Nothing will drag you down - L'attentato

di lisi_beth99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1


Alex posò la borsa al suolo, accanto al divano su cui era seduta. Come ogni giovedì, si trovava nello studio del Dottor Charles, all’interno del Chicago Med. Le sedute erano sempre molto utili alla giovane, parlando con il primario di psichiatria riusciva a confrontarsi meglio con tutto quello che le era successo negli ultimi mesi.

Stranamente l’uomo non aveva ancora aperto bocca da quando lei era entrata. – Mentre venivo qui mi sono resa conto di una cosa. – iniziò Alex lasciandosi andare contro lo schienale del divano – Esattamente sei mesi fa mia madre è morta. – fece una breve pausa aspettandosi qualche domanda da Charles, che però non arrivò mai – Proprio ieri ho ricevuto una lettera dall’assicurazione; finalmente hanno chiuso le indagini sull’incendio e mi concedono il risarcimento. Non sono tanti i soldi che mia madre era riuscita a mettere nell’assicurazione ma almeno non dovrò vivere con l’acqua alla gola per un po’. – .

Il dottore si appuntò qualcosa sul suo taccuino – Come ti fa sentire questa cosa? Il fatto che ci siano voluti sei mesi perché ti concedessero quello che tua madre, faticosamente, aveva messo da parte in previsione di qualcosa del genere? – Alex rimase un po’ spiazzata dalla domanda. Mai aveva pensato a ciò. – Io… non so, non ci ho mai riflettuto. – ammise cominciando a giocare nervosamente con la lampo della felpa. – Forse… Forse mia madre temeva che le potesse succedere qualcosa. Magari sapeva che Danny avrebbe pensato a lei come la spia… E magari voleva essere sicura che io e Max non restassimo senza nulla… - guardò il dottor Charles mentre le lacrime le rendevano lucidi gli occhi – Era pronta a pagare per qualcosa che ho fatto io! Questo non è giusto! – la rabbia che aveva provato per se stessa per un lungo periodo dopo aver fatto incarcerare suo padre all’età di 14 anni riaffiorò per alcuni istanti. Per un po’ Monique l’aveva incolpata di aver distrutto la loro famiglia poi però, con il tempo e dopo aver scoperto di essere incinta, comprese che sua figlia aveva avuto più coraggio di lei ed aveva trovato la forza per ribellarsi alla vita mafiosa in cui era cresciuta.
-Alex, i genitori farebbero qualunque cosa per proteggere i propri figli. Di certo tua madre non avrebbe mai permesso che si sapesse la verità su di te e su quello che avevi fatto. Non colpevolizzarti. – l’uomo era sempre in grado di trovare quelle poche parole che aiutavano la giovane. Si asciugò le due lacrime che le avevano rigato il volto poi guardò l’orologio da polso – La nostra ora è finita, dottore. Ed io ho un pranzo a cui non posso mancare! – tornò sorridente, come se nulla fosse successo.

Daniel Charles rimaneva sempre turbato dalla capacità di quella ragazza a sotterrare i propri sentimenti ogni qualvolta questi si affacciassero in superficie. Sapeva che, ad un certo punto, avrebbe raggiunto il punto di non ritorno e tutto quello che aveva seppellito e represso sarebbe esploso in un solo istante. Sperava solo che accanto a lei ci sarebbe stato qualcuno ad aiutarla, qualcuno come il detective Jay Halstead, con cui Alex aveva intrapreso una relazione a tutti gli effetti da circa tre mesi.

Dalla chiusura del caso di molteplici stupri che l’aveva portata sotto copertura per una notte, i due erano sempre più vicini; passavano buona parte delle sere assieme, quasi sempre al Molly’s. Quando uno dei due aveva una giornata no, che fosse un caso difficile o i ricordi che bussavano alle porte della memoria, l’altro era pronto a cercare di alleviare la sofferenza in ogni modo possibile. A volte Alex si svegliava nel cuore della notte di soprassalto, quasi sempre vittima dei ricordi sul suo rapimento. Jay allora la stringeva a sé e le faceva sentire di esserci per lei, non servivano mai le parole, quel contatto valeva molto di più. Ultimamente, passando sempre più notti assieme, la giovane si era resa conto che anche il detective soffriva di disturbi del sonno; che fossero tutte le cose orribili che vedeva a lavoro o gli orrori della guerra, Jay si svegliava anche più spesso di Alex e non riusciva più a riaddormentarsi, cosa che però aveva lasciato nascosto alla ragazza che continuava a dormire beatamente nella ormai sua parte del letto.

-*-

Alex entrò nel ristorante sulla 53esima dove aveva appuntamento con Madison. Non le fu difficile individuare la sua amica tra la folla: la folta chioma tinta da pochi giorni di rosso fuoco non passava certo inosservata.

Le arrivò alle spalle in silenzio per farle uno scherzo. Quando le fu a pochi centimetri, si abbassò verso il suo orecchio e – Ciao! – esclamò usando un tono di voce abbastanza altro.

Le persone che erano sedute ai vari tavoli badarono poco alle due giovani che ridevano senza contegno. – Tu sei pazza! – disse con una mano sul petto Mady – Potevi uccidermi! – continuarono a ridere fino a quando il cameriere non portò i menù.

Dopo aver ordinato ed essersi perse in chiacchiere inutili, Alex tornò seria – Allora. Per cosa mi hai invitata così, all’ultimo secondo? C’è sicuramente qualcosa che vuoi dirmi! – disse incrociando le dita e poggiandovi sopra il mento. Madison voleva un gran bene alla castana, ma quel suo sensore da detective la spaventava sempre. Non c’era occasione in cui Alex non la lasciasse ad occhi sbarrati per la sua capacità di deduzione.

Dall’emozione che stava contenendo per la notizia che doveva dare all’amica, non si accorse di giocherellare con le mani. La cosa non passò inosservata ad Alex che, focalizzata l’attenzione su dove passasse più tempo le dita, arrivò ad una conclusione: la sua amica si sarebbe sposata. Fu tentata di anticiparla ma poi, capì che per Mady era importante fare quell’annuncio senza la sua amica a rovinarle i piani.

-Mi sposo! – esclamò tutta emozionata Madison allargando le braccia piena di gioia. L’altra finse in modo impeccabile un’espressione di sorpresa e si alzò per abbracciare l’amica – Sono così felice per te! Zac è un uomo fortunato! – l’altra, con le lacrime agli occhi, ravanò nella borsa per estrarre una scatolina di raso rosso. L’aprì e si mise l’anello di fidanzamento. – Non è bellissimo?! – domandò con gli occhi a cuoricino. La montatura era d’oro bianco con un diamante a quattro carati incastonato al centro ed altri tre piccoli diamantini da ogni lato. Per Alex era decisamente troppo. Troppo grande, troppo pacchiano e troppo ingombrante, ma a Madison piaceva moltissimo quindi…

-è fantastico! – esclamò fingendo ammirazione – Deve valere una fortuna… - commentò. L’altra giovane tornò a guardare l’oggetto come se ne dipendesse la sua vita – Zac l’ha fatto fare per me! Non è romantico? Me l’ha chiesto ieri. Mi ha portata nel locale più chic di Chicago e si è inginocchiato davanti a tutti! Sono così fortunata! – Alex sorrise mentre pensava a come sarebbe morta di vergogna se si fosse trovata al suo posto. Decisamente non faceva per lei una cosa del genere…

Mady era una cara ragazza, le voleva bene, ma era anche una di quelle che guardava sempre allo sfarzo e alle cose belle. Ad Alex piaceva essere sempre ben vestita, elegante all’occasione e ci teneva anche all’apparenza, ma non avrebbe mai speso centinaia di dollari per un paio di scarpe o una borsa. Era più tipa da negozietti piccoli e poco conosciuti, con cose poco usuali.

Il resto del pranzo lo passarono a parlare del grande giorno. La sua amica aveva già in mente tutto: cerimonia in chiesa, poi pranzo al Chicago Botanic Garden che sarebbe durato fino a notte fonda. Aveva già in mente la band, il menù che voleva proporre agli ospiti ed il colore che sarebbe stato il tema di tutto.

-Zaffiro?! Non è un po’ troppo carico come colore per un matrimonio? Non sarebbe meglio, che so, turchese? O azzurro cielo… - provò Alex dopo aver sentito l’idea della sua amica – Ma no! Perché? È un colore deciso. Tu stessa preferisci i colori accesi! Tesoro, hai una maglia fucsia! – si difese Madison – Sì! Ma non sono ad un matrimonio… Immagina se tutto avesse del blu zaffiro nella chiesa, al ricevimento. Il bouquet, la pochette dei testimoni e dello sposo, i fiori, tutto! Diventerebbe un po’ troppo! Non credi? – a quella riflessione Mady non poté non considerare che Alex avesse ragione. – Forse potrei usarlo con diverse sfumature… - considerò tornando a ragionare con la testa e non a fantasticare in modo sconclusionato.
Dopo il dolce, la castana guardò l’orologio notando con disappunto che doveva scappare per non fare tardi al lavoro. – Quella che tra noi fa un vero lavoro deve andare! – disse alzandosi e salutando con un bacio l’altra che la stava prendendo in giro divertita – Non è colpa mia se non hai studiato psicologia come me e ora non sei fidanzata con un uomo che ti fa vivere nell’agio! –

-*-

Un uomo con uno zaino in spalle camminava a passo affrettato per le strade di Chicago. Lo sguardo basso ed un cappuccio calato in testa. Ad un incrocio a pochi metri dalla sua destinazione, fu centrato da un ragazzino in skateboard. Entrambi caddero al suolo, il giovane provò a scusarsi ma l’uomo, a cui era scivolato il cappuccio ed era ora a volto scoperto, nemmeno guardò il ragazzino. Si rialzò senza fatica e, mentre riprendeva il passo, si ricoprì con il cappuccio.

Osservò la scritta fuori dall’edificio dove si era fermato, la sua meta. Il 5031 di Montrose Avenue era un palazzo di soli due piani, tra un negozio che riparava cellulari ed uno che era chiuso per fallimento; il “Little Lulu’s – All natural Italian ice” era stato un punto di ritrovo per i molti ragazzini del quartiere fino a quando Lulu, la moglie del proprietario, non era morta di malattia ed il marito non aveva più avuto la forza di continuare l’attività.
L’uomo continuò a guardare il 5031: sulle quattro vetrine erano stati incollati gli stemmi degli Stati Uniti d’America e delle varie squadre facenti parte dell’esercito; “Chicago Veterans” era stato scritto a caratteri bianchi su sfondo azzurro. Quel posto era un luogo di ritrovo per i molti veterani che erano tornati in patria dopo gli orrori della guerra.

Lasciò lo zaino proprio davanti alla vetrina e si allontanò senza rimorsi.

-*-

Voight spalancò la porta del suo ufficio e, mentre si infilava la giacca di pelle, richiamò l’attenzione della sua squadra – C’è stata un’esplosione a Portage Park, davanti alla sede dei Chicago Veterans. Muoviamoci! –. Scattarono subito tutti e a passo svelto raggiunsero le loro auto in strada.
Jay fu colto da un flash back che gli riportò alla mente molte cose che avrebbe voluto rimanessero seppellite nella sua memoria; ricordi della guerra, ricordi del rientro dall’Afghanistan. Tutte cose che non voleva ricordare.

Si riscosse prontamente da quel viaggio mentale e, mentre saliva sul suo SUV, finse di non notare lo sguardo indagatore misto a preoccupazione della sua partner. – Tutto ok? – domandò lei – Certo! – rispose mettendo in moto e seguendo l’auto su cui Kevin e Kim erano montati pochi attimi prima.
Una volta raggiunta la scena del crimine, nessuno rimase impassibile davanti alla devastazione che l’esplosione aveva causato. – Mio Dio… - sussurrò Adam accanto al suo capo. Voight cercò con lo sguardo il sergente Platt per capire cosa fosse successo.

Buona parte della facciata della sede dei Chicago Veterans era distrutta; macerie di ogni dimensione e materiale giacevano sparse al suolo, anche gli esercizi adiacenti erano stati colpiti dall’ordigno, lasciando solo i muri più lontani dall’esplosione.

Molte erano le vittime, diverse ambulanze erano arrivate a sirene spiegate e stavano portando i primi soccorsi. La caserma 51 era arrivata per prima sulla scena e stava lavorando senza sosta per estrarre i feriti dalle macerie che erano estremamente instabili.

Jay non poté impedire alla sua mente di ripresentargli le scene di guerra a cui aveva assistito. Come se lo avesse colpito un pugno in pieno petto, smise di respirare per alcuni secondi, incapace di muovere anche un solo muscolo. La mano del sergente che si appoggiava sulla sua spalla lo fece sobbalzare – Jay, va’ a vedere se c’è qualche testimone. – poteva solo immaginare cosa quella scena potesse riscuotere nel suo sottoposto, l’unica cosa che pensava potesse aiutarlo era restare impegnato. Halstead fece un leggero cenno col capo e si indirizzò verso un gruppo di curiosi che, oltre il perimetro di sicurezza delineato dalla striscia gialla, osservava i soccorritori fare il loro lavoro.

Mentre attraversava la zona predisposta al triage, fu colpito da un uomo sulla quarantina. Indossava la divisa da paramedico ma, stranamente, gli mancava il logo della caserma di appartenenza. In più gli era totalmente sconosciuto, cosa strana dato che di vista conosceva ormai tutti i paramedici della città. Notò poi che aveva uno zaino sulla spalla, cosa ancora più strana…

-Halstead! – Sylvie Brett richiamò la sua attenzione. La donna stava cercando di fermare l’emorragia di un uomo che, a giudicare dalla spilletta attaccata alla camicia a quadri, era un veterano – Dammi una mano, ti prego! – lo supplicò lei indicandogli lo zaino troppo lontano dalla sua posizione. Jay fu rapido a seguire gli ordini del paramedico, perdendo però di vista lo zaino.

Dopo circa cinque minuti, ci fu una seconda esplosione proprio nella zona del triage.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2



Alex arrivò, come al solito, dieci minuti prima dell’inizio del suo turno. Salutò cortesemente il suo superiore ma questo ricambiò con una nota di tristezza nella voce. – Dovrei parlarti Alex. – disse indicandole il suo ufficio nel retro del negozio.

-Mi dispiace molto Alex. – cominciò senza sapere realmente come dire ciò che doveva alla ragazza – Purtroppo gli affari non stanno andando bene… Le entrate sono diminuite del 40% e, se continua così, non riuscirò più a mantenere l’attività. – Alex attendeva con fin troppa pazienza il punto della conversazione. Immaginava già dove l’uomo sarebbe andato a parare…
-Sono veramente dispiaciuto ma devo fare dei tagli al personale. Tu e Janine siete le ultime arrivate e le più giovani, avete più possibilità delle altre di trovarvi una nuova occupazione. Sono desolato… davvero. Non mi sembra giusto farti lavorare con la consapevolezza che sei licenziata quindi puoi andare, non serve che tu faccia il turno, ti pagherò comunque queste ore. Considerale un regalo, di più non posso fare… -. La ragazza fece un sorriso di circostanza – Non si preoccupi Signor Moralez, sono certa che le cose andranno meglio. Grazie di tutto ed auguri per la sua attività. – strinse la mano dell’uomo e uscì dal mini market.

-*-

Rigirava la cannuccia nel suo tè alla pesca mentre guardava il vuoto e pensava a cosa avrebbe dovuto fare. Senza uno straccio di entrata non credeva che sarebbe riuscita a pagare l’affitto e mantenersi per molto.

Uscita dal mini market era andata di gran passo fino a casa sua dove aveva preso la bici che aveva comprato solo due settimane prima ed aveva pedalato fino ad Irving Park. In quel distretto c’era un parco, l’Independence Park, dove era solita andare da bambina. Nemmeno lei seppe per quale motivo il suo subconscio l’avesse portata proprio lì, forse perché a 10 anni tutto era completamente diverso: la sua famiglia era felice, suo padre l’amava e proteggeva, sua madre era ancora viva e l’unica preoccupazione di Alex era quale vestito indossare. Spesso la domenica, quando Danny non aveva da fare con il clan, andavano al parco e giocavano per ore con il frisbee. Parcheggiata la bici, aveva deciso di entrare nel primo caffè sulla strada.

Alzò lo sguardo sul televisore appeso sopra al bancone del bar. Qualcuno aveva chiesto alla barista di alzare il volume mentre veniva trasmesso un servizio al notiziario. “Siamo in diretta dalla scena dell’esplosione.” Stava annunciando la reporter “Alle mie spalle vedete ciò che rimane della sede dei Chicago Veterans, luogo di ritrovo per i molti veterani di Chicago. Proprio qui, solo poche ore fa è esploso un ordigno improvvisato, causando la morte di sette persone e il ferimento di almeno una trentina.” Dietro alle spalle della donna si poteva notare un gran via vai di soccorritori che non si lasciavano abbattere dalla stanchezza. L’inquadratura cambiò ed Alex notò il SUV di Jay; oramai l’aveva visto abbastanza volte da riconoscerlo fra tanti, specialmente per il piccolo adesivo dei Chicago Bulls sul lunotto posteriore.

Mentre la reporter spiegava meglio ciò che era successo, ci fu un’esplosione. Il cameraman fu investito dal colpo e la ripresa traballò per diversi secondi. Si sentivano urla e lamenti in sottofondo. La linea fu interrotta ed il giornalista in studio provò ad arrangiare qualche scusa e frase di circostanza per non preoccupare troppo il pubblico.

Ad Alex mancò il respiro. Senza ragionare sulla stupidità di ciò che stava per fare, lasciò una banconota da dieci dollari sul tavolo e schizzò verso la sua bici mentre provava a chiamare il detective senza ottenere risposta.

In soli dieci minuti fu sulla scena. Provò per un’altra decina di volte a chiamarlo, ma nessuno rispose. Il perimetro di sicurezza era stato allargato di molto, probabilmente per la paura di un terzo attacco. La giovane lasciò cadere la bici proprio davanti al nastro giallo e, approfittando del caos generale, superò il cordolo cominciando a correre senza una meta.

Il cuore che le martellava nel petto e gli occhi che sfrecciavano da una parte all’altra. La paura per Jay era talmente tanta che nemmeno si rendeva conto della scena di desolazione che la circondava. Corpi privi di vita erano stati coperti da teli bianchi, ormai impregnati di rosso scarlatto; non tutte le vittime erano state ritrovate per intero, coloro che erano più vicini al secondo ordigno erano stati a brandelli, forse alcuni nemmeno erano più definibili un corpo. Tutti i superstiti civili erano stati fatti allontanare e caricati sulle ambulanze arrivate tempestivamente sulla scena. Poliziotti e vigili del fuoco cercavano fra le macerie qualche segno di vita, lo sconforto era sempre maggiore.

Quando credeva di perdere le speranze, sentì una voce a lei molto nota che le fece fare un sospiro di sollievo. – Sto bene capo, davvero. – stava dicendo Jay. Il suono proveniva dal retro di un ambulanza parcheggiata subito dentro il perimetro di sicurezza. Mosse i primi passi verso il detective.

-Ehi tu! Ferma! Non si può stare qui! – urlò un’agente dall’altra parte della strada. Alex ignorò la donna e continuò a passo svelto, quasi una corsa, fino a raggiungere Halstead.

-Alex, che ci fai qui?! – domandò stupito il detective. Voight si voltò per vedere con chi stesse parlando il suo uomo, gli prese un colpo vedendo la giovane tutta trafelata che li fissava come se avesse visto un fantasma. Lei, ignorando bellamente il sergente ed il paramedico che stava finendo di disinfettare la ferita ben vistosa sulla fronte di Jay, si bloccò a fissare il detective.

Tutt’a un tratto le parole che avrebbe voluto dirgli erano svanite, la mente completamente annebbiata, la bocca che non voleva connettersi col cervello. Passò lo sguardo nuovamente sul sergente, quasi sperasse in un suo aiuto che non arrivò mai. – Io… Credevo fossi morto! – le uscì soltanto. Si accorse che stava facendo la figura della pazza, così provò a salvarsi – Ma vedo che sei vivo, quindi… ciao! – provò ad allontanarsi – Aspetta! – la fermò lui. Con un’occhiata fece capire a Voight di allontanarsi un po’ e, quasi per miracolo, dopo aver osservato la ragazza che si torturava le mani come una bambina, li lasciò soli facendo un cenno anche al paramedico.

Jay prese il polso di Alex e la fece sedere accanto a sé sul retro dell’ambulanza – Sai che è stata una mossa molto avventata, vero? – le chiese senza guardarla. Lei annuì mestamente – Ho visto il notiziario… - iniziò a spiegare – Ho notato la tua auto poi c’è stata l’esplosione… credevo veramente fossi morto. Ho provato a chiamarti un milione di volte! – dentro di sè si stava dando della cretina per essere diventata così vulnerabile. – Alex… - provò lui, mettendole un braccio attorno alle spalle. – No! – esclamò lei mettendosi in piedi difronte a Jay – Non hai idea di come mi sia sentita, Jay! Dopo mia madre e Max, non credo di poter sopportare un’altra persona cara che muore. È stata una follia pensare che potessimo stare bene assieme… - non lo stava pensando veramente, vero? – è ovvio che il tuo lavoro sia pericoloso, parecchio pericoloso, e io non potrei mai chiederti di rinunciarvi, perché non è da me. Ma è anche chiaro che in questo momento io sia fin troppo vulnerabile… - dicendo ciò si rese conto di cosa avesse voluto farle capire il Dottor Charles nelle ultime sedute: aveva sopportato troppo ed ora stava crollando o, forse meglio, esplodendo.

Halstead era rimasto immobile a fissarla, lo sguardo stravolto di chi era sopravvissuto ad un’esplosione solo pochi minuti prima – Che stai dicendo? – domandò titubante – Alex… - lei si costrinse a non piangere lì, davanti a lui, sulla scena di un attentato – Mi dispiace Jay. – fece un respiro profondo – Sono stata una stupida a venire qui. E ancora peggio a dirti queste cose dopo che sei scampato per miracolo ad una bomba… - rimase a guardarlo nelle iridi azzurre – Ora è meglio che vada. Magari ne riparliamo con calma… - si sentiva così indifesa che voleva correre sotto una roccia e rimanere lì per il resto della sua vita.

-Aspetta. – disse piano lui – Non posso prometterti che non mi accadrà nulla, ma posso assicurarti che farò di tutto per tornare da te. Ci tengo e anche parecchio. Lo so che è difficile per te, so come ci si sente a perdere qualcuno di caro. Ma non voglio che quello che è successo oggi ci faccia allontanare, c’è già stata abbastanza distruzione oggi. Non credi? – le prese una mano e la fece avvicinare di qualche passo. Qualcosa nella sua postura a riccio o nel suo sguardo che cercava di celare tutto il dolore che aveva inghiottito per non doverlo affrontare la faceva apparire come una bimba persa, in cerca di un appiglio per non affogare. E Jay quella sensazione la conosceva molto bene, purtroppo.

- Ti va se ne parliamo questa sera? – propose senza staccarle gli occhi di dosso. Alex sollevò il capo – Ordiniamo cinese dal ristorante sotto casa tua? – chiese lei, cercando di sciogliersi un po’. Jay la attirò maggiormente e la strinse in un abbraccio che avrebbe voluto trasmetterle calma. Lei, a quel contatto, non poté far altro che cedere. Appoggiò il mento sulla testa di lui mentre il suo calore la riscaldava fin nelle ossa.

-*-

-Ma quanto sono carini? – Ruzek, mentre cercava prove tra le macerie assieme a Kim, si era imbattuto nella scena dei due abbracciati – Adam! – lo rimproverò la sua collega – O andiamo Burgess! Era ora che Halstead si trovasse una ragazza. Dopo Erin temevamo che non si sarebbe mai ripreso… - constatò l’agente tornando al suo lavoro. Purtroppo Kim non poté non dargli ragione. La partenza inaspettata di Erin Lindsay, partner sul lavoro e nella vita privata di Jay, aveva lasciato tutti molto male, specialmente Halstead che, nonostante la perenne facciata di tranquillità e il sorriso giocoso, aveva nascosto l’amarezza e l’abbattimento. In cuor suo, Burgess aveva tifato per loro da sempre ma, il modo brusco in cui aveva tagliato i ponti Erin l’aveva lasciata delusa. Ora era felice che il suo collega avesse trovato qualcuno come Alex.

-Cosa state facendo? – la voce irritata di Voight li colse alle spalle – Capo! – lo salutò Adam fingendo di osservare un pezzo di metallo raccolto un attimo prima – La polizia di Chicago vi paga per indagare, non per fare i guardoni. – entrambi i sottoposti abbassarono lo sguardo e si trattennero dallo scoppiare a ridere – Sarò indulgente con Halstead solo perché ha rischiato la vita. – finì il sergente. – è stato davvero fortunato. Se non ci fosse stato quel camion dei vigili del fuoco fra lui e la bomba, l’esplosione l’avrebbe preso in pieno… - commentò Ruzek prima di allontanarsi verso qualcuno dell’ATF, la squadra preposta all’indagine su attentati di quel genere.

-*-

-Il bilancio delle vittime è salito a 26. I feriti sono 53. – fece il riassunto Antonio mentre posava la cornetta del telefono; aveva appena saputo dall’ospedale che uno dei vigili del fuoco rimasti feriti nella seconda esplosione era morto sotto ai ferri per una forte emorragia. – Chi può aver fatto una cosa del genere? – chiese Kevin tornando alla sua scrivania senza togliere gli occhi dalla lavagna su cui avevano appeso tutte le vittime. Dawson si preoccupò di spostare la foto dell’uomo dalla lavagna dei feriti a quella dei deceduti. – Non lo so ma deve pagare. – rispose il detective con il disgusto nella voce.

Hank fece il suo ingresso dopo essere andato da qualche parte, nessuno sapeva dove. – Fate il punto. – disse indicando la lavagna – Per ora non abbiamo nulla capo. Un testimone dice di aver visto un uomo lasciare uno zaino davanti alla vetrina dei Chicago Veterans ma non è stato in grado di dare una descrizione del sospettato. – spiegò Hailey. Ruzek chiuse una telefonata – Jay è sicuro di aver visto un uomo vestito da paramedico con uno zaino aggirarsi nel perimetro di sicurezza. Ha detto che voleva avvicinarsi ma ha dovuto soccorrere un ferito. -. – E come sta? – domandò Atwater – Gli stanno facendo ancora alcuni controlli ma sembrerebbe non aver riportato danni, tranne il taglio sulla fronte che potrebbe anche dargli un look meno perfetto. Potrebbe fare più conquiste! – scherzò l’uomo rendendosi poi conto dell’occhiataccia del capo – Scherzavo! – si difese alzando le spalle.

-Trovate tutto quello che potete. Cercate video della sorveglianza dei locali della zona: da qualche parte sarà stato ripresto questo tizio! E chiedete a tutte le reti che erano presenti al momento della seconda esplosione, nei loro filmati ci sarà pur qualcosa! – diede le direttive Voight prima di chiudersi nel suo ufficio come faceva sempre.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Alex si torturò per il resto della giornata al pensiero del discorso, più probabilmente una litigata, che avrebbe avuto quella sera con Jay.

Attorno alle cinque di pomeriggio ricevette un messaggio dal detective; era stato appena dimesso dopo vari controlli al Med e le diceva di andare da lui quando più le garbava. Lei aveva già anche riflettuto sulla possibilità di non presentarsi ma poi si era resa conto di quanto sarebbe apparsa codarda, se non infantile.
All’imbrunire raggiunse l’appartamento di lui e titubò per un attimo prima di bussare delicatamente sulla porta.

Passarono pochi istanti prima che qualcuno le aprisse, solo che Alex non trovò l’uomo che si aspettava bensì fu faccia a faccia con il dottor Halstead – Ciao Alex. – la salutò quasi come se nulla fosse – Entra, accomodati! – esclamò aprendo maggiormente la porta e facendo un cenno alla ragazza di non stare sulla soglia; all’interno si poteva sentire la voce del detective che parlava con qualcuno, probabilmente al telefono perché alle sue domande nessuno sembrava rispondere. Lei non si mosse subito – Forse disturbo, meglio se torno un’altra volta… - provò ad allontanarsi ma Will la bloccò – Io stavo giusto andando, sono passato solo per controllare che Jay stesse bene! – spiegò facendo un passo fuori dall’appartamento. Si socchiuse la porta alle spalle – Sai… - iniziò bisbigliando – Volevo essere certo che non si sforzasse come suo solito. Per quanto quell’autopompa l’abbia protetto dall’esplosione, è bene che stia buono per un po’. –

Non aveva capito che la cosa fosse stata così grave… - Era accanto all’esplosione? – domandò lei con lo stesso tono di voce. Will sembrò sorpreso – Non lo sapevi?! La bomba era esattamente dietro a quell’autopompa. Se non ci fosse stata… - ma non terminò la frase – Ora è meglio che vada. Buona serata Alex! – rientrò un attimo per salutare il fratello prima di scendere dalle scale e lasciare i due da soli.

Alex entrò nell’appartamento un po’ titubante. Come apparve sulla soglia, Jay si apprestò a spegnere il televisore dove stavano trasmettendo le immagini della bomba davanti alla sede dei Chicago Veterans e un giornalista spiegava la vicenda a chi si era sintonizzato solo in quel momento. – Ciao! – salutò cercando di non far trapelare la stanchezza che lo seguiva da dopo l’esplosione. – Ciao. – rispose lei continuando a fissare lo schermo ormai nero del televisore.

Rimasero nel silenzio più assoluto per alcuni attimi, forse minuti, poi Jay decise di rompere quel momento di imbarazzo – Che ne dici se ordinassimo la cena? – chiese andando verso il cucinino che era diviso dal soggiorno solo attraverso un piccolo muretto basso. – Direi che è un’ottima idea! – esclamò seguendo l’uomo ed appoggiandosi al muretto su cui erano sparpagliate alcune lettere (delle bollette immaginò) e il giornale del giorno prima.

Una volta riagganciata la cornetta, dopo aver fatto l’ordinazione al ristorante di cucina cinese a pochi passi dall’appartamento del detective, i due si sedettero sul divano per parlare.

-Mi dispiace per oggi. – iniziò lei, per quanto facesse fatica a trovare il modo – Non avrei dovuto travolgerti con i miei problemi. -. Sul volto di Jay comparve un sorriso leggero ma non sembrò essere intenzionato a dire nulla, almeno per il momento. – Temevo veramente che tu fossi morto! – esclamò lei sistemandosi nell’angolo opposto del divano – Mi sento così stupida… E debole. – sospirò massaggiandosi una tempia. Halstead si avvicinò di qualche centimetro alla ragazza – Non dire così. Alex, non devi nasconderti… - lei fece un verso di scherno – Parli proprio tu! Lo so che nascondi qualcosa. Credi non mi accorga che ti svegli nel cuore della notte? Che ti svegli di soprassalto e che non riesci più a dormire? Perché non mi dici cosa c’è, quello che ti tiene sveglio? – a quelle parole, Jay si appoggiò con i gomiti sulle ginocchia e distolse rapidamente lo sguardo da Alex – Non c’è nulla da dire. – disse solo, diventando cupo.

-Vedi?! – continuò lei – Tu per me ci sei stato nei momenti peggiori. Anche quando non credevo di volere nessuno accanto! E tu invece? Tu ti nascondi sempre dietro a quel tuo sorriso, alle tue fossette, fingi che tutto vada bene. E poi vieni a dire a me che va bene essere quasi morta dalla paura pensando che fossi rimasto ucciso in quell’esplosione!? Non riesco proprio a capirti… - terminò lei, alzandosi dal suo posto e cominciando a camminare per la stanza. Il silenzio regnò per diversi minuti.

-Lo credi veramente? – domandò dopo un po’ il detective. Alex lo guardò senza capire – Cosa? – lui finalmente si decise a guardarla negli occhi – Che sarebbe meglio se smettessimo di vederci. – lei si avvicinò alla finestra. Guardò fuori per alcuni istanti, osservò le persone rincasare o uscire per una serata in compagnia, allegri e sorridenti. Vide un padre abbracciare la figlia che era scesa in strada per salutarlo; due amiche salutarsi con un bacio sulla guancia prima di salire su un taxi.

Quando sua madre Monique era morta e, poco dopo, anche suo fratello Alex non credeva che avrebbe più potuto sentirsi a casa, protetta ed amata. Quando poi suo padre aveva ordinato prima il suo rapimento poi il suo omicidio, era arrivata alla conclusione che il suo cuore sarebbe rimasto chiuso per moltissimo tempo, aveva alzato il muro che già la teneva nascosta al resto del mondo. Non si era però accorta che già qualcuno aveva fatto breccia: quel detective che aveva conosciuto in circostanze spiacevoli era entrato nella sua vita in un modo così naturale che quasi non si era accorta della sua presenza così imponente nel suo cuore.

Si voltò verso Jay – Non lo credo veramente. Era la paura a parlare per me. Però tu conosci molto di me ed io quasi nulla di te… - si andò a sedere sul tavolino che separava il divano dal mobile su cui era appoggiato il televisore. Lui le prese una mano – A questo possiamo provare a rimediare. Sono come te: riservato. Per me è difficile esprimere quello che provo. -.

Furono interrotti dal campanello che annunciava l’arrivo della cena. Jay si apprestò a pagare il fattorino, mentre Alex tirava fuori da un anta della cucina due piatti e da un cassetto delle posate. Rimasero in silenzio ancora per un po’, guardando quasi solamente i loro piatti.

Alla decima forchettata di riso alla cantonese, lei non lo sopportò più – Perché non mi parli un po’ della tua famiglia? Della mia sai già anche troppo... – fece una smorfia per allentare la tensione. Halstead scosse la testa con il sorriso sulle labbra, quello che metteva in risalto le piccole fossette che facevano impazzire Alex – Non c’è molto da dire. Will l’hai visto: è sempre stato così anche da piccolo. Mio padre è un uomo davvero complicato, un vero rompi palle a cui non è mai andato bene che facessi il poliziotto. E mia madre… Lei era malata, ci ha lasciati anni fa, quando Will stava studiando per diventare medico. – una scintilla di tristezza fece capolino per pochi attimi negli occhi di lui. Alex gli posò una mano sul polso, costringendolo a fermarsi dall’arrotolare degli spaghetti di riso – Mi dispiace Jay. Non dev’essere stato facile… - lui scosse le spalle ritrovando, o fingendo, la sua solita verve – Però… non avete nemmeno un parente implicato con la Mafia? Mi accontento anche di un cugino alla lontana che ha rubato in una lavanderia! – scherzò Alex, sperando di strappare una risata all’uomo e spezzare quell’atmosfera ancora poco rilassata. Fortunatamente ebbe l’effetto sperato. Jay si sciolse completamente e la seguì in una risata. – No, nulla del genere! Devo deludere le tue aspettative. – esclamò lui.

Finito di cenare, i due si spostarono nuovamente sul divano. Avevano chiarito, più o meno, la loro situazione; il desiderio di continuare quella storia aveva avuto la meglio su tutto il resto. Sapevano entrambi che ci sarebbe stato bisogno di tempo e pazienza perché le cose andassero per il meglio ma arano certi che la loro determinazione sarebbe stata una grande alleata.

-Sai? – disse ad un tratto lei, la testa appoggiata sulle gambe di lui mentre trasmettevano l’ennesima pubblicità alla televisione – Oggi ho visto la mia amica Mady. Si sposa. – concluse senza sapere nemmeno lei perché gli avesse detto quel dettaglio. Ci sarebbe sicuramente stato altro da dire di quella giornata, per esempio che non aveva più un lavoro…

Il silenzio da parte del detective la fece pentire di quel commento – Non credo di volermi sposare io. Penso che, se si ama una persona, non è una cerimonia, una festa e un bel vestito che rendono il tutto più vero. E una firma su un pezzo di carta non impedisce che quella storia finisca. – si voltò di poco per guardare in viso Jay e si stupì nel vederlo intento ad osservarla – Hai le idee belle chiare, eh?! – sorrise con dolcezza, ripensando alla sua vita. Gli ci vollero pochi istanti per decidere di raccontarle una cosa del passato – Una volta sono stato sposato. – a quell’affermazione Alex si tirò a sedere con gli occhi spalancati – è stata una decisione di due ragazzi troppo giovani e stupidi. Siamo stati assieme solo per una settimana, poi lei è partita per il collage e non ci siamo mai più rivisti. Mi ero completamente dimenticato di lei, un paio di anni fa è apparsa al Molly’s sperando di riallacciare il rapporto… - si interruppe come se si fosse accorto che quella storia implicava qualcosa di più, qualcosa che ancora non voleva rivelare ad Alex. Lei lo guardò ancora più curiosa – E? – domandò – Non avevate firmato le carte del divorzio prima che se ne andasse? – lui scosse la testa – Te l’ho detto: eravamo stupidi. Quando si è rifatta viva l’ho convinta a firmarle. – per quanto Jay avesse cercato di restare neutrale, qualcosa lo doveva aver tradito – Era per un’altra donna, non è così? – chiese la giovane senza distogliere lo sguardo da lui. Halstead fece un verso di scherno – Mi chiedo spesso come tu faccia! – lei fece spallucce – Sono portata per queste cose. Pensa che mi ero quasi iscritta a criminologia! – esclamò col sorriso – Jay è ovvio che fosse per un’altra donna. Senza il divorzio non avresti potuto pensare di sposare l’altra. Deduco che fra voi andasse molto bene! Ma qualcosa è cambiato, altrimenti non mi staresti guardando con quella faccia! – spiegò la ragazza indicandogli il viso – Sta’ tranquillo Jay! Anch’io ho avuto una vita prima, anche se potrei tranquillamente cancellarla. Ho rischiato di finire sposata con un tipo che lasciamo perdere… - alzò le mani in segno di resa e si mise in piedi.

Jay la seguì e la costrinse a riavvicinarsi a lui – Non mi preoccupo per il passato, solo… Il modo in cui se n’è andata Erin… ancora non lo capisco. – confessò. Alex lo strinse in un abbraccio, per quanto le braccia muscolose di uno che andava frequentemente in palestra glielo permettessero. – Erin? Era anche la tua partner nella squadra vero? L’ho sentita nominare una volta da Atwater. – disse piano lei. – Le volevo chiedere di sposarmi poco prima che lasciasse Chicago. – confessò per terminare Jay. Ormai le aveva detto tutto, voleva veramente che quel rapporto potesse evolversi e non voleva dover temere che il passato si ripresentasse quando meno conveniva.

-Visto che siamo in vena di confessioni… - riprese a parlare Alex dopo un po’ che si erano rimessi sul divano nella stessa posizione di prima – Oggi è stata veramente una giornata di merda! Mi hanno licenziata. – il detective strinse la mano che lei teneva sulla sua pancia – Che è successo? - . Lei sbuffò – Ma niente, anzi. Mi dispiace solo per il proprietario… Ha dovuto fare un taglio al personale perché non ha abbastanza clienti e quindi entrate. Le catene di supermercati stanno facendo fallire molti Minimarket. – spiegò tornando a guardare la televisione.

-*-

Antonio, Kim e Hailey stavano visionando tutte le riprese della scena. Erano riusciti a trovare alcune videocamere di sicurezza su un paio di edifici dalla parte opposta della strada. Ruzek ed Atwater invece si stavano occupando dei nastri recuperati dalle reti televisive che si trovavano sulla scena durante la seconda esplosione.

-Trovato! – esclamò trionfante Upton. Bloccò il video nel momento esatto in cui si vedeva un uomo incappucciato appoggiare uno zaino davanti alla vetrina dei Chicago Veterans – è lui! è il nostro uomo! – tornò indietro di alcuni frame, cercando di capire da dove fosse arrivato. Per pura fortuna, all’incrocio ancora coperto dalle telecamere, un ragazzino aveva urtato il sospettato facendogli cadere il cappuccio. L’uomo era di spalle alla videocamera ma il suo riflesso nella vetrina lì accanto era nitido. – Abbiamo un’immagine! – tutta la squadra era elettrizzata – Provo ad inserirlo nel registro. Speriamo che dia qualche risultato… - disse Adam iniziando a digitare qualcosa sul suo computer.

Il cellulare di Antonio vibrò sul tavolo annunciando l’arrivo di un messaggio. Lesse velocemente e fece un sorriso divertito – è Jay! Chiede se ci sono novità! – Kevin scosse la testa – Ma non può starsene un po’ tranquillo?! Come sta? – Dawson finì di rispondere al messaggio poi riportò l’attenzione ai suoi colleghi – Dice di star bene. In ospedale l’hanno dimesso in tempi record quindi non sarà nulla di grave. Domani sarà di nuovo al lavoro, conoscendolo… -

-A meno che qualcuna non lo convinca a starsene a letto! – l’allusione per nulla velata di Adam gli causò una sberla sul braccio da parte di Burgess – Ma smettetela! È così ovvio che quei due stiano assieme già da un po’. Quante volte li abbiamo visti assieme al Molly’s? Per non parlare del fatto che Halstead abbia un particolare aroma di gelsomino sui vestiti solo determinati giorni! – Dawson gli diede una pacca sulla spalla – Amico, se non lo sapessi, direi che sei geloso e anche un po’ inquietante! – scherzò il detective. Upton si intromise tra i due – Per quel che mi riguarda, mi sembra che sia più rilassato. Il suo lavoro lo fa sempre bene, della su vita privata non dovremmo interessarci. – quel commento fece smorzare ogni altro tentativo di continuare il discorso. Tutti tornarono al proprio lavoro.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

Quando si svegliò quella mattina, Alex si sentì bene. Si stropicciò sotto alle coperte prima di girarsi ed appoggiarsi sul petto di Jay che ancora sembrava dormire. Quella notte avevano parlato fino quasi alle due. Si erano chiariti su alcune cose ed avevano condiviso alcune cose delle loro vite, quelle che non erano quasi più dolorose. Lei aveva trovato le forze per raccontare di suo padre, di come avesse faticato per portare via la madre dalle grinfie di O’ Brian. Lui, per quanto facesse molta più fatica di lei, aveva raccontato qualcosa del periodo in cui era stato nell’esercito, delle missioni in Afghanistan e di come avesse faticato per tornare alla sua vita una volta rimpatriato.

-Hey! – salutò Jay ancora con la voce impastata – Ciao! – rispose lei col sorriso – Strano che tu sia sveglia prima di me. Devo preoccuparmi? O posso sperare che tu abbia già preparato la colazione? – domandò ridendo l’uomo. Alex si spostò la massa di capelli castani da un lato – Non è affatto carino che mi prendiate in giro! Sono nata estremamente pigra io. E la colazione potete anche sognarvela! – scherzò prima di lasciarsi scivolare sulle labbra di lui.

Jay la fece girare così da trovarsi sopra di lei e, sempre col sorriso sulle labbra, scese lungo il collo fino ad arrivare all’ombelico lasciando una lunga scia di baci. Quell’idillio fu interrotto da dei colpi ripetuti alla porta d’ingresso.

Come un fulmine, Halstead scese dal letto e si affrettò ad infilarsi una maglietta a mezze maniche sgualcita sopra ai pantaloni del pigiama con cui aveva dormito mentre andava a vedere chi fosse. La giovane si sarebbe lasciata cullare dal tepore delle lenzuola e dal profumo che permeava ma fu costretta ad alzarsi dalla voce di Dawson che salutava il collega per poi entrare nell’appartamento.

Alex apparve in soggiorno con il pigiama che aveva lasciato a casa del detective qualche settimana prima. Fingendo che quella cosa non la infastidisse, passò davanti ai due uomini e si spostò nella cucina per preparare la colazione. Antonio la guardò con gli occhi spalancati – Ciao Alex… - la salutò mentre lei spariva in cucina – Ciao! – rispose lei senza interrompere quello che stava facendo.

-Come mai sei qui Antonio? – chiese Jay divertito dalla scena. L’altro si riscosse dal momento di imbarazzo – Sono venuto per vedere se eri ancora vivo e per portarti al lavoro. – spiegò. Il proprietario dell’appartamento raggiunse Alex in cucina e ne riuscì un attimo dopo con una tazza in mano – Ho un’auto, lo ricordi? – anche la giovane comparve nuovamente in soggiorno e si sedette al tavolo come se nulla fosse. – Sapendo che saresti venuto comunque, preferivamo che ti sforzassi il meno possibile… - disse Dawson senza distogliere lo sguardo da Alex che si era messa a guardare il cellulare con nonchalance. – Se vai con Antonio, mi potresti prestare l’auto? Ci sarebbero alcune offerte di lavoro ma non sono proprio qui accanto… - si intromise lei senza distogliere lo sguardo dallo schermo. Anche senza vedere la sua faccia, Alex si immaginò che l’uomo fosse sbiancato per un attimo – Sai guidare? – domandò infatti preoccupato Halstead. Senza rispondere, lei si alzò e prese a frugare nella sua borsa che aveva lasciato sul tavolino all’entrata. Ne tirò fuori la patente e la mostrò ad entrambi – Il fatto che io non abbia un’auto non implica che non sappia guidare. Di solito mi faccio prestare quella di Mady… Ma è via per cercare non so cosa per il matrimonio! – spiegò tornano a sedersi al suo posto e riprendendo a bere il suo caffè.

I due uomini si lanciarono uno sguardo – Le chiavi sono all’entrata. L’auto è parcheggiata di fronte al portone. Se ci sono problemi: chiama! È del dipartimento, non distruggerla per favore… - a quella supplica lei rispose con un verso di scherno – Voi uomini e la vostra convinzione che tutte le donne guidino male… - commentò prima di avviarsi verso la camera da letto.

Ne riuscì dopo solo cinque minuti, vestita e pettinata. Prese la borsa e si avvicinò ai due che stavano parlando seduti al tavolo del soggiorno. Mentre era chiusa in camera aveva captato qualcosa della loro conversazione, qualcosa che aveva a che fare con uno dei sospettati. – Bene io vado. Non morire e cerca di stare il più lontano possibile dalle bombe. – disse scherzosa prima di lasciare un bacio veloce sulla guancia di Jay – Buona giornata Antonio! – salutò l’altro mentre prendeva le chiavi del SUV di Halstead – Se ci sono problemi: chiama! – lo imitò un attimo prima di richiudersi la porta d’entrata alle spalle.

Rimasti soli Dawson sorrise all’amico - Sembrerebbe andare tutto bene fra voi. – l’altro rimase a fissare la porta d’ingresso – Abbiamo parlato tutta la notte. Le ho detto di Erin, fra le altre cose. – disse senza enfasi. – Come l’ha presa Alex? – chiese Antonio ancora più curioso –Bene, a quanto pare. – anche se non sembrava del tutto convinto – Mi è sembrata molto più rilassata rispetto all’ultima volta che l’ho vista. – Jay analizzò rapidamente le parole dell’amico – Ne ha passate tante… - rispose. Antonio gli mise una mano sulla spalla – è proprio quello che intendo! Chiunque sarebbe ancora in fase di recupero se fosse nella sua situazione ma lei no! Jay, Alex sembra che abbia già superato se non tutto, almeno una buona parte, di quello che le è capitato. E credo che sia anche merito tuo! – concluse l’uomo. L’altro gli rifilò uno sguardo sorpreso – Io non ho fatto nulla, è lei ad essere estremamente forte. –

-*-

Kevin schioccò le dita in un impeto di euforia – Abbiamo un riscontro per il primo uomo! – attese che la stampante finisse di produrre la foto del sospettato e la attaccò con un pezzo di nastro adesivo alla lavagna al centro della stanza. Il resto della squadra smise di fare qualunque cosa e si focalizzò sulla foto. Burgess si avvicinò, anche lei trionfante – Lui è Joe Finch! – cominciò a spiegare indicando il sospettato – Ha partecipato a tre missioni in Afghanistan, una come capitano di una squadra tattica. È stato congedato con onore dopo che sono caduti in un’imboscata e i suoi uomini sono morti quasi tutti. È stato rimpatriato con gravi ferite e curato all’ospedale militare. – Jay si passò una mano sul mento, le immagini di tempo prima che gli riapparivano alla mente. – Ma non è finita qui! – esclamò Kevin incitando la collega a continuare a parlare – Sì infatti. A quanto pare è stato visto spesso alle iniziative organizzate, indovinate da chi? Dai Chicago Veterans! – lanciò la bomba la giovane agente.

Tutti rimasero spiazzati dalla notizia – Per quale motivo un soldato decorato lascerebbe una bomba proprio davanti all’unico posto che l‘ha aiutato? – domandò Adam. Voight scosse il capo pensieroso – Sarà proprio quello che gli chiederemo appena lo portiamo in centrale. – disse senza distogliere lo sguardo dalla foto del sospettato – Andate a prenderlo! – ordinò prima di avviarsi verso il suo ufficio. Si fermò sulla soglia – Halstead tu no. Vieni da me un attimo. –

Jay si richiuse la porta alle spalle – Che c’è capo? – chiese anche se già conosceva il tema della conversazione. Hank si sedette sulla sua sedia e rimase a guardare il suo uomo per alcuni istanti – Te la senti di seguire il caso? L’ultima volta non è andata propriamente bene… - Jay si sedette a sua volta – Certo che me la sento! E non ho idea a cosa tu ti stia riferendo. Io ricordo che abbiamo chiuso quel caso senza grandi problemi! – incrociò le braccia come protezione. Il sergente appoggiò le braccia sulla scrivania – A quanto mi risulta, hai frequentato per un po’ i Veterans. Sicuro non ci siano problemi? – per quanto sapesse che Halstead non avrebbe fatto notare nulla del suo stato emotivo, Hank aveva imparato a conoscerlo bene in quegli anni. – Certo. – rispose fermamente il sottoposto – Ora posso andare? – domandò sarcastico. Voight fece un cenno di assenso e lo lasciò uscire. Si ripromise di tenerlo d’occhio più del solito ed, al primo segno di cedimento, l’avrebbe sollevato dal caso.

-*-

Fecero irruzione nella villetta di Finch poco dopo l’ora di pranzo. Perquisirono tutta l’abitazione trovando solamente la moglie del sospettato ed il loro bambino di appena cinque mesi.

-Portateli in centrale. – diede il comando Voight dal suo ufficio quando Antonio lo chiamò per ragguagliarlo.

Melinda Finch era rimasta terrorizzata dall’entrata della squadra e faticava a formare delle frasi senza tremare e balbettare – Stia tranquilla Signora Finch, non le faremo nulla. Né a lei né al suo bambino. – provò a rassicurarla Hailey mentre raggiungevano il 21esimo distretto. Fecero sistemare la donna nella sala interrogatori e la lasciarono lì per un po’ mentre loro decidevano come agire.

-Se Finch non era a casa potrebbe significare che stanno progettando un altro attentato. – disse Kim – Avete già informato la moglie delle accuse al marito? – chiese Voigh - Non ancora capo. Non sa perché l’abbiamo portata qui. – rispose Ruzek – Ottimo! – lo sguardo del sergente rese chiara la sua intenzione – Upton con me! – ordinò mentre si toglieva la pistola ancora nella fondina e la chiudeva in una cassaforte a muro.

Entrarono nella sala interrogatori con il fascicolo dell’esplosione. – Ha idea del perché si trovi qui? – domandò Hank sedendosi di fronte alla donna. Questa scosse la testa continuando a cullare il figlio – Suo marito Joe ha messo una bomba davanti ad un centro per veterani. – spiegò atono. Melinda sbiancò e cominciò a piangere – Non è possibile! Joe non lo farebbe mai! – quasi urlò causando l’agitazione nel bimbo che cominciò a piangere.

Con un gesto, Voight fece capire ad Hailey di prendere il bambino e portarlo fuori. – Dove lo portate? – urlò ancora la donna. Hank si alzò e andò accanto a Melinda – Suo figlio starà bene. È meglio se non percepisce la madre agitata come è adesso. Non crede? – non aveva nessuna intenzione di nuocere a quella povera creatura. Gli ricordava moltissimo suo figlio Justin: anche lui appena nato risentiva delle emozioni dei genitori…

Hailey uscì con il fagotto fra le braccia e, senza sapere realmente cosa fare, se lo portò nella sala principale per sapere come stesse procedendo la ricerca del secondo uomo.

Come se fosse scattato qualcosa, tutti i telefoni cominciarono a squillare insistentemente – Ma che diavolo?! – esclamò Dawson alzando poi la cornetta. Lo seguirono anche gli altri presenti scoprendo che, all’altro capo, si trovavano diversi cittadini che chiamavano per dare informazioni riguardanti il secondo sospettato di cui avevano solo un identikit molto vago.

Kim riuscì a farsi spiegare dalla donna con cui parlava la causa di quel trambusto. Appena chiuse la telefonata, andò ad accendere il televisore che tenevano in un angolo – Ragazzi! – chiamò il resto della squadra. La rete locale stava trasmettendo un discorso del sovrintendente della polizia; l’uomo prometteva una somma cospicua a chiunque avesse fornito delle indicazioni su dove trovare il sospettato o qualunque altra cosa utile. – Non ci posso credere! – esclamò schifato Jay – Quel cretino sta solo scatenando il caos… -

-*-

Alex montò per la millesima volta sull’auto di Jay. Anche quell’annuncio non aveva portato da nessuna parte. Il colloquio che aveva avuto con il vice direttore di una azienda produttrice di cosmetici l’aveva squadrata come se lei fosse un rifiuto.

Sospirò poggiando le mani sul volante. Quella giornata era stata un totale fallimento! Estrasse il cellulare e scrisse a Halstead “Dove sei?”. La sua risposta arrivò pochi minuti dopo, minuti durante i quali lei era rimasta a fissare la strada illuminata solo dai lampioni accesi da poco; “Ancora al distretto. Perché?”. “Ti riporto l’auto” digitò prima di mettere in moto. “Non serve. Vengo a prenderla domani.” Fu l’ultimo messaggio del detective. Alex non gli rispose: era determinata a riportargli l’auto, non tanto per non tenere quella cosa in sospeso ma perché sentiva il bisogno di vedere l’uomo, solo lui sembrava in grado di rendere meno insopportabile quella sensazione di inadeguatezza che i vari colloqui le avevano messo addosso.

Spense il motore circa mezz’ora dopo e si affrettò ad entrare al 21esimo distretto. Salutò con un sorriso (seppure non si sentisse in vena di sorridere) il sergente Platt. La donna la guardò incuriosita: nessuno l’aveva avvisata del passaggio della giovane – Dovrei restituire una cosa a Halstead. – tagliò corto sperando che il sergente non volesse indagare troppo. Fortunatamente non sembrò dell’umore di fare domande e le permise di salire nell’ufficio dell’Intelligence.

Già dal fondo delle scale, Alex si accorse che al piano di sopra l’atmosfera era febbricitante. Forse avrebbe fatto meglio a ridare le chiavi il giorno seguente ma ormai era lì…

Una volta nell’ufficio salutò con la mano Jay mentre notava che tutti i componenti della squadra erano attaccati al telefono, Hailey teneva un neonato in braccio mentre cercava di scriversi un appunto e tenere la cornetta attaccata all’orecchio senza farla cadere.
Si appoggiò alla scrivania di Halstead – Che succede? – domandò appena l’uomo riattaccò la cornetta – Lascia stare! Sono dieci minuti che i telefoni impazziscono, da quando quel genio di Kelton ha promesso soldi a chi dà informazioni sul tizio che ha piazzato la seconda bomba. – riassunse in pochi istanti. – Ah – disse solo lei – E perché Hailey ha un bambino? – Jay seguì il dito di Alex puntato verso la bionda – Quello è il figlio del primo sospettato. Abbiamo in custodia la moglie. La mia auto? – domandò poi, ricordandosi del motivo per cui Alex era lì – La portiera del passeggero è rigata, un fanalino posteriore è rotto e ho bucato una gomma! – scherzò lei. Estrasse le chiavi dalla tasca della borsa – Sta benone. Di certo meglio di me… - lui fece una smorfia mentre prendeva le chiavi dalla mano minuta di Alex – Non è andata bene la ricerca? – lei scosse la testa – A quanto pare sono un rischio troppo alto! – esclamò esasperata – Sembrerebbe che assumere una donna di 24 anni sia una specie di follia! Hai idea di quanti mi abbiano chiesto se ho intenzione di avere figli e se ho una relazione stabile?! – non lasciò però il tempo a Jay di rispondere – Troppi! – si diede una leggera spinta per sedersi sulla scrivania. Lui rimase per un istante immobile – E tu che hai risposto? – domandò troppo curioso per trattenersi. – Che?! – fece lei di rimando proprio nel momento in cui riprendeva a squillare il telefono accanto alla sua gamba.

Il detective fece per rispondere ma Alex fu più rapida ad alzare la cornetta – Intelligence di Chicago, buonasera! – disse distogliendo lo sguardo dall’uomo. Attese che il suo interlocutore terminasse di dire cose senza senso – No signore. Non stiamo cercando la sua vicina. – alzò gli occhi al cielo mentre l’uomo sbraitava insulti contro quella donna – Mi dispiace che le rubi sempre la biancheria stesa. Le consiglio di sporgere denuncia al distretto più vicino a casa sua. – non attese la replica del tizio e riagganciò.

-Allora! – in quel momento Voight ricomparve dalla sala interrogatori. Appena vide la giovane seduta sulla scrivania del suo detective le rifilò uno sguardo duro – Cosa ci fai qui? – chiese brusco. Alex non si lasciò intimorire nemmeno quella volta – Ero di passaggio. – saltò giù dalla scrivania e fece per andarsene. Hank la fermò – Alex. – la giovane si voltò – Puoi dare una mano. – disse solo. Sul volto di Alex comparve un leggero sorriso di soddisfazione.


 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***



Capitolo 5

 

Alex non ci mise molto a mettersi comoda sulla scrivania che le avevano lasciato. Aveva fatto deviare tutte le chiamate esterne al telefono sulla sua postazione provvisoria e si era cimentata nelle pubbliche relazioni. La maggior parte delle persone che chiamava lo faceva per i soldi promessi o per vendicarsi di torti subiti da altri. Non le fu particolarmente difficile capire quali informazioni potessero essere realmente utili alla squadra. Fortunatamente la scrivania che le era stata concessa era abbastanza nascosta dietro ad una colonna di mattoni ed uno scaffale pieno di raccoglitori; la cosa le era stata d’aiuto per evitare lo sguardo dei presenti: non era certa che fossero felici di avere una civile in mezzo; per quanto lì tutti la conoscevano ormai da un bel po’.

Grazie al tempo guadagnato dal non dover stare dietro ai telefoni, l’Intelligence era riuscita a scoprire una vecchia baita, poco fuori da Chicago, dove speravano di trovarci Joe Finch. Dopo un estenuante interrogatorio dove Melinda Finch non sembrava rassegnarsi all’idea che l’amorevole maritino fosse un pazzo che aveva ucciso 26 persone, la donna aveva rivelato l’esistenza di una baita. Aveva giurato che Joe non ci fosse andato da tempo ma ciò ovviamente non fu preso seriamente dai detective. Avevano mandato la SWAT e gli artificieri temendo che l’intera zona potesse essere una trappola. Chi poteva sapere cosa avrebbe fatto quell’uomo…

-Intelligence di Chicago, buonasera. – disse per la centesima volta in poco più di un’ora. In quel momento Voight uscì dal suo ufficio con buone notizie – Ascoltate! La SWAT ha fatto da poco irruzione nella baita e hanno preso in custodia il nostro sospettato. Lo stanno portando qui. – spiegò mentre il resto dei presenti esultava. Almeno una buona notizia!

Il neonato però non sembrò contento, cominciò a piangere fra le braccia di Kim che aveva sollevato Hailey del peso della creatura. L’agente provò a cullarlo – Dai, non piangere… -. Alex si alzò dalla sua postazione e raggiunse la donna – Posso? – domandò indicando il bambino; l’altra le passò il fagotto che si continuava ad agitare. La giovane lo accostò al peto, premurandosi che il suo piccolo orecchio fosse a contatto con la pelle, il più vicino possibile al suo cuore. Tornò alla sua scrivania molleggiando con le ginocchia, con un ritmo costante.

Jay si fermò per un attimo a guardare la ragazza e non poté impedirsi di chiedersi come sarebbe stato avere una famiglia, dei figli che lo chiamavano “papà” quando rientrava a casa dal lavoro... Fino a quel momento non l’idea non lo aveva mai neanche sfiorato, però qualcosa sembrava cambiato. Nemmeno quando aveva deciso di chiedere la mano di Erin gli era balenata l’immagine di una famiglia… Distolse lo sguardo solo quando si accorse di essere osservato da Ruzek che aveva un sorrisino divertito e non cercava neanche di nasconderlo.

Alex si sedette nuovamente sulla sedia e tenne il piccolo sul suo petto. La tecnica che aveva usato aveva fatto calmare molto il bambino che, dopo aver giocato un po’ con i capelli castani di lei, era crollato in un sonno profondo. Quando era appena nato, Max faticava molto a dormire; risentiva della perenne agitazione della madre e percepiva le crisi di ansia che avevano condizionato la vita di Monique per circa cinque anni da quando erano scappate da Danny. Era stata Alex a trovare il modo per tenere tranquillo il fratellino e, dopo averle provate tutte, era riuscita a trovare l’unica posizione che lo calmasse fino a farlo addormentare. A quanto pareva, i bambini amavano sentire il pulsare del cuore, un ritmo costante e calmo.

-La SWAT è qui. – disse Hank indicando poi Jay – Vieni con me. Antonio, Kim tornate dalla donna. Ditele che abbiamo preso il marito. – i due fecero un segno di assenso mentre Halstead si affrettava a seguire il capo.

Il telefono squillò nuovamente – Intelligence di Chicago, buonasera. – rispose dopo un paio di squilli. All’altro capo c’era una donna molto agitata, la cosa fece allarmare Alex che si concentrò maggiormente sulla telefonata – L’ho visto! Io l’ho visto! – continuava a ripetere. L’altra provò a capire – Chi ha visto? – la donna smise di parlare per un istante – Lui è qui… L’uomo dell’attentato. Ha uno zaino con sé… -. Ad Alex non ci volle molto per capire che doveva trattarsi del secondo sospettato – Mi può dire dove si trova? – chiese ancora mantenendo la voce il più pacato possibile – Al RTW Veteran Center, sulla 74esima… - la ragazza appuntò l’informazione su un blocchetto di fogli a portata di mano – Okay, ora mi direbbe se riesce ad allontanarsi senza farsi vedere? –. Ci fu un altro attimo di silenzio – Sì, lui è fuori. Si aggira davanti all’ingresso… - singhiozzò in preda al panico – Come si chiama? – chiese ancora Alex – Jane… - rispose piano – Bene Jane, ora esca dall’uscita sul retro. Ce n’è una vero? – Jane sembrò essersi ripresa perché disse un “sì” convinto – Ottimo. Lei esca senza dare nell’occhio. Se c’è qualcun altro lo porti fuori con lei. La polizia sta arrivando. –

Adam, che si trovava esattamente difronte alla giovane, captò che qualcosa in quella telefonata era differente. Si era alzato per vedere cosa avesse scritto Alex ed aveva subito allertato il resto della squadra.

-*-

-Allora Joe, perché hai messo una bomba davanti ai Chicago Veterans? Non eri soddisfatto di come avevano cercato di aiutarti dopo il tuo ritorno in patria? – Voight decise di usare subito la linea dura. Però non sembrava dare effetto; infatti Finch continuava a fissare il detective Halstead, posizionato alle spalle del capo. – Ti conosco. – disse ad un certo punto. Jay sbatté le palpebre senza capire – Come scusa? – domandò lanciando uno sguardo al sergente – Sei un soldato. Ti ho visto in quel centro diverse volte… Non riesci a capire perché l’abbiamo fatto? Perché lo facciamo? – e nella frazione di un secondo il sospettato sembrava aver preso il controllo dell’interrogatorio.

Il detective fece di tutto per non far trasparire quella sensazione spiacevole che stava prendendo possesso del suo corpo ma lottò con se stesso per usare quell’appiglio e capire cosa avesse portato quell’uomo a usare un ordigno contro quelli che lo avevano aiutato nel momento peggiore. Si sedette difronte al sospettato – Non lo riseco a capire, però potresti spiegarmelo tu, no? -. – La guerra! È la guerra la causa di tutto. I soldati vanno al fronte, combattono per il paese e quando tornano a casa? Vengono abbandonati! Lo stato impiega moltissimi fondi per la guerra e per i veterani? Nemmeno il 25% rispetto a quello per le armi! –
Per quanto tutto quello potesse essere folle, Jay cominciava a capire cosa avesse spinto un soldato decorato ad agire in quel modo – Volevamo che aprissero gli occhi! Che la gente si rendesse conto… A Chicago ci sono solo tre associazioni impegnate con i militari rimpatriati. Solo tre su una popolazione di quasi tre milioni! – Halstead muoveva la testa in segno di aver capito – Sono poche per far fronte a tutti i soldati che soffrono di disturbi post traumatici… -. Voight guardò con una punta di preoccupazione il suo sottoposto. Forse tutto quello stava diventando troppo per Halstead.

-Esatto! – esclamò il sospettato – E tu sai che, per quanto ci provino ad aiutare tutti, i Chicago Veterans non riescono a starci dietro con tutte le richieste! Noi vogliamo solo che vengano stanziati più fondi per aiutare i militari… - Jay avrebbe voluto porgli ancora una domanda ma Atwater entrò nella sala interrogatori e fece loro segno di uscire.

-Che c’è? – chiese scocciato Hank. Kevin stava già tornando nella stanza principale – Abbiamo ricevuto una telefonata dal RTW Veteran Center. Una donna ha identificato il secondo uomo. Dice che si sta aggirando davanti alla sede e che ha uno zaino con sé. – spiegò mentre i due ritiravano le loro pistole dalla cassetta di sicurezza. – Avvertite la squadra degli artificieri! – ordinò il sergente mentre prendeva la giacca dal suo ufficio – Già fatto! – gli comunicò Hailey cominciando a scendere le scale.

Alex notò che nello sguardo di Jay c’era qualcosa che non andava. Sembrava quasi che cercasse di evitarla in tutti i modi… Si alzò tenendo sempre il piccolo in braccio e si affrettò per bloccare il detective prima che seguisse il resto della squadra – Sta’ attento! – gli disse solo. Lo guardò per un attimo negli occhi, lui non disse nulla, le riservò solo un leggero sorriso di circostanza. Lei mollò la presa sul suo braccio coperto dalla felpa e lo lasciò andare sperando che non gli sarebbe capitato nulla.

-*-

Arrivarono sulla 74esima senza aver azionato le sirene, non volevano rischiare di spaventare l’uomo e fargli azionare la potenziale bomba che aveva con sé. Parcheggiarono a pochi metri dal RTW Veteran Center e procedettero a piedi.

-Atwater, Burgess e Ruzek sul retro nel caso che voglia scappare. Upton, Halstead e Antonio, voi venite con me! – spiegò le disposizioni il sergente. Si dispersero per circondare la zona.

Raggiunto il retro, i tre notarono una figura minuta che stava accovacciata dietro ad un muretto. – Vada via da qui! – ordinò Adam. La figura si rivelò essere una donna, gli occhi terrorizzati – Siete arrivati! Quella ragazza me l’aveva detto… - sembrava estremamente spaesata. Gli agenti capirono che quella doveva essere la donna che aveva parlato con Alex. Rapidamente Kevin la prese per le spalle e la aiutò ad alzarsi – Si allontani da qui. Fra poco arriveranno altre pattuglie. Aspetti loro. – cercò di essere il più gentile possibile e sembrò avere effetto. Quella donna si riscosse dal panico e si mise a correre dalla parte opposta della strada.

Il resto della squadra varcò il cancello del piazzale davanti alla porta principale. Non fu difficile individuare il sospettato: camminava a grandi falcate, avanti e indietro davanti all’entrata. Hailey si fermò per fornire una protezione al resto della squadra mentre i tre uomini procedevano verso il loro obiettivo – Polizia! Posa lo zaino! – urlò Voight per farsi sentire.

Il sospettato si volto di scatto nella loro direzione; lo sguardo schizzava da un lato all’altro del piazzale – Posa lo zaino! – ordinò nuovamente il sergente. Ormai erano a pochi metri dal soggetto ostile – Posalo! – fece a sua volta Dawson. L’uomo però non sembrava molto presente, si accorsero che stava borbottando parole senza senso. I tre detective si scambiarono una serie di sguardi – Credo si sia fatto di qualcosa… - disse Jay riconoscendo i sintomi dell’uso di stupefacenti.

-Dovevamo farlo… - quasi piagnucolò l’uomo. Halstead si fece un passo più avanti – Sì, lo sappiamo. Joe ci ha detto che era per una buona causa… E noi lo capiamo. Ma, ora, metti giù lo zaino. – sperò che assecondando quel tizio la situazione si sarebbe risolta in breve tempo e senza vittime. – Nessuno fa niente… E soldati per bene muoiono. Adesso Chicago si renderà conto che vuol dire perdere il controllo! – quello che diceva non aveva alcun senso ma la mano che si muoveva rapidamente verso l’interno dello zaino fece allarmare tutti i presenti. Jay fu il più rapido sul grilletto e un proiettile si conficcò quasi al centro della fronte del sospettato.

Il corpo cadde al suolo lasciando che lo zaino finisse a pochi centimetri dalla pozza di sangue che si espanse a vista d’occhio.
Voigh lanciò uno sguardo al suo uomo e non rimase sorpreso nel vederlo immobile a fissare il cadavere. Gli mise una mano sulla spalla – Hai fatto ciò che andava fatto. – disse solo, più gentile del solito. Jay fece un leggero segno di assenso – Lo so. Ma non mi piace lo stesso. – confessò con ancora lo sguardo rivolto al sospettato morto.

-*-

Dopo che la squadra aveva lasciato l’edificio, erano arrivati due agenti per prelevare il sospettato e portarlo nelle celle del distretto. Con loro era salita Trudy Platt, lasciando la sua postazione all’ingresso.

-Sergente! – la salutò Alex continuando a cullare il bambino che sembrava molto grato del contatto con il petto della giovane. – Alex, ancora qui? – domandò sorpresa la donna. L’altra alzò le spalle – Avevano bisogno di una mano… -.

Trudy decise di cogliere l’occasione di quella tranquillità per togliersi una curiosità che da tempo le girava nella testa – Ho una domanda per te. – iniziò. Alex distolse lo sguardo dal neonato e lo posò sul sergente – Tutti i famigliari delle vittime di quella sparatoria hanno voluto che ci fosse una targa col nome del loro caro. Tutti tranne te. Perché? -. Le due donne si spostarono nella sala svago – Per me un nome inciso su una lastra non ha alcun valore. Non è una targa che mi ricorda mio fratello. Io penso a Max ogni singolo giorno. Ogni mattina mi sveglio e credo ancora che, andando in cucina, troverò la mia mamma persa nei suoi pensieri mentre fa il caffè e mio fratello a finire di mettere i libri in cartella… Tutti i ricordi, quelli più belli e quelli meno belli, sono nella mia memoria e nulla me li porterà via. -. La Platt le mise una mano sulla spalla, sicuramente avrebbe voluto dire qualcosa ma il piccolo ancora fra le braccia della giovane cominciò a piangere e dimenarsi in segno di protesta – Avrà fame. – disse Alex – Possiamo andare dalla madre? È ancora in sala interrogatori… - guardò il sergente che le fece cenno di seguirla.

Inutile dire che Melinda fu estremamente felice e sollevata nel vedere il piccolo sano e al sicuro nelle braccia di Alex. Chissà quale fosse stato il suo costante pensiero in quelle ultime ore…

-Brian! – urlò alzandosi e correndo ad abbracciare il piccolo – Amore… - le lacrime le rigavano le guance; poi lanciò uno sguardo alla giovane – Avete notizie di mio marito? Dicono che è un terrorista ma io non posso pensare a Joe che costruisce una bomba… - Alex dovette ammettere che quella donna sembrava veramente all’oscuro di tutto. Per lei doveva essere stato uno shock tremendo scoprire una cosa simile – Non posso dire nulla, mi spiace. La lascio sola con suo foglio. Fra un po’ qualcuno verrà a darle delle informazioni, io purtroppo non so nulla… - detto ciò si chiuse la porta dietro alle spalle.

Trudy l’aveva lasciata entrare da sola, era curiosa di vedere come avrebbe gestito la cosa. Qualcosa le diceva che quella ragazza sarebbe stato un valore aggiunto alla squadra.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6



Alex e Trudy rimasero a conversare sulla situazione di Chicago fino a quando la squadra non rientrò.

La giovane osservò gli sguardi di ogni membro che appariva dalle scale. I primi ad arrivare furono Antonio e Kim, entrambi sembravano soddisfatti della missione. Anche Adam e Kevin avevano uno sguardo fiero. Ad Alex si tolse un peso dallo stomaco. Era riuscita a non tradirsi ma l’idea che fossero andati a prendere un attentatore instabile l’aveva tenuta all’erta fino a quel momento. Poi però la sua pace fu infranta nel momento in cui vide Jay salire a passo lento la scala; gli occhi puntati sul pavimento e le spalle ricurve. Qualcosa non doveva essere andato come sperava. Avrebbe voluto andargli incontro, capire cosa lo turbasse, ma si rese subito conto che non era il caso.

Il sergente Platt attese Voight per sapere come si fosse conclusa la faccenda – Hank! Allora? – domandò andandogli incontro. Lui mantenne il suo sguardo serio – L’abbiamo fermato. – disse voltandosi per un attimo verso Halstead – è morto. Era l’unico modo per impedirgli di far esplodere l’ordigno che aveva nello zaino. – spiegò velocemente. Ruzek posò la giacca sullo schienale della sedia – Già… gli artificieri hanno detto che, per i componenti usati, quella bomba avrebbe potuto radere al suolo tutto nel raggio di cento metri. –

Alex sollevò le sopracciglia sorpresa – Allora è stato un bene che quella donna abbia chiamato. – commentò. Hailey, che le stava passando accanto in quel momento, le posò una mano sul braccio – Ed è stato un bene che tu abbia capito che non stava mentendo come la maggior parte delle persone che avevano chiamato… - Gli occhi freddi di Voight si puntarono sulla castana – Già. A tal proposito… Alex vieni un attimo nel mio ufficio, grazie. –

Seguì l’uomo e si chiuse la porta alle spalle. Non si mosse dall’entrata però, nemmeno dopo che il sergente si era seduto sulla sua poltrona e le aveva fatto segno di accomodarsi. Rimasero per un attimo in silenzio poi lei anticipò qualunque cosa Voight volesse dire – Lo so. Giuro che la smetterò di immischiarmi nelle faccende dell’Intelligence. Giuro che ero venuta qui solo per ridare le chiavi dell’auto a Jay. È lei che mi ha detto di restare! – si stava così infervorando da non rendersi neanche conto di aver cominciato a gesticolare, cosa che faceva ogni qual volta la conversazione la prendesse molto. – E comunque non è colpa mia se metà delle volte ci finisco in mezzo ai vostri casi... –

Voight era rimasto in silenzio a fissarla, le braccia incrociate e appoggiate sulla scrivania, lo sguardo stranamente acceso e quasi divertito – Alex. – disse quando lei si interruppe rendendosi conto dell’espressione sulla faccia del sergente – Io volevo solo dirti che hai fatto un buon lavoro. – spiegò allargando le braccia – Ah… - sussurrò la giovane capendo di aver fatto una figuraccia. – Jay ha accennato al fatto che non hai più un lavoro… - cominciò Hank.

Inizialmente Alex batté le palpebre non capendo dove volesse arrivare. Poi le si accese una lampadina e sperò di non starsi sbagliando né di starsi facendo strane illusioni – Sì è così, il mio capo non guadagnava abbastanza dalla sua attività per potersi permettere delle commesse. – spiegò sommariamente lei. Voight le fece cenno nuovamente di sedersi sulla sedia davanti a lui; questa volta lo accontentò – Non posso negare che tu sia una persona sveglia e che abbia un senso di osservazione invidiabile, molti detective non hanno nemmeno la metà della tua abilità, e oggi sei stata brava ad aiutare quella donna e a cogliere subito la situazione. A noi manca una sorta di segretaria, qualcuno che prenda le telefonate e sia utile alla squadra, un supporto in certe occasioni… Se sei interessata il posto è tuo. – terminò osservando la reazione di Alex.

Lei rimase immobile per un tempo che le sembrò infinito. Sentirlo dire davvero era completamente diverso dalla sua supposizione. – Sì, va bene. Per me va bene! Grazie! – le comparve un sorriso smagliante mentre stringeva la mano al sergente. Poi si alzò per andarsene dall’ufficio ma fu fermata – Un’ultima cosa. – Hank era tornato serio – Ho una politica molto rigida in fatto di relazioni: non tollero che si intromettano con il lavoro. – lei finse di non capire – Non so di cosa stia… - ma il sopracciglio alzato dell’uomo la fece desistere dal dire una bugia così palese – Farò in modo di non deluderla. –

Una volta uscita dall’ufficio Trudy prese il suo posto per parlare con Hank. La giovane passò in rassegna l’ufficio; quello sarebbe stato il suo nuovo posto di lavoro e quelli i suoi colleghi. Sarebbe stato totalmente diverso da ciò a cui era abituata.

-Hey che ti ha detto il capo? – chiese troppo curioso Adam. Alex finse indifferenza per la conversazione appena avuta – Nulla di che. Mi ha solo detto che ho fatto un buon lavoro al telefono. – decise di non raccontare la parte più importante, prima l’avrebbe detto a Jay.

Fu con quel pensiero che si voltò verso il detective, accorgendosi dello strano sguardo che ancora gli adombrava il viso. Stava chino sulla sua scrivania e digitava meccanicamente sulla tastiera. Alzò per un solo attimo lo sguardo dal monitor per posarlo sulla giovane che si stava avvicinando alla sua postazione. Non disse nulla e si rimise a scrivere quello che Alex immaginò essere il rapporto della serata.

A lei non servirono parole per capire che c’era qualcosa che gli stava pesando e che stava facendo uno sforzo enorme per non darlo a vedere al resto della squadra.
Voight e la Platt uscirono dall’ufficio e l’uomo richiamò l’attenzione dei presenti – Ascoltatemi un attimo. Oggi avete fatto tutti un buon lavoro, Alex inclusa. Ed è per questo motivo che, dopo averne parlato con Trudy, abbiamo stabilito che da domani farà parte della squadra. Da domani Antonio prendi la scrivania di Alvin e Alex si metterà al tuo posto. – indicò la scrivania di Dawson, quella subito in cima alle scale – Svolgerà un lavoro d’ufficio e le chiamate passeranno tutte da lei. – continuò a spiegare fra la sorpresa di tutti quanti – Sono una segretaria. – esclamò Alex guardando il sergente con un sopracciglio alzato – Sì, esatto. – Voight rimase per un secondo a fissarla come se si stesse pentendo di quella decisione. Poi si riscosse – Ed ora, visto che è stata una lunga giornata, potete andarvene. I rapporti finirete di redarli domani. Buona serata! –

Per i successivi cinque minuti abbondanti, Alex fu sommersa da domande e congratulazioni dai membri dell’Intelligence; tutti tranne Jay che, dopo aver fissato la giovane con gli occhi spalancati, era tornato a fissare il monitor del suo computer.

-è una notizia fantastica! – esclamò Kim andando ad abbracciarla. Alex non seppe per quale motivo, ma rimase immobile senza ricambiare il gesto. Burgess se ne rese conto e si staccò immediatamente fingendo che non fosse successo nulla. – Noi andiamo al Molly’s a bere qualcosa. Ti unisci a noi? – domandò Kevin mentre si infilava la giacca in pelle. Alex lanciò uno sguardo rapido a Jay – Facciamo un’altra volta ragazzi. – Hailey le sorrise comprensiva – Va bene, buona serata! – la salutò prima di incamminarsi con gli altri verso le scale.

Rimasti soli, Alex si avvicinò al detective che sembrava perso fra le parole del suo rapporto. Si mise dietro alla sua schiena e gli appoggiò le mani sulle spalle. Lui smise di digitare sulla tastiera e sembrò grato di quel contatto. Lei si abbassò verso l’orecchio di Jay – Cos’è successo questa sera? – sussurrò cominciando poi a muovere i pollici in segni circolari. – Non mi va di parlarne… - disse atono ritornando sul suo rapporto. Alex però non gliel’avrebbe data vinta. Afferrò lo schienale della sedia e la fece girare, costringendo Halstead a staccare gli occhi dal monitor – Voight vi ha dato la serata libera. Usciamo da qui… - lo supplicò.

-*-

-Gli ho sparato. – disse ad un tratto Jay. Erano a casa del detective, dopo aver bevuto qualcosa (lui una birra, lei due bicchieri di un ottimo pinot nero che aveva portato da casa sua un paio di sere prima) si erano messi a letto, entrambi stanchi dalla giornata. Lui aveva appoggiato la testa sul petto di lei e le accarezzava un braccio mentre Alex, con la mano libera disegnava dei cerchi sulla schiena di Jay. Tutto sembrava così normale, quasi come se l’avessero sempre fatto.

-Ho sparato a quel pover’uomo… - ripeté ancora in preda ai rimorsi – Era un assassino, Jay. Avrebbe ucciso altre persone se non l’avessi fermato. – Alex riusciva solo a pensare alla questione della bomba – Sì ma ne aveva passate tante. Era un veterano, aveva visto cose orribili e, una volta tornato? Nessuno l’ha aiutato. – lui smise di accarezzarle il braccio – Non andava ai gruppi di ascolto dei Chicago Veterans? – chiese lei ricordandosi di aver sentito qualcuno della squadra dire qualcosa del genere. Jay sbuffò – Sì beh… Anch’io li ho frequentati per un po’! ma fuori da lì sei da solo. – Alex guardò la nuca dell’uomo senza sapere cosa dire – Quando sono rientrato dall’ultima missione ho faticato molto a riadattarmi alla vita di tutti i giorni… - non sapeva se si sentisse pronto a parlare di quel periodo con lei. Non ne aveva mai fatto parola con nessuno, nemmeno con suo fratello. L’unico al corrente di quei mesi bui era stato Mouse, il suo amico e compagno d’armi. – Sono stati mesi… difficili. – sembrò non voler più parlare ma Alex voleva che si liberasse di quel peso immenso che lo teneva sveglio la notte. Gli posò una mano sulla testa e accarezzò i capelli corti – Hey, puoi parlarmi di tutto, lo sai? Non ti giudicherò e tantomeno ti lascerò da solo. Liberati del fardello! Ci sarò sempre. – gli lasciò un leggero bacio sulla nuca. Lui si mosse quel poco per guardala negli occhi – Non credo sia giusto caricarti anche dei miei problemi. – il viso di lei si aprì in un grande sorriso – Tu già mi hai aiutata con i miei di problemi. Lascia che ricambi il favore… -

E così Jay si ritrovò a raccontare delle missioni, del suo amico Mouse, di tutte le sere in cui si era ubriacato in qualche pub di Chicago e, alle quattro o cinque di mattina, chiamava Mouse perché lo riportasse a casa. Greg Gerwitz, il suo vero nome, aveva combattuto nei Rangers al fianco di Jay ed erano diventati grandi amici quasi subito. A Chicago poi era diventato assistente tecnico per l’Intelligence. Dopo qualche anno aveva lasciato gli Stati Uniti per tornare a combattere, nonostante il disappunto di Jay.

Raccontò ad Alex, seppur molto brevemente, di quanto avesse faticato ad uscire da quel periodo buio. Sempre molto riservato, non aveva detto mai nulla alla sua famiglia: suo padre non avrebbe capito e suo fratello probabilmente avrebbe provato compassione… Però Jay sapeva che Will era al corrente di quello che aveva passato. Lui non ricordava quasi nulla ma Mouse era stato costretto a chiamare il più giovane degli Halstead un paio di volte per impedire al suo amico di andare in coma etilico.

Per tutto il tempo non fu in grado di guardare Alex negli occhi, temendo di vederci qualcosa che non gli piaceva: la compassione. Quando smise di parlare, il silenzio regnò per diverso tempo.

-Grazie. – fu l’unica cosa a spezzare il vuoto. Quella parola lasciò talmente sorpreso il detective che si dimenticò della vergogna e si voltò verso la giovane. Lei lo stava guardando con gratitudine; gli occhi puntati in quelli di lui senza la minima ombra di tristezza o pena, tutt’altro: stavano esprimendo solidarietà. – Grazie per esserti aperto con me. – non aveva altro da dire.

Fu allora che si rese conto di quanto Alex fosse diversa da tutte le altre. Si fiondò sulle sue labbra per baciarla e trasmetterle quello che provava per lei. Non l’avrebbe mai espresso a parole ma era abbastanza convinto che sarebbero riusciti a trovare un loro equilibrio e vivere una vita assieme.

-In tutta questa storia mi sono dimenticato di complimentarmi con te! – esclamò dopo essersi staccato dalle labbra di lei – Da domani farai parte della squadra! Voight raramente fa cose di questo tipo. – lei si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio – Non mi definirei proprio “della squadra”. Sarò la vostra segretaria… risponderò al telefono e farò poco più, non credo sia proprio quello che fate voi! – era contenta di avere un nuovo lavoro, anche se ancora nessuno le aveva parlato di stipendi… - Vedrà che sarà più entusiasmante di quello che credi. Promettimi solo di non metterti nei casini! – Alex fece un verso di scherno – Io?! Casini?! Ma per chi mi hai presa? – per tutta risposta lui la colpì con un cuscino sulla spalla mettendosi poi a ridere.

-Sei incredibile! – le sussurrò ad un orecchio prima di spegnere l’abatjour sul comodino e mettersi comodo nella sua parte di letto. – Anche tu non sei male! – scherzò Alex andando a rannicchiarsi fra le sue braccia.

Lei se lo sentiva: quel posto, fra le braccia di Jay, era casa ed era certa che lo sarebbe stato per molto tempo. O almeno lo sperava.



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Il prossimo capitolo della serie: "Nothing will drag you down - Finché morte non ci separi"

L'Intelligence dovrà indagare sull'omicidio di James Rauner durante la celebrazione delle sue nozze con Isabel Bledel. Chi lo voleva morto e perché?

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