi e indietreggiando di un passo, non appena sblocca il telefono e vede che Bulma II ha impostato come immagine di sfondo il selfie che ho scattato io poco fa con noi e Vegeta.
«Dopo ti spiego bene… comunque è tutto ok!» bofonchio, mentre mangio velocemente una fetta di pane e marmellata e mi dirigo verso il bagno con un bicchiere di spremuta d’arancia in mano. «Mi faccio una doccia al volo per ripigliarmi, che poi devo andare agli allenamenti e direttamente al lavoro!»
 
Quando torno a casa è ormai pomeriggio inoltrato. Il cielo è nero, e il vento soffia sempre più forte. Sta arrivando davvero quel tifone, spero non stia creando troppi problemi a Lazuli per le riprese, tra l’altro, anche se so che si erano tenuti apposta per ultime le scene da interno.
Non ho ancora avuto modo di spiegare bene tutto a Bulma, penso, mentre mi siedo sul divano. Non è in salotto, che sia in camera mia? Riflettendo su questo e stravolto dalla fatica e dal sonno arretrato, senza rendermene conto mi ritrovo addormentato ed è solo un forte tuono a svegliarmi di soprassalto un’ora dopo.
«Buongiorno fratellone!» esclama mio fratello, seduto accanto a me, mentre guardando fuori dalla finestra mi rendo conto che sta imperversando una bufera. Mi sento più intontito e stanco di prima, se possibile.
«Ciao Goku» sbiascico. «Bulma è in camera?»
«No, non è ancora tornata!»
«Cosa?! È uscita?!» sbotto, tirandomi su di scatto.
«Ha preparato la cena per dopo e ha lasciato qualcosa di pronto in frigorifero per Goku-kun per domani» spiega mio fratello. «Ha detto che doveva andare a fare la spesa!»
«A fare la spesa?! E perché ha già preparato da mangiare per domani?» farfuglio, recuperando il mio cellulare per provare a chiamarla.
Non appena inoltro la chiamata sento il telefono di Bulma suonare da camera mia, e mi rendo conto che l’ha lasciato volutamente qui.
Ma cosa si è messa in testa di fare?!
 
«Merda…» ringhio, mentre pedalo a tutta velocità in mezzo alla tempesta e mi dirigo verso casa di Bulma, per vedere se è andata lì. Sono uscito di casa così com’ero, in pantaloncini e maglietta, terribilmente preoccupato per la mia amica. Non capisco il suo gesto… che sia tornata ad essere un’unica entità con l’altra sé stessa?
«Cosa fai qui, Son-kun?» mi chiede perplessa Bulma II, dopo avermi fatto entrare in casa. Sono bagnato fradicio, e mi sento anche a pezzi non avendo dormito nulla con allenamenti e lavoro sulle spalle.
«Bulma è sparita!» grido, ansimando e grondando acqua sul pavimento. «Non so dove sia, ha lasciato il telefono a casa!»
«Te lo dico subito: non credo che siamo tornate ad essere una sola persona…» sibila la copia della mia amica, abbassando la testa e stringendo i pugni.
«Hai idea di dove possa essere?! Cioè, se fossi stata tu a scappare, dove saresti andata?!»
«Io… io credo che sarei andata a scuola…».
 
«Cazzo… che rottura di palle!» urlo, mentre pedalo in mezzo alla bufera per continuare le mie ricerche.
Il vento soffia sempre più forte e viene giù così tanta pioggia che fatico a vedere davanti a me in certi punti. Mi sento i vestiti appiccicati addosso e ho i capelli fradici che continuano a finirmi in bocca e negli occhi.
«Quando fai così sei una rottura di palle, Bulma!» impreco a gran voce, mentre una macchina mi passa accanto a tutta velocità inondandomi con l’acqua che solleva al suo passaggio.
«Vaffanculo…» sibilo, mentre fatico quasi a mantenere il controllo della bici, ma almeno intravedo la scuola davanti a me. Mi sento debole, senza forze. Almeno la pioggia mi aiuta a star sveglio. Spero che sia davvero qui Bulma, così almeno torniamo a casa e vado direttamente a dormire. Sono a pezzi, non stavo così quando sono uscito di casa. Mi fa male tutto, merda.
 
«Eccoti…» sbuffo, piegato sulle ginocchia e lavato dalla testa ai piedi, non appena entro nella nostra classe e trovo Bulma seduta al suo banco che fissa il vuoto.
«Son-kun?! Perché sei qui?» mi chiede allibita. «Sei… sei bagnato fradicio! Rischi di prenderti qualcosa!» esclama, alzandosi in piedi.
«Perché sono qui? Bella domanda…» sospiro. «Sai, ho fatto un disastro stamattina, perché non ti ho spiegato subito tutto…» aggiungo, appoggiandomi alla cattedra. Boccheggio, ma che cazzo mi sta succedendo?
«Cosa dovevi spiegarmi?»
«Più che altro… più che altro volevo chiederti se ti va di venire a vedere lo spettacolo di fuochi d’artificio con noi tra tre giorni» rispondo a fatica. «Quello di Enoshima… quello che abbiamo visto anche l’anno scorso» aggiungo, spostandomi con stizza una ciocca di capelli appiccicati dalla fronte. «Ci sarà anche Vegeta!»
«Io…» sussurra Bulma, abbassando la testa.
«Sei dei nostri, no?»
«No…».
«Hai altri impegni?!» le domando, staccandomi dalla cattedra e facendo un passo verso di lei, serissimo.
«Ho intenzione di sparire da qui» risponde lapidaria, senza guardarmi. «Voglio sparire dalla tua vita e da questa città».
«Non dire cazzate, per favore…».
«Questo mondo non ha bisogno di due Bulma Brief» sospira, voltandosi verso la finestra e il cielo nero in tempesta. «L’altra me stessa è senza alcun dubbio una Bulma Brief migliore». Si ferma per un istante, stringendo i pugni e abbassando di nuovo lo sguardo. «Lei ormai è parte integrante di questo mondo. Se me ne andrò, tutto si risolverà».
«Risposta sbagliata» scandisco, sollevandole il mento tra indice e pollice per obbligarla a guardarmi negl’occhi. Mi sforzo di non ansimare, ma mi sembra di iniziare a vedere sfocati i suoi occhi azzurri.
«Non c’è nessun errore nella mia risposta» ribatte, indurendo lo sguardo.
«Invece è piena di errori, fin dal principio» le spiego, mentre un brivido mi attraversa le ossa.
«Allora… allora spiegami quella foto! Quella che avete scattato stanotte voi tre!» grida all’improvviso Bulma, battendo i pugni sul banco e cominciando a piangere. «Avrei fatto carte false per esserci! E invece c’era lei, una copia appena arrivata!» sbraita, facendomi sentire un nodo in gola sempre più forte. Mi fa malissimo vederla così. «Cos’altro dovrei pensare dopo aver visto quella foto?! Ormai non c’è più posto per me, qui! Nessuno ha bisogno di me!» aggiunge, senza smettere di piangere. «A te e Vegeta non cambia niente se c’è l’altra Bulma, vero?! E tu sei uno stronzo! Tu… tu non hai un cuore! Sei… sei un insensibile e basta…».
«Ma sei scema o cosa?!» sospiro, appoggiandomi a un banco alla mia destra. Mi sento le gambe molli, la testa sembra possa scoppiarmi da un momento all’altro. «E lo scopri solo ora?! Lo sai quanto so essere insensibile, io, se voglio…» accenno un sorriso, sapendo che le sue parole sono dettate solo da uno sfogo causato dalla rabbia e che non pensa davvero questo di me. «E, dato che sono un insensibile di merda senza cuore, non risponderò alle stronzate che hai detto, ma ti do appuntamento alle 18.30 del 12 agosto alla stazione Kugenuma-Kaigan per andare a vedere i fuochi. Spero ci sarà anche Lazuli, ma tu vedi di non mancare. Per me non è la stessa cosa se ci sei o se non ci sei».
«Son-kun… io…».
«Basta, ho finito» la interrompo, voltandomi. «Io… io… voglio andare a casa…» aggiungo in un sussurro, mentre le ginocchia mi cedono e mi ritrovo appoggiato a una sedia, tossendo.
«Son-kun! Son-kun! Stai male?!» grida Bulma, che corre da me e mi abbraccia per sorreggermi. «Ma… ma tu sei bollente!» aggiunge, allarmata, mentre la sua voce mi sembra sempre più lontana.
 
Riapro gli occhi e vedo tutto bianco davanti a me. Dove sono?
«Alla buon’ora…».
Mi volto sulla sinistra e guardo Lazuli accennare un sorriso, seduta su una sedia ma con la testa appoggiata al letto su cui sono disteso, accanto al mio braccio.
Sono in un letto?! E cosa ci fa qui Lazuli? Sto sognando?
E perché nell’altro braccio ho una flebo? Una flebo?!
«Finire in ospedale è quello che ti meriti per essere andato in giro con questo temporale» sibila, alzandosi in piedi e avvicinando la sua faccia alla mia, guardandomi male.
«Là… tu… io…» farfuglio confuso, perdendomi nei suoi occhi di ghiaccio. Sento il rumore della tempesta arrivare ovattato da fuori.
«Le analisi che ti hanno fatto erano tutte a posto, ti era solo venuta la febbre in un momento in cui eri molto debole» continua, mettendo le mani dietro la schiena e avvicinandosi di più. «Hanno detto che dopo la flebo la temperatura si sarebbe abbassata subito, fammi controllare» aggiunge, appoggiando la fronte contro la mia e togliendomi il fiato.
Sento il suo profumo fresco, il suo respiro. La sento vicina, e mi fa sempre effetto dopo qualche giorno che non la vedo. È… è bellissima.
«Si direbbe che non hai più la febbre, hai anche dormito qualche ora, poi» aggiunge, con apparente distacco, rialzandosi e continuando a guardarmi negli occhi. «Beh?! Cos’è quella faccia da pesce lesso?!»
«Non è colpa mia…» sospiro, accennando un sorriso. «È che mi sono trovato davanti una senpai super bellissima, sai com’è…».
«Vedo che sei sano come un pesce» sbuffa, afferrandomi il naso tra indice e pollice per poi contorcerlo, facendomi imprecare e dimenare nel letto.
Nel letto di un ospedale, come due anni fa… ma quante cose sono cambiate da allora? Quanto sono io ad essere cambiato, da allora?
Sorrido, mentre allungo una mano verso Lazuli. Sorride a sua volta, mentre intreccia le sue dita intorno alle mie. Sembra che sappia quello che sto pensando.
«Scusa, Là…» sospiro. «Tu eri impegnata con le riprese e invece sei qui per colpa mia…».
«Ci sono cose più importanti di alcune stupide riprese» sibila, distogliendo lo sguardo dal mio e arrossendo lievemente. Mi fa battere il cuore più forte che mai, come solo lei sa fare e forse non immagina neanche quanto sia in grado di farlo. «Mi ha chiamata Bulma, in tutte queste ore non si è mai spostata dalla sala d’attesa. Io mi sono fatta portare qui dalla mia manager, tornerò con lei a Tokyo domattina perché stanotte la voglio passare con te».
«E lei non ha avuto niente da obiettare?»
«Devi sapere che nel nostro lavoro i manager hanno sempre qualcosa da obiettare perché si preoccupano fin troppo di tutto…» sbuffa. «Ma Piiza-san l’ho scelta io perché mi è sembrata subito una ragazza a posto. E, infatti, come vedi, sono qui e non su un set di Tokyo, adesso».
«Non so come farei se tu non ci fossi, Là» sorrido, accarezzandole una guancia e sistemandole una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio. Indossa come sempre la sua mollettina nera glitterata a forma di testa di coniglio.
«Ecco, vedi di non pensarci troppo mentre vado a dire alla dottoressa che ti sei svegliato e stai meglio, così magari ci lascia tornare a casa» risponde con apparente distacco, mentre si allontana da me e si dirige verso l’uscita della stanza. «Ah, Rad, nel frattempo dovresti andare a dire qualcosa a Bulma in sala d’attesa. Si sente molto in colpa, è preoccupata».
 
«Son-kun?!» sgrana gli occhi Bulma, non appena mi siedo accanto a lei in sala d’attesa, dopo aver trascinato con me tutto l’armamentario per la flebo che ho ancora attaccata al braccio.
«Mi sento un deficiente con questo camice…» borbotto, aprendo le braccia. Non c’è nessuno oltre a noi. «Mi spiace averti fatto preoccupare».
«Puoi ben dirlo. Sei stato scorretto a fare così…» sospira, distogliendo lo sguardo dal mio. «Come potevo abbandonarti a scuola in quelle condizioni?!»
«Allora è meglio che sia andata così, almeno adesso sei ancora qui con me» le sorrido.
«Son-kun, io…» sussurra, guardando per terra.
«Sei proprio sicura che nessuno abbia più bisogno di te?» la interrompo. «Che tutto si sistemerà, se te ne andrai?» aggiungo, restando per qualche istante in silenzio, senza ricevere tuttavia risposte. «Beh, sappi che non voglio mai più sentire queste stronzate».
Bulma riprende a guardarmi negl’occhi e accenna un sorriso. Nei suoi occhi azzurri torno a rivedere un lampo di sereno, una luce che avevo quasi dimenticato sul suo volto.
«Guarda che non c’è niente di male ad odiare sé stessi…» riprendo. «Pensa, ci sono dei giorni in cui anch’io sopporto a malapena la mia esistenza, in cui mi danno per come avrei potuto gestire alcune situazioni per fare andare meglio certe cose. Ce ne sono altri in cui odio le cicatrici che ho sul petto. C’erano anche delle volte in cui soffrivo quando tutti mi parlavano dietro, anche se non lo davo a vedere. Quando ti fanno sentire diverso, sbagliato. Quando ti spingono ad odiare te stesso».
«Dovevo aspettarmelo da te, Son-kun» sorride dolcemente Bulma. «Di solito in questi casi una persona direbbe qualcosa del tipo “puoi iniziare ad amare te stesso un passo alla volta”, oppure frasi come “hai un sacco di lati positivi”, non credi?»
«Una dose eccessiva di ottimismo toglierebbe ogni energia ad una ragazza seriosa e razionale come te!» esclamo, sorridendo a mia volta.
«Sei il peggio del peggio, Son-kun» sbuffa, guardandomi male. «Però ora mi sento… sollevata» aggiunge, sorridendo di nuovo e guardando fuori dalla finestra. Respira a fondo, chiudi gli occhi per un lungo istante. «Davvero… non sai che peso mi sono tolta».
«Andrà tutto bene» la rassicuro.
«Senti…» riprende con un filo di voce, senza guardarmi in faccia. Sembra imbarazzata. «Posso… posso venire anch’io a vedere i fuochi con voi?»
«No» sbotto, facendo sì che la mia amica si volti in mia direzione con gli occhi sgranati. «Non se lo chiedi così».
«Voglio venire anch’io a vedere i fuochi!» sbotta, determinata.
«Lo stai chiedendo alla persona sbagliata…» rispondo con nonchalance, indicandole col capo il telefono pubblico accanto a noi. Il mio cellulare è rimasto nella stanza, mentre il suo è ancora a casa mia.
Bulma si alza, titubante, e raggiunge l’apparecchio. Infila una moneta e compone il numero di casa sua.
«Sono io» le sento dire, mentre stringe forte la cornetta.
«Sì, mi sono incontrata con Son-kun» conferma all’altra sé stessa.
«Ad ogni modo… ecco, avrei una richiesta!» esclama, prendendo coraggio. «Voglio venire anch’io a vedere i fuochi!»
In quel momento osservo con stupore la figura di Bulma dissolversi davanti ai miei occhi. La cornetta del telefono pubblico ciondola nel vuoto, con il filo che continua ad ondeggiare. È sparita, si è smaterializzata davanti ai miei occhi.
Mi alzo e porto all’orecchio la cornetta. «Sei ancora lì?» domando.
«Torna pure in camera, Son-kun» risponde Bulma. «Stai facendo aspettare Lazuli-san».
«Sei tornata ad essere una persona sola?»
«Sì… ed è solo grazie a te» sospira. «Vedi di non fare tardi per i fuochi e di portare anche la tua ragazza» aggiunge, prima di chiudere la conversazione.
«Ti lascio solo un attimo e impari anche a far scomparire la gente? Affascinante…».
La voce di Lazuli mi fa voltare in sua direzione. È in piedi accanto all’ingresso della sala d’attesa con le mani incrociate sotto il seno e un sorriso accennato sul volto. Deve aver visto tutto anche lei. «Dai, andiamo a farci togliere la flebo e torniamo a casa. Ho già chiamato un taxi».
 
«Anche se ormai stai bene, domani vedi di stare a riposo dagli allenamenti di calcio!» mi sgrida Lazuli, perentoria.
«Ma mancano solo sei giorni alla partita! E io sto benissimo, adesso! Avevo solo bisogno di riposarmi…» provo a protestare.
«Ecco, appunto! Visto che mancano solo sei giorni, vuoi rischiare di avere una ricaduta e saltare la partita?!» sbotta. «Guarda che me ne torno a casa mia se non mi dai retta… ci tengo a te, scemo» aggiunge, irritata, mentre le accarezzo i capelli e le do un bacio sulla testa. «E guai a te se vengo a sapere che mi hai disubbidito!»
«Sì, mammina…» sbuffo, ricevendo in cambio un pugno in pieno stomaco.
«Senti Là, ti andrebbe di venire con me, Bulma e Vegeta a vedere lo spettacolo dei fuochi d’artificio di Enoshima tra tre giorni?» le chiedo, cambiando discorso, sdraiato insieme a lei nel letto di camera mia.
Mi sento decisamente meglio, la febbre sembra essere già sparita e riposare un po’ mi ha aiutato. Stanotte posso tornare a dormire nel mio letto e non più in un futon in salotto, dato che Bulma ha risolto i suoi problemi. Ma la cosa più bella di tutte è poter essere qui con la mia ragazza, con la sua testa appoggiata sul mio petto. «So che non dovremmo farci vedere in pubblico insieme, però, sai…».
«Certo che vengo» mi interrompe, girandosi repentinamente a pancia in giù e puntando i suoi occhi di ghiaccio nei miei.
Da fuori entra la luce dei lampioni e di qualche stella, dato che ha smesso di piovere, finalmente.
«Sarà pieno di sgualdrine in yukata pronte a metterti gli occhi addosso, come fanno a scuola nell’ultimo periodo. Mi sembra giusto venire e mettere in chiaro un paio di cosette» sibila, guardandomi duramente. «E poi… non saresti curioso di vedere anche me in yukata?» aggiunge con un filo di voce, distogliendo lo sguardo dal mio e arrossendo leggermente. Quanto sa essere adorabile senza neanche rendersene conto questa ragazza?!
«Ti ho vista con la divisa scolastica, con un completino da coniglietta e anche nuda» la provoco, prendendole il mento tra indice e pollice per imporle di guardarmi. «Mi sembra doveroso vedere quanto sei bella con su uno yukata».
«Però… però voglio che ne indossi uno anche tu» ribatte, sorridendo furba. «Altrimenti non lo metto nemmeno io».
«Hai voglia di ricatti, vedo…» sospiro roco, avvicinando pericolosamente le mie labbra alle sue. «Spero che tu abbia anche voglia di vedere quanto mi sei mancata…» aggiungo, baciandola dolcemente e a lungo, stringendola a me.
Lei si sdraia a cavalcioni sopra di me, senza smettere di baciarmi. Mi sfila la maglietta, in silenzio, e la getta a terra, prima di togliersi la sua e riprendere a baciarmi. Penso di esserle mancato anch’io, a quanto pare. E anche di averla fatta preoccupare stasera. Ma non ho molto tempo di pensare a queste cose. Non adesso.
Facciamo l’amore per tutta la notte. Finché ne abbiamo, finché non crolliamo vinti dalla stanchezza e dal sonno.
 
 
12 agosto
 
«Quando ho su lo yukata mi sento un coglione… tsk!» sbotta Vegeta, irritato, stringendo l’obi bianco che fissa in vita il suo yukata blu scuro. «Non dovevo farmi obbligare da te a metterlo…».
«Non è colpa mia se quelle due ci hanno ricattato…» sbuffo, guardando il mio yukata nero fissato con un obi beige. «Non l’avrebbero messo nemmeno loro in caso contrario».
«Parla per te! È la tua ragazza che si è inventata questa condizione!» ribatte, mentre continua ad arrivare sempre più gente davanti alla stazione, dove stiamo aspettando Lazuli e Bulma per andare a vedere lo spettacolo pirotecnico.
«Non l’avrebbe messo nemmeno Bulma… pensi che sia un caso che vengano qui insieme?» sbuffo. «E poi, scusa, non sei curioso di vedere Bulma in yukata? L’anno scorso non l’aveva messo».
«Io… no… fatti i cazzi tuoi…» sibila Vegeta, incrociando le braccia sul petto e voltandosi dall’altra parte.
«Là! Bulma!» chiamo a gran voce le ragazze, agitando una mano in aria per farmi vedere in mezzo alla folla.
«C-ciao…» farfuglia Bulma, abbassando la testa non appena ci vede. Penso sia imbarazzata dal farsi vedere in yukata. Sta benissimo però, il suo è azzurro con dettagli floreali blu e decorazioni rosa, fissato con un obi lilla.
«Ciao» esclama Vegeta, in tono risoluto, soffermandosi qualche secondo di troppo sulla sua figura, prima di voltarsi di nuovo.
Lazuli accenna un sorriso e i nostri sguardi si incrociano. Mi soffermo anch’io su di lei per qualche secondo di troppo, ma ne vale decisamente la pena. È semplicemente incantevole col suo yukata celeste con ricami rosa e gialli a forma di fiori di ciliegio e l’obi fucsia.
«Hai finito di spogliarmi con gli occhi, maiale?» mi domanda in un sussurro, non appena si avvicina a me e le cingo un fianco con la mano, iniziando a camminare verso la spiaggia dove è stata montata una tribuna per assistere allo spettacolo.
«Veramente no» ghigno. «Mi fai impazzire» le bisbiglio roco in un orecchio.
«Bravo, qualunque altra risposta avrebbe potuto scatenare la mia ira» accenna un sorriso. «Comunque anche tu non sei male».
«Sì, ma ti assicuro che sono meglio senza questo yukata addosso!» ridacchio.
«Questo lo so già» sorride maliziosa, dandomi un bacio a fior di labbra e prendendomi per mano, accelerando il passo. «Se non ci muoviamo non troveremo più posti a sedere!» sbotta, guardando Bulma e Vegeta che ci seguono in silenzio, uno accanto all’altra, visibilmente a disagio. Quanta pazienza mi tocca portare con quei due imbranati?!
«T-ti sei rimessa gli occhiali?!» farfuglia Vegeta, che ormai si era abituato a vedere Bulma II con le lenti a contatto e la coda.
«S-sembro strana?!» sbotta lei, distogliendo lo sguardo.
Do una gomitata nel fianco a Vegeta, che si volta stizzito verso di me.
«N-no! Perché dovresti!» sbotta, imbarazzato. «Hai… hai anche la treccia oggi!» aggiunge, notando in effetti una pettinatura che non avevo mai visto su Bulma da quando la conosco.
«Me l’ha… me l’ha fatta Lazuli-san…» farfuglia lei, a disagio.
«Dille qualcosa sul suo yukata, coglione» sussurro, cercando di scandirgli bene le parole. «Muoviti!» aggiungo, mentre sento Lazuli soffocare a stento una risata, attaccata al mio braccio. Il mio amico resta in silenzio, come interdetto, e capisco che mi tocca prendere in mano la situazione.
«Ops!» esclamo con nonchalance, mentre passo accanto a Bulma e lo do un lieve spintone che la fa finire addosso a Vegeta.
«S-scusa!» grida lui, arrossendo e indietreggiando meccanicamente, rigido come un robot.
«D-di niente… cioè, scusami tu…» farfuglia Bulma, paonazza, sistemandosi gli occhiali e distogliendo lo sguardo da lui. «Son-kun!» sbotta, stringendo i pugni e incenerendomi con lo sguardo, prima di girarsi dall’altra parte.
Quanto sono imbranati quei due?!
«E stai attento quando ti muovi, Rad! Tsk!» mi sgrida Vegeta, irritato, lanciandomi un’occhiataccia.
«Ops! Le mie scuse…» allargo le braccia in modo teatrale, mentre Lazuli al mio fianco si sforza di non ridere. «Lo yukata, Prince! Lo yukata!» aggiungo in un sussurro, indicando al mio amico con un cenno del capo Bulma, ancora girata.
«Ecco… stai… stai bene in yukata!» sbotta Vegeta, con la stessa delicatezza di un orso in un negozio di cristalli, prima di incrociare le braccia al petto e guardarmi, mentre Bulma si volta e arrossisce vistosamente. Ma da quando è diventato così impacciato con le ragazze?! Con Bulma, poi?! «Vero, Rad?!» aggiunge, cercando disperatamente di tirarmi in mezzo, mentre prendiamo posto sulla tribuna e lei si siede in mezzo a noi due.
«Certo, lei e Là fanno a gara a chi è più figa stasera!» esclamo, guadagnandomi un’occhiataccia da Bulma alla mia sinistra e una poderosa gomitata sulle costole dalla mia ragazza a destra.
«C’è anche la tua amichetta primina, hai visto?!» sibila Lazuli, conficcandomi le unghie nella mano e rivolgendo uno sguardo di fuoco in direzione di Lunch e del suo gruppo di amiche, che stanno cercando posto anche loro e non si sono accorte di noi.
«Senpai!» mi chiama a gran voce Lunch, da lontano, non appena mi scorge. Insieme a lei si mettono a salutarmi e a sorridermi anche le sue amiche. Riconosco Mai e le altre due del suo nuovo gruppetto, ma vedo che ci sono con loro anche Lucy, Erza e Mira, quelle che aveva tanto paura di deludere a causa di Yamcha Wolf. Sono diventate un gruppo unico, a quanto pare, e tutto questo non può che rendermi felice. In questo anello temporale non ci ho avuto a che fare spesso come in quello in cui mi sono finto fidanzato con Lunch, però, essendo lei comunque una mia collega al “Kame House”, ho avuto modo di conoscerle e di parlarci insieme a scuola e al lavoro.
«Sbaglio o sono tutte gentili con te, le primine?» ringhia a denti stretti Lazuli, andando più a fondo con le unghie e salutandole con la mano libera, sorridendo amabilmente. Che splendida “falsona” che è quando vuole. Un sorriso da attrice consumata rivolto a loro mentre tortura me. La amo alla follia.
«Sei un incorreggibile maiale, Son-kun…» sospira Bulma, dando man forte alla mia ragazza. Le odio quando si coalizzano. Le odio, ma le adoro allo stesso tempo, in realtà.
«Ma… cosa ho fatto?!» provo a protestare, cercando aiuto nello sguardo di Vegeta che, ovviamente, si limita a sorridermi sghembo.
«È il prezzo da pagare se vuoi metterti in competizione con me per diventare il ragazzo più popolare della scuola, tsk!» si limita a dire, prima di incrociare le braccia al petto e alzare lo sguardo verso il cielo buio, dove, nel frattempo, sta per cominciare lo spettacolo.
«Ma guarda che a me non me ne freg-…» provo a rispondere, prima di venire interrotto da Lazuli, che mi afferra il mento con una mano e mi fa voltare verso di lei, prima di regalarmi un bacio breve ma impetuoso. Bollente, soprattutto.
«Parli troppo, Son» sussurra roca, non appena si stacca da me e si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Il primo fuoco d’artificio viene sparato nel cielo, e io vedo le sue luci riflesse negli occhi di ghiaccio di Lazuli. Accenna un sorriso, dolce e malizioso al tempo stesso, prima di prendermi per mano e volgere lo sguardo verso l’alto. «E comunque mi sembrava giusto segnare un po’ il territorio».
 
Lo spettacolo prosegue a lungo, mentre continua ad arrivare gente per seguirlo anche in piedi, a due passi dal mare.
È un gioco di luci meraviglioso e quasi non mi sembra vero di essere qui ad assistervi mano nella mano con la mia ragazza. Come non avrei mai potuto immaginare che la mia ragazza sarebbe stata proprio Lazuli Eighteen, qualcosa che andava al di là della mia stessa immaginazione.
Però la vita penso che sia bella proprio perché sa sorprenderti sempre, anche nelle cose belle. Anzi, soprattutto nelle cose belle, anche se spesso tendiamo a soffermarci sui casini che ci capitano, su quando sembra andare tutto male.
Essere qui con lei adesso mi ripaga di tutto il dolore che ho provato, della paura di non farcela.
Le stringo la mano più forte e gliela accarezzo delicatamente col pollice, mentre lei appoggia la testa sulla mia spalla e mi fa battere il cuore più forte.
«Vegeta…» sento bisbigliare Bulma, nonostante il rumore dei fuochi.
«Uhm?» ribatte lui, avvicinandosi a lei con la testa per sentire quello che ha da dirgli.
Li seguo con la coda dell’occhio per non essere indiscreto, ma non riesco a sentire le parole che la mia amica gli sussurra nell’orecchio.
«Non devi… non devi darmi per forza una risposta adesso… so che è un periodo complicato per te…» sospira Bulma, non appena allontana la sua faccia dall’orecchio di Vegeta e consente anche a me e, immagino, Lazuli, di sentire. Volge di nuovo lo sguardo verso il cielo, penso stia sorridendo. «Volevo solo che lo sapessi…».
«Io… io non ho bisogno di darti una risposta» sbotta Vegeta, con un tono di voce così alto da superare i botti dei fuochi d’artificio. La guarda intensamente e le sfila gli occhiali. Mi sembra aver ritrovato la sua consueta sicurezza. Proprio in quel momento un soffio di vento fa sciogliere la treccia di Bulma, con il nastro rosa che aveva usato Lazuli per fissargliela che vola via, contribuendo a rendere ancora più magica l’atmosfera. «Sai, da quando ti conosco ti ho sempre guardata, ma oggi mi rendo conto di non averti mai guardata davvero. Non come avrei dovuto, almeno».
«Vegeta, io…» sussurra Bulma, allungando una mano verso quella di Vegeta che stringe la bacchetta dei suoi occhiali, appoggiandogliela sopra.
«Cioè, non ho bisogno di darti una risposta perché mi basta questo» la interrompe lui, prima di baciarla all’improvviso. Bulma gli cinge il collo con le braccia e si lascia condurre in qualcosa che immagino avesse tanto desiderato.
Mi volto istintivamente verso di loro, che continuano a baciarsi, e che non sembrano in grado di staccarsi da quanto evidentemente si bramavano a vicenda da chissà quanto tempo. Vedo una lacrima scendere dall’occhio chiuso di Bulma e bagnarle una guancia, mentre Lazuli mi appoggia una mano sulla coscia e richiama la mia attenzione.
«Andiamo» mi dice in un orecchio. «Lasciamoli soli» aggiunge, prendendomi per mano e facendo per scendere dalla tribuna gremita di gente. «Senza di noi saranno più a loro agio» riprende, non appena raggiungiamo un punto più appartato della spiaggia.
«Anch’io avevo voglia di stare un po’ da solo con te» le sorrido, cingendole un fianco con la mano e stringendola a me. «Vieni, voglio farti vedere i fuochi da un posto segreto!» esclamo, facendo per allontanarmi dalla spiaggia.
«Perché andiamo via da qui? Non è più bello guardarli in riva al mare?»
«Ti fidi di me?» ribatto, attraversando la strada e entrando in un parchetto buio e deserto, in mezzo al quale c’è uno scivolo molto alto.
«Sì…» accenna un sorriso lei, prendendomi per mano.
Salgo la scalinata dello scivolo, seguito da Lazuli, e mi fermo insieme a lei sul pianerottolo prima della discesa.
«È… è bellissimo qui!» esclama Lazuli, appoggiandosi alla ringhiera e guardando il mare sotto di noi come se fossimo su una sorta di promontorio e i fuochi d’artificio che continuano ad essere sparati nel cielo.
La abbraccio da dietro e la stringo a me.
Non guardo i fuochi, continuo a guardare lei.
«Non ti interessa più lo spettacolo?» mi chiede, con un filo di voce, senza distogliere gli occhi dal cielo.
«Certo che mi interessa, infatti sto ammirando lo spettacolo che più mi interessa» le rispondo roco in un orecchio. «Cioè tu».
Lei gira la testa leggermente senza voltarsi. Riesco a vedere i suoi occhi di ghiaccio nei miei. Le luci dei fuochi si riflettono in loro, proprio come prima in spiaggia.
Ci baciamo, mentre continuo a ad abbracciarla da dietro. Ci baciamo a lungo, non saprei dire per quanto. Di sicuro per troppo poco, dal mio punto di vista.
«Sai, Rad, stasera questo mi sembra il posto più bello che abbia mai visto, anche se è solo uno scivolo» sussurra dolcemente. «Mi sembra il posto più bello del mondo».
«Io lo conosco già il posto più bello del mondo» rispondo, stringendola più forte a me. «Siamo noi, Là. Il posto più bello del mondo siamo noi».
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: eccoci giunti alla fine di un capitolo lungo, intenso e immagino tanto atteso visto quello che è successo. Io posso solo sperare che vi sia piaciuto come Rad sia riuscito in qualche modo a far “guarire” Bulma e come siano arrivati a baciarsi (finalmente…) lei e Vegeta. “Il posto più bello del mondo” del titolo (che poi è il titolo di una bellissima canzone di GionnyScandal), invece, sono i nostri Rad e Là, che spero vi siano piaciuti nella loro consueta complicità. Io li ho adorati qui, come spero vi siano piaciute le riflessioni che fa Radish su di lei durante lo spettacolo pirotecnico. Su quanto la vita possa essere capace di sorprenderci in positivo, anche se magari è più facile crollare quando ci sorprende con una batosta improvvisa. Rad ha imparato col tempo a cercare di soffermarsi sulle cose belle, su ciò che ha e non su ciò che non ha più e sui fatti negativi. Non è sempre facile farlo, ma penso sia un buon consiglio di vita da parte sua.
Come spero vi sia piaciuto ciò che dice a Bulma in ospedale: bisogna essere positivi in generale, ma a volte capita a tutti di odiare sé stessi per qualche motivo e non c’è niente di male a farlo. Basta poi raccogliere i pezzi e andare avanti, provando a sorridere di nuovo.
In tutto questo, spero davvero tanto vi sia piaciuta la conclusione della saga di Bulma e ringrazio i fans della coppia Vegebul di aver avuto così tanta pazienza! Spero che vi piacerà anche il proseguimento della storia, perché devono ancora succedere tante cose e ci sarà spazio per tutti i personaggi visti finora, oltre a una grandissima new entry che avrete ormai intuito e che vedremo all’opera molto presto!
 
Come sempre ringrazio tutti voi che mi lasciate sempre un pensiero, una recensione, un incoraggiamento. A voi che mi trasmettete sempre entusiasmo e che mi rendete felice dicendomi la vostra opinione sui vari capitoli di una storia che conta davvero molto per me, come questa.
Un grazie enorme va anche a chi continua a leggere e ad apprezzare, se volete dirmi anche voi che cosa ne pensate della conclusione della vicenda dei nostri cari VegeBul fatemelo sapere!
Ringrazio poi immensamente la bravissima Sapphir Dream per questi due disegni meravigliosi che rappresentano due momenti clou del capitolo. E un grazie va a lei anche per avermi con questi disegni suggerito la gag di Rad che spinge Bulma addosso a Vegeta e il fatto che il Prince tolga gli occhiali a Bulma prima di baciarla, con tanto di treccia che si scioglie. Anche la treccia per Bulma in onore dei vecchi tempi della prima serie di Dragon Ball è opera sua, così come la frase che Vegeta le dice sul fatto che non l’aveva mai “guardata davvero”. Quando mi ha inviato questi disegni, ormai quasi un mese fa, il capitolo era già scritto e così è stato semplice per me sistemarlo con le sue idee, così come descrivere gli yukata in base al suo character design (io li avevo soltanto tratteggiati a grandi linee, questi sono decisamente meglio!).
Se volete rivedere il meraviglioso yukata di Là, vi ricordo che l’avevo postato insieme al capitolo 24 di settimana scorsa come anticipazione. E lì troverete anche le versioni in yukata pensate da Misatona in base alla sua bellissima interpretazione, con tanto di presenza di Lunch. Un’affascinante Mai in yukata, invece, la potete vedere allegata al capitolo 22, sempre realizzata da Sapphir Dream insieme a Lunch.
 
Bene, non mi resta che darvi appuntamento a mercoledì prossimo col nuovo capitolo, che avrà come titolo “Testa, cuore e gambe”. Avrà finalmente inizio la finale del campionato provinciale della prefettura di Kanagawa tra il piccolo e sconosciuto Liceo Minegahara di Fujisawa e i fortissimi campioni in carica del liceo Joiyn di Yamato.
Riuscirà Rad a fermare Broly? Ce la farà Vegeta a segnare e a vincere la classifica dei marcatori? E il timido esordiente Cabba come se la caverà contro avversari così forti? Riuscirà il portiere e capitano Napa a qualificarsi per il Campionato Nazionale o questa sarà l’ultima partita per lui e gli altri del terzo anno?
Io ve lo dico, ci sarà da emozionarsi anche se non vi piace il calcio, perché spesso capita che lo sport non sia altro che una metafora della vita. Per me è così, almeno, e i prossimi due capitoli che leggerete li ho scritti col cuore in mano e il pallone tra i piedi, visto che il destino ha voluto che li scrivessi proprio durante il primo dei tre tornei di calcio a cui ho partecipato questa estate e di cui magari vi racconterò più avanti.
Ci saranno in scena anche Lazuli, Bulma, Lunch, Mai e due ragazze che non avevamo ancora conosciuto in questa storia, che saranno le manager del club di calcio e che Corsaro Nero tempo fa aveva già intuito.
Ringrazio chi aspettava con ansia un momento dolce tra i VegeBul e anche chi attendeva trepidante la partita di calcio, spero che vi divertirete! A mercoledì!
 
Teo
 

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Capitolo 26
*** Testa, cuore e gambe ***


26 – Testa, cuore e gambe
 
 
15 agosto
 
«Allora, come ti senti all’idea di tornare in campo?» domanda Lazuli mentre ci dirigiamo verso la nostra scuola, dove oggi affronteremo il fortissimo Liceo Joiyn di Yamato. È una finale, e loro sono i campioni in carica. Sarà una battaglia.
Sono felice che giocheremo in casa, sul campo della nostra scuola. Sullo stesso campo dove ho giocato la mia ultima partita, un anno fa. Su cui ho segnato il mio ultimo gol. E in cui la mia vita è cambiata in meglio, quando ho baciato per la prima volta Lazuli.
«Sei eccitato?»
«Non tanto quanto mi eccita starti vicino…» sospiro roco, stringendo forte il mio borsone da calcio e guardandola nei suoi occhi di ghiaccio nascosti dagli occhiali da sole.
«Questo mi sembra scontato» accenna un sorriso, sistemandosi meglio in testa un cappellino nero con il logo anni ’90 dei Toronto Raptors che ha abbinato alla divisa scolastica. Ha voluto cercare di rendersi un po’ meno riconoscibile del solito, perché secondo lei ci sarà tantissima gente a vedere questa partita, oltre agli studenti della nostra scuola che accorreranno in massa grazie all’importanza del match. Continuiamo a comportarci con discrezione in pubblico, non voglio crearle problemi sul lavoro. Alla fine è andata bene l’altra sera durante lo spettacolo dei fuochi d’artificio, la sua manager non le ha detto nulla ed è stata una serata indimenticabile. Per noi due, ma anche per Bulma e Vegeta, immagino. Non ho più saputo nulla su come sono rimasti e se per caso si siano rivisti, al lavoro il mio amico rispondeva a grugniti e monosillabi più del solito quando ho provato a indagare. Ma immagino sia andato tutto alla grande per loro. Che staranno bene insieme.
«Sei riuscito a dormire?» mi chiede.
«Avrei dormito anche di più se qualcuno me l’avesse permesso» ribatto malizioso, alludendo a quello che abbiamo fatto ieri sera io e lei a casa mia.
«Avrai tempo e modo di dormire quanto vorrai nelle prossime due settimane, visto che sarò impegnatissima col lavoro e ci potremo vedere poco e niente» sibila, glaciale e sprezzante. «Ne sarai felice, immagino. Cretino».
«Come potrei essere felice lontano dalla mia senpai super bellissima preferita?!» rispondo, stringendola a me e dandole un bacio a fior di labbra. «Al solo pensarci mi si spezza il cuore, Là…» aggiungo in un sussurro, serio.
«Anche a me, Rad…» sospira, sfilandosi gli occhiali da sole e stringendomi una mano. «Per questo voglio vederti giocare una grande partita, oggi. Dovete vincere, e tutti devono vedere chi è Radish Son».
«Lo farò».
 
«Son, so che non è facile e che non giochi una partita vera da un anno, ma devi riuscire a fermare Broly Berserk» mi sprona il mister, che sta finendo di dare le indicazioni per la partita ai titolari. «Devi guidare la difesa, so di potermi fidare di te».
Annuisco, per poi sistemarmi i calzettoni e avvolgerli intorno ai parastinchi. Gesti semplici, fatti tantissime volte nella mia carriera, ma a cui riesco a dare valore solo adesso, forse perché pensavo che non avrei mai più giocato seriamente a calcio. Guardo le mie scarpe bianche e argentate lucidate con cura ieri sera e accenno un sorriso malinconico, perché anche loro è come si mi avessero aspettato per un anno. Infilo la maglia. La mia maglia giallonera col numero cinque. Anche lei sembra avermi aspettato per tutto questo tempo, ma nulla sembra essere cambiato davvero.
Mi volto alla mia destra, e osservo Vegeta che finisce di allacciarsi le scarpe. Ha già indossato la sua maglia numero nove, ma non ha praticamente aperto bocca oggi. È focalizzato sui suoi obiettivi, come del resto lo sono io: lui vuole vincere e vuole anche segnare almeno un gol in più di Broly Berserk, visto che sono in testa a pari merito nella classifica dei marcatori del campionato. Io voglio vincere e voglio evitare che Broly Berserk segni, perché quando sei un difensore centrale e ti viene detto di marcare un attaccante, a quel punto ti ritrovi a giocare una partita nella partita. È una sfida personale che mi ha sempre stimolato, forse uno dei pochi aspetti positivi di un ruolo delicato come quello del difensore. Perché se sei un attaccante puoi anche sbagliare tanti gol nel corso della stessa partita, ma se alla fine riesci a segnare e la tua squadra vince diventi automaticamente un eroe. In difesa è l’opposto: puoi anche fermare cento volte gli attacchi avversari e giocare una partita meravigliosa, ma se alla fine commetti anche solo un piccolo errore e la tua squadra subisce un gol decisivo finisci immediatamente sul banco degli imputati. È il prezzo da pagare, ma ci sta, perché è impagabile sentire la fiducia dei compagni, del mister e del pubblico, una volta che te la guadagni. Mi piace tantissimo far gol, ma la sensazione che si prova quando riesci a impedire alla squadra avversaria di segnarne uno è talmente bella che è difficile da descrivere.
Alla destra di Vegeta c’è Napa, con la fascia da capitano al braccio. Si infila i guantoni da portiere, mentre guarda con determinazione davanti a sé il resto dei nostri compagni, soprattutto quelli del terzo anno come lui. È l’ultima occasione per loro questo campionato provinciale della prefettura di Kanagawa. È l’ultimo pass che possono ottenere per poter arrivare a disputare il campionato nazionale. Quella di oggi è una finale, perdere metterebbe di fatto fine all’esperienza di quelli del terzo anno con questa squadra. È la loro ultima occasione, mi chiedo cosa possa passare per la testa in momenti come questi. Se prevale l’angoscia o la determinazione, la tristezza o la smania di giocare. Penso che ognuno reagisca a modo suo. Io so solo che vorrei vincere anche per loro, per permettergli di continuare a inseguire un sogno. E poco importa se fino a poco tempo fa anche loro mi consideravano un reietto, il passato è passato e ora sono i miei compagni di squadra. Conta questo per me, quando si gioca a calcio si vince e si perde in undici. Anche di più, considerando quelli che vanno in panchina come riserve e che sognano di entrare in campo, che soffrono per non poter giocare.
Su quella stessa panchina su cui è sempre rimasto seduto Cabba da quando è entrato nella squadra del nostro liceo, penso, voltandomi alla mia sinistra per guardarlo. È pallido come un lenzuolo e sembra quasi gli tremino le mani mentre si allaccia le scarpe. La sua maglia numero sei sembra più larga del dovuto su uno gracile come lui. Eppure se la cava benino a giocare, ci siamo allenati sempre insieme in questi ultimi giorni e ci siamo abituati a fare coppia in difesa nelle partitelle, ormai. Ma in una partita vera è tutto diverso, è lì che bisogna dimostrare di avere carattere, personalità. Quello che sembra mancare a lui in questo momento, teso com’è per il suo esordio ufficiale con la maglia del nostro liceo. Unico primino in campo, tra l’altro, promosso a titolare solo grazie a una squalifica e a un infortunio dei due difensori centrali che erano stati titolari fino a questo momento. Penso che sia nel pallone adesso, e l’idea di trovarsi davanti la squadra più forte e l’attaccante più pericoloso del campionato non devono aiutarlo, per di più in una partita decisiva come questa.
«Cabetsu!» lo chiama il mister, facendolo spaventare. Cabba lo guarda, piuttosto imbarazzato. È anche decisamente timido, come se non bastasse. Ma è un bravo ragazzo, mi sembra uno a posto. «Cerca di stare tranquillo e di giocare come sai. Non è facile esordire in una partita come questa e contro avversari più grandi ed esperti di te, per non parlare del fatto che ti troverai davanti il capocannoniere del campionato. Però so che puoi farcela, l’ho capito negli ultimi allenamenti» prova a rincuorarlo, mentre vedo gocce di sudore bagnare la fronte di Cabba prima ancora di scendere in campo. «Fai quello che ti dice Son».
«S-sì, Mister!» grida, con gli occhi sgranati, strappando un “tsk” a Vegeta, che si alza in piedi e si dirige verso l’uscita dello spogliatoio. Mi alzo anch’io e lo seguo, dopo aver dato una pacca sulla spalla a Cabba.
Incrocio il Mister, che mi prende da parte per un attimo. «Aiuta Cabetsu, mi raccomando» sussurra, prima di darmi una leggera pacca sulla nuca.
«Ci penso io» rispondo, determinato, annodandomi i capelli in una coda bassa e uscendo dallo spogliatoio per andare in campo a fare il riscaldamento. Il rumore dei tacchetti delle nostre scarpe sul pavimento è un suono meraviglioso in questi momenti, così come è una sensazione impagabile sentire affondare quegli stessi tacchetti nell’erba.
È una giornata bellissima, fa anche molto caldo. Non sarà facile reggere novanta minuti coi pochi allenamenti che ho nelle gambe e una temperatura così alta, ma stringerò i denti e non mollerò un cazzo. Non oggi, di sicuro. Per fortuna mi sono ripreso in fretta dalla febbre che mi aveva fatto finire all’ospedale, alla fine ho saltato solo gli allenamenti del giorno successivo come mi aveva detto di fare Lazuli.
Già, la mia Là…
Sorrido, mentre la cerco con lo sguardo tra il pubblico. La tribuna è gremita, ma resto impressionato dalla quantità di gente presente. Ci sono studenti assiepati ovunque, anche nei corridoi del lato lungo dell’edificio scolastico che danno direttamente sul campo. Guarderanno la partita dalle finestre, e c’è gente sia al pianoterra che sugli altri tre piani delle classi. È impressionante, c’è molta più gente di quando mi sono dichiarato a Lazuli davanti a tutti su questo stesso campo.
Sorrido di più, quando finalmente la vedo, seduta in tribuna nella fila più alta e in un angolo. Accanto a lei c’è Bulma, sono felice siano qui insieme. Si volta verso di me e accenna un sorriso, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Anche se non lo dà a vedere, so che è tesa forse anche più di quanto non lo sia io per il mio ritorno in campo. Non voglio deluderla, voglio giocare anche e soprattutto per lei.
«Senpai!»
Mi volto di nuovo verso la tribuna, richiamato da una voce che conosco, e vedo Lunch che saltella e mi saluta.
«Senpai!» grida di nuovo, stavolta in coro con le sue amiche, che saltellano anche loro e sollevano uno striscione con scritto sopra “Fight Son”. L’unico striscione in mio onore, gli altri sono tutti per Vegeta o generici per la nostra scuola. Sorrido e le saluto di nuovo, riconoscendo nel gruppetto anche Mai, Lucy, Erza e Mira. Mi fa piacere vederle tutte insieme, ma mi fa strano avere uno striscione in mio onore.
«Forza senpaiii!» grida Mai, mettendo le mani a megafono.
«Spezzagli le gambe, Son!» sbraita Erza, stringendo un pugno e agitandolo verso l’alto.
«Non sta bene dire così, Erza-chan!» la corregge Lucy, con voce stridula, prima di farmi l’occhiolino e puntare il pollice verso l’alto in mia direzione.
«Metticela tutta, senpai! Buona fortuna!» mi incoraggia dolcemente Mira, sorridendo.
«Devi vincere, senpaiii!» grida di nuovo Lunch, agitando lo striscione.
Le saluto sollevando la mano e mi volto nuovamente verso l’estremità della tribuna, sudando freddo. Percepisco un’aura tenebrosa e glaciale farmi provare un brivido lungo la schiena. Lazuli si limita a mimare con un dito della sua mano il classico gesto del tagliagole, prima di ricomporsi come se nulla fosse successo e guardare altrove, gelida e distaccata, sistemandosi anche la visiera del cappellino. Deduco che non abbia gradito il mio gruppetto di fans… ma vorrà tagliarla a me o a loro la gola? Meglio non saperlo… ma mi piace quando fa così, la trovo meravigliosamente adorabile!
 
Respiro a pieni polmoni il profumo dell’erba, mentre varco la linea bianca che delimita il campo di gioco.
«Cosa c’è, Rad?» mi chiede sprezzante Vegeta, accanto a me e con le braccia incrociate al petto. «Hai quel sorriso da deficiente stampato sulla faccia da troppo tempo, e non è solo perché c’è la tua ragazza in tribuna».
«Se è per quello c’è anche la tua» ghigno.
«Tsk!» sbotta, in tutta risposta.
«Sai, Prince, è difficile da descrivere…» gli spiego, facendomi serio, guardando prima l’erba e poi il cielo, sorridendo, con le mani appoggiate ai fianchi. «Penso che certe cose possa capirle solo chi ha varcato questa linea bianca» aggiungo, indicando la linea che delimita il campo di gioco dal bordocampo. «Quindi sono certo che sai come mi sento».
«Sì» sorride a sua volta, allungando il pugno chiuso verso di me. «Vinciamo questa cazzo di partita, Rad! E non far segnare quello stronzo!»
«Fidati Prince» ribatto, battendo il pugno contro il suo e cominciando il riscaldamento.
 
L’arbitro fischia, richiamando le due squadre a bordocampo per poter iniziare la partita. Ci mettiamo in fila indiana, imitati da quelli dello Joiyn. Mi metto in penultima posizione, non so nemmeno io se per scaramanzia o se per abitudine, comunque alle mie spalle c’è Vegeta, lui ci tiene ad essere l’ultimo della fila. Guardo Broly Berserk nella fila accanto, e mi sembra gigantesco da quanto è imponente. Non si volta nemmeno una volta in nostra direzione, non parla con nessuno dei suoi compagni. Guarda avanti, ha lo sguardo fisso. Sento l’adrenalina scorrermi nelle gambe ed arrivarmi alla testa. Ho voglia di giocare, ho voglia di battermi con lui.
Ci disponiamo in campo, pronti ad iniziare la partita mentre i due capitani si fermano con l’arbitro al centro del campo. Mi posiziono accanto a Cabba, davanti alla nostra area di rigore. Mi guardo di nuovo intorno, e noto che la gente continua ad aumentare rispetto a quando avevamo iniziato il riscaldamento. Credo di non aver mai giocato nemmeno io di fronte a un pubblico simile.
Mi volto verso Cabba, sempre più pallido e disorientato, proprio mentre arriva Napa, che sta corricchiando per raggiungere la porta alle mie spalle. Dà il cinque a Vegeta e a un paio di altri nostri compagni, prima di fermarsi davanti a Cabba e abbracciarlo.
«Stai tranquillo! Pensa a giocare come sai e basta!» gli dice, scuotendolo. «Guarda sempre la posizione di Son e fai quello che ti dice!»
«S-sì!» balbetta Cabba, stravolto dalla tensione, mentre il nostro capitano si dirige verso di me e mi afferra la testa con entrambe le mani.
«Io voglio andare al campionato nazionale con la maglia di questa squadra. Non voglio che questa sia l’ultima partita per me e quelli del terzo anno» sibila a denti stretti. «Non farli passare, Son. Ti prego» aggiunge, serissimo. «E stai vicino a Cabba, è terrorizzato».
«Andremo tutti insieme ai nazionali» gli sorrido, battendogli un pugno sulla schiena. Lo guardo dirigersi verso la porta e penso che sia il caso di dire qualcosa al mio compagno di reparto.
«Ehi, Cabba, ti stai cagando sotto, vero?» gli domando, sorridendo sghembo.
«S-senpai! No, ecco, io…».
«Stai pensando che non poteva capitarti una sfiga peggiore di esordire in una partita come questa, no? Squadra più forte della prefettura e il capocannoniere del campionato… tutto questo in una finale. Una partita decisiva».
«V-veramente io…».
«Sai cosa penso?» lo interrompo di nuovo. «Che invece io e te siamo fortunati a poter giocare proprio questa partita. Se oggi giocassimo contro una squadra scarsa e sconosciuta nessuno si ricorderebbe di noi. Domani invece tutti si chiederanno chi è la coppia di difensori che è riuscita a fermare Broly Berserk e che ha battuto il Liceo Joiyn» aggiungo, mentre un sorriso mi illumina il volto e non smetto di fissare gli occhi neri e intimoriti di Cabba. «Pensaci: domani tutto il Giappone parlerà di noi, perché, quando riesci a far cadere un gigante, il rumore lo sentono tutti!»
«C-credi davvero che potremo farcela?»
«Sì, e, se ce la faremo, ti dico anche che giocheremo molte altre partite insieme io e te perché diventeremo titolari, e poco importa se rientreranno i difensori del terzo anno».
«Ma tu eri già titolare l’anno scorso anche se eri al primo anno, da quello che so… e lo saresti rimasto se non ti fossi fermato».
«Certo, quindi puoi diventare anche tu titolare anche se sei al primo anno! Lasciami marcare a uomo Broly, tu pensa all’altro attaccante e cercami sempre quando hai la palla, poi ci penso io».
«Sì, senpai!» accenna un sorriso, guardando poi la tribuna e la scuola gremita, deglutendo il nulla. È ancora pallido. Non può cominciare la partita con tutta questa pressione addosso. «H-hai mai giocato davanti a così tanta gente?!»
«No, però penso che sia una figata! Cioè, è una cosa che mi carica ancora di più. Hai qualcuno di speciale a vederti? Qualcuno per cui ci tieni a giocare bene?»
«E-ecco, io…» farfuglia, abbassando la testa imbarazzato. «Per te è venuta Eighteen-senpai?»
«Certo che c’è, infatti per quanta gente ci sia oggi qui, a me interessa far bene per lei» ribatto, prima di ghignare malizioso. «Allora, c’è qualche tua compagna di classe che ti piace e sei teso perché devi giocare davanti a lei?! Dov’è?» aggiungo, guardando prima la tribuna e poi gli studenti assiepati al primo piano della scuola, quello delle classi del primo anno.
«Non è lì…» sussurra, imbarazzato.
«Nel senso che la ragazza che ti piace non è venuta a vedere la partita?»
«N-no… è in campo…» bisbiglia, arrossendo e guardando verso la nostra panchina.
«Eh?!» rido, girandomi anch’io in direzione delle nostre due manager, che stanno prendendo posto in panchina col Mister e le riserve, come sempre. Sono entrambe del primo anno ed entrambe hanno i capelli neri, solo i loro caratteri sono opposti, nonostante siano molto amiche tra loro. «Ti piace Kale, eh?!» ammicco, osservando la nostra timidissima manager sistemare le borracce.
«V-veramente… no…» farfuglia Cabba.
«Ah, ti piace Caulifla, allora! Ci avrei scommesso!» sbotto, dando una vigorosa pacca sulla schiena al mio compagno e voltandomi verso l’altra nostra manager, dal carattere decisamente vulcanico e diametralmente opposto a quello della sua amica.
«Ehi, Caulifla-chan!» la chiamo a gran voce, agitando una mano e stringendo a me Cabba. «Cabetsu-kun farà un partitone per te, vedrai!» grido, ridendo, mentre lei si limita ad incrociare le braccia sotto il seno e guardarci male.
«S-sei pazzo, senpai!» sibila Cabba, paonazzo, sfilandosi dalla mia presa. «Ci ammazzerà dopo la partita!»
«Ah, ma io sono forgiato grazie alle botte che prendo sempre dalla mia ragazza!» rido. «Vedrai che piacerà anche a te farti menare un po’!» aggiungo. «Però ora devi giocare una grande partita anche per lei, chiaro?!»
Lo guardo negli occhi, ritorno serio. Mi sembra più sciolto adesso, penso di aver fatto bene a farlo distrarre un attimo, ha anche ripreso colore.
So che può farcela. Dobbiamo farcela. Ho bisogno anche di lui per fermare gli attacchi dello Joiyn.
«Sì, senpai! Grazie!» risponde determinato, accennando un inchino in mia direzione.
 
L’arbitro dà il via alla partita, la palla è in nostro possesso e ci riversiamo subito in attacco. Mi dirigo verso Broly, che ha preso posto al centro del fronte offensivo dello Joiyn, e gli do subito una vigorosa spallata a palla lontana, giusto per fargli capire l’aria che tira. Non si sposta neanche di un centimetro, non si volta nemmeno, non si lamenta. È più grosso di me e sembra fatto d’acciaio. Credo proprio che quella di oggi sarà la battaglia più dura che io abbia mai dovuto affrontare su un campo di calcio.
Osservo la posizione di Cabba, in linea con me e vicino all’altra punta dello Joiyn. Osserva Broly ad occhi sgranati, si guarda intorno disorientato mentre le urla dei tifosi continuano a salire di volume.
I nostri avversari recuperano palla e verticalizzano subito dal lato del campo presidiato da Cabba, che sbaglia un facile intervento e permette al suo avversario diretto di involarsi verso la porta. È ancora troppo teso, cazzo!
Sento Napa urlare qualcosa, il nostro terzino sinistro prova a inseguire inutilmente l’attaccante che doveva marcare Cabba. Il pubblico che urla sempre di più, mentre Broly scatta verso la porta pronto a ricevere palla e io mi ritrovo da solo e preso in mezzo tra lui e il suo compagno d’attacco.
Non possiamo subire un gol già adesso, la partita è appena iniziata!
Prendo una decisione drastica: scelgo di mollare la marcatura di Broly e provare a tagliare il campo in diagonale per affrontare direttamente l’altro attaccante. Se mi salterà o riuscirà a passare palla a Broly saremo spacciati, i nostri centrocampisti sono in ritardo nel ripiegare in difesa ad aiutarmi. La punta dello Joiyn osserva la posizione di Broly e prova a servirlo con un passaggio rasoterra in profondità, che riesco a intercettare miracolosamente deviandolo grazie a una scivolata. La palla, tuttavia, resta in campo e torna tra i piedi di quello stesso giocatore che prova a involarsi di nuovo verso la nostra porta. Mi rialzo di scatto e lo affronto in un uno contro uno. Entro diretto sulla palla con tutte le mie forze, lo faccio letteralmente volare via e prendo una botta molto forte sul ginocchio, sbattendo contro di lui. Lo sento crollare a terra e imprecare, chiede a gran voce un fallo che l’arbitro non fischia. Mezza sega del cazzo, questi sono gli avversari che più non sopporto! Ma sono certo che la botta che gli ho dato adesso la sentirà per tutta la partita e anche Cabba farà meno fatica a marcarlo.
Passo la palla a un nostro centrocampista e torno verso Broly, per riprendere a marcarlo. È andata di lusso stavolta, ma non potremo cavarcela sempre così. Anche Cabba riprende posizione a testa bassa, mentre l’attaccante che deve marcare si rialza a fatica, zoppicando dopo il mio intervento.
«G-grazie, senpai… scusa…» farfuglia, a disagio per il suo grave errore che poteva costarci caro. Alle nostre spalle Napa incita noi e la squadra, batte le mani, dà indicazioni.
«Non devi ringraziare un compagno che combatte con te, hai capito?!» lo rimprovero, senza guardarlo per continuare a tenere gli occhi sulla palla. «Siamo una squadra, siamo una cosa sola in questo momento. Ci copriamo le spalle a vicenda. E dobbiamo farlo soprattutto io e te, tra di noi».
Lo guardo per un istante, accenno un sorriso. «Resta concentrato sulla partita e non preoccuparti se sbagli. Avremo poche occasioni per segnare oggi, proprio per questo non possiamo permetterci di subire neanche un gol. Contano tutti su di noi».
«Sì!» accenna un sorriso anche lui, finalmente determinato. Per davvero, stavolta.
 
Il primo tempo termina 0-0, ma onestamente non so quanto potremo resistere ancora giocando in questo modo. Lo Joiyn attacca da tutte la parti e solo la solidità della nostra difesa ci ha permesso di essere ancora in partita. Cabba si è ripreso dallo shock iniziale e sta giocando bene, Napa ha fatto delle ottime parate e si sta comportando come un vero capitano. Io sto dando tutto me stesso per fermare Broly Berserk e per costringerlo a giocare spalle alla porta. È un duello molto fisico, provo a non farlo respirare e a colpirlo duro ai limiti, e anche oltre, del regolamento, cercando di non farmi vedere dall’arbitro. Anche lui non si risparmia, e ne porto i segni sulle gambe, per non parlare delle gomitate che rifila quando prova a girarsi e che io puntualmente gli restituisco l’azione dopo. La cosa che mi piace di lui è che non si lamenta mai, mi sembra un guerriero e questo lo apprezzo.
Mi siedo ansimando accanto a Vegeta e mi svuoto sulla testa una borraccia di acqua fresca che mi ha passato Kale, mentre sorrido notando che Caulifla sta sgridando un paonazzo Cabba per l’errore che ha fatto all’inizio.
«Non lo farò segnare neanche nel secondo tempo, Prince» dico al mio amico, che stringe i pugni irritato e ha uno sguardo che definire rabbioso sarebbe poco.
«Non mi arriva una cazzo di palla, Rad!» ringhia. «Non riusciamo ad attaccare, ci stanno schiacciando».
«Oggi sono quelle classiche partite in cui potremo avere al massimo due o tre occasioni per segnare, ma se riusciremo a sfruttarle vinceremo» provo a rincuorarlo. «Io so che a te basterà avere anche solo un’occasione buona per buttarla dentro e farci vincere».
Lui solleva un sopracciglio e accenna un sorriso.
«Se avremo un calcio d’angolo a favore, proviamo quella cosa» sibila, mentre i suoi occhi neri brillano di ardore e follia.
«Ma ci è sempre uscita una merda quando abbiamo provato a farla in allenamento!» gli faccio notare. «E poi non abbiamo avuto nemmeno un calcio d’angolo a favore oggi… che palle, non vedo l’ora di salire in attacco per provare a segnare di testa!» sospiro, cercando con lo sguardo Lazuli in tribuna e ricordando il mio gol di un anno fa. Non riuscendo ad attaccare non siamo nemmeno riusciti a ottenere un calcio d’angolo, per ora.
«Nei prossimi quarantacinque fottuti minuti avremo un calcio d’angolo, tu stai attento alle mie indicazioni» mi catechizza Vegeta, voltandosi anche lui verso la tribuna e cercando lo sguardo di Bulma accanto a Lazuli. «Deciderò al momento se proveremo a fare quella cosa» aggiunge, battendo il pugno chiuso contro il mio e rialzandosi.
 
Il secondo tempo procede sulla falsariga del primo. È un assedio, non riusciamo a uscire palla al piede dalla difesa e ad impostare un’azione d’attacco degna di nota. Vegeta è isolato in attacco ed è costretto a ripiegare a centrocampo per cercare di aiutare la squadra, tutta schiacciata all’indietro, e provare a toccare qualche pallone per ripartire in contropiede.
In difesa non c’è un attimo di respiro, sembrano piovere palloni da tutte le parti. Respingo qualunque cosa mi capiti a tiro. Non ho idea di quanti duelli aerei ho dovuto ingaggiare con Broly, di quanti palloni ho allontanato di testa o di piede. Di quanti contrasti, di quante scivolate ho fatto. Di quante botte ho preso e di quante ne ho date.
Il caldo è atroce e nella seconda metà del secondo tempo purtroppo inizia a farsi sentire la mia mancanza di preparazione rispetto a chi si sta allenando da mesi. Inoltre, nemmeno una settimana fa sono finito in ospedale, un imprevisto di cui sento che sto iniziando a pagare le conseguenze.
Ma tengo duro, non mollo. Mi aggrappo alla maglia di Broly, lo picchio più duro, spazzo la palla più lontano che posso. Cerco di aiutare Cabba, che sta attraversando un momento di crisi a livello fisico peggiore del mio. Non è abituato a giocare una partita intera, tantomeno ai ritmi estenuanti a cui siamo sottoposti oggi e con questo caldo, oltre alla tensione di un match decisivo per le sorti del campionato e della nostra squadra.
Allontano l’ennesima minaccia dopo aver vinto a fatica un altro uno contro uno con Broly. Non l’ho mai fatto concludere verso la nostra porta, l’ho sempre costretto ad appoggiare palla ai suoi compagni se non riuscivo a portargliela via. Ed è durissima portargliela via, come sarà un’impresa titanica resistere ancora per me in queste condizioni. Scaglio via la palla dopo averla sdradicata di nuovo dai piedi di Broly ma la colpisco male e le faccio finire in fallo laterale.
Mi piego sulle ginocchia e ansimo a bocca spalancata. Ho male dappertutto e mi sento senza energie. Vorrei vomitare, vorrei crollare a terra, vorrei gettarmi sotto a una doccia fredda. Gocce di sudore cadono sull’erba una dopo l’altra, la maglia mi si è totalmente appiccicata addosso e i miei capelli sono fradici. Ma non devo mollare, non posso farlo, mancano ancora dieci minuti alla fine di questa partita. Dieci minuti ed eventualmente altri trenta, se il risultato di parità non si sbloccherà e dovremo affrontare i tempi supplementari. Ma non possiamo giocare i supplementari in questo stato e pensare di resistere, abbiamo già effettuato i nostri tre cambi eppure continuiamo a subire e in difesa siamo letteralmente a pezzi.
Cerco con lo sguardo Cabba e lo vedo crollare letteralmente a terra, stravolto dalla fatica.
«Senpai… non ce la faccio più…» sussurra, con le ginocchia e le mani appoggiate sull’erba.
«Dieci minuti…» ansimo, avvicinandomi a lui. «Dieci minuti, cazzo…» ripeto, afferrandolo di peso e facendolo rialzare. «Sto crepando anch’io, ma dobbiamo resistere altri dieci minuti» gli dico, mentre provo ad asciugarmi il sudore che mi fa bruciare gli occhi. «Questa non sarà l’ultima partita per i nostri senpai del terzo anno, hai capito?! Andremo al campionato nazionale tutti insieme! L’abbiamo promesso! Guarda la fascia da capitano di Napa!» aggiungo, voltandomi con lui in direzione del nostro portiere e osservando la fascia stretta attorno al suo braccio sinistro. «L’abbiamo promesso tutti quanti. È tutto scritto».
 
 
Il giorno prima
 
«Questo è l’ultimo allenamento prima della partita di domani, una partita che deciderà il nostro destino» esclama Napa, nello spogliatoio davanti al resto della squadra. «Credo che oggi sia giusto parlare tutti insieme tra di noi, guardarci negli occhi. L’idea è stata di Vegeta, ma io la penso come lui».
Mi volto verso il mio compagno di classe, seduto sulla panca accanto a me, ma il suo volto serissimo non tradisce particolari emozioni oltre a una forte determinazione, mentre osserva attentamente il nostro capitano.
«Domani avremo un’occasione unica, insperata e non pronosticabile per una piccola squadra come la nostra. Un’occasione che ci siamo costruiti lavorando su noi stessi come nessun’altra squadra ha mai fatto, probabilmente. Chi è entrato con me nel club due anni fa lo sa bene, ma anche chi è arrivato l’anno scorso» riprende Napa, guardando me e Vegeta. «Per me e quelli del terzo anno questo sarà l’ultimo campionato provinciale prima del diploma, l’ultima possibilità di qualificarci al campionato nazionale. Alcuni smetteranno di giocare, altri entreranno in squadre universitarie, magari qualcuno potrà anche sognare la J-League… ma oggi e domani siamo ancora una squadra, siamo il club di calcio del Liceo Minegahara e io voglio con tutto me stesso che anche dopodomani saremo la stessa squadra che siamo adesso, in questo spogliatoio».
Si interrompe, guarda tutti i nostri compagni di squadra uno ad uno. Lo spogliatoio è avvolto da un silenzio assordante.
«Tutte le persone qui presenti dovranno mantenere la promessa che faremo» continua Napa, alzandosi e appoggiando sul tavolo al centro dello spogliatoio la sua fascia da capitano e un pennarello indelebile nero dalla punta sottile. «Questa è la mia fascia da capitano, e per stringere il nostro patto dovremo scriverci tutti sopra il nostro nome. All’interno di questa fascia resteranno impressi i nomi dei componenti della squadra che sono riusciti a portare la nostra scuola dove mai era arrivata prima».
Stringo i pugni, mentre un sorriso mi si dipinge sul volto.
«Per quale motivo vogliamo battere uno squadrone come il Liceo Joiyn?» domanda Napa. «Per arrivare in vetta? Per noi stessi? Per chi ha sempre creduto in noi? Per tutti quelli che hanno detto che non ce l’avremmo fatta? Per tutto il sudore che abbiamo versato in campo?»
«Sì, ma anche per poter giocare ancora una volta tutti insieme» rispondo io, interrompendo il suo monologo e strappandogli un sorriso di approvazione. «Per far sì che quella di domani non sia l’ultima partita di questa squadra. Per permettere ai senpai del terzo anno di continuare a inseguire il sogno del campionato nazionale».
Tutti annuiscono in silenzio, sembrano d’accordo con le parole di Napa e con quello che ho detto io.
«Se fate una promessa senza crederci, sappiate che non ha senso!» ringhia Vegeta, sprezzante, tenendo le braccia conserte e guardando il resto della squadra. «Quante volte ci siamo detti che avremmo vinto e poi non ce l’abbiamo fatta?! Siete pronti ad andare fino in fondo stavolta?! Siete pronti, anche se davanti ci troveremo una squadra come il Joiyn?!» aggiunge, determinato e irritato al tempo stesso. «Sarà una partita in cui dovremo essere capaci di soffrire come mai prima. Dovremo avere la volontà di sopportare ciò che succede. Di andare oltre la fatica, la rabbia, la frustrazione, la pressione. Dovremo correre più di loro, lottare più di loro. Ce l’avete questa volontà?! Tsk!»
«Sì!» rispondo io, senza esitare, prima di alzarmi e dirigermi verso Napa e la sua fascia da capitano appoggiata sul tavolo.
Prendo il pennarello e scrivo il mio nome sulla parte interna della fascia.
«Domani vinciamo» affermo con decisione, guardando negli occhi il nostro capitano e dandogli il cinque.
Dopo di me firma Vegeta, e poi tutti gli altri del terzo e del secondo anno, fino ad arrivare a Cabba e agli altri primini. Per ultimo firma Napa, mentre dopo ogni nome apposto su quella fascia ci diamo il cinque tra noi giocatori guardandoci dritti negli occhi e in silenzio.
I suoni che sento non sono per niente fragorosi, ma in questi piccoli rumori secchi percepisco tutta la nostra determinazione. Tutta la forza del nostro sogno.
Forse, per la prima volta, sento anch’io di appartenere davvero a questo club.
 
«Dieci minuti…» ripete Cabba, con le sue esili gambe che tremano per lo sforzo. «Dieci minuti… l’abbiamo… l’abbiamo promesso…». Sembra in trance.
«Dobbiamo dare tutta l’energia che ci resta nei prossimi dieci minuti! Quando senti di non potercela più fare con le gambe, devi usare la testa. Devi restare con la testa nella partita fino alla fine. E quando non basta più neanche quella, mettici il cuore… il cuore e i coglioni, possiamo fare solo questo io e te adesso» sibilo, ringhiando. «Mettiamoci il cuore e tiriamo fuori i coglioni, Cabba».
«S-sì…» ansima lui a bocca spalancata e con la faccia stravolta dalla fatica, raddrizzandosi. «T-testa, cuore e gambe…».
«E coglioni» gli ricordo.
«S-sì, e coglioni…» ripete meccanicamente.
«Sappi che anche Vegeta crede in te» gli dico, per dargli forza. «Lo so che in questi mesi vi siete fermati spesso ad allenarvi da soli a fine allenamento. Lui non lo dice, ma sa che non lo deluderai».
«Sì!» esclama il mio compagno di reparto, con gli occhi che improvvisamente riprendono luce. «Senpai, hai detto che dobbiamo resistere dieci minuti… ma se dovessimo andare ai supplementari come faremmo?»
«Non andremo ai supplementari» gli sorrido, sicuro di me. «In qualche modo questa partita la vinciamo prima».
 
 
 
 
 
 
Note: bene, dopo ottanta minuti di gioco la partita è ancora inchiodata sullo 0-0 e il Liceo Minegahara sembra in netta crisi, sia di gioco che fisica, dopo un’intera partita passata a difendere con le unghie e coi denti le sfuriate offensive costanti del Joiyn. Radish è riuscito per ora a bloccare Broly e allo stesso tempo ha aiutato Cabba, mentre Vegeta non è ancora riuscito ad entrare in partita, isolato in attacco.
Io spero che vi sia piaciuto questo capitolo dedicato al ritorno in campo di Rad e a quello che prova prima e durante il match. Non sono cose campate per aria o enfatizzate, credo che chi abbia praticato uno sport o comunque abbia una passione per qualcosa sappia quello che intendo. Spero anche che vi abbiano divertito i momenti che hanno preceduto il match con Lazuli, Lunch e le altre, e che magari vi abbia fatto salire un po’ di adrenalina il flashback relativo alla fascia da capitano, che personalmente mi ha emozionato. È una scena ispirata dal manga “Angel Voice”, una storia di calcio, di vita e di come tutto può cambiare che ho divorato proprio a maggio e che non posso che consigliarvi.
Abbiamo anche fatto la conoscenza di Caulifla e Kale, le manager del club, come da consuetudine scolastica giapponese.
 
Se avete dubbi su qualche termine tecnico calcistico che ho usato chiedetemi pure. Al momento mi viene in mente solo che il “calcio d’angolo” di cui parlano Vegeta e Rad, indica quando la palla esce a fondocampo ed è stata toccata per l’ultima volta da un giocatore che sta difendendo la propria porta. A quel punto la squadra che attacca ha la possibilità di calciare il pallone da fermo all’altezza della bandierina posta su uno dei due angoli da quel lato del campo. Da lì si tende generalmente a crossare la palla verso il centro dell’area e sperare che un proprio compagno faccia gol, specialmente di testa. Proprio per questo in occasione dei calci d’angolo salgono in attacco i difensori forti di testa, io stesso, che sono un difensore, ho segnato praticamente tutti i gol della mia carriera in azioni da calcio d’angolo o comunque simili.
Poi mi viene in mente il termine “terzino”, che sarebbe il difensore laterale. Rad e Cabba sono i difensori centrali, ai loro lati ci sono i due terzini che completano la difesa. Ogni squadra, poi, può fare tre sostituzioni al massimo facendo entrare le riserve dalla panchina.
Il “contropiede” indica quando una squadra tutta chiusa in difesa riesce a recuperare palla e attaccare in velocità all’improvviso, cogliendo di sorpresa l’avversario sbilanciato in avanti. È ciò che ha provato a fare, invano, Vegeta.
Questa poi è una finale, quindi in caso di pareggio dopo i novanta minuti, si dovranno giocare due tempi supplementari da quindici minuti l’uno. Se dovesse mantenersi la parità, a quel punto si dovrebbero battere i calci di rigore per stabilire il vincitore.
 
Ci tenevo a raccontarvi una cosa, perché a volte lo sport e la vita sono proprio strane e anche molto belle. Il giorno di fine maggio in cui ho scritto questo capitolo, il caso ha voluto che proprio quella sera dovessi tornare a giocare una partita di calcio dopo un bel po’ di tempo. C’era la prima partita di un torneo e sarei tornato a giocare su un campo dove ho giocato per ben dieci anni da bambino e con molti compagni di allora. È stato forse un segno del destino scrivere questo capitolo proprio quel giorno… fatto sta che quella sera abbiamo vinto 3-0 e io ho anche segnato un gol. Ma non è finita qui, perché alla fine quel torneo siamo riusciti addirittura a vincerlo la settimana successiva. Nel mezzo, io sono riuscito a segnare il gol decisivo in semifinale che ci ha consentito di arrivare in finale, poi vinta.
Magari è una sciocchezza, ma è stato bello scrivere questi due capitoli proprio in quel periodo, ed è stato pazzesco per un difensore come me poter segnare due gol così ravvicinati e vincere il torneo con la mia squadra.
Credo di averli scritti col cuore in mano e il pallone tra i piedi questi due capitoli, come vi dicevo settimana scorsa. Nelle note del prossimo capitolo, invece, magari vi racconterò di come il destino abbia giocato ancora con me in un altro torneo che ho disputato dopo quello, in cui mi sono trovato a dover fronteggiare una sorta di Broly e mi sono sentito molto Rad! Ma ve lo dico la prossima volta, che qui ho già fatto note troppo lunghe! ;-)
 
Ringrazio come sempre tutti voi che mi sostenete e mi lasciate sempre delle belle parole, mi fate sentire il vostro entusiasmo! Sono felice vi sia piaciuto il finale dell’arc di Bulma e quello che è successo con Vegeta. Adoro anche quando fate delle teorie su quello che potrà succedere, grazie davvero! Grazie poi a chi legge in silenzio, mi date grande forza e ho sempre bisogno di voi!
Un grazie gigante va alla nostra super Sapphir Dream, che mi ha regalato il Radish versione calciatore che tanto desideravo facendomi esultare come se avessi segnato un gol! L’ho apprezzato tantissimo, davvero! ;-)
 
Allora, cosa dite? Riusciranno i nostri a vincere la partita anche se sembrano a pezzi? Cosa ha in mente Vegeta quando parla del calcio d’angolo?
Nel prossimo capitolo termina la partita e inizia anche il nuovo arc, che verrà introdotto nel finale e in cui ormai penso sappiate tutti chi entrerà pesantemente in scena!
Volete sapere il titolo anche se è un po’ troppo spoiler? Ebbene, sarà “Giant Killing”, un termine che si usa poco in Italia ed è più diffuso nel mondo anglosassone, ma direi che è davvero significativo!
Ci vediamo mercoledì prossimo, nel frattempo tifate tutti per il Liceo Minegahara, mi raccomando!
 
Teo

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Capitolo 27
*** Giant Killing ***


27 – Giant killing
 
 
 
Mancano dieci minuti e siamo ancora sullo 0-0 con una squadra più forte di noi come il Liceo Joiyn. Una squadra ricca di storia, di vittorie e di partecipazioni al campionato nazionale. Noi non siamo altro che un piccolo club senza un passato glorioso, poco conosciuto anche nella prefettura di Kanagawa, figuriamoci fuori.
Eppure… eppure oggi noi, il Liceo Minegahara, siamo qui a giocarci il campionato provinciale con uno squadrone come lo Joiyn. Stiamo soffrendo da 80 minuti, è vero, ma non ci hanno ancora piegato. Hanno l’attaccante più forte ed esperto tra gli studenti delle superiori, cioè Broly Berserk, eppure per il momento siamo riusciti a non farlo segnare. E anche noi abbiamo un grandissimo attaccante, uno che è riuscito a segnare lo stesso numero di gol di Broly in questa stagione, cioè Vegeta Princely.
E poi ci sono io, oggi, l’elemento arrivato a rimescolare le carte e che loro non avevano previsto di affrontare, dato che non mi si vedeva in campo da un anno.
Un ragazzo del secondo anno fermo da una stagione come me e un primino gracile e intimidito al suo esordio ufficiale come Cabba Cabetsu che riescono a imbrigliare l’attacco della squadra più forte della prefettura. Roba da non crederci.
Il pubblico urla, incita, mi sembra ancora più numeroso rispetto ad inizio partita.
Il caldo è asfissiante, la fatica che sto provando in questo momento mi rende difficile restare lucido e concentrato, nonostante continui ad incoraggiare Cabba e gli altri nostri compagni. Abbiamo sputato sangue in questa partita, abbiamo sofferto, abbiamo resistito a un assedio dopo l’altro. Siamo ancora in piedi, non è ancora il momento di mollare.
Dieci minuti…
Dobbiamo vincere la partita in questi ultimi dieci minuti perché non avremo forze a sufficienza per sperare di resisterne altri trenta nei supplementari e potercela giocare ai rigori.
Dobbiamo segnare un gol, dobbiamo vincere per regalare ai nostri senpai del terzo anno la possibilità di andare al campionato nazionale con la maglia di una scuola semisconosciuta come la nostra.
Mi volto in direzione di Napa e osservo la fascia da capitano stretta intorno al suo braccio sinistro. Continua a urlare, dare indicazioni. Continua a spronarci. Continua a crederci, anche lui. Soprattutto lui.
Non voglio che questa sia l’ultima partita per lui e quelli del terzo anno, voglio andare ai nazionali con loro e con Vegeta. Con Cabba e con le riserve del primo e del secondo anno. Col Mister, con Caulifla e Kale, le nostre manager. Voglio che Lazuli mi veda giocare al campionato nazionale. Vorrei anche che i miei genitori mi vedessero giocare in quel momento, in qualche modo. Magari anche Goku.
Non possiamo fare altro che continuare a correre se vogliamo vincere. Non possiamo fare altro che lottare. Soffrire, fino alla fine.
Correre e lottare, anche se non ce la facciamo più. Anche se loro sono più forti.
Perché si sa, nel calcio non sempre vince il più forte. A volte capita che arrivi qualcuno e riesca ad abbattere un gigante.
Qualcuno che riesca a costruirsi un’opportunità e a sfruttarla.
Guardo di nuovo la fascia da capitano sul braccio di Napa e accenno un sorriso, mentre stringo i pugni e torno addosso a Broly, deciso a non dargli respiro fino alla fine, a costo di crollare senza forze sul campo dopo il novantesimo minuto.
L’abbiamo promesso. L’abbiamo promesso tutti.
È tutto scritto su quella fascia da capitano.
 
Spingo Broly verso il centrocampo, cerco di tenere alta la difesa e accorciare le distanze tra i reparti. Se stiamo troppo schiacciati indietro non facciamo altro che rendergli la vita più facile. Controllo la posizione di Cabba e dei due nostri terzini, che sono in linea con me. È tutto sulle nostre spalle, è tutto in mano alla difesa adesso e non possiamo cedere.
Dopo altri cinque lunghissimi minuti di battaglia, Broly riceve palla rasoterra da un compagno e prova a girarsi per puntare la porta. Tento di impedirglielo, mi aggrappo a lui, lo spingo, cerco di non crollare travolto dalla sua forza. Con una spallata tremenda riesce a farmi indietreggiare di mezzo metro e a farmi perdere il contatto con lui, proprio mentre sento cedermi le ginocchia per la fatica. Si gira palla al piede e punta la porta, convinto di potermi saltare. Con un barlume di lucidità comincio a correre all’indietro e temporeggiare, senza togliere gli occhi dalla palla. Se la allunga per un solo istante, ma era l’istante che aspettavo per portargliela via: muovo il piede in avanti e gliela sposto di lato, cogliendolo di sorpresa, e riesco addirittura a recuperarla con uno scatto bruciante. Salgo palla al piede, con lui che mi si mette subito alle calcagna.
Ho vinto anche questo duello faccia a faccia, ma adesso mancano cinque minuti e dobbiamo provare a costruire un’azione offensiva. Alzo la testa mentre porto palla tallonato da Broly, ma davanti a me vedo solo Vegeta che mi corre incontro all’altezza del centrocampo. Gli altri sono fermi, stremati dopo l’ennesimo ripiegamento difensivo. Passo la palla al mio amico con un preciso rasoterra e interrompo la mia corsa, cercando di riprendere aria con la bocca spalancata e gli occhi sgranati. Vegeta punta la porta avversaria, lontana cinquanta metri e solo contro l’intera fase difensiva avversaria. Non potrà fare molto nemmeno uno come lui, ma nessuno dei nostri compagni sembra in grado di appoggiare l’azione. Lui se ne rende conto e tenta una disperata azione solitaria. Salta un uomo, ne scarta un altro. Ma sono troppi ancora, e la porta avversaria sarà a più di trenta metri da lui. Lo vedo caricare il destro e provare a calciare da quella distanza con tutte le sue forze.
Mi metto le mani tra i capelli, quando mi rendo conto che quel pallone si sta dirigendo verso l’incrocio dei pali. Quando capisco che Vegeta Princely ci sta portando di peso alla vittoria del campionato. Mi sembra di sentire il pubblico trattenere il fiato, mentre osservo il portiere volare con un braccio disteso, disperatamente.
Mi piego sulle ginocchia e urlo tutta la mia rabbia, quando mi rendo conto che con la punta delle dita è riuscito a toccare il pallone quel tanto che bastava per mandarlo contro la traversa e successivamente fuori.
Quando mancano cinque minuti alla fine abbiamo fatto il nostro primo tiro in porta, ma nemmeno Vegeta è riuscito a segnare.
«S-senpai, è calcio d’angolo…» farfuglia Cabba, ansimando, guardando dritto davanti a sé. «Sali… devi salire…».
Ha ragione! Cazzo, questo è il primo calcio d’angolo a nostro favore dell’intera partita. Ma non sarà troppo rischioso andare in attacco nelle condizioni in cui siamo ora? Mi volto verso Napa, in cerca di una risposta, e lo trovo sulla trequarti del campo. È salito tantissimo anche lui. «Sali, Son! Sbrigati!» urla a gran voce.
Non penso più a nulla, se non a correre verso l’area di rigore avversaria. Broly mi segue, ha deciso che sarà lui a marcarmi stavolta. I nostri ruoli si invertiranno solo per questa azione e questa proprio non ci voleva, sarà un’impresa riuscire a liberarmi di lui!
Mentre corro verso l’area mi giro istintivamente verso la tribuna, cerco Lazuli con lo sguardo. Ma non la vedo, c’è solo Bulma col telefono in mano, penso voglia registrare questa azione. Mi guardo intorno disorientato, finché mi rendo conto che la mia ragazza sta correndo anche lei e che si è appena posizionata dietro la porta. Proprio come un anno fa, quando ho segnato. La porta era la stessa. Si sfila gli occhiali da sole e si toglie il cappellino, scuotendo la testa per sciogliere la sua chioma dorata. I suoi occhi di ghiaccio incrociano i miei stravolti dalla fatica per un solo istante, divisi dalla recinzione metallica che delimita il campo. Ma è un istante che mi basta, che mi rigenera. Che mi fa ritrovare la lucidità e mi fa smettere di ansimare.
Lei accenna un sorriso, io ghigno. Lei ha capito tutto prima, come sempre. Lei lo sa che possiamo vincere. E lei sa chi dovrà essere a portare di peso la nostra squadra al campionato nazionale. Dovrò essere io a farlo. Dovrò prendere sulle spalle tutti i miei compagni e gettare il cuore oltre l’ostacolo. Ora so davvero che posso farcela, perché Lazuli è qui a pochi metri da me. È qui per me, come un anno fa. E come farà sempre, lo so. Lei crede in me.
Volgo lo sguardo in direzione della bandierina e osservo Vegeta sistemare il pallone con cura e alzare la testa verso l’interno dell’area di rigore. Cerca i miei occhi, mentre Broly mi stringe a sé in una morsa da cui sarà durissima liberarsi per provare a colpire il pallone di testa. Vegeta appoggia la mano sinistra sul fianco e solleva il braccio destro col pugno chiuso verso l’alto. Sì, è il segnale! Vuole davvero fare quella cosa?! Quello schema che non ci è mai riuscito in allenamento?!
Non c’è tempo per pensarci, adesso. Dobbiamo farcela e basta. Spingo via Broly usando entrambe le braccia e mandandolo addosso agli altri giocatori che si accalcano in mezzo all’area di rigore, prima di correre con tutte le mie forze fuori dall’area per liberarmi della marcatura. Mi giro di scatto alla mia sinistra all’improvviso e riprendo a correre di nuovo verso la porta avversaria, ma stavolta resto sull’esterno, oltre il secondo palo. Osservo la palla calciata da Vegeta disegnare una parabola tesa nel cielo, mentre cerco disperatamente di correre verso di lei. Sì, disperatamente, perché mi sembra troppo corta, cazzo! Continuo a correre, ma perdo il contatto visivo col pallone a causa di un avversario che mi salta davanti provando a intercettarlo di testa. Ma non ci arriva, e vedo la palla spiovere esattamente davanti a me, velocissima, come per magia. Non ho tempo di pensare, nemmeno di sperare di riuscire a colpire al volo un pallone così teso e veloce comparsomi davanti all’ultimo istante. Carico il destro e lascio andare la gamba. Sento solo un rumore secco. Un rumore secco eppure dolcissimo. Il suono del pallone che impatta sul collo del mio piede destro. Forse non ho mai colpito in vita mia un pallone del genere al volo con una simile precisione abbinata a tutta questa potenza. Forse lo stesso Vegeta non mi aveva mai fatto un passaggio così perfetto. Forse oggi non farò finire la palla sulla Luna come successo troppe volte in allenamento, di certo non l’ho mancata come successo altrettante volte per provare a fare un tiro che non sarebbe semplice nemmeno per un professionista.
Alzo la testa in direzione della porta e vedo solo il portiere immobile, come paralizzato. La rete alle sue spalle si è gonfiata, accanto al palo. La rete continua a tremare, a muoversi, mentre il pallone ricade inerme sull’erba rimbalzando una, due, tre volte. Un silenzio irreale che mi sembra durare secoli mi stordisce. Resto fermo, come sospeso.
«Che gol hai fatto?!»
La voce di Lazuli che urla e anticipa il boato del pubblico mi rianima dallo stato di trance o forse di shock in cui ero caduto. Mi volto verso di lei e la vedo saltare dietro la recinzione. Ha il viso raggiante. I suoi occhi di ghiaccio brillano, mi sembrano lucidi.
Guardo di nuovo la porta, incredulo, proprio mentre il portiere crolla in avanti sulle ginocchia e si dispera. Proprio mentre vedo i miei compagni cominciare a correre verso di me e sento più distintamente le grida del pubblico.
È solo in quel momento che realizzo.
Sì. Realizzo di aver segnato, di aver portato in vantaggio la mia squadra con un gol assurdo.
«Gooolll!» sbraito, cominciando a correre verso Vegeta, travolgendo un mio compagno che prova a saltarmi addosso. «Cazzooo!» urlo di nuovo, così forte da farmi raschiare la gola, quando incrocio lo sguardo del mio amico che sta correndo verso di me gridando e col volto allucinato.
Corro insieme a lui verso la panchina. Dal Mister, dalle riserve… non so nemmeno io perché sono arrivato fin qui a correre nella mia esultanza, ma tutta la squadra mi ha seguito e adesso siamo tutti insieme, impazziti di gioia. Tutti urlano, tutti mi strattonano. Qualcuno piange, altri sbraitano frasi irripetibili. Vegeta mi stringe di nuovo a sé urlando, Napa fa lo stesso, mentre Cabba mi salta addosso da dietro e non smette di gridare e piangere. Mi sembra di vedere persino Caulifla nella mischia a un certo punto. Abbraccia Cabba, forse lo bacia, mentre Kale piange di gioia. Non capisco più nulla.
L’arbitro arriva a richiamarci tutti all’ordine e a velocizzare la ripresa del gioco, dato che mancano ancora cinque minuti e i nostri avversari si sono già disposti in campo pronti a riprendere la partita.
Ci schieriamo di nuovo anche noi, decisi a resistere per difendere questo vantaggio insperato. Cerco di riprendere fiato e ritrovare la concentrazione, con l’adrenalina che mi pompa fortissima nelle vene e mi fa sentire improvvisamente meno stanco.
Napa alle mi spalle continua a urlare indicazioni a tutti i nostri compagni, perché sa benissimo anche lui che questi ultimi cinque minuti saranno un inferno molto peggiore di quello che abbiamo vissuto finora. Il Liceo Joiyn attaccherà in massa perché ormai non ha più nulla da perdere. Questi minuti ci sembreranno interminabili.
Osservo Cabba, e il suo volto mi appare come una maschera di tensione e di fatica.
«S-senpai» mi sussurra, ansimando. «Arrivati a questo punto, ero convinto che chi avrebbe segnato per primo si sarebbe conquistato la vittoria. Ma, adesso che abbiamo segnato e mancano ancora cinque minuti, mi sento improvvisamente terrorizzato» ammette.
«Penso che anche i nostri compagni abbiano paura in questo momento» gli dico, puntando i miei occhi nei suoi, serissimo. «Ma sai una cosa? Credo che l’arma più importante per un difensore sia il coraggio, quindi io e te dobbiamo avere coraggio  per trasmetterlo anche agli altri» accenno un sorriso. «Per il resto, coraggio e paura sono due facce della stessa medaglia. Hanno la stessa unità di misura, no? Quindi, se vuoi saperlo, mi sto cagando addosso anch’io, ma non lo darò a vedere né ai nostri compagni, né ai nostri avversari. Sarà una battaglia adesso, buttiamo la palla sempre il più lontano possibile senza pensarci».
«Sì!» risponde, determinato, proprio mentre l’arbitro fa riprendere il gioco e il Joiyn si riversa in avanti guidato da Broly.
«A proposito, ti sei appena fatto Caulifla-chan?» butto lì con nonchalance, scoppiando a ridere per scegliere la tensione.
«E-ecco… io…» farfuglia lui, paonazzo, prima di ridere a sua volta.
 
È un assedio, come previsto. Siamo allo stremo, ogni pallone che riusciamo a spazzare via dalla difesa viene subito recuperato da loro e ributtato in avanti verso la nostra area alla ricerca di Broly e degli altri attaccanti. Il tempo non sembra passare più, i loro attacchi continui non ci lasciano nemmeno il tempo di respirare. Non riusciamo a tenere un pallone tra i piedi in avanti per temporeggiare, non riusciamo più a passarcela tra di noi. Calciamo la palla il più lontano possibile, ormai privi di lucidità a causa della fatica e soprattutto della paura di non farcela.
Abbiamo paura di vincere? Credo di sì.
Io urlo con tutte le mie forze incoraggiamenti ai miei compagni, Napa continua a sbraitare indicazioni e Vegeta pressa da solo a centrocampo, visto che il resto dei nostri compagni si è schiacciato in difesa.
L’arbitro segnala tre minuti di recupero da giocare oltre i novanta regolamentari. Cazzo, ancora tre minuti. Siamo riusciti a difenderci in questi ultimi cinque minuti che mi sono sembrati durare un’eternità, ma non basta. Non ancora.
I nostri tifosi continuano a gridare, a sostenerci. Il campo della scuola sembra una bolgia, ma penso che sia proprio questo a dare a tutti noi le forze per continuare a correre. I nostri tifosi credono nell’impresa. Credono che possiamo farcela ad abbattere il gigante.
Cabba allontana debolmente l’ennesima minaccia, e un giocatore del Joiyn crossa di nuovo il pallone in mezzo alla nostra area di rigore. Si genera una mischia furibonda a pochi metri dalla porta e un rimpallo casuale favorisce all’improvviso Broly, che si libera della mia marcatura con una spallata tremenda. Osservo con terrore Napa abbandonare la porta e gettarsi a terra tra i piedi di Broly, che si è ritrovato solo davanti a lui grazie a questo rimpallo. Allunga le braccia, si lancia tra le gambe di Broly come un kamikaze, mentre io corro istintivamente verso la nostra porta vuota.
Broly si sposta la palla in maniera fulminea con l’esterno del piede e si allarga leggermente sulla destra, scartando Napa e preparandosi a calciare a rete nella nostra porta sguarnita. Lo vedo tirare a colpo sicuro e a mezza altezza, mentre il boato del pubblico sembra darmi la forza per lanciarmi con la gamba tesa in cerca della palla.
Ho la sensazione di restare sospeso nel vuoto per una frazione di secondo in più, comunque per quel tanto che mi basta per riuscire a toccare la palla col piede e respingerla miracolosamente sulla linea, mandandola in calcio d’angolo. Finisco io dentro la porta, crollando a terra ed esultando come se avessi segnato di nuovo, con i tifosi che sembrano impazziti.
Napa mi solleva e mi abbraccia, insieme a Cabba ed altri compagni, ma io li spingo via, in trance agonistica, e cerco Broly in mezzo all’area per riprendere a marcarlo. Urlo di nuovo a tutti di stare attenti alle marcature, perché adesso sono loro ad avere un calcio d’angolo e siamo in pieno recupero. Sono certo che cercheranno la testa del loro miglior attaccante, quindi devo stargli addosso ora più che mai.
Osservo il pallone battuto dalla bandierina spiovere in mezzo all’area e dirigersi proprio verso di noi. Salto insieme a Broly, cercando di contrastarlo di testa ma, proprio all’ultimo istante, Napa esce dalla porta e salta insieme a noi, riuscendo ad allontanare il pallone di pugno.
«Suuu!» urlo ai miei compagni, non appena vedo che la palla allontanata dal nostro portiere e arrivata quasi a centrocampo è stata recuperata da un difensore dello Joiyn, pronto a ributtarla nella nostra area. Sto cercando di far salire la squadra per mettere in fuorigioco i nostri avversari e allo stesso tempo evitare di restare schiacciati troppo indietro come abbiamo fatto prima, perché è stato un miracolo il mio salvataggio sulla linea.
Al momento del lancio mi guardo alle spalle e alzo il braccio, per richiamare l’attenzione dell’arbitro e reclamare il fuorigioco di Broly, che non è riuscito a restare in linea con me e il resto dei difensori e sta ora correndo verso la palla con qualche metro di vantaggio su di me.
Perché non fischia, cazzo?! È fuorigioco!
Mi metto a rincorrere Broly lanciato solo verso la nostra porta, mentre con la coda dell’occhio mi rendo conto che Cabba, ormai stremato, non era riuscito a salire in linea con me e gli altri difensori quando ho dato l’ordine, tenendo così Broly in posizione regolare.
Merda! Non possiamo subire un gol per una cazzata del genere proprio nell’ultimo minuto di recupero! Non dopo tutta la fatica che abbiamo fatto!
Corro con tutte le mie forze residue dietro Broly, lanciato da solo palla al piede verso la porta difesa da Napa. È veloce, è potente e ha qualche metro di vantaggio su di me. Corro fino a farmi bruciare i polmoni, fino a sentirmi esplodere le gambe. Napa avanza di qualche metro, mentre cerco di allungare un braccio per afferrare la maglia di Broly e bloccarlo con un fallo, visto che siamo ancora fuori area. Avevo detto a Cabba che la qualità principale di un difensore deve essere il coraggio. Beh, a volte ci vuole anche il coraggio di fare un fallo su una chiara occasione da rete che costerà l’espulsione, ma che almeno impedirà agli avversari di segnare. Ma non riesco a raggiungerlo, e sento che non sbaglierà di nuovo a tu per tu col nostro portiere.
Devo buttarlo giù, gettarmi con tutte le forze sulla palla o sulle sue gambe, perché non posso permettermi di lasciar passare entrambe. Non c’è più tempo, visto che siamo quasi al limite della nostra area nel frattempo e non voglio certo fare un fallo da rigore. Se devo farmi espellere lascerò la squadra in inferiorità numerica solo per fronteggiare una punizione da fuori area, al massimo. Mi lancio in una scivolata folle e disperata, magari insensata in qualunque altro momento della partita. Mi getto come un proiettile umano in scivolata da dietro, cerco di colpire la palla in una situazione in cui solo un pazzo potrebbe sperare di riuscire a prenderla senza falciare l’avversario. Solo un pazzo che ha molto culo, magari.
La mia gamba sinistra si infila tra le gambe di Broly, mentre riesco ad arpionare la palla con la suola in qualche modo e inchiodarla a terra. L’impatto con la forza del mio avversario è devastante e mi fa urlare per il dolore, quando prova a calciare e a sfondare la resistenza del mio piede. Urlo, mentre mi sembra di sentirmi contorcere la caviglia e il ginocchio. Urlo, ma resisto all’impatto. Il rumore secco generato dal nostro contrasto sul pallone mi risuona nelle orecchie, proprio mentre Broly perde l’equilibrio per la forza dell’impatto e mi frana addosso travolgendomi e togliendomi il fiato. Vedo con la coda dell’occhio la palla sgusciare via a un metro di distanza dai nostri corpi e fermarsi nell’erba, al limite dell’area. L’arbitro non fischia, è tutto regolare.
Respiro a fatica, schiacciato dal peso di Broly e sconvolto dalla fatica. Sgrano gli occhi, ma vedo solo un’ombra alla mia sinistra, più lontana, e un’altra alla mia destra correre verso il pallone. Arriverà prima quella a destra, ma non riesco a muovermi. Il sudore e l’acido lattico nei miei muscoli mi lasciano privo quasi di sensibilità, mi sembra di essere sospinto solo dai nervi e dall’adrenalina.
Napa… Napa deve essere l’ombra a sinistra. Quella che non farà in tempo ad arrivare sulla palla. Prenderemo gol nonostante il mio intervento?!
«Senpai!»
Una terza ombra sta correndo verso il pallone, davanti a me. Riconosco la voce, capisco quello che sta succedendo. Non è ancora il momento di cedere alla stanchezza e al dolore!
Spingo via Broly e allungo la gamba con un colpo di reni, riuscendo ad anticipare con la punta del piede l’ombra che arrivava da destra, un’ombra che indossa la maglia numero dieci dello Joiyn. Tocco la palla quel tanto che basta per mandarla verso Cabba, rientrato in posizione. Cabba, l’ombra che mi ha chiamato. Noto alle sue spalle un avversario pronto ad avventarsi su di lui, non gli lascerà il tempo di buttar via la palla!
«Ancora!» sbraito, rivolto verso il mio compagno di reparto, rialzandomi di scatto con la forza della disperazione e correndo verso di lui, che mi passa il pallone. Devo solo calciarlo il più lontano possibile, dovrebbero mancare pochi secondi adesso! Sento i passi di Broly alle mie spalle, che si è rialzato e mi sta seguendo caricando come un toro.
«Rad!»
L’inconfondibile voce di Vegeta richiama la mia attenzione e mi fa sollevare la testa, permettendomi di vederlo completamente solo e smarcato, defilato sulla fascia sinistra all’altezza della linea di centrocampo dato che il Joiyn è tutto sbilanciato in avanti.
Guardo Vegeta e poi la palla, caricando il mio destro e facendo un altro pensiero folle: mi illudo di poter avere la forza a questo punto della partita per effettuare un lancio potente e preciso di una sessantina di metri. Calcio con tutte le mie ultime forze, proprio nell’istante in cui Broly mi frana addosso da dietro e mi stende, travolgendomi. Da terra osservo il mio lancio volare altissimo e scavalcare anche l’ultimo difensore avversario. Guardo Vegeta tagliare il campo in diagonale, velocissimo, e stoppare al volo il mio passaggio. Si invola da solo verso la porta e i miei occhi diventano improvvisamente lucidi.
Mi volto verso la tribuna e mi godo la scena dei nostri tifosi in piedi che continuano a seguire l’azione. Bulma sta riprendendo ancora col cellulare. Io sorrido, e sollevo un pugno verso il cielo.
Non ho bisogno di guardare, perché so che Vegeta questi gol non li sbaglia.
Sento un boato, osservo i nostri tifosi saltare e abbracciarsi.
Cerco con lo sguardo Lazuli e la vedo chiaramente sorridere, anche se è dalla parte opposta del campo rispetto a dove sono io ora.
Mi scrollo di dosso Broly e mi rialzo, urlando contro il cielo a pugni chiusi tutto quello che ho dentro, proprio mentre l’arbitro fischia la fine della partita.
Abbiamo vinto… abbiamo vinto 2-0 la partita più assurda, magica e dura che abbia mai giocato in vita mia.
È stata un’agonia dolce come il miele e come l’amore, questa partita.
Napa mi salta addosso da dietro, Cabba di lato e via via arrivano tutti i nostri compagni, comprese le riserve, fino a Vegeta, ebbro di felicità per il gol e per la vittoria.
Questo è l’abbraccio di un gruppo che ha compiuto un miracolo, che ha abbattuto un gigante. Questo è l’abbraccio di una squadra che andrà a giocarsi il campionato nazionale a gennaio.
 
«Ti chiami Radish Son, giusto?»
Una voce cupa e profonda mi fa voltare, mentre i miei compagni continuano a esultare e ad abbracciarsi in varie zone del campo. Mi ritrovo davanti Broly Berserk, ed è la prima volta che lo sento parlare.
«Già» accenno un sorriso, guardandolo dritto negli occhi.
«Non smettere col calcio, voglio giocare ancora contro di te» afferma, serissimo, passandomi accanto.
«Ti fermerò anche la prossima volta» ghigno, allungando il braccio verso di lui.
«Passeranno almeno due anni prima che ci incontreremo di nuovo, visto che giocherò nel campionato universitario l’anno prossimo» ribatte, stringendomi vigorosamente la mano e accennando un sorriso. «Ci rivedremo lì, oppure direttamente nella J-League» aggiunge, prima di dirigersi verso lo spogliatoio a testa alta, applaudito non solo dai suoi tifosi, ma da tutto il pubblico. È stato un grande avversario, si merita questo tributo.
Guardo anch’io i tifosi, e mi sembra di sentire il mio nome rimbombare ovunque. Noto ancora nella folla Lunch, che sbraita per chiamarmi e solleva di nuovo lo striscione in mio onore insieme a Mai, Lucy, Erza e Mira. Sorrido in loro direzione, e vedo anche Bulma attaccata alla recinzione che delimita il campo, intenta a parlare fitta fitta con Vegeta e a ridere, felice. Non ne sono certo, ma in lontananza e defilata forse c’è persino Marion con delle sue amiche.
Cerco con lo sguardo Lazuli, e la vedo ancora vicina alla porta in cui ho segnato. La osservo, e la brezza che arriva dal mare le fa ondeggiare nell’aria i suoi capelli biondi. Mi batte il cuore, perché non vedo l’ora di abbracciarla. Perché se ce l’ho fatta è solo merito suo. Se oggi sono su questo campo è solo merito suo.
Sorrido, mentre sollevo il pugno destro chiuso verso il cielo.
Lei mi guarda, e solleva a sua volta il suo pugno destro.
Il suo sorriso è così bello da abbagliarmi più della luce del sole che continua a bruciarmi la pelle sudata. Ma che non brucia abbastanza come quello che sento di provare per lei.
 
 
1 settembre
 
«Comunque non mi hai ringraziato abbastanza per averti fatto vincere la classifica dei marcatori» ghigno rivolto verso Vegeta, mentre ci dirigiamo controvoglia verso la nostra classe dopo aver sostenuto un allenamento prima dell’inizio delle lezioni. Decisamente controvoglia, direi, visto che oggi è il giorno in cui comincia il secondo semestre. Sono passate due settimane dalla nostra epica vittoria, ma non facciamo che continuare a parlarne tra noi. «Non solo non ho fatto segnare Broly, ma ti ho anche messo lì un assist che era un cioccolatino da scartare!» lo provoco.
«Sei tu che dovresti ringraziarmi per l’assist che ti ho fatto, tsk! Non sai nemmeno tu come hai fatto a segnare quel gol!» sorride sghembo, mentre veniamo interrotti da un gruppo di studenti che ci riconosce e ci acclama a gran voce.
«S-senpai, possiamo fare un selfie con te?» mi domanda timidamente una ragazza, penso sia una primina, paonazza, insieme al suo gruppetto di amiche, mentre perdo di vista Vegeta, inglobato da una folla sempre maggiore che lo acclama.
«Eh?» ribatto, basito. «Se proprio ci tenete…» faccio spallucce, accennando un sorriso e facendo arrossire anche le altre, che mi zampettano intorno e si mettono in posa.
Dovrò subirmi queste scene abitualmente adesso? Se ripenso a come stavano le cose fino a poco tempo fa quando tutti mi consideravano un reietto e mi vedo adesso in questa situazione, beh, non so davvero cosa pensare, se non che la gente è proprio strana. Sono bastate una dichiarazione d’amore pubblica a una ragazza e una partita di calcio a cambiare così repentinamente la mia immagine agli occhi degli altri? Evidentemente sì, ma forse sono io che mi stupisco troppo per come funzioni l’atmosfera che si genera intorno ad ognuno di noi.
Arriviamo a fatica in classe, dato che tutti continuano a fermarci per dirci qualcosa sulla partita, per darci un cinque o chiederci una foto. Non mi sento a disagio, perché in realtà mi diverte godermi la stizza di Vegeta che vede in bilico la sua popolarità nella scuola. So che scherza, comunque, noi adoriamo punzecchiarci e non saremmo noi stessi se non la facessimo.
In tutto questo casino non riesco a incrociare Lazuli, purtroppo. Oggi sono arrivato presto a scuola perché avevamo gli allenamenti prima delle lezioni, immagino sarà andata direttamente nella sua classe. Spero solo che non mi ammazzerà se ho fatto troppi selfie oggi con tutti e tutte quelle che me lo chiedevano, ma, del resto, non volevo passare per stronzo a rifiutare. Ridacchio, mentre sogno le sevizie a cui mi sottoporrà per farmi perdonare.
Vado a cercarla in classe all’intervallo, ma il suo banco è vuoto. Che non sia venuta a scuola? Di solito lei passa l’intervallo da sola se non vado a cercarla, parla il minimo indispensabile coi suoi compagni di classe e mai molto volentieri, da quello che vedo. Ma lei è una che sta bene da sola e che odia fare convenevoli, non ritiene di certo imbarazzante la solitudine davanti agli altri perché è davvero sicura di sé.
«Eccolo qui, è lui l’eroe del giorno!»
La voce di Napa mi accoglie come se fossi il salvatore della patria, mentre tutta la sua classe mi si accalca intorno e mi riempie di complimenti e di incoraggiamenti. Mi fanno domande che nemmeno capisco, mentre due ragazze si stringono a me per scattarsi una foto in cui esco con un’espressione da deficiente patentato.
«Basta, basta! Lasciatelo stare!» mi salva Napa, abbracciandomi e trascinandomi via dalla ressa. «Allora, Son? Immagino che starai cercando la tua ragazza, no? Oppure ti mancava il tuo capitano?»
«Penso che sia più un belvedere Lazuli, piuttosto che te… con tutto il rispetto, capitano» lo prendo in giro.
«Non hai tutti i torti… comunque non si è vista oggi!»
 
“Tutto bene, Là? Ti ho cercata in classe…”
Scrivo a Lazuli, sinceramente preoccupato. Perché non si è fatta sentire se ha deciso di non venire a scuola? Che abbia avuto un imprevisto di lavoro urgente?
Non so perché, ma improvvisamente non ho buone sensazioni…
Forse sono solo paranoico, magari mi preoccupo troppo. Cosa potrebbe mai essere successo di grave, del resto? Ieri sera andava tutto alla grande e abbiamo passato una bella serata in casa. E ce la siamo goduta anche perché nelle ultime due settimane lei è stata molto impegnata sul lavoro e ci siamo visti poco.
“Scusa se non ti ho avvisato. Vieni a casa mia dopo la scuola, ok?”
Mi risponde dopo pochi secondi, facendomi tirare un sospiro di sollievo e allo stesso tempo spingendomi a fantasticare a più non posso.
“Hai così tanta voglia di me?”
La provoco, ghignando e immaginando già la sua reazione.
“Non è questo il punto, scemo di un Rad.”
Ribatte, con un messaggio lapidario, prima di inviarmene subito un altro che non appena leggo mi fa immediatamente spegnere il sorriso che avevo sulla bocca.
“È solo che è successo un casino… ci vediamo dopo, in ogni caso stai tranquillo perché sto bene.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: bene, nemmeno il tempo di godersi la vittoria del campionato provinciale e la gloria imperitura e per Rad è già tempo di affrontare quello che ha tutta l’aria di essere un bel problema.
Partiamo dal finale, perché immagino che tutti vi starete chiedendo che cosa sia successo a Lazuli e cosa l’abbia spinta addirittura a parlare di “casino”, un termine che non fa molto parte del suo abituale lessico e che denota una certa preoccupazione. E Radish l’ha capito, tra un selfie e l’altro con gente che fino a qualche mese prima lo odiava senza motivo. Questo era giusto per tornare al discorso “atmosfera” tanto utilizzato e analizzato nei primi capitoli di questa long.
Però, a parte il discorso “atmosfera” e Rad nuova stella della scuola per meriti sportivi e amorosi, cosa sarà successo secondo voi a Lazuli, dando inizio al nuovo arc della storia?!
 
Tornando alla partita, io non posso fare altro che sperare con tutto me stesso che vi siate divertiti e che vi sia piaciuto il modo in cui ho descritto questi convulsi e deliranti dieci minuti finali più i tre di recupero concessi dall’arbitro.
Siete felici che il Liceo Minegahara si è qualificato per il campionato nazionale? Il Giant Killing è un modo di dire che si usa quando una piccola squadra batte clamorosamente quella favorita. Quando Davide abbatte Golia.
Una precisazione: il fuorigioco significa che un giocatore che sta attaccando non può ricevere palla se si trova al di là di tutti i difensori avversari nel momento in cui parte il passaggio del suo compagno. Nel caso specifico, Broly viene tenuto in gioco da Cabba che non riesce a correre veloce in avanti come Rad e gli altri due difensori.
Radish rischia di essere espulso perché così prevede il regolamento in caso di fallo durante una chiara occasione da gol. Cerca di fare fallo fuori aerea in modo da concedere agli avversari solo un calcio di punizione, mentre se l’avesse commesso in area l’arbitro avrebbe fischiato un calcio di rigore (cioè un tiro da undici metri di distanza con solo il portiere a poter difendere la porta, che si concretizza quasi sempre con un gol). Comunque alla fine colpisce la palla e quindi è un intervento regolare.
 
Dovete sapere che il gol di Rad è l’esatta descrizione del gol più bello che io abbia mai segnato in una partita ufficiale, e il destino ha voluto che lo facessi proprio nella partita più importante e significativa per me, un po’ come accade al nostro protagonista. Sono passati anni ormai, ma quel giorno si giocava il derby della mia città (il derby è la partita in cui si affrontano due squadre della stessa città, tipo Juventus-Torino o Milan-Inter), che già di per sé è la partita più attesa dell’anno. Ma quella volta si aggiungeva il fatto che io sapevo che sarebbe stato l’ultimo derby della mia vita dopo dieci anni, perché a fine stagione avrei cambiato squadra e città. Quindi ci tenevo troppo a vincere, loro erano anche davanti a noi in classifica quell’anno. Eppure abbiamo vinto 3-0 e io ho fatto il terzo gol nei minuti di recupero nel modo in cui l’ho descritto, senza averlo mai provato in allenamento e nemmeno immaginato da quanto era semplicemente folle l’idea di colpire al volo un pallone che arrivava a quella velocità e da una simile distanza. Avevo già segnato nel derby qualche anno prima e anche lì ero impazzito di gioia, ma questa volta, davvero, ricordo solo che è come se mi si fosse spenta la luce nel cervello: correvo senza maglia in pieno inverno per il campo dopo il gol, con tutti i compagni addosso, ad esempio. È stato bello poter raccontare tutto questo attraverso Radish. A lui ho lasciato la maglia addosso per via delle cicatrici sul petto e perché in Giappone credo che non capiti mai che i giocatori si levino la maglia per esultare. Io non l’avevo mai fatto e non l’ho più fatto dopo quel giorno.
Spero poi vi sia piaciuto Broly, che finalmente apre bocca alla fine e accetta con sportività la sconfitta. Rad è stato più forte e gli ha impedito di far gol, offrendo poi addirittura a Vegeta un assist che gli consente di segnare il 2-0 e vincere il titolo personale di capocannoniere, per la gioia dei fans. Siete felici che abbia segnato anche il Prince?
Vi dicevo che ho dovuto affrontare una sorta di Broly di recente, e questo è accaduto soli pochi giorni fa in una semifinale di un torneo in cui il livello era davvero alto. Io ho giocato da infortunato quella partita, stavo davvero male ma sono riuscito a bloccarlo giocando al limite come fa Rad. Lui non era sportivo come Broly, anzi, era talmente frustrato che a cinque minuti dalla fine è impazzito per la rabbia e l’arbitro l’ha espulso. È stato comunque un duello d’altri tempi, condito di botte e insulti che a volte fanno parte del gioco. Io sono uscito dal campo felicissimo per come ho giocato e per lo spettacolo che abbiamo dato come squadra, visto che li abbiamo demoliti 6-2 e siamo andati in finale.
 
Ok, momento aneddoti inutili concluso.
Grazie di cuore a chi mi lascia sempre il suo parere e a chi ogni volta mi regala un sorriso col suo entusiasmo. Grazie per aver apprezzato anche questa partita di calcio, era importante scriverla sia per la trama che per me e Rad.
Ringrazio chi legge in silenzio, fatemi sapere anche voi se avete trepidato più che in una partita di Holly e Benji! A proposito, i miei preferiti sono Mark Lenders e Philip Callaghan, i vostri? :-)
Grazie ancora a Sapphir Dream per il Radish calciatore del capitolo precedente, andate a vedervi ancora quanto è dannatamente perfetto!
 
Bene, stavolta faccio il cattivo e vi dico solo parzialmente il titolo del capitolo nuovo, perché altrimenti sarebbe uno spoilerone grande come il Monte Fuji. Questo implica, dunque, che succederà qualcosa di grosso… ma cosa può succedere? E chi arriverà?
Il titolo è “Panico tra _ _ _ _ _ _ _”, con sette trattini come il numero di maglia di Cristiano Ronaldo (per restare in tema calcistico) e come il numero di lettere della parola mancante (sembra di essere a “La ruota della fortuna” con quei trattini, ma vabbè).
Quale sarà questa parolina magica?
È la chiave di tutto il prossimo arc: se siete curiosi ci vediamo mercoledì 21 agosto, dopo due settimane di pausa per questa storia!
Grazie ancora!
 
Teo

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Capitolo 28
*** Panico tra sorelle ***


28 – Panico tra sorelle
 
 
Non appena esco da scuola mi dirigo a tutta velocità a casa di Lazuli. Mi ha detto di stare tranquillo, ma come posso esserlo se persino una come lei si sbilancia a dire che è successo un casino?!
Giunto al suo palazzo, corro su per le scale e faccio i gradini a due a due, finché arrivo al suo piano e suono il campanello di casa.
Con mia grande sorpresa, ad aprirmi è una ragazza che non conosco, ma che tuttavia mi sembra avere qualcosa di familiare. Ha gli occhi neri e intensi, mentre i capelli corvini e luminosi sono legati in una coda e le coprono la fronte con un’elegante frangetta. Indossa un kimono corto blu con finiture rosse portato come fosse un vestitino e mi guarda con aria apparentemente distaccata, incrociando le braccia sotto il seno a causa del mio indugiare all’ingresso.
«Ehm… forse ho sbagliato casa…» farfuglio, con una mano dietro la nuca. In effetti sono venuto pochissime volte qui, dato che siamo abituati al fatto che venga sempre Lazuli a casa mia, cioè dall’altra parte della strada.
«Entra, Rad» mi fredda, con un tono gelido che mi sembra di conoscere molto bene. Non so chi sia questa ragazza, eppure ha qualcosa che mi ricorda tremendamente Lazuli. E poi, come fa a conoscere il mio nome?!
Entro in casa piuttosto perplesso e, mentre la misteriosa mora chiude la porta alle mie spalle, noto finalmente la mia Lazuli dall’altra parte dell’immenso salotto, in piedi con la schiena appoggiata al muro e le braccia incrociate sotto il seno. Sì, forse parlare di “salotto” è un po’ riduttivo, dato che Lazuli ha una casa degna di una star del mondo dello spettacolo e decisamente più grande ed elegante della mia.
«Con permesso, madame» accenno un inchino verso la mora, prima di fiondarmi verso Lazuli, facendo lo slalom tra i divani e i mobili del locale.
«Stai bene, Là?! Mi hai fatto preoccupare!» le sorrido, sollevato nel vederla.
«E tu chi saresti?!» sbotta, scrutandomi e socchiudendo i suoi bellissimi occhi di ghiaccio, senza tuttavia scomporsi. Mi sembra distante. Diversa.
«Eh?!» ribatto, allibito. Che stia scherzando come fa a volte? Non lo so, non mi sembra davvero lei, oggi. Ma che cazzo sta succedendo?!
«Ti ho chiesto chi sei, sei sordo?!» ringhia.
Scelgo di provare a restare al gioco e vedere se riesco a farla ridere. Magari vuole davvero prendermi in giro e basta. Mi inginocchio davanti a lei e le prendo entrambe le mani, stringendole nelle mie. La guardo negl’occhi intensamente. «Come ben saprai, sono Radish Son, mia regina. L’uomo con cui al momento sei impegnata in una relazione sentimentale pura e candida» esclamo, prima di accennare un sorriso sghembo. «Oserei dire platonica».
«Che cosa?!» sbotta lei, divincolandosi dalla mia presa e stringendo i pugni. «Non esiste che la mia sorellona esca con un ragazzo che ha gli occhi da cadavere come te!» sbotta, irritata e decisamente rossa in faccia.
«Sorellona?!» ripeto, rialzandomi perplesso. «E poi, mi trovi così brutto?»
«No, beh, ecco… n-non intendevo questo…» arrossisce di nuovo, abbassando la testa.
«E comunque, si può sapere chi sei?» domando a Lazuli, che ormai ho capito non essere la mia Lazuli.
«Si chiama Chichi Gelo» interviene la ragazza mora che mi aveva fatto entrare in casa, camminando verso di noi con una mano appoggiata sul fianco e fissandomi con aria truce fino a fermarsi davanti a me. «Questo è per averla presa per mano» aggiunge, dandomi un ceffone sulla guancia. «E questo è per non avermi riconosciuta subito» sibila, pestandomi vigorosamente un piede.
«Ahia, Là! Sei crudele!»
«Lo so» accenna un sorriso Lazuli, guardandomi dagli occhi neri della ragazza dentro il cui corpo deve essere rimasta intrappolata per qualche motivo.
«L’hai riconosciuta da come ti ha picchiato?! Ma di che disturbi soffri?!» mi domanda Chichi, osservandomi perplessa e stranita attraverso gli occhi di ghiaccio del corpo di Lazuli.
«È un masochista. Gode nel farsi maltrattare da me» spiega la mia ragazza con fare distaccato, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «Lascialo perdere quando fa così».
«Ah, sei un pervertito?!» sbotta Chichi, sgranando gli occhi e facendo fare al viso di Lazuli un’espressione che lei non avrebbe mai dipinto sul suo volto.
«Scusate, ma qualcuno vuole spiegarmi cosa sta succedendo?!» intervengo a mia volta, alzando il tono della voce. «Siete sorelle?! Vi siete scambiati i corpi?!»
«È un sogno! Solo un sogno!» grida Chichi, isterica, stringendo forte i pugni. «Anzi, un incubo!»
«Purtroppo è tutto vero» ribatte Lazuli freddamente. «Lei è mia sorella minore e questa mattina ci siamo svegliate l’una nel corpo dell’altra».
«Non mi starai mica dicendo che…» sussurro, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi e imprecando mentalmente.
«Sì, credo ci sia di mezzo la Sindrome della Pubertà» completa la frase Lazuli, distogliendo lo sguardo dal mio.
«Merda…» sospiro. Possibile che debba sempre esserci qualche casino dietro l’angolo nella mia vita e in quella di Là?!
 
Ci sediamo sul divano per provare a fare il punto della situazione e cercare di capirci qualcosa. Sono confuso… come è potuta succedere una cosa simile?!
Sono seduto accanto a Lazuli, mentre Chichi si è accomodata sull’altro divano, disposto a formare un angolo di novanta gradi con quello su cui siamo seduti noi. Il suo sguardo è vacuo, sembra a pezzi.
Osservo l’enorme ed elegantissimo salotto della casa di Lazuli, mentre un silenzio imbarazzante ha preso il sopravvento e sento la tensione così palpabile che si potrebbe tagliare a fette. Cerco di alleggerire la tensione, forse fare il giullare anche nei momenti peggiori è quello che mi riesce meglio.
«Non mi hai mai detto quanto paghi d’affitto per questa reggia, Lazuli-sama» butto lì, osservando il bellissimo televisore spento davanti a noi e il meraviglioso lampadario sopra la mia testa.
«Nulla, l’ho comprata» fa spallucce lei. «Piuttosto, hai l’onore di essere a casa della tua ragazza e non trovi niente di meglio da dire?!» sbotta, irritata. «Dovresti fare i salti di gioia, scemo!»
«Oh sì, ti salterei anche addosso ad esempio» ribatto, sorridendo sghembo e sollevando ritmicamente le sopracciglia. «Se fossimo soli e tu avessi ancora il tuo corpo…».
«Ecco, appunto, precisiamo alcune cose visto che sei un maiale senza speranza» mi interrompe Lazuli, perentoria, incenerendomi con lo sguardo attraverso i suoi nuovi occhi neri. Cazzo, è troppo strano parlare con lei intrappolata in un altro corpo! «Finché non sarò di nuovo nel mio corpo non faremo niente di niente» sibila. «E, allo stesso tempo, non azzardarti a fare qualcosa con lei, solo perché è nel mio, di corpo!»
«Agli ordini, mia regina!» mi metto sull’attenti. «Non posso nemmeno tenerti per mano? Neanche un bacetto?»
«No».
«E neanche a lei? Cioè, al tuo corpo occupato momentaneamente da lei?»
«Son?»
«Sì?»
«Ci tieni ad avere ancora a lungo la testa attaccata al corpo?»
«Uhm… suppongo di sì…».
«Ecco, allora regolati di conseguenza e vedi di non farmi arrabbiare. Ok?» mi sorride dolcemente Lazuli. Dolcemente e follemente, per la precisione. La mia adorabile psycho.
Le sorrido a mia volta in segno di intesa. Il suo morale mi sembra buono, nonostante tutto, e questa è una buona base di partenza.
«Ditemi che è uno scherzo! Ditemi che è uno scherzo!» grida all’improvviso Chichi, nel panico e con le mani tra i capelli dorati del corpo di Lazuli. «E voi come fate ad essere così tranquilli?! Siete pazzi, ecco!» sbotta in tono isterico, fissandoci con gli occhi sgranati. «Deve essere per forza un incubo tutto questo!»
«Devi accettare la realtà, Chichi» sbuffa Lazuli, incrociando le braccia sotto il seno e guardando la sorella. «Siamo entrambe sulla stessa barca, è inutile farsi prendere dal panico».
«Chichi Gelo, eh… il tuo nome e il tuo viso non mi sono nuovi, lo sai?» intervengo, guardando Chichi negli occhi e poi soffermandomi sul suo corpo occupato dalla mia ragazza. «Ma sì, certo! Ti ho visto in televisione qualche settimana fa in un programma in cui dicevi che Lazuli è la tua attrice preferita!» esclamo, dopo aver finalmente ricordato tutto. Era la trasmissione in cui era stata intervistata insieme al suo gruppo idol che stava guardando Goku e a cui anche Lazuli aveva prestato attenzione in quel momento, pur non dicendomi nulla a riguardo!
«Tu sei una cantante e fai parte di quel gruppo idol chiamato Sweet Palette o qualcosa di simile, giusto?» domando a Chichi, soddisfatto per la mia memoria e la mia genialità.
«Non è “palette”, ma “bullet”! Ci chiamiamo “Sweet Bullet”!» grida lei in tono isterico e stringendo i pugni in mia direzione. «Come può una come te stare insieme a un cretino del genere?!» sbotta irritata rivolta a Lazuli, che trattiene a stento una risata.
«Che cazzo ne so, Chì… a me piace Sweet Palette come nome per una band!» ghigno, portandomi una mano tra i miei folti capelli e lasciandomi cadere contro il morbido schienale del divano.
«Chì?! Come ti permetti di darmi un diminutivo, nemmeno ti conosco!»
«A lei la chiamo Là, a te che sei la sua sorellina perché non dovrei chiamarti Chì?! E poi ne ho tutto il diritto, se non sbaglio sono un tuo senpai».
«Rad ha un anno in più di te e uno in meno di me, Chichi-chan» interviene Lazuli, guardandoci con superiorità con le braccia incrociate sotto il seno e le gambe accavallate.
«Già, lei è la mia senpai preferita» confermo, gonfiando il petto. «Pensa che quando l’ho conosciuta indossava un completino da coniglietta e …».
«Basta così, cretino» mi interrompe Lazuli a denti stretti e decisamente rossa in faccia. «Come vedi, è un kohai irrispettoso e sfacciato» aggiunge, guardando sua sorella e colpendomi con uno scappellotto sulla nuca.
«Lazuli-san?! Tu… lui… un costume da coniglietta?!» arrossisce Chichi, visibilmente in imbarazzo.
«Ho detto che non è il caso di parlarne, adesso» chiude la questione Lazuli, incenerendola con lo sguardo prima di volgere un’occhiataccia di fuoco anche a me, convincendomi ad abbassare la testa mestamente.
«Va bene, mia regina…» sospiro, divertito.
«È stupido, ma obbedisce. Lo sto ammaestrando bene» si compiace Lazuli.
«Voi… voi siete pazzi!» sbotta ancora Chichi, stringendo i pugni irritata. «Con tutto quello che è successo come potete comportarvi così! Sembra non abbiate paura!»
«Ehi, Chì» intervengo, guardando serissima la sorella di Lazuli in quegli occhi di ghiaccio che conosco tanto bene e in cui mi ci sono specchiato non so nemmeno io quante volte. «Io e lei siamo già passati attraverso situazioni del cazzo come questa, eppure ne siamo usciti sempre. Ci penso io a sistemare tutto, ok?!»
«E-ecco, io…» farfuglia Chichi, abbassando la testa. «Tu… tu come potrai aiutarci?!»
«Non lo so, ma lo farò e basta. Sistemeremo tutto, non preoccuparti».
«Puoi fidarti di lui quando fa così, ha già risolto situazioni simili. Anche peggiori…» mi dà man forte Lazuli, accennando un sorriso.
«E comunque, penso che in questo strano mondo in cui viviamo, con una realtà che non sempre è quella che vorremmo e con le persone intorno a noi che spesso non ci capiscono, sia fondamentale cercare di essere almeno un po’ pazzi» sorrido a mia volta, cercando lo sguardo di Chichi per rassicurarla. «E provare a sorridere un po’, anche quando tutto sembra andare a puttane. Anche quando la realtà fa così schifo che sembra possa lacerarti il petto. Alla fine chi sorride è più forte, no?»
«S-sì…» accenna un sorriso Chichi, seppur con gli occhi lucidi.
 
«Allora, spiegatemi bene in che rapporti siete voi due» interrogo Lazuli e Chichi, per cercare di avere un quadro più completo della situazione.
«Lei è mia sorella minore, ha sedici anni ed è nata subito dopo che mio padre se ne è andato di casa e si è risposato con la sua nuova compagna, cioè la madre di Chichi» spiega con naturalezza Lazuli, con le braccia incrociate sotto il seno e le gambe accavallate. «Il suo cognome è quello di nostro padre, mentre io ho preso quello di mia madre».
«Nel frattempo ha lasciato anche mia mamma e non si fa più vedere da anni. È un ricercatore di fama mondiale, mi chiedo se prima o poi tutti sapranno anche quanto è stronzo» ringhia Chichi a denti stretti.
«Non dare peso a uno come lui» prova a rincuorarla Lazuli, gelida. «Non lo merita».
«Già, a volte i genitori fanno cagare e ci fanno soffrire, non possiamo farci niente se sono così…» sorrido a mia volta.
«Io sto molto meglio da quando ho chiuso i rapporti anche con mia madre…» sibila Lazuli.
«T-tu sei riuscita ad affrontare tua madre?!» sbotta Chichi, ammirata e perplessa.
«Sì, non è più la mia manager. È merito suo» fa spallucce la mia ragazza, indicandomi col volto.
«In ogni caso, come mai siete qui insieme adesso? Quando è avvenuto lo scambio di corpi?» riprendo a indagare.
«Lei si è presentata qui di punto in bianco ieri sera, senza preavviso, dicendo di non voler tornare a casa sua. Era tardi, per quello non sono stata lì ad avvisarti» spiega Lazuli. «E, quando stamattina ci siamo svegliate, eravamo una nel corpo dell’altra».
«Che casino…» sospiro, scuotendo la testa lentamente. «Tu hai qualche idea del perché sia successo?» domando a Chichi.
«Qualche idea su che cosa?!» sbotta lei, in tutta risposta.
«Sul perché ti sei scambiata di corpo proprio con la mia Lazuli».
«Da quand’è che io sarei la “tua” Lazuli?!» interviene la mia ragazza, alzandosi in piedi e pizzicandomi la guancia tirandola verso di lei.
«Ahia, Là… cazzo…» impreco.
«Non ne ho la minima idea!» esclama Chichi, con espressione poco convinta. «Io… io non capisco come facciate ad essere così calmi, voi due!» grida, battendo entrambe le mani sul tavolino davanti al divano, mentre Lazuli la osserva impassibile, con una mano sul fianco e una impegnata a pizzicare la mia guancia. «Cioè, lo scambio di corpi è una cosa impensabile! È… è assurdo!»
«Hai ragione» si limita a dirle Lazuli, con apparente distacco.
«T-tutto qui?!» sbotta sua sorella minore, alzandosi in piedi e stringendo i pugni. «Sorell-… ehm, Lazuli-san, a te sta davvero bene così?!»
«Quello che penso io non importa, è una situazione che dobbiamo accettare» risponde Lazuli con tutta la calma del mondo e incrociando le braccia sotto il seno. Non so se è davvero tranquilla, ma di sicuro vuole mostrarsi forte davanti a sua sorella.
Osservando la scena, non ho potuto fare a meno di notare come Chichi si sia trattenuta dal chiamare Lazuli “sorellona”, come sembrava le stesse venendo spontaneo fare. Poco fa l’aveva anche definita così quando parlava con me, ma nei casi in cui si rivolge a lei usa addirittura il “–san” dopo il nome. Ricordo che in quella trasmissione televisiva continuava a dire che adorava Lazuli e le cose che piacevano a lei, che sia qui la chiave di tutto? Che la sua non sia semplice ammirazione nei confronti della sorella maggiore ma che magari nasconda un complesso di inferiorità misto a invidia? Non ho elementi per dirlo, non so nemmeno come abbiano potuto stabilire un rapporto da sorelle, data la loro situazione familiare.
«Ad ogni modo, finché non tornerà tutto alla normalità, io vivrò la tua vita e tu vivrai la mia» stabilisce Lazuli, mentre si dirige verso un cassetto da cui estrae un’agenda fucsia con stampato sulla copertina un coniglio nero glitterato uguale a quello della sua solita molletta per capelli.
«Questi sono i miei impegni per i prossimi giorni, per fortuna non c’è niente di grosso in ballo: un servizio fotografico per una rivista di moda, qualche intervista e una ripresa per uno spot» spiega, aprendo la sua agenda e appoggiandola sul tavolino. Chichi va a prendere anche la sua agenda di lavoro e la apre accanto a quella di Lazuli. È decisamente meno piena di impegni, però è una cosa quantomeno curiosa che due sorelle cresciute lontane tra loro e di cui nessuno sa nemmeno che siano sorelle facciano parte entrambe del mondo dello spettacolo.
«È un periodo stranamente morto sul piano lavorativo per i tuoi standard» intervengo, guardando la mia ragazza nei suoi nuovi occhi neri come la notte a cui fatico ad abituarmi.
«Questo perché un certo qualcuno si è messo a frignare dicendo di sentirsi solo, o sbaglio?» mi provoca, accennando un sorriso.
«Avevi detto tu che avresti rallentato i ritmi se avessi fatto una gran partita contro il Liceo Joiyn, no? Gol, assist e vittoria, con tanto di qualificazione per il campionato nazionale… non è forse abbastanza?» ghigno a mia volta, per stare al gioco.
«Non lo so…» fa spallucce lei, facendo brillare però i suoi occhi. «Magari anch’io mi sentivo un po’ sola, visto che ci impediscono di uscire insieme in pubblico».
«Mi basta stare un po’ con te, in casa o fuori cambia poco» le sorrido.
«Allora?! Avete finito?!» sbotta Chichi, nervosa e irritata, battendo col dito indice sulla pagina aperta della sua agenda.
«È bella piena di impegni anche la tua, comunque» dice Lazuli, mettendosi a leggere.
«In realtà la maggior parte sono lezioni di danza e canto, non sono impegni di lavoro. Ci vuole molto allenamento per provare ad avere successo come idol» sbuffa Chichi, distogliendo lo sguardo dall’agenda. «Avrò un concerto con le Sweet Bullet tra dieci giorni, però».
«Speriamo che per quel momento sarà tornato tutto alla normalità…» sospira Lazuli, che non sembra essere molto entusiasta all’idea di cantare e ballare in un concerto, per di più insieme ad altre quattro idol che dubito le andranno a genio, conoscendola. «Non ho esperienza nel canto e nella danza, sarà dura imparare da zero in così poco tempo. Tu invece pensi di farcela coi miei impegni di lavoro, Chichi-chan?»
«Beh, per quanto riguarda interviste e sessioni fotografiche me la cavo…» butta lì lei, non troppo convinta. «È lo spot che mi preoccupa…».
«Il regista è uno che segue alla lettera i copioni, ti basterà studiare e non avrai problemi» prova a rassicurarla Lazuli. «Piuttosto, adesso io comincerò subito a esercitarmi nel ballo. Non c’è tempo da perdere e io voglio farti fare bella figura se dovrò davvero essere io a salire sul palco al concerto al posto tuo» aggiunge determinata, alzandosi in piedi e guardando negli occhi la sorella minore, che sembra stupita dalla sua risolutezza e dalla sua forza d’animo. «Tu invece adesso vai pure a casa, Rad» prosegue, gelida, voltandosi verso di me. «Non so cosa ne verrà fuori da questi miei primi tentativi di fare la idol, quindi gradirei che tu non mi vedessi».
«Eh?!» protesto, sconsolato. «Che fine farà la nostra sdolcinata vita insieme?!»
«Se capisco di cavarmela bene, allora da domani magari potrai assistere ai miei allenamenti. Ovviamente, se oserai fare qualche battuta inopportuna finirai molto male, ma questo immagino sia scontato».
«Ovviamente, mia regina!» mi alzo in piedi, mettendomi sull’attenti.
«Ora sparisci, scemo. Ci sentiamo dopo» accenna un sorriso. «In ogni caso, domani mattina fatti trovare sotto casa puntuale alle 7:50, devi accompagnare a scuola Chichi al posto mio, visto che io dovrò andare nella sua».
 
 
2 settembre
 
«Ehm… forse è un po’ tardi per dirlo, ma non credo che riuscirò a far finta di essere Lazuli-san…» sospira Chichi, mentre ci stiamo dirigendo tutti e tre a piedi verso la stazione. Stringe tra le mani la cartella di Lazuli e indossa la sua divisa scolastica, ma in effetti si vede lontano un miglio che non è la vera Lazuli nonostante sia intrappolata nel suo bellissimo corpo. O meglio, io me ne accorgerei lontano un miglio, gli altri a scuola non credo proprio.
«Le sue amiche capiranno subito che c’è qualcosa che non va!» sbotta, fermandosi all’improvviso sul marciapiede e abbassando la testa.
«Ma sì, tranquilla Chì! Guarda che Là non ha amiche!» scoppio a ridere, dando una pacca sulla spalla a Chichi.
«Eh?!» ribatte perplessa lei, guardando prima me e poi sua sorella maggiore, sbigottita.
«Ma senti da che pulpito!» interviene Lazuli, lanciandomi un’occhiataccia dai suoi nuovi occhi neri. Ha una mano appoggiata sul fianco con fare polemico, ma è strano vederla con una divisa scolastica di un’altra scuola. Ha la gonna corta nera e una camicetta alla marinara bianca con il colletto e i bordi delle maniche corte neri, oltre a un grande fiocco nero all’altezza del seno.
«Guarda che sono pieno di amici, io. Ne ho ben tre» le sorrido sghembo, riprendendo a camminare. «Tu hai a malapena Bulma, ma tanto a lei spiegherò tutto questo casino».
«Ah, quindi consideri una tua amica anche quella primina dall’innamoramento facile, adesso!» sibila Lazuli, avvicinandosi minacciosa e afferrandomi la coda con cui mi sono legato i miei folti capelli neri e tirandola con forza, facendomi sbilanciare all’indietro.
«Ahia, Là!» protesto, finché lei molla la presa e mi regala uno scappellotto sulla nuca.
«Comunque sia, questo è quanto» riprende Lazuli con nonchalance rivolta verso sua sorella, che ci osserva con aria basita e gli occhi sgranati. Forse pensa davvero che siamo pazzi. E, nel caso, avrebbe ragione da vendere. «Non ti sarà difficile prendere il mio posto a scuola, non parlo con nessuno» aggiunge, mentre anche Chichi riprende a camminare. «Ti basterà seguire le lezioni in silenzio e tornare a casa subito dopo. Se hai bisogno di aiuto chiama Rad, lui trova sempre una soluzione».
«V-va bene…» sospira sua sorella, poco convinta. «Ecco… in realtà anche per me è lo stesso» continua, con aria malinconica. «Da quando l’anno scorso la mia agenzia ha deciso di farmi esordire come idol, non ho più avuto tempo di uscire con le mie amiche e quando è iniziato il liceo non ho fatto amicizia con nessuno nella mia classe».
«Fate a gara a chi è la sorella più asociale?» ghigno, guardandole entrambe di sbieco per provocarle. «Che tristezza…» aggiungo, guadagnandomi un’altra tirata di capelli da parte della mia ragazza e una risata sincera da parte di Chichi.
 
«Bene, io mi avvio verso la scuola di Chichi» annuncia Lazuli, non appena entriamo in stazione e dobbiamo dividerci per andare ognuno ai rispettivi binari. È determinata, eppure nello sguardo di questo viso che non è il suo avverto anche tanta malinconia. Per me è lo stesso, perché ora che se ne deve andare mi sento improvvisamente triste e anche un po’ impaurito. È come se forse stessimo realizzando solo adesso quello che è successo e ciò che dovremo affrontare. Anche Chichi sembra abbattuta, si è fermata a qualche metro da noi restando volutamente in disparte mentre ci salutiamo.
«Così ti tocca andare a Yokohama, eh? Sarà una prova per quando andrai all’università» provo a sorridere, visto che Chichi vive e studia proprio a Yokohama, la città dove Lazuli andrà all’università a partire dal prossimo aprile. E dove vorrei andare anch’io, quando arriverà anche il mio turno di diplomarmi.
«Già…» sospira sconsolata, voltandosi verso i tornelli e arrossendo leggermente. «Un giorno… un giorno allora andremo insieme a prendere il treno su questo binario?» mi chiede in un sussurro, con una dolcezza che mi fa esplodere il cuore.
«Certo, Là. Non vedo l’ora» le rispondo con fermezza, sollevandole il mento tra indice e pollice e guardandola dritta nei suoi occhi neri che mi sembrano un po’ lucidi. Accenno un sorriso e le do una carezza sulla guancia che risale fino a suoi capelli neri legati in una coda.
Lei, in tutta risposta, recupera in un lampo tutta la sua determinazione e ci aggiunge un pizzico della ferocia che la contraddistingue, fulminandomi con lo sguardo e afferrandomi il polso per staccare la mia mano dal suo volto.
«Ti ho già spiegato le regole, Rad» sibila, stritolandomi il polso. «Niente mani addosso, niente smancerie e niente di niente finché sono in questo corpo. Non sopporterei se ti piacesse anche il corpo di mia sorella, chiaro?!»
«C-cristallino…» farfuglio, liberandomi a fatica dalla sua presa.
«E guai a te se la tieni per mano o la baci solo perché ha il mio corpo, ok?!» aggiunge, lapidaria e minacciosa, facendomi risalire un brivido gelido lunga la schiena. «Per non parlare del resto, maiale che non sei altro».
«Agli ordini, mia regina!» sorrido, facendola ridere a sua volta. «Da quello che ho capito la scuola di Chichi è un istituto per signorine di alta classe, no? Vedi di non farti mettere i piedi in testa».
«Ah, ma le sistemo tutte in mezzo secondo quelle stronzette se si azzardano a darmi fastidio» ghigna in tutta risposta, facendo brillare i suoi occhi neri. «Piuttosto, cerca di indagare con lei e di chiederle cosa pensa che sia successo. Io mi sono già fatta una mezza idea» aggiunge, abbassando il tono della voce e osservando con la coda dell’occhio Chichi, sempre in disparte e a testa bassa. «Sono convinta di essere io la causa scatenante».
«Nel senso che è dura essere la sorella di una celebrità a livello nazionale?» le domando, trovando in qualche modo conferma a quella che era stata la mia prima ipotesi ieri, pur non conoscendo i dettagli.
«Quello senz’altro, ma devi anche tenere conto di quanto siano sempre state orgogliose e stronze le nostre madri» sibila Lazuli, stringendo un pugno.
«Anche sua madre è come la tua?! Oh, cazzo…» sbuffo, scuotendo la testa.
«Forse è peggio, perché almeno la mia non soffre di complessi di inferiorità come lei…» risponde, scuotendo la testa a sua volta. «Ho ancora qualche minuto prima che arrivi il treno, adesso ti spiego tutto».
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: eccoci ritrovati, ne è valsa la pena l’attesa per un capitolo del genere?! Spero di sì, perché qui succede davvero l’inimmaginabile: Lazuli e Chichi sono sorelle, anche se hanno solo il padre in comune! Vi piace immaginare come sorelle queste due, benché mi renda conto che sia un abbinamento particolare e forse inedito nel panorama di Efp?
A me è piaciuto immaginarle come sorelle, in un certo senso avevo già avuto modo di approfondire il loro rapporto in una mia precedente long (Beauty and the Beast) e quindi mi è risultato naturale farle evolvere addirittura a sorelle, come del resto è stato proprio in quella storia che ho iniziato a scrivere di Rad e Là in coppia.
La cosa semmai più strana è aver dovuto scrivere di loro coi corpi invertiti, quindi state attenti anche voi quando leggerete a proposito di “occhi di ghiaccio”, perché staremo in realtà parlando di Chichi nel corpo di Lazuli e quando magari troveremo scritto “capelli neri” staremo parlando di Lazuli nel corpo di Chichi. Tutto questo finché non si troverà una soluzione per questo nuovo caso di Sindrome della Pubertà, che torna a colpire.
Il povero Rad è sempre in mezzo ai casini, mentre la povera Lazuli si ritrova coinvolta di nuovo suo malgrado in questa “malattia”, anche se a dirla tutta la responsabile di tutto sembra essere Chichi.
Tra l’altro l’esistenza di una sorella di Lazuli era già stata annunciata nei primissimi capitoli, non so se vi ricordate di quando Rad cerca in rete notizie su Lazuli Eighteen dopo averla vista in biblioteca vestita da coniglietta. In mezzo a diverse fake news, ce ne erano infatti anche alcune vere. Una era la lite con la madre-manager, un’altra era che avesse una sorella segreta. Chichi incombeva già allora nella storia, direi!
 
Ringrazio tutti voi per il sostegno e per aver apprezzato gli ultimi due capitoli dedicati al ritorno in campo di Radish. Grazie a chi mi lascia sempre il suo parere e a chi continua ad apprezzare questa storia e questi personaggi. Grazie poi di cuore a chi legge in silenzio e inserisce la long nelle liste.
Ringrazio Misatona per il bellissimo disegno su Cabba e Caulifla ispirato al capitolo precedente e ai convulsi momenti successivi al gol di Rad.
Grazie anche a chi aspettava con ansia da mesi l’entrata in scena definitiva di Chichi, finalmente ci siamo.
Faccio tra l’altro i complimenti a tutti coloro che mi hanno lasciato una recensione, visto che in pratica avete azzeccato tutti la parola “sorelle” relativa al titolo!
 
Ok, io non posso che sperare che il nuovo arc vi piacerà. Secondo me è molto bello, perché Chichi da adesso in poi diventa un personaggio fondamentale e sarà una presenza fissa.
Ma prima ci sono tante cose da scoprire su di lei e sul suo rapporto con Lazuli. Sulla sua famiglia, il suo lavoro e su come si troverà al fianco di una persona come Radish.
Voi vi siete fatti un’idea di quello che è successo? Cosa succederà ora? Chichi e Rad si scanneranno o andranno d’amore e d’accordo? E tra Chichi e Lazuli come stanno davvero le cose?
Nel capitolo di mercoledì prossimo cominceranno a venire a galla alcune cose importanti, il titolo è “La verità sotterrata da una vita”. E non saranno necessariamente cose positive, ma certe cose vanno affrontate e ora è il momento di farlo per i nostri personaggi.
Ci vediamo mercoledì!
 
Teo
 

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Capitolo 29
*** La verità sotterrata da una vita ***


29 – La verità sotterrata da una vita
 
 
«La mia carriera nel mondo dello spettacolo probabilmente è iniziata perché mia madre voleva fare un torto a mio padre e alla sua nuova compagna, cioè la mamma di Chichi» mi spiega Lazuli, guardandomi intensamente negli occhi e parlando a bassa voce per non farsi sentire dalla sorella. «Penso che sia per quello che abbia deciso di farmi entrare in una compagnia teatrale e in un’agenzia quando non avevo nemmeno sei anni».
«Non pensavo che fosse stato questo a spingerla a farti entrare in quel mondo. Era come se volesse dimostrare che tu, e di riflesso lei, eravate meglio di loro» sospiro, ripensando all’unico incontro che ho avuto con la mamma di Lazuli. Un incontro che mi è bastato e avanzato, tra l’altro. Da quel che so, nemmeno la mia ragazza l’ha più vista da quando si è trovata una nuova manager ed ha ripreso a lavorare.
«Quando la madre di Chichi lo scoprì, la iscrisse in un’altra compagnia teatrale e in un’altra agenzia, nonostante non avesse ancora compiuto cinque anni».
«Capisco… quindi le vostre madri hanno usato le rispettive figlie come pedine in una loro guerra personale, giusto?»
«Già…» sospira Lazuli, voltandosi verso i tornelli del suo binario. «Ci sentiamo più tardi, Rad. Pensami, mi raccomando».
«Come sempre, Là» le sorrido.
«Ah già, tieni giù le mani da mia sorella anche se è nel mio corpo!» sbotta, voltandosi un’ultima volta di scatto e facendo ondeggiare nell’aria la lunga coda nera in cui ha raccolto i suoi capelli.
 
«Di cosa stavate parlando?!» mi chiede Chichi, stizzita e visibilmente a disagio, quando ci ritroviamo per la prima volta da soli e siamo in piedi uno accanto all’altra sulla banchina, in attesa del treno che ci condurrà a scuola. Stringe nervosamente con entrambe le mani la cartella di Lazuli che ora è la sua e tiene lo sguardo fisso davanti a sé, mordicchiandosi il labbro inferiore.
La guardo, e mi rendo conto una volta di più di quanto sia allucinante e difficile da accettare questa cosa. Sono accanto al corpo della mia ragazza, occupato però dall’anima e dalla mente di sua sorella minore. Mi sembra di impazzire, cazzo. Meglio non pensarci. Meglio sorridere.
«Curiosa, eh?» butto lì con nonchalance, guardando anch’io il vuoto davanti a me con entrambe le mani dietro la nuca. «Tua sorella ha detto che posso anche saltarti addosso e riempirti di baci, visto che il corpo è suo».
«N-non è vero! E tu sei un cretino, ecco!» sbotta Chichi, paonazza, dandomi un pugno sulla testa che mi fa leggermente piegare sulle ginocchia.
«Cazzo, picchi duro anche te però… si vede che sei sua sorella…» sbuffo, massaggiandomi la testa, mentre un gruppo di studenti in attesa del treno ci osserva con aria stranita. «Ti prendo un po’ in giro per farti ridere, no?!»
«S-scusa…» sussurra Chichi, abbassando la testa imbarazzata.
«Non dimenticarti che adesso sei la glaciale Lazuli Eighteen, la celebrità che qui nel quartiere tutti sono abituati a vedere e quindi raramente troverai qualcuno che ti fermerà per un selfie o un autografo» le spiego. «Però penso che questo sia dovuto anche al fatto che Là disincentivi la gente ad avvicinarsi a lei coi suoi modi di fare gelidi e le sue occhiate assassine. Quindi dovresti darti un contegno anche tu in pubblico».
«G-giusto…» sospira, sempre a testa bassa.
«A proposito di celebrità… non avrà problemi Lazuli a fare il viaggio in treno nei tuoi panni? Cioè, non c’è il rischio che la gente impazzisca nel vedere la idol Chichi Gelo?» le chiedo. «C’è gente che va fuori di testa per le idol…».
«Mi stai prendendo ancora in giro?!» ringhia Chichi, sollevando leggermente lo sguardo e guardandomi di sbieco attraverso gli occhi di ghiaccio di Lazuli.
«No, perché? Ti ho anche vista in televisione di recente con le altre Sweet Palette, ma non me ne intendo molto di gruppi idol…» le spiego.
«Bullet! Siamo le Sweet Bullet, scemo!» sibila, irritata. «Dimmi che lo fai apposta! Dimmelo!»
«Eh?!» sbuffo, sorridendole sghembo. «Sarai anche un “proiettile” tu, ma non sei per niente “dolce”. Spero che almeno le altre quattro tue compagne siano un po’ più dolci di te».
«Sei tu che mi fai arrabbiare, e lo fai di proposito per distrarmi… non sono stupida» accenna un sorriso, guardandomi per la prima volta dolcemente e sembrando anche a suo agio. «Comunque stai tranquillo per la mia sorellona. Sarò anche una idol, ma il mio gruppo non è molto famoso. In giro non mi riconosce nessuno, a differenza di Lazuli-san» aggiunge, senza che possa impedire a un velo di tristezza di avvolgere le sue ultime parole. Noto anche come ancora una volta abbia definito Lazuli come “sorellona” parlando con me, prima di tornare a definirla “Lazuli-san” rispettosamente. Mi chiedo cosa le passi per la testa e cosa pensi davvero della mia Là.
 
«Terzo anno, sezione 1. La tua classe è quella laggiù» spiego a Chichi, dopo averla accompagnata fino al piano delle classi del terzo anno.
«Lo so. E il mio banco è quello vicino alla finestra, in ultima fila» ribatte lei, soddisfatta di aver imparato per bene almeno le basi per far funzionare questa cosa. «E mi basterà seguire in silenzio le lezioni, no?»
«Brava, Là è selvatica da morire e non parla con nessuno, ma allo stesso tempo è un cazzo di genio e capisce tutto al volo di quello che c’è da studiare. Andrai alla grande, Chì!» le sorrido, rassicurante. «Sai, passando del tempo con te ho notato che spesso fai le sue stesse espressioni e hai il suo stesso modo di parlare. Reciti bene».
«Non è che recito…» sospira Chichi, dandomi le spalle e facendo gonfiare leggermente la corta gonna della divisa scolastica. «È solo che da piccola imitavo spesso mia sorella. Lei era il mio orgoglio» aggiunge, guardando il cielo azzurro fuori dalla finestra del corridoio. «Lei era tutto quello che io sarei voluta diventare».
 
«Tralasciando le domande su cosa sta accadendo, la soluzione relativa a questo caso non è di per sé scontata?» mi chiede Bulma, armeggiando tra flaconi e provette nel laboratorio di scienze. Lei sì che è quella di sempre: occhiali, camice bianco aperto sopra alla divisa e aria da genio. Ha però legato i suoi capelli turchini in una coda alta, si vede che aveva apprezzato questo tratto distintivo di Bulma II, la sua copia che ci aveva creato tanti problemi meno di un mese fa.
«Non puoi darmi un aiutino?» la imploro, mentre lei finisce di scrivere qualcosa su un’etichetta e mi guarda finalmente negli occhi, sistemandosi gli occhiali sul naso e sospirando. Ovviamente le ho appena spiegato tutte le novità.
«Sappiamo che la Sindrome della Pubertà sia causata da un’instabilità a livello emotivo, giusto?»
«Giusto».
«Se a me sono bastate le poche cose che mi hai detto per capire la natura della causa di questa instabilità, scommetto che anche tu ci sei arrivato da un pezzo. Dimmelo tu, Son-kun».
«Per farla breve, la sorella minore soffre di un complesso di inferiorità nei confronti della sorella maggiore, perfetta in tutto e per tutto» le spiego, enunciando l’idea che mi sono fatto. «Quello che ti chiedo è: come farà a venirne fuori?»
«Magari potrebbe bastarle diventare una idol di fama nazionale. Oppure la questione è più complicata e bisognerà lavorare sul rapporto che c’è tra le due sorelle. O addirittura tra le madri» ribatte, pensierosa, prima di sedersi su uno sgabello e prendere in mano un quaderno.
«Già, che casino…» sospiro, sedendomi anch’io. «Ehi, Bulma, come vanno le cose con Prince? Lui parla a monosillabi della sua vita sentimentale, lo sai!»
«Vanno… vanno bene, no?!» arrossisce lei, distogliendo lo sguardo dal mio, imbarazzata. «I primi giorni sono stati un po’ strani… ma… ma ora sono felice» si scioglie in un sorriso. «E penso che anche lui lo sia, anche se resta sempre uno scimmione».
«Sono contento per voi, davvero. Voi siete i miei amici, è rassicurante anche per me vedervi insieme» le sorrido, alzandomi e dirigendomi verso l’uscita del laboratorio.
«Son-kun?»
«Uhm?»
«Grazie. Per tutto» mi sorride dolcemente.
«Grazie a te, Bulma. Anche per i video che hai fatto durante la partita di calcio. Grazie a te le mie gesta verranno tramandate ai posteri» rido, mentre apro la porta.
«Sì, “La leggenda di Rad e Prince, gli scimmioni che portarono il Liceo Minegahara al Campionato Nazionale”» ribatte lei, ridendo a sua volta.
 
«Una ragazza che si toglie le calze è decisamente sexy, lo sai?» butto lì, accucciato sulla sabbia della spiaggia Shichirigahama, dove sono venuto insieme a Chichi dopo la scuola. La sorella di Lazuli si è appena tolta le scarpe e poi si è sfilata le calze nere della divisa scolastica, rivolgendomi al contempo un’occhiataccia omicida e diventando paonazza. «Soprattutto se ha un corpo come quello che stai occupando tu adesso» sorrido sghembo, sollevando ritmicamente le sopracciglia e alludendo ovviamente al corpo della mia amata Lazuli.
«Smettila di guardarmi, sembri un pervertito!» grida Chichi, imbarazzata, tirandosi leggermente in giù la gonna portando entrambe le braccia tra le gambe, come a volersi coprire.
«In effetti lo sono, non posso farci niente» allargo le braccia.
«Mi… mi fai schifo!» sbraita di nuovo, sempre più rossa. «Se l’avessi saputo, ci sarei venuta da sola a vedere il mare!»
«Ok, ok… la smetto…» mi arrendo, rialzandomi e volgendo lo sguardo verso il mare azzurro e calmo. Mi sale un po’ di malinconia a pensare che non sono qui con Lazuli, nonostante il suo corpo e i suoi occhi siano qui vicini a me. Persino il suo profumo fresco è lo stesso. Ma non è la stessa cosa. «Sei stata brava oggi».
«G-grazie…» sospira Chichi, abbassando lo sguardo, prima di correre all’improvviso a piedi nudi verso il mare.
Lascia che l’acqua le arrivi alle caviglie, per poi voltarsi verso di me e sorridermi dolcemente. I suoi occhi di ghiaccio brillano, mentre il sole basso nel cielo si riflette sui suoi capelli dorati.
«È bellissimo qui! È stupendo il mare!» esclama felice, prima di mettersi a correre e a saltellare in acqua, sollevando schizzi qua e là che le bagnano le cosce. Mi piace vederla finalmente serena.
«Sì, è tutto davvero stupendo…» bofonchio, fissandole le cosce bagnate.
«Ehi! Smettila di fissarmi le gambe, porco di un Rad!» sbraita Chichi, non appena si rende conto del fulcro della mia attenzione.
«Non è colpa mia se sono uno spettacolo».
«Piantala di sbavare sul corpo della mia sorellona!» grida, stringendo un pugno e sollevandolo verso di me con fare minaccioso.
«Vorrei che mi avvolgessero…» le spiego, ignorandola.
«Eh?!» ribatte Chichi, arrossendo di nuovo.
«Vorrei che quelle gambe avvolgessero la mia testa, intendo».
«Tu… tu devi avere qualche problema mentale!»
«Allora deve avercelo anche la tua sorellona» le rispondo, ghignando. «A lei andrebbe bene farlo, nonostante sia una mia senpai. Non che non l’abbia già fatto, in realtà, sia chiaro».
«T-tu… e l-lei…» farfuglia Chichi, paonazza, puntando il dito indice contro di me e fissandomi con la bocca semiaperta e gli occhi sgranati, mentre esce lentamente dall’acqua.
«Uhm? Non capisco…».
«Ma come fa una come lei a stare con uno come te?!»
«Ah, ogni tanto me lo chiedo anch’io» accenno un sorriso, guardando verso il cielo. «Di sicuro ho avuto una gran botta di culo a trovare tua sorella. E non solo perché è fottutamente bella, sia chiaro».
Chichi sorride a sua volta, guardandomi negl’occhi, prima di sedersi sulla sabbia accanto a me e mettersi a guardare di nuovo il mare.
«Io non capisco se sei scemo o se fai lo scemo. Se sei un immaturo o se sei responsabile» mi dice. «O se sei pazzo».
«Ah, quello non lo so nemmeno io» le rispondo. «O meglio, so per certo di essere pazzo e decisamente scemo… per il resto lascio il verdetto agli altri».
«Sei strano… però sei uno che sa far ridere gli altri. E sei gentile» accenna un sorriso lei, senza distogliere lo sguardo dal mare sconfinato davanti a noi. Si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio e mi fa battere il cuore un po’ più forte per un istante. Sembra davvero Lazuli in questo preciso momento.
«Lo sai perché mi piace tanto il mare? A parte per il fatto che è uno spettacolo meraviglioso, intendo» ribatto.
«Perché puoi vedere la sorellona in bikini?» butta lì Chichi ghignando. Direi che sta imparando a conoscere come sono fatto.
«A parte quello, ovviamente» sorrido. «Mi piace perché se ne frega. Ammiro il mare perché se ne frega».
«Eh?! Il mare se ne frega?! Cosa significa?» mi chiede lei, interdetta.
«Guardalo, Chì. È grande, è forte, è pieno di sé. Cosa cambia per lui se c’è il sole o se c’è una tempesta? Dopo la pioggia il mare torna come prima, calmo e rassicurante» le spiego, mentre mi guarda con aria interrogativa. «Il mare a volte cambia aspetto, ma resta sempre sé stesso. Ogni tanto ci sembra celeste, altre blu, altre trasparente… persino rosso o nero. Ma è sempre lui, è sempre lo stesso mare. Qualunque cosa gli capiti, qualunque cosa succeda intorno a lui».
«Come fa a fregarsene di tutto?» mi domanda, tornando a guardare davanti a sé.
«Boh, lo fa e basta. Non gliene frega niente di me, di te, di nessuno. Delle cose belle, ma anche e soprattutto delle cose brutte. Il mare è sempre sé stesso, che ci sia una splendida giornata come oggi o che gli piova addosso una valanga di merda. Il mare se ne frega, la pioggia lo sfiora appena. Si fa scivolare addosso le cose brutte e va avanti come nulla fosse».
«Per te si può essere come il mare, Rad?»
«Si può essere quello che si vuole nella vita. Io ci provo. Provo a lasciarmi sfiorare appena dalle cose brutte che mi capitano. Ma non sempre è possibile farlo quando ci si trova nella merda fino al collo, non sempre si è abbastanza forti o abbastanza positivi. Il mare lo fa sempre».
«Già, è difficile lasciarsi scivolare addosso tutto… il presente, il passato…» sospira lei.
«Il passato mi ha fottuto, una volta. Non sono stato abbastanza forte da lasciarmi scivolare tutto addosso. Forse ero troppo piccolo, sicuramente ero troppo solo… fatto sta che credo che ne porterò addosso i segni per sempre» replico amaramente, sfiorandomi appena il petto, senza che lei possa capire. «Ma si possono imparare molte cose dal dolore. Anzi, forse vedi nitidamente certe cose davanti a te quando stai soffrendo di più: le priorità, gli obiettivi, il valore delle piccole cose e della quotidianità. L’importanza di aver vicino qualcuno che ti vuole bene, qualcuno che lotta al tuo fianco. Qualcuno per cui valga la pena stringere i pugni, ma soprattutto per cui valga la pena sorridere. Qualcuno che hai voglia di far sorridere».
«Mi dispiace se hai dovuto soffrire in passato. Tu… tu sembri così spensierato, così sicuro di te. Io… io non pensavo che uno come te potesse aver passato dei brutti momenti» ribatte Chichi, quasi in un sussurro. «Anch’io ho sofferto… cioè, soffro ancora in realtà. Non ce la faccio ad essere come il mare, non sono capace di fregarmene. Tu hai imparato a farlo?»
«Ho imparato a modo mio, Ad esempio per due anni ho imparato a ignorare la gente che mi parlava dietro a scuola, che mi considerava un reietto per qualcosa che non avevo fatto.
Oggi mi considerano un eroe della scuola grazie al calcio e alla mia storia con tua sorella, ma fino a pochi mesi fa era tutto diverso».
«Non l’avrei mai detto che a scuola eri emarginato, oggi ti cercavano tutti e tutte. Sei stato bravo a fregartene in questi anni, ad essere come questo mare».
«Io però non voglio fregarmene proprio di tutto come fa il mare» preciso. «Non voglio fregarmene dei momenti belli che vivo o che ho vissuto, come non voglio fregarmene delle persone a cui tengo. Per loro… beh, per loro sarei disposto a fare di tutto. Per tua sorella credo che sarei pronto anche a dare la vita».
«Sai una cosa, Rad?» riprende Chichi, guardandomi di nuovo negl’occhi.
«Uhm?»
«Sarai anche pazzo, scemo, magari immaturo o maniaco… ma sei una bella persona secondo me. Sei uno su cui si può contare».
 
Restiamo in silenzio per un po’ a guardare il sole che scende sempre di più verso l’orizzonte, lasciandoci cullare dal suono rilassante delle onde che si spengono sul bagnasciuga.
«Perché quando sei con Lazuli non la chiami “sorellona”?» provo a indagare. Chichi solleva impercettibilmente la schiena e sgrana gli occhi per un istante, come se fosse stata punta da qualcosa o attraversata da una piccola scossa. «La chiami sempre “Lazuli-san” e ti sforzi di parlarle educatamente. Quando sei con me sei diversa. Mi sembri più te stessa, anche se ti conosco appena».
«M-mi sembra una cosa normale! È una senpai che rispetto molto nel mondo dello spettacolo di cui faccio parte anch’io» sbotta, abbassando la testa e stringendo della sabbia nei suoi pugni chiusi.
«Tutto qui?»
«Sì…» sospira mestamente.
«Allora perché sei andata proprio a casa sua l’altra sera? Io sarei andato da qualcuno con cui sono più in confidenza».
«Forse non tutti sono come te…» sospira di nuovo, in tono malinconico, tenendo sempre la testa bassa. «Io non sono come te».
«Sicura che non c’è qualcosa che vorresti dirle?» le chiedo, notando con la coda dell’occhio che ancora una volta devo aver colpito nel segno, a giudicare dallo scatto involontario fatto da Chichi. Ha anche rialzato la testa. I suoi occhi sono sgranati. «Qualcosa tipo: “Ti odio, sorellona”?»
«No!» grida, voltandosi immediatamente in mia direzione. «Ti… ti sbagli…» aggiunge in un sussurro, abbassando di nuovo la testa. I suoi occhi di ghiaccio sono lucidi.
«Beh, non ci sarebbe nulla di male…» provo a rassicurarla. «Se sei scappata di casa, significa che hai litigato con tua madre. E se la causa del vostro litigio è stata Lazuli, è normale che tu la odi».
«Io… io non ho detto nulla di simile!» si rialza in piedi di scatto, con gli occhi pieni di lacrime e il tono di voce intriso di rabbia. «Tu… tu devi restarne fuori! Tu non sai niente! Nemmeno ti conosco!» mi grida contro, stringendo i pugni.
«Non ci vuole un genio per capire certe cose» le rispondo, guardandola negl’occhi e mostrandomi tranquillo. «E devi sapere che Là è sempre un passo avanti su tutto, quindi l’avrà capito di sicuro anche lei».
«Non… non ci credo…» sussurra Chichi, lasciandosi cadere le braccia lungo i fianchi e fissando il vuoto davanti a sé con sguardo vacuo.
Si rimette a sedere vicina a me, con il mento appoggiato alle ginocchia strette nelle sue braccia. Resta in silenzio, con gli occhi lucidi, non saprei dire per quanto.
«Beh, si sta facendo tardi. Devo andare a casa da mio fratello, adesso» le dico, rialzandomi in piedi.
«Tu hai un fratello?»
«Sì, ha un anno in meno di te ed è un bravo ragazzo. Lui sta lottando da due anni contro questa Sindrome della Pubertà che ora sta rompendo le palle a te».
«Anche a lui è successo?! E adesso non è più nel suo corpo nemmeno dopo due anni?!»
«Da quello che so, questa Sindrome ha effetti diversi a seconda di chi ne viene colpito. Ci siamo passati anche io, tua sorella e due mie amiche. Ma ne siamo usciti».
«Anche la mia sorellona?! Davvero?!»
«Diciamo che è così che ci siamo conosciuti io e lei… in un certo senso dovrei essere grato alla Sindrome della Pubertà» le sorrido, guardandola dall’alto verso il basso, visto che lei è ancora seduta.
«E tuo fratello come sta?»
«Sta bene, è un po’ timido con gli estranei, ma mi piacerebbe fartelo conoscere. Lui ha perso la memoria due anni fa e i suoi ricordi partono solo da quel momento. Allo stesso tempo tutto questo casino l’ha reso un po’ infantile, ma lui è una roccia e so che ce la farà. Noi viviamo da soli nel palazzo davanti a quello di Là».
«E i tuoi?»
«C’è stato un momento della mia vita in cui ho odiato i miei… come adesso Lazuli odia sua madre, ad esempio. Per questo ti dico che può capitare di non sopportare un familiare, non c’è nulla di strano. Anche tra sorelle ci si può odiare in certi periodi, penso. Ma credo anche che certi rapporti si possano recuperare. Io voglio bene ai miei» le spiego, osservando al contempo la sua reazione. Abbassa di nuovo la testa, a disagio. Credo si senta in colpa perché odia Lazuli e non vuole ammetterlo. «Quando mio fratello è stato male, mia madre ha avuto un crollo psicologico e da allora è stata ricoverata. Mio padre è con lei, per quello noi siamo soli».
Mi chino verso di lei e le sollevo il mento tra indice e pollice, fissando i miei occhi neri nei suoi di ghiaccio. «Ma la vita va avanti lo stesso, no? E tutte le notti ce l’hanno una fine, quindi non dobbiamo dimenticarci mai di sorridere. Perché chi sorride è più forte, come mi aveva insegnato una persona tempo fa» aggiungo, spostandole i bordi della bocca per farla sorridere a sua volta.
«Ora devo andare, se tu vuoi restare ancora fai pure. Tanto dovresti aver imparato la strada per tornare a casa» le spiego, mentre mi rialzo. «Dopo vedi di parlare con tua sorella, ok? Ci vediamo domani».
«A-aspetta, Rad!» esclama Chichi, rialzandosi di scatto e tirandomi un lembo della camicia della mia divisa scolastica sulla schiena per fermarmi.
«Uhm?» mi volto, mentre lei guarda verso il basso e non molla la presa sulla mia camicia. È strano vedere il corpo di Lazuli così sofferente, non ci ero più abituato. Mi stringe il cuore, anche se so che non è lei che sta soffrendo in questo momento, nonostante l’aspetto esteriore che ha Chichi adesso. Ma fa male lo stesso, tanto anche.
«N-non puoi ospitarmi per un po’? Non me la sento di andare a casa sua adesso…» sussurra, visibilmente a disagio.
«E come glielo spieghiamo a lei?!» ribatto, sollevando un sopracciglio.
«Basterà che ti inventi una scusa! Per favore, Rad…» mi implora Chichi, congiungendo le mani e chiudendo gli occhi, mentre abbassa la testa.
«C’è qualcosa che dovrei sapere, per caso?!»
Una voce dal tono gelido e impassibile ci fa voltare entrambi di scatto, e a me viene spontaneo sorridere, a differenza di Chichi. Avevo scritto un messaggio a Lazuli per dirle che eravamo qui, e sento il mio cuore battere più forte ora che è qui davanti a me. Nonostante non abbia il suo corpo è stupendo averla qui.
«Chichi-chan dice di voler dormire a casa mia» le spiego, guardandola dritta nei suoi occhi neri che sembrano improvvisamente essere attraversati da una scintilla.
«Perché?» sibila, fredda e distaccata, rivolgendosi a me e non a sua sorella, che la osserva visibilmente a disagio e intimorita.
«Beh, sai com’è… si è già innamorata di me!» esclamo, allargando le braccia e sollevando ritmicamente le sopracciglia. Pessima idea, direi, dato che vengo bruciato vivo dall’occhiataccia congiunta delle due sorelle. E, sempre più convinto che sia stata una pessima idea fare questa battuta, osservo Lazuli che stringe il suo pugno destro, probabilmente pronta a colpirmi.
«Glielo dico io…» sospira invece Chichi, guardando Lazuli e salvandomi di certo dalla sua ira. La mia ragazza posa gli occhi su di lei, sciogliendo al contempo il pugno che stava caricando minacciosa.
«Devi sapere che…» comincia Chichi timidamente, abbassando subito la testa perché non in grado di sostenere lo sguardo gelido e impassibile di Lazuli. In effetti il suo sguardo glaciale fa spavento in questo preciso istante, nonostante questi nuovi occhi neri che sembrano bruciare come carboni ardenti. «Ecco… io ho sempre vissuto nella tua ombra, fin da bambina. Ogni volta che andavo a un’audizione ed eri presente anche tu, eri sempre te ad essere scelta» aggiunge mestamente, riprendendo finalmente a guardare la sorella, che tuttavia non batte ciglio. «Per questo motivo poi mia madre se la prendeva sempre con me…» prosegue, con la voce che si fa via via più strozzata. «Sai cosa diceva?! “Tua sorella ce l’ha fatta! Possibile che tu non possa essere come lei?! Io voglio vederti avere più successo di lei!”»
Si interrompe per un istante, abbassando di nuovo la testa e stringendo i pugni. Sembra stia cercando di non piangere. Anche lo sguardo di Lazuli sembra meno freddo. Forse è dispiaciuta, o magari il carattere della madre di Chichi le ha ricordato quella della sua. Gente senza scrupoli, altro che mamme, per come vedo io le cose.
«Quando ti sei presa una pausa dal mondo dello spettacolo, finalmente sono riuscita a esordire come idol con le Sweet Bullet» riprende Chichi, accennando un sorriso malinconico. «In quel periodo mia mamma iniziò per la prima volta ad essere più gentile e a complimentarsi con me».
Si interrompe di nuovo e riprende a guardare negli occhi Lazuli, indurendo il suo sguardo e stringendo più forte i pugni. «Allora… allora perché sei tornata così dal nulla?!» grida in faccia a sua sorella maggiore. «Hai avuto subito una parte importante in un telefilm famoso, sei apparsa in tantissimi spot e su un sacco di riviste di moda! Quante volte ti hanno già messo in copertina?! Eh, quante?!» sbraita, irritata e rabbiosa, con gli occhi pieni di lacrime. «Perché mi metti sempre i bastoni tra le ruote?! Fai senza problemi cose per cui a me sono serviti anni di duro lavoro! Sei sempre tu quella al centro dell’attenzione! Devi smetterla di mandare all’aria tutti i miei sforzi!» prosegue, urlando in un ringhio soffocato tutto quello che aveva represso dentro di sé da una vita, mentre Lazuli continua a fissarla impassibile, come se la cosa non la riguardasse. «T-ti odio! I-io ti odio… sorellona!» conclude, con la voce rotta da un pianto che fatica sempre più a trattenere.
«Davvero? Buono a sapersi» si limita a commentare Lazuli, che non sembra né stupita e né toccata dalle parole che le ha urlato in faccia sua sorella minore, che sgrana gli occhi e scioglie i pugni, stupita da quella reazione. «Sai una cosa? Quando eravamo piccole anch’io ti odiavo, anche se non te l’ho mai detto» le spiega tranquillamente Lazuli, fissandola con apparente distacco. «Ti odiavo, anche se ho capito in fretta che la colpa non era tua. La colpa era ed è solo della sconsideratezza di nostro padre. E, dopo di lui, le nostre madri hanno completato l’opera» aggiunge, interrompendosi per un istante e osservando il viso di Chichi, che poi sarebbe il suo, sempre più pallido nonostante sia illuminato dai raggi del sole al tramonto. «Non solo nostro padre mi ha abbandonata quando ero appena nata, ma ha poi avuto la faccia tosta di essere stato proprio lui a farci incontrare, visto che gli andava bene che facessimo gli stessi provini. Ho sofferto per questo, non potevo che odiarti. So che tu non potevi farci niente e non è certo colpa tua se lui ti ha messo al mondo dopo avermi abbandonata, ma spero capirai il mio punto di vista» conclude, prima di voltarsi e cominciare a camminare verso la scalinata che collega la spiaggia alla strada. «Andiamo, Rad. Dormirò a casa tua stanotte» stabilisce, prima di voltarsi un’ultima volta verso Chichi, che la guarda con la faccia stravolta e le guance rigate di lacrime. «Tu fai quello che vuoi. Le chiavi di casa mia ce le hai e la strada la conosci, se dopo vuoi venire anche tu a dormire a casa sua decidilo da sola» aggiunge lapidaria, mentre la raggiungo e allo stesso tempo cerco di sorridere in modo rassicurante verso Chichi per consolarla e darle forza. Che situazione del cazzo, a volte vomitarsi in faccia una verità sotterrata per una vita può far male come un pugno in faccia al dodicesimo round di un incontro di boxe o come un gol decisivo subito al novantesimo minuto. «Se tu mi odi non è un problema mio, ho superato quella fase da anni. Cerca di crescere».
 
 
 
 
 
 
 
Note: buona settimana a tutti e grazie per aver letto questo capitolo, prima di tutto. Abbiamo conosciuto un po’ meglio Chichi, soprattutto Rad e lei hanno passato molto tempo insieme e alla fine la verità viene a galla. Una verità che fa male, perché è stato brutto anche per me far litigare così Là e Chì. Ma un confronto sincero era necessario e non rimandabile a questo punto. Chichi esplode letteralmente, tira fuori tutto il dolore accumulato per anni e lo sfoga sulla sorella maggiore. Lazuli ribatte e reagisce a modo suo, senza scomporsi ma facendo malissimo. In ogni caso sappiate che sta soffrendo anche lei per tutto questo.
Non lo so, cosa pensate di questa situazione? Io dico che i sentimenti di Chichi sono condivisibili ed è comprensibile ciò che provi, ma secondo me sbaglia a ritenere Lazuli responsabile del suo dolore. Ma sono sicuro che presa dal momento concitato abbia esagerato anche lei, che abbia fatto di tutta l’erba un fascio, come si suol dire. Io non credo che queste due sorelle si odino davvero, secondo voi?
Altra parte importante del capitolo e a cui tengo molto è quella con Rad e Chì in riva al mare. In quel momento Radish tira fuori davvero tutto sé stesso, dalle battute allusive alla dolcezza, passando soprattutto per l’esposizione di quella che è un po’ la sua filosofia di vita. Io spero che vi sia piaciuta quella parte, che abbiate apprezzato questa cosa del mare che se ne frega, un concetto già comparso in questa storia e anche molte altre volte nei miei passati lavori, per chi mi conosce da tempo. Avevo intitolato persino così la mia prima one shot (con C18 protagonista, tra l’altro) assoluta su efp, una storia a cui sarò sempre legato. Vi ricordo poi che “Il mare se ne frega” è una canzone di Raige cantata dai Onemic, gruppo di cui faceva parte allora. Ascoltatela e cantatela, ne varrà la pena. ;-)
Tra l’altro mi è piaciuto molto tornare a scrivere di Rad e Chichi insieme, immaginare dialoghi tra loro, farli punzecchiare a vicenda. È stato molto da “Beauty and the Beast”, dove li mettevo in scena sempre insieme e mi facevano ogni volta ridere da solo come uno scemo. Spero vi siano piaciuti!
Abbiamo anche saputo che tra Bulma e Vegeta va tutto ok, quindi possiamo stare tranquilli almeno per loro!
Sulla mamma di Chichi invece avete qualcosa da dire? Domanda retorica, immagino.
 
Ok, grazie mille come sempre a chi mi lascia il suo parere e un incoraggiamento, che sono sempre graditi e anzi fondamentale per chi scrive e spera di divertirvi un pochino con quello che fa. Grazie a chi c’è sempre, a chi mi sostiene in questa storia dall’inizio e a chi continua ad amare questi personaggi. Un grazie speciale a chi legge in silenzio e spero che continui ad apprezzare, se volete farmi sapere anche voi cosa ne pensate di Chichi e del nuovo arc ne sarò davvero onorato!
Ringrazio poi tanto Sapphir Dream che ha colorato lo stupendo e commovente disegno di Rad e Là che avevo allegato in bianco e nero al cap. 8, relativo alla scena finale del cap.7 in cui Radish si addormenta davanti a Lazuli dopo tre notti insonni, a causa del sonnifero che gli aveva dato lei nonostante fosse stata ormai dimenticata da tutti e nessuno riuscisse più a vederla. Forse è la scena più bella e toccante dell’intera storia… di sicuro mi aveva abbastanza devastato. ;-)  Ve lo posto qui sotto.
 
Bene, ci vediamo mercoledì prossimo e vedremo un po’ le due sorelle impegnate a vivere l’una la vita dell’altra, con Rad sballottato un po’ di qua e un po’ di là in cerca di una soluzione.
Cosa dite, andrà anche Chichi a dormire a casa di Rad nonostante ci sia Lazuli? E Goku come reagirà nel conoscere (eventualmente) Chichi e, prima ancora, il corpo di Chichi occupato da Lazuli? Vi ricordo che Chichi ha solo un anno in più di Goku in questa storia.
Torneranno anche in scena Lunch e soprattutto la piccola Videl-chan, visto che non ci sono già abbastanza guai in vista, no? :-)
In tutto questo, riusciranno almeno a chiarirsi le due sorelle? Per saperlo, ci vediamo mercoledì con “La vita dell’altra”!
 
Teo
 
 

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Capitolo 30
*** La vita dell'altra ***


30 – La vita dell’altra
 
 
 
«Sei sicura di voler restare anche tu a dormire qui, Là?» domando alla mia ragazza, mentre inserisco le chiavi nella serratura della porta di casa mia.
«È ovvio, non posso certo lasciare che Chichi dorma da sola a casa tua. Per giunta con il mio corpo» ribatte lapidaria, fissandomi coi suoi occhi neri che sembrano ardere. O meglio, attraverso gli occhi neri del corpo di sua sorella, purtroppo.
«Beh, ha senso… e a me fa solo piacere averti qui, speriamo che Goku non faccia il cinema adesso…» sospiro, mentre apro la porta.
«Bentornato fratellon…» esclama Goku, che indossa la sua solita maglia dei dinosauri che gli ha regalato Lazuli tempo fa, prima di interrompersi e scappare a nascondersi. È sempre problematico per lui aver a che fare con sconosciuti e, ovviamente, la vista del corpo di Chichi l’ha un attimo spaventato.
«F-fratellone, ti sei dato alla vita criminale?!» sussurra, spiandomi da dietro la porta socchiusa della cucina.
«Non mi sono dato a niente…» sbuffo, appoggiando le chiavi sul tavolino all’ingresso.
«Goku-kun ha… ha visto in un film che quelli come te li chiamano gigolò!» ribatte, mentre Lazuli, al mio fianco, solleva impercettibilmente un sopracciglio e stringe un pugno.
«Eh?! E come saresti arrivato a questa conclusione?!»
«Hai portato a casa un’altra ragazza! Continui a portare qui ragazze ultimamente, fratellone!»
«Cosa?!» sibila Lazuli, incenerendomi con lo sguardo, prima di guardare mio fratello e regalargli un sorriso da attrice consumata. «Chi sono le ragazze che ha portato a casa il tuo fratellone?» gli chiede, dolcemente. «So che ti chiami Goku-kun, io sono la sorella minore di Lazuli-san, comunque, e mi chiamo Chichi Gelo!»
«P-piacere di conoscerti, Chichi-chan…» sussurra Goku, abbassando la testa e arrossendo un poco. «G-goku-kun conosce solo Lazuli-san, Bulma-san e la piccola Videl-chan».
«Sicuro che non ha portato qui nessun’altra il tuo fratellone?»
«S-sicuro…».
«Ok, sono proprio felice di conoscerti, Goku-kun! La mia sorellona mi ha parlato bene di te! Trovo bellissima la tua maglietta!» gli sorride, prima di guardarmi di sbieco. «Ti è andata bene, stavolta» bisbiglia, ghignando.
«G-grazie Chichi-chan, sei molto gentile!» accenna un sorriso Goku, aprendo del tutto la porta della cucina. «Lui è Balzar, mentre il piccolino è Beerus» aggiunge, indicando i nostri gatti.
«Chichi resterà qui da noi per un po’, si è trasferita a Fujisawa per lavoro da Yokohama» spiego a mio fratello.
«Goku-kun la conosce già perché l’ha vista in televisione e pensa che sia la più brava delle Sweet Bullet!» esclama, sorridendo felice.
 
 
«Te la sei presa proprio comoda, eh? Stavi per caso pensando a me?» mi domanda Lazuli, accennando un sorriso malizioso, mentre mi avvicino a lei con addosso solo i boxer e mi passo un asciugamano tra i capelli bagnati.
Mi sono appena fatto la doccia e adesso l’ho raggiunta in salotto, dove si è seduta sul divano a guardare la televisione, mentre Goku è andato in camera sua a finire i compiti che gli aveva preparato Bulma. Ultimamente mi dà una mano anche lei a seguirlo, soprattutto per farlo studiare decentemente.
«Non c’è minuto che non ti pensi, Là» le sorrido provocante, guardandola intensamente negl’occhi. «Soprattutto sotto la doccia».
«Ok, ok…» sospira. «Sei proprio un maiale senza speranza… e poi com’è possibile che sei sempre mezzo nudo?!»
«Ti dispiace forse?» le domando con voce roca.
«N-non ho detto questo, scemo…» sibila, arrossendo lievemente e distogliendo lo sguardo da me.
«Sei adorabile, lo sai?» le sorrido dolcemente, facendola arrossire ancora di più.
«Rad, ti ricordi la prima volta che sono venuta qui? Mi avevi fatto toccare le tue cicatrici…» sorride, con un velo di malinconia nel tono della voce, mentre osserva il mio petto.
«Già, mi avevi fatto eccitare in effetti!» rido, per provare a tirarla su di morale. Deve essere terribile quello che sta vivendo, anche se lei cerca di non darlo a vedere per mostrarsi forte. «Vuoi accarezzarmi il petto anche adesso?»
«E perché dovrei farlo?!» sbotta, distogliendo di nuovo lo sguardo dal mio. «Smettila di fare il cretino e fila a vestirti! Non vorrai mica che Chichi ti veda mezzo nudo! Potrebbe spaventarsi per le tue cicatrici, lei non è come me!»
«Secondo me sei gelosa» alludo, per toccarla nel suo orgoglio.
«E perché dovrei?! Ho detto solo che potrebbe spaventarsi perché è ancora una bambina!»
«A me tua sorella non sembra una bambina…» ribatto con nonchalance, mentre mi appoggio l’asciugamano sulla testa e osservo la reazione della mia ragazza.
«Sì che lo è!» sbotta, irritata.
«Mi ricordi un attimo chi di noi due ha litigato con questa bambina?»
«Piantala con queste ovvietà! Io… io volevo solo che fosse onesta con sé stessa. Ma a quel punto dovevo esserlo anch’io!»
«Hai ragione, Là. Secondo me sei stata brava» le sorrido, sollevandole il mento tra indice e pollice per guardarla negl’occhi. «Adesso che vi siete dette tutto non potrete che chiarirvi e ricominciare daccapo, sono certo che andrà tutto bene».
 
«Che palle… sembra essere il mio destino dormire per terra in un futon…» bofonchio, rigirandomi a notte fonda nel letto provvisorio in cui sto cercando di dormire nel salotto di casa mia.
Alla fine Chichi è arrivata davvero e ora sta dormendo nel mio letto insieme a Lazuli, anche se tra di loro non si parlano ancora. In effetti è stato imbarazzante a cena, per fortuna c’era Goku che non sa nulla di tutta questa storia dello scambio di corpi e del loro litigio, e quindi ha parlato tutto il tempo di Lazuli e i suoi programmi televisivi, ma anche del gruppo idol di Chichi che, a quanto pare, gli piace molto. Ha vinto subito la timidezza con un’altra ragazza, sono fiero di lui e mi sembra che stia migliorando molto in questo senso.
La soluzione migliore era organizzarci così per dormire, non potevo certo stare io nel letto matrimoniale con Lazuli nel corpo di sua sorella e allo stesso tempo mandare Chichi sul divano o per terra in questo futon. Quindi va bene così, anche se immagino che non sia il massimo per loro dover dormire nello stesso letto dopo quello che si sono dette solo qualche ora fa. Magari si chiariranno prima, così. Chi può dirlo?
Sento improvvisamente una porta socchiudersi e un rumore di passi leggero che si avvicina sempre di più. Sorrido dolcemente, mentre guardo Lazuli sdraiarsi in silenzio accanto a me e fissarmi intensamente attraverso gli occhi neri del suo nuovo corpo. Il suo profumo fresco mi avvolge. La sola presenza della sua anima mi fa martellare il cuore nel petto. È tutto così simile a quella notte in cui abbiamo avuto la nostra prima volta un mese fa, proprio qui. Tutto così simile, eppure anche così diverso.
Lazuli è intrappolata in un corpo che non è il suo, ma le vibrazioni della sua anima arrivano chiaramente al mio cuore. Lei è qui vicina a me, anche se stavolta si tiene a distanza, come a non volere contatti.
Accenna un sorriso, ma è un sorriso malinconico. Un sorriso che mi strazia il cuore.
«Ehi» sussurro.
«Ehi» mi risponde a sua volta. I suoi occhi mi sembrano lucidi.
«Non riesci a dormire, Là?»
«No…».
«Nemmeno io…».
«Ti spiace se… se resto un po’ qui con te, Rad?»
«Puoi restare quanto vuoi» le sorrido. «Anche per sempre, se ti va».
Lei mi sorride a sua volta e allunga un mano verso la mia, stringendola.
«Non avevi proibito ogni tipo di contatto tra noi?»
«Sì, ma adesso mi va così. È un problema?!» ribatte lapidaria, fulminandomi con un’occhiataccia.
«No, no! A me fa solo piacere!» ridacchio. «Vuoi anche farlo come l’altra volta, per caso?»
«Son…».
«Uhm?»
«Non costringermi a tagliarti la testa» sibila. «Non dire mai più una cosa così stupida».
«Uffa, io volevo solo farti ridere…» piagnucolo.
«Lo so, scemo» sbuffa, prima di restare in silenzio, pensierosa, senza mollare la mia mano.
«Avete parlato un po’?»
«No».
«Lei non ti odia davvero, si sistemerà tutto» provo a rassicurarla. «Ne uscirete più forti».
«Lo… lo so» ribatte con voce strozzata, come se si stesse sforzando di non piangere. «Io… io ho paura, Rad. Rivoglio la mia vita… rivoglio… rivoglio te» aggiunge, con il volto improvvisamente rigato di lacrime.
Sento improvvisamente il mio cuore andare in frantumi. Provo una terribile tristezza e uno straziante senso di impotenza. Sapevo che stava soffrendo, ma non pensavo a tal punto. Sono solo un coglione, possibile che non abbia saputo aiutarla di più?! Rassicurarla di più?!
Mi avvicino a lei a la abbraccio con un gesto istintivo. La stringo forte a me, in silenzio, facendole premere la sua testa contro il mio petto.
‘Fanculo alle regole, a questo corpo che non è il suo. Dentro c’è la mia Là, e la sua anima sta male. Ha bisogno di me.
Le accarezzo lentamente i lunghi e lucidi capelli neri, le faccio sentire il battito del mio cuore. Lei mi lascia fare, si lascia cullare da me. Io mi sento meglio vicino a lei, stretto a lei.
È lo stesso anche per te, Là? Spero di sì, perché mi uccide vederti in queste condizioni.
«Stai tranquilla adesso, una soluzione la troviamo» le sussurro in un orecchio, prima di darle un bacio sulla testa e continuare ad accarezzarle i capelli. «Finché siamo insieme, noi possiamo uscire da ogni casino. Hai capito?! Lascia fare a me, ci vorrà qualche giorno, ma ti giuro che ci penso io a sistemare le cose. Ti fidi di me?»
Lei non parla, non si sposta. Annuisce col capo, spingendolo ancora di più contro il mio petto.
Continuo ad accarezzarla, non smetto di cullarla finché non la sento smettere di singhiozzare. Finché il suo respiro non diventa regolare. Finché non mi rendo conto che si è addormentata tra le mie braccia.
Mi alzo e la prendo in braccio come una principessa, fino ad adagiarla delicatamente nel mio letto accanto a Chichi, che sembra non essersi accorta di nulla e che sta dormendo rannicchiata su sé stessa sotto le lenzuola.
Prima di uscire dalla mia stanza sorrido, guardando queste due sorelle addormentate una accanto all’altra. Sembrano due bambine viste così, due bambine che avrebbero potuto e voluto volersi bene, probabilmente, se non fosse stato per i loro genitori. Due vittime della sconsideratezza degli adulti che non hanno mai smesso di soffrire per questo.
Le guardo e sorrido di nuovo, perché penso davvero che ce la potranno fare a diventare delle brave sorelle. Non sarà facile, ma essersi gridate in faccia quelle cattiverie potrebbe essere davvero un punto di partenza per loro. Così come vivere qualche giorno nei panni dell’altra potrà aiutarle a conoscersi davvero reciprocamente, anche se magari non saranno in grado di parlarsi e dovrò essere io a fare da tramite.
È così complicato essere sorelle? Probabilmente sì, dev’essere diverso dall’avere un fratello come me. Ma Lazuli ce la farà, lei ce la fa sempre. Lei è la persona più straordinaria che abbia mai conosciuto, non solo la ragazza che amo. È un esempio, e quando lo capirà anche Chichi tutto si sistemerà. Bisogna solo essere forti e cercare di essere positivi, per il momento.
 
 
6 settembre
 
Oggi è sabato, finalmente, anche se questo sarà un weekend impegnativo pur senza la scuola. Domani, infatti, Chichi dovrà girare quel famoso spot nei panni di Lazuli che tanto la preoccupava sin dal primo giorno in cui si è ritrovata nel suo corpo.
Gli ultimi tre giorni sono stati particolarmente intensi, ma almeno così non c’è stato molto tempo per pensare a farsi prendere dal panico. Io ho fatto del mio meglio per provare a seguire ed aiutare sia Lazuli che Chichi nei rispettivi impegni e nelle sfide da affrontare vivendo l’una la vita dell’altra, oltre ad andare ovviamente a scuola e al lavoro di sera. Tra di loro ancora non si parlano, quando siamo tutti insieme fanno quasi finta di non vedersi. Anche se in realtà non siamo quasi più stati tutti insieme, visto che alla fine Chichi ha deciso di stabilirsi da sola a casa di Lazuli e la mia ragazza dorme sempre da me. Io fingo di dormire nel futon in salotto finché Goku non va a dormire, per poi andare in camera mia per stare con Lazuli. Anche se ovviamente non abbiamo contatti fisici, è bello e rassicurante poter dormire insieme e stare vicini. È il nostro modo di dirci che andrà tutto bene.
Ho visto Lazuli lavorare sodo e l’ho anche sentita cantare nelle prove che ha fatto in casa insieme a Goku che la aiutava con i video. Sembra si stia affezionando molto a Chichi, anche se non sa che in realtà in quel corpo c’è Lazuli. Ma mi fa piacere lo stesso, perché anche la vera Chichi mi ha chiesto molte cose sul conto di mio fratello. Sembrerebbe quasi che le piaccia, per qualche motivo. Di sicuro non lo giudica male per quello che gli è capitato e non lo considera nemmeno uno stupido. Ha ragione, e anche per questo ho cominciato a stimare Chichi. Per questo e perché ho visto quanto si stia impegnando nel vivere al massimo la vita di sua sorella. Ha detto di odiarla, eppure l’ho vista impegnarsi al massimo in un’intervista in cui ha dovuto fingersi lei e su un set fotografico per una rivista di moda. Ammetto che se l’è cavata bene, anche se devo dire che secondo me si sforza troppo di imitare Lazuli. Forse per abitudine, forse per ammirazione o magari per un eccesso di zelo per cercare di compiacerla. Non lo so, secondo me nelle fotografie non è uscita molto naturale, ma penso possa andare bene per questa volta. Nessuno ci farà caso, probabilmente me ne accorgo solo io perché amo Lazuli e conosco tutto di lei e delle sue espressioni e posture. Quel che è certo è che sembra un po’ rigida nelle sue pose e i suoi occhi di ghiaccio appaiono decisamente spenti, velati di tensione e tristezza. Mi fa male vederla così. Appare decisamente innaturale ai miei occhi, ma so bene che la sofferenza che sta provando è reale.
Sono anche andato  vedere una prova aperta al pubblico di qualche canzone che si vedrà al prossimo concerto delle Sweet Bullet, e devo dire che Lazuli è stata meravigliosa anche a ballare nella coreografia con le altre quattro ragazze. Mi chiedo come abbia fatto a imparare tutti i passi e anche i testi delle canzoni in così poco tempo… ma non dovrei stupirmi, lei è davvero un fenomeno in tutto quello che fa. Potrebbe davvero fare anche la idol se lo volesse, cantare e ballare al tempo stesso non sembra essere un problema per lei. È davvero splendida su quel palco, sembra quasi rubare la scena alle altre nonostante sia defilata nella coreografia e il ruolo centrale spetti a una certa Juvia-chan, la più votata e apprezzata dai fans nell’ultimo periodo e per questo scelta dall’agenzia come frontgirl per il prossimo concerto.
Lazuli è un esempio, davvero. È stata instancabile in questi giorni, tra scuola, prove, palestra e altre prove fatte a casa in privato per recuperare il terreno in un campo che non era il suo. Lei se la sta cavando alla grande secondo me, credo che potrà beneficiarne davvero anche l’immagine di Chichi nel suo lavoro se continuerà così. E mi chiedo se Chichi ne sarà davvero contenta o se si sentirà umiliata anche per questo motivo.
Che situazione del cazzo, entrambe stanno dando il massimo per l’immagine dell’una e dell’altra, ma non sono in grado di prevedere come reagiranno a giochi fatti.
Per Chichi è stato probabilmente più facile per adesso, aveva detto sin dall’inizio che l’intervista e il servizio fotografico non la preoccupavano più di tanto. La vera prova per lei sarà girare questo spot televisivo di domani. Il copione è breve, ma ciò che la preoccupa è saper sorridere davanti alla telecamera esprimendo ciò che esprime Lazuli. La capisco quando dice così, perché in effetti non potrà mai esprimere le sue stesse emozioni nonostante abbia il suo corpo. Perché certe vibrazioni, secondo me, vengono emesse solo dall’anima. E la sua anima non è quella della mia Lazuli. Spero solo che non faccia sciocchezze e che magari dopo tutto questo troverà la forza di chiarirsi con sua sorella. Lazuli è orgogliosa e non vuole fare il primo passo, ma Chichi è forse peggio di lei in quanto a essere una testona. 
Io mi ritrovo in mezzo come un coglione, sballottato a destra e a sinistra dalle due sorelle. Dalla mia ragazza e dalla mia… come potrei definirla? Cognatastra, magari, dato che è la sorellastra di Là? Bah, in ogni caso lo faccio volentieri e le tengo d’occhio, cercando di capirci qualcosa di più e di trovare una soluzione per sistemare le cose.
 
«Hai fatto il bravo gattino, Beerus?»
La voce melodiosa di Videl mi distoglie dai miei pensieri e mi fa voltare verso di lei, intenta a prendere il braccio quello che ormai da un mese e mezzo è diventato il nostro secondo gatto. Da quel giorno in cui anche lei è comparsa improvvisamente nella nostra vita. Lei, così simile alla Videl che conoscevo io ma che allo stesso tempo ha sei anni di meno. Non ho quasi più avuto modo di pensare all’assurdità di questa situazione e se anche la sua presenza con queste fattezze possa essere legata alla Sindrome della Pubertà. Può essere invece che sia solo un caso clamorosamente assurdo che questa ragazzina abbia lo stesso nome e cognome e l’identica fisionomia della Videl Satan che oggi dovrebbe avere diciotto anni.
Ho smesso quasi di pensarci, ormai, per evitare di andare fuori di testa. Anche Lazuli è sempre rimasta abbastanza tranquilla su questa situazione, mentre Bulma non ha saputo trovare una spiegazione logica o almeno plausibile. Videl, nel frattempo, è ormai di casa qui con la scusa di Beerus. A quanto pare non è ancora riuscita a trovare il coraggio di parlarne con i suoi genitori, ma per me non è un problema.
«Videl-chan, giurami che non mi hai raccontato una bugia quando mi hai detto di non avere una sorella maggiore» le chiedo, all’improvviso.
«Te lo giuro, Radish-san! Io sono figlia unica!» mi sorride dolcemente, piegando leggermente la testa e facendo ondeggiare i suoi codini laterali neri.
Sorrido a mia volta sospirando. Cazzo, il suo sorriso è davvero uguale a quello della Videl che in qualche modo mi ha salvato e mi ha cambiato la vita due anni fa. I suoi occhi, i suoi capelli… tutto!
«Però ogni tanto penso che mi piacerebbe avere una magnifica sorella maggiore!» aggiunge candidamente, stringendo a sé Beerus per coccolarlo.
«Anche Goku-kun sarebbe felice di avere una magnifica sorellona!» esclama mio fratello, seduto davanti a Videl sul pavimento, sollevando a sua volta Balzar, seppure un po’ a fatica. Ma quanto cazzo è ingrassato quel gatto?!
«E da quando tu vorresti una sorellona?! Che novità è questa?!» gli chiedo, stupito e divertito dalle sue parole. «E smettila di dar da mangiare senza senso a Balzar, sta diventando un tacchino! Lo sai che è un pozzo senza fondo e mangia come una fogna!»
«Urcaaa! A Goku-kun non sembra ciccione Balzar!» sbotta, mentre il nostro gatto miagola come a volergli dare manforte. «E comunque Goku-kun desidera una sorellona da quando ha conosciuto Lazuli-san! Ma dovrebbe essere anche più grande di te, fratellone, perché Goku-kun deve restare il tuo unico fratellino minore!»
«Allora è perfetta Lazuli, direi!» gli rispondo, ridendo e scompigliandogli i capelli.
 
«Non dovresti essere così tesa per le riprese dello spot che dovrai fare domani…» sospiro, osservando Chichi intenta a sorridere forzatamente e a scattarsi selfie col cellulare con la cover con le orecchie da coniglio fucsia. Continua a sorridere, mettersi in posa, scattarsi foto e verificare se il suo sorriso è uguale a quello di Lazuli. Così, in loop da quando siamo saliti insieme su questo vagone del treno semivuoto. Io sto andando al lavoro per il pranzo, mentre lei deve fare una breve intervista nei panni di sua sorella maggiore per un giornale. Oggi, tra l’altro, uscirà in edicola anche la rivista di moda col servizio fotografico che ha fatto qualche giorno fa.
«Che voto dai a questo sorriso?!» mi domanda, agitata e nervosa, ignorando totalmente le mie parole e piazzandomi davanti alla faccia il telefono.
È un sorriso forzatissimo, tremendamente innaturale. Dovrebbe sorridere e basta, non pensare a sorridere come farebbe Lazuli. Ma non posso dirle che secondo me è un disastro quel sorriso, forse non farei altro che peggiorare le cose. Il sorriso di Lazuli e ciò che esprime è inimitabile, probabilmente è anche per quello che ha così tanto successo. Non c’è nessuna luce che brilla negli occhi di ghiaccio di Chichi. Ma non posso essere duro con lei, non devo minare ancora di più le sue poche certezze in un momento che la rende particolarmente tesa come l’avvicinarsi delle riprese di questo spot.
«Non faresti meglio a chiederlo direttamente a Lazuli? Mandale un messaggio, no? Le farebbe piacere…» provo a buttare lì.
«Nessuno ha fatto il suo nome!» sbotta Chichi, abbassando lo sguardo e tornando a guardare il cellulare , triste e irritata al tempo stesso.
«Io non ci capisco molto di recitazione, ma secondo me dovresti pensare a sorridere e basta» provo a spiegarle, guardando il paesaggio che sembra correre veloce fuori dal finestrino. «Devi essere te stessa, non lei. Se riuscirai a esserlo andrà tutto bene».
«Io… io sono già me stessa!» sbuffa, irritata, prima di alzarsi e dirigersi verso l’uscita del vagone. «Io scendo qui!»
 
Quando poco dopo arrivo al “Kame House”, trovo Lunch seduta al tavolo del magazzino destinato al personale intenta a leggere proprio la rivista di moda uscita oggi su cui troneggia in copertina Lazuli. O meglio, Chichi nel corpo di Lazuli, visto che è stata lei a sostenere quel servizio fotografico.
«Ciao senpai!» esclama Lunch, sorridendomi felice. Ormai abbiamo trovato il nostro equilibrio come amici, si vede che sta bene quando passiamo del tempo insieme e che si diverte a scherzare con me e anche con Vegeta. Mi fa piacere vederla così, come mi rende felice vederla a scuola con Mai, Lucy e tutto il suo gruppo di amiche. È molto cambiata da quando l’ho conosciuta, ma è cambiata in meglio, senza smettere di essere sé stessa. La considero sul serio una buona amica.
«Ciao piccola kohai» sbadiglio, passandole davanti e sfilandole la rivista dalle mani. «Com’è uscita Là nelle foto?» le chiedo distrattamente, guardando alcune immagini di sfuggita. Così a prima vista mi sembra che se la sia cavata, anche se un occhio attento come il mio nota subito delle differenze con la unica e inimitabile Lazuli Eighteen. Ma credo che per questa volta possa andare.
«Ehi, ridammelo! Stavo leggendo, non te lo presto mica!» sbotta lei, alzandosi in piedi all’improvviso e colpendomi con un calcio nel sedere, prima di sfilarmi la rivista dalle mani e rimettersi seduta.
«Ahia, cazzo…» impreco. «Dovresti smetterla di prendermi a pedate nel culo…».
«La smetterò solo quando tu la finirai di fare o dire cose stupide!» ribatte, guardandomi male. «E comunque… comunque Eighteen-senpai è sempre perfetta in tutto quello che fa, anche in queste foto!» aggiunge tutta d’un fiato, arrossendo vistosamente.
«Già…» sorrido. «Tu tieniti pure la versione cartacea di Là allora, tanto io dopo mi rivolgerò direttamente a quella in carne ed ossa!»
«Senpai…».
«Uhm?»
«A volte dici delle cose da voltastomaco!»
 
Lunch finisce il turno al termine dell’ora di punta del pranzo, e così mi ritrovo da solo a finire di sparecchiare e sistemare gli ultimi tavoli. C’è ancora qualche cliente qua e là, ma ormai è quasi pomeriggio.
«Buongiorno» dico distrattamente, non appena sento aprirsi la porta del locale.
Non sentendo risposta mi volto in automatico in quella direzione e un sorriso si dipinge automaticamente sul mio volto. Lazuli accenna un sorriso, sembra sollevata nel vedermi. I suoi occhi neri appaiono determinati, ma anche tristi. Preoccupati, soprattutto. Fatico ad abituarmi a vederla nel corpo di Chichi, ma tutti i sentimenti che emettono la sua anima e il suo cuore li sento distintamente.
«È bellissimo vederti, Là» le dico, mentre la faccio accomodare a un tavolo e le passo la lista. «Non pensavo che avresti fatto in tempo. È successo qualcosa?»
«Pensavo di mangiare un boccone prima della lezione di canto. Ho appena finito con la palestra e le lezioni di danza. Sono sfinita…» risponde freddamente, mentre il cellulare che aveva appoggiato sul tavolo comincia a vibrare ininterrottamente e sul display si accavallano le notifiche di diversi messaggi che continuano ad arrivarle.
«È il telefono di Chichi quello, giusto?» le chiedo, ben sapendo che si sono scambiate anche i cellulari, per forza di cose.
«Sono arrivati altri messaggi da parte di sua madre… ne avrà mandati cinquanta o sessanta da stamattina. Io non le rispondo neanche» sbuffa, facendo scorrere il dito sullo schermo. «”Mi raccomando, non arrivare tardi alle prove!”. “Saluta tutti quelli dell’agenzia quando li incontri, devi tenerteli buoni!”. “Non mostrarti disponibile con Juvia, il posto centrale della coreografia deve diventare tuo!”. “Non parlare troppo con le altre del gruppo, siete rivali prima di tutto”. “Ricordati la coreografia della nuova canzone”. “Torna a casa subito, non ti ho dato il permesso di andartene!”. “Non dimenticarti le lezioni di canto dopo”. “Riprova i nuovi passi di danza, il centro del palco dovrà essere tuo nel prossimo singolo” e via dicendo… sembra una pazza…» sospira Lazuli, dopo aver letto ad alta voce alcuni dei messaggi ricevuti.
«Non è che sembra pazza, lo è…» confermo. «È assillante, invadente… come può tua sorella sopportare ogni cazzo di giorno tutto questo?!»
«Non è così diversa da com’era mia madre» ribatte Lazuli con fare distaccato, concentrata sul menù. «Probabilmente a mio padre piacevano donne che vivono di ossessioni. Prendo questo».
«Uhm… spaghetti al pomodoro e basilico» scrivo sul taccuino. «Ottima scelta, ti porto anche una bottiglietta d’acqua?».
«Grazie».
«A proposito di tua sorella, stamattina stava provando le espressioni facciali per le riprese dello spot di domani».
«Non mi sembra di averti chiesto qualcosa di lei» ringhia Lazuli, incenerendomi con lo sguardo.
«Pensavo fossi venuta anche per sapere di lei».
«Sono qui per vedere il mio ragazzo. Vedi di non farmi passare la voglia» ribatte lapidaria, distogliendo lo sguardo dal mio con un gesto di stizza.
«Se è per quello, quando sei davanti a me, io ho sempre voglia…» le alito roco, abbassandomi verso di lei.
Tutto ciò che ricevo in cambio è un’ennesima occhiataccia e un pestone clamoroso sul piede che mi fa imprecare.
«Piantala di fare il cretino o me ne vado. Dovresti fare i salti di gioia visto che sono qui».
«Infatti sono tremendamente eccitato, mia regina!»
«Rad…».
«Ok, ok… a parte gli scherzi, sono davvero felice di passare un po’ di tempo con te. Mi sei mancata stamattina, Là» le sorrido dolcemente.
Anche lei accenna un sorriso che mi fa battere il cuore.
«Se hai qualche consiglio per Chichi, posso riferirglielo» aggiungo, guardandola fissa nei suoi occhi neri. «Non devi mentire con me, so che un po’ sei preoccupata per lei. Non se la stava cavando molto bene con i sorrisi, comunque…».
«Lei ti ha detto che ha bisogno dei miei consigli?» sibila, distogliendo lo sguardo dal mio con aria truce. È adorabile, anche quando fa la stronzetta orgogliosa.
«No».
«Allora niente. Si arrangerà da sola. Mica hai detto anche tu che non è più una bambina, ormai?»
«Là, lo so che sei preoccupata davvero per lei» le sorrido di nuovo. «Sei fantastica, lo sai?» aggiungo, facendola sussultare e arrossire lievemente.
«Chichi se la caverà alla grande» risponde, guardandomi intensamente negl’occhi. «Da piccola ha studiato anche lei, come me, recitazione in una compagnia teatrale. Se si ricorderà ciò che ha imparato, non avrà problemi».
«Già».
«Io sono sua sorella maggiore, nonostante tutto. Devo avere fiducia in lei».
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: un capitolo di transizione, tutto sommato, anche se abbiamo un primo approccio più o meno diretto tra Goku e Chichi in questa storia, almeno. Vediamo le due sorelle alle prese con gli impegni dell’altra, con Lazuli che sembra avere tutto sotto controllo e Chichi che mostra invece qualche timore in vista dello spot che deve girare. Cosa dite, andrà tutto bene in queste riprese?
Conosciamo indirettamente un po’ di più anche la mamma di Chichi, e non c’è bisogno di aggiungere altro direi.
Rivediamo Lunch e anche Videl-chan, a tal proposito ci tengo a ringraziare subito Misatona che ha realizzato un disegno stupendo di Videl-san (quella diciottenne) mentre indossa la divisa scolastica del Liceo Minegahara. Ci voleva un bel disegno di Videl, a questo punto tra i personaggi più o meno ricorrenti credo manchino solo la gentile e intelligente studentessa Marion, le tre amiche di Lunch prese da Fairy Tail (Lucy, Erza e Mira) e la giornalista Husky. Se qualcuno vuole cimentarsi a realizzare anche loro ne sarò onorato!
Per il resto, Lazuli fa la stronzetta orgogliosa, come dice Rad, ma si vede che è preoccupata in realtà per la sua sorellina. E anche per sé stessa, e a tal proposito spero vi sia piaciuto il suo momento di debolezza emotiva di notte con Rad.
 
“«Ti spiace se… se resto un po’ qui con te, Rad?»
«Puoi restare quanto vuoi» le sorrido. «Anche per sempre, se ti va».”
 
Ci tenevo a citarvi queste due righe, anche se non so se abbia molto senso autocitarsi per un autore ;-)
Però, rileggendo il capitolo, è come se queste due righe buttate lì in un anonimo capitolo 30 fossero una sintesi di tutto “Remember me”, secondo me. Voi cosa ne pensate?
 
Bene, ringrazio di cuore tutti voi che continuate a seguire con passione questa long e chi mi lascia sempre un suo parere. Siete il più bell’incentivo per andare avanti a scrivere e io vi ringrazierò sempre! Grazie anche a chi legge in silenzio, ma, se apprezza ciò che legge e mi dà sempre una possibilità ogni settimana, per me è motivo di orgoglio!
 
Il prossimo capitolo si intitola “Complesso di inferiorità” e succederanno tante belle cose, a partire dall’esito delle riprese dello spot con Chichi nei panni di Lazuli. Conosceremo anche Piiza-san, la manager di Lazuli per ora solo accennata (vi ricordo che Piiza sarebbe la manager di Mr Satan in Dragon Ball Z), oltre a rivedere dopo tanto tempo la giornalista Husky, ve la ricordate nei primi capitoli? Non l’avevo citata a caso prima! ;-) Ci sarà poi spazio per Vegeta e, soprattutto, per Marion. Siete pronti a rivederla in scena? Vi mancava?
In tutto questo, riusciranno a fare dei passi avanti l’una verso l’altra Là e Chì? Per saperlo vi aspetto mercoledì 18 settembre, visto che settimana prossima sarò via e non riuscirò ad aggiornare!
Grazie ancora, a presto!
 
Teo
 
 
 
 

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Capitolo 31
*** Complesso di inferiorità ***


31 – Complesso di inferiorità
 
 
7 settembre
 
Oggi mi sono alzato presto per accompagnare Chichi a girare le riprese del famoso spot che tanto la turba e in cui vuole cercare di essere una perfetta Lazuli Eighteen. Ci siamo diretti a Kamakura insieme, ma non ha praticamente aperto bocca durante il viaggio e a nulla sono valsi i miei tentativi di distrarla. A un certo punto ci siamo dovuti separare perché non possiamo farci vedere troppo in pubblico insieme io e Lazuli, figuriamoci a un suo appuntamento di lavoro.
Adesso mi sto recando a piedi sbadigliando verso la spiaggia sulla quale verrà girato lo spot, mentre Chichi dovrebbe aver raggiunto la manager di Lazuli per andare lì direttamente insieme a lei.
Osservo in lontananza il piccolo set già predisposto e tutte le persone della troupe intente a sistemare gli ultimi preparativi. Fa molto caldo, è una splendida giornata.
Mi fermo e mi siedo sulla sabbia in un punto della spiaggia rialzato da cui riesco a vedere comodamente il set senza dare nell’occhio. Vedo arrivare Chichi di corsa insieme alla sua manager, una ragazza sui trentacinque anni magra e dai lunghi capelli rossi che stringe tra le braccia una cartelletta piena di documenti e appunti. Non l’avevo mai vista, ma Lazuli mi aveva spiegato che si chiama Piiza-san e che si trova bene con lei, nonostante le abbia vivamente consigliato di tenere segreta per il momento la nostra relazione.
Chichi invece appare bellissima, con un vestitino verde leggero che si ferma a metà coscia e i capelli dorati sciolti che sembrano riflettere la luce del sole.
«Certo che Lazuli-chan è proprio incantevole, non trovi, Rad-kun?» mi domanda una voce allegra, mentre una donna si siede al mio fianco e mi sorride gioviale.
«Da quanto tempo, Husky-san…» accenno un sorriso in direzione della giornalista televisiva che un tempo voleva a tutti costi preparare un servizio sulle mie cicatrici e sulla Sindrome della Pubertà. «Cosa fai qui?»
«Niente, mi mancava il mio capellone preferito!» ride, scompigliandomi i capelli.
«Se era solo per quello avresti fatto prima a venire a mangiare un boccone al “Kame House” come ai vecchi tempi» sospiro, già stufo delle sue prese in giro.
«Uhm… il tuo capo è un po’ troppo pervertito per i miei gusti, però magari ci tornerò un giorno e ordinerò un piatto di Rad-kun alla griglia!»
«Sei sempre molto simpatica, devo dire…» sbuffo. «Sei qui per vedere come se la cava Là, giusto? Me l’ha detto che vi incrociate spesso sul lavoro».
«Risposta esatta, cervellone!» ride di nuovo. «Come mai ci sei anche tu oggi a seguire la tua ragazza? E perché te ne stai in disparte?»
«Perché devi fare sempre la ficcanaso?» ribatto, senza guardarla.
«Perché è il mio lavoro, Rad-kun!» ghigna. «Allora?! L’hai già presentata ai tuoi genitori?!»
«Husky-san, mi stai ubriacando… ho sonno e fa caldo…».
«Guarda che lo so che state insieme, te lo sto chiedendo da amica!» ride di nuovo allegramente, mentre una leggera brezza marina le fa ondeggiare i suoi lunghi capelli biondi.
«La sua manager ci ha chiesto di lasciare questa cosa segreta, almeno per un po’… quindi vedi di non combinare casini».
«Uhm… capisco! Complicata la vita di una star liceale… anche se secondo me la sta trattando troppo come fosse una idol» esclama, guardando pensierosa verso il set. «A meno che abbia in mente qualche trovata pubblicitaria rilasciando la notizia al momento giusto. Ne parlerò direttamente con la tua adorabile ragazza!»
«Le dirò io di chiamarti, adesso lasciala stare per qualche giorno» le dico in tono autoritario. Ci manca solo che Chichi debba avere a che fare con Husky. «Là si fida di te e sei il suo riferimento tra i giornalisti, quindi non preoccuparti. E anch’io mi fido di te» aggiungo, guardandola nei suoi occhi castani.
«Certo, voi due mi siete simpatici!» sorride. «Come stai tu? Le cicatrici ci sono sempre?»
«Finché Là mi vorrà al suo fianco sarò felice» sorrido a mia volta, guardando il mare. «Le cicatrici resteranno lì per sempre. Il passato non si dimentica, ma si va avanti lo stesso. A un certo punto la smette di fare male. Il passato, intendo».
«Già…» sospira lei. «Sei cambiato molto da quella prima volta in cui ti ho visto in ospedale, Rad-kun. Ci credi se ti dico che sono fiera di te?»
«Uhm… no».
«Bravo, Rad-kun! Anche il tuo senso dell’umorismo migliora sempre di più!» ride allegramente, dandomi una sonora pacca sulla schiena. È fastidiosa dopo un po’, cazzo. «Piuttosto, sei sicuro che la tua ragazza stia bene?! Ultimamente mi è sembrata un po’ strana sul lavoro, anche oggi non ha una bella cera se devo essere onesta. Di solito è di ghiaccio».
Mi soffermo sull’espressione di Chichi e, seppure in lontananza, mi rendo conto benissimo che la sua faccia è una maschera contratta dalla tensione.
«Penso che sia solo un po’ stanca ultimamente… e che oggi stia patendo un po’ il caldo» butto lì, cercando di sviare il discorso.
«Tutto pronto! E… azione!» sento gridare il regista.
Osservo Chichi guardarsi intorno un po’ stranita verso le telecamere che la fissano e sorridere forzatamente, prima di agitare la mano destra in segno di saluto.
«Ok, taglia!» grida di nuovo il regista, mentre la sorella di Lazuli tira un profondo sospiro di sollievo e un’assistente le passa una bottiglietta d’acqua.
Non va bene, così… non va affatto bene!
«Adesso giriamo ancora!» annuncia il regista, mentre una truccatrice termina un ultimo ritocco sul viso di Chichi e Piiza-san le dà delle indicazioni mostrandole il copione. Scommetto che non sta sentendo nulla, che sta entrando nel panico. Si guarda intorno disorientata, mentre mi alzo in piedi e mi dirigo a passo svelto verso il set.
«Tutto bene, Rad-kun?!» mi chiede allarmata Husky, seguendomi.
«No, è lei che non sta bene!» sbotto, indicando Chichi.
«Azione!» urla il regista. «Ciak 1!»
Chichi sgrana gli occhi di ghiaccio di Lazuli e apre leggermente la bocca. Solleva una mano lentamente, e noto subito che quella mano sta tremando. No, no!
Comincia ad ansimare, mentre si porta le mani al petto e poi sul volto, prima di accasciarsi a terra all’improvviso, svenuta.
«Stop! Stop!» sbraita il regista. «Chiamate un medico! Un’ambulanza!»
«Lazuli-san! Lazuli-san!» grida Piiza-san, correndo da lei e prendendole una mano. «Stai tranquilla! Fai dei respiri profondi!» aggiunge, mentre tutto lo staff e anche io e Husky ci avviciniamo di corsa.
«Chì! Chì!» la chiamo, facendomi largo a spallate nella ressa che si è generata intorno a lei.
«Rad…» sussurra, aprendo gli occhi. «Io… io… scusa…» sospira, mettendosi a sedere, sorretta dalla sua manager. «Sto… sto bene, non voglio l’ambulanza. S-scusatemi tutti» sospira, abbassando la testa.
«Le riprese per oggi sono sospese!» annuncia il regista. «Non preoccuparti Lazuli-san, l’importante è che tu stia meglio! Dovevi dirmelo che non ti sentivi molto bene oggi, rigiriamo le scene appena ti sei ripresa» le sorride.
«Grazie, lei è molto comprensivo!» si inchina leggermente Piiza-san. «Deve essere stato un mancamento dovuto al caldo».
«Ora… ora sto meglio, mi dispiace» si inchina anche Chichi, alzandosi in piedi appoggiata alla sua manager.
«Non preoccuparti, vedi di non sforzarti troppo e di riposarti, piuttosto!» ride il regista. «Non farmi più preoccupare, eh!»
«Ce la fai a camminare, Lazuli-san? Ti accompagno al bar a bere qualcosa di fresco e zuccherato e poi ti porto a casa» le dice la manager, mentre Chichi cerca un contatto visivo con me in cerca di conferme. Le sorrido e annuisco, come a volerla rassicurare, mentre si volta e se ne va con Piiza-san.
«Non dire nulla in tv di quello che è successo oggi, per favore» chiedo a Husky, in silenzio accanto a me, mentre la troupe smonta il set. «Là era solo un po’ stanca, ma ti assicuro che molto presto tornerà più forte di prima».
«Stanchezza, caldo, o… Sindrome della Pubertà?» risponde ammiccando in un sussurro, puntandosi davanti a me e avvicinando la faccia alla mia. «L’hai chiamata “Chì”, o sbaglio? Magari è semplicemente un nomignolo che le hai dato tu, questo. So che mi risponderai così, Rad-kun. Del resto, anch’io quando avevo la vostra età mi ero inventata un soprannome scemo per il mio ragazzo di allora».
La guardo dritto negl’occhi, serio. Sospiro leggermente, ma non dico nulla. Anche lei si fa seria. Mi dà una carezza sulla nuca, mentre accenna un sorriso rassicurante.
«Non preoccuparti, Rad-kun!» sorride, di nuovo gioviale e scherzosa, dandomi un leggero spintone e ridacchiando. «Certo che sei proprio cotto della tua Lazuli-chan, eh?!»
«Già» le sorrido, prima di voltarmi per fare ritorno anch’io a Fujisawa, con le mani in tasca e la testa affollata di pensieri.
 
«Ciao Rad!» mi saluta Lazuli, che incrocio sul pianerottolo di casa mia non appena ci faccio ritorno. Indossa dei leggings neri a tre quarti con una sottile banda fucsia di lato, una canotta aderente fucsia e ha i capelli neri legati in una coda da un elastico anch’esso fucsia.
«Stai andando a correre? Se mi aspetti un secondo vengo con te, mi cambio in un attimo» le sorrido, prima di entrare in casa e indossare velocemente un paio di leggings, dei pantaloncini e una maglietta.
«Hai finito presto le prove di canto stamattina» le dico, non appena iniziamo a correre sul marciapiede e ci dirigiamo verso il mare.
«Sì, volevo allenare un po’ il fiato in vista del concerto. Non è facile ballare e cantare per un intero live» mi spiega. «Nel pomeriggio ho anche le prove di danza».
«Sei instancabile… ma come fai?!».
«Anche tu lo sei quando ti alleni, no?»
«Già, domani a scuola ho anche gli allenamenti col club di calcio!»
«Allora, come sono andate le riprese per mia sorella?» mi domanda all’improvviso, in tono apparentemente distaccato e senza guardarmi. Era preoccupata per Chichi, anche se non vuole darlo a vedere.
«Un bel casino…» sospiro.
«Immagino che non sia filato tutto liscio, ma dopo qualche ciak ce l’avrà fatta, no?!»
«Insomma, non proprio… si è sentita poco bene ed è svenuta prima ancora di iniziare».
«Cosa?!» sbotta, sgranando i suoi grandi occhi neri e puntandoli nei miei. «Come sta adesso?! Perché l’hai lasciata da sola?!»
«Si è ripresa subito, ha avuto solo un piccolo mancamento… ora è con la tua manager, ci penserà lei a riportarla a casa. Lo staff ha ipotizzato un colpo di calore, in ogni caso il regista ha preferito rinviare le riprese. Era tranquillo comunque, sembra che ti vogliano tutti bene sul lavoro».
«Come si potrebbe non volermi bene, del resto?» ghigna lei, provando a scherzare, anche se si vede che è turbata.
«Non dirlo a me, forse nemmeno tu sai quanto cazzo ti amo» le sorrido sghembo, mentre continuiamo a correre a buon ritmo. «Comunque non devi preoccuparti troppo per lei, Là. Si è ripresa subito, magari la renderà anche più forte questa esperienza».
«Sì, però… ecco, mi chiedo come sia stato possibile che sia arrivata a sentirsi male per una cosa del genere…» sospira Lazuli. «Io sto cercando di svolgere nel migliore dei modi i suoi impegni lavorativi fingendomi lei, ma non mi sento schiacciata a tal punto dalla tensione e dalla pressione».
«Credo che Chichi si sia resa finalmente conto di tutta la fiducia e le aspettative che la gente ripone in Lazuli Eighteen. Ha capito che c’è un motivo se sei arrivata in alto in così poco tempo e ha anche realizzato quello che è sempre mancato a lei» spiego a Lazuli, che si volta in mia direzione e mi guarda intensamente. «Lei si è sempre concentrata su di te per emularti e ha perso di vista sé stessa. Pensava che per te fosse tutto facile, ma sta realizzando che non è così».
«Anche la vita di una idol non è affatto facile, io non potrei certo tenere questi ritmi per sempre…» sbuffa Lazuli, irritata. «Invece di pensare a quello che faccio io, dovrebbe rendersi conto di quanto è brava lei a fare quello che fa. Così ci metterebbe anche più passione, anche se capisco non sia facile con una madre come la sua che si mette sempre in mezzo…».
«Già…»  sospiro, stringendo forte i pugni senza smettere di correre. «Quel che è certo, è che oggi si è sicuramente sentita schiacciare dal peso di tutte le responsabilità che derivano dal fatto di essere Lazuli Eighteen».
«Dovresti… dovresti andare da lei, dopo…» sibila Lazuli, distogliendo lo sguardo dal mio, come se la cosa non la riguardasse.
«E tu?»
«Io no, non credo che voglia vedermi…».
«In ogni caso non vuole vedere nemmeno me, mi ha scritto un messaggio per dirmi che sta bene e che vuole riposare oggi. Piiza-san le ha anche imposto di non andare a scuola domani per recuperare le forze» le spiego, senza che Lazuli lasci trasparire emozioni dal volto.
«Dai, adesso facciamo qualche scatto!» ordina, fredda e perentoria, prima di distanziarmi in un attimo.
«Agli ordini, mia regina» sorrido amaramente, prima di scattare a mia volta per raggiungerla.
È così complicato essere sorelle?!
 
 
8 settembre
 
«Hai le palle girate oggi, o sbaglio?! Vero, Rad?!» richiama la mia attenzione Vegeta, dandomi un pugno sulla spalla, mentre sono seduto al mio banco e osservo il mare in lontananza immerso nei miei pensieri.
Chichi non è venuta a scuola, come previsto, mentre Lazuli è a Yokohama nei suoi panni.
«Non lo so, Prince… è successo un po’ un casino in questi giorni e mi chiedevo solo come dev’essere avere una sorella maggiore perfetta in tutto e per tutto».
«Una sorella?! Che cazzo stai dicendo?» mi domanda allibito. «Comunque se hai un problema puoi parlarmene, anche agli allenamenti si vedeva cha hai la testa altrove. Sei un cazzo di sensibile tu, tsk!».
«In questi giorni a casa di Lazuli è arrivata sua sorella minore, ti ricordi che te ne avevo parlato tempo fa? Bene, le cose tra loro al momento non vanno esattamente a meraviglia…» sospiro, appoggiandomi allo schienale della sedia. Nel frattempo osservo Bulma alzarsi dal suo banco dopo aver riordinato dei fogli pieni di appunti.
«Ricordo che mi avevi detto che ha una sorella con cui ha solo il padre in comune, se non sbaglio. E che problemi ha questa qui?! Scommetto che è un’isterica…».
«Diciamo che Chichi ha un caratterino niente male, se devo essere sincero» sorrido. «Però non deve essere mai stato facile per lei. A quanto pare la madre l’ha sempre paragonata a sua sorella maggiore… non so come ci si senta in quei casi, tu cosa dici?»
«Penso che sia una situazione del cazzo, tsk!» sbotta il mio amico, incrociando le braccia al petto e indurendo lo sguardo. «Forse conosco una persona che può aiutarti, perché da quello che so ha vissuto più volte momenti simili».
«Di chi parli?»
«Di Marion…» sbuffa Vegeta. «Però è meglio se ci parli tu e basta, ormai fa finta di non conoscermi quando ci si incontra faccia a faccia in corridoio…».
«Penso sia incazzata perché ti sei messo subito con Bulma… magari pensa che l’hai mollata per questo» gli spiego. «Per me hai fatto bene a metterti subito con Bulma e a chiudere prima di tutto con Marion, però è comprensibile la sua incazzatura».
«Le passerà» ribatte perentorio il mio amico, senza guardarmi. «Lei è una allegra e senza pensieri, alla fine le passa sempre tutto dopo un po’».
«Ne sono convinto, Prince. Tu ora preoccupati di rendere felice Bulma e di non farla soffrire, altrimenti ti ammazzo di botte» rido, alzandomi in piedi.
«Non c’è bisogno che tu mi dica queste cose! Mi hai preso per un coglione?!» sbotta, furibondo e irritato.
«Beh, dai, un po’ lo sei!» rido di nuovo, dandogli uno spintone. «Vai da Bulma, scommetto che vuole che la accompagni in laboratorio. Intanto io vado a fare quattro chiacchiere con la tua ex e mi prendo anche un po’ di insulti al posto tuo!» aggiungo, uscendo dalla classe e incrociando Bulma, che mi osserva un po’ perplessa e viene raggiunta da Vegeta.
 
Mi dirigo verso la classe di Marion, indeciso sul cosa dirle e rimpiangendo di non essermi portato dei tappi per le orecchie per non farmi spaccare i timpani di fronte alla sua inevitabile sfuriata. È passato quasi un mese dall’ultima volta che le ho parlato. Era stata per la prima volta carina nei miei confronti quel giorno, ma da allora è cambiato davvero tutto.
«Ehi, dolcezza!» la saluto sorridendole, dopo aver dovuto dar retta ad alcuni suoi compagni e compagne che si complimentavano ancora per il mio gol durante la finale.
Mi guarda malissimo e incrocia le braccia sotto il seno, seduta al suo banco e circondata da tre amiche che invece mi salutano civettuole. Mi chiedo se tutte e quattro riescano a mettere insieme un cervello.
«Cosa vuoi?!» ringhia Marion, voltandosi dall’altra parte.
«Devo chiederti una cosa, se non è un problema».
«Sì che lo è!» sbotta, stizzita. «Non vedi che sono impegnata, Son?!»
«Dai, non urlare che poi ti vengono le rughe sulla faccia…» sospiro.
«L-le rughe?!» farfuglia, sbiancando, prima di ricomporsi e stringere i pugni. «Mi hai già fatto questo scherzo una volta, dovresti morire! Se sei venuto a prendermi in giro, vattene!» aggiunge, alzandosi in piedi e scrutandomi minacciosa.
«Non voglio prenderti in giro, ho bisogno di te» le sorrido, afferrandole il polso e obbligandola a seguirmi. «Andiamo sul tetto, come l’altra volta».
«T-tu… hai bisogno di me?!» domanda stupita, arrossendo leggermente e seguendomi senza fare resistenza in silenzio lungo le scale.
Quando arriviamo sul tetto, mi fermo un attimo a guardare il Monte Fuji in lontananza. Uno spettacolo meraviglioso.
«Bello, eh?» dico a Marion, indicandole la montagna con un cenno del capo.
«Dici?! A me sembra bello il mio smalto nuovo! Guarda!» esclama con voce stridula, mostrandomi il suo perfetto e lucidissimo smalto azzurro sulle unghie.
«Anche quello non è male, in effetti…» ridacchio a disagio, grattandomi la nuca.
«Comunque, anche se ti ho seguita adesso, sappi che ce l’ho con te! Ti odio!» sbotta all’improvviso, fissando i suoi grandi occhi azzurri carichi di risentimento nei miei. «Sei stato uno stronzo, Son!»
«Guarda che non è colpa mia per Vegeta» rispondo, capendo subito dove sarebbe voluta andare a parare. «E voi non vi siete lasciati a causa di Bulma… lei è arrivata dopo, ha saputo aspettare in silenzio. So che la odi, ma è la persona più corretta che conosco».
«V-veggy… anzi, quello stronzo di Princely ha preferito quella quattrocchi secchiona alla ragazza più popolare della scuola!» farfuglia irritata, stringendo i pugni, mentre gli occhi le si riempiono di lacrime. «E tu lo sapevi… tu… tu volevi che andassero così le cose!»
«Ammetto che sono felice adesso per loro perché sono i miei più cari amici, ma non potevo immaginare che le cose sarebbero andate esattamente così» le spiego. «Ci potevo sperare, magari, ma quello che posso dirti è che mi faceva male vedere Vegeta infelice nell’ultimo periodo in cui siete stati insieme. E anche tu mi sembrava soffrissi, te lo dico con sincerità adesso come te l’avevo detto un mese fa. Spero che tu mi possa credere».
Marion scioglie i pugni e lascia ricadere le braccia lungo i fianchi, distogliendo lo sguardo dal mio e osservando il Monte Fuji illuminato da uno splendido sole. Accenna un sorriso, mentre lacrime amare le bagnano le guance. «Hai ragione, stavo soffrendo negli ultimi tempi perché le cose andavano male con Veggy e non eravamo più felici» sussurra mestamente. «Quando ho parlato con te, lo sapevo già in cuor mio che era finita… e lo sapevo che era colpa mia, non della tua amica secchiona».
«Non è stata solo colpa tua se le cose non hanno funzionato… anche Prince avrà avuto le sue colpe, lo sai meglio di me che è una fottutissima testa di cazzo» provo a rincuorarla. Mi fa male vederla così. «Avete fatto una parte di viaggio insieme, ma si vede che non era destino».
«Perché allora sto male quando lo vedo con quell’altra?»
«È normale, credo. Significa che quello che c’è stato tra voi era vero, anche se non ha funzionato. Che ne è valsa la pena fare un pezzo di viaggio insieme. Anche per lui non è facile, nonostante abbia già ricominciato. Ognuno ha i suoi tempi… penso che un giorno smetterai di soffrire anche tu, magari senza nemmeno rendertene conto».
«Tu hai mai sofferto per amore, Son?!»
«Ho sofferto per così tante cose che potrei farti un elenco talmente lungo che ti annoierebbe… anche per amore, ovviamente».
«E come fai a essere come sei? Tu sorridi sempre anche con chi ti odia… anche… anche con me…» domanda timidamente, abbassando la testa.
«Cerco di essere forte e di sorridere. Anche quando non è facile essere positivi» le spiego, accennando un sorriso malinconico. «Anche quando la realtà fa così male che sembra possa lacerarti il petto da un momento all’altro» aggiungo, senza che lei possa davvero capire appieno le mie parole. «Dai, basta piangere adesso. Andrà tutto bene» provo a rassicurarla, sollevandole il mento tra indice e pollice e asciugandole le lacrime con un dito.
«Perché mi dici queste cose?! Io… io non ti ho mai potuto vedere!» sbotta con voce stridula, divincolandosi con uno strattone e arrossendo visibilmente.
«Guarda che mi ricordo che sei anche stata gentile con me, un mese fa. Forse per la prima volta» rido, ricordando il nostro ultimo incontro. «E che a volte mi facevi compagnia quando pranzavo da solo, anche se mi cercavi solo per minacciarmi».
«Già…» sospira lei, guardando l’orizzonte. «È vero, comunque. È proprio bello, non ci avevo mai fatto caso».
«A cosa, dolcezza?»
«Al Fuji, no?!»
«Beh… ripensandoci, preferisco il tuo smalto azzurro! Me lo presti?»
«Sei un cretino, Son!» scoppia a ridere Marion, voltandosi verso di me. «Avevi davvero bisogno di me o era una scusa per chiarire per Veggy?!» mi domanda sospettosa, puntando i pugni chiusi sui fianchi e allungando la testa verso di me per squadrarmi.
«Ho bisogno di te sul serio, non avevo in programma di fare il consulente matrimoniale oggi!»
«A-allora… hai davvero bisogno che io ti aiuti?!»
«Ebbene sì, non devi dubitare sempre di me!» le sorrido. «Tu hai una sorella maggiore, giusto?»
«Sì…» sbuffa Marion, alzando gli occhi al cielo. «Perché dobbiamo parlare proprio di lei?!» aggiunge con voce stridula e fare polemico. «Non ti piacerà mica quella perfettina e secchiona che si crede più bella di me! È molto meglio Eighteen-senpai, Son!»
«Più che di lei, mi interessava sapere qualcosa del vostro rapporto…» sospiro, quasi rassegnato. «Là è più bella del mare e del Monte Fuji illuminati dal sole in questo momento, per quanto mi riguarda».
«Wow, sei così poetico, Son! Dovresti scrivere questa cosa alla tua ragazza adesso! Veggy non era così dolce con me…» esclama Marion entusiasta, saltellando e battendo le mani, prima di piagnucolare al ricordo dei modi rozzi di Vegeta. Non è mai stato uno molto romantico, in effetti, per usare un eufemismo.
«Eh, magari dopo…» svio il discorso, portandomi una mano dietro la nuca e ridacchiando. «Piuttosto, parlami di tua sorella».
«Beh, te la ricorderai, no?!» sbotta, incrociando le braccia sotto il seno. «L’anno scorso, quando noi eravamo al primo anno, lei era al terzo ed era addirittura la presidentessa del consiglio studentesco. Bella roba… razza di smorfiosa…».
«Tua sorella è brava in tutto?»
«È entrata alla Todai al primo tentativo e ha fatto sembrare facile persino il test dell’università più prestigiosa del Giappone, fai te il resto…» sbuffa, alzando gli occhi al cielo.
«Tu le vuoi bene?»
«Non direi».
«Quindi la odi?»
«Non direi».
«Chiaro, ora ho capito».
«Come potrei odiarla?! È pur sempre mia sorella! Abbiamo anche dei momenti belli insieme da ricordare e da vivere ogni giorno! Però… però a volte non la sopporto!»
«Guarda che ho capito sul serio, non ti stavo prendendo in giro!» le sorrido.
«E cos’è che avresti capito, scusa?!» ribatte sospettosa, guardandomi di sottecchi.
«Che dietro un rapporto tra sorelle c’è molto di più di un semplice “volersi bene” o “odiarsi”».
«Infatti io non la odio» conferma Marion, accennando un sorriso malinconico. «Semplicemente non mi va giù che mia madre continui a dirmi di imparare da lei e di studiare di più, come lei. Fa male essere paragonati a qualcuno che viene ritenuto perfetto».
«A volte i genitori non capiscono un cazzo, ma il più delle volte si comportano in un certo modo solo perché ci vogliono bene e pensano di fare la cosa giusta. Porta pazienza con loro, vedrai che sanno già il tuo valore e un giorno lo riconosceranno» provo a rassicurarla. «Ti ringrazio per avermi raccontato queste cose, mi sei stata molto d’aiuto!» le sorrido dolcemente, facendola arrossire un po’. È strano vederla così fragile e ingenua, lei che di solito era sempre spavalda e arrabbiata. Decisamente odiosa, soprattutto.
«D-di niente… mi è piaciuto parlare un po’ con te di tante cose…» sussurra, imbarazzata. «Non ti avevo mai conosciuto davvero. Io… io… ecco, mi dispiace».
«Dai, il passato è passato, ormai! Non pensiamoci più e sorridiamo al futuro!» annuncio ridendo, alzando il tono della voce e sollevando un pugno chiuso verso il cielo. «Torno in classe, ci vediamo dolcezza!» annuncio, voltandomi e dirigendomi verso la scala interna della scuola.
«Ehiii! Aspettami!» grida Marion con voce stridula, correndomi dietro e stringendomi forte il braccio con entrambe le mani.
«Eh?!» la osservo perplesso, mentre sorride allegramente e chiude gli occhi, appoggiando la testa al mio braccio senza smettere di camminare al mio fianco.
«Posso chiamarti “Rady”?!»
«Uhm… anche no?!» sbuffo. Che cazzo di nomignolo è “Rady”?! Io sono Rad! Punto.
«Va bene, Rady!» ride sotto i baffi Marion, divertita dalla cosa. «Ah, già! Ci tenevo a dirti che sei stato un figo alla partita! C’ero anch’io a vedervi, anche se sono rimasta in disparte tutto il tempo!»
«E-ehm, grazie… ma potresti almeno staccarti da me?» le chiedo, un po’ titubante. «Ok che oggi non è a scuola, ma se Là mi dovesse vedere così con un’altra mi taglierebbe le palle».
«E farebbe bene!» ride allegramente, liberandomi il braccio per poi battere le mani, continuando a ronzarmi intorno. «Dai, Rady! Torniamo in classe!»
«Sì…» sbuffo, rassegnato. Ci vorrà pazienza, tanta pazienza.
 
«Là?! Perché mi stavi aspettando qui e non in casa come al solito?!» domando allibito a Lazuli, appoggiata con la schiena alla parete della portineria del mio condominio. Indossa ancora la divisa scolastica della scuola di Chichi e sta guardando il cellulare. Accenna un sorriso, prima di far scoppiare una palla fucsia creata con le gomme da masticare che le fanno da sponsor e per cui aveva girato quel famoso primo spot con cui era tornata in scena. Osservo il chewing gum tornare nella bocca della mia ragazza, che riprende a masticare lentamente senza smettere di guardarmi.
«Smettila di provocarmi» ghigno, fissandola nei suoi occhi neri che sembrano ardere. Mi mancano tremendamente i momenti di intimità con lei, i baci, gli abbracci… tutto, davvero tutto. E so che è così anche per lei.
«Volevo darti questo» ribatte, improvvisamente seria, porgendomi un mazzo di chiavi. «È di casa mia».
«Mi stai dando una copia delle chiavi di casa tua?!» le rispondo con aria sognante.
«Non montarti subito la testa, lurido pervertito!» sbotta, pestandomi un piede con tutte le sue forze e facendomi imprecare. «Anch’io vado e vengo da sola con le mie chiavi da casa tua, no?!»
«Ok, ok! Mi fai male!»
«Allora adesso vedi di andare in casa mia per fare quello che devi! Io ti aspetto su da te!»
«Sei preoccupata per Chichi, ma vuoi che vada io da lei…» la provoco, facendole stringere i pugni in tutta risposta, visibilmente irritata. «Non sarebbe meglio se le parlassi direttamente tu?»
«Io… non saprei che dirle…» sospira rassegnata, distogliendo lo sguardo dal mio.
«Puoi anche presentarti da lei e stare in silenzio, prima o poi qualcosa vi direte…».
«Te lo puoi scordare, stupido!»
«Capisco… devi mantenere il tuo orgoglio da sorella maggiore…» sorrido, allargando le braccia. «Ok, ci vediamo tra un po’» aggiungo, prima di voltarmi verso il suo palazzo.
«Aspetta, Rad!»
«Cosa c’è?»
«Per nessun motivo al mondo devi aprire l’armadio nella stanza del tatami!» risponde, dopo un attimo di esitazione, fissandomi severamente negli occhi.
«Ok» le sorrido, salutandola con la mano, mentre anche lei si volta ed entra nella portineria di casa mia.
Realizzo solo in quel momento che mi sono appena scordato di dirle una cosa. E che persino una come Marion può essere capace di dare un buon consiglio.
Tiro fuori il mio telefono dalla tasca e le scrivo un messaggio: Sei più bella del mare e del Fuji illuminati dal sole. Mi ero dimenticato di dirtelo, Là.
Lei mi risponde subito e mi strappa un sorriso: Questo lo sapevo già.
Subito dopo mi arriva un altro messaggio, che mi fa battere forte il cuore e mi dà ancora più forza nel credere che sistemeremo ancora una volta tutto:
Ti amo, scemo. Grazie per quello che fai per me.
Sorrido di più, e rispondo col cuore in mano, come più mi piace fare con lei:
Grazie a te per esserci, per esistere. Ti amo un casino, Là.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: visto che ho saltato settimana scorsa e avevo questo capitolo già pronto, ho pensato di pubblicare con qualche ora di anticipo rispetto al canonico mercoledì. Spero che apprezzerete, a me erano mancati questi personaggi! Spero anche a voi ;-)
Bene, Husky fa ritorno in grande stile nella storia, proprio mentre Chichi cola a picco nelle sue insicurezze e Rad si ritrova a cercare di mettere pezze a destra e a manca come sempre.
Per Lazuli, in tutto questo, si avvicina sempre di più il concerto con le Sweet Bullet: manca poco, lo vedremo nel capitolo 33 e non vedo l’ora di mostrarvelo! Andrà tutto bene a lei? E, soprattutto, sarà davvero lei a doverlo fare o Chichi farà in tempo a tornare nel suo corpo?
Husky vi convince? A me sta simpatica!
Credo che la mia parte preferita di questo capitolo sia stata però quella con Marion, spero sia piaciuta anche a voi. E che magari possiate condividere quello che si sono detti lei e “Rady”. Mi sono un po’ affezionato persino a questa Marion con la divisa scolastica, tutta colpa di questa long! ;-)
Un paio di precisazioni tecniche: il “tatami” è una pavimentazione tradizionale giapponese composta da pannelli rettangolari di legno rivestiti di paglia intrecciata e pressata. Capita spesso che anche nelle case giapponesi con pavimentazione “all’occidentale” ci sia almeno una stanza “alla giapponese”, detta anche washitsu.
La Todai invece è il diminutivo della celeberrima Università di Tokyo, cioè la Tokyo Daigaku. Si tratta probabilmente del più prestigioso ateneo del Giappone, e per entrarci bisogna superare un test molto selettivo. Un applauso alla sorellona di Marion per esserci entrata senza problemi, direi. Anche se, per me, anche la nostra Là potrebbe passare il test, se solo volesse frequentarla. E invece ha già scelto Yokohama, quindi andrà lì da quel che sappiamo.
 
Ringrazio chi continua a seguire questa storia con entusiasmo e chi mi lascia sempre il suo parere, una cosa che apprezzo tanto e mi rende felice. Grazie davvero, come ci tengo a ringraziare chi preferisce leggere in silenzio, sperando che la storia lo appassioni come 30 capitoli fa. Grazie infinite poi a Cathy Black, che ci regala uno stupendo e simpaticissimo disegno di Rad che, a quanto pare, un giorno ha dimenticato la maglia di ricambio dopo gli allenamenti e così gliene ha prestata una Vegeta, col risultato che potete ammirare.
 
Il prossimo capitolo sarà bello denso e vedremo un po’ di tutto, compreso Goku che comincia a darsi da fare e l’entrata in scena ufficiale della malefica mamma di Chichi. Magari ci sarà un riferimento a Bardack, e magari Chichi proverà a girare di nuovo quel temibile spot. Ce la farà stavolta?
Scopriremo anche un piccolo ma significativo episodio con protagoniste Là e Chì da piccole.
E poi, soprattutto, cosa ci sarà nel misterioso armadio nella stanza del tatami che Lazuli ha vietato a Rad di aprire? E perché prendersi la briga di dirglielo? Non è che magari era un invito indiretto a sbirciare? Voi cosa dite, Radish-kun ficcherà il naso lì dentro?
Il titolo sarà “Idol, attrici, genitori e fratelli”, quindi sarà un bel calderone di personaggi, situazioni ed emozioni!
Ci vediamo mercoledì prossimo!
 
Teo
 
 
 

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Capitolo 32
*** Idol, attrici, genitori e fratelli ***


32 – Idol, attrici, genitori e fratelli
 
 
Suono il campanello della porta di casa di Lazuli e resto in attesa che arrivi Chichi ad aprirmi. Ho pensato infatti di non entrare direttamente in casa usando le mie nuove chiavi per non farle prendere un colpo. Sento il rumore dello spioncino da cui evidentemente Chichi mi sta osservando, anche se non si decide ad aprirmi.
«Dai, Chì… lo so che ci sei! Sono io, Rad, il tuo cognatastro preferito!»
«Cosa vuoi?!» sibila lei, dall’altra parte della porta blindata.
«Posso entrare?» chiedo, senza ricevere risposta. «È inutile che mi dici di no, tanto ho le chiavi! Ecco, sto entrando…» le annuncio, prima di interrompermi. «Aspetta, non sei nuda, vero?!»
«Ma cosa dici, cretino?!» sbotta Chichi, aprendo all’improvviso e trascinandomi dentro casa con uno strattone, prima di chiudere la porta alle sue spalle facendola sbattere. È paonazza. «Per chi mi hai preso, scusa?!» sbraita, isterica, fulminandomi con lo sguardo.
«A parte che non ci sarebbe stato niente di male a vederti nuda, visto che hai il corpo della mia ragazza» le sorrido sghembo, sollevando ritmicamente le sopracciglia.
«Fai… fai schifo! Dovresti morire!» grida di nuovo, stringendo i pugni e distogliendo lo sguardo dal mio, visibilmente imbarazzata.
Si dirige con fare risoluto sul divano e si siede, accavallando le gambe.
Mi guardo intorno e non posso fare a meno di notare che c’è un disordine atroce. Piatti da lavare, vestiti dappertutto, confezioni di ramen abbandonate in giro per il salotto… forse ho capito per quale motivo Là ha voluto che venissi qui! Quella maledetta e adorabile opportunista mi sentirà dopo!
«Allora?! Perché sei qui? Mi sembrava di averti detto che volevo restare da sola!» sibila Chichi, distogliendomi dai miei pensieri. Probabilmente è anche scocciata perché ho visto le condizioni in cui versa la casa.
«Volevo vedere come te la passavi» le sorrido.
«Non è che… la sorellona ti ha detto qualcosa?» mi chiede malinconicamente, ammorbidendo all’improvviso la sua espressione e distogliendo lo sguardo dal mio.
«È preoccupata perché ha saputo che non sei stata bene, ma non è assolutamente tesa per le riprese dello spot. Sapeva che poteva capitare di non farcela al primo colpo, ma è sicura che la prossima volta andrai bene».
«Davvero?!» esclama sollevata, guardandomi felice e facendo brillare i suoi occhi di ghiaccio.
«Ecco, ti sarebbe bastato fare questo sorriso in quello spot» le sorrido a mia volta. È un sorriso meraviglioso quello che ha appena fatto.
«La fai facile, tu…» borbotta, offesa.
«Stai provando in ogni modo a replicare il sorriso di tua sorella ma, detto tra noi, il risultato è stato una roba tremenda. Adesso invece sei stata fantastica, perché eri semplicemente te stessa».
«L-lo… lo pensi davvero?» domanda timidamente, arrossendo un pochino.
«Sì… come penso che sia un disastro questa casa» sospiro, guardandomi di nuovo intorno. «Dai, vai pure a farti un bel bagno, qui intanto ci penso io a sistemare».
«Non voglio, ho lasciato io in giro tutta questa roba!» ribatte, stizzita.
«Hai già cenato?» le chiedo, senza darle retta e cominciando a buttare via un po’ di rifiuti.
«Non mangio nulla da stamattina…».
«Ecco, allora adesso vai a farti un bagno. Ti preparo qualcosa al volo da mangiare, intanto. Ci vogliono energie per girare gli spot, non lo sai?!» le faccio un occhiolino. «Quindi fai quello che ti ho detto e non farmi incazzare, sono un tuo saggio senpai!»
«E-ecco, io… veramente… grazie…» sospira, alzandosi e dirigendosi verso il bagno, sparendo in corridoio. «Però non provare a sbirciare!» sbraita all’improvviso, facendomi prendere un colpo.
«Secondo me è un modo indiretto per chiedermi di farlo!» le urlo a mia volta. «Ti eccita l’idea di farti guardare da me?»
«Sei un porco, Rad! Dovresti estinguerti!» sbraita, furibonda, facendo capolino dal corridoio e minacciandomi con un pugno chiuso che rotea in aria.  Non posso che scoppiare a ridere mentre la guardo. E lei non può che mandarmi nuovamente al diavolo e andarsene stizzita.
Poco dopo, quando mi rendo conto che è intenta a fare il bagno, mi dirigo nella stanza del tatami. È ovvio che Lazuli voglia che vada a frugare in quell’armadio, altrimenti non mi avrebbe detto di starci alla larga. Per quale motivo avrei mai dovuto sbattere la testa proprio in questo armadietto, altrimenti? Io pensavo di puntare al cassetto della sua biancheria intima, ma sarà per la prossima volta, magari!
Apro l’armadio e ci trovo dentro una scatola rettangolare di latta lucida blu scura, piena di stelle dorate e con una grande mezzaluna al centro. La sollevo e la scruto. È piena, eppure è molto leggera.
Quando la apro e ne osservo il contenuto non posso che sorridere, oltre che commuovermi un po’. Non posso fare altro che pensare che è davvero un casino essere sorelle. Che a volte l’orgoglio è proprio una brutta bestia. E che sarebbe bello restare per sempre come eravamo da bambini, quando avevamo uno sguardo puro sulla realtà che ci circondava e sapevamo sorridere senza porci troppe domande. Quando forse non avevamo paura della vita, quando ci sentivamo protetti. Quando eravamo convinti davvero che tutto sarebbe andato per il meglio. Sapevamo perdonare, sapevamo voler bene. Sapevamo vivere, da bambini, forse meglio che da grandi. La vita ci sembrava più facile probabilmente perché riuscivamo a capire quanto fosse importante la semplicità, quanto bastasse poco per essere felici. 
«Non potete muovervi a fare pace?!» sospiro tra me e sorrido di nuovo, mentre metto al suo posto la scatola e chiudo l’armadio, scuotendo leggermente la testa.
 
«Sono tornato!» annuncio, non appena metto piede in casa mia e appoggio le chiavi sul tavolino all’ingresso.
«Ce ne hai messo di tempo, eh? Ti stavi divertendo?!» sibila freddamente Lazuli, senza guardarmi. È davanti alla televisione del salotto e sta provando per l’ennesima volta i passi di danza del nuovo singolo delle Sweet Bullet. «Ok, stoppa pure, Goku-kun!» sorride dolcemente a mio fratello, seduto sul divano col telecomando in mano. Le sta facendo da assistente, come sempre in questi ultimi giorni.
«Va bene, Chichi-chan! Secondo Goku-kun sei stata strepitosa!» esclama allegramente mio fratello, sempre convinto di essere in compagnia della vera Chichi Gelo. «Ciao fratellone! Ti stavi divertendo con Lazuli-san?!» aggiunge ingenuamente, mentre percepisco su di me lo sguardo di fuoco di Lazuli che mi incenerisce.
«In realtà ho dovuto cucinare, pulire, rassettare e fare il bucato… un disastro…» sbuffo. «Vai a sistemare la cassetta dei gatti, non ne ho la forza…» aggiungo, crollando sul divano a faccia in giù. Grazie al cielo non devo lavorare stasera.
«Urcaaa! È vero, ci pensa Goku-kun, fratellone!» corre via mio fratello, lasciandomi solo con Lazuli.
«Ti ha detto qualcosa in particolare?» mi domanda Lazuli, in tono distaccato. È preoccupata, ma non lo ammette.
«Niente di che, ma se devo essere sincero, penso che dobbiate darvi una mossa a fare pace».
«Capisco…» sospira, infastidita, passandomi davanti e tirando dritta senza guardarmi. «Faccio una doccia veloce e vado a letto».
«Ma come?! Non mi merito un premio per aver visto come se la passava e per averti tirato a lucido la casa?!» piagnucolo.
«Domani mattina devo alzarmi presto perché ho le prove generali del concerto, sarà una giornata molto lunga» fa spallucce Lazuli. «Il premio forse lo avrai quando tornerà tutto alla normalità, ma non montarti troppo la testa» aggiunge, voltandosi in mia direzione e accennando un sorriso, prima di sparire in corridoio.
 
 
9 settembre
 
Oggi Chichi è tornata a scuola nei panni di Lazuli e ha voluto che tornassimo a casa insieme. Ora siamo a casa di Lazuli, seduti sul divano uno di fianco all’altra, a guardare in televisione i dvd dei film girati dalla mia ragazza o, tramite il cellulare, i video dei suoi spot. Chichi mi ha detto di aver bisogno di me per potersi allenare perché domani dovrà girare di nuovo quello spot sulla spiaggia e vuole farlo al meglio stavolta. Vuole avere un sorriso perfetto.
«Ehm… non so come dirtelo, Chì…» esordisco, indicando col dito lo schermo della tv in cui in questo momento si vede una ragazza intenta a farsi una doccia. «Non credo che troverai i giusti spunti per il sorriso di Là in un film in cui interpretava uno zombie assassino».
«Tu non ti intromettere, sei qui come assistente e basta!» sbotta, acida, incrociando le braccia sotto il seno.
«Accidenti, la finestra è rimasta aperta!» esclama l’attrice del film, tutta insaponata, aprendo leggermente la porta del box doccia.
«Già, l’ho aperta io!» sorride follemente Lazuli, palesandosi improvvisamente in bagno sotto forma di zombie e truccata in un modo che la rende quasi irriconoscibile, sollevando una mannaia grondante sangue e piegando leggermente la testa. «Vuoi sapere cosa si prova quando si muore?!» aggiunge, scandendo lentamente le parole e sgranando i suoi occhi di ghiaccio, senza smettere di sorridere.
«Aaahhh!» urla Chichi, spaventata, spegnendo istantaneamente la tv e gettandosi tra le mie braccia con gli occhi chiusi.
«Te l’avevo detto che non era quello il genere di sorriso che faceva al caso tuo...» sbuffo. «Se vogliamo fare altre ricerche su tua sorella, devi puntare su qualcosa di più leggero! Tipo questo» aggiungo, sollevando dal tavolino del salotto un altro dvd.
Lei si solleva dal mio petto e mi guarda negli occhi, arrossendo vistosamente e allontanandomi con uno spintone, prima di guardare il dvd che ho in mano io e poi la custodia dell’horror che abbiamo appena visto.
«Aaahh! E come faccio adesso!» urla all’improvviso, mettendosi le mani tra i capelli e scalciando nel vuoto con entrambe le gambe che penzolano dal divano. «Le riprese sono domani! E io non ho ancora trovato lo spunto per il sorriso perfetto!»
«Ormai non c’è più tempo» le sorrido. «Vedi di darti una calmata!» aggiungo, afferrando un cuscino del divano e tirandoglielo in faccia.
«Questa potevi evitartela, imbecille!» sbraita, scagliandomi a sua volta quel cuscino sul naso.
«Guarda che non devi puntare per forza alla perfezione… e soprattutto non devi essere tua sorella» le spiego, fissandola nei suoi occhi di ghiaccio che sembrano distendersi alle mie parole improvvisamente serie. «Va bene anche la sufficienza per questo spot, sei già stata bravissima nelle interviste e sui set fotografici. Lo sa anche tua sorella. Tu sei incontentabile, non sei diversa da lei» aggiungo, alzandomi dal divano e facendo per andarmene.
«C-cosa?! Te ne vai di già?!» mi domanda, intimorita e perplessa.
«Tua sorella mi ammazza se torno tardi, e poi devo anche andare al lavoro dopo» rispondo, senza voltarmi.
«A-aspetta, Rad!» esclama Chichi, alzandosi a sua volta e afferrando una mia mano. «Aspetta… per favore…» sussurra, abbassando la testa, mentre mi volto per osservarla.
«S-senti… è che… ecco, volevo fare un bagno in tutta calma…» riprende con un filo di voce. «Non… non potresti restare finché non ho finito?»
«E perché dovrei farlo?» la provoco.
«Q-quando faccio il bagno da sola, a volte mi capita di… di avvertire una specie di aura negativa…» sussurra senza guardarmi, visibilmente a disagio. Sembra proprio una bambina indifesa adesso. È tenerissima nella sua ingenuità.
«In pratica mi stai dicendo che te la fai sotto dopo aver visto quel film horror?» le chiedo a bruciapelo, ghignando.
«N-non… non è vero, cretino!» grida, stringendo i pugni e arrossendo.
«Comunque resto solo se mi fai entrare nella vasca con te» riprendo con voce roca, avvicinando il mio viso al suo e sollevando ritmicamente le sopracciglia.
«Scemo!» sbotta, paonazza, distogliendo lo sguardo dal mio. «D-dovrei chiedere il permesso alla sorellona per queste cose…».
«Ottimo. Chiamiamola subito!» annuncio, tirando fuori dalla tasca il mio telefono e cominciando a digitare sul display.
«M-ma sei pazzo!» sbraita, dandomi un pugno in testa per poi spingermi verso l’uscita appoggiando entrambe le mani contro la mia schiena. «Vedi di sparire dalla mia vista e di estinguerti subito!»
«Ok, ti voglio bene anch’io, Chì!» la saluto con un cenno della mano. «Domani mattina non andrò a scuola nemmeno io, così andiamo insieme sul set» mi congedo, prima di chiudermi la porta alle spalle. Sono certo che ce la farà stavolta.
 
«Sono tornato!» annuncio, non appena entro in casa mia. «Ci sei, Là?»
«B-bentornato fratellone, Goku-kun non ti aspettava così presto» bisbiglia Goku, aprendo a malapena la porta della sua stanza e mostrandomi solo metà del suo volto. «Lazuli-san non c’è, e nemmeno Chichi-chan».
«Perché sei nascosto? È un nuovo gioco?»
«T-ti sbagli di grosso se pensi che Goku-kun non faccia niente per sé stesso tutto il giorno, quando è da solo!» ribatte mio fratello, alzando il tono della voce.
«Non ho mai pensato questo di te, e tu lo sai bene. Non farmi incazzare…» sbuffo, lanciando le chiavi sul tavolino.
«Scusa, fratellone…» sospira Goku. «Comunque Goku-kun ha i suoi buoni motivi se non vuole farsi vedere!» sbotta, chiudendo la porta con veemenza.
«E quale di questi motivi ti ha portato a nasconderti addirittura da me?»
«Prometti di non ridere?» bisbiglia a testa bassa, riaprendo uno spiraglio della porta.
«Te lo giuro» gli rispondo, serissimo.
«Cosa ne pensi?» mi domanda timidamente, uscendo dalla sua stanza a testa bassa e lentamente.
Indossa la divisa scolastica. Non era mai successo negli ultimi due anni. Non mi sembra quasi nemmeno lui.
«Penso che ti sta benissimo, anche se puzzi di armadio» gli sorrido, cercando di non mostrarmi troppo sorpreso e troppo euforico per una cosa che anche per lui dovrà tornare ad essere naturale, prima o poi, se vorrà riprendere a uscire di casa e a condurre una vita sociale come tutti gli altri suoi coetanei.
«Tutto qui? Cosa ti sembro allora?» mi domanda, polemico e un filo deluso.
«Uhm… mi ricordi un ragazzino delle medie…».
«Per forza! Goku-kun è uno studente delle medie a tutti gli effetti!» ribatte con determinazione, stringendo i pugni. «Goku-kun crede che sia arrivato il momento!» annuncia, fissandomi negli occhi. «Il momento di impegnarsi fino in fondo!»
Gli sorrido dolcemente e mi avvicino a lui, appoggiandogli una mano sulla testa.
«Sono fiero di te, lo sai?! E lo sarò sempre e comunque, perché sono il tuo fratellone» gli dico, appoggiando la fronte contro la sua.
«G-goku-kun vuole molto bene a Chichi-chan e vorrebbe vedere un suo concerto dal vivo, prima o poi. Lei è molto carina con lui…» mi spiega, bisbigliando e strappandomi un altro sorriso. «E poi Goku-kun vorrebbe vedere anche uno spettacolo di Lazuli-san e una partita del fratellone».
«Hai proprio tanti obiettivi, bravo! Vuoi vedere altro?» gli dico, sollevandomi e scompigliandogli i capelli.
«Goku-kun vuole vedere anche i dinosauri!»
«Va bene, va bene… ma vedi di non strafare, ok?»
«Sono a casa!» annuncia Lazuli, facendo capolino alle mie spalle con la divisa scolastica della scuola di Chichi, dove ha seguito le lezioni pomeridiane dopo le prove per il concerto sostenute al mattino.
«Bentornata, Chichi-chan!» esclama Goku, felice.
«Hai su l’uniforme?!» gli chiede Lazuli, incredula, prima di sciogliersi in un sorriso meraviglioso. «Stai benissimo! Sei adorabile!»
«Urcaaa! Dici davvero!» grida Goku, saltellando felice e spalancando le braccia.
«Certo! Me lo sentivo che oggi avresti fatto grandi cose, infatti ti ho comprato un pensierino!» gli spiega Lazuli, porgendogli un sacchetto di carta.
«Wow, grazie mille! I panini alla crema! I preferiti di Lazuli-san!» esclama, correndo in camera sua tutto contento.
«Ecco, questi sono i biglietti per il concerto che si terrà dopodomani» mi sorride Lazuli, porgendomi una busta contenente i biglietti per il live delle Sweet Bullet. «Danne uno anche a Chichi».
«Non vuoi darglielo tu di persona?»
«Meglio di no» ribatte lei freddamente, passandomi davanti. «Ce n’è uno anche per te, così verrete insieme voi due. In più, dille che ne ho già spedito anche uno a sua madre».
 
 
10 settembre
 
«Azione!» grida il regista sul set dello spot pubblicitario che sta girando Chichi per conto di Lazuli sulla spiaggia, nella stessa location del fallimentare primo tentativo dell’altro giorno.
Oggi le cose stanno andando meglio. Decisamente meglio.
Chichi sorride, per poi alzarsi in piedi e recitare l’ultima battuta che le mancava, salutando poi con la mano a favore di telecamere.
«Taglia! È buona!» urla il regista, mentre tutti i componenti dello staff applaudono Chichi, che li ringrazia con un inchino, visibilmente emozionata. «Ottimo lavoro!»
Osservo la scena da lontano e non posso che sentirmi felice. Sapevo che oggi Chichi non avrebbe fallito. Lei è una che pensa fin troppo, ma, soprattutto è una che si sottovaluta. È bello vederla così.
«Tutto è bene quel che finisce bene, no?» le dico, seduto sulla spiaggia dove la stavo aspettando. A quanto pare ha detto a Piiza-san che si sarebbe arrangiata per tornare a casa per conto suo.
«”Finito bene” un corno!» sbotta Chichi, irritata, sedendosi al mio fianco e osservando il mare. «È assurdo che mi ci siano voluti ben dodici ciak!» aggiunge, stringendo i pugni e digrignando i denti. «Non potrò mai essere come la sorellona…».
«Non devi essere come lei… smettila di sottovalutarti, Chì» provo a spronarla.
«In effetti non vorrei essere lei… non voglio nemmeno immaginare di dover vivere ogni giorno con tutta quella pressione sulle spalle» risponde, sospirando amaramente e abbassando la testa.
«Quindi sai benissimo anche tu che non vuoi essere come Là… smettila di pensare a lei e di volerla emulare. Fregatene».
«Non so nemmeno se non voglio essere come lei, però…» sospira, alzandosi in piedi e camminando lentamente verso il mare. La spiaggia è deserta, ci siamo solo noi e il rumore delle onde. «In passato sognavo solo di essere come lei. Sai, quando avevo quattro anni e l’ho vista per la prima volta in televisione, ho detto subito a mio padre che sarei voluta diventare come la mia sorellona» aggiunge, voltandosi per un attimo verso di me, prima di darmi di nuovo le spalle. I suoi occhi di ghiaccio sono lucidi. La brezza marina fa ondeggiare il vestitino lilla che indossa e i suoi capelli biondi.
«E ora?» la incalzo, senza ricevere una risposta.
«Tieni. È per te» mi dice freddamente, camminando verso di me e porgendomi il suo telefono. Sul display lampeggia il nome di Lazuli. Che abbia deciso finalmente di tornare a parlarle? Sicuramente era preoccupata anche lei per le nuove riprese dello spot.
«Se sta chiamando il tuo numero significa che vuole parlare con te» ribatto, restando fermo.
«Rispondi te! Per… per favore…» sbotta Chichi, prima di abbassare la testa e porgermi di nuovo il telefono, che stavolta prendo in mano sospirando.
«Ciao Là» rispondo alla chiamata.
«Perché rispondi tu?!» ribatte lei, gelida.
«Tua sorella è in bagno da un po’… forse sta cagando» ghigno.
«Non è vero! Imbecille! Cretino!» sbraita all’improvviso Chichi, colpendomi con una raffica di sberle sulla testa e rischiando di farmi cadere di mano il telefono.
«Ahia, cazzo! Stavo… stavo scherzando…» bofonchio, cercando di ripararmi.
«Ok, deduco che sia lì con te e che stia bene» sospira Lazuli, irritata. «Beh, in ogni caso volevo parlare anche con te».
«Dimmi la verità: ti mancavo troppo» la provoco.
«Se continui così, stasera ti picchio anch’io, Son» sbotta, acida. «Comunque, stamattina presto ha telefonato tuo padre. Non ho risposto ed è partita la segretaria».
«Mio papà?!» ribatto, allibito. In effetti è da un po’ che non lo vedo e non lo sento. Non abbiamo quel genere di rapporto, non dobbiamo sentirci per forza se va tutto bene.
«Ha detto che stasera vorrebbe mangiare qualcosa con te al “Kame House” prima che inizi il tuo turno».
«Ok, grazie mille! Ah, comunque le riprese di tua sorella sono filate lisce come l’olio» le spiego, mentre Chichi, al mio fianco, scalcia nervosamente la sabbia. «Ci sono voluti solo tredici ciak, ma ce l’ha fatta! La applaudivano tutti alla fine!»
«Dodici ciak! Idiota!» sbraita Chichi, colpendomi con un’ennesima sberla sulla nuca. «Dodici! Erano dodici!»
«Ahia!» protesto. «E che cazzo cambia tra dodici o tredici?! Basta che ce l’hai fatta, no?!» aggiungo, mentre sento Lazuli soffocare a stento una risata sincera.
«Bene. Ringraziala da parte mia per quello che ha fatto» mi dice, in tono serio. «Sapevo che sarebbe andata bene oggi! Ora ti saluto, Rad!» aggiunge, sciogliendosi un po’. Io lo so bene che sta sorridendo in questo momento. Che non è solo felice, ma anche orgogliosa della sua sorellina.
«A dopo, Là!».
 
«Quasi dimenticavo: tua sorella ieri mi ha detto di darti questi» spiego a Chichi, poco dopo, porgendole i biglietti del concerto delle Sweet Bullet. «Andremo insieme io e te, domani. E ne ha inviato uno anche a tua madre».
Chichi guarda mestamente i biglietti, senza prenderli. Abbassa la testa, sospirando.
«Ricordo ancora quando da piccole ci siamo incontrate per la prima volta a un’audizione… sono passati undici anni da allora, ma ricordo tutto come se fosse ieri».
«Ti aveva portato lì vostro padre?»
«Sì, era l’audizione per un cortometraggio. La sorellona aveva già esordito l’anno prima in televisione, io volevo essere come lei ma non l’avevo mai conosciuta» risponde Chichi, accennando un sorriso triste. «”Lazuli-chan, questa è Chichi-chan. È tua sorella”. Furono queste le parole che disse nostro padre quel giorno. Io la ammiravo, ma un po’ la temevo vedendo come fissava nostro padre senza tradire nessuna emozione».
«Non deve essere stato facile per Là ritrovarselo davanti dopo tanto tempo» intervengo, sfruttando un suo momento di silenzio. «E deve essere stato strano vederti per la prima volta».
«Già… io almeno l’avevo vista in tv e me l’ero anche idealizzata» risponde Chichi, alzando la testa per guardare il mare. I suoi occhi sono lucidi. Forse è anche nostalgia, non solo malinconia. Nostalgia di giorni in cui tutte le cose sembravano più facili. «Lei mi guardò in silenzio e impassibile per qualche secondo, prima di sciogliersi in un sorriso meraviglioso e appoggiarmi una mano sulla testa, visto che era più alta di me» aggiunge, mentre una lacrima le scende lungo la guancia fino a perdersi sulla sabbia. «”Ho sempre voluto avere una sorellina”, mi ha detto in quel momento. Ricordo di aver fatto i salti di gioia a quel punto e di averla abbracciata. Ero felice, davvero. Mi disse anche che mi avrebbe portato un regalo il giorno delle riprese, se fossimo state scelte entrambe».
«E come è finita?»
«Abbiamo girato insieme quel cortometraggio, qualche giorno dopo. È stato il nostro unico lavoro insieme, prima che lei spiccasse definitivamente il volo, a differenza mia, che infatti ho cambiato campo qualche tempo dopo. Soprattutto da quando mia mamma ha iniziato a occuparsi personalmente della mia carriera» mi spiega, accennando un sorriso. «Durante le riprese ho indossato gli stivaletti che mi aveva appena regalato la sorellona. Era quello il regalo che mi aveva promesso. Li conservo ancora a casa, in cantina. Io invece le portai una molletta per i capelli a forma di testa di coniglio, un po’ come questa» prosegue, indicando la mollettina nera glitterata tra i suoi capelli.
«Mi immagino voi due da bambine… è un ricordo splendido il vostro. E mi piacerebbe vedere quel cortometraggio, prima o poi».
«Non aspettarti nulla di che, non sono mai stata brava a recitare… ricordo che lei indossava una salopette di jeans, mentre io avevo un vestitino giallo quel giorno. Ero tanto felice di essere sul set con la sorellona. Lei… lei mi dava sicurezza» riprende Chichi, asciugandosi un’altra lacrima sfuggita al suo controllo. «Lei era… era fantastica…».
«Anche adesso è fantastica» aggiungo, sorridendole.
«Sarà stata di sicuro anche un po’ spiazzata, anche se io non potevo rendermene conto in quel momento. Eppure non l’ha dato a vedere. È proprio da lei» continua Chichi, strappandomi improvvisamente di mano il suo biglietto del concerto. «Non potrò mai essere come lei, ma non per questo rinuncerò ad essere una idol!» esclama, determinata. «È divertente fare dei concerti e ho anche tanti fans pronti a sostenermi. Ti prometto che mi impegnerò a fondo e farò una meravigliosa esibizione quando finalmente riuscirò a ottenere la parte da solista e il centro della coreografia!»
«Questo è lo spirito giusto, Chì!» la incito, sorridendole.
«Così facendo, magari anche mia mamma cambierà l’opinione che ha su di me!»
«Pensa ad avere successo per te stessa e per la tua carriera, prima di tutto» le dico, mentre mi rialzo. «Andiamo a casa a prendere l’uniforme, facciamo in tempo a seguire le lezioni del pomeriggio a scuola, almeno» aggiungo, aiutandola ad alzarsi.
«Posso farti una domanda, Rad?» mi chiede poco dopo Chichi, mentre stiamo camminando verso casa.
«Spara» sbadiglio, prima di portarmi entrambe le mani dietro la nuca.
«Cosa pensi dei tuoi genitori?»
«Sai già della mia situazione familiare?»
«Sì… la sorellona mi aveva spiegato a grandi linee quello che ti è successo. E qualcosa mi avevi detto anche tu» sospira Chichi, abbassando la testa. «Mi dispiace».
«Non essere triste per questo. Io e mio fratello siamo forti» provo a rassicurarla.
«Tuo fratello… ecco, mi è stato subito simpatico, anche se non ho ancora avuto modo di conoscerlo bene…» sussurra, arrossendo leggermente.
«Penso che anche tu gli stai simpatica, guardava già i tuoi live in tv e ha detto che vorrebbe venire a vederti dal vivo, prima o poi».
«D-davvero?!»
«Da quando sei entrata nelle nostre vite, sembra essere scattato qualcosa in lui» le sorrido, mentre lei diventa sempre più rossa. «Negli ultimi due anni non aveva mai preso in considerazione l’idea di uscire di casa. Ti sono grato per questo».
«Sarà merito della sorellona, c’è lei nel mio corpo, adesso…».
«Sono certo che Goku si troverà bene anche con la vera te stessa. Anzi, meglio… non dimenticare che era già un tuo fan, lui» le faccio l’occhiolino, strappandole un sorriso. «Per quanto riguarda i miei genitori, vuoi sapere cosa penso di loro? Beh, che sono i miei genitori…».
«Eh?! E cosa significa?!» ribatte Chichi, perplessa. «Volevo sapere se gli vuoi bene, se li odi, se li reputi una scocciatura o se ti fanno arrabbiare, ad esempio…».
«Allora facciamo un po’ tutto quanto» le sorrido.
«Non provi rancore nei loro confronti, Rad?»
«Non direi».
«Perché no?»
«Forse perché sono i miei genitori…» le spiego, non trovando una frase migliore per rispondere alla sua domanda, proprio mentre svoltiamo nella via dove abitiamo.
Chichi si blocca improvvisamente, non appena vede scendere da un taxi fermo sotto casa di Lazuli una donna dai capelli neri legati in uno chignon e vestita di un tailleur beige.
«Tutto bene?» le chiedo.
«M-mamma…» balbetta in un flebile sussurro, mentre la donna si avvicina a noi a passo di carica e con un’espressione che definire accigliata sarebbe un eufemismo.
«Dov’è Chichi?!» sbotta la donna, stringendo i pugni e sgranando i suoi sottili occhi neri sprizzanti rabbia. Non può certo sapere che ce l’ha davanti. Che ha semplicemente sembianze diverse.
Per certi versi questa situazione mi ricorda l’unico incontro che ho avuto con la mamma di Lazuli, quando lei era diventata invisibile ai suoi occhi. Una pessima situazione, davvero.
«È un momento fondamentale per lei, domani ha il concerto! La rivoglio a casa!» sbraita di nuovo in faccia a quella che lei ritiene essere Lazuli.
«Mi spiace, ma non capisco dove voglia arrivare» risponde malinconicamente Chichi, mantenendo il sangue freddo.
«Non è a casa tua?!»
«Purtroppo no» ribatte Chichi, abbassando leggermente la testa, incapace di sostenere lo sguardo adirato e anche preoccupato della madre.
«Smettila di mentire! Lo so che la stai nascondendo tu!»
«Le sto dicendo la verità, invece» riprende Chichi, tornando a guardarla negl’occhi.
«Può salire in casa sua a controllare, se non ci crede» provo a darle manforte, facendo un passo avanti.
«E tu chi saresti?! Nessuno ti ha chiesto niente!»
«Sono il suo ragazzo. E penso che stiamo dando spettacolo in strada per niente» rispondo, senza abbassare la testa. «Non è colpa di Lazuli se sua figlia ha voluto isolarsi per preparare al meglio questo concerto. La vedrà domani sul palco, se le ha spedito il biglietto significa che ci tiene a vederla».
Il volto della madre di Chichi si distende leggermente, pur mantenendo un’espressione adirata.
«Non c’è bisogno che venga a controllare» risponde, acida e stizzita. «Se dovessi sentirla, dille che deve tornare immediatamente a casa» aggiunge, rivolta a Chichi, convinta ovviamente di parlare con Lazuli, prima di darci le spalle e salire di nuovo sul taxi, lasciando la nostra via.
«Dai Chì, vai a metterti l’uniforme che poi andiamo a scuola» dico a Chichi, accarezzandole la testa. «A volte bisogna tenere duro per sopportare i propri genitori, altre volte non li capiamo… tu adesso pensa a stare tranquilla e a mantenere la promessa di diventare una grande idol, ok?»
«Ok» annuisce mestamente Chichi, varcando l’entrata della portineria del palazzo di Lazuli. «Grazie, Rad».
 
 
 
 
 
 
 
Note: eccoci qui, direi che sono successe un bel po’ di cose in questo capitolo. Partiamo dalla fine: cosa ne pensate della mamma di Chichi? Per il resto, vediamo che Rad va a sbirciare nel famoso armadio che gli aveva vietato Lazuli: cosa conterrà quella scatola che ha aperto?
In tutto questo, Goku prova a reagire e indossa la divisa scolastica, spronato forse dall’ingresso improvviso di Chichi nella vita sua e di Rad. Vi ricordo che Goku e Chichi hanno 15 e 16 anni in questa storia.
Nel frattempo si fa sentire Bardack e Chichi riesce a girare lo spot, con Lazuli che prova inutilmente a fare il primo passo telefonando inutilmente alla sorella minore.
In tutto questo, vorrei che vi immaginaste Lazuli in versione zombie nel film horror in cui ha recitato! ;-)
Spero vi sia piaciuto questo capitolo e che abbiate apprezzato anche il ricordo del primo incontro tra Lazuli e Chichi raccontato da quest’ultima a Radish. Avremo modo di tornarci più avanti, ma spero che siate riusciti a focalizzarvi la scena e quel momento. Credo che erano tenerissime Là e Chì a 7 e 5 anni!
 
Un grazie speciale a chi mi lascia sempre il suo parere, a chi è tornato a farlo nonostante i tanti e comprensibili impegni, a chi è rimasto indietro e si sta rimettendo in pari: sono onorato che questa long vi continui a piacere! Ringrazio di cuore anche chi legge in silenzio, ovviamente!
 
Dal prossimo capitolo, dal titolo “Sweet Bullet”, si comincia davvero a fare sul serio: Rad si vedrà con Bardack al “Kame House” (e dirà una cosa molto interessante) e poi ci sarà tantissimo spazio per il concerto, finalmente. Riuscirà Chichi a tornare in extremis nel suo corpo per quel momento o toccherà a Lazuli esordire sul palco come idol? Andrà al concerto la mamma di Chichi? Preparatevi perché settimana prossima ci sarà anche un disegno davvero bellissimo a tema idol realizzato da Sapphir Dream! Qui, invece, potete godervi la splendida scena tratta dal capitolo scorso di Marion che chiama “Rady” il nostro Rad! Grazie mille a Misatona per questo! E grazie ancora a tutti voi che apprezzate sempre questa storia!
A presto!
 
Teo
 
 
 
 

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Capitolo 33
*** Sweet Bullet ***


33 – Sweet Bullet
 
 
«Quanto tempo, eh…» esordisce mio padre, seduto davanti a me a un tavolo del “Kame House”, sorseggiando un boccale di birra. Lo trovo meglio rispetto ad altre volte, anche se si vede che è sciupato. Che è stanco. È invecchiato tanto in questi ultimi due anni, non sono stato io l’unico a soffrire per tutto quello che è successo.
«Già…» ribatto, incapace di dire qualcosa di sensato. Non ci vediamo da tempo, è strano essere qui adesso, faccia a faccia. «La mamma come sta?»
«Sta meglio… è tornata anche a sorridere, mi chiede di te e di tuo fratello» sospira, accennando un sorriso. «I medici dicono che potreste venirla a trovare, magari tra un paio di mesi. Tu, di sicuro, e Goku, se dovesse sentirsela. Come sta lui?».
«Anche Goku sta meglio. Ieri ha addirittura indossato la divisa scolastica… dice che vorrebbe provare a uscire, un giorno» gli spiego, fissandolo nei suoi profondi occhi neri. «Ma non voglio mettergli pressione, deve essere una cosa naturale. Ognuno ha i suoi tempi. Come me e te. E come la mamma. Sono felice stia meglio».
«Capisco. Sono felice che stia facendo dei passi avanti anche lui. Sono fiero di voi» sorride, abbassando poi la testa e restando in silenzio.
La situazione è un po’ imbarazzante, non sono più abituato a stare con lui… vorrei dire tante cose, ma non so nemmeno io come farlo. Forse anche per lui è lo stesso.
«Vo…» dice all’improvviso mio padre.
«Io…» esclamo nello stesso istante, sovrapponendo la mia voce alla mia. Ci blocchiamo e ci guardiamo, sorridendoci a vicenda.
«Volevo dirti che sei stato bravo» riprende lui.
«Non ho fatto nulla di che…» faccio il sostenuto, bevendo un sorso di Coca Cola e distogliendo lo sguardo dal suo, per mostrarmi disinvolto. «Io volevo dirti che sei stato bravo a occuparti della mamma. Io e Goku ce la caviamo bene, abbiamo anche delle amiche che ci aiutano».
«Lo so, me l’ha detto la tua ragazza. E mi ha anche detto che sei tornato a giocare a calcio alla grande e che hai portato la tua squadra al Campionato Nazionale».
«Eh?! Tu cosa ne sai di Lazuli?!» sbotto, voltandomi verso di lui con gli occhi sgranati, allibito.
«Ah, si chiama così? Ieri al telefono non me l’ha detto… era di poche parole, in effetti, ma mi è piaciuta molto. Bravo Radish!» ghigna compiaciuto, mettendomi decisamente a disagio. «Pensa che è stata lei a suggerirmi di venire da te oggi. Io… io non sapevo se ti avrebbe fatto piacere a vedermi…».
«Ma certo che mi fa piacere, sei mio papà!» sbuffo, incrociando le braccia al petto. «Come avrei avuto piacere che la mia ragazza mi avesse detto di aver parlato con mio padre al telefono…».
«Allora, com’è questa Lazuli? È una tua compagna di classe?»
«Ha un anno in più di me, ma viene nel mio liceo» sospiro, bevendo un’altra sorsata dal mio bicchiere. «Se scrivi su Google “Lazuli Eighteen” potrai sapere vita, morte e miracoli della mia ragazza».
«C-cosa?! Tu stai con quella Lazuli?! Quella che guardavi sempre da bambino in televisione insieme alla mamma?!» ribatte, sgranando lui gli occhi, stavolta.
«Già… piccolo il mondo, no?» rispondo, allargando le braccia, tralasciando tutte le avventure che abbiamo dovuto vivere io e Là per arrivare fino a questo punto.
«Sei felice?»
«Tu eri felice quando ti sei messo insieme alla mamma?»
«Ero felice come se non lo fossi mai stato davvero prima» sorride con nostalgia. Già, anche lui ha vissuto e sta vivendo un inferno da quando la nostra famiglia si è sgretolata. Sono stato egoista se, anche inconsciamente, ho pensato di essere l’unico a soffrire davvero, a volte. Se succedesse a Lazuli quello che è capitato a mia mamma, io come reagirei? Starei di merda, mi sentirei perso. E tremandamente solo, oltre che impotente. Mio padre… beh, lui è stato forte. Io non so se sarei forte come lui. Per questo lo ammiro.
«Credo di provare più o meno la stessa cosa…» sorrido, distogliendo lo sguardo dal suo. Un po’ mi mette a disagio questa conversazione. È strano parlare con un genitore della tua ragazza, soprattutto se non l’hai mai fatto prima.
«La prossima volta dovrò ringraziarla per essersi presa cura di te» sorride a sua volta.
«Senti, papà…».
«Dimmi».
«Com’è essere genitore?!» gli chiedo, grattandomi la guancia e sorridendo a disagio.
«N-non starai mica per diventare padre!» sbotta, sbigottito e agitato, alzandosi in piedi e battendo entrambe le mani sul tavolo. La gente intorno si volta verso di noi. Persino Lunch fa capolino da dietro al bancone, con gli occhi sgranati.
«N-no! Calmati, ci guardano tutti!» ribatto, mentre Lunch arriva, casualmente, a sparecchiare il tavolo dietro di me.
«Ah… ecco, scusa…» si risiede, imbarazzato. «Mi piacerebbe diventare nonno, ma mi fa anche paura, un pochino» ridacchia.
«Ti sentiresti vecchio?» ghigno.
«Forse…» scoppia a ridere.
«Comunque non sono ancora pronto nemmeno io…» gli sorrido.
«Già, “non ancora”…» sospira. «Credo che capirai cosa significa essere un genitore quando arriverà il tuo momento. Quando lo sarai anche tu».
«Dici che un giorno diventerò padre anch’io?» gli chiedo, prima di voltarmi verso Lunch. «Ah, già, questa ficcanaso si chiama Lunch. È la mia kohai preferita» aggiungo, afferrandola per un polso e trascinandola davanti al nostro tavolo.
«S-senpai, non mettermi a disagio davanti a tuo papà!» sbotta, paonazza, nella sua divisa da cameriera. «P-piacere di conoscerla» si inchina.
«Sono felice che mio figlio abbia una collega e un’amica come te!» gli sorride lui.
«I-io… grazie!»
«Non farti fregare da lei, papà. Quando la faccio arrabbiare sai cosa fa? Mi dà sempre un calcio nel culo!» ghigno, facendola sprofondare dalla vergogna.
«N-non è vero, senpai!» protesta, stringendo nervosamente il vassoio tra le sua mani.
«Fai bene, cara Lunch-chan!» ride di gusto mio padre. «Prendilo a pedate finché non capisce che la deve smettere di farti arrabbiare».
«V-va bene… no, cioè! Devo tornare in cucina, senpai!» mi liquida, sempre più rossa in faccia. «È stato un piacere conoscerla signor Son!» si inchina di nuovo verso mio padre.
«Chiamami pure Bardack, altro che “signor Son”» ride di nuovo lui.
«V-va bene, arrivederci!» balbetta Lunch, congedandosi da noi alla velocità della luce.
«È una brava ragazza. Un pochino bipolare, forse, ma è una su cui si può contare» spiego a mio papà. «Allora, dici che potrò diventare anch’io padre, un giorno? È difficile essere genitori?»
«Ti dirò la verità: quando sei nato tu, io e tua madre non sapevamo nemmeno da che parte guardare. Era tutto nuovo… tutto bellissimo, ma anche estremamente complicato in un certo senso» risponde, sciogliendosi in un sorriso. «Era tutto nuovo, e ogni giorno era carico di preoccupazioni e allo stesso tempo di emozioni stupende. La prima volta che ho provato a cambiarti il pannolino ho fatto un casino assurdo e ricordo che tua madre mi ha cacciato via!» aggiunge, scoppiando a ridere.
«Non avevi un aneddoto migliore?!» sbuffo, prima di mettermi a ridere.
«Radish, io non so se posso definirmi un buon padre… tu farai sicuramente meglio di me» sospira, abbassando la testa. Sembra avvilito.
«Non dire così. Non darti colpe che non hai».
«Io… io avrei dovuto sostenere di più te e Goku quando vi sono comparse quelle ferite…» ringhia, stringendo i pugni. «Solo… solo che non volevo che vi facessero passare per pazzi come successo a me, quando avevo la vostra età».
«Tu… cosa?!» ribatto, sgranando gli occhi. Dunque papà non aveva davvero mai pensato che ci fossimo feriti da soli?!
«La cicatrice sulla mia guancia, Radish» riprende, indicandomela. Non ho mai saputo come se l’era procurata in effetti, visto che mia mamma aveva sempre sviato ogni discorso in quel senso. Era stato colpito anche lui dalla Sindrome della Pubertà, senza saperlo?! «Mi comparve all’improvviso, una sera, qualche giorno dopo la morte di mio padre. Non so perché, ma solo tua madre ha saputo credere alla mia storia quando l’ho conosciuta. Ma abbiamo anche deciso di dimenticare tutta quella faccenda, era stato un brutto periodo per me. Se non avessi incontrato Gine, non so dove sarei adesso».
«Non pensiamoci più, allora» lo rassicuro. «La realtà a volte fa schifo, ma altre volte la vita ci fa incontrare le persone giuste, se abbiamo una botta di culo. E tutto si può sistemare, no?» gli sorrido, alzandomi in piedi. «Basta pensare al passato, va bene?»
«Io… grazie Radish. Sono orgoglioso di te».
«Ora devo cominciare il turno» gli spiego. «Salutami la mamma e dille di Lazuli, sono certo che ne sarà felice. E spiegale anche che andrò al Campionato Nazionale, per favore».
«Certo. Conoscendola, forse piangerà per la gioia».
 
 
11 settembre
 
«Wow! Non pensavo foste così popolari!» esclamo, non appena entro insieme a Chichi nel locale gremito di gente dove sta per esibirsi Lazuli insieme alle Sweet Bullet. Non sarà il Tokyo Dome, ma non è nemmeno il salotto di casa mia. Hanno davvero un bel seguito.
«Per ora non riusciamo ancora a riempire una sala più grande di questa…» fa spallucce lei, guardandosi intorno. «Piuttosto, spero che la sorellona non si arrabbierà se oggi ho voluto mettere su questa sua maglia» aggiunge, mostrandomi la canotta da basket NBA dei Toronto Raptors bianca con stampato davanti un velociraptor rosso che sta portando infilata negli shorts di jeans. Per il resto indossa delle sneakers bianche e un cappellino nero con la visiera, anche lui con il logo dei Raptors, oltre a una mascherina monouso bianca che le copre la bocca, come se fosse raffreddata. Abbiamo infatti pensato che sarebbe stato meglio per tutti nascondere la presenza di una celebrità come Lazuli Eighteen, per questo Chichi si è un po’ camuffata con la mascherina e il cappellino.
«E perché l’hai messa se hai paura di farla arrabbiare? Volevi sentirti Là più del solito, oggi, dato che lei sarà te fino in fondo su quel palco?» la provoco, sorridendole sghembo.
«N-non sono affari tuoi, scemo!» sbotta, incrociando le braccia sotto il seno e voltandosi dall’altra parte, in fondo al locale, dove abbiamo deciso di posizionarci per seguire il live. Non ci sembrava il caso di accalcarci nella folla che preme contro le transenne vicino al palco.
«Comunque non ti dirà nulla, basta che non gliela rovini!» rido. «In ogni caso stai bene vestita così! Quando tornerai nel tuo corpo, fatti prestare da lei anche la canotta dei Bulls di Jordan qualche volta!»
«D-davvero pensi che mi stia bene?! G-grazie!» sussurra, arrossendo un poco e abbassando lo sguardo.
«Hai visto se c’è tua madre tra il pubblico?» le chiedo, tornando serio.
«L’ho intravista in prima fila, contro le transenne… sarà lì da ore, conoscendola…» ringhia, proprio mentre le luci del locale si spengono e il pubblico comincia a urlare per l’eccitazione che precede l’inizio del concerto.
Parte la musica, e il faro a occhio di bue si accende improvvisamente mostrandoci Juvia al centro del palco, accolta da un boato e da grida cariche di eccitazione. Lei sorride e allarga le braccia, stringendo in mano il microfono, voltandosi a ritmo prima a destra e poi a sinistra, proprio nel momento in cui entrano in scena anche le altre quattro componenti del gruppo, compresa Lazuli nei panni di Chichi. Sono vestite più o meno come quel giorno che le ho viste in tv. Il pubblico sembra in visibilio per loro e molte persone agitano verso l’alto dei bastoncini a led colorati, creando un bell’effetto che si unisce alle spettacolari luci di scena.
La folla canta insieme alle ragazze, che ballano e si agitano sul palco senza mai smettere di sorridere. Se la cavano alla grande, considerando che deve essere complicato ballare e cantare sostenendo certi ritmi. Anche Lazuli sta andando alla grande, ma non avevo dubbi su di lei. So quanto ha lavorato duramente per questo, e so quanto sia forte mentalmente per sostenere la pressione. Lei è fantastica in tutto, l’ho sempre pensato.
Sembrano divertirsi tutti qui, persino io penso che le canzoni di questo gruppo siano decisamente carine e che le ragazze siano davvero brave nell’interpretarle, riuscendo anche a trascinare un pubblico che le adora. L’unica che osserva passivamente la scena è Chichi, silenziosa e immobile accanto a me in fondo al locale. La sua espressione è nascosta parzialmente dalla mascherina che indossa, ma i suoi occhi di ghiaccio sono indecifrabili. Non saprei dire cosa stia provando, ma so per certo che avrebbe voluto esserci lei su quel palco. E che se lo sarebbe meritato.
«Buonasera!» esclama Juvia, dopo diverse canzoni cantate senza un attimo di sosta e ottenendo un boato di approvazione dalla folla come risposta.
«Noi siamo le Sweet Bullet!» gridano in coro tutte insieme, indicando con l’indice e il braccio teso il pubblico, che non smette di acclamarle.
So che adesso devono recitare una scenetta semicomica preparata in precedenza. Lo so, visto che ho dovuto simulare le diverse parti col copione in mano insieme a Goku per permettere a Là di prepararsi al meglio.
«Wow! Abbiamo iniziato alla grande!» dice Marcarita, prendendo la parola.
«Però, Juvia-chan, non starai sudando un po’ troppo stasera?!» interviene Vados, avvicinandosi ghignando alla frontgirl del gruppo, che si volta imbarazzata verso il pubblico. Recitano bene, tutto sommato. Le idol devono essere artiste a trecentosessanta gradi, è il loro mestiere.
«Eh?! Le idol non sudano! Quindi Juvia non suda mai!» prova a ribattere lei, facendo ridere il pubblico.
«A me sembra che stai grondando tutta, Juvia-chan…» si intromette Levy, avvicinandosi a lei con fare indagatore. «Ma non ti preoccupare, noi ti vogliamo bene lo stesso!» le sorride dolcemente, accarezzandole la guancia.
«È giusto che anche voi sappiate la verità, a questo punto…» esclama Lazuli, catturando l’attenzione del pubblico verso cui si è rivolta, mentre Juvia la fissa con gli occhi sgranati e le fa segno di tacere. «Dopo ogni concerto, Juvia-chan dice sempre che si sente persino le mutandine sudate!» aggiunge sospirando, allargando le braccia e accennando un sorriso.
Lei è un’attrice consumata, una gag come questa è una bazzecola per lei. Ma è straordinaria lo stesso.
«Giusto! Sei fantastica Chichi-chan!» urla una ragazza.
«Raccontaci tutto, Chichi-chan! Sei grande!» grida un ragazzo.
«Posso urlare anch’io qualcosa a Chichi-chan?» chiedo in un sussurro a Chichi, in silenzio al mio fianco, immobile come una statua.
«Se ci provi ti ammazzo di botte» ribatte lapidaria.
«Allora è un vizio di famiglia il vostro…» sbuffo, divertito.
«L-le idol non indossano le mutandine!» prova a giustificarsi goffamente Juvia, rivolta verso Lazuli che le sorride sghemba, protesa verso di lei con le mani appoggiate sui fianchi.
«Eh?!» sbotta Levy, fingendosi imbarazzata e coprendosi gli occhi con le mani.
«Quindi non le indossi nemmeno ora le mutandine?» le chiede ammiccante Vados.
«Attenta Juvia-chan, la tua minigonna non è un po’ troppo corta?» sorride maliziosa Marcarita, passandole accanto e sfiorandole, appunto, la minigonna.
Il pubblico grida e ride, sembra divertirsi molto.
«N-non intendevo quello! Juvia si è espressa male!» sbotta la frontgirl, imbarazzata, stringendo le gambe e piegando verso l’interno le ginocchia. Si preme con entrambe le mani la minigonna tra le cosce. «V-volevo dire che le idol non sudano! Mi sono confusa!»
«A me non sembra…» continua a guardarla con malizioso sospetto Vados, mentre Levy scoppia a ridere e Marcarita scuote in modo teatrale la testa con gli occhi chiusi.
«Ho paura che se continuiamo a punzecchiarla, Juvia-chan potrebbe dire qualcosa di fatale per la sua carriera di idol!» ride Lazuli, correndo in suo soccorso, strappando risate a tutti. «Cosa dite? Passiamo alle prossime canzoni?!» urla, sollevando un braccio verso l’alto e ricevendo un boato di approvazione, prima di fare un salto sorridendo e tornare a occupare la sua postazione nella coreografia.
 
Le canzoni si susseguono una dopo l’altra e le ragazze continuano a cavarsela alla grande. Sono brave, belle da vedere e anche da sentire. Secondo me Lazuli spicca su tutte, ma forse sono solo di parte, non saprei. Ci hanno anche fatto votare durante una breve interruzione la nostra Sweet Bullet preferita in questo live e io, ovviamente, ho votato per Chichi-chan, ossia Lazuli. Credo che anche Chichi abbia votato per lei, anche se non dice una parola e appare decisamente abbattuta. Sembra affascinata da quello che sta vedendo e soprattutto dalla performance di sua sorella, ma anche triste per non poter far parte di uno show che aveva tanto atteso. Oltre al fatto che non penso si aspettasse che Lazuli se la sarebbe cavata così bene in un ruolo nuovo per lei.
«Eccoci giunti al momento clou del nostro live! Una tradizione attesissima da chi ama le Sweet Bullet!» prende la parola Juvia, al termine dell’ennesima canzone. «Annunceremo chi sarà la voce solista del nostro nuovo singolo, che vi canteremo adesso in anteprima! Ci siamo preparate tutte per la parte della frontgirl, adesso vedremo chi avete scelto voi per prendere il mio posto!» aggiunge, mentre il pubblico la acclama e da dietro le quinte la manager del gruppo le porge una busta.
«Quindi sai già che hai perso la votazione, eh?!» la provoca Vados, sorridendo maliziosa.
«Ma no, Vados-chan! Juvia-chan potrebbe anche autoannunciarsi, adesso!» esclama Levy.
«Per me non ha vinto lei» sorride enigmatica Marcarita.
«Io direi di lasciarla leggere, che il nostro pubblico non sta più nella pelle, vero?!» interviene Lazuli, ricevendo un boato di approvazione come risposta.
«Allora vado! Rullo di tamburi…» riprende la parola Juvia, mentre il pubblico si zittisce e la tensione si fa palpabile. Intravedo la madre di Chici in prima fila, appoggiata alle transenne con gli occhi chiusi e le mani giunte. «La voce solista del nostro nuovo singolo sarà… Chichi-chan!» urla, mentre il pubblico sembra impazzire e la luce a occhio di bue si posa su Lazuli, che si guarda intorno sorpresa. Le sue compagne la abbracciano, si congratulano con lei. Con la coda dell’occhio spio Chichi, che si lascia cadere le braccia lungo i fianchi e si appoggia con la schiena al muro. Non le dico nulla, anche perché non so cosa cazzo dovrei dirle in un momento come questo. Io sono felice per Lazuli, ma anche per lei, visto che quando tornerà nel suo corpo sarà la frontgirl. Però… però credo di capire cosa le stia passando per la testa. Che situazione del cazzo.
«Grazie! Grazie a tutti!» esclama emozionata Lazuli. «Farò del mio meglio per non deludervi e per non sfigurare accanto a Juvia-chan e le altre meravigliose Sweet Bullet! Ecco il nostro nuovo singolo, si intitola “Baby”!» aggiunge, mentre parte la musica e guadagna il centro del palco, con Juvia che si sposta lateralmente.
«I wanna kiss you, love me baby! Yeah! I wanna kiss you, love me baby! Yeah!» cominciano a cantare in coro le Sweet Bullet, muovendo i primi passi della coreografia.
«Yeah! Yeah!» canta all’unisono il pubblico, muovendo a ritmo le mani verso l’alto.
«Ehi, è da stamattina che la mia testa scoppia di pensieri» comincia a cantare Lazuli da sola. «Non mi vedrai più così serena, come ieri».
«Sto pensando a un piano…» continua Lazuli.
«Una coincidenza!» interviene Levy, passandole davanti.
«Cerco le parole giuste…» riprende Lazuli.
«Per dirtelo!» completa la frase Juvia, inciampando leggermente in un cavo a causa dei tacchi alti, mentre si incrocia con Lazuli come aveva fatto Levy poco fa. Il microfono le sfugge di mano e lei sbilancia all’indietro, mentre anche il pubblico si paralizza per un lungo istante, come se avessero capito tutti che qualcosa stesse andando storto.
«Non me la sento ancora di parlarti, però!» continua a cantare Lazuli, mantenendo il sangue freddo e prendendo al volo il microfono, oltre a stringere a sé Juvia facendole fare un casquet e porgendole nuovamente il microfono, prima di risollevarla con naturalezza e dare un cinque a Levy strizzando l’occhiolino insieme a lei, come se fosse stato tutto preparato a tavolino.
Il pubblico riprende a cantare e a ballare, nessuno ha capito che è stato tutto frutto di improvvisazione da parte di Là. Nessuno, a parte me e Chichi, alla quale luccicano gli occhi.
«Lei è… è straordinaria…» sussurra, ammirata e anche confusa, senza staccare gli occhi dal palco e strappandomi un sorriso.
«Lo è eccome…» le rispondo.
«Nemmeno un po’!» cantano in coro Marcarita e Vados.
«Give me a kiss and love me baby! Yeah!» riprendono tutte in gruppo, disponendosi di nuovo in orizzontale con Lazuli al centro.
«La nostra storia è appena iniziata» continua la nuova frontgirl da sola, facendo l’occhiolino alla folla, che sembra impazzire. «Forse non sono ancora preparata…» aggiunge, mentre gli occhi di ghiaccio di Chichi brillano sempre di più nel guardarla. «Ma una freccia al mio cuore è già arrivata!» conclude la strofa, facendo finta di sparare verso il pubblico con una pistola immaginaria riprodotta con la mano libera dal microfono.
Le Sweet Bullet concludono il nuovo singolo e lasciano il palco, tra le grida e gli applausi della folla in visibilio. Credo che sia stato un successo clamoroso, forse anche al di là delle aspettative delle stesse ragazze, a giudicare da come si guardano intorno emozionate e felici mentre lasciano il palco scambiandosi dei cinque tra loro. Sembrano anche un gruppo affiatato. Non vedo tutta questa rivalità, spero che potranno restare buone amiche tra loro anche in futuro, soprattutto se non avranno alle spalle la presenza di manager “ingombranti” come la madre di Chichi. Ricordo infatti quel messaggio in cui suggeriva a Lazuli di non rivolgere la parola a Juvia e di doverla scalzare dal ruolo di frontgirl ad ogni costo e inorridisco. Sono convinto che certi risultati si possano ottenere anche con la gentilezza, oltre che col duro lavoro. E Juvia e le altre mi sono sembrate delle ottime compagne per Chichi.
 
«È stato un bel concerto! Mi sono divertito, siete davvero brave!» esclamo, lasciando insieme a Chichi la sala del locale adibita al concerto ed entrando in un altro ambiente altrettanto grande, dove il pubblico si sta disponendo in lunghe file divise da transenne. Vicino a una parete sono accatastati un gran quantità di mazzi di fiori, vasi con piante, pupazzi di ogni dimensione e pacchetti regalo. Riesco a intravedere che alcuni sono indirizzati a una specifica ragazza delle Sweet Bullet, altri sono un regalo di gruppo. «Certo che avete proprio un bel pubblico che vi segue. Ora capisco perché la gente impazzisce per le idol!» riprendo, camminando con le mani intrecciate dietro la nuca, incuriosito dalla situazione. Chichi cammina a testa bassa al mio fianco, in silenzio. Penso non si sia mai sentita così sola, nonostante siamo in mezzo davvero a tanta gente.
«Perché c’è tutta questa fila?!» le chiedo, per provare a distoglierla dai suoi pensieri.
«A fine concerto di solito incontriamo i fans…» sussurra in tono funereo, sempre a testa bassa. «Foto, autografi, anche solo darsi un cinque… guarda…» aggiunge mestamente, senza alzare la testa, indicando col dito dalla parte opposta di quella stanza, dove effettivamente ci sono disposte le cinque Sweet Bullet alle prese con i loro fans. Mi viene un po’ da ridere, perché immagino che una come Là non vedrà l’ora di finire questa cosa, data la scarsa considerazione che ha nel genere umano nel suo complesso. Ma le tocca anche questo finché dovrà fingersi Chichi. Sono certo che riuscirà a tenere a bada il suo spirito selvatico, alla fine è bello anche per lei sentire l’affetto della gente sulla propria pelle.
«Dobbiamo metterci in fila anche noi?» chiedo a Chichi, provando a scherzare. «Magari chiedo un autografo a Levy e mi faccio un selfie con Juvia, tu che dici?!»
«Dico che la sorellona ti prenderà a calci da qui fino a casa, se lo dovessi fare…» accenna un sorriso tirato, guardandomi finalmente negli occhi. «Andiamo via» sospira, abbassando di nuovo la testa e dirigendosi verso l’uscita, per raggiungere la quale bisogna passare accanto alla zona transennata che separa il pubblico dalle Sweet Bullet.
«Sono contenta… sono contenta per te, davvero!» grida commossa la madre di Chichi, proprio nel momento in cui stiamo passando noi, stringendo entrambe le mani di Lazuli nelle sue. «Sono… sono veramente troppo contenta!» aggiunge, mentre una lacrima di gioia le scende lungo la guancia. Lazuli la osserva senza tradire particolari emozioni, prima di regalarle un sorriso di circostanza. «Sapevo che potevi farcela a diventare la solista! Sei stata… sei stata bravissima!» conclude, prima di abbracciarla.
Chichi resta come pietrificata, sgranando gli occhi e stringendo i pugni forte accanto a me.
«Andiamo a casa, Chì» le dico, cingendole un fianco e stringendola a me, riprendendo a camminare e provando a tirarmela dietro.
Lei mi segue, ma allo stesso tempo si calca il cappellino sulla fronte per coprirsi gli occhi con la visiera. La sento piangere. Piange senza fare rumore, ma io la sento comunque. E mi sento di merda.
«N-non voglio andare a casa» sussurra, con la voce rotta da un pianto che si sforza di trattenere. «Ho voglia di vedere il mare».
«Se vuoi stiamo in giro ancora un po’, ma non so se è una buona idea andare al mare adesso. C’è già buio» provo a convincerla, mentre camminiamo sui marciapiedi illuminati dai lampioni e sui tabelloni pubblicitari giganti posti sugli edifici più grossi scorrono alcune pubblicità. Compare anche uno spot di Lazuli per una marca di vestiti proprio in quel momento. Proprio mentre Chichi solleva la testa e lo vede davanti a sé.
«Portami alla spiaggia Schichirigahama, lì non c’è mai nessuno» ribatte mestamente, abbassando di nuovo la testa. «Per favore, Rad».
 
 
 
 
 
 
Note: ahia, perché Chichi vuole andare al mare quando ormai è quasi notte? Certo che ha appena preso un paio di belle mazzate durante la serata, tra il successo ottenuto da Lazuli e il comportamento della madre.
Abbiamo accantonato per un attimo il mistero relativo al contenuto della scatola segreta di Là in cui ha sbirciato Rad, ma settimana prossima avrete tutte le risposte che cercate.
Per il momento, spero vi abbia divertito il concerto e la sua descrizione e che in generale vi sia piaciuto questo capitolo! Chi è la vostra Sweet Bullet preferita?
Se volete rivedere le Sweet Bullet e i loro look di scena vi rimando al capitolo 23, dove avevo postato un’immagine col loro character design curato da Sapphir Dream. Già che ci sono, la ringrazio subito per lo stupendo disegno che allego oggi, con Lazuli e Chichi che cantano insieme in versione idol. E vi anticipo che settimana prossima abbiamo già pronte ben due sue opere dal forte impatto emotivo perché sarà un capitolo chiave. E saranno immagini meravigliose, potremo anche vedere le due sorelle da bambine (sì, sono adorabili).
Abbiamo potuto conoscere un po’ meglio anche Bardack, mi auguro vi sia piaciuto lui e il suo dialogo con Radish!
Due piccole precisazioni, anche se molti di voi lo sapranno già: in Giappone è molto comune vedere in giro persone che indossano mascherine chirurgiche quando hanno tosse o raffreddore, quindi Chichi sfrutta questa cosa e il cappellino per rendersi irriconoscibile nel corpo di Lazuli. Il Tokyo Dome invece è uno degli stadi più importanti del Giappone, probabilmente il più blasonato in cui poter fare un concerto per un artista.
Se non si fosse capito, nel basket americano tifo Toronto Raptors e sono ancora molto felice per il clamoroso titolo vinto a giugno. Lazuli la pensa come me, a quanto pare. Anche se il mio (e suo e di Rad) giocatore preferito resterà sempre Michael Jordan. ;-)
 
Grazie a chi lascia sempre il suo commento e mi fa sentire il suo supporto, a chi cerca di trasmettermi l’entusiasmo che ha per questa storia nonostante i tanti impegni e a chi continua a divertirsi grazie a questi personaggi anche leggendo in silenzio.
 
Come vi dicevo, il prossimo sarà un capitolo chiave. Spero che vi emozionerà come ha emozionato me scriverlo e che vi piaceranno i disegni di Sapphir, che, ve lo dico, si è superata. Il titolo è “Complimenti ingarbugliati” e ci sarà da ridere e da piangere, ci saranno dolcezza e malinconia, con un po’ di nostalgia. Ci sarà un ceffone clamoroso per il povero Rad e anche il ritorno in scena di Bulma. Ci sarà una scatola da aprire e tanti sentimenti da esternare, non posso che augurarmi che vi emozionerà almeno un pochino.
Grazie mille a chi continua a voler bene a questi personaggi, ci vediamo mercoledì!
 
Teo
 
 
 

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Capitolo 34
*** Complimenti ingarbugliati ***


34 – Complimenti ingarbugliati
 
 
«Comunque i voti del pubblico di stasera andavano a sommarsi a quelli raccolti sul vostro sito nell’ultimo periodo, no?» butto lì, dopo non so quanti minuti di silenzio da quando siamo arrivati alla spiaggia. «Avresti vinto tu in ogni caso… te lo sei guadagnata da sola il centro del palco. Davano più peso ai voti online».
«Mia madre… stava sorridendo…» risponde Chichi, seduta accanto a me con le ginocchia raccolte fino al mento. Non so neanche se ha sentito quello che le ho appena detto. Si è tolta anche la mascherina, nel frattempo, oltre alle scarpe.
«Beh, sorriderà anche lei, ogni tanto…» provo a smorzare la situazione.
«No, non mi ha mai rivolto un sorriso simile…» ribatte mestamente. «Alla fine… alla fine c’è sempre di mezzo la sorellona…» aggiunge, con la voce rotta da un pianto che sta cercando con tutta sé stessa di trattenere. «Sapevo… sapevo che avrebbe voluto avere lei come figlia, invece di me».
«Dai, non dire così» provo a rincuorarla, appoggiandole delicatamente una mano sulla testa dopo averle tolto il cappellino.
Lei mi allontana con una manata e si alza in piedi di scatto, correndo all’improvviso verso il mare illuminato dalla luna piena. Entra in acqua e non si ferma, sollevando schizzi argentei che troverei anche meravigliosi in un altro contesto. Soprattutto se lei non si stesse dirigendo al largo.
«Ehi!» le grido, correndole dietro. «Fermati, Chì!» aggiungo, entrando a mia volta nell’acqua gelida e maledicendo tutta questa situazione.
«Fermati, cazzo!» sbraito, riuscendo finalmente ad afferrare Chichi per una spalla e a bloccarla, facendola voltare verso di me. L’acqua ci arriva all’altezza dei fianchi. I jeans strappati che indosso mi intralciano terribilmente i movimenti.
«Lasciami stare! A nessuno importa di me!» mi urla in faccia, battendo i pugni contro l’acqua, mentre altre lacrime riprendono a scendere dai suoi occhi di ghiaccio.
«Smettila di dire cazzate!» grido a mia volta, mentre lei mi dà uno spintone e si libera della mia presa, riprendendo a camminare verso il mare aperto. «Chichi! Basta!» sbotto, raggiungendola di nuovo e afferrandole un polso.
«Lasciami! Lasciami, ho detto!» sbraita. «Tu… tu non sai niente di me! Tu non sai quanto… quanto sto soffrendo!»
«Forse non so cosa stai passando, ma so benissimo cosa vuol dire soffrire! Lo so cosa si prova quando la realtà sembra fare schifo! Guarda! Guarda cosa mi è successo quando stavo di merda ed ero solo come un cane abbandonato!» grido, sollevandomi la maglietta per mostrale le cicatrici che ho sul petto.
Lei si volta per un istante e sgrana gli occhi. «Tu…» sussurra.
«Sì, questa è l’eredità che mi ha lasciato la Sindrome della Pubertà… ed è stato solo l’inizio di uno schifo durato due anni» la interrompo, fissandola duramente. «E non sarò nessuno per te, come dici, ma non ti lascio andare!»
«Ti ho detto di lasciarmi stare!» urla ancora, dimenandosi per liberarsi dalla mia presa e riprendendosi dallo stupore derivato dalle mie cicatrici.
«E tu smettila con queste cazzate! Non ti rendi conto di quello che fai!» grido più forte. «Solo una stupida si comporterebbe così!»
«Piantala! A te importa solo della sorellona!» sbraita, voltandosi e guardandomi negli occhi con rabbia, senza smettere di piangere.
«Cosa credi?! Che Lazuli non soffrirebbe se ti succedesse qualcosa?! Allora non hai capito proprio un cazzo!»
«Smettila di dirmi bugie!»
«Invece è la verità! Lei è la tua famiglia! E anche io lo sono! Persino Goku lo è!» grido, battendo un pugno sull’acqua. «Non capisci che noi saremo sempre al tuo fianco, se ci permetterai di aiutarti?! Se anche dovessi ritrovarti sola?! Smettila di fare la bambina!»
«Allora perché la sorellona ha detto che mi odiava?!» sbotta Chichi, lasciandosi cadere le braccia lungo i fianchi, immergendo le mani sott’acqua.
«Era una bugia! Una cazzo di bugia! Possibile che non ci arrivi?!» sbraito, battendo ancora un pugno contro l’acqua e facendo sgranare gli occhi a Chichi. «Come ho capito subito che non pensavi davvero tutte le cattiverie che tu le hai gridato in faccia quel giorno!»
«Puoi dimostrarmi che era una bugia quella della sorellona?» mi domanda, improvvisamente calma, abbassando la testa.
«Sì, ti mostrerò le prove appena arriviamo a casa» rispondo, prendendola per mano e conducendola a riva, finalmente tranquilla.
 
Camminiamo per strada, in silenzio, fradici e infreddoliti. Camminiamo mano nella mano, lasciando impronte bagnate sul marciapiede deserto del quartiere della spiaggia.
«Ti hanno fatto tanto male quelle ferite?» mi chiede Chichi con un filo di voce, all’improvviso, senza guardarmi. «Quelle sul petto, intendo».
«Non tanto quanto mi faceva male quello che provavo dentro di me» accenno un sorriso.
«Mi… mi dispiace…» sussurra, stringendo più forte la mia mano bagnata, proprio mentre incrociamo un taxi a cui faccio segno di fermarsi.
«A volte tremo ancora se penso a certe notti in cui mi sentivo schiacciato dall’ansia, non posso dimenticarle. Ma poi penso subito a quando ho imparato a respirare di nuovo. Panta rei».
«Panta… cosa?!»
«Panta rei» le spiego. «Tutto scorre, come l’acqua di un fiume. Tutto passa. Tutto va a fare in culo a un certo punto, anche le cose brutte» sorrido. «Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume, quindi non si può restare per sempre nella merda. Magari non te la spiegheranno proprio così a scuola, ma è filosofia. Eraclito».
«Io ve lo dico, ragazzi… è vietato fare il bagno col buio in quella spiaggia…» sbuffa il taxista, guardandoci stranito e interrompendomi.
«È stato un incidente» gli spiego.
«Per fortuna ho dei teli nel bagagliaio per quando vengo a prendere i clienti reduci da una giornata al mare. State bene?» sorride, scendendo dalla macchina e disponendo dei teli plastificati sul sedile posteriore.
«Sì… grazie» gli sorrido a mia volta, prima di entrare in macchina seguito da Chichi, che non molla nemmeno per un istante la mia mano durante il breve viaggio, pur non aprendo mai la bocca nemmeno una volta. Le sue dita sono intrecciate alle mie, mentre la sua testa immagino sia piena di pensieri e di dubbi. Di ansie e paure. Ma anche di speranze e di affetti. Di bei ricordi e di aspettative future.
La vita è fatta di tutto questo e anche di più. La realtà che ci circonda anche. Gioie e dolori, amori e delusioni. Forza e debolezza. Consapevolezza e illusioni.
«Chì» sussurro, facendola voltare verso di me. Le sorrido, perché ho imparato a provare a sorridere sempre in faccia a questa vita, a questa realtà, a questo mondo. O forse perché in questo momento non ho nulla di meglio da offrirle, se non un semplice sorriso.
Lei accenna un sorriso a sua volta e stringe più forte la mia mano, appoggiando la testa alla mia spalla e chiudendo gli occhi finché non arriviamo a destinazione.
 
«Cosa significa questo?!» mi domanda Chichi, perplessa e sospettosa, rigirandosi tra le mani la scatola che Lazuli teneva nascosta nell’armadio della stanza del tatami in cui avevo già sbirciato nei giorni scorsi.
Abbiamo entrambi degli asciugamani intorno al collo, ma siamo ancora piuttosto bagnati con addosso i vestiti con cui abbiamo fatto questo inaspettato bagno notturno in mare. Abbiamo anche lasciato qualche impronta in giro e sono certo che Là mi ammazzerà per aver sporcato casa sua.
«Tu aprila e basta».
«Non dirmi cosa devo fare» sbuffa, guardandomi di sottecchi mentre toglie il coperchio alla scatola. «Ma… sono… sono le lettere che le scrivevo quando eravamo bambine!» esclama, con le mani che tremano leggermente e gli occhi che le si riempiono di lacrime. La scatola è piena di buste, biglietti, fotografie, disegni e ricordi di questo tipo, come avevo già potuto constatare. Tutti conservati da Lazuli nel corso degli anni per ricordare la loro infanzia. «C’è… c’è anche la vecchia mollettina a forma di coniglio che le avevo regalato io… l’ha conservata anche se ormai si era tutta rovinata!»
«Infatti quella che usa sempre adesso ricorda molto quella che le avevi regalato tu undici anni fa, non trovi?» la interrompo, mentre lei mi guarda con aria apparentemente sconvolta per quello che sta realizzando in questi istanti.
«Io… io non ci capisco più niente! Perché ha conservato queste cose?! Perché?!» urla, scoppiando a piangere.
«Perché la rendevano felice, no?!» le spiego, prendendo in mano il primo biglietto ripiegato che mi capita a tiro. Lo apro, e sorrido osservando la calligrafia grande e incerta con cui è scritto un breve messaggio abbinato a un disegno colorato che rappresenta una bambina dai capelli neri felice che sembra lanciare verso il cielo dei cuori. «Ha conservato tutte le tue lettere per anni. Come questa, guarda cosa le avevi scritto: “Sei stata super fantastica! Sono tanto fiera di te, sorellona!» aggiungo, porgendolo a Chichi, che lo guarda senza smettere di piangere. «Se ti odiasse davvero non l’avrebbe mai fatto».
«Ma io…» grida lei con voce tremante, prima di interrompersi e abbassare la testa. «Io non sono nemmeno la sua vera sorella…» sussurra, laconica.
«Ma cosa dici?!» provo a spronarla.
«Quando le scrivevo queste cose ero troppo piccola per capire davvero cosa significasse essere sorelle con madri diverse… da quando l’ho capito mi sono sempre sentita a disagio» mi spiega Chichi, senza accorgersi che alle sue spalle è arrivata nel frattempo Lazuli. Lei era già qui quando siamo entrati in casa, solo che non aveva voluto farsi vedere e io non ho detto nulla, anche se me ne ero accorto. «Ho iniziato a pensare di essere solo un peso per lei!» continua Chichi. «E da allora non ho più avuto il coraggio di scriverle!»
«L’hai sentita, Là? Tu cosa ne pensi?» chiedo direttamente alla mia ragazza, guardandola negli occhi. Ha le braccia incrociate sotto il seno e la schiena appoggiata allo stipite della porta della stanza del tatami. Immaginavo che avrebbe voluto chiarire le cose con sua sorella dopo ciò che è successo al concerto, e penso anch’io che sia giunto il momento di farlo. Così come avevo capito che indirettamente mi aveva invitato a mostrare a Chichi il contenuto di quella scatola quando lo avessi ritenuto opportuno. Mi piace quando ci capiamo al volo, senza nemmeno doverci parlare.
«Prima di tutto, nessuno ti aveva dato il permesso di frugare tra le mie cose, stupido» esordisce, guardandomi male. «Secondo: mi avete bagnato tutta la casa, e per questo verrai punito, Rad» prosegue, stizzita. «Terzo: ti riterrò anche responsabile se si dovesse essere rovinata la mia canotta dei Raptors con l’acqua di mare!» sbotta, camminando lentamente verso di noi. Sembra impassibile. Ma inesorabile.
«Uffa, ma non è colpa mia…» protesto, sbuffando divertito.
«Perché…» sussurra Chichi, voltandosi verso Lazuli con uno sguardo allucinato, come se avesse appena visto un fantasma. Il biglietto le sfugge dalla mano e finisce sul pavimento insieme all’asciugamano che aveva al collo. «Perché… sorellona…».
«Ricordo solo che in quel periodo ero così occupata e piena di lavoro da non riuscire più a stare al passo con la mia vita, che doveva essere semplicemente la vita di una bambina di sette anni… avevo già esordito da un anno, i lavori non facevano che aumentare» comincia a spiegare Lazuli con fare apparentemente distaccato, camminando verso sua sorella fino a fermarsi a un passo da lei. «Tornavo a casa solo per dormire, non avevo il tempo né di giocare, né di rivedere in tv i lavori in cui avevo recitato» aggiunge, buttando un occhio all’interno della scatola che Chichi stringe ancora in una mano. «Un sacco di persone mi riempivano di complimenti, tutti i giorni, ma io non facevo altro che domandarmi chi fosse tutta quella gente. Mia madre era troppo presa da quel mondo per ascoltarmi, non mi sono mai sentita tanto sola come in quel periodo. Non avevo mai avuto un padre, in quel momento ho cominciato a perdere anche mia madre. Ero sola».
Lazuli si interrompe e toglie dalla mani della sorella la scatola, cominciando a frugarci dentro.
«Ma tu eri diversa, Chichi-chan» le dice, guardandola negli occhi. «Ammetto che rimasi spiazzata quando nostro padre ti presentò a me come mia sorella, ma non facevi altro che mandarmi lettere in cui mi dicevi quanto io fossi fantastica e straordinaria».
Chichi non dice nulla. Abbassa di nuovo la testa, ma smette di piangere.
«Sai, mi davano tanta carica quei messaggi. Vederti così felice mi ha dato una valida ragione per andare avanti. Se ho anche bei ricordi della mia infanzia è solo grazie al fatto che avevo una sorella che mi ha permesso di averne, che mi faceva sentire meno sola di quanto fossi realmente» riprende Lazuli. «È grazie a quei messaggi se ora amo il mio lavoro» aggiunge, prendendo in mano una fotografia e appoggiando poi la scatola nell’armadio. Si protende verso sua sorella piegandosi leggermente in avanti, finché Chichi non solleva la testa. Si guardano negli occhi. «È anche per questo che ti sarò sempre grata!» conclude, accennando un sorriso. «Grazie per essere la mia sorellina».
«S-sorellona…» farfuglia Chichi, riprendendo a piangere. «Così… così non vale! Ormai è troppo tardi per dirmelo!» grida, scuotendo la testa e cercando di asciugarsi le lacrime. «Avevo appena deciso di impegnarmi con tutta me stessa! Allora perché ti hanno dato il ruolo da solista prima di me?!» sbraita, mentre Lazuli torna seria e il suo sguardo riprende ad apparire impenetrabile. «Perché devi essere sempre tu a ricevere i complimenti della mamma?!»
«Perché mi sono esercitata duramente tutti i giorni. Fino ad averne la nausea di provare, fino a sentirmi i polmoni esplodere quando mi allenavo, fino a sentirmi raschiare la gola quando cantavo» ribatte la mia ragazza, senza lasciar trasparire nessuna emozione davanti alla sorella che continua a piangere a dirotto. «E comunque non ce l’avrei fatta senza le tue corde vocali e il tuo corpo. Come non sarebbero bastati i voti di stasera senza tutti quelli raccolti online prima del concerto. Ho letto i risultati e, con tutto il vantaggio che avevi già accumulato nella votazione sul sito, sono serviti a poco i voti del pubblico. Solo ad ampliare il divario sulle altre».
«Però… però c’eri tu sul palco e sei stata la migliore del gruppo! E io… io non sono mai stata la migliore! È proprio questo il punto! Riuscendo sempre anche nelle cose più difficili, tu sminuisci gli sforzi di chi non ce l’ha fatta!» ringhia Chichi, stringendo i pugni. «Odio a morte questo tuo essere così fantastica!» sbraita, facendo sussultare Lazuli, il cui sguardo cambia per un brevissimo istante.
Quell’istante che le serve a caricare un ceffone clamoroso che, tuttavia, si stampa sulla mia guancia, mentre Chichi, al mio fianco, chiude gli occhi per lo spavento e si zittisce.
«Ahia, cazzo!» sbotto, indietreggiando di due passi a causa della forza del colpo ricevuto, portandomi istintivamente una mano sulla guancia in fiamme. «Cosa c’entro io, Là?!»
«Scusa, stava parlando come una bambina viziata e ho perso le staffe» mi dice con nonchalance, facendo ruotare leggermente il polso della mano con cui mi ha colpito e tastandoselo con l’altra. «Forse ti ho colpito più forte del solito, o forse non sono abituata a dare ceffoni con questo corpo. Sta di fatto che un po’ mi sono fatta male anch’io» sbuffa, irritata.
«Perché non hai colpito lei, allora?!» sbotto, ancora dolorante.
«Domani ha un servizio fotografico per una rivista di moda come Lazuli Eighteen, non potevo rischiare di lasciarle un livido» ribatte, alzando gli occhi al cielo, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
«In effetti il ragionamento non fa una piega…» sbuffo, appoggiandomi con la schiena al muro, rassegnato.
«Anche questo…» sibila Chichi, stringendo di nuovo i pugni. «Sei così professionale da ricordarti queste cose anche nei momenti in cui perdi le staffe! Io non sarò mai alla tua altezza!» aggiunge, prima di crollare a terra, in ginocchio, e riprendere a piangere. «Non sarò… non sarò… mai… alla tua altezza…».
«Chichi-chan» la chiama Lazuli, inginocchiandosi anche lei sul pavimento a pochi centimetri da lei. Il suo tono mi sembra più dolce del solito. «Ti ricordi?» le dice, mostrandole la fotografia che aveva estratto dalla scatola poco fa e che non aveva mai mollato.
Sull’immagine scorgo due bambine sorridenti, una accanto all’altra. La più alta, bionda e dagli occhi di ghiaccio, vestita con una salopette di jeans e dei sandaletti, appoggia una mano sui capelli neri di quella più piccola, che indossa un vestitino giallo e degli stivali neri. La piccola sembra quasi imbarazzata in quello scatto, anche se si vede che è felice. La grande invece appare decisamente a suo agio e riconosco tra i suoi capelli dorati la stessa mollettina che ho visto poco fa nella scatola dei ricordi di Lazuli.
Già, Lazuli e Chichi a sette e cinque anni, fotografate nel giorno in cui girarono insieme quel cortometraggio per cui vennero scelte entrambe. Il loro primo e ultimo lavoro insieme.
«S-sì…» sussurra Chichi, tirando su leggermente col naso. «Ce l’ho… ce l’ho anch’io a casa la mia copia di questa foto…».
«Ti ricordi cosa mi hai detto quando ho scritto qui nell’angolo i nostri nomi, quel giorno?» le chiede Lazuli, indicando col dito il bordo della fotografia su cui c’è scritto con una calligrafia infantile “Lazuli e Chichi”, con accanto un piccolo cuoricino.
«Sì…» accenna un sorriso Chichi. «”Ma allora è così che si scrive il mio nome!”» sussurra, piangendo, ricordando le parole della sé stessa di cinque anni che non sapeva ancora leggere né scrivere.
«Già, e poi hai voluto disegnare questo cuore» riprende Lazuli, a cui sfuggono all’improvviso due lacrime che si perdono sulla superficie lucida della fotografia. «Non sei cambiata da allora, Chichi-chan. Ai miei occhi sei sempre la stessa».
«S-sorellona…» farfuglia Chichi, allungando timidamente una mano verso il volto di Lazuli e asciugandole quelle due uniche lacrime che le avevano rigato il volto. «Tu… tu sei la sorellona… non devi piangere…».
«È vero…» accenna un sorriso la mia ragazza, ricomponendosi e accarezzando delicatamente il volto della sorella fino a sistemarle dietro l’orecchio una ciocca di capelli biondi, prima di appoggiare sul pavimento la fotografia. «Ascoltami, Chichi-chan» riprende, in tono dolce e rassicurante, ma allo stesso tempo autorevole. «Hai visto anche tu che tua madre si è messa in fila per incontrarci dopo il concerto, vero?»
«Sì…» sospira lei, abbassando la testa
«Quando mi ha preso per mano, le sue stavano tremando» spiega, stringendo all’improvviso la mano di Chichi tra le sue, facendole rialzare lo sguardo, sbigottita per quel gesto. «Lei sbaglia il modo in cui si pone, ma scommetto che è sempre stata preoccupata per te».
«Preoccupata?!»
«Ti ha sempre vista fare di tutto per essere all’altezza delle sue aspettative. Non te lo diceva, ma sono certa che lo notava» risponde Lazuli, guardandola intensamente attraverso i suoi occhi neri. «A volte è davvero ossessiva, ma secondo me lei era anche in pensiero perché si stava chiedendo se ti piacesse sul serio questa vita».
«Io non lo sapevo… lei non mi ha mai detto nulla. È sempre… sempre fredda con me!»
«I genitori a volte fanno cose assurde e ci fanno incazzare, si sa…» intervengo io. «Di sicuro un genitore non direbbe mai al proprio figlio che è preoccupato per il modo in cui lo sta crescendo».
«Io… io volevo solo renderla felice, dato che è sempre arrabbiata!» grida Chichi, riprendendo a piangere. «Non faceva che parlare di te! Volevo che per una volta si complimentasse anche con me! Volevo che mi sorridesse almeno una volta!» aggiunge, sgranando i suoi occhi di ghiaccio colmi di dolore verso Lazuli, che la osserva senza battere ciglio, prima di protendersi all’improvviso verso di lei  e abbracciarla, stringendola forte a sé.
«Allora da adesso in poi ci sarò sempre io a complimentarmi con te e a sorriderti, quando farai bene il tuo lavoro. E ci saranno anche Rad e Goku-kun, saremo noi la tua famiglia quando ne avrai bisogno» le dice dolcemente, mentre Chichi sgrana gli occhi e resta come paralizzata con le braccia lungo i fianchi, sorpresa da quell’abbraccio che non si aspettava.
«Te l’avevo detto anch’io» sorrido a mia volta, intenerito da questa strana ma bellissima scena.
«Per quanto riguarda tua mamma, ti darò un consiglio da sorellona: rendila felice scegliendo tu stessa la strada che vuoi seguire, invece che fare quello che ti dice lei» prosegue Lazuli, stringendola più forte a sé. «Scegli tu come comportarti sul lavoro e come rapportarti con gli altri, che siano le Sweet Bullet o altre persone che incroceranno il tuo percorso professionale».
«O-ok…» sussurra Chichi, bagnando la spalla di Lazuli con le lacrime che riprendono a scorrere inesorabili sul suo volto.
«Io credo che tua madre sia tutt’altro che una brava madre» continua la mia ragazza, in tono calmo. «Ma penso che sia meglio della mia, che non ha mai avuto un cuore. Tu puoi recuperare ancora un rapporto con lei, alle tue condizioni. Non fare come me, io sono sola. Non ho mai avuto un padre, ormai non ho più nemmeno una madre. Ma tu sei diversa, puoi farcela!»
«O-ok… ok…» sussurra ancora Chichi, prima di stringere forte a sé Lazuli abbracciandola. «Mi dispiace… mi dispiace, sorellona!» urla, piangendo disperatamente. «I-io non volevo… non volevo dire certe cose…».
«Va tutto bene… va tutto bene…» la rassicura la mia ragazza, accarezzandole i suoi capelli biondi e accennando un sorriso. «Hai fatto bene a buttare fuori quello che avevi dentro. Ho sempre invidiato la tua capacità di provare emozioni e di saperle esprimere. Io col passare degli anni sono diventata così apatica da arrivare a rendermi invisibile. Se non fosse piombato quel cretino di Rad nella mia vita, ora nessuno si ricorderebbe di me» aggiunge, facendomi provare un dolce brivido caldo. «Non credere che io sia perfetta, perché io penso di avere molto da imparare da una persona come te e ti devo tanto se oggi posso dire di essere un’attrice. In questi giorni ho anche capito che diventerai una grande idol, devi solo esserne convinta. Mi dispiace per tutto quello che hai dovuto passare, sorellina».
«Posso chiederti una cosa, sorellona?» domanda Chichi, con voce rotta.
«Dimmi».
«Non devo essere per forza come te, vero?»
«Puoi essere come me solo se lo vuoi veramente».
«No, non voglio. Voglio… voglio essere me stessa!»
«Brava, Chichi-chan!» sorride di nuovo Lazuli, prima di chiudere gli occhi e appoggiare la testa alla spalla della sorella, che ha appena fatto a sua volta la stessa cosa.
All’improvviso, dopo qualche secondo, le vedo sussultare entrambe in contemporanea e sgranare gli occhi. Sembrano essere state attraversate nello stesso istante da una leggere scossa elettrica.
Sorrido, e mi lascio scivolare verso il basso con la schiena appoggiata al muro, sfinito, finché non mi ritrovo seduto per terra.
È stata dura stavolta, ma ce l’abbiamo fatta. Siamo stati più forti di questa cazzo di Sindrome della Pubertà.
«Eh?!» esclama Lazuli, staccandosi da Chichi e asciugando con stizza le lacrime che bagnano quel volto che fino a poco fa era lo specchio delle emozioni di sua sorella minore.
«Ah?! Cosa?!» sbotta Chichi, allungando una mano tremante verso le sue guance, sfiorandosele, incredula. «Siamo tornate nei nostri corpi?!» aggiunge, accarezzando i capelli biondi di Lazuli.
«Sembra… sembra di sì…» risponde la mia ragazza, che accarezza a sua volta i capelli neri della sorella. Appare un po’ disorientata persino lei.
«Siamo tornate!» urla Chichi, al colmo della gioia, stringendo le mani di Lazuli. «Siamo tornate come prima, sorellona!»
La mia ragazza si limita a sorridere, prima di voltarsi verso di me e lanciarmi uno sguardo che vale più di mille parole, mentre Chichi la abbraccia e la stringe forte a sé.
«Molto bene, da adesso in poi, nessuno dei presenti in questa stanza dovrà più sentirsi solo, perché ci saremo sempre gli uni per gli altri, chiaro? E lo stesso vale per mio fratello» dico dolcemente, spostandomi verso Lazuli e Chichi e appoggiando una mano sulla testa di entrambe.
Loro si voltano in mia direzione e mi fissano per un istante, prima di abbracciarmi in contemporanea e farmi cadere all’indietro.
«Piano… piano, ragazze!» bofonchio, mezzo stritolato dalla loro morsa, mentre Chichi si stacca da me e mi guarda intensamente con i suoi occhi neri, lucidi per la commozione. Lazuli invece continua a stringermi forte, con la testa appoggiata al mio petto e gli occhi chiusi. La stringo forte a me, mi sembra di poterla proteggere, di poterla avvolgere. Lei è sempre stata qui con me, eppure mi era mancata. Mi erano mancati questi momenti.
«E-ehm… io… sarà meglio che vada a comprare qualcosa per asciugare il pavimento che abbiamo bagnato!» esclama Chichi, arrossendo leggermente, prima di uscire dalla stanza e poi di casa.
«Ehi… mi sei mancata, lo sai?» sussurro dolcemente a Lazuli, dandole un bacio sulla testa.
Lei non dice niente, si limita a sollevarsi e ad accennare un sorriso, prima di sistemarsi una ciocca dei suoi splendidi capelli biondi dietro l’orecchio e darmi un bacio che mi toglie letteralmente il fiato e mi fa sbattere la schiena contro il muro.
Mi era mancato baciarla, mi era mancato il suo sapore.
Non saprei dire per quanto andiamo avanti così, in silenzio. Ci siamo solo noi due, tutto il resto del mondo è fuori. So solo che a un certo punto mi alzo in piedi e la prendo in braccio come una principessa per portarla in camera sua. Per darci l’uno all’altra finché ne abbiamo, finché possiamo.
 
 
12 settembre
 
«Alla fine di tutto questo casino, ti sei fatta un’idea di cosa possa essere successo?» domando a Bulma, seduto davanti a lei nel laboratorio di scienze della scuola, dopo averle raccontato l’ultima folle avventura che ho vissuto grazie alla Sindrome della Pubertà.
«C’è da dire che non si è trattato di un vero scambio di personalità e corpi» risponde lei, mentre sorseggia una tazza di caffè e mi osserva con aria seria attraverso i suoi occhiali, col solito camice bianco aperto.
«Già, pare di no» confermo. «Era solo il loro aspetto esteriore, eh?»
«Mi sento di dire che la consapevolezza della sorella minore di voler essere come la maggiore deve averle fatto assumere l’aspetto di Lazuli Eighteen».
«Secondo quale teoria sarebbe possibile?»
«Considerando il principio di fondo, è lecito affermare che si sia trattato di una forma di teletrasporto quantistico» sospira Bulma, sistemandosi gli occhiali sul naso e tirando fuori dalla cartella un libretto colorato con disegnati sopra un gorilla nero e una gorilla rosa con un fiocchetto in testa. «Mi sono permessa di comprarti un libro adatto al tuo livello di conoscenza della fisica, Son-kun. Questo dovrebbe essere comprensibile persino per uno scimmione come te» mi spiega, ghignando.
«”Fisica per bambini”» leggo a voce alta il titolo. “Gioca e impara con Koko-kun e Chaki-chan, i gorilla scienziati più simpatici del mondo”» aggiungo, riportando il sottotitolo. «Molto divertente, davvero molto divertente…» borbotto. «Guarda che i gorilla sono tra gli animali più intelligenti, alcuni riescono a imparare persino il linguaggio dei segni!»
«Son-kun…».
«Uhm?»
«Tu lo sai il linguaggio dei segni?»
«No, perché?»
«Allora vedi che i gorilla sono più intelligenti di te? Leggi quel libro con attenzione, ti insegneranno molte cose».
«Regalalo anche a Prince questo libro, non mi sembra esattamente un genio!» la provoco, facendola arrossire leggermente.
«Comunque, stavo dicendo…» si schiarisce improvvisamente la voce Bulma, distogliendo lo sguardo dal mio e cercando di cambiare discorso.
«Diventi sempre timida quando si parla di Prince anche se siete una coppietta affiatata, eh?» la provoco di nuovo, interrompendola e sorridendo sghembo.
«Dicevo che la sorella minore ha fatto sua la struttura di informazioni del corpo di Lazuli-san, l’ha osservata e ha acquisito le sue sembianze» ringhia in tutta risposta, paonazza, guardandomi male.
«E perché Là ha assunto le sembianze di Chichi?»
«È possibile che una parte non indifferente dell’inconscio di Lazuli-san fosse gelosa di qualche aspetto della vita della sorella, oppure che si sentisse in colpa perché si rendeva conto di essere la causa del dolore di Chichi-chan» ipotizza Bulma, non in grado di dare una risposta certa a questo quesito. «Oppure, non potevano semplicemente esistere nello stesso momento due persone differenti con lo stesso aspetto di Lazuli Eighteen».
 
 
27 settembre
 
«È aperto! Entra pure, Rad!» esclama Lazuli dall’interno di casa sua, dopo che ho suonato il campanello. Ho appena finito il turno di lavoro pomeridiano al “Kame House” e ho pensato di venire a salutarla qui, senza aspettare di vederla direttamente dopo per cena a casa mia.
«Mia splendida regina, avevo giusto voglia di…» esordisco, entrando in casa, salvo interrompermi davanti ad una pila di scatoloni di cartone che mi ritrovo davanti e a due occhi neri che mi scrutano con aria sospettosa. «Eh?! Cosa ci fai qui, Chì?!» esclamo, guardando la sorella minore di Lazuli spostare una scatolone. Indossa un vestitino blu di jeans e ha i capelli legati nella sua solita coda.
«Di cosa avevi voglia, eh?!» sbotta lei, fulminandomi con lo sguardo. «Sei un maiale senza speranza, non so come possa la sorellona stare con un maniaco come te!»
«Ma… perché gli scatoloni?!» le domando, allibito.
«Perché ho deciso di trasferirmi qui, non è ovvio?!»
«Eh?! Mica avevi fatto pace con tua madre?!» esclamo, perplesso, dicendo addio al mio nido d’amore con Lazuli rappresentato dalla tranquillità di questa casa.
«Siamo andate d’accordo due settimane, più o meno» mi spiega, allargando le braccia dopo aver riposto lo scatolone. «Ma hai visto anche tu com’è fatta, non sopportavo più di essere comandata a bacchetta…».
«E a te sta bene così, Là?!» chiedo allibito alla mia ragazza, appena spuntata fuori da dietro la montagna di scatoloni accatastati all’ingresso. È impeccabile anche mentre sta aiutando sua sorella a sistemare le cose del trasloco, con una semplice maglietta rosa aderente e una minigonna di jeans.
«Scusa, mi sta chiamando la mia agenzia…» sbuffa Lazuli in tutta risposta, prendendo in mano il suo telefono dalla cover fucsia a forma di testa di coniglio e lasciandomi di nuovo solo con Chichi.
«Quando ne ho parlato con lei, mi ha suggerito di trasferirmi qui per un po’» mi sorride Chichi, parlando improvvisamente con un tono più dolce. «Non ho intenzione di rompere i rapporti con mia madre, ma voglio solo che impari a stare al suo posto. Lei sa che sono qui e che sono felice con mia sorella, adesso che l’ho affrontata mi sento meglio anch’io» aggiunge, prima di abbassare la testa e giocherellare nervosamente con le mani. «E poi… e poi, ecco… non so se te l’ho detto prima, ma ci tenevo a ringraziarti…».
«Non devi ringraziarmi, siamo una famiglia ormai, no?» le faccio l’occhiolino.
«È stata la sorellona a dirmi che dovevo ringraziarti, anche se lo sapevo già da sola che ti avevo creato un sacco di problemi…» sbuffa, irritata. «Io… io ti ho detto delle cose brutte, ma tu mi hai aiutata e mi sei sempre stato vicino!»
«Non preoccuparti, volevo solo riprendermi il prima possibile la mia vita sdolcinata con Là!» le sorrido sghembo sollevando ritmicamente le sopracciglia, ricevendo in cambio uno scappellotto sulla nuca e una risata sincera.
«Sai, Rad, credo di essermi fatta una vaga idea sul perché la sorellona abbia scelto te!» esclama, sorridendo sincera e abbracciandomi forte. «Come sta Goku-kun?»
«Sta bene, ma starà meglio quando dopo ti vedrà a cena a casa nostra» le sorrido. «Mi ha parlato tanto di te in questi giorni, guarda sempre i tuoi video in tv».
«D-davvero?! E… e cosa dice?!» risponde Chichi a disagio, senza staccarsi da me.
«Dice che sei la sua Sweet Bullet preferita e che è felice di averti conosciuto. In più vorrebbe riuscire ad uscire di casa, un giorno, anche per poter vedere un tuo live».
«Chichi-chan…» sibila Lazuli, appena tornata all’ingresso di casa.
«Ah! S-scusa, sorellona!» arrossisce Chichi, staccandosi da me e raccogliendo uno scatolone a caso, facendomi scoppiare a ridere. «L’ho ringraziato come mi avevi detto di fare tu!»
«Non mi sembra di averti detto di abbracciarlo, ma per questa volta farò finta di niente» ribatte lapidaria. «E tu, visto che hai così tante energie per ridere, vedi di sistemare tutti questi scatoloni prima di cena, se non vuoi che ti lasci a digiuno!» aggiunge, lanciandomi un’occhiataccia.
«Sì, mia regina…» sospiro, raccogliendo due scatoloni uno sopra l’altro e passandole davanti.
«Aspetta un attimo…» ordina in tono severo, fissandomi con occhi che non lasciano trasparire nessuna emozione.
«Cos…» provo a chiederle, venendo però interrotto da un improvviso bacio che mi mozza letteralmente il fiato e mi travolge, rischiando di farmi cadere di mano i due pesanti scatoloni che sorreggo a fatica.
«Bene, ora puoi andare» mi liquida Lazuli con nonchalance dopo alcuni lunghi e indimenticabili secondi di fuoco. Si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio e raccoglie uno scatolone anche lei, con indifferenza, mentre resto inebetito ad ammirarla. «Muoviti, se non vuoi restare senza cena!» mi sgrida, accennando però un sorriso.
 
 
 
 
 
 
 
Note: un capitolo molto lungo, ma era necessario a questo punto che le due sorelle si chiarissero una volta per tutte. Spero vi siano piaciute le parole all’inizio di Rad, la fragilità, la rabbia e la purezza di Chichi, la sincerità di Là nell’aprirsi e la dolcezza dei ricordi delle due sorelle da bambine.
È stato bello realizzare questo capitolo, ho adorato scrivere il dialogo tra Là e Chì e per questo mi ritengo fortunato a poter condividere con voi i disegni che mi aveva preparato Sapphir Dream, che ringrazio di nuovo. Mi impressiona ogni volta che guardo l’immagine l’espressività che è riuscita a dare all’abbraccio tra Chichi (ancora nel corpo di Lazuli) e Là, pochi istanti prima del nuovo body change che sistema le cose. La ringrazio anche per la domanda pronunciata da Chichi bambina (Ma allora è così che si scrive il mio nome?) che mi ha suggerito quando mi ha inviato il disegno di loro da bambine, con tanto di due lacrime versate da Là sulla fotografia.
Penso che era importante precisare che Chichi era già in testa alle votazioni raccolte online prima del concerto per diventare la solista del gruppo, un dettaglio volutamente omesso nel capitolo precedente. Spero vi sia piaciuta anche Lazuli, che finalmente mette da parte l’orgoglio e si comporta da sorella maggiore e che non ritiene di essere così perfetta come la vedeva sua sorella. Soprattutto, le fa capire di non aver avuto una vita perfetta e che dietro le luci della ribalta a volte il buio è ancora più fitto di quanto immaginiamo. E che quando finiscono gli applausi, il silenzio sa essere davvero assordante se sei sola o ti senti sola.
Abbiamo anche visto il famoso contenuto della scatola segreta di Là: niente test di gravidanza o scettri da Sailor Moon, ma foto, disegni, lettere e una mollettina simile a quella che usa tuttora. In ogni caso, grazie per le vostre teorie, davvero! ;-)
 
Ringrazio come sempre tutti voi che mi lasciate sempre il vostro parere, siete davvero importanti per me! Grazie a chi legge sempre i capitoli di questa storia e a chi la continua a inserire nelle liste. Se anche voi volete dirmi cosa ne avete pensato di questo arc dedicato a Chichi non potrò che esserne onorato.
 
Allora, siete contenti che alla fine Chichi si trasferisce a casa di Là? Continuerà ad essere un personaggio ricorrente, vedremo che effetti avrà sulla trama e se lei e Lazuli potranno mai lavorare insieme come da piccole. Vi piacerebbe?
Nel prossimo capitolo si volta pagina, rivedremo in scena, oltre a Chichi, anche Lunch (che parlerà con Là) e Husky. Soprattutto, Rad conoscerà Piiza-san, la manager di Lazuli che aveva suggerito ai due di non farsi vedere troppo in giro come fidanzati. Dite che bolle in pentola qualcosa se entra in scena lei? Dite che qualche paparazzo esiste anche in Giappone?
Il titolo del prossimo capitolo è “C18”… cosa vorrà mai dire in una storia come questa?!
Ah già, ci sarà anche un gran bel colpo di scena finale, vi aspetto mercoledì!
 
Teo
 
 
 
 

ved-INbb-d>

EIx-Kx-Fa-d

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Capitolo 35
*** C18 ***


35 – C18
 
 
5 ottobre
 
«Ciao Là, ho finito presto gli allenamenti oggi!» annuncio, appoggiando il borsone da calcio sul pavimento dopo essere entrato in casa sua usando il mio mazzo di chiavi per farle una sorpresa. «Sei sola?»
«Sì, mia sorella è a casa tua con Goku. Dice che devono studiare insieme» risponde lei, seduta sul divano, accennando un sorriso e appoggiando sul tavolino il copione del film che sta girando. È molto impegnata ultimamente, le riprese di questo nuovo film saranno lunghe e richiedono molto studio anche da parte sua, dato che è la protagonista assoluta. C’è molta attesa e se ne parla molto in tv, sulle riviste e su internet, ma Lazuli sembra semplicemente carica per questo progetto. Non sente la tensione. Lei è di ghiaccio, del resto.
«Vanno proprio d’accordo quei due, passano tanto tempo insieme o sbaglio?» le sorrido a mia volta.
«Non sbagli… magari si piacciono, chi può dirlo?» ribatte maliziosa.
«Per me è solo meglio se ci garantiscono un po’ di privacy» le rispondo roco, avvicinandomi e baciandola intensamente sul divano. «Come va col copione?»
«Bene…» sibila, soffiando delicatamente sulle mie labbra che sanno di lei. «Mi piace la parte della ragazza-cyborg progettata per conquistare la Terra».
«Chi ha ideato questo film non poteva che pensare a te per il ruolo della protagonista… hai bisogno di una mano con lo studio?» le chiedo in un sussurro, mentre si mordicchia il labbro inferiore.
«Magari dopo…» sospira, tirandomi verso di sé e baciandomi avidamente.
 
Din don
 
«Merda…» bofonchio, sollevandomi da lei, irritato e decisamente eccitato. «Chi è che rompe i coglioni? Tua sorella?»
«Non credo…» sbuffa Lazuli. Cerca di ricomporsi sistemandosi velocemente la gonna e i capelli, mentre si dirige verso il videocitofono. «È la mia manager… non ho idea di cosa voglia» mi spiega, aprendo la portineria e dirigendosi verso l’ingresso.
«Avevi un appuntamento con lei?»
«Veramente no…» sbuffa, stizzita.
Sul tavolino del salotto, accanto al copione di Lazuli, noto un disegno che rappresenta due bambine che si tengono per mano, circondate da fiori e da cuori colorati. Una, la più alta, ha i capelli biondi, mentre l’altra è mora. Sorrido, mentre leggo cosa c’è scritto sopra il disegno, con una calligrafia infantile un po’ incerta: “Sorellona, un giorno vorrei lavorare ancora insieme a te”. Il tutto è firmato da Chichi, che specifica anche che aveva sei anni.
«E questo?» chiedo alla mia ragazza.
«Quella ficcanaso di mia sorella ha voluto che guardassimo di nuovo insieme la scatola dei ricordi» risponde, distaccata. «Mettilo sotto il copione e fatti gli affari tuoi» ringhia, mentre apre la porta e fa entrare la sua manager dal pianerottolo.
«Lazuli-san, scusa se mi sono presentata qui all’improvviso, ma abbiamo un problema da risolvere» esclama, entrando in casa trafelata e stringendo tra le mani una cartelletta piena di fogli. «Ah, ci sei anche tu. Meglio così» aggiunge, squadrandomi seria attraverso i suoi occhi verde chiaro. Indossa un elegante tailleur rosa con camicetta bianca e porta sciolti i suoi lunghi e ondulati capelli rossi. L’avevo già intravista alle riprese dello spot in cui Chichi era nel corpo di Lazuli e in qualche altro lavoro di Là, ma non le avevo mai rivolto la parola.
«Rad, lei è Piiza-san, la mia manager» dice Lazuli, chiudendo la porta.
«Radish Son, piacere di conoscerla» esclamo, inchinandomi leggermente. «Grazie per quello che fa per Lazuli» aggiungo, facendo lievemente arrossire la mia ragazza, che si schiarisce la voce infastidita.
«Sicura che è un bravo ragazzo? A me non convince molto…» domanda sospettosa Piiza-san, avvicinandosi a me e squadrandomi sospettosa.
«È tutt’altro che un bravo ragazzo» ghigna Lazuli, incrociando le braccia sotto il seno.
«Il mio pregio è la bellezza» sorrido sghembo in faccia a Piiza-san, che sgrana gli occhi stranita.
«Il suo pregio è la stupidità…» sbuffa Lazuli, passandomi accanto e mollandomi uno scappellotto sulla nuca sotto lo sguardo attonito della sua manager. «Ha anche molti altri pregi, forse troppi… non te li elenco perché altrimenti si monta la testa».
Guardo dritto negli occhi Piiza-san e allargo le braccia, sollevando ritmicamente le sopracciglia. «Sono bello, intelligente e simpatico. Un genio, insomma» aggiungo, picchiettandomi il dito indice sulla tempia e facendo sciogliere la mia interlocutrice, che scoppia a ridere.
«Non dare corda a quel cretino o non ce la caviamo più…» sospira Lazuli, sedendosi sul divano e accavallando le gambe. «Siediti pure, cos’è successo?»
«Ho già sentito il regista e il produttore del film, sono d’accordo con me. Dopodomani devi fare una conferenza stampa con loro».
«E perché? Ho già tante cose da fare ed è presto per promuovere il film…».
«Devi farla subito perché abbiamo un problema…» sospira Piiza-san, porgendo il suo telefono a Lazuli.
Guardo anch’io, e resto basito nel vedere due fotografie mie e di Lazuli insieme nella home page di un sito di gossip.
In un’immagine siamo e lei con l’uniforme scolastica, mentre camminiamo sul marciapiede mano nella mano, presumo dopo la scuola. Ma l’attenzione di Lazuli si sofferma sull’altra fotografia, che zoomma per mettere bene a fuoco il dettaglio che anche lì siamo mano nella mano. Peccato che quella era Chichi quando aveva ancora le sue sembianze e che eravamo bagnati fradici, visto che per colpa sua avevamo appena fatto un inaspettato bagno in mare notturno. La mia ragazza mi incenerisce per un istante con lo sguardo, prima di riprendere il suo consueto aplomb e tornare a guardare la sua manager.
«Mi dispiace, in questi ultimi due mesi abbiamo cercato di non avere troppi atteggiamenti intimi in pubblico. Spero di non aver creato problemi alla produzione del film con queste notizie di gossip» si alza in piedi Lazuli, accennando un inchino.
«Spiace molto anche a me, non volevo creare problemi a nessuno. Abbiamo cercato di stare attenti, ma non è nemmeno corretto che non possiamo vivere la nostra storia alla luce del sole» intervengo, accennando anch’io un inchino.
«A me basta che venga garantita la giusta privacy a Rad e alla sua famiglia» riprende Lazuli.
«E a me interessa che lei non abbia problemi per il film… è perfetto per lei quel ruolo, sono certo che al cinema farà incassi record!»
«Mi avete fatto disperare in questi due mesi, anche se non ve l’ho mai detto…» sorride dolcemente Piiza-san, guardandoci e scuotendo la testa. «Ma si vede che state bene insieme. Siete una bella coppia».
«In che senso ti abbiamo fatta disperare?!» sbotta Lazuli, guardandola di sottecchi.
«Nel senso che non siete stati molto attenti quando uscivate insieme e che ho dovuto passare gli ultimi due mesi a scandagliare social e siti vari per far cancellare o smentire qualsiasi immagine associata a voi…» sbuffa Piiza-san, di nuovo seria. «Non volevo che notizie di gossip potessero eventualmente compromettere l’ingaggio per questo film».
«E perché stavolta hai lasciato correre?» le chiedo. «Una di quelle immagini è anche abbastanza datata, nel frattempo».
«Perché ormai il contratto è firmato e le riprese sono a buon punto. Inoltre, già due mesi fa, pensavo che, giunti a questo punto, notizie di gossip su Lazuli-san non avrebbero fatto altro che aumentare la pubblicità gratuita intorno al suo nuovo film!»
«E cosa ne pensano il regista e il produttore?» chiede Lazuli, senza battere ciglio, mentre legge l’intestazione della notizia che recita: “Scandalo Lazuli Eighteen! Chi è il ragazzo al suo fianco?!
«Li conosci anche tu, sono due brave persone. Ora che ti conoscono e ti apprezzano dal punto di vista professionale ti sosterranno sempre. Secondo me sono solo contenti a livello pubblicitario» sorride Piiza-san.
«Anch’io sono contento, almeno non dovremo più nasconderci!» esclamo.
«Lo penso anch’io, mi era seccato molto farvi quella richiesta due mesi fa» conferma la manager. «Ma, se tutto andrà bene alla conferenza, ogni cosa si risolverà per il meglio anche per voi».
«Allora vedrò di sistemare tutto quanto…» fa spallucce Lazuli, restituendo il telefono a Piiza-san con indifferenza.
 
«Sono tornata, sorel… ehm, Lazuli-san!» esclama Chichi, entrata in casa in quel momento, correggendosi dopo aver notato la presenza di Piiza-san. «Ciao Rad, ho fatto studiare Goku-kun anche se non ne aveva voglia, come sempre».
«Sicura che avete solo studiato?!» alludo, guardandola maliziosamente e facendola arrossire.
«Piantala di fare il cretino!» sbraita, isterica, prima di arrossire nuovamente ricordandosi della presenza anche della manager di Lazuli, che lei ha conosciuto nei giorni in cui ha dovuto impersonare la sorella. «Mi scusi! Sono Chichi Gelo, piacere di conoscerla!» si inchina.
«Ti avevo riconosciuta, lo sai? Sei Chichi-chan delle Sweet Bullet, giusto? Io sono la manager di Lazuli-san» le sorride Piiza-san. «Non sapevo foste amiche» aggiunge, voltandosi verso la mia ragazza.
«Per un po’ Chichi-chan resterà a vivere qui a casa mia» liquida la questione Lazuli. «Ecco, ora che ci siamo tutti colgo l’occasione per parlarti di una cosa che ho pensato con lei».
«Cioè?» domanda la manager.
«Vorremmo provare a fare un paio di lavori insieme, uno nel mio campo e uno nel suo» spiega Lazuli, scrutando Piiza-san. La manager annuisce lentamente, sembra molto interessata alla proposta. «Uno spot e una canzone in coppia potrebbero andare bene».
«Lazuli-san, sicura di saper cantare e ballare come una idol? E tu, Chichi-chan, come te la cavi con la recitazione?»
«Ce la caviamo bene, non preoccuparti. E avremo tempo per prepararci» interviene Lazuli, serissima, mentre Chichi deglutisce nervosamente il nulla. Sembra emozionata e anche colpita dalla forza con cui sua sorella maggiore ha voglia di lavorare con lei. Non posso che sorridere ripensando a quel disegno regalato da Chichi a Lazuli dieci anni fa. «Tu procurati uno spot che sia adatto per tutte e due, poi accordati con la sua agenzia, per favore. Chichi-chan non vuole uscire dalle Sweet Bullet, ma solo realizzare un singolo insieme a me» continua Lazuli, che appare davvero professionale quando si tratta del suo lavoro. È fantastica.
«Penso… penso che se facessi una canzone insieme a un’attrice del calibro di Lazuli Eighteen, anche le Sweet Bullet ne trarrebbero beneficio a livello di popolarità» si inserisce timidamente nella conversazione Chichi.
«Lo penso anch’io» annuisce Piiza-san. «Lazuli-san, questo sarebbe il tuo esordio assoluto in campo musicale, sicura di volerlo fare?»
«Sì» si limita a rispondere freddamente lei.
«Stai già girando questo film che accrescerà di sicuro la tua popolarità, non sei obbligata a farlo».
«Voglio mettermi in gioco in campo musicale solo per realizzare una canzone con lei, non per popolarità o soldi» sibila Lazuli, facendo diventare gli occhi lucidi a Chichi.
«Allora vedrò cosa posso fare» sorride Piiza-san, alzandosi. «Tu intanto pensa a prepararti al meglio per la conferenza stampa, la sala sarà di sicuro gremita di giornalisti. Poi domani ci sentiamo con calma per preparare alcune risposte».
«Non ce n’è bisogno, sistemo io tutto…» sbuffa Lazuli, accompagnando alla porta la sua manager.
«Dovresti dar retta alla tua manager ogni tanto e lasciarti aiutare, Lazuli-san» le sorride Piiza-san, dandole una carezza sui capelli. «Ci sentiamo presto allora, Chichi-chan!» aggiunge. «E tu, Radish Son, vedi di non far mai soffrire Lazuli-san e di non farmi pentire di averti dato la mia benedizione!»
 
«Non sapevo avessi una conferenza, sorellona… è per il film?» domanda ingenuamente Chichi, non appena Lazuli chiude la porta di casa alle spalle della manager. «E cos’è che devi sistemare?»
«I casini che avete fatto voi due» sibila la mia ragazza senza guardarla, camminando verso di me a passo di carica e mollandomi un ceffone sulla guancia che mi fa finire di nuovo seduto sul divano.
«Ahia, cazzo! Ma cosa ho fatto?!» protesto, massaggiandomi la faccia.
«Lo sai benissimo cosa hai fatto, scemo!» sbotta lei, incrociando le braccia sotto il seno e voltandosi. «E comunque lo so che ti piace farti picchiare da me».
«C-cosa… cosa è successo?!» balbetta Chichi, avvicinandosi.
«Che avevo detto niente smancerie e niente tenersi per mano quando tu eri nel mio corpo!» sbotta Lazuli, puntando il dito contro il petto della sorella. «Mi auguro vi siate limitati a tenervi per mano quella sera, altrimenti tu farai una brutta fine!» aggiunge, girandosi minacciosa verso di me e puntando i suoi occhi di ghiaccio fiammeggianti nei miei.
«Un sito di gossip ha pubblicato una nostra foto di quando eri caduta in mare e stavamo aspettando il taxi…» sbuffo. «Più un’altra foto in cui ero con lei sul serio, almeno…».
«S-sorellona… n-non è come pensi! Non ho mai avuto intenzione di fare nulla con lui!» grida Chichi, tremante come una foglia. «N-non mi permetterei mai, sorellona! E poi… poi nemmeno mi piace! È un maiale senza speranza!»
«Grazie eh…» sbuffo ancora. «Comunque anch’io non mi metterei mai con un’isterica come te!» le faccio la linguaccia per provocarla.
«Tu! Stupido…» ringhia Chichi, interrompendosi giusto per mettermi le mani al collo.
«Ahia! Basta!» provo a divincolarmi, facendo scoppiare a ridere Lazuli.
«Lo so che non avete fatto niente, mica sono scema!» sorride la mia ragazza, mentre Chichi molla la presa al mio collo e io ne approfitto per tirarle la coda, beccandomi in cambio un pugno in testa. «Però non ho ben capito come siete finiti in mare».
«Ecco, io…» sospira mestamente Chichi, abbassando la testa, in cerca delle parole giuste.
«Lei era triste dopo il concerto ed è scivolata in acqua mentre passeggiava sulla battigia al buio» intervengo in suo aiuto, ricevendo in cambio uno sguardo colmo di gratitudine. «Ho dovuto fare il bagno anch’io per dare una mano a questa stupida».
«Sarà…» fa spallucce Lazuli, voltandosi non molto convinta. «Almeno non mi avete rovinato la mia canotta dei Raptors quella sera».
 
 
7 ottobre
 
«Sono profondamente dispiaciuta per tutto il clamore che si è venuto a creare a causa mia» dice Lazuli, inchinandosi leggermente verso la platea gremita di giornalisti, cameramen e fotografi, prima di prendere posto al centro del tavolo posizionato sul palco della conferenza tra il regista e il produttore del suo nuovo film. Alle loro spalle campeggia un grande striscione che riporta il titolo del film, “Mirai World – C18”, e il sottotitolo, “Una ragazza cyborg alla conquista del mondo del futuro”.
Osservo compiaciuto la bellezza della mia ragazza dallo schermo del televisore di casa mia, da dove sto seguendo la conferenza stampa in diretta insieme a Goku. Indossa una camicetta bianca che evidenzia le sue forme, infilata in un paio di jeans aderenti. Completano il suo look degli stivaletti rossi dal tacco molto alto e, ovviamente, la sua immancabile mollettina nera glitterata a forma di coniglio tra i capelli. È meravigliosa. E non lo penso solo perché la amo, ma perché quando appare sullo schermo è come se rubasse la scena a tutti senza farlo apposta. Sembra fatta per quel mondo di dominio pubblico, lei così riservata, selvatica e gelosa della sua privacy. È un paradosso, ma nessuno può fare a meno di guardarla.
«Può dirci di lui?» domanda un giornalista, mentre la telecamera si sposta sulla platea, dove, tra gli incessanti flash prodotti dai fotografi, riconosco Husky Hasuka e Piiza-san in prima fila, una accanto all’altro. La manager di Là sembra un po’ tesa, mentre Husky appare rilassata e compiaciuta. Immagino abbia un asso nella manica, lei ne sa una più del diavolo.
«Quando è nata la vostra relazione?» chiede nel frattempo una giornalista, stringendo tra le dita una biro, mentre il vociare nella stanza si fa sempre più convulso.
«Perché eravate bagnati nei pressi della spiaggia, di notte?» chiede un giornalista con la barba e dei sottili occhialini rettangolari, con aria severa. Ci mancava solo il professorone del cazzo, oggi.
«Lui è un ragazzo di un anno più giovane di me che frequenta la mia stessa scuola» prende la parola Lazuli, senza battere ciglio, riportando il silenzio nella sala conferenze. «Qualche mese fa si è dichiarato davanti a tutti e da quel momento sono stata molto felice» aggiunge, arrossendo leggermente.
«Sembrate molto legati voi due, non è vero Lazuli-san?» le chiede Husky, osservandola con aria furba, fasciata in un tailleur scuro che la fa apparire più seria di quanto in realtà sia. «Scommetto che quel capellone è proprio un ragazzo speciale, a giudicare dal fatto che sembri un po’ in imbarazzo a parlare di lui».
«Certo che è speciale» accenna un sorriso Lazuli, ritrovando il suo consueto aplomb e puntando i suoi occhi di ghiaccio in quelli di Husky. «E sfido chiunque a non essere un po’ teso a parlare del proprio primissimo ragazzo davanti a così tante telecamere e in diretta televisiva» prosegue, serissima, facendomi battere il cuore all’impazzata. Ci teneva a dire al mondo che sono speciale e che sono anche stato il suo primo ragazzo. Deglutisco il nulla, mentre sprofondo con la schiena nel divano. In sovraimpressione continua a scorrere la scritta: “News: in arrivo il nuovo film di Lazuli Eighteen”. Ma ora non penso al film e nemmeno al gossip, penso soltanto a quanto cazzo sono stato fortunato a incrociare la mia strada con quella di Là. Ad andare proprio in quella biblioteca quel giorno di inizio maggio, quando lei era invisibile agli occhi di tutti e vestita da coniglietta.
«Per rispondere al perché eravamo bagnati, come avete visto in quella foto diventata di dominio pubblico, posso dirvi che si era trattato di uno scherzo di un nostro amico, tutto qua» sorride in modo del tutto naturale, mentre intravedo in prima fila Piiza-san annuire lentamente e cominciare a rilassarsi. «Eravamo andati al concerto delle Sweet Bullet e un nostro amico ci ha dato appuntamento subito dopo. Quando l’abbiamo raggiunto ha pensato bene di bagnarci con una pistola ad acqua».
Ha ideato una storia semplice, ma convincente. E non ha mentito sul concerto, facendo tra l’altro indirettamente pubblicità a Chichi e le Sweet Bullet. Penso che ci tenesse anche a questo, e secondo me ha fatto benissimo.
«Finendo col parlare dei miei rapporti interpersonali invece che del film, ho causato fin troppi problemi al regista e a tutti i membri del cast. Perché dovremmo essere qui a parlare del film, non di me» riprende Lazuli, voltandosi prima a destra e poi a sinistra in direzione del regista e del produttore, che tuttavia le sorridono bonariamente. Sembrano brave persone, entrambe sulla cinquantina.
«In realtà il produttore è al settimo cielo, gli stai facendo risparmiare un sacco di soldi in pubblicità!» prende la parola il regista, un uomo brizzolato e decisamente grasso, facendo ridere l’intera platea.
«Allora ci tengo a dirvi ancora una cosa sul mio ragazzo» torna a parlare Lazuli, sorridendo meravigliosamente a favore di telecamera come è tanto brava a fare. I suoi occhi sembrano essere un po’ lucidi, come se fosse commossa. «È stato lui a spingermi a tornare in questo mondo. Se non fosse stato per lui, non credo che mi sarei mai più ritrovata davanti a una telecamera. Ci tengo a dedicare a lui la mia parte in questo film».
«Penso che tutti i tuoi fans saranno grati al tuo ragazzo, da adesso in poi! Io per prima!» le fa l’occhiolino Husky, alzando la mano per riprendere la parola.
«Ecco, a tal proposito» riprende la parola Lazuli, alzandosi in piedi e stringendo il microfono con entrambe le mani. «Siete liberi di informarvi sulla mia vita privata, ma il mio ragazzo non fa parte del mondo dello spettacolo ed è giusto che possa continuare a vivere la sua vita tranquillo con la sua famiglia. Posso chiedervi cortesemente di rispettare la sua privacy?»
«Penso che tu possa stare tranquilla, Lazuli-san. I giapponesi sono persone d’onore e i giornalisti rispetteranno le tue volontà» interviene il produttore, un uomo alto e magro con capelli corti e sottili baffetti neri, ricevendo un applauso dalla platea.
«Grazie di cuore» accenna un inchino la mia ragazza. «Resterete comunque informati periodicamente su questo argomento, ma le uniche notizie da considerarsi ufficiali saranno quelle della mia agenzia e di Husky Hasuka, che ha la mia fiducia da tempo» aggiunge, prima di tornare a sedersi, mentre le telecamere indugiano per un attimo sulla mia amica giornalista che sorride compiaciuta. Lo sapevo che aveva un asso nella manica, la conosco fin troppo bene ormai. «Ora penso che si possa parlare del film, un progetto a cui tengo tantissimo».
«Cosa significa la sigla “C18” nel titolo?» chiede un giornalista.
«C18 sono io» sorride enigmatica la mia ragazza, mentre le brillano gli occhi per l’eccitazione. «O meglio, il personaggio che interpreto: il cyborg numero diciotto, l’ultimo prodotto di uno scienziato pazzo che sogna di conquistare il mondo attraverso una ragazza dotata di una forza spaventosa dopo essere stata resa un’androide».
Nel pubblico si alza un forte brusio, mentre ricominciano gli scatti dei fotografi e i reporter prendono appunti freneticamente.
«La storia è ambientata in un mondo futuro non molto lontano dal nostro, diciamo tra i diciassette e i vent’anni da oggi» interviene il produttore. «Ci sarà molta azione e sarà impossibile non restare col fiato sospeso fino alla fine».
«Lazuli-san, avrai parte robotiche al posto del tuo corpo?» domanda una giornalista.
«Rispondo io a questa domanda» prende la parola il regista, che evidentemente sa bene cosa è possibile spoilerare o meno. «C18 è un cyborg che appare esattamente come una ragazza qualunque, come Lazuli Eighteen che avete ora davanti ai vostri occhi. Ha solo dei circuiti nel cervello, una forza e dei poteri inesauribili e una bomba accanto al cuore» aggiunge, scatenando di nuovo i commenti all’interno della sala.
«Allora Lazuli Eighteen sarà il villain di questo film?»
«C18 è stata programmata per uccidere, ma nessuno può in realtà prevedere cosa sarà in grado di fare in questa storia» sorride enigmatica Lazuli. «Quel che è certo è che lei è un personaggio speciale e, come tale, farà anche cose speciali. Fidatevi, vi piacerà».
 
«Wow! Lazuli-san è straordinaria!» esclama Goku, seduto sul divano accanto a me, stringendo tra le mani il quaderno che gli avevo preso due anni fa non appena ero stato dimesso dall’ospedale.
«Già…» gli sorrido, scompigliandogli i capelli con la mano e alzandomi dal divano, mentre Balzar e Beerus, sdraiati accanto a mio fratello, mi osservano con fare annoiato. «Lazuli dà sempre il massimo in tutto quello che fa!»
«Anche Goku-kun ce la metterà tutta!» proclama lui, stringendo un pugno prima di cominciare a scrivere sul suo quaderno. «Per il fratellone, per Lazuli-san e per Chichi-chan!»
«Là è un esempio per tutti, non dimenticartelo mai. Parla anche con Chichi-chan dei tuoi progetti, vedrai che saprà ascoltarti e darti buoni consigli. Dopo penso che passerà di qui» gli sorrido di nuovo. «Ora vado al lavoro».
 
«S-sei stata fighissima, Lazuli-san!» esclama Lunch, piuttosto imbarazzata, non appena si ritrova davanti la mia ragazza, appena arrivata al “Kame House” dopo la conferenza stampa. Mi piace quando mi fa queste sorprese. «N-non vedo l’ora di vedere il tuo film!» aggiunge, paonazza. «Il senpai è… ah, è già qui! Beh, ora devo andare a sistemare dei tavoli!»
«Ti farò avere qualche biglietto del cinema, allora» accenna un sorriso Lazuli, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Smetterà mai di imbarazzarsi quando parla con te?» sospiro, avvicinandomi alla mia ragazza e facendole l’occhiolino.
«È tutta colpa tua, stupido» sibila. «A me quella primina non fa né caldo e né freddo, soprattutto da quando non crea più problemi».
«Dai, non fare la dura» le sorrido. «Lo so che sotto sotto ormai ti sta quasi simpatica».
«Diciamo che la tollero, tutto qua» sbuffa, dirigendosi verso un tavolo libero. «Soprattutto finché continua a starti alla larga» aggiunge, guardandomi con fare minaccioso. «Portami un panino con insalata e pomodori, sto morendo di fame. Per favore».
«Agli ordini, mia regina e mia dea. Poi tra una quarantina di minuti stacco e ce ne torniamo a casa».
 
«È un sollievo che tutto si sia risolto così facilmente» dice Lazuli, stringendo forte la mia mano e appoggiando la testa contro la mia spalla, mentre camminiamo sul marciapiede diretti verso il nostro quartiere. «Di sicuro mi hanno dato una bella mano anche il regista e il produttore».
«Quello è vero, ma sei stata soprattutto tu a gestire la conferenza in maniera impeccabile» ribatto, dandole un bacio sulla testa. «Oltre ad apparire professionale, eri anche tremendamente carina. Sono davvero fortunato ad averti come ragazza» aggiungo, sorridendo a questa sera piena di stelle. «Sai, Là, grazie a te mi sento il ragazzo più felice del mondo».
«Mi pare ovvio, non è da tutti poter ricevere le attenzioni di Lazuli Eighteen» scherza lei, stringendo però più forte la mia mano. «Ma ti ricordo che quando riprenderò le riprese del film dovremo stare per un po’ senza vederci. Ed è una cosa che mi fa sempre male».
«Lo so, e fa male anche a me. Ma lo penso lo stesso» ribatto, fermandomi e guardandola dritta nei suoi splendidi occhi di ghiaccio. «Questa è la vita che abbiamo scelto, e io sono davvero il ragazzo più felice del mondo» aggiungo roco, avvicinando inesorabilmente le mie labbra alle sue. «Grazie a te. Solo grazie a te».
«Devi sapere una cosa, Rad…» sussurra Lazuli, accarezzandomi la bocca col suo respiro caldo e avvolgendomi col suo profumo fresco. «È probabile che io sia innamorata di te più di quanto tu non lo sia di me».
«Questo è tutto da vedere…» sospiro, accennando un sorriso e passandole delicatamente la lingua sul labbro inferiore.
«Pensala come vuoi…» sibila lei, avvicinando la sua lingua alla mia. «Ma adesso stai zitto e pensa a baciarmi».
 
 
15 ottobre
 
Sbuffo, rientrando a tarda sera nella portineria del mio palazzo. È stata una giornata pesante tra scuola, allenamenti e lavoro. Soprattutto, è stato il terzo giorno di fila senza poter vedere Lazuli, che per fortuna tornerà stanotte dalle sue riprese del film.
Mi manca molto, sono felice che domani voglia venire a scuola anche se avrà potuto dormire solo poche ore. Dice che ha voglia di stare con me e che ha anche delle lezioni importanti, oltre al fatto che dovrà fare già numerose assenze in questo periodo. Non vedo l’ora davvero di vederla e poterle stare vicino.
Mi trascino stancamente verso la casella della posta e la apro, notando che c’è una busta bianca al suo interno. “Per Radish-kun” recita l’intestazione, mentre la apro, piuttosto allibito. Non ci sono francobolli, qualcuno deve averla imbucata a mano.
All’interno c’è un semplice biglietto bianco, con scritto sopra una sola frase. Ma quella frase basta e avanza per farmi sgranare gli occhi. E per farmi sfuggire di mano la busta, che si adagia sul pavimento in un fruscio sinistro. Un fruscio simile al sospiro di un fantasma.
Un fantasma del passato.
 
 
 
 
 
 
Note: bene, chiudiamo con un bel mistero, come spesso accaduto in questa storia… chi avrà scritto quella lettera? E perché Rad reagisce così?
Nel frattempo abbiamo scoperto che Lazuli interpreterà il personaggio di C18 in un film che la porterà lontana da Fujisawa ripetutamente, come alcuni di voi avevano immaginato. La storia tra lei e Rad diventa di dominio pubblico, anche se per fortuna è andato tutto bene alla conferenza stampa.
In tutto questo vediamo che Lazuli e Chichi hanno deciso di fare insieme un paio di lavori, dite che ce la faranno? Vi piace come idea?
Goku, tra l’altro, sembra molto determinato a dare una svolta alla sua vita… e ci torneremo già nel prossimo capitolo su questo punto, spero vi ispiri la cosa.
Mi è piaciuta molto la piccola parte in cui parlano Lazuli e Lunch, ma soprattutto quella immediatamente successiva in cui Rad e Là camminano verso casa e si dicono a vicenda un paio di frasi che, almeno a me, li ha fatti apparire dolcissimi. Non posso che sperare sia piaciuta anche a voi quella parte!
 
Ringrazio tutti voi che ci siete sempre e mi fate sentire il vostro supporto! Spero che vi piacerà questo nuovo arc in cui stiamo entrando e possiate continuare a voler bene a questi personaggi. Ci sono ancora tante cose da dire e da fare in questa long, per me è un onore sapervi ancora qui quasi nove mesi dopo aver pubblicato il primo capitolo!
Grazie di cuore poi ad Alice Liddel per il suo dolcissimo ritratto di Là. Per me è un onore e un piacere poter postare insieme a questa storia i vostri disegni e, in questo caso, abbiamo un esordio assoluto!
 
Bene, il prossimo capitolo si intitola “La lettera misteriosa”, quindi a questo punto siete liberi di elaborare le teorie che volete e su chi volete, anche a giudicare dalla reazione del nostro Rad. Avrà anche molto spazio Goku e ci sarà l’esordio assoluto nella storia per un personaggio maschile collegato a lui… chi sarà mai?
Vi do anche un altro piccolo spoiler perché la ritengo una scena adorabile: Là e Bulma si batteranno il pugno chiuso, un po’ come fanno spesso Rad e Vegeta. Se qualche artista vuole riprodurre la scena sarebbe semplicemente una figata. ;-)
Ci vediamo mercoledì prossimo!
 
Teo
 
 

20191011-180820>

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Capitolo 36
*** La lettera misteriosa ***


36 – La lettera misteriosa
 
 
Possiamo incontrarci domani dopo la scuola alla spiaggia Shichirigahama?” leggo di nuovo, mentre entro in casa e mi siedo sul divano, con la testa che sembra improvvisamente esplodermi. Insieme al mio cuore, che batte decisamente troppo forte. Sarà il panico, sarà che non me l’aspettavo. Sarà anche per quello che ho provato per lei. Per come è sparita senza lasciare tracce.
Rileggo la firma, e non posso che restare di nuovo pietrificato davanti a quello che vedo.
«”Videl-san”» leggo ad alta voce. Questa cazzo di lettera è stata scritta da Videl-san! Cosa dovrei fare adesso?! Merda, che casino…
Se si è firmata col “-san” finale non può essere la ragazzina delle medie che abbiamo conosciuto di recente e che si chiama anche lei Videl Satan! Eppure… eppure come fa Videl, la Videl che conoscevo io e che ora ha diciotto anni, a sapere dove abito?! E perché la busta non è stata spedita, non avendo nemmeno il francobollo attaccato?! È venuta lei qui personalmente a imbucarla nella mia casella postale?!
«Tutto bene, fratellone?!» mi domanda Goku, osservandomi perplesso e ridestandomi dai miei mille pensieri. Ha ripreso ad indossare la sua felpa col cappuccio a forma di tirannosauro.
«Sbaglio, o è da un bel po’ che Videl-chan non si fa viva?!» gli chiedo, alzandomi e cominciando a frugare tra alcuni foglietti sul tavolino all’ingresso. «Ci aveva lasciato il suo numero di casa, no?»
«Sì, dovrebbe essere lì, l’aveva scritto lei. Anche Goku-kun è preoccupato!» risponde, mentre trovo finalmente il numero di telefono della Videl dodicenne e comincio a comporlo.
Suona libero, ma non risponde nessuno.
«Anche Beerus sente la sua mancanza…» riprende Goku mestamente, prendendo in braccio il più piccolo dei nostri gatti e sollevandolo verso l’alto.
«Vedrai che starà bene, sarà andata via coi suoi, magari» provo a rassicurarlo, sempre più convinto che la Videl-san che ha scritto il biglietto trovato nella casella della posta non possa che essere la Videl Satan che è stata il mio primo amore due anni e mezzo fa. «Metti giù il gatto, sembri Rafiki quando “battezza” Simba!» aggiungo, facendolo ridere. Mi ha fatto tornare in mente Il Re Leone vederlo in quella posa.
Ma la mia testa torna subito a frullare vorticosamente intorno a questa lettera che ho appena trovato. Provo sentimenti contrastanti perché non so cosa dovrei fare. Vorrei coinvolgere Lazuli in questa cosa, ma non voglio farla preoccupare inutilmente. Non provo più nulla per Videl, ma sento il bisogno di avere delle risposte da lei per chiudere definitivamente quel capitolo della mia vita.
 
 
16 ottobre
 
«Dimmi una cosa, Bulma…» chiedo alla mia amica, seduto davanti a lei nel laboratorio di scienze della scuola, mentre versa un liquido scuro in una provetta stando attenta a misurarne la giusta quantità.
«Seriamente, Son-kun… con questa, quante volte sono?» mi interrompe, sospirando e guardandomi negl’occhi.
«Mi spiace deluderti, ma stavolta non c’entra la Sindrome della Pubertà» sbuffo, guardandola di sbieco. «Anche se forse potrebbe esserci un vago legame, non so. Ho ricevuto questa lettera da parte di Videl-san» le spiego, consegnandole il biglietto che ho trovato nella posta.
«Quando sarebbe questo “domani” in cui vuole vederti?»
«Oggi…».
«Ne hai parlato con Lazuli-san? Siete venuti a scuola insieme stamattina, no?» mi chiede, ridandomi il biglietto e regalandomi un’occhiataccia.
«Ehm… non gliel’ho detto…» ammetto, distogliendo lo sguardo dal suo.
«Quindi sei qui per chiedermi come tradirla senza che ti scopra?!» sibila, avvicinandosi a me e tirandomi i capelli per costringermi a guardarla in faccia. «Beh, non mi va».
«Ahia!» mi lamento, scuotendo la testa finché riesco a liberarmi. «Ma ti pare che la voglio tradire?!» sbotto, mentre Bulma accenna un ghigno e tira fuori dalla tasca il telefono.
«Guarda che lo sapevo già, scemo di uno scimmione» ridacchia Bulma, cominciando a digitare qualcosa.
«Sei cattiva, però…» sbuffo.
«Allora perché non le hai detto niente?»
«Secondo te quale sarebbe il modo giusto per farlo?» le chiedo di rimando, fissandola nei suoi occhi azzurri che mi scrutano con fare indagatore.
«Non lo so. So solo che è strano vederti preoccupato di fare una cosa nel modo giusto, di solito la fai e basta. E di solito non sbagli» risponde, continuando a scrivere sul cellulare. «In casi normali saresti corso da lei a dirglielo, sperando di essere sgridato o picchiato come premio, dato che sei un maiale masochista».
«Per che razza di essere mi hai preso, Bulma?! Avrei fatto meglio a starmene zitto…» sbuffo. «È che… come dire… mi sembra scorretto. Non voglio far preoccupare Là per niente, non provo più nulla per Videl».
«In che senso, ti sembra scorretto?» riprende a guardarmi Bulma, dedicando finalmente un po’ di attenzione a me e non al suo cellulare. Cazzo, mi sembra quasi di parlare con Lunch quando l’avevo appena conosciuta!
«Se i nostri ruoli fossero invertiti e lei mi dicesse che vorrebbe incontrare il suo primo amore, sono sicuro che non lo sopporterei. Che ne soffrirei un casino, anche se mi fido ciecamente di lei» ammetto, mentre lei riprende a scrivere sul telefono.
«Lazuli-san non è quel genere di persona, anche se è molto gelosa. E tu lo sai meglio di me» mi rincuora. «È una ragazza intelligente. Molto più di te, scimmione. Lei affronta i problemi di petto e non abbassa mai la testa».
«Già…» sospiro, accennando un sorriso e guardando fuori dalla finestra. «Piuttosto, cosa stai trafficando col cellulare? È Prince?»
«No, ma adesso credo che andrò a cercarlo» risponde, prendendo in mano alcuni fogli e dirigendosi verso la porta, lasciandomi attonito. «Non mi va di sorbirmi tutta la storia, così ho fatto un riassunto delle tue parole e l’ho inviato alla diretta interessata» mi sorride soddisfatta.
«Tu… cosa?!» sbotto, alzandomi.
«Dovrebbe essere qui a momenti… anzi, eccola!» cinguetta Bulma, mentre Lazuli entra nel laboratorio di scienze. «Beh, divertitevi!»
«Ti ringrazio per avermi avvisata, Bulma» le sorride Lazuli, allungando il pugno chiuso verso di lei.
«Non c’è di che, Lazuli-san» le sorride a sua volta Bulma, battendo il pugno contro il suo. «Bye bye» aggiunge, uscendo e chiudendosi la porta alle spalle.
Da quando si comportano così queste due?!
«Dimmi una cosa, Rad» esordisce freddamente la mia ragazza, fulminandomi col suo sguardo di ghiaccio e piazzandosi davanti a me con le braccia incrociate sotto il seno.
«Sì…» sussurro, abbassando la testa e appoggiando le mani sulle ginocchia. Mi sembra di sprofondare in questo dannato sgabello su cui sono seduto.
«Pensi di riuscire a tornare a casa per le sei?» mi chiede dolcemente, sorridendo e lasciandomi spiazzato.
«Eh?!»
«Verrò a casa tua alle sei, così stiamo un po’ insieme e cucino io, dopo. Ultimamente ti ho un po’ trascurato per colpa del lavoro».
«S-sì, sarò già a casa per quell’ora…» sbiascico, sgranando gli occhi per la sorpresa. «E comunque non mi hai trascurato, non dirlo nemmeno per scherzo!»
«Mi sei mancato, scemo» sorride di nuovo, accarezzandomi una guancia. «Non vedo l’ora delle sei, così vorrà dire che avrai sistemato questa cosa una volta per tutte e potremo passare una bella serata» aggiunge, distogliendo lo sguardo dal mio.
È ovvio che ne soffre, anche se non vuole darlo a vedere. Come potrei non amarla?!
«Sei… sei gentile, Là. Lo apprezzo tanto… e ti amo» farfuglio, mentre lei si volta di nuovo in mia direzione e indurisce improvvisamente lo sguardo, appoggiando le mani sui fianchi.
«Beh, speravi che mi ingelosissi?! Che ti picchiassi?! Che ti dicessi di non andare da quella… da quella là?!» sbotta, alzando il tono della voce.
«Ecco… sì…» ammetto.
«Non so bene come dirlo…» sospira lei, lasciandosi cadere le braccia lungo i fianchi e distogliendo lo sguardo dal mio. «Ma anch’io vorrei saperne di più su quella ragazza» aggiunge, arrossendo lievemente. «Io… io non sopporto che lei ci sia stata e io no, quando tu avevi bisogno. Ma le sono grata di averti aiutata, anche se odio sentirla aleggiare su di noi come un fantasma» prosegue a denti stretti. «E vorrei anche sapere che legame c’è tra Videl-san e Videl-chan, me lo chiedo da quando abbiamo conosciuto quella ragazzina».
«È per questo che me la fai passare liscia?»
«Per questo, ma anche perché… perché lei ti ha aiutato quando tu ne avevi più bisogno! Anche se… beh, sì, anche se è stata una stronza ad andarsene senza dare spiegazioni» sbotta, senza guardarmi. «Voglio che tu chiarisca definitivamente quello che provi per lei, se senti ancora qualcosa per lei al di là di quello che dici» aggiunge, prima di tornare improvvisamente a fissarmi negli occhi, abbassandosi leggermente in mia direzione. «Non che la cosa mi entusiasmi, sia ben chiaro. Anzi» prosegue, gelida, prima di stringermi il naso tra le sue dita e torcerlo. «Guai a te se ti azzardi a sfiorarla e poi mi racconti delle bugie. Saresti un uomo morto».
«Ahia, basta!» protesto, liberandomi dalla sua morsa. «Ho capito, ho capito!»
«Beh, hai qualcos’altro da dire?!» incrocia di nuovo le braccia sotto il seno Lazuli, guardandomi di sbieco. Adoro quando prova a fare la dura.
Le regalo un sorriso sghembo, prima di alzarmi di scatto dallo sgabello e correre verso la finestra.
«Lazuli Eighteen! Ti amooo!» sbraito, dopo aver spalancato la finestra, facendo voltare in mia direzione alcuni studenti che stavano camminando in cortile.
«S-smettila! È imbarazzante!» urla Lazuli, correndo verso di me e afferrandomi per il colletto della camicia da dietro, strangolandomi e facendomi arretrare di qualche passo, mentre la gente attonita mi guarda con gli occhi sgranati. «S-scemo! Mi fai vergognare!» grida, paonazza, sbattendo la finestra e incenerendomi con lo sguardo, mentre stringe i pugni così forte da farsi sbiancare le nocche. È tremendamente a disagio. Ed è terribilmente adorabile.
«Ci sono altri modi meno imbarazzanti per dimostrarmi la tua fedeltà, scemo!» ringhia, puntandomi il dito indice sul petto e spingendomi.
«Preferisci così?» le domando con voce roca, afferrandole il polso e tirandola verso di me, prima di baciarla avidamente.
«Spiegami… spiegami perché dovrei baciare il mio ragazzo che sta per andare a incontrare la sua vecchia fiamma!» sibila, dopo qualche secondo di fuoco, puntando entrambe le mani sul mio petto e allontanandomi da lei.
«Perché mi hai dato tu il permesso di andare…» sussurro, accennando un sorriso e provando a baciarla di nuovo, ottenendo però una manata in faccia in tutta risposta.
«Sì, ma sono due cose diverse…» ribatte, imbronciata. È stupenda quando fa l’offesa. Davvero.
«Forse dovresti baciarlo perché ti ama più di sé stesso e non gliene frega più niente della sua vecchia fiamma…» le dico sottovoce, prima di provare ad azzerare di nuovo le distanze tra noi.
Lei accenna un sorriso, mi lascia fare. Si stringe a me, come se non mi volesse più lasciare andare.
Mi stringe, e io la stringo forte, mentre ci diamo il bacio più dolce che potessimo darci in un momento come questo.
 
«Allora ci vediamo dopo a casa» mi saluta Lazuli fuori da scuola al termine delle lezioni pomeridiane, guardandomi per un istante con aria minacciosa, prima di accennare un sorriso e sistemarsi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Arriverò prima delle sei» le sorrido a mia volta, prima che un ragazzino rasato e decisamente basso si avvicini titubante a me.
«E-ehm…» farfuglia a testa bassa, mentre io e Lazuli lo scrutiamo senza capire cosa voglia da noi. Indossa la divisa della scuola media uguale a quella di mio fratello e ha uno zaino sulle spalle.
«Hai bisogno di qualcosa?» gli domando, perplesso.
«T-ti ricordi di me?» domanda timidamente, tornando a guardarmi.
«Uhm… no, mi spiace» allargo le braccia.
«Ecco… sono Crilin Kurinin, un amico d’infanzia di Goku-kun» mi spiega, mentre Lazuli solleva impercettibilmente un sopracciglio e lo scruta con aria sospettosa.
«Tu… un amico di mio fratello?!» esclamo, sorpreso. «Perché sei qui? Cosa vuoi da lui?»
«Senti, Rad…» mi tranquillizza Lazuli, appoggiando una mano sul mio avambraccio e facendomi voltare verso di lei, mentre Crilin abbassa la testa, visibilmente a disagio. «Perché non andate a parlare con calma in un posto più tranquillo?» propone, data la delicatezza dell’argomento e la presenza di valanghe di studenti che continuano a passare accanto a noi uscendo da scuola.
«Scusate tanto!» interviene Crilin, chiudendo gli occhi e inchinandosi davanti a noi. «Non volevo disturbarvi venendo qui all’improvviso!»
«No, ma guarda che non ci sono problemi» gli sorrido, prima di guardare Là nei suoi occhi di ghiaccio per qualche istante. Lei accenna un sorriso, per poi scuotere leggermente la testa.
«Hai già capito?» le domando. «Scusami Là, non avrei mai voluto chiedertelo…» sospiro.
«Certo che ho capito, stupido…» sbuffa lei, senza smettere di sorridermi. «Vado io dalla tua amichetta a sentire cosa vuole, va bene? Tanto dovrei riconoscerla facilmente, se è davvero uguale a Videl-chan…».
«Sei un tesoro, Là… non so come farei senza di te…» le sorrido.
«Ovvio che lo sono, come è ovvio che saresti allo sbando senza di me…» sospira, allargando le braccia e incamminandosi da sola lungo la strada.
«Non picchiarla, però, mi raccomando! Fai la brava!» ghigno, in tono scherzoso.
«Non garantisco niente» mi risponde freddamente, voltandosi però un’ultima volta per farmi l’occhiolino.
 
«Sono mortificato. Avevi altri impegni, vero?» mi domanda Crilin, imbarazzato, chinando di nuovo la testa mentre siamo seduti al tavolino di un bar dove ci siamo fermati per parlare con maggiore calma.
«Non preoccuparti. Se è una cosa che riguarda mio fratello, ha la precedenza su quello che avevo da fare» gli sorrido, bevendo un sorso della spremuta d’arancia che ho ordinato. «Piuttosto, come hai scoperto quale scuola frequento?»
«Ho… ho visto la tua foto su una rivista e ho riconosciuto l’uniforme che indossavate tu e Lazuli Eighteen» farfuglia, visibilmente a disagio. «Scusa se sono stato inopportuno, ma era da tempo che volevo mettermi in contatto in qualche modo con tuo fratello».
«Ah, quella foto è finita addirittura su una rivista?!» sbuffo, scuotendo la testa. «Perché cerchi Goku?»
«In questi due anni e mezzo ho provato a dimenticare, ma non ce l’ho fatta» mi spiega con voce tremante, stringendo forte i pugni e abbassando la testa. «Goku-kun deve aver passato le pene dell’inferno e io non sono stato capace di muovere un dito per lui. Poi, quando vi siete trasferiti, non ho più saputo come provare a mettermi in contatto con lui».
«Hai qualcosa a che fare con gli episodi di bullismo di cui è rimasto vittima?» gli chiedo, fissandolo intensamente nei suoi piccoli occhi neri, che non riescono a sostenere il mio sguardo per più di pochi secondi.
«N-no! No, davvero! Io sono un suo amico d’infanzia, ma non eravamo nella stessa sezione a scuola!» si giustifica. Mi sembra sincero, non mi immagino certo così un bullo. «La questione bullismo divenne un serio problema nella nostra scuola dopo i fatti che coinvolsero tuo fratello».
«In che senso?»
«Il gruppetto di bulli che l’aveva preso di mira, cominciò a fare lo stesso con altri ragazzi e ragazze, che smisero di venire a scuola» risponde mestamente. «Alla fine i professori decisero di intervenire seriamente e il preside allontanò dalla nostra scuola i responsabili».
«Capisco…».
«Tuttavia, io non ho fatto nulla per Goku-kun. Non gli sono stato di alcun aiuto… mi sono limitato a preoccuparmi».
«Non devi sentirti in colpa» gli sorrido, provando a rassicurarlo. «È successo tutto molto in fretta e tu potevi fare ben poco da un’altra classe. Sai, anch’io penso spesso che avrei voluto e potuto aiutarlo di più in quei momenti…».
«Ecco… ora sta bene?»
«Sì, sta bene. Non devi preoccuparti per lui» gli spiego. «Anche se adora così tanto stare in casa che non esce mai».
«Non posso vederlo?»
«Ho paura che lo metteresti in difficoltà…» sospiro. «È complicato… magari tra un po’ di tempo».
 
«Scusa il ritardo, Là» le sorrido, dopo averla raggiunta nella spiaggia semideserta dove mi aveva dato appuntamento Videl.
«Che fine ha fatto quel ragazzino pelato?» mi domanda, annoiata, smettendo di disegnare distrattamente sulla sabbia con un pezzo di legno trascinato a riva dalla marea e rialzandosi.
«L’ho accompagnato in stazione» le spiego.
«Bene, allora io me ne vado a casa… sono stufa» mi liquida, lasciando cadere il legnetto che aveva in mano e passandomi davanti.
«Aspetta, Là!» le vado dietro, afferrandole una mano per fermarla. «Vengo con te!»
«Non aspetti quella Videl-san? Guarda che non si è ancora fatta vedere…» sbuffa, voltandosi appena.
«Si sta facendo tardi, dubito che aspettarla ancora abbia senso» rispondo, guardandomi intorno. «E poi sarei in ogni caso venuto via più o meno a quest’ora, avevamo appuntamento alle sei io e te. O sbaglio?» sorrido, scorgendo un bagliore illuminare i suoi occhi di ghiaccio.
«Decidi tu» fa spallucce, fingendo che non gli importi nulla di tutto questo. «Se va bene a te fare così, allora va bene anche a me».
«Uhm… aspetta, magari le lascio un messaggio, nel caso dovesse arrivare» esclamo, correndo a recuperare il pezzo di legno con cui stava disegnando Lazuli sulla sabbia e cominciando a scrivere un messaggio a caratteri cubitali, sempre sulla sabbia, in modo che possa essere visibile dall’alto. Infatti, la spiaggia Schichirigahama è piccola e ha un solo accesso dall’alto tramite una scalinata. E io voglio che questo messaggio sia ben leggibile, appunto, dall’alto della scalinata.
«Allora? Si capisce quello che ho scritto?» chiedo a Lazuli, dopo averla raggiunta in cima alle scale di pietra, dove mi aveva preceduto.
«Ho trovato una ragazza fantastica» legge ad alta voce lei. «Firmato Radish» aggiunge, con la voce che trema leggermente per l’emozione che non riesce più a nascondere dietro la sua consueta freddezza. I suoi occhi mi sembrano lucidi, mentre accenna un sorriso.
 
«Fratellone! Fratellone!» esclama Goku, correndo in camera mia con le mani nascoste dietro la schiena, mentre sto lanciando sul letto la camicia che mi sono appena sfilato.
«Se hai fame, devi aspettare ancora un po’» sospiro. «Lazuli ha fatto un salto a casa sua a farsi una doccia, ma dopo verrà qui e cucinerà lei».
«Lazuli-san è una cuoca provetta, Goku-kun non vede l’ora!» ribatte felice. «Ma, prima di questo, Goku-kun ha un annuncio importante da fare! Da-dannn!» aggiunge, mostrandomi orgoglioso il quaderno che gli avevo regalato io dopo il ricovero in ospedale, aprendolo davanti ai miei occhi per mostrarmi quello che ha scritto.
«Obiettivi di Goku-kun per quest’anno» leggo ad alta voce. «Che cos’è?»
«Gli obiettivi che Goku-kun vuole raggiungere entro la fine dell’anno, no?!»
«Uscire di casa col fratellone. Fare una passeggiata col fratellone. Spassarsela in spiaggia col fratellone» comincio a leggere, osservando stupito l’elenco che ha stilato. «Vuoi spassartela?»
«Certo! Goku-kun se la spasserà!»
«Prendere il treno col fratellone. Comprare i panini alla crema per Lazuli-san col fratellone. Comprare un regalo a Chichi-chan col fratellone» riprendo a leggere. «Perché vuoi fare un regalo a Chichi?» gli chiedo, sorridendo sghembo.
«P-perché di sì!» sbotta, imbarazzato, facendomi ridere.
«Per curiosità, esiste anche qualche obiettivo che non preveda il mio coinvolgimento?»
«Certo che c’è! Basta girare la pagina!» esclama, mostrandomi orgoglioso gli altri obiettivi che si era appuntato.
«Rispondere a una telefonata che non sia del fratellone» leggo, sorridendo. «In qualche modo però c’entro ancora io, no?»
«Non è vero! Vai avanti a leggere, fratellone!» protesta, offeso.
«Andare a vedere uno spettacolo di Chichi-chan e Lazuli-san dal vivo» continuo. «Ne saranno di certo felicissime!»
«Goku-kun ci tiene tantissimo a vedere Chichi-chan che canta, lei è la migliore! E poi Goku-kun vorrebbe anche partecipare a un evento in cui c’è Lazuli-san!» proclama, alzando il pugno chiuso verso l’alto. «Loro hanno sempre voluto bene a Goku-kun!»
«Allora ci andremo insieme, quando sarà il momento» lo rassicuro, prima di incupirmi un po’ leggendo l’ultimo obiettivo che si è prefissato. «Andare a scuola».
Già, la scuola. Il luogo da dove ha avuto inizio il suo, e il nostro, inferno.
«Cosa ne pensi, fratellone?!»
«Non ti sarai prefissato fin troppi obiettivi? Mancano solo due mesi e mezzo alla fine dell’anno» gli ricordo.
Aver letto che vuole tornare a scuola mi rende orgoglioso, ma mi riempie anche di paura. Se avesse una ricaduta? Se non fosse pronto? Se perdesse di nuovo la memoria?
«In ogni caso, passare dal rispondere al telefono all’andare a scuola è un salto troppo grande» gli spiego. «Ti ci vuole almeno un altro obiettivo in mezzo, oltre al voler andare a vedere uno spettacolo di Là e Chì. Hai bisogno di abituarti alla gente prima di pensare alla scuola» aggiungo, serio. «Vedi di non strafare».
«Urca… hai ragione, fratellone…» sospira deluso Goku, guardando di nuovo quello che ha scritto. «In effetti, già solo uscire di casa sembra molto difficile a Goku-kun. E agli spettacoli di Chichi-chan e Lazuli-san ci sarà tantissima gente».
«Pensiamo a un altro obiettivo più semplice, che ti faccia però venire voglia di uscire di casa» gli propongo, sorridendogli e appoggiando entrambe le mie mani sulle sue spalle. Mi spiace vederlo improvvisamente così triste, solo pochi secondi fa era pieno di entusiasmo! Ma non potevo illuderlo, è giusto che abbia coscienza delle difficoltà che dovrà affrontare in questa strada che ha deciso di intraprendere.
«Ad esempio?»
«Vediamo…» ci penso su, finché il suo cappuccio a forma di tirannosauro mi dà l’idea giusta. «Tipo andare a vedere i dinosauri al Parco della Preistoria!»
«I dinosauri?! E sono giganti come quelli veri?!» grida, tutto esaltato.
«Certo, sono riproduzioni a dimensioni reali! E poi ci sono anche degli animali veri nei loro habitat».
«Goku-kun vorrebbe tanto vedere i dinosauri! Lo sai che piacciono anche a Chichi-chan?! Eh, lo sai, fratellone!» comincia a saltellare, prima di rimettersi a scrivere sul quaderno.
«Sì… sì…» gli sorrido. «Allora andrai anche con lei, quando avrai imparato».
«Urcaaa! Goku-kun non vede l’ora di dirglielo!» esclama, mostrandomi poi il quaderno su cui ha aggiunto questo nuovo obiettivo.
«Andare a vedere i dinosauri col fratellone» leggo ad alta voce. «Bravo, Goku. Sono fiero di te» gli sorrido, scompigliandogli i capelli con la mano. «Ma vedi di non strafare, mi raccomando».
«Non preoccuparti, fratellone! Goku-kun diventerà sempre più forte!» esclama, correndo verso camera sua, mentre Balzar e Beerus lo osservano perplessi. «Goku-kun ha tanta voglia di uscire!»
 
«Urcaaa! Lo spezzatino di soia al curry e tofu di Lazuli-san è sempre il migliore!» esclama felice Goku, seduto a tavola con me e la mia ragazza. Ha ragione, anche stasera Lazuli si è superata, ed è bello festeggiare con un piatto così buono l’annuncio che ha fatto poco fa mio fratello di voler provare a reagire alle sue paure che lo attanagliano ormai da due anni e mezzo.
«Mangia piano, sembri una bestia» lo rimprovero, osservandolo mangiare con foga.
«Anche tu stai mangiando come un porco, quindi non rimproverare tuo fratello se fai di peggio» interviene la mia ragazza in tono distaccato, senza nemmeno degnarci di uno sguardo. «Comunque è impegnativo cucinare per voi due, siete dei pozzi senza fondo…» sospira. «La prossima volta farò cucinare Chichi, le va bene che stasera aveva le prove».
«Già, è un peccato che non ci sia anche Chichi-chan stasera!» bofonchia Goku, con la bocca piena. «Però tu sai preparare cose buonissime, Lazuli-san! Oltre a recitare, sei fantastica anche a cucinare. Chichi-chan sa meno ricette!»
«Smettila di adularla, Goku…» ghigno, ricevendo in cambio un’occhiataccia da parte della mia ragazza.
«Invece fa bene ad adularmi, dovresti farlo più spesso anche tu» mi dice, gelida, puntandomi minacciosa una bacchetta con cui stava mangiando all’altezza della faccia. «Tuo fratello è un Son più intelligente di te, a quanto pare».
«E va bene, mia regina. Sei una chef di una bravura allucinante, non sei solo bellissima. Sono un ragazzo fortunato» le sorrido, sollevando ritmicamente le sopracciglia.
«Ecco, così va meglio. Hai visto come si addomestica facilmente il tuo fratellone, Goku-kun?» sorride a Goku. «Comunque, vedrai che con un po’ di pratica anche Chichi diventerà brava come me a cucinare! E anche voi due potreste imparare, se solo vi impegnaste un po’ di più».
«Ma a Goku-kun piace mangiare!» esclama Goku, facendo ridere Lazuli. «Anche per te è così, vero fratellone?!»
«Già…» sorrido, mentre lo squillo del telefono di casa fa sobbalzare mio fratello sulla sedia.
Appoggio le bacchette accanto al mio piatto e mi alzo per andare a rispondere.
«È Videl-chan» dico a Lazuli, dopo aver letto sul display il suo nome abbinato al numero che ho nel frattempo registrato. Lei mi scruta intensamente attraverso i suoi occhi di ghiaccio, smettendo di mangiare e appoggiando le bacchette accanto al suo piatto.
Non è strano che torni a farsi viva proprio oggi?! Certo che è strano…
Deglutisco il nulla, mentre lo sguardo di Lazuli si fa sempre più profondo e Goku continua a mangiare felice. Sollevo la cornetta.
«Pronto? Casa Son».
 
 
 
 
 
 
Note: bene, immagino che mi odierete anche stavolta per aver chiuso il capitolo così. Cosa vorrà la Videl dodicenne al telefono? E perché la Videl diciottenne non si è fatta viva all’appuntamento? Complimenti a chi aveva indovinato che era lei l’autrice della lettera, tra l’altro. Chissà cosa voleva dire a Radish e come ha fatto a sapere dove vive… è un mistero dietro l’altro questa ragazza, dannazione! ;-)
Per il resto, spero vi siano piaciuti gli obiettivi che si è prefissato Goku: riuscirà davvero a realizzarli?
Spero anche che vi abbia divertito l'intesa che si è creata tra Lazuli e Bulma, a me sono piaciute molto! In tutto questo ha fatto il suo esordio Crilin, un amico d’infanzia che Goku non può ricordare avendo perso la memoria… solo che Rad ha preferito restare sul vago con lui.
Vi sarebbe piaciuto un confronto diretto tra Là e Videl? Dite che si incontreranno mai? Non so cosa ne verrebbe fuori, onestamente! ;-)
 
Un grazie speciale a chi mi lascia sempre un commento e un incoraggiamento, a chi continua ad apprezzare questa storia e a chi vuole bene a questi personaggi anche leggendo in silenzio. Siete la mia forza, è bello sapervi lì!
Vi lascio due bellissime immagini di Lazuli e Videl realizzate da Yoann Le Scoul. Del resto si sono sfiorate in questo capitolo, magari in futuro vedremo disegni di loro due insieme. Chissà. ;-)
 
Il prossimo capitolo si intitola “La missione di Goku”, quindi succederanno tante cose, oltre al fatto che sentiremo il contenuto della telefonata misteriosa. Avranno tanto ruolo Lazuli e Chichi, ci sarà spazio per Lunch, per il ritorno di Mai e per i nostri Vegebul. E poi, vi ricordate che Là aveva chiesto alla sua manager di poter lavorare insieme a Chì? Ecco, aspettatevi qualcosa di speciale da questo punto di vista, con tanto di bellissimo disegno realizzato dalla nostra Sapphir Dream! Un’immagine a cui sono molto legato e che non vedo l’ora da tanto tempo di mostrarvi!
 
Grazie mille, a mercoledì prossimo!
Teo
 
 

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Capitolo 37
*** La missione di Goku ***


37 – La missione di Goku
 
 
«E-ecco, sono Videl Satan. Buonasera» mi dice un po’ titubante la Videl dodicenne dall’altra parte della linea.
«Ah, ciao! È bello risentirti!»
«Ho visto la tua telefonata di ieri. Mi spiace averci messo così tanto a richiamarti».
«No, tranquilla. Volevo solo accertarmi di una cosa» la rassicuro. «Hai per caso messo una lettera tra la nostra posta?»
«Una lettera?! No!»
«Capisco. Va bene così» rispondo, sempre più confuso. «È da un po’ che non ti fai viva, tutto bene?»
«Sì, mi spiace. Non vi ho più nemmeno dato una mano con Beerus!»
«Non preoccuparti per quello, a lui piace stare insieme a Balzar. È successo qualcosa?»
«No, solo qualche piccolo problemino di salute. Tornerò a trovarvi non appena mi sarò ristabilita del tutto, mi spiace non avervi avvisato prima».
«Ok, ti aspettiamo. Pensa a riprenderti, allora. E se hai bisogno fatti sentire, mi raccomando».
«G-grazie Radish-san, a presto».
Metto giù la cornetta e mi volto verso Lazuli, che allarga leggermente le braccia e mi guarda perplessa, prima di riprendere a mangiare.
 
«Fratellone, la prossima volta che chiamerà Videl-chan potrà rispondere Goku-kun?!» mi domanda mio fratello, mentre sono intento a lavare i piatti dopo che abbiamo finito di cenare.
«Direi di sì» rispondo, asciugandomi le mani. «Se te la senti».
«Vuoi rispondere al telefono?» gli chiede Lazuli, che ha appena messo via la tovaglia.
«Sì! È uno degli obiettivi di Goku-kun!» esclama lui, mostrandole il quaderno che aveva fatto vedere anche a me prima di cena.
«Sei bello carico!» gli sorride lei, dopo aver letto la lista. «È successo qualcosa?»
«Goku-kun ha capito che se non diventerà indipendente, il fratellone non potrà mai sposarsi con te…» farfuglia con aria triste, abbassando la testa e facendo improvvisamente arrossire Lazuli.
«Interessante…» commento io, divertito, facendo un passo verso la mia ragazza, che distoglie lo sguardo dal mio, imbarazzata.
«Se ti sposerai e cambierai casa, almeno potrà venire anche Goku-kun a trovarti, fratellone! O magari a vivere con voi… Goku-kun non la sa…».
«Sono certo che Là ti accoglierà a braccia aperte!» gli sorrido, cingendo con un braccio le spalle della mia ragazza, rigida come una statua.
«A me… a me farà piacere averti in casa» risolleva lo sguardo Lazuli, recuperando il suo consueto aplomb e scompigliando i capelli di Goku, in un gesto che non mi sarei mai aspettato da lei. È davvero tenera. È semplicemente meravigliosa. «Però… sì, diventare indipendenti è una bella cosa» aggiunge lapidaria, voltandosi.
«S-se Goku-kun diventerà indipendente potrà anche andare da Chichi-chan a casa sua?» chiede timidamente, goffo come pochi.
«Certo, lei ne sarebbe felicissima» accenna un sorriso Lazuli. «Vuoi fare pratica a rispondere al telefono con me?» gli propone, lasciandomi ancora una volta di stucco. «Così cominciamo a fare una bella “x” sopra uno dei tuoi obiettivi».
«O-ok…» risponde lui, deglutendo il nulla e posizionandosi davanti al telefono di casa, mentre Lazuli va in camera mia col cellulare in mano e chiude la porta alle sue spalle.
Mi avvicino a Goku, pietrificato e con già una mano a pochi centimetri dalla cornetta. È tesissimo, e infatti si spaventa quando il telefono comincia a squillare e sul display compare il nome “Lazuli Eighteen”. La sua mano trema, non riesce ad afferrare la cornetta.
«Stai tranquillo, è Là» provo a rassicurarlo, accanto a lui.
«G-giusto!» sbotta, prima di prendere in mano con uno scatto la cornetta e avvicinarla al suo volto, nonostante gli tremi la mano.
«R-risponde casa… S-son!» farfuglia, con un tono di voce particolarmente alto.
«Congratulazioni Goku-kun! Sei stato bravissimo!»
«Goku-kun ce l’ha fatta, fratellone!» esclama mio fratello, voltandosi verso di me tutto eccitato. I suoi occhi neri sono lucidi per la gioia, ma brillano per il traguardo che sente di aver raggiunto.
«Pronto? Mi senti Goku-kun?» richiama la sua attenzione Lazuli, dall’altra parte della linea.
«S-sì! Forte e chiaro!» grida Goku, tutto felice, mentre la mia ragazza apre leggermente la porta di camera mia e mi sorride dolcemente.
«Direi che d’ora in poi riuscirai a rispondere alle mie chiamate. Domani magari proviamo con Chichi-chan» gli spiega, senza smettere di guardarmi negl’occhi.
«S-sì…» sorride a sua volta Goku, stringendo sempre la cornetta. Il suo sguardo mi sembra improvvisamente molto affaticato.
«Sei stato bravissimo, Goku!» gli dico, proprio mentre la cornetta gli sfugge di mano e comincia a barcollare, come se stesse per svenire.
«Goku!» grido, cingendolo con le braccia e sorreggendolo, mentre anche Lazuli accorre verso di noi.
«G-goku-kun sta bene…» sussurra mio fratello, riaprendo gli occhi e accennando un sorriso sereno.
«Ha la febbre!» esclama Lazuli, dopo avergli appoggiato una mano sulla fronte. «Scusa, ti ho spinto troppo oltre».
«Oh no, Lazuli-san» le sorride Goku, riaprendo gli occhi a fatica. «È solo grazie a te se Goku-kun ha raggiunto il primo dei suoi obiettivi! Dillo a Chichi-chan, per favore» aggiunge, voltandosi poi verso di me. «Se Goku-kun continua a impegnarsi così tanto, magari domani potrebbe anche uscire di casa».
«Già… ma non avere troppa fretta, adesso» gli accarezzo i capelli, sollevandolo di peso per portarlo in camera sua. Cazzo, se pesa!
«Io… io e il fratellone andremo a vedere i dinosauri, Lazuli-san…» spiega alla mia ragazza, mentre lo mettiamo a letto.
«Un giorno verremo anche io e Chichi-chan con voi due a vederli, allora» le sorride lei.
«Urca… sarebbe… sarebbe bellissimo…» farfuglia lui, addormentandosi.
Rientro in camera sua un’ora dopo per controllare che stia bene, prima di andare a dormire anch’io. Lazuli è tornata a casa sua, domani mattina passerà la sua manager prestissimo a prenderla perché devono fare alcune riprese che la terranno impegnata fino al pomeriggio.
Sorrido, notando sul comodino il suo quaderno aperto sulla pagina degli obiettivi da raggiungere. Ha barrato con una “x” la frase “Rispondere a una chiamata che non sia del fratellone”, come gli aveva suggerito Lazuli.
Gli rimbocco le lenzuola prima di uscire ma, proprio in quel momento, resto paralizzato dal terrore e il mio cuore sembra fermarsi per un lungo istante. L’istante in cui noto che un grosso ematoma violaceo si è formato sul collo di mio fratello.
Mi sembra di tornare indietro nel tempo. Mi sembra di rivivere un incubo.
Vorrei che Lazuli fosse qui, adesso. Ho improvvisamente paura.
Respiro a fondo, cerco di mantenere la calma. Probabilmente il corpo di Goku ha reagito così semplicemente a causa dello sforzo psicofisico necessario a rispondere al telefono e superare quel limite.
Penso che domani mattina sarà tutto ok, semplicemente dobbiamo fare un passo alla volta. Con calma.
E Lazuli, dopotutto, è qui nel palazzo davanti. È qui vicina a me, e ho il cellulare per chiamarla in qualunque momento. Non voglio farla preoccupare adesso.
Respiro di nuovo a fondo, mentre mi sdraio nel mio letto e crollo anch’io, vinto dalla paura e dal sonno.
 
17 ottobre
 
«Sai cosa ho capito, Rad? Che la vita ci mette davanti delle sfide con lo scopo di farci diventare più gentili» mi spiega Videl, mentre la brezza marina le fa svolazzare i codini.
Siamo mano nella mano e guardiamo l’orizzonte dopo esserci appena baciati. Mi sento felice. Mi sento vivo, dopo tanto, troppo tempo.
«Per diventare più gentili?» le chiedo, voltandomi verso di lei.
«Sì, io ho deciso di vivere con la speranza di diventare ogni giorno una persona un po’ più gentile!» mi sorride, felice. Emette serenità con la sua sola presenza.
Non so nemmeno io perché, ma mentre la guardo i miei occhi si riempiono di lacrime.
 
La sveglia mi fa aprire gli occhi di scatto, con i raggi del sole che filtrano dalla finestra e illuminano la mia stanza.
Mi rendo conto di avere le guance rigate di lacrime. Ho pianto mentre dormivo. Mentre sognavo quello che mi aveva detto Videl due anni e mezzo fa dopo esserci baciati. E prima di sparire per sempre dalla mia vita.
Perché non si è presentata all’appuntamento ieri? E perché, proprio ieri sera, è ricomparsa Videl-chan al telefono?
«Ciao fratellone! Alzati o farai tardi!» esclama Goku, facendo irruzione in camera mia.
Lo osservo con attenzione e tiro un sospiro di sollievo: l’ematoma è sparito, mi sembra che stia bene.
«Arrivo, arrivo…» gli sorrido, alzandomi.
Mi sento il cuore pesante stamattina… la preoccupazione che ho provato ieri sera nel vedere quel livido e i pensieri sul mistero relativo alla lettera di Videl mi hanno fatto fare quel sogno, che non ha fatto altro che portare a galla vecchi ricordi. Ricordi che fanno male, nonostante tutto quello che abbia fatto per me Videl in quel periodo. Ma non potrò mai dimenticare cosa ho provato quando lei è sparita, e quanto ho sofferto per Goku e le sorti della mia famiglia prima, durante e dopo il mio ricovero in ospedale.
Sento vibrare il cellulare, mentre un nodo mi stringe la gola e non sembra darmi tregua.
«Sono già sul set. Grazie per ieri sera, è stato bello aiutare tuo fratello. Non vedo l’ora di vederti oggi pomeriggio» mi scrive Lazuli, e a me sembra di tornare a respirare.
«Grazie di esistere Là. Non saprei come fare senza di te» le rispondo, col cuore decisamente più leggero.
 
Col passare della giornata, tuttavia, quel velo di tristezza e malinconia che ha cominciato ad avvolgersi intorno alla mia anima ieri sera non è sparito del tutto, anzi. Sarà la nostalgia per Là, sarà aver sognato Videl, sarà per quell’ematoma che ho visto comparire sul collo di Goku… fatto sta che non ho molta voglia di parlare oggi. Onestamente non vedo l’ora di finire il mio turno lavorativo e rivedere Lazuli, che dovrebbe finire abbastanza presto le riprese.
«Senpai…» mi chiama delicatamente Lunch, ridestandomi dai miei pensieri. Mi rendo conto di essere immobile dietro al bancone, con un boccale di birra vuoto in una mano e uno straccio nell’altra. Mi guarda, sembra preoccupata. «È successo qualcosa?»
«Non direi» le rispondo, accennando un ghigno poco convinto e provando a scherzare come faccio sempre. «Visto che oggi ci sono pochi clienti, mi stavo chiedendo se ci fosse un modo per usare il tuo bel visino e quello di Mai-chan per attirare qui un po’ di gente» aggiungo, indicando col volto in direzione della nostra nuova collega Mai, intenta a sparecchiare uno dei pochi tavoli che erano occupati. Ovviamente quel pervertito di Muten non si è lasciato scappare l’occasione di assumere come cameriera un’altra bella ragazza, quando la compagna di classe di Lunch è venuta qui l’altro giorno a proporsi.
«Non le sai proprio raccontare le bugie, tu» ribatte, guardandomi storto e incrociando le braccia sotto il seno. «Beh, se non vuoi dirmi cosa c’è che non va e non hai nulla da fare, vieni a darmi una mano. Sono arrivati i barili di birra in magazzino, non voglio spostarli con Mai-chan come ieri!»
«Hai bisogno della mia forza bruta perché sei una tenera donzella indifesa?» le chiedo, mentre la seguo in magazzino.
«Stai zitto, senpai, se non vuoi un calcio nel sedere».
«Mai-chan è molto più dolce di te nei miei confronti. Dovresti imparare da lei».
«Mai-chan è troppo buona e non ti conosce abbastanza da sapere quanto tu possa essere un cavernicolo» ribatte Lunch, stizzita, fermandosi davanti a un grosso barile. «Solleviamolo insieme, così ti faccio vedere che non sono una donzella indifesa!» sbotta, afferrando con due mani un manico del barile.
«Come vuoi tu, piccola kohai» rispondo, afferrando con una mano l’altro manico.
«Pronto?! Un, due, tre, la peppina fa il caffè!» esclama, prima di sollevare il barile insieme a me, che la guardo stranito dopo aver udito quella strana conta che ha usato.
«Eh?!» le chiedo, strattonando il barile per farle mollare la presa.
«Senpai, tienilo come si deve!» ribatte allarmata.
«Ho visto che sei forte, ora lascia sistemare a me il barile» le dico, sistemando al suo posto la birra senza fare troppa fatica. «Comunque la tua strana conta mi ha mandato in pappa il cervello» le sorrido, facendola irrigidire. Comincia anche ad arrossire. Mi diverto a metterla in imbarazzo, è più forte di me. «Un, due, tre… la peppina fa cosa?!»
«Eh?! A Fujisawa non si dice?!» sbotta, sgranando gli occhi e portandosi una mano davanti alla bocca spalancata.
«Uhm… no. Nemmeno in tutta la prefettura di Kanagawa. Neanche a Tokyo» rincaro la dose, mentre lei si mette le mani tra i capelli e diventa paonazza.
«Non ci credo! E adesso cosa faccio?!» urla, disperata. Fatico a restare serio. «L’ho usata anche con Mai-chan ieri!»
«Mai-chan ti conosce da mesi ormai e tu ogni tanto te ne esci con delle frasi assurde, ormai ci avrà fatto l’abitudine anche lei» le spiego, allargando le braccia per prenderla in giro. «Dai, dammi una mano col prossimo barile» le dico, mentre afferro un manico e aspetto che lei faccia lo stesso. «Un, due, tre, la peppina fa il caffè!» esclamo, prima di sollevarlo.
«Mi mandi veramente in bestia, senpai!» ringhia, ancora tutta rossa in faccia.
«Però lo ammetto, parlare con te mi mette sempre di buon umore» sorrido, mentre sistemo il barile.
«Io invece quando fai così non ti sopportooo!» sbraita, dandomi un calcio nel sedere così forte che mi fa quasi piegare in avanti sulle ginocchia.
 
«Fratellone! Bentornato!» mi accoglie Goku, non appena rientro in casa.
«Eh?!» osservo stupito, notando che stringe tra le mani la cornetta del telefono di casa.
«È tornato a casa proprio come avevi detto, Lazuli-san!» urla, tutto eccitato, mentre chiudo la porta alle mie spalle e sorrido. Ecco con chi era al telefono, dovevo aspettarmelo! «Ok! Ora Goku-kun te lo passa!» aggiunge, porgendomi la cornetta e correndo in camera sua.
«Ciao Là!»
«Ti ho visto dal balcone mentre ero al telefono con tuo fratello. Tutto bene oggi?»
«Diciamo che ora va meglio, visto che sento la tua voce e so che tra poco vieni di qui a cena. Tutto ok alle riprese?».
«Certo, anche se adesso avrei voglia di passare un po’ di tempo col mio fidanzato…» sospira, facendomi battere forte il cuore. «Goku-kun sta bene? Devi sapere che abbiamo provato a farlo parlare al telefono con Chichi ed è andato alla grande!».
«Sta meglio di ieri da quello che vedo. Siete state fantastiche».
«Già… ieri sera ero un po’ preoccupata per lui».
«Là, grazie per tutto quello che stai facendo per Goku da quando lo conosci».
«Anche tu non devi strafare però, Rad. Un passo alla volta, mi raccomando».
«Non ti devi preoccupare di questo, tanto anche se dovessi essere sfinito so di avere te che ti prendi cura di me e mi vizi finché non mi sono ripreso completamente! Vero?!»
«Ti vizio solo se lo ritengo necessario, altrimenti ti riempio di botte se mi fai arrabbiare».
«Questo risvolto mi fa ancora venire più voglia di vederti! Muoviti a venire di qua! Perché non metti il tuo costume da coniglietta, dopo?»
«Rad…».
«Uhm?»
«Scordatelo…».
«Uffa, sei crudele…».
«Però, se fai il bravo e fai quello che ti dico… magari potrei anche farci un pensierino…».
«Agli ordini, mia regina e mia dea! Farò qualunque cosa per restare chiuso in camera mia con te in versione coniglietta!»
«Sorellona, passami quel depravato, per favore!» sento strillare dalla cornetta.
«A quanto pare mia sorella ti vuole parlare. Ci vediamo dopo» mi saluta Lazuli, passandomi Chichi.
«Noto con piacere che non stavi più nella pelle all’idea di sentirmi, cognatastra?!» ammicco, facendo la voce roca.
«Tutt’altro, imbecille… anzi, sono indecisa se venire o meno a casa vostra» sibila.
«Meglio, potrò dedicarmi con più attenzione a deliziare la tua sorellona, nel caso».
«Sei… sei un maiale, Rad!» balbetta con voce stridula. «Comunque nel pomeriggio sono passato da casa tua e ho parlato un po’ con Goku-kun. Credo che lui abbia qualcosa da dirti».
«Dimmi una cosa, Chì: l’avete fatto, per caso? È questo che deve dirmi?»
«Mi… mi fai schifo! Cretino!» sbotta in tutta risposta, sbattendomi il telefono in faccia.
 
«Fratellone, Goku-kun ha finalmente finito!» dice mio fratello con aria determinata, dopo essere uscito da camera sua stringendo il quaderno su cui ha annotato gli obiettivi che vuole raggiungere.
«Beh, sei stato bravo anche adesso al telefono! Cos’è che hai finito?»
«Di formulare il piano per uscire di casa! Goku-kun ne ha parlato oggi con Chichi-chan e ora ha finito di scriverlo!» esclama, aprendo il quaderno. «Ta-dannn!»
«Uno: indossare un vestito carino» comincio a leggere.
«Questo l’ha suggerito Chichi-chan a Goku-kun».
«Due: fare una piccola pausa. Tre: andare all’ingresso. Quattro: fare una piccola pausa. Cinque: mettere le scarpe. Sei: fare una piccola pausa» riprendo. «Ci sono un sacco di pause o sbaglio?»
«È importante fare pause frequenti! Lo dice anche Chichi-chan!»
«Sette: aggrapparsi alla schiena del fratellone. Otto: ricaricare il “potere fratellone”».
«Il “potere fratellone”?! Che roba è?!»
«È una cosa importante ideata da Goku-kun!»
«Ah, perfetto allora!»
«Nove: uscire finalmente insieme al fratellone!» esclama Goku, leggendo lui l’ultimo punto e sollevando un pugno chiuso verso l’alto. «Goku-kun ha anche pensato a una contromisura d’emergenza: nel caso Goku-kun dovesse svenire, il fratellone lo prenderà in braccio e lo riporterà a casa. È perfetto, vero?!».
«Sì, ma vedi di non strafare, ok?» gli sorrido, scompigliandogli i capelli. «Fai un po’ d’ordine in giro che stanno per arrivare Là e Chì!»
 
 
19 ottobre
 
«Urcaaa! Ma sono tantissimi!» esclama Goku, elettrizzato, mentre Lazuli svuota sul letto di camera sua un paio di borse piene di vestiti.
«Te li abbiamo comprati apposta io e la sorellona, Goku-kun!» gli sorride dolcemente Chichi, che con mio fratello non si comporta mai da acida come fa con me. Sono carini insieme.
«Non avrete speso troppo? Ditemi cosa vi devo…» intervengo, preoccupato dalla quantità di roba che hanno preso.
«Non preoccuparti, quando ieri abbiamo girato insieme lo spot, ci hanno anche lasciato dei buoni da usare in quel negozio» accenna un sorriso Lazuli.
Già, tra le altre cose, lei e sua sorella sono riuscite a tornare a lavorare insieme per la prima volta da quel cortometraggio che avevano girato insieme da bambine. So che hanno registrato uno spot per una catena di negozi di articoli sportivi e abbigliamento per il tempo libero e ammetto che non vedo l’ora di vederlo. Sono curioso, e in più mi piace vederle felici insieme.
«Grazie infinite!» comincia a saltellare Goku, mentre la mia ragazza e sua sorella cominciano ad aprire i vari capi d’abbigliamento piegati. «Fratellone! Lazuli-san e Chichi-chan stanno regalando a Goku-kun un sacco di vestiti bellissimi!»
«Sei fortunato ad avere due persone così che ti vogliono bene» gli sorrido, mentre Chichi diventa paonazza e Lazuli distoglie lo sguardo dal mio, accennando però un sorriso.
«Vuoi… vuoi provarne qualcuno, Goku-kun?» gli chiede timidamente Chichi.
«Dai, prova questi!» interviene Lazuli, lanciando a mio fratello un paio di jeans strappati e una felpa Jordan nera col logo bianco sul petto. «Abbiamo anche trovato queste del tuo numero» aggiunge, passandogli delle scarpe Jordan bianche con dettagli rossi.
«Le voglio anch’io le Jordan…» piagnucolo, ricevendo un’occhiataccia congiunta da parte delle due sorelle.
«Avevo già in mente di farmi dare un buono anche per te la prossima volta che vado in quel negozio, tanto il titolare è un mio grande fan da quello che ho visto» sibila la mia ragazza. «Ma vedi di non farmi innervosire o te lo sogni».
«Ben detto, sorellona!» gli dà man forte Chichi, facendomi la linguaccia.
«Goku-kun non sembrerà uno di quei ribelli che si vedono nei film in televisione con queste cose?» chiede mio fratello, osservando intimorito i vestiti che gli ha passato Lazuli.
«Sono certa che starai benissimo. Vero Chichi-chan?» ribatte la mia ragazza, sorridendogli dolcemente.
«S-sì…» farfuglia lei, abbassando la testa.
«Allora Goku-kun proverà tutto!» grida, contentissimo.
«Dai, ti do una mano…» intervengo, facendo uscire le ragazze dalla stanza.
«Wow! Goku-kun non sembra più Goku-kun!» esclama davanti allo specchio con il suo nuovo look, mentre anche Lazuli e sua sorella si complimentano con lui. È bello vederlo così. È stupendo essere qui tutti insieme. Essere così… così spensierati.
Sembriamo davvero una famiglia. E mi sento felice.
«Non… non vorresti provare qualcosa di più elegante, adesso?» propone timidamente Chichi, porgendo a Goku una camicia bianca, dei jeans aderenti e delle scarpe nere.
«Uhm… Goku-kun non sembrerà troppo maturo con queste cose?!» domanda perplesso lui.
«Secondo me saresti… saresti carino…» farfuglia Chichi, arrossendo, mentre mio fratello grida ai quattro venti che vuole provare anche questo look.
Mi scambio uno sguardo con Lazuli che fatica a restare seria di fronte all’imbarazzo di sua sorella, mentre esce con lei dalla stanza. Anche lei mi sembra felice, e io davvero non potrei chiedere di meglio. Non vorrei nulla di più di questa quotidianità. Di queste piccole cose, così importanti nel mio mondo. Così preziose. Piccole cose da custodire, da proteggere. Momenti solo in apparenza semplici, ma che in realtà sono i più belli.
«Urcaaa! Ècome se Goku-kun non fosse più Goku-kun nemmeno stavolta!» esclama mio fratello, guardandosi allo specchio, mentre Lazuli annuisce e Chichi lo osserva con gli occhi sgranati, ancora leggermente rossa.
«Sei davvero elegante, Goku-kun!» sorride la mia ragazza, scompigliandogli i capelli.
«Già! Sono certo che lo pensa anche Chichi!» esclamo, cingendogli le spalle con un braccio e trascinandolo verso di lei.
Fingo di inciampare e lo spingo leggermente verso Chichi, facendo sì che la abbracci per non travolgerla.
«Ops…» dico, mentre Lazuli soffoca una risata.
«S-scusa!» urlano in coro mio fratello e Chichi, abbracciati l’uno e all’altra e paonazzi, prima di staccarsi meccanicamente e voltarsi dalla parte opposta.
«Tu… maledetto Radish! Io…» sibila Chichi, furibonda, mentre Lazuli la trascina di peso fuori dalla camera.
«Credo che Goku-kun debba provarsi altri vestiti…» si limita a dire freddamente.
«Goku-kun è… è elegante…» farfuglia mio fratello, ancora confuso da quel contatto.
«Oh, sì… e direi che Goku-kun ha fatto colpo!» scoppio a ridere, dandogli una pacca sulla spalla.
 
 
22 ottobre
 
«Shhh! Sta per iniziare!» sbotta Chichi, zittendoci tutti e alzando il volume della televisione.
Stasera infatti va in onda per la prima volta lo spot che lei e Lazuli hanno girato insieme. Abbiamo cenato tutti a casa mia e, per l’occasione, sono venuti qui anche Bulma e Vegeta.
«Tsk!» si limita a dire il mio amico, seduto sul bracciolo del divano con le braccia conserte e la faccia di chi vorrebbe essere da tutt’altra parte, ricevendo in cambio un’occhiataccia congiunta da parte di Chichi e Lazuli, oltre che una gomitata nel costato da parte della sua ragazza.
«Urcaaa! Ci sono Chichi-chan e Lazuli-san!» grida Goku, indicando la tv, mentre sulle note di “I want you bad” degli Offspring si vedono entrare in scena le due ragazze, entrambe con un pallone da basket in mano, che camminano per strada attirando gli sguardi della gente che si ferma a guardarle ammirata, prima di entrare in uno dei negozi “J-Sports” che stanno pubblicizzando.
Lazuli indossa una canotta NBA vintage bianca dei Toronto Raptors di Vince Carter, la stessa che aveva preso in prestito sua sorella la sera del concerto delle Sweet Bullet e del nostro bagno notturno indesiderato in mare. Chichi invece ha una canotta NBA nera dei Chicago Bulls del leggendario Michael Jordan. Entrambe hanno le canotte infilate negli shorts di jeans. Il look di Lazuli è completato da delle sneakers bianche basse, mentre Chichi porta degli stivali neri che le arrivano fin sotto il ginocchio.
Sono bellissime, non c’è che dire, come sono meravigliose le gigantografie con cui da stamattina è tappezzata la città con immagini di loro due con questo look. Devo dire che Piiza-san ha fatto le cose in grande per farle lavorare insieme come le aveva chiesto la mia ragazza.
«J-Sports» dice Chichi in televisione, guardando intensamente attraverso lo schermo.
«La scelta di Lazuli Eighteen e Chichi Gelo» interviene Lazuli, accennando un sorriso e sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, prima che entrambe si voltino e si allontanino sotto le note degli Offspring, fino ad uscire di scena.
«Siete… siete stupende!» esclama Bulma. «Dovresti imparare da loro che cos’è la classe, Son-kun».
«Ah, ah…» fingo di ridere alla sua battuta, mentre mi scambio uno sguardo d’intesa con Lazuli. È stata meravigliosa, come sempre. E sono felicissimo che abbia fatto questa cosa con sua sorella, so quanto contava per loro. Ce lo diciamo senza parlarci, ci basta guardarci negl’occhi a me e a lei.
«Urcaaa! Lazuli-san e Chichi-chan sono state bravissime! Si vede che ce l’hanno messa tutta!» grida mio fratello, battendo le mani. «Erano anche bellissime, vero fratellone?!» aggiunge, facendo sorridere Lazuli e diventare paonazza Chichi.
«”Super mega iper” bellissime, direi» confermo con voce roca, fissando intensamente Lazuli nei suoi occhi di ghiaccio che sembrano brillare. «Soprattutto Là, Chì non mi ha convinto del tutto» continuo ridendo, solo per il gusto di provocare la sorella della mia ragazza.
«Cosa vuoi capirne, tu, scemo di un Rad!» sbraita, furente, facendo scoppiare a ridere tutti. Tutti tranne Vegeta, che sembra sempre più irritato. Il solito musone.
«Super mega iper bellissime!» ripete mio fratello, cominciando a saltellare felice.
«Tu sei troppo rumoroso! Non ti sopporto! Tsk!» sbotta Vegeta, facendo confluire tutto il suo malumore verso mio fratello.
«Uffa! Vegeta-san è sempre cattivo con Goku-kun! Ma Goku-kun gli vuole bene!» piagnucola mia fratello.
«Cosa c’entra se tu mi vuoi bene?! E poi dovresti chiamarmi Vegeta-sama, se proprio devi rivolgerti a me!»
«E dai, Vegeta, non fare lo scimmione come al solito…» gli dice suadente Bulma, dandogli un bacio sulla guancia che lo fa irrigidire come se fosse una statua e lo fa arrossire. L’ha messo a disagio, l’ha fatto apposta quella stronzetta. E io non mi farò sfuggire l’occasione per girare il coltello nella piaga.
«Giusto, Prince, non fare lo scimmione come al solito» mi intrometto, imitando la voce di Bulma e accennando un bacio sull’altra guancia di Vegeta.
«Stammi lontano, Rad! Che schifo! Tsk!» sbraita lui, alzandosi in piedi e dandomi uno spintone.
Tutti scoppiano a ridere. Anche il mio amico accenna un sorriso. È bello essere qui. Avere una famiglia così, degli amici così. Una ragazza come Là.
Mi sento fortunato.
 
 
23 ottobre
 
«Sono arrivato!» annuncio, non appena apro la porta di casa mia nel tardo pomeriggio, di ritorno da scuola e dagli allenamenti di calcio che ho avuto dopo le lezioni.
Mi ritrovo davanti mio fratello. Sorride, mentre indossa la camicia bianca, i jeans e le scarpe nere che gli aveva fatto provare Chichi qualche giorno fa. Non sembra nemmeno lui.
«Goku-kun ha deciso, fratellone» mi dice, guardandomi determinato. «Anche Lazuli-san e Chichi-chan nello spot di ieri ce l’hanno messa tutta, come avete fatto tu e Vegeta-sama quando avete vinto il campionato della prefettura e come fa Bulma-san quando studia e fa gli esperimenti».
«Stai bene vestito così» gli sorrido a mia volta.
«Tutti ce la mettono tutta, e anche Goku-kun vuole mettercela tutta!» ribatte. «Fratellone, Goku-kun vorrebbe provare ad uscire. Adesso».
 
 
 
 
 
 
 
Note: un capitolo piuttosto ricco, anche se vi dico fin da adesso che quello di settimana prossima ha tutta l’aria di essere una bomba. Un po’ perché si intitolerà “Il mondo fuori” per riallacciarsi al finale di questo, un po’ perché succederà una bella sorpresa al suo interno. Che cosa succederà?
Ma andiamo con ordine: Videl-chan fa la vaga e poi Rad si sogna Videl-san, piangendo addirittura nel sonno. Il mistero va avanti, e mi rendo conto che sto mettendo a dura prova la vostra pazienza. ;-)
Goku raggiunge il suo primo obiettivo, non senza fatica e non senza far preoccupare Radish. Dite che quell’ematoma è uno strascico della Sindrome della Pubertà causato dalla troppa tensione?
Spero poi vi siano piaciute le parti in cui Chì e Là gli regalano i vestiti e anche il piano per uscire di casa step by step. Soprattutto mi auguro abbiate apprezzato lo spot delle due sorelle e i loro look meravigliosi, magari anche la canzone degli Offspring che è roba da intenditori. Se non la conoscete perché siete troppo giovani (non che io e chi la conosce siamo troppo vecchi, sia ben chiaro, perché potrei offendermi… era “solo” il 2000 dopotutto), cercatela perché “I want you bad” è troppo bella e troppo adatta a loro, soprattutto a Lazuli e a chi si sente come lei. ;-)
Spero poi che vi sia piaciuta l’idea di tornare a dare ruolo da adesso in poi a Mai facendola diventare una collega di Rad e soprattutto la gag con Lunch. Vi ricordo che Lunch arriva da Fukuoka, molto lontana da Fujisawa e da Tokyo, e che anche per questo all’inizio si tirava complessi perché voleva sentirsi accettata come una “del posto” e non sentirsi una “forestiera” magari a causa della pronuncia o di espressioni del suo dialetto di origine come ho provato a immaginare fosse quella strana filastrocca.
 
Ringrazio tutti coloro che mi sostengono sempre e che mi fanno sentire la loro vicinanza con una recensione o immaginando le teorie più disparate sui misteri legati a questa storia. Adoro leggerle, davvero! Grazie mille anche a chi legge in silenzio, veder crescere il numero delle views mi fa capire che ci siete sempre!
Un grazie speciale poi a Sapphir Dream per il fantastico disegno relativo allo spot di Là e Chì con i look che ho descritto realizzati alla perfezione (mi sono immaginato che fossero così le gigantografie sparse per la città) e anche a Misatona, che ci regala un meraviglioso Goku-kun tutto fiero con la sua lista degli obiettivi che vuole raggiungere. La sua espressione è bellissima!
 
Niente, non mi resta che darvi appuntamento a mercoledì prossimo e augurarvi un buon Halloween e un buon Lucca Comics. Vi ho già anticipato che il prossimo sarà un capitolo importante per diversi motivi e con diversi colpi di scena. Tra l’altro vedremo ancora Là e Chì al lavoro insieme, ma stavolta nel campo preferito da Chichi! Per il resto ci saranno ancora in scena Vegeta, Bulma e persino Crilin. Anche se, appunto, succederanno almeno un paio di cose di importanza capitale! ;-)
Riuscirà davvero Goku a uscire di casa?! Quale sarà la sorpresa?!
Grazie mille, a presto!
 
Teo
 
 
 

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Capitolo 38
*** Il mondo fuori ***


38 – Il mondo fuori
 
 
«Ok, proviamo ad uscire» dico a mio fratello, lasciando la porta aperta alle mie spalle e appoggiando a terra lo zaino di scuola e il borsone da calcio. Muovo un passo verso di lui.
«Goku-kun si è messo apposta il vestito elegante, quello che gli ha consigliato Chichi-chan».
«Hai fatto bene, questa è un’occasione importante» gli sorrido, appoggiandogli una mano sulla spalla. Sembra tranquillo, ma so che probabilmente ha molta paura in questo momento. «Hai già fatto una piccola pausa come avevi scritto nei tuoi appunti?»
«Goku-kun ne ha già fatta una bella lunga e ha anche messo le scarpe».
«Te le senti comode?»
«Sì, anche se sembra una sensazione tutta nuova mettere le scarpe e tenerle su così a lungo dopo tanto tempo» risponde, prima di chiudere gli occhi e respirare profondamente. «Ora Goku-kun si aggrapperà alla tua schiena».
«Ok, procedi» gli dico, dandogli le spalle.
Lui mi abbraccia da dietro e affonda la testa nella mia schiena. Mi sta stritolando.
«Mi stringerai così forte?» gli chiedo, voltandomi leggermente.
«Sì! Così forte!» sbotta, attaccato a me. Ha gli occhi chiusi, e sento il suo cuore battere all’impazzata contro di me.
«Senti, Goku…».
«Sì?»
«Stai ricaricando il tuo “potere fratellone” di cui parlavi nel quaderno?»
«È al 50%».
«E tra quanto sarà al massimo?»
«Tra cinque minuti».
«Se hai paura, possiamo riprovarci tranquillamente un altro giorno. Non ci corre dietro nessuno, anche Là e Chì la pensano in questo modo» gli spiego dolcemente. «Ti sei vestito per uscire e hai anche messo la scarpe davanti all’ingresso, è già un bel passo avanti».
«N-No! Goku-kun ha… ha paura!» sbotta lui, con la voce rotta da un pianto che fatica a trattenere, stringendomi più forte. «Ha… ha paura di restare così com’è adesso! Ha paura di pensare che le cose rimarranno così per sempre!» aggiunge, spezzandomi il cuore per la purezza dei suoi timori. Ha ragione lui, dobbiamo provare ad affrontare questa situazione di stallo che viviamo ormai da due anni e mezzo. È per il suo bene, anche se ho il terrore di vederlo soffrire.
«Capisco…» sospiro, accennando un sorriso che lui non può vedere.
«Goku-kun adora stare in casa! Uscire gli fa paura!» grida, stretto a me. «Gli fa paura, ma... ma il pensiero di non poter mai più uscire gli fa molta, molta più paura».
«Hai ragione, Goku. Allora vaffanculo a tutto il resto e facciamolo, ok?!»
«O-ok…».
«Goku, mi sto avvicinando alla porta» gli annuncio, muovendo un passo in avanti e trascinandolo con me.
«S-sì…» farfuglia, mentre faccio a fatica un altro paio di passi in avanti. È pesante e rigido come uno statua, ma siamo finalmente sull’uscio di casa.
«Goku, riesci a vedere cosa c’è davanti? Lo vedi il mondo fuori?» gli chiedo, fissando il pianerottolo e il sole al tramonto che attraversa le finestre sulla tromba delle scale.
«Goku-kun ha ancora troppa paura e ha gli occhi chiusi, quindi non vede proprio nulla!»
«Ok, ho capito…» sospiro. «Allora facciamo un passettino alla volta. Vedrai che ce la facciamo» aggiungo, facendo un passo in avanti. Il mio piede destro è sul pianerottolo, mentre Goku è ancora in casa, come il mio piede sinistro.
«F-fratellone, siamo… siamo già fuori?!» balbetta mio fratello.
«Siamo ancora sull’uscio di casa» gli rispondo, spostando anche il piede sinistro all’altezza del destro, trascinando Goku con me.
Muovo un altro passo in avanti, un altro ancora.
«A-adesso siamo fuori?!» sussurra Goku.
«Non ancora» mento. «Manca poco».
«Basta così, fratellone!» urla mio fratello, stringendomi così forte da mozzarmi il respiro. «Goku-kun non può farcela! Riproviamoci un’altra volta! Ci vorranno altri dieci anni prima che Goku-kun riesca a uscire di casa!» aggiunge, in preda al panico, mentre con un forte strattone mi libero di lui e faccio un altro passo avanti.
«Apri gli occhi, Goku!»
«N-non ce la fa! Goku-kun non ci riesce! D-dove sei?!»
«Apri quei cazzo di occhi!» lo incito. «Sono qui davanti a te!»
Mio fratello apre gli occhi lentamente, prima di sgranarli e guardarsi prima a destra e poi a sinistra. Siamo sul pianerottolo. Siamo fuori. Ce l’ha fatta anche lui ad uscire di casa.
«F-fratellone, siamo…» farfuglia con un filo di voce.
«Sì, siamo fuori» gli sorrido. «È questo il mondo fuori» aggiungo, indicando col volto il sole al tramonto che si perde dietro ai palazzi visibili dalle finestre della tromba delle scale.
«L’avevi pianificato fin dall’inizio?!»
«Diciamo di sì… sapevo che potevi farcela».
«Goku-kun è… è…» bofonchia, prima di crollare a terra in ginocchio e cominciare a piangere.
«E-ehi, Goku! Stai bene?!» mi inginocchio davanti a lui, abbracciandolo. «Mi spiace averti mentito, ma sapevo che volevi uscire con tutto te stesso. E ce l’hai fatta. Sono fiero di te».
«Fratellone… Goku-kun piange perché è felice di essere riuscito a uscire di casa!»
«Sei stato… sei stato bravissimo…» sorrido di nuovo, mentre lacrime di gioia e di sollievo cominciano a scorrere anche lungo le mie guance.
«Goku-kun!»
La voce di Chichi ci va voltare entrambi verso l’inizio del pianerottolo, da dove sono appena spuntate lei e Lazuli.
Chichi corre verso di noi. Piange anche lei, mentre Lazuli accenna un sorriso e continua a camminare.
Mi asciugo velocemente le lacrime e mi sciolgo dall’abbraccio di Goku, mettendomi seduto sul pianerottolo accanto all’entrata di casa mia, con la schiena appoggiata al muro. Sono stanco, ma anche tanto felice. E sollevato, soprattutto. Mi sembra di essermi tolto un macigno dalla schiena.
«Chichi-chan! Goku-kun… Goku-kun ce l’ha fatta!» urla lui, asciugandosi le lacrime e sorridendo, mentre Chichi si getta a terra in ginocchio e lo stringe forte a sé.
«Sei… sei stato bravissimo, Goku-kun!» risponde lei, con la voce strozzata dalle lacrime.
«Goku-kun ha messo i vestiti scelti da Chichi-chan per darsi forza e perché era un’occasione speciale!»
«Oh, Goku-kun!» si limita a rispondere Chichi, scoppiando di nuovo in lacrime a abbracciandolo più forte, appoggiando la testa sulla sua spalla. «Io… io…» farfuglia, incapace di proseguire.
«Sono fiera di te, Goku-kun» gli sorride Lazuli, scompigliandogli i capelli con una mano, prima di sedersi accanto a me con la schiena appoggiata al muro.
«E sono fiera anche di te, Rad» sussurra, facendosi vicina a me e appoggiando la fronte contro la mia.
«Vederti seduta qui sul pianerottolo mi va venire in mente quando ci siamo conosciuti» le sorrido. «Quando sei venuta a cercarmi due settimane dopo che ci eravamo parlati per la prima volta».
«Ero venuta a cercarti solo perché avevo fame» accenna un sorriso anche lei. «Mi stavi antipatico».
«No, che non ti stavo antipatico…» ghigno.
«Hai ragione, in fondo non eri poi così antipatico, ripensandoci bene» sospira lei, azzerando le distanze e baciandomi intensamente.
Mi godo il suo sapore e il suo calore, la sua vicinanza che mi dà forza e mi rigenera. Che mi fa sentire vivo. Che mi fa sperare ogni fottutissimo giorno che ogni cosa andrà per il meglio.
Riapro gli occhi solo quando lei si rannicchia su di me e appoggia la testa alla mia spalla.
Guardo mio fratello, che cerca inutilmente di consolare Chichi che non smette di piangere abbracciata a lui. Mi osserva con aria interrogativa, e io gli faccio un cenno d’intesa sollevando il pollice.
«Vai forte» gli sussurro, sperando che riesca a leggere il mio labiale, anche se sembra non capire.
«Goku-kun… io… io sono tanto felice oggi e… e…» farfuglia Chichi, sollevandosi leggermente dalla spalla di mio fratello e guardandolo negl’occhi, cercando di asciugarsi le lacrime. È un po’ rossa in faccia, ma i suoi occhi neri brillano come carboni ardenti.
«Ehm… Chichi-chan… G-goku-kun è…» balbetta lui, incapace di dire qualcosa di sensato, prima che Chichi all’improvviso lo baci, stringendosi di nuovo a lui e facendogli sgranare gli occhi.
Anch’io sgrano gli occhi, e persino Lazuli ha un sussulto. Guardo Goku chiudere gli occhi dopo qualche istante di smarrimento dovuto alla sorpresa e appoggiare timidamente una mano tremante sulla nuca di Chichi, ricambiando il suo bacio.
È tutto così strano. Così assurdo e così bello. Li trovo… li trovo teneri.
«Penso che dovremmo entrare a preparare la cena, noi due» accenna un sorriso Lazuli, rialzandosi e porgendomi una mano, mentre con l’altra si sistema una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio.
«A preparare la cena… oppure ad ingannare il tempo facendo ben altro, madame…» sorrido sghembo, baciandole elegantemente le mano e alzandomi a mia volta, trascinandola in casa con me.
 
 
10 novembre
 
Da quella volta, Goku ha cominciato a fare passi sempre più grandi nel mondo esterno e in questo è stato fondamentale anche l’aiuto di Lazuli e Chichi. Il giorno dopo è riuscito ad arrivare fino alle scale, quello dopo ancora siamo usciti dalla portineria e abbiamo fatto qualche passo sul marciapiede. Da quel momento in poi è stato tutto in discesa, perché una volta rotto il ghiaccio lui ci ha preso gusto ed è diventato sempre più sicuro di sé. Abbiamo infatti cenato  a casa di Lazuli e Chichi, e il giorno seguente siamo andati al parco dove avevo conosciuto Lunch. Siamo andati in città e abbiamo comprato i panini alla crema che piacciono a Là e mangiato in un bar il daifuku alle fragole che tanto ama Chichi, come aveva detto quella volta in tv in cui l’ho vista per la prima volta. Sono fortunato ad avere loro due che mi aiutano, e anche Goku sembra essere ancora più motivato se ci sono loro.
Talvolta Chichi lo prende per mano quando siamo in giro, anche se la cosa sembra mettere un po’ a disagio entrambi dato che mio fratello è il solito imbranato e lei fa sempre la voce grossa, ma sotto sotto ha un carattere davvero dolcissimo e un po’ insicuro.
Abbiamo anche preso il treno per una breve tratta, facendo poi via via tragitti sempre più lunghi, e anche lì è stato un successo. Come è andata alla grande portarlo gradualmente in posti affollati come supermercati, cinema o negozi.
Sono passate quasi tre settimane da quando Goku è riuscito a uscire sul pianerottolo di casa, e ammetto che sono stati momenti che mi porterò nel cuore per sempre. Mi sembra di aver cresciuto un figlio, non solo di aver aiutato con tutto me stesso un fratello che era andato psicologicamente in crisi due anni e mezzo fa e che non sembrava più lui. Non penso a Goku-san, come dice lui, voglio davvero bene a Goku-kun e sono tanto fiero dei suoi progressi. Soffrirei se dovesse sparire dalla mia vita come successe allora con Goku-san. Ma non devo pensarci, devo solo cercare di continuare a rendere la vita di mio fratello migliore, un passo alla volta.
 
«E bravo Son-kun» mi dice Bulma, mentre la guardo sorseggiare un caffè nel laboratorio di scienze e in contemporanea svuotare una provetta in un contenitore più grande, dopo che l’ho aggiornata sulle ultime novità relative a mio fratello. «Sarai pure un maiale senza speranze, ma sei anche un bravo fratellone».
«Ehi, ma cosa c’entra adesso che sono un maiale?! E poi non è vero» protesto, fingendomi offeso. «Forse…».
«In ogni caso sono felice per voi, state facendo grandi cose per Goku-kun».
«Grazie, Bulma» le sorrido. «A proposito, stasera Là e sua sorella faranno un breve live in un locale per presentare il loro nuovo singolo che hanno scritto e cantato insieme! Volete venire anche tu e Prince?»
«Non ce la vedo molto Lazuli-san a fare la idol…» scuote lentamente la testa la mia amica, annotandosi dei dati sul quaderno. «Comunque sì, vedrò di trascinare con me anche il tuo amichetto scimmione».
«Basta che lo ricatti, se dovesse fare storie: digli che non gliela darai per un po’ di tempo, vedi come comincia a rigare dritto!» scoppio a ridere.
«Son-kun» ringhia Bulma, appoggiando la biro sul tavolo e incenerendomi con lo sguardo, con la faccia paonazza. «Mi fai schifo».
«È affascinante questa cosa: mi insulti sempre, ma mi vuoi anche bene» ribatto, ghignando e allargando le braccia.
«Mi fai schifo e basta, sei senza speranze…» sbuffa lei, ricominciando a dedicarsi al suo esperimento. «Dirò a Lazuli-san di scagliarti il microfono in testa alla fine della sua esibizione».
«Va che sarebbe capace di farlo davvero!» rido sguaiatamente. «E sua sorella non sarebbe da meno!»
«Le capisco e le sostengo, io farei lo stesso» sospira. «Allora, come se la cava Lazuli-san a cantare e ballare? Non mi sembra una ragazza con un carattere tale da poter sopportare personaggi come le idol…».
«Lei se la cava alla grande, del resto riesce bene in tutto. E poi è un animale da palcoscenico, lì si trasforma davvero ed è impressionante» le rispondo. «Però dice che questa canzone dovrebbe essere un caso unico o quasi nella sua carriera nel mondo dello spettacolo, ci teneva a fare qualcosa con sua sorella nel suo campo stavolta, dopo aver girato insieme quello spot il mese scorso».
 
«F-fratellone…» balbetta Goku, con un filo di voce, pochi minuti dopo il nostro ingresso nel locale gremito dove stanno per esibirsi Lazuli e Chichi. Siamo in fondo e vicini all’uscita, dalla parte opposta del palco e lontani dalla ressa. Un po’ come avevamo fatto io Chichi al concerto delle Sweet Bullet, quando la mia ragazza era ancora nel corpo di sua sorella. «A… a Goku-kun fa un po’ paura questo posto… c-c’è tanta gente e anche molto rumore…».
«Stai tranquillo, ci sono qui io e ci sono anche loro» gli sorrido, indicandogli Bulma e Vegeta accanto a noi. «E qui ci sono solo brave persone, sono tutti fans di Là e Chì! Comunque se non te la senti possiamo anche uscire, non c’è problema».
«Tsk! Sei troppo indulgente con lui, Rad!» sbotta Vegeta, irritato, mettendosi accanto a Goku dal lato opposto a quello in cui mi trovo io. Incrocia le braccia al petto e appoggia la schiena al muro, guardando fisso davanti a sé in direzione del palco. «Tu resta in mezzo tra me e tuo fratello, non ti succederà niente!» sibila, stizzito e imbronciato, senza guardare Goku.
«V-vegeta-sama… grazie…» bofonchia mio fratello, guardandolo ammirato.
«E non ringraziarmi, mi sono messo qui solo perché mi va!» ribatte il mio amico, cercando di nascondere il suo imbarazzo e facendomi sorridere. Sono felice per quello che sta cercando di fare a modo suo per aiutare Goku. Del resto sta imparando gradualmente a integrarsi col mondo esterno e non sempre fila tutto liscio, soprattutto se non ci sono anche Chichi e Lazuli a dargli sicurezza.
«Sei proprio fortunato ad avere due guardie del corpo come questi due scimmioni, Goku-kun!» gli sorride Bulma, accarezzandogli i capelli sotto lo sguardo stizzito di Vegeta, che sembra digrignare quasi i denti. «Vedrai che Lazuli-san e Chichi-chan saranno fiere di te, oggi poi è una serata importante per loro!»
«S-sì, Bulma-san!» sorride Goku, finalmente più sciolto, mentre le luci si spengono e un boato accoglie l’entrata in scena delle due cantanti che tutti stavano aspettando.
La luce ad occhio di bue le illumina, finalmente, e la gente sembra impazzire. Lazuli indossa un top blu e una gonna corta grigia con dei fiocchetti blu fissata con una cintura nera borchiata, con stivali alti neri che le arrivano al ginocchio. Tra i capelli porta la sua solita mollettina nera glitterata a forma di testa di coniglio. È semplicemente meravigliosa, penso, mentre sento ribollirmi il sangue nelle vene e mi impongo di darmi una calmata e provare a concentrarmi sulla musica. Ma non è colpa mia se il suo look lascia così poco spazio all’immaginazione, lasciando scoperta buona parte del suo fisico tonico e perfettamente definito.
Chichi invece ha una canottiera aderente viola con dettagli lilla come i suoi stivali che le arrivano a metà caviglia, una gonna corta nera dello stesso taglio di quella di Là fissata con una cintura borchiata uguale alla sua e delle parigine nere che si fermano a metà coscia. Tra i capelli legati in una coda porta un cerchietto con un grosso fiocco viola di lato. È bellissima anche lei, e noto con piacere mio fratello guardarla con gli occhi sgranati e la bocca semiaperta. Entrambe hanno poi un braccialetto borchiato nero sul polso destro, e una fascia viola che risale fino al gomito sul braccio sinistro.
Stanno benissimo insieme e sono perfettamente coordinate, mentre parte la musica e cominciano a ballare.
«Ciao Fujisawa! Siete meravigliosi stasera!» esclama Chichi, ricevendo un boato in tutta risposta. Noto anche sua madre in prima fila, che salta e balla. Sembra felice, e la cosa non può che farmi piacere.
Mi volto alla mia destra, mi sento osservato. Riconosco in un angolo del locale addirittura la mamma di Lazuli, con le braccia incrociate sotto il seno e la schiena appoggiata al muro. La sua espressione è dura, ma accenna un sorriso quando incrocia il mio sguardo.
Che si ricordi di me da quella volta in spiaggia in cui non riusciva a vedere sua figlia, né tantomeno a ricordarsela? Direi di sì.
Le sorrido a mia volta, salutandola con un cenno della mano.
La mia ragazza mi aveva detto che ultimamente aveva ripreso un po’ i contatti almeno telefonicamente con sua mamma, ma mai avrei pensato di trovarla qui. Sono felice di questo, anche perché so che ha detto a Lazuli che non vuole tornare a farle da manager, ma solo essere sua madre.
Forse non riusciranno mai a volersi bene davvero, ma almeno potranno avere un rapporto civile e potranno provare a conoscersi gradualmente. Sempre meglio dell’indifferenza.
Magari sua madre riuscirà col tempo addirittura a comportarsi da “madre”, una cosa che credo abbia fatto ben poco negli ultimi diciotto anni.
Ma ho fiducia che andrà tutto bene. Anzi, ne sono certo.
«Grazie a tutti per essere qui!» aggiunge Lazuli, sollevando grida di approvazione e di gioia da parte di tutti, mentre le luci colorate della coreografia e il fumo di scena che viene sparato dal basso creano un effetto magnifico.
«Questo è il nostro nuovo singolo! Fight!» urlano in coro, battendosi poi il pugno l’una contro l’altra e riprendendo a interpretare la loro coreografia.
«Su le mani!» grida Chichi, cominciando a battere ritmicamente le sue a tempo di musica, imitata dal pubblico.
«Tutti insieme!» interviene Lazuli, battendole a sua volta.
«Fight, fight! Continua a lottare!» comincia a cantare Chichi.
«Fight, fight! Non devi mollare!» aggiunge Lazuli, che mi sembra tremendamente a suo agio nei panni della cantante. La base musicale è orecchiabile, ma decisamente più rock rispetto alla classiche canzoni da idol. Io la conosco già, ovviamente, e sono certo che avrà successo questo pezzo. E poi loro due sono bravissime. Anzi, sono straordinarie in coppia.
«Se hai un sogno nel cuore, tu devi lottare. Andare avanti, non lasciarti fermare» riprende Chichi.
«Momenti duri, ansie e paure. Tu cerca nel cuore tutte le cure» interviene Lazuli.
«Devi guardare in faccia il tuo destino! Anche quando fa male, quando sei sola, quando ti senti nel mirino!» gridano in coro.
«Qui nessuno si arrende, un sogno si va e lo si prende! Anche quando fa male, quando tutto sembra crollare!» aggiunge Lazuli.
«Perché solo tu puoi!» riprendono in coro.
«Ma solo se lo vuoi!» canta Chichi.
«Non siamo mai davvero soli!» interviene la mia ragazza.
«Guardati intorno, non pensare agli errori!» cantano di nuovo in coro.
«Ora il peggio è passato, il futuro è davanti!» grida Chichi.
«Se guardi al tuo fianco c’è chi può aiutarti!» completa la strofa Lazuli.
«Fight, fight! Continua a lottare! Fight, fight! Non devi mollare! Fight, fight! Fight, fight!» urlano in coro, senza smettere di ballare durante un assolo di chitarra.
«Fight, fight! Riprendi a sognare! Fight, fight! A cantare e ballare! Fight, fight! Il mondo è là fuori! Fight, fight! Un sorriso e migliori!» continuano insieme, mentre il pubblico sembra come impazzito. Anche Goku salta e balla accanto a me, e persino Vegeta accenna un sorriso pur restando appoggiato con la schiena al muro e le braccia conserte. Bulma, invece, sembra divertirsi molto e sta cantando anche lei.
«Fight, fight! La vita è davanti!» canta Chichi, da sola.
«Fight, fight! La mordi e la baci!» aggiunge Lazuli.
«Fight, fight! Cadi e ti rialzi!» riprendono in coro, fino alla fine.
«Fight, fight! Fight, fight!»
«Fight!»
Il pubblico urla, salta, continua a ballare. Loro due fermano la loro danza nell’esatto istante in cui si interrompe la musica, fermandosi l’una davanti all’altra incrociando i loro avambracci destri, in una posa da vere guerriere. Ansimano e accennano un sorriso, mentre si guardano intensamente negl’occhi e la gente continua ad acclamarle.
Sono state straordinarie. La canzone e la coreografia, ma soprattutto il modo in cui hanno saputo interpretarle sono state semplicemente meravigliose.
Missione compiuta anche stavolta, a quanto pare.
Là non sbaglia mai, è una certezza. La mia certezza, soprattutto.
Incrocio il suo sguardo di ghiaccio per un lungo istante quando si volta con sua sorella a salutare e ringraziare il pubblico. Il suo sorriso si scioglie, mentre mi guarda, così come il cuore che batte all’impazzata nel mio petto.
 
 
16 novembre
 
«Le persone penseranno che Goku-kun è strano, fratellone?» mi chiede timidamente mio fratello, stretto al mio braccio in un vagone del treno pieno di gente.
«Non preoccuparti. È tutto ok» provo a rassicurarlo, mentre incrocio il mio sguardo con quello di Lazuli e Chichi, in cerca di aiuto. A volte mio fratello continua ad avere momenti di insicurezza e attimi di panico in pubblico. Sta facendo enormi progressi, ma ogni giorno è diverso e non sempre riesce ad essere forte allo stesso modo.
«Però Goku-kun sente su di sé gli sguardi della gente…» sussurra mestamente, stritolandomi il braccio.
«Al massimo la gente si chiederà perché ti stai aggrappando a me come un koala» provo a scherzare.
«Dammi la mano, Goku-kun. Va tutto bene» gli sorride dolcemente Chichi. Goku si stacca da me lentamente e la prende per mano, respirando profondamente e tenendo la testa bassa.
«G-goku-kun ha avuto paura di morire per un attimo…» farfuglia, accennando un sorriso verso Chichi, senza mollare la sua mano.
«Non dire più queste sciocchezze, ok?» gli dice lei, accarezzandogli a capelli.
«O-ok…».
«Goku-kun, prova a guardare un attimo fuori dal finestrino» interviene Lazuli, per provare a distrarlo.
«Urcaaa! Il mareee!» grida, tutto felice, voltandosi insieme a noi nella direzione indicata dalla mia ragazza. Ora tutti ci guardano davvero, ma non me ne frega niente.
Oggi infatti stiamo andando in spiaggia per fare un picnic e passare il pomeriggio lì, facendo conoscere anche a mio fratello il mare. È una bellissima giornata, il sole che splende fa sì che si stia benissimo anche in felpa o con un giubbino leggero all’aperto. Tutti e quattro, infatti, ci siamo vestiti decisamente in stile street urban. Io indosso una maglietta Dolly Noire e un giubbino di ecopelle leggero, Goku una felpa Jordan, Là un giubbino di ecopelle nero con sfumature dorate e un teschio ricoperto di Swarosky sulla schiena e Chì una giacca di jeans corta e aderente. Siamo un bel gruppo, non c’è che dire. Tutti in jeans e sneakers Jordan o Adidas… credo che potremmo girare anche adesso uno spot per la catena di negozi “J-Sports”, saremmo perfetti!
 
«Gli onigiri sono più buoni se mangiati all’aperto! Soprattutto se mangiati in spiaggia!» esclama Goku felice, dopo aver addentato l’ennesima polpetta di riso che hanno portato da casa le ragazze, tra le altre cose squisite che abbiamo già divorato.
Siamo seduti tutti e quattro sui teli che abbiamo disposto sulla sabbia e stiamo pranzando guardando il mare. La spiaggia è deserta, si sta divinamente. Mi sento felice, appagato. Sereno.
«Davvero! Gli onigiri di Là sono spettacolari!» confermo, dando un morso anch’io a un ennesima polpetta.
«Guarda che quelli al sesamo li ho fatti io!» ringhia minacciosa Chichi, guardandomi male.
«Uhm… ecco perché in realtà non mi piace…» sospiro, provocandola. «Vuoi finirlo tu, Goku?»
«Shììì… urgh… sì!» farfuglia mio fratello a bocca piena, deglutendo a fatica e divorando anche il mio onigiri, mentre continuo a fissare con aria di sfida Chichi e a sorridere da ebete per farla arrabbiare.
«Tu… non ti sopporto!» sbraita, dandomi un pugno in testa così forte da stordirmi per qualche istante.
«Ahia… merda…» mi lamento, piegato in avanti.
«È quello che ti meriti quando fai troppo il cretino» sibila freddamente Lazuli, seduta composta mentre beve un bicchiere di tè verde osservando il mare.
«Goku-kun! Goku-kun! Bevi un po’ d’acqua, ti stai soffocando!» grida Chichi, porgendo tutta allarmata a mio fratello una bottiglietta d’acqua, mentre lui si batte dei pugni sul petto e fa versi degni di un maiale nel porcile. Diventa spesso e volentieri una bestia quando mangiamo, in effetti. Non che a me manchi, l’appetito, tutt’altro. Ma ho ben altra classe, sia chiaro!
«È tutta colpa tua, Rad!» aggiunge Chichi, minacciando di colpirmi ancora, mentre Goku tossisce e riprende a respirare dopo aver finalmente deglutito.
«Grazie fratellone per l’onigiri, era buonissimo!» mi sorride.
«Visto?» sorrido sghembo a Chichi, che allarga le braccia rassegnata, cercando la collaborazione di sua sorella, guardandola. Ma Lazuli non ci degna di uno sguardo, adorabilmente distaccata come solo lei sa fare, mentre apre dei bento contenenti gli okonomiyaki preparati da lei, ossia il mio piatto preferito.
«Wow! L’okonomiyaki dello chef Lazuli Eighteen!» grido, fiondandomi sulla mia parte, seguito a ruota da Goku, che esulta anche lui da bravo pozzo senza fondo. «Uhmmm… guarda e impara, Chì! Questo è un capolavoro!» provoco di nuovo la mia cognatastra dopo aver mangiato un boccone.
«Fammi capire, cosa avrebbe di così speciale?!» sbotta lei, offesa. È sempre così divertente farla arrabbiare, adoro prendermi gioco di lei. «È buono, ma non mi sembra abbia un sapore così speciale» aggiunge, venendo automaticamente fulminata da sua sorella maggiore. «E-ehm… scusami sorellona, non… non intendevo dire… cioè, è lui che mi manda in bestia!» prova a giustificarsi.
«In effetti sa essere irritante quando comincia a fare il moccioso fastidioso» risponde lei facendo spallucce.
«Ve lo dico io cosa rende speciale l’okonomiyaki che prepara Là» proclamo solennemente, attirando tutti gli sguardi su di me. «È l’amore! Questi okonomiyaki hanno lo stesso sapore dell’amore!» spiego, mentre Chichi sospira scuotendo la testa e Lazuli accenna un sorriso in mia direzione, leggermente rossa in faccia e con i suoi occhi di ghiaccio che sembrano brillare.
 
Per il resto della giornata abbiamo riso, scherzato e giocato a fare castelli di sabbia. Abbiamo bagnato i piedi nell’acqua fredda del mare, scaldati però da un sole meraviglioso e dalle magnifiche sensazioni che ci hanno riempito il cuore quest’oggi. Ho anche schizzato un po’ d’acqua per dispetto a Chichi, aizzando tutta la sua ira e ricevendo anche un ceffone da Lazuli, irritata dai nostri schiamazzi. A quanto pare stavamo facendo troppo casino per i suoi gusti. E, ovviamente, se l’è presa con me, riportando però subito la calma anche in sua sorella. Io la amo anche e soprattutto per questo, la mia adorabile e dolce psicopatica!
È bello essere qui. È davvero bello.
Siamo una famiglia ormai, e io credo con tutto me stesso che potremo esserlo per sempre.
Anche se siamo giovani, anche se certe cose magari potrebbero cambiare col passare del tempo. Ma sono certo che l’amore che riesco a toccare con mano nell’aria quest’oggi non tramonterà mai. Non cambierà mai.
Abbiamo parlato tanto, oggi. Abbiamo sognato.
Io credo sul serio che la vita possa essere un sogno senza fine.
Lazuli e Chichi tornano a sedersi sui nostri teli, mentre il sole comincia lentamente a tramontare e io e mio fratello stiamo giocando a calcio a piedi nudi con un pallone che saggiamente mi sono portato da casa.
Faccio un lancio lungo in direzione di mio fratello, che manca l’aggancio al volo e si ritrova costretto a inseguire il pallone lontano da noi, mentre anch’io lo seguo lentamente. Noto che la palla sta finendo in direzione di un ragazzo appena arrivato sulla spiaggia, che la stoppa di piede e la passa gentilmente a Goku.
«G-grazie!» esclama mio fratello, sorridendogli rigidamente, un po’ a disagio. Non è ancora semplice per lui rivolgersi agli sconosciuti, soprattutto se non c’è uno di noi a introdurre la conversazione e ad aiutarlo, facendogli da filtro.
«Ma tu… Goku-kun!» esclama il ragazzo, sorridendo felice in direzione di mio fratello.
Ora che sono più vicino lo riconosco: è Crilin, il suo amico d’infanzia con cui ho parlato quel pomeriggio in cui dovevo vedermi con Videl, che invece non si è più fatta viva. Mi faccio serio, perché non so se Goku sia pronto per incontrare qualcuno che arrivi dal suo passato, maggior ragione se collegato alla scuola, la fonte di tutti i suoi mali.
«Lo conosci?» domanda Chichi, sopraggiunta anche lei insieme a Lazuli, che invece osserva serissima e in silenzio la scena. Anche lei ha riconosciuto il nuovo arrivato.
«C-chi sei?!» balbetta Goku, nascondendosi dietro di me.
«Goku-kun, sono io! Crilin Kurinin!» esclama il ragazzo rasato, allibito e allo stesso tempo profondamente scosso. «Non ti ricordi di me?! Io… io lo capisco se sei arrabbiato con me, ma io davvero…».
«S-scusa… Goku-kun non ti conosce…» sospira mestamente mio fratello, a testa bassa e sempre alle mie spalle, interrompendolo.
«C-cosa significa?!» farfuglia Crilin, sgranando gli occhi, che nel frattempo si stanno riempiendo di lacrime.
Chichi mette un braccio intorno alle spalle di Goku e lo allontana da noi, facendo ritorno ai nostri teli.
«Te l’avevo detto che non era ancora pronto per vederti» dico a Crilin, fissandolo nei suoi piccoli occhi neri.
«Io… io non potevo sapere che sareste stati qui! Sono venuto in spiaggia per caso prima di tornare a casa! Non volevo… non volevo creare problemi a nessuno!» farfuglia, visibilmente pentito, inchinandosi. «Scusatemi».
«Non è colpa tua» gli dice Lazuli, gelida, incrociando le braccia sotto il seno. «Goku-kun ha perso tutti i suoi ricordi due anni e mezzo fa».
«C-cosa… io…» balbetta. «Io vorrei tornare ad essere suo amico».
«Torna a casa e non pensarci più. Goku starà bene, è forte. Prima o poi tornerete amici» lo interrompo, mentre Lazuli mi prende per mano e ci avviamo in silenzio verso mio fratello e Chichi.
«Là».
«Dimmi».
«E se Goku dovesse dimenticarsi di nuovo di me? Di noi?»
«Il Radish Son che conosco io non è tipo da farsi prendere da pensieri negativi» accenna un sorriso, guardandomi dolcemente. «È uno che trova le soluzioni, quando si presentano i problemi».
«Già…» sospiro, accennando un sorriso.
«Là» la chiamo di nuovo, dopo qualche secondo di silenzio. «La vita è un sogno senza fine, vero?»
«Sì, senza fine» risponde lei, stringendosi al mio braccio e dandomi un bacio sulla guancia, mentre continuiamo a camminare. «Come noi».
 
 
 
 
 
 
 
Note: un po’ di fluff finale grazie ai nostri Raduli ci voleva, visto che è stata una conclusione di capitolo piuttosto amara dopo una bella giornata passata in spiaggia da parte dei nostri quattro amici. Spero vi sia piaciuta la semplicità dei piccoli momenti che si ritagliano loro quattro in quel momento, volevo trasmettere l’importanza delle piccole cose e cercare di farvela arrivare. Penso che ci siano tante piccole cose nella nostra quotidianità per cui valga la pena vivere e che ci rendono felici, anche se spesso pensiamo solo alle botte di adrenalina e gioia pura che ci danno certi momenti eccezionali che ogni tanto abbiamo la fortuna di vivere. Ben vengano, ovviamente, sono il primo a bramarli, ma penso sia sempre fondamentale pensare alla bellezza e all’importanza della quotidianità e della semplicità per essere felici. Cerco di trasmettere anche questo con questa storia e spero di farcela. ;-)
Detto questo, sono successe molte cose belle: una bomba forse inaspettata, come il primo bacio tra Goku e Chichi proprio nel momento in cui lui riesce ad uscire di casa. Spero vi sia piaciuta quella scena! E poi c’è il live di Là e Chì, i cui look non sono altro che quelli realizzati da Sapphir Dream nel suo splendido disegno che avevo postato nel capitolo 33 e che potete andare a rivedere, se volete. Spero vi sia piaciuta anche quella parte e la descrizione dello show, magari anche quello che fa Vegeta per aiutare a modo suo Goku-kun.
 
Ringrazio come sempre tutti voi che mi lasciate il vostro parere e mi incoraggiate, tutti voi che continuate a seguirmi e a voler bene a questi personaggi. Grazie di cuore!
In occasione dell’Halloween appena passato, ho pensato di allegare dei disegni realizzati da Echo Saber che ritraggono tre dei personaggi femminili principali di questa storia vestite a tema, cioè Lazuli, Bulma e Videl: quale preferite? Io opto per la diavoletta C18 ;-)
 
Il prossimo capitolo ha un titolo che si ricollega al finale di questo, cioè “La vita è un sogno senza fine”. Ci sarà un po’ da commuoversi, forse. Ci saranno sempre anche Vegeta e Bulma, mentre Lazuli dovrà riprendere le riprese del suo nuovo film.
Ci sarà da continuare a fare il tifo per Goku e per i suoi progressi. Ma anche per Rad, di cui cominciano ad affiorare i timori su quello che potrebbe succedere a suo fratello se dovesse perdere di nuovo la memoria da quando ha cambiato personalità. Avevate mai pensato a questa eventualità? Cosa ne sarebbe di Goku-kun se dovessero tornare i ricordi e la personalità di Goku-san?
Niente, vi ringrazio ancora e vi do appuntamento a mercoledì come sempre! Io devo ancora riprendermi dalle emozioni straordinarie che solo il Lucca Comics sa regalare e da quella sensazione di essere fuori dal tempo e dallo spazio in compagnia di persone fantastiche che solo un evento e una città del genere sanno dare!
A presto!
 
Teo
 
 
 

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Capitolo 39
*** La vita è un sogno senza fine ***


39 – La vita è un sogno senza fine
 
 
17 novembre
 
«Ciao Goku! Cosa fai ancora a letto?!» domando a mio fratello, entrando in camera sua e trovandolo rannicchiato nel suo letto, tutto storto e a pancia in giù. «Ti ho lasciato la colazione in cucina, io sto andando a scuola».
«Fratellone…» farfuglia, cominciando a dimenarsi lentamente. Sembra stia sculettando. Ma che cazzo mi tocca vedere di prima mattina?! «Mi sa che Goku-kun è spacciato! Gli fa male dappertutto!»
«È perché ieri te la sei spassata alla grande in giro e adesso sei tutto indolenzito. È normale, abbiamo anche giocato a calcio» gli spiego, sospirando. «Almeno non hai la febbre» aggiungo, dopo avergli toccato la fronte.
In quel momento noto che dalla schiena gli risale fino al collo un ematoma, coperto parzialmente dai suoi capelli sulla nuca. Sento i miei battiti accelerare, mentre sgrano gli occhi e sembra che improvvisamente mi manchi l’aria. Non di nuovo! Non di nuovo!
«Stai bene fratellone?» mi domanda Goku, fissandomi e mettendosi a sedere.
«S-sì…» gli sorrido, cercando di mostrarmi sicuro. «Adesso pensa a riposarti e a stare tranquillo, io devo andare. Là è già sotto casa ad aspettarmi».
 
«Girerai delle riprese a Kanazawa?!» domando alla mia ragazza, mentre durante l’intervallo sfoglio una rivista che parla del suo nuovo e attesissimo film dal titolo “C18”. C’è anche un’intervista fatta a lei e una al regista. Sembra una vera star del cinema nelle foto che hanno pubblicato. «Vuol dire che non potremo vederci per un po’, che palle…» sospiro malinconicamente. «Mi fa male pensarti a quattrocento km di distanza, anche se sono tanto fiero di te e di questo film».
«Per un paio di giorni gireremo in uno studio qui a Tokyo, quindi riuscirò a fare avanti e indietro da casa. Quando avremo finito, andremo a Kanagawa» mi spiega, dando un morso a un onigiri preso dal bento che ha preparato per entrambi e che stiamo mangiando in classe. Sembra quasi quel giorno in cui ci siamo messi insieme, quel momento rivissuto in loop non so nemmeno io più quante volte. «In ogni caso, chiamami in qualunque momento se dovesse succedere qualcosa. Io mollo tutto e vengo da te, ok?»
«Ti chiamerò anche se non dovesse succedere niente!» esclamo solennemente, alzando il tono della voce e raddrizzando la schiena. Le strappo un sorriso. Non voglio che sia troppo triste all’idea di partire per lavoro. E non voglio che capisca quanto davvero mi faccia paura l’idea che se ne debba andare proprio ora, con Goku che manifesta questi sintomi che non fanno altro che farmi pensare alla Sindrome della Pubertà. Che mi fanno paura. Sì, io ho paura che mio fratello debba soffrire ancora. Che si dimentichi tutto. Che non si ricordi più di me e di quello che abbiamo costruito insieme. Di Lazuli e di Chichi, visto che si è affezionato così tanto a loro. Non voglio che anche loro due soffrano per questo. Non voglio che nessuno soffra, a costo di star male io. Di risolvere io tutto.
«È scontato che mi devi chiamare sempre e comunque, tu» ringhia Lazuli, alzandosi e afferrandomi per la cravatta, tirandomi verso di sé. «Chiaro?!» sussurra, prima di darmi un bacio breve ma intenso e spingermi vigorosamente all’indietro, rimettendosi a sedere come nulla fosse, lasciandomi interdetto e felice al tempo stesso. «È ovvio che quel “se dovesse succedere qualcosa” era riferito a Goku-kun. Non sono stupida, anche se non ne parli lo so cosa ti passa per la testa…» riprende freddamente, guardando il mare fuori dalla finestra.
Già, lei è sempre un passo avanti. È inutile nasconderle le cose. Inutile e impossibile.
«Io… io non voglio che anche tu e Chichi dobbiate soffrire per lui. Più Goku si affezionava a voi e più ci pensavo…» sospiro mestamente, a testa bassa.
«Ehi, nemmeno tu meriti di soffrire per lui. Anzi, soprattutto tu» ribatte la mia ragazza, dolce e determinata al tempo stesso. Si alza e resta in piedi al mio fianco, abbracciando la mia testa e stringendola contro la sua pancia. Mi accarezza i capelli lentamente, mi fa i grattini. Mi sento bene. Mi sento protetto. Al sicuro.
«Se succederà qualcosa non dovrai affrontarlo da solo. Ora non sei più solo» mi dice, mentre una lacrima sfugge al mio controllo e mi scende lungo la guancia, fino a perdersi sulla camicetta bianca della sua divisa scolastica.
«La vita è un sogno senza fine, Rad. Me l’hai detto tu» aggiunge, senza smettere di coccolarmi. «Qualunque cosa accada, ne usciremo insieme».
«S-sì…».
 
«Sono tornato!» annuncio, chiudendo alle mie spalle la porta di casa dopo la scuola. Non vedo mio fratello in salotto, non sento nessun rumore. Starà combinando qualcosa?
«Goku, sono a cas…» mi interrompo, dopo essere entrato in camera sua e averlo trovato quasi legato nel tentativo di mettersi la cravatta dell’uniforme scolastica. «Ma che cazzo…» farfuglio, aiutandolo a liberarsi e sistemandogli il nodo sul collo.
«G-grazie, fratellone…» farfuglia lui, guardandosi allo specchio. «Ahia, Goku-kun è ancora un pochino dolorante!»
«Ti avevo detto di riposare… cosa combini?!» lo osservo sospettoso e anche decisamente preoccupato. Perché si è messo la divisa scolastica? Almeno l’ematoma sul collo non si vede più, per fortuna…
«Proprio ieri Goku-kun è riuscito a passare la giornata in spiaggia» mi spiega, stringendo i pugni con determinazione. «Non vuole farsi frenare da un semplice indolenzimento! Vuole uscire anche oggi!»
«Sei sicuro?»
«Sicurissimo!»
«E vuoi uscire con l’uniforme scolastica?»
«Sì! Goku-kun vuole farla esordire!»
«Ti ho preso un budino mentre tornavo a casa» gli dico, porgendogli un sacchetto.
«Urcaaa! Sì! Grazieee!» esulta, afferrandolo. «Anzi, non cambiare discorso, fratellone!» sbotta, risentito.
«Tranquillo. Il mondo fuori non se ne va da nessuna parte» ribatto, facendo per tornare verso camera mia. Quell’ematoma che ho visto sul suo corpo stamattina mi fa pensare che sia meglio non sottoporlo a sforzi oggi, né fisici, né tanto meno psicologici. È anche dolorante, non vorrei fosse troppo debole. In più ieri abbiamo visto quel suo vecchio amico d’infanzia, e la cosa l’ha profondamente scosso anche se non ha più detto nulla a riguardo, nemmeno a Chichi da quello che so.
«Goku-kun deve stare tranquillo?!» mi domanda perplesso, seguendomi.
«Devi stare tranquillo, sì» provo a rassicurarlo.
«Però… però Goku-kun non conosceva quel ragazzo che abbiamo incontrato ieri in spiaggia…» sospira con una punta di malinconia, mentre lascio cadere a terra il mio zaino e respiro profondamente. «Era un amico di Goku-san, vero?»
«Ti dirò di lui, se proprio vuoi saperlo» rispondo, voltandomi e guardandolo negl’occhi. È strano vederlo vestito con la divisa scolastica, quasi fatico a riconoscerlo.
«A Goku-kun non piacciono le persone che conoscono Goku-san» sussurra mestamente, abbassando la testa. «A loro importa solo di Goku-san…».
«Goku, io non so se…» provo a spiegargli.
«A Goku-kun non piacciono quelle persone, ma non sapere nulla di loro gli fa altrettanta paura!» sbotta, guardandomi di nuovo in faccia, estremamente determinato.
Accenno un sorriso. Sono fiero di lui.
«Si chiama Crilin Kurinin, vi conoscete dall’asilo» gli spiego. «Abita vicino al nostro vecchio appartamento. Giocavate spesso insieme da piccoli e veniva anche a scuola con te, nonostante fosse in un’altra classe».
«Lui… lui voleva bene a Goku-san?» mi domanda, mentre Beerus e Balzar fanno le fusa contro le sue caviglie.
«Sì. Dice che in futuro vorrebbe di nuovo tornare ad essere tuo amico».
«Crilin…» sussurra mio fratello, con lo sguardo perso nel vuoto. «C-crilin-kun!» aggiunge all’improvviso, sgranando gli occhi, mentre una lacrima gli scorre sulla guancia.
«Goku, cosa hai detto?!» esclamo sbigottito. Che si sia ricordato di lui?!
Mio fratello mi guarda, ma i suoi occhi si fanno all’improvviso vacui, mentre comincia a barcollare verso di me, fino a lasciarsi cadere in avanti a peso morto.
«Goku!» urlo, prendendolo al volo e riuscendo così a sorreggerlo. «Goku! Rispondimi! Rispondimi, cazzo!»
 
«Sarò sincero. Finché non avrà ripreso conoscenza, mi è difficile dire qualcosa» spiega a me e a mio padre il primario del reparto dell’ospedale di Fujisawa dove è stato ricoverato mio fratello. «D’altro canto, quando si sveglierà, c’è la possibilità che i suoi ricordi siano in qualche modo mutati».
«Mio figlio potrebbe essere tornato quello di due anni e mezzo fa?!» chiede mio padre, mentre stringo i pugni e digrigno i denti.
«Non posso azzardare ipotesi in questo momento. Mi dispiace».
 
«Allora?! Come sta?! Dimmelo! Dimmelo!» mi corre incontro Chichi, non appena torno in sala d’attesa. Mi afferra per il colletto della camicia e continua a strattonarmi. Ha gli occhi pieni di lacrime.
«Stai calma, lascialo respirare» interviene Lazuli, afferrando per un avambraccio sua sorella e staccandola da me. «Allora?» aggiunge, mentre Bulma passa un braccio intorno alle spalle di Chichi e la stringe a sé per consolarla. Anche Vegeta mi osserva. Ha le braccia conserte e lo sguardo corrucciato, in disparte come al solito. Finge che non gliene freghi niente, ma so che non è così.
«Sta ancora dormendo, il medico dice che potrebbe essere cambiato qualcosa nei suoi ricordi. Ma non può dirlo con certezza finché non si sarà svegliato» spiego, con Chichi che scoppia a piangere appoggiata alla spalla di Bulma.
«Ma fisicamente sta bene, Son-kun?» mi domanda la mia compagna di classe.
«Sì, sta benissimo. È solo la sua mente ad essere un’incognita, a questo punto» rispondo, abbassando la testa e stringendo i pugni così forte da farmi male. «Io… io forse dovevo impedirgli di sforzarsi così tanto come ha fatto in quest’ultimo periodo!»
«Non dire cazzate, Rad!» interviene Vegeta. «Tuo fratello ha quindici anni ed ha finalmente trovato il coraggio per tirare fuori le palle! Hai fatto bene a sostenerlo in questo!»
«La penso anch’io così» mi dice Lazuli, in tono autoritario e allo stesso tempo rassicurante. «Ricordo bene l’entusiasmo che aveva nel scrivere i suoi obiettivi, come ricordo benissimo la sera in cui siamo riusciti a farlo parlare con me al telefono. Era al settimo cielo, non dimenticarti mai di quello che ha provato ogni volta che riusciva a fare un passo in avanti!»
«Lui… lui era così contento mentre pianificavamo insieme i vari step perché potesse uscire di casa» farfuglia Chichi, cercando di smettere di piangere. «E ieri… ieri era così felice di essere in spiaggia!»
«Non devi avere rimpianti, Son-kun» mi rincuora Bulma.
«Io… grazie» sorrido a tutti loro. «Però penso che adesso dovreste andare a casa. È tardi, e non sappiamo quanto potrà dormire ancora. In più i medici non permettono a nessuno a parte me e mio padre di entrare in camera sua».
«Io resto con te» ribatte freddamente Lazuli. «Già dovrò stare via due settimane per le riprese a Kanazawa, non ho intenzione di sprecare altro tempo prezioso».
«Anch’io voglio vederlo quando si sveglierà!» sbotta Chichi.
«Restiamo tutti qui! Tsk!» sibila Vegeta, voltandosi e strappando un sorriso alla sua ragazza.
«Siamo una squadra, Son-kun!» mi spiega Bulma.
«Siete… siete grandi…» sospiro. «Io… io non so cosa dire…» farfuglio, commosso.
«Dai, vieni a fare un giro alla macchinetta con me che ci beviamo qualcosa» decreta Vegeta, invitandomi a seguirlo con un cenno del capo, camminandomi davanti con le mani in tasca. «Sei il solito sentimentale del cazzo».
«Vengo solo se offri tu, Prince» provo a scherzare.
«Solo per questa volta. Ancora non mi è andato giù quando ti sei dato alla pazza gioia al konbini coi miei soldi!» ribatte, alludendo alla nottata che abbiamo passato in spiaggia con Bulma II, la copia della mia amica che tre mesi fa era alle prese con la Sindrome della Pubertà.
«Invece dovresti ringraziarmi, visto che è solo grazie alla mia maestria se adesso stai insieme a Bulma!»
«Ma sta’ zitto per una buona volta, coglione! Tsk!» risponde sprezzante, infilando le monete nel dispenser e passandomi un lattina di Coca Cola.
Cominciamo a bere in silenzio, appoggiati al davanzale della finestra e osservando il cielo nero di questa tarda serata di metà novembre. Non c’è nessuno qui. Siamo solo noi due e le luci fredde del neon che illumina il corridoio che conduce alla sala d’attesa.
«Devi essere schietto con me, Rad» esordisce Vegeta. «Adesso che siamo soli e non ci sono le ragazze, devi dirmi davvero come pensi che finirà questa storia di tuo fratello».
Bevo un sorso fresco, mentre cerco di fare ordine nei mie pensieri confusi e sovraffollati. Mentre cerco di far prevalere la razionalità al sentimento, la realtà alla speranza.
«Io cerco sempre di essere positivo, ma cerco soprattutto di essere sincero ogni giorno» rispondo, osservando il cielo, nero come il mio umore. «Non voglio far soffrire le ragazze, nemmeno farle preoccupare per niente. Perché magari dopo Goku si sveglierà e sarà tutto ok, come prima che svenisse. E io vi sono grato per tutto quello che state facendo per…».
«Arriva al punto, Rad» mi interrompe Vegeta, stizzito. «Ancora un po’ a fai albeggiare…».
«Già…» sorrido malinconicamente. «Niente, Prince, ho la sensazione che tutto stia per andare a puttane. Ho la sensazione che mio fratello si dimenticherà di tutto quello che abbiamo fatto in questi due anni e mezzo, di tutte le persone che ha conosciuto. Di… tutto…» sospiro. «E mi fa paura questa cosa… cazzo… io… io ho paura, Prince!»
«Lui potrà anche dimenticarsi tutto, ma sarà anche in grado di ricordare gradualmente ogni cosa se tu non manderai a puttane tutto e tutti, chiaro?!» sbotta, risoluto. «Adesso cerca di stare tranquillo, se e quando si presenterà il problema lo dovrai affrontare a muso duro, come fai sempre» prova a spronarmi. «Come hai fatto con Broly Berserk nella finale del campionato provinciale e come farai anche al campionato nazionale tra due mesi».
«Ci proverò…».
«”Ci proverò”, un cazzo! Lo farai e basta! Sarai più forte della merda che ti pioverà addosso, chiaro?!» sbotta. «E guai a te se farai casini con la tua ragazza e con le altre! Tuo fratello potrà ricordare tutto solo se saremo uniti come adesso!»
«Grazie, Prince» gli sorrido. «Sei un amico».
«Però guai a te se farai qualche stronzata. Ti riempirò di botte, e guarda che non scherzo!» mi minaccia. «Ora torniamo di là, saranno preoccupate».
 
«Senti, Goku» sussurro a mio fratello, seduto accanto a lui nella sua camera buia illuminata solo dalle luci del corridoio. «Non credo che tu possa sentirmi, ma devi sapere che in sala d’attesa ci sono tutti. Lazuli-san, Chichi-chan… anche Bulma-san e Vegeta-sama. Ti vogliono tutti bene, che tu sia Goku-kun oppure Goku-san. E anche il papà la pensa così… l’ho appena convinto a tornare dalla mamma nel suo ospedale, qui ci siamo già noi con te» aggiungo, mentre osservo il lenzuolo alzarsi e abbassarsi seguendo il ritmo regolare del suo respiro. «Sai, papà dice che la mamma sta meglio. Potrebbe addirittura uscire tra due o tre mesi se continuerà così. Io… io credo che ce la faremo. Che torneremo ad essere una famiglia felice, e che sarà ancora più bello grazie a Là e a Chì» gli sorrido.
Mi sento gli occhi pieni di lacrime. Ha ragione Vegeta: sono solo un sentimentale del cazzo. Forse anche un nostalgico di merda. Magari sono troppo sensibile. O penso troppo, anche se sorrido sempre e provo a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno.
Però sono fatto così, non posso farci niente.
Se amo, lo faccio con tutto me stesso. Se aiuto, lo faccio con tutte le mie forze. Se soffro, soffro sul serio. Se voglio fregarmene della gente o delle voci, sono capace benissimo di farlo. E se ho paura, ho paura davvero.
Non è colpa mia se so vivere soltanto al limite.
Non so se è un bene o un male, ma so solo mettere tutto me stesso in tutto ciò che faccio. In tutto ciò che vivo. Ci metto tutto l’entusiasmo che posso quando sono felice, tutta l’energia che ho. Ma sento il dolore dilaniarmi dall’interno quando qualcosa mi preoccupa, anche se cerco di non pensarci. Di scacciare ogni timore.
So solo che mi dà sicurezza sapere che c’è Lazuli di là, in sala d’attesa, a pochi metri da me. Se lei è vicina sento di avere meno paura, visto che questo è un periodo in cui provo una fottuta paura per quello che sta succedendo a mio fratello.
Ansia e panico, compagni di viaggio del cazzo di ogni dannata notte in cui i pensieri si accavallano fino a stordirti e in cui ti sembra di non riuscire a respirare da quanto stringe forte il nodo alla gola. Da quanto batte forte e incontrollato il cuore, da quanto ti sembra di aver preso un pugno nello stomaco. Le gambe che fanno male come se avessi appena corso per ore. L’anima in cancrena.
Ma io so benissimo che se c’è lei ogni fantasma se ne va via. Ogni preoccupazione o paura. La merda mi scivola addosso più facilmente.
Un fruscio. Il lenzuolo che si sposta leggermente.
Il mio cuore che esplode.
«Fratellone…» sussurra Goku, guardandomi smarrito, con gli occhi solo semiaperti. «Dove siamo?» aggiunge intontito, cercando di mettersi a sedere.
I suoi occhi sono sempre gli stessi. La sua voce anche.
Sorrido, e il mio cuore riprende a battere normalmente.
Un macigno sembra scivolarmi via dalla schiena e perdersi chissà dove.
È Goku-kun quello che ho davanti, non ho dubbi!
«Sei svenuto in casa e un’ambulanza ti ha portato qui in ospedale» gli spiego. «Di là ci sono tutti: Là, Chì, Bulma e Vegeta».
«Lazuli-san e Chichi-chan hanno visto Goku-kun in mutande mentre gli veniva tolta l’uniforme scolastica?!» esclama, guardando il camice da ospedale che indossa.
«Ma cosa vai a pensare?! Abbiamo fatto io e papà insieme a un infermiere!»
«C’era anche papà?»
«Sì, l’ho appena convinto ad andarsene per farlo tornare dalla mamma. Anche lei sta meglio, tra due o tre mesi potrebbe uscire. Qui eravamo già in tanti per te» gli sorrido.
«Urca! Goku-kun è… è felice!» sorride a sua volta. «E vorrebbe ringraziare Chichi-chan e gli altri!»
«Ora chiedo il permesso al medico… ma non fare troppo casino, è tardissimo!» mi raccomando, uscendo dalla sua stanza col cuore finalmente leggero come una piuma. Almeno per adesso, al futuro ci penserò quando sarà diventato presente e dovrò affrontarlo.
 
«Mi raccomando, fate piano» spiego a tutti quanti, mentre entriamo nel reparto dove si trova Goku. «Il medico ci sta facendo un favore e…».
«Goku-kun!» sbraita Chichi, interrompendomi e correndo verso mio fratello. Scoppia in lacrime, mentre lo abbraccia. Anzi, lo stritola.
«Urca, Chichi-chan! Non… non respiro!» bofonchia lui, prima di essere interrotto da un improvviso bacio da parte di Chichi che lo coglie di sorpresa.
Vegeta si schiarisce la voce, irritato, mentre il medico fa capolino sulla porta della stanza e ci osserva severamente.
«Ci scusi, non succederà più» si rivolge gentilmente a lui Lazuli, accennando un inchino e sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi di scena, convincendolo ad andarsene.
«Io… scusatemi!» sbotta Chichi, paonazza, allontanandosi dal letto. «Perdonami sorellona, mi sono lasciata trasportare!» aggiunge, con Lazuli che in tutta risposta alza le spalle, indifferente, e si avvicina a mio fratello.
«Ti trovo bene, Goku-kun» gli sorride.
«Certo! Goku-kun è fortissimo!» esclama lui in tutta risposta, gonfiando i bicipiti e facendo una faccia da duro che ci fa scoppiare tutti a ridere. «Grazie per essere stati qui, Bulma-san e Vegeta-sama! Non volevo farvi preoccupare».
«L’importante è che tu stia bene, ora» gli sorride la mia compagna di classe.
«Tsk!» si limita a ribattere Vegeta, sprezzante, incrociando le braccia al petto e voltandosi dall’altra parte.
Alla fine siamo rimasti tutti qui a dormire, in qualche modo. Io e Lazuli ci siamo accucciati insieme sulla poltrona riservata al familiare del ricoverato e ci siamo addormentati abbracciati, vinti dal sonno e dalla tensione. Chichi si è sdraiata accanto a mio fratello, mentre Vegeta e Bulma hanno preso sonno su due sedie poste una accanto all’altra. Il mio amico ha dormito a braccia conserte e con la schiena dritta, appoggiata al muro, mentre la sua ragazza si è rannicchiata sul suo braccio, usando la sua spalla come cuscino.
Una scena pittoresca, forse, ma che mi scalda il cuore in una maniera che non saprei descrivere.
Ah già, essendomi svegliato per primo, non potevo farmi sfuggire l’occasione di scattare una bella foto ricordo a Vegeta, così da poterlo fare incazzare quando lo scoprirà!
 
 
18 novembre
 
«Gli esami che hanno fatto a Goku non hanno riscontrato nulla di anormale, tra poco dovrebbero dimetterlo» spiego al telefono a Lazuli, che ho appena chiamato durante la pausa pranzo a scuola. Alla fine sono riuscito a convincere tutti ad andare a scuola, avevano già fatto fin troppo per me e Goku. Anche la mia ragazza, che è stata l’ultima ad andarsene, visto che già dovrà saltare due settimane di scuola tra pochi giorni a causa del periodo di riprese che la terrà impegnata a Kanazawa.
«Adesso mi sento davvero sollevata. Avviso io mia sorella, continua a tempestarmi di messaggi» risponde lei.
«Però… ecco, il dottore dice che questo suo svenimento potrebbe indicare che stia recuperando la memoria» le spiego. «E, se i ricordi del vecchio Goku dovessero tornare, c’è la possibilità che i ricordi del Goku attuale possano scomparire».
«Ne è sicuro?!» sbotta la mia ragazza.
«Dice che ne è quasi certo. E che non può sapere se e come i vecchi ricordi e quelli attuali potranno integrarsi tra loro in futuro…».
«Rad, ascoltami».
«Dimmi».
«Andrà tutto bene, perché Goku-kun è forte come te. Ok?!»
«Grazie Là, ci vediamo a casa dopo la scuola. Ti amo» mi congedo, mettendo giù la cornetta del telefono della sala d’attesa dell’ospedale e voltandomi giusto in tempo per vedere mio fratello scappare a nascondersi dietro l’angolo, verso la sua stanza.
Che abbia sentito tutto?
 
«Fratellone, verrà a prenderci papà o dobbiamo aspettare un taxi?» mi domanda Goku, mentre usciamo dall’ospedale per tornare a casa.
«Ho chiamato il papà, dovrebbe arrivare da un momento all’altro. Era molto in pensiero per te, ho dovuto cacciarlo via ieri per farlo tornare dalla mamma» gli sorrido, prima di farmi serio. «Hai ascoltato la mia telefonata con Là?»
«S-sì…».
«Quante volte ti ho spiegato che non sta bene origliare?»
«Scusa, fratellone… è solo… è solo che Goku-kun non vuole che…».
«Goku-kun non se ne andrà da nessuna parte» lo interrompo, cercando di farmi vedere forte e risoluto. Sono suo fratello maggiore, non posso fargli capire che anch’io ho una fottuta paura di quello che potrebbe succedere. «Anche Lazuli ha detto che Goku-kun è forte».
«L’ha detto davvero Lazuli-san?!» esclama lui, accennando un sorriso. Si vede che la stima molto, che gli dà sicurezza. In lei ha trovato il primo riferimento che non fossi io. Ha un rapporto molto diverso con lei rispetto a quello che ha con Chichi, la vede davvero quasi come una figura materna. Chichi invece ha il merito di spingerlo a dare il massimo senza neanche chiederlo, forse semplicemente perché si piacciono a vicenda e stanno bene insieme.
«Certo. E lo pensano anche Chichi, Bulma e Vegeta. Tu adesso devi pensare a stare tranquillo e non a chissà cosa, ok?»
«Ok» sorride di nuovo lui, prima di abbassare nuovamente la testa e, immagino, riprendere a perdersi nei suoi pensieri e nei suoi timori.
Come posso pretendere che lui non si preoccupi quando nemmeno io riesco a seguire il consiglio che gli ho appena dato? Forse dovrei provare a distrarlo?
«Di’ un po’, Goku».
«Uhm?»
«Cosa vorresti fare di più in questo momento?»
«Mangiare un budino! Ho fame!» esclama allegramente. Sembra stia ritrovando almeno un po’ il suo solito spirito.
«Ok, a parte questo… vorresti fare qualcosa di speciale per festeggiare che sei stato dimesso? Puoi anche sognare in grande, eh…».
«Mangiare un budino gigante!» ride, allargando le braccia come a mimare le dimensioni del dolce che vorrebbe.
«Bene, e dopo che l’avrai mangiato? Non vorresti andare a vedere i dinosauri o qualcosa di simile?»
«I dinosauri sono al secondo posto…» risponde, tornando serio e abbassando lo sguardo.
«E cosa c’è al primo?»
«Goku-kun vuole andare a scuola».
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: bene, anche stavolta un capitolo con un po’ di tutto, anche se forse prevale di nuovo l’amarezza, non so. Commozione, timori, tensioni, amore e amicizia… ho provato a metterci questo e spero abbiate apprezzato, come ho tentato ugualmente di strapparvi qualche sorriso. A me piace molto la scena in cui Rad parla con franchezza a Goku ancora addormentato, oltre al dialogo schietto che hanno lui e Vegeta da soli. Come mi piace vedere i protagonisti di questa storia stringersi l’uno all’altro intorno a Goku, come una vera squadra o, se preferite, una famiglia. 
Veniamo a sapere che Gine sta meglio, anche se ci dirà qualcosa di più direttamente Bardack settimana prossima. Intanto sembra che qualche vecchio ricordo di Goku stia riemergendo dopo l’incontro casuale con Crilin. Sarà un bene?
Scopriamo anche che tra pochissimi giorni Lazuli dovrà partire per un paio di settimane per Kanazawa, una città sulle Alpi Giapponesi a 400 km di distanza da Fujisawa. Ce la farà Rad senza di lei? Succederà qualcosa in sua assenza?
Voglio anche farvi un indovinello, ma stavolta è davvero difficile: considerando che Lazuli partirà il 20 novembre e dovrà stare via almeno due settimane, vi ricordate se per caso ci sarà anche un evento importante in questo lasso di tempo? ;-)
 
Ringrazio chi mi lascia sempre il suo parere, chi ha appena iniziato da zero questa long e chi continua a inserirla nelle liste: siete la mia forza, come lo siete voi che preferite leggere in silenzio. Se avete dubbi o curiosità chiedetemi pure, è sempre bellissimo per me sapere cosa ne pensate!
Un grazie sentitissimo va poi ad Alice Liddel che ha realizzato una splendida Lazuli-chan ai tempi della scuola media, una versione di lei che ancora non avevamo visto! Io la trovo dolcissima!
 
Bene, non mi resta che darvi appuntamento a mercoledì prossimo e vi anticipo già che sarà un capitolo ricco di emozioni e davvero importante, come del resto è molto forte la frase con cui Goku ha chiuso questo capitolo odierno. Ce la farà ad andare a scuola? E quell’ematoma che è comparso di nuovo sul suo corpo? In tutto questo c’è anche da affrontare la questione della partenza di Lazuli in un momento simile.
Rivedremo in scena anche Bardack, come già anticipato, Lunch e Mai, oltre a un nuovo personaggio femminile tratto da Dragon Ball Super. Chissà chi sarà, ormai restano ben poche a non essere entrate in questa storia! :-)
Grazie ancora per tutto il vostro supporto e grazie anche per voler sempre bene a questi personaggi! Spero che continuerete a potervi immedesimare in qualcuno di loro come mi avete scritto spesso in questi mesi!
Ah già, il titolo del nuovo capitolo sarà abbastanza evocativo, tirate voi le somme: “Goku-kun vs Goku-san”. A mercoledì prossimo!
 
Teo
 

20191112-092429

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Capitolo 40
*** Goku-kun vs Goku-san ***


40 – Goku-kun vs Goku-san
 
 
19 novembre
 
«Goku ieri ha detto che vorrebbe provare a tornare a scuola» spiego a mio padre, seduti a un tavolo del “Kame House” poco prima che inizi il mio turno di lavoro.
Ho preferito parlargliene oggi con calma, invece che ieri mentre tornavamo a casa dall’ospedale e davanti a mio fratello. Mi sento stanco, provato. È stato un periodo complicato questo, e le parole di ieri di Goku non hanno fatto altro che riempirmi di inquietudine e dubbi, non solo di fierezza e orgoglio per il modo in cui sta cercando di lottare contro le sue paure. È difficile da spiegare: voglio che riesca ad affrontare e superare i suoi problemi, ma ho paura che possa star male mentre tenta di farlo. E ho un dannato terrore che perda di nuovo la memoria. Che possa di fatto “morire” Goku-kun.
«Davvero?!» esclama, sbigottito. Anche lui è provato, si vede. Ma i suoi occhi neri sembrano aver ritrovato la determinazione di un tempo.
«Vorrei fare il possibile per realizzare questo suo desiderio» gli dico, guardando quella faccia così simile a quella di mio fratello, se non fosse per quella profonda cicatrice che gli solca la guancia sinistra. Un regalino della Sindrome della Pubertà a quanto pare, da quanto mi ha detto mio padre qualche tempo fa.
«Va bene. Domani chiamerò la scuola per organizzare il suo rientro» sorride, prima di squadrarmi, tornando serio. «Radish, dimmi una cosa».
«Uhm?»
«Stai mangiando come si deve? Stai riposando quanto basta?»
«Sì» liquido la sua domanda, bevendo un sorso di spremuta d’arancia senza guardarlo in faccia. In effetti sono dimagrito un po’ e dormo male, ma è tutto sotto controllo. Credo.
«Sicuro?»
«Come sta la mamma? Potrà davvero tornare a casa?» gli chiedo a mia volta, cambiando argomento.
«La mamma migliora di giorno in giorno» accenna un sorriso mio padre, sospirando. «Da quando le ho detto che giocherai il campionato nazionale, si è messa in testa di voler venire a vedere una tua partita. I medici le hanno detto che se continua così potrà essere dimessa prima della fine di gennaio».
«D-davvero, lei vuole venire…» farfuglio, mentre gli occhi mi si riempiono di lacrime.
«Sì, quindi vedi di rimetterti a mangiare come si deve e a riposare. Non puoi strapazzarti sempre così e pensare a tutto e a tutti. Ci sei anche tu, Radish, e sei un essere umano. La mamma vorrà vederti in forma perfetta al campionato nazionale, ok?»
«S-sì…» accenno un sorriso, mentre mi asciugo con stizza una lacrima sfuggita al mio controllo.
«E rimettiti in sesto soprattutto per la tua ragazza» dice, alzandosi e infilandosi la giacca. «Se l’ho notato io che sono tuo padre, chissà quanto sarà preoccupata lei nel vederti così! Non farla soffrire».
«Non preoccuparti, farla star male è l’ultima cosa che voglio».
«Ecco, a proposito… magari quando le acque si saranno un po’ calmate dovresti farmela conoscere meglio» aggiunge, mentre tira fuori le chiavi della macchina dalla tasca. «Sai, in ospedale col casino della situazione di tuo fratello e tutto il resto non c’è stato modo di presentarmi come si deve e di ringraziarla, visto che si prende cura di te».
«Papà, guarda che non sono un moccioso…» sbuffo. «E la mia ragazza te la presento se e quando mi va» provo a scherzare, mentre lui mi saluta con un cenno della mano e si avvia verso l’uscita del locale.
«Oh, buonasera Lunch-chan! E c’è anche Mai-chan!» esclama mio padre, incrociando le mie colleghe.
«Buonasera signor Son!» rispondono all’unisono, accennando un inchino.
«È davvero fortunato mio figlio ad avere due colleghe carine e gentili come voi! Prendetevi cura di lui… e chiamatemi Bardack!» ribatte ridendo, uscendo dalla porta e lasciando le mie amiche paonazze.
«Peccato che non sappia che tu sei una serpe, quando vuoi» sussurro a Lunch per farla arrabbiare, passandole davanti e dirigendomi verso il magazzino per cambiarmi e prendere servizio. «Meno male che ci sei tu, Mai-chan! L’unica che mi dà soddisfazioni!» aggiungo, facendo diventare ancora più rossa la mia collega dai capelli neri.
«S-senpai, tu e tuo papà siete troppo buoni e…» farfuglia, imbarazzata.
«Troppo buoni un corno! Soprattutto il senpai!» la interrompe Lunch, furibonda, prendendomi per un orecchio e trascinandomi dentro il magazzino.
«Lunch-chan, forse non è il caso…» prova timidamente a difendermi Mai.
«E invece sì che lo è, mi prende sempre in giro!» sbotta, dandomi una pedata nel sedere, la specialità della casa.
«Ahia, cazzo…» impreco, prima di guardarla di nuovo nei suoi occhi nocciola, ghignando. «Dopo potremmo spostare tutti e tre insieme i barili di birra facendo la tua bellissima conta prima di sollevarli! Com’era? Un, due, tre, la peppina fa il caffè?!»
«Ahhh! Non ti sopporto quando fai così, senpaiii!» grida Lunch, praticamente fucisa per l’imbarazzo e la rabbia, con Mai che la afferra da dietro facendole passare le braccia sotto le ascelle e la tiene ferma mentre si dimena.
Scoppio a ridere nel vedere quella scena, finché non si mettono a ridere anche loro.
«Grazie ragazze, avevo proprio bisogno di ridere un po’. Siete delle amiche» dico loro, avvicinandomi e dando un bacio sulla guancia a entrambe, cogliendole di sorpresa e mettendole un po’ a disagio. «Ora se non vi dispiace dovrei cambiarmi… tornate di là o volete forse vedermi in boxer?»
«S-sei il solito pervertito, senpai!» sbotta Lunch, prendendo per mano Mai e portandola via, mentre continuo a ridere di gusto.
Ha ragione mio padre. Devo cercare di stare un po’ più tranquillo e vivere più serenamente questa situazione, anche se non è facile.
Devo farlo per Lazuli, per la mamma, per Goku, per tutti quanti. E devo farlo anche per me.
 
 
20 novembre
 
«Allora dureranno davvero due settimane le riprese a Kanazawa?» sospiro sconsolato, nonostante sappia benissimo già la risposta.
Piiza-san sta caricando in macchina i bagagli a pochi metri da noi, mentre io e Chichi stiamo salutando Lazuli, ormai in partenza, davanti alla portineria del suo palazzo.
Indossa una felpa oversize arancione con le maniche e il cappuccio azzurri, degli shorts neri e delle parigine che le salgono fino a metà coscia. Come cazzo fa ad essere sempre così bella?! All’altezza del seno, sulla felpa, noto una stampa bianca rettangolare con una scritta  al centro inequivocabile: “I love kill”, con un cuore rosso al posto della parola “love”. Mi sembra un perfetto slogan per la mia adorabile fidanzatina quando è in versione psycho Là.
«Già, la risposta non è cambiata rispetto a stanotte… purtroppo…» risponde la mia ragazza, facendomi tornare alla mente la meravigliosa e infuocata nottata che abbiamo passato a casa mia.
Abbiamo fatto e rifatto l’amore, come a dirci che sarebbe andato tutto bene anche stavolta. Non tanto per lenire in anticipo le ferite che ci avrebbe causato la lontananza, ma più come a volersi dare forza a vicenda. A volerci convincere che sarebbe stata una semplice trasferta di lavoro come ne abbiamo affrontate tante. Che nulla sarebbe cambiato. Tra noi, e intorno a noi.
Il saperla così lontana fisicamente in un periodo così complicato, onestamente non aiuta i miei propositi di provare ad essere più forte. Ad affrontare con serenità quello che potrebbe succedere con Goku. A immaginare la reazione che potrei avere io. Il dolore che potrei provare io, che potrebbe provare lui e chi ci circonda.
Non le ho detto niente, ma sono certo che ogni volta che la stringevo a me lei lo capiva. Lei capisce sempre tutto in anticipo, sa scavarmi dentro. Sa farsi sentire vicina quando serve, sa esserci sempre per me. Sa darmi sicurezza.
E così ha fatto anche stanotte. E farà lo stesso anche con quattrocento chilometri a separarci, quando ci sentiremo. Ne sono certo. E io farò lo stesso con lei, perché non ho nessuna intenzione di farle pesare questa trasferta di lavoro. Questo film è la sua grande occasione e sono certo che la sfrutterà alla grande. È normale per entrambi provare malinconia per la lontananza perché ci amiamo da morire, ma questo non deve e non dovrà influire sul suo lavoro, come avevamo deciso fin dall’inizio. Io sono fiero di avere una ragazza così, una stella come Lazuli Eighteen. E sono certo che per lei sarà lo stesso quando a gennaio dovrò andare in ritiro a Tokyo con la squadra durante il campionato nazionale.
Non ci resta che essere forti. Dobbiamo esserlo.
«Mi mancherai un casino» le sorrido. Durante la sua permanenza a Kanazawa, tra l’altro, compirà anche diciotto anni. Non so se potremo vederci quel giorno, e anche questa è una cosa che ci fa soffrire. Ma cerchiamo di far finta di niente, non è colpa di nessuno se le riprese sono capitate proprio in questo periodo. Ad ogni modo il 2 dicembre è ancora lontano, vedrò se riuscirò a trovare una soluzione per quando sarà il momento, anche a seconda di come starà Goku.
«Lo so, è ovvio» prova a scherzare lei, allargando le braccia. «E, visto che so già che ti sentirai uno straccio senza di me, vedrò di chiamarti tutti i giorni. Anche più volte al giorno».
«Aspetterò trepidante ed eccitato davanti al telefono!» esclamo, mettendomi sull’attenti, mentre Chichi mi molla uno scappellotto sulla nuca.
«Pensa a studiare o fare qualcosa di utile. E vedi di non fare troppo il cretino in giro» sibila Lazuli, pestandomi un piede fino a farmi imprecare. «Tieni d’occhio questo maiale, ok?» aggiunge, rivolta verso Chichi.
«Puoi contare su di me, sorellona!»
«E tu, imbecille» riprende in tono autoritario, diretta a me. «Vedi di imprimerti bene quello che c’è scritto sulla mia felpa e di farne tesoro. Ti tengo d’occhio».
«Mi fai battere il cuore con quella felpa. È perfetta per te» le sorrido sghembo. «Ti trovo semplicemente adorabile, oltre che una gran figa» aggiungo, con Lazuli che accenna un sorriso soddisfatto. «Non sgarrerò, mia regina e mia dea. Puoi contarci!»
«Ciao Rad, fammi sapere se ci sono novità. Vedrai che andrà tutto bene» mi sorride lei, stavolta dolcemente, abbracciandomi e dandomi un lungo e intenso bacio che mi fa esplodere il cuore.
«Certo Là. Ti amo» le sorrido a mia volta, sistemandole una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio.
«Ti amo anch’io, scemo» risponde, prima di abbracciare sua sorella. «Fai la brava anche tu e dacci dentro col lavoro, ok? E fallo mangiare come si deve, deve arrivare in forma al campionato nazionale» aggiunge, lanciandomi un’occhiata che mi fa capire che, ovviamente, non le è sfuggito che ultimamente sono un po’ sciupato.
«Non preoccuparti, sorellona. Ci penso io» le sorride Chichi, mentre Lazuli sale in macchina e Piiza-san mette in moto.
Osserviamo la macchina sparire in fondo alla via, in silenzio, uno accanto all’altra.
«Se mi preparerai davvero sempre tu da mangiare, temo che mi troverà più magro di adesso tra due settimane» butto lì dopo qualche secondo, senza smettere di guardare nella direzione in cui è appena sparita dalla nostra vista la mia ragazza.
«Puoi anche morire di fame per quel che mi riguarda» ribatte Chichi, anche se non è arrabbiata come al solito quando faccio così. Si vede che è triste.
«Ti ho mai detto che sei la mia cognatastra preferita?»
«E io ti ho mai detto che sei il ragazzo peggiore che potesse trovarsi la sorellona?»
Accenno una risata soffocata, come a non voler fare troppo rumore. Lei fa lo stesso. Sembriamo due scemi, probabilmente. Perché siamo tristi entrambi, in realtà. Tanto, anche.
«Dimmi una cosa, Rad» mi chiede Chichi dopo qualche istante di silenzio.
«Uhm?»
«Non hai paura?» domanda, serissima. La sua espressione è piena di preoccupazione. «Per Goku-kun, intendo».
«Certo che ho paura…» sospiro, mettendo le mani in tasca. «Potrei anche farmela addosso da un momento all’altro».
«Era una domanda seria…» sibila, stizzita.
«Anch’io sono serio» ribatto, guardandola dritta nei suoi occhi neri come la notte. «Ci sono cose che un fratello maggiore non può mostrare al proprio fratellino» aggiungo, volgendo lo sguardo verso il cielo azzurro sopra di noi. «La pipì, la cacca e… e le proprie debolezze…» sospiro, stringendo i pugni e abbassando la testa.
«Rad, io…» farfuglia Chichi, avvicinandosi a me.
«Sono suo fratello maggiore. Se ci fosse un modo per aiutarlo, non esiterei a farlo» la interrompo. «Ma non c’è nulla che io possa fare, adesso come adesso».
«Scusa…» sospira Chichi. «La sorellona se ne è appena andata e io ti ho già reso triste, invece che prendermi cura di te come mi ha chiesto».
«Non dire cazzate, Chì! Ci vuole ben altro a rendermi triste» provo a ridere, afferrandola per un polso e trascinandola verso la portineria di casa mia. Non voglio certo essere io a farla preoccupare, in compenso. Anche lei avrà paura quanto e più di me che mio fratello possa dimenticarla, è ovvio. «Dai, andiamo da Goku».
«Rad, ecco…» sussurra mentre mi segue. «Credo… credo che Goku-kun sia fortunato ad avere un fratellone come te. E che non sei il peggior fidanzato che potesse scegliersi la sorellona».
«Ti dirò una cosa anch’io, Chì, e credo che non te lo dirò più: in realtà mi piace quello che cucini. E sei davvero la mia cognatastra preferita».
 
22 novembre
 
«Sono Kusu, la psicologa della scuola» spiega attraverso il videocitofono una donna minuta sulla quarantina vestita di un tailleur celeste. Ha i capelli argentati legati in una treccia e un’espressione molto dolce.
Le apro, mentre mi volto verso Goku che sembra deglutire il nulla nervosamente, seduto sulla sedia in attesa di poter conoscere la psicologa della sua scuola. È stata mandata qui dopo che mio padre ha spiegato la situazione di mio fratello alla preside e la sua volontà di voler riprendere le lezioni.
«All’inizio puoi tranquillamente cominciare a percorrere la strada per andare a scuola poco alla volta» sorride Kusu, parlando con un timbro di voce rassicurante e allo stesso tempo rilassante, mentre mio fratello stringe i pugni con nervosismo e tiene la testa bassa. Indossa già la divisa scolastica, come me del resto, seduto al suo fianco. «Quando sarai arrivato, invece di andare subito in classe, puoi partire dall’infermeria».
«L-l’infermeria conta come essere andato a scuola?!» balbetta Goku, guardandola finalmente negl’occhi.
«Certamente!» esclama la psicologa.
«Ma non è così che funziona per tutti gli altri…» ribatte mestamente mio fratello, abbassando di nuovo la testa.
«Non hai tutti i torti. Ma ognuno di noi è fatto a modo suo, non credi?» gli spiega dolcemente Kusu. «Per esempio c’è chi è alto, chi è basso e chi è nella media. C’è chi corre veloce e chi è più lento. Ogni persona ha il proprio ritmo, Goku. Perciò, finché ce la metterai tutta, conterà come essere andato a scuola».
«A-allora pensa che Goku-kun potrà barrarlo anche se dovesse andare solo in infermeria?» domanda mio fratello, alzando di nuovo la testa.
«Barrarlo?»
«Questo. Sono gli obiettivi di Goku-kun!» spiega lui, mostrandole il quaderno in cui si era segnato tutte le cose che si era prefissato di fare entro la fine dell’anno, con le relative “x” poste accanto ad ogni obiettivo raggiunto.
«Direi di sì!» sorride raggiante la psicologa, dopo aver letto ciò che ha scritto Goku sul quaderno.
«Allora Goku-kun vuole andare assolutamente a scuola!» esclama mio fratello, determinato, raddrizzando la schiena.
«Ti aspetto a scuola quando sarai pronto, allora, Goku» dice Kusu, alzandosi e raccogliendo i suoi fogli. «Così mi farai vedere anche questo obiettivo barrato sul tuo quaderno».
 
 
23 novembre
 
Goku si ferma un istante e respira profondamente, fermandosi per qualche secondo sul marciapiede davanti all’uscita della portineria del nostro palazzo. Stringe forte al petto il suo zaino di scuola. Ha lo sguardo determinato e allo stesso tempo pieno di dubbi.
Oggi ha deciso di andare a scuola, ma si vede lontano un miglio che ha anche paura.
Cominciamo a camminare in silenzio, entrambi con addosso la divisa scolastica. Chichi non sa che stiamo facendo questo tentativo. Goku vuole che ci sia solo io ad aiutarlo in questa cosa. Ieri sera l’ho spiegato a Lazuli per telefono e anche lei si è detta d’accordo. Mio fratello deve riuscire a superare questo enorme ostacolo rappresentato dalla scuola seguendo i suoi ritmi, come ha giustamente detto la psicologa. La presenza di Chichi forse creerebbe troppa pressione in lui, perché di sicuro non vorrebbe deluderla. Tuttavia è ancora da vedere se è davvero pronto fisicamente e psicologicamente ad affrontare i suoi demoni, visto che tutti i suoi problemi sono nati proprio a scuola. Non sarebbe facile per nessuno gettarsi nella fossa dei leoni a mani nude, figuriamoci per un quindicenne che solo da un mese ha ripreso ad uscire di casa dopo due anni e mezzo e che non ricorda nulla o quasi dei suoi primi tredici anni di vita.
Un sussulto da parte di Goku mi distoglie dai miei pensieri, proprio quando ad un incrocio in prossimità della scuola incontriamo un gruppetto di tre studenti che ridono e scherzano tra loro dall’altro lato della strada.
Mio fratello si attacca al mio braccio, mentre si nasconde alle mie spalle. Sta tremando, mentre osserva ad occhi sgranati quei ragazzi vestiti con la divisa come la sua che si dirigono verso l’edificio scolastico senza degnarci di uno sguardo.
«Non stanno mica ridendo di te» provo a rassicurarlo.
«D-davvero?!» esclama, stupito. Il trauma è ancora forte in lui, anche se non si ricorda quello che gli è successo a scuola quando era stato preso di mira dai bulli.
«Certo, parlavano dei fatti loro. Per quale motivo avrebbero dovuto ridere di te? Non hai fatto niente, stavi semplicemente camminando accanto a me» gli spiego.
«I-in effetti… forse non parlavano di Goku-kun…» sospira, senza staccarsi da me e continuando a seguire timoroso con lo sguardo il gruppetto di studenti di prima, ormai lontani.
«Ti sei impegnato abbastanza per oggi. Che ne dici se torniamo a casa e ci mangiamo un budino?» propongo, facendo dietrofront.
Non mi sembra il caso di insistere oltre per oggi. Un passo alla volta, come ha detto anche la psicologa. L’aveva messo in conto anche lei che sarebbe potuto succedere qualcosa di simile a ciò che è appena accaduto.
«O-ok, fratellone…» sospira mestamente Goku, a testa bassa. I suoi occhi neri sono pieni di lacrime di dolore e rabbia che cerca con tutto sé stesso di non lasciar scorrere sul suo volto.
 
 
26 novembre
 
«Goku-kun è determinato ad andare a scuola e vuole farlo oggi!» sbotta mio fratello, stringendo forte al petto il suo zaino e fissando dall’interno la portineria chiusa del nostro palazzo. «Ce la metterà tutta!»
«Non c’è bisogno di affrettare i tempi, davvero» provo a mettere le mani avanti.
«G-goku-kun non sta affrettando nulla» balbetta lui. Sta tremando.
«Anche Kusu-san ha detto di fare un passo alla volta. Sei stato bravo ad arrivare fin là».
«Così… così però non è abbastanza…» ribatte a denti stretti, mentre noto con orrore un ematoma espandersi a macchia d’olio dalla sua schiena e risalirgli sul collo, perdendosi tra i capelli che gli coprono la nuca.
«Goku, direi che per oggi è meglio fermarsi qui…».
«No!» grida, spalancando all’improvviso la porta e correndo sul marciapiede, cogliendomi di sorpresa.
«Goku!» urlo, correndogli dietro.
Cade rovinosamente a terra mentre lo inseguo. Lo zaino gli sfugge di mano, ma lo recupera rapidamente rialzandosi e riprendendo a correre.
«Goku! Fermati, cazzo!» grido ancora, afferrandogli un polso e strattonandolo. «Non devi chiedere troppo a te stesso in un momento come questo! Non devi spingerti troppo oltre tutto in una volta!»
«Goku-kun deve farlo per forza!» sbraita lui, liberandosi con uno strattone. I suoi occhi sono pieni di lacrime. «Non ha tempo per prendersela comoda!» aggiunge, provando di nuovo a scappare.
Lo inseguo e lo blocco di nuovo, imprecando mentalmente. Il suo ematoma è sempre più visibile, cazzo!
«Nessuno pensa che tu te la stia prendendo comoda! Kusu-san ha detto che ognuno ha i suoi ritmi, e tu stai cercando di forzare le cose per fare più in fretta!» provo a spiegargli.
«Kusu-san non sa che Goku-kun non ha più tempo…» sospira lui, stringendo i pugni e voltandosi verso di me.
«Non è vero che non hai più tempo».
«Non dire bugie, fratellone… Goku-kun ha capito benissimo che Goku-san sta per tornare» accenna un sorriso malinconico mio fratello, di nuovo con gli occhi lucidi.
Sento il cuore andarmi in frantumi. Vorrei urlare, vorrei piangere. Ma non posso farlo. Non ora. Non posso permettermelo. Che fratello maggiore sarei se cedessi?!
«Non devi dire così, nessuno può sapere cosa succederà» provo a spiegargli.
«Quando tornerà Goku-san, Goku-kun non esisterà più… vero?» mi domanda in un flebile sussurro.
«Goku-kun non smetterà mai di esistere perché è forte» ribatto, cercando di mostrarmi determinato. Anche se sono solo un ragazzo di diciassette anni che non sa più dove sbattere la testa, sinceramente. «Andiamo a scuola, dai».
 
Camminiamo in silenzio, finché arriviamo di nuovo all’incrocio dove mio fratello si è bloccato. Anche oggi sta passando dall’altro lato della strada un gruppetto di studenti. Anzi, di studentesse per la precisione, stavolta. Ridono e scherzano tra loro, mentre si dirigono verso l’edificio scolastico poco distante. Goku le osserva intimorito, stringendo nervosamente al petto lo zaino. Oggi sta provando a non nascondersi dietro di me, a quanto pare.
Una delle ragazze si volta distrattamente in nostra direzione e incrocia per un istante i suoi occhi con quelli di mio fratello, prima di raggiungere di nuovo le sue amiche e reimmergersi nei loro discorsi.
Goku si nasconde istintivamente dietro un grosso lampione. Sta tremando, mentre appoggia la fronte contro l’asta metallica. L’ematoma che ha sulla nuca si espande a vista d’occhio anche sulla parte anteriore del collo, risalendo quasi fino al mento davanti al mio sguardo impotente. Scoppia a piangere sommessamente.
Mio fratello sta piangendo contro un lampione perché ha incrociato lo sguardo con una studentessa sconosciuta che non ha nessun problema ad andare normalmente a scuola, a differenza sua.
Mio fratello sta soffrendo perché non riesce ad avvicinarsi più di così all’edificio scolastico e io sono qui che lo guardo senza sapere che cazzo fare.
«Perché… perché…» sussurra lui, tra un singhiozzo e l’altro, senza staccare la fronte dal lampione.
«Goku…» gli dico, appoggiandogli la mano sulla spalla.
«P-perché Goku-kun non ci riesce?! Perché si blocca nonostante abbia così tanta voglia di andare a scuola?! Goku-san era capace di andare a scuola! Perché non può andarci anche Goku-kun!»
«Goku, penso che ora dovremmo…».
«Goku-kun non torna a casa! Non torna a casa!» urla, interrompendomi, senza voltarsi e continuando a cercare riparo dietro il lampione. «Continuerà a esercitarsi finché non sarà arrivato a scuola!»
Continua a piangere disperatamente, e mi fa troppo male vederlo così. Così male che mi sembra di sentire una fitta al petto, all’altezza delle mie cicatrici. Come ai vecchi tempi del cazzo, merda! Ma ora non ho tempo per pensare a me! Sono il fratello maggiore, devo calmarmi e cercare di trovare una soluzione. Anche Lazuli dice sempre che sono bravo a trovare soluzioni quando capitano i casini agli altri.
Rifletti, Rad… rifletti!
«Goku-kun continuerà… continuerà ad esercitarsi…» farfuglia, senza smettere di piangere.
«Va bene» intervengo con fare risoluto. «Farò in modo che tu vada a scuola. Te lo giuro» aggiungo, raddrizzandomi sulla schiena e mostrandomi in tutta la mia spavalderia e sicurezza.
Goku si volta finalmente in mia direzione e sgrana gli occhi, smettendo di piangere.
Cerco di fare il supereroe. Mi viene più facile dare sicurezza agli altri, piuttosto che a me stesso. Ma va bene così.
So cosa fare. E so come. Non sto bluffando.
«Eh?! D-davvero?»
«Dico davvero. Ma prima di continuare ci prenderemo una piccola pausa» gli sorrido.
Già, il mio solito sorriso. Perché chi sorride è più forte, una lezione che mi ha dato Videl e che non ho mai dimenticato. Anche se non sempre è facile sorridere, soprattutto quando vorresti piangere. Ma adesso non ho altro da offrire a mio fratello oltre a un sorriso. Un sorriso e una piccola deviazione, in realtà, prima di andare a scuola. Faremo le cose a modo mio, adesso. Adesso ci pensa Rad, altro che infermeria e cazzate varie come diceva Kusu-san. Conosco meglio io mio fratello e ho capito cosa devo fare.
Ora è tutto chiaro.
«Una pausa? Goku-kun non ha tempo per le pause!»
«E invece me l’hai insegnato tu che le pause sono importanti. Te le eri anche annotate sul quaderno degli obiettivi nella parte dedicata all’uscire di casa per la prima volta che avevi scritto con Chichi, non te lo ricordi?»
«Hai ragione, fratellone…» accenna finalmente un sorriso, asciugandosi le lacrime. «Anche Chichi-chan diceva a Goku-kun che le pause sono importanti».
«Bene, allora vedrai che dopo questa pausa sarai in grado di andare a scuola, te lo giuro. Adesso facciamo le cose a modo nostro, ok? Siamo i fratelli Son e non ci ferma nessuno, cazzo!»
«Sì!» esulta mio fratello, lasciandosi trascinare dal mio entusiasmo. «Ma… ma come farà Goku-kun a riuscirci dopo questa pausa?»
«Non preoccuparti!» gli sorrido spavaldo. «Ti fidi di me?»
«Goku-kun si è sempre fidato del fratellone fin dal primo giorno!»
«Allora adesso andiamo in un posto veramente speciale!» gli scompiglio i capelli, cominciando a camminare sul marciapiede nella direzione opposta alla scuola. «Vedrai».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: dove staranno andando Rad e Goku? E in che senso dopo andranno a scuola? Cosa avrà in mente Rad?
Mi rendo conto che è stato un capitolo duro da digerire nella seconda parte, ma Goku-kun sta lottando con tutto sé stesso contro la sua paura più grande e credo abbia solo bisogno del sostegno da parte di tutti. Radish attraversa un momento difficile e anche Là e Bardack se ne rendono conto, però alla fine sembra pescare il jolly e avere l’idea giusta come spesso e volentieri è accaduto in questa storia.
Credo che chi ha fratelli o sorelle più piccoli possa capire quello che dice Rad a Chichi e magari condividerlo. Penso che il fratello maggiore si senta sempre in dovere di mostrarsi forte anche quando fatica ad esserlo verso i minori, sia per proteggerli che per orgoglio, ma anche perché sono gli stessi genitori a volte a chiedergli implicitamente di mostrarsi così, anche se in questo modo capita che lo considerino più grande o più pronto di quanto non sia realmente.
Abbiamo poi conosciuto Kusu, l’angioletta del Decimo Universo di DB Super, non so se ve l’aspettavate.
Spero vi sia piaciuto il momento tra Rad e Chì, perché a me piace molto descrivere questi momenti sia quando si punzecchiano che quando Rad decide di mostrare il suo lato più profondo, così come spero vi abbia divertito la scenetta con Lunch e Mai.
Lazuli è partita e l’evento misterioso che deve avvenire durante queste riprese è il suo compleanno. Andrà tutto bene ora che lei è lontana? Spero vi sia piaciuta anche la sua felpa, la trovo perfetta per lei e mi sono ispirato a una fan art trovata su internet per caso e per la quale ringrazio chi l’ha realizzata.
 
Un grazie va poi come sempre a chi continua a sostenermi e a farsi sentire vicino ogni settimana, a chi vuole bene a questi personaggi e riesce a immedesimarsi o trovare la forza per affrontare alcuni problemi come cercano di fare loro. Un grazie va poi anche a chi legge in silenzio, mi fa piacere sentirvi lì in attesa di un nuovo capitolo!
 
Bene, il prossimo capitolo sarà il proseguimento di questo e il titolo è “L’ultimo obiettivo di Goku-kun”. Ci sarà un colpo di scena finale, quindi non perdetevelo! ;-)
Vi lascio col dubbio su dove stiano andando Rad e Goku e se davvero andranno poi a scuola, mentre vi anticipo anche che ci sarà una lunga e bella telefonata tra Rad e Là per annullare i quattrocento chilometri che li separano.
Ci vediamo mercoledì!
Teo

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Capitolo 41
*** L'ultimo obiettivo di Goku-kun ***


41 – L’ultimo obiettivo di Goku-kun
 
 
«C’è tanta gente in stazione a quest’ora…» sospira Goku, intimorito e ancora scosso da poco fa. Cammina nascondendosi dietro di me.
«Se non ce la fai già ora, non riuscirai mai ad andare a scuola» ribatto, cercando di mostrarmi deciso. «Non dimenticarti che hai già preso il treno e hai anche dimostrato di saper stare in mezzo a tante persone. Sei persino andato al live di Lazuli e Chichi» aggiungo, voltandomi e sorridendogli. «Se ce l’hai fatta quella volta, non dovresti avere paura in un momento come questo!»
«Hai ragione fratellone» accenna un sorriso. «Goku-kun ce la metterà tutta!»
«Bravo, così ti voglio!» lo sprono. «Hai visto che c’è qui anche Là? Ti porterà sicuramente fortuna!» aggiungo, indicando col volto una gigantografia della mia ragazza grande come l’intera parete fuori dalla biglietteria. Si tratta di una pubblicità del film che sta girando in cui compare lei in primissimo piano che fa l’occhiolino e si passa una mano tra i capelli sulla nuca. Indossa un gilet di jeans strappato e una fascia a righine orizzontali bianche e nere che le copre il braccio dal polso fin quasi alla spalla. È tremendamente sensuale, cazzo.
«Urcaaa! È proprio Lazuli-san e Goku-kun sa che gli porterà fortuna! Lei esce sempre benissimo nelle foto!» esclama mio fratello, sorridendo felice.
«Già… è… è pazzesca…» sbiascico, ritrovandomi a fantasticare sulla mia ragazza, incapace di distogliere lo sguardo da quello scatto strepitoso. Forse sto persino sbavando, non lo so… quel che è certo è che mi sento ribollire il sangue nelle vene.
«Fratellone…» mi chiama Goku, strattonandomi il polso per farmi uscire dal mio stato di trance. «Hai la faccia di quando Chichi-chan o Bulma-san ti dicono “maiale” o cose del genere…».
«Lo so, non posso farci niente» gli sorrido, mentre allargo le braccia. «Non è colpa mia».
 
«Quanto manca al posto speciale?» mi domanda poco dopo, mentre siamo seduti nel nostro vagone e osserviamo distrattamente il panorama fuori dal finestrino.
«Tranquillo. Tra poco ci siamo».
«Fratellone, siamo arrivati?» mi chiede, disorientato, quando mezz’ora dopo usciamo dalla nostra stazione di destinazione.
«Quasi» gli dico, camminando spedito verso una via che sembra inoltrarsi nella natura più incontaminata.
Le case lentamente lasciamo spazio sempre a più alberi. Insieme a noi camminano molte altre persone. Alcuni sono in bicicletta. Incrociamo anche qualche macchina, che si dirige verso un ampio parcheggio in prossimità del quale si comincia a scorgere un enorme ingresso colorato e la struttura alle sue spalle, immersa nella natura.
«Eccoci arrivati!» annuncio, indicando a mio fratello la grande insegna posta sotto l’enorme cancellata d’ingresso.
«Eh?! Urcaaa!» esclama lui, alzando la testa e capendo finalmente tutto. «È il Parco della Preistoria, fratellone! Il Parco della Preistoriaaa!» aggiunge, cominciando a saltellare sul posto, con gli occhi che brillano.
«Te l’avevo detto che saremmo andati in un posto speciale, no?» gli scompiglio i capelli con la mano. «Dai, andiamo a comprare i biglietti».
 
«C’è lo stesso odore di quando Beerus e Balzar hanno bisogno di fare il bagnetto!» esclama mio fratello, non appena varchiamo la soglia.
«Eh sì, oltre alle riproduzioni dei dinosauri, ci sono anche degli animali da allevamento veri» gli dico, guardandomi intorno. È pieno di gente, c’è una bella atmosfera qui. Ricordo che mi piaceva venirci quando ero più piccolo. Quando la vita sembrava più facile. «Però, dai, i nostri gatti non sono mai arrivati a puzzare così tanto! Questo… questo è odore di caprone, non lo so!»
«Il velociraptor!» grida Goku, non ascoltando nemmeno quello che gli ho detto, strattonandomi e cominciando a correre elettrizzato verso un recinto dietro il quale troneggia la prima ricostruzione preistorica del parco. «Fratellone, è un velociraptor!» aggiunge, tutto esaltato.
«Mettiti in posa che facciamo una foto» gli sorrido. «Oggi faremo tante foto ricordo, noi due!»
«Fratellone!» urla ancora, poco dopo, correndo verso un altro recinto. «Il triceratopo! Il triceratopoooo! Il tuo preferito!»
«È vero! Hai visto com’è grosso?! Ne hanno messi addirittura due qui!»
«Urcaaa! È bellissimo! Nei documentari che vede Goku-kun in tv, il triceratopo lotta sempre col tirannosauro, lo sai?!» mi spiega, arrampicato sul divisorio di legno e tremendamente affascinato.
«Allora dobbiamo cercare anche il tirannosauro. Cercalo sulla cartina che ti ha dato la ragazza all’ingresso, così lo andiamo a vedere».
«Eccolo qui, fratellone!» mi indica un punto sulla mappa. «Corriamo, è qui vicino!» aggiunge, tutto contento, cominciando a correre.
È bello vederlo così, soprattutto pensando a quanto ha pianto stamattina nel tentare di andare a scuola, anche se non è facile star dietro a tutto il suo entusiasmo.
«Urcaaa! È gigantesco, fa paura! E guarda che denti aguzzi!»
«Vedrai dopo quanto ti sembrerà enorme il brontosauro rispetto a lui! E che denti lunghi e affilati avrà lo smilodon!» gli spiego, sorridendo.
«Sììì! Andiamo a vederli tutti!» esulta Goku, abbracciandomi forte e facendomi sentire bene.
Mi sento un bravo fratello, forse sto davvero riuscendo a chiudere il cerchio con Goku e completare anch’io la mia missione con lui. Una missione iniziata oltre due anni fa in mezzo al dolore, che cerco di portare a compimento adesso in un contesto totalmente diverso. Tutto è cambiato in meglio da allora, per fortuna. Tutto o quasi, perché anche mio fratello ha bisogno di fare un ultimo step per poter voltare definitivamente pagina.
 
Alla fine abbiamo passato la giornata al Parco della Preistoria ed è stato bellissimo, mi è anche sembrato di tornare indietro nel tempo.
Abbiamo visto tutti i dinosauri, compresi lo stegosauro, il dimetrodonte, il mammut, lo pterodattilo e lo stiracosauro, solo per citarne alcuni. Abbiamo poi visitato le ricostruzioni delle caverne e delle abitazioni degli uomini primitivi nelle varie fasi dell’evoluzione umana. Abbiamo anche potuto vedere alcune riproduzioni di graffiti sulle rocce che raffiguravano scene di caccia di quei tempi.
Abbiamo anche visto i vari animali presenti, che sono liberi di scorrazzare in ampie distese verdi e si avvicinano alle persone solo se ne hanno voglia. C’erano cavalli, asini, daini, capre, pecore, cigni, oche e pavoni, oltre a pesci e tartarughe nei vari laghetti presenti lungo il percorso immerso nella natura. Mio fratello era tutto contento perché è riuscito a dar da mangiare ai daini e alle capre, animali così socievoli da farsi anche accarezzare da lui, come del resto gli asini, i suoi preferiti.
È bello vederlo così spensierato e sicuro di sé. Sono sicuro che prima o poi riuscirà ad essere così in ogni situazione della sua vita, sempre e comunque. So che può farcela.
 
«Certo che i dinosauri e gli animali sono proprio belli» sospira Goku, non appena usciamo dal Parco della Preistoria per dirigerci verso la stazione, mentre il sole sta già tramontando davanti a noi. «A Goku-kun un po’ dispiace doverli salutare…» aggiunge mestamente, abbassando la testa.
«Ci torneremo presto» lo rassicuro.
«Torneremo anche con Chichi-chan e Lazuli-san?! A Goku-kun piacerebbe fare tante foto qui anche con loro!»
«Certo» gli sorrido. «Ecco, a proposito…» aggiungo, cominciando a frugare nella tasca della mia divisa scolastica.
«Cosa?»
«Tieni» gli dico, porgendogli un tesserino plastificato colorato con stampata sopra l’immagine di un velociraptor. «Questo è un abbonamento annuale per il Parco della Preistoria, così potrai venire qui quando vuoi. È tuo» aggiungo, mentre Goku spalanca la bocca incredulo. «Con quest’altro abbonamento invece potrai portare qui Chichi quando ha tempo, sono sicuro che vi divertirete insieme» riprendo, porgendogli un altro tesserino, stavolta con l’effigie di un brontosauro.
«D-davvero?!» farfuglia, con gli occhi che brillano.
«Con questo abbonamento, potrai anche venire tutti i giorni, se ne avrai voglia» gli sorrido, scompigliandogli i capelli con la mano.
«M-ma è fantastico!» grida, alzando le braccia al cielo. «Urcaaa! Il fratellone è proprio il fratellone! Goku-kun non vede l’ora di dirlo a Chichi-chan!»
«È un regalo da parte tua per Chichi, devi dirle così, ok? Anche se ho visto che un regalo gliel’hai fatto quando siamo andati al mare e le hai preso quel braccialetto col ciondolo a forma di stella marina. Sei stato bravo! Si vede che sei mio fratello e sai farci con le donne, sono fiero di te!»
«Goku-kun sperava che potesse piacerle quel braccialetto e Chichi-chan è stata felice! Ma Goku-kun preferisce dirle che in realtà è merito del fratellone se adesso abbiamo questi abbonamenti per vedere i dinosauri!»
«Bravo Goku, devi sempre essere onesto con lei! Domani le spiegherai tutto allora, so che stasera aveva le prove fino a tardi con le Sweet Bullet e non passerà da noi».
«Infatti, a Goku-kun dispiace che ha le prove… e che non c’è nemmeno Lazuli-san…».
«Manca tanto anche a me Lazuli…» accenno un sorriso, alzando gli occhi verso il cielo. Già, quel cielo che me la fa sentire più vicina anche quando è lontana, come quando era dovuta andare a Kagoshima per lavoro la scorsa estate. «Ma i fratelli Son sono forti e non si fanno abbattere, giusto?!» scoppio a ridere, passando un braccio intorno al collo di Goku e riprendendo a camminare verso la stazione, ciondolando come due ubriaconi.
«Sì! Goku-kun pensa che il fratellone Son e il fratellino Son sono tanto forti!»
«Bravo, Goku! E vedi di non perdere gli abbonamenti, mi raccomando! Sono preziosi» rido di nuovo. Preziosi in tutti i sensi, a giudicare da quanto li ho pagati. Pazienza, farò un po’ di straordinari al lavoro. Ma ne vale la pena per vedere mio fratello così felice.
«Goku-kun potrà tornare davvero quando vorrà al Parco della Preistoria? E anche Chichi-chan?»
«Certo! Ma dovrai usarlo spesso, almeno ne sarà valsa la spesa! Sai, non era molto economico questo abbonamento» rido ancora. «Quindi vedi di sfruttarlo per bene, anche la strada col treno l’hai imparata ed è facile!»
«Goku-kun vuole tornare ancora e ancora, vuole far valere tutti i soldi spesi! E quando potrà, verrà anche Chichi-chan!» risponde, sorridendo senza smettere di guardare i due abbonamenti che stringe tra le mani. Ha le lacrime agli occhi. Ma sono lacrime di gioia, stavolta. «Grazie fratellone!»
 
«Fratellone, non dovremmo andare di qua per tornare a casa?» mi domanda Goku, perplesso, all’uscita della stazione di Fujisawa dove nel frattempo abbiamo fatto ritorno, quando mi vede attraversare la strada in una direzione diversa da quella da cui siamo venuti.
«Questa è una scorciatoia» lo liquido, camminando deciso con le mani in tasca. È sera ormai, e nel cielo buio cominciano a intravedersi le prime stelle.
Mio fratello mi segue senza porsi troppe domande, ma resta in silenzio e si guarda intorno incuriosito durante la nostra passeggiata. Sono vie in cui lui non è mai passato, del resto.
«Goku-kun non aveva idea dell’esistenza di questa scorciatoia» esclama, affascinato dal paesaggio circostante.
È un quartiere tranquillo e pieno di aree verdi, non c’è praticamente nessuno in giro. Attraversiamo un ponticello di legno che ci permette di superare un laghetto dove nuotano tranquille alcune carpe. Intorno a noi sono appese delle lanterne cinesi che illuminano quella piccola oasi nel cuore di Fujisawa.
Sì, è decisamente un bel quartiere questo, ma noi in realtà siamo solo di passaggio. Abbiamo una cosa molto importante da fare.
«Non la conoscevi perché non sei ancora pratico di questa zona. Imparerai sempre nuove strade ora che ti piace uscire» gli rispondo, senza rallentare il passo. «Per adesso sei un principiante».
«Tu invece sei un esperto?»
«Puoi darmi anche del professionista».
«Urcaaa! Sai proprio un sacco di cose!» ride, mentre mi fermo all’improvviso davanti a un lungo edificio grigio pieno di finestre disposte su quattro piani. Una recinzione metallica ci separa dal cortile, dietro il quale si intravedono il campo da calcio, quello da baseball e la palestra. «Fratellone, ma questa…» riprende Goku in un sussurro, improvvisamente serio. Sgrana gli occhi, mentre sembra pietrificato e con la bocca semiaperta. «È… è la scuola!»
«È tardi, abbassa la voce» lo rimprovero, avvicinandomi alla cancellata e provando ad aprirla. «È chiuso, ci tocca scavalcare» aggiungo, senza voltarmi. Spicco un salto e mi arrampico sull’inferriata, scavalcandola senza troppi problemi e ritrovandomi in cortile, protetto dall’oscurità.
«N-non puoi farlo, fratellone!» balbetta Goku, terrorizzato.
«Ti ho detto che avremmo fatto le cose a modo mio, no? E ti ho promesso che saresti andato a scuola» gli sorrido, guardandolo attraverso le fredde sbarre metalliche che ci dividono. «Diamo solo una sbirciatina, muoviti a saltare anche tu. Lo so che sei agile e forte come me».
«S-solo una sbirciatina, ok?»
«Promesso. Ma muoviti a entrare, prima che ci veda qualcuno» gli metto fretta, convincendolo a saltare anche lui all’interno del cortile. Come previsto, non ha problemi a scavalcare l’inferriata.
«E… e se ci arrestano?!» bisbiglia titubante, camminando in punta di piedi alle mie spalle, attaccato alla mia schiena.
«A quest’ora tutto il personale è andato via, ma che io sappia l’allarme non è ancora entrato in funzione» lo rassicuro, camminando tranquillamente verso un’ampia finestra che dà su un laboratorio del piano terra. «Se ci dovesse beccare qualcuno, ci penso io a inventarmi qualche cazzata. Tu non preoccuparti».
Sbircio all’interno del laboratorio e mi rendo conto che si tratta di quello di scienze. Chissà se Bulma passava tanto tempo qui anche quando era una studentessa delle medie. Dovrei chiederglielo, ma dubito che lei approverebbe quello che sto per fare. Come già mi immagino cosa mi dirà Lazuli quando le racconterò la mia geniale trovata di stasera. Magari mi punirà seviziandomi quando tornerà da Kanazawa! Oh, sì sarebbe bellissimo!
Sorrido come un ebete, immaginando la mia ragazza vestita da coniglietta che stringe tra le mani un frustino in camera mia, quando mi rendo conto che mio fratello mi sta fissando con aria perplessa.
«Fratellone, stai bene?! Hai la faccia strana… peggio di prima in stazione» mi squadra sospettoso. «Goku-kun non sa se ha più paura della scuola o della tua faccia».
«Niente, niente… lascia perdere» ridacchio, tornando saldamente coi piedi per terra. «Piuttosto, tu non fare mai quello che adesso sto per fare io. Credo che non sia esattamente legale, ma oggi facciamo un’eccezione perché è il tuo primo giorno di scuola. Ok?» gli chiedo, guardandolo fisso negl’occhi mentre afferro l’estremità della finestra scorrevole con entrambe le mani e inarco la schiena.
«Goku-kun lo promette!»
«Bene» sorrido, prima di far leva con tutte le mie forze e provare a far scorrere la finestra chiusa dall’interno. «Mer… da…» impreco, stringendo i denti. Sento le mani pulsare, ma sento anche un inequivocabile “crack” che mi fa capire che sono riuscito a scardinare qualcosa.
«’fanculo…» bofonchio, ansimando e riuscendo ad aprire la finestra quel tanto che basta da consentire il passaggio per me e Goku. «Dai, entriamo. Credo che l’allarme entrerà in funzione tra un’ora più o meno» dico a mio fratello, saltando nel laboratorio.
Lui mi segue, dopo qualche secondo di incertezza in cui continua a guardare a destra e sinistra all’interno dell’aula, come temendo che possa saltar fuori all’improvviso qualcuno.
«G-goku-kun è entrato davvero nella sua scuola!» sorride, con gli occhi lucidi, camminando al mio fianco nel laboratorio di scienze e guardandosi intorno affascinato.
«Sei stato bravissimo! Adesso andiamo al terzo piano a vedere la tua classe. Non dimenticarti che questo è il tuo primo giorno di scuola, deve essere quella la tua meta» gli sorrido, uscendo dal laboratorio e ispezionando con lo sguardo il corridoio buio. Mi sembra di essere un ladro. Un mix tra Lupin, Kaito Kid e Diabolik. «Via libera» sussurro a mio fratello, dirigendomi con lui verso le scale.
«Urcaaa! È davvero questa la mia classe?!» domanda Goku, osservando esterrefatto la targhetta appesa sopra la porta che indica “Classe 3 – Sezione 1”.
«Affascinante, vero?» gli rispondo, aprendo la porta e facendogli strada tra i banchi disposti in file indiane davanti alla cattedra e alla lavagna.
«Quale sarà il posto di Goku-kun?» mi chiede, con gli occhi che sembrano brillare grazie alle luci dei lampioni che entrano dalle finestre e illuminano debolmente la scuola buia.
«Uhm… bisognerà vedere se i professori hanno già deciso loro o se è rimasto per caso un banco non ancora occupato da qualcuno» rispondo, dirigendomi verso la finestra e sorridendo. Anche dalla sua classe si vede il mare in lontananza. Proprio come dalla mia. «A te che posto piacerebbe?»
«Il posto del fratellone!»
«Io mi metto sempre in ultima fila vicino alla finestra, così posso guardare il mare e anche il cielo quando mi va!»
«Urcaaa! Anche Goku-kun vuole fare così!» comincia a saltellare felice tra i banchi, fino a sedersi proprio in quel posto.
«Sei stato bravo nel tuo primo giorno di scuola» mi avvicino, scompigliandogli i capelli con la mano. «Adesso andiamo via, prima che scatta l’allarme e poi ci fanno un culo così» rido, facendo un gesto inequivocabile allargando entrambe le mani e facendolo scoppiare a ridere.
Usciamo dalla finestra del laboratorio di scienze, che richiudo alle mie spalle delicatamente. Osservo il risultato e devo dire che sono molto soddisfatto di me: sembra chiusa, e soprattutto non sembra rotta. Molto bene, il primo che la aprirà domani sarà convinto che si sia spaccata in quel momento. Non abbiamo lasciato nessuna traccia del nostro passaggio, come dei veri professionisti.
Dal cortile buio osservo con attenzione che non ci sia nessuno nemmeno in strada in quel momento, prima di correre insieme a mio fratello verso la cancellata e scavalcarla di nuovo di slancio. Sembriamo due ninja, i fratelli Son non temono niente e nessuno!
Atterriamo sul marciapiede e ci guardiamo negli occhi per un lungo istante, prima che Goku si volti di nuovo verso l’edificio scolastico e sorrida. Sembra felice. Sembra sicuro di sé.
«Fratellone, la prossima volta Goku-kun vuole venire a scuola di giorno. Con tutti gli altri studenti» esclama, raggiante.
«Sarà un gioco da ragazzi per te, ora che ci sei venuto di sera!»
«Dopo oggi, Goku-kun può barrare tutti gli obiettivi che aveva scritto sul suo quaderno!»
«Li hai già completati tutti?»
«Tutti! Mancavano solo i dinosauri e la scuola!»
«Bisogna festeggiare, allora!»
«Giusto! Festeggeremo anche con Chichi-chan domani e con Lazuli-san quando tornerà a casa!» esulta Goku, mentre camminiamo verso il nostro quartiere.  «Però per adesso Goku-kun metterà un piccolo cerchio sul quaderno accanto ad “andare a scuola”».
«Secondo me puoi anche barrare quell’obiettivo».
«Goku-kun lo farà dopo che sarà andato a scuola di giorno! Goku-kun è davvero convinto di farcela! Pensa che domani mattina riuscirà ad andare a scuola!»
«Va bene. Non ho dubbi sul fatto che ce la farai!» gli sorrido, mentre lui mi abbraccia all’improvviso, rischiando di stritolarmi.
«Grazie per tutto quello che hai fatto per me, fratellone!»
«Grazie a te, Goku-kun» gli dico, con gli occhi che mi diventano improvvisamente lucidi. Non so nemmeno io perché, come non so perché l’ho chiamato “Goku-kun” e non “Goku”, come faccio sempre.
«Goku-kun non vede l’ora che sia domani mattina! Goku-kun non sta più nella pelle!»
 
«Ciao Là! Non vedevo l’ora di sentirti, lo sai?» esclamo al telefono, non appena Lazuli risponde alla mia chiamata. Mio fratello è già andato a dormire. Sono stanco anch’io. È stata una giornata intensa, in effetti. Bellissima, ma tremendamente intensa.
«E ci mancherebbe, direi» ghigna lei, facendo la preziosa per prendermi in giro. «Hai il tono di uno che ha fatto qualche idiozia, o sbaglio?»
«Uhm… non credo, perché? Faccio mai idiozie, io?»
«Ripetutamente».
«Entrare di sera a scuola di nascosto forzando una finestra sarebbe un’idiozia, ad esempio?»
«Sì. Decisamente».
«Farlo portandosi dietro il proprio fratello minore? Magari un fratello che non va a scuola da due anni e mezzo?»
«Rad?»
«Dimmi, mia meravigliosa senpai».
«Sarebbe una follia, non solo un’idiozia. Quindi vedi di levarti dalla testa certe stupide idee... mi manca solo di doverti venire a recuperare in un commissariato di polizia, scemo!»
«Ehm, ecco…».
«”Ecco” cosa?!»
«No, dicevo solo che tutto questo è affascinante» ridacchio. «Insomma, sono appena entrato con Goku nella sua scuola media, è stata una figata! Secondo te assomiglio di più a Diabolik, Kaito Kid o Lupin?»
«Tu… tu cosa?! E ti sei portato dietro tuo fratello?! Possibile che non posso lasciarti solo un attimo?! Ma sei scemo?! E se vi avessero beccato?! E se lui si fosse sentito male lì dentro?!» grida così forte da farmi temere che sarebbe capace di spuntare fuori dal mio cellulare. Non che mi dispiacerebbe, in realtà. Anzi!
«Ma sì, era tutto sotto controllo! E quel che conta è che ce l’abbiamo fatta alla grande!» rido. «Allora? A chi assomiglio di più di quei tre?»
«Assomigli a un imbecille! Ecco a chi assomigli!» sbraita. «Hai davvero forzato una finestra?! Hai rotto i vetri?!»
«Ma no, diciamo che ho scardinato il meccanismo di apertura. In ogni caso stai tranquilla, non ho lasciato traccia del mio passaggio e ho sistemato tutto, più o meno!»
«Più o meno?!»
«Ho sistemato la finestra in modo tale che il primo che la aprirà sarà convinto che si sia rotta in quel momento. Non dimenticarti che stai parlando con un professionista».
«Sì, con un professionista in demenza!» sospira. Immagino stia scuotendo la testa. «Come sta Goku-kun? Come siete finiti in questa situazione?»
«Lui sta benissimo, adesso è andato a letto e mi ha detto che non vede l’ora che domani sia mattina perché vuole andare a scuola sul serio a seguire le lezioni!» le spiego, alzando la voce perché mi sembra davvero di sprizzare entusiasmo da tutti i pori. «Però… stavo pensando che tu saresti una perfetta Eva Kant, se io facessi Diabolik. La prossima volta facciamo qualcosa del genere insieme?»
«Non osare coinvolgermi nelle tue folli pagliacciate, non sono una buffona come te! Non costringermi a venire lì a picchiarti! Giurami che non lo farai più!»
«E va bene, promesso…» sospiro. «Però scommetto che se venissi qui, non ti limiteresti a picchiarmi» alludo, facendo la voce roca.
«Già, potrei anche strangolarti, scemo che non sei altro!»
«Uffa, sei crudele…».
«In realtà mi piacerebbe davvero essere lì con te, stupido… o che tu fossi qui…» sospira lei, improvvisamente malinconica.
«Non so cosa darei, Là» sorrido, mentre sento il cuore battermi più forte. «Mi piacerebbe se riuscissimo a vederci per il tuo compleanno… per quale cazzo di motivo deve essere così lontana Kanazawa?!»
«Non preoccuparti, Rad. Sono sicura che in qualche modo ci vedremo» mi rassicura lei. «E anche se non dovessimo riuscirci, tanto dopo pochi giorni tornerei comunque a casa. Qui siamo a buon punto, sto andando alla grande!»
«Sei fantastica, Là! Non vedo l’ora di vederti nei panni di C18! Allora oggi tutto ok le riprese?» esclamo. «Anche se stamattina ho visto una tua gigantografia in stazione e tremo ancora da quanto mi hai fatto eccitare».
«Sei il solito maiale irrecuperabile, la gente penserà che sei un maniaco se ti metti a fissare le pubblicità in giro in quel modo…» sospira rassegnata. «Se però dovessi venire a sapere che fissi nello stesso modo anche altre ragazze sui cartelloni pubblicitari, metti in conto che potrei farti saltare via la testa. Ok? »
«Mi eccito solo guardando te, mia dea!» mi metto sull’attenti, strappandole una risata soffocata che riesco a cogliere anche attraverso il telefono.
«Sarà meglio, scemo. Comunque le riprese stanno andando benissimo, mi sto anche divertendo! Ho distrutto per finta delle case ed è stato meraviglioso!» sibila poi, col tono da piccola sadica che adoro. «L’unica cosa negativa è che fa davvero freddo qui. Soprattutto di sera. Per fortuna mi porto sempre dietro la tua felpa» aggiunge, alludendo a una delle mie felpe Jordan più pesanti che ha voluto che le prestassi per questo viaggio. «Ha ancora addosso il tuo profumo, mi aiuta anche a combattere la nostalgia».
Le ultime parole le dice in un sussurro. Un sussurro che mi fa sembrare di avere nel petto un esercito.
«Non so cosa ti farei, se fossi qui con me. Mi manchi, cazzo».
«Scommetto che faresti cose da maiale, come tuo solito» mi provoca.
«Ovvio. Sei troppo bella, lo sai anche tu!»
«Cosa ho fatto per meritarmi un pervertito come fidanzato?!» sbuffa lei, fingendosi disperata. «Però mi fa sempre piacere suscitare in te queste reazioni» aggiunge maliziosa.
«Cosa dici, mi merito un tuo spettacolino privato vestita da coniglietta quando tornerai?»
«Non ti meriti niente, porco» ribatte, gelida e lapidaria. «Guarda che non mi sono dimenticata di quello che hai combinato stasera. E non mi hai ancora detto come vi siete ritrovati a scuola di sera tu e tuo fratello. Mi chiedo cosa ti passasse per il cervello. Se hai ancora un cervello…».
Le spiego tutto quello che è successo in questa convulsa giornata, dalla disperazione di Goku davanti alla sua scuola fino all’incursione serale in quella stessa scuola, passando per il Parco della Preistoria e tutto l’entusiasmo che sembra avere addosso ora mio fratello.
«Uhm… ammetto che sei stato bravo come al solito, hai gestito tutto molto bene» si complimenta Lazuli al termine del mio resoconto. «Ciò non toglie che hai fatto una cosa stupida, oltre che illegale, ad entrare in quel modo a scuola. Ma almeno ce l’hai fatta e sei riuscito a sbloccare le paure di Goku-kun. Sei un bravo fratellone».
«Ok, non lo farò più…» bofonchio. «Però per me è stata una soddisfazione enorme vedergli vincere una dopo l’altra le sue paure in quest’ultimo periodo. Stasera poi è stata una sensazione difficile da descrivere… avevo addosso una strana malinconia alla fine, come se fosse finito qualcosa. Io odio i finali e gli addii… ma forse era solo un brutto presentimento».
«Adesso non devi pensare alle cose brutte, Rad! Goku-kun ha appena fatto un passo enorme in avanti per ritrovare la sua indipendenza… tu devi solo essere fiero di te per quello che hai fatto oggi e negli ultimi due anni e mezzo».
«Già… è stato bello e anche un po’ commovente vederlo così carico in vista di domani. Spero che andrà davvero tutto bene…» sospiro, improvvisamente col cuore un po’ più pesante. Ho cercato di scacciare i miei dubbi, ma non è così semplice riuscire a pensare sempre positivo. Soprattutto se non puoi prevedere ciò a cui rischi di andare incontro.
«Ehi, Rad, cos’è quel tono così mogio? Goku-kun ha fatto una grandissima cosa oggi grazie a te, devi essere solo felice che domani non stia più nella pelle per andare a scuola» prova a rassicurarmi, parlandomi dolcemente. Le sue parole mi accarezzano l’anima. Leniscono il mio dolore. Alleviano il mio presentimento. «Vorrei essere lì per abbracciarti forte e dirti che andrà tutto bene».
«Sembra di sentire parlare me stesso» sorrido. «Grazie, Là… vorrei davvero tanto anch’io che tu fossi qui adesso. Ti amo un casino».
«Ti amo anch’io, scemo. Anche se mi hai fatto diventare una sdolcinata ormai, tutto ciò che ho sempre odiato…» sbuffa freddamente. «Però dicono che chi va con lo zoppo impara a zoppicare, no? E a me piace zoppicare con te».
«Sei tutto quello che potevo desiderare dalla vita, te lo giuro» le dico, mentre mi rendo conto subito di quanto già mi senta meglio. «È per questo che mi manchi così tanto».
«Allora facciamo che continuerò a vestire i panni di Radish Son, così ti dirò una cosa come se fossi tu. Almeno non mi vergognerò più di tanto. Sei pronto?»
«Prontissimo!»
«Lo vedi il cielo fuori dalla finestra?»
«Sì».
«Le stelle brillano a Fujisawa come brillano qui a Kanazawa?»
«Sì».
«Allora se possiamo vedere entrambi lo stesso cielo, non siamo poi così lontani».
«Sei un tesoro, Là. Ti sei ricordata di quello che ti avevo detto per telefono quando eri a Kagoshima! Sei… sei fantastica!»
«Certo che me lo ricordo quello che mi dicevi quando ero a Kagoshima! Mi ricordo tutto quello che mi dici» sbotta lei, cercando di fare la dura. «È imbarazzante anche per un’attrice come me fingersi un romanticone sdolcinato e pervertito come te, però. Adesso è il tuo turno di dirmi qualcosa di carino, lo pretendo».
«Certo, te lo meriti. Fidati di me».
«Mi spiace doverti salutare, ma domani devo alzarmi prestissimo e inizio ad avere un po’ sonno. È stata una lunga giornata».
«Anch’io sono stanchissimo, Là. Quindi adesso andrò a letto anch’io, ma non perché ho sonno, ma semplicemente perché non mi manchi solo quando dormo».
«Ammetto che ti sei giocato molto bene anche stavolta la tua carta da romanticone, mi tiri sempre su di morale» risponde lei dolcemente. «Anche se secondo me adesso andrai sotto la doccia e penserai intensamente a me, da bravo maiale quale sei» aggiunge maliziosa.
«Mi hai beccato» sospiro, ridendo. «Non posso nasconderti niente, sei diabolica!»
«Mi piace essere diabolica» ghigna lei. «E mi piaci anche tu, stupido maniaco che non sei altro. Pensami anche mentre dormi, intesi?»
«Certo Là, stanotte scriverò in cielo che ti amo davvero».
 
 
27 novembre
 
«Goku, è mattina! Cosa fai ancora a letto?!» sbuffo, entrando in camera di mio fratello e trovandolo ancora addormentato sotto le coperte. «Vuoi fare tardi a scuola proprio nel giorno in cui hai deciso di tornarci?!» gli domando, tirando su la tapparella della stanza.
Il locale si illumina, mentre sento mio fratello muoversi lentamente sotto le coperte. Lo osservo mettersi a sedere e stropicciarsi gli occhi, ancora intontito.
«Ciao Rad» mi dice, sbadigliando.
Un brivido mi sale lungo la schiena. Mi sento improvvisamente le gambe molli. Le ginocchia sembrano cedermi.
Non riesco nemmeno a parlare.
«Perché mi guardi così?! Stai bene?! Eh, Rad?»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: un capitolo decisamente denso e con un finale thrilling, non posso che sperare vi sia piaciuto! Andrà a scuola davvero Goku quella mattina o è forse successo qualcosa secondo voi?
Rad, nel frattempo, è riuscito con un escamotage dei suoi a far raggiungere a Goku-kun il suo ultimo obiettivo, dopo averlo portato anche a vedere i dinosauri. Spero che il nostro Radish vi abbia saputo far sorridere con le sue battutacce per alleviare la tensione e che siate fieri di Goku, che, in qualche modo, riesce a vincere la sua paura più grande. Spero anche che vi sia piaciuta la telefonata con Là, un po’ fluff e un po’ comica come ci hanno abituato i nostri Raduli. Lazuli è sempre dolce e psycho allo stesso tempo per la gioia di Rad, che però sta sentendo la sua mancanza anche più di quanto faccia trasparire. Lazuli gioca anche a fare il Rad della situazione, anche se lei odia abbastanza apparire sdolcinata. Vi spaventa sapere Là lontana 400 km in un momento così delicato e a pochissimi giorni dal suo compleanno?
Ovviamente, da immenso fan di Diabolik e Eva Kant, farei carte false per un bel disegno di Rad e Là in versione Diabolik e Eva in omaggio a questo capitolo! ;-)
Rad e Goku al Parco della Preistoria non sono altro che rappresentazioni del me bambino e del me attuale quando ci vado, ho sempre amato i dinosauri e in generale gli animali. Complimenti a Vale95 che ha azzeccato che Rad stava portando Goku dai dinosauri, tra l’altro!
 
Ringrazio tantissimo chi mi lascia sempre il suo parere e mi dà l’entusiasmo per cercare di fare sempre del mio meglio capitolo dopo capitolo. Io non posso che sperare che la storia continui ad affascinarvi come all’inizio e che i personaggi vi piacciano sempre nonostante tutte le cose che sono successe. Grazie mille anche a chi legge in silenzio, se volete dirmi anche voi cosa ne pensate non potrà che farmi piacere.
Grazie anche a chi ha realizzato la magnifica fan art di Lazuli che è poi la prima immagine pubblicitaria legata al film su C18 che sta girando. Spero vi piaccia come scelta, anche se ne vedremo altre più avanti!
 
Cosa dire sul capitolo di settimana prossima a parte che è una bomba? Io ve lo dico, succedono un paio di cose clamorose… soprattutto una secondo me non ve l’aspettate, mentre l’altra è abbastanza prevedibile, direi. Il titolo sarà “Il passato che torna a bussare”… ma in che senso? Sotto quali sembianze? Per chi?
Preparate qualche fazzoletto se siete sensibili come me, per il resto attendo con ansia di sapere cosa pensate possa accadere a questo punto. Sarà un capitolo chiave, tenetevi forte!
Grazie mille e a mercoledì prossimo!
 
Teo
 

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Capitolo 42
*** Il passato che torna a bussare ***


42 – Il passato che torna a bussare
 
 
Rad?! Da quando mi chiama Rad?!
E la voce di Goku… la sua voce è diversa! È… è diventata più matura!
«Aspetta… sei mio fratello, vero?» mi chiede, scrutandomi meglio, mentre lo osservo con gli occhi sgranati e la bocca semiaperta. Probabilmente sto tremando. «Sei sempre stato così alto? E così grosso?» aggiunge, perplesso.
Anche la luce nei suoi occhi è diversa. Il suo modo di muoversi. Di guardarsi intorno. E di guardare me.
«Sì, sono io…» sussurro.
«Mi fanno male le gambe» si lamenta, stiracchiandosi e alzandosi in piedi.
Anche il suo modo di camminare è diverso. Lo osservo di spalle, mentre si guarda intorno confuso e si gratta la testa.
«È normale, ieri siamo stati tutto al giorno al Parco della Preistoria e abbiamo camminato un casino».
«Io e te dove?! Ma cosa dici?!» sbadiglia di nuovo. «Sicuro di non essertelo sognato, Rad?» mi chiede, prima di soffermarsi per un istante davanti allo specchio. «Ma… sono diventato più grande anch’io, secondo te?!»
«Goku, tu… tu sei…» farfuglio, con la gola sempre più secca e il petto che comincia a farmi male come non succedeva da tempo.
«Ma poi, scusa, la mia camera è sempre stata così?!» mi interrompe, guardandosi intorno stupito.
«S-sei… sei Goku, vero?» balbetto.
«Ma che domande fai?! Stai bene o ti si è fuso il cervello?!» scoppia a ridere. «Comunque, se può consolarti, anch’io non ci capisco niente stamattina!» continua a ridere.
Non parla neanche più di sé stesso in terza persona.
Ormai ne sono certo, ma voglio chiederglielo lo stesso.
«D-dimmelo e basta… sei Goku-kun?»
«Sono Goku, certo!» ride ancora. «Non so perché sono in questa stanza e perché io e te sembriamo più grossi, mi hai fatto uno scherzo?!»
No, non è uno scherzo.
Alla fine è successo davvero. E io lo sapevo, me lo sentivo.
Abbasso la testa e stringo i pugni così forte da farmi male. Trattengo a stento le lacrime, mentre esco dalla camera di mio fratello.
Goku-kun non c’è più. Non esiste più. Forse se ne è andato per sempre.
Gli ultimi due anni e mezzo della nostra vita insieme sono evaporati per sempre, lo so. E anche Lazuli, Chichi e tutti gli altri. Tutti i suoi ricordi.
Tutto.
Tutto, cazzo!
Tutti i ricordi.
Puff, svaniti.
Dovrei essere felice di rivedere Goku-san o dovrei piangere come vorrei fare perché sento che Goku-kun è morto?
Vado in salotto quasi correndo, abbandonando in camera mio fratello che mi segue stranito con lo sguardo.
Mi manca l’aria… mi manca l’aria, cazzo!
Lazuli! Sì, lei saprà di certo cosa fare!
Recupero il telefono e cerco di non farlo cadere dalle mie mani che tremano sempre più forte. La chiamo e resto in attesa.
Rispondi… rispondi, Là! Ti prego…
Ma il cellulare suona a vuoto.
Già, mi aveva detto che oggi iniziava prestissimo le riprese e che sarebbe stata una giornata impegnativa.
Lei mi direbbe di stare tranquillo, giusto?! E di mantenere la lucidità… sì, devo essere lucido. Là è al lavoro e non devo farla preoccupare per una cosa del genere. Posso gestire tutto io, come sempre. Come ho sempre fatto con Goku-kun.
Sì, ma Goku-kun è morto…
Sospiro e sprofondo nel divano, mentre gli occhi mi si riempiono di lacrime.
Goku-kun è morto, Lazuli è lontana e io non so che cazzo devo fare.
So solo che mi viene da vomitare e che mi gira la testa.
Una fitta improvvisa al petto mi fa piegare in avanti.
Vaffanculo!
Lazuli mi direbbe di stare calmo e che a tutto c’è una soluzione. È quello che le direi io in una situazione del genere, tra l’altro. Perché è quello che penso io della vita e dei casini che ci capitano.
Però… però non è facile quando sei tu a sentirti nella merda fino al collo.
Vorrei che fossi qui, Là… vorrei che mi rispondessi al telefono.
Dovrei mandarle un messaggio? No… ora no, se lo leggesse di sfuggita poi si preoccuperebbe e io non voglio essere un peso per lei. Questo film deve girarlo al massimo delle sue possibilità.
Devo reagire. Tirare fuori le palle.
Non c’è nemmeno Chichi, tra l’altro. Ieri l’ho informata velocemente di quello che abbiamo fatto io e Goku, senza scendere troppo nei dettagli e lei mi ha spiegato che dovrà stare via un paio di giorni con le Sweet Bullet perché sono state invitate all’ultimo secondo a un live show televisivo che non avevano in programma.
E poi sono già nel panico io, figuriamoci se ci fosse qui anche lei.
Bulma e Vegeta? No, meglio lasciarli tranquilli. Idem Lunch, che non conosce nemmeno Goku.
No, tocca a me prendere in mano le redini, adesso.
Sono il fratello maggiore e devo comportarmi come tale, quindi adesso porterò Goku in ospedale e sentiremo cosa diranno i medici.
Sì, magari ci spiegheranno che riacquisterà subito tutti i suoi ricordi!
Provo ad autoconvincermi, sapendo di mentire a me stesso… non ci credo nemmeno io, ma questo mi dà la forza di comporre un nuovo numero di telefono.
«È successo qualcosa, Radish?!» mi domanda mio padre, allarmato, rispondendo istantaneamente alla mia chiamata. Mi sento meglio a sentire la sua voce, non so perché. Ma mi dà forza. Magari non sarà stato un papà sempre perfetto, ma capisco forse solo ora quanto gli voglio bene. E quanto è bello avere un papà, sapere che c’è quando hai bisogno.
«Sembra… sembra che a Goku sia tornata la memoria» rispondo, deglutendo e cercando di mantenermi freddo.
«Davvero?!»
«Sì… non credo di essermi sbagliato…».
«Hai ragione. Ma sta bene?! E tu… tu stai bene?!»
«Sì, sì, stiamo bene. Ma pensavo di portarlo in ospedale per farlo visitare. Tu puoi venire?»
«Certo! Parto subito, ci vediamo lì!»
 
«Pare non ricordi nulla del periodo in cui era affetto da amnesia» ci spiega un medico parlando di Goku, parecchie ore dopo, dopo averlo sottoposto a diversi esami e visite specialistiche.
Le sue parole mi arrivano al cuore come una coltellata. Sento una fitta al petto, ancora una volta, ma così forte da farmi sobbalzare sulla sedia in cui mi trovo. Il dottore si interrompe, osservandomi preoccupato.
«Radish, tutto bene?» mi domanda mio padre, seduto al mio fianco, con la cravatta allentata e le maniche della camicia ripiegate all’altezza dei gomiti. Non si è mai mosso di qui, come me del resto.
«S-sì…» sbiascico, abbassando la testa e appoggiando entrambe le mani sulle ginocchia. Mi sento uno schifo, altro che “tutto bene”.
Ho spento il telefono, come da regolamento in quest’area dell’ospedale, e non mi sono mai mosso da qui nemmeno io. Lazuli avrà provato a richiamarmi? Dovrei chiamarla io? No… meglio di no. Devo lasciarla tranquilla. Magari stasera quando avrà finito le riprese. Ora devo farcela da solo. Devo essere forte. Provarci, almeno.
«Anche se ora è probabile che non abbia compreso appieno la situazione, i vuoti nella sua memoria presto o tardi lo destabilizzeranno» riprende il dottore, mentre io comincio a vedere sfocata l’immagine dei miei piedi. Sento la sua voce lontana, ovattata. «Fino a quel momento il mio consiglio è di tenerlo qui, sotto osservazione».
«Glielo affidiamo, dottore» si alza in piedi mio padre, inchinandosi. «Possiamo vederlo adesso?»
«Certo, vi accompagno in camera sua» risponde lui, facendoci strada.
Io li seguo come fossi un androide programmato per farlo. Anzi, mi trascino tra i corridoi fluttuando come un fantasma.
Non sento nulla, non mi sembra di percepire nulla.
Nulla, a parte un dolore atroce che sta divorando la mia anima.
 
«Uffa, non mi pare di avere qualcosa che non va…» sbuffa Goku, contrariato, seduto sul letto della sua stanza con le ginocchia raccolte sul petto. Si dondola avanti e indietro, insofferente.
Mio padre è seduto accanto al letto, io mi sono messo su uno sgabello a pochi metri di distanza, leggermente in disparte.
Mi sento male. Ho la nausea, vorrei piangere. Vorrei gridare. Scappare via. Urlare il mio dolore.
Alzo la testa solo perché mi rendo conto che sta diluviando. Osservo per un istante il cielo grigio fuori dalla finestra, prima di tornare a fissare le mie scarpe e il pavimento di questo posto.
Prima di tornare a fare i conti con me stesso e col mio lutto che non posso elaborare.
Goku-kun è morto… io non potevo salvarlo?! Non ho salvato Goku-kun, proprio come non ero stato in grado di salvare Goku-san due anni e mezzo fa.
Faccio schifo.
Tante belle parole e tanti sorrisi, ma la realtà è stata diversa anche stavolta.
Chi sorride è più forte, vero, Videl?! E perché adesso mi sento una merda?! Perché Goku-kun è morto?! Ho salvato tutti in questi mesi, perché non ho salvato mio fratello?! Perché?!
Mi tremano le mani, mi sento vuoto. A pezzi. Stravolto.
Non ho idea di che ore possano essere. Non ho mangiato nulla, né a colazione e nemmeno a pranzo. Ma è già passata l’ora di pranzo?! Che cazzo di ore sono?! Il cielo è davvero scuro… non penso sia solo dovuto alla pioggia. Ma non ho fame, tanto. Non sento nulla, non merito di sentire nulla.
Vorrei ci fosse qui Lazuli, quello sì… ma la merito davvero?! Lei merita davvero di soffrire per uno come me?! Per uno stronzo che non è nemmeno in grado di salvare suo fratello minore?! No… devo lasciarla tranquilla. Deve lavorare tranquilla. Non deve affogare con me nella merda.
«Goku… sei davvero tu?» farfuglia mio padre. Mi sembra emozionato. La sua voce trema leggermente. Forse è commosso. Magari non ci crede nemmeno lui.
Sento che scoppia a piangere. Sì, mio padre sta piangendo di gioia perché a Goku è tornata la memoria. Non piange certo perché è morto Goku-kun. A lui e alla mamma è sempre stato sul cazzo Goku-kun, io lo so. Loro volevano Goku-san, è normale che ora lui sia felice.
«Papà, che cos’hai?!» domanda mio fratello, stranito.
Già, lui non può ricordare nulla di quello che è successo. Non sa nemmeno che nostra madre è andata fuori di testa e vive da anni in una clinica psichiatrica.
«Ah, no… è che…» balbetta lui.
«Dai, così mi metti in imbarazzo!» esclama mio fratello, scoppiando a ridere.
«Hai ragione, Goku…».
«Non hai motivo di piangere, papà! Davvero!»
Io ne ho abbastanza. Non ce la faccio più.
Mi manca l’aria.
Mi sento morire qui.
Sto male. Troppo male.
Troppo.
Non so nemmeno io dove dovrei andare o cosa dovrei fare. Se essere felice che mio fratello abbia riacquistato la memoria. Se credere che possano tornargli anche i ricordi di Goku-kun. Se sperarci.
So solo che mi alzo in piedi e comincio a camminare lentamente trascinando i piedi, a testa bassa.
È colpa mia. Tutta colpa mia.
Non sento nulla, a parte un senso di spossatezza diffuso che mi fa sembrare di non avere la forza per andare avanti.
È solo il dolore lancinante che mi lacera il petto a permettermi di non crollare. Di non perdere i sensi, probabilmente.
Vorrei svenire, almeno smetterei di soffrire.
E invece, no… nemmeno questo! Cicatrici del cazzo, realtà di merda!
«Dove vai, Rad?»
La voce di mio fratello mi arriva lontanissima, come fossi in un sogno. Anzi, in un cazzo di incubo.
Vorrei rispondergli che vado a fare in culo e di lasciarmi stare. Di lasciarmi perdere. Vorrei gridarlo al mondo, alla realtà che sembra perseguitarmi.
Ma non dico niente.
Mi limito a stringere i pugni e digrignare i denti, prima di correre via.
Fuori dalla stanza di Goku. Lontano da lui, da mio padre.
Fuori dal reparto. Dall’ospedale.
Corro sotto la pioggia battente. Corro senza una meta. Corro senza senso.
Corro fino a farmi bruciare i polmoni. Fino a sentirmi le gambe esplodere.
Piango. Corro e piango.
Urlo. Sbraito contro il cielo la mia rabbia, la mia frustrazione. Il mio senso di colpa.
 
«Non dovevi tornare a vedere i dinosauri?!» urlo, mentre un tuono copre parzialmente le mie parole e una macchina mi sfreccia accanto sollevando acqua e fango al suo passaggio.
Guardo il cielo nero in tempesta e poi il mare alla mia sinistra, illuminato per un istante da un lampo. Lui se ne starà fregando, come sempre. Della pioggia, della merda che gli piove addosso all’improvviso. Di tutto.
Ma io non ce la faccio a fregarmene come fa il mare. Non posso.
Mi sento solo. Ho paura. Piango e urlo.
Corro sul marciapiede che costeggia la strada che dà sul mare, ma non so nemmeno perché lo faccio o dove cazzo sto andando.
Mi fa male il petto e sono solo.
Là… dove sei, Lazuli?! Io… io ho paura, cazzo! Io sto male… io… non so cosa devo fare!
«Non avevi detto che avresti fatto valere tutti quei soldi spesi per gli abbonamenti?!» grido fino a farmi raschiare la gola. Mi sposto con stizza una ciocca di capelli bagnati dagl’occhi, senza smettere di correre. Senza smettere di piangere.
Senza smettere di chiedere spiegazioni a Goku-kun.
Perché te ne sei andato, Goku-kun?! Io… io ti volevo bene! Ho fatto di tutto per te!
«Avevi detto… avevi detto che oggi saresti andato sicuramente… sicuramente a scuola…» urlo a fatica, prima di crollare in ginocchio sul marciapiede, incapace di fermare le mie lacrime. «L’avevi detto tu, Gokuuu!» ululo follemente, sgranando gli occhi e battendo entrambi i pugni contro l’asfalto bagnato.
«Aaahhh!» urlo di dolore, quando una fitta atroce al petto mi fa piegare in avanti fino a toccare il marciapiede con la fronte.
Risollevo a fatica il busto e mi porto una mano tremante all’altezza dello sterno, fino a toccarmi. La ritraggo e me la porto davanti agli occhi.
La pioggia battente lava via in pochi secondi dalla mia mano tremante tutto il sangue di cui è ricoperta.
Sangue. Il mio sangue.
Sangue dal mio cazzo di petto.
Di nuovo.
«Non scherziamo…» farfuglio, portandomi entrambe le mani al petto e ritraendole coperte del sangue che sta imbrattando la mia camicia bianca. Sangue e pioggia. Il passato che torna nel presente. Un dolore immane, sia fisico che nell’anima. «Non scherziamooo!» sbraito, colpendo di nuovo il marciapiede coi miei pugni insanguinati.
Osservo il mio sangue che bagna l’asfalto, per poi finire insieme alla pioggia nel canale di scolo.
Lo guardo e riprendo a piangere disperatamente, incapace di fermare l’emorragia.
Le mie cicatrici si sono riaperte… è questo ciò che merito?!
«Ho detto di non scherzare! Ti ho detto di non provarci! Che cazzo significa questo!» urlo all’improvviso contro il cielo nero, sollevando di scatto il busto e premendo entrambe le mani aperte contro le mie profonde cicatrici sanguinanti. «Io… io non vogliooo!» sbraito, crollando di nuovo in avanti senza togliere le mani dal petto.
Piango, non riesco a smettere di piangere.
 
In mezzo al rumore della pioggia mi sembra di sentire dei passi leggeri che si avvicinano, davanti a me.
Vicini, sempre più vicini.
Finché quel suono si interrompe.
Resto immobile, piegato in avanti sull’asfalto bagnato di pioggia, lacrime e sangue.
A pezzi, fisicamente e mentalmente.
Allucinato. Stravolto nell’anima.
«Andrà tutto bene, Rad!»
Una voce allegra e rassicurante mi attraversa come una scossa elettrica e mi fa spalancare gli occhi. Mi fa smettere di piangere all’improvviso. Mi fa seccare la bocca.
Sento di nuovo il mio cuore battere sotto le profonde cicatrici che grondano sangue. Non lo percepivo più da un po’. Mi sembra anche di provare meno dolore fisico.
«Non devi piangere, Rad. Adesso ci sono qui io. Puoi stare tranquillo».
Di nuovo quella voce. Dolce e rassicurante.
Una voce che avevo sentito e risentito solo nella mia testa negli ultimi due anni e mezzo.
Sollevo la testa leggermente e vedo a non più di mezzo metro di distanza dei sandali neri e due caviglie nude, coperte appena da un vestitino lungo bianco che non mi sembra nemmeno così tanto bagnato, considerato quanto sta piovendo forte.
Risalgo lentamente con lo sguardo lungo quell’abito fino alle spalle, su cui si posano due codini neri fissati con lacci dorati.
Un sorriso, due occhioni blu.
Un’aura di serenità e positività che sembra avvolgermi.
Il suo volto è proteso verso di me.
Allunga una mano, coperta dalla manica bianca di un vestito che non mi sembra molto adatto al clima e alla giornata odierna, mentre l’altra sorregge un grande ombrello giallo che la ripara.
Chiudo gli occhi e li riapro, per guardarla meglio. Per essere sicuro di non essere pazzo.
Vedo ancora gli stessi occhi blu, gli stessi codini neri. Lo stesso sorriso. Quella mano protesa verso di me. La mano di una ragazza di diciotto anni.
Deglutisco il nulla, mentre gli occhi mi si riempiono di nuovo di lacrime.
«Videl…» sussurro, incapace di dire altro.
«Ora che ci sono qui io, non devi più preoccuparti di nulla!» mi sorride dolcemente, abbassandosi ancora di più verso di me e coprendomi col suo ombrello. «Andiamo a casa, rischi di ammalarti con questa pioggia. E poi dobbiamo curare le tue ferite» sorride ancora, spostandomi una ciocca di capelli bagnati appiccicati alla fronte per appoggiarci sopra la mano. «Per fortuna non scotti, e a quanto pare hai anche smesso di sanguinare. Però hai bisogno di scaldarti un po’ e disinfettare le ferite, Rad» aggiunge, allungando la mano verso di me, invitandomi a stringergliela.
«Perché?» bisbiglio, ancora inginocchiato sul marciapiede. «Perché sei qui?! Perché sei sparita dopo quel giorno?!» aggiungo, sgranando gli occhi e alzando leggermente la voce.
«Quella che conta è che io ci sia quando hai bisogno di me, no?» mi spiega, trasudando spontaneità e dolcezza. «Per fortuna passavo di qui, prima che la pioggia mi sorprendesse!» ride, inginocchiandosi alla mia altezza. I suoi occhi blu sembrano brillare. «Dai, prendi la mia mano. Andiamo a casa» mi esorta, rialzandosi e tendendo la mano che non stringe l’ombrello verso di me.
«Perché non risulti registrata da nessuna parte nella mia scuola?» le chiedo a bruciapelo, attratto e allo stesso tempo confuso dalla sua presenza. Dalla mia bocca esce in realtà un suono indistinto, almeno alle mie orecchie. Non so nemmeno se possa aver capito.
«Perché ho frequentato un’altra scuola, no?! Vogliamo andare a casa o vuoi continuare a giocare a fare il Detective Conan, Rad?» scoppia a ridere. «Non è carino da parte tua ignorare i magnifici consigli della tua senpai di vita, o sbaglio?!»
Guardo la sua mano e osservo i suoi occhi che non smettono di fissarmi, curiosi, rassicuranti e indagatori allo stesso tempo.
Guardo ancora la sua mano e, senza quasi rendermene conto, la stringo e mi rialzo.
 
«Sto per entrare!» annuncia Videl, aprendo la porta della mia stanza.
Sono seduto sul letto, ancora bagnato fradicio, ma con un asciugamano appoggiato sulla testa. Mi copre gli occhi, mi permette di fissare a malapena una porzione del pavimento.
Ho i pantaloni e la camicia appiccicati addosso, sento gocce grondare una dopo l’altra dai miei capelli sulle piastrelle del pavimento e sulle lenzuola. Videl mi ha aiutato a togliere le scarpe e la giacca quando siamo arrivati, prima di farmi sedere qui e dirmi di iniziare ad asciugarmi. Ma la sentivo appena. La vedevo a malapena.
Il mio sguardo è vacuo, il mio cuore è a pezzi. Mi sento confuso, disorientato. E ho paura.
Perché sono in camera mia? E perché c’è qui Videl? Dov’è finita Lazuli?
Perché Goku-kun è morto? Io… io potevo salvarlo. Dovevo salvarlo!
«Se ti stai cambiando o sei nudo non prendertela con me, io ti ho avvisato che stavo per entrare!» ride Videl.
Sento la porta di camera mia aprirsi e dei passi che si avvicinano.
Abbiamo camminato in silenzio sotto la pioggia fino a casa mia, non so per quanto. Non so nemmeno che ore siano, che giorno sia. Se è già passata la notte.
Ricordo che l’ho seguita, che non capivo nemmeno dove mi trovassi nonostante fossimo a Fujisawa in strade che avrò percorso centinaia di volte.
Ogni tanto mi parlava, ma io quasi non la sentivo. Avrei voluto chiederle mille cose, avrei voluto raccontargliene altrettante. Metterla al corrente della mia vita, di quante cose sono cambiate dall’ultima volta. Avrei voluto chiederle spiegazioni su tante, troppe cose. Avrei voluto, ma dalla mia bocca non riuscivo ad emettere nessun suono.
Avrei voluto salvare Goku-kun, del resto, ma ho fallito miseramente. È questo quello che conta. È questa la realtà.
Non riesco a pensare ad altro. Non ce la faccio.
Non ci riesco, cazzo.
Vorrei chiedere tante cose a Videl. Sul perché mi ha spezzato il cuore subito dopo averne rimesso assieme i pezzi. Sul perché è uscita dalla mia vita subito dopo avermi indicato una via per affrontarla al meglio. Sul perché è qui, ora. Per quale cazzo di motivo si trova in camera mia adesso.
Ma non posso. Mio fratello… lui non c’è più per colpa mia.
«Peccato che sei ancora vestito. Speravo di trovarti nudo o almeno in mutande, lo sai?» ridacchia Videl, piazzandosi davanti a me. Credo che abbia le mani appoggiate ai fianchi, anche se la intravedo appena, semicoperto come sono dall’asciugamano sulla mia testa. Vedo bene i suoi piedi nudi, quelli sì. «Però potevi asciugarti almeno un po’, sei fradicio come un anatroccolo» sospira, muovendo un passo in avanti. «Dai, lascia fare alla tua senpai. Tanto ci vuole ancora un po’ prima che l’acqua della vasca sia bella calda. Un bel bagno è quello che ti ci vuole adesso» aggiunge, prendendo tra le mani l’asciugamano e cominciando a strofinarlo energicamente sulla mia testa e tra i miei lunghi e folti capelli appiccicati alla schiena. «Devi asciugarti o ti prenderai un bel raffreddore, stupido. Dopo ti metto anche delle lenzuola pulite, hai fatto proprio un disastro qui».
Resto immobile, a testa bassa. Le mani appoggiate mollemente sulle cosce, come fossi un pupazzo o una cazzo di marionetta. Non dico una parola, la lascio fare. Mi sento inerme, svuotato di ogni briciola di energia. Privo di volontà o quasi.
«Vedrai che domani tornerai a sorriderai, Rad» mi dice dolcemente Videl. Avvolge la mia testa nell’asciugamano ormai umido e la stringe al suo petto. Resto come paralizzato, con la fronte avvolta dall’asciugamano appoggiata al suo seno. Con le sue mani che mi accarezzano la nuca. Sento il suo cuore battere. E mi sembra anche battere forte, a differenza del mio. Io mi sento confuso, estraniato dalla realtà che sto vivendo come se stessi guardando in lontananza la vita di altre persone che non conosco, ma almeno un minimo di rassicurante calore sembra avvolgermi lentamente. «E vedrai che un giorno ne riderai. Di quello che è successo oggi. Di questa situazione. Di noi due, di questo asciugamano».
In quel momento mi sfila il panno dalla testa e si accuccia, con la faccia all’altezza della mia. La fisso con occhi stralunati. Mi sembra quasi sfocata a tratti. Lei mi sorride.
Le nostre bocche non sono lontane. Anzi, riesco a sentire il suo respiro sulle labbra se mi concentro. Ma non mi fa lo stesso effetto di una volta. Non sento nulla.
Forse si aspetta di essere baciata, o forse vuole baciarmi. O magari non ci sto capendo davvero niente. Sono troppo a pezzi per riuscire a capire fino in fondo quello che sta succedendo. So solo che per Videl non provo nulla di quello che provavo un tempo. Il mio cuore a pezzi è altrove, la mia testa anche.
«Me lo fai un sorriso? Eh, non fai un bel sorriso alla tua senpai?» mi domanda, appoggiando le dita sugli angoli della mia bocca e provando a dipingere un sorriso sul mio volto. Io giro la faccia dall’altra parte di scatto, liberandomi dal suo contatto.
«Uhm… deduco che non ti va. Sei diventato un kohai irrispettoso» ride Videl, rialzandosi. «Non me lo fai nemmeno un “hurrà”?! Dai, al mio tre, in coro: hip, hip, hurrà!» grida, alzando entrambe le braccia, divertita. Mi volto a guardarla perplesso, come si guarderebbe un pazzo. Però in passato mi era capitato di sentire qualcuno dire che ci vuole un pazzo per restare sani di mente. Forse era una canzone, in questo momento in cui non so più nemmeno io se sono pazzo o sano di mente non me lo ricordo nemmeno.
«Ok, mi sembra di capire che il tuo gatto ti abbia mangiato la lingua. Quello grasso, intendo. L’altro è rimasto magrino, ma mi piace di più. Non mi dispiacerebbe portarmelo a casa, lo sai?» sorride allegramente Videl, facendo una giravolta improvvisa che le fa gonfiare la gonna del suo lungo abito bianco e la fa allo stesso tempo avvicinare a me.
«Ti do una mano a spogliarti, ormai il bagno sarà pronto» mi dice, sbottonandomi velocemente la camicia e sfilandomela. La lascio fare, senza alzarmi dal letto. Guardo la camicia imbrattata di sangue stretta tra le sue mani, mentre lei si concentra sulle cicatrici che ho sul petto e accenna un sorriso. «Va tutto bene, non sanguinano più. Però non tenerle troppo sott’acqua mentre fai il bagno. Dopo ti faccio una medicazione come si deve. Lascia fare alla tua senpai!» aggiunge dolcemente, scompigliandomi i capelli con una mano.
«Vuoi che ti tolga io anche i pantaloni e le mutande?» mi chiede, con un tono a metà tra il serio e il faceto, mentre lascia scivolare delicatamente una mano dal mio torace fino al bottone dei pantaloni della mia divisa scolastica. Lo slaccia, senza smettere di puntare i suoi occhi blu nei miei. Sento il suo profumo avvolgermi, il suo respiro accarezzarmi di nuovo le labbra. Nei suoi occhi blu intravedo un bagliore simile a una scintilla, o forse me lo immagino e basta.
«Faccio io» le dico lapidario, aprendo finalmente bocca e afferrandole il polso per fermarla.
Lei sorride allegramente e si alza, con la mia camicia imbrattata di sangue tra le mani.
«Quando ti sarai spogliato, lascia pure i vestiti lì per terra e vai a fare il bagno. Ci penso io a fare il bucato, intanto. Non preoccuparti» mi spiega in tono rassicurante, sorridendomi, prima di voltarsi e incamminarsi verso l’uscita della mia stanza.
«Perché non ti sei fatta vedere in spiaggia il mese scorso?» trovo la forza di chiederle all’improvviso. «L’hai lasciata tu quella lettera, vero?»
Lei si ferma sul ciglio della porta, ma non si volta.
«Sono passata due volte, ma ho visto solo una ragazza bionda di spalle. Poi sono tornata ancora nel tardo pomeriggio e ho trovato un tuo messaggio scritto sulla sabbia» mi spiega tranquillamente. «L’avevo già riconosciuta la tua ragazza, è piuttosto famosa. In più giravano già vostre foto insieme su alcuni siti e riviste. E ho anche immaginato che dovevi aver avuto qualcosa di urgente da sbrigare per aver mandato lei all’appuntamento».
«Avevo… avevo dovuto risolvere una questione relativa a mio fratello…» sospiro con un filo di voce, deglutendo a fatica. Già, Goku-kun…
«Allora hai fatto bene a mandare lei! Sa di noi?»
«Sì».
«E cosa pensa di me? Voleva uccidermi?» ride, divertita della sua battuta.
«È… è gelosa, ma ti è anche grata» farfuglio. «Forse avrebbe ucciso me… o forse lo farà, non lo so…» provo a scherzare, accennando per la prima volta un flebile sorriso in questa giornata di merda. Ed è il pensiero di Là a farmi sorridere, seppur a malapena. Seppur con la testa che sembra esplodermi e l’anima ormai in cancrena.
«Tu la ami, vero?»
«Sì».
«E lei? Lei ti ama? È una brava senpai?» mi incalza.
«Sì».
«Lo sapevo che eri in buone mani!» esclama, voltandosi con le mani incrociate dietro la schiena, sorridendomi.
«Cosa… cosa volevi dirmi quel giorno?»
«Volevo sapere se eri riuscito a diventare una persona gentile».
«Io… io non lo so…» farfuglio, mentre gli occhi mi si riempiono improvvisamente di lacrime.
«Lo so io, invece: certo che ce l’hai fatta! So che hai una ragazza che ti ama, un fratello che ti vuole bene e degli amici per cui sei pronto a tutto. Sei diventato davvero un sostegno per chi aveva bisogno di aiuto» ribatte Videl, felice.
«Come… come puoi sapere certe cose?!»
«Le so e basta, Rad. Te lo leggo negl’occhi» risponde, serena e rassicurante, voltandosi di nuovo e facendo per uscire. «Dai, vai a fare il bagno adesso. Rischi di ammalarti».
«Videl» la fermo di nuovo. Ho ancora una domanda che mi assilla. Almeno una, tra le troppe che vorrei farle. «Perché… perché sei sparita dopo… dopo che, ecco…» farfuglio a fatica, con un filo di voce.
«Dopo che ci siamo baciati quella volta, intendi?» interviene lei, voltandosi solo parzialmente. Sta sorridendo. «Perché sapevo che non avevi più bisogno di me. E perché dovevi trovare da solo il tuo posto nel mondo!» mi spiega dolcemente, come se fosse una cosa ovvia. «Oggi so per certo che l’hai trovato, sei stato bravo!» aggiunge, prima di andarsene dalla mia stanza.
 
Entro nella vasca piena di acqua calda e rabbrividisco un attimo per il dolore, quando immergo leggermente le mie cicatrici. Cerco di non bagnare troppo il petto, di lasciarmi avvolgere da un calore rassicurante. Ma sento freddo anche immerso nell’acqua calda. Sento freddo perché non riesco a togliermi dalla testa l’immagine di Goku-kun.
Appoggio la tempia contro le piastrelle poste sopra il bordo della vasca e socchiudo gli occhi. Riprendo a piangere.
Piango senza fare rumore.
Mi sento improvvisamente vuoto. A pezzi. Un’ondata di improvvisa stanchezza e debolezza diffusa sembra travolgermi.
Mi gira la testa, mi sento confuso.
Se chiudo gli occhi vedo solo l’immagine di mio fratello sorridente, con in testa il cappuccio della sua felpa del tirannosauro.
Mi sembra di sentire il telefono di casa squillare. Ma il suono arriva ovattato, lontano. Ammorbidito anche dalla porta del bagno chiusa, non solo dalla mia mente stravolta e stremata.
Sento il “beep” della segreteria telefonica che entra in funzione.
«Stai bene, Rad?! È tutto il giorno che provo a chiamarti e mandarti messaggi, e Bulma mi ha detto che non ti ha visto a scuola. Ecco… richiamami appena puoi. Io… io ho pensato che potrebbe essere successo qualcosa a Goku-kun, o magari ti si è rotto il telefono. Non lo so, fatti sentire, per favore…».
La voce di Lazuli. Sì, era lei. In tutto questo casino non l’ho messa al corrente di nulla. Non… non le ho detto quanto sono stato inutile con mio fratello. Che sono… che sono solo un inetto. Una merda.
Stringo il bordo della vasca con una mano e provo ad uscire, ma mi sembra di non avere le forze per farlo. Mi sento a pezzi. Non mangio nulla credo da più di ventiquattr’ore ormai. Ma devo… devo andare a chiamare Là. Lei non deve preoccuparsi per me.
«Vuoi che richiami io la tua ragazza e le spieghi che stai bene?» mi domanda Videl, dall’altra parte della porta chiusa.
«No» le rispondo seccamente. «F-faccio io…» aggiungo a fatica.
«Allora resta ancora un po’ immerso nell’acqua calda, eri congelato prima e sei senza forze. Se ti alzi adesso rischi di farti male o di collassare» mi spiega. «Hai i nervi a pezzi, la chiamerai tra poco, dopo esserti scaldato e riposato almeno qualche minuto. Ascolta la tua senpai, per favore» aggiunge dolcemente. «Ti ho portato i vestiti di ricambio. Adesso mi siedo qui fuori con la schiena appoggiata alla porta e ti faccio un po’ di compagnia. So che hai bisogno di parlare di tuo fratello».
Già, Goku-kun…
È colpa mia, solo colpa mia.
Mi sento improvvisamente svuotato, inerme.
Appoggio di nuovo la tempia contro le piastrelle della parete del bagno inumidite dal vapore. Socchiudo gli occhi. Piango ancora.
Goku-kun… io… io… scusami.
Ti prego, perdonami tu, perché io credo che non potrò mai perdonare me stesso.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: eccoci arrivati al capitolo che non avrei mai voluto scrivere, perché mi fa sinceramente male vedere uno come Rad così a pezzi. Ci siamo abituati a vederlo un po’ come un supereroe che risolve i problemi di tutti in questa storia, ad avere sempre la battuta pronta e il sorriso, ma in realtà è un ragazzo che ha paure e debolezze, come gli altri, e che è estremamente sensibile. Le sue cicatrici si riaprono perché la vita ha deciso di metterlo di nuovo alla prova. Io credo che ognuno di noi possa rivedere sé stesso nel Rad che piange e corre sotto la pioggia, che urla e che chiede al cielo “perché”. Perché non c’è un perché, ci sono situazioni in cui non possiamo fare altro che rialzarci dopo essere stati sbattuti a terra con violenza. Rad si è già rialzato una volta e ha aiutato altri a rialzarsi, bisogna vedere se saprà reagire anche in questo caso.
Mi fa anche male che non ci sia Là proprio in questo momento (ammetto che mi è mancata terribilmente in questo capitolo, non so a voi), mentre dovete dirmi voi se sia una cosa positiva o no il fatto che sia ricomparsa all’improvviso Videl. Ecco, a proposito, vi aspettavate il ritorno di Videl?! La vediamo in scena per la prima volta nel presente e non in un flashback, vi è piaciuta? Vi ha convinto?
In tutto questo, come ormai vi aspettavate tutti, Goku-kun ha lasciato il posto a Goku-san, e questo ha fatto crollare definitivamente Radish, che sprofonda in un vortice di negatività e sensi di colpa. Rivedremo ancora Goku-kun? Come reagiranno Lazuli e Chichi dopo quello che è successo?
Spero che la narrazione non sia stata troppo caotica, essendo una storia in prima persona ho voluto riportare la confusione, il dolore e la disperazione dentro Rad con un flusso di pensieri a volte sconnesso, a volte ripetitivo, a volte estraniato dalla realtà, soprattutto caotico.
 
Ringrazio come sempre con tutto me stesso che è arrivato fino a qui nella lettura, chi continua a lasciarmi la sua opinione e a trasmettermi entusiasmo, chi preferisce leggere in silenzio ma vuole ugualmente bene a questi personaggi.
Un grazie va poi a Yohann Le Scoul per questa bellissima fan art che mette in scena il confronto a distanza tra le senpai per eccellenza di questa storia, cioè Lazuli contro Videl. Chi vincerà?
 
Tra l’altro è cominciato dicembre e per arrivare col giusto mood al Natale potrei proporvi la mia mini long che avevo pubblicato un anno fa durante le feste come fosse una sorta di Calendario dell’Avvento dal titolo “Beauty and the Beast: Un Magico Natale”. Molti di voi la conosceranno già, ma ve lo dico lo stesso: è un po’ un sequel e un po’ un midquel della long che avevo pubblicato durante il 2018 dal titolo “Beauty and the Beast”, che tuttavia non è fondamentale aver letto per capire la trama di “Un Magico Natale”. Tra l’altro, curiosamente, questa storiella natalizia, pur essendo una VegeBul, ci presenta anche un Radish (in versione Lumiere) “conteso” tra Lazuli e Videl, così ci ricolleghiamo a “Remember me”, visto che siamo qui per questo e io mi dilungo sempre troppo. ;-)
Niente, il prossimo capitolo riparte da qui, con uno stravolto Rad a mollo nella vasca, Videl seduta fuori dalla porta del bagno e Là che lascia messaggi in segreteria telefonica a 400 km di distanza. Il titolo è “La senpai di vita” e credo che qualche fazzoletto potrà fare comodo anche lì, nonostante faccia soffrire troppo anche me descrivere certe sofferenze.
Succederanno un po’ di cose, leggeremo anche qualche estratto del famoso diario di Goku-kun e lotteremo al fianco di Rad per fagli ritrovare il sorriso e la voglia di combattere. Cosa dite, Videl nasconde qualcosa? Farà qualcosa di particolare? E Là in tutto questo come reagirà? Rad combinerà qualche guaio nello stato in cui è?
Ci vediamo mercoledì prossimo, se vi va fatemi sapere cosa ne pensate perché questo penso sia un capitolo bomba, non solo un capitolo tremendamente triste!
Teo
 
 

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Capitolo 43
*** La senpai di vita ***


43 – La senpai di vita
 
 
«Non piangere, Rad. Ti ho detto che andrà tutto bene» prova a consolarmi Videl, dall’altra parte della porta del bagno. «Devi fidarti di quello che ti dice la tua senpai di vita!»
Non so cosa risponderle, non so nemmeno cosa pensare. Zitto, con lo sguardo perso nel vuoto e la testa appoggiata alla parete. Non percepisco nulla, nemmeno il calore dell’acqua in cui sono immerso.
Rimango in silenzio, non so per quanto. Non so nemmeno se lei sia ancora lì fuori. Cosa stia facendo. Ma, in fondo, cosa importa? Cosa potrebbe mai cambiare a questo punto?
«Videl…» chiamo, con un filo di voce. Dalla mia bocca esce una specie di rantolo.
«Dimmi» risponde istantaneamente, con voce squillante e allo stesso tempo rassicurante.
Mi rincuora saperla ancora lì. Non essere solo.
«Io… io non ho potuto fare niente…» farfuglio, tirando su col naso e cercando di smettere di piangere. Penso a Goku-kun. Penso a lui e mi sento male. Tanto, anche. Non riesco nemmeno a sollevare la testa appoggiata lateralmente alla parete. Non ho forze, mi sembra di aver giocato cinque partite di calcio di fila o di aver corso una maratona in salita. Sono stremato. Poco lucido.
«Questo non è vero. Ti sei impegnato moltissimo» prova a consolarmi. Ma sono solo parole di circostanza, lo so. Parole inutili. Fiato sprecato.
«Come fai… come fai a dirlo?»
«Stai pensando che forse avresti potuto fare di più per tuo fratello. So che questo è il tuo più grande rimpianto ora» mi spiega, parlando dolcemente. «Videl-san ha l’occhio lungo per queste cose! Per questo devi ascoltarla, non ricordi che i suoi consigli sono sempre magnifici?»
Già, anche quella volta in spiaggia mi aveva fatto sorridere definendo i suoi stessi consigli come “magnifici”. Però aveva ragione, credo. Anche se tutto mi si è ritorto contro e adesso mi ritrovo qui ridotto peggio di una merda.
«Per caso Goku-kun ti ha mai portato rancore?» riprende Videl.
Non le rispondo.
«Ti ha sempre voluto bene, no?» insiste.
«Avrei potuto fare di più» ribatto, seppure dalla mia bocca esca qualcosa di molto simile a un gemito di dolore e rabbia.
«Potrai farlo la prossima volta!»
«Goku-kun non avrà una “prossima volta”».
«Tuo fratello non è morto. Goku-san e Goku-kun sono la stessa persona. Anche Goku-kun avrà una “prossima volta”. Lui potrebbe tornare, e tu lo sai meglio di me».
«No, non lo so. Smettila… smettila di illudermi! Goku-kun non avrà… non avrà una… una prossima volta…» ribatto con un filo di voce e i pugni stretti sotto il pelo dell’acqua.
«Sentirti parlare così mi fa provare un gran dispiacere per Goku-kun» risponde lei. Per la prima volta il suo tono appare autoritario, quasi duro. Mi fa sentire uno schifo, e ha ragione a farlo. «Lui si è impegnato tanto per non lasciarti con nessun rimpianto e tu lo ripaghi così?!»
Non ribatto. Non so cosa dire. Probabilmente non c’è proprio un cazzo da dire.
«Ha fatto di tutto per dimostrarti che gli bastava averti al suo fianco per essere felice» riprende Videl. «Se questi suoi sentimenti non ti hanno raggiunto, non posso che dispiacermi per lui».
Resto in silenzio, di nuovo. Chiudo gli occhi. Mi sento confuso. Mi sento a pezzi.
«”1 marzo”» dice all’improvviso Videl. Mi sembra di udire qualcosa di simile al fruscio delle pagine di un libro o di un giornale. Ma certo, ha già letto il diario di Goku e ora vuole riportarne alcuni passaggi ad alta voce.
Vuole farmi altro male?! Non è già abbastanza così?!
«”Da oggi Goku-kun inizierà a tenere un diario, come gli ha suggerito il fratellone. È stato sempre il fratellone a regalare a Goku-kun questo quaderno bellissimo e questa penna per scriverci sopra. Goku-kun ha un fratello maggiore, un padre e una madre. Oggi il fratellone è tornato a casa dall’ospedale finalmente, anche se Goku-kun non ha capito cosa abbia avuto. Goku-kun ha avuto paura e tanta nostalgia perché il fratellone è l’unico che lo capisce e lo accetta così com’è. Ha anche detto che può scrivere con la mano sinistra, anche se la mamma non voleva perché diceva che Goku-san scriveva con la destra. Ma Goku-kun non conosce Goku-san. Non conosceva nessuno in realtà. I ricordi di Goku-kun iniziano dal 13 gennaio perché pare che abbia perso la memoria. I dottori hanno detto che è una forma di amnesia causata da un disturbo dissociativo, ma è troppo difficile da capire”».
Videl si interrompe per un attimo, mentre con la mente vago fino agli eventi raccontati dal punto di vista di Goku. Sono già passati due anni e nove mesi da quando venivo dimesso dall’ospedale e gli compravo quel quaderno. Da quando ho perso ogni traccia di Videl. Quasi tre anni da quando mio fratello ha perso la memoria.
«”Fino a poco tempo fa, Goku-kun non era il Goku-kun di ora. Hanno detto infatti che c’era Goku-san, non Goku-kun. Nessuno a parte il fratellone sembra capire che Goku-kun non sa chi sia questo Goku-san, che non l’hai incontrato. È davvero troppo difficile da capire, e a volte Goku-kun piange per questo» continua Videl, anche se mi sembra di sentire la voce di mio fratello al posto della sua.
«”Quando Goku-kun era ricoverato in ospedale, a gennaio, ha avuto l’impressione che la mamma e il papà soffrissero tantissimo per colpa sua. Un giorno si è anche nascosto e ha visto il papà parlare a lungo con una dottoressa. Continuava a chiederle: quando si riprenderà? Goku-kun non capiva, ma si preoccupava. Per caso… Goku-kun è malato? O gli altri si ammalano per colpa sua? A febbraio la mamma ha iniziato a comportarsi in modo strano in casa. Poi, un giorno, piangevano tutti e il papà l’ha portata via. Goku-kun non l’ha più vista da allora, ma ha saputo che è andata in un ospedale dove si sta riposando. È stata colpa di Goku-kun? Il giorno dopo anche il fratellone infatti è andato in ospedale, ma quando è tornato a casa ha detto che non era stato per colpa di Goku-kun e che tutto andava bene. Goku-kun vuole molto bene al fratellone, lo ammira molto. Goku-kun vorrebbe chiedere una cosa che lo spaventa al fratellone, ma ha paura a farlo: cosa succederà a Goku-kun quando gli saranno tornati i ricordi di Goku-san?! Dove andrà? Pensarci gli mette una gran paura e gli fa venire voglia di piangere, per quello si sforza di non pensarci».
Ci pensavi già da allora a questo momento, Goku? Hai avuto paura di quello che è successo oggi per tutto questo tempo, eppure hai imparato a mostrarti sempre allegro e non hai mai smesso di lottare per andare oltre i tuoi limiti.
«”3 marzo. Oggi traslochiamo. Il fratellone ha detto a Goku-kun di scegliere cosa vuole portare nella nuova casa. Goku-kun non si trova molto a suo agio con le cose nella camera di Goku-san. Alla fine ha deciso di portare con sé i libri, i fumetti e la libreria. Goku-san aveva proprio un sacco di libri! Ah, anche Balzar verrà nella nuova casa!”» riprende a leggere Videl, mentre non riesco a fare altro che restare immobile con lo sguardo perso nel vuoto. Mi bruciano gli occhi, mi sembra di avere le palpebre pesantissime. «”È bellissimo il nuovo appartamento! In futuro, quando Goku-kun si sarà ripreso, è quasi certo che Goku-san farà ritorno. Perciò, in questa nuova casa, Goku-kun farà di tutto per essere il miglior fratellino possibile per il fratellone, la persona che l’ha lasciato essere sé stesso”».
Videl si interrompe per un attimo. Sento che sta sfogliando il quaderno. Forse vuole leggermi altro, non lo so.
«”Ad aprile il fratellone inizierà le superiori e frequenterà il Liceo Minegahara. Il fratellone si è anche trovato un lavoro part time come cameriere e torna molto tardi alla sera. Goku-kun si sente molto solo quando lui non c’è, ma farà del suo meglio per badare alla casa insieme a Balzar! Col suo primo stipendio, il fratellone ha comprato a Goku-kun un dvd e un libro sui dinosauri! I dinosauri sono magnifici! E sono giganti!”»
Videl si ferma ancora, la sento nuovamente sfogliare il quaderno. «Adesso facciamo un bel salto temporale in avanti e arriviamo agli avvenimenti di questi ultimi mesi. Hai capito, Rad?» mi domanda dolcemente, senza che tuttavia io sia in grado di risponderle. Non lo faccio con cattiveria o per fare lo stronzo con lei, ma semplicemente non ce la faccio. Non so cosa dire. Mi sento male e basta.
«”7 maggio”» riprende a leggere Videl. «”Riuscite a crederci?! Il fratellone si è trovato la ragazza! È assurdo! Eppure è la verità! All’inizio Goku-kun non capiva e aveva un po’ paura! La sua fidanzata si chiama Lazuli-san, per fortuna è gentilissima! È un’attrice famosa che compare spesso in tv. Goku-kun lo sapeva, anche se non gliel’ha detto!”»
«Lo sapevo che Lazuli-san è una bella persona, Videl-san ha fiuto anche per queste cose! Hai visto Rad, anche tuo fratello ha pensato subito bene di lei!» ride allegramente Videl.
Già, Lazuli… come potrei dimenticare quel momento? E il giorno prima, quando ci siamo parlati per la prima volta in biblioteca. Lei era una sexy coniglietta selvatica invisibile, io un cazzo di reietto evitato da tutti col cuore spezzato. È vero… io… io devo telefonarle. Devo uscire da qui, è preoccupata per me.
Provo ad alzarmi, ma non ce la faccio. Non ancora. Mi sento letteralmente a pezzi. Prosciugato di ogni goccia di energia.
«”2 agosto”» ricomincia Videl. «”Una delle amiche del fratellone resterà qui da noi per un po’, a partire da oggi. Si chiama Bulma-san e a Goku-kun sta simpatica, anche se Goku-kun preferisce Lazuli-san. Anche lei resterà qui con noi a dormire, e Goku-kun indossa sempre la maglietta dei dinosauri che lei le ha regalato quando ha compiuto quindici anni!”»
Ripenso a quando Bulma si è sdoppiata, proprio un paio di settimane dopo che era entrata nella nostra vita anche la piccola Videl-chan, uguale in tutto e per tutto alla Videl-san che è qui con me adesso. Vorrei chiederle spiegazioni anche su questo a Videl… ma ora non ce la faccio, se provo a parlare non esce altro che un soffio dalla mia bocca. Rivedo lo sguardo di mio fratello ovunque, lo sguardo di Goku-kun. E mi sento a pezzi per questo.
«”1 settembre. Goku-kun pensava che il fratellone si fosse dato alla vita criminale, ma fortunatamente non è così! Oggi è un giorno importante: Goku-kun infatti ha conosciuto Chichi-chan, la sorellina di Lazuli-san. Goku-kun ha provato una strana sensazione quando l’ha vista, una cosa che non capisce e che non gli era mai capitata. Forse gli piace Chichi-chan? Forse è la sensazione che prova il fratellone per Lazuli-san? Goku-kun non capisce, non lo sa ancora. Però sa che Chichi-chan è una cantante bravissima!
27 settembre. Forse Goku-kun ha capito. Oggi ha rivisto Chichi-chan dopo due settimane e si è reso conto che le era mancata molto. Goku-kun è felice perché ha saputo che da oggi Chichi-chan vivrà con Lazuli-san e quindi la potrà vedere molto più spesso rispetto a quando abitava a Yokohama. Goku-kun ha capito che è felice quando c’è Chichi-chan, che vuole dare il massimo! Chichi-chan sembra un pochino diversa oggi, anche se ha la stessa faccia di prima. Sembra più dolce e più buona di prima, e Goku-kun è contento per questo”».
Mi viene da sorridere a pensare a quanto abbia saputo essere perspicace mio fratello, nonostante non sapesse nulla della storia dello scambio di corpi avvenuto tra Lazuli e Chichi. È quasi come se ci fosse arrivato lo stesso, notando i cambiamenti in Chichi dopo il suo trasferimento definitivo qui a Fujisawa.
«”16 ottobre. Oggi è un gran giorno per Goku-kun perché per la prima volta è riuscito a parlare al telefono con qualcuno che non fosse il fratellone! Goku-kun ha risposto alla telefonata di Lazuli-san ed è stato bellissimo! Lazuli-san è una persona fantastica, Goku-kun è felice che sia lei a prendersi cura del fratellone, anche se qualche volta forse lo picchia un po’ per giocare. Goku-kun è felice perché è stato forte oggi, anche se poi è svenuto per la fatica!”»
Ripenso a quanto ero stato fiero di mio fratello quella sera. A quanto mi ero sentito orgoglioso di lui. Di me, di noi. Di Lazuli e di tutto quello che aveva fatto e stava facendo per noi.
«”17 ottobre. Persino Goku-kun ha capito una cosa: è da sempre che il fratellone ha un rimpianto. Quando Goku-san è stato vittima di bullismo, lui non è riuscito ad aiutarlo. E questo non riesce a perdonarselo. Goku-kun l’ha capito: se non dovesse cambiare nulla e Goku-kun svanisse, il fratellone si incolperà di nuovo e dirà che non ha potuto fare nulla per lui. È per questo che Goku-kun ha deciso di prefiggersi degli obiettivi. Li dovrà completare insieme al fratellone. Ne ha parlato prima con Chichi-chan e ha stabilito una strategia con lei. Poi l’ha detto anche a Lazuli-san, ora tocca al fratellone. Anche quando non ci sarà più, Goku-kun non vuole che il fratellone abbia qualche rimorso. Vuole che sia orgoglioso e che sappia che ha realizzato un sacco di sogni di Goku-kun. Goku-kun non vuole che abbia ricordi dolorosi, ma vuole che ne abbia tanti felici, divertenti e che lo facciano sorridere. Il fratellone, infatti, dice sempre che bisogna sorridere! Anche quando non ci sarà più, Goku-kun sarebbe davvero contento se il fratellone pensasse a lui con un sorriso. Goku-kun farà di tutto per riuscirci! È probabile che non gli rimanga molto tempo, ma Goku-kun spera con tutto sé stesso che gliene venga concesso almeno un altro po’. Perché vuole raggiungere tutti i suoi obiettivi prima di andarsene. Goku-kun vuole solo che il fratellone non debba soffrire a causa sua, e non vuole che nemmeno Chichi-chan e Lazuli-san stiano male per lui. Vuole solo che tutti quelli che hanno creduto in lui siano felici quando lo pensano!”»
Videl si interrompe, forse perché si è resa conto che sto piangendo cercando di non fare rumore. Questa ultima riflessione di mio fratello è stata bellissima, ma allo stesso tempo mi ha fatto troppo male. Io non ce la faccio a sorridere, Goku. Perdonami… perdonami anche per questo. Io… io non volevo che finisse tutto così.
«Rad, non piangere. Hai sentito anche tu, è stato proprio tuo fratello a desiderare di vederti sorridere quando sarebbe arrivato il momento della sua partenza» mi spiega dolcemente Videl, mentre la sento sfogliare di nuovo il quaderno e io non sono in grado di risponderle qualcosa di sensato.
«”23 ottobre. Oggi è un giorno super fantastico per due motivi: Goku-kun è riuscito a uscire di casa per la prima volta col fratellone! E poi è arrivata Chichi-chan e si è messa a piangere di gioia, ma poi, all’improvviso, ha baciato Goku-kun! L’ha baciato sulla bocca, come fanno anche il fratellone e Lazuli-san! All’inizio Goku-kun era sorpreso, ma gli è piaciuto subito il bacio di Chichi-chan. Chichi-chan è la migliore, piace tanto a Goku-kun e lui le vuole tanto bene. Forse la ama, non ha ancora capito bene come funzionano queste cose… un giorno dovrà farsele spiegare dal fratellone, magari. Ma Goku-kun sa per certo che vorrà proteggere sempre Chichi-chan! Anche il fratellone e Lazuli-san hanno fatto tanti complimenti a Goku-kun oggi per essere riuscito ad uscire, e Goku-kun si sentiva un vero eroe! Goku-kun ha messo su i vestiti che gli aveva comprato Chichi-chan per uscire, gli hanno dato il coraggio di vincere la paura del mondo fuori dalla casa! Anche Lazuli-san aveva regalato tanti bei vestiti a Goku-kun, li userà la prossima volta che uscirà, visto che adesso Goku-kun non vede l’ora di uscire di nuovo!”»
Ricordo la tensione di quel giorno e l’euforia per aver raggiunto quel traguardo. Un passo da giganti, qualcosa di cui andare davvero fieri. Il mondo fuori a volte fa paura, ma è terribilmente affascinante… hai pensato questo, Goku-kun? E poi quel bacio… beh, devo ammettere che in quel momento lui e Chichi mi hanno stupito. Già… mi chiedo come reagirà anche lei adesso, di fronte a questa situazione.
«”18 novembre. Grazie al fratellone, Goku-kun è riuscito a barrare un sacco di obiettivi! Ha sempre avuto moltissima paura di uscire, ma in qualche modo ce l’ha fatta. Goku-kun è andato a casa di Lazuli-san e di Chichi-chan, ha preso il treno e ha addirittura visto un concerto dove cantavano proprio Lazuli-san e Chichi-chan insieme! Sono state super mega fantastiche! C’era pieno di gente, con Goku-kun e il fratellone sono venuti anche Bulma-san e Vegeta-sama. Vegeta-sama a volte guarda male tutti, ma Goku-kun gli vuole bene! Goku-kun è andato anche in spiaggia, ha preso un regalino a Chichi-chan e ha fatto un picnic con lei, il fratellone, Lazuli-san. A un certo punto è arrivato un certo Crilin-kun, e Goku-kun ha avuto un po’ paura perché diceva di essere amico di Goku-san. Poi Goku-kun è anche svenuto e ha passato una notte all’ospedale. Oggi Goku-kun è tornato a casa col fratellone e ha deciso che vuole andare a scuola. Goku-kun ha paura… ha tanta paura! Ma vuole farcela lo stesso prima che sia troppo tardi! Goku-kun ha capito che ormai sta per tornare Goku-san, per questo deve barrare tutti gli obiettivi ed essere forte!”»
Anch’io avevo capito tutto, Goku. Lo sapevo, me lo aspettavo… ma non per questo fa meno male, anzi. Io… io avrei potuto fare di più!
«”26 novembre”» recita Videl. Ossia ieri, se adesso è ancora il 27 novembre. Non ho idea di che ore siano e di che giorno sia. Mi sento solo stanco e con la testa che sembra possa esplodermi da un momento all’altro. «”Oggi Goku-kun ha raggiunto tutti i suoi obiettivi, è stata una giornata strepitosa! Prima Goku-kun e il fratellone hanno visto i dinosauri e poi, di sera, sono andati insieme a scuola! In realtà Goku-kun ha un po’ barato, perché la scuola era chiusa e lui e il fratellone sono entrati di nascosto come dei ninja, infatti Goku-kun ha solo cerchiato quest’ultimo obiettivo. È tutto merito del fratellone, comunque… Goku-kun non pensava che sarebbe mai riuscito ad andare a scuola. Il fratellone gli ha anche regalato due abbonamenti per il Parco della Preistoria e Goku-kun non vede l’ora di tornare a vedere i dinosauri e gli animali con Chichi-chan! Goku-kun stasera è felice, è tanto felice… il fratellone ha portato tanta felicità nella vita di Goku-kun. Goku-kun è davvero contento di essere il suo fratellino! Goku-kun gli ha voluto, gli vuole e gli vorrà sempre un mondo di bene! E domani Goku-kun andrà a scuola anche di giorno, non vede l’ora!”»
Videl si interrompe. La sento chiudere il quaderno, dopo aver letto le ultime parole scritte da mio fratello. Io non so cosa dire, so solo che sto piangendo di nuovo come un coglione e che non riesco a smettere, sempre con la testa appoggiata di lato sulle piastrelle della parete.
«È normale, Rad. Non devi tenerti tutto dentro» mi dice Videl. «Anche a me viene da piangere dopo aver letto tutto questo».
«I-io… io devo smetterla di piangere!» ringhio, stringendo i pugni. «Continuare a piangere vorrebbe dire tradire le sue speranze!»
Videl resta in silenzio. Forse vuole che sia io a tirar fuori quello che ho dentro.
«L-lui… si è impegnato così tanto, come posso mandare all’aria tutti i suoi sforzi?!» grido, con la voce rotta da un pianto che cerco con tutto me stesso di interrompere.
«Anche il dolore che stai provando in questo momento è qualcosa di importante che Goku-kun ti ha lasciato» interviene Videl. La sua voce rassicurante sembra cercare di accarezzarmi e di consolarmi. «È la prova tangibile di quanto grande sia il posto che si è ritagliato nel tuo cuore».
Ha ragione… ha ragione. Ma quanto fa male tutto questo… quanto cazzo mi fa male questo dolore. Questa prova tangibile.
«Ascolta, Rad. Videl-san vuole darti un ultimo magnifico consiglio come tua senpai di vita» riprende Videl. «Tu sei il fratellone di Goku, e per questo devi accettarlo nella sua totalità. Goku-kun non è morto, è solo nascosto da qualche parte dentro Goku-san e sono certa che pian piano riuscirà ad emergere anche lui. Un giorno ti renderai conto che non avrai più davanti Goku-san, e nemmeno Goku-kun. Avrai davanti Goku, è lui il tuo vero fratellino».
«C-come… come farà a tornare Goku-kun?!» sbiascico con un filo di voce.
«Tutte le risposte sono in questo quaderno, non credi? Qui, e soprattutto nelle persone che gli hanno voluto maggiormente bene. Grazie alla tua presenza, ma anche a quella di Lazuli-san e Chichi-chan, sono certa che Goku-kun e Goku-san si fonderanno gradualmente» risponde Videl. «Non dimenticarti che Videl-san ha fiuto per certe cose, quindi vedrai che tutto si risolverà nel migliore dei modi! Adesso sfogati, fai un bell’urlo e finisci il tuo pianto finché non avrai più lacrime. Poi vai a dormire, quando ti sveglierai tutto ti sembrerà più semplice e ti sentirai meglio. Fidati di me, Rad».
«Aaahhh!» sbraito, afferrando i bordi della vasca con entrambe le mani e sollevando la testa dalla parete. Sento le lacrime scorrere lungo le mie guance, una ad una, finché probabilmente non ne resta più nessuna nei miei occhi che possa uscire.
Sento il dolore addosso. La sofferenza dentro.
Beep.
Di nuovo la segreteria telefonica.
«Sono sempre io, Rad. Ho provato ad andare in stazione perché ero troppo preoccupata e volevo tornare a casa, ma ho perso l’ultimo treno come… come una stupida! P-per favore, fammi solo sapere che stai bene! I-io… beh, io ti amo».
Ancora la voce di Là. Cazzo, Là… io devo avvisarla. Devo… devo dirle che è tutto ok. Non volevo farla preoccupare. Lei non deve star male per colpa mia.
Mi alzo in piedi nella vasca ormai tiepida raccogliendo tutte le mie ultime forze. L’acqua scivola dal mio corpo nudo e si perde sul tappeto e sul pavimento, quando riesco a fatica ad uscire dalla vasca. Mentre mi asciugo intravedo la mia immagine nello specchio appannato. Stravolto, irriconoscibile o quasi con queste occhiaie bluastre sotto gli occhi.
Mi guardo allo specchio senza sapere più chi sono.
Le ferite sul petto non sanguinano più, ma sono ancora aperte.
Mi asciugo il più in fretta possibile, con la testa che comincia a girarmi vorticosamente, forse a causa di tutta la fatica fisica e lo stress accumulati oggi. Penso che sia solo il dolore a tenermi in piedi, in qualche modo.
Raggiungo a stento la porta del bagno e afferro la maniglia.
Respiro profondamente. Una, due, tre volte.
Sto male. Non mi reggo in piedi.
Le ginocchia cedono, ma tengo duro. Ci provo.
Mi sembra di avere la mente ottenebrata. Non mi sento per nulla lucido. Nella mia testa si fondono i consigli di Videl e il suo ottimismo con immagini sorridenti di Goku-kun. Mi rimbomba ancora nelle orecchie e il mio urlo. Le mie lacrime.
Ho solo bisogno di non provare dolore. Di riposare e di non provare dolore.
Basta dolore. Basta sofferenza.
Apro la porta ed esco dal bagno.
Mi trascino, sbatto contro uno spigolo. Non vedo nulla. Non sento nulla.
Non voglio più soffrire.
Nessuno dovrebbe soffrire.
Basta dolore.
Per favore, basta.
 
 
 
.
 
 
 
Note: non so voi, ma a me ha abbastanza commosso leggere le cose che si era annotato Goku-kun, i suoi pensieri, le sue paure. Mi ha fatto male vedere Rad ridotto così e la stessa Là in ansia, senza notizie di lui.
Cosa dite, adesso Radish riuscirà a telefonare a Lazuli? Le dirà di Videl? E Videl, cosa farà adesso che Rad è uscito dal bagno?
Spero di aver reso al meglio il modo in cui potrebbe scrivere una persona come il Goku-kun che abbiamo imparato a conoscere, anche se ci sono tante ripetizioni visto che lui parla di sé in terza persona. Non lo so, mi hanno fatto tenerezza i suoi ricordi, le sue emozioni, il suo modo di vedere le cose che stavano accadendo intorno a lui. Avrà ragione Videl a dire che quel diario può aiutare Goku-kun a riemergere? O saranno più importanti gli affetti in tutto questo?
Videl anche stavolta non dice nulla di sé stessa, anche se è stata meno ambigua del capitolo scorso. Di sicuro è strana, o si comporta in modo strano. Mi avete fatto sapere le vostre teorie su di lei nel corso dei mesi e anche stavolta e la cosa non può che farmi piacere, ci tengo anche a ringraziarvi per questo. Possono essere tutte valide le vostre teorie, Videl è un personaggio enigmatico e per capirla bisogna saper leggere tra le righe o interpretare certe parole.
Mi chiedo cosa succederà se e quando Lazuli saprà di Videl… e, ancora di più, se mai le due si incontreranno. Voi cosa dite? ;-)
 
Un grazie come sempre a chi mi sostiene e a chi lascia sempre delle stupende recensioni, a chi continua ad entusiasmarsi per questi personaggi e a chi sa sognare. Grazie a chi legge in silenzio, mi regalate sempre un sorriso quando guardo le views e non posso che sperare che la storia continui a piacervi.
Per alleggerire la tensione di questi ultimi due capitoli e pensare un po’ al Natale che sta arrivando, ho pensato di postarvi qualche immagine natalizia dei protagonisti di questa storia. Cominciamo con Lazuli che sta facendo l’albero di Natale e poi Rad nel bellissimo disegno realizzato un anno fa da Misatona, che ringrazio ancora, in occasione di “Beauty and the Beast: Un Magico Natale”, la mia storia di cui vi ho parlato settimana scorsa e che ho pensato di riproporre qui. Vediamo un magnifico Radish come piace a noi, cioè intento a fare lo scemo con tanto di corna in testa e naso rosso da renna Rudolph! Cosa gli avrà detto Là nel vederlo conciato così, mentre era intenta a fare l’albero? ;-)
Di sicuro Rad avrà fatto qualche battuta scema delle sue, speriamo anche di vederlo tornare a scherzare come fa lui nel prossimo capitolo perché non ne posso più di vederlo a pezzi.
A me è sempre piaciuta la renna Rudolph, a voi? Avete fatto l’albero e il presepe?
 
Bene, il prossimo capitolo si intitola “La coniglietta senpai”, potete immaginare chi tornerà ad avere tanto spazio, direi. Tornerà anche Chichi, come vi immaginate reagirà alla situazione di Goku? E Goku, si ricorderà di lei? Piccolo spoiler: Rad porterà Chichi in ospedale da Goku. Per il resto, dovete dirmi voi cosa combineranno Là e Videl a questo punto, per non parlare di Rad. Guai in vista? Meglio la senpai di vita o la coniglietta senpai?
Ci vediamo mercoledì prossimo con Remember me, ma tenete d’occhio il mio profilo nei prossimi giorni perché potrei pubblicare una one shot VegeBul che mi è venuta voglia di scrivere! A presto e buona Santa Lucia, per chi la festeggerà domani sera!
 
Teo
 
 

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Capitolo 44
*** La coniglietta senpai ***


44 – La coniglietta senpai
 
 
28 novembre
 
Apro gli occhi, e osservo la luce del sole che filtra dalla tapparella non del tutto abbassata della finestra di camera mia. Mi guardo intorno lentamente, non ricordo nemmeno di essere andato a letto stanotte.
Mi fa ancora male la testa e mi sento debole, ma sto anche decisamente meglio rispetto agli ultimi momenti che riesco a ricordare.
Sento il profumo inconfondibile di lenzuola appena cambiate e comincio a mettere insieme i pezzi di quello che è successo ieri sera. Mi metto a sedere, e noto che anche il pavimento è pulito, non solo il letto. Avevo fatto un disastro ieri qui in camera mia da quanto ero bagnato e sporco di sangue e fango. Deve essere stata Videl.
Già, che fine ha fatto Videl? Ha dormito qui?!
Mi volto istintivamente di scatto alla mia destra e tiro un sospiro di sollievo: non ha passato la notte nel mio letto. Non me lo sarei mai perdonato.
Non ricordo nulla di quello che ho fatto dopo il bagno… probabilmente sono andato direttamente a dormire e sono crollato, faticavo anche solo a reggermi in piedi.
Però… dov’è Videl? Dovrei almeno ringraziarla per quello che ha fatto.
Mi alzo in piedi e mi dirigo verso il bagno. Noto sullo stendino i miei vestiti che indossavo ieri e le lenzuola che avevo sporcato. Deve aver fatto lei anche il bucato. È stata davvero gentile, non doveva! Dovrei ringraziarla sul serio.
Mi guardo allo specchio e mi rendo conto di avere il petto bendato, con le mie cicatrici perfettamente medicate. Non sento dolore, non più. Hanno smesso del tutto di sanguinare, a quanto pare.
Mi lavo la faccia con l’acqua ghiacciata, ma non c’è modo di far sparire quelle orrende occhiaie grigio-bluastre che temo mi faranno compagnia per un po’.
Sento lo stomaco brontolare. Ho fame. Tanta, anche. Non ricordo nemmeno quando e cosa ho mangiato l’ultima volta.
Mi dirigo verso la sala, ancora decisamente intontito per il sonno e la stanchezza psicofisica accumulata. Noto un bigliettino bianco sul tavolo e lo prendo in mano.
«Dal momento che sembri esserti ripreso, Videl-san toglie il disturbo» leggo con un filo di voce.
Deve essersene andata quando mi sono addormentato… quando la rivedrò? Ti rivedrò ancora, Videl?! Sparirai di nuovo?!
Io… io avrei voluto chiederti tante cose! Troppe, forse…
Qualcosa sono riuscito a domandarti anche se stavo delirando, ma mi sei sembrata un po’ evasiva da quello che ricordo. Alla fine, in pratica, non ho scoperto nulla di nuovo su di te, sul perché sei sparita. Ho avuto però la conferma che sei una bella persona, che lo sei ancora. E non è poco.
Certo che avrei voluto sapere che legame c’è tra te e Videl-chan, se esiste davvero un legame con la tua piccola sosia e omonima che, tra l’altro, è da un po’ che non si fa vedere o sentire. E poi avrei anche voluto chiederti come facevi a sapere dove vivevo, visto che dovevi aver per forza imbucato a mano nella mia casella della posta quella lettera in cui mi invitavi alla spiaggia Shichirigahama, non essendoci nessun francobollo.
Se tu fossi ancora qui potrei chiederti tutto questo e altro ancora, oltre che ringraziarti.
La mia pancia brontola di nuovo, distogliendomi dai miei pensieri e spingendomi verso il frigorifero. Lascio cadere distrattamente il foglietto sul tavolo e mi dirigo in cucina.
Prendo il vasetto della marmellata e comincio a mangiarla voracemente insieme ad alcune fette di pane confezionato, in piedi, davanti al frigorifero aperto, senza nemmeno preoccuparmi di spalmarla più di tanto. La mangio anche direttamente col cucchiaio, come fosse uno yogurt, fino a ingozzarmi e costringermi a bere un sorso di latte freddo direttamente dalla bottiglia per riuscire a deglutire. Prendo anche la confezione dei biscotti e comincio a mangiarli con foga, facendo cadere diverse briciole tra i miei piedi.
Scoppio a ridere mentre continuo a mangiare, ma non so nemmeno perché. Non ci sarebbe proprio un cazzo da ridere, ma va bene così. Avevo voglia di ridere come uno scemo. Avevo bisogno di farlo. Ne sono ancora capace, sì.
Mi appoggio con la schiena alla credenza e mi lascio scivolare verso terra, sedendomi sul pavimento e continuando a mangiare altri biscotti.
Rido ancora, mi ingozzo, tossisco.
Penso che Lazuli mi ammazzerebbe se entrasse in casa ora e mi trovasse a strafogarmi qui per terra. Rido ancora, di gusto stavolta. Per un motivo vero, perché penso a Lazuli.
Già, Là… quanto mi manca la mia Là!
Ma… un momento! Ieri, o stanotte, mi aveva telefonato Lazuli! E chissà quanti messaggi mi avrà lasciato quando avevo il cellulare spento! Cellulare che non ho ancora acceso e che deve essere ancora da qualche parte in camera mia…
Cazzo, non l’ho più chiamata dopo che ho fatto il bagno! Ricordo che volevo farlo, ma a quanto pare ho avuto a malapena la forza di mettermi a letto!
No, no… devo muovermi!
Lascio cadere a terra la confezione di biscotti e corro in sala, afferrando la cornetta del telefono di casa e componendo il numero della mia ragazza.
 
«Rad! Oddio, stai bene?! Eh, Rad?! Stai bene?!» sento sbraitare dopo non più di mezzo squillo. Quasi mi cade la cornetta dalle mani per lo spavento.
«Là?» domando, stupito. Non mi sembra neanche quasi la sua voce, così agitata. Oserei dire stridula. Anche se sua maestà la regina Lazuli Eighteen mi ammazzerebbe se venisse a sapere che ho reputato “stridula” la sua voce.
«Dimmi solo che va tutto bene! Io… io stavo per mollare tutto e venire lì
«Sto bene, sto bene Là! Anzi, scusami davvero per ieri… io… cioè, è successo un casino e non ho ancora acceso il mio telefono. Scusami, sono stato un coglione».
«Ti sei fatto male?! Guarda che ho già avvisato la mia manager di portarmi in stazione, io oggi non ce la faccio a lavorare così
«No, no! Non preoccuparti per me, non mi è successo niente di che! Sto bene, vai avanti con le riprese e non creare problemi al regista!»
«Ma non me ne frega niente del lavoro, se non so come stai tu! Cosa ti è successo?! È andato a scuola tuo fratello ieri
«Ecco… veramente mio fratello ieri è finito in ospedale e io non ho saputo fare di meglio che avere un crollo per questo…» sospiro, abbassando la testa e stringendo un pugno. «Ieri mattina, quando si è svegliato, aveva perso tutti i suoi ricordi di questi ultimi due anni e mezzo. Gli sono tornati quelli precedenti alla sua crisi, però».
«Rad, adesso mollo tutto e vengo lì. Lo sapevo che dovevo farlo ieri sera, ma purtroppo ho perso l’ultimo treno perché abbiamo finito tardi! Sono… sono andata in stazione come una scema!»
«No, Là, davvero… non serve, qui va tutto bene. Pensa a finire nel migliore dei modi le tue riprese nei panni di C18, così poi te ne torni a casa una volta per tutte e passiamo tanto tempo insieme» le rispondo di getto. Non voglio che metta da parte il suo lavoro per me, non voglio essere un peso per la sua carriera. Ho voglia di vederla. Tantissima, anche. E avrei bisogno di lei. Ma si tratta di pazientare solo qualche altro giorno, in ogni caso.
«Rad…».
«Non devi preoccuparti di nulla, è tutto sotto controllo. Anche Goku fisicamente sta bene, lo faranno restare qualche giorno in ospedale per accertamenti e per tenerlo monitorato, tutto qua».
«Sì, ma tu come stai?» mi domanda con un filo di voce. Con tutta la dolcezza che è capace di trasmettermi anche a quattrocento chilometri di distanza.
Lei è preoccupata per me. Ha avuto paura. Ed è stata tutta colpa mia. L’ho fatta soffrire, l’ho fatta star male… solo… solo perché ero io che stavo male. Che coglione che sono. Come posso dirle a questo punto che ieri sera e stanotte è stata qui Videl?! La farei star male di nuovo, probabilmente. E non voglio, non adesso. Non è successo nulla, ma è una cosa che preferisco spiegarle di persona non appena ci rivedremo. Certo, è questa la cosa migliore da fare! Forse non sono ancora del tutto lucido, ma sono convinto di dover fare così per metterla al corrente di ogni cosa e allo stesso tempo non farla preoccupare inutilmente in questi suoi ultimi giorni di riprese.
«Ecco… ieri sono stato male, lo ammetto. Tanto, anche. Ho pianto un po’, senza farmi vedere da Goku o da mio padre. Ho urlato, anche. Ho corso sotto la pioggia senza meta come un rincoglionito. Ero a pezzi, ma oggi sto meglio. Davvero Là, sto bene. Non voglio che ti preoccupi per me».
«Come puoi chiedermi di non preoccuparti per te?! Io… io ieri ho avuto paura… e nessuno sapeva niente… nemmeno Bulma…» sospira. «E poi tu eri solo quando avresti avuto bisogno di me… lo sapevo! Lo sapevo che dovevo tornare a casa ieri!»
«Non devi dire così, Là, è il tuo lavoro e io sto bene! Scusami, ti giuro che volevo avvisarti ieri sera. Ma… ma a un certo punto sono crollato. Non avevo mangiato nulla e ho perso tanto sangue, poi…».
«Sangue?!» mi interrompe, urlandomi nell’orecchio. Non sembra nemmeno lei. È bello avere qualcuno che si preoccupa per te. Che soffre insieme a te. Qualcuno su cui sai di poter contare sempre. Qualcuno che sia la tua certezza. Anche se fa male vedere che soffra solo perché sei tu a soffrire. E ti senti in colpa quando succede.
«Mi si sono riaperte le cicatrici, ma è tutto ok Là, te lo giuro. Non sanguinano più, ho avuto solo un crollo ieri. Scusami ancora per non averti chiamata… mi sento una merda».
«Non dire così… sono io… sono io che faccio schifo come fidanzata. Ero qui, mentre tu avevi bisogno di me…» sospira. «Senti, Rad, adesso vado in stazione e basta. Non voglio stare qui. Ti si sono addirittura riaperte le cicatrici, non è vero che va tutto bene
«No, Là, seriamente, devi portare avanti quel film al massimo delle tue possibilità, come sempre! Sto bene adesso, il peggio è passato. Il petto non sanguina più, forse il cuore andrà avanti a farlo per un po’… ma ho capito che Goku-kun non è morto. Non del tutto, almeno. Cioè, lo spero».
«Goku-kun non è morto. E non morirà mai, finché avrai davanti a te tuo fratello» risponde Lazuli, perentoria e rassicurante allo stesso tempo. «Goku-kun è solo da qualche parte dentro Goku-san, adesso. Ma io sono certa che prima o poi capirai che davanti a te non avrai né Goku-kun, né Goku-san. Ti renderai conto che sarà Goku quello davanti a te. È lui tuo fratello. E tu lo sai meglio di me».
«Grazie Là. Io… io lo spero tanto…» sospiro. Mi ha detto praticamente le stesse parole di Videl. Sono così diverse… eppure così simili, a volte.
Mi sento tremendamente in colpa per non aver ancora detto a Lazuli che la mia ex è stata qui a casa mia e che si è presa cura di me. Dovrei dirglielo adesso? Ma come posso farlo?! Come?! La farei soffrire e basta, rischierei anche di rovinare il suo film per qualcosa che non avrà nessuna ripercussione, visto che non è successo nulla tra me e Videl. Non so nemmeno come siamo arrivati qui in casa mia, come sia stato possibile. Ma so anche che non ho mai sperato di fare qualcosa con Videl stanotte, il pensiero non mi ha nemmeno sfiorato. Quindi è tutto ok. Sì, deve essere tutto ok! È ovvio, Videl mi ha solo aiutato e io lo spiegherò a Là tra qualche giorno, faccia a faccia. Mi beccherò un ceffone in faccia e ci faremo una risata. Sì, credo che andranno così le cose e che sia la scelta migliore!
«Non è che lo devi sperare, devi essere semplicemente convinto che sarà così. Perché sarà così. Fidati della tua coniglietta senpai, ok?»
«Tu sei la mia senpai del cuore, Là… e ti amo, tanto anche. Troppo, forse».
«Non è mai “troppo”, scemo. Soprattutto se si tratta di me, la senpai del tuo cuore e della tua vita».
Già, Lazuli è la senpai del mio cuore ed è anche la mia vera senpai di vita. Senpai di vita… come ha sempre amato definirsi Videl. Ma Lazuli è di più, va oltre. È la mia coniglietta senpai del cuore.
«Mi manchi, ma voglio che porti a termine le riprese. Tanto tra pochi giorni ci vedremo lo stesso, e poi oggi ho delle occhiaie che fanno spavento. Avrei vergogna a farmi vedere così da te!» provo a ridere.
«Allora vedi di stare tranquillo e di non farmi più preoccupare, altrimenti prendo il primo treno solo per darti un ceffone e pestarti il piede! E mandami una tua foto che voglio vedere queste occhiaie, mi fai sempre preoccupare» scherza a sua volta. Forse. «E per Goku devi essere positivo sul serio, non lo dico solo per tirarti su di morale: credo che quel quaderno su cui lui si annotava tutto possa essere la soluzione dei suoi problemi».
Già, il quaderno-diario. Anche Lazuli ci è arrivata, proprio come Videl.
«Hai ragione, anche se temo in ogni caso che dovrò presentarti di nuovo a lui» rido. «Dovrò presentargli anche Chichi e gli altri. Il selfie lo vuoi da nudo o da vestito?».
«Già, anche Chichi…» ripete Lazuli, pensierosa. «Le spiego io tutto dopo, lei dovrebbe tornare a Fujisawa domani. Ed eviterò di rispondere alla tua domanda sul selfie, cretino maniaco».
È vero, Chichi… non mi ero soffermato su come potrebbe reagire lei davanti a tutto questo. Ero troppo preso a pensare al mio dolore e ai miei casini, per valutare come potrebbe reagire una persona nella sua situazione. Come reagirei io se Lazuli si dimenticasse di me? Cosa farei? Probabilmente impazzirei. E starei malissimo.
«Là, io non voglio mai più dimenticarmi di te! Ti giuro che non lo farò mai!» esclamo istintivamente. Mi tornano alla mente le convulse fasi iniziali del nostro rapporto. La sua crescente invisibilità agli occhi di tutti, abbinata alla perdita di ricordi relativi alla sua esistenza. La mia lotta contro l’inevitabile oblio, la mia resistenza feroce col cuore in mano. La mia sconfitta, ma anche la mia successiva vittoria. Una vittoria sui miei ricordi cancellati che hanno riportato indietro Lazuli, che l’hanno fatta sostanzialmente tornare in vita agli occhi di tutti. Di tutto il mondo, di quel mondo in cui non volevo vivere senza di lei. Ho potuto vederlo e viverlo, il mondo senza lei, giusto il tempo per capire quanto mi facesse schifo. Quanto non fosse il mio, di mondo. Il nostro mondo è l’unico mondo in cui voglio esistere.
«Tu non ti sei mai dimenticato di me, scemo. Non del tutto, infatti è solo grazie a te se ora io sono qui».
«Se siamo qui» la correggo.
«Già… noi siamo il posto più bello del mondo, giusto
«Ovvio che lo siamo, mia adorabile e sexy coniglietta senpai» provo a farla ridere. «A proposito, quando torni vorrei vederti di nuovo con quel costume. Sei la mia coniglietta senpai del cuore e di vita, no?».
«Smettila di fare il maiale…» sbuffa lei. «Anche se, magari, potrei anche consolarti un po’, visto che eri triste…».
«Ero tristissimo!» esclamo, mettendomi sull’attenti.
«Sei un idiota, Rad!» ride. È bello sentirla ridere. Quanto mi piace ridere insieme a lei. Mandare a fare in culo tutto il resto e ridere con lei. Tutto lo schifo che c’è là fuori. È stupendo chiudere il mondo fuori e restare in una bolla al di là del tempo e dello spazio da solo con lei. Mi basta lei.
Sento bussare energicamente anche attraverso la cornetta.
«Sei propria sicura di voler andare a prendere il treno, Lazuli-san? Non ho ancora parlato col regista, ho sperato che cambiassi idea
«È la mia manager, a quanto pare…» sbuffa Lazuli.
«Dai, non farla preoccupare, prima che ti collassa davanti! Dille che vai avanti con le riprese e che va tutto bene» rido. «Ci sentiamo stasera».
«Ah, già, ecco… d-dopo, quando accenderai il telefono, potresti trovare qualche mio messaggio e avviso di chiamata…» balbetta, visibilmente a disagio. Sembra imbarazzata.
«Uhm… a quanto pare qualcuna era davvero tanto, tanto, tanto preoccupata per me!» ghigno, per provocarla. «Anche all’inizio di questa telefonata avevi una voce che non sembrava neanche la tua! Era stridula come il verso di un gabbiano!» la provoco ancora.
«Giuro… giuro che ti riempio di botte quando ti vedo, altro che costume da coniglietta!» sbotta Lazuli, facendomi ridere di gusto.
«Oh sì, non vedo l’ora, mia regina» ribatto roco.
«Sei un pervertito masochista, ecco cosa sei! E sei un cretino… i-io… io non ero preoccupata per te! Cioè, solo un po’…» sbotta, cercando di mostrarsi risoluta.
«Non so dirti nemmeno quanto cazzo ti amo, Là» le dico dolcemente. «Grazie di tutto. E scusa ancora per ieri».
«Non devi scusarti di niente, scemo. E vedi di stare tranquillo, tutto si sistemerà. Sei stato proprio tu ad insegnarmelo, quindi non preoccuparti» mi rassicura. «E comunque ti amo anch’io, anche se ti comporti come uno stupido kohai irrispettoso il più delle volte e meriti di essere punito costantemente».
 
«È successo qualcosa ieri? Hai detto che andavi in bagno, ma non sei più tornato…» mi domanda Goku, guardandomi stranito. Ha la schiena appoggiata alla testata del letto e l’aria terribilmente annoiata di chi già non ne può più di stare in ospedale. Anche perché fisicamente sta bene, si vede. E anche psicologicamente, direi.
«Avevo una diarrea così terribile che ho finito per fare amicizia col cesso» gli spiego, allargando le braccia e raddrizzando leggermente la schiena contro lo schienale della sedia accanto al suo letto. Oggi mi sembra un po’meno strano trovarmi davanti a questa nuova-vecchia versione di mio fratello. Fa un po’ meno male di ieri. O forse sono state le parole di Lazuli e Videl a darmi speranza, a farmi star meglio.
«Dai, ma che schifo!» sbotta, arricciando il naso e ridendo.
«Piuttosto, Goku, ti piacciono i dinosauri?» gli chiedo a bruciapelo.
«Ma che domanda è?!» ribatte, perplesso.
«Sì o no?» insisto.
«Non mi dispiacciono…» risponde facendo spallucce, forse pensando che sto andando di testa.
«Allora andremo a vederli quando ti avranno dimesso» gli sorrido.
«Va bene, ma non ti capisco…» sospira, distogliendo lo sguardo dal mio.
«Muoio dalla voglia di vederli» gli dico. «Guarda, ho già i biglietti» aggiungo, porgendogli i due abbonamenti del Parco della Preistoria che avevo comprato l’altro ieri e che ho trovato sul suo comodino prima di venire qui a trovarlo. «Fammi compagnia, ti va?»
«Invece che chiederlo a tuo fratello, non faresti meglio a trovarti una ragazza e andarci con lei?!» sibila, guardandomi di sottecchi con in mano le due tessere che gli ho dato.
Quanto è diversa dal Goku-kun a cui mi ero ormai abituato a voler bene questa nuova versione di mio fratello?! Mi chiedo se ho fatto bene a parlargli dei dinosauri, a mostrargli gli abbonamenti… o se sto solo disperatamente cercando di riportare indietro Goku-kun dal subconscio di Goku-san.
«Guarda che ce l’ho già, la ragazza» ribatto, piccato, fissando gli occhi neri e vispi di mio fratello. «È giusto che tu sappia che il tuo fratellone è il mago dell’amore!»
«Eh?! Urcaaa! Non ci credo!» esclama Goku, sgranando gli occhi e alzando la voce così tanto che un’infermiera di passaggio in corridoio fa capolino nella stanza per verificare che non ci siano problemi.
«Uno di questi giorni te la presento. Preparati!» gli sorrido. Forse dovrei dirgli che anche lui ha qualcosa di molto simile a una fidanzata, ma non mi sembra giusto nei confronti di Chichi mettere io le mani avanti al posto suo. E poi, forse, correrei solo il rischio di confondere Goku ancora di più. Magari di spaventarlo.
«Io… la conoscevo? Me la sono dimenticata?» mi domanda timidamente, abbassando la testa.
«Certo che la conoscevi, le volevi anche bene. Magari, quando la vedrai, riuscirai anche a riconoscerla in qualche modo… sai, lei è una celebrità. Non sto scherzando» gli spiego.
«Urcaaa! Davverooo?!»
«Eh sì… e pensa che anche sua sorella è piuttosto famosa. E anche lei ti voleva bene. Tanto. Credo che ti porterò qui prima lei, visto che la mia ragazza è via per lavoro. Adesso pensa a riposare, io devo andare a scuola» mi congedo da mio fratello, che mi guarda sorridente. Raccolgo da terra il sacchetto con dentro il suo quaderno-diario, non credo sia ancora il momento giusto per farglielo avere. Prima infatti ho parlato con un medico che ha spiegato a me e mio padre di evitare di sottoporlo subito a grossi sforzi per cercare di fargli tornare i suoi ricordi degli ultimi due anni e mezzo. Sono però felice di aver iniziato a buttar lì qualcosa sui dinosauri e, soprattutto, su Lazuli e Chichi.
Goku-kun di sicuro sarà stato felice di questo. E anche di vedermi sorridere e scherzare di nuovo, immagino.
Non è facile per me, ma ce la sto mettendo tutta.
Giuro che ti riporterò indietro in qualche modo, Goku-kun.
 
 
29 novembre
 
«Allora?! Sta bene?! Ti ha parlato di me?!» mi incalza Chichi, mentre camminiamo spediti verso la stanza in cui è ricoverato mio fratello. Ci siamo dati appuntamento direttamente in ospedale, è appena rientrata a Fujisawa dalla sua trasferta con le Sweet Bullet. È alcuni giorni che non la vedo, ma mi basta un attimo per capire dal suo viso che non sono stato io l’unico a soffrire per quello che è successo.
«Per rispondere alle tue domande: sì e no» ribatto.
«Ecco… ecco! Lo sapevo! Perché non ero qui quando è successo?! Perché non sono potuta tornare prima?! Tutta colpa della mia manager e poi…» comincia a dannarsi, alzando il tono della voce, che comincia a tendere inevitabilmente all’isterico, e agitando vorticosamente le braccia in un folle gesticolare.
No, non sta decisamente bene nemmeno Chichi. Me lo aspettavo, è più che comprensibile. Anche se temo che il peggio arriverà dopo, ho questa sensazione.
«Ferma, ferma…» la interrompo, sbarrandole la strada e afferrandole entrambe le spalle. La blocco e la fisso nei suoi occhi stanchi e lucidi. Le sue labbra tremano, i muscoli sono rigidi. «Non sarebbe cambiato nulla, non fartene una colpa. Non ho voluto nemmeno che tornasse Là. Qui c’ero io e c’è anche mio padre, voi non dovete preoccuparvi. Se c’è qualcuno che è responsabile di tutto questo, beh, quello sono io. Non l’ho salvato nemmeno stavolta, Chì. Ci ho provato, ma non ce l’ho fatta» aggiungo, accennando un sorriso mesto.
«Oh, Rad… io… io…» scoppia a piangere Chichi, abbracciandomi forte.
«Shh, shh, non dire niente… va tutto bene. Andrà tutto bene anche stavolta» provo a rassicurarla, accarezzandole la testa premuta contro il mio petto. Mi metto la maschera da supereroe del cazzo, come sempre. Come è giusto e doveroso che faccia un fratello maggiore. E come è giusto che faccia ora davanti a Chichi. Devo farmi vedere forte e coraggioso, sicuro di me. Anche se non è facile. Non lo è per niente.
«Tu… tu come stai?» mi domanda con un filo di voce, guardandomi di nuovo in faccia con le mani però ancora strette alla mia maglietta.
«Io sto bene. Sono stato di merda l’altro giorno. Un po’ di lacrime, un po’ di urla e un po’ di sangue… ma ora è tutto ok. Ora smettila di piangere, non vogliamo che ti si rovini il trucco proprio adesso, no?» le dico sorridendo, asciugandole delicatamente le lacrime. Le do un leggero bacio sulla fronte. «Sei la mia idol preferita, te l’ho mai detto?» provo a scherzare.
«S-sì… sì…» sorride a sua volta, ricomponendosi. Si asciuga le lacrime, cerca di sorridere. «Gli hai parlato di me?»
«Gli ho solo detto che ho una ragazza e che lei ha una sorella minore. Che entrambe lo conoscevate e gli volevate bene. Soprattutto tu. Quello che c’è davvero tra voi non lo so nemmeno io… ho pensato che fosse più giusto che gliene parlassi tu».
«Sì, hai ragione…» respira profondamente Chichi, cercando di calmarsi. Ha gli occhi ancora arrossati e l’aria di chi ha passato una brutta nottata. «Andiamo da lui» mi dice, riprendendo a camminare e al contempo legandosi i capelli in una coda.
«Preparati, perché lo troverai un po’ diverso nei modi di fare e di parlare» le spiego, mentre entriamo nel reparto.
 
«Ci sono visite, Goku!» esclamo, entrando nella stanza di mio fratello. Chichi mi segue, ma il suo passo ora mi sembra più insicuro. Ha anche la testa bassa.
«Ciao Rad!» mi sorride lui, appoggiandosi sulle ginocchia il manga che stava leggendo. I suoi occhi si posano però subito incuriositi sulla ragazza al mio fianco.
«Ciao…» aggiunge un po’ imbarazzato, mentre Chichi solleva finalmente lo sguardo.
«Ciao Goku-kun» gli sorride dopo qualche secondo di silenzio, arrossendo leggermente.
«Ehm… tu come ti chiami?» le chiede candidamente mio fratello, grattandosi la nuca e ridacchiando.
«T-tu… tu non ti ricordi niente di me?!» gli domanda Chichi, con la voce rotta dal pianto. «Proprio… proprio per niente?!»
«Uhm… no…» sbuffa mio fratello.
«Chichi. Si chiama Chichi. Anzi, Chichi-chan. Tu la chiamavi così» intervengo io, mentre Chichi al mio fianco comincia a tremare, sforzandosi con tutta sé stessa di non piangere.
«Chichi-chan… Chichi-chan…» ripete Goku, guardando verso l’alto e picchiettandosi l’indice sul mento. Credo si stia concentrando. Che stia provando a ricordare. «Ecco… io non mi ricordo niente!» scoppia a ridere, grattandosi di nuovo la nuca. Credo che sia imbarazzato, più che divertito dalla situazione. La sua mi sembra una risata nervosa.
Guardo con la coda degli occhi Chichi. Ha abbassato di nuovo la testa. Si morde il labbro inferiore, mentre stringe i pugni. La sento tirare su col naso.
«Sei tu la sorella della ragazza di Rad? Eravamo amici?» domanda Goku.
Chichi solleva lentamente la testa e lo guarda per qualche secondo. Le sue guance sono rigate di lacrime.
«I-io… io… scusami…» farfuglia, prima di scoppiare a piangere disperatamente portandosi le mani sul volto.
«S-scusa, non volevo…» dice Goku, allungando un braccio verso di lei e facendo per scendere dal letto. Mi guarda in cerca di aiuto, prima di posare di nuovo gli occhi su di lei. È mortificato, ma soprattutto sembra confuso.
«No… no… scusatemi. Io… i-io non dovrei essere qui!» sbotta Chichi, correndo fuori dalla stanza. «N-non… non ce la faccio!»
 
 
 
 
 
 
 
Note: a parte il finale, che purtroppo fa tanto male, è stato un capitolo in cui abbiamo potuto intravedere un po’ il vecchio Rad, con la sua solita voglia di lottare e di scherzare. Le parole prima di Videl e poi di Lazuli gli hanno fatto bene, così come qualche ora di sonno.
Però questo capitolo lascia anche molti interrogativi… che fine ha fatto Videl? Ha fatto bene Rad a non dire nulla di lei a Lazuli? Chichi scapperà davvero da Goku dopo che lui non l’ha riconosciuta?
Spero vi sia piaciuta anche la lunga telefonata tra i nostri Raduli: ammetto che mi mancava la presenza di Lazuli in questa storia, spero l’abbiate apprezzata anche voi. So che in molti non sopportano più Videl, in compenso. Mi piace questo schieramento su due fronti, così come mi piace sempre un casino leggere tutte le vostre teorie su “Miss Codini”, come direbbe Là. Spero anche che abbiate apprezzato il momento di tenerezza tra Rad e Chì, a me piace vederli così, anche se tendono a scannarsi il più delle volte.
 
Piccola precisazione su una cosa che mi è stata fatta notare da Eevaa, che ringrazio, perché credevo non l’avrebbe notata nessuno: Goku, nel suo diario, si definisce come “Goku-kun” già dalla prima volta in cui ci scrive. Però, quando inizia questa storia (cioè due anni dopo che lui ha iniziato la stesura del diario) lui si definisce “Goku” le prime volte in cui parla di sé come al solito in terza persona. È proprio Lazuli a chiamarlo Goku-kun per la prima volta. Da lì in poi, gradualmente, Goku comincia a definire sé stesso come “Goku-kun” anche quando parla, non solo quando pensa o scrive sul diario. Questo voleva nelle mie intenzioni far capire quanto Goku si fosse affezionato a Lazuli e quanto stesse diventando più sicuro di sé dal definire sé stesso come “Goku-kun” nonostante nessuno lo chiamasse così (vi ricordo che lui aveva rapporti solo con Rad, che lo chiama e chiamerà sempre “Goku” per non fare distinzioni, e con Bardack, che lo chiama “Goku” e vorrebbe indietro il vecchio Goku, cioè Goku-san). Goku quindi chiamava sé stesso “Goku” quasi per timore o per timidezza, benché avesse subito sentita come una parte estranea quel Goku-san di cui tutti parlavano e che tutti sembravano rivolere indietro, quando lui si sentiva invece semplicemente Goku-kun. Ma, dopo aver conosciuto Lazuli, Goku ha cominciato a cambiare a piccoli passi anche da una cosa apparentemente banale come questa. L’arrivo poi di Chichi e l’accentuarsi del suo presentimento sul ritorno di Goku-san non hanno fatto altro che accentuare questa scissione all’interno di Goku, con Goku-kun che cercava disperatamente di raggiungere i suoi obiettivi prima che fosse troppo tardi.
Forse non ci avrete capito nulla, magari mi sono spiegato male. Probabilmente era una cosa inutile che pensavo nessuno avrebbe notato, ma, appunto, nel caso anche qualche lettore silenzioso se ne fosse accorto, spero abbiate apprezzato la spiegazione.
 
Un grazie speciale a chi mi lascia sempre il suo parere e a chi continua ad appassionarsi a questa storia. Ringrazio anche tutti voi che leggete in silenzio e che avete inserito la storia nelle liste.
Per alleggerire questo capitolo e continuare a ravvivare lo spirito del Natale, ho pensato stavolta a una bella fan art a tema di Chichi e un’altra dei nostri VegeBul, per le quali ringrazio gli autori. Nel prossimo capitolo vedremo invece Rad, Là e Videl in una versione natalizia decisamente pepata. Se qualcuno di voi vuole mandarmi qualcosa da pubblicare, ovviamente, è ben accetto. ;-)
 
Io ve lo dico subito: il prossimo è un capitolo davvero importante e arriveremo fino alla sera dell’1 dicembre, che è poi la vigilia del compleanno di Lazuli. Vedremo Rad che proverà a sistemare le cose tra Goku e Chichi, e vedremo soprattutto Bulma impegnata a far aprire gli occhi a Radish per quanto riguarda Videl. Finalmente avremo delle risposte, tante risposte… e Bulma le sbatterà in faccia a Radish. In tutto questo, dite che Lazuli potrebbe tornare di persona a Fujisawa? Questo non posso dirvelo ;-)
Però posso dirvi il titolo, che tuttavia non promette bene: “Punto di rottura”. Ma cosa significa? Tra chi o tra cosa potrebbe avvenire una rottura?
Siccome sono stati capitoli intensi e pesanti e, soprattutto, manca una settimana al mio amato Natale, ho pensato di fare a tutti voi che state seguendo questa storia un piccolo regalo sotto forma di special natalizio di Remember me. L’ho scritto di getto ieri e lo pubblicherò martedì 24 dicembre come one shot esterna a questa storia, quindi cercatelo nel fandom se volete leggerlo. Ho deciso così per renderlo disponibile anche a chi non sta seguendo questa long, visto che si tratta sostanzialmente di una piccola avventura natalizia autoconclusiva ambientata il 25 dicembre. Però ho voluto che questo special potesse inserirsi in modo coerente nella trama della long quando arriverà a quella data. Quindi potreste leggerci dentro anche dei piccoli spoiler se li noterete tra le righe ;-)
Spero sarete felici di questo capitolo extra, che mi ha convinto a pubblicare invece il cap. 45 lunedì 23, visto che mercoledì è Natale e sarò un po’ preso tra mangiate, bevute e parenti vari.
Niente, per il resto se riesco vorrei pubblicare un’altra one shot VegeBul a tema natalizio già questo venerdì come ho fatto settimana scorsa con “Affetto Placebo”, se vi va ci vediamo anche lì, altrimenti l’appuntamento è fissato per lunedì 23 con un capitolo chiave di questa storia e per la vigilia di Natale con lo special!
Grazie ancora per tutto il sostegno che mi date sempre e scusate per le note lunghissime, a presto!
Teo 

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Capitolo 45
*** Punto di rottura ***


45 – Punto di rottura
 
 
«Chì! Fermati, Chì!» la chiamo a gran voce mentre la inseguo, facendo lo slalom tra visitatori, pazienti e dottori, riuscendo a bloccarla afferrandole un braccio quando ormai siamo fuori dal reparto dove è stato ricoverato mio fratello. «È normale… è normale che Goku non si ricordi nulla! Ma tornerà prima o poi la sua memoria! Tornerà!» provo a rassicurarla.
«N-non si ricorda più nemmeno di me, Rad! Ci siamo baciati e lui non lo sa… forse non lo saprà mai! E poi… e poi mi manca!» grida, in lacrime. «I-io… io non ce la faccio a vederlo così! E non posso essergli d’aiuto piangendo davanti a lui…» sospira, liberandosi della mia presa con uno strattone. «Torna da lui. Io… io vado a casa» aggiunge, allontanandosi. «Ho bisogno di restare sola».
La seguo con lo sguardo, indeciso sul da farsi. Che cazzo dovrei fare?! Che situazione… forse è meglio fare come dice lei. Lasciarla un po’ da sola. Darle il tempo di interiorizzare la cosa.
Però… però non posso neanche lasciare che le cose prendano una piega del genere senza nemmeno provare a lottare.
Torno a passo di carica verso la stanza di mio fratello, più che mai deciso a sbattermene le palle delle raccomandazioni dei medici sul non far affaticare troppo la mente di Goku cercando di forzare i suoi ricordi smarriti. Si fa a modo mio, come quando sono riuscito a farlo entrare nella sua scuola usando i miei metodi.
So benissimo che non è colpa sua, ma so altrettanto bene che non è salutare per nessuno questa situazione. Né per lui, né per Chichi, né per me. E lo stesso vale per Lazuli, quando tornerà.
«Rad… cosa ho detto di male?!» mi chiede mio fratello, allibito e in piedi in mezzo alla stanza, quando torno da lui. «Perché piangeva?» aggiunge, mentre recupero dall’armadietto una cosa che avevo per fortuna portato con me oggi e che avevo messo lì prima che arrivasse Chichi.
«Perché lei è la tua ragazza. O qualcosa di simile, so solo che vi siete baciati e che lei ha fatto tanto per te» rispondo, premendogli contro il petto il quaderno-diario scritto da Goku-kun.
«Cosaaa?! L-lei è la mia ragazza?!» grida, sconvolto, afferrando il quaderno senza nemmeno rendersene conto.
«Ti piace?» gli chiedo. «Anche se non ti ricordi nulla di lei e del suo carattere, fisicamente ti piace?»
«Beh… e-ecco… è… è carina…» farfuglia lui, abbassando la testa e grattandosi la nuca, a disagio. «S-sì… mi piace. Eh, eh…».
Gli sorrido, scuotendo la testa e tirando un sospiro di sollievo.
«Non farla più piangere, testa di cazzo» lo rimprovero bonariamente, dandogli uno scappellotto sulla testa e abbracciandolo. «Lei è la sorella della mia ragazza ed è una che non merita di soffrire. Ascolta i consigli del tuo fratellone, ok?»
«O-ok…» sorride lui, a dire la verità ancora frastornato da quanto appena successo. «Ma… questo cos’è?!» aggiunge, rendendosi finalmente conto del quaderno che stringe tra le mani.
«Quello è un diario scritto da te negli ultimi due anni e mezzo. Leggilo con cura, dentro ci troverai molte risposte» gli spiego. «Non farlo vedere a papà e ai medici, loro pensano che tu sia ancora troppo debole per poter affrontare i vecchi ricordi che hai perso. Ma io invece penso che sono tutte stronzate, perché sei mio fratello e so che sei forte. Noi siamo dei Son, e i Son sono fottutamente forti. Chiaro?!» aggiungo, allungando un pugno chiuso verso di lui.
«Chiaro!» mi sorride, stavolta determinato, battendo il suo pugno contro il mio. «Non voglio che qualcuno soffra per colpa mia. Soprattutto… beh, soprattutto quella ragazza. Chichi-chan… la mia ragazza…».
«Bravo, sono fiero di te» gli dico. «Adesso leggi con calma nei prossimi giorni quello che c’è scritto lì. Magari non ricorderai nulla, ma almeno saprai un po’ di cose che ti sono successe. È già qualcosa, no?»
«Già…» sospira lui, aprendo distrattamente il quaderno e sfogliandolo. «Grazie… grazie fratellone».
Sì, fratellone. Ha detto fratellone, ho capito bene.
Gli do una pacca sulla spalla e mi congedo, dandogli le spalle. Non voglio che mi veda piangere.
Fratellone.
Non voglio che mi veda, anche se sono lacrime di gioia.
Forse c’è davvero ancora anche Goku-kun dentro di lui, da qualche parte. Magari nel suo cuore.
Già, magari.
 
 
30 novembre
 
«Hai spiegato a Lazuli-san tutto questo?» mi domanda Bulma, seduta sul suo sgabello nel laboratorio di scienze, fissandomi dritto negl’occhi.
Le ho raccontato tutto quello che è successo da quando Goku si è svegliato l’altro ieri privo dei ricordi degli ultimi due anni e mezzo. Tutto. Della mia crisi, di Videl. Avevo bisogno di parlarne con qualcuno, di vuotare il sacco del tutto. Anzi, avevo bisogno di provare a parlarne proprio con Bulma, nella speranza di avere delle risposte. O delle conferme sul mio comportamento.
Videl non si è più fatta viva e io non saprei nemmeno dove, o meglio, come trovarla. Ho provato anche a telefonare a Videl-chan, anche se ha solo dodici anni credo che le avrei raccontato tutto, sperando che mi dicesse qualcosa di utile. Come se vuotare il sacco da parte mia avesse implicato il fatto che lo svuotasse anche lei. Che mi dicesse quella verità che non mi ha mai detto da quando l’ho vista per la prima volta sotto casa mia con un gattino abbandonato. O forse in cerca di quella verità che era la mia, di verità. Qualcosa del tipo: “Certo, Radish-san, sono io! Sono la tua senpai che è diventata momentaneamente una dodicenne per colpa della Sindrome della Pubertà che tu conosci tanto bene! Ma ora sono tornata nel mio vero corpo, mi hai vista, no? Dimmi, ti piaccio ancora nel mio corpo da diciottenne?”
Sì, mi avrebbe detto qualcosa del genere ridacchiando. Prendendomi in giro. Ho telefonato a Videl-chan pensando, o sperando, che mi avrebbe risposto Videl-san. Che mi avrebbe detto tutto. E che io avrei così potuto ringraziarla per l’altra sera, oltre che per due anni e mezzo fa. Per poi andare avanti, mano nella mano con la mia Lazuli.
Ma non è servito a nulla. Non ha risposto nessuno. Anche Videl-chan è sparita da tempo, del resto.
In ogni caso mi sembra anche inverosimile che una persona come Videl, come la Videl Satan che ho conosciuto io e che ho rivisto l’altra sera, possa essere incappata in quella maledetta Sindrome e possa esserne rimasta avvolta per così tanto tempo. Non ha senso. Anche se, in realtà, mi rendo conto di non sapere davvero nulla di lei. Nulla. Zero assoluto.
«Son-kun, ci sei?» mi richiama alla realtà Bulma, piuttosto irritata. Mano a mano che le raccontavo tutto ho notato che ha smesso progressivamente di dedicarsi ai lavori che stava svolgendo per dedicare completamente a me la sua attenzione. Una vera rarità. Ma non perché di solito si comporta da stronza, ma semplicemente perché lei è così intelligente da essere multitasking e saper ascoltare gli altri anche mentre si dedica alla scienza. È questa Bulma Brief, di solito. Ma non oggi. Oggi ha voluto ascoltare tutta la storia senza battere ciglio. «Sei troppo preso da qualche pensiero sconcio da pervertito o puoi rispondere alla mia domanda?»
«Le ho raccontato tutto» rispondo, finalmente. «Ho omesso solo la storia di Videl. Pensavo di parlargliene di persona non appena ce l’avrò davanti» aggiungo con un filo di voce, distogliendo lo sguardo dal suo. Lo distolgo con un riflesso involontario, come se sentissi il peso del suo giudizio. Come se mi sentissi in colpa, in realtà. Per non aver detto subito la verità alla mia ragazza. Non è successo nulla, ma improvvisamente non mi sembra più di aver fatto la scelta giusta a non dirle niente.
«Sei un idiota, Son-kun» ribatte lapidaria.
«Lo so… cioè, non lo so…» farfuglio. «Non volevo ferirla. Non volevo farla preoccupare per niente mentre sta girando quel film… e poi… poi non è successo niente. E non so nemmeno come ho fatto a ritrovarmi in questa situazione…».
«Hai idea di come reagirà Lazuli-san quando glielo dirai?!» alza la voce Bulma. Credo che sia la prima volta da quando la conosco in cui è davvero arrabbiata con me. «Hai idea di quanto era preoccupata quando mi ha chiamato l’altra sera mentre tu… mentre tu eri a casa con la tua ex?!» aggiunge, alzandosi in piedi e camminando nervosamente davanti a me. «Aveva un tono di voce che… che non sembrava nemmeno lei!»
«Lo so… non è successo niente con Videl, te lo giuro Bulma!» mi alzo in piedi anch’io, confuso, cercando di spiegare le mie ragioni. Credo di avere gli occhi lucidi. Dolore, rabbia, frustrazione. «Io… io stavo male, non capivo un cazzo in quel momento! Ma so per certo di non aver avuto secondi fini con lei».
«Ma io lo so che non ci hai fatto nulla! E lo saprà anche la tua ragazza, quando glielo dirai… ma non la prenderà bene. Io non la prenderei bene, mi immagino una come lei. Dovevi dirglielo, Son.kun. Anzi, muoviti a dirle tutto».
«Ormai è troppo tardi, tanto vale portare avanti la mia idea di dirglielo di persona…» sospiro, stringendo i pugni. Mi sento uno stupido, mentre cerco di trattenere le lacrime davanti alla mia migliore amica.
«Mi dispiace per quello che hai passato, Son-kun. Avresti dovuto chiamare subito me e Vegeta e saremmo corsi da te. Sei uno stupido, ma ti voglio bene lo stesso» sospira a sua volta, abbracciandomi all’improvviso. «E ormai voglio bene anche a Lazuli-san. Ha una personalità strana, ma ho imparato a capirla e considerarla un’amica al punto che mi fa paura l’idea di poterla perdere. Sistema le cose con lei, ti prego. Una così non la trovi più, maledetto scimmione».
«Sì… sì…» riesco solo a ribattere, mentre comincio però a sentirmi meglio.
«Tuo fratello starà bene, vedrai. È un Son dopotutto!» sorride Bulma, staccandosi da me e mettendosi in posa come a voler mostrare i muscoli delle braccia. Sorride.
Sorrido anch’io.
«Dimmi una cosa adesso, Son-kun» torna di nuovo seria Bulma. Si sistema gli occhiali sul naso con un dito. «Quella ragazza ti piace? Provi ancora qualcosa per lei?»
«Per Videl, intendi?! No» sbotto. «Solo gratitudine. Sia per l’altra sera che per due anni fa. Nulla di più, nulla di meno».
«Ti sarebbe piaciuto baciarla l’altro ieri? O andare oltre… del resto sei un maiale, è risaputo».
«No. Amo Là. Punto».
«Bravo Son-kun» sorride lei. «Anche perché sarebbe una follia perdere uno schianto come Lazuli Eighteen per rincorrere disperatamente un fantasma».
«Un fantasma?!»
«Ti dirò la verità, Son-kun, e sappi che sono seria. Te l’avevo già detto e ripetuto in passato, ma mi rendevo conto che pensavi che scherzassi» comincia Bulma, mentre i suoi occhi azzurri brillano e non smettono di fissare la mia faccia perplessa. «Hai mai preso in considerazione l’idea che la Videl Satan che ora dovrebbe avere diciotto anni non sia mai realmente esistita?»
Le sue parole mi trafiggono come un fulmine a ciel sereno. Mi fanno male. Mi stordiscono, anche. Ma non mi stupiscono, non del tutto almeno. Ci ho pensato, in realtà, qualche volta. Ma lei era così vera, così reale... mi sarei immaginato tutto?! Le visioni che hanno i pazzi sono così concrete, così vivide?! Così… belle?!
«Mi… mi sembra impossibile…» sbiascico. «Cioè, io l’ho anche baciata una volta e…».
«La verità è che, sia ora che due anni fa, tu sei l’unico che l’ha vista di persona. L’unico che l’ha osservata» mi interrompe, scrutandomi serissima.
«Ancora con ‘sta storia dell’osservazione…» ribatto piccato, voltandomi per guardare il nulla fuori dalla finestra. Metto le mani in tasca. Mi fa male la testa.
«Se vuoi possiamo farla più semplice e dire che è solo il frutto della tua mente».
«Pensi che sono pazzo?»
«No. Non per questo motivo, almeno. Lo sei e basta da quando ti conosco» prova a rassicurarmi e allo stesso tempo a scherzare. Solo che io non ho molta voglia di ridere. Non ora, più che altro.
«Come ti spieghi il suo messaggio che ho trovato sul tavolo quando mi sono svegliato? E la lettera che mi ha fatto trovare nella casella l’altra volta?» le chiedo con una punta di rabbia, sapendo già dentro di me la risposta che mi darà. Ma voglio che sia lei a dirmelo.
«Hai scritto tu quelle cose, Son-kun. L’hai fatto senza rendertene conto, come se fossi un sonnambulo. Questo non significa che c’è qualcosa che non va in te, sono cose che possono…».
«Non era la mia calligrafia» la interrompo, senza voltarmi a guardarla.
«Potresti aver scritto inconsciamente con la mano sinistra, ad esempio. Dopotutto era successa la stessa cosa a tuo fratello. Potresti essere stato colpito da un effetto collaterale della Sindrome della Pubertà» mi spiega Bulma in tono rassicurante, avvicinandosi a me.
«Ma… non ha senso! Io… i-io stavo bene quando ho trovato la sua lettera quest’estate! Ero felice… lo ero davvero! Non può avermi colpito quella merda di Sindrome in quel periodo!» protesto, alzando il tono della voce.
«Forse è questo il punto, Son-kun. Tu ci tenevi a dirle che eri felice. Che eri felice nonostante tutto quello che ti era capitato. Che eri felice anche senza di lei».
«Perché…» sospiro, dopo qualche secondo di troppo di un silenzio carico di riflessioni vuote. Fatico a pensare, a trovare una logica. Non ce la faccio. «Perché me la sono trovata davanti due anni fa? E perché l’ho rivista l’altro ieri?»
«L’hai vista perché eri tu a volerla fortemente vedere in quei momenti. Avevi talmente tanto bisogno di una persona con le sue caratteristiche che la tua mente ti è venuta incontro. Ha dato forma allo schema di informazioni che ti eri creato nella tua testa e le ha messo in bocca le frasi che avevi bisogno di sentirti dire. Le ha fatto fare quello che tu sentivi di aver bisogno in quel preciso istante» risponde, parlando lentamente e accarezzandomi la testa come a volermi dire che va tutto bene. «Eri solo e avevi paura in quei momenti. Due anni fa eri letteralmente solo, stavolta Lazuli-san era troppo lontana per poterti aiutare. E tu sentivi di aver bisogno di aiuto».
«Mi sembra tutto così assurdo, Bulma… io non venivo al Minegahara alle medie, perché avrei dovuto far dire a una ragazza creata dalla mia mente che lei andava lì a scuola?!»
Finalmente la guardo, voltandomi di scatto alla mia destra. Temo di avere gli occhi sgranati.
«Non ti sembra… cioè, non ti sembro un pazzo se ho avuto davvero delle visioni?!»
«Son-kun, ricordati che stai chiedendo un esame clinico di psicologia a una persona che si è sdoppiata davanti ai tuoi occhi» mi sorride lei. «E che hai una ragazza che prima è diventata invisibile e poi è finita nel corpo di sua sorella. Per non parlare dei loop temporali e tutto il resto».
Accenno un sorriso poco convinto, mentre scuoto leggermente la testa.
«Sei sempre stato tu lo psicologo del gruppo. Non sei mai stato pazzo».
«Eppure mi sembra di esserlo, se le cose sono andate davvero così… cazzo, Bulma, io l’ho baciata! Io… io sono stato innamorato di lei! Porca puttana, per due cazzo di anni l’ho pensata ogni merdoso giorno!» sbotto, colpendo il muro con un pugno che mi fa mordere il labbro inferiore per il dolore acuto che mi provoca. «Mi sento… mi sento un coglione».
«Vedila così, Son-kun: se lei non ti avesse spinto a iscriverti al Liceo Minegahara adesso non staresti con Lazuli-san. Non avresti conosciuto nemmeno me e Vegeta. Nemmeno le tue amiche primine. E non avresti vinto il campionato provinciale di calcio, magari non avresti nemmeno più giocato».
La voce di Bulma è rassicurante e infonde positività anche nello stato in cui mi trovo ora, lo ammetto.
«Penso che tutto ruoti attorno a Lazuli-san comunque. Tu inconsciamente volevi venire in questo liceo perché in qualche modo sapevi che ci avresti trovato lei. È stata Lazuli Eighteen il tuo vero primo amore, Son-kun. Tu la ami da quando sei un bambino e la vedevi in tv. Volevi avere un’occasione per conoscerla, per vedere se una come lei poteva davvero amare uno come te. Non ci credevi, non ci pensavi neanche, magari… ma nel tuo inconscio non hai mai smesso di sperarci» continua Bulma. Non la interrompo, ma le sue parole ora mi fanno sentire meglio davvero. Mi sembra che stia trovando un senso a tutto, in qualche modo.
«Non sei pazzo, non lo sei mai stato: è stato probabilmente un effetto della Sindrome della Pubertà quello che ha fatto comparire davanti a te sulla spiaggia una ragazza con le caratteristiche di Videl Satan. Abbiamo scoperto insieme quanti effetti può generare questa Sindrome sugli adolescenti, credo che in quel caso ti abbia permesso di guardare un po’ nel futuro perché ti sentivi terribilmente oppresso dal tuo presente».
«Avrei avuto una sorta di premonizione?! Ho potuto sbirciare nel futuro grazie alla Sindrome della Pubertà?!»
«Non posso dirlo con certezza, non ho una base scientifica per farlo in questo caso. Anche se abbiamo già visto che si può manipolare il tempo grazie a questa Sindrome, come ha fatto a suo tempo la tua amica primina. Tu hai solo guardato avanti e intravisto quello che poteva essere un tuo possibile futuro».
«Ma io… io sono venuto in questa scuola alla ricerca di Videl…».
«Sei venuto qui per Lazuli-san, non hai ancora capito che Videl Satan non era altro che una sua rappresentazione distorta creata dalla tua mente?! Quante cose hanno in comune?! Ci hai mai pensato?!»
«Ecco… un po’ sì…» farfuglio, mentre mi tornano alla mente i consigli che mi hanno dato entrambe in questi ultimi due giorni per Goku. Le loro parole, così uguali… come certi loro gesti.
Lazuli e Videl… così diverse tra loro, eppure così simili. I loro caratteri forse sono agli antipodi, ma nel punto in cui entrano in contatto sono così… così… somiglianti. Il loro modo di scherzare in certi casi, di rassicurarmi, di farmi star bene. Sono come il sole e la luna, il fuoco e il ghiaccio… ma sono anche simili in qualche modo, non posso negarlo.
«Sono entrambe tue senpai di un solo anno, sono entrambe bellissime e sono state in momenti diversi per te quello di cui avevi bisogno. Loro ti hanno dato amore nel momento in cui ne avevi bisogno. Se fosse stato solo un sogno, Freud ti direbbe che hai “traslato” su Videl Satan le caratteristiche che immaginavi o speravi potesse avere Lazuli, oltre a quelle di cui già eri a conoscenza come il fatto che fosse una tua senpai».
«È tutto così strano, Bulma…».
«Potresti aver avuto altre premonizioni quando hai parlato con Videl l’ultima volta? Pensaci».
Penso a Goku. Certo che le ho avute, se sono davvero premonizioni. Certo, cazzo.
«Mi ha detto delle cose su mio fratello. Ma magari voleva solo rassicurarmi…» sospiro.
«Cosa ti ha detto?»
«Che recupererà la memoria, prima o poi. Che Goku-kun e Goku-san diventeranno un’unica persona».
«Ti ha detto quello che devi fare per lui?»
Penso al quaderno-diario. E penso anche a Lazuli.
«Sì. E il giorno dopo Là mi ha detto le stesse cose».
«Beh, questa è una cosa buona, no?!» sorride Bulma, appoggiandomi una mano sulla spalla.
«Sì… credo… credo di sì» farfuglio, un po’ frastornato, guardandola negl’occhi. Accenno un sorriso.
«Adesso non ti resta che raccontare tutta questa storia a Lazuli-san e mettere definitivamente una pietra sopra a Videl Satan» continua a sorridermi. «E poi potrai smettere di pensare a lei, Son-kun. Era solo la fantasia di un maiale».
 
 
1 dicembre
 
Getto sul letto l’asciugamano con cui mi stavo asciugando i capelli e mi infilo un paio di boxer azzurri, senza smettere di riuscire a rimuginare su quello che mi ha detto Bulma ieri. Oggi a scuola non ne abbiamo parlato. In realtà non credo nemmeno che sia un argomento di cui io abbia più di tanto voglia di parlare. Davvero Videl Satan era solo una mia fantasia? Un cazzo di fantasma che mi trascino dietro da due anni e mezzo?
Mi sembra… mi sembra di essere pazzo. E nemmeno una lunga doccia ha saputo farmi distendere i nervi dopo una giornata passata a scuola senza in realtà capire più di tanto quello che spiegavano i professori, seguita da una visita in ospedale a mio fratello. Ecco, almeno con Goku ho l’impressione che poco alla volta stiamo facendo dei passi avanti l’uno verso l’altro. Come se ogni momento che passa riesca a far emergere un po’ di più Goku-kun, anche se siamo ancora lontani dal recupero dei suoi ricordi.
Il suono del citofono mi desta dai miei pensieri e mi spinge ad andare a controllare. Chi potrebbe essere a quest’ora?! Sono quasi le 18:00 e non aspettavo nessuno.
Guardo incuriosito nel videocitofono e resto impietrito, mentre un sorriso si dipinge automaticamente sul mio volto e il cuore comincia a martellarmi nel petto.
Chiudo gli occhi e li riapro. Così, giusto per sicurezza.
«È anche questa un’illusione?» farfuglio a voce alta, mentre osservo Lazuli voltarsi prima a destra e poi a sinistra, prima di incrociare la braccia sotto il seno. Indossa un trench nero legato in vita con una cintura e una sciarpa bianca.
«Là!» esclamo, alzando finalmente il ricevitore e aprendo la portineria.
«Ce ne hai messo di tempo, avevi di meglio da fare?!» sbuffa lei, guardandomi malissimo attraverso lo schermo e sparendo dalla mia vista.
Apro la porta e la aspetto sul pianerottolo così come sono, in boxer e ciabatte. Sento il suono dei suoi stivaletti sulle scale sempre più vicino, finché la vedo fare capolino a pochi metri di me. Le sue gambe sono fasciate in un paio di jeans chiari aderenti e più la guardo e più mi rendo conto di quanto mi sia mancata stavolta. Di quanto avrei avuto bisogno di averla qui. Di quanto mi senta bene adesso.
Non ho più pensieri per la testa, adesso. Nessuna illusione. Quando c’è Lazuli ogni fantasma se ne va via, questo l’ho sempre saputo.
Guardo la sua borsa a tracolla nera con fibbie dorate tintinnare sul suo fianco. Non riesco a staccarle gli occhi di dosso, nemmeno a muovermi. Ma sorrido, e sorride anche lei. Forse ho gli occhi lucidi, ma non me ne frega niente. I suoi occhi di ghiaccio brillano, e io mi perdo dentro di loro. E va bene così, voglio perdermi dentro di loro. Dentro di lei.
«Possibile che tu debba sempre essere mezzo nudo?!» sibila, prima di corrermi incontro.
«Spero che non ti dispiaccia più di tanto» rispondo roco, muovendomi verso di lei, che scoppia a ridere e mi salta addosso. Credo di esserle mancato anch’io, sì. Ed è una sensazione meravigliosa rendersi conto di essere mancato tanto alla persona che ti è mancata come l’aria.
La prendo al volo e la sollevo, mentre mi cinge la vita con le gambe. Vengo travolto dal suo profumo fresco, dal suo calore, dal suo essere donna.
Il suo seno preme contro il mio petto. Accarezza le mie cicatrici. Mi coccola il cuore.
La bacio, o forse è lei che mi bacia per prima. Non lo so… ma sento che avevamo entrambi questo bisogno. Il suo sapore mi rigenera, mi fa stare bene. Mi fa venire voglia di lei.
«Mi hai fatto aspettare troppo al citofono, per questo meriti una punizione» mi minaccia lei con un filo di voce, soffiando sulle mie labbra umide a pochi millimetri dalle sue. «Però… forse ti sei fatto perdonare facendoti trovare solo in boxer, da bravo maiale ammaestrato quale sei» aggiunge in un ghigno, stringendosi più forte al mio collo con le braccia.
Le sorrido sghembo, mentre sento premere la mia eccitazione contro il suo bacino, decisamente troppo vicino al mio.
«Ops…» sussurra con fare innocente, non facendo che incrementare la mia brama di lei.
Riesco a risponderle solo con un grugnito soffocato. La cosa sembra divertirla. Maledetta.
Mi volto e la spingo contro il muro, ancora avvinghiata a me, e riprendo a baciarla.
«N-non… non qui… Rad…» ansima dopo qualche secondo di fuoco, ricordandomi che siamo sul pianerottolo.
«Allora ti darò in casa il tuo premio per aver finito le riprese prima del previsto» sorrido soddisfatto, riprendendo a baciarla e trascinandomi dentro con lei. Mi chiudo la porta alle spalle con un calcio, mentre continuo a stringerla a me.
«Abbiamo… abbiamo finito solo per oggi le riprese. Domani mattina prendo il primo shinkansen per Kanazawa» sussurra Lazuli. Il suo respiro è decisamente affannato. Mi piace. «Sai… ci tenevo a passare con te almeno un po’ del mio compleanno…» aggiunge timidamente. Arrossisce, distoglie lo sguardo dal mio. Non ama farsi vedere vulnerabile… forse perché non si rende conto di quanto adorabile sia nei momenti in cui dimostra di esserlo.
La abbraccio forte dopo quelle parole, appoggiando la testa nell’incavo della sua spalla. Lei fa lo stesso, mentre la poso delicatamente sul tavolo facendola sedere e posizionandomi tra le sue gambe divaricate.
«Hai lavorato stamattina e, appena hai finito, ti sei fatta oltre quattro ore di treno per essere qui adesso e rifare tutto al contrario domani mattina» le sorrido dolcemente, appoggiando la mia fronte contro la sua. «Grazie, Là. Sei… non so nemmeno io cosa sei… boh, un tesoro. La mia vita, sì… sei la mia vita. Il mio mondo. Tutto… tutto».
«Sei felice di avermi qui?»
«Mi sembra di impazzire… non mi sembrava vero quando ti ho vista dal citofono!»
«Allora, me lo merito o no un regalo in anticipo?» mi domanda maliziosa all’improvviso, spingendomi indietro e mordicchiandosi al contempo il labbro inferiore.
Si slaccia la cintura del trench e appoggia sul tavolo la borsa che ancora aveva in qualche modo a tracolla.
«Oh, sì… non hai idea di quanti “regali” avrai prima di domani mattina… abbiamo un sacco di ore a disposizione» ribatto roco, stando al suo gioco.
Sento il sangue bruciarmi nelle vene.
Ma è questione di un istante, perché subito dopo, quello stesso sangue, sembra congelarsi all’improvviso dentro di me.
Osservo Lazuli che nota un bigliettino bianco sul tavolo accanto alla sua borsa e lo prende in mano. Lo legge. Sgrana gli occhi. Li punta su di me e poi di nuovo sul biglietto, prima di appoggiarlo dove l’aveva trovato. Mi guarda di nuovo, ma ora il suo sguardo di ghiaccio è vacuo, quasi come quello che aveva quando l’ho conosciuta. Quando era invisibile. Quando aveva paura.
Non so nemmeno io perché ho lasciato lì il biglietto scritto da Videl. Se me lo sono dimenticato, se volevo farlo vedere a Lazuli non appena fosse tornata, nonostante non potessi sapere che sarebbe arrivata proprio ora. Non so neanche se ho appoggiato apposta la mia ragazza sul tavolo, adesso. Volevo che lo leggesse? Forse sì… perché in realtà mi pesa non averglielo detto subito al telefono che Videl è stata qui. Videl… o qualunque cosa fosse quella presenza. Mi ero ripromesso che l’avrei detto a Lazuli non appena fosse tornata, però… però ora mi sento male. Non ce la faccio a sostenere quello sguardo.
Io… io pensavo che mi avrebbe picchiato. Che avremmo riso. Che razza di coglione che sono. Io l’ho ferita, ecco che cazzo ho fatto.
«Ehm… Là…» provo dire, deglutendo il nulla e muovendo un passo verso di lei.
«Puoi… spiegarmi?» mi interrompe. La sua voce è calma, troppo calma. È gelida. Non distaccata, di più. È… assente.
Abbassa la testa e si volta verso il biglietto bianco abbandonato sul tavolo accanto alla sua borsa. Lo fissa.
Un brivido mi scende lungo la schiena.
«E-ecco… beh, vedi…» farfuglio, col il cuore che mi martella nel petto e un sudore freddo che comincia a bagnarmi la fronte. «Quando Goku ha recuperato la memoria, a un certo punto sono scappato dall’ospedale. Ricordo solo che correvo sotto la pioggia e piangevo, finché sono crollato a terra e ha iniziato a sanguinarmi il petto… quando ho rialzato la testa c’era davanti a me Videl. Sembrava apparsa dal nulla» aggiungo con un filo di voce, mortificato. Lazuli resta immobile, non mi guarda. Non parla. «Mi ha accompagnato qui e mi ha dato una mano visto che ero ridotto a uno straccio. Ha provato a consolarmi parlando di mio fratello perché… perché mi sentivo a pezzi» proseguo, stringendo i pugni nervosamente. «So che ha fatto il bucato e ha pulito il pavimento perché avevo fatto un disastro… e quando mi sono svegliato ho trovato solo quel biglietto. Era già mattina, poi ti ho chiamato».
Lazuli resta in silenzio e continua a non guardarmi, ma scende dal tavolo e resta immobile, in piedi. Fissa ancora il messaggio lasciato da Videl. Le braccia sembrano inermi lungo i suoi fianchi.
«Ah, ovviamente non è successo niente tra noi!» esclamo con foga, visto che mi sembra un dettaglio fondamentale che avevo omesso. «E non è rimasta nemmeno qui a dormire! Cioè, questo in realtà non lo so per certo perché non so nemmeno quando sono crollato io… però non c’era più quando mi sono svegliato. E non ho mai avuto intenzione di fare nulla con lei, te lo giuro».
La mia ragazza si volta leggermente e si lega in vita la cintura del trench. Non parla, non mi guarda.
Il rumore che fa ciò che non dice è un boato, almeno per me.
«Non… non è come pensi!» insisto, muovendo un altro passo verso di lei. «Non devi preoccuparti… non è successo nulla!» aggiungo, provando a mostrarmi sicuro. «E ti giuro che non te l’ho detto al telefono perché preferivo spiegarti tutto di persona. Non volevo che ti preoccupassi per nulla e ne risentisse il tuo lavoro. Io… mi spiace…».
La osservo mentre allunga una mano verso la sua borsa. Non mi considera. Mi sento un fantasma accanto a lei. Già… un fantasma, come Videl magari? Dovrei dirle anche questo dubbio che ho?
«Avrei… avrei voluto chiamarti quella sera. Solo… s-solo che ho pianto fino ad addormentarmi e poi…» farfuglio, mentre sento le lacrime che cercano disperatamente di uscire dai miei occhi. Provo a trattenerle. Deglutisco.
«Lascia perdere» mi interrompe Lazuli, lapidaria, senza voltarsi.
Abbasso la testa. Resto in silenzio. Non so più che cazzo dovrei dire.
«L’importante è che ora tu stia bene» riprende con un filo di voce. Il suo tono è dimesso, ma anche distante. Tanto distante.
«Là…» le sorrido, con gli occhi lucidi.
«Mi spiace… devo proprio ripartire stasera» ribatte freddamente, rimettendosi la borsa a tracolla e voltandosi verso l’uscita evitando di incrociare il mio sguardo.
«Eh?! A-aspetta… ripartire?!» bofonchio, seguendola mentre si dirige verso la porta.
«Per Kanazawa» risponde, gelida, senza voltarsi. «Ci sono ancora delle corse dello shinkansen» aggiunge, uscendo di casa e richiudendosi la porta alle spalle.
Resto di sasso per qualche secondo, incapace di muovermi. Forse di pensare.
Sta tornando a Kanazawa anche se è appena arrivata? Anche se è reduce da oltre quattro ore di treno dopo aver lavorato stamattina? Anche… anche se aveva fatto tutto questo solo perché pensava che sarebbe stata felice per il suo compleanno. E che mi avrebbe reso felice con questa sorpresa. Invece… invece ho rovinato tutto.
«Aspetta! Là!» grido, ridestandomi e correndo sul pianerottolo per fermarla.
La trovo ferma davanti all’ascensore a testa bassa, in attesa. Non l’ho mai vista prendere l’ascensore. Non qui e nemmeno a casa sua, almeno.
Mi avvicino e, anche se lei non mi guarda, noto una lacrima trattenuta a stento che cerca di uscire, compressa all’estremità del suo occhio. Una lacrima che non scenderà, almeno finché ci sarò io.
Mi fermo a un passo da lei, ma mi sembra di essere lontano anni luce.
Sento il cuore andare in mille pezzi come un tavolino di cristallo lasciato cadere dal quarto piano sul marciapiede sottostante.
«Là…» sussurro, provando ad abbracciarla.
Lei fa un passo in avanti verso l’ascensore. Mi evita.
«No. Per favore» sibila, fredda come il ghiaccio, senza guardarmi.
La porta dell’ascensore si apre in quel momento e lei ci entra. Mi dà le spalle.
«Sono mortificato, Là… io… io non volevo…» farfuglio, mentre lacrime calde e amare cominciano a solcarmi le guance.
«Non sto insieme a te per sentirti dire queste parole» ribatte, gelida e orgogliosa. Non si volta. E mi spezza il cuore.
Non voglio che se ne vada. Non adesso. Non così. Non… non per sempre. Non andartene per sempre, Là. Io ti amo… lo sai che ti amo.
Dimmi almeno una bugia prima di andare. Dimmi che ti mancherò, ti prego.
Ma tu non sai mentire. E uno come me non merita bugie a fin di bene.
Uno come me è un disastro e basta.
È un disastro che però ti ama più di sé stesso.
Vorrei dirti queste cose. Dovrei dirtele.
Ma non posso, non ce la faccio.
Guardo con gli occhi sgranati e pieni di lacrime la porta automatica dell’ascensore che si chiude. Che inghiotte al suo interno la tua schiena e i tuoi capelli biondi. Che protegge le tue lacrime, ora libere di uscire dai tuoi occhi di ghiaccio.
Non è solo una porta automatica, è una ghigliottina per la mia anima.
Crollo a terra sulle ginocchia davanti all’ascensore. Piango, perché non so cos’altro fare. Perché è colpa mia. Perché l’ho fatta soffrire. Perché ho mandato tutto a puttane.
Una fitta improvvisa al petto mi fa portare istintivamente una mano verso le mie cicatrici.
Caldo, umido, appiccicoso. Sento solo questo, oltre al dolore.
Ritraggo la mano e la guardo, scuotendo lievemente la testa.
È imbrattata di sangue.
Eppure ero felice da mesi. Felice come mai ero stato prima. Mi sembrava di vivere una magia. Ma è tutto finito. La magia si è spezzata.
La realtà ha insanguinato l’incantesimo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: è paradossale per me ritrovarmi a pubblicare proprio a due giorni da una festa bella come il Natale proprio il capitolo che non avrei mai voluto scrivere, ma il destino a volte è bizzarro anche in queste piccole cose. È anche per questo che ho pensato di scrivere al volo uno special natalizio da pubblicare domani legato a questa storia, non sopporto proprio lasciare in queste condizioni i personaggi, soprattutto i miei amati Là e Rad.
Il titolo non lasciava presagire nulla di buono, ma, da quello che mi avete detto, pensavate tutti fosse riferito a Goku e Chichi. In effetti è anche così, però, clamorosamente, sono proprio Rad e Là ad avere il loro primo momento davvero difficile da quando stanno insieme. Tutto ciò accade nella fase più convulsa della storia e questo chiaramente non aiuta.
Rad ha fatto male a non dire subito la verità a Là su Videl, mentre Lazuli reagisce in un modo che non sembra neanche appartenerle. A me ha spezzato il cuore vederla così, come mi ha fatto malissimo riportare i pensieri e le parole di Radish, che si ritrova di nuovo a pezzi proprio mentre stava riuscendo a rialzarsi.
In tutto questo, prima, Goku entra in possesso del diario di Goku-kun: cosa dite, sarà utile? Cosa farà Chichi?
E poi abbiamo finalmente delle risposte su Videl, quantomeno le risposte che si è data Bulma e che sbatte in faccia a Rad senza mezzi termini dopo aver saputo quello che era appena successo. Voi cosa ne pensate della teoria di Bulma? Molti di voi la pensavano come lei già da mesi, sarà a causa del suo essere così sfuggente?
 
Grazie di cuore a chi continua a lasciarmi i suoi commenti e il suo parere su questa storia, che va avanti ormai da quasi undici mesi e quindi non era scontato. Ringrazio poi chi la sta cominciando adesso, perché è davvero un onore per me, arrivati a questo punto. Grazie anche a chi era rimasto indietro e si è rimesso in pari, lo apprezzo tanto. Grazie poi a chi legge in silenzio, ma c’è sempre. Se volete dirmi qualcosa dopo un capitolo simile a me farà solo piacere.
Ringrazio infine chi ha letto e apprezzato anche le mie ultime due one shot dedicate a Bulma e Vegeta, cioè “Affatto Placebo” e “Un Natale divino”.
Per stemperare un po’ la tensione, come vi avevo anticipato, ho pensato di pubblicare tre fan art decisamente frizzanti sui personaggi principali di questa storia, cioè Rad, Là e Videl. Ringrazio gli autori, cito solo il grandissimo Yamamoto per Videl perché gli altri non li conosco. Quale preferite? ;-)
 
Il prossimo capitolo avrà come titolo una frase tratta da una canzone di Raige, cioè “Due temporali nel bel mezzo del niente”. Cosa pensate potrà accadere? Riuscirà Radish a sistemare le cose con Lazuli, che, tra l’altro, sta per compiere gli anni?
Posso anticiparvi che torneranno in scena un po’ tutti gli amici di Rad in questo momento difficile. Ci sarà spazio per Vegeta (vi ricordate della promessa che gli aveva fatto in ospedale davanti ai distributori automatici qualche capitolo fa?) e anche per Lunch, che forse per la prima volta torna a parlare chiaramente di quello che provava per Radish. Ci sarà anche una new entry nella storia, chi potrebbe essere secondo voi? So che ci sono un paio di personaggi molto attesi per un loro eventuale esordio, ma potrebbe anche esserci un terzo a cui nessuno aveva pensato finora. ;-)
Ok, comincio ad augurarvi buon Natale, ma vi ricordo che domani pubblicherò come one shot “Everything is nothing without you – Christmas Special”, uno special natalizio autoconclusivo ambientato il 25 dicembre con Rad, Là, Vegeta, Bulma e quasi tutti i personaggi principali di questa storia. Se vi dico che compare anche Marion siete più invogliati a leggere?! ;-)
Il prossimo capitolo di “Remember me”, invece, verrà pubblicato il 30 dicembre, giusto in tempo per gli auguri di buon anno.
Bene, auguro a tutti voi buon Natale, ma ve lo augurerò ancora domani nello special natalizio se ci sentiremo anche lì! Passate delle belle giornate e divertitevi!
 
Teo
 
 
 
 

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Capitolo 46
*** Due temporali nel bel mezzo del niente ***


46 – Due temporali nel bel mezzo del niente
 
 
2 dicembre
 
«Uhm?» rispondo al cellulare, senza nemmeno aver visto chi è, dopo tanti, troppi squilli. E troppe chiamate perse. Ho controllato solo che non fosse Lazuli, quindi ho reputato che non avevo voglia di rispondere. Non mi va di parlare. Ma mi esplode la testa, e chiunque stia chiamando non fa che insistere. Ho ceduto solo per questo.
«Son-kun, sei tu?! Ma che voce hai? Stai bene?» mi chiede Bulma.
«Uh… sì…» grugnisco, chiudendo gli occhi e lasciando sprofondare di nuovo la testa nel cuscino del mio letto. Credo di non essermi praticamente mai alzato oggi. Non so che ore siano, non so nemmeno che clima ci sia fuori.
«Ti chiamo perché mi preoccupo per te e tu rispondi come uno scimmione?!» sbotta la mia amica, irritata. «Non ti sei fatto vedere a scuola e nemmeno agli allenamenti! Vegeta era molto nervoso per questo. Continua a dire che manca solo poco più di un mese al Campionato Nazionale».
«Ah… sì?»
«Sei malato, Son-kun? Hai la voce strana».
«Che ore… che ore sono?»
«Sono quasi le 16.30, ma che domande fai?! Ma stai bene o no?»
«Uhm… ok. Sì».
«”Sì”, cosa?! Mi stai irritando Son-kun, te lo dico…».
«Sto bene» le dico, con una voce che sembra arrivare direttamente dall’Oltretomba.
«È successo qualcosa con Lazuli-san?»
Le rispondo con qualcosa a metà tra uno sbuffo e un ringhio, mentre gli occhi mi si riempiono di nuovo di lacrime. Mi bruciano da morire. Non so nemmeno quanto cazzo ho pianto tra ieri sera e oggi.
Io l’ho delusa.
Ho fatto soffrire l’unica persona al mondo che davvero non vorrei mai che soffrisse neanche un po’.
«Ieri sera le ho telefonato e ho sentito che era sul treno, anche se lei non mi ha detto niente. Ho capito subito che era strana. Cioè, lei è sempre un po’ strana, ma ieri si capiva che c’era qualcosa che non andava. C’entri qualcosa?!»
«Uhm…» boccheggio. Un nodo mi stringe la gola e quasi mi impedisce di respirare.
«Son-kun?! Le hai detto di Videl Satan e l’ha presa male? Era in treno perché era venuta a trovarti?»
Brava, cervellona. O Sherlock Holmes in camice da scienziata, come preferisci. Hai capito tutto. Hai capito quanto sono un coglione.
«Sì…».
«Ecco, lo sapevo… dovevi dirglielo subito, zuccone! Te l’avevo detto… e ora?! L’hai sentita oggi per il suo compleanno?»
«No…».
«Chiamala, cretino. Adesso metti giù il telefono e la chiami».
«Non… non credo sia una buona idea…» sospiro. Mi sento a pezzi. Oggi Là compie diciott’anni e io ho fatto un casino.
«Le hai detto almeno che Videl Satan non esiste?!»
«No…».
«Telefona a Lazuli-san e sistema questa cosa. Son-kun!» prova a spronarmi. «Falle gli auguri, chiedile ancora scusa… fai quello che vuoi, ma fa’ qualcosa!»
«Se Videl-san era solo un fantasma, almeno Videl-chan era reale? L’hai vista anche tu… l’hanno vista tutti» le chiedo a bruciapelo, con una voce che non sembra neanche la mia. Vedo il soffitto della mia stanza sfocato dai miei occhi semichiusi.
«Non lo so» ribatte dopo qualche secondo di riflessione. «Ho pensato molto anche a questa faccenda, ma non posso avere certezze neanche qui. In ogni caso non l’hanno vista, o meglio osservata, “tutti”, ma solo noi che siamo stati vittima della Sindrome della Pubertà. Pensaci: Vegeta non l’ha mai vista, ad esempio».
Ha ragione. È una cosa che non avevo mai notato. A cui non avevo dato peso. Perché dovrebbe avere un significato particolare questa cosa?
«E quindi?» sospiro.
«Potresti aver creato tu anche Videl-chan con la forza della tua immaginazione e averla proiettata rendendola visibile a chi, come te, ha sperimentato la Sindrome della Pubertà» soffia Bulma attraverso il ricevitore, in un tono serissimo eppure scettico. «Da scienziata, fatico a credere a una cosa simile, ma ormai ho visto di tutto con questa Sindrome. E su di te ha effetti strani, quindi non mi stupirebbe se ti avesse reso in grado di proiettare un’immagine mentale ringiovanita di Videl Satan. Tu hai saputo addirittura resistere alla Sindrome quando tutti si sono dimenticati di Lazuli-san, con te ha un “rapporto” particolare».
«Perché avrei dovuto ringiovanire Videl?» chiedo con un filo di voce. La testa mi pulsa. È tutto così assurdo.
«Forse perché desideravi che sapesse di te e Lazuli-san, ma inconsciamente volevi una versione di Videl Satan che potesse convivere con la tua ragazza. Che non potesse essere vista come una minaccia da lei. Che potessero andare d’accordo» mi spiega la mia amica. «Quando è apparsa Videl-chan eri reduce dai loop temporali creati dalla tua amica primina e ti eri anche appena fidanzato ufficialmente con Lazuli-san dopo aver tanto desiderato quel momento. Avevi addosso un mix di stress e di euforia, volevi che tutto il mondo potesse condividere la tua gioia. Anche la famosa Videl Satan avrebbe dovuto saperlo, dal tuo punto di vista. È comprensibile, Son-kun».
Certo, è comprensibile accettare di essere un pazzo che bacia fantasmi a quindici anni e che a diciassette proietta ologrammi di ragazzine delle medie con la mente.
È comprensibile mandare a puttane i diciott’anni della ragazza che ami più della tua vita e forse anche tutto quello che avevate costruito insieme.
Bel lavoro, Radish Son. Sei una testa di cazzo di prima categoria, lasciatelo dire.
«Son-kun, ci sei?»
«Uhm… boh. No…» sbuffo, mentre mi asciugo con stizza una lacrima.
«Però non posso essere certa di questa ipotesi. Videl-chan potrebbe anche essere una ragazzina reale e magari potresti averla incrociata per caso due anni e mezzo fa quando eri scappato dall’ospedale e avevi visto poi per la prima volta Videl-san, dandole inconsciamente il suo aspetto sotto forma di una tua senpai» aggiunge Bulma. «Pensaci: non ricordi di aver incrociato Videl-chan nei corridoi dell’ospedale o nel tragitto fino alla spiaggia? Aveva dieci anni allora, poteva essere insieme ai suoi genitori. Potrebbe essere per quello che la tua mente ha dato poi proprio quella fisionomia alla Videl Satan tua senpai».
Respiro profondamente e porto istintivamente una mano sul petto. Non sanguina. Non più. Ha smesso stanotte. Ora sembra essere tutto sotto controllo da quel punto di vista. Come se contasse qualcosa. Come se questo potesse evitarmi di soffrire.
Come se il mio cuore non stesse in realtà continuando a sanguinare.
«Non me la ricordo» sibilo. Penso che vorrei dormire, o svenire. Almeno così eviterei di patire per un po’. Smetterei di pensare a Là.
«L’ultima opzione è che Videl Satan intesa come tua senpai esista davvero, e che quella ragazzina non fosse altro che l’effetto che ha avuto su di lei la Sindrome della Pubertà. O, se preferisci, c’è l’unica spiegazione davvero razionale di questa faccenda, cioè che le due Videl siano persone distinte reali, accomunate dal fatto di essere omonime e per di più sosia. Altamente improbabile, ma possibile».
«Ok, ciao…» farfuglio.
«”Ciao”, cosa?! Son-kun, sistema le cose con la tua ragazza o non te la perdonerò mai questa!» sbraita al telefono Bulma.
«È quel coglione di Rad?!» sento sbottare in lontananza Vegeta. «Passamelo».
«È arrivato il tuo amichetto scimmione. Auguri, Son-kun. Sistema le cose, per favore».
«Rad?!»
«Uhm?»
«Ma che razza di voce hai?! Adesso ti alzi, ti fai una doccia, muovi il culo e vieni al lavoro. Ti vengo a cercare a casa se non ti fai trovare lì!» urla, prima di sbattermi il telefono in faccia.
 
Aumento ancora di più la temperatura dell’acqua della doccia fino a renderla bollente. Forse perché voglio farmi male, forse perché mi sento freddo come un corpo senza vita. O forse perché voglio far appannare i vetri del box doccia per scriverci sopra il nome della mia ragazza col dito. Ed è quello che faccio.
Non riesco a pensare a niente. A niente che non sia lei, per essere preciso. Osservo le lettere colare lentamente e offuscarsi, mentre il vetro si appanna di nuovo.
Ho deciso di andare al lavoro. Non so se sono state le minacce di Vegeta a convincermi o più probabilmente l’illusione che potrò soffrire di meno provando a concentrami su altro.
Esco dalla doccia e mi vesto velocemente, senza badare nemmeno troppo ai capelli. Non mi interessa. Non me ne frega nulla.
Prendo dall’armadio il costume da coniglietta di Lazuli e me lo premo contro il volto. Respiro a pieni polmoni il profumo fresco che ha ancora addosso. Quel profumo che sa di noi. Che sa di lei.
Esco di casa talmente accaldato dalla doccia che nemmeno riesco a rendermi conto del freddo che fa oggi. Penso istintivamente al gelo che deve esserci a Kanazawa da Lazuli. Le Alpi Giapponesi non scherzano, del resto.
Una lieve foschia offusca il tramonto e lo rende di una bellezza decadente. Il cielo ha sfumature vermiglie, ma io lo vedo grigio. Anzi, nero.
Tiro fuori dalla tasca il telefono e apro una foto a caso dalla galleria. C’è Là, seduta al tavolino di un bar all’aperto in una bella giornata di sole. Davanti a sé c’è una tazzina. Accenna un sorriso verso di me che le scatto la foto, mentre si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio. È splendida.
La guardo in questa foto e penso che senza di lei, in fondo, non ho senso. Vorrei mandarle un messaggio adesso, dovrei farlo. Non solo perché è il suo compleanno.
E se invece lei stesse sorridendo lo stesso, ora, senza di me?! E se non volesse sentirmi?!
Vorrei chiamarla… e se non rispondesse? Dovrei chiamarla mettendo il numero sconosciuto, magari, anche solo per mettere giù non appena lei risponde. Così almeno potrei sentire la sua voce. Forse starei meglio.
Mi rendo conto che sto piangendo, mentre cammino e fisso il mio cellulare come un emerito coglione. Mi rendo conto anche che le mie lacrime stanno formando una frase a caso nella mia testa, qualcosa del tipo “eravamo quelli giusti al momento sbagliato”.
Io lo so che siamo davvero “quelli giusti”, Là… ma forse era il momento ad essere sbagliato? Forse non era ancora destino per noi? Io ho sempre avuto l’impressione che io e te stessimo lottando contro il destino da quando ci siamo conosciuti. Io forse ti ho insegnato a lottare, tu di sicuro mi hai insegnato ad amare. Ne abbiamo passate tante, ne siamo sempre venuti fuori. Eppure… eppure forse non è comunque questo il nostro momento.
Aumento il passo, a testa bassa, incurante delle persone che si scostano sul marciapiede al mio passaggio per evitare di essere travolte e che mi guardano male.
Non riesco a smettere di fissare la foto di Lazuli.
Mi sembra di guardare il paradiso da fuori senza poterci entrare.
 
«Allora, ti svegli o no?!» ringhia Vegeta, mentre sono intento da non so quanto tempo a fissare il taccuino con scritto sopra l’ultima ordinazione, in piedi accanto al bancone. Guardo le parole scritte, ma in realtà non vedo nulla. Mi va insieme la vista. Non ho testa. «Hai gli occhi di un cadavere, cazzo!»
«Quelli li ha sempre» interviene Lunch, che si posiziona davanti a me e protende il volto per avvicinarlo al mio.
Mi sorride, ma io vedo a malapena i suoi occhi nocciola e i suoi vaporosi capelli blu.
«No, oggi ha qualcosa che non va e sinceramente mi ha rotto le palle, tsk!» sbotta il mio amico, sprezzante. «Mi irrita. Hai fatto bene a non presentarti agli allenamenti se dovevi affrontarli con quella faccia!»
«Senpai, perché non torni a casa se ti senti poco bene? Siamo coperti stasera, c’è anche Mai-chan» riprende Lunch dolcemente. «E poi oggi è il compleanno di Eighteen-senpai, o sbaglio? Sono ancora in magazzino i regali per lei che ti sei fatto impacchettare da me e Mai-chan, visto che sei un cavernicolo e non sei stato capace di farlo da solo decentemente?» ridacchia, inconsapevole che sta girando il coltello nella piaga. «Non dimenticarteli qui!»
«No, sto… s-sto bene…» sbiascico, scrollando la testa e muovendomi verso un tavolo da sparecchiare.
«B-buonasera…» farfuglio verso l’immagine indistinta di una ragazza che sembra camminare verso di me, immaginando sia una cliente appena arrivata. Prendo in mano due piatti con foga.
«Senpai, sono io! Non mi riconosci o mi stai prendendo in giro?» esclama la ragazza. Noto che ha i capelli neri e un grembiule identico a quello di Lunch. Mi rendo conto che è Mai, che stava già sparecchiando quel tavolo. La fisso con la bocca semiaperta e lo sguardo assente. «Ma cosa c’è?! Oddio, stai male?!»
In quel momento mi sfuggono i piatti dalle mani e si infrangono sul pavimento ai miei piedi.
Mai urla per lo spavento, mentre tutti i clienti presenti si voltano a guardarci. Per fortuna non c’è ancora molta gente, anche se onestamente non me ne frega molto di evitare figure di merda in questo momento.
«Scusate! Scusate!» ride il vecchio Muten, facendo capolino in sala e rivolgendosi alle persone presenti. A me dedica solo uno sguardo che sa di rimprovero, anche se di solito non esagera mai in questi casi.
«Ci penso io! Il senpai non sta molto bene oggi!» mi giustifica Lunch, che corre in mio soccorso e comincia a raccogliere i cocci.
«Ti aiuto, Lunch-chan! Temo di averlo fatto spaventare io… scusami senpai!» aggiunge Mai.
«No, ecco… s-scusatemi…» farfuglio. Le mie amiche primine sono sempre troppo buone con me. Io… io non merito nulla, in realtà. Sono buono solo a fare casini.
«Non è colpa tua e questo coglione non ha niente!» sibila Vegeta a denti stretti, avvicinandosi e parlando in modo tale da farsi sentire solo da noi tre. «Muoviti, in magazzino! Mi stai facendo incazzare oggi!» aggiunge, dandomi uno spintone e costringendomi a camminare verso la porta che dà sul retro del locale.
«Vegeta-senpai, per favore non…» sento dire a Lunch. Sembra allarmata.
«Tu non preoccuparti» la interrompe il mio amico, lapidario. «Torno subito».
 
«Allora?! Mi vuoi dire che cazzo c’hai oggi?!» sbotta, dopo avermi dato un ultimo spintone che quasi mi fa cadere all’indietro e aver chiuso alle sue spalle la porta del magazzino.
«Niente» rispondo, a testa bassa.
«Bulma mi ha detto tutto. Piangerti addosso non ti riporterà la tua ragazza!»
Resto in silenzio. Mi prendo a morsi le labbra. Stringo i pugni così forte da farmi male.
«L’hai chiamata almeno?!»
«No».
«E allora hai pensato bene di piangerti addosso senza far nulla?!»
«Non sono cazzi tuoi, Prince».
«Certo che lo sono, se ti vedo ridotto così!» ribatte, sempre più nervoso. «E diventano cazzi miei anche se per questa ragione non ti presenti agli allenamenti a un mese dal Campionato Nazionale e qui al lavoro ti rendi inutile!»
«Quindi ti interessa solo questo?»
«Non provocarmi, Rad! Non provocarmi! Tsk!» sbotta, digrignando i denti e distogliendo lo sguardo dal mio.
«Allora lasciami in pace. Devo tornare al lavoro».
«Hai intenzione di mandare a puttane il calcio ancora una volta? Non te ne frega più niente della nostra promessa? Del nostro sogno?»
«Non ho la testa per queste cose ore. Lasciami andare di là» provo a liquidarlo. Gli passo accanto, cercando di aggirarlo per tornare in sala.
«Bravo, allora hai deciso di mandare a puttane sia la tua storia che anche la tua squadra» mi sbarra la strada con un braccio. «Bulma mi ha detto che oggi la tua ragazza ha fatto gli anni. L’hai sentita?»
«Se ti dico di sì ti levi dai coglioni?»
«Mi levo se mi dici la verità».
«Non la sento da ieri a quest’ora. Contento?»
«No. Adesso prendi in mano quel telefono di merda che hai e la chiami. Sistema le cose».
«Non dirmi quello che devo fare».
«Te lo dico eccome! Tsk!»
«Ti interessa solo che torni ad allenarmi con la mente sgombra, vero? Conta solo questo per te, vero?» lo provoco, e ne sono consapevole. Dico una cosa che nemmeno penso al mio migliore amico.
«Come cazzo ti permetti?!» urla Vegeta, colpendomi dritto con un pugno destro che si stampa sulla mia guancia e mi fa sbattere la schiena contro gli armadietti metallici del magazzino. Ho visto partire il colpo e non ho fatto nulla per evitarlo. Volevo che mi colpisse, gli ho detto apposta quelle cose per farmi colpire da lui. Per punirmi. Per espiare le mie colpe.
«Non c’è posto in squadra per una mezza sega, sappilo!» grida di nuovo, mentre cammino verso di lui deciso ad uscire. «E uno che non ha le palle di chiamare la propria ragazza per provare a chiarire le cose mi fa schifo!»
«Vaffanculo! Da quando ti interessa darmi consigli?! Non te n’è mai fregato un cazzo!» alzo la voce a mia volta. Mi sembra di sentirmi di nuovo vivo, almeno per un po’. Cerco di scacciare il dolore sovrapponendogli altro dolore, forse. Dolore fisico e spirituale. Sto attaccando il mio unico amico per illudermi di non essere una merda.
«Me ne frega da quando ti devo un favore!» sbotta a sua volta, sgranando gli occhi. Immagino alluda al modo in cui sono riuscito a far avvicinare lui e Bulma. «E un giorno mi ringrazierai per questo!» aggiunge, prima di colpirmi di nuovo con un altro pugno. Non faccio nulla per evitarlo nemmeno stavolta. Sbatto la schiena e la nuca contro gli armadietti e crollo in avanti sulle ginocchia. Resto a testa bassa, immobile.
«Senpai!» grida preoccupata Lunch, entrando di corsa in magazzino e correndo verso di me. Si butta a terra in ginocchio, mi afferra la testa con entrambe le mani e la solleva, costringendomi a guardarla negl’occhi. Scoppia a piangere, mentre si sfila dalla tasca del grembiule un fazzoletto e mi asciuga un rivolo di sangue che mi cola dall’angolo della bocca.
«Lascialo perdere, tsk!» ringhia Vegeta.
«Ma perché?! Cos… cos’è successo?! Sei stato tu Vegeta-senpai?! C-come… come hai potuto?!» grida Lunch, stringendo i pugni e facendo per scagliarsi contro il mio amico che ci osserva con le braccia incrociate al petto e un ghigno stampato sulla faccia.
«Lascia perdere, ha ragione… ha fatto bene a colpirmi» sospiro, afferrando Lunch per un polso. I suoi muscoli si rilassano. Si volta di nuovo a guardarmi con la faccia di chi non ci sta capendo nulla.
«Ma… perché?! Perché fate così?!»
«Fattelo spiegare da lui» sibila Vegeta. «Il tuo turno finisce qui per oggi. Non preoccuparti, ti copro io col vecchio» aggiunge, distogliendo lo sguardo dal mio. «Però chiamala, cazzo. Fai qualcosa. E te lo dico perché ci tengo… cioè, p-perché Bulma ci tiene a te. E anche alla tua ragazza! Tsk!» prosegue, piuttosto imbarazzato. Fa sempre fatica ad esternare i suoi sentimenti, non è certo una novità. «Ah, fottiti, razza di deficiente!» si congeda, prima di uscire e sbattere la porta del magazzino.
«È tutto sotto controllo lì dentro, vecchio. Ho fatto cadere una tanica di birra ma l’ho sistemata» lo sento dire in lontananza a Muten, che evidentemente stava venendo a controllare.
«S-senpai… cosa sta succedendo?!» mi domanda Lunch. Con una mano tampona il sangue che ancora mi esce dalla bocca, con l’altra si asciuga le lacrime.
«Niente di grave…» sospiro, sforzandomi di sorridere.
«Sei… sei un bugiardo, senpai…» sbuffa malinconicamente, colpendomi con un pugnetto sul petto. «Ero io ad essere una bugiarda. E mi ero innamorata di te perché tu non lo eri. Non ne sei capace».
Accenna un sorriso triste. Mi guarda negli occhi, mentre dai suoi riprendono a scendere lacrime che sinceramente mi fanno male. Di cui mi sento responsabile.
«Mi ero innamorata di te perché eri forte, perché eri positivo. Perché… perché eri una bella persona, non solo perché… beh, non solo perché mi piacevi…» aggiunge, arrossendo visibilmente e abbassando la testa. «E ho voluto restarti amica per questo. Non credere sia stato facile».
«Hai fatto male a soffrire per uno come me» rispondo. E mi rendo conto benissimo che la mia è stata una risposta del cazzo.
Quindi non mi stupisce certo il fatto che Lunch mi molli una sberla sulla guancia che Vegeta mi aveva risparmiato.
«Sappi che ho rinunciato a te solo perché ho capito quanto amavi Eighteen-senpai!» mi grida in faccia, sforzandosi di smettere di piangere. «E perché mi sono resa conto di quanto lei ti amasse…».
Abbasso la testa. Non riesco a sostenere il suo sguardo.
«Da quando sono riuscita ad andare avanti e a vederti solo come un amico ho notato ancora di più la forza del vostro rapporto» mi spiega, con un tono di voce che torna ad essere gradualmente sempre più dolce. «Forse Eighteen-senpai mi odierà per sempre, sarebbe anche comprensibile… ma io non la odio».
«Non ti odia, Lunch… davvero. Non più, almeno».
«Comunque non è questo il punto, senpai… io non accetto di vederti così» ribatte, accarezzandomi delicatamente la guancia dove mi ha appena colpito. «Ho capito che avete litigato, ma so anche per certo che sei troppo buono per aver fatto qualcosa di davvero irreparabile».
«Non l’ho tradita, te lo giuro».
«Non serve che me lo dici, e non serve nemmeno che lo dici a lei. Lo sa benissimo anche Eighteen-senpai, ne sono certa. Tu non faresti mai una cosa del genere» risponde, appoggiandomi una mano sotto il mento e costringendomi ad alzare la testa. «Una persona senza scrupoli avrebbe potuto tradire tranquillamente la sua ragazza con una primina innamorata, ad esempio. Ma tu non l’hai fatto, ed Eighteen-senpai non ha mai dubitato di te» aggiunge, prima di spostare verso l’alto con le dita gli angoli della mia bocca facendomi sorridere forzatamente. «Te lo ricordi? “Chi sorride è più forte”. Me l’ha insegnato una volta un senpai a cui voglio molto bene» sorride. Non piange più.
Annuisco con la testa e accenno un sorriso a mia volta.
Ci alziamo in piedi e ci guardiamo in silenzio. Mi sento confuso. Non so cosa fare, nemmeno cosa dire.
Lei mi abbraccia. Mi stringe forte, mentre resto immobile con le braccia distese lungo i fianchi.
«Basta lavorare per stasera, senpai. Qui ci pensiamo noi. Ora sistema le cose con Eighteen-senpai e tutto andrà a posto» sorride, staccandosi da me proprio mentre fa capolino Mai in magazzino.
«Senpai, stai bene?!» sbotta, allarmata, accorrendo verso di me. «Ho sentito urlare… m-ma… ti sei fatto male?! Cosa sono quei segni che hai sulla faccia?!».
«Non è niente… scusa per prima per i piatti» accenno un sorriso.
«Non devi scusarti!» mi sorride radiosa. «L’importante è che stai bene e che sistemi quello che ti preoccupa stasera» aggiunge. «Non ci vuole molto a capire che hai litigato con la tua ragazza proprio nel giorno del suo compleanno, senpai!» mi rimprovera bonariamente, mettendosi in punta di piedi per darmi un debole pugnetto sulla testa, prima di sciogliersi in un sorriso. «Io e Lunch, le tue kohai preferite, abbiamo confezionato per te due pacchetti regalo bellissimi, quindi devi per forza sistemare le cose e darglieli!»
«Giusto, non dimenticarti i pacchetti senpai! Sei talmente stupido che ne saresti capace!» interviene Lunch, aprendo un armadietto e tirando fuori due pacchetti incartati alla perfezione. Il più piccolo, leggero e quadrato, sta comodamente nel palmo di una mano ed è incartato di azzurro con un elegante nastro di stoffa bianca. L’altro, rettangolare e un po’ più grande, è avvolto in una bellissima carta fucsia con stampati sopra dei coniglietti neri, con un fiocco argentato posto al centro. Lunch me li porge in mano, insieme alla mia giacca.
«Via, sciò! Il “Kame House” è in buone mani!» mi fa l’occhiolino.
«E fai gli auguri anche da parte nostra ad Eighteen-senpai! Io la trovo adorabile!» aggiunge Mai, abbracciandomi e dandomi un bacio sulla guancia.
Lunch apre la porta dell’uscita sul retro del locale e Mai mi spinge fuori senza troppi complimenti, richiudendo a chiave la porta alle mie spalle.
 
«Brr…» commento a voce alta, infilandomi la giacca e maledicendo il freddo che fa stasera. Aver scelto un giubbino leggero per coprirmi non è stata decisamente una buona scelta oggi. Pazienza… fossero questi i miei problemi…
Mi infilo in tasca i due pacchetti regalo e cammino al buio seguendo il perimetro esterno del “Kame House” con la testa affollata da milioni di pensieri finché non mi ritrovo all’ingresso.
Appoggiata con la schiena contro il muro, a pochi metri dalla porta d’entrata e con lo sguardo perso nel vuoto, noto Chichi. Ha le mani nascoste nelle tasche di un pesante piumino blu scuro e il mento affondato in una grossa sciarpa rossa, illuminata dalle luci al neon colorate dell’insegna del locale.
Si volta in mia direzione e i suoi occhi neri riprendono improvvisamente vita. Mi guarda male. Molto, molto male. Ci mancava solo lei, oggi.
«Cos’è, un agguato?» sbuffo.
«Ti stavo aspettando» ribatte lei, abbassando con stizza la sciarpa in modo da avere la bocca libera. Il suo volto è lo specchio del dolore che deve aver vissuto negli ultimi giorni. È provata, e mi fa male vederla così. «Dobbiamo parlare».
«Facciamo un’altra volta» sospiro, passando oltre. «Ho troppe cose per la testa oggi… e ho fame, non mangio niente da ieri a pranzo».
«Devi pensare solo alla sorellona!» sbotta con voce stridula. Afferra una manica della mia giacca e mi costringe a fermarmi mentre le sto passando davanti.
«Infatti mi riferivo proprio a lei» ribatto, puntando i miei occhi nei suoi.
«Ha fatto di tutto per venirti a trovare da Kanazawa!» sbotta. Leggo un profondo disprezzo nei suoi occhi.
«Ascolta, ti dico che ha frainteso la faccenda di Videl…».
«Cosa?! La pensi così?!» mi grida in faccia. «Lei si fida ciecamente di te!»
«Allora perché le cose sono degenerate?»
«È tornata perché era preoccupata per te, scemo! Sperava di tirarti un po’ su di morale per tutto quello che stai passando per… p-per… G-goku-kun!» sbotta, con la voce che comincia a tremarle. «Possibile che non ti rendi conto che si sente in colpa perché lei era lontana mentre tu stavi male?!»
Sgrano gli occhi e resto come pietrificato. Lazuli ha sofferto a causa mia prima ancora che le dessi io stesso la mazzata finale ieri. Bravo, Rad. Bel lavoro, testa di cazzo.
«Apri gli occhi, Rad! Non sei… n-non sei l’unico che sta soffrendo! N-non sei l’unico a… l’unico a soffrire per Goku-kun!» aggiunge. Lacrime amare le bagnano il volto. Un volto che ha sofferto molto in questi ultimi giorni.
Già, sono stato un egoista a pensare solo al mio dolore. A concentrarmi solo sui miei casini. E a crearne di nuovi, addirittura.
«Io… mi spiace…» sospiro, abbassando la testa per non farle vedere che anche i miei occhi sono pieni di lacrime. «Scusa».
«Non devi… non devi scusarti con me» farfuglia con la voce rotta dal pianto. «La sorellona dice che sa che Goku-kun si riprenderà e io… beh, io mi fido di lei!»
«L’ha detto anche a me. E mi fido di lei. Credo in lei e in mio fratello» ribatto, stringendo i pugni. «Non devi star male per Goku, tornerà tutto come prima».
«Io… lo so… lo spero…» sospira lei. Alza la testa e accenna un sorriso triste. «Ma sto male anche per te e la sorellona… cioè, è il suo compleanno oggi! Come… come hai potuto?! Tu… proprio tu!» sbotta nuovamente. Il suo sguardo si indurisce di nuovo. «Perché non l’hai chiamata?!»
«Perché non credevo fosse una buona idea. Perché magari sarebbe stata più felice senza di me dopo quello che è successo ieri…» sospiro a mia volta. «O forse perché avevo paura a farlo».
«Come puoi pensare che oggi lei è felice?! Ma sei scemo davvero, allora!» ringhia, tirando fuori dalla borsetta il suo cellulare e cominciando a digitare furiosamente sullo schermo. «Ma l’hai vista almeno la storia che ha pubblicato oggi il regista del suo film sui social?!»
«No…».
«Ecco, guarda!» sbotta, mostrandomi un breve video dedicato alla fine delle riprese di metà pomeriggio sul set. Si vede Lazuli per qualche secondo, con ancora in faccia il trucco di scena che simula delle macchie di sangue e dei graffi, come se avesse appena finito una battaglia. Ma non è quello a colpirmi, nemmeno i segni velati di nero delle esplosioni sui suoi vestiti e sulla sua pelle. È il suo sguardo vacuo che manda in frantumi il mio cuore, ancora una volta. Tutti intorno a lei ridono, ma lei no. Cammina e passa oltre. Non sorride mai. Ha tanta gente attorno, ma si vede che si sente terribilmente sola. Che non è felice. Che si sente invisibile, o che vorrebbe esserlo. Già, proprio come quando l’ho conosciuta.
«Allora?! L’hai vista?! Quella non è la sorellona che conosco e che ammiro così tanto! Non voglio vederla così! Lei… lei non merita di stare così! E tutto questo nel giorno del suo diciottesimo compleanno! Rad… fai… fai schifo!» mi grida in faccia, piena di rabbia e risentimento.
Una sorta di scossa mi attraversa all’improvviso ed è come se un potentissimo flash illumini la mia mente e schiarisca i miei dubbi. So cosa devo fare. E mi sento l’ansia addosso per quanto sono stato coglione a non decidermi prima.
«Dammi un attimo il telefono, Chì!» esclamo, strappandole il cellulare di mano e cominciando a digitare con foga.
«Non chiamarla adesso, è ancora sul set per qualche ora perché devono fare delle riprese serali!» ribatte, cercando di riprenderselo.
«Dammelo e basta!» sbotto, liberandomi con uno strattone. «Sì, forse ce la faccio! Per un pelo ma ce la faccio!» urlo in preda all’eccitazione, dopo aver cercato gli orari degli shinkansen per Kanazawa. «Forse faccio in tempo prima che finisca il giorno del suo compleanno!» sbraito, esultando trionfale e cominciando a correre.
«Il mio telefono, Rad!» grida Chichi. «Cosa stai facendo?!» aggiunge, probabilmente sconvolta dalle mie parole prive di spiegazioni.
«Vado a Kanazawa! Al volo, Chì!» rispondo, lanciandole il cellulare. Lei lo prende al volo con qualche difficoltà. Caccia un urlo e mi maledice, ma la sento a malapena. Ho altro a cui pensare. «Avvisa Vegeta che prendo in prestito la sua bici!» le spiego, scardinando in qualche modo il lucchetto con cui è legata la mountain bike del mio amico fuori dal locale. Mi rendo infatti conto che non riuscirei a farcela in tempo correndo fino alla stazione. «Devo arrivare in tempo ad Omiya, da lì parte l’ultimo shinkansen!»
«Ma sei serio?!»
«Assolutamente!» rispondo, saltando in sella e cominciando a pedalare a tutta velocità.
«Chiamami quando arrivi!» mi urla Chichi, rincorrendomi per un breve tratto. «Dopo le telefono e, facendo la vaga, mi faccio dire dove si trova! Così poi te lo spiego!»
«Sei una grande, Chì!» sbraito a mio volta, con l’adrenalina che mi pompa in quantità spropositata nel cervello, nel cuore e nelle gambe.
 
Poco più di quattro ore dopo mi ritrovo a correre a perdifiato fuori dalla stazione di Kanazawa. Per una botta di culo clamorosa il set dovrebbe trovarsi qui in zona, da quello che mi ha detto Chichi. Forse, per una dannata volta, il destino ha deciso di non mettersi in mezzo tra me e l’amore della mia vita.
Non è ancora mezzanotte, posso farcela. Devo farcela.
Corro coi polmoni che cominciano a bruciare seguendo il percorso che mi segnala il cellulare, mentre alcuni fiocchi di neve cominciano a scendere dal cielo. Bagnano lo schermo, mi sferzano gelidi sul volto e si posano tra i miei capelli.
Ma va bene così. Fa molto freddo, ma non sento nulla in questo momento. Corro e basta. Vado incontro al mio destino, al nostro destino.
Mi sembra di correre in un mondo vuoto. Privo di senso.
Cosa me ne faccio del mondo se non ci sei te, Là?
Un mondo senza di te l’ho già visto e mi fa schifo. Me lo ricordo bene. E mi fa paura.
Già… sono eccitato, ma ho anche paura. Inutile negarlo.
Ho paura che le cose possano andare male. Che potrei cadere nel vuoto.
Ma ho anche fiducia in quello che siamo. Che potremo giurarci “per sempre”.
Sarà un cadere nel vuoto o un giurarci per sempre?
Delle luci e dei rumori sempre più vicini mi distolgono dai miei pensieri. Dai miei dubbi, dalle mie paure. Dalle mie speranze.
Sì, devo essere arrivato. Alcuni addetti stanno smontando le luci di scena e caricando su dei furgoni i macchinari usati sul set e gli strumenti di lavoro. Non c’è molta gente, sembra che abbiano quasi finito.
«Cerchi qualcuno, ragazzo?»
Un uomo con in testa una cresta di capelli rossi che sorregge tranquillamente sulla spalla una cassa gigantesca come se fosse leggera come una piuma si ferma davanti a me e mi osserva incuriosito. È enorme, ma il suo tono di voce è gentile. Indossa una felpa nera dello staff e solo un leggero smanicato verde sopra. Non sembra sentire nemmeno il freddo. Ha una targhetta sul petto su cui riesco solo a intravedere un numero sedici.
«Lazuli Eighteen è qui?!» gli chiedo, guardandomi intorno freneticamente.
«Sei un suo fan?»
«Più o meno…» sospiro. «Cioè, io la amo, se devo essere sincero…».
«Guarda che sono in molti ad essere innamorati di lei» mi sorride. «Ma, da quello che so, lei ama solo il suo ragazzo».
«Già…» rispondo con un filo di voce, abbassando la testa.
«Va’ da lei, ragazzo…» sorride di nuovo l’energumeno, come se avesse capito tutto, prima di riprendere a camminare verso il furgone più vicino. «Dovrebbe essere ancora di là, sbrigati prima che sia troppo tardi».
«Grazie!» esclamo, prima di correre a perdifiato nella direzione che mi ha indicato.
Mi guardo intorno freneticamente, mentre ansimo per la fatica e cerco di riprendere fiato, non appena mi ritrovo in un piazzale deserto. Dalla mia bocca esce il fumo generato dalla condensa. Il sudore si cristallizza sulla mia fronte insieme alla neve che mi ha bagnato. Provo un brivido di freddo che è soprattutto un brivido di paura.
Paura di aver fatto tardi. Che lei se ne sia già andata.
«Cosa ci fai qui?»
Una voce dal tono freddo e distaccato che conosco fin troppo bene mi fa voltare di scatto. Il cuore potrebbe esplodermi nel petto da un momento all’altro.
Mi sento come quel giorno a scuola in mezzo al campo da calcio. Quando ho urlato in faccia al mondo che la amavo. Quando lei è riapparsa nel mio mondo.
Lazuli mi guarda, impassibile, appoggiata con la schiena a una colonna di marmo di un porticato. Ha le mani in tasca, la giacca aperta. Posso così notare che sta indossando la mia felpa Jordan, quella pesante che aveva voluto portare con sé prima di partire. Ha il cappuccio calcato sulla testa per difendersi dal gelo. Anche la sua bocca emette una nuvoletta di fumo.
«Là…» le dico, sorridendo, senza smettere di ansimare per la fatica e la paura.
Si abbassa il cappuccio, liberando i suoi capelli biondi illuminati dalla luce fredda dei lampioni che fa brillare la sua mollettina nera a forma di coniglio. E che si riflette nei suoi occhi di ghiaccio che mi fissano. Non sono vacui, non più. Eppure non tradiscono emozioni, come del resto il suo viso.
Ci guardiamo in silenzio.
Soli, nella notte gelida di Kanazawa su un set che ormai non esiste più.
Soli, come se fossimo in una bolla fuori dal tempo e dallo spazio.
Uno di fronte all’altra. Il tuo nome sulle mie labbra.
Abbiamo tante cose dentro di noi. Tanto da dirci. Troppo dolore accumulato. Pronti ad esplodere, forse. Nel bene o nel male.
Come due temporali nel bel mezzo del niente.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: non so voi, forse sono io ad essere solo “un sentimentale del cazzo”, come direbbe Veggy a Rad, ma mi si sono riempiti gli occhi di lacrime nel vedere gli amici di Radish stringersi intorno a lui, ognuno a modo suo. Soprattutto le parti con Vegeta e Lunch mi hanno particolarmente scosso, voi cosa ne pensate? Il Prince gli aveva già promesso che l’avrebbe pestato se avesse combinato qualche casino, mentre Lunch non era mai tornata per quasi trenta capitoli su quello che aveva provato per Rad ai tempi dei loop temporali. Ha avuto coraggio la nostra primina, millemila punti per lei.
Vediamo anche Bulma, che dà la sua versione dei fatti relativa alla Videl dodicenne, dopo averci spiegato cosa ne pensa di quella diciottenne. Voi cosa dite a riguardo?
C’è stato spazio anche per Mai e, soprattutto, Chichi, che illumina Rad sul fatto che Lazuli si sia sentita tanto in colpa lei stessa per quanto successo. Ci tengo infatti a sottolineare che la fiducia non è mai mancata nella coppia che hanno formato Rad e Là sin dall’inizio, infatti lei nel corso della storia gli consente di fingersi il ragazzo di Lunch, di passare la notte da Bulma, di andare da Videl quando lei gli aveva dato appuntamento in spiaggia e di passare tantissimo tempo con Chichi, per fare alcuni esempi. Lazuli non pensa che Rad l’abbia tradita, ma sicuramente è arrabbiata perché lui non le ha detto tutto subito. E poi sì, è anche gelosa, perché abbiamo imparato a conoscerla e penso sia anche comprensibile in una situazione del genere. Vedremo nel prossimo capitolo se si sentiva anche in colpa come dice Chichi.
È stato un capitolo lunghissimo perché volevo dar voce a tutti e perché volevo si concludesse con Lazuli in scena. Se ci fate caso, lei è l’unico personaggio sempre presente in ogni capitolo oltre a Radish, anche solo con un messaggio o una telefonata.
Tutti mi chiedete da diversi capitoli se vedremo mai in questa storia C17 e Mirai Trunks, magari ne aspettavate uno oggi… e invece abbiamo conosciuto un gigante gentile dello staff del film che dà una mano a Rad, l’avete riconosciuto? ;-)
 
Ringrazio come sempre tutti voi che mi lasciate una recensione e tutti voi che avete sempre entusiasmo per questa storia, mi fa davvero piacere leggere cosa ne pensate e ascoltare le vostre teorie. Grazie anche a chi legge in silenzio e continua ad amare i personaggi che hanno preso vita qui dentro. Grazie anche a chi ha letto lo special natalizio legato a questa long che ho pubblicato per la Vigilia di Natale. Se non l’avete ancora letto e avete voglia di farlo, si intitola “Everything is nothing without you – Christmas Special”. Se non ne potete più di me vi capisco, anch’io mi sopporto a malapena certi giorni! :-)
Grazie anche a chi ha letto e apprezzato le mie ultime one shot, ce la sto mettendo tutta per rianimare un po’ questo fandom e ringrazio chi ha raccolto il mio appello. Oggi però ho deciso di pubblicare per la prima volta anche una breve one shot al di fuori di Dragon Ball e precisamente su Fruits Basket. Se volete seguirmi anche in quella storia dal titolo “Il gatto e l’onigiri” mi renderete felice. Grazie in anticipo.
Allego poi a questo capitolo anche la splendida Lazuli natalizia realizzata da Alice Liddel, che ringrazio ancora tantissimo, che avevo postato con lo special. Insieme a lei, altre due ragazze di questa storia a tema Natale, cioè le nostre primine preferite: Lunch, disegnata da Shironeko, e Mai.
 
Bene, il prossimo capitolo si intitola “La principessa dagli occhi di ghiaccio” e sarà online mercoledì 8 gennaio. Cosa dite, riusciranno a chiarirsi Rad e Là? Riuscirà il nostro eroe a fare gli auguri di buon compleanno alla sua principessa prima dello scoccare della mezzanotte? Prenderà un po’ di botte da Lazuli?
E poi, avete fatto caso ai due pacchetti regalo che Rad si è fatto infiocchettare da Lunch e Mai? Cosa pensate possano contenere? Riuscirà a darli a Là? O magari Là lo caccerà via?
Niente, tanti interrogativi, ma almeno questo capitolo ci lascia uno spiraglio di luce dopo il tanto angst che vi ho propinato ultimamente. Con questa luce, che spero possiate portare tutti nel cuore, vi auguro buon anno! Passate dei bei giorni di festa con le persone a cui volete bene.
Questo era l’ultimo capitolo del 2019, ma ci vediamo più carichi che mai nel 2020 con un capitolo che ha tutta l’aria di essere veramente importantissimo. Io ve l’ho detto: importantissimo. ;-)
Ancora buon anno a tutti, non smettete mai di credere nella forza dei sogni e in quella dell’amore!
 
Teo
 
 
 

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Capitolo 47
*** La principessa dagli occhi di ghiaccio ***


47 – La principessa dagli occhi di ghiaccio
 
 
«Chichi non la smetteva di chiamarmi, così mi è sorto il dubbio che ci fosse sotto qualcosa… e che c’entrassi tu» sbuffa Lazuli, senza smettere di guardare fuori dal finestrino della macchina guidata dalla sua manager, che di tanto in tanto ci lancia occhiate furtive dallo specchietto retrovisore.
Sì, perché Piiza-san è sbucata fuori all’improvviso da ciò che restava del set pochi secondi dopo il mio arrivo, pronta a tornare in albergo con Lazuli. Era stupita nel vedermi lì, molto più di quanto ha lasciato trasparire la mia ragazza. Ma non ho ben capito se fosse irritazione la sua o anche sollievo. Di sicuro mi scrutava con sospetto. Lazuli, invece, non ha tradito particolari emozioni e io non ho ancora avuto modo di dirle niente.
Siamo seduti insieme sul sedile posteriore. Mi sento bene qui accanto a lei, ma anche strano. Impaurito, forse. Siamo vicini eppure distanti. Però nella sua voce non avverto più lo stesso gelo che sentivo ieri a casa mia. La stessa delusione. Lo stesso astio, magari. Ma potrei sbagliarmi, lei sa essere indecifrabile quando vuole.
«Meno male che doveva fare la vaga…» sospiro, scuotendo leggermente la testa.
Mi sento abbastanza in imbarazzo, ma penso che lo stesso valga per lei. Parliamo, sì, ma non siamo molto noi stessi. Sarà per la presenza di Piiza-san, sarà perché ieri abbiamo litigato… fatto sta che in questa macchina avverto una tensione che potrei tagliare a fette. E che mi mette terribilmente a disagio. E io non mi sono mai sentito a disagio con Là, nemmeno quando all’inizio della nostra conoscenza mi diceva di sparire dalla sua vita o mi urlava dietro.
Mi rendo conto una volta di più che aver visto per la prima volta nei suoi occhi un vicolo cieco ieri sera mi ha davvero distrutto interiormente. Non avevo mai avuto l’impressione di vedere un vicolo cieco nei suoi occhi quando lei mi guardava. Mai. E adesso non riesco a vedere il suo sguardo, visto che non lo distoglie dal paesaggio urbano che scorre fuori dal finestrino. Non so cosa stia pensando realmente di me, del fatto che sono venuto qui.
Mi volto anch’io a guardare distrattamente fuori dal finestrino e intravedo le montagne nell’oscurità che circonda i palazzi del centro abitato di Kanazawa. Sposto lo sguardo sui miei piedi, a disagio. Forse lei si aspetta che sia io a dire qualcosa… sono sempre io a dire qualcosa, che siano cose intelligenti o stupide per far ridere. Ma ho la sensazione di aver perso le parole in questo momento. Mi sembra di aver smarrito tutta la sicurezza che avevo improvvisamente trovato in me dopo aver parlato con Chichi e che ho mantenuto intatta finché ho trovato la mia ragazza in questo luogo gelido e a me sconosciuto. Ho fatto bene a venire qui? L’ho fatta arrabbiare ancora di più? Sono solo un peso per lei?
«Avrai speso una fortuna per arrivare fin qui» dice Lazuli con un filo di voce, dopo pochi ma interminabili secondi di silenzio. È come se stesse cercando lei stessa di rompere il ghiaccio, e la cosa mi stupisce in positivo. Nella sua voce avverto una punta di dolcezza, un velo di preoccupazione. Un briciolo di apprezzamento, ma soprattutto di imbarazzo. Come quando cerca di fare la dura, di mostrarsi distaccata. Ma non ci riesce del tutto. Tutto questo fa sì che il mio cuore riprenda a battere un po’ più forte. Fa sì che un po’ di sicurezza in me stesso torni a scorrermi nelle vene.
«Già, più o meno…» farfuglio a testa bassa. Ho davvero speso una fortuna per arrivare qui con lo shinkansen. Lo stesso che ha speso lei ieri, dopotutto.
«Ce li hai i soldi per tornare indietro?» mi domanda, sempre senza guardarmi, con la voce di chi ha già capito tutto.
«Dovrei farcela, se non prendo lo shinkansen» le spiego, mentre mi immagino quando durerà il mio viaggio di ritorno sui normali treni di linea e ai cambi che dovrò fare. Ma è quello che posso permettermi, va bene così. «Sono partito direttamente dal lavoro con quello che avevo in tasca».
Lazuli sospira, rassegnata. Non tanto come se fosse irritata, ma più come una persona costretta a portare tanta pazienza. Come una mamma con un bambino pestifero, magari.
Smette di guardare fuori dal finestrino e si protende in avanti, appoggiando una mano sul sedile anteriore. Mi volto anch’io e butto un occhio sul display luminoso che segna l’ora, mentre i tergicristalli liberano il parabrezza dalla neve che continua a cadere dal cielo. Sono le 23:56. Gli ultimi quattro minuti del compleanno di Là. E io non ho ancora combinato niente.
«Piiza-san, non vorrei proprio chiedertelo, ma ho bisogno di un favore» chiede gentilmente Lazuli alla sua manager. «Puoi prenotare una stanza nel nostro albergo?»
«Verifico subito se ce n’è una libera» risponde, sorridendole, prima di guardare me attraverso lo specchietto con fare sospettoso.
«E avrei anche bisogno che comprassi un biglietto dello shinkansen per Fujisawa per domani, per favore. Non per me, ovviamente».
«Certo, Lazuli-san. Immagino sia per lo stesso ospite della camera d’albergo» ridacchia. «Lo stesso ospite che stanotte se ne starà buono buono nella sua stanza e non andrà in giro da nessuna parte. E che, soprattutto, non andrà a disturbare l’attrice protagonista del film che stiamo girando» aggiunge lapidaria, cambiando espressione e guardandomi male dallo specchietto.
Io abbasso lo sguardo e torno a guardarmi i piedi. Non ho la battuta pronta come al solito e mi sento di nuovo a disagio.
«G-grazie…» sussurro a Lazuli, che nel frattempo ha ripreso a guardare fuori dal finestrino con le braccia incrociate sotto il seno.
«Sei il solito stupido che fa le cose senza pensare. Non posso lasciarti dormire su una panchina con questo freddo. E voglio risparmiarti qualche ora di viaggio domani perché Goku-kun avrà bisogno di te, tutto qua» ribatte in tono distaccato, come a volersi giustificare. «Non farti strane idee».
«Già…» accenno un sorriso. «Ma grazie lo stesso…».
Restiamo qualche istante in silenzio. Un silenzio meno teso di quello di prima. Avverto un’atmosfera più distesa. Comincio a sentirmi meglio. Più a mio agio. Più me stesso. Lazuli mi sembra meno lontana. Forse ho un po’ meno paura di cadere nel vuoto in questo momento.
«Quindi?» mi domanda all’improvviso in tono quasi annoiato. Come se fosse stufa del mio tergiversare. Come se volesse vedere di nuovo il vero Rad che non ha paura di parlare. Come se volesse arrivare al dunque.
«Ecco… prima di tutto, buon compleanno» le dico, avvicinandomi leggermente a lei.
Lazuli respira profondamente e butta fuori l’aria, mentre scuote la testa in modo quasi impercettibile, senza smettere di guardare fuori dal finestrino.
«Ce ne hai messo di tempo» sibila.
«Già… mi vergogno per questo…» sospiro, abbassando la testa. «Sono stato un coglione…».
«Anche per questo?»
«Sì, anche per questo…» confermo, rendendomi conto che Lazuli allude chiaramente alla faccenda di Videl.
In quel momento Piiza-san inserisce la freccia e poi ferma la macchina dopo aver abbandonato la strada principale che stavamo percorrendo. Mi rendo conto che siamo in un parcheggio ben illuminato e davanti a noi c’è un parchetto. La nevicata è sempre più abbondante, ma le strade sono ancora pulite. È abbondante abbastanza per posarsi sulle giostrine e sulle panche, sull’erba e in cima ai lampioni. Quanto basta a rendere magica l’atmosfera. A tornare anche un po’ bambini, perché no, quando la neve era sempre e solo sinonimo di festa.
Lazuli resta impassibile, come se si aspettasse quella mossa da parte della sua manager.
«Mi sembra di capire che abbiate alcune cose da chiarire tra voi» si volta a guardarci, dopo aver tirato il freno a mano. «Vi concedo un appuntamento di quindici minuti. Non costringetemi a venirvi a cercare, ok? Lazuli-san, posso fidarmi di te?»
«Sì…» sospira.
«Non voglio certo che ti ammali o prendi il raffreddore con questo freddo» riprende la sua manager, prima di puntare i suoi occhi nei miei, regalandomi uno sguardo omicida. «Tu vedi di sistemare le cose con lei e di tirarle su il morale. Oggi è stata un disastro al lavoro e ho capito subito che era tutta colpa…».
«Basta così, Piiza-san» la interrompe Lazuli, facendo calare il gelo nell’abitacolo. Apre la portiera e scende dalla macchina.
«Sei il suo ragazzo e so che lei sta bene con te. Sistema le cose e rendila felice, per favore. Oggi era proprio giù di morale» mi dice a bassa voce la manager, addolcendo anche il tono. «Lei non merita di soffrire. Né nel giorno del suo compleanno, né mai».
«Lo so» le sorrido, aprendo la portiera e facendo per scendere.
«Sono contento che tu sia qui. O meglio, lo sarò se non farai altri danni» sorride a sua volta. «Ah, prendi il giaccone pesante che c’è nel baule. Me l’ha dato prima un ragazzo della troupe, dovreste starci sotto entrambi».
«Era un energumeno con la cresta rossa?»
«E tu come fai a saperlo?!»
«Ho tirato a indovinare…» rispondo, scendendo e chiudendo la portiera.
«Cos’è quel sorrisino?!» sbotta Lazuli, non appena mi guarda in faccia. Ha le braccia incrociate sotto il seno e il cappuccio della mia felpa calcato sulla testa. Una ciocca di capelli dorati fa capolino accanto al suo occhio quando si volta e comincia a camminare risoluta verso il parchetto. «Dai, andiamo».
Affretto il passo per seguirla, stringendo sottobraccio il giaccone pesante e rabbrividendo per il freddo. Indossare una giacca autunnale in una notte nevosa di dicembre a Kanazawa non è proprio il massimo, ma non potrei desiderare altro in questo momento nemmeno se avessi tra le mani la lampada di Aladdin e il Genio a mia disposizione. Anzi, forse una cosa vorrei chiedergliela: desidererei sistemare le cose con Là. Mi basterebbe questo.
 
Senza parlarci saliamo in cima a uno scivolo, proprio come avevamo fatto ad agosto durante il festival dei fuochi d’artificio di Enoshima. Ci è venuto spontaneo andarci. Ci siamo capiti senza bisogno di parole, proprio come è sempre stato.
Il panorama è mozzafiato anche qui. Anche senza il mare o lo spettacolo pirotecnico. Questo parchetto si trova in una sorta di strapiombo con vista panoramica. Dominiamo dall’alto la città con le sue luci colorate, mentre alle nostre spalle si stagliano le montagne. I fiocchi di neve si assottigliano, un lieve vento gelido sposta una nuvola quel tanto che basta per liberare nella notte la luna piena. Bellissima, anche se lontana. Un bottone d’argento cucito sul mantello nero che sembra indossare per noi questa notte. La flebile luce argentea illumina dall’alto gli ultimi fiocchi cristallizzati che continuano a cadere e che si insinuano tra i miei capelli e sul cappuccio di Lazuli. La sento rabbrividire.
Mi avvicino a lei in silenzio e apro il giaccone. Mi stringo a lei e faccio in modo che ci avvolga entrambi come un caldo mantello, stringendolo sul davanti con la mano sinistra. Mi lascia fare. E mi sento il cuore esplodere come se fosse la prima volta che mi avvicino a lei. Sento il suo profumo fresco e il suo calore sulla pelle. Le nostre mani si sfiorano, protette dal tepore che creano i nostri corpi avvolti in questo gigantesco mantello improvvisato. Forse fa un sussulto, o forse me lo immagino e basta. Forse sono stato io a sussultare. Non mi guarda, ma mi lascia fare. Sembra tranquilla.
Oso di più e le passo il braccio destro intorno alla vita, stringendola a me un po’ di più. Molto di più.
«N-non voglio farti prendere freddo…» mi giustifico con un filo di voce. Dalla bocca mi esce più fumo di quanto fiato dovrei aver emesso con le mie parole. Sarà la tensione che mi svuota i polmoni, sarà che mi sento in estasi così stretto a lei. Sarà che mi sento in paradiso, ma anche che ho paura di precipitare all’inferno da un momento all’altro. Di cadere nel vuoto. Un vuoto senza fine, come mi capita troppo spesso di sognare. Ma il bello degl’incubi è che a un certo punto la fine la decidi tu, atterri quando riesci a svegliarti. Oggi no, cazzo. Oggi è vita vera e quella che è al mio fianco so per certo che è la donna della mia vita. Lo so e basta, anche se siamo giovani e andiamo ancora al liceo. Lo so e basta. Punto.
«G-grazie…» ribatte lei, voltando la testa dalla parte opposta rispetto a me. Sembra intimidita. Indifesa. E mi fa impazzire. Mi fa venire voglia di proteggerla. E mi fa sentire ancora di più una merda per quello che le ho fatto.
«È stata una giornataccia al lavoro allora, oggi? Dovevi essere tanto giù di morale… tu non sbagli mai…» butto lì, per provare a intavolare un discorso sensato e arrivare a scusarmi. Parto dalle parole di Piiza-san, ma mi rendo conto che probabilmente avrei potuto scegliere un incipit migliore per rompere il ghiaccio.
«Indovina perché…» sbuffa, irritata.
«Sono un disastro, scusa…».
«A volte lo sei, è vero» conferma, fredda e distaccata. «Comunque me la sono cavata anche oggi sul set in qualche modo. Anche… anche se, beh… ero un po’ giù» aggiunge con un filo di voce, abbassando la testa per un istante, prima di rialzarla di scatto e puntare severamente i suoi occhi di ghiaccio nei miei. Ha ritrovato subito il suo aplomb, o forse la sua baldanza. Il suo voler fare la dura. La sua gelida corazza. Il calore del fumo che esce dalla sua bocca accarezza la mia, vicini come siamo. Stretti l’uno all’altra come siamo. «Tu, piuttosto, mi sembri fin troppo di buon umore». Il suo tono è polemico. Offeso. Mi osserva con attenzione, forse per la prima volta da quando ci siamo visti stasera. Più la guardo negli occhi e più sembra mi scavino dentro. Più la guardo e più rivedo in lei la mia principessa dagli occhi di ghiaccio.
«In realtà… ecco, in realtà è da ieri sera che sto male, solo che…».
«Cos’hai in faccia?!» mi interrompe. Il suo tono è preoccupato e allarmato. Deve aver notato i segni che mi ha lasciato Vegeta.
«Diciamo che ho fatto una chiacchierata con Vegeta. Ma è tutto ok, parlare con lui e con le altre mi ha fatto bene».
«Fammi vedere» ribatte, facendo scivolare un braccio fuori dal nostro rifugio improvvisato e allungando una mano verso il mio zigomo. Lo sfiora con un dito. Il suo tocco è caldo e delicato. Soffoco un gemito di dolore causato dal livido che sento sotto la pelle. «È un po’ gonfio. Ti fa male?»
«No, non preoccuparti. Stavo molto peggio prima… un paio di pugni e qualche parola mi hanno aiutato a svegliarmi, a capire qualcosa».
«E cosa avresti capito?»
«Che volevo venire qui. E che ti amo».
«Quello non lo sapevi già?!» sibila, offesa, ritraendo la mano e rifugiandosi di nuovo del tutto sotto il giaccone. Distoglie lo sguardo dal mio.
«Certo che lo sapevo» sorrido. «È una delle poche cose che so con certezza da quando ti ho parlato per la prima volta quel giorno in biblioteca. O forse da prima ancora, quando ti vedevo in tv».
«Dovevi venire prima. Dovevi chiamarmi prima» ribatte, continuando a fissare davanti a sé.
«Io… avevo paura che tu… boh, che non mi volessi e…».
«Quello che conta è che l’hai capito, alla fine» mi interrompe, fredda e orgogliosa. «Te l’ha suggerito qualcuno di venire qui? Anzi, “qualcuna”, visto che hai detto di aver parlato con le “altre”».
«Beh, con Bulma e Chichi, veramente… poi…» sudo freddo.
«Poi con la tua amichetta primina e anche l’altra tua collega che tollero un po’ più di lei» mi interrompe di nuovo. «E spero basta».
La sua voce appare come una sentenza. Sembra gelosa e irritata. È sempre più la Lazuli che conosco, e questo mi fa ben sperare. Anche se forse sta alludendo al fatto che potrei aver visto di nuovo Videl, non lo so.
«S-sì, basta… e l’idea di venire qui è stata solo mia».
«Bene, non mi va che metti in piazza gli affari nostri. Se c’è qualcosa, ne parliamo tra noi».
«Non ho parlato con nessuno dei dettagli di quello che è successo, hanno solo provato a spronarmi perché hanno visto che stavo… beh, che stavo di merda…».
«Hai sofferto tanto?»
«Sì… ma non volevo che tu soffrissi per colpa mia…».
Lazuli si gira e mi guarda. Il bagliore argenteo della luna mi mostra uno scintillio nei suoi occhi di ghiaccio. Mi fa vedere chiaramente che sono lucidi.
«Ti si sono aperte di nuovo le cicatrici?»
«Un pochino. Ma è tutto ok» provo a rassicurarla. Le sorrido.
«Dopo sarà meglio… b-beh, sarà meglio che passi dalla mia stanza in albergo, almeno potrò guardare se sono davvero a posto quelle ferite. Ho… ho il kit del pronto soccorso in camera, nel caso te le medico» farfuglia con un filo di voce. Prima che distolga lo sguardo dal mio riesco a intravedere un lieve rossore d’imbarazzo sul suo volto.
«Ma, la tua manager ha detto che…».
«Da quando Radish Son fa quello che gli dice di fare la gente?!»
«Già…» sorrido di più. «Allora verrò…».
«S-solo perché è il caso che qualcuno controlli quelle maledette cicatrici!» prova a difendersi, visibilmente imbarazzata, senza voltarsi. «Sei… sei talmente stupido che te le sarai medicate male… non farti strane idee!»
«Certo, certo…» ridacchio, cercando di non darlo a vedere. «Grazie Là, non so come farei senza di te».
Lei mi risponde con uno sbuffo, tenendo fisso lo sguardo sul panorama mozzafiato che ci si para davanti.
 
Il cielo smette lentamente di lasciar cadere gli ultimi cristalli di neve e il freddo si fa subito più secco. Lazuli si abbassa il cappuccio e libera i suoi capelli dorati scrollando la testa in quel modo sensuale che mi ha fatto sognare non so quante volte. Che mi ha fatto impazzire, e che lo fa tuttora. Una lieve brezza gelida conduce alle mie narici un dolce profumo di albicocca. Il suo shampoo, già. La mollettina glitterata rifulge per un istante le flebili eppure magiche luci della notte.
Rabbrividisce ancora, seppur in modo quasi impercettibile. La stringo di più. Lei non solo mi lascia fare, ma addirittura appoggia la testa sulla mia spalla e respira profondamente.
«Solo perché si gela…» ci tiene a precisare.
«In effetti avevi detto che per un po’ non mi volevi vicino…» provo a provocarla.
«Fa troppo freddo per badare a quello che avevo detto» sibila irritata. Con una mano dà uno strattone al giaccone per tirarlo più verso di sé, mentre con un piede mi regala un pestone degno dei suoi colpi migliori.
«Ev… e-evviva l’inverno, allora…» farfuglio a denti stretti per il dolore.
«Comunque… comunque sei uno stupido» sbotta dopo qualche secondo di silenzio. «Per quello che dici e per … beh, per tutto».
«Ecco… appunto…» dico con voce malferma, deglutendo il nulla. «Mi dispiace. Mi dispiace davvero tanto. Scusami Là».
«Non importa più» ribatte lei, senza esitare. «Se sono qui con te adesso vuol dire che non importa più. Altrimenti ti avrei lasciato morire assiderato su una panchina della stazione stanotte» aggiunge, glaciale e crudele come ama essere talvolta. «Anche se un po’ di fresco da patire sarebbe stata una pena congrua per te».
«Preferisco farmi picchiare dalla mia regina, piuttosto».
«Non vale quello, ormai sei forgiato dalle mie botte purtroppo» ribatte, e potrei giurare che stia sorridendo anche se non posso vedere la sua espressione. Mi sento improvvisamente più leggero. «E poi ti piacciono. Sei uno stupido masochista maiale. Stupido… tanto, tanto stupido».
«Già, hai ragione… e infatti ci tengo a scusarmi come si deve» sospiro, di nuovo serio. «Sei tornata da Kanazawa in fretta e furia perché eri preoccupata per me e perché avremmo potuto festeggiare insieme il tuo compleanno. Ma io ho rovinato tutto…» aggiungo, stringendo il pugno della mano con cui non cingo Lazuli così forte da farmi male. «Ti giuro che non volevo… ti giuro che… che ti amo».
«In realtà ti devo anch’io delle scuse» ribatte lei, sorprendendomi. Sembra impassibile, ma so che non lo è.
«Non devi nessuna scusa a un coglione come me».
«Invece sì, e dato che sei venuto fin qui solo per vedermi mi tocca essere sincera» mi spiega.
«No, Là, davvero…».
«Sapevo che avevi bisogno di qualcuno che ti stesse accanto in un momento così difficile» mi interrompe, sollevando al contempo la testa dalla mia spalla senza smettere però di guardare davanti a noi. «È stato un po’ uno shock sapere che non sono stata io quella persona. Nemmeno stavolta, quando avrei dovuto esserlo. Per quello… beh, per quello ieri ti ho detto quelle cose. Anche per quello, almeno…».
«Sono stato io a dirti di non preoccuparti, Là! Sono stato io a non spiegarti subito tutto...» protesto. «Non devi prenderti colpe che non hai, non voglio perché sono stato io da solo a creare tutto questo casino e tu non lo meritavi! Tu sei l’ultima persona al mondo che io vorrei veder soffrire, e guarda alla fine che cazzo ho…».
«Rad» mi interrompe. Il suo tono è dolce. I suoi occhi tornano a guardare i miei, finalmente. E sono lucidi, di nuovo. «Mi spiace per non esserci stata quando più ne avevi bisogno».
La purezza con cui dice queste parole mi uccide e mi rianima nello spazio di un millisecondo. Mi disarma, del tutto.
La osservo, me la mangio con gli occhi. In quel preciso istante, mentre qualche leggero fiocco di neve riprende a scendere dal cielo, mi rendo conto di non aver mai visto in tutta la mia vita qualcosa di così bello come mi appare lei adesso.
La vedo davvero come una principessa delle favole, solo che lei è molto più bella.
Guardo la mia principessa dagli occhi di ghiaccio e penso che potrei andare avanti a guardarla per sempre. Lei è lo spettacolo più bello che abbia mai visto.
«A me basta sapere che ci sei per essere sempre felice. Che tu sia al mio fianco o in giro per lavoro» le sorrido.
«Così però è come dire che non faccio mai niente per te!» ribatte, accennando un lieve broncio.
«E ti giuro che è una sensazione fantastica essere felice solo grazie alla consapevolezza della tua presenza, della tua esistenza. Io so com’è il mondo senza di te. So quanto fa schifo… quanto mi fa paura» le spiego, respirando a pieni polmoni una boccata d’aria gelida. «Non mi serve che tu faccia qualcosa in particolare per me, anche perché tu non ti rendi conto di quanto fai e hai già fatto per me. Per sistemare la mia vita incasinata. Per dare un senso al mio mondo. Per aiutarmi a trovare il mio posto nel mondo» aggiungo, liberandomi una mano da sotto il giaccone per accarezzarle una guancia. È fredda. Lascio che il calore della mia mano si trasmetta al suo volto prima di sistemarle delicatamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Un altro dei suoi gesti ricorrenti che mi fa letteralmente impazzire. «Spero con tutto me stesso che un giorno potrò diventare per te lo stesso tipo di persona che sei tu per me».
«L-lo… lo sei già, cretino…» sussurra Lazuli, abbassando la testa per non farmi vedere il suo imbarazzo.
«Forse tu non riesci davvero a capire quanto cazzo ti amo… cosa rappresenti per me. Cosa penso di te» ribatto, sollevandole il mento tra indice e pollice per costringerla a guardarmi. «Sai, vorrei darti i miei occhi per farti vedere come ti vedo io».
«Non serve, scemo. Lo so già… fidati che lo so già» mi sorride dolcemente.
«Tu sei sempre un passo avanti» le sorrido ancora. «Sei la mia principessa dagli occhi di ghiaccio».
«Rad…» sospira, di nuovo seria, senza smettere di puntare il suo sguardo glaciale nel mio.
«Sì?»
«Chiudi gli occhi…» soffia sensualmente in direzione delle mie labbra, così vicine alle sue.
Deglutisco il nulla cosmico, mentre fisso incantato i suoi occhi e il rossore accennato sulle sue gote. Mentre guardo con desiderio le sue labbra appena dischiuse.
Eseguo il suo ordine. Il petto potrebbe esplodermi da un momento all’altro. Voglio baciarla. Ho voglia di lei. Sento che sta per baciarmi.
«Radish…» sussurra di nuovo, ancora più vicina alle mie labbra. Così vicina da sfiorarmele con la punta della lingua. Da riscaldarmele col calore della sua voce. Sì, ora ci baceremo. Mi protendo verso di lei. I pacchetti regalo rischiano di cadermi dalla tasca. Già, devo ancora darglieli. Dopo, però… dopo averla baciata. Ne ho bisogno.
Allungo il collo ancora di più e apro leggermente la bocca. Ma, a sorpresa, non trovo le sue labbra. Non sento più il suo calore, ma solo uno spostamento repentino di aria ghiacciata.
Realizzo solo in quel momento che non mi ha praticamente mai chiamato “Radish” per intero da quando ci conosciamo. La sento liberarsi in un attimo della mia presa intorno alla vita.
Sento soprattutto un clamoroso ceffone sulla guancia risparmiatami da Vegeta, la stessa su cui mi aveva però colpito Lunch.
Riapro gli occhi. Li sgrano, mentre i miei polmoni si riempiono di aria gelida quasi da mozzarmi il fiato. Il freddo e lo stupore mi bloccano in gola un grugnito di dolore.
«Questo è perché mi hai fatto soffrire!» sbotta Lazuli, per poi afferrarmi con entrambe le mani la faccia. Mi costringe a guardarla. Il giaccone ci si sfila dalle spalle e si affloscia ai nostri piedi. «Questo è perché ti amo, razza di scemo…» aggiunge, azzerando le distanze tra noi e baciandomi con veemenza.
Rischio quasi di cadere all’indietro. Finisco con la schiena contro la barriera che circonda il perimetro del pianerottolo dello scivolo. Resto senza fiato, letteralmente. Inebriato da lei, dal suo sapore, dalle sensazioni irripetibili che provo. La stringo forte a me, la avvolgo in un abbraccio per scaldarla e farla mia. La bacio a mia volta.
La bacio come se non l’avessi mai baciata prima. Le nostre lingue si cercano e si rincorrono, si accarezzano e si sbranano a vicenda. I nostri sapori si mischiano, insieme alle nostre anime. La sento fluire in me, e penso di non essere mai stato così bene. Di non essere mai stato così sospeso tra sogno e realtà. Le gambe mi cedono, o forse è solo una sensazione. Come è solo una sensazione la vertigine e il vuoto che dallo stomaco arriva fino alla mia testa. Quel senso di risucchio interiore che si prova negli incubi o mentre si precipita nel vuoto.
Ti senti anche tu così, Là? Io credo che potrei svenire da un momento all’altro, ma non posso farlo e non voglio farlo perché non penso ad altro che continuare a baciarti. Con avidità, con urgenza. E sento che tu stai facendo lo stesso. Che ci stiamo dicendo tante cose senza parlare. Perché non serve, perché tanto stiamo cadendo assieme nel vuoto. Nel nulla, soli in questo parchetto, di notte, sotto la neve. Nessuno ci vede, ma ci siamo. Qualcosa si sente. Il mondo ci sente. Siamo due temporali nel bel mezzo del niente per davvero.
E ci stiamo dicendo la stessa cosa usando parole diverse, mentre precipitiamo senza smettere di baciarci. Cadiamo nel vuoto, è vero, ma ci giuriamo “per sempre”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: eccoci di nuovo qui, col primo capitolo del 2020 che arriva giusto giusto per scacciare un po’ via la malinconia che lascia sempre addosso (almeno a me) il termine del periodo natalizio e la progressiva sparizione di tutte le luci e le decorazioni. Non poteva che essere un bel capitolo questo, siete contenti di quello che avete letto?! È stato bello per me tornare a vedere Rad e Là così, spero abbiate apprezzato.
Tra l’altro, siccome sono stupido e non avevo niente di meglio da fare, ho inserito in questo capitolo volutamente una frase relativa alla descrizione dell’ambiente circostante praticamente uguale ad una che ho usato nella mia breve one shot “Il gatto e l’onigiri” che ho pubblicato nel fandom di Fruits Basket. Chi la becca vince millemila punti, come direbbe Senku di Dr Stone! :-)
La scena di Rad e Là abbracciati sotto un unico giaccone vi è piaciuta? A me moltissimo, anche se non so quanto possa valere il mio parere quando parlo di Rad e Là. Però faccio appello alle disegnatrici di efp, se avete voglia di disegnare quella scena mi renderete felice!
Alla fine anche Lazuli si sentiva in colpa, per fortuna sono riusciti a chiarirsi. Rad tira fuori il jolly e fa sciogliere Là con una frase presa in prestito da “Ops” di Mr Rain. Però, prima del bacio, lei gli regala un bel ceffone, giusto per fare anche un remake del capitolo 8 di questa storia, ve lo ricordate?
 
Ringrazio tutti voi che mi lasciate sempre un commento perché siete carinissimi a farlo, per chi scrive e ci mette il cuore alla fine è l’unico modo per sapere cosa ne pensa il pubblico e per trovare ulteriori motivazioni per andare avanti, quindi sappiate che siete fondamentali. Grazie anche a chi legge in silenzio e a chi ha inserito la long nelle liste. È stato un capitolo di svolta direi, quindi se volete dirmi cosa ne pensate mi renderete felice.
Grazie poi agli autori dei tre disegni che ho deciso di pubblicare: Rad e Là quando si vedono sul set al termine del capitolo precedente e poi un omaggio alla Befana dai nostri cyborg di Dragon Ball. Non è un caso che compaia anche C17 oltre al già visto nella storia C16, pensate che possa essere un indizio di qualcosa? ;-)
 
Il prossimo capitolo si intitola “I diciott’anni di C18” e la narrazione proseguirà dal punto in cui si è interrotta in questo. Riuscirà finalmente Rad a dare a Là i due regali di compleanno che ha portato con sé? Cosa le avrà preso? Andrà poi nella stanza d’albergo di Lazuli a farsi medicare le cicatrici nonostante il divieto imposto dalla manager?
Io vi ho fatto queste domande per mettervi curiosità, ma sappiate che il vero hype forse dovrete conservarlo per un’altra bomba che sgancerà Là all’improvviso relativa a Videl. Cosa pensate possa essere successo? E perché sarà proprio Lazuli a sganciare questa bomba su Videl?
Se lo volete sapere ci vediamo mercoledì prossimo con “Remember me”, io conto di tornare già venerdì sul fandom, però, con una one shot dedicata a Crilin e, udite udite, Marion!
Grazie a tutti e buon anno!
 
Teo
 

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Capitolo 48
*** I diciott'anni di C18 ***


48 – I diciott’anni di C18
 
 
Lazuli non smette di baciarmi e di premermi contro la balaustra dello scivolo. Sento il suo seno contro il petto, una mano che mi accarezza i capelli e l’altra la spalla. Sento il suo bacino contro il mio, soprattutto.
Si stringe a me e, quando sente la mia eccitazione, si stringe di più. Si addossa di più. Muove il bacino lentamente. Sto per impazzire. E per esplodere.
Con una mano non smetto di esplorarle i capelli e la schiena, mentre con l’altra scendo fino al suo sedere. Lo afferro con desiderio. Lo stringo. Me lo godo. Ripenso per un istante a quanto mi aveva fatto impazzire quel pomeriggio in biblioteca, fasciato solo in quel costume da coniglietta che lasciava ben poco spazio all’immaginazione e decorato con quel bel pompom bianco che danzava ritmicamente insieme ai suoi fianchi sinuosi. È come una visione abbagliante, un lampo impetuoso. La stringo a me con foga. L’eccitazione sale ancora, il desiderio cresce.
«Ok, basta così» dichiara all’improvviso Lazuli. Mi spinge con entrambe le mani e si allontana da me. Indietreggia di un passo e mi osserva. Sorride maliziosa, mentre si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio e si sofferma sull’evidente gonfiore tra i miei pantaloni.
La guardo, stranito e confuso. Devo avere gli occhi sgranati e ancora lucidi di desiderio, oltre che la bocca semiaperta. Temo di sembrare un coglione in questo preciso momento, tra la mia espressione e la prepotente eccitazione che non posso nascondere.
Mi osserva divertita e soddisfatta, prima di fissarmi negli occhi. Deglutisco il nulla. Riprendo fiato.
«M-ma…» farfuglio. O forse mi esce solo un rantolo. Sono confuso.
«Ecco, resterai così per un po’. E vedi di starmi alla larga, anche questo fa parte della tua punizione» ghigna, sadica.
«Sei… sei cattiva…» accenno un sorriso, ansimando ancora di eccitazione e stupore. Mi sta prendendo in giro. Vuole vedermi ridotto in questo stato per il suo diletto. Ma lei può farlo. La amo anche quando fa così.
«Certo che lo sono. E questo è niente» ribatte, gelida e distaccata.
«Ah, lo so bene… mi trema ancora la faccia per la tua sberla di prima» ridacchio, stando al suo gioco.
«Beh, qualcosa in contrario?!» mi incenerisce con lo sguardo.
«No, mia regina e mia dea!» mi metto sull’attenti, coi pantaloni ancora tesi all’altezza del cavallo.
«Ecco, così va meglio… sei un bravo maiale, Rad» risponde, sforzandosi di restare seria. Prima di guardarmi di nuovo per qualche secondo e scoppiare a ridere.
Rido anch’io, e mi rendo conto una volta di più di quanto è bello quando ridiamo insieme. Quanto è straordinario poterlo fare ancora dopo tante lacrime e tanto dolore.
 
«Spero che vorrai aprire i regali che ti ho preso anche se è passata la mezzanotte» dico a Lazuli, tirando fuori dalla tasca i due pacchetti che ho portato con me.
«Se proprio insisti…» scherza lei, sorridendo. «Quale apro per primo?»
«Quello piccolo».
«Uhm… l’hai impacchettato tu?» mi domanda sospettosa, rigirandoselo tra le mani.
«Ehm… mi sono fatto aiutare da Lunch e Mai al lavoro» rispondo ridacchiando. Lazuli solleva un sopracciglio, passando in rassegna prima me, poi il pacchetto che ho ancora in mano io e poi quello che ha già preso lei.
«Sempre in mezzo quelle maledette primine…» sbuffa. «Più tardi vedrò se potrai passarla liscia o dovrò punirti anche per questo».
«Oh sì, puniscimi mia regina» ribatto roco, avvicinandomi a lei.
«Taci» sibila, mettendomi una mano sulla bocca e spingendomi indietro. «Stammi alla larga. E lasciami aprire il regalo».
«Miss Eighteen che compie diciott’anni mentre sta impersonando C18, non trovi sia una figata?!»
«Un altro gioco di parole come questo e ti mollo» ribatte, gelida, mentre sfila il nastro dal piccolo pacchetto azzurro. «Cosa ti ho appena detto?»
«Di stare zitto…» sbuffo.
«Ecco, allora fallo…» sospira rassegnata, scartando il regalo. «No…» aggiunge, stringendo tra le mani la scatoletta azzurra che ha trovato all’interno.
Solleva lo sguardo. Mi sorride. Le sorrido. Torna a guardare la scatoletta e la apre freneticamente.
«Ma sei matto?!» esclama, correndo ad abbracciarmi. Mi stritola, mi riempie di baci. Non smette di sorridere, soprattutto.
«Io… ci tenevo a regalartelo, ecco…» le spiego.
«Sei… sei stato fantastico…» sorride ancora, tirando fuori dalla scatoletta un anello d’argento a forma di cuore. Lo solleva leggermente verso la luna, come a volerlo guardare meglio. O come se volesse farlo brillare più di quanto brillino i suoi occhi di ghiaccio in questo momento. Ma è impossibile, nemmeno questo anello di Tiffany può brillare più di loro. «Era… era quello che mi piaceva! Ma non dovevi! Non dovevi, scemo…» sussurra, gettandomi di nuovo le braccia al collo.
Le accarezzo i capelli, la stringo a me. Non sento neanche più il freddo, ormai. Credo che mi piacerebbe restare così per sempre, se solo fosse possibile. Con lei stretta a me e con questo calore nel cuore.
«Spero che la misura sia giusta… sai, un giorno ho provato uno dei tuoi anelli e ho visto che mi entrava nel mignolo, quindi ho usato quello come riferimento».
«Certo che mi va bene… guarda!» esclama, liberandosi dalla mia presa e infilandosi l’anello al dito. Le sta d’incanto. Sono felice di essere riuscito a comprarglielo. Di essere qui, di averglielo potuto dare. Di vederla felice.
«A me interessa solo vederti felice, quindi… beh, ecco… è bello vederti così» le dico un po’ goffamente. «Ci tenevo a regalarti un anello visto che stiamo insieme…».
«Guarda che anch’io voglio che tu sia felice» ribatte lei, prima di baciarmi e stringersi a me. «Ficcatelo bene in testa, chiaro?!»
Annuisco. Appoggio la fronte alla sua. Sorrido. E penso che mi sento fottutamente bene.
«Guarda che se hai speso così tanto anche per l’altro regalo mi arrabbio…» mi minaccia, sorridendo a sua volta.
Le porgo il secondo pacchetto, un po’ più grande di quello di prima.
«Aprilo e basta» le dico. Sono davvero curioso di vedere la sua reazione, non vedevo l’ora di darglielo da un bel po’ di tempo e il suo compleanno mi sembrava l’occasione giusta. Un momento speciale da ricordare.
Lo scarta con foga, spinta dalla curiosità. Ne estrae un libro, un po’ “vissuto”, per non dire rovinato. Un libretto illustrato per bambini, più che un libro vero e proprio.
La sua espressione cambia. I suoi occhi si riempiono di lacrime.
«Rad, tu hai… questo…» farfuglia commossa, abbracciandomi di nuovo e stringendomi forte.
«Sì, è il libro del Jian, l’uccello che condivide le ali. È il mio di quando ero piccolo, sono riuscito a recuperarlo da casa mia» le spiego, con il cuore che sembra esplodermi nel petto da quanto sono contento della sua reazione. «Mi avevi detto che amavi tanto questa storia e che tua mamma ti aveva buttato il tuo. Sarei felice se lo tenessi tu, questo».
«I-io… io non posso, è il tuo!»
«A me basta avere te, Là. Quel libro starà meglio insieme a te, sono più felice così. Davvero».
«Rad… io… ne avevamo parlato solo una volta e te ne sei ricordato…» sussurra, sorridendo prima di baciarmi ancora e lasciarmi nuovamente senza fiato.
«Come avrei potuto dimenticarlo? Ne abbiamo parlato il giorno in cui ci siamo messi insieme ufficialmente dopo tutti quei loop temporali» le sorrido, accarezzandole una guancia. «Era stato troppo bello scoprire che anche tu amavi quella storia. Io non sarei niente senza di te… non saprei volare, non vorrei nemmeno farlo».
«Sai, io… beh, i-io da quando ti conosco ho capito che il cielo è fantastico… che puoi guardare tutto dall’alto. Ho capito che mi piace volare solo se ci sei tu insieme a me» risponde. Il suo tono è di una dolcezza e di una purezza che mi sciolgono il cuore. «Rad… promettimi che ci sarai sempre per me. Per favore».
«Te lo giuro, Là. Te lo giuro… per sempre» la rassicuro, prima di baciarla ancora.
 
«C’è un ultima cosa che ci tenevo a chiarire… non per giustificarmi, anche perché mi imbarazza un po’».
Restiamo abbracciati, anche se Lazuli sposta la testa dalla mia spalla per potermi guardare negl’occhi. Il suo sguardo è di nuovo serio, ma sereno. Non avrei voluto interrompere questo momento magico, ma penso sia giusto chiudere una volta per tutte la questione e non pensarci più.
«Non devi imbarazzarti di niente con me. Se dici ancora una cosa così stupida sarò costretta a picchiarti» ribatte acida, pestandomi al contempo il piede. «Questo è solo un assaggio».
«O-ok…» impreco a denti stretti, cercando però di mantenermi serio. Sì, perché devo dirle una cosa seria e che mi mette decisamente a disagio. Una cosa che mi sta facendo diventare pazzo. «Ecco… parlando con Bulma a proposito di Videl Satan, è saltato fuori che lei crede sia sempre e solo stata frutto della mia immaginazione. Un effetto della Sindrome della Pubertà, una sorta di predizione del futuro e di trasferimento di desideri inconsci. Non so nemmeno io cos’ha detto, ma alla fine ci ho pensato e mi ha convinto. Penso di aver scritto io quel biglietto che hai visto e la lettera di quest’estate, solo che non ricordo nulla…» butto fuori tutto d’un fiato, sentendomi improvvisamente sgravato di un peso che cominciava ad opprimermi. Lazuli non batte ciglio, non mi stacca gli occhi di dosso. Non tradisce emozioni. «Nessuno l’ha mai vista a parte me e non si è mai iscritta alla nostra scuola, in effetti. Pensi… pensi che sono pazzo?»
«Io l’ho vista» sospira Lazuli, dopo qualche secondo di silenzio. Distoglie lo sguardo dal mio. Si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mentre osserva il panorama e le luci della città sotto di noi.
«Eh?! C-cosa?!» mi scappa un grido. Sgrano gli occhi, sento i battiti accelerare.
«Beh, ti dà fastidio la cosa?!» sbotta, fulminandomi con lo sguardo, prima di volgersi di nuovo verso Kanazawa coperta di neve.
«N-no… cioè, allora vuol dire che non ho le visioni!»
«Non hai le visioni. E, in ogni caso, non ti avrei considerato pazzo… tu sei già un pazzo per fin troppi motivi. Sei fuori di testa».
«Già…» sorrido, confuso. Ha davvero visto Videl? O lo sta dicendo solo perché non vuole farmi credere di aver avuto le allucinazioni?
«Ieri sera, in stazione a Fujisawa» interrompe i miei pensieri Lazuli, come a voler dare risposta ai dubbi che ha letto nella mia mente. «Ne avrei fatto a meno, ma me la sono trovata davanti».
Eh?! Si sono viste in stazione subito dopo che Lazuli è andata via da casa mia?!
«Vi siete parlate?»
«Sì, anche se non ero dell’umore giusto per farlo. Abbiamo parlato per poco, poi per fortuna è arrivato lo shinkansen che lei stava aspettando. Era diretto in Hokkaido» mi spiega Lazuli con naturalezza, mentre la fisso a bocca aperta. «Avevo voglia di stare da sola. E, soprattutto, non avevo voglia di avere proprio lei tra i piedi».
«Come… come vi siete riconosciute?!»
«È lei che si è avvicinata quando le sono passata davanti, ha detto di avermi riconosciuta perché sono famosa. A quel punto ho capito anch’io chi fosse, del resto è davvero uguale a quella Videl-chan che veniva a casa tua per i gatti».
«Vive in Hokkaido?!»
«Credo di sì, io le ho solo chiesto perché era riapparsa dopo più di due anni. Dice che ha un’amica di Fujisawa che ha fatto le medie al Minegahara e che due anni fa è stata a casa sua per più di una settimana perché suo padre era via per lavoro».
Ripenso a quando l’avevo conosciuta ai tempi del mio ricovero in ospedale. Perché indossava la divisa della scuola Minegahara se non la frequentava? Se era addirittura di un’altra regione?
«Le ho chiesto del perché indossasse la divisa del Minegahara, se è questo ciò a cui stai pensando…» sibila Lazuli, voltandosi in mia direzione e scrutando i miei occhi sorpresi. «Gliel’ho domandato solo perché è l’unica cosa buona che ha fatto, altrimenti tu non saresti venuto lì a scuola e non ci saremmo conosciuti».
«È vero… per fortuna ci siamo trovati, Là» le sorrido.
«Diciamo che non era necessario farselo suggerire da una sgualdrina smorfiosa come quella!» sbotta all’improvviso, pizzicandomi una guancia e tirandomi verso di lei. Uno scatto di gelosia degno di lei, mi era sembrata fin troppo calma finora. «Non faceva altro che sorridere ed essere gentile, avrei voluto strangolarla con quei suoi codini!» ringhia, prima di mollarmi la guancia e incrociare le braccia sotto il seno, distogliendo lo sguardo dal mio. «Ma non le ho dato la soddisfazione di provocarmi e mi sono fatta vedere gentile anch’io. Più o meno, sì».
«Io penso che sia gentile con tutti e che non voleva provocarti…» butto lì. Basta un’occhiataccia della mia ragazza per farmi capire di non aver avuto una buona idea.
«Beh, se vuoi chiederlo di persona alla tua amichetta vai pure in Hokkaido» sibila, offesa. «Se lei è più gentile di me, accomodati pure…».
«Non mi interessa che tu sia gentile, Là… mi basta e avanza che tu sia te stessa perché mi piaci così come sei» le sorrido. Il suo sguardo si addolcisce. «E io ti trovo adorabile, in ogni caso».
«Comunque ha detto che due anni fa aveva preso l’abitudine di andare in giro con una divisa scolastica della sua amica mentre lei era a scuola, tutto qui. Così, perché le andava di farlo. La faceva sentire una vera cittadina di Fujisawa… si può essere più frivole?!».
«E perché allora mi ha mentito? Perché mi ha detto che frequentava il Minegahara?» domando, massaggiandomi la guancia ancora dolorante dal pizzicotto.
«Perché in quel momento indossava l’uniforme e si stava fingendo una studentessa di Fujisawa. E non pensava che ti avrebbe rivisto, almeno inizialmente» ribatte, irritata. «Poi non ti ha voluto dire la verità perché credeva che te la saresti presa, che l’avresti considerata una bugiarda, e comunque non le sembrava un dettaglio importante. Che stupida…».
«Già…» sorrido, scuotendo la testa lentamente. «Che stupido anche io ad aver creduto di essermi immaginato tutto… ma l’hai vista veramente?! Cioè, mi sembra tutto ancora così assurdo…».
«Come ti permetti di mettere in dubbio le mie parole?!» ringhia, regalandomi un’altra occhiata di fuoco. «Comunque, il fatto che tu non le abbia chiesto niente su tutti i dubbi che avevi su di lei mi fa capire che eri davvero sconvolto. E mi spiace davvero, perché dovevo esserci io al tuo fianco e non… n-non quella lì…».
Lazuli si volta di nuovo verso la città innevata e si lascia cadere le braccia lungo i fianchi. Stringe i pugni.
«Sì, ero troppo sconvolto per parlare… troppo anche per capire che ti avrei ferita. Sono stato io a sbagliare, Là, non tu» le dico dolcemente, avvicinandomi e abbracciandola. La stringo a me, e lei si lascia avvolgere dalle mie braccia. «Mi basta sapere che tu ci sei per me. E che ci sarai sempre».
Lazuli appoggia la testa contro il mio petto e cerca il contatto di una mia mano con la sua. Le nostre dita si intrecciano.
«Certo che ci sarò, stupido. E vedrò anche di tenerti d’occhio… sono io la tua unica senpai, chiaro?!»
«Cristallino, Là» mi metto sull’attenti, facendola sorridere.
«Comunque le ho chiesto anche se era lei Videl-chan e se conoscesse la Sindrome della Pubertà».
«Era lei, dunque?»
«Mi ha risposto che non conosce nessuna sindrome e che al mondo ognuno di noi ha almeno un sosia. Ha aggiunto che sarebbe stata curiosa di vedere questa Videl-chan e di farsi una foto con lei» mi spiega Lazuli, abbastanza irritata nel ricordare le parole di Videl. «Ma ha detto tutto questo sorridendo in modo strano, ho avuto l’impressione che mi stesse prendendo in giro e la cosa mi ha dato non poco fastidio».
«Credo che questo resterà un mistero, ma in fondo non è importante… come non è importante sapere come faceva a conoscere il mio indirizzo quando mi ha scritto quella lettera» ribatto, accarezzandole i capelli.
«Dice che ci ha visto rientrare a casa insieme, un giorno… e che quella volta non si è presentata all’appuntamento perché ha visto solo me in spiaggia e non le sembrava il caso» riprende Lazuli. «Ha pensato bene, almeno quella volta. Anche se poteva dirti direttamente quello che voleva quando ci ha visti… avremmo risparmiato tempo ed energie» sbuffa.
«In effetti… mi ha detto che voleva sapere come stavo e se avevo trovato il mio posto nel mondo. Ma che poi non mi ha più cercato perché ha capito che stavo bene con te e che avevo anche dei buoni amici» le spiego, riportando alla mente i vaghi e confusi ricordi dell’ultima volta che ho parlato con Videl.
«Sarà anche una persona gentile, come dici tu, e ti avrà… beh, sì, ti ha aiutato quando stavi male…» sibila Lazuli a denti stretti. «Però ti ha fatto anche soffrire sparendo senza dirti nulla per oltre due anni. Non mi va giù che ti ha fatto star male. Nonostante tutti i suoi sorrisini e le belle parole è stata una vera stronza…».
In effetti mi sono chiesto molte, troppe volte anch’io perché fosse sparita dopo avermi baciato. Se avevo sbagliato qualcosa. Se non ero abbastanza per lei. Mi ha dato degli ottimi consigli, è vero… consigli che ho cercato di mettere in pratica e di trasmettere ad altre persone. Ma mi ha anche lasciato un vuoto dentro, un vuoto che solo Lazuli è riuscita a colmare. Anzi, lei è riuscita a farlo strabordare, riempendolo con tanti di quei sentimenti ed emozioni che mai avrei creduto di essere capace di provare. O di avere la possibilità di vivere.
«Ho sempre… ho sempre pensato anch’io che non si sia comportata bene con me…» sospiro. «Però non porto rancore perché mi ha anche aiutato… e poi non mi importa, davvero, non mi interessa più. Ho dimenticato tutte le brutte sensazioni che ho provato in passato quel giorno in biblioteca, quando tu mi hai parlato per la prima volta. È strano, ma in quel preciso istante ho capito che il mio mondo era diventato il mondo di Lazuli Eighteen».
Lazuli arrossisce leggermente e distoglie lo sguardo dal mio. «Sarei ipocrita se dicessi che non le sono grata per essere sparita così a lungo dalla tua vita».
«Guarda che lo so che sei una persona sincera. E le sono grato anch’io per essersene andata, se tutto quanto è servito per farmi arrivare a te» la rassicuro. «Però… beh, io credo che noi due eravamo destinati a metterci comunque insieme. Videl o non Videl, io penso di averti amata da sempre… forse ti sembrerà una cosa stupida, ma è così…».
«Non è una cosa stupida, scemo. È una cosa bellissima» mi sorride, dandomi un bacio a fior di labbra che mi scalda il cuore. «E io non avrei avuto paura a sfidare Miss Codini, perché avrei vinto».
«E il trofeo in palio sarei stato io?» la provoco con voce roca, soffiandole sulle labbra.
«Non montarti troppo la testa, Son» ribatte, roca a sua volta, con un sorrisetto malizioso stampato sul suo volto angelico. Un volto angelico i cui occhi vengono improvvisamente attraversati da un lampo demoniaco, mentre con la mano mi stringe i testicoli in una morsa per un lungo istante, facendomi piegare in avanti senza fiato. «Chiaro?!»
«S-sì…» farfuglio, dolorante e preso alla sprovvista.
«Forse è meglio tornare alla tue classiche punizioni quando alzi troppo la cresta… così rischio di farti troppo male».
«M-mi piace… qualunque cosa mi fai…» sbiascico, sorridendole sghembo e facendola ridere.
«Sei un bravo maiale, Rad. Mi toccherà darti anche un contentino, magari…».
«Oh, non vedo l’ora» ribatto, ritrovando istantaneamente il mio vigore.
«Ma magari facevi finta, visto che ti sei già ripreso…».
«No, no… ti assicuro che faceva male…».
«Lo so» sorride soddisfatta.
«Senti, Là… vi siete detto anche altro?» domando, tornando serio.
«Ti interessa davvero?»
«Beh, sì… però poi non voglio più parlare di lei…».
Lazuli respira profondamente e guarda la luna alta nel cielo. Ha smesso di nuovo di nevicare. «Le ho chiesto cosa prova per te» sospira.
«Per me non è importante saperlo… io volevo solo te e voglio solo te» le sorrido.
«Interessava a me saperlo, anche se conoscevo già la risposta» accenna un sorriso. «Una ragazza le capisce subito certe cose» aggiunge, prima di voltarsi all’improvviso. I suoi occhi vengono attraversati da un lampo di rabbia. «Ci puoi credere che si è permessa di dirmi che sono una persona molto diretta per essere una di poche parole?! E che sono diversa da come appaio in tv?!»
«Hai mantenuto il controllo, vero?!» le chiedo, allarmato dalla brutta fine che potrebbe aver fatto fare a Videl a quel punto.
«Ma ti pare?! Ovvio, so darmi un tono io…» sbuffa. «E comunque ha anche detto che le piaccio. Maledetta lecchina…» ringhia, prima di volgere di nuovo lo sguardo verso il cielo nero che ci avvolge in questa notte gelida eppure bollente, come il sangue che sento scorrermi nelle vene ora che va tutto bene con la mia ragazza.
«Comunque ha detto che ha capito troppo tardi quello che provava per te, ma che va bene così perché se l’è cercata sparendo dalla tua vita» soffia, come un felino quando sta per perdere la pazienza. «Ha precisato che quello che conta è che tu ora sia felice, che è contenta che ce l’hai fatta grazie alle tue forze, ai suoi “magnifici consigli” e, soprattutto, grazie alla mia presenza» aggiunge, calcando e quasi storpiando apposta le parole “magnifici consigli” per imitare Videl.
Sorrido divertito. Sia per la sua imitazione, sia per le parole di Videl. Tipico suo… lei e i suoi “magnifici consigli” da senpai.
«Hai mai sentito qualcuno definire “magnifici” i propri consigli?! Io non ho parole…» sbuffa ancora Lazuli, irritata.
«In effetti…» rido.
«E comunque, d’ora in poi avrai solo da me dei “magnifici consigli”! Sono io la tua unica senpai! Punto» sbotta, fissandomi coi suoi occhi di ghiaccio che sembrano incandescenti e imitando ancora la pronuncia di Videl.
«Non chiedo di meglio, Là. Tu sei la mia coniglietta senpai!»
«Ha anche detto che Goku-kun si riprenderà, io le ho risposto che lo sapevo già perché ci siamo noi e perché c’è quel suo quaderno» riprende Lazuli, volgendo lo sguardo verso la città addormentata e innevata.
«Hai detto bene. Quando tornerai a casa ti porterò da lui».
«Certo, Rad. Ne usciremo tutti insieme, vedrai» risponde dolcemente. «Sai, la tua amichetta ha anche detto che sono intelligente e determinata. Che ha capito conoscendomi perché tu hai voluto stare con me e che ora sa per davvero che non hai più bisogno di lei».
È bello sapere che anche Videl è riuscita a vedere dietro la corazza con cui si difende Lazuli, a capire al volo che è una bella persona. Una su cui si può contare sul serio.
«Mi ha chiesto di prendermi cura di te, ma io le ho detto che non avevo certo bisogno che fosse lei a dirmelo» riprende. «Poi per fortuna è salita sul suo treno. Ha detto che era stata felice di conoscermi e che toglieva il disturbo».
Già, “togliere il disturbo”… tipico di Videl Satan. La stessa cosa che ha scritto sul bigliettino che ho trovato a casa mia l’altro giorno quando mi sono svegliato.
Mi avvicino a Lazuli e appoggio delicatamente l’indice e il pollice sul suo mento. La faccio voltare verso di me e la bacio dolcemente e intensamente. Mi inebrio di nuovo del suo sapore. Me la godo fino in fondo. E mi sento terribilmente fortunato ad averla come fidanzata.
«Io ho bisogno solo di te per stare bene. Prenditi cura di me, Là, per favore» sussurro.
«Certo Rad, non preoccuparti… ci penso io» mi sorride, mentre mi accarezza una guancia.
«Lazuli-san! Sono già passati venti minuti, sono anche stata fin troppo buona perché è il tuo compleanno!»
Le grida di Piiza-san squarciano la quiete del parchetto in cui siamo immersi e l’atmosfera magica creata intorno a noi.
«Lazuli-san! Non venire a lamentarti da me se poi ti prendi il raffreddore, eh?!»
«Sarà meglio tornare da lei» mi fa l’occhiolino la mia ragazza, prendendomi per mano e trascinandomi giù dallo scivolo insieme a lei.
 
«Ce ne hai messo di tempo per arrivare. Cominciavo ad essere stufa di aspettarti» bisbiglia Lazuli, irritata, prendendomi per il colletto della maglietta e trascinandomi con uno strattone nella sua stanza d’albergo, dopo aver dato un’occhiata fugace a destra e sinistra nel corridoio deserto.
Appena rientrati in albergo, infatti, ho fatto una doccia bollente nella stanza che mi aveva prenotato Piiza-san e mi sono cambiato con dei vestiti che mi ha comprato lei in un konbini vicino al parchetto dove siamo stati prima io e Là. Dei pantaloni della tuta neri e una maglietta bianca, oltre a un paio di boxer aderenti che purtroppo non sono colorati come quelli che alterno di solito. Boxer bianchi, poca fantasia… pazienza.
Ho dovuto lasciar passare un po’ di tempo per far sì che tutti andassero a dormire, visto che Piiza-san si è raccomandata ancora di stare alla larga dalla stanza della mia ragazza perché aveva bisogno di riposare per le riprese di domani. Non a caso, immagino, la mia stanza si trova due piani sotto a quella di Lazuli.
Ma nulla mi ha fermato, e così, come un ninja silenzioso, sono riuscito a presentarmi alla porta di Là senza farmi scoprire da nessuno. L’orologio segna l’1:25.
«Scusa, c’era ancora troppo via vai in corridoio per uscire prima dalla mia camera» mi giustifico.
«Già, ti ha messo vicino a quelli della troupe…» sbuffa. «Dai, togliti la maglia che voglio vedere come stanno le tue cicatrici. Sdraiati sul letto, poi» mi ordina, prendendomi per mano e conducendomi all’interno della sua stanza, molto più grande ed elegante della mia. La sua mano è calda e vellutata, il suo corpo emana un dolce profumo di doccia schiuma al cioccolato. Indossa una maglia aderente rossa e dei leggings neri. Cammina a piedi nudi sulla moquette.
La guardo, e sento i miei battiti accelerare. Mi rendo conto una volta di più che mi fa impazzire. Cazzo, se mi fa impazzire.
«Allora?! Ti togli o no la maglietta?! Cosa fai lì imbambolato?!» sbuffa, afferrando i bordi della mia maglia e aiutandomi a sfilarmela. «Scommetto che Miss Codini non sarà stata capace di medicarti come si deve. Fa’ vedere» sibila, facendomi sdraiare con una spinta sulla spalla e concentrandosi sul mio petto.
«Ecco, lo sapevo… tante belle parole e pochi fatti, quella lì…» ringhia. «Ti disinfetto io quelle ferite e ti faccio una fasciatura come si deve» aggiunge, alzandosi per tornare dopo pochi secondi con una boccetta di disinfettante e dei batuffoli di cotone in mano.
La osservo estasiato, mentre versa il liquido sul cotone e si avvicina a me. È bello sapere di avere qualcuno che si prende cura di te. Ed è troppo bello sapere che sia lei a prendersi cura di me.
«Grazie» le sussurro.
«Stai fermo. Ora brucerà un po’» ribatte, concentrata su quello che sta facendo.
Appoggia il cotone sulla prima ferita e sento una leggera scossa attraversarmi il torace.
«Fa male?»
«No… sto bene. Grazie per quello che stai facendo».
«Mi prendo cura del mio ragazzo. È normale» sbotta, arrossendo leggermente. È imbarazzata. Ed è adorabile.
«Ecco, porta ancora un po’ di pazienza che abbiamo finito» mi dice dolcemente, mentre conclude la medicazione della terza e ultima cicatrice. Stringo i denti. Brucia, in effetti. «Sei stato bravo» mi sorride, guardandomi negl’occhi e sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Adesso te le bendo. Solleva un po’ la schiena» aggiunge, prendendo in mano una benda arrotolata e cominciando a farla scorrere intorno al mio torace. Nel farlo mi abbraccia, mi fa sentire delicatamente le sue mani scorrere sulla mia pelle. Mi fa venire la pelle d’oca per il piacere che mi fa provare. Il profumo dei suoi capelli, così vicini alla mia faccia da sfiorarmela, mi inebria. Dovrei essere abituato alla sua vicinanza, al suo essere donna. Ma non mi abituo mai, mi fa sempre lo stesso effetto della prima volta. Mi emoziona, mi confonde, mi stordisce. Mi eccita, sì, anche quello.
Le afferro un polso. Lei mi guarda, i suoi occhi di ghiaccio non tradiscono emozioni. I nostri volti sono a pochi centimetri di distanza. Così pochi che posso sentire il suo respiro accarezzarmi le labbra.
«Ok, adesso giochiamo al dottore. Sei la mia crocerossina preferita» le dico roco, tirandola verso di me e baciandola avidamente.
Lei ricambia, prima di spintonarmi con la schiena contro la testata del letto. «Guai a te se ti fai ancora curare da qualcuna che non sia io» sibila.
«Mi piace quando fai così» le sorrido, avvicinandomi di nuovo a lei e stringendola con un braccio intorno alla vita. «Buon compleanno» aggiungo, portandola verso di me e baciandola ancora. Provo a sfilarle la maglietta, ma lei mi blocca la mano.
«Sono io che decido se puoi o no. Magari sei ancora in punizione…» mi minaccia, sorridendo sadica e maliziosa.
«Uffa…» sbuffo, fingendomi corrucciato. I suoi occhi brillano mentre si incatenano ai miei, già colmi di desiderio.
«E va bene, ti avevo anche detto che ti meritavi un premio…» sussurra, provocante, mentre mi spinge indietro e mi fa sdraiare.
Si sfila la maglia e la getta a terra, mettendosi a cavalcioni su di me.
Sento l’eccitazione crescere insieme alla voglia che ho di lei, a maggior ragione dopo tutto quello che è successo.
Mi sorride soddisfatta. Si abbassa verso di me, fino a sfiorare il mio volto col suo. I suoi capelli mi incorniciano la faccia, sembrano isolarmi dall’esterno e permettermi di vivere in un mondo in cui c’è solo lei. Il mio mondo ideale, già.
«Adesso facciamo pace come si deve» soffia sulla mia bocca. «Questo è il compleanno più bello della mia vita. Grazie, Rad».
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: cosa dire di questo capitolo? Lazuli ha fatto delle rivelazioni talmente grosse su Videl che tutto il resto penso passerà in secondo piano, e credo sia un peccato. Quindi andiamo con ordine: vi sono piaciuti i regali che le fa Rad? Tiffany vi sembra una buona scelta? Vi ricordavate la storia dell’uccello che condivide le ali? Spero poi che vi sia piaciuta anche alla fine la scena di Lazuli in versione crocerossina che, inevitabilmente, sfocia in tutt’altro, essendoci di mezzo Rad. Dite che è meglio lei o Videl come dottoressa? ;-)
Ma, adesso, torniamo a noi: cosa dite, Lazuli ha detto la verità su Videl? L’ha incontrata davvero? Le parole che ha riportato dette da Videl vi sembrano credibili? E, soprattutto, Videl può essere sopravvissuta a un incontro con Lazuli? Sempre se le due si sono incontrate e parlate realmente, ovvio. ;-)
Magari lo sapete già, ma l’Hokkaido è la prefettura più a nord del Giappone, la cui città principale è Sapporo.
 
Ringrazio tantissimo chi mi sostiene sempre con una recensione e chi mi dimostra ogni settimana il suo entusiasmo, chi è tornato a commentare e chi continua a farlo dai capitoli più vecchi. Grazie a chi continua a leggere in silenzio, aspetto con piacere anche il vostro parere dopo un capitolo chiave come questo.
Ringrazio poi chi ha letto e commentato anche la mia ultima one shot dal titolo “Ultima Foto” dedicata a Crilin e Marion. Venerdì tornerò con una nuova storia breve autoconclusiva su Trunks e Mai in cui potrete ammirare un nuovo disegno di Sapphir Dream realizzato apposta per l’occasione. Varrà la pena aprire la storia anche solo per il disegno, perché è bellissimo. Ringrazio in anticipo Sapphir anche da queste righe.
Un grazie va poi agli autori delle bellissime fan art di oggi, strettamente legate agli avvenimenti di questo capitolo: una magnifica Lazuli in versione dottoressa, ancora Lazuli appena sveglia dopo aver dormito con Rad e, per concludere, un Radish molto fiero di sé per come si sono svolti i fatti in questo capitolo. Siete d’accordo con lui? :-)
 
Questo è stato un capitolo fondamentale, ma vi dico subito che anche quello di settimana prossima lo sarà ancora, per risolvere un’altra questione rimasta in sospeso. E sarà così anche tra due settimane, dove vedremo finalmente in scena un personaggio attesissimo da molti di voi. Ma adesso dobbiamo pensare al prossimo capitolo, che si intitola “Il bacio del vero amore”. A chi si riferiranno queste parole fiabesche? Io ve lo dico, sarà un capitolo molto bello, non solo importante. Ci vediamo lì, allora, mercoledì prossimo!
 
Teo
 
 
 

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Capitolo 49
*** Il bacio del vero amore ***


49 – Il bacio del vero amore
 
 
5 dicembre
 
«Io vi aspetto in sala d’attesa, però» sospira mestamente Chichi, mentre io e Lazuli la precediamo all’interno del reparto dell’ospedale in cui è ricoverato mio fratello.
La mia ragazza è tornata da un paio d’ore da Kanazawa, dove ha finalmente ultimato le riprese del film ambientate lì, e ha subito voluto venire a trovare Goku nonostante sia già pomeriggio inoltrato. È la prima volta che lo vede da quando ha perso i ricordi di Goku-kun e sono riaffiorati quelli di Goku-san. Apprezzo che abbia voluto venire qui subito, perché so quanto tiene a mio fratello e quanto le sia pesato non poter essere presente quando è successo tutto questo casino. E, allo stesso tempo, apprezzo che abbia convinto, o meglio, “costretto”, sua sorella a seguirci. Non c’era più stato verso di farla venire in ospedale dopo che Goku non l’aveva riconosciuta l’altra volta.
«C-chiamatemi solo se lui chiede di me» bofonchia Chichi, a testa bassa. Si vede che ha sofferto tanto per questa situazione. E che sta soffrendo ancora. La capisco, per me sarebbe lo stesso se fossi in lei. Forse anche peggio. «Va bene, sorellona? Rad?»
«Non agitarti prima del tempo, Chichi-chan. Stai tranquilla e vedrai che andrà tutto bene» la liquida Lazuli, varcando la porta che conduce alle stanze dei pazienti e lasciando sua sorella in sala d’attesa. Io le sorrido e le do una carezza sulla testa, mentre le passo accanto e seguo la mia ragazza affrettando il passo.
«Aspettami, Là» la raggiungo. La prendo per mano. Proprio la mano sul cui anulare fa bella mostra di sé l’anello che le ho regalato. Mi sento felice a vederle indossare il mio regalo di compleanno. Ad averglielo potuto dare. Al pensiero che sia andato tutto bene tra noi.
«Ho fretta di vederlo perché mi spiace non esserci stata quando ne avevate bisogno. Stanza numero sette, giusto?» ribatte, individuando in lontananza il numero di stanza che le avevo spiegato essere quello di Goku.
«Sì, però non reagire male se non ti dovesse riconoscere. Anche se c’è da dire che ha fatto molti passi avanti da quando ha perso i ricordi. Mi sto abituando alla sua nuova personalità».
«Andrà tutto bene, non sottovalutare tuo fratello. E non sottovalutare me, perché dovrei reagire male?!» sbotta, lanciandomi un’occhiataccia.
«Non mi permetterei mai, mia regina» le sorrido, facendo strada nella stanza di Goku.
«Ciao fratellone!» esclama allegramente mio fratello, svaccato sul letto con dei manga sparsi sul lenzuolo. Sopra di loro, però, scorgo anche il suo quaderno-diario. So che lo legge spesso e che si sta impegnando con tutto sé stesso per recuperare quello che sente di aver perso. Non solo ricordi, ma anche affetti. «A-ah, ma non sei solo! Urcaaa!» aggiunge, saltando giù dal letto e cercando di sistemarsi decentemente il pigiama non appena scorge Lazuli al mio fianco. Lei soffoca una risata mentre lo guarda. E sorride, prima a lui e poi al quaderno che ha notato anche lei sul letto. «Rad, dovevi dirmi che avresti portato… uhm… l-la tua ragazza?»
A volte mi chiama “Rad” e a volte “fratellone”, mi ci sto abituando.
«Sono Lazuli Eighteen, è bello rivederti Goku-kun. O forse dovrei dire “piacere di conoscerti”!» gli sorride di nuovo, accennando un inchino di presentazione.
«Ehm… io sono Goku Son, piacere di conoscerti» risponde mio fratello, un po’ intimidito. «E-ecco… scusa se non mi ricordo più di te. Però ho letto che sei stata molto buona con me e mi hai anche fatto dei bei regali negli ultimi mesi. Meno male che mi ero scritto tutto!» ridacchia, grattandosi la nuca. «Io… io volevo ringraziarti per quello che hai fatto per me, Lazuli-san! E poi vorrei ringraziarti per esserti presa cura del fratellone».
«Star dietro a questo stupido è la cosa più impegnativa» sbuffa Lazuli, prima di afferrarmi un orecchio e trascinarmi verso di lei.
«Ahia, Là! Mi fai male!» protesto, cercando di divincolarmi.
«Sei proprio simpatica come avevo scritto!» ride mio fratello, che sembra aver già rotto il ghiaccio con Là e non appare molto intimidito. Ma lei ci sa fare, è innegabile… se ripenso a com’era intimorito dal mondo Goku-kun quando lei è entrata nelle nostre vite e quanto siano cambiate in fretta le cose da quel momento in poi, beh, resto senza parole. Lei aveva subito saputo conquistarsi la fiducia di Goku-kun e l’aveva fatto con una spontaneità disarmante.
«Sono molto più che simpatica. So fare un sacco di cose».
«Sì, ad esempio sa picchiarmi!» mi intrometto, interrompendola.
«Giusto» ribatte lei, impassibile, mollandomi uno scappellotto particolarmente potente sulla nuca. «Ma avrei voglia di cucinare, dopo tutti questi giorni di riprese. Lo sai che sono un’attrice?»
«Questo me lo ricordavo anche senza averlo letto sul quaderno!» risponde Goku, fiero di sé. «Mio fratello guardava sempre i tuoi telefilm e i tuoi programmi, e io li vedevo con lui e la mamma!»
Lazuli sorride dolcemente, prima di voltarsi verso di me e guardarmi. Il ghiaccio nei suoi occhi sembra sciogliersi. Lo so che la intenerisce molto questa cosa che io l’avevo sempre ammirata fin da quando ero bambino. Che ero già innamorato di lei, probabilmente non solo di quel genere di amore che può provare un bambino per una sua coetanea, ma qualcosa di più a giudicare da come il destino ci abbia messi l’uno sulla strada dell’altra, a un certo punto. Ho pensato spesso che io e Là eravamo semplicemente legati dal filo rosso del destino e che lo eravamo da sempre. So che l’ha pensato anche lei. Come so che quel filo rosso non potrà mai spezzarsi.
«Diceva… diceva che ero brava, spero» prova a ridarsi un tono Lazuli, tornando a rivolgersi a mio fratello.
«Urcaaa, sì! Una volta aveva detto alla mamma che eri la ragazza più bella del mondo!» ride Goku. «Te lo ricordi, fratellone?»
«Sì, ma ora smettila coi ricordi imbarazzanti o ti mollo un pugno in testa che ti metterà a nanna fino a domattina» sbuffo, minacciandolo bonariamente.
«Non dire queste cose a tuo fratello, scemo» mi sgrida Lazuli, pestandomi un piede e muovendo un passo verso Goku. «Anche perché ti ha fatto guadagnare altri punti ai miei occhi questo ricordo, dovresti esserne felice».
«C-certo, è un onore per me… sarebbe anche bello se smettessi di farmi del male oggi. Finirò ricoverato anch’io se continui così».
«Siete… siete buffi! Mi piace stare con voi!» ride mio fratello, mentre Lazuli si para davanti a lui e lo osserva con fare enigmatico.
«Dimmi la verità, Goku-kun» comincia, serissima, fissandolo con occhi fiammeggianti a un passo da lui. «Tuo fratello faceva apprezzamenti anche ad altre attrici o altre ragazze?»
«E-ehm… no… no!» farfuglia, intimorito, facendo passare lo sguardo freneticamente da lei a me. Io gli lancio uno sguardo colmo di riconoscenza, conscio di essermi appena salvato la vita. Altro che ricovero.
«Molto bene, Goku-kun. Sarà meglio che tu mi abbia detto la verità, lo sai?» gli sorride Lazuli, dandogli una leggera pacca sulla testa e dandogli le spalle. Si dirige verso di me.
«S-sì… è la verità!» esclama Goku.
«Lo so, sto scherzando!» scoppia a ridere Lazuli, allungando il pugno chiuso verso il mio.
Sorrido a mia volta e batto il mio pugno contro il suo, prima di passarle un braccio intorno alle spalle e cingerla a me. Mi sento terribilmente complice con lei. E tanto, tanto felice, soprattutto.
«Però, Lazuli-san… mi spiace non ricordarmi di quello che hai fatto per me. E ti chiedo scusa anche per Chichi-chan, non volevo farla soffrire» dice Goku, tornato improvvisamente serio. Sembra mortificato.
«Non mi devi nessuna scusa. Tutto si risolverà di sicuro» gli sorride Lazuli, staccandosi da me e cominciando a camminare verso l’uscita della stanza. «Anzi, sono certa che tra pochi giorni ti faranno tornare a casa e a quel punto preparerò una delle mie cene, così mangeremo tutti insieme come una volta. Anche se voi Son mangiate come dei lupi e non è semplice star dietro al vostro appetito… mi farò aiutare da Chichi-chan» aggiunge, allargando le braccia, prima di voltarsi. «E, a proposito di lei, se vuoi parlarle ti conviene farlo adesso. Non serve che dici a me certe cose».
«Lei è qui?!»
«È in sala d’attesa» rispondo io a mio fratello.
«Io… io vorrei vederla, se non mi odia…».
Lazuli accenna un sorriso e si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio, prima di sparire in corridoio.
«Ascolta, potrebbe essere un po’ agitata… ma sappi che ti vuole bene davvero. E che ha sofferto molto» catechizzo Goku, che deglutisce il nulla fissando la porta aperta della camera.
«Lei… lei era davvero la mia ragazza? Ho una idol come fidanzata?»
«Che cazzo ne so di cosa eravate, Goku! So solo che vi siete baciati e che tu le volevi bene, che ti piaceva stare insieme a lei» rispondo, stringendomi nelle spalle e sbirciando in corridoio, dove intravedo Lazuli e Chichi che si dirigono verso di noi. «Comunque sì, è una idol e sta diventando sempre più famosa. A quanto pare siamo destinati entrambi a stare insieme a delle celebrità» gli sorrido. «Forse adesso capirai cosa eravate e cosa sarete… cerca di non spezzarle il cuore di nuovo, però» mi raccomando.
Mio fratello annuisce. Sembra teso, non solo confuso. Gli faccio il segno del pollice rivolto verso l’alto ed esco dalla stanza per andare incontro a Chichi, che cammina lentamente e a testa bassa.
«I medici hanno detto di non insistere troppo sui ricordi che ha perso per non farlo sforzare e anche di evitare di procurargli shock emotivi troppo forti» le spiego, mentre lei annuisce. Sembra assente, non semplicemente triste.
«Chichi-chan! Ehi, Chichi-chan! Non dar retta a questo scemo, fai quello che ti senti!» sbotta Lazuli, bloccandosi davanti a sua sorella e afferrandole le spalle per scuoterla e farla tornare in sé.
Chichi solleva lo sguardo. Ha gli occhi lucidi.
«Dicevo solo che ci vuole pazienza e che…» provo a precisare, zittendomi dopo un’occhiataccia omicida da parte della mia ragazza. Allargo le braccia e mi faccio da parte. Stavo mettendo le mani avanti solo per evitare una scena come quella di una settimana fa, per proteggere Chichi. Ma penso che l’abbia capito anche Lazuli questo. Eppure sembra sicura di sé, come se avesse in mente qualcosa. E la mia esperienza mi suggerisce di fidarmi del suo istinto.
«Fai quello che ti senti quando sarai lì dentro, ok?!» la sprona Lazuli. Chichi annuisce freneticamente. Stringe i pugni. «Goku-kun ci tiene a vederti. Andrà tutto bene. Ti fidi della tua sorellona?»
«S-sì, sorellona» accenna un sorriso Chichi. Comincia a sembrare determinata.
«E poi c’è anche Rad. Ci siamo tutti stavolta, ogni cosa si sistemerà».
«Ok!» esclama Chichi, finalmente decisa. «Non farò nulla di eclatante comunque. Ho solo intenzione di parlargli con calma e scusarmi per l’altro giorno».
Fa un passo in avanti. Si ferma e respira profondamente, prima di entrare nella stanza di mio fratello con me e Là al suo seguito che ci lanciamo un’occhiata d’intesa.
«E-ehm… ciao Chichi-chan!» la saluta Goku, cercando di mostrarsi allegro come al solito, anche se in realtà si vede che è teso.
«Oh, G-goku… Goku-kun!» grida Chichi, cominciando a correre verso mio fratello, che la guarda attonito. Sta piangendo.
«S-scusa, Chi…» prova a farfugliare confuso Goku, venendo però interrotto da Chichi, che lo abbraccia forte e lo bacia all’improvviso, zittendolo.
Osservo la scena a bocca spalancata. Mi volto verso Lazuli, che accenna un sorriso soddisfatto, come se si aspettasse tutto questo. Guardo di nuovo Goku, che ha gli occhi sgranati e le braccia rigide lungo i fianchi, con Chichi stretta a lui. Vedo i suoi occhi chiudersi lentamente e le braccia avvolgersi delicatamente intorno alla schiena di Chichi.
Meno male che non doveva fare nulla di eclatante. E nessuno shock emotivo, già.
«Direi di lasciarli soli» interviene la mia ragazza, prendendomi per mano e trascinandomi verso l’uscita della stanza.
«Ah… l-la testa…» farfuglia all’improvviso Goku.
Mi volto di scatto insieme a Lazuli e lo vedo piegarsi sulle ginocchia, con le mani strette intorno alle tempie e il viso contratto in una smorfia di dolore.
«Goku-kun! Stai bene?!» urla Chichi, abbassandosi a sua volta.
«Goku! Goku! Cos’hai?!» sbotto, correndo verso di lui. «Là, chiama un medico, presto!»
«N-no… a-aspetta!» bofonchia Goku, rialzandosi a fatica. «S-sto bene… sto bene, scusatemi».
«Oddio, è tutta colpa mia!» esclama Chichi.
«No, Chichi-chan! Sto bene!» ride lui, grattandosi la nuca.
«Mi… mi hai fatto spaventare! Siediti, per favore! Sarà meglio chiamare lo stesso un medico…» sospira Chichi, mentre mio fratello si siede sul letto.
«Cos’è successo? Hai ancora male?» gli chiedo.
«No, sto bene… ho avuto una specie di fitta alla testa. Non so perché».
«Forse perché stai cominciando a ricordare qualcosa» interviene Lazuli. «Quel bacio potrebbe aver risvegliato qualcosa dentro di te».
«Ah, davvero?! Beh… può darsi!» ridacchia imbarazzato, mentre Chichi arrossisce vistosamente e abbassa la testa. «Comunque, Chichi-chan, quando verrò dimesso mi preparerai ancora i tuoi onigiri al sesamo? Erano i miei preferiti!»
«C-certo, Goku-kun… v-volentieri. Sono felice che ti piaccia la mia cucina…» sospira lei, paonazza, senza guardarlo.
In quel momento realizzo qualcosa, però. E sollevo la schiena di scatto, sgranando gli occhi e guardando prima mio fratello e poi Lazuli. Lei sembra tranquilla, ma ha un sorrisetto enigmatico dipinto sul volto.
«E quando hai mangiato quegli onigiri al sesamo, Goku-kun?» gli chiede freddamente. Realizzo che anche lei ha capito tutto.
«Quando siamo andati in spiaggia, no? Anche tu avevi fatto degli onigiri e, soprattutto, degli okonomiyaki!»
«Che… che gusto avevano gli okonomiyaki?» domando con un filo di voce.
«Erano… erano con verdure e formaggio! Avevano “il sapore dell’amore”, come avevi detto tu, fratellone!» ride mio fratello, come se fosse la cosa più ovvia del mondo che lui possa ricordarsi certi dettagli.
«Tu… tu non avevi scritto queste cose sul quaderno, se non sbaglio…» sorrido, mentre Chichi risolleva la testa e sgrana gli occhi. Lazuli annuisce lentamente, appoggiata con la schiena contro il muro e con le braccia incrociate sotto il seno. «Vero?»
«Ehm… ora che mi ci fai pensare, no…» borbotta Goku, che forse sta iniziando a capire anche lui quello che è successo. «Avevo scritto che eravamo stati in spiaggia e che ci eravamo divertiti mangiando tutti insieme e giocando a calcio. E che poi era arrivato un ragazzo che mi aveva fatto paura. Credo fosse Crilin-kun… ma perché avevo paura di lui?» si domanda, allargando le braccia, prima di spalancare la bocca e strabuzzare gli occhi. Sì, forse ora ci è arrivato davvero. «M-ma… allora sto cominciando a ricordare qualcosa!»
«Goku-kun, sono tanto felice! Sono tanto fiera di te!» tira un sospiro di sollievo Chichi, abbracciando di nuovo mio fratello e ricominciando a piangere di gioia.
«Ci voleva un bacio della principessa per risvegliare il principino» sibila Lazuli, tagliente.
«Davvero! Goku, sei una cazzo di Biancaneve ormai!» rido sguaiatamente, mentre Chichi diventa paonazza e lui mi guarda con fare offeso. «O di Bella Addormentata nel Bosco, vedi te, tanto si fanno svegliare entrambe dal bacio del vero amore! Chichi, sei un perfetto Principe Azzurro!»
«S-sei un cretino!» sbraita Chichi, mollandomi un tremendo pugno in testa.
«Ahia… merda…» impreco, piuttosto stordito.
«Te le vai a cercare. Parli sempre troppo» interviene Lazuli, fredda e distaccata.
«C’è fin troppa confusione per essere una stanza d’ospedale. Vi si sente fino dalla sala d’attesa» esordisce Bulma, entrando nella camera seguita da Vegeta. Sono venuti anche loro a trovare mio fratello, a quanto pare. «Scommetto che è tutta colpa tua, Son-kun» sospira, guardandomi mentre ancora mi massaggio la testa dolorante.
«Il solito deficiente, tsk!» sbotta Vegeta, portando le braccia al petto, stizzito.
«Bulma-san! Vegeta-sama! Grazie per essere venuti!» esclama gioviale mio fratello, agitando una mano per salutarli.
Il cuore mi batte un po’ più forte, perché la memoria di mio fratello sta davvero tornando e non è stato probabilmente un caso isolato il ricordo degli onigiri al sesamo mangiati in spiaggia. Goku, infatti, non dovrebbe conoscere Bulma e Vegeta perché sono entrati nella sua vita solo negli ultimi due anni e mezzo. Erano amici di Goku-kun, in teoria, non di Goku-san.
«Non pensavo che ci avresti riconosciuto, si vede che stai meglio e sei pronto per delle ripetizioni di matematica!» scherza Bulma, sorridendo a mio fratello.
«N-no, Bulma-san! Io odio la matematica!» protesta Goku, facendoci scoppiare tutti a ridere.
«Chichi l’ha appena baciato e sembra che alcuni ricordi stiano cominciando a riaffiorare» spiega Lazuli.
«Dev’essere stato lo shock emotivo derivato dalla riproposizione di una situazione già avvenuta in passato. Le connessioni neurali di un soggetto affetto da amnesia possono riattivarsi in determinate circostanze grazie a sensazioni ed emozioni già vissute, ricreando un contesto simile» riprende Bulma. Penso al fatto che Chichi stava addirittura piangendo quando è corsa incontro a Goku e l’ha baciato. Proprio come in quel loro primo bacio, sul pianerottolo di casa nostra. «Hai fatto un ottimo lavoro, Chichi-chan. Non sempre funzionano e non sempre sono consigliabili queste terapie d’urto, ma, da quello che vedo, direi che hai scoperchiato il Vaso di Pandora nella testa di Goku e che gradualmente torneranno disponibili alla sua memoria tutti i ricordi perduti».
«Se con un bacio è riuscita a fargli tornare i ricordi, chissà cosa succederà quando farete altro…» alludo maliziosamente, dando di gomito a Vegeta che comincia a ghignare. «Se volete vi lasciamo soli e chiudiamo la porta a chiave!»
«Tu… stai zitto, maniaco!» sbraita Chichi, paonazza, colpendomi di nuovo con un pugno in testa, prima di scoppiare a ridere anche lei insieme a me e agli altri.
È bello essere qui tutti insieme. È stupendo vedere la luce in fondo al tunnel. Mi spiace aver visto tutto nero quando è successo questo casino, mi sento in colpa per essere stato così pessimista e aver perso il controllo. Ho fatto soffrire e preoccupare le persone intorno a me. Soprattutto Lazuli. Già, proprio la persona che mai al mondo vorrei veder star male, soprattutto a causa mia. Ma ce l’abbiamo fatta, tutti insieme. Sento che ce la faremo, che mio fratello ne uscirà davvero più forte di prima. E che tutto si sistemerà.
 
 
7 dicembre
 
«Sicuro di non aver dimenticato niente?» chiedo a Goku, mentre chiudo la zip di uno dei due borsoni che gli avevo portato qui in ospedale quando era stato ricoverato.
«Sì…» sospira, mentre stringe tra le mani il suo quaderno-diario e lo osserva quasi con riconoscenza. Sembra indeciso se metterlo nella borsa ancora aperta appoggiata sul letto davanti a lui o se continuare a tenerlo in mano.
«Allora torniamo a casa, Goku» gli sorrido, scompigliandogli i capelli con una mano. «Là e Chì ci stanno aspettando. Stanno preparando un sacco di cose buone… mangeremo fino a scoppiare oggi!»
I medici, infatti, hanno visitato Goku dopo il primo riaffiorare dei suoi ricordi perduti avvenuto due giorni fa e oggi hanno deciso di dimetterlo grazie ai suoi continui miglioramenti.
«Comunque, fratellone… io volevo dirti “grazie” per tutto quello che hai fatto per me» sospira di nuovo Goku, riponendo finalmente il quaderno nel borsone e chiudendo la cerniera.
«Figurati» gli rispondo, mettendomi a tracolla il borsone, prima di guardarlo dritto negl’occhi. «Anch’io devo ringraziarti».
«E per cosa dovresti ringraziarmi?» domanda, allibito.
Resto in silenzio per qualche secondo, distogliendo lo sguardo dal suo e continuando a sorridere. Come in un flash, vedo passarmi davanti gli ultimi due anni e mezzo della mia vita. In particolare gli ultimi sette mesi, da quando tutto è cambiato per me in quello che doveva essere un pomeriggio qualunque in biblioteca. Ero entrato per un libro e ne sono uscito con una senpai vestita da coniglietta incisa nel cuore. Rivedo tutto il dolore e la felicità, la paura e l’amore, l’ansia e il sollievo. Penso che abbiamo fatto un grande viaggio insieme, io e mio fratello. E che io non sarei quello che sono adesso, senza di lui.
«Perché sei il mio fratellino, no? E perché è anche merito tuo se oggi nella mia vita c’è Lazuli, oltre a tutti i miei amici. Sarei diventato una persona diversa senza tutto quello che abbiamo passato insieme, ma quello che sono oggi credo sia tutto ciò che vorrei essere per sempre» gli spiego. «A proposito, ieri ho incontrato il tuo amico Crilin e mi ha detto che vorrebbe vederti».
«Crilin-kun?!»
«Sì, quello che abbiamo visto in spiaggia».
«Io vorrei vederlo. Siamo sempre stati amici fin da piccoli».
Goku distoglie lo sguardo dal mio e abbassa leggermente la testa.
«Allora glielo diremo. C’è qualcosa d’altro che vorresti fare? A parte il banchetto che ci aspetta a casa, intendo».
«Mi piacerebbe andare a vedere i dinosauri con Chichi-chan. Magari anche con te e Lazuli-san».
«Certo, vedrai che ci divertiremo. Dopo glielo proponiamo subito, allora».
Do una pacca sulla spalla a Goku e sollevo il borsone dal letto, facendoglielo ricadere tra le mani.
«Dai, andiamo».
«Aspetta, fratellone! Vorrei fare un’altra cosa, già domani… ma ho bisogno che tu mi dia il permesso adesso».
Lo osservo, mentre si sistema il borsone a tracolla e stringe i pugni così forte da farsi sbiancare le nocche. Non mi guarda.
«Spara».
«Ecco… io… beh, io vorrei andare a scuola domani. Devo riuscirci».
«Sei sicuro?»
«Sì, voglio barrare l’ultimo obiettivo rimasto sul quaderno, e voglio farlo subito».
Solleva finalmente lo sguardo e accenna un sorriso, puntando i suoi occhi nei miei.
«O meglio: Goku-kun vuole raggiungere a tutti i costi il suo ultimo obiettivo. Vuole portare a termine la missione, fratellone».
Parla volutamente in terza persona, probabilmente perché comincia a ricordarsi dei due anni e mezzo in cui si riferiva a sé stesso sempre in questo modo e vuole farmelo sapere.
Mi ricorda così tanto il Goku-kun a cui ho fatto praticamente da padre e che ho avuto paura di aver perso per sempre che gli occhi mi diventano lucidi.
Ma sorrido. Sorrido e abbraccio mio fratello. Il mio fratellino Goku.
Un abbraccio di pochi secondi in cui scorre tra noi in un istante tutto quello che abbiamo affrontato insieme.
Abbiamo toccato il fondo insieme, ma siamo riusciti a risalire. Con le nostre forze e con l’aiuto di chi abbiamo trovato sul nostro cammino. Grazie a Lazuli e a Chichi, soprattutto. Fino a sfiorare la vetta del cielo, come adesso.
«Non hai più paura di andare a scuola?»
Guardo Goku negli occhi, e mi rendo conto di quanto la mia sia una domanda retorica. Leggo nel suo sguardo determinazione e serenità, sicurezza e spontaneità. Voglia di fare. Voglia di vivere.
Sorride di più.
«Direi di no, fratellone. Non ho più paura… perché non sono più solo».
 
 
 
 
 
 
 
Note: allora, vi è piaciuto questo capitolo? Basta dolore, basta sofferenza, basta incomprensioni, a quanto pare… a volte basta poco, basta un gesto semplice e spontaneo eppure magico e indimenticabile come un bacio per risolvere i problemi o, quantomeno, per sentirsi meglio. Chichi segue l’istinto come le aveva suggerito Lazuli e riaccende il Goku-kun sopito all’interno di Goku-san. La principessa che salva il principe, mi sembrava una cosa carina  e spero l’abbiate apprezzata, così come il bacio del vero amore che fa molto favola Disney. Veniamo anche a sapere grazie a Goku qualche ricordo di un piccolo Rad innamorato di una piccola Là davanti alla tv, spero vi sia piaciuta anche questa parte perché nel prossimo capitolo avremo ancora qualcosa da sentire su questo argomento grazie all’entrata in scena (finalmente, direte) di un personaggio che conosce molto bene l’infanzia del nostro protagonista. Chi sarà mai?
 
Un grazie gigante a chi mi lascia sempre una recensione e a chi non si è ancora stufato di me e di questa storia, che col capitolo di settimana prossima compie un anno di pubblicazione e a me ancora non sembra vero. Grazie a chi legge sempre, a chi mi fa sentire la sua presenza e a chi vorrà magari darmi il suo parere oggi dopo tanto tempo, cosa sempre graditissima. Ringrazio poi gli autori di queste bellissime fan art che ho deciso di postare oggi. Una tra Goku e Chichi era doverosa, mentre abbiamo anche una fantastica Là in versione Eva Kant in onore del capitolo in cui Rad aveva fatto irruzione nella scuola di Goku come un ladro.
Un grazie va poi a chi ha letto e apprezzato la mia drabble su Goku e Chichi in versione Aladdin che ho pubblicato giovedì scorso e quella su Trunks e Mai di venerdì, entrambe impreziosite dai bellissimi disegni di Sapphir Dream, che ringrazio ancora.
 
Bene, come vi dicevo settimana prossima questa storia compie un anno e in più facciamo cifra tonda col capitolo 50, un traguardo che mi sembrava impensabile e assurdo allora, ma se sono e siamo arrivati fin qui lo devo a voi. Grazie davvero, ve lo dico ora e ve lo dirò di nuovo quando questa long si concluderà al capitolo 55. Ho già la malinconia addosso se devo essere sincero, ma forse sono solo il solito “romanticone e nostalgico del cazzo” come direbbe Veggy a Rady. ;-)
Eh sì, li ho chiamati apposta con quei nomignoli che so che apprezzate tanto perché settimana prossima torna in scena Marion, oltre a Lunch e Mai. Ma il capitolo 50 che fa anche da compleanno a questa storia non poteva essere banale, e nemmeno breve… non bastano certo le tre amiche di Rad a renderlo speciale, e non basta nemmeno sapere se stavolta Goku riuscirà ad andare davvero a scuola (a proposito: ce la farà secondo voi?). Quindi tenetevi pronti perché penso che potrà esserci un po’ di commozione, spero con tutto me stesso che questo capitolo saprà farvi emozionare e anche sorridere. Chi vedremo in scena oltre i personaggi che ho citato?
Ah già, il titolo è “Una miriade di emozioni” e ci saranno dentro anche un paio di vecchie fotografie, non vedo l’ora di farvelo a leggere! A mercoledì!
 
Teo

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Capitolo 50
*** Una miriade di emozioni ***


50 – Una miriade di emozioni
 
 
9 dicembre
 
«Senpaiii!»
Una voce allegra che conosco fin troppo bene mi spinge a voltarmi di scatto, ma non abbastanza in fretta da evitare una pedata nel sedere fin troppo energica, considerando che non ho combinato niente per meritarmela.
«Ahia, cazzo… quando imparerai a portarmi rispetto, maledetta primina?!» borbotto, mentre Lunch mi sorpassa correndo e mi fa la linguaccia. «Tu e il tuo stupido vizio di dare pedate nel culo. Sto andando agli allenamenti, vorrei arrivarci tutto intero».
«Perdonala, senpai! Lo sai che è fatta così!» prova a giustificarla Mai, visibilmente imbarazzata, correndole dietro e bloccandola. Scoppiano a ridere entrambe e si fermano davanti a me.
Facciamo un tratto di strada insieme nel cortile della scuola in direzione del campo da calcio. Anche oggi ci alleniamo durante la pausa pranzo in vista del campionato nazionale, ormai sempre più vicino. Lazuli è andata a studiare in biblioteca perché quelli del terzo anno devono svolgere una particolare ricerca in vista del diploma, mentre Vegeta ha accompagnato Bulma nel laboratorio di scienze e mi raggiungerà a breve direttamente sul campo.
«Dovresti prendere esempio da Mai-chan, lei sì che sa come bisogna comportarsi con un senpai» redarguisco bonariamente Lunch, che mette il broncio e mi fa un’altra linguaccia. «Lei è educata e adorabile, mica come te. Prendi nota».
«N-non dire così, senpai…» arrossisce Mai, visibilmente imbarazzata.
«Non dare retta a quello scemo…» sbuffa Lunch, facendomi scoppiare a ridere. «Ero “educata e adorabile” anch’io però, quando ho impacchettato i tuoi regali per Lazuli-san insieme a Mai-chan!»
«Certo, ma tu sei gentile e carina solo quando vuoi. Altrimenti diventi una bestia… sei una kohai bipolare, te l’ho mai detto?» la provoco.
«E tu sei un cavernicolo con gli occhi da cadavere, oltre che un maiale!» ribatte.
«Basta bisticciare, ragazzi!» interviene Mai, decisamente a disagio.
«Ma noi scherziamo, Mai-chan! Ci vogliamo tanto bene, vero Lunch-chan?» esclamo, facendo passare un braccio intorno alla spalla di Lunch per poi camminare qualche passo stretto a lei.
«Sì, basta che la pianti di fare il cretino!» sbotta, stizzita e paonazza, allontanandomi con uno spintone. «Comunque… comunque a Lazuli-san sta benissimo quell’anello» aggiunge, sorridendomi sinceramente.
«Sì! È davvero meravigliosa!» conferma Mai.
«Non vi ringrazierò mai abbastanza per avermi aiutato coi pacchetti e per avermi spronato ad andare da lei, settimana scorsa. Grazie di cuore, ragazze».
Le guardo negl’occhi entrambe, sperando che possano capire che le sono davvero grato per tutto e non sto scherzando come spesso amo fare.
«Non devi ringraziarci. Siamo tue amiche, no? Io poi sono la tua migliore amica, giusto? Sono arrivata per prima!» ride Lunch, facendomi l’occhiolino.
«Sei il nostro senpai a scuola e persino al lavoro!» rincara la dose Mai, radiosa come sempre. Sono felice di aver potuto conoscere meglio anche lei negl’ultimi mesi. Non è mai successo nulla di particolare che l’abbia coinvolta o che abbia richiesto il mio aiuto, ma ho capito fin dalla prima volta che l’ho vista che sarebbe potuta diventare una buona amica per Lunch. Di lì a poco ho visto che era davvero una persona su cui contare.
«Con tutti i guai che hai combinato in passato non so se posso definirti la mia migliore amica, comunque…» sospiro, allargando le braccia e guardando Lunch. Mi diverte provocarla e lei ama stare al gioco.
«Ma se siamo anche stati fidanzati per finta per tre settimane!» ribatte, scoppiando a ridere.
Guardo Mai, e vedo che sta ridendo anche lei.
«Ti ha raccontato tutto?» domando alla mia amica dai capelli neri.
«Sì, anche se all’inizio non potevo crederci a questa storia della Sindrome della Pubertà e dei loop temporali» sorride.
«L’ho detto solo a lei, senpai. Tranquillo» interviene Lunch. In effetti non pensavo che Mai sapesse la verità, non essendo mai stata coinvolta in nessun caso legato alla Sindrome della Pubertà. Però penso che Lunch abbia fatto bene a confidarsi con lei.
«Anch’io non potevo credere a molte cose che sono successe a causa di questa maledetta sindrome. Un giorno ve le racconterò, magari…» accenno un sorriso, distogliendo lo sguardo dal loro e pensando che senza questa “maledetta sindrome” forse non sarei nemmeno la persona che sono adesso. Forse non sarei felice. Avrei sofferto di meno, probabilmente, però credo che non sarei felice come posso dire di essere adesso. Probabilmente non avrei mai conosciuto Lazuli, ad esempio. E già questo basta e avanza per poter essere in qualche modo grato alla Sindrome della Pubertà.
«A cosa pensi, senpai?» interrompe le mie riflessioni Lunch.
«Che forse non dovrei definire “maledetta” la Sindrome della Pubertà. Mi ha reso quello che sono, mi ha legato a Lazuli e ha cementato il rapporto che ho coi miei amici».
«Anche a me ha insegnato molto quella sindrome. Mi ha fatto diventare più forte» conferma Lunch.
«Lo sai che ti ho conosciuta per la prima volta in uno dei suoi loop temporali?» dico a Mai.
«Sì, me l’ha raccontato! Però… beh, s-sono felice di averti conosciuto anche in questa linea temporale, senpai» risponde Mai, distogliendo lo sguardo dal mio.
«Sono contento anch’io, Mai-chan. E sono felice che ne abbiamo riso insieme per tutto questo, come ci eravamo detti quel giorno» ribatto, guardando prima Mai e poi, soprattutto, Lunch. Mi riferisco ovviamente a quel giorno in cui sono andato con lei al tempio di Enoshima. Quando ci siamo chiariti, finalmente, e abbiamo saputo ripartire. Ci eravamo detti che un giorno il dolore sarebbe passato e che ne avremmo riso insieme.
«Avevi ragione tu, senpai!» sorride Lunch.
«Comunque, dove andavate così di corsa?» cambio discorso.
«Stavamo raggiungendo Lucy e le altre per pranzare insieme ed eravamo un po’ in ritardo» mi spiega Mai.
«Anzi, eccole là!» aggiunge Lunch, agitando la mano per farsi notare da loro, che ci raggiungono.
«Vieni a mangiare con noi, senpai?!» mi sorride Lucy. «Ci invidieranno tutte!»
«Non vedi che sta andando agli allenamenti?!» interviene freddamente Erza, prima di cominciare a fissarmi con aria severa. «Dovete vincere il campionato nazionale! Mi raccomando, Son!»
«Metticela tutta, senpai! Noi faremo sempre il tifo per te!» aggiunge dolcemente Mira, prima che tutte e cinque mi salutino e si dirigano verso la mensa.
 
«Radyyy!»
«No… non ce la posso fare oggi…» sbuffo tra me e me, mentre sento dei passi sempre più vicini alle mie spalle. Qualcuno sta correndo. Qualcuno con una voce molto stridula e un cervello che funziona a intermittenza.
«Rady! Vai agli allenamentiii?!» mi urla nell’orecchio Marion, ridendo, dopo essermi saltata addosso da dietro ed essersi appesa alle mie spalle. La borsa quasi mi scivola a terra, mentre continuo a camminare a rilento sostenendo il suo peso.
«Da cosa l’hai dedotto, dolcezza?»
«Dal tuo borsone da calcio e dal fatto che stai andando verso il campo! Sono brava?! Eh, sono brava?!» ribatte, ridendo felice.
«Certo che Sherlock Holmes ti fa un baffo…» sospiro.
«Cosa?! Ho un baffo?! Mi è sbavato il trucco?!» replica, tutta allarmata, saltando giù dalla mia schiena e tirando fuori dalla borsetta uno specchietto. Mi fermo e la fisso, allibito. Eppure, quando vuole, sa essere anche lei una persona intelligente…
«Ma cosa dici, Rady?! Il mio trucco è perfetto, mi prendi in giro?!» sbotta, offesa, guardandomi male.
«Lascia perdere…» sospiro, mettendo le mani in tasca e riprendendo a camminare.
«Ehi, Rady! Aspettami! Prima ti ho visto da lontano che davi corda alle primine, non snobbarmi!» piagnucola, attaccandosi al mio braccio.
«Cos’è, sei gelosa delle primine?»
«Ma cosa vai a pensare, scemo! Sono… sono semplicemente tua amica da più tempo, no?! E quindi ho la precedenza!» ribatte, stizzita.
«Beh, tecnicamente ci conosciamo da più tempo, è vero… e ci terrei ad avere un futuro in cui potrò essere ancora vivo per essere tuo amico, quindi dovresti staccarti dal mio braccio se non ti spiace. Sai, la mia ragazza potrebbe tagliarmi la testa per questo» sbuffo.
«È così simpatica Lazuli-senpai! Per me è dolcissima!» ride Marion, staccandosi dal mio braccio e cominciando a saltellarmi allegramente intorno. Intravedo lo spogliatoio, anche se con la testa che sta per esplodermi mi appare lontano chilometri.
«Guarda che non scherzo: è dolce, ma mi ammazza sul serio» preciso, rendendomi presto conto che le mie sono parole al vento a giudicare da come sembra tutta felice Marion.
«Per me siete carinissimi insieme! E ho notato subito l’anello di Tiffany che porta al dito da quando è tornata a scuola! Gliel’hai regalato tu, Rady?»
«Già… te l’ho detto che non ti sfugge niente, sei meglio del Detective Conan».
«Wow! Sarà stata felicissima! Se fossi stata io la tua fidanzata, sarei stata al settimo cielo nel riceverlo! O forse all’ottavo, boh!»
«Credo che siano sette i cieli, in questo caso. Ma grazie, dolcezza, apprezzo le tue parole» le sorrido.
«Bravo Rady, devi sempre apprezzarmi, tu!» ride divertita. Probabilmente non ha capito nulla, ma va bene così. «Ho anche lasciato indietro le mie amiche per venirti a salutare, le vedi là in fondo? Salutale, altrimenti mi sgridano dopo! Sono tue grandi fans ormai!» aggiunge, ridendo ancora di più. Mi volto e le vedo in lontananza, tutte e cinque. Le saluto meccanicamente muovendo un braccio e le sento gridarmi in coro parole che non riesco a comprendere, in tutta risposta. Certo che è strana la vita: anche loro, come Marion, fino a pochi mesi fa non potevano vedermi. Ma adesso è cambiato tutto, non porto nemmeno rancore perché non ne vale la pena. Alla fine, a volte, è sinonimo di intelligenza saper tornare sui propri passi se ci si rende conto di aver sbagliato. Io stesso forse non avevo mai fatto un passo verso di loro, scoprendo solo di recente che sono in realtà persone su cui si può contare. Ho anche imparato bene i loro nomi e a distinguerle tra loro, visto che si assomigliano e mi è capitato più volte di fare casino beccandomi anche delle sgridate da parte di Marion: Miku, Ichika, Nino, Yotsuba e Itsuki. Sì, ci sono tutte e, per fortuna, nel frattempo sono anche giunto a destinazione.
«Bene, sono arrivato. Ti saluto, a meno che non voglia entrare anche tu negli spogliatoi. In molti ne sarebbero felici, immagino… a parte Prince, ovviamente» ghigno, tornando a guardare la mia amica dai capelli azzurri.
«M-meriteresti di estinguerti quando hai queste uscite!» sbotta, arrossendo leggermente e lanciandomi un’occhiataccia. «Però ti perdono solo perché sei tu, Rady!» aggiunge, avvicinandosi a me e riprendendo a sorridere. Si solleva in punta di piedi e mi dà un bacio sulla guancia. «Ora vado a mangiare con Miku e le altre. Salutami Veggy. Spero con tutto il cuore che possiate vincere il campionato nazionale!».
 
«Va tutto bene, Rad? Non sei obbligato a farlo oggi, se non te la senti» mi dice dolcemente Lazuli, dopo la scuola, distogliendomi dai miei pensieri. E dall’immagine di mia mamma, dal momento che sto pensando a lei. Rimetto in tasca una fotografia che mi sono portato da casa in cui ci siamo io e mio fratello, da bambini, e mia madre, tutti in braccio a mio padre, che guarda poco convinto verso l’obiettivo mentre Goku gli tira i capelli da dietro. Eravamo vestiti tutti uguali, stavamo andando a una festa in maschera o qualcosa del genere. Eravamo una famiglia felice, soprattutto.
«È tanto tempo che volevo vederla… e che volevo vi incontraste» sospiro, continuando a camminare mano nella mano con la mia ragazza verso la clinica dove mia mamma ha passato gli ultimi due anni e nove mesi della sua vita. «Goku ieri è riuscito ad andare a scuola e oggi ce l’ha fatta di nuovo. Ha barrato l’ultima casella, ha raggiunto il suo obiettivo. Anch’io… beh, anch’io devo raggiungere un mio obiettivo…».
«Hai paura?»
«Un po’…» rispondo, mestamente. Ho paura perché ricordo i suoi occhi, l’ultima volta che l’ho vista a casa, quando è crollata psicologicamente. E perché ricordo benissimo le poche volte in cui ho potuto vederla da quando è ricoverata. Non sembrava lei. Non era lei. «E se… se non fosse ancora tornata quella che era?»
«Tuo padre ha detto che sta molto meglio, ed è quello che dicono anche i medici. Devi stare tranquillo».
«Sai, mi spaventa l’idea di vedere coi miei occhi che non è più la persona che ricordavo. Che la mamma che avevo non potrà più tornare» ribatto, mentre la malinconia mi avvolge tra le sue spire e mi fa sentire un peso enorme sulle spalle. Lo stesso peso del mondo che ho sentito troppe volte sulle mie spalle quando non ero ancora abbastanza forte da poterlo sorreggere da solo. «A me… a me piacerebbe che tu potessi conoscere la persona che era mia madre. E che tutto tornasse alla normalità».
«Tu le volevi bene, vero?»
Annuisco, camminando a testa bassa.
«Guarda che non è scontato che tutte le mamme, che tutti i genitori anzi, sappiano farsi volere bene dai propri figli» mi sorride Lazuli, piazzandosi davanti a me e costringendomi a fermarsi. «A me basta sapere che tu le volevi bene per apprezzarla. Per sapere che è una brava madre al di là di come possa stare oggi».
Sollevo la testa e la guardo. Il sole al tramonto alle sue spalle mi fa apparire ancora più glaciali i suoi occhi. Ma tutto quel rosso dipinto nel cielo dietro di lei mi fa sentire di avere a che fare con un ghiaccio bollente. Qualcosa di antitetico e allo stesso tempo rassicurante. Mi sento meglio, anche se gli occhi mi diventano lucidi. Annuisco ancora e accenno un sorriso.
«Grazie, Là» riesco a dirle. Sentirsi dire certe cose da una persona che non ha avuto dei buoni genitori mi fa capire una volta di più quanto io possa ritenermi fortunato, nonostante tutto. Nonostante i miei abbiano commesso degli errori in passato. O semplicemente non siano stati abbastanza forti da saper affrontare una realtà che gli ha messo paura. Niente come la paura ci rende tutti uguali. Adulti, bambini, adolescenti. Forse solo il coraggio che possiamo dimostrare in certe situazioni. E io sono certo che anche mia mamma sia una persona coraggiosa, come lo siamo stati io, mio padre e persino Goku dopo aver avuto paura.
Lei mi riprende per mano. Ricominciamo a camminare.
«In ogni caso il mio istinto mi suggerisce che andrà tutto bene. Ti fidi di me, Rad?»
«Sì» sussurro, mentre entriamo nella clinica e sento il cuore battere un po’ più forte.
 
«Ciao Radish! E buongiorno anche a te, Lazuli-chan. È bello rivederti in una situazione più tranquilla!» ci saluta allegramente mio padre, che ci stava aspettando in sala d’attesa. Non si vedevano infatti da quando era stato ricoverato Goku dopo essere svenuto quando gli avevo nominato il suo amico Crilin. Sono successe talmente tante cose che non c’è stato più modo di vedersi tutti insieme con calma.
«Ciao papà» lo saluto a mia volta, mentre mi dà una pacca sulla spalla. Lo trovo bene, anche lui mi sembra sempre di più il genitore che ricordavo.
«Buongiorno signor Son» accenna un inchino Lazuli.
«Ah… ti ho già detto di darmi del “tu”! Chiamami Bardack, non farmi sentire vecchio!» ride.
«V-va bene…» arrossisce lievemente lei, accennando un sorriso.
«Allora? Ti fa sempre disperare il mio ragazzone, vero?!»
«Papà…» sbuffo, stizzito, interrompendolo.
«B-beh, ecco… io…» farfuglia Lazuli, un po’ imbarazzata.
«Ecco, lo sapevo! Guai a te se le crei problemi e se non ti prendi cura di lei quanto merita!» mi rimprovera bonariamente mio papà. «A proposito, grazie mille per tutto quello che fai per lui. Da quando sta con te mi rendo conto che è felice. Non sai quanto mi ha reso più tranquillo capire che stava bene davvero quando lo sentivo» accenna un inchino, improvvisamente serio.
«Ma no, io non ho fatto niente. Sul serio…» ribatte la mia ragazza, mentre mio padre risolleva il busto, tenendo però la testa bassa.
«Invece sì… io… io non ho potuto seguirlo, e in più gli ho affidato suo fratello. È stato rassicurante per me sapere che aveva una brava ragazza al suo fianco».
«Guarda che non è poi così brava, eh…» provo a scherzare, per smorzare una situazione un po’ imbarazzante, ricevendo in cambio un’occhiata di fuoco da parte di Lazuli.
«Se non fa la brava è perché tu la fai arrabbiare, scommetto. E quindi fa bene a sgridarti».
«Veramente mi picchia ogni tanto…» sbuffo, facendo diventare paonazza Lazuli, che mi conficca le unghie nella mano.
«Se ti picchia, evidentemente, è perché te lo meriti. Dagliele più forte la prossima volta, Lazuli-chan!»
«Ok. N-no, cioè, …» farfuglia la mia ragazza, facendo scoppiare a ridere mio padre.
«State bene insieme, lo sapete?» ci dice. «Posso considerarti parte della famiglia, Lazuli-chan? Una sorta di figlia, non so».
«E-ecco, io… sì, signor Son…» accenna un sorriso.
«Bardack».
«Giusto, Bardack» si corregge.
«Sappi allora che puoi contare su di me se dovessi aver bisogno di qualcosa in futuro. E se qualcuno dovesse darti fastidio sul lavoro fammelo sapere che ci penso io, lo stesso vale se c’è qualche fan troppo ossessivo e …».
«Pa’» lo interrompo. «Abbiamo capito. E fidati che Là sa difendersi alla grande anche da sola».
«Beh, non capita tutti i giorni di avere in famiglia una brava ragazza e anche la celebrità del momento, no? È normale che mi preoccupi! Lasciami fare il papà» ride. «Allora, avete finito le riprese del film tanto atteso?»
«Sì, il più è stato fatto. Mancano ancora solo alcune scene, ma le gireremo tra qui e Tokyo. Il film uscirà a inizio marzo».
«Ecco, a proposito…» riprende mio padre, mollandomi in mano il suo cellulare. «Posso fare una foto con te, Lazuli-chan? E mi faresti un autografo, per favore?»
«Papà, ma… cosa?!» sbotto, perplesso, mentre si avvicina alla mia ragazza, che lo guarda stupita.
«Sai, al lavoro ho diversi colleghi e colleghe che impazziscono per Lazuli Eighteen. Mi sembra giusto renderli un po’ invidiosi, no?» ridacchia, grattandosi la nuca in quel modo che lo rende così simile a Goku.
«Mi sembra giusto» ride a sua volta Lazuli, divertita. «Dai, Rad, scatta!»
 
Faccio qualche foto, con mio padre che addirittura si mette in posa con l’indice e il medio di una mano aperti in modo da formare il classico simbolo della vittoria, in diagonale davanti al suo petto. Lazuli sorride impeccabile, come se fosse sul set di una rivista di moda.
«Papà, sei ridicolo con quella mano… è giusto che tu lo sappia».
«Perché?! I giovani mica si mettono così nelle foto?!»
«Appunto, i giovani…» lo provoco.
«Guarda che ho quarant’anni, mica sono vecchio! Sono vecchio secondo te?!» protesta, prima di rivolgersi alla mia ragazza.
«No, è lui che è un irrispettoso» si coalizza con mio padre Lazuli. «Anche con me è sempre stato fin troppo sfacciato, nonostante io sia una sua senpai».
«Ecco, l’hai sentita?! Porta rispetto alla tua senpai e anche a tuo padre!» scherza mio papà, mentre Là ghigna soddisfatta.
«E comunque hai quarantatre anni, non quaranta. E lei ha solo quattro mesi e mezzo in più di me» sbuffo, risentito.
«Avrò anche gli anni che dici, ma so fare i selfie. Anzi, facciamone uno tutti insieme, adesso!» propone mio padre, strappandomi il telefono di mano e stringendo a lui me e Lazuli, prima di scattarci una foto.
«Radish, adesso sono serio» riprende, lasciandoci andare. «Comportati sempre bene con Lazuli-chan e proteggila, chiaro?»
«Certo papà, non serve che tu me lo dica» gli sorrido, mentre Lazuli arrossisce leggermente e distoglie lo sguardo dal nostro.
«Bene, adesso andiamo dalla mamma. Sta bene, sta davvero meglio. E non sta più nella pelle all’idea di vedervi».
 
«Abbiamo ospiti, cara!» esclama mio padre, non appena entra nella stanza di mia mamma, seguito da noi, un po’ titubanti.
Io avanzo a testa bassa e col cuore in gola. Mi ha fatto bene scherzare con mio papà poco fa, ma adesso che sono qui mi è tornata improvvisamente la paura di scoprire come sta davvero mia madre.
Respiro profondamente, come a darmi coraggio. Un profumo floreale dolce e persistente mi riempie le narici e mi lascia addosso una bella sensazione. Sollevo lo sguardo, e vedo un elegante vaso azzurro pieno di fiori sul comodino accanto al letto. Non so cosa siano, ma hanno un profumo buonissimo, oltre che una forma a campanula. Variano dal bianco al rosso, passando per il crema, il giallo e l’arancione. Alcuni sono screziati. Credo che non dimenticherò mai questo profumo, come le emozioni che sto vivendo in questo momento. Vicino al vaso c’è una fotografia in cui ci siamo io e Goku a tavola, da bambini, intenti a mangiare dei dolci coi nostri genitori accanto a noi. Ridiamo tutti in quell’immagine, eravamo una famiglia felice e io rivorrei con tutto me stesso le sensazioni che sapeva darmi quella quotidianità. Sposto lo sguardo un po’ più a sinistra rispetto ai fiori e incrocio per la prima volta dopo non so quanto tempo gli occhi neri e luminosi di mia madre. Un raggio di luce filtra dalla tenda scostata della finestra e illumina il letto su cui è sdraiata con la schiena appoggiata alla testiera. Appoggia il libro che stava leggendo sulla coperta. “Gli omicidi dello zodiaco”, un romanzo giallo di Shimada Soji. Non pensavo fosse il suo genere. Ma non importa, non mi interessa nulla di cosa stia leggendo. Perché vedo il suo sorriso. E vedo i suoi occhi, quelli che ricordavo prima che tutto cambiasse all’improvviso.
Resto impietrito. Abbasso la testa di scatto, imbarazzato. Non voglio che mia mamma veda che i miei occhi si sono riempiti improvvisamente di lacrime.
Il calore della mano di Lazuli che si stringe intorno alla mia al momento giusto mi fa sentire meglio. Mi fa ritrovare la calma. Lei è la mia ancora di salvezza. La mia certezza.
Deglutisco il nulla. Sono commosso perché sono felice, ma non voglio piangere.
«Radish, sei proprio tu! E tu devi essere Lazuli-chan! Cioè, so che sei Lazuli-chan, ti vedo in televisione da quando sei piccolina, lo sai?!» esclama mia madre allegramente. La sua voce è dolce e argentina come una volta. Come quella di una ragazzina, a dispetto dei suoi quarantadue anni.
Sollevo la testa, mentre sta scendendo dal letto e ci viene incontro correndo.
«M-ma… mamma…» farfuglio, anche se penso che non esca nulla dalla mia bocca.
Lei ci abbraccia in contemporanea. Io resto rigido, incapace di fare qualsiasi cosa. Lazuli la cinge con un braccio sulla schiena e si stringe a lei.
«Io… io sono così felice… scusatemi!» aggiunge, facendo un passo indietro e asciugandosi le lacrime che le hanno nel frattempo bagnato le guance. «Scusatemi» sorride, mentre mio padre si avvicina a lei e le accarezza la schiena.
«Radish… sei diventato grande! Non sei un po’ troppo magro? Sicuro di mangiare abbastanza?» mi abbraccia di nuovo, stringendomi forte. Io le appoggio meccanicamente una mano sulla testa, appoggiata al mio petto. A quelle maledette cicatrici che non mi faranno più male, ne sono certo. Sembra uno scricciolo accanto a me.
«Mamma… io…» riesco a dire, con le parole che mi muoiono in gola.
Lei mi guarda e sorride, con gli occhi lucidi. Mi afferra la testa tra le mani e mi dà un bacio sulla guancia.
«Sei un bellissimo ragazzo. E sei stato bravissimo in tutto questo tempo. Bardack mi ha raccontato tutto. Grazie… grazie davvero» aggiunge, inchinandosi leggermente.
«Mamma, non devi… non devi dire così…».
«E grazie anche a te, Lazuli-chan! Per esserti presa cura di lui e per aver accettato una famiglia problematica come la nostra».
«Io… io credo che siate una famiglia stupenda, invece» le sorride la mia ragazza.
«Sei tanto cara, Lazuli-chan. Si vede che sei una ragazza dolcissima. Radish è fortunato» le dà una carezza sulla guancia. «A proposito, che sbadata, io so chi sei tu perché sei una celebrità, ma tu non puoi sapere chi sono io!» scoppia a ridere. «Mi chiamo Gine e sono la mamma di Radish. Ti prego subito di darmi del tu» accenna un inchino.
«Per me è bello conoscerti, davvero» le sorride Lazuli. «Ti faccio i complimenti per il vaso di fresie. Sono dei fiori magnifici».
«Davvero conosci le fresie?! Di solito nessuno sa cosa siano!»
«Già, la prima volta che mi ha chiesto di portargliele ho dovuto scrivermi il nome su un foglietto» bisbiglia mio padre, dandomi di gomito e strappandomi un sorriso.
«Il fiore della fiducia» risponde Lazuli, avvicinandosi al vaso e piegandosi per assaporarne meglio il profumo. Nel farlo si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mentre il raggio di sole che filtra dalla finestra illumina anche lei. Mi sembra ancora più bella, forse perché sono tanto felice. Sollevato, anche. Mi sento leggero in questo momento. È una sensazione meravigliosa sentirsi leggeri. Sereni.
«Conosci anche il linguaggio dei fiori, Là-chan. Non è cosa da tutti!» le sorride mia mamma, avvicinandosi. «Aspetta, posso chiamarti Là-chan?»
«Io… ne sarei onorata» le sorride a sua volta Lazuli. «In realtà non conosco il significato di molti fiori».
«Non essere modesta, cara» risponde mia madre, accarezzandole delicatamente una guancia e guardandola dritta negl’occhi. È strano vederle insieme. Strano, ma stupendo. «Sei ancora più bella dal vivo, lo sai? E ho capito subito che sei una persona di una dolcezza disarmante. Te lo leggo negl’occhi».
«I-io… g-grazie…» farfuglia Lazuli, arrossendo e abbassando la testa a disagio. «L-lei… cioè, tu… sei gentilissima».
«Ti conosco appena, Là-chan, ma è come se ti conoscessi da sempre. Tutti i giorni ci facevi compagnia in televisione quando Radish era piccolo. Parlava sempre di te, lo sai?»
«Era cotto già quando era un moccioso, questo qua! È sempre stato un romanticone!» ride mio padre, rincarando la dose.
«E basta, dai… non credo che a lei… beh, che a lei interessi…» bofonchio, imbarazzato. La mia ragazza mi guarda e sorride. Ha gli occhi lucidi. Sembra felice. Per me, per lei, perché forse si sente già parte della nostra famiglia anche se ha appena conosciuto i miei genitori.
«Guarda, mi sono fatta portare qui da Bardack questa tua foto da bambina che avevo ritagliato da una rivista più di dieci anni fa» spiega mia mamma a Lazuli, porgendole una fotografia che ha appena tirato fuori dal cassetto del comodino. L’immagine ritrae la mia ragazza che tiene per mano un orsacchiotto di pezza e indossa una magliettona bianca e lilla con una stella contenente il numero diciotto stampata davanti e delle collant a righe orizzontali fucsia e lilla. Avrà sei o sette anni, i suoi capelli sono fissati in un unico codino laterale da un nastro fucsia. Il suo sguardo è dolcissimo, lo stesso che vedevo tutti i giorni nel suo primo telefilm. «L’avevo conservata insieme ad altre foto di famiglia perché tu ci facevi compagnia tutti i giorni dalla tv e Radish parlava sempre di te, quindi eri entrata in qualche modo a far parte della nostra vita. Pensavo di poter ricordare sempre quei momenti felici anche grazie a questo».
Lazuli guarda l’immagine e poi mia mamma, prima di osservare di nuovo il ritaglio di giornale che stringe tra le mani. I suoi occhi sono un po’ lucidi.
«Io… è… è bellissimo… cioè, non me l’aspettavo…» dice con un filo di voce la mia ragazza. Sembra emozionata, onestamente non ne sapevo nulla nemmeno io di questa cosa, anche se ero al corrente che mia mamma sapesse della mia storia con Lazuli Eighteen, visto che ormai è di dominio pubblico. Ma mai avrei detto che avesse conservato un’immagine come quella.
«Scusami, Là-chan! Non volevo metterti in imbarazzo!» arrossisce mia mamma.
«No… no, io… io sono felice!» ribatte Lazuli, sorridendole. «Anzi, aspetta…» aggiunge, appoggiando la foto sul tavolino delle fresie e prendendo una biro. Vedo che comincia a scrivere sul retro, prima di riconsegnare il tutto a mia mamma, che la guarda sorpresa.
«Mi hai fatto una dedica?!»
«Certo: “A Gine, al tuo coraggio e alla tua dolcezza. Con tutto il mio cuore, Lazuli Eighteen (Solo per te, Là-chan)”» ripete quello che ha scritto, mentre mia madre osserva ad occhi sgranati quelle parole. Ha anche messo un cuoricino dopo l’autografo, una cosa che non fa mai di solito.
«Ok, basta dediche, autografi e selfie coi miei genitori, adesso…» sbuffo, un po’ in imbarazzo anch’io per questa situazione. Anche se in realtà mi fa piacere, lo ammetto.
«Fa sempre il duro, ma è un ragazzo gentile e altruista il mio Radish, vero?» ride mia mamma.
«È la persona più gentile e altruista che abbia mai conosciuto, in effetti. Ed è anche molto buono» risponde la mia ragazza, senza staccare gli occhi da me. Mi fa battere il cuore all’impazzata, perché so che è sincera.
«Però la fa anche disperare, ogni tanto» interviene mio papà, dandomi un leggero scappellotto sulla nuca e ridendo, facendo sorridere Lazuli.
«Vedi di comportarti bene con lei, Radish. Non tutti hanno la fortuna di trovare una persona speciale nella propria vita, e non tutti hanno la fortuna di trovarla già negli anni del liceo» mi dice mia mamma, seria e allo stesso tempo dolce.
«Certo, mamma» le sorrido. «Lo so… mi rendo conto ogni giorno di essere fortunato».
Penso spesso di aver avuto una botta di culo clamorosa a trovare una come lei sulla mia strada. Lei, il mio quadrifoglio, come le avevo detto quando le ho chiesto di mettersi ufficialmente con me.
«È il mio istinto di mamma a dirmi che sei speciale, Là-chan. È come se tu fossi la figlia che non ho mai avuto. Se avrai bisogno di qualcosa in futuro, dovrai chiamarmi e ti aiuterò come ti aiuterebbe una mamma, ma anche un’amica».
Lazuli sgrana leggermente gli occhi, mentre mia madre la abbraccia. Sono lucidi. Ghiaccio che si scioglie. Forse perché sente l’affetto di una madre per la prima volta.
«Grazie… grazie, davvero…» sussurra.
«Forse penserete che sono troppo appiccicosa visto che continuo ad abbracciarvi, ma non potete capire quanto sia bello per me avervi qui!» esclama mia mamma, ridendo. «La prossima volta portate con voi anche Goku, ho saputo dal papà che è tornato a scuola».
«Sì, mamma. Ieri e anche oggi. Ce l’ha fatta» le dico. «Mi ha detto di salutarti tanto, la prossima volta verrà di sicuro. Magari anche con la sorella di Lazuli, loro sono molto legati».
«Sarebbe… sarebbe meraviglioso!» si illumina mia mamma, stringendo entrambe le mani davanti al seno, prima di incupirsi all’improvviso e abbassare la testa. «Ti chiedo scusa per quello che hai dovuto passare in questi anni, Radish. Per quello che è successo a tuo fratello, per il peso che hai dovuto portare sulle spalle da solo anche se eri così giovane… per le rinunce che hai dovuto fare… per il dolore che hai provato. Non te lo meritavi».
«Non dire così, mamma. Non è colpa tua, non è colpa di nessuno. E poi ce l’abbiamo fatta, adesso il peggio è passato e stiamo tutti bene. Io… io sono felice, mamma» provo a rassicurarla, avvicinandomi a lei. Il suo volto è rigato di lacrime, ma sorride rialzando la testa e guardandomi.
«Non sai quanto sono stata felice anch’io quando tuo padre mi ha detto che avevi ripreso a giocare a calcio. Era la tua passione, mi sentivo in colpa perché non giocavi più».
«È anche molto forte» interviene Lazuli. «Nella finale del campionato provinciale ha segnato un gol straordinario».
«Davvero hai segnato un gol così bello?! Sono tanto fiera di te, Radish!»
«Beh, ecco… non so se era bello, ma quello che contava era vincere quella partita…» farfuglio, grattandomi la nuca.
«Fa il modesto…» mi prende in giro Lazuli, facendo sorridere anche mia mamma, che si asciuga le lacrime. «A scuola tutti vogliono fare foto con lui da quel giorno. Tutti e tutte, soprattutto» aggiunge, con una nota di polemica gelosia che fa scoppiare a ridere mia mamma.
«Sei tanto dolce, Là-chan!» le dice. «E tu vedi di non farla preoccupare, Radish!» mi rimprovera bonariamente. «Siete così carini insieme!»
«Sono complici questi due, cara. Si vede che sono complici. Piacciono anche a me!» ride mio padre, facendo arrossire leggermente sia me che Lazuli.
«Quindi giocherai il campionato nazionale, il tuo sogno da bambino! Quando l’ho saputo, ho pianto dalla gioia!»
«A volte non mi sembra vero» le sorrido. Ed è così, perché comincio a realizzare solo adesso che si sta avvicinando la portata dell’impresa che abbiamo fatto come squadra. Tutti da bambini sognano il campionato nazionale, ma in pochissimi ce la fanno. Io avevo smesso di giocare, addirittura, quindi tutto mi appare ancora più incredibile.
«E metteranno paura a tutti. Io credo che possano farcela» interviene Lazuli. Le brillano gli occhi.
«Siamo una piccola squadra, noi… siamo stati la sorpresa ai provinciali. Non ci conosceva nessuno e…».
«Sta facendo il modesto come prima, Là-chan?» mi interrompe mia madre, incrociando le braccia sotto il seno e guardandomi con sospetto.
«Sì, direi di sì» le dà man forte la mia ragazza. «Non ho mai visto una squadra unita come la loro. E nessuno a livello liceale ha un difensore forte come Radish Son. E in più un attaccante che segna con continuità come Vegeta Princely».
«Sembri molto esperta. Ti piace il calcio?»
«Molto».
«Piace anche a me, vero caro?»
«Ah sì, in famiglia amiamo tutti il calcio!» sorride mio padre. «Sei diventato davvero così forte, Radish? Non vedo l’ora di vedere cosa combinerai ai nazionali!»
«Ecco, io… sì! Sì, ce la metterò tutta! Ce la metteremo tutta!» esclamo, pensando se davvero sono io il difensore più forte di tutti. Se possiamo essere davvero la squadra più forte del Giappone a livello liceale.
«Mi piacerebbe vederti giocare anche a me, Radish» interviene mia mamma, con una punta di amarezza. «Hai detto che il campionato inizia tra un mese, giusto? Giocherete a Tokyo?»
«Sì, giocheremo tutte le partite a Tokyo e durerà tre settimane. Giocheremo a ritmo serrato, un giorno sì e un giorno no, indicativamente. Se riusciremo a superare la fase a gironi e ad andare a quella ad eliminazione diretta potremo davvero credere alla semifinale e alla finale, che verranno trasmesse in tv».
«Sarebbe stupendo per me poterti vedere giocare ai nazionali! In tv, ma io vorrei vederti dal vivo anche…» ribatte, malinconica. «E invece… invece devo stare chiusa qui dentro ancora un po’. Fino a fine gennaio, dicono».
Accenna un sorriso, come a volersi scusare. Come a dire che non fa niente. Che va bene così.
«La finale non sarà il 31 gennaio, Rad?» mi chiede Lazuli. Ho già capito dove vuole andare a parare.
«Giusto! Sarà il 31 gennaio, mamma! Forse… forse sarai fuori!»
«È vero, hanno detto che ti dimetteranno il 30 gennaio se tutto andrà bene!» esclama mio padre.
«Allora… allora ti prometto che ce la farò, Radish! Che il 29 gennaio ti vedrò in televisione durante la semifinale, e il 31 sarò a Tokyo allo stadio con papà» mi dice, con la voce colma di emozione. È felice. Si vede che è felice. Che ha ritrovato la speranza. Che è davvero la mamma che ricordavo di avere.
«Io… io ti prometto che andremo in finale, mamma».
«Io dico che la vincerete quella finale» interviene Lazuli, facendomi l’occhiolino. «Ma visto che ami le promesse e so che le mantieni sempre, allora devi prometterlo a me che vincerai».
«Sì, Là. Te lo prometto. Vinceremo il campionato nazionale».
«Mi piace la fiducia che avete nei vostri mezzi. Tutti quanti» esclama mio papà, avvicinandosi. «Radish nel calcio, Lazuli-chan nel suo lavoro e tu, Gine, per uscire da qui. Bravi!»
«Vorrei anche venirti a vedere dal vivo sul lavoro, Là-chan. E al cinema per il tuo prossimo film! Perché non vedo l’ora!» aggiunge mia madre, tutta felice.
«Certo, mi farebbe tanto piacere! Il film uscirà a inizio marzo, quindi non ci saranno problemi!»
«Ecco, a proposito di avere fiducia…» riprende mia mamma, avvicinandosi al vaso di fiori. «È da un po’ di tempo che ci tengo ad avere delle fresie in camera proprio perché ho fiducia che vada tutto bene. A me, a voi, a Goku. Portane a casa una, Là-chan. Consideralo un segno di fiducia che ho nei tuoi confronti e un gesto di gratitudine».
«Io… g-grazie» sussurra la mia ragazza, sorpresa.
«Eccola, una fresia bianca per te. Bianca come la tua anima, che oggi ho potuto conoscere attraverso i tuoi stupendi occhi» sorride dolcemente mia madre, porgendole il fiore. «Prenditi cura di questo fiore. Farà bene a te, a Radish, a Goku e anche a tua sorella. Avete reso indimenticabile questa giornata. Vi voglio bene, ricordatelo sempre!»
 
«Peccato che non c’era una fresia nera. Visto che secondo me è quello in realtà il colore della tua anima» provoco Lazuli, mentre camminiamo sul marciapiede e ci allontaniamo dalla clinica. «Hai mostrato solo la parte sweet, quella psycho la tieni in serbo unicamente per me».
«Se non la smetti sarò costretto a picchiarti, scemo» ribatte gelida, osservando il fiore che le ha regalato mia mamma.
«Comunque, volevo ringraziarti… per oggi, per tutto. Per esserci, ecco» le dico, di nuovo serio. Sono felice, tanto. Sollevato, soprattutto. E anche un po’ nostalgico e malinconico, perché vedere mia mamma come una volta mi ha fatto tornare bambino. Quando tutto andava bene. Quando la vita sembrava più facile.
«Non devi ringraziarmi di nulla. Sono felice che stia bene tua mamma e anche che sia davvero una bella persona. Ma non avevo dubbi. E anche tuo papà mi sta simpatico».
«Senti, Là… ti va di andare un pochino al mare? Si sta bene oggi, fa caldo per essere dicembre».
«Certo Rad, tanto è qui davanti» mi sorride, stringendo più forte la mia mano.
Non so perché, ma ho voglia di sedermi per un po’ di fronte al mare insieme a lei. Forse perché sono felice. Forse perché sono anche stanco, visto che sto buttando fuori tutta la tensione che avevo accumulato in vista dell’incontro con mia mamma. Ora che è andato tutto bene mi sento anche vuoto, quasi privo di energie. Ma mi sento anche ispirato.
«Sai, dicono che guardare il mare regali alle persone una miriade di emozioni» esordisco, dopo qualche secondo di silenzio. Sia io che Là guardiamo l’orizzonte che si perde sul mare azzurro su cui si specchia il sole che sta cominciando ad abbassarsi, seduti uno accanto all’altra. Mano nella mano. «E anche il cielo. Anche il cielo, se lo guardiamo intensamente e immaginiamo di poter volare liberi tra le nuvole, ci regala una miriade di emozioni».
«È vero. Anche a me piace guardarli» conferma Lazuli, con lo sguardo rivolto verso l’alto. «Mi piace nuotare nel mare con te e volare nel cielo insieme a te, però».
«Quello anch’io, non potrei chiedere di meglio» sorrido, sentendomi meravigliosamente bene. «A volte ci chiediamo cosa c’è all’orizzonte sul mare, o quanto è lontano. Cosa c’è oltre le nuvole, o dove finisce il cielo. Io li ho guardati tante volte, il mare e il cielo. Che fossi in classe o in giro, anche a casa. E ho sempre provato una miriade di emozioni» proseguo, voltandomi verso Lazuli, che fissa i suoi occhi di ghiaccio nei miei, senza smettere di stringere la mia mano. Una lieve brezza marina le fa oscillare i capelli biondi. La luce del sole sempre più bassa la rende incantevole. Avvicino il mio volto al suo. Mi fermo a pochi centimetri dalle sue labbra. Così pochi che posso sentire il suo respiro caldo accarezzarmi le labbra. «Però sai, Là, io quando guardo il mare o il cielo provo una miriade di emozioni, ma quando guardo te ne provo di più. Molte di più».
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: vi avevo promesso un capitolo lunghissimo per festeggiare il numero 50 e anche l’anno esatto di vita di questa long, spero abbiate apprezzato il risultato finale e, per una volta, cercherò di fare delle note finali brevi, prima che poi arrivate ad odiarmi perché scrivo troppo! Mi odiate? ;-)
Scherzi a parte, vi è piaciuta Gine? Vi siete commossi un pochino? Ho voluto anche mostrare un Bardack più disinvolto rispetto ad altre volte, in generale spero vi sia piaciuto questo momento tanto atteso. Rad e Là dai genitori di Radish… boh, non vedevo l’ora di postarlo questo capitolo. Fatemi sapere allora se vi è piaciuto, e lo stesso vale per la parte iniziale con Lunch, Mai e Marion protagoniste, spero vi abbiano strappato qualche sorriso e qualche emozione anche loro. Il capitolo 50 è stato quello buono anche per conoscere le fantomatiche “amiche” di Marion, spesso citate fin dall’inizio e mai caratterizzate. Sono delle ospiti che arrivano da un’altra bellissima serie, anche se qui faranno solo, di fatto, una comparsata: qualcuno di voi le ha riconosciute? Se sì, vincete millemila punti e tutta la mia stima. E, se le cercate su internet, potete stilare la vostra classifica di gradimento per lo, la mia è quella nell’ordine in cui le cita Rad.
 
Ringrazio tantissimo che mi lascia sempre una recensione, chi c’era un anno fa e mi sopporta ancora, chi è arrivato strada facendo e chi è rimasto indietro e prima o poi arriverà qui. All’inizio non pensavo che questa long sarebbe stata così lunga, se ce l’ho fatta è stato soprattutto per merito vostro. Io e i personaggi che ci stanno facendo compagnia da un anno vi ringraziamo, a voi e a chi legge in silenzio. Se volete farvi avanti, questa è una gran bella occasione secondo me.
Grazie poi agli autori delle immagini di oggi, che spero vi potranno piacere. Un ringraziamento gigante va poi ad Alice Liddel che ha voluto farci una sorpresa per celebrare l’anno di pubblicazione disegnando una Lazuli vestita a festa, una vera principessa dagli occhi di ghiaccio, come direbbe Rad, e un po’ Cenerentola e un po’ Elsa, anche, aggiungerei io. Grazie, grazie davvero!
 
Bene, settimana prossima il capitolo si intitola “La vetta del cielo” e si parlerà di vita, di futuro, di amore e del campionato nazionale di calcio ormai imminente, visto che faremo un salto in avanti fino al 31 dicembre. Ci sarà una piscina molto speciale, torneranno poi in scena tutti i personaggi principali e due nuovi ingressi, attesissimi da mesi: chi saranno?
Vi ricordo che il capitolo speciale che avevo pubblicato alla vigilia di Natale intitolato “Everything is nothing without you – Christmas Special” si colloca proprio tra questo capitolo e quello che pubblicherò settimana prossima a livello temporale, quindi, se volete leggerlo o rileggerlo, questo sarebbe il punto perfetto in cui si “incastra” nella storia.
Io ho poi pubblicato lunedì una breve storia omaggio per Kobe Bryant e la sua tragica scomparsa, un evento che mi ha scosso molto. Si intitola “Buongiorno L.A.”, e lo vediamo giocare a basket con Goku. Era il mio modo per dirgli “ciao”, ringrazio chi di voi l’ha letta.  
Grazie ancora, a mercoledì!
 
Teo

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Capitolo 51
*** La vetta del cielo ***


51 – La vetta del cielo
 
 
31 dicembre
 
«Hai finito di fissarla?! Sembri un pervertito» sbotta Vegeta, stizzito, prima di riprendere a sfogliare il quotidiano sportivo che sta leggendo, seduto a cavalcioni su un lettino da spiaggia accanto al mio.
«Io sono un pervertito, Prince» ribatto con naturalezza, sdraiato comodamente, senza distogliere lo sguardo da Lazuli, distesa a sua volta sulla sua sdraio posizionata vicino al bordo della piscina. Sorseggia una spremuta d’arancia con la cannuccia, mentre dondola lentamente e in modo tremendamente sensuale la gamba che ha accavallato sopra all’altra.
«Mi fai schifo, tsk!»
«E dai, non rompere le palle! Sto solo guardando la mia ragazza, no? Va che prima ti ho visto mentre toccavi il culo a Bulma, eh?» lo provoco, facendolo ribollire di rabbia. Stringe i pugni, senza rendersi conto che sta anche accartocciando il giornale.
«Rad… i-io… io ti…» ringhia, inviperito, prima che Goku gli si posizioni davanti e cominci a osservarlo perplesso.
«Vegeta-sama, se hai finito di leggere potresti dare a me il giornale invece di stracciarlo?» gli chiede ingenuamente, facendo sbuffare il mio compagno di classe. Piega il giornale con stizza e lo lancia a mio fratello, prima di incrociare le braccia al petto.
«Però dopo ridammelo. Non ho finito di leggere, tsk!»
«Certo che si sta bene qui, eh Prince? Non pensavo esistesse una piscina simile!» esclamo, stiracchiandomi. Incrocio i miei occhi con quelli di Lazuli. Le sorrido. Annuisce e sorride, mentre Bulma le dice qualcosa. Indossa un bikini blu scuro che le sta semplicemente d’incanto.
«Si starebbe meglio senza te e tuo fratello, forse. E non azzardarti a guardare troppo la mia Bulma!»
«”La mia Bulma”… sei un gelosone! Comunque ho occhi solo per “la mia Là”» lo derido, imitando la sua voce.
«Taci, tsk!»
«E comunque è merito di Lazuli se siamo tutti qui oggi, quindi non potevi proprio venirci senza il tuo migliore amico» lo stuzzico ancora. Bulma indossa un costume nero incrociato sul seno e scoppia a ridere dopo aver detto qualcosa a Lazuli. Anche lei ha in mano un bicchiere, pur essendo già entrata nell’acqua che in quel punto della vasca le arriva poco sopra la vita. Chichi si avvicina a loro e si siede sul bordo della piscina, con le gambe a mollo. Sorride anche lei, con il suo bikini rosso che è andata a comprare apposta per l’occasione insieme a sua sorella. Alle loro spalle una gigantesca vetrata ci permette di godere direttamente del panorama della nostra città vista dall’alto, lasciandoci addirittura scorgere il mare oltre le cime dei grandi palazzi e degli alberi che ci circondano. Splende il sole all’esterno, mentre qui dentro sembra davvero di essere al mare da quanto fa caldo. È un posto meraviglioso, ed è tutto per noi per qualche ora.
«Almeno ne è valsa la pena per qualcosa quell’evento a cui mi avete trascinato l’altro giorno» ribatte Vegeta. «Visto che alla fine della serata uno degli sponsor del film ha dato alla tua ragazza i biglietti per questo posto».
«Già, e lei ha deciso di portarci tutti qui per festeggiare insieme il Capodanno. Ci è andata di lusso!» esclamo, respirando a pieni polmoni. «E comunque c’è gente che avrebbe pagato qualsiasi cifra pur di partecipare alla serata per festeggiare la fine delle riprese del film di Là. Natale era passato solo da un giorno, poi, c’era una bella atmosfera».
«Potevi fare a meno di invitare me e Bulma, tsk! Ho pure dovuto dar retta a quegli altri due attori della nostra età che facevano parte del cast!»
«Dai, non fare il musone! Lo so che ti sei divertito! C’erano anche Goku e Chichi, persino Lunch e Mai, dato che Lunch mi ha tirato scemo pur di fare in modo che potesse venire! E poi secondo me, sotto sotto, uno di quei due attori ti stava simpatico…» lo provoco di nuovo.
«Diciamo che lo tollero. L’altro invece mi sta sulle palle».
«Invece secondo me Trunks ti sta simpatico perché in qualche modo ti assomiglia, anche se, almeno a lui, hanno insegnato la buona educazione» scoppio a ridere, pensando a Trunks Haibara, uno dei due attori che hanno fatto da spalla a Lazuli, che è la protagonista indiscussa del film “Mirai World” e che abbiamo conosciuto alla festa che si è svolta l’altra sera con tutto il cast presente. «Lapis ama fare lo snob per fare il cretino, io lo trovo divertente!» aggiungo, riferendomi all’altro attore, Lapis Toyama, che è anche un cugino alla lontana della mia ragazza.
«Sarà… ma per fortuna hanno fatto amicizia con Mai e Lunch e ce li siamo scollati di dosso dopo un po’, almeno».
«Pensa che mi ha scritto Lunch che forse dopo verranno qui anche loro quattro, del resto hanno dato i biglietti anche a Trunks e Lapis. Mettiti il cuore in pace, Prince!» scoppio a ridere, mentre mi alzo. In realtà sono contento che le mie amiche primine abbiano potuto conoscere quei due ragazzi e scambiarsi anche i numeri con loro, mi sembrano persone a posto e anche Lazuli me l’ha confermato.
«Che palle…» sbuffa Vegeta.
«Ehi, Goku-kun! Guardami!» urla Chichi, tuffandosi elegantemente in piscina dal trampolino.
«Wow! Voglio provarci anch’io Chichi-chan!» grida mio fratello, gettando a terra il giornale e correndo a tutta velocità verso la piscina, prima di tuffarsi a bomba e sollevare una grande quantità di schizzi dappertutto.
«Il solito casinaro…» sento borbottare Vegeta, mentre mi allontano da lui per dirigermi verso Lazuli, che ha cominciato nel frattempo a leggere un libro. “Mucchio d’ossa” di Stephen King. Niente male.
«Quel libro è una figata, certo che il titolo mi mette sempre un po’ i brividi» ridacchio, abbassandomi verso di lei.
«Questo titolo è la fine che farai tu, se mi fai arrabbiare» mi minaccia in tono distaccato, senza guardarmi.
«Non ne dubito, principessa!» scoppio a ridere. «Certo che è bello essere qui, vero Là?» le domando dolcemente, sedendomi sul lettino accanto a lei e dandole un bacio a fior di labbra.
«Immagino, Son-kun. Non hai fatto altro che fissarla tutto il tempo, razza di maniaco…» sospira Bulma, uscendo dall’acqua e dirigendosi verso Vegeta.
«Mi hai fissato davvero così tanto? Non me ne ero accorta…» domanda Lazuli con falsa ingenuità, sorridendo maliziosa e chiudendo il libro.
«Ti ho fissata fino a consumarmi gli occhi, mia regina e mia dea» rispondo con voce roca, avvicinandomi a lei e dandole un bacio decisamente più intenso di quello di prima. Il suo sapore mi manda in paradiso per qualche indimenticabile secondo.
«Allora ti piaccio davvero con questo costume?» mi chiede, fingendo ancora una volta di non sapere la risposta.
«Mi fai impazzire, lo sai benissimo» le sorrido sghembo.
«Risposta esatta, Son. E vedi di non guardare troppo le altre solo perché sono in costume, se non vuoi che ti cavo gli occhi» aggiunge, sorridendo sadica, mentre i suoi occhi di ghiaccio si illuminano.
«Io guardo te come non guardo nessuna, lo sai».
«Lo so, ma è sempre bello sentirselo dire, scemo» sorride, mentre allunga la mano fino alla sua borsa e tira fuori il cellulare. «Prima stavo guardando le foto che ci siamo fatti con le luci e gli addobbi di Natale in giro in questi giorni» aggiunge, mostrando anche a me le immagini che ci ritraggono scattate nell’ultimo periodo davanti a luci natalizie colorate, addobbi vari, alberi di Natale e riproduzioni di pupazzi di neve e renne. «Sai, ho sempre amato il Natale, è bello averlo potuto festeggiare insieme a te quest’anno» mi dice, con disarmante purezza. Quando fa così mi riempie il cuore in un modo che non sarei in grado di descrivere. Mi fa solo sentire ancora di più il bisogno di fare del mio meglio per farla star bene, per proteggerla. Per renderla felice. «Sono bei ricordi, grazie Rad. Come mi piace sempre guardare le foto che abbiamo fatto al Parco della Preistoria con tuo fratello e mia sorella l’altro giorno».
«Ho sempre amato tantissimo anch’io il Natale. E ne passeremo ancora tantissimi insieme, te lo giuro… tutti, direi. Faremo ancora tante foto, ci costruiremo un sacco di bei ricordi. Torneremo anche a vedere i dinosauri ogni volta che vorrai».
Lazuli mi sorride dolcemente, prima di appoggiare sul lettino il telefono e cingermi il collo con entrambe le braccia. Mi bacia. Mi fa sdraiare accanto a lei senza smettere di baciarmi, prima di mettersi di lato e guardarmi negli occhi in silenzio. Mi metto di lato anch’io. Mano nella mano, ci stiamo a malapena. Ma è bellissimo così.
«Ci stai?» mi domanda, stringendosi a me.
Annuisco. Sorrido e le accarezzo delicatamente i capelli. Resto in silenzio e non smetto di guardarla.
«A cosa pensi?» mi chiede con un filo di voce.
«Penso che molta gente ama stare al centro del mondo, ma a me basta un angolo dove c’è tutto il mio mondo per essere felice».
Lei arrossisce leggermente e abbassa lo sguardo, abbracciandomi.
«Anche se si sta un po’ stretti come adesso?»
«Soprattutto se si sta un po’ stretti. Perché vuol dire che siamo più vicini».
Sorride e chiude gli occhi. Mi stringe di più. Sento che è felice, che lo è davvero. Come e forse più di me.
Restiamo così, in silenzio, non saprei dire per quanto. Ma è tutto così bello che non mi importa molto del resto.
«Sai, visto che già ti vesti da coniglietta, ogni tanto… mi chiedevo se volessi indossare un costume sexy da Babba Natale o qualcosa del genere. Io potrei fare Rudolph la renna dal naso rosso in versione hot, che ne dici?» le propongo, ghignando in un sussurro.
«Sei un cretino, Rad. Non so più cosa fare con te… sono disperata…» sospira, accennando un sorriso e scuotendo la testa. «Sei proprio un maiale».
 
«Fratellone! Vegeta-sama! Giochiamo un po’ a calcio?! Mi sono stufato di fare i tuffi!» ci chiama mio fratello, dopo essere uscito dall’acqua ed essersi diretto verso un angolo dell’ampio locale della piscina in cui sono stati ricreati un campetto da calcio a cinque e uno da beach volley.
«Guarda che tra dieci giorni inizia il campionato nazionale, Goku-kun! Rischiano di farsi male!» lo rimprovera Chichi.
«Ma no, un po’ di allenamento in più non può che far bene a quei due scimmioni!» interviene Bulma, ghignando.
«E poi a quei due non li ammazza neanche la saetta quando c’è da giocare a calcio» aggiunge Lazuli in tono annoiato.
«Io ho giusto voglia di sgranchirmi un po’ le gambe» dice Vegeta, corricchiando verso il campo.
«Ma sì, due tiri si fanno sempre volentieri! Goku, vai in porta» esclamo, recuperando un pallone.
Ci mettiamo a giocare e devo dire che mio fratello se la cava molto bene come portiere, pur non avendo mai giocato seriamente a calcio.
«Al liceo hai intenzione di venire al Minegahara?» gli chiede Vegeta, dopo l’ennesimo tiro parato. Ho già capito cos’ha in mente, e in effetti concordo con lui. È una cosa a cui non avevo mai pensato, ma che sarebbe davvero bella.
«Uhm… sì! Anche Chichi-chan cambierà scuola per venire al vostro liceo, visto che ormai si è trasferita qui!»
«Perché non entri con noi nel club di calcio?» gli domando, anticipando Vegeta, che immagino stesse pensando a questo.
«Già, ci servirà un nuovo portiere visto che Napa si diploma. E quello del primo anno che ora gli fa da riserva non è un granché» aggiunge il mio compagno di classe in tono sprezzante, invitando a modo suo mio fratello ad entrare a far parte del club.
«Davvero mi volete in squadra? Ma io non ho mai giocato in nessun club!»
«Certo che ti vogliamo! Puoi anche diventare subito titolare se ce la metti tutta» gli sorrido. «Alla fine del campionato nazionale si ritireranno tutti quelli del terzo anno, abbiamo bisogno di nuovi giocatori. Possibilmente forti, se vogliamo difendere il titolo di campioni provinciali».
«E tu sei forte, Goku-kun. Se ti allenerai bene potrai diventare un grande portiere, ne sono certa» interviene Lazuli dopo averci raggiunto, accennando un sorriso.
«Wow! Anche Goku-kun diventerà un calciatore!» urla Chichi, in preda all’eccitazione.
«Avremo tre scimmioni nella stessa squadra e nella stessa scuola…» sospira Bulma, rassegnata.
«Urcaaa! Davverooo! Non vedo l’oraaa!» sbraita mio fratello calciando lontano il pallone senza quasi rendersene conto.
Seguo con lo sguardo la palla viaggiare fino alla porta d’ingresso del piano vasca che, proprio in quel momento si apre.
«Goku-kun!» lo sgrida Chichi, guardando allarmata in quella direzione.
«Ops…» farfuglia Goku.
«Che accoglienza» dice in tono ironico un ragazzo dai capelli neri che gli ricadono sulle spalle e con due occhi di ghiaccio simili a quelli di Lazuli. Salta leggermente e stoppa con grande abilità il pallone col petto, per poi colpirlo col tacco del piede al volo prima che tocchi terra e dirigerlo verso il ragazzo che lo accompagna. «Come siete chiassosi. Vi si sente dalla strada, lo sapete? Spero solo che la gente che lavora qui non pensi che anch’io sia un tipo così rumoroso».
«Buongiorno a tutti. È un piacere rivedervi» ci sorride l’altro ragazzo, dopo aver stoppato il pallone altrettanto abilmente. Accenna un leggero inchino, quasi a disagio. Con un piede tiene ferma la palla. «Spero che non vi abbiamo disturbato. E poi… ecco, in realtà non siete davvero rumorosi, per niente» aggiunge, prima di calciare il pallone con un tocco vellutato, facendolo finire delicatamente tra le braccia di Goku, che lo prende al volo. Ha gli occhi azzurri e dei lunghi capelli lilla legati in una coda. Ha un modo di fare davvero gentile, l’avevo notato fin dalla prima volta che l’ho visto.
«Ma lo sanno anche loro che stavo scherzando, Trunks. Non essere inutilmente pesante…» sbuffa il ragazzo dai capelli neri. Conosco anche lui ovviamente, e mi strappa un sorriso nel vederlo camminare con quell’aria un po’ così. «Non è vero, cuginetta? Come te la passi?» aggiunge, dirigendosi verso Lazuli, sdraiata sul lettino e che non lo degna nemmeno di uno sguardo continuando a sfogliare una rivista di moda che aveva iniziato a guardare. In copertina c’è lei, ovviamente, e, considerazione ancora più scontata, è meravigliosa: jeans attillati con strappi sulle cosce, gilet di jeans aperto e top bianco con righine orizzontali nere ben in vista. Bracciale e collarino nero, abbinati a una posa allo stesso tempo semplice e sensuale come il suo classico gesto di ravviarsi i capelli.
«Me la passavo meglio prima che arrivassi tu, Lapis» ribatte freddamente.
«È così che tratti il tuo cuginetto e collega? O ti dai delle arie solo perché sei la reginetta indiscussa del film?» la provoca, ghignando divertito.
«Ci tenevi a fare tu la ragazza cyborg? Con un po’ di seno finto saresti stato perfetto, hai già i capelli lunghi e gli orecchini, tra l’altro» risponde per le rime la mia ragazza, punzecchiandolo a sua volta. A quanto pare si divertono così fin da bambini, quelle poche volte in cui si vedono. Nonostante Lapis Toyama sia di Tokyo, la sua famiglia non si è mai frequentata molto con quella di Lazuli. Però vanno d’accordo come cugini in realtà, me ne sono accorto subito. Hanno solo questo senso dell’umorismo tutto loro con cui si divertono a battibeccare un po’.
Lapis non è un attore famoso, nemmeno Trunks Haibara. Penso che la loro popolarità potrà crescere dopo l’uscita del film in cui Lazuli è la protagonista indiscussa nonché stella più attesa da spettatori e critica. So che è stata Piiza-san su suggerimento di Lazuli a proporre al regista Lapis per la parte, mentre Trunks già faceva parte del cast, essendo stato scelto direttamente dal produttore, che è di Osaka come lui. Trunks ha la mia età, mentre Lapis è coetaneo di Lazuli.
«Senpai!»
La voce di Lunch mi fa voltare di nuovo verso l’entrata del piano vasca, dove nel frattempo hanno fatto capolino lei e Mai, che la segue un po’ intimidita. Mi salutano con la mano.
«Grazie mille per l’invito. Buongiorno» accenna un inchino Mai, che viene subito raggiunta da Trunks. Noto subito che si prendono per mano. Un colpo di fulmine in piena regola, visto che si conoscono da appena una settimana.
Lazuli guarda male Lunch per un istante, prima di fissare Lapis. «È con te?» gli chiede freddamente, stando attenta a farsi sentire solo da lui.
«Ci siamo trovati bene alla festa di settimana scorsa. Mi piace» risponde lui, sollevando le spalle. «Mi diverto con lei».
«Vedi di comportarti bene, chiaro?!» sibila la mia ragazza.
«È tua amica?»
«No».
Lapis sorride sornione alla risposta piccata di sua cugina, prima di voltarsi verso Lunch e camminare verso di lei.
«In ogni caso non devi preoccuparti, cuginetta. Ho detto che mi piace, no? Mi ha colpito, lo ammetto. E non è da tutte colpirmi» risponde, prima di allontanarsi da lei per raggiungere la mia amica primina.
 
«E tu vorresti davvero vincere il titolo di capocannoniere al campionato nazionale facendo tiri del genere? La tua tecnica non è un granché…».
L’osservazione strafottente di Lapis fa ringhiare Vegeta, dopo che Goku ha parato un suo tiro che in realtà era potente e ben indirizzato. Anche lui e Trunks, infatti, ci hanno raggiunto e hanno cominciato a giocare con noi. Ammetto che sono davvero bravi entrambi.
«Sta’ zitto, tu te lo sogni di partecipare al campionato nazionale!» sbotta il mio compagno di classe, prima di scagliare un tiro violentissimo che si insacca sotto l’incrocio dei pali senza nemmeno dare il tempo a mio fratello di tuffarsi.
«Ti stavo solo stuzzicando per farti tirare fuori la grinta. È divertente farti arrabbiare» gli sorride sornione Lapis. «In realtà un attaccante come te avrebbe fatto comodo alla mia squadra. I miei assist meravigliosi non sarebbero stati quasi tutti sprecati, presumo».
«Tsk!»
«So che ha vinto la Toho School il campionato della prefettura di Tokyo» intervengo, sapendo già che quella non è la squadra di Lapis.
«Vedo che sei informato. La mia cuginetta dopotutto non poteva scegliersi un fidanzato troppo stupido, immagino» ghigna, fissandomi negl’occhi. «La squadra della mia scuola era così scarsa da aver reso inutile il mio talento da trequartista. Sono un numero dieci, io. E sono alla perenne ricerca di un attaccante che sappia valorizzare i miei passaggi. Ma forse non accadrà mai, i miei assist sono troppo difficili da capire per il calcio giovanile».
«Certo che hai una bella faccia tosta. Non male per uno la cui squadra è stata eliminata subito» lo punzecchia Vegeta.
«Te l’ho detto, i miei compagni erano piuttosto scarsi. Continuerò a giocare all’università, mi resta solo da capire se sono più bravo a giocare o a recitare. In un caso o nell’altro, temo che mi toccherà diventare comunque una stella» risponde, allargando le braccia e sorridendo furbo.
«Sei un buffone e basta…» sbuffa Vegeta.
«In realtà ha ragione» interviene gentilmente Trunks. «Gli ho visto giocare una partita ed è molto forte, anche se la sua squadra purtroppo è di basso livello».
«Non ci posso fare niente, chi capisce di calcio riconosce il mio talento» sibila Lapis, fissandomi e strappandomi un sorriso. «E comunque anche Violetta è un gran bel giocatore».
«T-ti prego di non chiamarmi più così, Lapis-senpai» farfuglia Trunks, paonazzo, abbassando la testa. Vegeta si sforza con tutto sé stesso di non ridere, io provo a fare lo stesso.
«Ah, Violetta per i capelli lilla!» scoppia a ridere sguaiatamente mio fratello, facendo diventare ancora più rosso il povero Trunks, che tuttavia educatamente non si scompone.
«Lui ci arriva sempre un po’ dopo…» soffia Vegeta, guardando male Goku.
«Goku, chiedi scusa a Trunks. Non merita di essere preso in giro!» rimprovero mio fratello, cercando di restare serio.
«Scusami, Trunks-san. Il fratellone ha ragione, mi dispiace» si inchina leggermente.
«N-nessun problema…» accenna un sorriso Trunks.
«C’è da dire che, saranno i capelli lilla o sarà la sua educazione, ma è proprio lui quello che ha più successo con le ragazze» ghigna Lapis, stuzzicandolo di nuovo. «Fa strage di cuori quello lì. Ma è un bravo ragazzo, non se ne approfitta mai».
«Non esagerare, Lapis-senpai» gli sorride Trunks, visibilmente a disagio.  
«Però quella morettina ti è piaciuta subito, eh? Siete abbastanza simili come carattere, in fondo… prevedo un matrimonio nel giro di qualche anno e due o tre marmocchi in giro per la vostra casa» riprende il cugino di Lazuli, osservando in lontananza Mai e poi volgendo lo sguardo su Trunks, che arrossisce ancora.
«Tu invece che intenzione hai con Lunch?» sbotta Vegeta, serissimo.
«Perché dovrei dirlo a te?» lo sfida con lo sguardo Lapis.
«Perché è una mia kohai» ribatte sprezzante.
«E perché è una nostra amica, oltre che collega» aggiungo, avvicinandomi minaccioso a Lapis, che sorride con superiorità e scuote la testa.
«Non pensavo avesse le guardie del corpo» ci provoca. «Comunque non sono quel genere di persona. Anzi, detesto chi si approfitta delle ragazze per poi scaricarle».
«Dice la verità, ve lo assicuro» interviene in sua difesa Trunks.
«Allora mi fido» sibila Vegeta, mentre anch’io torno a sorridere e do una pacca sulla spalla a Lapis, che mi sorride a sua volta con sincerità.
«Sono un raffinato gentiluomo, pensavo fosse fin troppo evidente» aggiunge in tono beffardo.
Ci voltiamo entrambi verso Lunch, che ci sorride e saluta con la mano.
«Parla spesso di te. Dovrei essere geloso?» bisbiglia Lapis.
«Sono solo un senpai che le ha dato dei consigli in un periodo difficile. Io ho occhi solo per tua cugina».
«Sarà meglio. Forse la conosci meglio di me, quindi già saprai che è capace di tagliarti le palle se fai una mossa falsa».
«Ah, lo so benissimo. E la amo anche per questo» rispondo, accennando un sorriso. Stavolta è lui a darmi una pacca sulla spalla.
«È stata la mia cuginetta a rinchiuderti in una gabbia piena di tigri perché l’hai fatta arrabbiare? Sei stato bravo a cavartela con così poco…» mi chiede, indicando col volto le tre profonde cicatrici che mi solcano il petto. In effetti potrebbero essere tranquillamente un ricordo lasciatomi da una tigre, un leone o un orso per come sono fatte.
«Se avesse voluto ridurmi così non avrebbe avuto bisogno delle tigri, ci avrebbe pensato lei» sorrido, guardando Lazuli in lontananza e ripensando a quanto ormai sono a mio agio anche con le mie cicatrici. Non fanno più male, non sanguineranno mai più. Lo so, lo so e basta. «Lei, del resto, è una capace di fare le prima le fusa e poi di sbranarti, se vuole».
«Hai ragione» conferma, accennando un sorriso. «Stai bene? Se hai bisogno di parlare di quello che ti è successo, dimmi pure».
«Ti ringrazio, sei un amico» gli sorrido, sorpreso dalla sua gentilezza e disponibilità nonostante lo conosca a malapena. «Sto benissimo, comunque. È una storia vecchia e più noiosa di quanto potresti immaginare quella di queste cicatrici… magari un giorno te la racconterò».
«Quindi giochi anche tu in un club scolastico?» domanda nel frattempo Vegeta a Trunks, passandogli il pallone e attirando la nostra attenzione.
«Già, ma siamo stati eliminati ai quarti di finale nel campionato di Osaka» risponde, con un velo di malinconia nella voce.
«È un gran bel risultato essere tra le prime otto di Osaka» provo a rincuorarlo. Anche perché è la verità.
«Sì, ma non basta per andare al campionato nazionale. È sempre stato il mio sogno, ma forse è destinato a rimanere, appunto, un sogno. È stupendo che voi possiate andarci, però».
«Finché giocherai a calcio potrai sempre  puntare al campionato nazionale. Dovrete allenarvi di più, crederci di più. Prima o poi ce la farai» lo incoraggia Vegeta, senza guardarlo e con le braccia incrociate sul petto.
«Grazie! Non smetterò di crederci allora!» gli sorride Trunks.
«Non trovi che in qualche modo si somiglino quei due» mi sussurra Lapis.
«Davvero!» gli rispondo. «In che ruolo giochi, Trunks?»
«Ho sempre fatto il difensore centrale, però ultimamente il mister mi sta provando da centrocampista davanti alla difesa perché dice che ho i piedi buoni. Mi piace giocare anche lì, fare il regista».
«Allora magari un giorno faremo coppia insieme in difesa, visto che anch’io sono un centrale» gli sorrido. «Oppure giocherai da regista appena davanti a me».
«E dietro di me, visto che io sarò il trequartista della squadra» si intromette Lapis.
«Già, sarebbe bello!» esclama Trunks. «Con Vegeta in attacco e Goku in porta, poi, la spina dorsale della squadra sarebbe fantastica».
È vero, sarebbe una cosa pazzesca, e penso che la nostra ipotetica squadra sarebbe fortissima nella zona centrale del campo: Goku in porta, io in difesa, Trunks come centrocampista difensivo, Lapis come centrocampista offensivo e Vegeta come punta. Un asse centrale coi fiocchi, non c’è che dire.
«Mi toccherà aspettarvi allora, visto che avete ancora da finire il liceo voi» ghigna Lapis, che del resto sta per diplomarsi. «Io andrò all’università di Yokohama, la stessa di mia cugina. Continuerò a giocare lì».
«Anch’io ho scelto quell’università! E penso che anche Prince la farà, vero?»
«Sì, credo di sì».
«Allora a quanto pare mi toccherà giocare davvero con voi. Vedremo se sarai un attaccante all’altezza dei miei assist» sorride sornione verso Vegeta.
«Tsk! Tu dovrai essere all’altezza dei movimenti che farò per smarcarmi!»
«Mi piacerebbe venire anche a me a Yokohama, anche se un po’ mi spaventa lasciare Osaka» interviene Trunks.
«Secondo me hai già trovato un motivo più che valido per trasferirti qui in zona, che sia Fujisawa o Yokohama» gli sorrido, prima di guardare Mai in lontananza.
«P-penso… penso di sì» arrossisce leggermente.
 
«Allora, Rad, sta meglio tua mamma?» mi domanda Vegeta quando, più tardi, ci ritroviamo da soli. «Non voglio farmi i cazzi tuoi, ma Bulma mi ha detto che siete andati a trovarla tu e la tua ragazza».
«Grazie per avermelo chiesto, Prince. Sta bene… sta bene davvero» sorrido. La mia voce trema leggermente per la commozione.
«Sono felice. Non ti ho quasi mai chiesto nulla in questi anni perché so che non era facile per te, ma sappi che ho pensato spesso alla tua situazione».
«Sei un amico, Prince».
«Uscirà presto?»
«Dicono il 30 gennaio, se tutto va bene».
«Andrà tutto bene».
«Sì, lo credo anch’io».
«Uscirà proprio nel giorno di riposo tra la semifinale e la finale del campionato nazionale, ci hai fatto caso?»
«È la prima cosa che ho pensato quando me l’ha detto. Anche perché vorrebbe vedermi giocare, sia in tv che dal vivo».
«Allora è perfetto! Semifinale in tv, e finale allo stadio a Tokyo! Verranno anche i miei a vedere la finale».
«Già, se andassimo in finale sarebbe tutto perfetto».
«Togli quel “se”, coglione! Noi andremo in finale. Punto».
«Hai ragione, Prince. Andremo in finale. E torneremo a casa col titolo di campioni nazionali».
«Questa è una promessa, Rad» mi dice Vegeta, allungando un pugno chiuso verso di me.
«Certo, Prince. È una promessa. Vinceremo davanti alle nostre ragazze, ai nostri amici, alle nostre famiglie, ai nostri compagni di scuola. Davanti a chi ha sempre creduto in noi e a chi ci ha sempre deriso. Davanti agli osservatori della J League e al mondo intero» rispondo, battendo il mio pugno contro il suo. «Guarda fuori» aggiungo, indicando col volto l’ampia vetrata che ci permette di vedere il panorama dall’interno del piano vasca. In quel momento ci raggiungono Lazuli e Bulma, che si siedono accanto a noi. Là mi prende per mano e appoggia la testa sulla mia spalla. «La vedi la vetta del cielo, Prince? Riesci a vederla anche tu, Là? E tu, Bulma?»
«Sì» rispondono all’unisono. La mia ragazza mi stringe la mano più forte.
«È quello il nostro obiettivo. È lì che arriveremo. Fino alla vetta del cielo».
 
 
 
 
 
 
Note: eccoci di nuovo qui dopo una fantastica fiera del fumetto che mi ha riempito il cuore e fatto divertire un casino e dopo la scorpacciata di parole ed emozioni dello scorso capitolo, per cui ci tengo a ringraziarvi anche qui per come lo avete apprezzato! Bene, stavolta un capitolo di transizione in attesa dell’inizio del campionato nazionale di cui leggeremo settimana prossima, però l’occasione giusta per i nuovi arrivi quasi al fotofinish che praticamente tutti avete indovinato, cioè i miei adorati Lapis-C17 e Trunks! Vi sono piaciuti? I loro cognomi che ho scelto sono in omaggio alle mie due ragazze preferite di un altro manga/anime che amo molto, magari qualcuno di voi ha capito di cosa parlo.
Dalla regia Rad mi dice che ho rotto le palle coi miei indovinelli settimanali, mentre Là mi suggerisce con uno sguardo omicida di tagliare corto. ;-)
Ok, spero vi sia piaciuto questo capitolo e l’entrata in scena anche di Lunch e Mai e del loro rapporto coi due attori, oltre al ritorno dei GoChi e dei VegeBul. A quanto pare, faranno tutti parte della stessa scuola col nuovo anno scolastico (che inizia l’1 aprile in Giappone, vi ricordo, quindi manca ancora un pochino alla fine dell’anno scolastico in corso di cui parla questa storia), vi piace l’idea?
Il libro che sta leggendo Là gliel’ho consigliato io e quindi lo consiglio anche a voi.
 
Ringrazio tutti voi che ci siete sempre e mi fate sentire ogni volta il vostro sostegno, un grazie a chi ha iniziato adesso questa long riempiendomi d’orgoglio e che spero arriverà fin qui per poter leggere queste parole e un saluto caloroso anche ai miei lettori e amici silenziosi.
Grazie poi agli autori delle tre magnifiche fan art abbinate a questo capitolo: Lazuli, Bulma e Chichi in questa piscina molto speciale che abbiamo visto, la copertina della rivista che Lazuli sta sfogliando e, a sorpresa grazie alla bravura di Shironeko, un selfie che si erano scattati Rad e Lunch quando giocavano a fare i finti fidanzati ai tempi dei loop temporali creati dalla primina, vi ricordate quel capitolo?! ;-)
 
Il prossimo capitolo sarà emozionante, spero di riuscire a farvi ridere e magari anche piangere un po’. Almeno palpitare un pochino il cuore anche senza scene d’amore. Sarà un capitolo intenso e una sorta di parata di stelle provenienti anche da altri anime/manga per fare un omaggio sotto forma di comparsata in questa long a cui tengo così tanto. Non saranno nomi a caso quelli che farò nel nuovo capitolo, voglio vedere quanti ne beccate e riuscite ad abbinare a una serie. Possono partecipare anche i lettori silenziosi a questo contest, di cui ora smetto di parlare perché, dalla regia, Veggy mi sta facendo gesti inequivocabili e si sta anche facendo scrocchiare le dita minaccioso.
Ecco, tornando al mondo strettamente di Dragon Ball, vi dico che rivedremo tante vecchie conoscenze di questa storia: Husky e Crilin, Napa e Cabba, Caulifla e Kale, Broly e una new entry femminile che non poteva mancare e, in generale, tutti i personaggi principali. Tra l’altro, Napa annuncerà anche il nome di colui che sarà il nuovo capitano della squadra, un passaggio di consegne inevitabile dato che lui è del terzo anno e sta per diplomarsi, come del resto Lazuli. Il titolo è “Tempesta e Impeto”, io non posso che consigliarvi di allacciare per bene le scarpe da calcio e tenervi pronti per mercoledì prossimo!
A presto!
 
Teo

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Capitolo 52
*** Tempesta e Impeto ***


52 – Tempesta e Impeto
 
 
31 gennaio
 
Entro in campo da solo, per primo. Forse per pensare, probabilmente per godermi il momento. Viverlo appieno.
Non capita tutti i giorni di avere il privilegio di poter giocare la finale del campionato nazionale. Forse non mi capiterà più, o magari mi capiterà invece addirittura di giocare finali a livello continentale o mondiale. Ma non è importante, adesso. Quello che conta sono le sensazioni di oggi, perché so che me le porterò dentro per sempre. Perché non è una semplice finale da vincere quella di oggi, almeno per me. È molto di più.
La fine di un percorso, la chiusura di un cerchio. L’uscita da un tunnel.
Oltrepasso la linea bianca laterale e vengo accolto da un boato. Sono il primo in assoluto a scendere in campo per il riscaldamento e mi vengono i brividi. Non per il freddo, nonostante indossi solo una felpa da allenamento sopra alla mia maglia da gioco giallonera col numero 5 e sia già in pantaloncini. È per quello che provo. Per quello che si prova quando si varca questa linea bianca e si entra in campo. Quando tutto può ancora succedere. Quando sai di poter vincere e ti senti l’adrenalina nelle vene. Quando vedi uno stadio pieno e non sei abituato a tutto questo.
Mi giro su me stesso e mi godo lo spettacolo del Tokyo Stadium che si sta riempiendo a vista d’occhio. Cinquantamila persone. Ripenso alla mia prima partita col Liceo Minegahara sul campo della nostra scuola, con qualche studente in tribuna e qualcun altro che guardava dalle finestre del corridoio davanti alle classi. Con Lazuli dietro una porta, anche se ancora non la conoscevo. Mi guardo intorno di nuovo e penso a quanta strada abbiamo fatto io e i miei compagni. Ripenso alle mie prime partite da bambino. A quando avevo dovuto smettere di giocare. Penso a tutto quello che mi è successo negli ultimi tre anni e sorrido verso il cielo.
Faccio qualche passo in avanti sull’erba morbida e sento un boato talmente forte che mi stordisce e mi elettrizza allo stesso tempo. Abbiamo giocato in questo stadio anche l’altro ieri, quando abbiamo battuto la fortissima Toho School capitanata da Mark Lenders per 3-0. Ma gli spalti non erano così pieni come oggi. Io ho segnato di testa il primo gol, poi è stato Vegeta a chiudere la partita con una doppietta che l’ha anche proiettato in testa alla classifica dei marcatori, superando di un gol lo stesso Mark Lenders e Shingo Narita, l’attaccante dell’Ichiran di Chiba, la squadra campione nazionale in carica che dovremo affrontare oggi per strapparle il titolo.
Cerco con lo sguardo il settore dello stadio occupato dai nostri tifosi e mi avvicino corricchiando, venendo accolto da applausi e urla di incitamento. Mi sembra di poterli vedere tutti a uno a uno. Tutti gli studenti della nostra scuola con la divisa scolastica, accompagnati dalla preside e gli altri professori. “Tempesta e Impeto”, leggo su un grosso striscione giallo con scritte nere che hanno affisso sul muretto della tribuna. Leggo e sorrido istintivamente, perché quello slogan è davvero tutto quello che siamo noi del Liceo Minegahara. Noto poi con estremo piacere che ci sono striscioni e cartelloni per tutti i giocatori, stavolta. Non riesco a contare quelli dedicati a me, che ormai sono pressoché tanti quanti quelli per Vegeta. Ma è bello vedere che ce ne sono davvero per tutti i miei compagni. Per Napa, Cabba e tutti gli altri. Alcuni studenti cominciano a scandire in coro il nome della nostra squadra. Mi volto verso l’uscita degli spogliatoi e mi rendo conto che sono entrati in campo anche gli altri miei compagni di squadra per il riscaldamento, seguiti dai giocatori dell’Ichiran. Un boato ancora più forte accoglie l’ingresso dei campioni in carica, che hanno molti più tifosi di noi. Del resto, noi non siamo altro che una piccola squadra arrivata qui contro ogni pronostico. Ma adesso ci conoscono tutti. Ci temono tutti.
Mi giro ancora verso la tribuna e cerco con lo sguardo Lazuli, finché la trovo. Mi sorride, e sento il cuore battermi all’improvviso un po’ più forte. I suoi occhi di ghiaccio brillano, incorniciati dalle ciocche bionde che fuoriescono elegantemente dal suo cappello di lana nero dei Raptors con tanto di pompom in testa. Stringe il pugno destro e lo solleva. Io faccio altrettanto, sollevando il braccio e generando un nuovo boato tra i nostri tifosi. Guardo Bulma, seduta alla sinistra di Lazuli e già impegnata a fare le sue riprese col telefonino. Osservo poi Chichi, alla destra della mia ragazza, con le mani a coppa intorno alla bocca intenta a urlarmi qualcosa, mentre Goku, al suo fianco, salta e urla felice. A ridosso della balaustra, invece, vedo già impegnati nelle riprese video un gruppetto di primini entrati di recente nel club di scienze come assistenti di Bulma, cioè Senku, Chrome e le gemelle Kohaku e Ruri.
Con lo sguardo scendo qualche fila più in basso, dove riconosco l’unico striscione dedicato a me durante la finale del campionato provinciale. Uno striscione che ha continuato a comparire anche in tutte le partite di questo campionato nazionale, insieme agl’altri che nel frattempo si sono aggiunti. È lo striscione di Lunch e delle sue compagne di classe, che lo sollevano e lo agitano verso l’alto, urlando a squarciagola. Nel casino di sottofondo mi sembra di udire chiaramente quel loro “Senpaiii” che mi è ormai così tanto familiare. Vedo Lunch, che si sta sgolando, e al suo fianco Mai. Con Loro ci sono Lapis e Trunks, decisamente più contenuti. Il cugino di Lazuli scuote la testa lentamente e ghigna beffardo quando incrocio i suoi occhi, mentre Trunks solleva il pollice in segno d’intesa. Vedo poi Erza, Mira e Lucy che si sbracciano. Poco più in là scorgo uno striscione sgargiante e tutto colorato con lettere fluorescenti. Sopra ci sono scritti il mio nome e quello di Vegeta, con un cuore fucsia disegnato in mezzo. Anzi, più precisamente c’è scritto “Rady” e “Veggy”, oltre al mega cuoricino. Marion, ovviamente. Solo lei può riuscire a far almeno un po’ imbarazzare uno come me! La vedo saltare e gridare sotto lo striscione insieme alle sue amiche. Miku arrossisce mentre mi saluta, Ichika ride e urla qualcosa che non posso capire, Nino incrocia le braccia sotto il seno, Itsuki scuote la testa e Yotsuba sale in piedi sul seggiolino e agita le braccia. È bello sapere che ci sono anche loro. Riconosco poi facce note e altre viste solo di sfuggita a scuola. Ci sono Yamcha Wolf, Tensing, Riff e gli altri del club di baseball. Sakuragi, Mitsui, Aomine e Kise del club di basket, Sawamura e Sugawara di quello di pallavolo, Yamato e Suzuka di quello di atletica e chissà quanti altri. Vorrei ringraziarli tutti, davvero. Tutti gli studenti e professori che sono qui, tutti gli sportivi della nostra scuola, perché loro sanno cosa si prova quando si scende in campo con un sogno nel cuore. Vedo anche i ragazzi del club di rugby, e sarebbe difficile non notarli con la loro mole. Ci sono il capitano Sekizan, Oharano. Ebuni e tutti gli altri. Accanto a loro riconosco il club di nuoto. Makoto mi saluta agitando la mano, accanto a lui riesco a notare Haru e Rin, ragazzi che ho avuto modo di conoscere e apprezzare negli ultimi mesi grazie all’amore per lo sport che ci lega, come del resto Hattori, Zoro, Ikki e Tanjiro della squadra di kendo. Ci sono davvero tutti i club della nostra scuola, e la trovo una cosa stupenda. Come mi sembra allo stesso tempo strano pensare a quanto le cose siano cambiate nel corso di quest’anno scolastico: all’inizio tutti mi consideravano un reietto, non mi rivolgevano la parola o mi criticavano alle spalle. Io stesso non sapevo nemmeno quali fossero i nomi di tutti i ragazzi e le ragazze che adesso sono in grado di riconoscere e salutare tra il pubblico. Non ho mai fatto nemmeno io un passo verso di loro, perché ho sempre dato per scontato che tutti mi odiassero e mi andava bene così. Me ne fregavo, anche se in realtà è ovvio che un po’ ne soffrivo quando sentivo le falsità che circolavano sul mio conto. Ma adesso è tutto diverso, io stesso sono una persona diversa da allora. Una persona migliore, spero, e non solo perché sono diventato popolare a scuola grazie alla mia strampalata dichiarazione d’amore pubblica a Lazuli e alla storia che ho con lei, oltre a quello che sono riuscito a fare da quando ho ripreso a giocare a calcio. Spero di essere diventato una persona migliore in generale, di poter aiutare chi ha bisogno e di saper stare vicino alle persone che mi vogliono bene. Guardo gli spalti gremiti, e mi rende davvero felice aver potuto conoscere tutte queste persone della nostra scuola in questi mesi. È bello che siano qui al nostro fianco, abbiamo bisogno di tutti oggi. Davvero di tutti.
Intravedo persino i genitori di Vegeta nella folla, oltre ad alcune squadre che abbiamo affrontato ed eliminato nei giorni scorsi, come il Godai, ben riconoscibile grazie ai suoi colori sociali giallo e blu. Riconosco poi dalle loro tute i giocatori della Flynet, che so che faranno il tifo per noi. Vedo il loro capitano, Philip Callaghan, alzarsi in piedi e incitarmi. Loro sono i campioni di Hokkaido e sono la prima squadra che abbiamo affrontato in questo campionato. Una partita durissima, equilibrata, in cui abbiamo faticato ad esprimere il nostro gioco forse anche a causa della tensione dell’esordio in una competizione importante come questa. Ma alla fine abbiamo vinto 1-0, grazie a un mio gol di testa a metà del secondo tempo. Segnare un gol all’esordio nel campionato nazionale non avrei nemmeno osato sognarlo, figurarsi riuscire a farne un altro come successo l’altro ieri in semifinale contro la Toho. In queste due partite ho potuto affrontare e conoscere due grandissimi giocatori come Philip Callaghan e Mark Lenders, ragazzi con cui spero di avere la possibilità di giocare di nuovo in futuro perché sono letteralmente straordinari e ho dovuto mettere l’anima per riuscire a fermarli. Riconosco anche un gruppo di giocatori della Toho School, non lontano dalla Flynet. Mark Lenders ha le braccia incrociate sul petto e un cappellino con la visiera calato sulla fronte. Mi saluta con un cenno del capo, col portiere Ed Warner e il centrocampista Danny Mellow seduti al sul fianco. Riguardo i giocatori della Flynet e mi viene automatico pensare a Videl, visto che arrivano da Hokkaido. Guarderà la partita anche lei? Saprà che sto giocando il campionato nazionale? Non so nemmeno se le piaccia il calcio, dopotutto. Sono stato innamorato di lei, ma in realtà non la conoscevo molto. Anzi, non sapevo proprio nulla di lei. Come non mi sono nemmeno reso conto che la Sindrome della Pubertà avesse potuto colpirla rendendola una ragazzina delle medie. Sì, ormai sono convinto di questa cosa dopo quello che mi ha detto Là a proposito del suo incontro con Videl in stazione di due mesi fa: Videl-chan e Videl-san erano la stessa persona. La mia senpai è diventata una ragazzina delle medie come effetto per quella dannata sindrome, probabilmente perché si è resa conto che era innamorata di me, salvo poi avermi trovato già fidanzato e felice quando mi ha rivisto dopo due anni. Ho provato a telefonare qualche volta a Videl-chan in questi mesi, ma ormai quel numero non risulta nemmeno più attivo. Penso che sia tornata la sé stessa diciottenne perché a un certo punto ha accettato la situazione, magari perché ha capito che ero felice con Lazuli. Che avevo trovato il mio posto del mondo, come direbbe lei. E a lei è andata bene così, a quel punto. Perché è una persona gentile, perché è positiva e perché è buona, probabilmente. Si sarà ricordata i suoi insegnamenti che mi aveva dato da senpai di vita, quel suo “chi sorride è più forte”, magari. Ed è riuscita a sconfiggere da sola la Sindrome della Pubertà. Credo che quel giorno di agosto in cui mi aveva dato appuntamento in spiaggia volesse dirmi la verità. Probabilmente chiedere aiuto. E io avrei dovuto capirlo. So che ho ancora tanto da imparare per poter diventare una persona migliore, per poter essere davvero un sostegno per gli altri come lei aveva detto che sarei diventato. Non sono più innamorato di lei, forse non lo sono mai stato davvero perché è solo da quando ho conosciuto Lazuli che ho capito sul serio che cos’è l’amore, ma di sicuro non sono cambiati i miei propositi di quel giorno di tre anni fa in spiaggia in cui ci siamo baciati. Continuo a voler essere una persona sorridente, gentile e che sappia aiutare chi sta soffrendo. Forse non rivedrò più Videl Satan e probabilmente è giusto così, ma quello che mi ha insegnato e l’aiuto che mi ha dato lo porterò sempre nel cuore. E, allo stesso tempo, le auguro con tutto me stesso di trovare qualcuno che sappia renderla felice, perché lei merita davvero di esserlo nella sua vita.
 
Nello stadio parte a tutto volume “In too deep” dei Sum 41 e il mio cuore ha un sussulto, visto che si tratta di una delle canzone preferite da me e Lazuli. Anche durante il riscaldamento della semifinale era stata trasmessa un po’ di musica, ma sentire oggi per prima proprio questa canzone non fa altro che aumentare la carica che sento accumularsi dentro di me. Sollevo lo sguardo in direzione del maxischermo su cui continuano a scorrere pubblicità una dopo l’altra e sento un sussulto molto più forte del precedente farmi battere il cuore all’impazzata. Un’immagine promozionale meravigliosa di Lazuli campeggia infatti sui maxischermi, mentre i cartelloni pubblicitari posti lungo il perimetro rettangolare del campo riportano la data di uscita del film “Mirai World – C18”. Manca solo un mese, ormai, e le pubblicità stanno diventando sempre più martellanti. Ma a me fa piacere, ormai mi ritrovo immagini della mia ragazza ovunque e questo non può che rendermi felicissimo e anche decisamente orgoglioso. Guardo i suoi occhi di ghiaccio che sembrano bucare il maxischermo e l’espressione dura e fredda che ha assunto in questa immagine ripresa leggermente dall’alto. Il suo viso mostra segni velati di nero qua e là, mentre i suoi vestiti sono strappati e lesi in alcuni punti, come se fosse appena uscita indenne da un’esplosione. È in piedi, e attorno a sé ci sono solo macerie. I suoi capelli biondi sono smossi da una leggera brezza, mentre si sta sfilando il gilet di jeans che indossa sopra una maglietta nera aderente a maniche lunghe. Per il resto ha una minigonna di jeans, dei leggings neri e degli stivali. Sorrido, perché riconosco in questo look di scena della mia ragazza quello che aveva indossato al nostro primo appuntamento. E comincio a sentire caldo soffermandomi su quell’immagine, perché devo dire che la mia ragazza è la cyborg più bella che sia mai comparsa in un qualunque film della storia del cinema, secondo me. La guardo, e non posso che ritenermi fortunato. Non solo perché è fottutamente bella, ma per la persona che è. Per quello che mi fa provare. Per tutto quello che ha fatto e fa per me.
Mi giro verso la zona della tribuna dove l’avevo vista prima per guardarla di nuovo dal vivo, come a convincermi che non è un sogno, o anche solo per sorriderle di nuovo. Forse sarò scemo, ma a volte non mi sembra ancora vero che Lazuli Eighteen sia la mia ragazza.
Il suo posto tra Bulma e Chichi adesso è vuoto, però noto che vicino a Goku è arrivato anche il suo amico Crilin. Accanto a lui ci sono Piiza-san e le Sweet Bullet al completo. Mi salutano anche loro agitando i pugni e le mani. Vedo Levy venir sollevata di peso da un ragazzo che accanto a lei sembra ancora di più un energumeno. La stringe a sé e la bacia, prima di lasciarla andare, paonazza, e incrociare le braccia al petto, lanciandomi un cenno d’intesa. È Gajeel, il fidanzato di Levy. Alcuni dicono che ci assomigliamo, forse sarà per l’altezza o magari per la nostra folta chioma nera, non saprei. Di sicuro ci stiamo simpatici a vicenda, quello sì.
Sposto lo sguardo nella fila sopra a mio fratello e gli occhi mi diventano improvvisamente lucidi, mentre un sorriso si dipinge automaticamente sul mio volto. C’è mia mamma, infatti, e mi saluta agitando le mani e ridendo. Mi urla qualcosa, sembra felice. Mio padre la cinge con un braccio e mi fa segno che è tutto ok con la mano. Io ricaccio indietro le lacrime e li saluto. È la fine di un incubo durato tre anni, perché ora anche mia madre sta bene. Tutto tornerà come prima, lo so. Ne sono convinto. Mia mamma voleva essere qui oggi e ce l’ha fatta, ha raggiunto il suo obiettivo. Ora sono io a dover raggiungere il mio.
A dover vincere.
 
Abbasso lo sguardo in cerca di Lazuli e la trovo, finalmente, in piedi e da sola con le mani appoggiate alla recinzione metallica sopra al muretto che separa il bordocampo dalla tribuna. Ha messo gli occhiali da sole, probabilmente per non farsi riconoscere, maggior ragione dopo che l’immagine pubblicitaria del suo film ha attirato su di sé l’attenzione di tutto lo stadio. Accenna un sorriso, mentre mi avvicino a lei. Crea una bolla rosa con la cicca che sta masticando e la fa scoppiare, per poi farla sparire di nuovo nella sua bocca. Già, proprio come in uno dei primissimi spot che aveva girato dopo essere tornata sulle scene.
«Lo sai che se fai così mi eccito» le sorrido sghembo.
«Ah sì?» fa la finta tonta, mostrando disinteresse. Nonostante il delirio intorno a noi la sento benissimo, come se fossimo in una bolla solo noi due. «Ce ne hai messo di tempo per arrivare, comunque».
«Ero ancora stordito dalla fantasmagorica bellezza della tua immagine sul maxischermo. Anzi, più precisamente ero arrapato. Cioè, lo sono tuttora».
«Rad».
«Uhm?»
«Piantala di fare il cretino. Non costringermi a scavalcare per darti un ceffone in diretta televisiva» sibila, prima di distogliere lo sguardo dal mio. «Però… ecco, sì, mi fa piacere. Anche se sei il solito kohai irrispettoso».
«Solo perché tu sei la mia senpai preferita!» rido. «A proposito, ho apprezzato davvero che avevi lo stesso look del nostro primo appuntamento».
«Ah, te ne sei ricordato?!» esclama, tornando a guardarmi e illuminandosi ancora di più.
«Te l’ho detto, non dimenticherò mai più niente che ti riguardi. E non potrei non ricordare un momento così bello».
«Io… ho proposto al regista questo look per alcune scene. Volevo farti una sorpresa» mi spiega, abbastanza imbarazzata.
«Là?»
«Sì?»
«Lo sai che ti amo più della mia vita?»
Lei sorride di più, mentre si sfila gli occhiali.
«Allora ti va di farmi una promessa?»
«Ovvio!»
«Adesso entra in campo e vai a prenderti il titolo di campione nazionale. E segna anche un gol. Mi piace vederti segnare».
«Agli ordini, mia regina e mia dea!» mi metto sull’attenti.
«Voglio vedere la vetta del cielo insieme a te».
«La vedremo insieme. Tra non molto la potremo vedere insieme, Là».
«Sono felice che ci sia anche tua mamma, devi vincere anche per lei e per tutte le persone che sono venute a tifare per te».
«Sono felice anch’io, davvero! E voglio vincere per te, soprattutto. Ce la farò, te lo giuro!» ribatto, allungando il pugno chiuso verso di lei e sorridendo. Lei fa lo stesso, anche se non possiamo batterli fisicamente uno contro l’altro perché siamo troppo lontani e per di più c’è una recinzione a dividerci. Ma non serve, è come se l’avessimo fatto.
Le sorrido e mi volto, per tornare dai miei compagni e completare il riscaldamento. Negli altoparlanti adesso risuona “Feeling this” dei Blink 182, e io non posso che pensare sia un altro segnale positivo.
«Rad!» mi chiama a gran voce, facendomi voltare di nuovo verso di lei dopo pochi passi. «Guarda che ti amo anch’io, scemo!» aggiunge, facendomi la linguaccia.
 
«Mi sembri in forma anche oggi, Rad-kun. E mi sembra ancora più in forma la tua fidanzata, a giudicare dall’immagine di prima. Un vero schianto» mi fa l’occhiolino Husky, avvicinandosi a me con disinvoltura mentre sto guadagnando la via degli spogliatoi dopo aver terminato il riscaldamento pre-partita coi miei compagni. In una mano stringe il microfono ancora spento, nessun cameraman infatti mi sembra la stia inquadrando. È l’emittente per cui lavora a trasmettere la partita in diretta e lei si trova a bordocampo per le interviste post partita e per dare le ultime notizie dal campo in tempo reale, proprio come aveva fatto durante la semifinale.
«Certo che sei proprio ovunque te, eh» le sorrido.
«Ma smettila! Che ti ho anche portato fortuna visto che avete vinto e hai anche segnato!»
«Non ci avevo pensato, quindi cerca di portarmi fortuna anche oggi dato che ho intenzione di vincere e segnare di nuovo!»
«Così mi piaci, Rad-kun!» ride. «Hai già fatto due gol ed è tantissimo per un difensore in così poche partite, però oggi devi fare ancora di più. L’Ichiran è fortissimo» aggiunge seria.
«Non preoccuparti. Vinceremo».
«Io credo che ve lo meritate come squadra. Ma credo soprattutto che te lo meriti tu, Rad-kun» mi dice dolcemente. «Ne hai fatta di strada da quel giorno. Non so se conti qualcosa, ma sappi che sono fiera di te».
Accenno un sorriso e la guardo nei suoi occhi azzurri, mentre un leggero e frizzante vento le fa oscillare i lunghi capelli biondi e spazza via dalla mia mente il ricordo del nostro primo incontro. Ricoverato in ospedale, considerato da tutti un autolesionista. Il petto bendato, il cuore a pezzi. Sono passati tre anni, eppure sono così felice adesso che posso permettermi quasi di ridere ripensando a tutto quel dolore. Già, “ne riderai”, si dice, quando qualcosa va male e si spera che prima o poi si sistemerà. Quando speri che potrai guardarti alle spalle serenamente. Che il futuro ti sembrerà luminoso. Ripenserai a certe cose che ti hanno fatto soffrire e potrai permetterti di riderci sopra, se sarai stato abbastanza forte o anche solo fortunato da poterle sconfiggere.
«Forse non ti ho mai ringraziato per avermi creduto quella volta» le dico, ripensando al fatto che era stata davvero Husky l’unica a credere alla mia storia, seppure non mi avesse mai visto prima.
«Non devi ringraziarmi. Era solo lavoro» prova a schermirsi.
«Lo so che non era così. Tu sei diversa».
«Non potevo lasciarti solo, Rad-kun. Nessuno merita di restare da solo».
«Lo so che venivi a chiedermi le foto delle mie cicatrici anche per vedere come stavo. E ti ringrazio per questo».
«Smettila Rad-kun, ero e sono solo una giornalista come le altre che cerca di fare carriera!»
«E invece sei una brava persona, lo sa benissimo anche Là, altrimenti non si fiderebbe così tanto di te».
Husky sorride e tira fuori dalla tasca il suo telefonino, cominciando a digitare qualcosa prima di mostrarmi lo schermo.
«A proposito della tua ragazza, mi ha appena mandato un messaggio dicendomi di fartelo leggere subito. Sembra che si sia dimenticata di dirti una cosa importante, prima» ridacchia, mentre prendo in mano il suo cellulare. «Anche se, conoscendola, forse non è stata capace di dirtelo di persona perché non è una ragazza… come dire… smielata. Ecco, lei non è una smielata. Però condivido quello che ti ha scritto».
Te lo meriti un arcobaleno, con tutta la pioggia che hai preso. Vinci, Rad.
Leggo il messaggio e restituisco il cellulare ad Husky. Mi sento leggero, felice. Mi volto verso la tribuna e riesco a trovare con lo sguardo ancora Lazuli, che nel frattempo è tornata al suo posto. Siamo lontani un’ottantina di metri, eppure sollevo il pugno destro verso il cielo e vedo che lei fa lo stesso. La vedo benissimo tra la folla, in mezzo agli striscioni.
Abbasso il braccio e mi sfilo la felpa, correndo negli spogliatoi, pronto a cominciare la partita.
 
«Ehi, “Cinque”» una voce bassa e allo stesso tempo profonda attira la mia attenzione verso un ragazzo imponente dai folti capelli neri appoggiato con la schiena contro il muro del corridoio che conduce agli spogliatoi. Ha le braccia conserte e accenna un sorriso, mentre accanto a lui noto una ragazza dai corti capelli argentati e la faccia simpatica. Ride, mentre mi saluta agitando la mano, prima di dare un morso a una barretta di cioccolato. Indossa un giubbino verde fluo e sembra minuscola accanto al suo accompagnatore. Accanto a Broly Berserk per essere precisi, il fortissimo attaccante del Liceo Joiyn, la squadra che abbiamo sconfitto lo scorso agosto nella finale del campionato provinciale. Si è rivolto a me chiamandomi col mio numero di maglia.
«Ehi! Cosa fai qui? Giochi anche tu?» gli sorrido, scherzando e dandogli il cinque. Lui, ovviamente, non ha potuto prendere parte a questo torneo, dato che siamo stati proprio noi a eliminare la sua squadra.
«Mi sono fatto dare un pass per vedere la finale da bordocampo» mi spiega, mostrandomi il tesserino che porta appeso al collo.
«E me ne ha fatto avere uno anche a me!» interviene la ragazza, facendomi l’occhiolino e mimando il segno della vittoria con le dita. «Del resto io sono la mitica manager del Liceo Joiyn!»
«In effetti mi ricordo di te» le sorrido.
«E lui è il mio ragazzo, lo sai?!» esclama, saltando e appendendosi al collo di Broly, prima di dargli un bacio a stampo.
«C-cheelai… basta…» farfuglia lui, arrossendo e abbassando la testa, mentre la ragazza ride ancora e dà un altro morso alla barretta di cioccolato.
«Comunque…» cerca di ridarsi un tono Broly, schiarendosi anche la voce. «Se io potessi giocare, la vincerei di sicuro questa finale. Quindi vedi di vincere».
«Tifiamo per voi perché rappresentate la nostra prefettura e ci avete sconfitti, in pratica» interviene Cheelai con voce squillante. «Sarebbe una consolazione per noi saper di aver perso contro i campioni nazionali!»
«Sì, più o meno…» borbotta Broly. «Mi sto allenando per batterti la prossima volta».
«Spero che sarà uno scontro epico come l’ultimo, allora» accetto la sfida. «Ma vincerò ancora io».
«E dai, Broly, smettila di fare il musone adesso e fagli un “in bocca al lupo” come si deve! Ti ho insegnato come si fa, no?!» ride Cheelai, mettendo di nuovo a disagio il suo fidanzato. «Lui ti ammira molto, lo sai?! Però gli sto insegnando le buone maniere!» aggiunge, facendomi l’occhiolino.
«T-ti ho detto di smetterla, per favore…» farfuglia lui.
«Anch’io ti ammiro molto, non vedo l’ora di giocare di nuovo con te» dico a Broly, che torna a guardarmi.
«Vincete, allora» mi dice.
«Contaci».
«Quante volte te lo devo spiegare?! Bisogna fare così il tifo» si intromette di nuovo Cheelai, mettendo le mani a coppa intorno alla bocca. «Forza Radish Sooonnn! Forza Minegaharaaa!» sbraita, prima di scoppiare a ridere. La gente intorno a noi si volta, mentre Broly diventa paonazzo e la stringe a sé per fermarla.
«C-ci guardano tutti, ti avevo detto di …» sussurra lui, prima di venire interrotto da Cheelai che gli infila in bocca la barretta di cioccolato che stava mangiando.
«Ecco, mangia un po’ di cioccolato mentre andiamo a bordocampo!» esclama, trascinandolo con sé. «Vedi di vincere, Radish Son!»
 
«Se oggi battiamo l’Ichiran, tutti i giornali, tutte le televisioni, tutti i siti… tutti quanti parleranno del miracolo del Liceo Minegahara» esordisce Napa, rompendo il silenzio nervoso e carico di tensione dello spogliatoio. Mancano pochissimi minuti all’inizio della finale. Siamo pronti. E siamo tutti insieme, chiusi nel nostro spogliatoio. «Nessuno ci conosceva fino a qualche mese fa, nessuno ci considerava competitivi nemmeno all’inizio del campionato nazionale. Eppure siamo arrivati fin qui. Le abbiamo vinte tutte. Non abbiamo subito nemmeno un gol. Tutti dicono che abbiamo già fatto un miracolo, e che sarà un miracolo ancora più clamoroso se dovessimo vincere il titolo».
Vedo con la coda dell’occhio Vegeta stringere i pugni, seduto al mio fianco e bramoso di cominciare questa battaglia. Alla mia sinistra sento invece fremere Cabba, ormai diventato titolare, sempre alle prese col suo solito nervosismo pre-partita.
«In realtà, noi abbiamo compiuto qualcosa di ancora più straordinario» accenna un sorriso il nostro capitano. «Abbiamo creato un gruppo eccezionalmente affiatato. Un gruppo in cui ogni giocatore sputa sangue pur di correre in aiuto di un proprio compagno. Un gruppo in cui il singolo sa sacrificarsi in nome della squadra. È questo il vero miracolo che abbiamo fatto. E io, da capitano, sono fiero di voi. Anzi, di noi».
Nello spogliatoio non vola una mosca, mentre Napa si schiarisce la voce per un istante. È visibilmente emozionato.
«Oggi è la mia ultima partita insieme a voi. L’ultima per me e per quelli del terzo anno. L’ultima partita di questo gruppo, di questa squadra. Finora abbiamo sempre giocato ogni partita per poterne giocare un’altra tutti insieme, per poter rimandare anche solo di un po’ il momento dell’addio. Ma oggi è diverso, perché in ogni caso domani sarà tutto finito per noi del terzo anno».
Guardo gli occhi di Napa, velati di malinconia e carichi di emozioni che forse sarò in grado di comprendere davvero solo tra un anno, quando sarò io a dover giocare la mia ultima partita con questa maglia prima di diplomarmi.
«Quando riprenderete gli allenamenti settimana prossima il nuovo capitano sarà Princely, il vice sarà Son. Così abbiamo deciso io e il mister, e so per certo di lasciare il club in buone mani».
Tutti ci guardano, mentre io volgo lo sguardo a destra e a sinistra un po’ disorientato perché davvero non me l’aspettavo. Sarò il vice capitano? Sarò in grado davvero di farlo? Osservo Vegeta al mio fianco, che ghigna sprezzante ostentando sicurezza e anche orgoglio per quel ruolo che secondo me si merita.
«Pensiamo a vincere oggi, del futuro di questa squadra ci sarà tempo per parlarne da domani, quando saremo i campioni nazionali» sibila il mio amico, caricando tutti i nostri compagni.
«Siamo ancora una squadra per altri novanta minuti» intervengo io. «E lo saremo per sempre per quello che si è creato tra noi. Ma lo saremo per sempre anche per tutti quelli che non ci conoscono, se vinceremo la partita di oggi!»
«Giusto! La promessa che ci siamo fatti prima della finale del campionato provinciale e che abbiamo scritto su questa fascia da capitano è ancora valida!» esclama Napa, sfilandosi la fascia dal braccio e appoggiandola sul tavolino davanti a sé al centro dello spogliatoio. «In quella fascia c’è tutto quello che siamo, c’è tutta la fatica che abbiamo fatto negli allenamenti, tutto l’impegno che ci abbiamo messo. Tutto il dolore, tutta la gioia. La rabbia, lo sconforto, l’adrenalina, l’euforia. Il sudore, le lacrime, il sangue e le risate. C’è tutto l’affiatamento che siamo riusciti a creare tra noi».
Ci alziamo tutti in piedi uno dopo l’altro e ci avviciniamo al centro dello spogliatoio, a quella fascia. Ci disponiamo a cerchio, sembra quasi un rito propiziatorio o il preludio di una magia. Ma non c’è nessun incantesimo qui, ed è il rumore prodotto dai tacchetti delle scarpe da calcio che tutti indossiamo contro il pavimento a ricordarmi che è tutto reale. Che siamo una squadra e che lo saremo per sempre. Che questo non sarà un vero addio, perché finché correremo dietro a un pallone potremo sempre ritrovarci a giocare insieme. Lo faremo magari con maglie diverse, ma con lo stesso cuore di adesso nel petto.
«Lo spirito di gruppo che si è creato nella nostra squadra resterà anche quando noi del terzo anno non ci saremo più. Lo porterete avanti voi del secondo e del primo anno e lo insegnerete ai nuovi arrivati. Farete in modo che resterà per sempre una caratteristica del club di calcio del Liceo Minegahara e so che non mi deluderete» riprende Napa, con un velo di commozione nella voce. «È questo l’altro grande risultato che voglio lasciare al club oltre al titolo nazionale, cioè l’affiatamento che abbiamo saputo creare tra noi che ci ha spinto ad andare oltre i nostri limiti. Un simile risultato lo dobbiamo a tutti quelli che ci hanno supportato. Senza anche uno solo di loro non saremmo mai arrivati fin qui» aggiunge, voltandosi in direzione del Mister, del professore responsabile del club e delle nostre manager, accennando un inchino. «Mister, professore: vi ringrazio a nome di tutti gli studenti del terzo anno. Caulifla, Kale: ringrazio anche e soprattutto voi. Con quaranta gradi o sotto zero, col sole o la pioggia, all’alba o al tramonto, voi eravate sempre in campo al nostro fianco e non ci avete fatto mancare mai niente. È stato un onore. Sono fortunati i vostri coetanei del primo anno a poter avere per altri due anni due manager come voi. Oggi giochiamo la nostra ultima partita insieme, ma se sono certo di lasciare il club in buone mani è anche e soprattutto merito vostro».
«C-capitano… i-io… grazie» sospira Kale, timida come sempre, abbassando la testa e arrossendo imbarazzata. Ha gli occhi velati di lacrime, come Napa e molti altri del terzo anno. Anch’io sinceramente mi sento molto emozionato. Non vedo l’ora di giocare, ma mi fa male pensare che sia l’ultima partita di questo gruppo straordinario.
Il mister sorride, il professore anche. Accennano un inchino anche loro.
«Allora, cosa sono queste facce da funerale?!» interviene Caulifla a gran voce, guardandoci tutti male. «Dai, eh! Voglio vedere gli occhi della tigre! Allora, dove sono questi occhi?!» ci sprona, passandoci in rassegna severamente uno ad uno. Vulcanica come sempre, e poco importa che sia lei la prima ad avere ancora gli occhi lucidi. «Raddrizza la schiena, Cabba! Sei il più giovane in campo, vedi di farti onore davanti ai tuoi senpai!» pungola il mio compagno di difesa, che dalla finale del campionato provinciale è diventato anche il suo fidanzato. «Piangerete dopo, adesso dobbiamo vincere questa finale!»
«Sì! Andiamo a prenderci il titolo, cazzooo!» urlo, appoggiando la mano sul tavolo sopra la fascia da capitano.
«Rompiamogli il culo!» ringhia Vegeta, appoggiando la mano sopra la mia, imitato poi da tutti i nostri compagni, oltre che da Caulifla e Kale.
«Minegaharaaa!» sbraita Napa, con tutto il fiato che ha in corpo.
«Fight!» rispondiamo in coro, gridando così forte da far vibrare i vetri dello spogliatoio, come a sperare che i nostri avversari abbiano potuto sentirci e magari intimorirsi.
Solleviamo tutti le mani mentre urliamo e permettiamo al nostro capitano di recuperare la sua fascia, prima di uscire dallo spogliatoio tutti insieme, carichi all’inverosimile.
Ci siamo. Finalmente ci siamo.
È giunto il momento.
 
 
 
 
 
 
Note: eccoci, è stato un lungo capitolo dedicato alle riflessioni di Rad su quanto le cose siano cambiate intorno a lui nel corso dell’ultimo anno scolastico, e spero che possiate aver apprezzato la sua introspezione. Quel lungo elenco di personaggi che ho citato voleva essere sia per me una sorta di tributo a tanti manga e anime che adoro, sia una prova tangibile di quanto sia cambiata la vita di Radish rispetto al capitolo 1. Prima non conosceva nessuno, non gliene fregava niente, ora sa i nomi e ha la stima di tantissime persone. Ne ho citati tanti, di personaggi, vediamo quanti ne avete riconosciuti! ;-)
Abbiamo poi visto e rivisto un po’ tutti i personaggi principali e quelli secondari apparsi durante questo lungo viaggio, spero abbiate apprezzato. Preferite lo striscione del team Lunch o quello del team Marion?! :-)
In tutto questo, è passato un mese esatto dai fatti narrati nel capitolo precedente. Abbiamo visto che Gine ce l’ha fatta, è allo stadio e sta bene, e anche Goku sembra andare alla grande, seduto tra Chichi e l’amico di sempre Crilin. Vediamo che anche Rad ha mantenuto la promessa, visto che abbiamo saltato tutte le partite precedenti e siamo arrivati direttamente alla finale. Abbiamo saputo qualcosa di quanto successo in questo campionato e ho voluto inserire i miei due personaggi preferiti tratti da “Holly e Benji” perché mi sembrava doveroso, arrivati a questo punto, cioè Philip Callaghan e Mark Lenders. Ma, per la finale, ho scelto l’Ichiran e i suoi giocatori, tra cui Shingo Narita che viene citato, che è la squadra protagonista di un manga straordinario che adoro e che si chiama “Angel Voice”.
Scopriamo anche grazie alla locandina che ritrae Lazuli (vi è piaciuta?) che il film uscirà tra un mese, quindi ormai ci siamo anche da quel punto di vista.
Abbiamo visto anche Husky, e spero abbiate apprezzato. Forse è stato un personaggio sottovalutato, molti l’hanno considerata ambigua, ma io sono felice di averla portata fino in fondo perché mi è piaciuta e mi ha anche fatto piacere averla pescata un po’ per caso tra i meandri dimenticati della prima serie anime di Dragon Ball. Si è poi rivisto Broly, con tanto di Cheelai al seguito, spero abbiate gradito anche qui. Addirittura i genitori di Vegeta, mai comparsi prima.
Ma, soprattutto, siamo entrati nello spogliatoio del Minegahara e spero con tutto il cuore che il discorso di Napa e poi gli interventi di Rad e Vegeta vi abbiano emozionati, perché a me ha un po’ commosso e un po’ caricato a palla quella parte. Ho adorato scriverla e non vedevo l’ora di condividerla con voi. Napa non lo si è visto molto in questa long, un po’ all’inizio quando Rad andava a cercare Là in classe, visto che sono compagni, ma direi che nei capitoli legati al calcio ha saputo farci emozionare coi suoi discorsi da capitano. Fa male pensare che questa sarà davvero l’ultima partita insieme per questi ragazzi, ma è così che vanno le cose nello sport. Io stesso ho giocato per dieci anni nella stessa squadra (giallonera, che caso, eh…) e quando è arrivato il giorno dell’ultima partita non è stato facile non pensarci. Ma era anche nel mio caso una finale, per di più andata avanti addirittura fino ai rigori, come a voler rimandare il più possibile il momento del fischio finale. Avevamo vinto poi, e non c’era stato nemmeno quasi il tempo o il modo di realizzare che era finito tutto, perché abbiamo festeggiato tanto (anzi, troppo). Sono quasi cose a cui pensi dopo, a freddo. Però è vero, continuando in altre squadre io e i miei compagni abbiamo potuto di nuovo giocare insieme o da avversari, magari anche a distanza di anni, e così succede ancora adesso. Ed è strano, perché sembra che nulla sia cambiato da allora, ci si racconta aneddoti di quel periodo e si ride e scherza come fossero cose successe il giorno prima e non, magari, dieci o quindici anni fa. Penso che questa sia la forza dello sport, spero che possiate condividere la mia riflessione e non odiarmi per le mie note autore sempre troppo lunghe.
 
Grazie a tutti voi che mi lasciate sempre il vostro parere, onestamente un anno fa sarebbe stato solo il sogno di un pazzo pensare che una storia come questa avrebbe sfondato il muro delle 500 recensioni. E questo è solo merito vostro, sarete sempre speciali per me. Grazie a chi legge in silenzio e a chi ha realizzato i fantastici disegni di oggi, come la sontuosa Là della locandina del film frutto del genio del leggendario YoungJijii, un’altra magnifica Lazuli in versione Harley Quinn (anche per onorare il film meraviglioso appena uscito con lei, “Birds of Prey”, ve lo consiglio) con la cicca a palloncino come vediamo in questo capitolo, ancora una sensuale Eighteen-senpai con l’altro look classico di C18 e una Kale realizzata da Echo Saber con la divisa scolastica, da brava manager del club di calcio.
 
Bene, mercoledì prossimo il capitolo sarà dedicato interamente alla finale del campionato nazionale: Minegahara-Ichiran, chi vincerà?
E poi, nella lunghissima carrellata di personaggi apparsi in questo lungo capitolo che avete appena letto, non vi sembra che mancasse qualcuno? Chissà se comparirà nel prossimo, adesso come adesso non mi ricordo. ;-)
Il titolo sarà “La vista dalla vetta”, spero con tutto me stesso che vi piacerà! Per il resto, ci vediamo già venerdì con una one shot su Lazuli dal titolo "Occhi Inverno", vi aspetto anche lì!
 
Teo
 
 
 

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Capitolo 53
*** La vista dalla vetta ***


53 – La vista dalla vetta
 
 
«Ichiran! Ichiran! Ichiran!»
Nel tunnel che dagli spogliatoi porta al campo da gioco rimbomba il coro dei tifosi dei nostri avversari. Risuona come un ossessivo mantra, scandito a ritmo di tamburi e battiti di mani perfettamente sincronizzati. Sapevo che il nostro tifo sarebbe stato in minoranza, ma non pensavo a tal punto. Del resto loro sono i campioni in carica, noi eravamo dei perfetti sconosciuti fino a qualche giorno fa. Osservo in lontananza la parte della tribuna occupata dai nostri sostenitori, in cui ci sono anche Lazuli e tutti gli altri. Li vedo sgolarsi e agitarsi, ma a noi non arriva che un ronzio di sottofondo vista la disparità numerica che devono affrontare rispetto ai tifosi avversari. Davide contro Golia, Ulisse contro Polifemo. Ancora una volta. Come nella finale del campionato provinciale. Già, il perfetto “Giant Killing”, come si suol dire. Bisogna farlo di nuovo. Bisogna abbattere nuovamente un gigante.
Mi volto verso Vegeta, che chiude alle mie spalle la fila indiana che abbiamo formato insieme agli altri titolari in attesa di entrare in campo. Alla nostra destra si è disposto anche l’Ichiran, e non posso fare a meno di scambiarmi un’occhiata di sfida con Shingo Narita, l’attaccante che dovrò marcare oggi e autore solo di un gol in meno di Vegeta in questo torneo. Osservo per un istante anche Inui, il loro fortissimo centrocampista offensivo. Un talento cristallino, il numero dieci. E il loro portiere, il gigantesco Tokorozawa, anche lui ancora imbattuto come Napa in questo campionato nazionale.
«Tsk! Che vadano tutti a fare in culo!» ringhia tra i denti Vegeta, strappandomi un sorriso.
«Hai visto quanto è grande il loro striscione?» gli chiedo, indicando col volto un immenso telo rosso quadrato che gli studenti dell’Ichiran hanno srotolato in tribuna sopra le proprie teste e che agitano colpendolo con le mani da sotto.
«”Pride on”» legge ad alta voce il mio amico in tono sprezzante. «L’orgoglio dei campioni… ma fottetevi».
«Guarda quello che hanno portato i nostri tifosi, invece» gli dico, spostando lo sguardo più a sinistra, dove gli studenti della nostra scuola hanno esposto sul muretto di quel settore della tribuna uno striscione rettangolare giallo di dimensioni decisamente più contenute. «È più piccolo, ma rappresenta tutto ciò che siamo».
«”Tempesta e Impeto”» legge Vegeta, inclinando leggermente il collo e accennando un sorriso sghembo. «Mi piace».
«Queste due parole sono l’emblema del nostro calcio basato sulla corsa, sulla lotta fino all’ultimo, sulla grinta. Abbiamo corso fino a vomitare in allenamento per riuscire a correre più degli avversari in partita. Abbiamo dato l’anima per poter colmare quel gap che ci ha sempre separato dalle squadre più forti a livello tecnico e di esperienza. Abbiamo lavorato su quelle che potevano essere le nostre armi, anche se questo ci ha fatto sputare sangue in allenamento».
«E abbiamo fatto il culo a tutti giocando a modo nostro, Rad. Anche oggi gli apriamo il culo a ‘sti stronzi, hai visto come ci guardano?! Tsk!»
«Lasciali perdere, resta concentrato sul campo. È lì che dobbiamo aprirgli il culo in due ed è lì che lo faremo, Prince».
«Sì. Ce la faremo».
«Sai, “Tempesta e Impeto” non rappresentano solo il nostro stile di gioco. Ma sono due parole che indicano un’epoca di grandi sconvolgimenti» spiego a Vegeta, che mi osserva concentrato, mentre intorno a noi continua a rimbombare l’assordante tifo a favore dell’Ichiran. «Il sovrano è destinato a cadere, sconfitto dall’impeto di una nuova era che arriva all’improvviso come una tempesta. Il gigante verrà abbattuto».
«”Tempesta e Impeto”» ripete in un sussurro, ghignando follemente e sgranando gli occhi. «Oggi vinciamo. Cazzo, se vinciamo!»
L’arbitro si posiziona davanti alle due file che abbiamo creato col pallone tra le mani e comincia a camminare verso il campo di gioco. Noi lo seguiamo.
«Prince, quando hai cominciato a giocare a calcio ti sei mai chiesto come dev’essere la vista della vetta?»
«Qualche volta sì, ma non mi ci sono mai soffermato troppo. Ero sicuro che l’avrei raggiunta prima o poi».
«Già. Tu hai sempre avuto la mentalità da campione, cazzo».
«O forse sognavo troppo in grande. Anzi, più probabilmente mi illudevo come un coglione. Se tu non fossi rientrato in squadra non saremmo qui, Rad» mi dice, mentre la luce del freddo sole invernale che oggi illumina il Tokyo Stadium ci entra negl’occhi e ci scalda il cuore. Mi giro leggermente, e noto che il mio amico ha teso il suo pugno chiuso verso di me.
«Non dire così. Sono io che devo ringraziarti per aver insistito così tanto per farmi tornare. Senza i tuoi gol non saremmo qui, Prince» gli rispondo, battendo il mio pugno contro il suo. «Ah già, non lo farò segnare oggi. La classifica dei marcatori considerala già vinta» aggiungo, indicando Narita con un cenno del capo.
«Quello lo davo per scontato. Pensiamo a portare a casa il titolo, adesso» ghigna.
«Ovvio» confermo, sorridendo sghembo a mia volta, mentre i tacchetti affondano nell’erba fresca e il boato del pubblico sembra avvolgerci in una spirale di luci, suoni, colori ed emozioni difficili da controllare.
«Rad, tu invece ci hai pensato? Alla vista dalla vetta, intendo… per te com’è?»
Cerco con lo sguardo Lazuli in tribuna e la trovo, proprio nel momento in cui raggiungiamo il centro del campo. La vedo sorridere. Mi sembra di potermi perdere per un istante nei suoi occhi di ghiaccio anche da qui, da così lontano. Sento la sua voce. Il calore della sua mano, di un suo abbraccio. Il suo sapore, il suo profumo. La sento con me. Dentro di me.
È in quel momento che la vedo. Vedo la vetta del cielo, ma la luce è così abbagliante che mi impedisce quasi di percepire quello che mi appare in quell’istante. Ma mi restano addosso delle sensazioni che mi mettono i brividi per quanto sono belle, per quanto riempiono il cuore e l’anima fino a farli scoppiare. Per l’energia e l’entusiasmo che ti lasciano dentro. Per l’adrenalina che ti senti scorrere nella gambe, per il senso di appagamento. Per quella sensazione di aver fatto qualcosa di buono per te e per chi credeva in te. E anche per quella sensazione di rivalsa verso chi, al contrario, non aveva mai creduto in te. Ti senti un eroe, ti senti invincibile quando sei in vetta. Ti senti… giusto. E pensavo anche che mi sarei ritrovato da solo, magari. Che l’aria fosse rarefatta, che non avrei più avuto nessuno lì con me. Ma vedo che c’è Lazuli al mio fianco, e Vegeta con tutti i miei compagni di squadra. I miei amici e la mia famiglia. Sorrido, perché credo che sia questa la vista dalla vetta, almeno per me.
«Una figata. Per me la vista dalla vetta sarà una figata, Prince».
 
Il quarto uomo solleva la lavagnetta luminosa e indica che dovremo giocare ancora cinque minuti di recupero oltre i novanta regolamentari. Novanta minuti in cui nessuna delle due squadre è riuscita a sbloccare il risultato. Questo campionato verrà deciso ai supplementari o, addirittura, ai calci di rigore?
Riprendo fiato dopo l’ennesimo scatto per bloccare Narita e penso che devo tenere duro, che non posso mollare anche se la partita dovesse protrarsi per un’altra mezz’ora. Guardo il mio avversario e mi rendo conto che non sono l’unico ad essere provato da questa battaglia. Anche lui è visivamente più stanco. Le sue accelerazioni sono meno incisive, i suoi salti mi sembrano andare meno verso l’alto rispetto a qualche minuto fa quando c’è da lottare per contendersi un pallone di testa. L’Ichiran è una squadra molto forte, nessuno diventa campione per caso. E Shingo Narita è un osso durissimo da affrontare, diverso per le sue caratteristiche rispetto agli altri grandi attaccanti che ho sconfitto finora. Non avrà la potenza e la stazza di Broly Berserk, la forza fisica e la tenacia di Mark Lenders o la tecnica e la leadership di Philip Callaghan, ma è di sicuro l’avversario più veloce e resistente che abbia mai affrontato, oltre al fatto che nei colpi di testa ha un’elevazione spaventosa. La velocità non è mai stata il mio forte, quindi è stata una partita davvero difficile per me. Ma me la sono cavata, sfruttando le mie armi e la mia capacità di marcare senza dare respiro, oltre che grazie al mio senso della posizione e alla concentrazione che ho sempre mentre gioco. Ce l’ho fatta in qualche modo a limitarlo, a non concedergli praticamente nulla, e forse chi sta vedendo la partita non si è nemmeno reso conto di quanto è stata dura riuscire a farlo per me. Ho dovuto lottare e sgomitare persino nei duelli aerei, che sono sempre stati il mio forte, perché lui salta probabilmente anche più in alto di me. Giocare contro di lui, che è uno del terzo anno come tutti i titolari dell’Ichiran, mi ha fatto capire che devo continuare a lavorare su me stesso se voglio migliorare. Devo correre di più in allenamento e diventare più veloce, ma devo anche imparare a guadagnare qualche altro centimetro in elevazione se voglio davvero diventare un professionista un giorno. Ma oggi, beh oggi sono riuscito a mascherare in qualche modo i miei difetti… forse addirittura a sembrare più forte di quello che sono in realtà. Sarà grazie al momento magico che sto vivendo a livello personale sul campo, con già due gol segnati in questo campionato nazionale oltre a quello della finale del provinciale, sarà grazie alla coesione che si è creata coi miei compagni di squadra che ci fa andare oltre i nostri limiti ogni volta che giochiamo, che fa diventare la nostra forza complessiva molto più grande della somma delle singole undici parti che la compongono. Sarà grazie alla presenza di Lazuli, soprattutto. Di mia mamma, di mio papà, di Goku. Di Bulma, Chichi, Lunch e tutti le altre persone che mi vogliono bene. Dei miei compagni di scuola, che mi odiavano fino a qualche mese fa e ora sono qui al mio fianco, così vicini che mi sembra di poterli portare tutti quanti sulle spalle mentre rincorro questa vittoria che sarebbe leggendaria per una scuola come la nostra.
Guardo Vegeta una cinquantina di metri avanti a me, che scatta a destra e a sinistra cambiando direzione per provare a liberarsi. Si sbraccia stizzito, in attesa del pallone giusto. Chiuso nella gabbia creata appositamente intorno a lui da Wakisaka, Bandai e Momose, il capitano dell’Ichiran, non ha saputo rendersi pericoloso praticamente mai quest’oggi.
Penso che sia stata una partita abbastanza brutta da vedere per uno spettatore neutrale, molto tattica e fisica, con poche occasioni da gol. Siamo due squadre arrivate fin qui senza aver subito nessun gol e alla fine le difese hanno prevalso sugli attacchi, pur potendo schiarare entrambe i due marcatori più prolifici del campionato. Ammetto che, da difensore, ci tenevo da matti a concludere il campionato nazionale riuscendo a mantenere imbattuta la porta di Napa. E so che ci teneva anche il nostro capitano, ovviamente. Ma non basta, sarà tutto inutile se non riusciamo a segnare un gol.
Il tempo continua a scorrere, inesorabile. È stata una partita equilibrata, sono orgoglioso dei progressi che abbiamo fatto come squadra dalla finale del campionato provinciale ad oggi. Quella volta vincemmo davvero grazie a un miracolo dopo un assedio durato novanta minuti condotto dai nostri avversari, ma oggi no, oggi siamo una squadra diversa, molto più sicura di sé e forte delle vittorie accumulate finora. Saremo anche inferiori a loro tecnicamente e a livello di esperienza ad alti livelli, ma tutto questo non si è visto sul campo oggi. Il Liceo Minegahara è una squadra vera, e lo stiamo dimostrando a tutto il Giappone quest’oggi. Penso che lo dovevamo a Napa e agli altri senpai del terzo anno, ma che lo dovevamo anche a noi stessi, per chiudere in bellezza il ciclo di questo gruppo e non dover avere rimpianti. Stiamo dando l’anima tutti, stiamo giocando al massimo e alla pari contro un avversario contro cui nessuno ci dava chance di vittoria. E, per di più, stiamo giocando praticamente in trasferta a causa del tifo che continua a sospingere l’Ichiran da prima della partita. Ma siamo ancora 0-0, quando ormai dovremmo essere entrati nell’ultimo minuto di recupero. Ho letto da qualche parte che c’è chi considera la partita di calcio perfetta proprio quella che finisce 0-0, perché è la partita in cui la difesa annulla l’attacco da entrambe le parti. Ma io non la penso così. Per me la partita perfetta è semplicemente quella in cui vince la mia squadra. E, da difensore, la partita super perfetta è quella in cui la mia squadra vince senza subire gol. Quindi manca qualcosa di fondamentale per rendere perfetta o super perfetta questa partita. Manca un nostro gol. Uno solo.
Lancio uno sguardo fugace e istintivo verso il settore occupato dai nostri sostenitori. Verso lo striscione. “Tempesta e Impeto”, già. I nostri tifosi sono stati encomiabili, non si sono risparmiati nemmeno loro. Si sono fatti sentire eccome, si sono fatti vedere e soprattutto valere nonostante la clamorosa inferiorità numerica. Sembrano i famosi trecento spartani alle Termopili contro l’intero esercito persiano, solo che oggi sono certo che il loro destino sarà ben diverso da quello che toccò a quel piccolo manipolo di eroi greci. Quella di oggi è la partita più importante che abbia mai giocato nella mia vita e c’è ancora tempo per renderla super perfetta. Per me, per i miei compagni e per tutte le persone che sono qui o davanti alla tv per noi.
Vedo Ogami, un centrocampista dell’Ichiran dotato di un tiro estremamente potente, recuperare palla sulla fascia sinistra all’altezza della propria area di rigore e alzare la testa. So che sta cercando con lo sguardo la posizione di Narita e che vuole servirlo con un lancio lungo in profondità per sfruttare la sua velocità. Capisco tutto con un attimo di anticipo e corro all’indietro per primo per colmare col senso della posizione il gap che devo pagare contro Narita in termini di pura accelerazione. Quando parte il lancio mi trovo così in una posizione migliore, pronto ad affrontare l’ennesima battaglia aerea di questa giornata alla ricerca del pallone. Riesco a saltare più in alto di lui facendo valere il mio fisico. Prendo la palla di testa, mentre lui mi colpisce con una gomitata al costato. Osservo il pallone uscire in fallo laterale e ricado sull’erba portandomi una mano sul fianco. Sento una fitta, appoggio un ginocchio sull’erba, ma non crollo a terra. L’arbitro fischia fallo a nostro favore, all’altezza della linea del centrocampo leggermente defilato sulla destra, dove è avvenuto il contatto tra me e il mio avversario che continua a lamentarsi sostenendo di non aver commesso nessuna infrazione. Mi rialzo a fatica e respiro a pieni polmoni, ignorando il dolore.
«Senpai! Tutto ok?!»
Mi volto verso Cabba, che corre a recuperare il pallone, stringendolo tra le mani per poi posizionarlo accanto a me. Già, Cabba… è cresciuto anche lui, continua a migliorare a vista d’occhio. È molto diverso dalla prima volta che abbiamo giocato insieme, è diventato più sicuro di sé soprattutto. È il più giovane in campo, eppure nessuno potrebbe dirlo a giudicare dalla partita e dal campionato che ha giocato al mio fianco al centro della difesa.
«Serve ben altro per mettere KO uno stronzo come me!» gli sorrido sghembo, raddrizzando del tutto la schiena.
«Allora vai su, senpai. Calcio io» ribatte, accennando un sorriso determinato e prendendo la rincorsa. Lancio uno sguardo verso Napa, che nel frattempo è uscito dalla sua area di rigore, e mi annuisce con il capo.
«Cerca la mia testa, Cabba. Dobbiamo vincere questo cazzo di campionato» sibilo, correndo verso l’area avversaria, seguito da Narita che mi rincorre imprecando. È sempre stato lui a marcarmi quando sono salito in attacco nel corso della partita e devo ammettere che non mi ha mai concesso nulla grazie alla sua elevazione e alla sua grinta. 
Mi posiziono in mezzo all’area leggermente spostato sulla sinistra, con Narita che mi sta addosso e mi trattiene la maglia. Anche Vegeta, controllato strettamente dal numero dieci Inui, e gli altri nostri compagni saliti in attacco devono subire marcature asfissianti. Tokorozawa in porta sembra un gigante insuperabile.
L’arbitro fischia e mi concentro con tutto me stesso sul pallone calciato da Cabba, mentre il pubblico sembra trattenere il respiro per quella che dovrebbe essere l’ultima azione dei tempi regolamentari. I tifosi dell’Ichiran hanno paura adesso. Lo sento distintamente per un istante l’odore della loro paura. Probabilmente è per questo che hanno smesso di cantare. Cerco con lo sguardo Lazuli e mi sembra di vederla in piedi, in lontananza. Sì. È Là, ne sono certo. Sorrido.
Guardo la palla dirigersi verso di me, ma mi rendo subito conto che il lancio di Cabba è lento e prevedibile, un boccone facile per la difesa. Ha calciato con una traiettoria molto alta e precisa, ma davvero troppo lenta per poter riuscire ad imprimere la giusta forza a un colpo di testa diretto a rete. Ma questo pallone devo farlo mio lo stesso, devo colpirlo io e provare a dirigerlo verso un mio compagno per far sì che possa calciare lui in porta. Devo fare la torre, come si suol dire. Salto più alto che posso, insieme a Narita, che non mi molla e urla per darsi la carica. Riesco ad anticiparlo, ma non posso fare altro che toccare appena il pallone di testa e prolungare la sua traiettoria verso la fascia sinistra. Non sono riuscito a fare la torre per servire un compagno in mezzo all’area, ma almeno ho potuto dare la possibilità a un altro mio compagno di essere lui a crossare in mezzo. Ma c’è davvero qualcuno dei nostri adesso sulla fascia sinistra?
Mi volto in quella direzione non appena ricado a terra, giusto in tempo per vedere Vegeta liberarsi dalla marcatura di Inui e scattare come un falco per agguantare la palla prima che esca in fallo laterale. Lo osservo caricare il sinistro a testa bassa, pronto a mettere il pallone in mezzo all’area. E in quel preciso istante che vedo il futuro. Quel tanto che basta. Vedo l’esatto punto in cui finirà tra un attimo il pallone calciato da Vegeta. Ripenso a quando un mio vecchio allenatore mi aveva fatto notare questa mia capacità, stupito dal numero di gol che ero in grado di segnare nonostante fossi un difensore. Diceva che non era tanto questione di tecnica o di velocità se segnavo, ma che il mio senso del gol derivava dal fatto che riuscivo a capire poco prima degli altri dove sarebbe finito il pallone e che a quel punto mi bastava solo buttarlo in rete. È vero. Aveva ragione.
Colpisco Narita con una spinta e mi libero della sua morsa, guadagno quel metro che so che mi basterà e mi getto nel punto dove ho visto distintamente che arriverà il pallone nella mia premonizione. E me lo ritrovo lì davvero, quasi senza nemmeno rendermene conto, sul mio piede destro. Lo stoppo a fatica, quasi incespicando, visto che Vegeta ha tirato una vera sassata rasoterra difficile da controllare e io arrivavo in corsa e sbilanciato dal contatto col mio marcatore. Ma riesco a stoppare comunque la palla, che mi resta praticamente incastrata sotto il piede, mentre con il corpo sono già troppo avanti per riuscire a calciare. Ma non c’è tempo, non posso raddrizzarmi per tirare bene. Mi sarebbero tutti addosso in un istante. Mi trovo a tre metri dalla porta, da solo, all’altezza del palo alla mia sinistra. Alle mie spalle e ai miei lati vedo figure indistinte che corrono verso di me, ma in questo momento mi sembra che tutto stia andando al rallentatore. Guardo Tokorazawa, l’unico davanti a me, correre in mia direzione e gettarsi a peso morto con le braccia spalancate verso il pallone, ancora ancorato sotto al mio piede. La porta alle sue spalle mi sembra improvvisamente minuscola. La rete molto più lontana. Carico il tiro nonostante la palla mi si sia quasi piantonata tra le gambe proprio mentre qualcuno mi mette una mano sulla schiena e mi spinge, sbilanciandomi ancora di più. Colpisco il pallone malissimo, calciando goffamente in modo lento, a mezz’altezza e dritto per dritto. Crollo a terra in avanti insieme all’avversario che mi ha spinto. Non so se sia Narita o un altro, quello che conta è che vedo con orrore il pallone sbattere sul petto di Tokorozawa e ricadere in avanti a metà strada tra noi. La palla, attutita dal corpo del portiere dopo il mio già debolissimo tiro, ricade inerme sull’erba e lì si ferma, immobile. Immobile, ma soprattutto invitante. Carica di speranza. Il pallone mi sta dando un’altra possibilità di segnare. Il pallone è sempre stato mio amico. Non mi ha mai tradito, anche quando sono stato io ad allontanarmi da lui. Il pallone mi sta dando una seconda possibilità dopo il gol che ho appena sbagliato, un po’ come la vita mi ha dato una seconda possibilità per essere felice con le persone che amo dopo tutto quello che ho dovuto soffrire.
Nello stadio il silenzio è irreale. I giocatori intorno a me sembrano pietrificati, o forse è solo una mia impressione. Guardo il pallone a un metro da me e grido con tutto il fiato che mi resta, mentre mi avvento su di lui in scivolata con la gamba sinistra protesa con uno sforzo sovrumano. Grido come a volermi dare la forza necessaria ad anticipare Tokorozawa, che si è gettato col braccio allungato per far sua la palla. E grido contro l’avversario che avevo addosso, che si è lanciato anche lui come me in scivolata. Mi rendo conto che è Narita, ancora lui.
Vedo la punta del mio piede sinistro arrivare un centesimo di secondo prima degli altri sul pallone e colpirlo quel tanto che basta per spostarlo. Osservo la palla rotolare lentamente e in diagonale verso la porta ormai vuota, mentre vengo schiacciato e travolto da Tokorozawa e Narita. Non perdo il contatto visivo col pallone però, come a volerlo sospingere verso la porta sguarnita. Non c’è nessuno, non c’è più nessuno davanti alla linea di porta. Non c’è più nessuno davanti al nostro sogno. La vetta del cielo è lì, a pochi centimetri, oltre quella linea bianca dipinta sull’erba tra i due pali che formano la porta. Ma la palla che ho toccato appena è lentissima, sembra non arrivare mai a destinazione. Sgrano gli occhi, sia perché ho paura che possa fermarsi prima della linea di porta, sia, soprattutto, perché mi rendo conto che potrebbe anche uscire, vista la traiettoria diagonale che ha assunto.
Smetto di respirare, forse mi si blocca anche il cuore per qualche battito. Nel silenzio glaciale dello stadio si sente solo un rintocco. Il rumore sordo prodotto dal pallone che colpisce la parte interna del palo, alla sua base. Che lo accarezza, che si ferma lì, sulla linea, contro quel cazzo di palo che sembra stia baciando. Mi sento male per una frazione di secondo. Ma è un attimo, perché, spinto come da una forza divina o magari da un soffio di vento, il pallone supera la linea bianca quel tanto che basta, prima di fermarsi del tutto. Lo vedo nitidamente. Immobile, ma dentro la porta. Dentro la porta dell’Ichiran.
Il silenzio intorno a noi è irreale, lo è sul serio. Sembra di essere in uno di quei film post apocalittici tipo Resident Evil, quando la protagonista si risveglia e la città intorno a lei e assurdamente e spaventosamente deserta. E sono io a squarciare quel silenzio. Sono io il primo a capire quello che è successo, stavolta. Il primo a rendersene conto.
Che ho segnato. Che abbiamo segnato.
Che abbiamo vinto, cazzo, perché non c’è più tempo.
Che ce l’abbiamo fatta sul serio, che non è un sogno.
«Gooooolll!» caccio un urlo liberatorio mentre mi sollevo da terra con un balzo, spingendo via i corpi pietrificati di Tokorozawa e Narita. La voce che squarcia quel silenzio assurdo non sembra neanche la mia, da quanto è roca e aspra. Sento la gola raschiarmi mentre sbraito fino a svuotarmi totalmente i polmoni. Ed è mentre riprendo fiato che sento all’improvviso esplodere lo stadio intorno a me. Corro con gli occhi sgranati, ma non vedo nulla. Sbraito di nuovo con tutte le mie forze, impreco. Sento i nostri tifosi fare lo stesso. Forse lo stadio non trema come durante i cori per l’Ichiran, ma le grida di chi è venuto qui per noi le sento e mi arrivano al cuore, dove so che le terrò per sempre anche se in questo momento non capisco nulla. Mi ritrovo davanti la faccia di Vegeta e mi rendo di aver corso quasi inconsciamente verso di lui. Ha gli occhi spiritati, urla, mi afferra la faccia con le mani. Non capisco cosa cazzo mi stia dicendo perché io grido più forte di lui, mentre mi stringe le spalle e mi trascina a terra con lui, abbracciandomi forte senza smettere di sbraitare. Continuo a urlare con la faccia contro l’erba e mi sembra di buttare fuori tutta la merda che ho accumulato dentro di me negli ultimi tre anni. Tutto il dolore. Tutte le preoccupazioni.
Sento i miei compagni saltarci addosso uno dopo l’altro. Li sento urlare, mentre mi afferrano la maglia, le spalle e i capelli. Alcuni li sento piangere, altri imprecare, altri ancora dire parole sconnesse che non riesco a capire. Per un attimo non riesco neanche più a respirare, schiacciato come sono da non so nemmeno io quante persone. Mi ritrovo nelle tenebre più totali, sotto il peso di tutta la mia squadra, ma è bello così. È bello anche se non riesco più a respirare perché siamo diventati un vero gruppo e siamo arrivati fin qui tutti insieme, io sono solo stato lo stronzo che ha avuto il culo e il privilegio di poter buttar dentro l’ultimo cazzo di pallone, quello decisivo.
Torno a vedere gradualmente la luce del sole e a sentire le urla del pubblico meno ovattate man mano che i miei compagni scendono dalla montagna umana che hanno creato sopra me e Vegeta. Riprendo una lunga boccata d’aria quando l’ultimo compagno si sposta dalla mia schiena e guardo stordito negli occhi Vegeta, ancora sdraiato pancia a terra accanto a me. La sua mano è ancora stretta ai miei capelli sulla nuca, la sua faccia è quella di un pazzo posseduto dal demonio.
«Sììì!» sbraita a denti stretti, colpendomi con due pugni sulla nuca talmente forti che rischio quasi di perdere i sensi, prima di sollevarmi di peso e abbracciarmi di nuovo.
«Cazzooo!» grido a mia volta, in piedi e barcollante davanti a lui. Non so chi dei due sia più in trance agonistica, ma questa è una gioia troppo grande e troppo diversa dalle altre per poter essere descritta razionalmente.
«Senpaiii!» mi volto e mi ritrovo abbracciato a Cabba, che sta piangendo. Arriva anche Napa. Persino lui ha le guance rigate di lacrime. Mi stringe fortissimo a sé, stritolando Cabba, che si ritrova in mezzo a noi. Mi volto dall’altra parte e trovo in campo addirittura il Mister, che ha attraversato il campo di corsa per venirci ad abbracciare. Alle sue spalle vedo Kale, che piange lacrime di disperata gioia, e Caulifla, che si stringe a Cabba e poi guarda con aria di sfida il settore più caldo dei tifosi dell’Ichiran, ancora ammutoliti.
Io mi libero dall’abbraccio dei miei compagni e corro stravolto verso il settore occupato dai nostri tifosi. Corro verso Lazuli, urlando di nuovo con tutto il fiato che mi resta. La vedo, finalmente la vedo. In piedi dietro la balaustra dove c’è appeso lo striscione “Tempesta e Impeto”. Non ha più il cappello in testa, e mi sembra di poter vedere il ghiaccio nei suoi occhi sciogliersi in lacrime di gioia che le illuminano il volto e fanno battere ancora più forte il mio cuore. I nostri sguardi si incrociano e sento distintamente la sua voce per un istante che non potrò mai dimenticare.
«Raaaddd!» grida con tutte le forze la mia ragazza, e io mi rendo conto che stiamo guardando insieme ciò che si può ammirare solo dalla vetta del cielo.
«Lààààà!» sbraito fino a che la voce non mi si mozza per conto suo, mentre Bulma la abbraccia senza smettere di filmare col telefonino.
Vedo tutti. Tutti.
Mia madre che piange, abbracciata a mio papà. Chichi, in lacrime anche lei, arrampicata sulla balaustra insieme a Goku, che invece continua a dimenarsi come un pazzo. All’altra estremità dello striscione c’è Lunch, che non smette di saltare e si inerpica anche lei sulla balaustra. Piange e urla, come Mai alle sua spalle che cerca di tenerla per la giacca per non farla volare giù. Intravedo Lapis e Trunks che esultano, le compagne di classe di Lunch che agitano il mio striscione personale. Marion che salta e balla con le sue amiche. I componenti dei vari club sportivi della nostra scuola in piedi che urlano. Gajeel, le Sweet Bullet e Piiza-san che sembrano impazziti, come il resto degli studenti, i professori e i genitori dei miei compagni.
Nella folla mi sembra di scorgere all’improvviso due codini neri. Un sorriso e due occhi blu che conosco bene. Accenno un sorriso anch’io e mi sento felice che sia qui anche lei. Persino lei. E che esista davvero.
Vedo Videl per un solo istante, prima che mi dia le spalle accennando un saluto con la mano e sparisca, inghiottita dalla folla. Sta lasciando lo stadio. Togliendo il disturbo, come direbbe lei. Sa che abbiamo vinto, anche se l’arbitro non ha ancora fischiato la fine.
Mi volto di nuovo di scatto verso Lazuli e riprendo a correre lentamente. Afferro lo stemma della nostra squadra cucito sulla maglia all’altezza del cuore e lo stringo, mostrandolo con orgoglio a nostri tifosi che rispondono con un boato ancora più forte.
Guardo Là e mi perdo per un attimo nei suoi occhi, prima di chiudere il pugno destro lasciando libero solo il dito indice. Lo bacio e tendo il braccio, indicandola senza smettere di correre per recuperare la mia posizione in campo. Vedo Bulma e Chichi che la abbracciano, persino Lunch, addirittura Mai e poi Marion.
Ma non facciamo nemmeno in tempo a disporci in campo per riprendere a giocare gli ultimi secondi che mancano, perché l’arbitro guarda l’orologio e mette in bocca il fischietto.
Il triplice fischio finale risuona più forte delle grida che ci circondano.
Il triplice fischio, il suono più bello del mondo quando stai vincendo.
E noi abbiamo vinto, cazzo se abbiamo vinto!
Urlo di nuovo verso il cielo e riprendo a correre verso Lazuli.
Tutti i mie compagni corrono e si abbracciano di nuovo. Intravedo Napa inginocchiato sull’erba con la faccia rivolta al cielo. Cabba che crolla a terra e sbraita. Il Mister, le nostre manager e le riserve che corrono con le braccia levate verso l’alto.
Anche Vegeta corre al mio fianco e grida con tutte le sue forze.
Siamo i campioni. In Giappone nessuna squadra è più forte di noi oggi.
Guardo Lazuli negli occhi e in quel lungo istante ci diciamo tante di quelle cose solo attraverso i nostri sguardi che non basterebbe un libro ad elencarle.
Ce l’abbiamo fatta. È tutto vero.
Siamo i campioni nazionali.
È incredibile fin dove può portarti la forza di un sogno.
E la vista dalla vetta… beh, la vista dalla vetta è una figata.
 
 
 
 
Note: è una figata davvero la vista dalla vetta, e alla fine il Liceo Minegahara ce l’ha fatta a diventare campione nazionale a livello liceale! Spero con tutto me stesso che questo capitolo vi abbia emozionato tanto quanto ha fatto con me mentre lo scrivevo e lo rileggevo. C’è tanto di me qui dentro, proprio come era stato per il gol che aveva segnato l’altra volta Rad contro la squadra di Broly. Infatti, anche in questo caso, ho voluto descrivere un mio gol realizzato tanti anni fa sempre nel derby della mia città, proprio come avevo fatto l’altra volta. Sono stati i due gol più importanti della mia vita perché segnati nella partita più sentita, quella attesa tutto l’anno, ed è stata una meravigliosa opportunità poter inserire tutto questo in una long che ha tantissimo di me e che reputerò sempre come qualcosa di davvero importante, proprio per questo sono felice di poter condividere queste emozioni con tutti voi. Questo è stato il mio primo gol nel derby e fu il gol dell’1-1 all’ultimo secondo, con la partita che terminò così in un pareggio che sapeva di trionfo per noi, visto il modo in cui l’avevamo raggiunto all’ultimo respiro, e di bruciante sconfitta per loro, che quell’anno erano molto più forti di noi e per di più giocavano nel loro stadio. Era stato un gol brutto, sporco, ma davvero “tenace” e soprattutto pesantissimo. Voi non potete capire cosa mi passava per la testa mentre vedevo la palla rotolare lentissima verso la porta, mi sembrava di averla toccata insieme a tutti i miei compagni di squadra in quel momento e non volevo deluderli. Poi è ovvio, è sempre appagante essere l’eroe di giornata, inutile nasconderlo, ma quel gol aveva significato tanto sul serio per tutti noi perché era stata una stagione durissima e la riprova è stata l’esultanza che ho descritto anche qui, compreso il fatto che ho pensato di crepare a un certo punto schiacciato sotto una dozzina di persone almeno. Tra l’altro l’avversario che mi marcava era uno dei miei migliori amici (che giocava appunto nella squadra avversaria) e questo ha reso tutto ancora più speciale, almeno per me.
Bene, momento aneddoto finito, spero che siate felici che Rad abbia segnato su assist di Vegeta e che il Prince abbia vinto anche stavolta il titolo di capocannoniere. I giocatori e la squadra dell’Ichiran sono tratti da Angel Voice, se volete vedere le loro facce potete cercarli facilmente su internet, per il resto abbiamo potuto rivedere in azione anche il buon Cabba e mi auguro vi sia piaciuto.
In tutto questo delirio di emozioni, spero che vi siano piaciuti anche tutti i personaggi in tribuna che hanno vissuto la partita tifando con tutte le loro forze, a partire da Là.
 
Ringrazio tutti voi che mi lasciate sempre il vostro parere e mi complimento con tutti quelli che hanno riconosciuto i personaggi apparsi nel capitolo scorso e, soprattutto, avevano notato l’assenza di Videl, che invece ricompare oggi all’improvviso. Dite che era davvero lei?
Grazie poi a chi legge sempre in silenzio e, spero, continua a gradire. Ringrazio poi Echo Saber che ha realizzato Lazuli e Videl in versione cheerleader pronte a tifare Rad insieme a Gine, oltre che una bellissima Là con gli occhi a cuore mentre guarda il suo Rad.
Grazie anche a chi ha letto e apprezzato la mia one shot “Occhi inverno”, slegata da questa long, ma dedicata alla mia androide preferita anche lei.
 
Bene, settimana prossima arriva il penultimo capitolo e vi dico subito che sarà di un’importanza capitale. Penso che succederanno un paio di cose che un po’ tutti aspettavamo con ansia, oltre al fatto che arriva un’altra ragazza direttamente da Dragon Ball Z. Chi pensate che possa essere?
Il titolo sarà “Il confronto tra le senpai”, e direi che non serve aggiungere altro hype… o forse sì, visto che potrebbe anche esserci un altro “confronto” tanto atteso nello stesso capitolo. ;-)
Vorrei chiudere le note riportando la penultima frase di questo capitolo, perché Rad ci ricorda una cosa di cui ci dimentichiamo troppe volte e che invece dovremmo sempre cercare di tenere a mente, in qualsiasi ambito: “È incredibile fin dove può portarti la forza di un sogno”.
Grazie ancora, ci vediamo mercoledì!
 
Teo
 
 
 

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Capitolo 54
*** Il confronto tra le senpai ***


54 – Il confronto tra le senpai
 
 
1 marzo
 
Ho fatto un sogno stanotte, talmente realistico, dettagliato e vivido dal convincermi che fosse qualcosa di diverso. Una visione, magari. Uno squarcio sul passato.
Ho sognato l’incontro avvenuto ormai tre mesi fa tra Lazuli e Videl in stazione a Fujisawa, subito dopo che la mia ragazza se n’era andata da casa mia perché l’avevo profondamente delusa proprio alla vigilia del suo compleanno, pronta a tornare a Kanazawa dove stava girando il suo ultimo film. Se ripenso a quei momenti mi sento ancora male. Ancora in colpa. E profondamente grato per aver avuto la possibilità di sistemare le cose, perché non me lo sarei mai perdonato, in caso contrario. Mai. Lazuli è una persona troppo speciale per meritare di soffrire e io sono stato troppo un coglione ad averla fatta star male quella volta. Mai e poi mai vorrei farla soffrire di nuovo. Preferisco star male io, piuttosto. Ma ci siamo chiariti, per fortuna. Credo che quello che proviamo l’uno per l’altra fosse qualcosa di troppo grande per permettere che tutto andasse a rotoli. E oggi sono felice, tanto felice. Anzi, siamo felici, perché so che anche lei lo è.
Non so perché ho sognato proprio stanotte il suo dialogo con Videl. Mi aveva raccontato tutto senza scendere nei dettagli, ma a quelli ha provveduto forse il mio inconscio conoscendo il carattere e i modi di fare di entrambe.
Non ho più visto Videl dal giorno della finale del campionato nazionale, anche se stavolta ho raccontato subito tutto a Lazuli.
«Beh, almeno la tua amichetta coi codini non ha portato sfortuna» si è limitata a sibilare la mia dolcissima ragazza quella volta, facendo spallucce e lasciando intendere che non gliene fregasse poi molto, salvo poi conficcare nel tagliere di legno della sua cucina il lungo coltello che stava usando per tagliare le verdure in quel momento e regalarmi un sorriso dolce e innocente. Io la trovo sempre adorabile quando fa così. Terribilmente adorabile.
 
 
1 dicembre dell’anno precedente
 
Lazuli fissava con sguardo vacuo i binari della stazione di Fujisawa cercando di non dare a vedere quanto male le facesse la morsa che sentiva stringersi sempre di più intorno al suo cuore. Immobile e in piedi, con le mani in tasca e la sciarpa fino al naso, in attesa del treno che l’avrebbe riportata a Kanazawa. E lontana da Radish, soprattutto.
Al pensiero del suo ragazzo due lacrime scesero incontrollate dai suoi occhi di ghiaccio e si persero tra le pieghe della sciarpa. Nonostante i suoi sforzi non aveva fatto altro che piangere da quando se n’era andata da casa di Radish dopo aver litigato con lui e, soprattutto, con sé stessa. Il suo ragazzo non lo sapeva che lei si sentiva in colpa per non esserci stata quando lui aveva avuto bisogno. Non era solo tremendamente infastidita che ci fosse stata proprio la sua ex vicina a lui in un momento simile, pronta ad aiutarlo. Si fidava di lui, non era questo il punto, ma non sopportava proprio che Radish non le avesse detto subito quello che era successo.
Era delusa, e più passavano i minuti e più si sentiva distrutta dentro. Faticava a mantenere la sua maschera di freddezza davanti al mondo perché aveva una dannata paura che si fosse incrinata per sempre proprio la cosa che contava di più nel suo mondo, cioè il suo rapporto con Radish. Lui l’aveva salvata e le aveva dato una ragione per vivere quando ormai aveva perso le forze per lottare. Il suo mondo era vuoto, ma lui l’aveva riempito a modo suo ed era stato capace di renderla felice. Nessuno l’aveva mai resa felice prima, nessuno aveva mai visto quello che c’era dietro l’armatura con cui aveva imparato a difendersi dalla realtà che la circondava. Nessuno aveva mai visto “Là” dietro all’attrice Lazuli Eighteen, ma lui l’aveva scorta subito con una facilità disarmante, per di più in un momento in cui nessuno riusciva più fisicamente a vederla o ricordarla. Radish le aveva dato degli amici e restituito una sorella che sentiva di aver perso. Le aveva regalato una famiglia, qualcosa che non aveva mai conosciuto e che aveva saputo scaldarle un cuore che era diventato ormai più gelido del suo sguardo.
Lazuli era arrabbiata e confusa, sentiva una fitta colpirle lo stomaco e salirle fino alla gola. Non dovevano andare così le cose, lei avrebbe solo voluto festeggiare il suo compleanno per la prima volta con qualcuno che la faceva sentire sempre speciale. E voleva fare una sorpresa a Rad, soprattutto. Non era mai stata davvero felice nel giorno del suo compleanno in passato, nemmeno da bambina. Quella volta si era illusa che sarebbe stato tutto diverso e si sentiva una stupida per questo.
Non riusciva a impedire ad altre lacrime di sgorgare dai suoi occhi e si odiava per questo. Odiava sé stessa e odiava Radish per non averle detto subito la verità. Odiava Videl Satan perché si era messa in mezzo tra loro e odiava tutti in quel momento, in realtà. Immobile, non smetteva di fissare i binari in attesa di un treno che sarebbe arrivato solo tra una ventina di minuti. Non aveva freddo, non sentiva nulla in realtà.
Piangeva senza fare rumore, senza darlo a vedere. Sperava inconsciamente che potesse arrivare Rad prima di quel maledetto treno. Che la portasse via da lì, che le dicesse che andava tutto bene mentre la stringeva a sé. Lo sperava, ma non l’avrebbe mai ammesso a sé stessa. E tantomeno avrebbe fatto lei il primo passo. Il suo orgoglio glielo impediva, nonostante sapesse che anche Radish probabilmente stava soffrendo come lei in quel preciso istante. Sentiva di amarlo. Lo amava tantissimo, in realtà. Più di tutto, più di sé stessa. Voleva chiarire con lui, ma non si sentiva in grado di farlo in quel momento. Non era nemmeno lucida perché si sentiva la testa esplodere a causa di troppi pensieri negativi che si accavallavano. Odiava sentirsi così. Avrebbe voluto urlare. Avrebbe voluto piangere senza nascondersi dietro una maschera da attrice consumata. Avrebbe voluto scappare via da quella stazione. Avrebbe voluto correre da Radish e sentirsi al sicuro tra le sue braccia.
Ma non poteva farlo. Non ce la faceva.
Deglutì il nulla e strinse i pugni nascosti nelle tasche del suo cappotto, mentre sentiva l’ansia cominciare a divorarla da dentro come non le succedeva da tempo. Altre lacrime sfuggirono al suo disperato controllo. Non si era mai sentita così. Non aveva mai sofferto così. Nemmeno quando aveva dato un sonnifero a Radish perché la smettesse di farsi del male nell’inutile tentativo di lottare per lei quando ormai tutti l’avevano dimenticata. Il dolore che provò Lazuli quel giorno fu molto diverso, perché lei credeva che Radish si sarebbe dimenticato di lei e avrebbe così vissuto felice. Lei considerava da tempo inevitabile la sua fine in quel periodo, se guardava davanti a sé non vedeva nulla. Né un presente, né un futuro. Ma adesso le cose era molto cambiate, perché Radish le aveva mostrato che c’era qualcosa di bellissimo davanti a loro e che l’avrebbero vissuto insieme. Lui le aveva insegnato a sorridere e anche ad amare. Si chiese se fosse normale soffrire così per amore. Lei credeva che non avrebbe mai sofferto per amore perché non si reputava capace di amare. E non voleva nemmeno amare nessuno. Era stato Radish a cambiarla. Era felice di aver imparato ad amare, di non aver smesso di sognare. Ma questo dolore non l’aveva preventivato. Voleva solo amare e sentirsi amata. Essere felice e rendere felice.
«Forse… se non fa male non conta…» sibilò con un filo di voce, senza distogliere lo sguardo dai binari. Probabilmente disse ad alta voce quella frase per zittire i suoi pensieri, ma non le importava molto. Forse voleva giustificare il suo dolore: se stava male era per il semplice fatto che provava per il suo ragazzo un sentimento che contava davvero.
La sua voce soffocata venne comunque coperta dall’annuncio degli altoparlanti della stazione che davano in arrivo sul binario alle sue spalle, con cui condivideva la banchina, un treno diretto a Sapporo, in Hokkaido.
«Scusa, hai detto che stai male, per caso? Hai bisogno di una mano?»
Una squillante e allo stesso tempo preoccupata voce femminile diede una scossa a Lazuli, spingendola a tornare in sé. Era irritata, non aveva voglia di parlare con nessuno in quel momento e voleva restare sola con sé stessa. Non voleva nemmeno essere riconosciuta come la celebre attrice che era, non ne aveva la forza. Si asciugò con stizza le lacrime fingendo di sistemarsi la sciarpa e si voltò verso la persona che si era appena rivolta a lei.
Sgranò gli occhi dimenticando il suo abituale aplomb e il suo cuore si fermò per un lungo istante. Aveva davanti l’ultima persona che si sarebbe mai aspettata di vedere e che avrebbe voluto incontrare in quel momento.
Aveva davanti Videl Satan, infatti, che sgranò a sua volta gli occhi prima di sciogliere la tensione del momento con un magnifico sorriso. Un sorriso che Lazuli giudicò falso e odioso.
«No. Sto bene» si limitò a rispondere Lazuli, senza scomporsi ulteriormente e puntando i suoi occhi di ghiaccio in quelli blu di Videl con fare minaccioso. Sperava con tutta sé stessa di non avere gli occhi arrossati e ringhiò interiormente per aver pianto come una stupida. Non si sarebbe mai mostrata fragile davanti a quella Videl. Mai. «Grazie» aggiunse, gelida, prima di voltare di nuovo la testa e tornare a fissare il nulla davanti a sé. Se fosse stato per lei, quella conversazione sarebbe finita prima ancora di iniziare, anche se c’erano molte cose che voleva sapere. Ma non era dell’umore adatto, decisamente. Voleva solo indossare la sua solita armatura e isolare le sue emozioni dal mondo esterno. Lazuli Eighteen aveva imparato nel corso della sua vita a diventare fredda e distaccata come un cyborg, come la C18 che stava interpretando nelle riprese del suo film. E, in quel momento, voleva essere semplicemente come C18. Non voleva dare spazio a Là e ai sentimenti che provava.
«Io penso di conoscerti, lo sai? Sei Lazuli Eighteen, vero?» le domandò gentilmente Videl, avvicinandosi a lei.
«Vuoi un autografo?» rispose freddamente la bionda, senza guardarla. «Posso farti una dedica per Videl Satan, se vuoi» aggiunse in un soffio, strappando una risata soffocata alla mora, che l’aveva presa per una battuta.
«Sei simpatica Lazuli-san, mi piacerebbe in effetti! Anche se posso reputarmi già più che onorata per il fatto che tu sappia chi sono!» rise allegramente Videl, facendo ribollire il sangue nelle vene a Lazuli. Avrebbe voluto strozzarla o, quantomeno, dirgliene quattro. Si sentiva presa in giro, oltre al fatto che non sopportava che lei avesse mentito sul fatto che fosse tornata ad essere una ragazzina delle medie per un certo periodo. Lazuli, infatti, non aveva mai dubitato che le due Videl Satan fossero la stessa persona colpita dalla Sindrome della Pubertà, anche se si era tenuta per sé questa considerazione per vedere come si sarebbe evoluta la situazione mentre la teneva sotto controllo. Era furibonda, anche se a vederla da fuori sembrava una semplice ragazza che aspettava tranquillamente un treno, magari anche con fare annoiato. Sapeva fingere bene, sapeva recitare alla grande. E sapeva nascondersi, se ne aveva voglia. Ma, in quel preciso momento, il suo istinto le disse di agire, di fare qualcosa. Di esporsi. Di dire la sua.
Sentì emergere con prepotenza Là dal suo inconscio e si soprese di questo. Non c’era più spazio per C18 e il suo asettico distacco, ma non per questo voleva rinunciare a tirare fuori gli artigli. Rad le diceva spesso che lei era una che sapeva fare le fusa, ma, soprattutto, che sapeva anche sbranare dopo pochi secondi. Le piaceva questa cosa, la faceva sentire una tigre. E, in quel momento, si sentiva esattamente come una tigre in gabbia ed era stufa di esserlo.
«Dimmi una cosa, per favore» sibilò, voltandosi all’improvviso verso Videl e fissandola di nuovo negl’occhi senza tradire particolari emozioni.
«Quello che vuoi, Lazuli-san» continuò a sorridere la mora, specchiandosi in uno sguardo di ghiaccio che probabilmente avrebbe messo in fuga chiunque in quel momento. Bruciava un fuoco inestinguibile in quel ghiaccio, e Videl lo vide distintamente.
«Cosa provi per Rad? Per il mio Rad?»
Lazuli non pensava che avrebbe mai pronunciato quelle parole. Dire “il mio Rad” non era una cosa da lei. Pensò che Radish se ne sarebbe uscito con qualcuna della sue battutacce se l’avesse potuta sentire. Si sentì meglio in quel momento, nonostante tutto. E sentì davvero “suo” più che mai Radish, soprattutto, ora che si trovava finalmente faccia a faccia con Videl.
 
Una gigantografia di una delle immagini promozionali del film di Lazuli affissa sulla fiancata di un altissimo edificio mi impone di fermarmi ad ammirarla e mi distoglie dal ricordo del mio sogno. Mi strappa un sorriso soddisfatto, soprattutto. È davvero bella, ogni tanto mi viene da pensare che ce l’ho avuta sul serio una botta di culo clamorosa ad essermi ritrovato fidanzato ad una come lei.
La città, le tv, i siti e i giornali sono pieni di immagini e interviste della mia ragazza in questo periodo. Oggi è il gran giorno, infatti. Stasera ci sarà la premiere del film, che poi sarà disponibile in tutti i cinema da domani. Si parla già di trionfo guardando i dati relativi alle prevendite dei biglietti, e non ho dubbi sul fatto che le attese non saranno tradite. Anzi, sono sicuro che il successo sarà ancora maggiore di quello che tutti stanno mettendo in conto.
Mi perdo a guardare la locandina del film, anche se in questo caso Lazuli non è da sola, bensì accompagnata da suo cugino Lapis. In altre immagini compare anche Trunks ultimamente, ad esempio nei pressi del “Kame House” c’è una gigantografia che li ritrae insieme. Lazuli è seduta su un ammasso di macerie e sorride beffarda, mentre stringe in una mano ciò che resta del vetro di una finestra in cui si riflette l’immagine di un ferito e disteso a terra Trunks, seppur ancora armato di spada.  In altre immagini promozionali compaiono invece sette sfere di vetro arancioni che hanno al loro interno delle stelle rosse, le famose Sfere del Drago. Saranno un elemento fondamentale della storia queste sfere visto che hanno il potere di realizzare un desiderio grazie a un gigantesco drago se vengono recuperate tutte e sette. Nella maggior parte di queste immagini, tuttavia, è sempre Lazuli a dominare la scena, come del resto è stato da quando venne annunciato il film “Mirai World – C18”.
Se nell’immagine passata sul maxischermo del Tokyo Stadium prima della finale del campionato nazionale di un mese fa avevo trovato la mia ragazza di una bellezza che oserei definire “illegale”, oggi non sono in grado in realtà di fare pensieri molto diversi. Ha un look pazzesco, non solo un fisico scultoreo e uno sguardo che mi mozzano il fiato come se fosse la prima volta che la vedo.
Indossa una gonna nera lucida con finiture lilla lunga solo da un lato che diventa minigonna dall’altro e che, grazie a una generosissima spaccatura, lascia libera praticamente tutta la gamba sinistra avvolta da una parigina nera che le risale fino a meta coscia, fissata da una giarrettiera che sembra essere più che altro anche il fodero di un’arma. Ai piedi indossa degli stivaletti bassi col tacco, neri come il top che le copre il seno e le lascia scoperti l’addome e i fianchi. Ha una cintura con dei foderi che potrebbero contenere armi o bombe, oltre a una piccola Sfera del Drago che si intravede spuntare. Oltre al top indossa uno strano coprispalle a maniche lunghe bianco e con dettagli lilla. Sembra quasi una felpa o una giacca alle quali sono rimaste solo le maniche e il colletto. È tremendamente sexy, con quello sguardo penetrante con cui sembra bucare l’obiettivo e i capelli biondi sciolti. Appare impassibile e determinata, con una mano sul fianco e l’altro braccio appoggiato distrattamente sulla spalla di Lapis, che la affianca con un lieve ghigno dipinto sul volto. Anche il suo look è estremamente particolare, sebbene più semplice. Jordan “Flu Game” rosso e nere ai piedi, che adoro e che posso vantarmi di avere anche io da quando Lazuli me le ha regalate dopo la vittoria del campionato nazionale, jeans neri aderenti con delle bretelle rosse portate come accessorio che penzolano ai lati sulle cosce e bomber anch’esso nero, sotto il quale si vede una t-shirt bianca e un bavero arancione legato al collo.
Riprendo inebetito a fissare Lazuli. Quasi non mi sembra vero che in questo momento sto andando a casa sua. A volte mi capita di chiedermi se davvero Lazuli Eighteen è la mia ragazza. Se non è un sogno. Se stasera andremo davvero insieme alla prima del suo film.
Già, sarà bellissimo stasera perché ci saremo proprio tutti, anche Goku, che sta sempre meglio e ha ormai recuperato quasi del tutto i suoi ricordi, con Chichi, insieme alla quale le cose sembrano procedere a gonfie vele. Anche Vegeta e Bulma, che vanno sempre alla grande. Ci saranno poi Lunch e Mai, che stanno continuando a vedersi con Lapis e Trunks e che mi sembrano felici. Ci saranno i miei genitori, e ancora mi sembra irreale che ormai da un mese anche mia mamma sia potuta tornare alla sua vita dopo tre anni d’inferno. Lei e mio papà sembrano rinati, sembrano addirittura più giovani, più pieni di voglia di fare. E io mi sento davvero bene a vederli così. So che Lazuli ha fatto avere a mia mamma i biglietti insieme a un mazzo di iris. Già, l’iris, il fiore che simboleggia il coraggio, un gesto che ha fatto commuovere mia madre. Verrà addirittura Muten, che ormai conosce bene Lazuli visto che viene sempre a trovarmi al lavoro e l’ha implorata di fargli avere un biglietto. Per l’occasione il “Kame House” resterà chiuso stasera, anche perché in realtà non avrebbe avuto praticamente personale visto che parteciperemo tutti all’evento. Abbiamo lavorato solo a pranzo oggi, ed è proprio dal locale dove lavoro che mi sto dirigendo a piedi a casa di Lazuli. Mi ha detto poco fa al telefono di muovermi a raggiungerla e ha aggiunto che Chichi è andata a casa mia da Goku, lasciando così galoppare la mia immaginazione su quello che potremmo fare per ingannare il tempo prima di prepararci per uscire.
Sto fantasticando su di te guardando una gigantografia dove sei terribilmente arrapante.
Scrivo a Lazuli, che visualizza subito.
Muoviti a venire qui, maiale. O sei morto.
Mi risponde, aggiungendo alla fine un cuoricino nero. Nero come la sua anima, come amo dirle ogni tanto per divertirla.
Mi fa piacere però. Forse ti meriti un premio.
Aggiunge un attimo dopo.
Muoviti o sei morto, comunque.
Conclude lapidaria, facendomi sorridere e battere forte il cuore.
Adesso mi telatrasporto, mia regina e mia dea.
 
«Anch’io trovo bellissima Lazuli-san, lo sai?!» sento esclamare da una voce allegra alle mie spalle. Una voce che mi sembra di conoscere bene. Molto bene. «Però, se continui a fissarla così, la gente penserà che sei un maniaco!» scoppia a ridere.
Mi volto di scatto. Un fremito scuote il mio corpo così forte da rischiare di stordirmi.
«Vi… Videl…» sgrano gli occhi. Dalla mia bocca esce poco più che un soffio.
«Ciao Rad!» mi saluta allegramente Videl Satan, a un metro da me. È lei, è davvero lei. E ha tutta l’aria di avere diciott’anni, proprio come le ultime due volte in cui l’ho vista.
«Quindi saresti tu il famoso Radish, eh» dice una ragazza che l’accompagna, avvicinando disinvolta il suo volto al mio e sorridendo maliziosa. Ha i capelli biondi a caschetto e gli occhi azzurri, mi sembra di averla già vista da qualche parte. «In effetti sei un bel manzo! Ora capisco molte cose!» aggiunge ridacchiando. «Sì, dai, ci stava soffrire un po’ per uno così!»
«Erasa, non metterlo a disagio! E non parlare troppo!» scoppia a ridere Videl, mentre io le osservo attonito e abbastanza confuso. «Ci puoi lasciare soli un minuto, per favore?»
«E va bene, se proprio devo…» mi fa l’occhiolino Erasa. «Andrò a vedere qualche vetrina nel frattempo. Ciao ciao, bel manzo!» aggiunge, voltandosi poi verso alcuni negozi e corricchiando in quella direzione. «Ah! Guarda quella borsa, Vì-chan! E quelle scarpe!»
«Sì, sì, un attimo Era-chan!» le risponde Videl, prima di guardarmi negl’occhi e scuotere leggermente la testa. «È fuori come un balcone, ma è la mia migliore amica anche per questo. Siamo cresciute insieme, poi lei si è trasferita qui dopo le elementari, anche se i suoi sono spesso via per lavoro».
«Era sua la divisa scolastica che indossavi tre anni fa?» le domando, dopo che un improvviso flash mi fa tornare alla mente dove potrei aver già visto questa Erasa.
«Sì, ma ha cambiato scuola a metà del secondo anno del liceo perché si è trasferita in un altro quartiere, quindi non viene più al Minegahara. Ha la mia età, anche lei sta per diplomarsi» mi risponde, prima di guardarmi intensamente attraverso i suoi grandi occhi blu e restare in silenzio per qualche secondo. «Complimenti per aver vinto il campionato e per il tuo gol in finale, Rad!»
«Grazie, mi sembrava di averti vista in tribuna. Sei stata gentile a fare un simile viaggio solo per una partita» accenno un sorriso.
«Ehi, una volta non ti avevo detto che volevo diventare la persona più gentile del mondo?!» mi rimprovera bonariamente.
«Già» le sorrido, ripensando ai nostri primi incontri. A quando mi aveva rubato il cuore. «Vivi in Hokkaido, vero?»
«L’ha dedotto Lazuli-san?»
«Sì».
«L’ho già detto direttamente a lei che la trovo una ragazza molto intelligente!» sorride. «E comunque, una finale del campionato nazionale non è cosa che capita tutti i giorni, quindi ne valeva ancora di più la pena! Ho saputo che ti hanno poi dato anche il premio di miglior difensore del campionato e, addirittura, quello di miglior giocatore in assoluto! Sei stato straordinario!»
In effetti è stato così, prima della premiazione della squadra vincitrice, infatti, hanno premiato i giocatori a livello individuale a seconda del ruolo. Io sono stato giudicato miglior difensore e miglior giocatore assoluto. Ammetto che non me l’aspettavo questo secondo premio, era una cosa che non ritenevo neanche possibile per un giocatore di fatica come me e non di talento. I difensori raramente vincono premi individuali perché la gente preferisce chi sa dare spettacolo in campo e segnare tanti gol. Non so neanche se sono stato davvero il più bravo in questo campionato, ma è stata un’emozione talmente forte salire sul podio della premiazione da solo che non potrò mai dimenticarla. Come non potrò mai scordare il momento in cui sono stato premiato insieme a tutti i miei compagni con la consegna del trofeo di campioni nazionali alla nostra squadra. Il nostro urlo nel momento in cui Napa ha sollevato verso il cielo la coppa risuonerà per sempre nel mio cuore. Già, Napa… lui è stato eletto miglior portiere, mentre Inui dell’Ichiran miglior centrocampista. Tra gli attaccanti è stato premiato Vegeta, che ha vinto anche il titolo di capocannoniere. Alla fine ci siamo portati a casa due trofei individuali a testa e sono felice anche di questo. Mi fa un po’ strano vedere il mio amico Prince nel suo nuovo ruolo di capitano in questo primo mese da quando i senpai del terzo anno hanno cominciato a venire sempre meno agli allenamenti per prepararsi agli esami. Come non mi sono ancora abituato ad essere io il suo vice.
«Forse sono stati troppo buoni a darmi quei premi» rispondo, riscuotendomi dai miei pensieri.
«Sei tu ad essere sempre troppo buono, Rad! E troppo severo con te stesso!» mi sorride. Sembra felice.
«Mio fratello sta bene, lo sai? Ce l’ha fatta. Avevi ragione» le dico, ripensando a quante colpe mi sono dato negli ultimi anni per non aver saputo fare di più per Goku, a proposito di essere severi con sé stessi.
«Non avevo dubbi, sapevo che con te e Lazuli-san sarebbe stato in una botte di ferro! E poi hai saputo circondarti di amici che ti vogliono bene, Rad. Sono fiera di quello che sei diventato!»
«Non ho… non ho mai potuto ringraziarti per quello che hai fatto l’ultima volta che ci siamo parlati» le dico in un sussurro, stringendo i pugni al ricordo del me stesso in lacrime inginocchiato sul marciapiede sotto la pioggia e di tutto il dolore che ho provato.
«Non ce n’era bisogno. Una brava senpai certe cose le capisce da sola!» esclama, facendomi l’occhiolino e sollevando il suo dito indice con aria di ironica superiorità. «Ti ho aiutato perché avevi bisogno di me».
«Sì, come tre anni fa in spiaggia…» sospiro.
«E sono contenta di esserti stata d’aiuto già allora con i miei magnifici consigli da senpai di vita!» ride.
«Già… peccato che io non ho saputo aiutarti quando eri tu ad averne bisogno» le dico a bruciapelo, alludendo al periodo in cui, almeno secondo me, la Sindrome della Pubertà l’aveva resa una ragazzina delle medie.
Osservo Videl diventare seria per un istante, prima di distogliere lo sguardo dal mio e accennare nuovamente un sorriso. Un po’ malinconico, stavolta. O, almeno, è questa l’impressione che ho.
«Invece mi hai aiutata tantissimo, più di quanto tu possa immaginare. Hai trovato il tuo posto nel mondo e questo rende la tua senpai di vita, cioè la sottoscritta Videl-san, davvero orgogliosa» risponde, cercando di ritrovare un po’ della sua consueta ironia. «Hai una ragazza che ti ama, degli amici che ti vogliono bene, la tua famiglia» mi dice, con lo sguardo leggermente rivolto verso l’alto. «Io avevo solo bisogno di capire alcune cose, non dovevo essere aiutata da nessuno».
«Cosa dovevi capire?»
«Hai mai sofferto per amore, Rad?» ribatte, invece di rispondermi.
«Sì. Tanto…» sospiro.
«E ha mai sofferto per qualcosa che pensavi fosse amore e che invece magari poi era un altro sentimento?»
«Penso… penso di sì…» le dico, mentre ripenso al dolore devastante che ho provato quando ho temuto di aver perso Lazuli, per non parlare di quando mi ero reso conto di averla dimenticata facendola sparire dal mio mondo, poco prima del nostro primo bacio. Ripenso anche a quello che provavo nelle prime settimane in cui l’ho conosciuta, a quanto soffrivo se pensavo a lei così sfuggente nei miei confronti. Se confronto quello che ho provato per Là con quello che ho provato per Videl a suo tempo, mi rendo conto ancora di più che non era vero amore quello che pensavo di provare per la ragazza a cui ho dato il mio primo bacio e che ora mi ritrovo davanti. Una riflessione che avevo già fatto, del resto.
«È capitato anche a me, ma io non sono brava a capire i miei sentimenti. O li capisco quando ormai è troppo tardi» mi spiega, tornando a guardarmi di nuovo negl’occhi. Un leggero alito di vento che profuma di mare le smuove i codini neri fissati da due nastri dorati.
«Però… però magari nemmeno loro erano i sentimenti che credevi di provare nel momento in cui li hai provati» le dico. «Non so se mi spiego, sembra uno scioglilingua detto così, cazzo…».
«Invece ti spieghi benissimo, Rad» mi sorride. «Il primo passo è accettare quel sentimento. Il secondo è capire se può essere corrisposto e se ha senso lottare per lui. Col tempo, poi, possiamo valutare se era un sentimento reale. Se era davvero quello che pensavamo che fosse».
«È passato abbastanza tempo per te?»
«Forse sì, forse no. A volte capiamo i sentimenti che proviamo anche grazie a un metro di paragone, secondo me. Il tuo è stato Lazuli-san, e lasciati dire che è un gran bel metro di paragone» ridacchia, facendo sorridere anche me.
Ha ragione. Io ho capito che non ero mai stato davvero innamorato di Videl nel momento stesso in cui mi sono reso conto che mi stavo innamorando di Là.
«Tu l’hai trovato un metro di paragone, Videl?»
«Dovresti chiamarmi “Videl-san”, non essere irrispettoso con la tua senpai di vita!» scoppia a ridere. «Comunque, da un mese mi sto vedendo con un mio compagno di classe. Non mi ero mai accorta di lui prima proprio perché non so capire i miei sentimenti, probabilmente».
«Sei felice quando sei con lui?»
«Certo! È dolce e timido, mi fa sentire speciale. Si chiama Gohan».
«Se ti fa sentire speciale e ti rende felice, allora tienitelo stretto. E digli quello che provi il prima possibile» le sorrido. «L’ho capito sulla mia pelle che non vale la pena correre dietro a dei fantasmi, ignorando quello che magari avevamo sempre avuto a un passo».
«Hai ragione, dovrei dirglielo senza aspettare troppo. Non voglio più rischiare di avere rimpianti» mi dice, con gli occhi leggermente lucidi. «Scusami per essere sparita tre anni fa, Rad. Non capivo quello che provavo» aggiunge, accarezzandomi per un breve istante la guancia con la mano.
«E tu scusami per averti fatta soffrire» ribatto, ritenendomi la causa che l’ha fatta sprofondare nella Sindrome della Pubertà e sentendomi in colpa per averla costretta ad affrontare quella situazione da sola.
«Tu non devi scusarti, non hai fatto niente di male!» protesta Videl.
«Invece mi sento responsabile se ti sei ritrovata per non so quanto tempo nel corpo di una dodicenne! Lo so che eri tu Videl-chan» ribatto, mentre lei distoglie di nuovo lo sguardo dal mio e accenna un sorriso un po’ tirato.
«Ancora con questa storia della mia mini sosia?!» scoppia a ridere. O forse si sforza di ridere, non riesco a capirlo. «Gliel’avevo detto anche a Lazuli-san che a volte il mondo è piccolo! Che tutti abbiamo almeno un sosia in giro chissà dove».
«Già, una tua sosia e omonima. Pazzesco averne trovata una proprio a Fujisawa» sorrido, stando al suo gioco. Credo che la metta a disagio questo argomento, forse perché si sente in colpa per aver mentito a tutti quanti, o forse le fa male che tutto questo sia successo perché era innamorata di me e ha visto coi suoi occhi quanto io amassi invece Lazuli.
«Sei diventato una persona gentile, come mi avevi promesso. Anche se lo eri già» mi sorride a sua volta. Sembra sollevata. «E hai anche capito quanto ci renda forti saper sorridere».
«Ci provo ad essere gentile con gli altri, ad aiutarli. E anche a sorridere, ma ammetto che non sempre è facile riuscirci quando le cose vanno male».
«Lo so che non è facile. Anche la tua senpai di vita a un certo punto si era dimenticata di sorridere, lo sai?» sospira, guardandomi intensamente negl’occhi. «Videl-san predica bene, ma razzola male!» scoppia a ridere.
«Capita a tutti di non riuscire a sorridere quando si sta male» la rassicuro. «L’importante è rialzarsi quando si cade, no? Mi sembra che tu sia tornata a sorridere alla grande, proprio come mi avevi insegnato a fare».
Videl distoglie lo sguardo dal mio e respira profondamente, prima di guardare di nuovo verso lo splendido cielo che possiamo ammirare oggi. Un cielo che sa di primavera in anticipo.
«Ho ricominciato a sorridere perché, a un certo punto, mi sono ricordata di una cosa molto importante!» esclama all’improvviso.
«Cioè?» le domando, incuriosito.
«Dimmi una cosa, Rad: sai cosa succede quando la neve si scioglie?»
«Uhm… diventa acqua?» ribatto, osservandola stranito. La guardo trattenere a stento una risata, divertita dalla mia risposta. Non la capisco a volte.
«No, stupido! Quando le neve si scioglie, arriva la primavera!» esclama ridendo, guardandomi di nuovo negl’occhi e lasciandomi di sasso. È vero. Era ovvio. E giusto, soprattutto.
La guardo e le sorrido.
«La primavera arriva sempre dopo l’inverno! Non fallisce mai!» aggiunge.
«Non dobbiamo mai dimenticarcelo, hai ragione!» le dico, ripensando a quanto sia vero e anche semplice. Così come non può piovere per sempre, così la notte, anche se lunga, poi ce l’ha una fine. E, nello stesso identico modo, dopo l’inverno arriva sempre la primavera. Anche dopo quegli inverni particolarmente rigidi e pieni di neve a cui devono essere abituati nel nord dell’Hokkaido come nel caso di Videl.
Non fallisce mai, la primavera. Arriva sempre, nonostante tutto. In fondo se ne frega anche lei, un po’ come fa il mare. Torna sempre dopo l’inverno, qualunque cosa accada.
«Piuttosto, ho la sensazione di averti creato problemi con la tua ragazza quando sono venuta a casa tua l’altra volta. Si è arrabbiata?» mi chiede Videl, interrompendo le mie riflessioni.
«Un po’ sì, ma è stata colpa mia perché non gliel’ho detto subito. Tu volevi solo aiutarmi e te ne sono grato, anche lei lo sa questo. E so anche per certo che non ha mai avuto dubbi sul mio comportamento con te».
«Lo immagino, lei ti capisce davvero e state benissimo insieme. Io… io credo che sia quella giusta per te…» sospira, sorridendomi però raggiante. «Non so se conosco altre coppie così affiatate come voi, così complici» aggiunge, prima di cercare con lo sguardo la sua amica, ancora appiccicata alla vetrina di un negozio. «Anzi, dovresti muoverti ad andare da lei. Ti starà aspettando, no? E falle anche i complimenti da parte mia per il suo film, domani tornerò a casa e andrò a vederlo con Gohan».
«Stasera andiamo insieme alla prima del film, ci sarà un evento in grande stile. Grazie per le tue parole, le dirò che le fai i complimenti».
«Wow! Sarà una serata magnifica! Lo vedi allora che devi sbrigarti?! Non fare arrabbiare Lazuli-san e non farla stare in pensiero!» esclama. «Non pretendo di piacerle, ma non voglio neanche che mi odi!» ride.
«Là non ti odia sul serio, ma non lo ammetterà mai. È la persona più buona che conosco, solo che non vuole darlo a vedere».
«Penso anch’io che la tua ragazza sia una persona dolcissima e che in fondo è la vita, a volte, a costringerci a indossare un’armatura per proteggerci» mi spiega Videl. «Tu sei riuscito a vedere per primo quello che c’è sotto quell’armatura. Hai letto il suo cuore come un libro aperto, perché tu sei così, Rad. Sei sensibile e buono, non mi stupisce che persino un’attrice di fama nazionale si sia innamorata di te. Sei tu la sua armatura adesso, non dimenticartelo mai» aggiunge. «Tra l’altro, di Lazuli-san apprezzo anche che non si comporta per niente come una celebrità».
«Sei gentile a dire queste cose e ti ringrazio. La penso come te, se vuoi saperlo. E sarò la migliore armatura che sia mai esistita!».
«Non ho dubbi su questo. E comunque lo so che lei non mi odia, non troppo almeno. È solo adorabilmente gelosa! E fa bene a esserlo, credo che anch’io mi sarei un po’ arrabbiata se la ex del mio ragazzo fosse andata a casa sua» sorride Videl.
«Già, io probabilmente sarei impazzito e mi sarei tirato mille paranoie, anche se mi fido ciecamente di lei» accenno un sorriso spento, sentendomi di nuovo in colpa per il casino che avevo creato solo perché mi ero lasciato sopraffare dal dolore. «Se gliel’avessi detto subito avrebbe reagito diversamente, sono stato io a comportarmi da coglione. Sai, mi piace che sia adorabilmente gelosa, come dici tu. Mi fa sentire importante, desiderato. Speciale. Mi piace pensare di essere di sua proprietà o qualcosa di simile» sorrido, stavolta convinto.
«E tu sei una persona speciale, Rad. Fidati delle parole della tua senpai di vita!» esclama Videl. «Quindi non fare mai più arrabbiare Lazuli-san, lei è una persona che non merita di soffrire. E non lo merita soprattutto la bellissima coppia che siete. Questo è l’ultimo dei “magnifici consigli” che ho da darti!»
«Ehi, Vì-chaaannn! Io entro, ci sono delle scarpe tutte luccicose a metà prezzo quiii! Sbrigati!» starnazza Erasa, richiamando l’attenzione di Videl, che si volta verso di lei.
«Arrivo Era-chan!» le risponde, cominciando ad allontanarsi da me di un paio di passi.
«Videl» la chiamo. «Avrei ancora una cosa da chiederti».
«Videl-san, prego» mi fa l’occhiolino, facendomi poi la linguaccia.
«Tu sei… ecco… tu sei reale? Sei vera?» farfuglio. Non ho mai dimenticato quel discorso che mi aveva fatto Bulma sul fatto che Videl Satan poteva essere nient’altro che il frutto della mia immaginazione o qualcosa del genere. Mi sento un emerito deficiente a chiederglielo, ma non posso farne a meno.
«Eh? Pensi che sono uno spirito? Tipo il Fantasma del Natale Passato di Dickens? Non un’anima che vaga sulla Terra priva di un corpo, spero!» scoppia a ridere.
«Già, che scemo…» sospiro. «Non so perché, ma a un certo punto mi ero chiesto se tu fossi mai esistita davvero. Se fossi vera, appunto, e non frutto della mia immaginazione».
«Hai pensato che potessi essere stata una tua allucinazione?! Quale onore per me!» ride ancora di gusto.
«Sei vera, giusto?» insisto, tornando serio.
Lei si avvicina e mi guarda intensamente negl’occhi. Ripenso a quanto ho pensato a lei, ha quanto ho sofferto per lei. A quanti dubbi ho avuto su di lei. E a quanto sia strano trovarmela qui davanti, adesso. Strano e bello, perché avevo bisogno di chiarire alcune cose con lei e forse anche con me stesso, o col me stesso di una volta, definitivamente.
«Dimmi una cosa, Radish: il bacio che ci siamo dati quella volta era vero, secondo te?» mi domanda, seria, senza smettere di fissarmi.
«Era verissimo» ribatto, e per un attimo torno indietro a quel pomeriggio di tre anni fa in riva al mare e a quello che avevo provato in quel momento.
«E questo?! Anche questo ti sembra vero?» mi chiede, prima di avvicinarsi e darmi un leggero scappellotto sulla nuca. Scoppia a ridere e fa un saltello all’indietro, facendomi ancora una volta la linguaccia.
Quando si è avvicinata, per un breve istante, ho quasi temuto che stesse per baciarmi di nuovo. Ma era solo una mia impressione a quanto pare, ed è meglio così. La nostra storia, se mai è cominciata, è finita quel pomeriggio in biblioteca in cui ho incontrato per caso una sensuale coniglietta selvatica che si aggirava tra i corridoi e gli scaffali pieni di libri. La mia vita è cambiata quel giorno, ed è cambiata in meglio. La prima volta che Lazuli mi ha rivolto la parola il mio cuore ha cominciato a battere in modo diverso, come mai mi era successo prima.
«Direi di sì! Più vero che mai!» scoppio a ridere a mia volta, massaggiandomi la testa.
«Bene, adesso è tutto chiaro, almeno! Devo proprio andare, prima che la mia amica mi linci. E tu sbrigati, non fare aspettare Lazuli-san!» mi saluta con la mano, prima di voltarsi e accennare una corsa per raggiungere Erasa. Si ferma all’improvviso e si volta ancora una volta. «Ah, già, Rad! Stanno bene i tuoi gatti?!»
«Stanno alla grande!» le sorrido.
«Non dimenticarti di mettere un po’ a dieta Balzar e di far mangiare di più Beerus, era ancora troppo magro quando l’ho visto l’ultima volta! È così carino che lo porterei a casa con me, se potessi!» aggiunge, e io non posso che ripensare a quel giorno di pioggia della scorsa estate in cui mi sono ritrovato una ragazzina delle medie identica a lei con in braccio un cucciolo di gatto abbandonato. E non posso che sorridere di più, pensando a quante cose sono successe da allora. A quanto sia rimasta affezionata a quel gattino che diceva di volersi portare a casa, prima o poi.
«Sta crescendo bene anche Beerus, è sempre più forte! Non preoccuparti per lui!»
«Benissimo! Per questo ti meriti l’ultimissimo dei magnifici consigli della tua senpai di vita!» mi dice, senza smettere di sorridere. «Non smettere mai di essere quello che sei, Rad. Non smettere mai di avere l’entusiasmo che hai di fronte alla vita. E ricordati di non smettere mai di sognare» mi spiega, cominciando a voltarsi. «Forse erano tre consigli, ma va bene così, te li sei meritati! Ciao Rad, Videl-san toglie il disturbo!» si congeda, sorridendomi radiosa e correndo via mentre la saluto con la mano.
Guardo i suoi codini neri accarezzarle le spalle finché raggiunge Erasa, che la prende per mano e la trascina nel negozio con lei. Le vedo sparire entrambe all’interno e mi volto, ritrovandomi davanti alla gigantografia di Lazuli. Sorrido, perché mi sento felice davvero. Mi sento leggero. In pace con me stesso. Mi perdo per un istante negli occhi di ghiaccio di Lazuli e riprendo a camminare a passo svelto, deciso a raggiungere il più in fretta possibile casa sua. Ho voglia di vederla. Sembra una cosa stupida perché ci siamo visti stamattina, ma mi manca. Mi manca tanto.
 
Entro in casa di Lazuli usando il mio mazzo di chiavi per farle una sorpresa.
«Ciao Là, sono arriv…» mi interrompo, mentre chiudo la porta alle mie spalle e mi guardo intorno disorientato. Il salotto è buio, non sembra esserci nessuno. “Be quick or be died” degli Iron Maiden riecheggia per la casa come un lamento spettrale, o forse come un monito. Già, “sbrigati o sei morto”, come mi aveva scritto per messaggio la mia tenera e adorabile fidanzata.
«Tenebre e Iron Maiden, mi piace come accoglienza, Là!» esclamo, sfilandomi il giubbino di pelle.
«Ce ne hai messo di tempo per arrivare. Ti avevo detto di muoverti» dice una voce che conosco benissimo e che mi fa battere improvvisamente il cuore all’impazzata. Non la vedo, ma la sento sempre più vicina. Respiro il suo profumo fresco. «Ti avevo detto di fare in fretta, altrimenti saresti stato spacciato» aggiunge, mentre il suono dei suoi tacchi alti sul pavimento si avvicina sempre di più a me. «Non so se meriti un premio, o forse una punizione».
In quel momento si accende la luce e io la vedo.
Vedo Lazuli, davanti a me.
E mi si secca la gola. Deglutisco il nulla.
Nel petto è come se avessi un esercito.
Cerco di recuperare il controllo di me stesso.
Accenno un sorriso sghembo, mentre provo a inumidirmi leggermente il labbro inferiore con la lingua.
«Voglio essere punito, decisamente».
 
 
 
 
 
 
Note: è passato un mese dalla finale del campionato nazionale e ritroviamo i nostri Rad e Là in procinto di andare alla prima del film di lei. Però, in tutto questo, abbiamo finalmente visto la prima parte del clamoroso incontro che era avvenuto tra Là e Videl la sera prima che la nostra bionda compisse gli anni, spero vi sia piaciuto e abbiate apprezzato l’aplomb mantenuto da Lazuli nonostante  l’istinto omicida ;-)
Abbiamo poi visto un altro clamoroso e credo attesissimo confronto, cioè quello tra Rad e Videl, che compare all’improvviso insieme ad Erasa. Come sempre lei è sfuggente e un po’ eterea anche nelle sue risposte, però penso che tra le righe si sia capito benissimo come sono andate le cose per lei negli ultimi tre anni, il rapporto esistente tra Videl-san e la piccola Videl-chan e la causa scatenante di tutto. Era l’ultimo grande mistero di questa lunga long, che è una storia d’amore molto shojo e allo stesso tempo un romanzo di formazione, ma in cui ho voluto sempre lasciare un’aura molto mistery in ogni arc di cui era composta, oltre ad alternare momenti comici ad altri più angst, per arrivare al fluff. Io sono felice di avercela fatta ad arrivare fin qui insieme a tutti voi, non posso che sperare che il mistero relativo a Videl Satan abbia avuto per voi una bella soluzione. Indirettamente abbiamo anche potuto conoscere Gohan, tra l’altro, che entra così insieme ad Erasa nel già nutritissimo cast di questa storia.
 
Un grazie immenso va anche stavolta a chi vorrà lasciarmi il suo parere e a chi me lo lascia sempre, e anche a chi sta leggendo in silenzio da oltre un anno e si è affezionato a questi personaggi.
Ringrazio poi chi ha realizzato le due locandine del film che ho descritto nel capitolo e che allego, oltre a una bellissima immagine di lotta tra Lazuli e Videl e una splendida Videl con tanto di Jordan I ai piedi.
 
Lo sapete già, ma il prossimo capitolo, il numero 55, sarà l’ultimo. Questo mi mette addosso un po’ di malinconia e di nostalgia, sapete come sono fatto. Ma anche tanto amore, orgoglio e soddisfazione per essere arrivato fin qui insieme a voi e a questi personaggi a cui mi sono affezionato tantissimo.
Mercoledì prossimo vedremo di fatto la seconda parte di questo capitolo e il titolo sarà “Coniglietta per sempre”. Spero che abbiate apprezzato il finale di questo con l’entrata in scena di Lazuli, perché riprenderemo da lì la narrazione. Inoltre vedremo anche la seconda parte del flashback dedicato all’incontro tra Là e Videl, siete curiosi?
Io vi saluto e spero di avervi potuto strappare un sorriso e distrarvi un po’ in questo difficile momento che stiamo vivendo. Rad mi ha chiesto di dirvi di sorridere e stare tranquilli, Là invece dice che passerà anche questa e ne verremo fuori più forti tutti insieme. ;-)
Inoltre, Videl mi fa sapere che i suoi ultimi tre magnifici consigli da senpai di vita sono dedicati a tutti noi, spero che possiate farli vostri come io cerco ogni giorno di farli miei: non smettere mai di essere quello che sei. Non smettere mai di avere l’entusiasmo che hai di fronte alla vita. E ricordati di non smettere mai di sognare.
Non sempre è semplice, ma dobbiamo provarci, no?
Infine, ci terrei a fare quello che avevo fatto anche alla fine della mia long “Beauty and the Beast”, cioè vorrei chiedervi qual è stato il vostro personaggio preferito! L’altra volta avevano vinto a pari merito Vegeta (The Beast) e Radish (Lumiere), sono curioso di vedere stavolta come andrà. Se volete votare Rad, che ho visto che è stato molto amato da tutti voi, potete anche darmi un’altra opzione, giusto per vedere chi è il preferito in questa storia insieme a lui o dopo di lui. E qui chiedo il voto anche a chi di solito legge in silenzio, mi farebbe piacere sapere chi è stato il vostro personaggio preferito! Potete anche dirmi il vostro podio in ordine di gradimento, come volete! Io voto Là, oltre a Rad, ma mi è piaciuta molto anche questa Bulma! Fatemi sapere allora, ci conto!
 
Teo
 

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Capitolo 55
*** Coniglietta per sempre ***


55 – Coniglietta per sempre
 
 
«Ah, e così vuoi essere punito? Sei il solito maiale, Rad…» sospira Lazuli, muovendo un altro passo verso di me e afferrando con le dite la stanghetta bianca di un lecca-lecca che lascia scivolare lentamente e sensualmente fuori dalla bocca. Le orecchie da coniglio del cerchietto che porta tra i capelli si inclinano un poco in avanti verso di me, mentre accenna un sorriso malizioso. «Sei un caso irrecuperabile» aggiunge con un filo di voce, sfiorandomi i capelli con la mano e facendomi provare un brivido di piacere. Riprende a succhiare quel maledetto lecca-lecca rosso fuoco per provocarmi. Per farmi impazzire. Per rendermi suo, come se già non lo fossi.
Deglutisco il nulla, guardando il suo seno contenuto a fatica in quel costume da sexy coniglietta che mi ha cambiato la vita nell’esatto momento in cui gliel’ho visto addosso per la prima volta. In quell’esatto momento forse lei non lo sapeva, ma io ero già diventato suo.
Deglutisco ancora e risalgo di nuovo ai suoi occhi, soffermandomi forse per un istante di troppo sulle sue labbra che continuano a dedicarsi a quel dannato lecca-lecca. Si sistema una ciocca dietro l’orecchio e la mollettina glitterata nera a forma di coniglio mi sembra brillare un po’ di più, al pari dei suoi occhi di ghiaccio.
Mi perdo in quello sguardo e ci vedo dentro tutto quello che siamo io e lei.
Sento il sangue ribollirmi nelle vene fino a scuotermi. E mi sento suo. Tremendamente suo.
Sono il suo Rad, proprio come aveva detto lei nel sogno che ho fatto, e non vorrei essere nient’altro che questo.
 
 
1 dicembre dell’anno precedente
 
«Il “tuo” Rad?» sorrise Videl, stupita dalle parole di Lazuli.
«Sì, il mio Rad. Ti crea problemi la cosa?!» ringhiò la bionda, distogliendo lo sguardo dal suo e arrossendo leggermente, a disagio per le sue stesse parole e irritata dalla contro-domanda di Videl.
«Tutt’altro! Mi fa piacere!» esclamò la mora, e la stessa Lazuli la trovò sincera, anche se si sforzava di capire a che gioco stesse giocando.
«Allora? Cosa provi per lui?» si limitò a ripetere, guardandola di nuovo in faccia.
«Certo che sei molto diretta per essere una ragazza di poche parole! In televisione sembri diversa» continuò a sorridere Videl, senza scomporsi.
«Non è affar tuo pensare a come sono davvero» soffiò acida Lazuli.
«Non fraintendere, mi piace il tuo carattere!» corresse il tiro la mora, che era davvero affascinata dalla ragazza che aveva davanti.
«Te lo chiedo un’ultima volta: cosa provi per il mio ragazzo?»
Le parole uscirono dalla bocca di Lazuli come un fiume in piena. Cominciava a irritarsi sul serio e doveva sforzarsi con tutta sé stessa per mantenere il suo consueto aplomb. Stava soffrendo. Soffriva come mai aveva sofferto in vita sua. E avere davanti a sé proprio quella ragazza non faceva altro che accrescere la sua rabbia. Voleva risposte, era il minimo che potesse fare per lei, arrivate a quel punto.
«Qualcosa di cui mi sono resa conto troppo tardi, a quanto pare. Ma va bene così…» sospirò Videl dopo qualche secondo di silenzio che a Lazuli parve durare un’eternità. Stavolta fu lei a distogliere lo sguardo e a guardare il cielo, forse per trovare le parole giuste o forse perché era troppo anche per lei dire certe cose sostenendo quegli occhi gelidi e allo stesso tempo ardenti. Non aveva mai conosciuto una ragazza con quella determinazione. Non aveva mai conosciuto una ragazza con un carattere come quello di Lazuli, più che altro. «In fondo me la sono cercata. E poi quello che conta è sapere che lui ce l’ha fatta ad essere felice» aggiunse, con un sorriso che in quel momento si fece piuttosto malinconico. «Un po’ grazie ai miei magnifici consigli e un po’ grazie alle sue forze. Ma soprattutto grazie a te, Lazuli-san».
La bionda ebbe un lieve sussulto, anche se non aveva certo intenzione di lasciarsi incantare da parole che avrebbero potuto essere nient’altro che banali menzogne per imbonirla. Eppure… eppure sentiva dentro di sé che quella ragazza era sincera.
In lontananza vide i fari del treno diretto a Sapporo in arrivo sul binario alle sue spalle e anche Videl se ne accorse, muovendo poi un passo verso il lato opposto della banchina. Lazuli dedusse che era quello il treno che stava aspettando e che probabilmente abitasse in Hokkaido. Tirò anche un sospiro di sollievo perché non si sentiva in grado di reggerla fino a Kanazawa se fosse salita invece proprio sul suo, di treno.
«Anche suo fratello si riprenderà, ne sono sicura» riprese Videl, distogliendola dai suoi pensieri.
«Certo, ci siamo noi per Goku» ribatté con distacco, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Per lei era davvero una cosa scontata che lui si sarebbe ripreso. Ne era convinta perché credeva nella forza di Goku. «E poi ha quel quaderno su cui si annotava tutto».
«Sei intelligente e determinata Lazuli-san, mi piaci! Capisco perché Radish ha scelto te» sorrise Videl, stavolta pienamente, tornando anche a guardare negli occhi la sua interlocutrice.
«Eri tu Videl-chan, la tua sosia e omonima delle medie, vero?» si affrettò a ribattere Lazuli, che a quel punto voleva davvero trovare tutte le conferme di cui sentiva il bisogno, nonostante non avesse molti dubbi a riguardo. «Io l’ho sempre saputo, ma ho voluto lasciarti fare».
«Davvero hai conosciuto una mia sosia e omonima più piccola?! Avrei voluto farci una foto insieme, o magari l’avrei fatta diventare la mia sorellina!» scoppiò a ridere Videl, anche se all’occhio attento di Lazuli sembrò una risata decisamente forzata. Non sapeva certo recitare come lei e non avrebbe potuto incantarla. «Del resto dicono che tutti noi abbiamo almeno un sosia al mondo, un giorno potresti trovarne uno anche tu!»
«Mi auguro vivamente di no» sbuffò la bionda, distogliendo lo sguardo e incrociando le braccia sotto il seno. Non la sopportava proprio. La credeva davvero così stupida?!
«Sei anche simpatica Lazuli-san, non solo intelligente!» rise la mora, stavolta davvero divertita da quella che riteneva essere una battuta e che invece non era altro che il vero pensiero di Lazuli, tutt’altro che vogliosa di scherzare.
Il treno si fermò in quel momento sul binario e Videl mosse qualche passo verso l’ingresso più vicino. In mezzo al rumore generato dallo stridore dei freni, Lazuli mise di nuovo le mani in tasca e la seguì fino quasi a raggiungerla.
«Ora Radish non ha davvero più bisogno di me, ne sono ancora più certa dopo averti parlato» aggiunse Videl, guardando Lazuli dritta negl’occhi senza smettere di sorridere. «Prenditi cura di lui, per favore».
«Non serve che sia tu a dirmelo» sibilò la bionda, indurendo lo sguardo.
«Lo so, lo so, Lazuli-san! È stato bello conoscerti» le fece l’occhiolino Videl, addolcendo più che poteva il tono. Era giunto il momento di congedarsi e così diede le spalle alla bionda. Proprio in quel preciso istante si erano infatti aperte le porte del treno davanti a lei e Videl salì il primo gradino per entrare nel vagone.
«Io credo che la Sindrome della Pubertà ti abbia fatta tornare una ragazzina delle medie, almeno finché non hai chiarito i tuoi sentimenti. Il tuo desiderio inconscio di tornare indietro nel tempo per dichiarare a Rad quello che provavi ti ha fatta ringiovanire sul serio, solo un po’ troppo» disse tutto d’un fiato Lazuli, che sentiva di aver ormai azzannato la sua preda e non era disposta ad allentare la morsa, anche a costo di apparire insensibile. Si sentì un po’ come Bulma in quel momento, ma era fermamente convinta della sua teoria. Videl si bloccò a cavallo della porta scorrevole, ma non si voltò. «Ti avremmo aiutata se ce ne avessi parlato».
Ed era vero, non erano parole di circostanza le sue. Dopotutto aveva addirittura permesso a Radish di fingersi il fidanzato di una primina palesemente innamorata di lui pur di aiutarla e aveva lasciato che passasse tanto tempo con sua sorella quando era rimasta intrappolata nel suo corpo, per non parlare di tutto quello che aveva fatto per le due versioni di Bulma quando si era sdoppiata. E lei non si era mai tirata indietro, per quello che poteva fare, perché aveva imparato ad aiutare gli altri proprio come Radish aveva aiutato lei quando si era trovata in una situazione disperata. Non avrebbe quindi abbandonato nemmeno Videl, nonostante non la sopportasse e sentisse una certa gelosia per quello che il suo ragazzo aveva provato un tempo per lei. Però sapeva anche in cuor suo che Videl aveva saputo star vicino a Radish in un periodo in cui era davvero solo al mondo. Solo contro tutti, proprio come si era sentita lei finché proprio Radish bussò con insistenza alla porta del suo cuore e le cambiò la vita.
«Te l’ho detto che sei molto intelligente, Lazuli-san. E anche molto dolce, nonostante l’armatura che ami indossare e che, tra l’altro, ti sta benissimo» rispose Videl, per poi girarsi e tornare a guardarla negl’occhi, sfoggiando un sorriso che la stessa Lazuli trovò davvero sereno. Le sembrava quasi che Videl si fosse tolta un peso dalla coscienza. Continuava a non voler ammettere nulla direttamente, ma quelle parole e quell’atteggiamento le bastarono a convincersi che aveva sempre avuto ragione sul serio sulla sua situazione. «I miei sentimenti non sono mai stati chiari come adesso. Grazie, Lazuli-san» aggiunse, prima di voltarsi e salire definitivamente sul treno.
Lazuli osservò le porte chiudersi alle sue spalle e la seguì con lo sguardo mentre camminava nel corridoio per poi prendere posto. Videl la guardò dal finestrino e le sorrise raggiante, salutandola al contempo con la mano. La bionda la guardò impassibile ancora per qualche istante fissandola nei suoi grandi occhi blu, come se fosse in cerca di un’ultima risposta. Il treno partì lentamente e, proprio in quel momento, anche Lazuli accennò un sorriso continuando a guardare Videl attraverso il finestrino finché le fu possibile mantenere il contatto visivo. A quel punto si voltò di nuovo e mosse qualche passo verso il suo binario, prima di fermarsi e riprendere a fissare il vuoto come prima. Provava tanti, troppi, sentimenti contrastanti. Troppa confusione nella testa. Troppo dolore nel cuore. Si sentiva leggermente meglio di prima, ma si rese presto conto che aveva tirato fuori tutte le energie che le erano rimaste solo per dimostrarsi in grado di affrontare e vincere quella che considerava da sempre come una rivale e che fino a quel giorno aveva sempre aleggiato sopra di lei come uno spettro. Ma ora era di nuovo sola, e non faceva che pensare a Rad. Gli occhi le tornarono lucidi, un nodo riprese a stringerle la gola. Sapeva solo che voleva chiarire con lui. E desiderava con tutta sé stessa che tutto tornasse come prima. Perché lei lo sapeva che loro due restavano sempre due quadrifogli che avevano avuto la fortuna incredibile di trovarsi insieme nello stesso prato. E ed era sempre convinta che proprio loro due fossero ancora il posto più bello del mondo, come le aveva detto Radish in una notte d’estate con il cielo illuminato dai fuochi d’artificio. Lei lo sapeva, ne era convinta. E, per questo, non poteva fare a meno di continuare a soffrire.
 
 
«Cosa c’è, Rad? Non ti piaccio abbastanza, forse?» mi sussurra Lazuli, riportandomi alla realtà. Lascia scorrere sulle mie labbra il lecca-lecca e poi ci passa sopra sensualmente la lingua, lasciandomi addosso un dolce sapore di fragola, oltre a un milione di brividi. «O hai forse combinato qualcosa?» aggiunge, facendosi improvvisamente più seria e pestandomi il piede come ama fare per punirmi.
«Ahia! Cazzo…» sbotto, mentre lei cerca di soffocare una risata. Rido anch’io. «Sei molto meglio se sorridi, lo sai?» le dico.
«Me l’avevi già detto tanto tempo fa, in effetti…» mi sorride lei, prima di appoggiarmi una mano dietro la nuca e stringersi a me.
Mi bacia, e io la bacio con tutto me stesso. Vengo travolto dal suo profumo fresco e dal calore del suo corpo contro il mio, dal suo sapore che si sposa con quello di fragola e da un’eccitazione che fatico a trattenere.
«Però io sorrido se e quando mi va» riprende lei, staccandosi da me quel tanto che basta. Le nostre fronti sono appoggiate l’una all’altra. Il suo respiro caldo mi accarezza le labbra. «Anche se sorrido davvero solo a te, in realtà».
«E io ti amo un casino per questo, Là» le dico, prima di decidere che è meglio vuotare subito il sacco stavolta ed evitare l’errore che ho già commesso in passato. «Mentre venivo qui ho incontrato per caso Videl, era con una sua amica».
«Ah, sì? E ti ha detto qualcosa che già non sapessimo?» risponde Lazuli, con fare indifferente. «Devo andare in cucina a prendere il coltello? Sai, quello lungo e con la lama affilata, nel ceppo…».
«D-direi che non ce n’è bisogno, Là…» sudo freddo, stando al suo gioco. «Comunque non mi ha detto nulla di che, a parte che domani andrà a vedere il tuo film col ragazzo con cui si vede ultimamente in Hokkaido» le spiego, cercando di valutare la sua reazione. Si sta arrabbiando? Non saprei dirlo, il suo sguardo è indecifrabile.
«Lecchina» ribatte freddamente.
«Dici?» la provoco volutamente.
«Stava bene, almeno?» mi domanda, invece, sorprendendomi.
«Sì… direi di sì» le rispondo, e nei suoi occhi mi sembra di intravedere una scintilla.
«Io l’avrei aiutata se non avesse mentito a tutti. Anche se non la sopporto…» sbuffa, cominciando a perdere il suo autocontrollo.
«Lo so che l’avresti aiutata. E lo sa anche lei» le sorrido. «Perché tu sei buona, Là».
«I-io non sono buona» farfuglia improvvisamente imbarazzata, arrossendo un pochino e cercando di fare di nuovo la dura. «Tu, piuttosto, mentre la tua ragazza ti sta baciando le dici che hai appena incontrato la tua ex? Quanto fai schifo?!» aggiunge, e mi fa tornare alla mente una frase simile che mi aveva detto quando avevamo passato la nostra prima notte insieme in un hotel di Ogami e io avevo sentito Bulma per telefono.
«Non posso farci niente, sono un disastro…» sospiro, fingendomi corrucciato.
«Almeno l’ha capito che tu sei mio, Rad? Che sei solo mio?» mi soffia addosso, prima di rimettere in bocca il lecca-lecca e staccarlo dalla stanghetta bianca con un morso. Lo mastica e non smette di guardarmi negl’occhi.
«Lo sa benissimo anche lei» le sorrido. «Sono il tuo Rad, allora? Mi piace».
«È ovvio, tu sei il mio Rad. Punto».
«E tu sei la mia Là. Sei la mia coniglietta. E sei la mia senpai».
«Così va meglio…» accenna un sorriso malizioso, prima di prendermi le mani strette ai suoi fianchi e intrecciare le sue dita nelle mie. «Basta parlare di quella là, adesso» sibila, trascinandomi verso camera sua per poi spingermi con forza sul letto.
Cado all’indietro con la schiena sul materasso per poi sollevare il busto facendo leva sui gomiti. La guardo rapito, contemplo il suo corpo e i suoi capelli biondi. Mi soffermo sul pompom del suo costume, ora che mi dà le spalle per prendere in mano il cellulare e digitare qualcosa, e su quel meraviglioso tesoro che custodisce in fondo alla sua schiena e che mi ha sempre fatto impazzire.
«Mi stai fissando il sedere, o sbaglio?!» sbotta Lazuli, ridestandomi dal mio stato di trance.
Annuisco, inebetito. Lei accenna un sorriso malizioso.
«Sei il solito maiale…» sospira. «Ma mi fa piacere» aggiunge in un sussurro, appoggiando poi il telefono sul comò, accanto al trofeo di miglior giocatore del campionato nazionale che ho voluto tenesse lei. Ci siamo detti che metteremo vicini i miei due trofei quando vivremo insieme, e sinceramente penso che tra non molto mi trasferirò direttamente a vivere qui a casa sua, visto che è quello che vuole anche lei. Io e Goku viviamo ancora qui davanti, mentre i miei genitori sono rimasti nella nostra vecchia casa. I medici dicono che deve essere graduale per mia mamma e mio fratello il ritorno alla realtà di tutti i giorni, senza cambiamenti drastici. Io e Goku poi ci siamo abituati a vivere per conto nostro, ma ora è anche più bello perché vediamo e sentiamo sempre i nostri genitori. Non so come andranno le cose, forse Chichi prossimamente si trasferirà a casa mia facendo cambio con me, per ora è troppo presto per parlarne. Ma sono certo che andrà tutto bene. E che il meglio deve ancora venire per tutti noi.
«Direi che ci vuole un’altra bella canzone per il mio campione» ammicca Lazuli, notando che il mio sguardo si è posato per un attimo sul trofeo, accanto al suo cellulare che si illumina, pronto, a quanto pare, a regalarci un po’ di punk-rock, dopo il metal con cui mi aveva accolto poco fa. Come potrei non amare la mia ragazza?!
Riconosco l’incipit di “My own worst enemy” dei Lit riecheggiare intorno a noi e mi lascio rapire dagli occhi di Lazuli incastonati nei miei.
Resto lucido solo qualche secondo. Poi mi perdo. Mi perdo guardandola.
Mi sento bene fino al momento in cui Lazuli comincia a ballare, in pratica.
Così, all’improvviso. Balla e mi strega. Mi fa andare via con la testa. Balla davanti a me, per me. Balla con un dannato costume da coniglietta addosso e io perdo il contatto con la realtà
Mi ritrovo in un’altra dimensione. Una dimensione parallela dove ci siamo solo io e lei. Dove non esiste il tempo e non esiste lo spazio, dove non esistono i problemi e nemmeno il dolore. Mi perdo lì dentro, e giuro che vorrei imprigionare quest’istante nell’eternità. Vorrei chiudermi con Là in una prigione d’ambra e buttare via la chiave, che tanto noi siamo tutto quello di cui abbiamo bisogno.
Lazuli balla da ferma, come illuminata da un faro a occhio di bue rosso fuoco su un palcoscenico buio. Balla senza spostarsi dal punto che ha scelto, ma solo dimenandosi in un modo che rapisce i miei sensi e me li restituisce amplificati a una potenza che non sarei in grado di definire. Si porta prima le mani dietro il collo, poi le fa scendere sui fianchi accarezzandosi e infine dietro la schiena.
Balla con le sue scarpe nere col tacco a spillo e con quel suo costume da coniglietta. Balla e mi fissa attraverso i suoi occhi di ghiaccio in cui vedo ardere delle fiamme. Balla senza muoversi. Balla come un’onda nel mare.
Credo che le ragazze sappiano essere sensuali quando ballano, come non è una novità per me trovare tremendamente sexy Lazuli grazie a certi suoi atteggiamenti o look. Oggi è diverso, però. Oggi sto reagendo in modo diverso e non so perché. Oggi mi sta facendo impazzire, non mi sta solo facendo venire una maledetta e allucinante voglia di lei.
La mia ragazza balla da ferma e mi fissa negli occhi, suscitando in me qualcosa di non governabile e non definibile. Mi svuota dell’aria che ho nei polmoni e della saliva che ho in bocca, mi fa aumentare i battiti fino a farmi male al petto e mi fa sembrare di essere sotto il sole cocente di un pomeriggio di luglio.
Sento che mi sto abbandonando totalmente a lei mentre la contemplo, e non vorrei nient’altro che questo.
In questo momento non mi sto solo godendo lo spettacolo che è Lazuli Eighteen, ma molto di più, decisamente di più. In questo momento lei è la nascita di Venere e il primo passo di Armstrong sulla luna. È qualcosa di pazzesco, sublime e nemmeno comprensibile. È qualcosa di unico, di irripetibile, di impensabile fino a poco prima che accadesse. È più bella di un gol all’ultimo minuto, più bella della Champions League. È tutto ciò che vorrei e che avrei sempre voluto, è il lieto fine di una storia e la più grande esplosione di stelle in cielo nella mia notte più buia.
È bella come il mondo, che gira intorno a lei ed è fatto di lei.
Non so per quanto balla, non sono in grado di rendermene conto. Sono via con la testa. Sono solo cuore adesso. Cuore, emozioni e sensazioni.
Me la ritrovo sopra, a cavalcioni, e non mi sento minimamente padrone di me stesso. Sento la sua lingua in bocca, le sue labbra sulle mie, il suo calore addosso. Le sue mani, il suo seno. Il suo sapore.
Siamo solo istinto e voglia, in questo momento.
So che anche per lei è così… lo so e basta. Forse non siamo uguali io e Là, ma siamo terribilmente complici. E magari siamo anche meglio che uguali, perché siamo complementari.
Facciamo l’amore avidamente, ferocemente. Lo facciamo e lo rifacciamo, e non esistiamo altro che noi nel nostro mondo in questo preciso istante. Noi, le nostre emozioni, i nostri istinti.
Facciamo l’amore in silenzio e lo facciamo ancora, famelici, perché non vorremmo altro che noi in questo momento. Siamo solo ansimi, battiti e gemiti. Siamo sentimenti e corpi che si fondono, anime che si mescolano ed emozioni che si amplificano fino a stordirci.
Fino a non averne più.
Facciamo l’amore finché non ne abbiamo più. Finché non appaghiamo la brama di piacere che ci era esplosa addosso come un meteorite che si schianta su un pianeta. Finché non riprendiamo coscienza di noi stessi.
Finché non vedo i miei occhi neri che si specchiano nei suoi di ghiaccio, sdraiati uno accanto all’altra e vestiti solo di pelle d’oca.
Lazuli ha i capelli arruffati e, in qualche modo, ancora le sue orecchie da coniglio addosso, anche se tutte storte. Respira profondamente. Stringe più forte la mia mano.
Anch’io cerco di recuperare un respiro più regolare, nonostante mi senta ancora infuocato e il mio corpo sia bollente e sudato, come del resto quello di lei.
Cerco di recuperare me stesso, ma davvero non ce la faccio. Guardo i suoi occhi e il suo corpo, la sua bocca e il suo seno. E lei fai lo stesso, perché mi cerca, perché non è ancora abbastanza nemmeno per lei.
Ci ritroviamo avvinghiati, di nuovo. Ci baciamo e ci rotoliamo ancora su un letto ormai totalmente sfatto. Lo facciamo di nuovo e ci mettiamo davvero tutte le nostre ultime energie.
Siamo fuoco e benzina. Siamo puro istinto.
Ci diamo a vicenda tutto quello che ancora ci resta dentro. Urliamo insieme, veniamo insieme, non smettiamo di baciarci finché non crolliamo uno accanto all’altra.
E stavolta recuperiamo il controllo di noi stessi, anche se non smettiamo di tenerci per mano e guardarci negl’occhi.
«Hai intenzione di distruggermi, oggi?» ansima a un certo punto Lazuli, accennando un sorriso soddisfatto. «Sai, vorrei arrivare tutta intera all’evento di stasera. Magari potendomi anche sorreggere sulle mie gambe, sai com’è…».
«Non è colpa mia se mi fai impazzire e se ti metti a ballare così, per di più vestita da coniglietta» provo a giustificarmi, sorridendo sghembo. «E, soprattutto, non è colpa mia se sono un toro da monta» aggiungo ammiccando, sollevando al contempo le sopracciglia ritmicamente.
«Tu sei un porco, è diverso. E io ti do anche retta!» sbotta la mia ragazza, afferrando un cuscino e premendomelo sulla faccia, facendomi ridere. «Però mi piace farti impazzire un po’… e mi fa piacere se gradisci…» sussurra maliziosa al mio orecchio dopo aver lanciato via il cuscino, regalandomi l’ennesimo brivido che mi accarezza la schiena.
«Ti amo, Là» le dico semplicemente.
«Ti amo anch’io, scemo che non sei altro» risponde, e più la guardo negl’occhi e più sembra mi scavino dentro.
«A cosa pensi, Rad?»
«Ai tuoi occhi».
«Ci vedi dentro qualcosa?»
«Ci vedo tante cose nei tuoi occhi, Là. Ci vedo il mare, ad esempio. E ci vedo tutto il mio mondo, che poi sei tu. E ruota intorno a te» le rispondo, accennando un sorriso e dandole un bacio a fior di labbra, come se fossi incapace di staccarmi da lei. «Ma se guardo con più attenzione, nei tuoi occhi riesco a vederci anche tutto l’universo» aggiungo. Lazuli sorride, sembra emozionata. Felice, soprattutto. «Tu vedi qualcosa nei miei occhi anche se non sono belli come i tuoi?»
«Ci vedo gli occhi di un maiale, se proprio ci tieni a saperlo» mi prende in giro, soffocando una risata.
«Non posso negare di esserlo, in effetti!» rido a mia volta.
«Però mi piacciono i tuoi occhi, in realtà. Neri come la mia anima, come dici tu, no?» mi fa l’occhiolino. «E comunque, se vuoi saperlo, nei tuoi occhi ci vedo un paio di cose: tutte le mie certezze, perché tu sei la mia certezza, e anche il cielo».
«Un cielo nero, però» le sorrido, sistemandole delicatamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «E sarò sempre la tua certezza, te lo giuro».
«Quello lo so bene, mi fido di te. E mi piace anche il cielo nero, alla fine il Jian vola anche di notte o se non c’è il sole, giusto? A lui basta condividere le ali con la sua anima gemella per volare ovunque e quando vuole» mi sorride.
«Già, io voglio volare solo insieme a te. Solo al tuo fianco. La mia ala e la tua ala. Insieme» sussurro dolcemente, ripensando alla storia del Jian che tanto amiamo fin da quando eravamo bambini. La storia dell’uccello che condivide le ali, già. «Sei tu che mi hai insegnato il cielo, che mi hai fatto vedere dove inizia e dove finisce».
«Io sono felice perché tu mi hai spinto a volare con te. Ti sono grata per questo» mi spiega Lazuli con un tono di una purezza disarmante. «Avevo perso ogni speranza, ogni entusiasmo. Tu mi hai salvata, anche se io ho fatto di tutto per non farmi salvare».
«Non è vero, eri adorabile già allora, Là».
«Cosa pensavi di me, all’inizio?»
«A parte che eri una gran figa?»
«Sono seria, Rad» mi compatisce, lapidaria.
«Anch’io. Mai stato così serio» ribatto roco, facendola leggermente arrossire.
«F-fa sempre piacere sentirselo dire, in effetti» sussurra, e penso che sono pazzo di questo suo saper essere allo stesso tempo un angelo e un demone, dolce e psicopatica, ingenua e tremendamente maliziosa.
«Se vuoi saperlo, la prima volta che mi hai rivolto la parola è stato il giorno più pazzesco della mia vita… cioè, Lazuli Eighteen mi aveva parlato, te ne rendi conto?!» sorrido. Sono sincero, quel giorno mi sembrava di volare nell’iperuranio da quanto mi sentivo su di giri. «Il più bello, invece, è stato quando mi hai baciato per la prima volta. Quando sono riuscito a riportarti indietro, quando ho costretto tutti a ricordarsi di te».
«Sei esagerato come sempre, stupido… e anche un adulatore» ride lei. «Ti trattavo un pochino male, forse, però non sapevo che eri un masochista e, soprattutto, un kohai così irrispettoso».
«Ah, ma tu eri già la mia regina e la mia dea a quel punto, non eri solo la coniglietta senpai più bella che avessi mai visto» le spiego. «E non mi trattavi male, in realtà. Ho capito subito che sul tuo cuore era come se ci fosse stato affisso un cartello con scritto “Per favore, non entrare”. Ma io me ne sono fregato e ho bussato lo stesso, alla porta del tuo cuore. Ho bussato e insistito».
«In effetti eri fastidioso e insistente…» sospira in tono divertito. «Ma sono felice che hai bussato. Che non hai mollato».
«Non potevo mollare quando per una volta avevo avuto una botta di culo nella mia vita» le sorrido. «Tu sei il mio quadrifoglio, te l’avevo già detto. Non so nemmeno io cosa ho fatto di buono per meritarmi di trovarti, Là».
«Guardo che lo stesso vale per me, scemo. Anche tu sei il mio quadrifoglio» sibila Lazuli, distogliendo per un istante lo sguardo dal mio, adorabilmente imbarazzata. «E tu sei una persona che dà tutta sé stessa agli altri se può aiutarli. Io ti ammiro. Tu sei la mia roccia. E forse… beh, forse sono io a non aver fatto chissà cosa per meritarmi di trovare il mio quadrifoglio, non certo tu».
«Sei tu la mia roccia, Là. Sei tu che mi hai salvato, fidati. Sei tu che hai dato un senso al mio mondo e l’hai riempito con tutto quello che sei, fino a farlo tuo. Il tuo mondo è l’unico posto in cui mi sento sempre al sicuro» la rassicuro, mentre le afferro delicatamente il mento tra indice e pollice e faccio in modo che mi guardi di nuovo negl’occhi. «Tu hai fatto del tuo meglio ogni giorno, più di chiunque altro. Io non sarei mai stato capace di avere la forza che hai avuto tu nella tua vita. Io da solo non sono stato abbastanza forte, tu invece sì» aggiungo, indicandole le mie cicatrici sul petto, il segno inequivocabile della forza che non sempre riesco a trovare dentro di me.
«Ma tu hai saputo rialzarti dopo essere caduto, Rad. Non è da tutti» mi sorride, accarezzandomi delicatamente il petto con la mano e facendomi battere il cuore più forte.
«Non si finisce mai di cadere e di rialzarsi in piedi…» sospiro.
«Io non penso proprio che sarei riuscita a rialzarmi senza di te quando sono caduta…» sospira a sua volta, e io le accarezzo la testa lentamente per dirle che va tutto bene.
«Sai cosa succede quando la neve si scioglie?» le chiedo, ripensando alla domanda che mi aveva fatto Videl.
«Che arriva la primavera, è ovvio» risponde Lazuli senza la minima esitazione, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «La primavera torna sempre, non ha mai fallito nemmeno una volta, neanche in quegli inverni in cui continua a nevicare» aggiunge, prima di restare qualche secondo in silenzio. «Sai, anche se so che tutti pensano che sono fredda come la neve, in realtà la primavera è la mia stagione preferita. E infatti noi ci siamo conosciuti in primavera».
«È già passato quasi un anno, ci sono giorni che ancora non mi sembra vero. Vedremo i ciliegi in fiore insieme per la prima volta tra un mesetto» le sussurro dolcemente, accarezzandole ancora i capelli. Già, quando vedremo i ciliegi in fiore lei si diplomerà e inizierà l’università, mentre io andrò al terzo anno. Sarà brutto non vederla più a scuola, ma staremo comunque sempre insieme dopo le lezioni, nell’attesa che anch’io potrò frequentare la sua università. Lei si stringe di più al mio petto. Mi sento bene. Felice. «Amo anch’io la primavera».
«Sento il tuo cuore, Rad. Mi piace».
«Batte per la mia principessa dagli occhi di ghiaccio, lo sai? Ed è tutto suo».
«Davvero? La conosco?» mi prende in giro, fingendosi ingenua.
«Direi di sì, le sta divinamente addosso un costume da coniglietta alla mia principessa. E stasera diventerà una regina grazie al film che ha girato, visto che avrà un successo clamoroso» sto al suo gioco. «Stasera la mia principessa dagli occhi di ghiaccio diventerà una regina».
«Sono sicura che si senta una regina da quando ha conosciuto un certo kohai pervertito e irrispettoso, non ha certo bisogno di un film o del giudizio di chi non sa nulla di lei per sentirsi così» mi sorride. «E comunque le piace di più essere una principessa. Una principessa guerriera, magari. Non troppo smielata, ecco. Un po’ “cazzuta”, come dici tu, alla Harley Quinn».
«Ti adoro, Là!» esclamo, stringendola a me e facendola ridere. «Quando sorridi, il mondo è più bello».
«Beh, questo è scontato» ghigna.
«Sai, io penso che finché saremo insieme andrà tutto per il meglio» le dico, di nuovo serio.
«Allora non andartene mai, per favore» risponde con un filo di voce, stringendosi forte a me e travolgendomi con tutta la tenerezza e la purezza che sa tirare fuori in certi momenti. Quando fa così non vorrei fare altro che proteggerla per sempre, da tutto e da tutti. Essere la sua casa, la sua fortezza, il suo castello. Una cassaforte senza serratura. Un’armatura indistruttibile.
«Non me ne andrò mai da nessuna parte, Là, te lo giuro. Se potessi esaudire un desiderio con le Sfere del Drago del tuo film, chiederei che la nostra storia fosse come uno di quei manga che iniziano e basta, senza avere mai fine. Perché io credo che tutte le cose belle hanno una fine, ma l’unica eccezione siamo io e te».
«Lo credo anch’io, Rad, e proprio per questo sarebbe un desiderio stupido. Stupido come te. Lo sprecheresti, sarebbe inutile» mi spiega, prima di scompigliarmi i capelli senza smettere di sorridere. «Noi staremo insieme per sempre e basta, non c’è bisogno di sprecare nessun desiderio» aggiunge, allungando il suo pugno destro chiuso verso di me.
«Hai ragione, come sempre» rispondo, battendo il mio pugno contro il suo e suggellando la nostra promessa.
«Alla fine è semplice, prova a chiudere gli occhi» mi dice, e io lo faccio, incuriosito da quella richiesta. «Con quante persone sei stato realmente te stesso? Con quante sei stato tutto? Pazzia, rabbia, incoerenza, dolcezza, fragilità, forza e debolezza… a quante persone le hai mostrate davvero? Con quante persone sei stato una persona felice? Davvero felice?»
«Con te, Là… solo con te» rispondo d’istinto. E dico la verità. «Da quando ti conosco ho capito che solo con te mi concedo il lusso di essere davvero me stesso, sempre».
«E lo stesso vale per me. Ho pensato esattamente la stessa cosa su di te» sorride Lazuli, e io la trovo di una dolcezza disarmante. «Per questo credo in noi e ci crederò sempre».
«Sarò la tua armatura, ti farò da scudo da tutto e da tutti».
«Lo fai già da quando ti conosco, scemo. E ti amo anche per questo» sospira, scuotendo leggermente la testa. «Guarda cosa mi hai fatto diventare, non avrei mai pensato di essere capace di dire cose simili fino a qualche mese fa!»
«E io non pensavo di poter provare qualcosa di così forte per qualcuno… è stato l’amore a fregarci!» rido.
«Già, ci ha fregato!» ride anche lei. «Però è stato bellissimo farsi fregare, non trovi?»
«Certo, è una figata farsi fregare così dall’amore. E, se tu sei felice, lo è ancora di più».
«Sono felice, Rad».
«Aspetta, ti voglio dedicare una canzone» le sorrido, mentre allungo il braccio in cerca dei miei jeans abbandonati sul pavimento ai piedi del letto. Recupero il cellulare dalla tasca e seleziono l’ultimo pezzo che avevo ascoltato prima di venire qui, appoggiandolo poi sul comodino e riprendendo a guardare negli occhi Lazuli.
«La adoro questa, e lo sai anche tu» mi sorride, non appena riconosce l’incipit di “With me” dei Sum 41. «L’avevamo cantata insieme anche alla vigilia di Natale!»
«I don’t want this moment to ever ends, where everything’s nothing without you» comincio a cantare con un filo di voce, senza smettere di fissare i suoi meravigliosi occhi di ghiaccio. E vorrei davvero che non finisse mai questo momento, dove tutto è niente senza di lei. «I’ll wait here forever just to, to see your smile cause it’s true. I am nothing without you» proseguo, e aspetterei davvero per sempre solo per vedere un suo sorriso. Perché è vero, e perché non sono niente senza di lei.
Là sorride, i suoi occhi di ghiaccio brillano. Il mio cuore batte un po’ più forte.
La musica va avanti, ci avvolge. La voce di Deryck Whibley sembra cullarci. Ci avvicina, ci fa stringere l’uno all’altra.
«All the streets where i walked alone, with nowhere to go, have come to an end» comincia a cantare la mia ragazza, e la sua voce mi arriva fino all’anima. Mi fa capire che tutte le strade in cui ha camminato da sola senza sapere dove andare, alla fine, l’hanno portata da me. Me lo canta sorridendo. Me lo canta col cuore in mano, sdraiati e nudi uno accanto all’altra. Occhi negli occhi. Credo di non essermi mai sentito così bene. Così un tutt’uno con lei.
«I want you to know, with everything i won’t let this go! These words are my heart and soul!» cominciamo a cantare in coro, alzando la voce, senza smettere di guardarci negli occhi. Ce lo diciamo a vicenda che non lasceremo mai andare tutto quello che abbiamo costruito insieme. Che queste parole sono il nostro cuore e la nostra anima. «I hold on to this moment, you know, cause i’d bleed my heart out to show that i won’t let go». È vero, ci teniamo a questo momento, ci teniamo un casino e lo sappiamo già. Ma è stupendo dirselo così, cantando insieme a squarciagola e guardandoci negli occhi. E io penso davvero che farei sanguinare il mio cuore pur di dimostrarle che non lascerei mai andare via tutto quello che siamo io e lei. Ho già visto il mio petto sanguinare, ma io so benissimo che quando sanguina il cuore è molto peggio. Fa male davvero. Ma io farei tutto per lei. Tutto.
Ci guardiamo negli occhi e cantiamo fino alla fine. Finché la canzone finisce e ci ritroviamo a baciarci di nuovo, come se non l’avessimo fatto da chissà quanto tempo.
Ci stacchiamo a fatica, ma restiamo abbracciati. Di nuovo eccitati, quello sì, ma sentiamo entrambi che abbiamo ancora qualcosa di importante da dirci in questo momento.
«Allora, per festeggiare quello che siamo e saremo per sempre, potremmo chiedere alle tue famose Sfere del Drago un bel viaggio, cosa dici? C’è qualche posto che ti piace e che vorresti visitare, Là?» rompo il silenzio, sorridendo dolcemente alla mia ragazza.
«Diciamo che il posto più bello del mondo lo conosco già» mi stringe la mano forte, mentre appoggia la testa sul mio petto e non smette di sorridere. «E tu? Tu lo conosci?»
«Certo che lo conosco il posto più bello del mondo» ribatto dolcemente, accarezzandole i capelli e spostandole quel tanto che basta il cerchietto con le orecchie da coniglietta. Il cuore mi batte forte sotto alle cicatrici che ormai so che non faranno più male. Batte forte, come quello di Lazuli su di me. Mi sento felice. Sereno, come mai prima d’ora. Perché mi rendo conto che la mia ragazza è felice, e io non potrei desiderare nient’altro di meglio. «Però dimmelo tu qual è, Là».
«Siamo noi. Il posto più bello del mondo siamo noi, Rad».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: cosa dite, pensate anche voi che Rad e Là siano il posto più bello del mondo? Io sì, ne sono convinto, come penso che ognuno di noi, relativamente alla propria vita, possa immedesimarsi in loro. Per me è così, almeno, ma credo che in generale la forza di questa lunga storia sia stata la possibilità di volta in volta di immedesimarsi nei vari personaggi che ci hanno tenuto compagnia e con i quali abbiamo riso, sofferto e amato.
È strano essere qui per i saluti finali, visto che non mi piacciono gli addii vi dico subito che questa storia si conclude qui perché penso che fosse arrivato il momento giusto per farlo a livello narrativo, ma a livello emotivo credo che non finirà mai. Sicuramente scriverò ancora su questi personaggi, avrei in mente qualche special inserito qua e là nella trama, un po’ come quello che avevo pubblicato alla vigilia di Natale. Penso che li metterò in una raccolta, quindi tenete sempre d’occhio la mia pagina se vi fa piacere. Come credo che scriverò anche qualche one shot a rating rosso su Rad e Là, visto che qui mi sono limitato perché non sono voluto andare oltre l’arancio. Però non so dirvi quando avverrà tutto questo, per ora mi sto dedicando al nuovo progetto che comincerà già mercoledì prossimo, cioè la mia rivisitazione personale del classico Disney “Aladdin”, di cui avevo già postato tempo fa una preview sotto forma di drabble dal titolo “Le sette (sfere) e una notte”, che sarà poi anche il titolo di questa nuova long. Bene o male i personaggi principali saranno gli stessi che ci hanno tenuto compagnia qui, solo che magari verranno un po’ distribuiti diversamente i ruoli principali. Io spero di ritrovarvi tutti quanti anche mercoledì prossimo, mi farebbe anche sentire un po’ meno la malinconia per la fine di “Remember me” che, vi assicuro, è tanta, anche se non potrà mai essere superiore alla gioia e alla soddisfazione che mi ha dato scrivere e pubblicare una storia come questa e leggere di settimana in settimana il vostro entusiasmo, sentire il vostro sostegno. Siete stati strepitosi e mi avete dato tanto, è stato un viaggio stupendo e vorrei elencarvi tutti come faccio di solito al termine di una mia long, solo che stavolta è oggettivamente impossibile perché per mia fortuna siete stati tantissimi e non voglio rischiare di dimenticare nessuno. Ma vi ringrazierò uno ad uno anche nelle recensioni che vorrete lasciarmi a questo capitolo finale, ovviamente, come ci terrei a ringraziare tutti voi che avete letto in silenzio fin qui. Se vorrete darmi il vostro parere globale su quest’opera io ne sarò onorato, ovviamente. Grazie anche a chi ha messo la storia nelle liste, a chi è stato così gentile da farmi i meravigliosi disegni che ho potuto pubblicare di volta in volta che hanno reso ancora più speciale questa long e mi hanno riempito il cuore. Grazie a chi ha realizzato le splendide fan art di questo capitolo, come il bellissimo disegno in bianco e nero di Radish e Lazuli realizzato da AcquaSaponePaperella, una versione alternativa di Là coniglietta e di Là in divisa scolastica e poi Rad e Là insieme a scuola. Un applauso anche a Yohann Le Scoul, con Là che telefona a Rad per dirle che ha trovato Videl in giro per Fujisawa e l’ha catturata, prima di appenderla tutta legata. Lazuli dice che Videl è il vostro premio visto che siete arrivati fin qui, adesso che non può più scappare saprà soddisfare ogni vostra curiosità senza essere evasiva. Rad e io, invece, ci teniamo a ringraziarvi almeno duemila volte per la passione che ci avete trasmesso seguendo “Remember me”.   ;-)
 
Niente, spero che vi sia piaciuta la resa dei conti finale tra Là e Videl, con gli ultimi dubbi che dovrebbero essere stati ormai dissipati. E mi auguro abbiate apprezzato la lunga parte dedicata ai nostri bellissimi Rad e Là, una coppia di cui vado tremendamente fiero. C’è stato spazio per qualche momento hot, per tanta dolcezza e per qualche risata: io li adoro, se sono piaciuti anche a voi e li ricorderete così, sappiate che mi avete reso un autore felice.
Ci tenevo a fare tre cose in quest’ultimo capitolo: la frase finale la doveva dire Lazuli, e la parola conclusiva di tutta la long non poteva che essere “Rad”. E poi volevo che l’ultima parola che pronunciasse Rad fosse proprio “Là”.
La storia si conclude l’1 marzo perché mi piace come data, in più vi ricordo che marzo è il mese conclusivo dell’anno scolastico giapponese, mentre con l’inizio di aprile si parte subito con quello nuovo. Rad a un certo punto cita la parola “iperuranio”, che sarebbe il mondo delle idee che secondo Platone si trova al di là del cielo. Per il resto ci sono diversi riferimenti ai capitoli precedenti sparsi qua e là, come i Sum 41 usati anche nello special natalizio ad esempio.
 
Bene, se non me l’avete detto settimana scorsa, vi invito ancora a elencarmi i vostri personaggi preferiti di questa storia se volete farlo stavolta. Come prevedibile Rad ha sbancato il jackpot tra le preferenze, ma insieme a lui sono stato felice di constatare che i personaggi più amati sono state Là e Bulma. In quarta posizione (o terza, se escludiamo il protagonista) troviamo Lunch, e devo dire che mi ha fatto piacere vedere che avete apprezzato il development che ha avuto come personaggio, e poi Vegeta, che ha sempre grande successo e al quale dobbiamo fare i complimenti più sinceri, visto che è praticamente l’unico dei personaggi principali a non essere finito nella morsa della Sindrome della Pubertà. Ma è stato bello vedere che tutti hanno ricevuto voti, io stesso mi sono affezionato a tutti i personaggi: Videl, la cui presenza è stata massiccia anche quando non c’era e ha dato molti consigli, Chichi, che ho adorato nelle sue interazioni con Rad e nell’immaginarla sorella di Là, Goku, straordinario e dolcissimo nella sua duplicità e fragilità, persino la stessa Sindrome della Pubertà, dato che alla fine è stato il motore di tutto e ha permesso a tutti di migliorarsi. Non l’ha citata nessuno, ma a me è piaciuta molto anche Mai nel suo ruolo di supporto, l’ho trovata adorabile. E sono stato felice anche del ruolo e lo sviluppo che hanno avuto Husky e Marion, oltre a Napa e Cabba.
Mi è stato suggerito giustamente di chiedervi quale sia stato il vostro personaggio più odiato, anche tra quelli comparsi di sfuggita. Prevedo un dominio delle mamme di Là e Chì, magari del Dr Gelo o di Yamcha e Marion quando si comportavano male.
Ok, ho scritto note lunghe e sconclusionate anche oggi, ma sono abbastanza emozionato e non vorrei mai mettere la parola fine a questo capitolo per pubblicarlo. Non mi resta che ringraziarvi ancora e darvi appuntamento a mercoledì prossimo con “Le sette (sfere) e una notte”, sperando di ritrovarvi tutti anche lì, mi farebbe piacere!
A presto, un saluto da Rad e Là!
 
Teo

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