Una questione reale

di _Amaryllis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. L'aspirante praticante ***
Capitolo 3: *** 2. Di mosse asinine e sbadata idiozia ***
Capitolo 4: *** 3. Oltre le coltri della magia ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


Merlin diede inizio alla sua mattinata con una sensazione strana, di febbrile eccitazione, totalmente fuori dalla normalità, visto la monotonia che connotava la sua vita nel gennaio del 2020. Prima di uscire di casa si guardò allo specchio: aspetto stanco, occhi cerchiati di sonno, t-shirt anonima e jeans ancora più anonimi, sembrava un normale adolescente del terzo millennio con quelle cuffiette che gli spuntavano sotto la felpa. Anzi, forse sarebbe sembrato un adolescente vecchio stile, visto che si rifiutava categoricamente di cadere in quella malsana versione di cuffie senza filo che avrebbe perso due minuti dopo esserne entrato in possesso. Dopo essersi voltato, si girò di scatto un’ultima volta verso lo specchio, come mosso da un’improvvisa illuminazione: doveva fare qualcosa per il suo aspetto, farsi crescere la barba, invecchiare un po’. Avrebbe dovuto mostrare più o meno venticinque anni, per Diana, non certo diciassette!
Sulla scia di quei pensieri sul mantenimento di una vita normale secondo i canoni prettamente umani, chiuse dietro di sé la porta del piccolo buco che chiamava appartamento e si diresse verso la metro, pronto per dare inizio a una delle sue solite giornate, senza scopo come da un migliaio di anni a quella parte.
Nel suo cammino, schivò un ragazzino su uno skateboard e, poco più avanti, bloccò sul nascere lo scontro tra una portatrice di caffeina in bicchiere con un viaggiatore su monopattino: i suoi sensi, sempre all’erta, servivano ormai per lo più per i piccoli incidenti di vita quotidiana.
A pochi metri dalle scale che lo avrebbero portato al reticolo sotterraneo di mezzi in acciaio, afferrò di malavoglia un giornale gratuito che un ragazzo gli porgeva e lo mise alla rinfusa nella borsa a tracolla malmessa, senza neanche dare un’occhiata alla prima pagina. Varcato il passaggio, seguì la schiera di lavoratori e studenti diretti nella sua direzione, confondendosi nella mischia senza troppe pretese. Si isolò completamente grazie alla musica del suo walkman, retaggio degli anni ‘90 che portava in giro con orgoglio, e non sentì nulla della conversazione delle sue vicine di posto, tutte preoccupate dell’ultima news riguardante i reali d’Inghilterra.

Fu solo a lavoro, solo soletto in una libreria deserta e poco frequentata, che si ricordò del giornale che aveva nella borsa. Non avendo molto da fare e avendo sistemato gli ultimi arrivi già da qualche oretta, si permise di essere una normale persona con normali interessi e recuperò il giornale, dalla cui prima pagina tuonava con fare minaccioso “Megxit: a rischio la corona?”. Sbuffò, quasi tentato di rimettere in borsa il quotidiano, se non proprio buttarlo, ma si fermò col braccio a mezz’aria, attirato dal nome sull’editoriale in prima pagina: Arthur Pendragon. Ed ecco che gli partì una risata isterica, totalmente fuori luogo, che gli meritò un’occhiataccia perplessa dell’unico signore di mezza età presente in biblioteca – che, a dirla tutta, gli ricordava un po’ Gaius. Non poteva trattarsi di luiLui che non si era degnato di tornare con conflitti mondiali, epidemie, osava tornare perché un principe aveva deciso di trasferirsi oltremanica? Questo era il colmo! Un Pendragon a commentare le vicende di un Windsor.
Ricompostosi dallo sgomento, sistemò di nuovo il giornale e, con un’attenzione che mai avrebbe riservato a un articolo su simili fatti, iniziò a leggere per capire se si trattasse di un’assurda coincidenza o altro da identificare.
 
Una questione reale
di Arthur Pendragon
Checché ne dicano i più, una notizia del genere era nell’aria già da tempo. I duchi di Sussex smettono di essere membri senior della Corona. Scelta logica, ritengo io, dopo la débâcle del giornalismo inglese degli ultimi due anni: un tiro a bersaglio senza sosta, con i due duchi nel mirino.
Attenzione: chi vi scrive è un fervente repubblicano, convinto che la monarchia sia ormai un’istituzione obsoleta, fuori dal tempo, buco nero dei soldi dei contribuenti…
 
E lì Merlin fu costretto a reprimere un attacco di risate come non ne aveva da quando… Non ne aveva idea, da quando. Possibile che A) l’asino fosse tornato; B) l’asino fosse tornato per la Megxit; C) l’asino riteneva che la monarchia – la monarchia! - fosse un’istituzione obsoleta? O quello era uno scherzo del destino e semplicemente si trattava di un caso – assurdo peraltro – di omonimia oppure la morte aveva cambiato totalmente l’assetto cerebrale del re di Camelot. Scettico se continuare la lettura o no - di uno scetticismo totalmente di facciata, perché moriva dalla voglia di sapere di più sul ritorno del suo principe – Merlin si chiese se allora fosse davvero giunto il momento, se fosse la Corona ad aver richiesto la presenza del Re del Passato e del Futuro e che cosa questo comportasse. E davanti a tutti quegli interrogativi, le cui risposte gli erano oscure, solo a una domanda seppe rispondere, e cioè se fosse o meno pronto a quel nuovo capitolo della storia di Camelot: aveva atteso migliaia di anni e più, non sapendo quanto dovesse aspettare, ma era certo di essere pronto per il suo re. Se davvero fosse tornato.











 
Angolo dell’autrice

Salve!
Dopo un paio di anni ci riprovo. Tempo fa ho scritto sono una brevissima fic in questa sezione e mi è sempre rimasta la voglia di scrivere una long ma, vuoi per pigrizia, vuoi per mancanza di ispirazione duratura, non riuscivo mai a portare a termine qualcosa di meritevole di pubblicazione. Non che questo prologo sia meritevole di pubblicazione – sta a voi questa decisione ;)
Detto questo, se siete arrivati fin qui vi ringrazio per il tempo che mi avete concesso, ci risentiremo presto!
[Edit 19.41: ho corretto The Once and Future King in Il Re del Passato e del Futuro, scusatemi, è che di solito penso alle cose relative a Merlin in inglese e avevo lasciato in inglese anche questa espressione]
Amaryllis

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Capitolo 2
*** 1. L'aspirante praticante ***


1. L'aspirante praticante



La lettura dell’editoriale aveva permesso a Merlin di stabilire che quell’Arthur Pendragon, chiunque fosse, avesse un’onestà intellettuale da spavento. Analizzava con obiettività fatti apparentemente superficiali unitamente a eventi istituzionalmente rilevanti e dava un quadro pressoché completo della situazione reale britannica. Che fosse o meno il suo Re, di certo era una di quelle persone oneste, genuine, con una sensibilità fuori dal comune in un mondo dove era facile cadere nel tranello del crudele giudizio all’apparenza democratico su qualsivoglia contenuto.
Stabiliti questi fatti in base alla lettura, Merlin si chiese quale fosse il prossimo passo. Doveva certamente incontrare questo Arthur, ma come? Guardò distrattamente la prima copertina del giornale: The Albion Chronicle. Sorrise, pensando che non ci fosse fine alle coincidenze del destino, ed ebbe un’idea, che per essere attuata richiedeva quantomeno chiudere per un giorno la libreria. Riflettendo velocemente, prese dei fogli bianchi e iniziò a trasformarli in documenti di tutto rispetto, dopodiché li inserì in una cartellina vuota su cui scrisse, in corsivo, Merlin Ambrose. Controllò, poi, le ultime pagine del settimanale: a parte un indirizzo della sede della redazione, niente che facesse al caso suo. Con un veloce bagliore dorato di occhi, fece apparire sulla pagina quanto gli serviva e sorrise, sentendo un’eccitazione sotto pelle che, per la seconda volta quel giorno, lo stupiva per la sua presenza.
Non sapeva se l’idea che gli era balzata alla mente fosse malsana o perfetta, però era certamente un inizio. E, ultimo problema, si chiese se, ammettendo che si trattasse del suo Arthur, il Re l’avrebbe riconosciuto, se avesse memoria della sua vita precedente… Troppi interrogativi, forse inutili per ora, ma di vitale importanza, se l’identità di Arthur Pendragon fosse stata confermata.


Ora che si trovava all’ingresso della redazione dell’Albion Chronicle, ebbe la conferma che l’idea che aveva avuto fosse pessima. Stava titubando sull’uscio da cinque minuti, guardando le sue converse consunte di colore blu, e il ragazzo alla reception l’aveva fissato con sospetto già un paio di volte. Alla quarta persona che varcò l’ingresso davanti a lui, Merlin si decise che, fatto trenta, poteva benissimo fare trentuno: avrebbe provato ad andare fino in fondo con quel piano e, nel caso di disfatta, si sarebbe arreso con onore. Mosso da pensieri quasi cavallereschi, si diresse verso il receptionist e, con una smorfia che doveva sembrare un sorriso, parlò con voce stranamente acuta.
«Buongiorno, sono qui per l’annuncio di praticante temporaneo».
«Praticante temporaneo?» chiese il ragazzo alla reception con confusione. Merlin tirò fuori, con finta nonchalance, il giornale che aveva dato inizio a tutto, opportunamente modificato, così come tutte le copie di quel giornale in città, e lo porse al receptionist, che sembrò rilassarsi.
«Ah, l’annuncio. Certo, mi segua».
E Merlin lo seguì in un open space con una quindicina di persone a lavoro. Non aveva la minima idea di come fosse una redazione di giornale e sentì crescere dentro di lui l’ansia all’impazzata: il suo piano richiedeva un grado di preparazione che non era sicuro di avere e si sentì come al suo primo giorno a Camelot, spaurito, in un ambiente lontanissimo da lui, senza avere le conoscenze minime per sopravvivere a un lavoro che non aveva chiesto. Solo che questa volta ci si era buttato a capofitto per provare a sé stesso il ritorno dell’asino. L’idea si stava rivelando veramente pessima.
Il ragazzo che lo aveva accolto si fermò bruscamente e Merlin quasi gli finì addosso. Nella colluttazione, la cartellina che teneva in mano cadde e tutti i fogli contenuti svolazzarono sul pavimento. Mentre raccoglieva i documenti, vide sott’occhio qualcuno arrivare, alzò allora lo sguardo con eccitazione ed ebbe una piccola delusione nel notare che non si trattava ancora di Arthur: pregò tutte le divinità che conosceva affinché il ragazzo al suo fianco non lo chiamasse Arthur e sospirò con sollievo quando sentì pronunciare il nome Thomas.
«Thomas, c’è qui una persona per l’annuncio per il posto di praticante».
«Un annuncio per il posto di praticante?» chiese quel Thomas con la stessa confusione che pochi istanti prima aveva il receptionist.
«Sì, l’annuncio sul numero di ieri mattina» rispose il ragazzo, porgendogli la copia del giornale di Merlin.
«Ah, l’annuncio» commentò con improvvisa sicurezza Thomas. «Ok, seguimi» aggiunse poi rivolgendosi a Merlin.
Il mago lo seguì con la paura che il suo piano stesse per crollare da un momento all’altro e si chiese se non avesse fatto un passo più lungo della gamba, modificando tutti i numeri del settimanale stampati. Anzi, con paura ancora più grande, si chiese se fosse effettivamente riuscito a farlo.
Troppo tardi per tornare indietro, si fermò con Thomas davanti a un’altra postazione, occupata da un signore che, per Diana, riconobbe a prima vista. Non poteva essere lui: sembrava così diverso, eppure tutti i pensieri di Merlin lo portavano a formulare un’unica, (non così) azzardata ipotesi sull’identità dell’uomo.
«Gaius,» iniziò a dire Thomas, totalmente inconsapevole di ciò che stava facendo a Merlin con quell’unica parola. «C’è qui un ragazzo per l’annuncio per la posizione di praticante».
All’improvviso fu come tornare indietro nel tempo, nei locali del castello di Camelot destinati al cerusico. Quel Gaius, in onore dei vecchi tempi, lo guardò accigliando in maniera spaventosa il sopracciglio e ripeté in maniera laconica «È qui per l’annuncio».
«Sì» intervenne a quel punto Merlin, senza mai distogliere lo sguardo da quegli occhi così familiari, «per l’annuncio presente sul numero uscito ieri» aggiunse, guadagnando tempo. Gaius stette in silenzio per un attimo e Merlin ebbe per un istante l’impressione che tutta la copertura stesse per saltare improvvisamente e che si sarebbe potuto scavare subito una fossa per nascondersi, magari con la magia, cos’aveva più da perdere? - invece l’uomo lo sorprese.
«Certo, mi chiedevo perché fino ad ora non si fosse ancora presentato nessuno» commentò Gaius, e Merlin si chiese se fosse una conseguenza del suo incantesimo o, cosa più probabile, quel Gaius avesse deciso, per motivi che gli erano ancora ignoti, di avallare la sua pantomima.
«Bene, allora vi lascio» disse Thomas, lasciando Merlin al cospetto del suo vecchio mentore. Il gioco di sguardi non si interruppe e Merlin, sotto pressione, passò ai convenevoli che ci si sarebbe aspettati in una situazione del genere.
«Comunque piacere, mi chiamo Merlin Ambrose».
«Ambrose», ripeté Gaius, quasi si stesse prendendo gioco del cognome scelto da Merlin per quella vita. «Il mio nome è Gaius Jones» disse porgendogli la mano.
Fu una stretta di mano veloce ma strana. Merlin aveva tanta voglia di chiedergli se si ricordasse di lui, se si ricordasse chi era, e di come era possibile che anche lui fosse tornato.
«Se vuoi seguirmi» disse Gaius, interrompendo quella massa confusa di domande che gli giravano per la testa, «andiamo un attimo nell’ufficio del personale per sbrigare normali pratiche di assunzione». La parola assunzione era stata intenzionalmente calcata con un tono divertito e Merlin ebbe la conferma che quantomeno Gaius non era cascato alla storia dell’annuncio come i due precedenti ragazzi.
Merlin percorse a testa bassa la strada che li separava dall’ufficio citato, con la paura inspiegabile di vedere Arthur proprio in quel momento. A questo punto voleva procedere per gradi, aspettare che Gaius facesse il primo passo e vedere come doveva comportarsi. Tutta la cautela che fino a quel momento non aveva avuto nell’ideare il piano si palesò adesso al cospetto del suo vecchio mentore.
«Allora, Merlin, finalmente» disse Gaius, annunciando tacitamente di ricordare tutto.
«Ti ricordi… ti ricordi tutto? Com’è possibile? Chi è tornato oltre a te? L’Arthur della redazione è il mio Arthur?».
«Calma, calma, ragazzo» lo interruppe Gaius sorridendo, «una domanda alla volta. La tua frenesia non è cambiata, vedo».
Merlin ricambiò il sorriso e, commosso, non riuscì a trattenersi dall’abbracciare il cerusico.
«Non hai idea di quanto tu mi sia mancato, Gaius» gli sussurrò nell’abbraccio. «Negli anni ho rimpianto non averti salutato un ultima volta dopo la morte di Arthur, mi dispiace non essere tornato».
«Sapevo nel momento del nostro ultimo incontro che niente ti avrebbe fatto tornare indietro».
E, proprio durante quel momento di tenerezza, un colpetto di tosse, di quelli solitamente fatti di proposito per richiamare l’attenzione, arrivò forte e chiaro, segno che qualcun altro era entrato nella stanza.
Complice il ritrovamento di Gaius, non fu con ansia che Merlin si girò ma con uno stato di benessere che non sentiva da tempo. E quando lo vide, nonostante tutti i cambiamenti che lo stile del terzo millennio richiedeva, seppe che era lui, il suo Arthur Pendragon.
Capelli color grano più corti ma ordinati, barba leggermente più scura che gli conferiva un aspetto al tempo stesso distinto e sbarazzino, occhi blu penetranti e inquisitori, si ergeva con una fierezza fuori dal tempo il suo Re. Incuriosito da quel momento che aveva interrotto, se ne stava impettito sull’uscio, in attesa che qualcuno gli spiegasse cosa stava succedendo.
«Arthur» iniziò a parlare con tono cauto e condiscendente Gaius, «ti presento Merlin Ambrose, l’unico aspirante praticante che si è presentato al mio annuncio». Con quelle parole, che gli provocarono un piccolo tuffo al cuore, Merlin capì che quell’Arthur non aveva idea di chi fosse e non ricordava niente della sua vita precedente. Non perdendosi d’animo, fece del suo meglio per fare un sorriso e allungò la mano in segno di educazione.
Ma la mano restò per aria e Arthur, inarcando le sopracciglia, incrociò le braccia in segno di sospetto.
«Non avevo idea che stessi cercando un praticante e in ogni caso un abbraccio mi sembra del tutto fuori luogo come modo di presentarsi e… un momento, Merlin?» chiese tutto a un tratto sorpreso, il che fece rivivere per un attimo la speranza in Merlin che l’asino, tutto sommato, si ricordasse di lui. «È uno scherzo?».
«No, Arthur, il suo nome è veramente Merlin, sua madre era semplicemente un'appassionata di leggende arturiane» rispose subito Gaius, coprendo il silenzio di Merlin. «E, casualità del destino, è il figlio di due miei vecchi amici, per questo l’ho abbracciato. Non lo vedevo da molto tempo».
«Mhm» fece Arthur, quasi non fosse convinto da quanto sentito. «Bene, io sono Arthur Pendragon, direttore dell’Albion Chronicle. Non sarai trattato con favoritismi, nonostante le tue conoscenze, questa è una redazione seria e rispettabile, dunque se non sarai in grado di svolgere il tuo lavoro varcherai la porta e a mai più rivederci, sono stato chiaro?». Quella presentazione fece capire a Merlin che non sarebbe stato affatto facile riavvicinarsi all’Asino Reale e che il caratteraccio gli era rimasto, in tutto il suo splendore.
«Chiarissimo, grazie per la calorosa accoglienza, amico» replicò Merlin in tono ironico, meritandosi uno sguardo irato del tipo non-hai-idea-di-con-chi-tu-stia-parlando.
«Primo, fossi in te, salverei l’ironia per altri momenti, e secondo, ci conosciamo, forse?». Merlin ebbe una sensazione terribile di déjà-vu e, rassegnandosi a un destino che si faceva beffe del suo passato, fece segno di no con la testa.
«Eppure mi hai chiamato “amico”» replicò Arthur. Merlin si morse il labbro, era troppo doloroso replicare alla stessa maniera di un tempo. Gli sembrava incredibile trovarsi davanti ad Arthur e non poter riabbracciarlo dopo tutto quello che avevano passato insieme: gli sembrava un insulto alla memoria ripartire letteralmente da capo, da quell’antipatia reciproca da cui tutto aveva avuto inizio.
«Chiedo scusa, errore mio» sussurrò, sconfitto.
«Esatto, errore tuo» replicò Arthur, totalmente inconsapevole del conflitto interiore che stava avendo il ragazzo di fronte a lui. Poi, rivolgendosi a Gaius, parlò nuovamente. «Allora, qual è il compito di Merlin?».
«Avevo pensato fosse ovvio, capo» rispose Gaius, marcando la parola capo esattamente come faceva con sire, «sarà affiancato a te».
Boom. La faccia che fece Arthur fu talmente comica che Merlin si sentì sollevato: l’asino rimaneva tale, con o senza memoria, e, seppur il destino in forma di Gaius avesse pensato per Merlin di porli di nuovo fianco a fianco in un rapporto di subalternità, era incredibilmente divertente godersi la reazione di Arthur.
«Ma… Gaius...» provò a replicare Arthur con maniera infantile. Poi, ricordandosi del suo ruolo, provò a ridarsi un contegno. «Non ho bisogno né tempo per un praticante. Per di più non vorrei mai avere lui come praticante».
«Non preoccuparti, neanche io vorrei avere te come capo, il sentimento è totalmente reciproco» disse Merlin meritandosi un’occhiataccia da Gaius e uno sguardo furioso da Arthur.
«Vedi, Gaius, è totalmente irrispettoso e...».
«Ora basta. A te» disse indicando Arthur, «serve un assistente, quanto a te» disse poi indicando Merlin, «comportati come più conviene e mettiti a lavoro, Arthur ti dirà cosa fare». Detto questo, li lasciò da soli a guardarsi in cagnesco. Per quanto Merlin mal sopportasse la situazione che si era venuta a creare, era stranamente confortante ricadere nel vecchio rapporto che aveva con Arthur. Senz’altro sapeva per certo che, dietro quella facciata di asino, si nascondeva un cuore sensibile, richiedeva solo un po’ di tempo e fiducia.
«Sono totalmente al tuo servizio» disse Merlin in segno di pace. A quelle parole, un sorrisetto irriverente spuntò sulla faccia del Pendragon, facendo temere a Merlin di aver commesso un terribile errore.
«Oh, fa’ attenzione alle parole che scegli, Merlin, potrei farti camminare sulle ginocchia per tutta la redazione».
E in quel momento, pur straziato dal non essere riconosciuto da Arthur e dalla familiarità di quelle battute, ricambiò il sorriso irriverente e replicò con il sarcasmo che non aveva dimenticato.
«Fossi in te non lo farei».
«Peccato che tu non sia me, allora» rispose Arthur in maniera nuova rispetto al loro vecchio copione. «Non mi costringere a farlo» aggiunse prima di uscire dalla stanza con un Seguimi! forte e chiaro.

 

Percorsero a ritroso il cammino che avevano fatto lui e Gaius poco prima, fino a fermarsi a una scrivania piena di fogli e libri.
«Non hai un ufficio tuo?» chiese Merlin con una sorpresa che non riusciva a contenere.
«Al contrario dell’idea che ti sei fatto di me, non amo riservarmi agi solo perché sono il direttore del giornale. Preferisco stare nell’open space come tutti gli altri» borbottò Arthur. Quell’atteggiamento risultò particolarmente gradito a Merlin: sapeva per esperienza che dietro la facciata d’Asino Reale si nascondeva un animo buono e, nei limiti, umile, e quella ne era la conferma. «Che c’è? Sembri sorpreso» commentò il direttore.
«Non avrei mai detto che fossi capace di un simile gesto, te ne devo dare atto» disse Merlin con sincerità.
«Beh, non ti dirò “grazie” perché mi stai implicitamente dicendo che fino a due secondi fa mi avresti dato del troglodita» controbatté Arthur. «Allora, in realtà non ho ben capito il tuo scopo qui, a quanto pare il tuo fare da praticante, almeno all’inizio, consisterà nel farmi da assistente» e detto questo lo squadrò da capo a piedi. «Quanti anni hai, di grazia?».
«Venticinque, quasi ventisei» rispose prontamente Merlin.
«Sembri un adolescente, da domani cerca di vestirti da adulto» commentò con fare schizzinoso Arthur. «Ora, il primo compito della giornata è affiancarmi alla prima riunione delle 11: sai già in cosa consiste, giusto?».
A quella domanda, Merlin rimase a bocca aperta come un pesce lesso. Non aveva minimamente pensato alle conoscenze richieste a un aspirante giornalista e lui, di giornalismo, sapeva poco e niente. Dopo qualche secondo di assoluto silenzio, Arthur sospirò e iniziò a parlare.
«Facciamo l’assurda ipotesi che tu non sappia nulla» e qui squadrò Merlin ancora una volta, «alle 11 c’è una prima riunione in cui io, il direttore, il caporedattore e i capi di tutti i servizi analizziamo il giornale fresco di stampa e lo confrontiamo con la concorrenza. Analizziamo la copertura che abbiamo dato di una notizia. Poi si passa alla fase di strutturazione del prossimo numero, individuando più temi e realizzando il timone, uno schema delle varie pagine che andranno a comporre il settimanale, tutto chiaro fin qui?».
E Merlin disse sì e continuò ad ascoltare il suo Re, chiedendosi se il suo regno adesso fosse il giornalismo. Parlava con sicurezza e passione della vita della redazione e aveva una pazienza che a Merlin ricordò quella che un tempo Arthur aveva con i suoi cavalieri. Avrebbe ripetuto centinaia di volte un movimento che a lui veniva fluidamente spontaneo ma che i suoi cavalieri trovavano meccanicamente difficile.
Era incredibile riscoprire Arthur ancora una volta, in un contesto così diverso. E ancora più incredibile era guardarlo lì, a pochi passi, e non potergli dire quanto gli fosse mancato. Certo, anche se Arthur avesse ricordato, gli avrebbe detto che quei pensieri erano cose da donne, non da uomini cavallereschi (e Merlin gli avrebbe risposto che, no, i sentimenti sono cosa da essere umani, fine). Eppure avrebbe preferito essere ripreso piuttosto che non riconosciuto affatto.
«Quindi ora è il momento della riunione e si terrà nella sala principale» continuò Arthur, inconsapevole della piega che avevano preso i pensieri di Merlin. «Se ti sei perso qualcosa, non è affar mio, chiedi agli altri, credo di aver fatto pure troppo. Ora seguimi».

 

La riunione fu alquanto interessante. Le notizie principali da coprire erano la Brexit e la Megxit: per la prima, l’attenzione era più febbrile, si studiavano le mosse del governo anche quando non c’erano notizie ufficiali, per questo l’accortezza che i giornalisti dovevano avere era massima. Per quanto riguardava la situazione dei duchi del Sussex, Merlin capì che la copertura della notizia stava per essere ridimensionata: Arthur aveva esplicitamente detto che il loro non era un giornaletto come il Daily Mail che dissertava sul nulla spacciandolo per notizia, dunque ci sarebbero stati degli articoli, certo, ma oculati. Quanto a lui, stavolta l’articolo di fondo avrebbe riguardato la situazione di stallo negli accordi per la Brexit.
La riunione finì prima che Merlin potesse memorizzare la metà dei nomi delle persone presenti. Ognuno si diresse alle proprie postazioni e Merlin seguì Arthur fino alla sua. Notò, con una non così piccola sensazione di piacere, che era stata liberata una scrivania vicino ad Arthur per lui: sarebbe finito a fargli da segretario, questo era ovvio, ma per il momento ogni minuto speso con Arthur valeva oro.
Il resto della mattinata corse veloce. Senza farsi notare da Arthur, cercò sul motore di ricerca notizie sul suo conto ma scoprì ben poco: tutte le notizie che si trovavano riguardavano la vita professionale, i successi che aveva avuto nel mondo del giornalismo e i primi, timidissimi passi nel mondo politico in seguito all’annuncio del referendum sull’appartenenza del Regno Unito all’Unione Europea. Merlin scoprì, infatti, che Arthur si era schierato apertamente con il remain e che, pur rimanendo il direttore di una testata giornalistica, aveva fatto dei suoi editoriali un punto di riferimento per quanti erano d’accordo con le sue idee politiche. La cosa non stupì Merlin: c’era sempre stato in Arthur un carisma particolare, quel tipo di carisma che lo aveva reso un grande Re e in cui Merlin aveva sempre riposto grande fiducia.
Riguardo alla vita privata, Merlin non trovò nulla. L’unica notizia che più fonti riportavano era che Arthur fosse nato a Glastonbury, nel Somerset, trent’anni prima. Glastonbury, ovvero quella che molti ritenevano (e che Merlin sapeva essere) l’antica Avalon. Si chiese quale fosse il passato di Arthur, se l’esistenza del cognome Pendragon implicasse anche il ritorno di Uther e Igraine. Erano tornati anche gli altri? D’altronde Gaius era tornato e il drago non gli aveva detto esplicitamente le condizioni in cui si sarebbe svolto il ritorno del suo Re.
Arrivato a un punto morto con le sue indagini improvvisate, Merlin chiuse il motore di ricerca. Si ripromise di chiedere a Gaius più informazioni alla fine della giornata lavorativa, valeva a dire da lì a qualche ora. A quanto gli aveva detto l'ex cerusico, infatti, la sua giornata tipo copriva l’orario che andava dalle 9 del mattino alle 17, diversamente da quanto richiesto per altri ruoli.
Tornò allora a svolgere i compiti assegnatigli da Arthur, cercando di non sfigurare davanti al Re del Passato e del Futuro.

 

Che l’unico ad essere tornato, oltre ad Arthur, fosse Gaius, Merlin non se l’aspettava. Quando aveva visto il suo vecchio mentore, la speranza di rivedere altri volti conosciuti, Gwen, Lancelot, Gwaine e gli altri, si era fatta avanti prepotente ma il medico di corte di una volta era stato assai sicuro: nessuno delle loro vite precedenti aveva avuto il loro stesso onore.
Gaius era nato sul finire del secondo conflitto mondiale. Non aveva recuperato interamente la memoria fino alla maggiore età, quando iniziò a capire che gli strani sogni che faceva di continuo non erano sogni ma ricordi che l’inconscio cercava di recuperare e che le bizzarre casualità che gli capitavano erano piccole dimostrazioni della sua magia assopita.
Aveva atteso con ansia un incontro con Merlin, sperando addirittura di incontrarlo molto prima che fosse anziano come invece era accaduto a Camelot. Eppure mentore e allievo non avevano avuto questa fortuna: il medico non aveva interrotto la sua vita di interrogativi né Merlin aveva avuto il piacere di avere una conferma che la sua attesa millenaria non fosse vana.
Un’unica gioia della vita di Gaius fu ritrovare Arthur quando ormai il Re era un ragazzo. Gaius era stato il suo mentore nel suo primo lavoro in una redazione giornalistica e aveva avuto così modo di conoscere Arthur e sapere qualcosa della sua vita.
Arthur era un orfano, disse Gaius a Merlin. Il suo corpicino, avvolto in una coperta, fu trovato una mattina a Glastonbury, città nella quale era cresciuto, presso l’Abbazia. Era stato cresciuto da un’amorevole famiglia del luogo ma il nome gli era stato dato, quasi per scherzo, ben prima dell’adozione: all’orfanotrofio dove era stato portato avevano ben pensato di dargli il nome del leggendario Re Arthur, visto che era stato trovato in quella che molti credevano essere stata l’antica Avalon.
Gaius e Merlin sorrisero tristemente a quel gioco del destino: al loro Re l’unica cosa della vecchia vista rimasta era il nome, dato per una scherzosa coincidenza. Merlin pensò a quanto dovesse essere stato difficile, per l’Arthur bambino, crescere senza sapere quali fossero le proprie origini.
Gaius disse ancora al mago che Arthur non aveva mai interrotto i suoi legami con la famiglia affidataria ma che era cresciuto comunque con la convinzione di essere stato abbandonato. Merlin si pentì di ciò: aveva vissuto per lungo tempo a Glastonbury ma, col passare dei secoli e il ritorno di Arthur che non sembrava verificarsi mai, restare a così pochi passi dal luogo dove un tempo sorgeva Camelot era diventato un cancro, per Merlin. E se invece fosse rimasto? Avrebbe sentito parlare di Arthur? Avrebbe potuto essergli vicino durante la sua crescita?
«Non rimpiangere di non esserci stato prima per lui, Merlin. Pensa che ora tu sei qui per lui e lui è qui per te» lo confortò Gaius stringendogli la mano.
Finalmente iniziarono a scorrergli sul viso silenziose lacrime: fino ad ora, dalla scoperta del nome di Arthur sul giornale, Merlin stranamente non aveva liberato le proprie emozioni. Si considerò fortunato a farlo davanti a un suo grande amico, il suo mentore di una vita.

 

 

 

 

 

 

Angolo dell’autrice

 

Salve!

Sono stata tentata più volte di cambiare dettagli di questo capitolo. Fa un po’ paura creare la propria idea del continuo di questa serie.

Il mio timore più grande è stato l’incontro tra Merlin e Arthur: temo che Merlin sia OOC, tuttavia il mio intento era di non nascondere con la malinconia dei ricordi l’ironia pungente che ha sempre caratterizzato le risposte di Merlin ad Arthur.

Vi prometto che della vita di Arthur sapremo di più molto presto, la questione non sarà liquidata così, attraverso le parole di Gaius. Per ora, sapremo quanto ha saputo Merlin.

Un’ultima cosa: non ho idea di quale sia la giornata tipo di una redazione, tutto ciò che so l’ho appreso da Internet, quindi chiedo scusa in anticipo per la presenza di errori, in questo capitolo e nei prossimi.

Vi ringrazio per essere arrivati fin qui, ci risentiamo, se volete, nelle recensioni e nel prossimo capitolo.

 

Amaryllis.

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Capitolo 3
*** 2. Di mosse asinine e sbadata idiozia ***


2. Di mosse asinine e sbadata idiozia
 
 
Le prime settimane di Merlin alla redazione furono movimentate ma non stressanti. Merlin aveva dovuto chiudere per il momento la libreria: non era nei suoi piani fare il giornalista o aspirante tale per sempre, quindi in un futuro prossimo sarebbe ritornato nell’ambiente confortevole che con gli anni aveva tirato su, sempre che il seguire Arthur gliel’avrebbe permesso. Era infatti disposto a lasciare tutto se il suo Re gliel’avesse chiesto. Cosa che sarebbe potuta accadere solo se egli avesse ricordato la sua vita passata.
Arthur, dal canto suo, era più irritabile del solito: dagli occhi cerchiati di rosso e stanchi Merlin dedusse che dormisse poco, eppure alla redazione tutto era nella norma e non c’erano cause evidenti di stress.
Fu una sera in cui Merlin si era fermato oltre il suo orario di lavoro che iniziò a capire che stava accadendo qualcosa ad Arthur: l’asino, dopo non aver controbattuto alle risposte piccate di Merlin, sprofondò tra le carte sulla scrivania, schiacciando il menabò, come se volesse dormire.
«Fatto le ore piccole, Pendragon?» lo stuzzicò Merlin, con una punta di preoccupazione. Arthur in tutta risposta grugnì e fu solo dopo qualche minuto che si raddrizzò sulla sedia e guardò Merlin.
«Sono settimane che non dormo decentemente» rispose laconico Arthur.
«Beh, va’ a dormire a letto presto» provò a consigliare Merlin. Il biondo lo guardò in cagnesco, con una furia che il mago non si spiegava.
«E secondo te non ci ho provato? Il problema non è il quando vado a dormire, è che proprio non riesco a dormire, faccio sogni bizzarri dopodiché resto con gli occhi sbarrati per tutta la notte».
Quella breve spiegazione diede a Merlin alcuni elementi su cui riflettere. Ai tempi di Camelot, Morgana aveva avuto un problema legato ai sogni, segno latente della magia che la ragazza possedeva. E se, nel presente, l’arrivo di Merlin avesse scombussolato Arthur e in particolar modo il suo subconscio?
«Cosa sogni?» domandò, allora, Merlin, col cuore che gli batteva all’impazzata.
«Non è affar tuo, Merlin, e non voglio il tuo aiuto» lo liquidò Arthur, tornando a lavoro.
«Bene, però, se dovessi continuare ad avere questo problema, potrei avere una soluzione» propose Merlin, totalmente ignorato da Arthur.
Fu dopo qualche settimana che Merlin, colto totalmente impreparato, ebbe una richiesta di aiuto da parte di Arthur.
«Ti prego, dimmi che non scherzavi e che veramente conosci un modo per risolvere la mia insonnia» chiese disperato il ragazzo biondo.
«Non scherzavo ma non assicuro la riuscita del mio metodo» iniziò a dire Merlin, «domani ti porto una tisana». A quelle parole, Arthur lo guardò accigliato.
«Una tisana, Merlin? Era questa la tua brillante idea?».
«Credimi, è potentissima, mi ha sempre fatto crollare come un ghiro» provò a rassicurarlo Merlin, piuttosto offeso dalla delusione di Arthur alla sua idea di soluzione.
«Va bene ma domani è troppo tardi, ho bisogno di dormire da stanotte» replicò Arthur, ancora scettico.
«Ok, se mi dai il pomeriggio libero, vado a recuperarla e, se passi stasera a casa mia, te la darò» propose il mago. Arthur, ancora più scettico, boccheggiò per qualche secondo.
«Siamo sicuri che sia una cosa legale? Non vuoi drogarmi, vero?».
Con una grassa risata, Merlin negò. «Giuro solennemente che è un metodo totalmente legale e che non prevede l’uso di droghe, asino».
Arthur lo guardò con un’occhiata imperscrutabile.
«Come mi hai chiamato?».
«Asino, perché sei un asino» spiegò Merlin con aria di sufficienza.
«Ci vediamo alle otto, Merlin» lo congedò Arthur, senza commentare oltre il soprannome che il moro gli aveva affibbiato.
 
Negli anni, Merlin era stato tormentato in sonno da ricordi della sua vecchia vita a Camelot. I momenti che più lo avevano torturato erano gli ultimi con Arthur, il loro ultimo saluto, quel grazie sussurrato con un fiato di voce. Per anni Merlin aveva ritenuto fosse la giusta conseguenza per non essere riuscito a salvare il suo Re.
Ma a un certo punto era stato impossibile andare avanti in quel modo. La notte non riusciva a chiudere occhio per la paura dell’arrivo di quei sogni strazianti: non dormiva affatto e ne risentiva la sua stessa magia. Fu allora che recuperò il vecchio quaderno di appunti di Gaius e modificò la ricetta del preparato di Morgana, quello che non funzionava mai: le modifiche che apportò richiedevano uno sforzo magico non indifferente ma il risultato fu la prova che ne valeva la pena. Finalmente Merlin riusciva a dormire.
Ora che Arthur presentava un problema analogo, sebbene Merlin non fosse sicuro che fosse la cosa giusta eliminare la presenza dei sogni dalle notti di Arthur (voleva con tutto sé stesso che il biondo ricordasse chi era davvero), il mago pensò che la pozione, per quanto complicata fosse la preparazione, fosse la soluzione più adatta. Fu così che, tornato a casa, Merlin non perse tempo e si recò nella stanza che teneva sempre chiusa salvo quelle poche emergenze che negli anni si erano verificate.
Dall’esterno sembrava essere un ripostiglio e nulla più, ma, una volta entrati e superata la piccola dispensa, la stanza si rivelava per quello che era realmente: una riproduzione quasi identica al laboratorio di Gaius. Negli anni più duri, Merlin aveva quasi esaurito tutta la sua magia creando una visione illusoria che gli desse l’idea di essere nelle sue vecchie stanze a Camelot: solitamente accadeva in concomitanza di Semain, quando il sapere che il confine che lo separava da Arthur era più labile lo tormentava così tanto da renderlo quasi folle. Era solo da qualche decina di anni che, preso quell’appartamento a Londra, ricavò con l’ausilio della magia un laboratorio sfruttando lo stanzino e ampliandone gli spazi. Perfino l’odore della stanza ricordava quello che caratterizzava gli ambienti del cerusico a Camelot.
Merlin si diresse subito alla ricerca degli ingredienti necessari per il preparato, affinché tutto fosse pronto per l’arrivo di Arthur. Ancora non si capacitava del fatto che per la prima volta avrebbe potuto aiutare il suo Re.
Si ricordò improvvisamente delle parole che Kilgarrah era solito dirgli.
Siete due lati della stessa medaglia.
Anche quelle erano state un tormento perenne nel corso delle centinaia di anni che aveva passato in solitudine. Era un’arma a doppio taglio, sapere di appartenere a un qualcosa che probabilmente non sarebbe più esistito. A qualcuno che probabilmente non sarebbe più ritornato. E ora, invece, aveva l’occasione di recuperare il suo rapporto di amicizia con Arthur, se avesse avuto la giusta dose di pazienza. Rimettendosi a lavoro, si ripromise di non sprecare l’opportunità che il destino gli stava donando.
 
Alle otto in punto, il suono del citofono avvertì Merlin che Arthur era arrivato. Essendo stato assorbito completamente dalla preparazione della pozione, il mago non aveva avuto il benché minimo di tempo per rendere presentabile casa sua, così ora si trovava in un soggiorno pieno di libri e cianfrusaglie. Ebbe solo tempo per piegare alla bell’e meglio il plaid buttato alla rinfusa sul divano prima di sentire un toc toc forte e deciso alla porta.
Fece un bel respiro e andò ad accogliere il biondo, che attendeva muovendo ritmicamente il piede sullo zerbino di casa.
«Arthur, prego, accomodati pure» lo accolse il mago, muovendo il braccio in segno di accoglienza.
«Grazie, Merlin» disse Arthur, entrando e sbottonandosi la giacca. Si sedette sul divano mentre Merlin si diresse all’angolo cottura, dove in precedenza aveva già messo a bollire dell’acqua per fare del tè.
«Allora, tutto bene in redazione questo pomeriggio oppure la mia assenza è stata insopportabilmente insostenibile?» chiese Merlin ironicamente. Gli arrivò una mezza risata di Arthur.
«No, anzi, ho lavorato talmente bene che ho pensato di mettere fine al tuo praticantato» ribatté Arthur. Merlin sorrise, sollevato che lo stress di Arthur non gli avesse fatto perdere la voglia di battibeccare.
«Ti farei causa per inadempienza del contratto» scherzò Merlin, portando su un vassoio tazze, teiera e zucchero con biscottini.
«Non hai idea della schiera di avvocati che mi difenderebbero se solo tu osassi» sentenziò il biondo, versando acqua e latte nella propria tazza.
«A quel punto, non ti darei la tisana che sei venuto celermente a prendere».
«Non scherzare, Merlin, è questione di vita o di morte» disse tutto d’un tratto seriamente Arthur. «Per far dormire Louis e non dargli fastidio, passo le notti sul divano e ho ormai la schiena a pezzi».
Merlin stette in silenzio. La questione Louis era la cosa che più l’aveva stupito dell’Arthur moderno: a quanto aveva appreso dai pettegolezzi della redazione, Arthur era bisessuale e al momento era impegnato in una relazione con un brillante avvocato, tale Louis Hardy, che più volte in quelle settimane era passato a trovare il biondo in ufficio.
La notizia aveva sorpreso Merlin più di quanto volesse ammettere: l’Arthur di Camelot aveva avuto sempre e solo interesse per la dolce Gwen. Il mago non sapeva se l’allora Principe avesse represso ulteriori interessi o se semplicemente la bisessualità fosse una novità dell’Arthur moderno. C’era un fastidio, non del tutto latente, che Merlin provava alla notizia. Sapeva di essere del tutto favorevole a chi era attratto da persone dello stesso sesso, eppure la notizia che Arthur convivesse con quel Louis l’aveva in qualche modo turbato. Si ripeté, ancora una volta, che quel fastidio era dovuto solo alla sua lealtà verso Gwen, assolutamente, e che non ci fossero altri motivi, nossignore. (Quali altri motivi ci sarebbero dovuti essere, per Diana?!?)
Scosse la testa come se così facendo il groviglio di pensieri si smaterializzasse e si avviò verso il mobile dell’ingresso, doveva aveva lasciato una bottiglia con su scritto in un corsivo quasi illeggibile Per la testa di fagiolo.
«Con questa dovresti risolvere. In passato ho avuto anch’io problemi di insonnia ed è stato l’unico rimedio che funzionasse» disse il moro, porgendo al biondo la bottiglietta. «Bevila prima di coricarti, un sorso basterà».
«Grazie, ti devo un fa… Per la testa di fagiolo? Davvero, Merlin?» chiese con faccia accigliata Arthur.
«Senza offesa ma sei un po’ una testa di fagiolo, certe volte» constatò Merlin, annuendo con falsa condiscendenza.
«E tu sei un po’ idiota, non soltanto certe volte ma sempre, senza offesa» ribatté Arthur socchiudendo gli occhi a mo’ di sfida.
«Che gratitudine nei confronti di chi si è messo al tuo servizio, che nobiltà d’animo» esclamò il mago con aria scandalizzata.
«A volte sento di essere abituato a questi battibecchi» disse Arthur, senza continuare il gioco di battute sarcastiche.
Merlin sentì una fitta al petto a quelle parole. Era allo stesso tempo felice e triste di sentirgli dire una frase simile. Non parlò, non sapendo cosa avrebbe dovuto dire.
«Troppo strano, vederti così silenzioso, non è da te» scherzò il biondo, per alleggerire il clima teso che sentiva. Forse fu per questo che si alzò e iniziò a studiare le pareti coperte di librerie e scaffali.
«Ma queste sono tutte prime edizioni!» esclamò, dopo un po’. «Come fai ad avere una prima edizione di Frankestein? Quella non ancora pubblicata sotto il nome di Mary Shelley?!?». Arthur ripose impaurito il libro sullo scaffale, non più del tutto sicuro di trovarsi nella casa di un venticinquenne che, a quanto diceva, era squattrinato.
«Collezione dei miei» disse prontamente Merlin. «Non potrei mai venderli» aggiunse, quasi Arthur l’avesse accusato di non farci una fortuna.
«Cos’è questo?» disse all’improvviso Arthur, prendendo con cautela un libro senza titolo in copertina. Lo aprì, era un libro a stampa, senza indicazione dell’autore. Sul frontespizio, anch’esso privo d’indicazioni sull’autore, c’era scritto
 
 
Poems of the Lake
Never before Imprinted
 
 
AT LONDON
Printed by I. R. for M. E. and are to be fold at his
shoppe vnder Saint Dunstons Church in
Fleetstreet, 1605.

 
Arthur iniziò a guardare ritmicamente il volto di Merlin e il frontespizio. 1605! Ma che scherzo era quello?
Merlin, cercando di elaborare una scusa verosimile, gli tolse il libro fra le mani e lo ripose sullo scaffale.
«Sono tutte prime edizioni, Arthur, che ho ereditato dai miei e che essi, a loro volta, hanno ereditato».
«Sì ma, Merlin, un testo del 1605! E poi, non ho mai sentito prima questo titolo! Stai nascondendo un pezzo di letteratura inglese in casa tua?!?».
Assurdo, era veramente assurdo tutto quello, pensò Merlin. Non era abituato ad avere gente in casa e non aveva pensato che fosse del tutto anormale il contenuto di quella libreria nella casa di un venticinquenne. E ora Arthur aveva addirittura trovato il libro...
«No, Arthur, è… non puoi capire ma non è un testo dato alle stampe. Questa è l’unica copia» disse Merlin, senza la forza di mentire.
Arthur lo guardò riducendo a fessure gli occhi. Il biondo semplicemente non capiva. Si poteva definire un cimelio di famiglia un testo del XV secolo mai dato alle stampe?
«Se me lo presti affinché io lo legga, non ti chiederò altro» propose Arthur, incuriosito da quel titolo senza neanche sapere il perché.
Merlin si morse il labbro, vagliando le varie opzioni. Non sapeva cosa aspettarsi da quest’Arthur: e se avesse letto il libro e avesse voluto sapere di più? Non voleva nel modo più assoluto parlargli di quel libro né tanto meno voleva che Arthur lo leggesse.
«Non posso, Arthur, e ti assicuro che non è nulla di che» chiuse la questione Merlin con tono perentorio.
Arthur si sedette nuovamente sul divano, guardando Merlin con aria stranita ma senza controbattere.
«Qual è la tua storia?» chiese con curiosità. «Gaius è stato vago, certe volte parli come se avessi cent’anni, ora scopro che hai una collezione di libri con pezzi del XV secolo. C’è qualcosa in te, Merlin, che proprio non riesco a cogliere» sentenziò Arthur.
E Merlin gliel’avrebbe proprio voluto dire, cos’è che non riusciva a cogliere. Gli avrebbe voluto dire tante di quelle cose ma scelse di ignorare il tutto e studiare quella pellicina che aveva sul pollice e che lo tormentava da giorni, veramente un tormento insopportabile…
Fu il cellulare di Arthur a interrompere il silenzio creatosi.
«Pronto?… Sì, certo… Non preoccuparti, davvero… Buon lavoro». La telefonata fu breve e Merlin non avrebbe saputo ipotizzare chi fosse l’interlocutore dall’altro lato del telefono. «Bene, i miei piani della serata sono saltati, quindi andrò a casa a deprimermi per il resto della giornata» disse Arthur riponendo il telefono.
«Potresti mangiare qui, se vuoi» propose Merlin, pentendosene un attimo dopo.Veramente, Merlin? si disse, sei scampato al pericolo e ora ti metti un’altra volta in una brutta situazione?
«Non hai altri piani? Tipo uscire con gli amici? È venerdì» chiese perplesso Arthur.
«Non ho una grande vita sociale, sarei rimasto tranquillamente da solo a casa» rivelò Merlin con sincerità. Arthur guardò nel vuoto per un attimo, perso in pensieri propri, poi fece di sì con la testa.
«Per me va bene, basta che non mi avveleni solo perché sono il tuo capo» scherzò, volendo scuotere il moro da quella che sembrava malinconia.
Ordinarono due pizze da una pizzeria all’angolo della strada, di cui Merlin aveva il numero appuntato sulla bacheca accanto all’angolo cottura. Nell’attesa, disse ad Arthur che sarebbe andato un attimo in bagno, poi lo lasciò solo nel soggiorno.
Andò in bagno, chiuse la porta e fissò la sua immagine nello specchio. Voleva piangere e ridere contemporaneamente per il panico che lo stava assalendo. Si sciacquò la faccia, alla ricerca di un modo per riprendersi, e strofinò forte sugli occhi, antico metodo che aveva escogitato per ricacciare indietro le lacrime.
Iniziò a inspirare e espirare ritmicamente, arpionando le mani sul lavabo. Sentiva il panico allontanarsi con il passare dei minuti e quando sentì la voce di Arthur chiamarlo dalla sala, si era quasi completamente tranquillizzato.
Si guardò un’ultima volta allo specchio. Sarebbe andato di là e sarebbe tornato a fare battute sarcastiche su Arthur come al solito, come una volta, con leggerezza e divertimento. Uscì dal bagno e si diresse dal biondo, che aveva iniziato a sistemare i cartoni di pizza sul tavolo.
«Scusa se ti ho chiamato ma erano arrivate le pizze» si scusò Arthur
«Non preoccuparti, hai fatto bene, sto morendo di fame» borbottò il moro.
«Ah, ma allora mangi? Non l’avrei detto, sembri pelle e ossa» commentò Arthur, facendo finta di squadrarlo.
«Ah ah, molto divertente. Mi duole dirti che mangio, e pure parecchio, ma che ho la fortuna di smaltire il tutto velocemente, a differenza di qualcuno che, se sgarra, mette subito su peso».
«Attenzione a come parli, Merlin, fa’ molta attenzione» lo provocò il biondo, agguantando un trancio di pizza.
«Altrimenti?».
«Altrimenti metterò fine al tuo praticantato e niente lettera di referenze» lo minacciò con aria divertita.
Merlin approfittò del boccone che aveva in bocca per trovare le parole per dire qualcosa che avesse un seme di verità.
«A dire il vero non ci rimarrei male, non voglio fare il giornalista» iniziò a dire. «Ho studiato Letteratura» proseguì, continuando con un’informazione vera, se sceglieva una delle tante lauree che negli anni aveva conseguito, «Ho letto l’annuncio del tuo giornale, mi son detto “perché no?”. Come sai, non so molto del mondo del giornalismo, dunque mi sembrava un’occasione per acquisire ulteriori conoscenze. Ma davvero non credo che il giornalismo sia il mio campo».
Stettero un po’ in silenzio e continuarono a mangiare, finché Merlin non rivelò un’altro pezzetto di verità.
«Ho una libreria, sai?». Arthur lo guardò con interesse. «È piccola e un po’ vecchiotta ma è un posto confortevole. Anche quella l’ho ereditata dai miei genitori».
«E ora che lavori per il giornale come fai? Hai assunto qualcuno?» chiese Arthur con curiosità.
«In realtà no, l’ho dovuta chiudere momentaneamente».
«Eppure, scusami, ma come mai hai scelto all’improvviso di darti proprio al giornalismo? Gestivi la tua libreria e all’improvviso ti è venuto in mente di cambiare vita?».
«È stato il tuo editoriale sui duchi del Sussex a catturarmi» rivelò il moro, pur non svelando i motivi reali dietro quel fatto. «Sia chiaro, non mi ha ispirato nel senso che voglio diventare un giornalista ma le tue parole mi hanno spinto a mettermi in gioco: hai scritto che tutti, perfino chi si ritiene nobile per nascita, deve avere la libertà di esprimersi e beneficiare della soddisfazione derivante da quell’espressione di individualità. Beh, ecco, voglio fare questo, dopo tanti anni in cui mi sono limitato a sopravvivere, più che vivere».
Il silenzio che seguì fu denso ma non in modo ostile. Merlin, forse, aveva detto più di quello che era lecito dire e Arthur aveva ascoltato ogni parola con cura e attenzione.
«Voglio fare un’intervista a Harry e Meghan» sentenziò dopo un po’ Arthur. Merlin lo guardò cercando di capire se stesse scherzando o fosse serio: lui di certo stava scherzando, quando aveva pensato che Arthur fosse tornato per i Sussex.
«Vuoi intervistare i duchi?» chiese allora, giusto per rimarcare il concetto.
«Sì, la mia idea è questa: loro erano di quanto più moderno ci fosse nella monarchia e ora se ne stanno distanziando, voglio dimostrare che possono ancora portare aria nuova a quest’istituzione». Ecco, Merlin si chiese se Kilgarrah avesse questo in mente come momento del bisogno di Albion. Certo, erano comunque nobili le intenzioni di Arthur però Merlin era un po’… deluso, ecco.
«Dopodiché ho altro in mente» aggiunse il biondo, ignorando i pensieri di Merlin. «Voglio lasciare il giornale e darmi alla politica. Ora puoi ridere» concluse Arthur con un rossore crescente sulle guance.
«Ma… ma è magnifico!» fu la reazione di Merlin. «Perché mai dovrei ridere, però?» chiese con incertezza. Arthur lo guardò con l’aria di chi si vede costretto a svelare troppo.
«Ecco… diciamo che non ho rivelato a molti i miei progetti e, di quei pochi che ne sono a conoscenza, qualcuno non mi vede proprio adatto alla politica» rispose il biondo.
«Non so di chi si tratti ma...».
«Louis, si tratta di Louis».
Il silenzio tornò pesante su di loro. Merlin non poteva capire come qualcuno osasse dire al Re di Camelot che non fosse adatto alla politica! Certo, Louis non poteva sapere della vita passata di Arthur, ma era comunque paradossale che… che… trattasse in questo modo Arthur, ecco.
«Arthur, io non sono nessuno nella tua vita e ci conosciamo da poco» iniziò a dire con cautela il moro, «ma non sono gli altri a stabilire in cosa tu sia adatto e in cosa no. In questo periodo, ho potuto vedere il tuo carisma e il tuo gran cuore, così come il voler essere d’impatto nel mondo. Tu sei adatto, anzi tu già adesso esprimi la tua voce attraverso la carta stampata, stai già dando forma a quella che potrà essere la tua impronta. Non farti condizionare dall’idea che gli altri hanno di te. Sii la persona che vuoi essere e non porti limiti, perché con la tua tenacia sarai pronto a tutto».
Arthur lo guardò intensamente e per qualche secondo sembrò sul punto di dire qualcosa ma non aprì bocca. Allora Merlin parlò per smorzare l’atmosfera che si era venuta a creare.
«Certo, ogni tanto ti comporti da asino, sei prepotente e, se sei convinto di una cosa, non ascolti ragioni, ma con il tempo so che diventerai un buon asi… ehm, politico, un buon politico» disse Merlin con ironia.
«Sta’ attento, perché quando avrò potere potrei seriamente reintrodurre la gogna apposta per te, Merlin» scherzò Arthur con fare minaccioso.
«Ancora devi darti alla politica e già mi minacci?».
«Mi sembrava corretto avvertirti».
Risero per un po’ per poi tornare a mangiare in silenzio.
«Allora, ancora so poco e niente di te» ripeté Arthur, mettendo ansia a Merlin. «Da dove vieni?».
«Sono nato a Londra» rispose il mago. «Sono figlio unico. I miei, come ti ho detto, avevano una libreria che andava piuttosto bene. Sono morti un po’ di anni fa, ora non ho più nessuno» concluse, sperando che le domande sulla sua vita fossero finite lì.
«Ti direi “mi dispiace” ma sono due parole che odio» disse Arthur dopo un po’. «Ho sempre odiato sentirmelo dire appena conoscevo qualcuno di nuovo e sapeva che ero stato abbandonato».
Merlin lo guardò con stupore. Fino ad ora, tutto quello che sapeva gli era stato detto da Gaius o da altri della redazione ma Arthur non aveva aperto bocca sul suo passato.
«Sono stato abbandonato tra le rovine di Glastonbury» iniziò a spiegare Arthur. «E siccome Glastonbury, secondo una delle ipotesi, potrebbe essere l’antica Avalon, i tizi dell’orfanotrofio hanno avuto la brillante idea di chiamarmi Arthur Pendragon, come il leggendario re di Camelot».
«Beh, sentiti consolato, i miei genitori mi hanno chiamato Merlin» cercò di smorzare il mago.
«Poi sono stato dato in affido» continuò a dire Arthur, «ma ho sempre saputo che quelli che chiamavo mamma e papà non erano i miei veri genitori. Per me è come se lo fossero, però».
«Li vedi ancora?» chiese Merlin con curiosità.
«Certo, spesso e volentieri passo il fine settimana a Glastonbury, anche se non adoro stare in quella città, sento sensazioni strane».
«Anch’io ho vissuto a Glastonbury per un po’» disse Merlin, desideroso di condividere qualcosa di vero. «Un sacco di tempo fa, quando ero piccolo, poi ci siamo trasferiti di nuovo a Londra. Ti capisco, riguardo alle sensazioni strane, anche io non ero sereno, lì».
Il suo non essere sereno era dovuto ai troppi ricordi mentre quello di Arthur… a cosa, esattamente? Che Arthur sentisse un legame con quella terra? Ma allora perché non aveva recuperato la memoria?
«Ti capita mai di pensare di essere già esistito?» gli chiese d’improvviso Arthur, spiazzandolo. «Nel senso, hai mai avuto la sensazione di aver già vissuto una vita? Perché è così che mi sentivo a Glastonbury, qualsiasi cosa facessi, ed è per questo che, appena ho potuto, sono venuto a studiare a Londra».
Nella testa di Merlin lampeggiava un unica parola: MAYDAY. Come doveva rispondere a quella domanda? Dirgli qualcosa tipo beh, sai com’è, ho vissuto per un millennio e mezzo quindi esisto dai tempi in cui tu, in un’altra vita, eri Re? Del tutto fuori luogo.
«Credo capiti a tutti di avere déjà-vu» rispose, facendo finta di non aver capito cosa intendesse il biondo. E forse fu una scelta saggia perché Arthur decise di non insistere.
 
Il resto della serata passò tranquillamente. Decisero di guardare qualcosa su Netflix, la scelta ricadde su The Crown di cui Merlin aveva già guardato la nuova stagione ma Arthur si era fermato al terzo episodio – quel giornalista mi ricorda un po’ te, Merlin – e, alla fine dell’episodio il biondo disse che era il momento per lui di tornare a casa.
«Domattina parto presto per Glastonbury» disse a mo’ di giustificazione.
«Non preoccuparti. Mi ha fatto piacere che tu sia rimasto, almeno ho costatato che sei una persona passabile fuori dal lavoro» scherzò Merlin con aria di sufficienza.
«E io ho costatato che sei un idiota anche fuori dal lavoro» replicò Arthur, senza lasciarsi passare l’occasione per prendere in giro il moro. «Non è che mi daresti una borsa di carta, se possibile? Non vorrei riporre la bottiglia nella borsa del lavoro»disse poi, riferendosi alla boccetta con il preparato.
«Certo, vado subito a prendertene una». E Merlin così fece, dirigendosi verso il ripostiglio in cui teneva cianfrusaglie varie. Recuperata una borsa di media grandezza, ritornò da Arthur, che lo guardò in maniera strana.
«Grazie mille, Merlin» disse il biondo in maniera frettolosa. «Ci vediamo lunedì».
«A lunedì, Arthur, e buon fine settimana a Glastonbury».
Dopo aver accompagnato Arthur alla porta, Merlin la richiuse dietro di sé, poggiandovi la schiena. Che serata strana e intensa. Guardò il soggiorno-barra-cucina e il suo sguardo si focalizzò sulla libreria: Arthur aveva lasciato un po’ di confusione sullo scaffale delle prime edizioni, notò. Con passo stanco raggiunse la libreria e… mancava il libro. Si guardò intorno, controllò dietro i cuscini sul divano, sul tavolino: niente, non trovò niente. Eppure era convinto di averlo riposto sullo scaffale. C’era solo una spiegazione a quella sparizione e non gli piaceva affatto: Arthur doveva aver preso il libro mentre lui cercava una borsa per la bottiglia con la pozione. Sciocco, sciocco Merlin, a non aver nascosto gli oggetti compromettenti! Ora Arthur avrebbe letto il libro e cosa sarebbe successo?
Sbuffando con aria rassegnata, si lasciò sprofondare tra i cuscini del divano. La sua sbadataggine l’aveva cacciato in un brutto, bruttissimo guaio.






Angolo dell'autrice

Buonasera, gente!
Con questo capitolo si aprono ufficialmente le danze. Merlin e Arthur hanno occasione di passare del tempo insieme e finalmente conoscono qualcosa in più dell'altro (certo, se non contiamo la serie di bugie di Merlin...). Che dite, Merlin ha ragione sui sogni di Arthur? Saranno veramente sogni riguardanti Camelot?
E quel libro. Cosa nasconde il moro? Eh, lo scopriremo presto.
Comunque siete coraggiosi, se siete arrivati fin qui. Mi state dando fiducia, incredibile ma vero c'è chi legge e chi segue e recensisce, quindi: GRAZIE! <3
Fatemi sapere se il capitolo non è troppo brutto.
Il prossimo aggiornamento potrà subire un ritardo: la settimana che sta per iniziare è piena di cose e non so se riuscirò a pubblicare domenica, come stabilito. Spero di riuscirci, però.
Un bacio e a presto!

Amaryllis

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Capitolo 4
*** 3. Oltre le coltri della magia ***


3. Oltre le coltri della magia
 
 
Di scelte avventate e azioni furtive Arthur Pendragon non ne aveva mai fatte. Si reputava, piuttosto orgogliosamente, una persona onesta e dalla coscienza trasparente. In quasi trent’anni si era comportato in maniera ligia, senza sotterfugi né assurdi piani improvvisati per sottrarre libri misteriosi.
Era tutta colpa di Merlin. Prima di Merlin, Arthur non aveva mai rubato niente, mai ingannato nessuno, ora invece… Ma si sentiva giustificato nel profondo, Arthur: era colpa di Merlin se quel libro aveva tiratura limitata a una, e dico una, copia. Assurdo.
Quindi era colpa di Merlin e non sua se aveva preso il libro col titolo Poems of the Lake e l’aveva nascosto nella borsa del lavoro prima che Merlin tornasse con la borsetta per la bottiglia col preparato.
E ora Arthur si trovava lì, nella sua vecchia cameretta nella casa di Glastonbury, col fatidico libro tra le mani. Quella storia aveva messo in secondo piano anche la sorpresa per l’efficacia del metodo naturale di Merlin contro l’insonnia.
Quando Arthur era tornato a casa Carlisle, l’odore di pancake l’aveva accolto come prima cosa. La seconda fu l’abbraccio stretto di Martha all’odore di cannella. Aveva sorriso, ricambiando l’abbraccio, e da sopra la spalla della donna aveva salutato David, alle prese con i fornelli. La colazione era stata intrisa di familiarità e serenità.
Ancora una volta, Louis non faceva parte di quel quadretto. Quando la sera prima il suo ragazzo aveva cancellato i programmi della serata, Arthur non pensava che stesse dando forfait anche al viaggio a Glastonbury. Ogni volta che negli ultimi mesi il biondo aveva provato a portarlo con sé nella sua città natale, col desiderio di creare la perfetta occasione per presentare il suo compagno alle due persone che tanto amorevolmente l’avevano cresciuto, c’era sempre stato un impegno dell’ultimo minuto, ovviamente improrogabile, che aveva imposto un cambio di piani. Arthur aveva perso il conto delle volte in cui aveva annunciato ai suoi che Louis sarebbe venuto con lui a Glastonbury: ormai, comunicava semplicemente il suo arrivo, con la speranza che avrebbe potuto essere accompagnato all’ultimo momento dal suo ragazzo.
Non che le cose a Londra andassero meglio. Aveva notato in Louis un’insoddisfazione generale che riversava sui progetti futuri di Arthur. L’intervista ai Sussex era catalogata come una sciocchezza superficiale. Il desiderio di entrare in politica, impossibile da realizzarsi. Arthur non si aspettava un supporto al cento per cento da parte di Louis, o meglio si aspettava opinioni espresse con pensiero critico: dunque, finché fossero riferite con reali motivazioni, le obiezioni ai suoi progetti erano ben accette. Ma il ripetuto stroncare le sue scelte lavorative, senza per di più valide motivazioni a sostegno del no, pesava su Arthur come un macigno.
Ripensò alle parole di Merlin la sera precedente. Conoscendo almeno un po’ il carattere del ragazzo, Arthur poteva ben dire che non si trattasse di vuote frasi di circostanza, il moro l’aveva incoraggiato davvero a perseguire le sue idee. Aveva sentito una certa familiarità in quelle parole così motivanti, forse gli ricordavano semplicemente l’atteggiamento connotato da infinito affetto che i suoi genitori avevano sempre mostrato davanti ai suoi progetti di vita.
Sospirò, riportando la sua attenzione al presente. Sentiva le mani tremare al tocco della copertina consunta del libro e non seppe spiegarsi il perché. Carezzò le lettere del frontespizio, leggendo di nuovo parola per parola:
 
 
 
Poems of the Lake
Never before Imprinted
 
 
AT LONDON
Printed by I. R. for M. E. and are to be fold at his
shoppe vnder Saint Dunstons Church in
Fleetstreet, 1605.
 
 
1605. Secoli e secoli fa. La curiosità l’aveva portato a sottrarre quel libro al suo legittimo proprietario, tanto valeva leggerne il contenuto, pensò.
Con immensa cautela, girò la pagina e sentì sotto i polpastrelli la carta antica, l’odore intenso gli stuzzicava le narici ricordandogli quante epoche lo dividessero da quel libro. A colpo d’occhio, capì che si trattava di un prosimetro: poesie, per lo più sonetti, si alternavano a scritti in prosa senza un determinato ordine.
Si soffermò sul primo sonetto che apriva la raccolta, leggendo con calma le parole nella sua mente:
 
Wheat and sky melded in a summer’s day
unaware of the heavenly beauty they made
A stolen glance to the red full lips is the way
my thoughts make appear a pink shade.
 
Bravery and honour are the laws of the knight
Holy bond between the man and his reign
Faith and honesty, the lights in the night
Even the magic flows slowly in his veins.
 
He doesn’t know that with only a sword
he can’t face all the danger he bumps in
There is a man with power in his word
who is the other side of the same coin.
 
The shame is the lie lives in him.
The shame is he can’t love him.
 
Grano e cielo fusi in una giornata d’estate
inconsapevoli della bellezza paradisiaca che facevano
Uno sguardo rubato alle labbra piene e rosse è il modo
con cui i miei pensieri fanno apparire una sfumatura rosa.
 
Coraggio e onore sono le leggi del cavaliere
Sacro vincolo tra l’uomo e il suo regno
Fede e onestà, le luci nella notte
Perfino la magia scorre piano nelle sue vene.
 
Egli non sa che con la sola spada
non può contrastare tutto il pericolo in cui si imbatte
C’è un uomo con il potere della sua parola
che è l’altra faccia della stessa medaglia.
 
Il peccato è che la bugia vive in lui.
Il peccato è che egli non può amarlo.
 
Arthur, finita una prima lettura del sonetto, iniziò a rileggerlo. La poesia non era mai stata il suo forte, doveva ammetterlo, ma gli sembrava di capire che quel componimento trattasse di un cavaliere, forse un principe, bello, secondo la descrizione, e del suo fidato compagno. Non capiva molto bene cosa significasse il potere della sua parola, ma aveva capito che questo secondo uomo doveva amare il principe. Dunque la prima poesia era sull’amore sfortunato del poeta per il suo principe?
Con la mente piena di dubbi, Arthur provò a leggere un componimento in prosa, concedendosi una pausa dall’interpretazione del pensiero poetico dell’autore anonimo. 
 
653
 
Io, Merlin, figlio di Balinor e Hunith di Ealdor, conosciuto dai più come Emrys, sono qui a testimoniare ciò che resta delle terre di Camelot e Avalon.
Camalet è come gli uomini di questo secolo conoscono il regno di ArthurPendragon, Re del Passato e del Futuro1. Dopo l’invasione dei Sassoni, ciò che rimase del castello dei Pendragon divenne un fortino. Invasioni successive ne decretarono la completa distruzione.
Glestingaburg è, invece, il nome con cui gli uomini chiamano il luogo cui ho affidato il mio Re2. La magia di cui questo luogo è intriso mi avverte come ostile. Posso affermare con profonda tristezza che l’ostilità è totalmente ricambiata. Ciò che di più caro avevo ho affidato a questo luogo e a distanza di secoli sono ancora qui, in attesa che Avalon restituisca ad Albion il suo Re.
Una delle assurde voci che sento dentro di me mi dice che l’attesa sarà vana, che nessun ritorno ci sarà. Ma io so che queste acque mi dovranno restituire quanto ho perso. Devo solo aspettare con pazienza il momento in cui il richiamo di Albion riecheggerà oltre le coltri della magia.
 
 
1Al momento della stampa, è opinione comune – ed errata – collocare Camelot nel Galles.
2Al momento della stampa, gli uomini la chiamano Glastonbury.
 
Se Arthur aveva pensato che le parti in prosa fossero di più facile lettura, beh, si sbagliava di grosso. Forse, pensò, quello era un testo fantastico. Sì, doveva essere così: era un testo fantastico che, nella finzione letteraria, era stato scritto da Merlin, il leggendario mago della corte di Arthur Pendragon. E, sempre nella finzione letteraria, quel Merlin aveva vissuto per un paio di secoli. D’altronde, un uomo dotato di magia poteva benissimo essere bicentenario, no? Sempre nella finzione letteraria, pensò Arthur.
La cosa che più stupì il biondo fu l’assurda coincidenza che l’aveva spinto a prendere quel libro dal Merlin che lui conosceva. Per di più, il proprietario del secolo corrente si chiamava anch’egli Merlin, proprio come il fittizio autore, e aveva incontrato proprio lui, Arthur Pendragon, per quanto artificiale fosse l’origine del suo nome. Non c’era fine alle coincidenze!
Con una strana apprensione, Arthur proseguì la sua lettura, accingendosi a leggere un altro sonetto. Stavolta, la pagina era contrassegnata da macchie sparse, che si avvertivano al tatto come se la pagina fosse stata bagnata. Lacrime, forse? Sempre più curioso, il biondo iniziò a leggere:
 
Endless tears freely fell along my face
The eyes looking for a flicker from my King
At last my arms were a peaceful place
for the “thank you” he was whispering.
 
The unsaid words will rest in silence
The thruth hidden in the deep of the heart
A kiss can’t be given without a licence
the two sides of the coin will be apart.
 
You say he’ll be back in the time of the need
Another time I see my need put away
Everyday I pray the Gods for intercede
so that tomorrow is the foretold day.
 
And while I see the dragon flying above
I’m dying with the unfair death of my love.
 
Infinite lacrime liberamente cadevano lungo la mia faccia
Gli occhi che cercavano un tremolio dal mio Re
Almeno le mie braccia erano un luogo pacifico
per il “grazie” che egli stava sussurrando.
 
Le parole non dette rimarranno nel silenzio
La verità nascosta nel profondo del cuore
Un bacio non può essere dato senza permesso
Le due facce della medaglia saranno divise.
 
Tu dici che egli ritornerà nel momento del bisogno
Un’altra volta vedo il mio bisogno messo da parte
Ogni giorno prego gli dei affinché intercedano
cosicché domani sia il giorno predetto.
 
E mentre vedo il drago volare nel cielo
sto morendo con l’ingiusta morte del mio amore.
 
Le parole che aveva appena letto turbarono in modo inspiegabile Arthur. Quando una lacrima cadde sulla pagina già consunta del libro, il ragazzo si accorse che stava piangendo. Mai si era commosso leggendo qualcosa di sentimentale, neppure vedendo uno di quei film strappalacrime che sua madre tanto adorava. Allora perché stava piangendo ora, leggendo un sonetto di un libro che era diventato per lui un grattacapo?
Cacciando via le lacrime con un gesto frettoloso della mano, girò la pagina e vide lo scritto in prosa seguente. Ancora turbato dal sonetto precedente, si ritrovò a leggere un paio di volte la prima frase senza capire. Al terzo tentativo, aveva ormai recuperato l’attenzione necessaria:
 
Non so dire con certezza quando ho capito che si trattasse di amore. A essere sinceri, ancora ora avverto turbamento nel pronunciare o scrivere questa parola.
Rileggendo i sonetti, scritti nei miei più cupi momenti di follia, dovrei dedurre che il rapporto che mi legava al mio Re sia sempre stato contraddistinto, dalla mia parte, da un amore inespresso e illecito.
Se solo lui leggesse quanto ho appena scritto, mi riprenderebbe con uno schiaffo sulla nuca e, con uno sguardo intenso, mi direbbe di stare zitto.
La verità è che, sebbene io all’epoca non capissi, per me fu un tormento. Lo catalogavo come tormento causato dal non poter svelare chi ero davvero, che possedevo la magia. In realtà capisco ora che era il tormento dell’amante non corrisposto e mai rivelatosi, destinato a restare nell’ombra.
E, masochista, fui io a spingerlo tra le braccia di Guinevere. Io, ancora una volta, ero artefice della mia stessa sconfitta.
 
E, alla lettura di queste parole, Arthur fissò la pagina a bocca aperta. Quindi in questa versione del mito mai data alle stampe mago Merlin amava re Arthur? Per la miseria, quel testo sarebbe stato un ottimo materiale per una serie ai livelli de Il Trono di Spade! Regni, cavalieri, principi ereditari e relazioni illecite con il mago. Altro che Arthur e Morgana. Ah, e per di più il mago non si era rivelato in quanto tale ma usava la sua magia nell’ombra. Tutto gridava al capolavoro fantasy.
E invece il Merlin del terzo millennio nascondeva gelosamente il libro su uno scaffale di casa sua. Pff, che razza di idiota! pensò Arthur, tornando a leggere.
 
Arthur passò il resto della giornata rintanato sotto le coperte a leggere. Il libro l’aveva totalmente rapito, era uscito dalla stanza solo per il pranzo, tant’è vero che Martha gli aveva chiesto apprensiva se ci fosse qualcosa che non andasse.
«Solo del lavoro accumulato» rispose elusivamente il figlio.
E invece la realtà era che, quel pomeriggio di metà febbraio, Arthur Pendragon – quello finto, si intende - si era deciso di darsi al fantasy. Lui, che non era riuscito a leggere Il Signore degli Anelli, che odiava con tutto sé stesso le leggende arturiane (forse il nome che portava c’entrava qualcosa, con quell’odio), stava leggendo uno strano libro fantasy su Arthur e Merlin. Che non erano lui, l’Arthur abbandonato a Glastonbury, e Merlin, il ragazzo goffo e disagiato che si era trovato come praticante.
Per la miseria, la coincidenza dei nomi lo faceva sentire a disagio. Tra l’altro, i genitori del suo Merlin – no, di Merlin e basta – erano stati veramente dei fan assurdamente appassionati del ciclo arturiano. Non solo avevano dato al figlio un nome ridicolo per i canoni del terzo millennio, avevano addirittura conservato, forse illecitamente, un testo mai pubblicato. Era tutto ai limiti del possibile.
Ma la cosa più incredibile di tutte era che Arthur aveva continuato a piangere. Inspiegabilmente le sue ghiandole lacrimali non avevano smesso di lavorare, salvo per piccole pause durante i momenti privi di grande pathos. Arthur aveva pianto leggendo delle imprese di Merlin, aveva pianto ogni qual volta Arthur – sempre l’altro - aveva afferrato la spalla del suo servitore – sì, perché in quella versione Merlin era un servitore – e l’aveva guardato con quello sguardo intenso che riservava solo a lui. Arthur era sicuro che l’Arthur letterario provasse qualcosa per il suo servo - era davvero palese in certi momenti - ma che l’(assurdo) codice d’onore di cavaliere non gli avesse permesso di rendere palesi i propri sentimenti.
La sorte più tragica era, però, spettata a Merlin. L’autore del libro l’aveva condannato a un’attesa di duecento anni senza che il suo Re tornasse. Il libro si concludeva con Merlin che scatenava la propria ira sulla torre di Avalon, provocando un disastroso terremoto da cui non si capiva se lui stesso riuscisse a mettersi in salvo.
Ecco, se ipoteticamente Arthur avesse comprato i diritti di quel libro (o forse, essendo antico, non ne aveva?) per farne una serie tv o una saga cinematografica, avrebbe senz’altro cambiato il finale. La battaglia di Camlann sarebbe avvenuta molto tempo dopo rispetto al libro, affinché Re e mago potessero vedere risplendere Albion e, finalmente, vivere il proprio amore.
Dopo aver chiuso il libro con un tonfo, Arthur si strofinò gli occhi rossi per il pianto. Avrebbe detto ai suoi che aveva un po’ di allergia. Si sarebbe calmato, si sarebbe preparato e avrebbe fatto un giro per Glastonbury con TC, il suo vecchio amico dai tempi della scuola. Sì, avrebbe fatto così.
Volendo dar subito inizio al suo piano per la serata, scrisse un messaggio all’amico, dopodiché si vestì con i primi abiti capitatigli a tiro e scese al piano inferiore, dove Martha e David stavano guardando in tv un film.
«Vi dispiace se stasera mi vedo con TC?» chiese Arthur, interrompendo a malincuore quel quadretto felice.
«Non preoccuparti, anzi mi fa piacere che tu l’abbia contattato: l’avevo incontrato qualche tempo fa al supermercato e mi aveva detto che non vi vedevate da secoli, cito testualmente» rispose Martha con un sorriso.
Arthur le diede un bacio – forse le aveva sussurrato un ti voglio bene – e salutò David con una pacca sulla spalla, dopodiché uscì di casa dirigendosi al The Sorcerer’s Pub (nome assurdo ma con le leggende si facevano bei soldi, probabilmente), distante poche centinaia di metri.
«Ma guarda, guarda chi si degna di venire in quel di Camelot, Sua Altezza Reale Arthur Pendragon» lo accolse TC a braccia aperte, prendendolo in giro come suo solito. Arthur gli concesse un mezzo abbraccio, sebbene le manifestazioni di affetto non fossero il suo forte.
«Davvero mi saluterai sempre così?» chiese il biondo, nascondendo una risata.
«Oh sì, è troppo bella la faccia che fai ogni volta» replicò TC. Portava i capelli castani lunghi, una barbetta ispida e look da motociclista: negli anni, Arthur non si era mai deciso se gli sembrasse più un modello da sfilate di moda o un modello per una pubblicità di shampoo.
«Vorrei dire lo stesso della tua faccia ma mentirei».
«Oh, principessa, lo so che hai una cotta per me dai tempi del tuo coming-out».
«Ma manco per sogno, Callahan!».
Continuarono a scambiarsi battutine finché non presero posto all’interno del pub. Arthur si ritrovò a contare alla rovescia, aspettando un interrogatorio da un momento all’altro.
«Allora, che ragione ha dato il principe consorte, per non venire a Glastonbury, stavolta?» chiese TC, tagliando la testa al toro.
«Lavoro» rispose laconico Arthur.
«Non muove quel culo secco nemmeno per venire a conoscere i tuoi, pazzesco».
«Non dire così» scattò il biondo, sobbalzando alle parole dell’amico.
«Non dirò più così quando si degnerà di incontrare Martha e David, senza scappare oltreoceano se loro dovessero trovarsi a Londra».
«Oh, aveva avuto un’emergenza a Boston, non puoi fargliene una colpa».
«Posso e dovresti farlo anche tu, Arthie».
«Non chiamarmi Arthie!».
«Hai ragione, principessa».
«Davvero TC, ho un nome, brutto ma ce l’ho».
«Principessa, il tuo è un bel nome, è col cognome che ti hanno rovinato».
I due risero, abbandonandosi per un po’ alla birra, già arrivata al tavolo. Arthur iniziò a giocare col sottobicchiere, cercando nel liquido ambrato un po’ di coraggio.
«So che hai ragione, solo che non riesco ad affrontarlo» disse dopo un po’.
TC lo guardò, in uno dei rari momenti di serietà. Era strano vedere Arthur insicuro, pensò: scherzava con la faccenda di Camelot perché il suo amico sembrava una barzelletta vivente, con tutte quelle assurde coincidenza, eppure con la figura leggendaria del re della Britannia aveva in comune un fare regale e carismatico che solo quel Louis riusciva a rendere nullo con pochi gesti e parole. E faceva male, vedere il suo amico perdere la luce che di solito lo caratterizzava perché si ostinava a investire in una relazione che lo snaturava.
«So che, se ascolterai te stesso, farai la cosa giusta, Pendragon» disse dopo un po’, interrompendo il silenzio che si era venuto a creare. Il biondo alzò lo sguardo dalla propria pinta e fissò gli occhi blu in quelli dell’amico.
«Non capisco più chi è Arthur Pendragon» replicò il ragazzo in risposta. TC lo guardò semplicemente, aspettando che l’amico spiegasse cosa intendesse. «Ho una strana voglia di buttarmi in nuovi progetti, ma basta un niente per sentire l’insicurezza assalirmi. Se mi guardo allo specchio, vedo un uomo di circa trent’anni che non riconosco. Mi consideravo forte, ora mi sento come se fossi privo di bussola in un posto sperduto, che non conosco».
Liberatosi di quelle parole, Arthur buttò giù in un sorso tutta la birra che era rimasta nel bicchiere. Sentì la gola pizzicargli e godette di quella sensazione provocata dall’alcol.
«Tutti ci sentiamo così ad un certo punto della nostra vita. Puoi ripartire da capo, quando ti senti così. Chiediti chi sei e non pensare alle persone intorno a te. Con calma, senza pressioni».
«Non è facile, TC, sento pressioni dappertutto».
«E allora prenditi una pausa da tutto. Inventa una balla e prenditi una settimana di tempo, un periodo di congedo o un’altra scusa, ma fermati un attimo. Se non vuoi stare dai tuoi, ti lascio il mio appartamento. Tanto la prossima settimana parto per San Francisco».
Arthur fissò l’amico per qualche secondo. L’idea non era male, anche se avrebbe dovuto fare leva su Gaius per saltare il lavoro per una settimana. Ma c’erano troppe cose in ballo, per le settimane a venire, tra cui l’intervista ai duchi. No, non si poteva proprio fare.
«Per stavolta passo ma grazie per l’offerta» replicò Arthur.
«Come vuoi, principessa. L’offerta non scade» lo rassicurò TC, alzandosi per un altro giro di birre.
 
Si sente il crepitio del fuoco. Un uomo moro passa a un uomo biondo dell’acqua.
«Merlin, qualsiasi cosa accada...».
«Shh, non parlare».
«Sono il re, Merlin. Non puoi dirmi cosa devo fare».
«L’ho sempre fatto. Non ho intenzione di cambiare adesso».
«Non voglio che tu cambi. Io voglio che tu… rimanga sempre… te stesso. Mi dispiace per come ti ho trattato».
 
«Tutta la tua magia, Merlin, non può salvarmi».
«Io posso. Non ho intenzione di perderti». Il moro regge a fatica l’uomo biondo, non riesce a mantenerlo in piedi.
«Solo, tienimi soltanto. Ti prego».
Il moro desiste.
«C’è qualcosa che voglio dirti».
«Non mi dirai addio».
«No, Merlin. Tutto ciò che hai fatto. Lo so ora. Per me, per Camelot. Per il regno che tu mi hai aiutato a costruire...».
«Ce l’avresti fatta anche senza di me».
«Forse. Voglio dire qualcosa… qualcosa che non ti ho mai detto prima…». Il biondo, stanco, guarda intensamente l’altro uomo.
«Grazie». La mano del biondo, che prima aveva messo sul collo del moro, cade. Senza vita.
 
Arthur si svegliò di soprassalto. Si toccò il costato, avvertendo una fitta acuta. Si sorprese a scoprirsi il torace dalla maglia del pigiama. Non ricordava di essersi fatto male.
Stava impazzendo, forse? Perché pensava di aver appena vissuto in sogno la propria morte. E non lo stava pensando perché l’uomo biondo del sogno era identico a lui. Lo pensava perché, in fondo, sapeva di essere morto per una ferita di spada. Era stato Mordred, a ucciderlo. Mordred, in combutta con Morgana, sua sorella.
Gli scoppiava la testa. Una fitta assurda lo costrinse a stringersi le tempie.
Arthur.
Si volse. Perfetto, ora aveva anche allucinazioni uditive.
Arthur Pendragon, Re del Passato e del Futuro.
Non stava accadendo davvero…
È Avalon che ti sta chiamando.
E da qualche parte, nel profondo, Arthur sentì che c’era un senso, a tutto questo. Che quel luogo, quelle rovine che l’avevano sempre inorridito, lo stavano richiamando a sé.
Era il richiamo di Albion.
 
L’aria notturna era pungente, il freddo si avvertiva fino alle ossa. La nebbia era una coltre pesante che copriva tutto il territorio, lasciando in vista solo la collina e la torre, facendole apparire come se galleggiassero per aria.
Arthur aveva sempre evitato quel luogo. Quando era nei paraggi, avvertiva una sensazione strana nel petto, come se un peso lo ancorasse al suolo. Ora sentiva quella stessa sensazione amplificata, sempre più forte, quando sempre meno passi lo dividevano da Glastonbury Tor. Arrivò ai piedi della collina ed ebbe per un momento paura di inoltrarsi in quella nebbia che gli pareva tutto eccetto che un fenomeno naturale. Si disse che, essendo un Re, non doveva temere nulla. Un Re. Fino a qualche ora prima era solo un uomo che si sbronzava in un pub.
Scacciando quell’ultimo pensiero, che gli sembrò troppo umano e inopportuno per un momento del genere, si decise a intraprendere l’ultimo tratto che lo divideva dalla sua meta. Inoltratosi nella nebbia, capì perché non gli sembrava un fenomeno naturale: non lo era. L’aria era fitta, bianca, pesante, e lo avvolgeva. Non sapeva perché i suoi piedi si muovessero in un certo modo, verso una certa direzione. Doveva essere magia. Non vacillava, camminava con la sicurezza di chi vede lo spazio attorno a sé.
E all’improvviso si sentì leggero, il peso, che fino a pochi istanti prima avvertiva, svanito. La nebbia scomparve e davanti a lui si materializzò una radura verdeggiante e luminosa, il sole nella posizione tipica del tramonto, eppure dovevano mancare poche ore all’alba. Guardò l’orologio che aveva al polso: il quadrante era spaccato. Allora si guardò intorno, alla ricerca disperata di qualcosa o qualcuno che gli dicesse cosa diavolo ci faceva lì.
Una ragazza in bianche vesti volteggiava danzando sul prato. Arthur si sentì stranamente rassicurato: qualcosa, nel vedere quella ragazza, gli sembrava familiare. Quando le fu abbastanza vicino, lei si fermò e si voltò di scatto, sorridendogli. Corse verso di lui afferrandogli le mani e volgendo i palmi verso l’alto: al contatto delle mani, linee dorate di quella che doveva essere magia si sprigionarono dal corpo di Arthur, che d’improvviso appariva vestito con indumenti antichi e corona di fiori, non più con i suoi abiti del ventunesimo secolo.
«Arthur Pendragon» sussurrò la ragazza mora che, davanti a lui, ancora gli sorrideva. «Arthur Pendragon», ripeté.
«Dama del Lago» si sentì dire Arthur, senza aver piena coscienza di ciò che diceva.«Freya».
La ragazza gli sorrise. Ora Arthur poté vedere che rivoli di magia le adornavano i capelli come fossero nastri. La magia, potente, scorreva in lei e fuori di lei. Arthur sentiva quella magia.
«Mio Re» disse allora Freya, abbassandosi in un profondo inchino, senza lasciare le mani di Arthur. «Aspettavamo questo momento da tempo, qui ad Avalon».
Arthur la vide rialzarsi e voltarsi verso un palazzo che si trovava sulla sommità della piccola altura, lì dove prima poteva vedere la torre di San Michele. La fanciulla iniziò a dirigersi verso il palazzo, camminando a piedi scalzi sull’erba. Dietro di lei, Arthur, in silenzio, la seguiva, col mantello rosso che volteggiava nell’aria e la corona di fiori ben salda sul capo.
Camminarono come fossero in processione fino alla sommità della collina. Arthur si voltò: non era Glastonbury che li circondava ma un lago, un oceano, forse, una distesa d’acqua che pareva infinita. Provò, allora, una paura improvvisa nel petto e si toccò il costato, come aveva fatto nel letto, percependo la ferita sotto la cotta di maglia.
«Non avere timore, Re del Passato e del Futuro. Avalon ti ha richiamato per darti ciò che è tuo» lo tranquillizzò Freya, indicandogli una roccia alla sua destra.
Lì, incastonata nella roccia, Excalibur splendeva ai raggi del sole.
«Non credo che potrò fare molto, nel mondo di oggi, con una spada» disse Arthur non staccando gli occhi da quella che era stata la sua spada.
«Non la riporterai nel tuo mondo, Arthur Pendragon. Ma dovrai impugnarla per mostrare a te stesso che sei il degno Re di Albion, tornato in vita per compiere la tua missione» replicò la Dama del Lago, delimitando il terreno intorno alla roccia con i suoi passi. «Solo estraendo Excalibur dimostrerai di essere pronto».
Arthur guardò Freya per un attimo, poi tornò a guardare la spada.
«Eppure non capisco», iniziò a dire dando voce ai suoi pensieri. «Cosa sta succedendo? Ho ricordato la mia vita precedente, ma come può essere possibile tutto ciò?».
«Sei il Re del Passato e del Futuro ed era scritto che tu tornassi per il bene di Albion» spiegò Freya.
«In che modo potrei essere utile ad Albion? Tutto è diverso, non c’è sangue reale in me, non sono più re e non posso presentarmi alla regina attualmente in carica come Re del Passato e del Futuro». Ad Arthur sembrava tutto assurdo. Pensò per un attimo all’ipotetico incontro con la regina Elisabetta: l’avrebbero portato alla clinica psichiatrica più vicina, se si fosse presentato come il mitico re che per molti non era neppure esistito realmente.
«È qui che ti sbagli, Arthur Pendragon» replicò la Dama, «non c’è sovrano di questa terra che non sappia della profezia. Qualunque reale d’Inghilterra è sottomesso a te, dal momento del tuo ritorno».
A quelle parole Arthur boccheggiò. I reali sapevano che in un momento imprecisato della storia dell’Inghilterra lui sarebbe tornato dall’oltretomba?
«So che ti sembrerà strano, Arthur, ma tutto ti sarà più chiaro al tuo rientro a Londra, dove il mentore che per te Avalon ha scelto è in attesa» lo rassicurò Freya.
Arthur guardò la ragazza un’ultima volta, poi si diresse verso la roccia. Afferrò l’elsa di Exalibur, mitica e splendente, e non ci volle eccessiva forza per estrarla dalla roccia. Si sentì rinato, con la sua spada tra le mani. Un calore leggero si propagò attraverso il suo corpo. L’incertezza precedente era svanita per lasciar posto a una sicurezza che non ricordava di possedere.
Al suo fianco, Freya allungò le mani e lui, fissando un’ultima volta Excalibur, gliel’affidò.
«Excalibur sarà qui, ad Avalon, se mai ne avrai bisogno, Arthur Pendragon. Per ora il tuo tempo ad Avalon è finito, il mondo dei mortali ti aspetta».
Arthur si ritrovò a fissare Freya andare verso il bacino d’acqua, tracciando magiche linee nell’acqua con Excalibur. Quando la donna scomparve tra le acque, si ritrovò in abiti moderni, all’albeggiare, a pochi metri della torre di San Michele. Guardò la distesa di terre intorno a lui. Il suo regno, il suo popolo, la gente che conosceva, era tutto andato. No, si corresse, c’era Gaius. E Merlin.
Merlin, pensò. Di cui aveva letto i più reconditi segreti. Sospirò, sedendosi sull’erba e guardando il cielo rischiararsi. Rifletté, pensando a cosa avrebbe fatto nel mondo reale. E lì, guardando il paesaggio, decise che, al contrario di quanto aveva sempre fatto, Albion avrebbe atteso un altro po’: la prima cosa che avrebbe fatto era cercare Merlin. L’amico di sempre, il consigliere silenzioso che l’aveva sempre accompagnato nelle sue avventure. L’unica certezza di questa e dell’altra vita.









Angolo della (pessima) autrice
Salve a tutti. Sì, sono proprio una brutta persona, a sparire così. Ma sono state settimane un po' strane. Prima l'università mi ha risucchiato nel vortice di studio matto e disperato di fine sessione. Poi, ahimé, ecco che scoppia il caso Coronavirus. Spero che stiate tutti bene, voi e i vostri cari. <3
Volente o nolente, ne approfitto dello stop per tornare a pubblicare. Il capitolo non è granché, a mio avviso: l'avevo progettato un po' diversamente, invece è uscita fuori questa schifezza. Di sicuro c'è una svolta. Arthur, spinto da quanto ha letto, ricorda tutto tutto. Ah, avete capito chi è TC? Omaggio a Eoin, il caro Gwaine. Sono dell'idea che uno col carattere di Arthur abbia bisogno nella sua vita di uno col carattere di Gwaine. Dunque ecco fatto u.u
Niente Merlin, in questo capitolo, se non attraverso i suoi scritti. Piccola ma doverosa precisazione: io non scrivo poesie né sonetti. Mi ci sono cimentata e l'effetto è un grande boh. Metricamente non sono sonetti. Per di più in inglese non sono una cima. Però ci ho provato. Volevo davvero dare un'idea dello strazio che Merlin ha vissuto durante i suoi anni di solitudine. Ma devo ammettere che è stato anche divertente rileggere, attraverso i pensieri di Arthur, la loro storia e come sarebbe dovuta andare. Sono fermamente convinta che il finale che abbiamo avuto non sia quanto ci meritavamo - o meglio, l'ultima puntata in sé è stata relativamente bella, è la quinta stagione (e forse anche la quarta) che non ha funzionato.
Ma bando alle ciance, chiudo queste note che tra un po' diventano più lunghe del capitolo. Spero di sentirvi e vi ringrazio, come sempre, per essere qui a leggere, seguire, preferire e recensire questa storia. Lo apprezzo tanto <3
Ah. Avete saputo che Colin è stato candidato agli Olivier Awards per All My Sons? E io l'ho pure visto in scena, sono troppo proud!
Ora vi lascio, ci sentiamo presto.
Un abbraccio
Amaryllis

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