Bambina mia

di kikketta_directioner
(/viewuser.php?uid=251601)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo Due ***
Capitolo 4: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sei ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


INTRODUZIONE

Mani fredde e cuore caldo. Mi bastano queste cinque parole per descriverti.
Rossa in viso come lo smalto che porti. 
Neri i capelli come il colore che la notte si veste.
Mi basta guardarti per capire come stai.
Mi basta sfiorarti per sapere di quanto amore sei fatta.
Mi basta sentirti per intendere che in quei respiri che fai mi ci sono rispecchiata io soltanto.
Che io fossi il tuo angelo custode, la tua coscienza o semplicemente te stessa, mi basta camminarti accanto per scoprire come il modo in cui la tua complicatezza si espande, mi porta a vederti diversa e bellissima, e che solo io unicamente possiedo l’onore di essere te in altre forme.
Capito che intendo? 
Dirti che qualsiasi cosa accada, troveremo sempre una soluzione.
Io e te, che di anima siamo la stessa sostanza.


OCCHI A ME!

Questa storia la si trova anche su wattpad con il medesimo titolo
Autore: S_A_R_A

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo Uno ***


CAPITOLO UNO

 Ti ho vista sai? 
 Era buio e faceva freddo. Pioveva anche, ma in modo forte e crudo. Tirava vento; infatti eri sempre impegnata a spostarti quelle ciocche di capelli da davanti il viso.
Eri nel posto sbagliato, e lo sapevi bene, ma non ti pesava molto.
Eri felice? Mentre ti apriva lo sportello della macchina e ti faceva sedere nel sedile accanto a lui.
Te lo sei detta proprio in quel momento:” Non sono né la prima né l’ultima”. Non hai avuto paura, ma quelle tue paranoie di sempre e le tue mille domande ti hanno fatto compagnia per il resto della serata… però sei rimasta anche se volevi chiedergli quale valore avessi in quel momento.
Ma tu lo sai già, eppure resti. Hai questo dannato vizio di restare fino all’ultimo, fino al momento in cui le persone ti feriscono. Ma non ci riesci a non andartene, anche quando sai a cosa stai andando incontro.
E così ti sei sbottonata la giaccia e hai allacciato la cintura di sicurezza. Hai pensato di stare bene, eppure una parte di te voleva andarsene.
Lui ha messo in moto sorridendoti, ma non l’hai notato; eri troppo impegnata a chiederti a cosa stesse pensando di te in quel momento.
Regnava il silenzio. L’unico suono che riuscivi a sentire era quello dei vostri battiti cardiaci. Ti sei chiesta a cosa stesse pensando, e il non poter ricevere risposte ti ha fatta spazientire. Eppure sei rimasta calma, facendo finta di nulla perché l’ultima cosa che avresti voluto fare era quella di trasmettergli ansia.
Agli uomini non piacciono le ragazze troppo insicure; preferiscono quelle con l’autostima al punto giusto.
Ma tu sei fragile, ed avevi paura che lui lo notasse.
E se dovesse succedere cosa fai? Che a stento riesci a respirare quando gli stai accanto.
Poi lui ha fermato la sua auto all’angolo di un grande parcheggio, sotto ad un piccolo portico. Ha abbassato il suo sedile, e così ti sei voltata a guardarlo.
<< Cosa fai? >> gli hai domandato, con l’aria di una ingenua bambina. Ma tu le sue intenzioni le sapevi benissimo. Ti ha sorriso mentre abbassava anche il tuo. Ti ha risposto baciandoti, regalandoti baci dolci, diversi da quelli altrui. Sà come prenderti quel ragazzo, ecco perché hai così tanta paura, perché pensi di non essere all’altezza e non in grado di camminargli accanto. Sei troppo complessata, e lui te lo ricorda spesso.
È successo nel modo più semplice di questo mondo.
Tu eri una preda troppo semplice, o meglio, fragile;
E lui un abilissimo predatore.
Ma eri felice.
Ma stavi bene.
Con quei finestrini appannati, i respiri sul collo, le mani a tenersi strette.
Per un instante non hai pensato a nulla. Forse è per questo che ti sei lasciata andare; hai lasciato andare via i pensieri altrui, cosa avrebbero potuto dire a riguardo i tuoi genitori, le amiche anche…
Hai lasciato andare via, senza accorgertene, una parte di te stessa, e così quando hai riaperto gli occhi e regolato il respiro faceva più buio, il vento era più gelido e tu, tu da quella sera non saresti stata più la stessa.
La piccola Giulia che, profondamente, piccola non è.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo Due ***


CAPITOLO DUE

Se ci ripensi a volte ti manca il respiro, ti manca l’aria. Se ne sono accorti tutti di come sei pensierosa ultimamente, persino quando tutta concentrata prendi appunti e cerchi di rimanere calma.
Però poi capita che ti ritrovi improvvisamente a pensarlo, e così ti tremano le mani, il cuore ti accelera il battito e quasi non esisti più.
Si lo so, sembra tutto così irreale. Te che hai passato una vita lontana dai cuori altrui per cercare di non rimanere più ferita, ora ti ritrovi intrappolata in una rete di emozioni che tu stessa hai creato.
Lo avresti mai detto? Che a partire da un semplice saluto saresti arrivata a condividere il letto, la carriera, gli amici, la vita.
<< Stasera non ci sarò, ho una cena importante di famiglia. Lascio le mie chiavi a casa, mi apri tu? >>. È Elena, la tua coinquilina nonché migliore amica. Sei appena tornata a casa dopo un pomeriggio intero passato in biblioteca a studiare e al pensiero di dover restare nuovamente sola ti crea angoscia.
<< Posso venire anche io? >> domandi scherzando, ma sperando che lei prenda sul serio la tua proposta.
<< Giulia lo sai >> ti riprende. Sì lo sai, ma non vuoi accettarlo. Quand’è stata l’ultima volta che hai avuto anche tu una cena di famiglia?
Fai spallucce e posi la borsa sulla sedia. Sei così stanca che non hai nemmeno le forze di accendere i fornelli e prepararti da mangiare, ma senti lo stomaco che brontola e il freddo inaspettato di aprile non ti aiuta.
<< Ci vediamo dopo, a meno che non ti addormenti prima! >> dice, infilandosi la giacca per poi chiudere la porta ed andarsene.
Regna il silenzio.
È così strano come tu abbia cercato per tanto tempo il silenzio, perché di parole buttate al vento eri stufa di sentirle, e ora che nel silenzio ci sei davvero, cerchi invano la voce di qualcuno capace di spezzarlo.
Ti sfili i jeans stretti e slacci il reggiseno consentendo alla tua felpa di coprirti fino a metà gambe.
Ti vedo mentre stanca apri il frigo cercando da mangiare, mentre la finestra aperta lascia circolare l’aria che da tempo ormai sembra mancare.
<< Diamine, è vuoto! >> scleri, e lo richiudi subito innervosita.
Sì Giulia, è vuoto. Quella sbadata di Elena si è dimenticata nuovamente di fare la spesa.
Ma adesso togliti dalla testa quel nastrino per capelli, perché è da tutto il giorno che te li stringe forte ed è ora di allentarlo se non vuoi farti venire il mal di testa. Toglitelo e infilalo al polso, che è la cosa che dovresti fare anche con le persone negative che ti stringono forte la vita: allentarle, toglierle e infine poggiarle da una parte perché tu possa ricordarle per sempre ma con meno dolore, per evitare che “ti venga mal di testa”. Come pensi di andare avanti dimenticando? 
<< Carola? Sì, sono io >>. Hai composto velocemente il suo numero; ricordare a volte è una fortuna. << No, non ti ho chiamata per stasera >> ribadisci, visto che è da stamattina che le ricordi di non esserci. Giri mezza nuda per la casa cercando di mettere a posto questo disordine che pensandoci meglio è più in ordine di te. << Volevo dirti che domani passo a prenderti io così andiamo a lezione insieme >> le proponi, ma il motivo del suo rifiuto quasi ti fa venire voglia di lanciare tutto in aria e andare a dormire. << Non mi interessa che Leonardo rimane da te!>> ti innervosisci, e al tempo stesso non capisci il perché. Da quando le tue emozioni misurano il doppio del normale? 
Ma mentre cerchi di restare calma il campanello della porta suona.
<< Ti richiamo fra poco, cinque minuti >>.
Così ti avvii verso la porta immaginando il viso di Elena che sicuramente avrà dimenticato qualcosa.
Apri la porta con poco interesse, ma ogni tua difesa e indifferenza crolla a terra quando il paio di occhi che ora ti stanno guardando non portano il nome della tua coinquilina.
<< Ehi… >> sussurri con poca voce restando immobile sul ciglio della porta, con la mano poggiata ad essa che cerca di sorreggerti.
<< Ciao, scusa il disturbo, Elena mi ha detto che eri sola e che il frigo era vuoto. Ho pensato tu avessi fame e bisogno di compagnia >> dice, con voce profonda e tranquilla, e ti squadra dalla testa ai piedi colorandoti di rosso le guance che nel corso della tua vita hanno ricevuto più schiaffi che carezze, e che ora quindi il rossore appare più forte.
Attenta, Giulia. Vorrei tu riuscissi a vedere che dietro quel faccino angelico si nasconde il peggior demone.
<< Ti ringrazio, non ce n’era bisogno >> dici, con fin troppa gentilezza. Sì che ce n’era bisogno! Dopo essersi preso la cosa più preziosa e fragile di te, questo è il minimo che dovrebbe fare.
<< Allora, mi fai entrare? O restiamo qui sulla soglia a guardarci e basta? >> dice sorridendo, e io spero vivamente che tu prenda in mano la situazione e mandarlo in quel posto conosciuto da molti e abitato da pochi, purtroppo.
<< Non mi piace il tuo gioco, Michele >> dici senza rendertene conto.
<< Ho solo portato la pizza >>
<< Non è questione di pizza! Si tratta che qui, la sola persona che gioca senza carte, sono io >> dici sperando con tutta te stessa che lui capisca. So che lo detesti, mi basta vedere il tuo comportamento nei suoi confronti… così freddo, arrogante, diretto. Ma so anche che lo ami, perché mi basta vedere come lo guardi. 
<< Giulia dai, è una serata tranquilla e non ho intenzione di stravolgertela >>.
“ Non è tranquilla, è frustante.” Pensi, e i suoi occhi sembrano sinceri, sinceri come quando ti diceva che non voleva che tu te ne andassi, e poi puntualmente il primo ad andarsene fu lui.
<< Io non mi fido di me quando sto con te. E soprattutto non mi fido di te quando mi giuri le cose >>
<< Non ti sto facendo nessuna promessa, ti sto solo chiedendo di farmi entrare perché qui fuori fa freddo e penso sia il luogo meno adatto per affrontare una conversazione, non trovi? >>. Il suo profumo ti incendia i polmoni e ti riempie lo stomaco fino a farti passare la fame. Ciò ti sazia ma non ti soddisfa.
Ti decidi a farlo entrare mentre questo appartamento vuoto, con il suo arrivo, si sta guadagnando l’appellitivo di “casa”; perché casa non è più casa da quando Elena è sempre assente e tu non hai braccia in cui perderti.
<< Com’è andata oggi a lezione? >> ti domanda, e appoggia la scatola della pizza ancora chiusa sul tavolo.
Te lo immagini come sarebbe vivere con lui. Vivere con la sicurezza di svegliarti un mattino e sapere che lui è con te. Pensare a come sarebbe la tua abitudine di vita se solo portasse il suo nome.
<< Lezione poco interessante, hai fatto bene a non venire >> lo informi, ma riconosci il fatto che se lui ci sarebbe stato, probabilmente quella lezione avrebbe avuto più senso.
<< Sei stanca eh. Per una volta potresti riposarti e restare a casa >> ti dice, quando ormai si è tolto anche lui la felpa leggera e ora si comporta come se questo fosse il suo appartamento.
Abitudine. Pensi sia questo l’amore: un’abitudine, come quando dopo il caffè cerchi la sigaretta. Non è banale il detto del “l’amore ti cambia la vita”, eppure se ci pensi certi amori non te la cambiano affatto.
<< Non sono stanca >> dici, forse più a te stessa che a lui.
<< Sì, certo >> sbuffa, sedendosi sul divano e accendendo la televisione.
Nel frattempo sei rimasta davanti alla porta ferma, irritata, confusa, arrabbiata e tanto, tanto innamorata.
<< Tutto questo è assurdo >> sussurri, e ti incammini verso di lui. Gli afferri il telecomando dalle mani e spegni la t.v.
<< Giulia, che palle! Era un bel film… >> si lamenta, ma a te non interessa.
<< Era appena iniziato, non puoi dirlo. E comunque, qual è il vero motivo? >> chiedi, mettendoti seduta di fronte a lui con le braccia conserte come se volessi proteggere il cuore.
<< Di cosa? >>. Non capisce.
<< Perché sei qui? I tuoi amici ti stanno aspettando >>
<< Anche tu sei mia amica >> dice, e quasi ti si congela il cuore. Ti afferra per un braccio e ti attira verso di lui, ma ringrazio il cielo quando vedo che ti alzi di scatto facendolo smettere di cercare contatto.
<< Mi prendi in giro? >> ti incazzi. Lui si alza, e tu sei costretta ad alzare di poco la testa per poterlo guardare negli occhi. La sua altezza è come se ti dominasse, a volte. Tu che non ti senti inferiore a nessuno; tu che hai sempre tutto sotto controllo, mi dici dove è finita la tua forza adesso? A stenti gli riesci a stare accanto.
<< Quanto sei bella quando ti alteri >> ammette, accogliendo il tuo viso nelle sue mani, ma tu lo spingi sul divano facendolo risedere. 
Ti senti forte ma non lo sei.
Non basterà questo tuo atteggiamento a farglielo capire.
<< Noi non siamo amici >> 
<< Mi vuoi così male? >>
<< Mi dici cosa pensi di fare?  Perché sinceramente Michele, noi non facciamo cose che fanno gli amici, e io sono stufa di essere trattata come una bambolina da appoggiare su uno scaffale e giocarci solo quando si ha voglia >> alzi di poco la voce, perché vuoi che lui capisca davvero, ma non sai che a volte sono le cose sussurrate a bassa voce che si sentono forte.
Lui si rialza lentamente, e lentamente ti riprende il volto fra le mani per baciarti la fronte. Gli stringi le mani intorno ai polsi per poterlo scansare nuovamente, ma ecco che rimani ferma ancora, e ancora questo tuo gesto non prende forma.
<< Mi ha proposto di restare, pensa di fare tardi e non vuole che passi la notte da sola, quindi vuoi o non vuoi dovrò rimanere qui >> confessa, e sposti il viso facendo qualche passo indietro.
<< Non ho bisogno di qualcuno. So stare da sola >> gli dici, ma lui ti ignora e ti trascina in camera facilmente. La tua stanchezza stasera ti rende indifesa.
<< Ma piantala, adesso ci mettiamo il pigiama e andiamo a dormire >> dice dolcemente e quasi non vuoi crederci.
<< Domani parlo con Elena, è l’ultima volta che mi fa un pezzo del genere >> ti lasci dire.
<< In fondo sei felice che rimanga. Ammettilo >>
<< Devo impostare la sveglia per domani, quindi ti consiglio di lasciarmi dormire stanotte >> gli dici.
Lui non ti ascolta. Ti toglie fra le mani il telefono e lo spenge.
<< Non andrai a lezione domani >>
<< Non dormirai nel mio letto stanotte >>
<< Peggio per te, non sai che ti perdi >> dice, lasciandoti un bacio sulla guancia per poi uscire dalla tua camera. Lo senti mentre si dirige verso la camera di Elena.
“Qualcosa l’ho persa.” Pensi, togliendoti poi la felpa. Chiudi a chiave la porta; non vuoi donarti ancora a lui.
Spengi la luce e ti infili sotto le coperte.
<< Buonanotte! >> lo senti gridare dall’altra stanza e ti scappa un sorriso.
<< Buonanotte…>> sussurri.
La pizza, ormai, è fredda.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo Tre ***


CAPITOLO TRE

Stanotte il cielo è oscuro davvero. Hai visto quanti tuoni? Hanno acceso la tua stanza.
Non riesci a dormire nemmeno stasera; sei un continuo rigirarti nel letto in cerca delle sue mani, ma alla fine le uniche dita che intrecci sono le tue.  Vorresti dormire, lo so, perché è l’unico modo per non pensarci, e per quanto ti ci impegni non ci riesci. 
La pioggia sbatte con violenza sulla tua finestra, il vento tira forte e i tuoni spaccano il cielo; e tu? Tu sei qui che vorresti prendere la valigia e andartene perché c’è un mostro dentro te che grida il tuo nome e tu sei stanca di sentirlo. 
Ormai priva di sonno, ti alzi dal letto spostando le coperte e cerchi nel buio il pacchetto di marlboro.
Hai un cuore incastrato nel petto che ti batte forte, e tu non lo senti. Sei troppo impegnata a ricordare l’inizio di tutto questo casino che ti ha intrappolata.
Ti viene da piangere e non lo fai, così accendi la luce e ti siedi sopra la tua scrivania fissando il tuo letto, per poi accendere una sigaretta. Non ti è solito fumare in casa, da sola e con la finestra chiusa, ma ultimamente molte cose vanno come non dovrebbero andare, e la cosa peggiore che tu possa fare è ignorarle.
Ma vorrei tu restassi così: fragile, forte, piena di vita. Vorrei tu restassi femmina, vestita di sogni, speranze, paure, gioia, dolore, obiettivi, amore…
Vorrei che tu crescessi senza dimenticare davvero chi sei. Vorrei vederti fiera di ciò che lentamente stai costruendo, anche se attualmente non te ne rendi conto.
Vorrei vederti diversa mentre resti te stessa, e vorrei vederti accanto ad un uomo che ti ami più della sua stessa vita.
Vi divide solo un muro sottile.
Tu qui, a ricordare tutto.
Lui dall’altra parte che tiene gli occhi aperti, e tu non lo sai.
Siete due maleducati: volersi e non prendersi, mancarsi e tenerlo nascosto, baciarsi mentre piove a dirotto e non essere niente. 
Apri la porta e bussi alla sua. << Michè? >> domandi piano. Spalanchi la porta rimasta socchiusa e in punta di piedi entri nella stanza.
Se ne sta girato di spalle con le coperte ai piedi del letto. Come siete arrivati fin qui? 
Divisi.
Spenti.
Lontani.
Sta facendo finta di dormire, e resta immobile mentre cerchi di trovare il posacenere che Elena avrà sicuramente preso e perso nella stanza.
Ti ricordi la tua prima sigaretta? Era sera ed eri felice, brilla, in compagnia di persone a cui avresti dato l’anima se solo te lo avessero chiesto.
<< Solo un tiro >> hai preannunciato, e poi è finita che te ne sei fumate tre; e così ti girava la testa, gli occhi si chiudevano dal sonno, e guarda caso le braccia che ti hanno riportata a casa sana e salva erano le sue: quelle di Michele, che ora è qui sdraiato sul letto facendo finta di dormire solo per poterti osservare.
Ma non te lo dice, perché non vuole ammetterlo nemmeno a se stesso. Lui che non si è innamorato mai, te che ti sei innamorata troppe volte. Entrambi vi allontanate per paura della verità… per la paura di essere felici.
Ma dimmi, stando così ti senti felice? Ti vedo impacciata anche ora che ti ostini a cercare questo maledetto posacenere, senza pensare che forse sarebbe meglio buttarla, la sigaretta.
Lui non si sente felice, si sente perso. Si è perso a causa tua e tu, tu non lo sai.
Parlane, Giulia. Fare passi indietro non ti porterà da nessuna parte. Dille le cose che devi dire. Urla le cose che vuoi urlare. Chiarisci i punti che devi chiarire.
<< Mi spieghi che cosa stai facendo? >>. Sobbalzi. La sua voce stanca e assonata ti hanno colta di sorpresa.
<< Questa è casa mia e faccio quello che voglio >> e cerchi di coprirti con la prima felpa che ti capita fra le mani. Ecco, ci risiamo con la tua freddezza di sempre, però sei quasi simpatica quando cerchi di prendere in mano la situazione.
<< Mi hai svegliato >>
<< Succede, non l’ho fatto apposta >>
<< Non dovevi dormire? >>.
Lo ignori, perché vorresti dirgli che sono notti che ci provi e che non ci riesci. 
Si mette a sedere sul letto mentre si stropiccia gli occhi. << Dai, vieni qua >>. Rotei gli occhi al cielo e gli lanci addosso, con poca forza, la sua felpa.
<< Michele >>
<< Giulia >>
<< Smettila di prendermi per il culo >>
<< Ancora con questa storia?! >> si irrita, ma rimane fermo nella sua posizione. 
Sembra non capirti, ma si decide a prendere parola quando vede che sei pronta ad aprire la porta e ritornartene in camera tua.
<< Non bisogna metterci fretta >> annuncia. Ti volti verso di lui con sguardo arrogante, e ti chiedi come sia possibile che questo ragazzo non riesca davvero a capire in quale orrenda situazione siete arrivati.
<< Ma la fretta di cosa? Di provare ad essere felici con la persona che ci piace? Non ti sto chiedendo di svegliarti domani mattina e di pensare di amarmi. Ho soltanto pensato che non si potrà mai arrivare al decimo scalino se non si parte dal primo >> dici, mentre ti ritrovi vestita di pelle d’oca. Non hai freddo, nonostante il vento sia gelido, ma hai emozioni contrastanti da tenere sotto controllo e che ora persino guardarlo al silenzio del buio ti sembra sbagliato.
<< Qui il contesto è diverso, Giulia. Non stiamo salendo delle scale >>
<< Che cazzo, Michele! >> sbraiti.
<< Cosa ti incavoli a fare?! Non voglio andare di fretta, è così strano da accettare? >>
<< E’ così strano da pensare >>. Sbuffa alla tua insistenza. Giulia, impara che di notte non vanno affrontate certe conversazioni, nonostante sia il momento in cui gli esseri umani siano più sinceri. Ma sono anche più stanchi, perché le preoccupazioni, le gioie, i pensieri più sottili… emergono in superficie e rimangono lì, tutta la notte.
<< Abbiamo sofferto entrambi proprio per questa ragione, in passato. Non ti è bastato? >> ti domanda, ma non sa che pensi a queste cose da giorni ormai, e che quindi alle sue osservazioni hai già da tempo la risposta pronta.
<< In passato abbiamo sofferto perché quelle non erano le persone giuste per noi. Non c’è mai fretta se si ha voglia di iniziare un percorso. Dici di essere una persona spontanea e invece riesco a vedere le tue emozioni legate dentro perché tu hai paura di farle uscire. Perché tu hai paura di affezionarti. Perché tu hai paura di essere felice. Perché tu hai paura che quella felicità, un giorno, ti venga tolta >>
<< Stai andando fuori discorso >>. Vuole farti smettere, ma tu sei così impulsiva e ansiosa di ricevere risposte.
<< L’ho centrato in pieno, il discorso, invece >>. 
<< Non voglio andare di fretta perché le cose nascono lentamente; non ti accorgi di come i fiori, prima che sbocciano, passano giorni e giorni sotto terra? >>. Silenzio. La tua mano afferra la maniglia della porta, decisa ad andartene. Poi però succede che ci pensi, e con voce bassa contraccambi la domanda.
<< Non ti accorgi di come, i fiori, prima che sbocciano, hanno bisogno di qualcuno che ne pianti il seme? >>.
Ti guarda in silenzio con la bocca socchiusa, incapace di far uscire parola.Ma non aspetti la risposta, infatti ti affretti a ritornartene in stanza più confusa di prima. Ti penti di aver aperto il discorso; ciò gli ha dato la convinzione di averti in pugno. Non sa però che sei abilissima ad affezionarti, ma coraggiosa ad andartene quando le cose non vanno. 
Adesso però spegni quel telefono e dormi. Regalati l’onore di restare, per un po', senza pensieri.

















Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo Quattro ***


CAPITOLO QUATTRO
La sveglia, stamattina, non ha suonato. Ti sei dimenticata di impostarla; grande era il bisogno di dormire che hai spento velocemente il tuo cellulare.
Ha smesso di piovere e fuori c’è il sole.
Ti alzi dal letto mentre stanca sbadigli, e ti avvii in cucina dove lo scatolone della pizza è ancora poggiato sul tavolo. Ne tagli una fetta e la riscaldi dentro questo piccolo fornetto che tua madre ti comprò con tanto amore. Pensi di invitarla a pranzo, ma subito i tuoi impegni si fanno spazio nella tua testa e sei costretta a rimandare per un altro giorno. Ti raccogli i capelli in una coda di cavallo, mentre pensi all’ennesima lezione saltata per via del tuo comportamento instabile che ultimamente sta prendendo il sopravvento.
Il sole ti accarezza la schiena nuda e ti crea sollievo. Dai un’occhiata alla porta della stanza dove stanotte ha dormito lui. È ancora chiusa, così mentre ti affretti a tirare fuori dal fornetto la tua colazione, ti domandi se lui è rimasto ancora lì dentro o se stamattina presto abbia raccolto le sue cose e lasciata da sola qui, a riscaldare pezzi di pizza alle dieci del mattino.
Scuoti la testa cercando di scacciare via questi pensieri e fai il primo morso. È disgustosa, ma hai troppa fame per dargliene peso. Il tuo telefono vibra mostrando l’anteprima di un messaggio: è Elena.
“ A mezzogiorno fatti trovare al bar del parco, non voglio scuse! “
Sbuffi e intanto ti decidi a finire di mangiare. Hai due ore, solo due ore per pulire casa, vestirti, fare la spesa e riordinare il cuore, la testa e la vita. 
Cerchi di non pensarci. Cerchi di non parlarne con nessuno… tutte azioni che pensi che ti faranno del bene e invece non ti accorgi di quanto, lentamente, ti stanno uccidendo.
Ti decidi ad alzarti e raggiungere il bagno. Ti infili nella doccia senza prima struccarti. È uno dei tuoi tanti vizi che fanno di te una persona diversa, come quello di ascoltare la musica prima di andare a dormire o lasciare sempre, ma sempre, un pezzetto di qualsiasi cosa che mangi. Sono rare le volte in cui riesci a finire tutto e lasciare il piatto pulito.
Ma ridacchi mentre apri il rubinetto dell’acqua calda, senza aprire un po' quello dell’acqua fredda. Anche d’estate è sempre la stessa storia: acqua bollente che appanna i vetri. È come se volessi appannarti anche tu, per essere vista un po' sfocata, per non mostrarti mai del tutto… cercando qualcuno che, quei vetri, riesca a spannarli. Qualcuno che riesca a spannarti.



Hai ritardato di mezz’ora, e già riesci a vedere il viso imbronciato di Elena che ora ti sta aspettando davanti all’entrata del bar con le braccia conserte. Lo so che non ti andava di venire, perché vederlo ancora ti fa sentire come se avessi gettato il cuore in mezzo alla strada dove macchine lo investono di continuo, ma stare sempre dentro casa a pensare non ti farà arrivare da nessuna parte.
Ma a te non importa. Hai smesso di raccontarti, di viverti. Ti nascondi dietro il trucco che dipingi sul viso ogni volta che metti piede fuori casa, e non ti accorgi invece di come è più bello il tuo sorriso quando non ti colori le labbra di rosso.
<< Trenta minuti. TRENTA!>>. Già ti irrita, ma le sorridi salutandola come se niente fosse.
<< Ho voglia di gelato >> annunci, mentre ti incammini verso gli altri.
<< Giulia la prossima volta che ritardi così tanto ti lascio fuori casa per una settimana>> continua lei, e quasi ti viene da riderle in faccia per la sua espressione sconvolta che porta sul volto.
<< Cioccolato e banana andrebbero bene, che dici? >> le chiedi, ignorando completamente il suo ricatto.
Come stai? Adesso che la notte è passata, adesso che ridi, adesso che non sei più a casa, adesso che lui non è accanto a te. 
Lo sento il tuo cuore che ti batte forte e troppo è il sangue che circola al suo interno. Troppe emozioni, bambina mia; troppe emozioni che non riesci a controllare.
Ma adesso fai un bel respiro e siediti accanto i tuoi amici, nonostante le paranoie ti assalgano, nonostante pensi che loro non ti vogliano bene. Siediti e prova a vivere con più leggerezza.
Ma tu ti siedi con pesantezza e tiri fuori il tuo pacchetto di marlboro.
<< Tu fumi? >> ti domanda Marco appena ti vede intenta a prenderne una. Lo guardi di sfuggita negli occhi.
<< Ogni tanto, quando capita >> gli dici, pensando fosse normale. Sei consapevole del fatto che faccia male, eppure continui a farlo. Il tuo è un problema generale.
<< Giulia, ma da quando?! Insomma… non riesco a vederti con una sigaretta in mano >> continua lui, attirando l’attenzione degli altri che ora ti guardano con leggero stupore.
<< Però non guardatemi come se avessi ucciso qualcuno >>
<< Sei così innocua, buttala, non ti si addice >> interviene Angela.
<< E’ libera di fare ciò che vuole >> ti difende Elena, concentrata intanto a rispondere a più messaggi.
<< Sai che fa male? >>. Scoppi a ridere, ma non perché tu sia felice, ma perché pensi che queste persone che dicono di conoscerti bene in realtà sanno ben poco.
<< Devo davvero risponderti? >> rispondi con un’altra domanda e vorresti con tutta te stessa che capiscano che tu non sei una ragazzina e sai quello che fai, nonostante a volte tu non voglia.
Ma la verità, signorina mia, è che vorresti qualcuno che ti dica esattamente cosa fare, anche se i tuoi modi di fare da sapientina e da donna vissuta prendano il sopravvento.
Così li ignori mentre ti guardi intorno accorgendoti che oggi il bar è piuttosto privo di clienti. Ti guardi intorno cercandolo anche se sai che questa mattina non verrà per sedersi su questa sedia accanto a te come un tempo. 
Si crea una risata generale e ti sforzi nel partecipare, ma non vorresti. Vorresti urlare, perché non poterlo vivere come vorresti tu è un’agonia che lentamente ti divora. Vorresti urlare aiuto, perché te ne serve e molto probabilmente la mia presenza è soltanto un soffio di vento che ti scivola addosso. Vorresti che lui fosse qui per dirti che non è cambiato niente, che alla base di tutto c’è sentimento… ma qui niente è iniziato, tutto è diverso e alla base ci sono soltanto attimi sottili come carta capaci di ferirti.
Nel frattempo hai finito anche questa sigaretta e i loro discorsi cominci a non seguirli più.
Cominci a pensare di dargli buca, sabato, per quella uscita di gruppo dove lui sarà presente.
Cominci a pensare che forse sarebbe stato meglio non guardarlo negli occhi quell’otto aprile, in quel parco dove la vista della città era lo sfondo perfetto per le storie d’amore.
Cominci a pensare di andartene senza dire niente; lasciare un biglietto sul comodino con scritto “questo posto non fa per me”.
Perché hai messo in dubbio l’amore, l’amicizia, la famiglia e soprattutto hai messo in dubbio te stessa. È una vita che porti avanti la sicurezza di sapere chi sei, ed oggi ti ritrovo seduta in un angolo del mondo a chiederti dov’è la parte di te che s’è persa per strada e che ora non si fa più trovare, capire, accogliere…
Cominci a pensare che oggi è davvero una bella giornata e che il sole splende più del solito, ma che lui non c’è per renderlo migliore. E allora ti chiedi dove sia, costantemente è la fretta di sapere se ti pensa o se il tuo nome gli fa eco nella mente soltanto nei giorni di pioggia.
Cominci a pensare a come sarebbe stato se fossi stata più dura; se tu avessi portato maggior rispetto nei tuoi confronti… se avessi messo te prima di lui, prima di tutti.
E ti chiedi perché hai così tante paure da cui devi scappare.
Paura di restare sola.
Paura ad andartene… non sapresti nemmeno come elencarle. Non sapresti nemmeno se dargli importanza.
Ma cominci a pensare che oggi è una bella giornata, e lui… lui non è qui a renderla migliore.
Lui non è qui.





 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo cinque ***


CAPITOLO CINQUE

 

Indossi un vestito troppo corto che guardandoti bene non ti dona affatto, eppure hai svuotato l’intero armadio per riuscire a trovarlo e infine indossarlo come se fosse l’abito cucito apposta per il tuo corpo. Alla fine ti sei convinta ad andare con loro stasera, nonostante tu non avessi voglia né di ballare né di bere.

<< Ti divertirai >> ti hanno detto per l’ennesima volta, ma tu hai subito pensato a tutte quelle volte che credevi di passare una bella serata e alla fine ti sei ritrovata come chi al mattino si risveglia senza aver sognato nulla di bello durante la notte.

Cerchi di convincerti che tutto andrà bene mentre la musica alta risuona per tutto il quartiere.

Cerchi di convincerti che i tacchi che indossi non ti fanno male ai piedi e che stasera sarà l’ultima sera che penserai a lui.

Cerchi di convincerti che passerà in fretta mentre i tuoi amici ti passano uno shottino dopo l’altro e che ti accorgi di non dover più accettare quando inizi a sentire lo stomaco bruciare.

<< Non ti stai regolando >>

<< Per una volta non succede niente >> dici, e nel mentre li vedi sfocati.

A prenderti per un braccio e portarti fuori dal locale, però, sai bene chi è. Lo riconosci dal profumo che indossa e dal calore della sua pelle.

<< Prendi un po' d’aria. Non rientrare fin quando non ti sentirai meglio >> si raccomanda per poi lasciarti sola.

Poche parole, poche parole che riescono a farti passare tutto, tanto che ora la testa non ti gira più e il senso di nausea sembra essere scomparso.

Poche parole, poche parole dette da lui e tutto va già meglio.

Solo una cosa non va come dovrebbe andare: il battito cardiaco.

Batte troppo forte da farti tremare le mani. Mi dici dove ti arriva il cuore quando lo guardi appena? E quando lo baci lo senti vivo o la sua presenza pare non esserci?

Te ne resti seduta nello stesso punto dove lui ti ha lasciata, mentre i minuti che passano sembrano essere solo pochi secondi per te. Strano, vero? Come tutto si è contorto; come tutto è cambiato in soli pochi secondi.

<< Stai bene? >>. Ti volti a malapena per guardare chi è. Disinteressata e sfuggente, ti limiti a fare un cenno positivo con la testa.

Elena si siede accanto a te con ancora il suo drink fra le mani. << Quando ero piccola pensavo che mia zia fosse un supereroe >> inizia a raccontare, senza guardarti. Ti volti verso di lei non capendo, ma resti taciturna mentre continua a raccontare. << Lei viaggiava molto, mi portava regali e fotografie delle città che visitava: erano meravigliose. Un giorno però, mentre l’aiutavo a sistemare le valigie, trovai la foto di un uomo con accanto una lettera >> ha gli occhi che le brillano, e lo sguardo perso nel vuoto, perso nei ricordi.

<< Era suo marito? >> domandi. Lei nasconde un piccolo sorriso e abbassa improvvisamente lo sguardo.

<< Era il suo sorriso quando al mattino si svegliava, ma mia zia per lui era soltanto una donna qualunque; un corpo da abbracciare nelle stagioni fredde, e da evitare in quelle calde… >>

<< Mi dispiace… >> sussurri, ma lei ti sorride spensierata. 

<< Non devi. Poi è cresciuta, si è sposata e ora ha dei figli e un uomo che l’ama con tutto se stesso >>

<< Tutto è bene quel che finisce bene, insomma >> ridacchi guardando davanti a te la strada che ora è priva di autoveicoli e pedoni. Senti Elena che beve l’ultimo sorso del suo drink per poi alzarsi e tenderti la mano.

<< Ti gira ancora la testa? >> ti domanda subito dopo averle afferrato la mano per farti aiutare ad alzarti.

<< Poco >> ammetti, ma prima che mettete piede nel locale, Elena ti blocca << Tutta questa storia soltanto per dirti che non sempre chi ami da morire è disposto a fare la stessa cosa per te. Tu devi evitare di essere un corpo qualunque, perché quando meno te lo aspetti arriverà ciò che hai sempre voluto >>

<< Sono parole già sentite. Me le diceva sempre mia mamma >> le fai notare, ma lei non si arrende.

<< Sono parole vere >>. Alzi gli occhi al cielo, perché a queste parole non hai mai creduto. Ti hanno sempre detto di lottare per quello che vuoi davvero, di rompere i muri che le persone ti mettono davanti alle loro vite per non essere raggiunte, per non essere scoperte… per metterti alla prova. Ora invece, ti suggeriscono di lasciar perdere chi, a te, ha lasciato stare già da tempo.

<< Lascialo stare, evitalo. La sua decisione l’ha già presa e sta cercando di dimostrartelo in tutti i modi>>

<< Non voglio credere che siamo finiti davvero >>

<< Ma perché, siete mai iniziati? Da quel che so io, è stato un continuo esserci senza volerlo davvero>>.

Sospiri e cerchi di non pensarci troppo.

<< La festa è finita, Giulia >>

<< E’ appena iniziata >> dici, indicandole il locale.

<< Non mi riferivo a questa! Ma a voi due >>. La ignori, perché lei non sa che lui è un pensiero fisso. Non sa che tremi solo a guardarlo, a come ti basta sentire pronunciare il suo nome per fari rifiorire centinaia di ricordi. Perché ci saresti stata se solo te lo avesse chiesto.

Ci saresti stata nei suoi giorni migliori, nei suoi giorni peggiori, nei giorni in cui a tratti sarebbe riuscito a distinguere i colori del mondo.

Ci saresti stata nel momento in cui il silenzio sarebbe stato il suo migliore amico; avresti potuto fargli compagnia condividendo insieme il rumore della vita.

Ci saresti stata alla luce del giorno per dirgli che anche stavolta il sole è sorto; costante la notte, ci saresti stata per dirgli che alle stelle serve il buio per brillare.

E ci saresti stata alla prima chiamata, alla prima cazzata; alla prima e pura voglia di esserci sempre.

<< Lascialo stare, intesi? Non ti rende felice, e io voglio vederti sorridere >> ti dice prima di aprire la porta.

“Ci sono dentro fino alle ossa” pensi, e sfoderi il tuo più bel sorriso che pur essendo falso in questo momento, vuole renderti forte.



 

La strada per tornare a casa è davvero breve, ma il tempo sembra non passare mai da quando le risatine di Elena e Michele fanno eco nella macchina.

Marco guida concentrato e attento, mentre i tuoi occhi stanchi vorrebbero chiudersi solo per non vederli ridere e giocare.

Lui le sfiora la pelle, i capelli, le gambe…

Lei acconsente ad ogni suo tocco.

Sei indecisa tra chi mandare a fanculo prima. Ti vedo come stringi i pugni fino a farti male e da come stringi forte la mascella.

<< Sono brilli >> ti informa Marco senza distogliere lo sguardo dalla strada. Probabilmente ha notato anche lui che questa situazione è devastante per te.

<< Non le stacca gli occhi da dosso >> grugnisci, perché prima eri tu quella persona che guardava sempre.

<< Domani sarà già passato tutto >> continua lui cercando di tranquillizzarti.

<< Senti Marco, non prendiamoci in giro. Se non la smettono entro cinque minuti, io a fine serata li picchio!>> sbraiti, senza paura che possano sentirti perché sono troppo concentrati su loro due adesso che la tua voce risulta soltanto come un sussurro.

Hai paura, perché pensi che lei voglia portartelo via, ma non ti accorgi di come lui sia entrato nella tua vita senza bussare, vestito d’angelo, senza accorgersi che le sue ali nere nascoste sotto il suo abito bianco facevano contrasto. Lo guardavi negli occhi con la stessa meraviglia di chi vede realizzarsi tutti i suoi obiettivi.

Ora che se ne sta andando via senza avvisare, in silenzio, stai capendo com’è facile perdere le parole di fronte a chi ti dice “come stai?”.

Come pretendono che tu stia? Passerà tutto. Passerà come passano le cose brutte, ma lui è stata una cosa bella, seppur complicata.

<< Giulia, sono sbronzi. Insomma guardali! >>

<< Li sto guardando da tutto il tempo. Non è comportamen->>. Ti interrompe nello stesso momento in cui accosta sotto casa tua.

<> ti dice voltandosi per guardarti. Hai come la strana sensazione che lui ti stesse nascondendo qualcosa.

<< Fa male >> sussurri. Hai racchiuso tutto ciò che pensi in due semplici parole. 

<< Non puoi starci così male >> quasi si lamenta. Sei pronta a rispondergli, ma subito ci ripensi quando realizzi che potresti spiegarglielo in centomila modi, ma lui non capirebbe lo stesso.

<< Buonanotte Marco, e grazie >>.

Sognalo stanotte,

quando ti baciava forte e ti teneva stretta fra le sue braccia per paura di perderti.

Quando erano più i sorrisi che ti regalava anziché le assenze; ora ti divorano.

Sognalo stanotte, quando assumeva la forma del ragazzo perfetto. Quando tutto andava come doveva andare.

Quando non c’erano paure a frenarti. Quando eri felice, felice di stare con lui.

Sognatevi stanotte,

quando bastavate voi per stare bene, e i problemi vi scivolavano addosso convinti di poterli affrontare insieme. Quando persino un cielo grigio vi trasmetteva allegria: ora è grigio e basta.

Ora che le coperte non riescono a scaldare il cuore rendendoti fragile alle emozioni più sottili, tu sognalo stanotte, che magari ti sogna anche lui.



 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo Sei ***


CAPITOLO SEI

 

Sono passati tre giorni da quella sera; giusto il tempo per potervi organizzare e confermare il vostro viaggio di studio.

Andrete in Puglia, precisamente ad Otranto, e l’idea di dover affrontare un viaggio di cinque ore già ti stressa.

Elena intanto ha già preparato la sua valigia e ora sta preparando la colazione, mentre tu sei rimasta con l’asciugamano tra i capelli e una maglietta troppo corta a coprirti il seno.

<< Lo vuoi il caffè nel latte? >> ti domanda aprendo la porta. Cerchi di capire cosa devi portare esattamente, perché la valigia che hai è troppo piccola per i tuoi gusti e i tuoi libri occupano la metà dello spazio. 

<< Si va bene >> rispondi senza nemmeno pensare.

<< Prima di uscire riordina la stanza. Ci sono vestiti sparsi ovunque >> ti fa notare, e già ti irrita.

<< È il mio modo per concentrarmi, e poi è la mia stanza e te non sei mia madre >> borbotti senza nemmeno guardarla. Proprio non riesci a capire perché non guardi più Elena con gli occhi di prima, e come mai lei sia così distante seppur vicina. 

<< Ti ho solo detto che hai la camera in disordine>>

<< E io ti ho solo detto che questa è la mia stanza e che quindi non è compito tuo gestirla >> ti fermi per guardarla, perché finora non hai fatto altro che camminare a piedi nudi per la camera in cerca di qualcosa che ancora non hai trovato.

Sai che c’è, Giulia? Che sono stanca di vederti sempre agitata, arrabbiata, triste e fortemente fragile. È diventato ansioso persino guardarti, persino sentirti. Io che riesco a vederti dentro, non riesco a trovare nemmeno un briciolo di quiete: sei una tempesta.

Hai questa voglia di urlare, piangere, andare via, poi tornare. Hai rabbia, paura, ansia e pensi sempre che nessuno è in grado di capirti. La verità è che tu non ti sei mai spiegata. Per lo meno ci hai provato, ma hai sempre pronunciato metà delle parole che ti covi dentro, e quella metà non erano nemmeno le parole giuste da dire.

Anche quando ridi, ma ridi forte, lo vedo che vorresti che qualcuno ti bloccasse e ti dicesse che, quella rosa bianca che hai inciso sulla pelle, sarà colorata da qualcuno in grado di farlo; d’altronde è il motivo per la quale l’hai fatta, eppure quando tutti ti chiedono perché è rimasta incompleta, rispondi sempre: mi piaceva così. No, non ti piaceva affatto così.

<< Quando ti deciderai a calmarti, ma per davvero Giulia, sappi che il tuo caffè-latte è sul tavolo >>.

Trattieni un respiro e chiudi gli occhi. Anche stavolta ti sei sentita incompresa.

Avresti potuto dirglielo, che ti manca. 

Avresti potuto dirle che hai bisogno di aiuto, perché la tua felicità sta dipendendo da un messaggio che non arriva mai e da un paio di occhi che ora non ti guardano più.

Avresti potuto riaprire la porta e abbracciarla, magari chiederle scusa se a volte rispondi in modo acido e freddo, ma spiegarle che è un comportamento non voluto e infrenabile.

Come ti dicevo, avresti potuto spiegarti invece di rimanere zitta a trattenere respiri con gli occhi chiusi.

Riprendi a respirare solo quando il nodo alla gola sembra essersi sciolto, così riapri gli occhi e ti indirizzi di nuovo verso l’armadio semi vuoto. Afferri le prime cose che ti capitano fra le mani, sperando che starai più tempo a studiare per l’esame, ma nel dubbio metti in valigia anche un costume e un vestito da sera, non si sa mai.

Stai per chiudere le ante, quando la tua attenzione si sposta su un panno grigio, piegato accuratamente all’ultimo piano dell’armadio.

È la sua felpa, rimasta lì dentro insieme a tutte quelle cose che non riesci a dirgli, insieme a tutto ciò che avresti voluto si realizzasse.

Ti chiedi se lui tiene ancora la tua, o se l’avesse dimenticata, persa, oppure buttata. Ti sei sempre domandata se l’avesse presa perché gli piaceva, o perché il tuo odore rimasto in quel panno gli avrebbe fatto pensare a te.

“Mi piace il tuo profumo”. Ricordi. Sono le prime parole che ti sono rimaste in testa. Le prime parole che hanno cominciato a prendere forma nei tuoi pensieri quando la notte e il silenzio ti accompagnavano a fine giornata.

Pensare poi, che per ricordarti di lui ti basta respirare. Pensare che lui, per ricordarsi di te, deve vederti.

Spontanea è la convinzione che, evidentemente, ricordarsi di te non è uno dei suoi interessi.

Sei “felice” quando vedi che lui è felice, nonostante non sia più tu il motivo.

<< Venti minuti e arrivano, quindi finisci di prepararti >>. A farti tornare con i piedi per terra è sempre lei, Elena. 

È strano come ti basta pensare che fra poco lo vedrai di nuovo e già il tuo battito cardiaco ha ripreso ad accelerare insieme al tremolio delle mani. Questo non è amore, è quasi una malattia.

Ti asciughi di corsa i capelli e infili le ultime cose nella borsa. Tutto sembra essere pronto.

<< Come stai? >> ti domanda quando porti la valigia e il borsone in salotto. Ti infili le scarpe e la guardi con la coda dell’occhio. Hai l’aria di una persona tranquilla, l’opposto di quello che in realtà stai provando.

<< Perché me lo chiedi di continuo? >> dici, e non sai che risposta darle alla sua domanda.

<< Seriamente, oggi meglio di ieri? >> continua.

Resti in silenzio per cinque secondi.

<< Ho ritrovato la sua felpa. Quando me l’ha data tirava vento e faceva freddo. Io ero vestita con abiti leggeri perché volevo fare colpo; lui la indossava con dei jeans chiari e con una collana nera che ne riprendeva il colore delle scarpe. Anche oggi tira vento, ma non fa tanto freddo… quindi suppongo che oggi sia meglio di ieri >> parli e nemmeno ti rendi conto di quello che dici.

Oggi è peggio di ieri, e i pensieri che hai sono troppi per un solo cervello.

<< Meglio, sono passi avanti almeno >> dice e torna a riordinare le ultime cose prima di partire.

Non c’hai capito niente!” pensi, stringendo i lacci delle scarpe. Anche stamattina avresti voluto svegliarti altrove.


L’hotel ha l’aria di un palazzo del seicento, nonostante il suo interno sia abbastanza moderno ed elegante.

Il viaggio in macchina oltre ad essere stato estremamente lungo, si è rilevato meglio di quanto pensassi. Hai recuperato il sonno e ringrazi il cielo che Michele sia stato davanti anziché dietro con Elena, così da evitare sguardi e complimenti di troppo.

La vostra camera è ampia e il balcone affaccia sull’atrio dell’edificio. I letti sono singoli e i muri color panna sembrano tranquillizzarti. 

Avete passato mezza giornata ad ordinare le vostre cose e a fantasticare su cosa farete domani, dimenticando il motivo principale di questo viaggio: lo studio.

<< Il letto vicino alla finestra è mio >> hai annunciato appena hai messo piede nella stanza. Seppur spaziosa, la camera sembra essere molto piccola, ma per te non è un problema. Hai sempre preferito una stanza piccola, racchiusa. Ti fa sentire in qualche modo protetta.

<< Il tavolino fuori al balcone è perfetto per studiare >> vi fa notare Elena, che intanto si è già raccolta i suoi capelli lunghi in una crocchia disordinata.

<< Siamo appena arrivati e già pensi allo studio! >> si lamenta Marco. Ridacchi mentre apri la porta-finestra cercando di vedere il mare.

Nel frattempo Michele sta osservando ogni tuo spostamento. Sai come ti guarda? Come se fossi troppo piccola da amare, e troppo grande per tenere il tuo stesso passo.

<> se ne esce all’improvviso e quasi non ti strozzi con la tua stessa saliva.

<< Michè non entriamo in due >> ride, e tu li guardi con la coda dell’occhio, come se volessi davvero non guardarli e non sentirli.

<< Uniamo i letti >>

<< Sai cosa unisco, invece, io? I miei pugni sulle vostre facce! >> scleri senza rendertene conto, e quasi sembri più agitata del mare che ora è mosso e scuro.

<< Stiamo scherzando, Giulia >> ti dice Elena guardandoti storto. Maledici di essere partita, stare a casa ti avrebbe consentito di studiare meglio e di stare lontana da quel sorriso e da quelle mani che vorresti stringere e non lasciare più.

<< Vado a farmi un giro per l’hotel >> dici senza aspettare risposte. Ma invece attraversi la strada e scendi in spiaggia, sedendoti sulla riva del mare.

Servirebbe. Di chi sto parlando lo sai già.

“Le cose le faccio con sentimento”. Ripensi alle sue parole e ti viene da ridere. Ti viene da piangere. 

Pensare poi, a come ti sei impegnata per non affezionarti, per andarci piano, per non farti del male.

Pensare che, adesso, appena ti svegli accendi il telefono solo per vedere se lui ti ha scritto.

“Sarebbe bello poterti prendere e portarti via “. Ti ricordi? Appena hai letto quel messaggio non hai fatto altro che ridere. Solo io mi accorsi di quanta speranza c’era che lui lo facesse sul serio in ogni tua risata.

Di stare bene con lui te ne sei accorta solo dopo.

Di stare bene con lui lo sapevi fin dall’inizio, ma non volevi accettarlo per paura di stare male.

<< Sapevo che eri qui >>. La sua voce ti interrompe i pensieri, ma non ti volti per guardarlo. Lui si siede accanto a te cercando di guardare oltre il confine del mare.

<< È più bello il mare quando è agitato >> confessa, e lasci che il suo gomito ti sfiori il braccio.

<< Penso anche io >> assecondi. 

<< Ti ricordi la prima volta che siamo andati al mare insieme? >> ti domanda, lasciandosi uscire una risatina. Tu accenni un sorriso e abbassi lo sguardo.

<< Mi ricordo persino com’eri vestito e di che colore era il tuo telo da mare >>

<< Evitavi ogni mio bacio quel giorno >>

<< Non volevo accontentarmi di essere solo una “cosa così” per te >>

<< Chi ti ha detto che fossi solo quello? >>. Cala il silenzio e allunghi le gambe, appoggiandoti sui gomiti.

<< Era celeste >> dici ripensando al suo telo da mare che era talmente corto e stretto che a un certo punto hai preferito startene in piedi.

<< Perché non volevi baciarmi? >> insiste, mettendosi di fronte a te, costringendoti a guardarlo.

<< Riprendeva il tuo giacchetto blu >>. Sorride e ti circonda i fianchi con le mani, per poi sollevarti e stringerti in un abbraccio.

<< Sei stata una stronza >> ti dice, ma lui non capisce che non volevi farlo perché più lo baciavi più ti innamoravi, e non poterlo vivere come volevi tu ti portava a fare passi indietro, desiderando che lui ti seguisse. 

<< E tu un cretino, perché ancora non mi hai detto quali intenzioni hai con me >>. 

Forse hai rotto la magia che c’era fra voi due. La tua insicurezza e la voglia continua di definire il vostro rapporto lo ha frenato. Avresti dovuto lasciarti andare con più leggerezza, viverti i vostri momenti senza chiederti cosa saresti stata per lui il giorno seguente. Ma ti capisco quando le risposte che cerchi non arrivano mai.

Ti sciogli dall’abbraccio dandogli le spalle.

<< Dove te ne vai? >>

<< Shh… ascolta il mare >>.

L’acqua che ti bagna i piedi, il vento che ti sposta i capelli e un profondo blu da ammirare.

Ascolta il mare quando le voci delle persone avranno lo stesso suono dei colpi di pistola. Quando le tue paure ti avvolgeranno il corpo come fossero coperte.

Ascolta il mare quando penserai che l’amore sia introvabile e porti soltanto dolore. Non è l’amore che è sbagliato e ingiusto, ma le persone.

Ascolta il mare quando la sua mancanza sarà più forte di ogni altra presenza.

Il tuo orologio segna le diciotto e un quarto.

Lui si è spostato di un passo.

Tu non te ne sei andata mai.









 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3890436