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Lista capitoli: Capitolo 1: *** 1. Tanti Piccoli Cocci *** Capitolo 2: *** 2. Il Limbro Di Un'Attesa *** Capitolo 3: *** 3. Tutto Deve Cadere In Pezzi... *** Capitolo 4: *** 4. Tutto Deve Sembrare Impossibile... *** Capitolo 5: *** 5. Prima di Ricominciare... *** Capitolo 6: *** 6. Lentamente *** Capitolo 7: *** 7. A Vivere *** Capitolo 8: *** 8. Tanti Passettini In Avanti *** Capitolo 9: *** 9. Con Una Piccola Luce Nel Cuore *** Capitolo 10: *** 10. Riannodando i Fili della Vita *** Capitolo 11: *** 11. Finalmente, Casa *** Capitolo 12: *** 12. Niente Più Incubi *** Capitolo 13: *** 13. Lacrime nella notte *** Capitolo 14: *** 14. Frammenti *** Capitolo 15: *** 15. Per curare un cuore spezzato, per guarire uno spirito distrutto *** Capitolo 16: *** 16. Per rivendicare il posto che mi spetta *** Capitolo 17: *** Intermezzo *** Capitolo 18: *** 17. Una famiglia che prende forma *** Capitolo 19: *** 18. Rompere gli schemi *** Capitolo 20: *** 19. Senza lasciare indietro nessuno *** Capitolo 21: *** 20. Sunerkhomai *** Capitolo 22: *** Epilogo - Love alone is worth the fight ***
Senti
quella pelle ruvida,
un gran freddo dentro l'anima,
fa fatica
anche una lacrima a scendere giù.
Nei
Giardini che Nessuno Sa, Renato Zero
“N-Non
respira...”
Col
fiato corto e le lacrime agli occhi, Shun strinse al petto la mano di
Seiya che si faceva via via sempre più fredda tanto
più il mondo
attorno a loro velocizzava a disfarsi e a cadere in pezzi mentre
Ikki, sorreggendo stancamente Saori, lasciava silenziosamente spazio
a Shiryu per chinarsi sul lembo di terra su cui avevano trovato
momentaneo rifugio e prendere tra le proprie braccia il corpo del
tredicenne ferito.
Non
disse nulla, il suo viso era pallido, tra il sangue dei graffi e lo
sporco, ma la carezza che sfiorò la guancia del ragazzino
più
giovane fu improvvisa e delicatamente struggente come la lacrima che
gli aveva solcato la guancia.
Sentiva
freddo al cuore, il Saint di Dragon, dannatamente freddo: amava
Seiya, non poteva neanche lontanamente immaginare il futuro senza di
lui.
“Portiamolo
a casa...” sussurrò Hyoga, fattosi avanti a
sorreggere Shun:
“Torniamo a casa...” mormorò ancora,
facendo in modo che la
propria mano sfiorasse, in un movimento rassicurante, i capelli
chiari del fratello stretto a sé.
Osservarono
assieme il cielo, in quei lunghi secondi che erano il preludio o
della fine o della vita e quel che videro, nel profondo dell'Universo
che si disfaceva e riannodava i propri fili, fu quel che li aspettava
a casa.
Quella
promessa che, fatta al ritorno dalla Grecia dopo i lunghi giorni di
pioggia, e le ferite profonde del corpo e dell'anima, doveva essere
mantenuta.
Si
erano ritrovati tutti sotto il portico, in quella mattina di primavera
fresca e silenziosa.
Sparsi
un po' dappertutto, ma sempre molto vicini gli uni agli altri,
sapevano di dover parlare ma volevano strappare quei pochi attimi per
loro, volevano vivere quell'illusione di pace ancora per qualche
secondo.
Volevano
ricostruire la loro famiglia, volevano farla tornare a vivere,
volevano imparare a viverla, ma forse era la paura a fermarli.
Non
sapevano cosa dire né cosa fare, eppure erano lì.
Ikki
stava in piedi, l'unico, poggiato contro la colonna del portico, e
osservava in lontananza qualcosa che non potevano vedere, qualcosa
che, probabilmente, vedeva soltanto lui e che non aveva nulla a che
fare col verde smeraldo del prato o degli alberi.
Hyoga
stava poggiato con la schiena contro il quinto gradino, sorrideva
appena malgrado qualche sporadico dolore all'occhio ferito che gli
faceva aggrottare la fronte, e stringeva da dietro Shun, assonnato
tra le sue braccia.
Le
gambe di Shiryu invece facevano da cuscino a un Seiya che
probabilmente solo d'istinto si era trascinato fin lì ma che
il
sonno ancora non aveva abbandonato, non del tutto almeno, ma fu
proprio lui il primo ad aprire bocca, sussurrando appena come se non
volesse svegliare nessuno: non coloro che dormivano all'interno della
grande casa alle loro spalle e non Shun che sonnecchiava là
fuori
accanto a lui ma non c'era traccia di incertezza nel suo tono.
“Dovremmo
dirglielo.”
Era
convinto di quel che voleva dire con quelle due parole.
“Dove
pensi di scappare poi?” ribatté con tono severo
Ikki, senza
distogliere un attimo lo sguardo.
“Piantala,
sono serio...” bofonchiò stancamente il ragazzo,
massaggiandosi la
spalla e rannicchiandosi maggiormente nell'abbraccio del cinese:
“Dobbiamo dire loro che sono nostri fratelli, che siamo tutti
figli
di Mitsumasa Kido. Glielo dobbiamo...”
“In
virtù di cosa? Non mi sembra che si meritino il premio per
Fratelli
dell'Anno.” - E neppure io, tra parentesi –
L'ultima
frase Ikki se la tenne per sé, consapevole dell'errore che
stava
facendo nel negare quella possibilità di riappacificazione
ma
convinto a propria volta di quel che stava facendo, della
testardaggine che stava dimostrando.
“In
virtù del fatto che abbiamo lo stesso sangue!” la
voce del Pegaso
si alzò di qualche tono e si sarebbe anche alzato se solo
Shiryu non
lo avesse tenuto fermo: “Siamo Guerrieri votati alla Dea
Athena,
siamo orfani! Siamo da soli...” mormorò tra
sé e sé, “Abbiamo
solo noi stessi e questo legame di sangue... Non possiamo lasciare
che muoia con noi senza far nulla per impedirlo.”
“Seiya...
Io non credo sia una buona idea...”
Shun,
forse svegliatosi per la confusione dovuta alla discussione, si era
messo seduto e osservava alternativamente i due fratelli:
“Io... Io
credo che sia meglio lasciare le cose così come
stanno...”
aggiunse, conscio dello sguardo ferito del più giovane ma
forse
troppo spaventato per affrontarlo, “Almeno per
ora,” si affrettò
a precisare, anche se non troppo convinto a propria volta,
“Non
pensi che potrebbero... rifiutarci definitivamente? Che potrebbero
allontanarci e andarsene via, lontano, senza la possibilità
di poter
iniziare anche solo a ricostruire un rapporto?”
“Perché
dovrebbero rifiutarci?” chiese il ragazzo, stringendo il
pugno fino
a ferirsi di proposito il palmo.
E
mentre il sangue scorreva piano, imbrattandogli le dita, si era
alzato e, stringendo rapidamente le mani di ciascuno, le aveva
macchiate di rosso prima di tornare a stendersi sulle ginocchia del
cinese, che lo fissava inebetito.
“Questo
sangue scorre uguale in ciascuno di noi, è ciò
che ci rende
fratelli. Perchè negarlo? Se lo facessimo, se precludessimo
loro
questa possibilità, forse verrà un giorno in cui
ce ne pentiremo...
Magari... Magari... Io un giorno potrei non esserci più
e...”
“Non
dire stupidaggini.” lo rimbeccò Shiryu con voce
seria, e un
pochino tremante, bendandogli la mano con un vecchio fazzoletto da
tasca: “Il giorno che tu... morirai, probabilmente noi saremo
tutti
al tuo fianco... Non pensare neppure un attimo
all'eventualità che
tu possa morire da solo.” mormorò, accarezzandogli
distrattamente
la mano ferita, “Nessuno nega il fatto che siamo fratelli,
altrimenti non saremmo qui...” gli bisbigliò
rassicurante, “Ma
forse è troppo presto per dirlo anche a loro.”.
“Perché?”
Per
la prima volta nella sua vita, Shiryu trovava difficile rispondere a
Seiya, non sapeva cosa dire, non sapeva come dirlo...
“Va
bene, ho capito...” bofonchiò infine il Pegaso,
alzandosi in
piedi: “Allora facciamo così. Se, per un qualche
dannato motivo,
uno di noi dovesse... andarsene... Voglio che mi promettiate che
glielo diremo, o glielo direte. Insomma., devono saperlo.”
Che
male poteva fare una promessa del genere a fronte della prospettiva,
neppure tanto remota, che sarebbero morti assieme su di un campo di
battaglia?
E
quindi l'avevano promesso.
E
ora, dovevano mantenerla.
Nel
cuore di quella distruzione, s'aprì un timido spiraglio di
luce, il
Cosmo della loro Dea li abbracciò con tutto l'amore di cui
ella era
capace: li avrebbe riportati a casa, ci avrebbe pensato lei a loro.
Almeno
quello glielo doveva.
Nel
tempo che passò rapido come un battito di ciglia, quando
riaprirono
gli occhi che neppure erano certi di aver chiuso, scoprirono di
essere tornati al Santuario, di rivedere il Sole, finalmente e di
sentire la Terra crepitare ancora di vita.
Athena
cadde in ginocchio, ansimando senza forze e senza fiato, Ikki le
stava coscienziosamente accanto, incapace di guardarsi attorno,
incapace di affrontare la perdita che avevano subito...
“S-Seiya
respira di nuovo... Il cuore batte ancora...”
Saori
gli strinse la mano mentre gli sussurrava quelle poche parole,
sorridendogli esausta: “Non l'abbiamo ancora
perso...”
Con
una stilla di coraggio sopravvissuto, la Fenice alzò lo
sguardo.
Shun
era stretto a Hyoga per evitare di cadere e quest'ultimo aveva la
bocca vicino al suo orecchio, pur non potendolo sentire, sapeva che
gli stava mormorando qualcosa che doveva calmarlo, tranquillizzarlo e
rassicurarlo.
Mentre
Shiryu, stava levando pezzo per pezzo la Cloth di dosso a Seiya,
riverso privo di sensi tra le sue braccia.
“Vai
da lui...”
Suonava
come un ordine più che come un suggerimento, un ordine e un
imperativo che provenivano direttamente dal suo cuore ma che solo
Athena era in grado di tramutare in realtà e che solo
così poteva
seguire.
La
fece sedere a terra poi, con cautela, si assicurò che gli
altri due
fratelli stessero bene prima di chinarsi per levare il pettorale
della Cloth di Pegasus orribilmente spaccato in due all'altezza del
cuore.
Con
gli ultimi frammenti del proprio Cosmo, allontanò la propria
God
Cloth e, strappando un lembo di maglietta ancora integro,
tamponò la
ferita pregando che i soccorsi si sbrigassero ad arrivare: non
potevano tardare, dovevano essere stati senza dubbio sentiti e
percepiti.
E
infatti...
“Athena!
Ragazzi!”
Il
primo a comparire sulle colline ammantate di Sole fu Jabu, anche da
laggiù potevano vederne il sorriso allegro e sollevato a
dispetto
delle ferite, e poi in rapida successione Ichi, Nachi, Geki –
che
portava Kiki in spalla – Ban...
Ma
quando videro Marin e Shaina guidare lungo il sentiero impervio che
conduceva al cimitero del Santuario una ragazza, dai lunghi capelli
rossi, ricci come quelli della Sacerdotessa dell'Aquila e dai
lineamenti familiari, tutti sentirono distintamente il cuore fermarsi
nel petto.
Perchè
Seiya non aveva solo loro al mondo: c'era anche qualcun'altro di
ugualmente importante, qualcuno che aveva cercato per tutti quegli
anni, che aveva perso in tenera età e che, segretamente,
temeva di
non poter più rivedere.
“S-Seika-san...”
balbettò Shun con le lacrime agli occhi, consapevole
dell'identità
della giovane ma stupito e spaventato dalla sua presenza.
Non
in quel momento...
Non
lì...
“State
bene?!” Nachi e Ichi erano giunti assieme, sorreggendosi
l'uno
all'altro, e guardavano preoccupati lo spettacolo penoso che
offrivano la Dea e i suoi compagni di lotta: “Vi abbiamo
sentito,
sapevamo che sareste tornati... Noi...”
Il
bofonchio debole e rotto dalla stanchezza e dal sollievo dell'Hydra
venne interrotto da un gesto gentile e da un sorriso affettuoso di
Athena: “Lo so, so cosa avete affrontato per noi...
Grazie.”
disse lei con tono leggero e tranquillo, “Però non
stiamo bene...”
concluse lei tristemente, spostando lo sguardo a seguire Jabu che,
superata Saori senza neppure salutarla, si era gettato su Ikki e
Shiryu ma soprattutto...
“Seiya!
Razza di stupido! Non ho protetto tua sorella per farle vedere questa
scena pietosa!” sbottò Unicorn, sostituendo la
pezza ormai zuppa
di sangue con una nuova, più pulita:
“Cos'è successo?!” sbraitò
poi con gli occhi spalancati e lucidi.
“H-Hades
l'ha trapassato...”
Era
stato Hyoga, con voce insolitamente monocorde, a rispondere e le sue
parole ebbero come effetto uno stupore generale mentre i soldati
semplici, arrivati in estremo ritardo, cercavano come meglio potevano
di aiutare a stabilizzare il tredicenne ancora disteso in braccio a
Shiryu.
Come
a volerla proteggere, Marin e Shaina tenevano Seika indietro e questa
non replicava: in ginocchio sui sassi, teneva le mani giunte in
preghiera e non si mosse neppure quando il suo fratellino, la persona
per la quale aveva affrontato le peggio difficoltà e che,
nel
profondo del cuore, non aveva mai scordato, venne portato via con
estrema delicatezza da quella che era stata la sua inflessibile
quanto importante maestra.
In
quella lunga giornata che volgeva ormai al crepuscolo, dopo la lunga
notte artificiale, la Luna forse voleva farsi vedere, rassicurante
nella sua luce, si ritrovarono riunite alla bell'e meglio due
famiglie che forse neppure sapevano di esser tali.
Da
una parte, i Saint, superstiti e non, che cercavano di farsi forza
gli uni con gli altri, dall'altra, Seika, che non aveva interrotto un
attimo la propria preghiera.
“Ce
la fate?” chiese preoccupato Kiki, avvicinandosi a Ikki per
dargli
sostegno: “Siamo stati così in pensiero per
voi...” mormorò il
bambino con gli occhietti lucidissimi.
Annendo
faticosamente, la Fenice gli scompigliò i capelli:
“Non siamo noi
a rischiare la vita.”
“Il
suo Cosmo è scomparso, non lo sento
più...” sussurrò Jabu,
seduto accanto a Shiryu che non pareva dare più alcun segno
di
coscienza di sé e di ciò che lo circondava
“Hades...
Hades l'ha colpito... Ha perso sangue...” respirò
appena Shun,
ancora restio a interrompere il contatto col corpo pulsante di vita
di Hyoga: “L'abbiamo visto cadere... Per difendere
Athena...”
“E'
sempre stato così... irruento. E pazzo.” concluse
il russo,
osservando il cielo mentre si punteggiava di stelle: “Ma
ora...”
“Seiya
starà bene... Non si lascerà morire
così facilmente.” cercò di
dire Geki, più nel tentativo di convicere sé
stesso che altro:
“Vedrete che si riprenderà presto.”
“E
poi, c'è Seika-neesan!” replicò Kiki
testardamente, strappando un
gemito silenzioso ai quattro fratelli consapevoli, troppo
preoccupati, stanchi e spaventati per reagire in altra maniera.
Ma
la ragazza rivolse loro un tiepido sorriso mentre, aiutata da Saori
si alzava per raggiungere il gruppo; con la mano tesa ad accarezzare
la guancia dei giovanissimi God Saints, la sua voce appena appena
ridotta a un fievole mormorio fu la più grande
rassicurazione e il
più grande terrore.
“Lo
so.”
E
con il cuore pesante e i corpi martoriati, la triste marcia che si
mosse da lì fu lenta nel ritornare a casa, nel viaggio di
ritorno ad
una casa dal futuro incerto, con una famiglia che pareva in procinto
di disfarsi ancora prima di incominciare ad esistere.
E
una promessa che pendeva sulle loro teste come una Spada di Damocle.
§§§
SETTE MESI DOPO
La
figura eterea e leggera di Shun fece il suo ingresso nella grande e
tranquilla hall della Clinica della Fondazione, lo sguardo triste e
lucido di lacrime incrociò dolcemente quello
dell’infermierina al
bancone dell’accettazione; la donna, minuta e
dall’aria gentile,
gli rivolse un sorriso incoraggiante: “Buongiorno
Shun-chan,” la
sua voce suonava musicale nel silenzio dell’ingresso di primo
mattino, “Come stai?” domandò con aria
materna, sfiorandogli con
una mano il viso smagrito, “Dovresti mangiare di
più, stai
dimagrendo a vista d’occhio.” lo sgridò
con tono velato di
preoccupazione.
Il
bruno dall’aria angelica chinò il capo in un cenno
rispettoso di
saluto nei confronti della fanciulla dalle sembianze di bambina,
tentando di ricambiare il sorriso: “Non ho molta
fame…” ammise
malinconicamente il ragazzo, stringendo a sé
l’involto che portava
tra le braccia, “Ma la ringrazio
dell’interessamento.” la sua
voce in spense in un sussurro, “Mi scusi.”
aggiunse, congedandosi
con un leggero inchino, “Shiryu-niisan mi sta
aspettando.” e
senza dire altro si inoltrò nel corridoio.
L’infermiera
lo seguì con gli occhi fino a quando ne vide i ciuffi del
colore del
rame sparire dietro l’angolo poi sospirò cupamente
non appena i
passi del piccolo ragazzo si furono zittiti.
“Meiko-san,
chi è quel ragazzo?”
Il
tono curioso e interessato della più giovane collega dai
capelli
neri come la notte con cui divideva il turno la fece trasalire.
Scrollò
il capo, vergognandosi per essersi distratta: eppure, gli occhi di
quel ragazzo che, puntuale, ogni mattina alla stessa ora entrava da
quella porta e ne usciva dopo parecchie ore, svolgendo infaticabile
un compito doloroso come il suo, la faceva sempre pensare e soffrire;
frugò qualche minuto nelle cartelle cliniche degli ospiti
della casa
di cura e ne tirò fuori una voluminosa, di un bel rosso
acceso:
“Kido, Seiya-kun, l’ospite della 119.”
mormorò la donna cupa,
“Lo sai, è stato ricoverato sette mesi fa e finora è stato mantenuto in vita dalle macchine. Shun-chan invece è il fratello, uno dei
tanti in verità. Credo ce ne siano
altri…” la sua espressione si
fece pensosa per un momento, “almeno altri otto,
Satsuki-chan.”
rispose con voce incerta.
“Un
momento.” la frenò la più giovane,
“Hai detto Kido? Non è
che…?” fece per dire, “Si, sono fratelli
di Lady Saori,” la
prevenne con un gesto della mano, “Uno tra tutti loro sta
sempre
nella stanza di Seiya-kun, Shiryu mi sembra si chiami, lo sorveglia,
gli parla in continuazione, non lo lascia mai. Da quando è
arrivato
qui, non è mai tornato a casa, nemmeno per un'ora. Poveri
cari.”
sospirò con voce rotta, “Hanno sofferto tanto e
stanno soffrendo
ancora, sono così giovani e non se lo meritano.”
disse, sedendosi
al proprio posto; con cura, Satsuki prese tra le mani la cartelletta,
esaminando i dati del paziente: “Ha solo 13 anni??”
esclamò
orripilata mentre il fascicolo le cadeva dalle mani tremanti,
“Ma
come è possibile riportare ferite del genere??”
chiese con aria
alterata.
Meiko
si chinò, prendendo il dossier e riponendolo con attenzione:
“Te
l’ho sempre detto, questo è uno schifo di
mondo.” sbuffò lei
furibonda.
§§§
Troppe
attese dietro l'angolo,
gioie che non ti appartengono.
Questo
tempo inconciliabile, gioca contro di noi.
Ecco come si finisce
poi,
inchiodati a una finestra noi,
spettatori malinconici,
di felicità impossibili...
“Shiryu,
sono Shun, posso entrare?”
Il
tono tenero e incerto del ragazzino al di là della porta
fece
sussultare il giovanotto seduto sulla poltroncina accanto al letto;
con aria confusa e stravolta, si stropicciò gli occhi,
osservando
con un misto di delusione e dolore la figuretta distesa tra le coltri
candide del letto, il macchinario al suo fianco emetteva regolari bip
ogni due secondi, Shiryu li aveva contati prima di crollare
addormentato contro la propria volontà.
E
ora, erano di nuovo lì al suo risveglio, un risveglio che
aveva il
sapore del tradimento: lo aveva lasciato solo, seppur per poco meno
di un paio d'ore, cedendo al sonno che si era ripromesso di cacciare
a ogni assalto.
Non
se lo sarebbe più permesso.
Il
moro sospirò pesantemente, sentendosi la bocca impastata e i
muscoli
delle spalle indolenziti per la scomoda dormita; si alzò,
barcollando leggermente, per avvicinarsi al giaciglio su cui il
più
piccolo dei suoi fratelli non smetteva di lottare. Non gli avrebbe
mai permesso di andarsene senza di loro e restare lì al suo
fianco
era il modo migliore che avesse trovato per dimostrare al mondo la
forza della sua risoluzione.
Gli
accarezzò il viso smagrito e pallido, un rito ormai
quotidiano, di
cosa voleva sincerarsi con quel gesto?
Forse
che era ancora lì, che giorno dopo giorno sarebbe rimasto
lì?
Di
nuovo quel bussare gentile alla porta, questa volta non poteva
esimersi dal rispondere: “Entra, Shun..” disse a
voce bassa,
quasi non volesse disturbare il sonno del bambino che vegliava.
Il
viso appena appena illuminato da un sorriso dell’Andromeda
fece
capolino dalla fessura lasciata dalla porta semichiusa:
“Buongiorno!”
salutò, cercando di mostrarsi il più allegro
possibile, “Ti ho
portato alcune cose.” disse, mostrando l’involto
che trasportava,
“Vestiti di ricambio, una coperta e qualcosa da
mangiare.”.
“Grazie..”
borbottò lui di rimando, sempre però stando
seduto accanto al letto
senza minimamente staccare lo sguardo dal corpo di Pegaso.
Shun
entrò dentro, poggiando tutto quello che si era portato
dietro da
casa sul mobiletto più vicino: “Se vuoi andarti a
fare una doccia,
resto io con lui.” propose, levandosi la sciarpa per
poggiarla
sull’attaccapanni.
“Non
ce n’è bisogno, resto io con lui.”
La
voce del Dragone suonava fredda, era difficile ritrovare in quel tono
gelido il calore che emanava ogni parola detta dal cinese fino a
pochi mesi prima.
Shun
tremò, sentiva come se la temperatura interna si fosse
abbassata di
parecchi gradi, ma non disse nulla, continuò a tirare fuori
ora
pigiami puliti ora contenitori pieni di cibo ancora caldo:
“Dovresti
mangiare qualcosa.” provò a dire, sempre
però restando girato,
notando che le pietanze che aveva portato il giorno prima erano
intonse, “Non ti fa bene saltare i
pasti…”.
Fu
un attimo.
Il
bicchiere sul comodino di Seiya andò a infrangersi contro il
muro,
spingendo il più piccolo a buttarsi per terra, con la testa
coperta
dalle mani in un moto istintivo di difesa.
Ma
non c’era nessun nemico, nessun messo di Hades superstite.
Sopra
di lui, c’era Shiryu, con lo sguardo furente, il Cosmo del
Dragone
che crepitava, pieno di rabbia: Shun non l’aveva mai visto
così,
era fuori controllo, sembrava impazzito.
Ed
era terrorizzato da lui.
Come
se fosse stato una bambola, il cinese lo afferrò per il
bavero della
giacca, sollevandolo con facilità in piedi; i loro visi si
avvicinarono pericolosamente, tanto che il quattordicenne poteva
quasi specchiarsi negli occhi vitrei del fratello maggiore.
E
poi, quelle parole che lo colpirono al cuore come una pugnalata.
“Se
Seiya è in queste condizioni, è solo colpa
tua…”
Parole
piene di cattiveria, di dolore, che esprimevano tutto quello che in
quei lunghi mesi lì, seduto ad aspettare,
l’animo di Shiryu
aveva maturato, nel suo spasmodico desiderio di rivedere il Pegaso in
piedi, vivo e in buona salute.
Shun
sentì gli occhi pizzicare, non riusciva a trattenere le
lacrime, e a
malapena riusciva a respirare per la presa ferrea che il fratello
esercitava sul suo collo, più cercava di dimenarsi,
più si
stringeva: era come se Shiryu stesso cercasse di ucciderlo.
A
quel pensiero, si fece prendere dal panico.
Cominciò
a urlare, a implorare aiuto tra i gemiti soffocati, e fu solo allora
che, nel momento esatto in cui la porta della stanza si era
spalancata con un tonfo sordo, che il Dragone sembrò
risvegliarsi,
come da un incubo.
I
loro occhi si incrociarono per un attimo, quelli pieni di lacrime
dell’Andromeda e quelli confusi del Saint di Draco e,
all’improvviso come era stato afferrato, il bruno venne
lasciato
andare: cadde a terra scompostamente, sbattendo con la testa sul
linoleum del pavimento.
Si
lasciò scappare un lamento mentre un paio di braccia forti e
familiari lo sollevavano da terra e un rumore di passi nervosi si
allontanavano dalla stanza.
“Stai
bene, Shun?” chiese Ikki preoccupato, tastandogli la testa
per
sentire se per caso non ci fosse qualche bernoccolo; il fratello
annuì, asciugandosi le lacrime, anche se queste continuavano
a
scendere, senza pietà, senza volersi fermare.
“Se
Seiya è in queste condizioni, è solo colpa
tua…”
Le
parole che il cinese gli aveva rivolto erano state crudeli, questo
era indubbio…
Tanti
viaggi rimandati e già,
valigie vuote da un'eternità...
Quel
dolore che non sai cos'è,
solo lui non ti abbandonerà mai, oh
mai!
Beffardamente,
in quei lunghi sette mesi, il Sole non era quasi mai mancato.
Avevano trascorso una primavera calda, insolitamente calda, un'estate afosa ma tranquilla e infine quell'autunno che, quietamente, si stava tramutando in inverno non aveva avuto troppi giorni di pioggia, anche la stagione dei tifoni era stata insolitamente mite.
A
questo pensava Seika, seduta al capezzale del fratello intubato,
completamente da sola per la prima volta: aveva spesso dato il cambio
agli altri o fatto compagnia a Shiryu per qualche tempo ma, da quando
erano tornati in Giappone dalla Grecia, non era mai rimasta sola con
Seiya e la cosa le sembrava così strana e dolorosa che, se
solo non
avesse avuto l'incrollabile speranza di poterlo rivedere presto in
piedi, sarebbe scoppiata a piangere.
Quei
lunghi anni di lontananza, di oblio, in quella terra rocciosa e
lontana dal suo cuore e dal suo mondo ancora non li aveva del tutto
realizzati, come neanche aveva realizzato quel che aveva compreso in
quel breve istante in cui aveva incrociato gli sguardi dolorosamente
consapevoli di quei ragazzi che le avevano riportato il fratello
minore, quei ragazzi che, come lei, erano legati a Seiya dal sangue.
“Fratelli,
quindi...?” bisbigliò lei, sorridendo appena nel
sollevare lo
sguardo per incrociare il viso del bruno addormentato:
“Chissà
cos'hai pensato quando l'hai saputo... Come ti sei sentito... Forse
sperduto, forse felice ma confuso...” disse, accarezzandogli
la
guancia pallida e magra e sentendo il cuore stringersi in una morsa
nel percepirne il gelo.
“E'
strano, fratellino... Neppure io sapevo di questa cosa... Okaa-san e
Otou-san... Non me lo hanno mai detto. Altrimenti avremmo potuto
cercarli, farglielo sapere... E invece...”
sussurrò, mentre il
Sole accarezzava la sua mano poggiata su quella inerte di Seiya:
“Mi
spiace di averti lasciato solo... Di essere scappata per non
lasciarti solo, io...”
“Lui
non la penserebbe così.”
La
voce severa, macchiata di stanchezza, di Ikki interruppe il filo dei
suoi pensieri mentre il più giovane entrava dalla porta alle
sue
spalle, portando uno scialle sotto braccio e una serie di pacchi tra
le braccia: lo scialle le venne messo, senza alcuna protesta da parte
sua, sulle spalle mentre il resto venne posato sul mobiletto che
ancora recava i segni della scaramuccia di qualche ora prima.
“Shun
come sta?” chiese lei, alzandosi per aiutarlo:
“Cosa ha detto il
dottore riguardo al bernoccolo?”
Ikki
sospirò ma lo sguardo restò ostinatamente
concentrato sui
contenitori e sui cambi di vestiti che aveva portato con sé:
“Non
è nulla, è a casa con Saori adesso, sono nel suo
studio da
quando...”
“Sai
che non è colpa di Shiryu, vero? Sai bene che non pensa
davvero quel
che ha detto.” cercò di rassicurarlo lei, conscia
dell'accaduto.
Saori-san
l'aveva chiamata in tutta fretta per chiederle di restare lei con
Seiya, le aveva raccontato della litigata tra il Saint di Andromeda e
quello di Dragon, dell'allontanamento improvviso di quest'ultimo e
lei non aveva fatto domande.
Sapeva
che, se per lei era doloroso, per loro che gli erano rimasti accanto
in ogni battaglia doveva essere stato ancora peggio.
“Lo
so, non lo biasimo per questo. E neppure Shun.”
sbottò rude: “Ma
non avrebbe dovuto comunque prendersela con lui per qualcosa del
genere, non avrebbe dovuto dirgli quel che gli ha detto!”
Ikki non
aveva la forza per essere furioso, non sapeva come rapportarsi con
quella ragazza che, fino a pochi mesi prima, era solo l'utopico
obiettivo di una ricerca che aveva sempre ritenuto impossibile da
portare a termine ma che, ora che era lì, in carne ed ossa,
non
sapeva come gestire, come comportarsi.
Era
spaventato, come tutti, e c'era ancora quella promessa a pendere
sulle loro teste.
“Deve
essere stata dura.”
Ikki
alzò di scatto la testa, osservando quella figuretta magra
mentre
pescava una crocchetta da uno dei bento che aveva portato con
sé e
la portava alla bocca: “Voglio dire, quando hai scoperto che
non
solo Shun era tuo fratello, quando lo hai detto a Seiya...”
“Te
ne ha parlato Saori, vero?”
“Sì.”
“E
quindi sai anche di quel che ho fatto.”
“Perchè
non me lo dici tu? Lei mi ha detto poco e mi ha consigliato di
chiedere a voi.”
Scuotendo
la testa irritato, Ikki agguantò il bento già per
metà
mangiucchiato e si sedette accanto a lei, a pochi passi dal letto,
osservò a lungo il suo occupante poi distolse lo sguardo che
minacciava di riempirsi di lacrime e lo rivolse all'esterno, al
tiepido sole che brillava nel giardino della casa di cura:
“Fu il
mio maestro a dirmelo, quando lo ammazzai con questo pugno.”
disse
lapidario, fingendo di non udire il mugolio strozzato di stupore di
Seika mentre le mostrava l'arma dell'assassinio che aveva perpetrato,
“Seiya era incredulo quando glielo confessai, ricordo che i
suoi
occhi erano confusi, sperduti, forse anche pieni di disgusto. Sono
stato cresciuto ed educato nell'odio, cosa poteva aspettarsi da
me?!”
sbottò.
“Lui
non la penserebbe così.” sorrise lei
incoraggiante, poggiando la
propria mano su quella molto più grande e massiccia del
ragazzo più
giovane: “Non è da lui provare disgusto per
qualcuno, soprattutto
se questo qualcuno ha il suo stesso sangue. Credo tu lo sappia meglio
di me.” Seika sembrava così convinta nella sua
idea che Ikki, per
un attimo, sentì la morsa che gli attanagliava il cuore
allentarsi e
lasciandolo libero di respirare a pieni polmoni per la prima, forse,
volta nella sua vita.
“Poi
cosa accadde?”proseguì
la ragazza.
Ikki
sospirò stancamente, si massaggiò le tempie e
abbasso lo sguardo a
incrociare il viso pallido di Seiya, concentrandosi sul tubo che gli
pompava aria nei polmoni, nella flebo che, sottile e quasi
invisibile, spariva nel braccio magro e ossuto: “Io volevo
ucciderli. Volevo eliminare ogni legame di sangue che potevo avere
con Mitsumasa Kido, volevo uccidere Shun... Volevo eliminare tutti e
nove i miei fratellastri sopravvissuti e Athena me ne scampi! Volevo
bagnarmi del loro sangue nella stupida speranza di dimenticare tutto
quel che avevo vissuto all'inferno, ma mi sbagliavo.”
confessò
amaramente lui.
“L'ho
capito solo quando mi sono trovato davanti a Seiya che non avrei
avuto il coraggio di alzare ancora la mano su di loro, inconsciamente
forse avevo capito che non era a loro che dovevo addossare le colpe
delle mie sofferenze, che erano vittime innocenti come lo ero io, ma
ero cocciuto, immerso nel mio odio e nel mio disprezzo per la vita
altrui.”
“Però
io so che li hai salvati, che li hai protetti più volte. Che
sei
corso ad aiutarli ogni volta che te ne si offriva la
possibilità.
Che sei tornato indietro dall'Aldilà anche per
loro.”
“Sì,
l'ho fatto, ma questo che significato ha?!” sbottò
il ragazzo,
alzandosi di scatto in piedi: “Volevo ucciderli tutti, volevo
eliminare la mia famiglia... Shun...”
Seika
scosse la testa e gli prese gentilmente la mano tremante:
“Anche
nelle migliori famiglie ci sono degli screzi. Voi siete nati in un
mondo che non vi ha voluto lasciare la possibilità di
scegliere una
vita normale, avete sofferto ma avete vinto e superato ostacoli
enormi, vi siete fatti da soli, affidandovi gli uni agli altri... Se
io sono qui adesso è solo grazie a voi, a Jabu e agli altri
che mi
hanno protetto, a Marin-san e Shaina-san... E se tutti noi siamo
ancora vivi è solo merito vostro e del vostro legame unico e
speciale.” la sua voce era chiara e limpida, senza la minima
traccia di astio o disgusto come invece Ikki si sarebbe aspettato,
“Non so molto dei Saint o di Athena, so solo che sono viva,
che
posso sperare di vedere un'altra alba e tutto grazie ai vostri enormi
sacrifici. Quindi, grazie.”
Un
bussare insistente, seppur debole, alla porta e il cigolio che ne
annunciava l'apertura attirarono la loro attenzione mentre la figura
alta e slanciata di Shiryu compariva silenziosamente sulla soglia.
Aveva
gli occhi lucidi, le palpebre un po' arrossate e i suoi vestiti erano
piuttosto sporchi e malconci ma, nel complesso, sembrava più
calmo
di qualche ora prima.
Egli
guardò confusamente prima Ikki poi Seika, come se non si
aspettasse
di vedere né l'una né l'altro.
Ikki
lo squadrò con occhio critico: “Dove sei
stato?” gli chiese con
tono severo.
“A
fare due passi... Stavo cercando Shun...”
La
ragazza gli fece cenno di entrare: “E' con
Saori-san.” rispose
lei incoraggiante, facendogli spazio sulla sedia, “Come ti
senti?
Un po' meglio?” domandò poi.
Shiryu
annuì impercettibilmente: “Io volevo...”
“Se
le mie orecchie non mi ingannano, questo rumore è quello
dell'auto
di Saori. Quello che vuoi credo sia meglio che lo dica tu stesso
all'interessato. E prima di uscire da questa stanza, cambiati e datti
una ripulita alla mano, sanguini.”
Ikki
uscì in tutta fretta dalla stanza, lasciando Seika a
ripulire
efficentemente la ferita profonda che solcava il dorso della mano del
più giovane.
§§§
“Sicuro
di stare bene?”
Mentre
Saori scendeva dall’auto, stretta nel cappotto, Shun
annuì
distrattamente, alzando lo sguardo verso la struttura ospedaliera:
“Stai ancora pensando a quello che ha detto Shiryu,
vero?” chiese
la ragazza, con una sfumatura di dolore nella voce arrochita.
Athena
allungò una mano tremante per poggiargliela sulla spalla, ma
il
Saint di Andromeda si scostò, senza avere il coraggio di
guardare la
sua Dea in viso: “Io credo che abbia
ragione…” mormorò con un
filo di voce il bruno, fermandosi all’improvviso, con la
portiera
per metà aperta.
Non
si mosse, semplicemente restò lì, con la mano
nuda poggiata sul
freddo metallo, lo sguardo basso e la testa incassata nelle spalle,
come se fosse una tartaruga in cerca di scampo.
Saori
ritrasse di scatto la mano, come se si fosse scottata, e lo
guardò
con espressione smarrita e spaventata.
“Non
è colpa tua, Shun… Lo sai…”
disse lei, cercando di tenere la
voce il più possibile ferma e decisa: “Shiryu ha
detto quelle cose
perché le persone tendono a prendersela con chi sta loro
attorno,
quando soffrono… E lui soffre, forse più di tutti
noi…”
sussurrò, allungando le mani per stringere le sue,
“Anche lui è
umano, ha solo bisogno di tempo… E che Seiya si
risvegli.”.
A
quell’ultima frase, se possibile, Shun impallidì
più di quanto
già era.
Non
sapeva che dire, sentiva una gran voglia di piangere per tutta quella
situazione assurda, avere cinque minuti per sé, per
disperarsi
quanto più possibile, per sfogarsi, ma non poteva
permettersi quel
lusso: troppe erano le cose da fare, troppi i tasselli da rimettere
assieme nel puzzle delle loro esistenze.
Una
volta di più, ricacciò in gola il groppo che gli
mozzava il fiato e
sorrise all’indirizzo della coetanea, stringendo a
sé la tracolla
blu gonfia di fogli: “Andiamo.”
“Senza
salutare?”
Nel
secondo che passò tra l'udire la voce di Ikki e il gettarsi
tra le
sue braccia, Shun sostituì alla propria espressione triste e
cupa un
sorriso il più possibile incoraggiante ma forse ugualmente
malinconico.
“Niisan...”
mormorò il tredicenne, lasciando che la borsa piena di
documenti
andasse a cozzare contro la sua coscia.
“Hai
la testa abbastanza dura?” chiese il maggiore con un vago
tono di
scherzo nella voce mentre gli scompigliava i capelli:
“Sì, non è
nulla...” minimizzò Andromeda, scostandosi per
permettere al
fratello di salutare la Dea ancora vicino all'auto.
Saori
sorrise affettuosamente: “Hai portato qualcosa a
Seika-san?”
chiese lei.
Ikki
annuì: “E l'ho lasciata a rattoppare un testone
impossibile.”
aggiunse, incrociando poi lo sguardo del fratello minore,
“Shiryu è
tornato poco fa e ti stava cercando,” precisò,
scrutando nei suoi
occhi alla ricerca del minimo segno di stress alla notizia.
Ma
vi lesse solo un debole baluginio di speranza.
“Hyoga
non è voluto venire con noi ma se ci siamo noi tre, forse,
potrebbe
essere più facile per gli altri accettare la
cosa...” sussurrò
Shun, afferrando le mani di Ikki nel timore che questi fuggisse via:
“Niisan, l'abbiamo promesso... Seiya... Seiya
vorrebbe...”
“Lo
so che abbiamo promesso, otooto-kun, non ho intenzione di nasconderlo
ulteriormente. E non me ne andrò, non
preoccuparti.”
Quando
Shiryu arrivò nel cortile, trovò Shun ad
aspettarlo, seduto su una
panchina, con Saori e Ikki al suo fianco.
Per
un attimo, si fece prendere dal panico, panico che scomparve
letteralmente nel nulla quando Shun, alzatosi e con passo tremante,
non lo raggiunse, spingendolo ad avvolgerlo in un abbraccio
soffocante.
“Scusami
Shun... Io...”
“E'
colpa mia...”
“No,
sono stato io ad aver esagerato. Tu non hai colpa, tu non sei Hades,
non sei stato tu ad alzare la spada contro Seiya e io ho sbagliato a
dire una cosa che neppure pensavo...” Shiryu si rendeva conto
solo
in quel momento, sentendo la camicia inzupparsi di lacrime
all'altezza della spalla, del male che aveva fatto al fratello
minore.
Non
si era mai reso conto, fino a quel momento, di quanti danni avesse
effettivamente fatto Hades.
Con
un'ultima stretta fortissima, Shun lasciò la presa,
permettendo a
Shiryu di asciugargli gli occhi con la manica, poi lo prese per mano
e fece la stessa cosa con Ikki: il sorriso che offrì a
entrambi era
già più luminoso del solito.
“Ci
stanno aspettando.”
§§§
E'
un rifugio quel malessere,
troppa fretta in quel tuo crescere.
Non si fanno più miracoli,
adesso non più.
“MALEDIZIONE!”
Il
grido pieno di dolore di Jabu si alzò fino alle stelle,
mentre il
giovanissimo guerriero colpiva ripetutamente il muro della Clinica
coi propri pugni.
“DANNAZIONE!!
NON CI CREDO! NON VOGLIO CREDERCI!” singhiozzò,
ignorando il
dolore alle mani, sentiva le dita scricchiolare ma non ci
badò, il
male vero e proprio se lo portava dentro.
Era
confuso, non riusciva a ragionare con lucidità, era
terrorizzato per
il futuro.
Un
futuro che non sapeva come affrontare, che non sapeva se avrebbe
avuto la forza di affrontare, in ogni caso; le guance scarne
bruciavano per il vento gelido di quella notte fredda e cupa che era
calata su Tokyo, portando con sé una cappa di gelo e
umidità
opprimente, non insolita per la stagione ma particolarmente
pressante.
Improvvisamente,
tutte le forze lo abbandonarono e lui sentì la testa girare,
il
corpo tremava, se per il freddo o la sofferenza non sapeva, e si
ritrovò a terra con la schiena poggiata contro la parete;
non c’era
parte del suo corpo che non gli dolesse, sotto le bende e i cerotti,
la pelle appena rimarginata gli faceva un male del diavolo.
Ansimando,
si strinse le mani al petto, massaggiandosi lo sterno, quasi gli era
difficile respirare.
Con
la vista ottenebrata dalle lacrime, alzò lo sguardo al cielo.
A
dispetto della pena del suo animo, le stelle lassù
splendevano come
non le aveva mai viste brillare.
Jabu
gemette, affossando il viso tra le ginocchia: “Non
è possibile…”
mormorò, “non posso crederci… non
voglio crederci… e se…
Come potrei reagire…” balbettò
convulsamente, tormentandosi le
dita, “NON VOGLIO!” urlò col cuore colmo
di amarezza e angoscia,
le mani andarono a sorreggere la testa, strinse le dita sulle tempie,
nel vano tentativo di cacciare lontano i pensieri, i ricordi e il suo
cuore che si era irrimediabilmente spezzato sotto la pressione
Voleva
solo dormire.
Con
le mani tremanti, Jabu accolse tra le dita il sottile plico di fogli
che Shun gli passava, senza per questo avere il coraggio di leggere
cosa ci fosse scritto sopra.
Era
più che eloquente l’espressione smarrita degli
altri.
Saori
stava in piedi di fronte a loro, con aria triste e cupa e
l’unico
rumore che si sentiva nella stanza era il fruscio dei fogli mentre
venivano sfogliati, distrattamente, senza quasi forza.
Shiryu
fissava fuori dalla finestra con l'ombra di una lacrima sulla
guancia.
Ikki
era poggiato contro il muro, il viso rigido e gli occhi smorti.
“C-Cosa
vuol dire…?” mormorò Ichi, con le
lacrime agli occhi, mentre
stringeva al petto il suo involto, puntato il proprio sguardo
smarrito in quello della quattordicenne.
“Quello
che c’è scritto, Ichi-kun…”
bisbigliò Shun, che stava accanto
alla Dea: “Noi dieci Saint di Bronzo siamo fratelli, fratelli
di
sangue. Figli di Mitsumasa Kido.”
Stava
ormai per abbandonarsi al sonno, sentiva le membra farsi pesanti,
quando una mano sottile giunse a scrollarlo con decisione e una voce
familiare e triste lo fece riemergere dall’oceano dei sogni
in cui
si stava a poco a poco lasciando annegare: “Jabu! Non puoi
dormire
qua fuori! Congelerai!” gridò quasi, preoccupata e
un caldo
abbraccio lo avvolse mentre l’Unicorno sentì la
propria testa
poggiare contro un tessuto morbido e caldo, all’apparenza
doveva
essere seta.
Qualcuno
di considerevolmente forte lo sollevò e il suo corpo
tremante fu
avvolto da un soffice e caldo maglione di lana grezza: “Non
avresti
dovuto lasciare la stanza.” borbottò Shiryu,
“Saori-san era
matta per la preoccupazione.” la voce del Dragone gli giunse
vaga e
lontana, quasi non la riconosceva.
La
luce intensa della hall della clinica gli ferì gli occhi
tenuti
socchiusi, tanto che dovette rannicchiarsi col viso contro il petto
del fratello maggiore, il fastidio era quasi insopportabile;
passò
un tempo che il ragazzo pensò quasi infinito prima di
sentirsi
depositare tra fresche lenzuola, la testa poggiata su un morbido
guanciale. Una fitta di dolore intenso proveniente
dall’avambraccio
gli fece capire che il compagno aveva risistemato anche la flebo.
Grugnì
di disappunto, nascondendo il viso nel cuscino.
Il
fastidioso stridio della sedia sul pavimento in cotto precedette
l’affettuosa carezza del Dragone sui suoi capelli sudati e
spettinati: “Se ti lascio solo cinque minuti per andare ad
avvertire Milady, non scappi di nuovo, vero?” chiese il
cinese con
voce stanca e spenta; Unicorn annuì, rannicchiandosi sotto
le
coperte.
Tese
l’orecchio, sentendo il passo leggero del fratello
allontanarsi
fino a scomparire del tutto.
La
stanza piombò di nuovo nell’oscurità,
un’oscurità che gli
occhi del tredicenne accolsero con gran sollievo.
Non
si era nemmeno accorto di essersi addormentato: lo comprese nel
momento in cui il rumore penetrante di una sirena lo fece trasalire,
quasi cadde dal letto per lo spavento, nel buio non riusciva a capire
da dove venisse, ma il groppo in gola che gli mozzò il
respiro…
Cosa
stava accadendo?
Rapidamente,
scese dal letto, sorreggendosi al reggiflebo e mosse qualche passo
incerto sul pavimento gelido della camera, raggiunse la porta e la
aprì, trovandosi inondato dalla fredda e impersonale luce al
neon e
circondato da grida e schiamazzi misti a un lontano rumore di passi
in corsa.
Confuso,
Unicorn si guardò intorno e distinse in lontananza la sagoma
massiccia di Geki correre verso di lui: “Rientra in stanza,
subito!” gli urlò il fratello, spingendolo verso
la porta, “Non
ci penso nemmeno! Che succede?” chiese preoccupato,
guardandosi
attorno, il fischio della sirena, se possibile, si fece più
forte e
vicino, “RIENTRA IN CAMERA, È UN
ORDINE!” urlò il maggiore,
Jabu notò che aveva gli occhi lucidi.
Un’orrenda
sensazione gli ghiacciò il sangue nelle vene:
“È Seiya, vero…?”
balbettò il moro e senza nemmeno aspettare una risposta
cominciò a
correre lungo il corridoio, non sapeva da dove venisse la forza che
lo muoveva ma non gli importava.
Davanti
alla porta della camera di Pegasus c’era una gran confusione,
l’Unicorno vide la sua Dea parlare animosamente coi medici,
vide
Shun con gli occhi sgranati e pieni di lacrime abbandonato su una
sedia.
Al
di là della porta spalancata, i medici si affannavano
attorno a un
corpicino pallido, bianco come la neve, abbandonato tra le lenzuola
del letto sfatto; con gran clangore metallico, l’asta reggi
flebo
cadde a terra e il liquido medicinale si sparse a terra.
Immobile
come se lo avessero colpito a morte, Jabu annaspava stringendo i
pugni in preda al terrore: “No..”
sussurrò tra le lacrime che
gli bruciavano gli occhi, “No…” scosse
la testa, respirando
affannosamente, “NO!!!!” urlò il ragazzo
e, istintivamente,
espanse il Cosmo, che si elevò forte e furibondo sino al
cielo,
tanto forte che perfino Shun alzò di scatto lo sguardo,
impaurito
per quella reazione folle da parte del fratello.
Nessuno
però poté prevedere quello che accadde subito
dopo.
Perché
Unicorn sfrecciò nella stanza tra i medici, si
gettò sul corpo
esanime del minore e lo abbracciò con forza, chiamandolo a
gran voce
per nome e implorandolo di resistere, si strinse alla figuretta
morente con tutta la propria forza, gridando tutto il suo dolore.
La
sua voce sovrastava quasi il rumore dei macchinari che parevano
impazziti, tutti i medici erano rimasti ammutoliti, quel ragazzetto,
sino a poche ore prima talmente debole da non riuscire a muoversi,
ora, come una belva feroce che cerca di difendere il suo cucciolo dai
cacciatori, si era gettato sul lettino del fratello, abbracciandolo e
mostrando una forza senza eguali.
Meiko
entrò nella stanza a larghi passi seguita da Satsuki e prese
Jabu
gentilmente per le spalle, sorridendogli come una mamma: “Sta
tranquillo…” gli sussurrava mentre il rumore a
poco a poco
scemava, azzittendosi del tutto in pochi istanti, “La crisi
è
passata…” lo rassicurò, accarezzandogli
la testa, “Il suo
cuore ha ripreso a battere, è tutto
finito…”.
Jabu
si lasciò abbracciare dalla donna, scoppiando poi a
piangere,
tremando di freddo: “Riportalo in camera.”
ordinò subito dopo a
Ban con aria severa, facendo cenno al corpulento ragazzo di occuparsi
del compagno; Leone Minore scattò in avanti, afferrando
l’Unicorno
per riportarlo in fretta in stanza, il ragazzetto era semisvenuto e
nell’incoscienza lo si poteva udire mentre chiamava Seiya.
A
poco a poco, la stanza cominciò a svuotarsi mentre alcune
infermierine si prodigavano a sistemare alla bell’e meglio la
stanza disastrata ma lasciando dietro di sé una cappa greve
di paura
e angoscia palpabilissime.
Paura
e angoscia che forse non se ne sarebbero mai andate.
Capitolo 3 *** 3. Tutto Deve Cadere In Pezzi... ***
CAPITOLO
3
TUTTO
DEVE CADERE A PEZZI...
Sorreggili,
aiutali,
ti prego non lasciarli cadere.
Esili, fragili,
non
negargli un po' del tuo amore...
Quando
Jabu riaprì faticosamente gli occhi, sentì la
mano massiccia di
Geki accarezzargli una guancia e si ritrovò a dividere il
letto con
Ichi: lo trovò aggrappato al suo collo, con tracce di
lacrime che
picchettavano il cuscino ma non era sicuro di chi fossero quelle
lacrime.
Potevano
essere di entrambi.
“Ti ho lasciato dormire per tutta la mattina ma adesso è quasi mezzogiorno.”
annunciò il
maggiore, spingendogli in braccio un vassoio: “Mangia
qualcosa, hai
saltato la colazione.”
Docile,
troppo stanco e prostrato per protestare, Unicorn obbedì:
zuppa di
miso calda, riso e pesce, del tea...
Non
aveva fame ma doveva mantenere le energie.
E
poi, dovevano parlare.
Cercando
di non svegliare Ichi – non sapeva cosa lo avesse portato a
infilarsi nel suo letto ma doveva ammettere che avere compagnia era
rassicurante, soprattutto in una situazione come la loro –
Jabu si
mise seduto a gambe incrociate, con la schiena poggiata contro la
testata del letto, e prese cautamente in mano il cucchiaio per la
zuppa.
Ne
mandò giù qualche sorso bollente, lasciando che
facesse effetto e
che gli aprisse lo stomaco ancora chiuso per l'ansia e la paura della
sera prima: alla zuppa si unirono alcune lacrime fuggiasche che il
tredicenne cercò di nascondere dietro la ciotola sollevata a
mo' di
bicchiere, sperando che Geki non lo vedesse.
L'occhiata
che quest'ultimo gli lanciò fu più che eloquente,
come se anche lui
sentisse e condividesse quel dolore sordo che gli mozzava il respiro.
“Quando
siamo tornati in camera, Ichi ha voluto a tutti i costi dormire qui
con te, non voleva lasciarti solo dopo quello che è
successo...”
spiegò all'improvviso Geki con lo sguardo basso:
“L'ho aiutato a
mettersi il pigiama ed è crollato praticamente
subito.”
Jabu
sentì il cuore riempirsi di calore mentre, da sotto la
coperta,
spuntava il ciuffo biancastro dei capelli del fratello.
Che
strana sensazione usare un simile titolo per il serpentello...
Era
strano poterlo usare per riferirsi a tutti loro, ancora non credeva a
quello che la Dea e Shun avevano detto loro il giorno precedente.
“So
che non è il momento, ma possiamo parlare un
attimo?”
Scosso
dai propri pensieri, per un attimo Jabu non capì, poi si
rese conto
delle suppliche implicite che la voce di Geki celava; lui
annuì,
facendo per allontanare il vassoio, ma l'altro scosse la testa:
“Prima mangia, poi parliamo.”
Concluso
in tutta fretta il pranzo e messe via le stoviglie sporche, Unicorn
osservò Geki: “Di cosa vuoi parlare?”
chiese a voce bassa nel
tentativo di non svegliare Ichi.
“Adesso
che sappiamo... Cosa dobbiamo fare?”
Nel
porre la sua domanda, Geki si concentrò sugli occhi stanchi
e
sfiduciati del ragazzo a letto, spiandoli con preoccupazione.
Quest'ultimo
scosse la testa rassegnato: “Non lo so.” ammise,
“E' tutto così
strano, così difficile anche solo da accettare...”
bisbigliò,
sfiorando con le dita i ciuffi spettinati e biancastri dell'altro
ospite del letto, “Vorrei dirti che non cambierà
nulla ma non è
così, purtroppo. Seiya sta male e dobbiamo fare i conti
anche con
questo.”.
“Io
non so cosa voglia dire avere una famiglia... Ho sempre pensato che,
per me, sarebbe stato troppo tardi anche solo pensare di poterla
avere.”
“Perché
dici questo?” Jabu era sinceramente curioso e, forse, ferito
dalle
parole tristi di Geki.
Nervosamente,
questi s'alzò per andare alla finestra, spalancarla per far
entrare
un po' di aria nella stanza e rinfrescarsi un poco le idee mentre
Jabu, rannicchiato contro il cuscino e abbozzolato nella coperta, non
sapeva come interpretare quel silenzio.
Quando
poi il maggiore la richiuse e tornò a sedersi accanto a lui,
ne vide
le guance lievemente lucide e bagnate: “E' tutto troppo
veloce,
troppo... Non penso di riuscire a farcela ad accettare una cosa del
genere...”
“Quindi
vuoi mandare al diavolo tutto questo...?”
Dal
nugolo di coperte riemerse Ichi, il viso pallido e smagrito e gli
occhi cerchiati di nero: il suo sonno non doveva essere stato dei
migliori; con la rabbia, e un briciolo di paura, negli occhi,
spostò
alternativamente lo sguardo prima su Jabu poi su Geki: “Non
capite
la fortuna che abbiamo... la grande possibilità che ci
è stata data
è imperdibile.” bofonchiò,
tormentandosi le dita, “Non siamo
più soli al mondo, abbiamo un posto dove tornare e una
famiglia da
cui tornare, non vi importa nulla?”
Nei
suoi grandi occhi neri c'era troppa aspettativa e paura e nessuno dei
due aveva il coraggio di affrontarne la sincerità.
“A
me importa, ragazzi. Sarà difficile ma... perché
non provarci?
Assieme possiamo far funzionare tutto.”
Per
Geki era l'ultima goccia: tutta la paura, il rimpianto per un passato
che non aveva mai del tutto lasciato dietro di sé e quella
sorta di
disgusto che aveva provato nell'anche solo accostare il proprio nome
a quello di Mitsumasa Kido... Tutto esplose come una bomba.
“Allora
forse la memoria non ti funziona bene... SIAMO STATI MANDATI A MORIRE
, CI SIAMO ODIATI, CI SIAMO FATTI DEL MALE E ORA VUOI GIOCARE ALLA
FAMIGLIOLA FELICE?! COME DIAVOLO TI SALTA IN TESTA?!”
gridò il
massiccio ragazzo, afferrandolo per il bavero del pigiama e
sollevandolo di qualche centimetro.
Rantolando,
Ichi tossì e cercò di divincolarsi dalla stretta:
“Perché sono
stanco di odiare e di avere paura.” ammise in un sussurro,
“Vorrei
avere una famiglia come tutti dopo anni passati senza amore, vorrei
avere un punto fermo nella mia vita...”
Con
una spallata, Jabu colpì Geki, facendogli mollare la presa
sull'Hydra che cadde con un tonfo attutito sul materasso senza
però
interrompere il proprio discorso: “Non abbiamo avuto
nient'altro
che un nome... Non vorresti anche te avere la certezza della tua
identità anziché essere soltanto un soldato senza
nome né
passato?”
“NON
HO DETTO QUESTO!” strillò Ursa Minor con voce
rotta dai
singhiozzi: “Non siamo neppure certi che a loro stia bene
così...
ABBIAMO CERCATO DI UCCIDERCI, NON POSSONO NON TENERNE CONTO!”
Jabu
non sopportava più quella situazione.
Anche
lui aveva paura, anche lui voleva piangere e urlare ma era d'accordo
con Ichi, dolorosamente d'accordo: voleva provare, almeno una volta
nella vita, il calore di un abbraccio dato con cognizione e con
affetto, voleva sul serio poter rimettere assieme i pezzi in cui la
loro vita sembrava essersi irrimediabilmente rotta.
Ma
come poteva fare?
In
un'altra stanza, dall'occhio di Seiya scese una lacrima.
§§§
Un
bussare leggero svegliò di soprassalto Saori che, distesa
sul
divano, si mise di scatto seduta, guardandosi intorno:
“Avanti…”
biascicò a bassa voce la giovane, sfregandosi gli occhi per
cancellare i segni della nottata disastrosa.
La
porta dello studio si aprì e sulla soglia comparve la sagoma
massiccia di Ban, dall’espressione esausta del suo viso la
Dea capì
che nemmeno lui doveva aver passato una gran notte; sorridendogli
appena, gli fece cenno di sedersi sulla poltroncina davanti a lei:
“E' successo qualcosa?” chiese la ragazza con aria
pensierosa,
cercando di comprendere i vorticosi pensieri del suo guerriero.
Leone
Minore scosse la testa, tormentandosi nervosamente le dita:
“Saori-san, so che è stanca ma... Sono appena
tornato
dall'ospedale e...” borbottò il massiccio ragazzo
senza però
avere il coraggio di incrociare lo sguardo della divina Athena; la
fanciulla sospirò inquieta, un’ombra le
passò nello sguardo,
“Vuoi parlarmi vero? Ti ascolto,” disse lei
incoraggiante, “parla
liberamente.” lo rassicurò.
“Milady,
mi dica la verità. Seiya-kun ha qualche
possibilità concreta di
salvarsi?” domandò a bruciapelo il ragazzo con lo
sguardo triste,
“Perché, dopo le ore infernali appena passate, mi
scusi, ma non ne
sono più così sicuro.” ammise con un
certo rammarico, scoccando
un’occhiata alla foto appesa alla parete dietro la scrivania.
La
donna seguì la linea dello sguardo, incupendosi nel
constatare la
presenza di un’unica, lucente lacrima nell’angolo
dell’occhio
del suo protetto e si sentì morire, come era successo quella
notte:
“Cosa… Cosa te lo fa pensare?” per un
attimo, la voce della Dea
s’incrinò, “La situazione
s’è stabilizzata, no?”
continuò.
“Si,
si è stabilizzata, ma quanto ancora potrà
resistere?” anche Ban
sembrava estremamente a disagio mentre cercava di trovare le parole
più adatte per esternare il proprio dolore:
“Saori-san, voglio
essere sincero, ho passato la notte ad avere incubi.. Io…
non credo
di potercela fare.” biascicò il guerriero,
distrutto, lasciandosi
cadere seduto sulla poltrona, “guardiamo in faccia la
realtà, non
si risveglierà più…”
singhiozzò, le spalle del quindicenne
sussultavano senza posa, “E' inutile…”
balbettò, nascondendo
il viso tra le mani.
“Me
lo dica lei, come possiamo sperare in un recupero dopo queste ultime
ore?!” il ragazzo, all'improvviso, era balzato in piedi, il
volto
rigato di lacrime e arrossato: “Come è
possibile?” urlò con
tutto il fiato che aveva in gola, “Io… Io non
voglio che succeda
anche a Seiya-kun… Ho visto troppi amici morire in
addestramento,
cadevano come mosche, ammazzati senza pietà da altri
compagni, ho
perso senza saperlo troppi fratelli in quell’inferno in terra
e non
voglio vedere spegnersi anche il Pegaso in cielo. Sono abbastanza
grande da capire quello che è successo, quello che sta
passando lui
stesso, non vuole lasciarsi morire senza lottare sino
all’ultimo e
lo ammiro per questo, so che si sta aggrappando alla vita coi denti e
lui ha sempre fatto così, ma non sono certo che possa
farcela ancora
a lungo…” mormorò, Leone Minore tremava
nella sua tuta da
ginnastica, “Ho paura, Saori-san…”
dichiarò con gli occhi
pieni di lacrime, cadendo in ginocchio davanti a lei, “Ho
paura…
Non voglio perdere anche lui.” singhiozzò,
reclinando il capo sul
petto.
Quell’improvviso
e incontrollato scoppio di rabbia e dolore da parte di Ban la
colpì
profondamente.
Sapeva
che quello che il suo guerriero aveva detto corrispondeva alla
più
pura verità, che rispecchiava totalmente la situazione
disperata in
cui stavano affondando, una situazione che nemmeno lei riusciva a
gestire appieno.
Dopo
tanto tempo, era riuscita a confessare anche a lui e agli altri la
segreta parentela che li legava agli altri Bronze Saints, aveva
lacerato il velo di silenzio e bugie che per anni aveva ammantato il
loro passato, aveva assistito con dolore allo sfogo di rabbia e
impotenza da parte di Jabu, allo scoppiò in lacrime di Ichi
e
all'espressione svuotata di Nachi senza poter fare alcunché
per
confortarli, e si sentiva così stupida e inutile in quei
lunghi e
durissimi giorni; lei strinse i pugni, era una Dea ma non riusciva
nemmeno a proteggere coloro che per lei avevano messo in gioco le
proprie vite, poteva disporre di un potere virtualmente immenso ma il
suo fragile corpo mortale era un ostacolo troppo grande, lo avrebbe
perso e così ogni possibilità di alleviare,
seppur in minima parte,
la sofferenza in cui il mondo affogava senza salvezza.
Si
maledisse per la prova a cui il destino la stava sottoponendo, per la
sua incapacità nel prendere una vera decisione, per il
dovere che le
impediva di fare inutili colpi di testa; ma diamine, sarebbe
già
stata perduta mille e mille volte se non ci fossero sempre stati i
suoi raggi di sole nella coltre di nubi nere gravide di pioggia a
squarciare per lei il velo di tenebre, scaldandola e proteggendola:
dieci, dolcissimi raggi di luce che avevano fatto baluardo attorno a
lei.
E
ora, che uno di quei raggi stentava a brillare, spegnendosi a poco a
poco, lei doveva essere così egoista da lasciarlo morire?
Il
cuore gridava vendetta ma la ragione lo riconduceva di continuo al
silenzio, era lacerata in due parti e non sapeva a chi dare ascolto:
tradire la propria natura di protettrice e madre amorevole per quella
terra così distrutta e bisognosa di luce oppure seguire il
cuore e
sacrificare la propria vita per quella del più giovane dei
suoi
vassalli e preservarlo dal buio eterno e freddo degli Inferi,
privarlo del calore di una famiglia?
Sapeva,
purtroppo, che quella domanda non aveva una risposta vera e propria e
che, forse, non l’avrebbe avuta mai.
D’impeto,
la fanciulla abbracciò forte Ban, facendogli poggiare la
testa sulle
proprie gambe, sciogliendosi entrambi in un pianto folle e disperato.
Quando
infine le lacrime cominciarono a scemare e i singhiozzi si ridussero
a semplici e rari singulti, i due coetanei sciolsero l'abbraccio e,
senza dire nulla, la Dea passò all'altro un fazzoletto di
tessuto
per asciugarsi gli occhi: “Non possiamo lasciarci abbattere,
lo
capisci?” mormorò lei con voce strozzata,
“Dobbiamo essere
forti, per lui e per noi stessi. Per lui, perché ha bisogno
di
sapere che siamo lì con lui, che lo aspettiamo, e per noi
perché
non possiamo permetterci di crollare, dobbiamo sperare ancora un
pochino, solo un pochino per poter finalmente ritrovarci tutti
assieme.”
Ban
annuì con gli occhi ancora lucidi: “Posso farle
una domanda?”
Lei
sorrise: “Certo.”
“Da
quanto sapeva di noi?”
Saori
restò in silenzio per qualche istante poi alzò lo
sguardo con
espressione seria e forse lievemente malinconica: “Quando
lessi il
testamento... Era scritto lì e anche tra le carte, la
Fondazione
aveva in archivio tutti i vostri certificati di nascita.”
ammise la
ragazza, osservando la scrivania ormai sgombra di carte ma coperta di
cornici di fotografie.
Alcune
erano piene, altre erano in attesa di essere riempite.
“All'inizio
ero spaventata, non sapevo come comportarmi. Ero sempre stata una
bambina viziata e capricciosa, cosa ci si poteva aspettare da me? Poi
però mi resi conto della mia fortuna, nella disperazione
nera di
quegli attimi. Forse è stato allora che Athena ha cominciato
a
svegliarsi dentro di me.” e così dicendo, ella
poggiò la propria
mano tremante sul petto all'altezza del cuore, “Era ancora
debole,
ma la coscienza divina sono certa che si fosse svegliata in
quell'esatto momento.” disse alzandosi.
Ban
la seguì con lo sguardo mentre, chinata davanti alla
libreria,
tirava fuori una scatola.
Athena
si voltò verso di lui: “Vieni qui, ho una cosa da
darti.”
Curioso,
il ragazzo la raggiunse e, sollevatone delicatamente il coperchio, la
aprì, trovandosi davanti un plico di fogli stampati
fittamente.
“Leggili,
hai diritto di sapere.”
Col
groppo in gola, Ban si rese conto che quelle che aveva in mano erano
le ultime volontà di Mitsumasa Kido, del padre che lo aveva
mandato
a morire: era pronto per quello? Non lo sapeva: sentiva una paura
feroce attanagliargli le viscere e voleva scappare lontano.
Ancora
una volta, però, la mano della Dea posata sulla sua lo
tranquillizzò, sembrava volesse dirgli: “Io sono
qui.”.
Un
poco più fiducioso, Leone Minore avvicinò al viso
il foglio di
finta pergamena e lesse nervosamente l'intestazione, scorse poi gran
parte dell'incipit per poi bloccarsi, col cuore a mille nel petto,
verso la parte centrale del testamento.
“Pur
essendo la mia insostituibile nipote, Saori non sarà l'unica
erede.
Ho fatto cose riprovevoli nella mia vita e, se dopo la mia morte,
posso ancora rimediare, ho intenzione di farlo. Ho mandato a morire i
miei figli ma, se ritorneranno - siano essi tutti e cento piuttosto
che solo uno - ciascuno di loro è designato come mio erede
al pari
di Saori.
Se
mai leggeranno queste mie parole, voglio dire loro che mi dispiace e
che, per quanto strano possa suonare, ho voluto loro bene.
Cercate
di ricreare questa famiglia, se potete, non lasciate che i peccati di
un povero vecchio come me vi impediscano di vivere tra queste mura
come è vostro diritto e privilegio.
Odiatemi,
ne avete tutti i motivi, ma se ritornerete, amatevi.”
Il
resto non interessava minimamente a Ban ma quella manciata di righe
gli aveva strappato via il cuore; esausto, si lasciò cadere
a terra,
rannicchiato a singhiozzare in posizione fetale con il foglio stretto
al petto.
“Fa
male, lo so, ma dovevi sapere...” cercò di
giustificarsi Saori con
espressione triste.
Leone
Minore le strinse la mano, non riusciva a frenare le lacrime
né a
muoversi da quella posizione ma sentiva che era la cosa giusta da
fare: “N-Non sto male... D-Devo solo...”
“Sfogati
quanto vuoi...”
§§§
Ti
darei gli occhi miei
per vedere ciò che non vedi.
L'energia,
l'allegria,
per strapparti ancora sorrisi.
Dirti sì, sempre
sì,
e riuscire a farti volare,
“Non
credo di avere il coraggio di vederli ancora
così...”
Seduto
sul bordo di un fiume lucente per il sole che ci picchiava dolcemente
su, col vento che ne increspava la superficie, stava un ragazzino
dall'espressione triste: teneva i pugni stretti al cuore, come se da
quel semplice gesto potesse ricevere forza.
Insensibile
alle grida giocose dei bambini che provenivano da un punto
imprecisato dietro di lui, egli alzò lo sguardo lucido verso
l'uomo
in piedi al suo fianco: “Come posso fare per aiutarli? Non
volevo
che finisse così quando ho chiesto a Shiryu e agli altri di
dirglielo nel caso io...”
Con
una burbera carezza sulla testa, l'uomo non rispose alla sua domanda
ma restò a fissare la superficie del fiume che rimandava le
immagini
del disastro che, fino a quel momento, avevano osservato con l'ansia.
Neppure
lui aveva previsto una situazione del genere.
“Non
puoi fare nulla se non combattere come hai sempre fatto per guarire e
tornare da loro, figliolo... Non c'è altro modo.”
“Ma
se...”
“Hai
fiducia in loro?” chiese l'uomo con aria severa.
Il
ragazzo annuì, raggomitolandosi sull'erba.
“Allora
vedrai che nessuno di loro se ne andrà e che, quando
tornerai,
potrete ricominciare daccapo.” il viso dell'adulto si distese
in un
sorriso affettuoso mentre lo sguardo si posava sui bambini che
correvano attorno a loro, sorvegliati da donne i cui lineamenti erano
familiari e pieni d'amore.
Con
un'ultima carezza sulla guancia del figlio per asciugare una lacrima
fuggiasca, egli s'allontanò: “Non stare troppo
lì, Seiya, non
infliggerti altre sofferenze e pensa solo a guarire.”
Capitolo 4 *** 4. Tutto Deve Sembrare Impossibile... ***
CAPITOLO
4
TUTTO
DEVE SEMBRARE IMPOSSIBILE...
Nei
giardini che nessuno sa
Si respira l’inutilità.
C’è
rispetto grande pulizia,
è quasi follia.
Seiya
Kido, Saint di Athena ed eroe ad un età in cui si dovrebbe
soltanto
essere bambini...
Seduto
sulla riva del Lete, col tempo congelato in un giorno perenne senza
fine o bui, fissava malinconico la superficie increspata del fiume.
Pur
non potendo vedere le stelle, le sentiva pulsare dolorosamente nel
suo cuore e avrebbe potuto vederle, pur se sbiadite sbiadite, se
solo avesse chiuso gli occhi: sapeva che i suoi fratelli avevano
sofferto e stavano ancora soffrendo per lui ma non poteva aiutarli,
non prima almeno di trovare un modo per aiutare sé stesso e
trovare
una cura per le sue ferite e per il suo Cosmo mortalmente colpito
ormai ridotto ad un lumicino.
Era
impotente.
In
quel luogo di eterna tranquillità, però, stava
recuperando le
forze, gradualmente e senza fretta alcuna, mentre il suo spirito
trovava conforto nel mulinello di risate e sorrisi dei bambini e
delle donne che aveva trovato giunto lì.
Una
famiglia spaccata in due e divisa dalla morte, la loro, una famiglia
che però aveva trovato in lui quel sottile filo rosso che
simboleggiava la loro unione anche oltre la morte.
Nei
giochi infantili di quei suoi fratelli quasi del tutto sconosciuti,
persi troppo presto e con le fattezze di eterni bambini, Seiya
trovava il suo fragile equilibrio.
Ma
il dolore non accennava a diminuire, non se ne andava mai: lo teneva
stretto senza lasciarlo andare ed era insopportabile, a volte: tale
da farlo piangere come in quel momento.
“Ecco
dov'eri...”
Ancora
prima di udirne la voce, il ragazzo aveva riconosciuto, nell'odore
portato dal vento, quello delle donne che l'avevano avvicinato con
passo leggero; asciugarsi le lacrime fu un attimo e poi si
lanciò
tra le braccia accoglienti e spalancate della sua mamma.
Inginocchiata
a terra, infatti, stava Hitomi, che lo avvolse in una nuvola di
vaporosi capelli rossi come il tramonto, e non era da sola
perché
con lei c'erano anche Natassia e Deirdre.
“Kaa-san...”
sussurrò Seiya con il viso nascosto nella spalla della
madre,
aggrappandosi a lei come se non volesse cadere nel baratro in cui la
sua disperazione lo stava trascinando: “Mi mancano... Mi
mancano
terribilmente... Ma non posso tornare...” si
lasciò sfuggire un
singhiozzo, “Non sono pronto... Non ho le forze per
farlo...” .
Hitomi
si scambiò uno sguardo addolorato con le compagne, che
ricambiarono
con occhi che erano lo specchio di una sofferenza profonda, quella di
donne impotenti davanti al sangue dei figli che scorre a fiumi, poi
riprese ad accarezzare la testa spettinata del ragazzino:
“Pensa a
guarire, piccolo... Tornerai da loro, te lo prometto.”
Seiya
aumentò la stretta e due lacrime caddero sulla spalla di
Hitomi: “Li
sento soffrire, kaa-san ed è insopportabile.”
rantolò come se gli
mancasse il fiato, “Li amo troppo, capisci? Non ce la faccio
a
restare indifferente davanti al loro dolore, sono la mia
vita.”
parole sincere, le sue, che gli sgorgavano dal cuore con la
dirompente energia di una supernova.
Lei
annuì: “Sei qui anche per loro, Seiya,”
replicò con voce
serena, “Trova nel loro pensiero la motivazione. Fai ardere
di
nuovo il tuo Cosmo; a piccoli passi, senza fretta. Coltiva in te
questo amore, fallo crescere e nutrilo, rendilo ancora più
forte.”
ella scostò il volto del figlio per far incrociare i loro
occhi:
azzurri come il mare i suoi, lucidi e color del cioccolato quelli del
ragazzo.
Poi
sorrise, asciugandogli con la manica le lacrime:
“Sarà questa la
tua energia vitale.”
Seiya,
pur tremante, annuì: “V-Voglio tornare da loro,
fosse anche
l'ultima cosa che faccio.”
Ti
darei gli occhi miei per vedere ciò che non vedi.
L'energia,
l'allegria, per strapparti ancora sorrisi.
Dirti
sì, sempre sì, e riuscire a farti volare...
Hyoga,
sveglio in una stanza fredda, osservava con cupa rassegnazione il
viso segnato di Shun che dormiva al suo fianco nel seppur ampio letto
singolo che, notte dopo notte, era diventato la loro tana, un posto
dove cercare di tenere fuori le brutture di una situazione che stava
sfuggendo di mano sotto i loro occhi e che erano incapaci di gestire.
Ikki
era rimasto in clinica a dare il cambio ad una Seika letteralmente
esausta e lui non se l'era sentita di lasciare Shun da solo, non dopo
le ultime 24 ore e certamente non senza un conforto e una protezione
contro gli incubi più aggressivi; e in effetti era stata la
scelta
più oculata da fare: Shun aveva invocato a lungo Seiya,
aveva pianto
fino a sfinirsi ulteriormente e solo i goffi moti di affetto di
Cygnus avevano permesso al tredicenne di calmarsi fino ad
addormentarsi.
Hyoga
era stato quasi tentato di chiamare Miho e dirle che non sarebbero
passato ma aveva ricacciato via il pensiero, imponendosi disciplina:
faceva bene a tutti loro e non solo ai bambini il vedersi
perchè
dava al tutto una seppur fasulla sensazione di normalità,
ovvero ciò
che impediva a tutti di impazzire definitivamente.
Seiya
stava morendo e non potevano fare nulla per trattenerlo e legarlo a
loro: non l'amore né Athena potevano fare nulla per lui.
E
Hyoga ne era terrorizzato.
Pur
non volendo pensare al peggio, doveva comunque tener in conto la
possibilità che questo potesse accadere, e neppure era
troppo remota
la possibilità: ricordava il gelo delle mani di Seiya, quel
gelo che
gli aveva stretto lo stomaco in una morsa tale da paralizzarlo ed era
stato in quel momento che aveva sentito, per la prima volta, il
sangue ribollire consapevolmente.
Non
voleva vedere un altro fratello morire davanti ai suoi occhi.
Alla
ricerca di calore, Cygnus prese ad accarezzare i capelli spettinati
del minore, che si mosse nel sonno con un mugolio infastidito:
“
Vorrei dirti che andrà tutto bene...”
sussurrò il russo mentre
una lacrima scendeva dall'occhio sano, “Ma non ne ho neppure
io la
certezza.” ammise con un groppo in gola a mozzargli il
respiro.
Non
sapeva cosa fare...
Poteva
solo aggrapparsi all'esile speranza che faticava a mantenere viva nel
suo spirito.
“Seiya...
Non andartene.”
§§§
Quando
Shun si risvegliò, la prima cosa che vide fu il segno delle
lacrime,
ancora umido nel punto in cui erano cadute sul cuscino che lui e
Hyoga avevano diviso per quella notte ma del fratello nessuna
traccia, il letto era tiepido dal suo lato ma freddo da quello del
russo.
Pur
se assonnato, quella mancanza lo inquietò non poco,
preoccupandolo:
dove poteva essere andato? Col cuore che batteva a mille, il
ragazzino tese l'orecchio, distinguendo infine il suono dell'acqua
corrente della doccia; a quel punto, calmatosi, si lasciò
cadere sul
materasso e chiuse gli occhi mentre sprofondava col viso nel
guanciale.
Aveva
i nervi a fior di pelle, come tutti e la nausea mentre tutte le sue
troppo indebolite difese venivano abbattute da una nuova ondata di
ansia e paura.
La
possibilità che le cose peggiorassero fatalmente era
concreta, forse
troppo, e la prospettiva era raccapricciante al punto che Shun
dovette reprimere con tutta la propria forza quello che, senza
dubbio, era un attacco di panico in piena regola: non poteva pesare a
propria volta sulla sua famiglia, non in momenti così'
tremendi e
dolorosi per tutti; si era ripromesso di non far trapelare nulla ma
non poteva ingannare Hyoga, non poteva sottrarsi al suo silenzioso
affetto e se anche avesse mantenuto davanti agli altri l'apparenza di
una serenità che non gli apparteneva, di un rassicurante
sorriso
fasullo che celava un oceano nero di dolore e sofferenza, sapeva
altresì che il Cigno avrebbe nuotato in quell'oscuro mare
per
abbracciarlo con forza e donargli la forza di svegliarsi ogni giorno.
§§§
La
stanza in cui Unicorno era seduto non gli piaceva.
Era
lì solo perché Saori-san glielo aveva chiesto e
non per sua scelta.
Le
alte scaffalature in legno di mogano, scuro e rifinito di
particolari, erano piene di libroni pesanti rilegati con finiture in
oro e da titoloni quasi incomprensibili che gli facevano girare la
testa e sì che non era ancora al massimo della propria
forma.
Sulla
parete alle spalle della poltrona girevole del dottore era cosparsa
di diplomi, certificati, foto inamidate di riunioni, seminari e
chissà cos’altro, cosa che non lo convinceva per
niente e non lo
avrebbe mai convinto.
Cioè,
chi mai poteva essere quel tipo che si vantava tanto di poterlo
aiutare?
Lui
non aveva nessun problema.
Cioè,
si, forse un problema lo aveva ma esulava dalle competenze di quel
tipo dagli occhiali con la montatura dorata che lo fissava con aria
compiaciuta come se fosse una bestia rara: “O come un
Unicorno.”
si trovò a pensare e sentì gli angoli della bocca
incurvarsi
leggermente verso l’alto ma l’uomo immobile davanti
a sé
sembrava quasi non essersene accorto.
Un
lieve fruscio di fogli gli fece sollevare sorpreso la testa e si
stupì nel vedere il suo interlocutore osservare una loro
foto dei
tempi dell’infanzia, forse l’unica immagine rimasta
di
quell’epoca così lontana; doveva appartenere a
Shun, Jabu ne
riconosceva il segno caratteristico sugli angoli piegati con la
precisione geometrica così cara al fratello, quasi tutte le
raffigurazioni appartenenti all’Andromeda presentavano quel
segno
caratteristico.
“Dove
ha preso quella?” chiese con severità il ragazzo,
facendo per
riprendersela, “Me l’ha consegnata Lady
Saori.” replicò
l’altro, schivandolo con un semplice movimento delle spalle,
il
sorriso sul viso del professore davanti a sè lo faceva
imbestialire,
“Parlami di questa immagine…”
cominciò lui, sfiorando con le
dita i volti ivi raffigurati.
Unicorn
scosse la testa arrabbiato: “non ho niente da dirle e il mio
passato non sono affari suoi, sono stato chiaro?!”
gridò stridulo,
rizzandosi in piedi e gettandosi sulla mano dell’uomo che
agitava
davanti al proprio naso la fotografia.
Il
guerriero riuscì a recuperarla per poi nasconderla in tasca.
“Allora,
Saori-sama mi ha pregato di scambiare due chiacchiere con
te.”
dichiarò affabile quello, come se nulla fosse successo,
“È molto
preoccupata per te, teme che la possibile morte di tuo fratello possa
sconvolgerti ulteriormente.” decretò il medico,
incrociando le
mani davanti al viso, i gomiti poggiati sulla lucida superficie,
“Com’era il tuo rapporto con lui?”
incalzò, osservando il moro
con aria curiosa.
Questi
sospirò: “Quale parte del “si faccia i
fatti suoi” non le è
chiara?” sbottò ironico, “Seiya non
morirà, non dica più cose
del genere.” lo trucidò con lo sguardo per
l’affermazione
precedente, “Non morirà, ha capito?”
puntualizzò il più
giovane; lo psichiatra segnò alcune cose su di un foglio:
“Ma così
facendo potrà smettere di soffrire, non ci pensi a lui? Non
credi di
essere un po’ troppo egoista a pensarla
così?” domandò il
medico inquisitorio, allungando la testa verso il guerriero, in
attesa di un risposta.
Jabu
scattò in piedi, stringendo i pugni: “LUI NON
MORIRA'” gridò il
ragazzo con gli occhi fuori dalle orbite, afferrandolo per il
colletto bianco e disfacendogli il nodo della camicia, “Non
mi
importa nulla di sembrare egoista, se è per mio fratello,
perché io
voglio che si svegli, che mi prenda a pugni e mi offra subito dopo la
rivincita, voglio che continui a soffrire con noi in questo mondo,
che continui a vivere assieme a noi. “ ringhiò sul
naso del
professore prima di mollare la presa, “E se osa lasciarsi
andare,
giuro che vado a prenderlo sino all’inferno e lo riporto qui
a
calci!” gridò, uscendo subito dopo dalla stanza,
sbattendo poi la
porta alle proprie spalle.
Il
ragazzo corse, corse come mai aveva corso in vita sua, corse fino a
farsi quasi scoppiare il cuore e quando si fermò, si accorse
di
essere uscito dal complesso ospedaliero e di trovarsi in un cortile.
Ma
non riconosceva il posto.
Stava
pensando a come tornare indietro quando, alle sue spalle,
notò
un’ombra sfuggente.
Si
voltò di scatto, trovandosi davanti a un bimbo:
avrà avuto
all’incirca sei anni, forse sette, dai folti ricci neri che
gli
incorniciavano il viso paffuto. Addosso aveva un grazioso pigiama
rosso con una macchinina stampata su, era buffo nel suo insieme ma
sembrava tremendamente triste.
Jabu
si asciugò gli occhi con la manica della felpa,
inginocchiandosi di
fronte a lui con un sorriso sghembo sul viso: “Che ci fai qui
fuori, piccolo?” gli domandò, invitandolo ad
avvicinarsi.
Lo
scricciolo arricciò il naso, poi gli andò
più vicino, scrutandolo
attentamente: “Stai male?” gli chiese serio,
evitando la domanda
del maggiore, “Perché piangi?”.
Unicorn
si sentì in imbarazzo: “Scusami…
È che sono un po’ nervoso…
E sono stanco… Tu piuttosto, non dovresti essere nella tua
camera?”
lo rimproverò; il minore annuì, “Si, ma
mi annoiavo… Così sono
uscito.” borbottò il bimbo, strisciando il piedino
sul suolo
ghiaioso, “Poi ti ho visto piangere.” aggiunse con
solennità.
Una
volta di più, il guerriero si sentì stupido.
“E’
successo qualcosa?” chiese il bimbo, aggrappandosi alle sue
spalle,
con tutta la forza che le sue manine piccine potevano avere:
“Sembri
proprio triste..” borbottò lui, poggiando la sua
testa sulla
schiena del quattordicenne.
Unicorn
sentì il prepotente istinto di prenderlo tra le braccia e
stringerlo, gli faceva una tenerezza immensa quel piccoletto; e
così
fece.
E
mentre lo abbracciava, non poté fare a meno di scoppiare in
un
pianto a dirotto.
Aveva
letteralmente i nervi a pezzi.
Non
gli importava di nulla, voleva che Seiya si svegliasse, a qualunque
costo.
Non
sai come è bello stringerti,
ritrovarsi qui a difenderti,
e
vestirti e pettinarti sì,
e sussurrarti non arrenderti.
“Ehi,
ragazzino!”
Un
omone massiccio, di chiara ascendenza europea come il suo bizzarro
accento, con il camice da infermiere addosso aveva raggiunto il duo
di piccoli a grandi passi e li stava squadrando con espressione
truce, espressione che si addolcì subito dopo nel vedere le
lacrime
del più grande: “Meiko-chan ti stava cercando. Sei
Kido Jabu-kun,
giusto?” chiese, rivolgendosi all'Unicorno, che
annuì mestamente,
ancora non si era abituato a quel cognome.
“Mi
ha detto che sei scappato dallo studio del dottor Minato ed era
preoccupata perché non riusciva a trovarti. Sono venuti a
prenderti,
forse è meglio che vai a prepararti.”.
“P-Prendermi...?”
balbettò il tredicenne con voce sottile.
“Sì,
sei stato dimesso. Puoi uscire.” cercò di
sorridere lui,
consapevole che non era una cosa semplice: come tutti, sapeva di
Seiya - Unicorn glielo leggeva sul volto rubizzo e baffuto - :
“Sono
venuti a prenderti per portarti a casa.”.
“C-Casa...?”
mormorò Jabu a pugni stretti: “E S-Seiya...?
R-Resterà qui...?”
chiese con un sussurro appena accennato.
“Ci
occuperemo noi di lui, te lo prometto.” l'infermiere si era
inginocchiato fino a giungere allo stesso livello dei due, il bimbo
non si era staccato dal più grande, non ancora almeno:
“E poi,
potrai venire a trovarlo quando vuoi. Però non puoi restare
ancora
qui, non fa bene all'umore restare in ospedale quando non si sta
male.” cercò di convincerlo.
Jabu
si morse il labbro inferiore: non voleva lasciare Seiya, non dopo
quella nottata infernale in cui aveva quasi rischiato di perderlo...
Si sentiva come se lo stesse tradendo, come se lo stesse lasciando
lentamente morire da solo.
A
quel pensiero, il moro scosse deciso la testa.
“Senti,
lo so che è difficile.” iniziò l'uomo
con aria seria: “Meiko-chan
ed io ne abbiamo parlato a lungo, questo lavoro ci porta a vedere
cose brutte, ma anche cose molto belle e abbiamo imparato ad avere
fiducia e speranza. Vorrei darti un po' della nostra speranza
perché
siamo sicuri che tuo fratello ce la farà, è un
piccolo combattente
e questo, forse, lo sai meglio di me. Quindi, esci di qui, vivi per
lui, ridi per lui e spera continuamente, sono certo che presto lo
rivedrai in piedi! Quindi, niente musi lunghi e andiamo a prepararci,
è venuta anche la signorina Saori, sai?”
La
mano tesa dell'uomo, unita al suo impacciato sorriso accondiscente,
spinse Jabu ad allungare la propria, tremando: venne afferrato e
tirato su in piedi con tale rapidità da fargli girare la
testa e poi
venne caricato in spalla senza troppi complimenti: “E tu,
Takeru,
torna in cameretta e restaci. Altrimenti non ti faccio più
recapitare le caramelle di nascosto.”
A
quella minaccia, anche il piccolo fuggitivo decise di battere in
ritirata e sparì con un semplice cenno di saluto all'interno
dell'istituto, passando per una piccola porta-finestra nascosta da un
cespuglio.
“E
ora, a noi!” esclamò l'uomo: “Andiamo a
darci una sistemata,
forza!”.
La
strada di ritorno verso la stanza che era stata la sua casa fino a
quel momento fu breve, complice anche il passo rapido dell'uomo, e
davanti alla propria porta il ragazzo vide riuniti non solo alcuni
dei fratelli ma anche Meiko-chan e Saori-san: Jabu non l'aveva mai
vista indossare qualcosa di diverso dal suo classico peplo bianco o
dai vari tailleur che il suo ruolo le imponeva.
Eppure
vederla vestita con una tuta calda, colorata e comoda gli faceva uno
strano effetto: era rassicurante quel suo abbigliamento
“normale”
ma poteva quasi notare un certo imbarazzo nel rossore che colorava le
sue guance.
“Allora,
sei pronto a tornare a casa?” chiese lei, non appena Jabu fu
sceso
dalle spalle del suo accompagnatore.
Lui
annuì, incapace di parlare.
“Siamo
venuti a prenderti, spero tu lo apprezzi.”
borbottò Ichi, fingendo
un distacco che non gli apparteneva: se erano lì, era
perché
volevano esserci, volevano stargli vicino.
“Quindi
levati quel pigiama e indossa questi vestiti.” Geki si era
fatto
innanzi con una borsa da viaggio nuova di zecca, visibilmente gonfia,
e un gran sorriso sul volto, sorriso che stupì molto Jabu
perché
era sincero, aperto e volenteroso.
Alle
spalle dell'Hydra, comparve Nachi: come gli altri, indossava dei
semplici jeans e una felpa sopra la maglietta mentre i cappotti erano
stati abbandonati alla rinfusa su di una sedia nelle vicinanze.
“Shun
e Hyoga sono all'Orfanotrofio, Shiryu è di
là,” indicò Wolf con
la mano in direzione del corridoio da cui erano giunti il fratello e
l'infermiere, senza bisogno di specificare ulteriormente:
“Mentre
di Ikki non abbiamo notizie ma credo che sia nei paraggi.”
aggiunse, afferrando sottobraccio lo stesso Unicorn e trascinandolo
dentro la stanza, “Se ti va, possiamo raggiungerli e andare a
salutare i bambini, non credo neppure si ricordino di noi ma tentar
non nuoce.”.
Sedutosi
sul letto, Jabu osservava il fratello tirare fuori i vestiti puliti
mentre Saori, da fuori, chiudeva la porta con cura per dare al
ragazzo l'intimità necessaria per potersi cambiare e trovare
la
forza necessaria per lasciare quel posto.
“Cos'ha
detto il dottore?” chiese subito dopo Ban, accostatosi alla
Dea.
“Sia
il primario che il dottor Minato sono concordi nel dimetterlo ma
hanno raccomandato di tenere sotto controllo la situazione.”
Saori
si massaggiò le tempie: “E il dottor Minato mi ha
caldamente
consigliato di dirvi che, se volete fare due chiacchiere, la sua
porta è sempre aperta.” precisò lei,
osservando le espressioni
dei suoi ragazzi con disagio.
“Lo
so che può sembrare una cosa spaventosa.”
intervenne Meiko
all'improvviso: “Ma Minato-sensei è una brava
persona, se lo dice
è perché vuole il vostro bene.”
Saori
annuì: “Lo conosco da molto tempo e posso
assicurare sulla sua
competenza. Sono stata io a chiedergli un consiglio in merito a
questa nostra situazione e vorrei fare tutto il possibile per
aiutarvi.” sussurrò lei con voce sottile.
I
ragazzi si scambiarono un'occhiata, poi Geki sospirò e si
avvicinò
a propria volta alla ben più minuta Dea: “Non
siamo abituati ad
una cosa del genere.” ammise, dando voce anche agli altri
presenti.
“Lo
capisco, e non ve ne faccio una colpa.” lei si
affrettò a
rassicurarlo: “Ma qualunque decisione prenderete,
permettetemi di
fare il possibile per aiutarvi.” Saori afferrò le
sue grandi mani
e se le portò al cuore, “Ho fatto tanti errori ma
adesso sono io a
voler combattere per il vostro bene, almeno questa volta...”.
§§§
Nella
stanza, intanto, non si udiva volare una mosca.
Nel
piccolo bagno attiguo, Jabu si stava facendo una doccia mentre Nachi,
seduto sulla sedia, fissava distrattamente il vuoto, la mente rivolta
alla sera precedente.
“Allora
siamo tutti d'accordo?”
Seduti
su divani e poltrone del salotto di Kido Manor, tre dei quattro
Bronze Saints lì riuniti annuirono alle parole stanche di
Geki, che
troneggiava sui fratelli più giovani e sulla figura snella
della
Dea, esausta oltre ogni dire.
“Bene.”
sembrava compiaciuto, il ragazzo, tanto che sul suo viso comparve
l'ombra di un sorriso così raro e difficile a vedersi in
quei giorni
difficili: “E' tempo di riportare a casa il nostro
cavalluccio.”
rise nervosamente, tormentandosi le dita.
La
stessa Saori, sprofondata in una delle poltrone, ricambiò
l'accenno
di risata, con lo sguardo che indugiava su una piccola foto che
stringeva tra le dita, una delle tante che rappresentavano un passato
così lontano da sembrare appartenente ad un'altra vita; per
assurdo,
perfino ad un'altra persona.
Eppure
la bimba col frustino in mano raffigurata nell'immagine era lei e il
coetaneo col viso graffiato sul quale ella medesima stava a
cavalcioni era lo stesso di cui stavano organizzando il ritorno: Jabu
poteva essere dimesso, si sarebbero presi cura loro di lui.
“Siamo
sicuri che non faccia storie?” dietro il tono seccato di
Nachi,
Ursa Minor sentì distintamente una nota stridente di dolore:
“E'
vero.” assentì Ichi, era triste vedere i due
ragazzi privi del
terzo del gruppetto che si era spontaneamente formato sin
dall'infanzia, sembravano sperduti senza quello sbruffone del
fratellino minore.
“Non
le farà, posso assicurarvelo.” Ban aveva rotto
quel suo strano
mutismo che era durato fin troppo a lungo: dal momento del suo
ritorno a casa dopo quella che ormai tutti loro chiamavano
“la
notte maledetta”, quando avevano rischiato di perdere Seiya
definitivamente, era stato già tanto se avesse rivolto loro
un
fievole “bentornati” di saluto se si incrociavano
nell'atrio
della villa.
“E'
troppo provato per restare ancora lì, per quanto sia
testardo.
Vedrete che non faremo fatica a portarlo via.”
“Ban-kun
ha ragione.” Saori alzò lo sguardo sui suoi
ragazzi: “Jabu-kun
ha bisogno di tranquillità e lo sa. Comunque domani ho
fissato un
appuntamento per lui con uno specialista, una persona molto capace,
di comprovata esperienza.”
“Uno
strizzacervelli, in pratica.” la smorfia di Nachi fu
emblematica:
“Nessuno di noi è pazzo.”
“Non
penso che lo siate,” ribatté tranquilla la
giovane: “Sarò
franca, ragazzi. Avete subito dei traumi, avete bisogno di guarire, e
non parlo solo fisicamente. Date tempo anche al vostro cuore per
farlo, ve ne prego...”.
“Ho
finito.”
Con
un sobbalzo spaventato – si era crogiolato troppo nei propri
pensieri – Nachi si scosse alla voce di Jabu.
Era
strano vedere il fratello più giovane senza il pigiama e
privo della
miriade di fili e tubi e non più costretto a letto; Wolf
cercò di
rivolgergli un sorriso ma tutto quel che ottenne fu una smorfia
buffa.
Ma
bastò perché la risatina sommessa –
seppur stanca – di Unicorn
giunse come un balsamo alle sue orecchie: “Non sembri molto
convincente.” decretò il moro, accomodandosi sul
letto sfatto
prima di consegnare l'involto di panni sporchi a Nachi; questi li
ripose dentro la borsa, ci avrebbero pensato una volta a casa, poi
puntò i propri occhi sul viso pallido e stanco dell'altro.
“Sei
pronto per uscire di qui?” chiese Nachi con tono preoccupato.
Unicorn
non rispose subito – era difficile tirare fuori le parole
– e si
limitò ad annuire piano; fu solo dopo qualche istante che la
voce –
magicamente – ricomparve, roca e sull'orlo del pianto:
“Non penso
di voler stare ancora qui...” confessò il ragazzo,
“Non è che
io non gli voglia bene...” aggiunse, senza specificare
ulteriormente – e non ce n'era neppure bisogno,
pensò Nachi, dal
momento che sapeva a chi si stesse riferendo il fratello -,
“Ma non
ce la faccio più...” mormorò,
stringendo un lembo del lenzuolo
coi pugni.
Jabu
era fragile, fragilissimo, e non ci voleva un genio a capire che
presto si sarebbe spezzato; ma un'eventualità del genere
Nachi era
ben deciso ad evitarla.
E
fu con una spontaneità e naturalezza che mai aveva pensato
di
possedere che gli gettò le braccia al collo, stringendolo
con
affetto e amore, permettendogli di sfogare tutte quelle ultime
lacrime rimaste sul proprio petto: non disse nulla, non ce n'era
alcun bisogno, e aspettò che semplicemente la tempesta
emotiva se ne
andasse.
Quando
infine gli sembrò che il ragazzo più giovane si
fosse calmato –
Dei, quanto avrebbe voluto prendere a pugni Hades in quel momento e
fargli pagare la sofferenza che ancora stava infliggendo alla sua
famiglia – gli avvicinò le labbra all'orecchio e
gli mormorò
poche ma decise parole.
“Andrà
tutto bene, te lo prometto.”.
Quando
infine sciolsero l'abbraccio, il viso di Jabu era più sereno.
“Mi
accompagnereste in un posto?”
§§§
Era
un glorioso giorno di Sole e, anche se faceva freddo, Jabu era stato
irremovibile.
E
quindi eccoli lì, in marcia lungo la strada che, dalla
Clinica,
conduceva verso il quartiere residenziale; seguivano il suono
distante ma cristallino della campana e, una volta giunti all'esterno
del grazioso giardino ingombro di giocattoli e tanti, tanti bambini,
si fermarono, respirando a pieni polmoni l'aria fresca di quella
giornata invernale.
Col
lungo vestito lievemente sollevato da un refolo di vento e la sciarpa
al collo, Saori prese delicamente tra le proprie mani quella tremante
di Unicorn e lo tirò leggermente verso di sé:
“Andiamo?” chiese
con un sorriso.
“Chissà
se i bambini si ricordano di noi!” esclamò Nachi
alle loro spalle.
“Alla
malparata, ci accoglieranno a palline.” ribattè
Ichi.
“Saori-san,
ragazzi. Vi aspettavamo.”
La
voce di Miho-san li fece voltare di scatto e la ragazza dall'ampio e
bianco grembiule li accolse con un'espressione stanca ma serena,
nonostante tutto.
I
cinque fratelli fecero un goffo inchino e si affollarono attorno alla
ragazzina: “Possiamo entrare?” chiese Jabu in un
sussurro.
“Certo.”
disse lei con un sorriso: “Shun-chan e Hyoga-kun sono in sala
giochi con alcuni piccoli, vi andrebbe una partitella a calcetto
mentre vado a chiamarli?”
I
ragazzi seguirono la quasi coetanea nel cortile e subito vennero
accolti da tanti piccoli che non attesero oltre per arrampicarsi su
di loro, ridendo e schiamazzando.
“Giochiamo?!
Giochiamo?!” gridarono.
Un
minuto dopo, divisi equamente mentre Jabu – ancora debole
–
restava a guardare, fecero partire la partita di calcetto; e fu
così
che li trovarono Shun e Hyoga – con un paio di bimbi in
braccio
ciascuno.
“Ehi!”
gridò Andromeda: “Aspettateci, giochiamo anche
noi!” disse,
tirando con sé i piccoli che avevano avuto in custodia fino
a quel
momento.
Hyoga
invece andò a sedersi accanto a Unicorn, gli sorrise e gli
scompigliò i capelli con una mano: “E' bello
vederti qui.”
disse.
E
Jabu ricambiò il sorriso, il cuore finalmente più
leggero e l'animo
pervaso da un sentore di serenità.
Stelle
che ora tacciono,
ma daranno un senso a quel cielo.
Gli
uomini non brillano
Se non sono stelle anche loro.
Quando
la partita finì, Nachi e Ichi si lasciarono cadere in
ginocchio a
terra, i visi sudati malgrado la temperatura non propriamente alta ma
sorridenti: erano esausti e, se non del tutto felici, almeno
più
sereni di prima.
Attorno
a loro, i bambini ridevano e si aggrappavano ai fratelli rimasti in
piedi – Geki e Ban erano quelli più impegnati
– per spingerli a
giocare un'altra partita.
“Mi
dispiace, piccoletti. Ma si sta facendo tardi, non è saggio
restare
fuori col buio, potrebbero arrivare i mooooostri!”
gridò Geki,
tendendo le braccia in avanti come ad imitarne uno.
I
più grandicelli stettero al gioco e presero a scappare come
leprotti
per tutto il cortile mentre i più piccini battevano le mani
e
facevano il tifo.
Jabu,
che venne aiutato da Hyoga ad alzarsi, li raggiunse e si fece carico
di una bimbetta che si era insistentemente aggrappata ai capelli di
Shun: “Forza, principessina, non maltrattare il fratellone e
andiamo a vedere se riusciamo a sgraffignare qualche biscotto dalla
cucina.” esclamò il ragazzo, caricandosela in
spalla.
La
piccola rise a crepapelle e si aggrappò con forza ai suoi,
di
capelli, spronandolo a mettersi a trottare come un cavalluccio.
Lui
per un po' stette al gioco – cercando di dosare le poche
forze che
aveva per non lasciarsi cadere a terra e ferire la piccola –
poi
però cominciò a vederci doppio e fu solo
l'intervento
provvidenziale di Ban, che non lo aveva perso d'occhio un solo
istante, ad evitare una rovinosa caduta.
Il
ragazzo, infatti, aveva acchiappato la piccola simulando una presa
giocosa e aveva trattenuto Jabu dal cascare di faccia sull'asfalto:
“L'orco cattivo ti mangerà...”
mormorò lui con voce cavernosa,
“Chi sarà il baldo cavaliere che ti
salverà?!”
“Seiya-niichan!”
esclamò la piccola con orgoglio.
Nel
cortile cadde uno strano silenzio mentre la presa sul corpo di Jabu
si fece più intensa e protettiva che mai.
“Giusto!
Appena Seiya-niichan si sveglierà, te la farà
vedere lui, orco
cattivo!” esclamò Akira, sbucato da dietro Hyoga,
lo si poteva
vedere brandire una specie di spada fatta di legno alla bell'e
meglio: “E saranno guai!”.
Lentamente,
Nachi si alzò, e con lui Ichi, e raggiunsero il soldo di
cacio; lo
sovrastarono e lo acchiapparono con destrezza mentre cercava di
scappare: “Vediamo se Seiya-niichan riuscirà a
salvarti dal mostro
del solletico!” sogghignò Wolf, entrando in azione.
Una
torma di bambini li assalì per salvare il loro compagno
prigioniero
e anche la bimba che Ban tratteneva scalpitava per andare.
Il
ragazzo la lasciò andare e la videro allontanarsi,
abbracciati
sull'asfalto, senza parlare.
“Hanno
veramente una gran fiducia in lui...” mormorò
Unicorn con le
lacrime agli occhi.
“La
stessa che abbiamo noi, non ci siamo ancora arresi. Vedrai che non
è
lontano il giorno in cui varcheremo tutti assieme quella porta, te lo
prometto...” sussurrò Leone Minore, nascondendo il
viso nei
capelli scuri del fratello.
§§§
“Seiya-niisan,
perchè sei così triste?”
Era
stata quella vocina così tenera a scuotere Seiya dai suoi
pensieri
cristallizzati nella polla d'acqua che rimandava le immagini di un
presente che non poteva vivere, non ancora almeno, e che mostrava la
vita delle persone più importanti del mondo – per
lui – che
andava faticosamente avanti; si stavano rialzando e riprendendo dagli
orrori di quella guerra che li aveva colpiti così duramente
e non
desiderava altro che raggiungerli, esaudire quella promessa di Ban:
alzarsi da quel letto in cui era bloccato, correre fuori e andare da
loro, abbracciarli e non lasciarli più.
Rivedere
Seika, la sua amata sorella, che lo stava aspettando fermamente,
poter finalmente dire tutte quelle cose che aveva tenuto sigillate
nel proprio cuore e non negarsi più nulla: aveva visto Jabu
piangere
tra le braccia di Ichi in quella notte maledetta in cui il suo cuore
– troppo ferito – aveva minacciato seriamente di
cedere.
Lui
aveva lottato, stretto tra le braccia amorevoli della madre, per non
lasciarsi andare, e aveva vinto, ma quell'esperienza aveva lasciato
danni immensi sul suo spirito: il suo Cosmo... non passava giorno
senza che si consolidasse sempre di più, rafforzandosi in
funzione
del ritorno in quel mondo per cui aveva sacrificato tanto sangue;
eppure, si sentiva come scisso in due.
Da
una parte, il suo spirito guerriero che si cibava della forza che
traeva dalle stelle che, invisibili, non lo lasciavano solo neppure
per un attimo; dall'altra, un bambino terrorizzato dalla guerra che
aveva vissuto, incapace di rialzarsi dall'angolo buio e pacifico che
si era ritagliato e desideroso di non svegliarsi più.
Era
diviso in due, Seiya, e non riusciva a trovare una soluzione per
riunire quelle due parti del suo cuore così distanti:
desiderava
gettarsi a rassicurare quel bambino spaventato e portarlo alla luce
ma non ce l'avrebbe mai fatta da solo, tutta l'oscurità del
mondo
sembrava volerlo soffocare e lui annaspava in essa, riuscendo a
restare a galla solo con uno sforzo enorme di volontà nella
sagoma
familiare di tutti quegli eterni bambini che lo circondavano.
“Ti
diamo fastidio?” chiese ancora quella vocina, appartenente ad
un
bel bimbo, biondo come il grano, che somigliava in maniera
incredibile a Hyoga, tranne che per gli occhi, verdi come l'erba
d'estate.
Pegasus
scosse la testa e, asciugatosi una lacrima fuggiasca, li
abbracciò
di slancio tutti; erano quattro bambini, seduti accanto a lui, la sua
forza in quei momenti di buio incredibile.
“No,
sto bene...” mormorò al loro orecchio:
“Solo, vorrei essere lì
con loro...”
Era
conscio di quell'ossessione che aveva il sapore di un desiderio
infantile ma non sentiva altro che il bisogno di essere al loro
fianco per non lasciarli mai più: scalpitava per rivedere
Shiryu,
Shun, Ikki, tutta la sua famiglia, sentire nuovamente il Cosmo della
sua Dea abbracciarlo per poi lasciarsi alle spalle tutta quella
brutta storia.
Ma
quel bambino nel suo cuore era spaventato, forse troppo, e non sapeva
più cosa fare.
“E'
per questo che non riesci più a sorridere come solo tu sai
fare,
Seiya? E' per questo che ancora non vuoi liberare quel Cosmo che non
aspetta altro che illuminare a giorno il cielo? E' perchè
hai
paura?”
Con
tono paterno, Mitsumasa Kido era comparso accanto a loro, come per
magia: “Non è delle stelle che devi avere paura,
men che meno di
te stesso. Ricordalo, figlio mio.” disse lui, sedendosi
sull'erba
in riva al fiume, “Hai lottato con tutte le tue forze, non
fermarti
proprio ora. Continua a correre verso la luce, non lasciarti
abbattere.”
“Papà
ha ragione!” esclamarono in coro i piccoli: “Devi
tornare dagli
altri fratelloni!”.
“Lo
so...” mormorò il ragazzo più grande,
asciugandosi gli occhi; gli
tremavano le mani ma si sforzò di mantenere la voce ferma:
“Ma non
ci riesco. Non voglio sentire altro dolore... Sono stanco, tanto
stanco.”.
Sul
viso di Kido comparve un'ombra: l'uomo sapeva di essere in larga
parte lui responsabile di quello stato di cose.
Quel
ragazzino... Dei, era suo figlio, non era un adolescente qualunque...
Aveva
sofferto enormemente, al punto da rifiutare sé stesso per la
paura
di morire con una spada piantata nel cuore.
Quale
padre poteva definirsi tale mentre le sue mani erano ancora sporche
del sangue dei propri figli?
In
quel momento, Mitsumasa Kido avrebbe potuto farsi benissimo prendere
dallo sconforto e dal buio del rimorso, ma invece si fece forza e
afferrò invece la mano di Seiya con forza:
“Risveglieremo assieme
la tua forza vitale, te lo prometto, ti aiuteremo a tornare alla vita
senza rimpianti.”.
§§§
Stava
ormai calando un'altra notte quando i sette ragazzi, seguiti da
Athena, uscirono nuovamente nel cortile dell'Istituto, salutando le
due educatrici sulla soglia dell'edificio: “Passate a
trovarci
quando volete.” disse Miho con tono gentile, malgrado gli
occhi
lucidi, “I bambini vorrebbero andare a trovare Seiya in
ospedale,
possono?” chiese poi, voltandosi verso Saori, la quale
annuì,
“Fatemelo sapere e vi farò venire a
prendere.” replicò la
giovane con un sorriso tranquillo sul volto arrossato.
Anche
lei era stata coinvolta nei giochi delle bambine, i lunghi capelli
castani erano acconciati in tante piccole treccine e sulle guance
aveva ancora traccia di alcune tempere che avevano usato per
“travestirsi da principesse”; se Tatsumi l'avesse
vista in quel
momento, probabilmente, sarebbe esploso di rabbia e imbarazzo ma lei
era stata felice in quella giornata.
“Saori-san?
Forse ci conviene andare.” fece notare Ban, il quale teneva
in
spalla un Jabu addormentato e coperto dalla giacca di Shun, il quale
saltellava sul posto per mantenersi caldo: “A meno che non
vogliamo
far congelare il nostro buon samaritano qui.” aggiunse.
Saori
a quel punto annuì e con un inchino si congedò
dalle due ragazze,
raggiungendoli.
“Andiamo.”
decretò, levandosi la lunga sciarpa dal collo e cingendo
così
quello scoperto di Shun: non disse nulla ma il suo sguardo convinse
un recalcitrante Andromeda a non protestare e assieme, nella notte
serena e priva di nubi, camminarono verso casa.
Non
parlarono molto durante la camminata – un po'
perché il silenzio
era piacevole per le loro orecchie e un po' perché non
volevano
svegliare Jabu – ma guardarono molto il cielo, soprattutto le
stelle.
Shun
e i ragazzi ricordavano chiaramente le lezioni di astronomia di
quando erano bambini e quindi si aspettavano di non vedere altro che
le costellazioni invernali: l'Orsa, Orione...
Ma
rimasero invece a bocca aperta quando, nel bel mezzo del cielo, ad
accoglierli videro il grande Quadrato di Pegaso che splendeva a
giorno.
Nessuno
si mosse, nessuno parlò, quello sparuto gruppetto di
fratelli si
strinse, gli uni agli altri, nel tentativo di trattenere le lacrime
che minacciavano di scorrere copiose: era come un segnale che Seiya
stava ancora lottando, che vegliava su di loro.
Un
segnale che dava loro fiducia.
Dovunque
il suo spirito fosse, li stava guardando, sentivano che era
così.
“Ragazzi...”
mormorò la giovane con voce bassa e arrochita per la
commozione:
“Tornate a casa da soli, per favore... Io vado in
clinica.”.
“S-Saori-san...”
balbettò Ichi: “N-Non possiamo venire anche
noi...?” chiese il
ragazzo, tormentandosi le mani.
“E'
vero.”
“Sì.”
Saori
sospirò e poggiò le proprie mani sulle spalle di
Hydra, il suo
sguardo era fermo nonostante i lucciconi: “Ascoltatemi,
ragazzi.
Non è un caso che il Pegaso sia ricomparso ora. Ho scrutato
a lungo
il cielo in questi mesi ma sembrava come scomparso, è stato
straziante vedere un pezzo della costellazione di Andromeda mutilato
del suo legame col Pegaso. Ma ora che è di nuovo qui...
Sento che
forse è giunto il momento, ma non voglio illudervi troppo...
Andate
a casa, per favore, vi prometto che vi chiamerò non appena
saprò
qualcosa... Jabu ha bisogno di voi adesso, vi riporterò
Seiya, ve lo
giuro.” disse lei.
Per
qualche istante, nessuno proferì parola - erano ragazzini
preoccupati e spaventati, in cuor suo Athena sapeva questo –
ma lo
sguardo fiero e determinato della Dea alla fine ebbe la meglio; fu
Hyoga che, con un sospiro, cinse le spalle tremanti di Shun e lo
tirò
indietro: “Ci penso io, Saori.” disse Cygnus.
Con
gli occhi pieni di gratitudine, ella si girò e prese a
correre nella
direzione opposta, verso la clinica che, poteva quasi vederla,
sorgeva in lontananza: avrebbe dovuto correre più veloce che
poteva,
col rischio di restare senza respiro o, peggio, farsi male cadendo,
ma non si sarebbe fermata per alcuna ragione al mondo.
Quando
infine entrò nel giardino deserto, illuminato sporadicamente
dalle
luci provenienti dall'edificio, si concesse un attimo per respirare a
pieni polmoni la fredda aria invernale, appoggiata ad un muretto, poi
infine spiccò l'ultima corsa attraverso la porta scorrevole
e si
fermò solo arrivata al bancone dell'accettazione, sotto lo
sguardo
stupito di Satsuki-san, che la raggiunse premurosamente per
sorreggerla: “Saori-san, cosa ci fa qui? E' successo
qualcosa?!”
chiese l'infermiera preoccupata.
La
Dea la scostò gentilmente e inspirò a pieni
polmoni: “Voglio
vedere Seiya.” disse, il suo tono non ammetteva repliche
né
rifiuti, “Shiryu è qui, vero?” chiese
ancora.
Satsuki
annuì timidamente: “Non si è mosso e
non ha neppure toccato il
vassoio che gli abbiamo fatto portare dalle cucine. Siamo in pensiero
per lui, non credo possa reggere ancora a lungo.”
Sistematasi
la veste e i capelli, Saori si rimise dritta e fece per muoversi in
direzione del corridoio che ormai conosceva come le proprie tasche
quando venne fermata dalla presa forte e decisa della donna
più
anziana alle proprie spalle: “Milady, mi scusi per la
franchezza ma
mi sembra sconvolta. Se è successo qualcosa...”
tentò, ma Athena
scosse vigorosamente il capo, “Voglio solo vedere Seiya e
Shiryu,
tutto qui.” disse.
L'altra
sospirò e mollò infine la presa: “Le
affido quei due ragazzi.
Solo, per qualunque cosa... ci chiami. Non siamo distanti...”
concluse, tornando a sistemare documenti.
Ringraziandola
silenziosamente per non aver fatto domande – sarebbe stato
difficile, se non impossibile, spiegare ad un profano i meccanismi
che regolavano le vite dei Saint e di tutti i guerrieri a lei devoti
– la giovane Dea prese a camminare a passo spedito e, in
pochi
istanti, raggiunse la stanza che era la sua destinazione;
bussò due
volte alla porta e, una volta non ottenuta alcuna risposta,
semplicemente la spinse ed entrò.
La
prima cosa che udì non appena dentro fu il basso ronzio dei
macchinari e il caratteristico suono ritmico che segnava il battito
del cuore di Seiya, addormentato e sperduto nel suo sonno innaturale.
Shiryu
non c'era, almeno apparentemente.
Nervosamente,
Saori si sedette sulla sedia che Dragon occupava solitamente e si
sporse ad accarezzare la fronte pallida del più giovane dei
suoi
protetti,il più piccolo dei fratellini che aveva guadagnato
in
quella vita.
Era
pallido, magro da far spavento e sembrava soffrire...
Sì,
lo sentiva... Sentiva la sofferenza urlarle attraverso le vie del
Cosmo, sentiva pulsare il dolore di Seiya sulle sue dita come se
fosse vivo, un'entità a sé stante e sentiva una
voce di bambino
parlarle tra le lacrime, bisbiglii di un piccolo sperduto nel buio di
una notte priva di stelle, solo e infreddolito, bisognoso di luce e
stanco dell'oscurità.
Lentamente,
il Cosmo dorato – divino e gentile –
fluì attraverso le sue
mani, superando senza problemi la barriera della pelle mentre il
piccolo universo all'interno del suo corpo terrestre si espandeva
sempre più, avvolgendo sé stessa e il corpicino
di Pegasus: il
potere astrale color azzurro del Saint non era scomparso come
credevano e c'era anche qualcos'altro: un'altra presenza che sfiorava
e vagava per le vie del Cosmo, abbracciando quella fiammella sperduta
che era lo spirito di Seiya, lontano, molto lontano da loro; e non
era sola, erano tante, tutte diverse ma sembravano così
familiari da
commuoverla.
Saori
chiuse gli occhi e percorse con facilità i lunghi corridoi
dello
spirito, corridoi conosciuti, seguendo la presenza di Seiya che,
poteva giurarlo, era lì ad un passo da lei.
Non
se ne sarebbe andata senza di lui.
Ma
ciò che vide, una volta attraversata la grande luce che le
si era
parata all'improvviso sul cammino, la lasciò letteralmente
senza
fiato.
Il
grande giardino lambito dal fiume argenteo, le grida di tanti bambini
e le risate di donne eternamente giovani, tutti assieme in un unico
punto che sembrava splendere di luce propria: e al centro, stretto
nell'abbraccio affettuoso di tutte quelle anime che lo amavano, stava
Seiya.
Saori
si sentì improvvisamente piccolissima in quel caleidoscopio
di
sentimenti: amore, voglia di non arrendersi, di combattere fino alla
fine, determinazione e tristezza tenuta fieramente a bada...
Percepiva
tutto questo, Athena mentre scendeva a piedi nudi lungo il dolce
pendio che l'avrebbe condotta fino a lui.
Più
si avvicinava, più si sentiva il cuore in gola, riconoscendo
visi e
persone: ma non si fermò fino a quando, raggiunto Seiya, non
si
lasciò cadere al suo fianco, diventando a propria volta un
tutt'uno
con quell'armonia di spiriti e cuori.
In
lei fluì la tristezza devastante e il dolore provato dal
ragazzino
ma strinse i denti, consapevole della prova che stava affrontando e,
anzi, alzò la mano per stringere quella del Saint di Pegaso.
Assieme,
alleati contro il buio.
Quando
infine riaprirono gli occhi, si ritrovarono seduti uno affianco
all'altra, in mezzo alla corolla di visi curiosi che li fissavano.
Poi,
inspiegabilmente, Seiya scoppiò a ridere, tra le lacrime di
gioia e
le gettò le braccia al collo:
“S-Saori...-san...” riuscì a
mormorare tra i singhiozzi.
Athena
annuì, stringendogli la mano: “Sono venuta a
prenderti.” disse
lei con voce serena, “Non potevo lasciarti qui... Ho visto il
Pegaso in cielo...” disse, accorgendosi che tutte le parole
risultavano essere superflue.
“Sono
pronto per tornare. Davvero. Voglio ritornare da voi... Vi ho
visti... Sentiti... È stato tremendo, vedervi ma non potervi
stare
vicino. Riportami a casa, Athena, ti prego...” Seiya aveva
gli
occhi lucidi.
“Andate,
ragazzi. Noi vi aspetteremo qui.”
Era
stato Mitsumasa Kido a parlare, incombeva con la sua corporatura
massiccia su Dea e guerriero, piccoli come i bambini che erano.
“Ci
rivedremo un giorno.” disse soltanto l'uomo, cominciando a
sparire
in un mare di luce assieme a tutti gli altri: “Non resteremo
lontani a lungo, è una promessa.”
Seiya,
mano nella mano con la Dea, annuì e poi la
trascinò via, il Cosmo
di Pegasus ruggiva di nuovo possente, azzurro come il cielo d'estate
e vivido.
“Grazie
di essere venuta da me, Saori-san...” fu l'ultima cosa che
Athena
sentì prima di essere rigettata improvvisamente nella
realtà,
ansante e sudata, ma con gli occhi che fissavano insistentemente il
volto sorridente e sveglio di Seiya.
Mani
che ora tremano,
perché il vento soffia più forte…
non
lasciarli adesso no.
Che non li sorprenda la morte.
Shiryu
era andato fino al piccolo angolo ristoro della clinica a prendere
una tazza di tè verde quando percepì chiaramente
il Cosmo di Athena
espandersi, sparire e poi riapparire, assieme a quello possente e
nuovamente pulsante di Pegaso.
Per
poco non gli cadde la tazza di mano ma riuscì a posarla sul
bancone
del locale caffetteria prima di mettersi a correre verso la stanza di
Seiya: non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che fosse
accaduto qualcosa di importante e aveva lo stomaco contratto;
ignorò
i richiami di Satsuki-san e non chiese neppure scusa a Meiko-san e a
Jean-san che uscivano dalla sala infermieri quando li ebbe scontrati,
aveva solo un obiettivo in mente e non poteva né voleva
fermarsi.
Quando
vide la porta della stanza spalancata, il suo cuore saltò un
battito
e lui si precipitò all'interno: “SEIYA!”
gridò.
Due
teste si girarono verso di lui e Seiya, dal letto, gli sorrise
stancamente: “Ehi, niisan...” rantolò il
bruno, “Mi sei
mancato...”.
Shiryu
si era subito pentito di essersi allontanato dalla stanza, anche se
il suo corpo reclamava qualcosa di caldo e rinfrancante dopo le
lunghe ore trascorse lì dentro: non aveva neppure avuto la
forza di
andare a salutare Jabu che lasciava la clinica, finalmente dimesso,
non voleva lasciare Seiya e invece si era poi trascinato fino alla
caffetteria.
Satsuki
e Meiko l’avevano visto uscire dalla cameretta verso l'ora di
cena
mentre entrambe cominciavano il giro della distribuzione dei vassoi
agli altri pazienti ma si erano limitate a sorridergli amichevoli
nonostante il ragazzo avesse il viso sconvolto e tirato.
L'infermiera
più giovane, assieme al collega europeo, era entrata un paio
di
volte in stanza – anche mentre Dragoon era dentro - e le si
era
stretto il cuore nel vedere quel corpo totalmente immobile: le
condizioni del bambino non sembravano migliorare, il colorito smorto,
quasi cadaverico, e lei, discreta, era rimasta in silenzio durante le
sue visite, nel tentativo di non disturbare.
Le
scene cui avevano assistito erano state strazianti: il cinese aveva
spesso allungato la mano sottile per sfiorare con affetto il naso
piccolo del Pegaso, percorrendo con le proprie dita tutta la sagoma
del viso e le parole da lui sussurrate erano state un colpo al cuore
ulteriore: “Sai, Shun e io abbiamo litigato e la colpa
è solo tua,
stupidotto… A quanto pare senza di te non riusciamo a stare
assieme
senza scannarci… E Makoto e Akira vogliono venire ancora a
trovarti…” gli aveva bisbigliato
all’orecchio, quasi non
volesse svegliarlo, come se quello in cui il fratello era immerso
fosse solo un sonno riposante e non una lotta contro la Morte che
tentava di portarselo via, “Sono sempre qui e hanno
tappezzato la
camera di disegni… Anche Mimiko, credo sia quella che
disegna di
più; spesso accompagna Makoto-kun e il suo pestifero
amico.” Meiko
lo aveva visto sorridere in direzione dei disegni che lei stessa aveva
aiutato ad appendere con un po' di nastro adesivo, opere infantili e
piene d’amore che quegli scriccioli
dell’orfanotrofio avevano
dedicato al loro “fratellone”, la scrittura
stentata dei più
giovani ospiti dell’istituto chiamava accorata Seiya, lo
spronava a
svegliarsi.
“Vogliono
che tu ti svegli…” aveva continuato Dragoon con un
filo di voce,
“Mi hanno detto che hanno… sono migliorati a
pallone… Vogliono
sfidarti… E hanno intenzione di
vincere…” Shiryu era riuscito a
dire solo una manciata ulteriore di parole prima che il fiato gli
fosse venuto meno.
A
quel punto, commossa, Meiko si era avvicinata e lo aveva stretto tra
le proprie braccia affettuose.
E
ora...
Shiryu
non credeva quasi ai propri occhi mentre la stessa voce di prima,
preoccupata, continuava a chiamarlo.
“Niisan…
Parlami, per favore...”
Sconvolto,
il cinese teneva gli occhi fissi sul letto mentre attorno a lui i
macchinari avevano cominciato a fare un rumore infernale e
assordante, urlavano senza sosta e lui ancora non riusciva a trovare
il coraggio di muovere un passo in avanti per toccare con mano la
realtà che gli si era parata dinanzi agli occhi.
Aveva
sognato oppure no?
E
poi, finalmente, si decise: mosse finalmente un passo verso Saori, le
cui mani erano ancora strette attorno a quelle scarne di Seiya e poi
un altro ancora e un altro, fino a quando non fu abbastanza vicino da
poterne accarezzare la fronte pallida e sudata: fu in quel momento
che li vide in tutto il loro splendore: quei profondi occhi dai toni
ramati - si era quasi dimenticato quanto fossero belli - erano di
nuovo finestre aperte sul mondo; spenti, quello si, ma finalmente li
rivedeva spalancati, pronti a osservare la meraviglia della vita. Il
ragazzino abbozzò un sorriso senza però lasciare
la presa sulle
mani della Dea e reclinò la testa su un lato per poi
socchiudere gli
occhi, esausto.
Anche
il respiro era accelerato e il piccolo si abbandonò
dolcemente
contro il materasso.
“Niisan…”
biascicò nuovamente la debole voce di prima, “Fai
smettere questo
rumore per favore… Ho mal di testa e voglio
dormire…” borbottò
Seiya, affossando la testa nel cuscino.
Shiryu
allungò tremante una mano, accarezzandogli la guancia
scarna: era
calda, pulsante di vita; con autentica gioia e sollievo gli
gettò le
braccia al collo, stringendolo forte e intanto le lacrime scorrevano
senza tregua: "Ehi... Piano niisan... Fa male..." gli
mormorò piano il ragazzino.
Il
Dragone si scostò, dandogli un bacio sulla fronte poi lo
prese in
braccio, avvolgendolo con la coperta e facendogli poggiare il capo
sul suo petto; ignorò completamente le macchine che urlavano
a gran
voce ma si concentrò su quello scricciolo che teneva
affettuosamente
tra le braccia.
Il
fratello maggiore non ebbe però il tempo di rispondere alla
richiesta del più piccolo che il rumore di passi in corsa
annunciò
l’arrivo di qualcuno e il viso tirato di Satsuki-san fece
capolino
dalla porta, sembrava spaventata; il Saint la rassicurò con
uno
sguardo: “S’è svegliato.”
disse solo con una luce gioiosa
negli occhi, “Si è svegliato...”
ripetè febbrilmente, senza
però lasciarlo andare.
L’infermiera
annuì, comprendendo solo in quel momento le parole del
ragazzo;
pazza di felicità, ella corse subito nel corridoio, gridando
a gran
voce il nome di Meiko: “Seiya-kun s’è
svegliato!” distinse
chiaramente il guerriero, “Dov'è il
dottore?!”.
“Per
favore, non urlate...” borbottò il brunetto,
cercando di
divincolarsi dalla presa, “E cos’è
questa roba che ho addosso?”
chiese mentre toglieva l’ago della flebo e i vari elettrodi
che
erano disseminati sul suo corpo; Shiryu lo lasciò fare, era
ancora
troppo fuori di sé per tentare di trattenerlo, si
limitò a
poggiarlo nuovamente sul letto e a tenerlo per le spalle, assaporando
il contatto delle sue mani sulla pelle bollente del bambino.
“Stai
buono.” riuscì a rimproverarlo senza convinzione,
“Saori-san...
Ma come...?” chiese poi lui voltandosi verso la Dea, ma ella
sembrava stanca e pallida, malgrado il sorriso felice, “Non
è
nulla...” lo rassicurò subito lei,
“Abbiamo avuto solo un...
momento piuttosto movimentato.” disse la giovane, chinandosi
su
Seiya.
Pegaso
annuì e sorrise: “Sì, va tutto bene. E
gli altri...?” chiese
poi, serio, “P-Posso vederli?” bisbigliò
con un filo di voce e
uno sguardo speranzoso, “Voglio vederli... M-Mi siete
mancati...”
confessò.
Le
braccia del Dragone andarono a stringersi con affetto attorno alla
vita del ragazzo: “Anche tu, Seiya, anche tu...”
mormorò il
ragazzo con voce strozzata, accarezzandogli i capelli sudati e
spettinati per tranquillizzarlo.
“Sono
tutti a casa, ci penso io ad andarli a chiamare.” si
offrì Saori,
alzandosi un po' incerta dalla poltroncina: “Voi... restate
qui.”
anche la Dea faticava a trattenere la commozione.
Solo
una volta uscita dalla stanza si lasciò andare ad un breve
singhiozzo coperto dalla mano, prima di ricomporsi e dirigersi a
passo deciso verso il telefono più vicino.
§§§
“Villa
Kido, come posso esserle d'aiuto?”
Era
stato Tatsumi a prendere la telefonata all'ingresso non appena il
telefono ebbe squillato una volta, riecheggiando in tutta la grande e
silenziosa villa.
Era
preoccupato per la sua signora: da quando i ragazzi erano tornati
indietro senza di lei, il maggiordomo non aveva ricevuto da loro
alcuna spiegazione sul dove fosse andata Saori-ojousama e non aveva
la più pallida idea di dove si trovasse.
Shun
aveva portato Jabu in camera e lì erano rimasti per tutto il
tempo,
Hyoga si era eclissato nel salotto mentre gli altri erano scomparsi
nelle loro stanze.
Di
Ikki non sapeva niente da un paio di giorni ma, dal suo punto di
vista, nessuno dei ragazzi era importante quanto Lady Saori,
nonostante qualcosa che somigliava ad un ricordo inframezzato di
sensi di colpa lo pungolasse ogniqualvolta li incrociava nei
corridoi, ricordo che lui mascherava con parole dure di rimprovero
nei loro confronti.
La
verità era che sentiva di aver deluso Kido-sama: la promessa
che gli
aveva fatto tanti anni prima... lui non l'aveva rispettata, eppure
aveva promesso che si sarebbe preso eventualmente cura di quei
ragazzi, se mai ne fosse tornato qualcuno.
Ma
non era stato così.
La
voce di Saori, però, lo riportò bruscamente alla
realtà,
accantonando ogni altro pensiero: “Tatsumi-san, sono io. I
ragazzi
sono tornati a casa?”
“S-Sì,
certo, milady! Non hanno cenato ma le cameriere hanno portato loro
dei vassoi di sopra.”
“Potresti
chiamarmi Ban-kun? È molto importante.”
Lady
Saori sembrava agitata, notò Tatsumi, che fermò
subito una delle
cameriere di passaggio e la mandò a informare il Saint di
Lionet, il
quale arrivò pochi minuti dopo, trascorsi in un innaturale
silenzio:
il maggiordomo non si era azzardato a chiedere nulla alla Dea e non
osava disturbarla mentre la sentiva singhiozzare in sottofondo e la
sua mente formulava un'ipotesi più pazza e improbabile
dell'altra.
Che
Seiya fosse...
“Saori-ojousama,
cosa succede?” chiese il massiccio adolescente, quasi urlando.
In
clinica, Athena si asciugò gli occhi e deglutì un
paio di volte nel
tentativo di non strozzarsi con la propria saliva:
“P-potresti
venire qui coi tuoi fratelli...? S-Seiya s'è
svegliato...” riuscì
a dire lei prima di scoppiare definitivamente in lacrime.
Per
Ban, fu come se un enorme masso si fosse levato dal suo petto: le
gambe gli cedettero e lui cadde per terra: “S-sta
bene?” chiese
con un filo di voce, ignaro del fatto che Tatsumi non se ne fosse
andato ma fosse ancora lì, “Me lo dica,
sinceramente...”.
“Ha
già cominciato a lamentarsi del rumore dei
macchinari...” rise
lei: “Venite qui, per favore... Ha bisogno di
vedervi...”
“Arriviamo
subito.” esclamò Ban, prima di rialzarsi
faticosamente e
riattaccare.
Non
rispose neppure alle pressanti domande del maggiordomo e si
precipitò
al piano di sopra: la prima stanza era quella di Jabu, dove
entrò
senza neppure bussare.
Dentro,
vi erano Andromeda e Unicorn, che lo videro in lacrime e si
spaventarono, aspettandosi chissà quale brutta notizia:
“S-Seiya è
sveglio!” gridò invece il ragazzo, agguantando
vestiti vari e
lanciandoli al fratello convalescente, “Saori ci ha chiesto
di
andare da lei.”.
I
due coetanei si guardarono, sbalorditi, poi presero a ridere e a
piangere ad un tempo, abbracciandosi: “Io vado a chiamare gli
altri, ci vediamo di sotto tra cinque minuti.” concluse
Lionet,
correndo poi fuori.
In
breve, tutti i fratelli si radunarono nell'ingresso – Ikki e
ovviamente Seiya e Shiryu erano gli unici mancanti – e
indossarono
giacche e scarpe, pronti per la lunga marcia nella notte invernale.
“Dove
state andando?” chiese infine Tatsumi, alle spalle aveva gran
parte
della servitù di Villa Kido, le cameriere erano visibilmente
agitate
nel vedere i ragazzi in procinto di uscire a quell'ora.
“In
clinica.” disse Ban, apparentemente l'unico lucido in quel
momento:
“Saori-san ha detto che Seiya si è svegliato,
dobbiamo andare da
lui.” e aprì il portone di casa, uscendo sotto il
portico seguito
dal resto dei ragazzi.
Akiko,
la più giovane delle donne di servizio, diede una decisa
gomitata
all'unico uomo della servitù, riprendendolo con lo sguardo:
“Che
stai facendo?!” gli borbottò lei,
“Forza, vai con loro!”.
Tatsumi
restò interdetto per qualche secondo poi una seconda
cameriera lo
colpì alla testa con una manata: “Non restare
lì impalato!”
esclamò lei, spingendolo poi in avanti, “Hanno
bisogno di un
passaggio, che razza di uomo sei?!”
Attorno
a lui, anche le altre donne presero a borbottare deluse e
perciò,
messo in minoranza netta, egli si affrettò a indossare le
scarpe e a
prendere le chiavi della macchina, uscendo nel giardino proprio
mentre i sette ragazzi varcavano il cancello:
“Fermi!” gridò lui
nella notte, facendoli voltare, “Vi accompagno!”
aggiunse poi,
rifugiandosi subito nell'abitacolo del mezzo.
§§§
Quando
Jean udì il rumore del cancello carrabile della clinica
aprirsi, fu
rapido ad uscire nel cortile, notando subito l'elegante macchina
della famiglia Kido entrare e fermarsi a pochi passi dall'ingresso
principale.
Da
essa, scesero infine i ragazzi che stava aspettando.
“Venite
da questa parte!” gridò lui, agitando la mano per
farsi notare:
era stato avvertito da Satsuki e Meiko del risveglio di Seiya
–
aveva anche visto il medico mentre veniva accompagnato alla camera
–
e si era subito offerto di aspettare il resto della famiglia.
Un
imponente giovanotto era a capo del gruppetto, i loro sguardi erano
confusi e preoccupati allo stesso tempo, e Jean rivolse a tutti
quanti un sorriso incoraggiante: “Venite dentro, Saori-sama
vi
aspetta.
Una
volta all'interno, la luce artificiale dei neon li accecò
per un
secondo ma subito riconobbero la figura snella della loro Dea, seduta
su di una scomoda poltroncina in plastica nel corridoio; quando anche
lei li vide, si alzò in piedi con un sorriso sincero sul
volto
tirato e lievemente arrossato – che avesse pianto? Si
chiesero
alcuni di loro – e tese le mani: “Avete fatto
presto.” notò.
“Tatsumi-san
ci ha dato un passaggio.” rispose Nachi:
“È vero?” chiese poi,
stringendo la mano di Jabu che gli stava accanto, “Seiya
è
davvero...”.
“Sì,
ragazzi. Sta bene ed è sveglio, non preoccupatevi di questo.
Shiryu
è dentro con lui e il medico, io sono uscita per venire a
chiamarvi... Ikki?” domandò, notando la mancanza
del Saint di
Phoenix.
“Ikki-niisan...
non era a casa...” confessò Shun con voce
dispiaciuta: “E
nessuno sa dove sia...”.
“Ma
abbiamo chiesto ad Akiko-san di dargli la buona notizia,
nell'eventualità torni prima di noi.”
ribattè Hyoga con
decisione.
Saori
annuì e fece per dire qualcosa prima di notare il medico
uscire
dalla camera con un inchino.
Subito,
i ragazzi lo circondarono, riempiendolo di domande incomprensibili,
tanto si parlavano addosso gli uni agli altri.
Con
un gesto, Saori li fece ammutolire e si mise in mezzo a loro:
“Come
sta?”.
Il
medico si sistemò gli occhiali sul naso e li
guardò per alcuni
istanti, prima di sospirare: “ È molto debole ma i
suoi segni
vitali sono nella norma nonostante la lunga immobilità, le
ferite si
stanno del tutto cicatrizzando – soprattutto quelle sul petto
- ma
avrei bisogno di fargli fare al più presto un
elettrocardiogramma e
un paio di radiografie prima di dare il mio verdetto definitivo sulle
condizioni effettive del suo cuore. Per il momento, potete entrare a
fargli visita ma non fate troppa confusione. Ha chiesto di voi e
sembrava molto provato. Vi consiglio anche di portarvi a casa quel
ragazzo che è stato sempre qui con lui, sembra abbia bisogno
di
dormire in un vero letto.”.
“Lasci
fare a noi, lo caricheremo di peso in macchina!”
esclamò Geki.
Il
medico si congedò con un secondo inchino e il gruppetto si
avvicinò
titubante alla porta.
“Paura?”
bisbigliò Ichi a Nachi.
Wolf
scosse la testa ma non gli riuscì di proferire verbo, aveva
la gola
secca per l'ansia e l'aspettativa.
Saori
bussò e dall'interno venne la voce di Shiryu:
“Avanti.”.
Un
attimo dopo, nonostante le raccomandazioni del dottore di fare piano,
la piccola stanza venne invasa da un gruppo festoso e agitato e Seiya
si ritrovò in un attimo circondato da tutti i fratelli e
dalla sua
Dea: “SEI UNO STUPIDO!” urlò Jabu con
aria sconvolta, dandogli
un pugno sulla spalla, “Dannatissimo incosciente, ti sembra
il modo
di comportarsi?” rincarò la dose Ichi, balzandogli
praticamente
addosso, “Mentre tu dormivi della grossa, noi eravamo in
pensiero
per te.” disse Geki, cercando di trascinare via Nachi, Ichi e
Jabu
che stavano sommergendo il malato, “Ci penso io a
loro.” si offrì
subito volontario Ban, prendendo in consegna i tre scalmanati,
“Sono
contento di rivederti in giro a far danni, piccoletto!”
affermò
sinceramente con un sorriso Leone Minore, rivolgendosi al Pegaso.
Quest'ultimo
si lasciò scappare una risata inframezzata ad un accesso di
tosse:
“Grazie. Perdonatemi per avervi fatto stare in ansia; vi
sentivo..
Mi chiamavate ma ero troppo stanco per rispondervi” rispose
lui, a
voce bassissima senza staccare la propria mano da quella di Dragone,
“Non ci pensare… L’importante
è che tu sia di nuovo tra noi.”
affermò serio Nachi da un punto imprecisato alle spalle di
Shun, “E
piantala Ban, mi fai male!” si lamentò.
“Non
si era detto che dovevamo fare poco caos?” lo
rimproverò Lionet,
dandogli uno scrollata: “Non fate i bambini, dai!”.
Shiryu
si sentiva più sereno, ora che le cose sembravano aver preso
una
piega decente.
“Ragazzi,
forse è meglio lasciarlo riposare... Andiamo a
casa.” fece notare
Saori, vedendo che gli occhi del Saint di Pegaso faticavano a restare
aperti: “Si è appena svegliato, ha bisogno di
tempo per
riabituarsi alla vostra confusione.”
“Ha
ragione. Shiryu, anche tu. Devi dormire un po’, ne hai
davvero
bisogno.” disse improvvisamente Hyoga, cingendo con il
braccio le
spalle di Shun che già si era appropriato della sedia per
tenere
sotto controllo il Pegaso, “Qui restiamo noi, non lo lasciamo
solo.” aggiunse Andromeda con un sorriso gentile, rimboccando
con
cura la coperta al fratello mentre gli altri, a turno, si
avvicinavano per dare il proprio saluto a quest'ultimo.
Il
Dragone restò interdetto per qualche minuto, poi
però fu costretto
ad acconsentire, era veramente a pezzi e sarebbe crollato
addormentato all'istante: “D’accordo, pensateci
voi.” si arrese
il cinese, “Ma prima devo andare ad avvertire Seika-san e
Miho-san,
saranno contente di sapere” concluse con un gran sorriso sul
volto
stanco, “Vengo con te.” soggiunse improvvisamente
Ichi, “Avrai
bisogno di aiuto per tenere a bada le piccole pesti e dissuaderle dal
venire in massa qui. Ti aspetto fuori!! Muoviti!”
esclamò,
seguendo gli altri in corridoio.
Shiryu
rimase con i due compagni nella stanza.
“D’accordo
ma questo è un ordine: subito dopo, fila a casa
perché non voglio
averti come zombie in giro. Sono stato chiaro?”
decretò Cygnus
dopo qualche istante, non ammetteva alcuna replica.
“Va
bene, va bene…” rispose il guerriero per poi
sfiorare con una
carezza il viso del malato, “Buonanotte, ragazzi... Ve lo
affido...” riuscì a dire soltanto, prima di
abbandonare la stanza.
Fu
solo una volta fuori che si permise di lasciarsi andare ad un muto
ringraziamento e alle lacrime che, finalmente, potevano scorrere
senza il minimo ostacolo, liberando del tutto il suo cuore dalla
paura e dal rimorso, lavando via ogni pensiero e sensazione negativa.
“Ci
pensate voi ad avvertire Seika-san e Miho-san, quindi?”
chiese
Saori, dopo che i due rimasti indietro li ebbero raggiunti nel
giardino deserto della clinica.
Shiryu
e Ichi annuirono: “Se ci sbrighiamo, riusciamo a raggiungere
l'Istituto prima che tutti vadano definitivamente a dormire.”
rispose Hydra, stando accanto al fratello maggiore e spiandolo per
evitare di vederselo crollare in ginocchio davanti agli occhi, non
aveva affatto una bella cera.
Ichi
lo sapeva: Shiryu era sempre rimasto rinchiuso in quella prigione, a
vegliare il sonno di Seiya senza posa, senza concedersi un attimo di
riposo e caricando sulle proprie spalle il dolore di tutti loro senza
mai farlo pesare a nessuno e adesso doveva essere esausto; avrebbe di
gran lunga preferito che Saori-san fosse intervenuta per obbligarlo
ad andare subito a casa a stendersi, ma sapeva che sarebbe stato
inutile.
Saori
sospirò poi si avvicinò a Tatsumi, più
scostato rispetto al
gruppetto di ragazzini e gli si rivolse con espressione stanca:
“Potresti accompagnarli tu?” chiese la giovane.
Il
maggiordomo restò basito per un attimo ma, forse accortosi
della
situazione delicata che stavano vivendo, si limitò ad
annuire appena
prima di salire a bordo e spalancare dall'interno le portiere per
accogliere i due Saint.
Geki
e Ban li spinsero per farli salire: “Noi vi aspettiamo a
casa...”
disse Lionet con voce incrinata, “Abbiamo bisogno di
aria...”
biascicò Ursa, cacciandosi le mani in tasca e incassando la
testa
nel collo, come se non volesse incrociare lo sguardo di nessuno.
A
Saori però non sfuggirono le sue lacrime e prese la sua mano
massiccia nella propria – più minuta –
stringendola con forza:
“Forza, ragazzi. Ci vediamo dopo.” sorrise Athena,
conducendo gli
ultimi suoi guerrieri verso il cancello.
Questo
si aprì con un cigolio per far uscire sia il mezzo sia il
drappello
di giovanissimi esausti nel corpo e nello spirito e in breve la
macchina sparì alla vista lungo la strada notturna.
§§§
Quando
Seiya riprese i sensi, non comprese subito dove si trovasse
né
quanto tempo fosse passato da quell'attimo di pura beatitudine in cui
aveva rivisto la propria famiglia: diamine, non era neppure certo che
non fosse stato tutto un sogno!
Ma
poi sentì una mano calda sfiorargli la fronte nella
semi-oscurità
della stanza, in deferenza ai suoi occhi scarsamente abituati alla
luce intensa dei neon e capì che non era stato solo un sogno
dettato
dal desiderio prorompente di rivederli ma era invece reale.
Avrebbe
riconosciuto tra mille la manina piccina di Shun che lo accarezzava.
Sollevando
piano una palpebra pesantissima, ne sbirciò le fattezze
emaciate e
pallide alla luce del piccolo abat-jour sul comodino e si
lasciò
scappare un sorriso: “Dove sono tutti?”
rantolò, accorgendosi
che non aveva più indosso il respiratore ma soltanto uno
strano tubo
allacciato alle due narici.
Andromeda
sembrò sobbalzare ma poi si chinò febbrilmente su
di lui, così
vicino che Seiya poteva quasi contare le lacrime che si affollavano
nei suoi occhi verdi e stanchi: “Ti ho svegliato?”
chiese a voce
bassissima.
Faticosamente,
Seiya scosse la testa: “No, non preoccuparti... Dove sono
tutti?”
ripeté.
Il
fratello gli rimboccò le coperte con cura e si risedette
sulla
poltrona accanto al letto: “Sono andati via pochi minuti
fa...
Shiryu-niisan è andato con Ichi ad avvertire Seika-san e
Miho-san.
Gli altri sono a casa con Saori-san.”
A
sentir nominare la sorella tanto cercata, il cuore malandato di Seiya
perse un battito mentre i ricordi della battaglia così
lontana nel
tempo e, credeva, dalle sue memorie tornavano prepotenti con la forza
di una bomba: per poco, non rischiò di soccombere nuovamente
al
dolore indicibile che ricordava chiaramente di avere provato, ma
subito Shun gli strinse la mano, calmandolo, “E' sempre
rimasta qui
con noi... Non è lontana, ha deciso di andare a stare coi
bambini.”
spiegò il ragazzo, anche lui aveva un groppo in gola che
faticava a
scendere, “Noi... noi avevamo paura... Tanta paura... Ma lei
aveva
tanta fiducia in te... Io temevo... temevo...”.
Seiya
sentì gravare sul proprio petto tutto quel dolore, quella
sofferenza
e comprese in un attimo quello che doveva aver passato la sua
famiglia per colpa sua.
L'unica
cosa che riuscì a fare fu stringere più forte che
poteva la mano ma
questo bastò: Shun smise di piangere, lasciandosi andare di
tanto in
tanto a qualche sporadico singhiozzo: “Va...
meglio?” mormorò
Pegasus.
Andromeda
annuì, asciugandosi gli occhi: “Sì...
Scusa... Non dovrei... Il
medico ha detto...”
“Non
importa... quello che ha detto... Sei mio fratello, non... non dovevo
farti soffrire... non dovevo farvi soffrire così... Mi
dispiace...
Perdonatemi... Ero tanto stanco... Io...”.
“Pari...”
biascicò Seiya, ricambiando con una strana smorfia che
voleva essere
sì un sorriso ma che non aveva nulla di somigliante, pur nel
suo
essere incredibilmente buffa.
Da
dietro la porta del bagno, Hyoga si lasciò scappare un
singhiozzo,
subito coperto dalla mano sulla bocca: era entrato pochi minuti per
sciacquarsi il viso dagli ultimi scampoli di sonno e si era ritrovato
ad ascoltare quel piccolo dialogo così surreale, nella sua
bellezza:
era così strano e insieme meraviglioso sentire veramente la
voce di
Seiya e non il suo fantasma racchiuso nei loro mille ricordi ma non
era pronto a quella tempesta emotiva in arrivo.
Non
sapeva gestirla, non ancora almeno ma aveva tutta l'intenzione di
imparare, adesso che avevano tutto il tempo del mondo dalla loro
parte: dopotutto, era un po' come imparare a camminare; dovevano solo
farlo assieme.
Forte
di quella nuova risoluzione, fece scattare il chiavistello ed
uscì.
“Ho
sentito una voce irritante provenire da qui.”
esordì quindi,
apparendo nel cono di luce creato dalla piccola lampada: “E
volevo
sincerarmi che andasse tutto bene.” disse con un sorriso
baldanzoso, “Ti sei portato dietro anche il
papero...?” bofonchiò
Pegasus con tono fintamente irritato.
Shun
rise sottovoce: “La decisione di restare qui è
stata sua.”
“Non
hai intenzione di difendermi?!” Hyoga sembrava genuinamente
stupito
dalla reazione dell'Andromeda ma anche con i sensi ottenebrati Seiya
poteva discernere il vero atteggiamento che i due fratelli celavano
sotto quelle mentite spoglie che era la loro pantomima fatta per
farlo sentire meglio.
“Affatto.”
replicò serenamente il più giovane, sorseggiando
del tea ormai
tiepido da una tazza che, fino a quel momento, era rimasta
abbandonata sul comodino.
Dèi,
quanto gli erano mancate quelle voci e quei gesti...
“Siete
buffi, ragazzi...” biascicò il Pegaso, cercando di
mettersi
seduto; ma il suo corpo sembrava fatto di piombo, non riusciva quasi
a muovere le dita, figuriamoci mettersi in una posizione più
comoda.
Subito,
però, Shun prese ad armeggiare con un piccolo telecomando
traslucido
e Seiya sentì il proprio letto muoversi, lo schienale
alzarsi e si
ritrovò – senza aver mosso un dito – a
fissare Hyoga negli occhi
azzurri: “Dovresti rimettere a posto quel cespuglio di
capelli...”
borbottò dopo averlo esaminato, “Parola mia,
ragazzi... Sembrate
usciti da una centrifuga...”.
“Questo
qui sta benissimo, te lo dico io.” ribattè Cygnus:
“Potrebbe
benissimo alzarsi già domani.”
“Se
è per... prenderti a calci... mi piacerebbe... Ma non mi
sento
ancora in forze...” riuscì a dire Pegaso prima di
lasciarsi
sfuggire un accesso violento di tosse.
Preoccupato,
Andromeda prese una manciata di frammenti di ghiaccio da un altro
bicchiere lì vicino e glieli passò avvolti in un
candido
fazzoletto: “Devi avere la gola e la bocca secca.”
fece notare.
Uno
per uno, i frammenti scivolarono giù per la sua gola,
rendendo
l'arsura più sopportabile.
“Grazie,
Shun...” borbottò, lasciandosi avvolgere dal
tepore delle coperte.
Ci
furono alcuni istanti di silenzio, poi Seiya riprese a parlare:
“Voi
state bene, vero?” chiese, “Non... Non siete
feriti...?”.
Shun
e Hyoga si scambiarono un'occhiata, poi fu Andromeda a scuotere la
testa con un sorriso accondiscendente: “Non dovresti
preoccuparti
per noi, piuttosto dovresti pensare a te.” lo
rimproverò
bonariamente, “Comunque sì, stiamo tutti bene.
Quindi, concentrati
sulla tua guarigione.” s'intromise Cygnus.
Il
silenzio che calò subito dopo aveva il sapore di un'attesa
difficile, di parole che dovevano essere dette ma che faticavano a
venire fuori, tante erano le cose che Seiya voleva chiedere ma non
sapeva come...
A
salvarlo in extremis fu un lieve bussare alla porta, che si
aprì
dopo pochi secondi, facendo entrare Meiko, Satsuki e Jean.
“Siamo
passati per una visita e per vedere come stava.” si
scusò la più
anziana con un inchino, restando rispettosamente indietro coi propri
compagni: “Venite pure.” li invitò
invece Shun con un cenno
della mano, “E' sveglio e blatera come al suo
solito.” aggiunse
Hyoga con un risolino.
Seiya
si vide circondato da tre persone che ricordava di aver visto nello
specchio del Lete – avrebbe dovuto parlare anche di quello ai
fratelli ma sentiva di dover aspettare che fossero presenti, era una
cosa importante per tutti loro – ma non ne ricordava i nomi.
“Io
sono Meiko, lei è Satsuki-chan e lui invece è
Jean-kun. “
presentò la più anziana: “Siamo
infermieri qui in clinica e
volevamo sincerarci che tu fossi veramente sveglio... Che non fosse
solo un sogno.”.
Seiya
trattenne il fiato.
“Ci
siamo affezionati a voi ragazzi.” replicò Jean:
“E quando
abbiamo saputo la notizia, non potevamo stare fermi.”.
“Satsuki-san
e Meiko-san sono state con noi per tutto il tempo. E anche
Jean-san.”
gli occhi di Shun erano lucidi mentre parlava: “Si sono presi
cura
di noi e di te quando eravamo anche solo troppo stanchi e spaventati
per pensare positivo.”.
“Allora...
vi devo ringraziare...”
Faticosamente,
Seiya si era mosso per sistemarsi meglio contro il cuscino:
“Avete
protetto e aiutato la mia famiglia al mio posto, avete teso loro una
mano... Vi sono grato della cosa.” disse semplicemente,
reclinando
la testa contro la spalla, non aveva più forze.
Shun
e Hyoga non dissero nulla ma, col cuore gonfio di commozione, si
avvicinarono al letto e gettarono le braccia al collo di Pegasus,
abbracciandolo.
§§§
“SEIKA-SAN!
MIHO-SAN!” gridò Ichi esagitato, appendendosi al
campanello
dell'Istituto.
Una
volta scesi dalla macchina che li aveva accompagnati fin lì,
Hydra
non aveva neppure atteso che Shiryu proferisse verbo ma si era
lanciato subito verso la porta con l'intento di tirare giù
dal letto
tutto l'orfanotrofio.
“Aprite!
E' importante!” gridò ancora il Saint, prendendo a
bussare
insistentemente alla porta.
Da
dentro, si udì un tramestio e poi la luce dell'ingresso si
accese
prima che la porta, aprendosi, rivelasse le figurette in pigiama di
alcuni bambini: “Shiryu-niichan... Ichi-niichan... Cosa ci
fate
qui?” sbadigliò Hiroshi.
Ichi
sospirò: “Abbiamo bisogno di parlare con le
sorellone, dove sono?”
chiese con urgenza lui.
“Sono
in camera loro... Perchè?” chiese ancora Hiroshi.
“Abbiamo
una bella notizia per loro.” s'intromise Shiryu:
“Seiya è
sveglio e volevamo dirglielo.”
I
bambini spalancarono gli occhi, stupefatti, poi questi si riempirono
di lacrime e i piccoli presero ad abbracciarsi e a ridere:
“Davvero?!” chiese Samu, un piccoletto dai capelli
biondo cenere.
Shiryu
annuì, inginocchiandosi fino a raggiungere la sua altezza:
“Non
potremmo mai dirvi una bugia. Andate a chiamare le sorellone per noi,
per favore?”
Una
torma vociante di piccoli sparì nel lungo corridoio buio che
si
dipanava dinanzi a loro e non passarono che pochi minuti prima della
comparsa di due trafelate Miho e Seika in testa al gruppetto di
bambini.
Le
due ragazze erano scarmigliate e indossavano già i pigiami
sotto le
vestaglie pesanti per proteggersi dal freddo della notte: “E'
vero?!” chiese subito Miho, stretta nelle spalle tremanti.
Shiryu
e Ichi annuirono: “Si è svegliato meno di un'ora
fa, adesso ci
sono Shun e Hyoga con lui.” Seika poteva giurare di vedere
tante
piccole lacrime affollarsi agli occhi del Saint di Dragoon e si
sentì
infinitamente felice.
Non
aveva perso il suo fratellino, ne aveva anzi guadagnati altri e la
vita finalmente era tornata ad occupare le terre bruciate dal tocco
della Morte.
La
luce era definitivamente tornata.
“Se
ci aspettate, ci cambiamo e veniamo con voi.”
esclamò Miho
esagitata.
“No,
Miho-san.” la interruppe Ichi: “Rimandiamo a
domattina. Diremo a
Saori-san di passarvi a prendere mentre noi ci occuperemo di stare
coi bambini, non possono restare soli.”.
“Hanno
ragione, neechan.” disse Seika, poggiandole una mano sulla
spalla:
“E' tardi e non è il momento di lasciare i bambini
da soli. Hanno
bisogno di noi, sono certa che hanno già saputo.”
concluse,
sorridendo nel sentire un gran chiasso provenire dalle stanzette del
piano superiore.
“Se
volete, possiamo restare un pochino per tranquillizzarli.” si
offrì
il cinese ma le due ragazze scossero la testa: “Voi andate a
riposare. Soprattutto tu, Shiryu-kun, hai la faccia di chi non tocca
un letto decente da mesi.” e con tali parole, Miho sapeva
della sua
dedizione nell'accudire il fratello malato, il suo amico d'infanzia
di sempre.
“Hai
sentito le fanciulle? Anche il medico ha detto di portarti a casa, di
peso se necessario.” esclamò soddisfatto Ichi,
afferrandolo per il
polso: “E' stato un piacere vedervi, ragazze. Ma ora devo
riportare
a casa questo bambino, altrimenti Saori-san si arrabbia e non vorrei
vederla arrabbiata.” Hydra si profuse in un rapido inchino e,
non
dando neppure il tempo a Shiryu di fare altrettanto per salutare le
due educatrici, lo trascinò via verso la macchina in attesa
fuori
dal cancello.
Quando
infine i due ragazzi furono spariti alla vista, Miho e Seika si
abbracciarono, lasciando che le lacrime picchettassero le rispettive
spalle: erano così felici che sentivano i cuori battere
forsennatamente nel petto, minacciando di uscire.
“Avevo
così paura...” confessò la
più giovane delle due, tremando:
“Temevo di non vederlo più giocare con i
bambini... Questo cortile
è stato troppo triste e silenzioso senza di
lui...”.
Seika
annuì: lei non aveva mai dubitato neppure per un attimo
della forza
di volontà del fratello minore, sapeva che – per
quanto la Morte
tentasse di prenderselo prima del Tempo – lui non si sarebbe
mai
lasciato prendere senza combattere fino alla fine.
Era
fatto così e, dalle parole di Saori-san, sapeva che quella
era
l'essenza del suo essere un guerriero.
Ora
potevano finalmente stare di nuovo assieme e lei non poteva essere
più felice.
Il
cerchio finalmente si era chiuso e poteva nuovamente guardare al
futuro con ottimismo e speranza.
“Forza.”
disse infine la ragazza più grande, sciogliendo l'abbraccio:
“Andiamo a fermare i bambini prima che decidano di uscire di
nascosto.” rise, dirigendosi verso la scala.
Capitolo 9 *** 9. Con Una Piccola Luce Nel Cuore ***
CAPITOLO
9
CON
UNA PICCOLA LUCE NEL CUORE
Il
mattino giunse in fretta, sorprendendo una seppur assonnata Saori che
percorreva il corridoio su cui si affacciavano le camere dei ragazzi:
avvolta nella sua vestaglia, la giovane si fermò dinanzi
alla stanza
occupata da Shiryu e bussò tre volte, attendendo che
l'occupante si
svegliasse o le rispondesse.
Qualche
istante di silenzio e finalmente, sulla soglia, comparve il Saint di
Dragon: “Buongiorno.” lo salutò lei con
un sorriso, “Dormito
bene?”.
Il
ragazzo annuì con un sospiro: “A parte qualche
ricordo
spiacevole...” ammise, “Gli altri?”.
“Sono
ancora a letto, ho preferito non disturbarli. Shun e Hyoga sono
rimasti in clinica tutta la notte ma ho chiamato e Meiko-san mi ha
detto che riposano tranquilli e che anche Seiya ha passato una
nottata pacifica.”.
Shiryu
si sfregò gli occhi, trattenendo uno sbadiglio:
“D'accordo... Ieri
abbiamo promesso a Seika-san che...”.
“Ichi
me lo ha già detto. Se sei d'accordo, possiamo andare a
prenderla
assieme.” propose lei.
Il
ragazzo restò un attimo interdetto poi il suo viso si
distese in un
sorriso rasserenato: “Grazie, ma non hai del lavoro da
fare?”
domandò.
Ella
scosse la testa: “Non c'è nulla di importante, non
preoccuparti. E
comunque, se anche fosse, credo che le nostre priorità siano
altre,
al momento.”.
Il
suo sorriso rassicurante rasserenò Shiryu e assieme scesero
le scale
che conducevano al piano inferiore e poi imboccarono il corridoio che
portava in sala da pranzo: era presto, la villa era silenziosa e
dalle finestre entrava la timida luce del malato Sole d'inverno.
Entrambi
stavano quieti, camminando fianco a fianco senza fretta e, quando
infine si sedettero a tavola, subito una solerte camerierina li
raggiunse, inchinandosi: “Buongiorno, ojou-sama, bocchan...
Dormito
bene?” chiese subito, disponendo le tazze davanti a loro.
Saori
annuì, versandosi quindi del tè: “Per
la prima volta dopo molto
tempo, posso dire di aver riposato bene. I ragazzi dormono ancora,
potete preparare qualcosa anche per loro? Noi tra poco dovremmo
uscire per andare in clinica.” disse lei, spezzando una fetta
di
pane tostato.
La
giovane donna di servizio, che rispondeva al nome di Akiko,
annuì:
“E Seiya-bocchan come sta...? Abbiamo saputo che si
è svegliato.”.
“Seiya
sta bene.” disse Shiryu con un sorriso sereno:
“Abbiamo
intenzione di passare a prendere Seika-san e accompagnarla, vogliamo
che finalmente s'incontrino.” aggiunse con tono determinato.
La
giovane in piedi sospirò di sollievo, poi estrasse da una
tasca del
candido grembiule un amuleto ricamato e lo diede in mano a Dragoon,
stringendogli forte le dita: “Mio zio è sacerdote
in un tempio qui
vicino, quando sono andata a trovarlo l'ultima volta... gli ho
chiesto se poteva darmi un amuleto per Seiya-bocchan... E' un gran
bravo ragazzo e tutte noi gli vogliamo molto bene... Salutatelo. E
scusate per la franchezza, ma...”.
Saori
però scosse la testa: “Sono lieta che vi siate
legate a lui.”
replicò con un sorriso: “E vi chiedo di stargli il
più possibile
vicino in questa lunga convalescenza.”
“Lasci
fare a noi, ojou-sama! Abbiamo tutte le intenzioni di
viziarlo!”.
Shiryu
si lasciò scappare una risata: “Attente che poi
non vi si ritorca
contro. Potreste trovarvelo in cucina nel cuore della notte intento a
rubacchiare qualche biscotto.”.
Akiko-san
scosse le spalle: “Ogni tanto lo faceva, quando si infilava
in
cucina per nascondersi da Tatsumi-san. Ma non ci facevamo troppo
caso, era troppo magro e volevamo mettesse su qualche chilo. Poi
aveva sempre una strana espressione corrucciata negli ultimi tempi,
prima che voi partiste per la Grecia era sempre cupo e non riuscivamo
mai a strappargli un sorriso. Ho provato a chiedere se ci fosse
qualcosa che non andava ma non rispondeva se non a monosillabi. Non
so cosa gli sia successo ma...”
I
due al tavolo si scambiarono un'occhiata, poi Saori poggiò
nervosamente la tazza sul piattino e si voltò verso la
cameriera:
“Akiko-san, posso farti una domanda?”
Ella
chinò rapidamente la testa e annuì:
“Tutto quello che vuole,
ojou-sama.” replicò.
“Ti
sei per caso accorta se questi comportamenti strani abbiano avuto
inizio in un momento specifico?”
La
giovane restò pensierosa per qualche istante, poi
sospirò: “In
realtà, sì... Prima che voi partiste per la
Grecia per la prima
volta, quando voi signorini alloggiavate qui per i primi tempi...
Seiya-bocchan non lo si vedeva molto spesso, però poi ha
cominciato
a frequentare assiduamente la Villa... E ricordo chiaramente questo
suo atteggiamento un po' triste ogni qualvolta c'erano in giro
Jabu-bocchan e gli altri: sì, quando s'incontravano sembrava
diventare un'altra persona. Restava cupo per ore, non parlava e non
capivamo il perchè; pensi che subito ero convinta ci fosse
un
qualche tipo di rivalità tra loro! Però
poi...”.
Akiko
sembrava parecchio a disagio.
“Poi?”
incalzò gentilmente Saori, allungando la mano per afferrare
la sua.
“Poi...
Per caso... Ho sentito Tatsumi-san borbottare qualcosa...”
Shiryu
si irrigidì: che sapesse...
“Mitsumasa-sama
è sempre stato una brava persona con noi, alcune delle donne
di
servizio più anziane lo ricordano con molto affetto e non
importa
cosa abbia fatto in vita, dei morti non si sparla. Eppure, quando ho
sentito di ciò che è successo... Della storia di
voi signorini...
Non sono riuscita a rimanere tranquilla. Io... Io penso che
Seiya-bocchan abbia certamente molto bisogno del nostro supporto e
noi non glielo faremo mancare, ma credo che soprattutto abbia bisogno
di avere la sua famiglia accanto. Sembrerò sfacciata, ma
quello di
cui più ha bisogno quel ragazzo è
serenità e unione.”
Saori
e Shiryu rimasero a lungo in silenzio: Dragoon cercava un modo per
arginare il più possibile le lacrime e Saori era come
immersa in una
bolla di calore, come se tutto l'affetto che permeava le parole di
Akiko l'avesse stretta in un possente abbraccio.
“Ti
ringrazio...” mormorò poi Athena con un filo di
voce: “Siete
persone meravigliose...” sussurrò la giovanissima
nobildonna prima
di riavvicinare la tazza alla bocca e bere ancora un paio di sorsi.
Shiryu
annuì e, con un rapido cenno della testa, imitò
la Dea, celando i
propri occhi lucidi dietro una fetta biscottata croccante; Akiko poi
fu rapida a sparire dietro una porta di servizio, lasciando i due
ragazzi da soli.
“E'
un buon inizio per il futuro...” mormorò Saori
dopo alcuni secondo
di silenzio: “Non trovi anche tu?”
“Sì.
Non credevo...”
“Shiryu,
ve l'ho già detto una volta e ve lo ripeterò fino
a quando non sarà
più necessario. Questa è casa vostra, non dovete
aver paura di
niente quando siete qui.”.
All'improvviso,
senza che il ragazzo ebbe tempo né di assimilare le parole
della Dea
né di rispondere, si udì una gran confusione
provenire dal
corridoio; poi la porta della sala da pranzo si spalancò e
Jabu,
Ichi e Nachi si affollarono sulla soglia, sbirciando dentro.
“Temevamo
foste già usciti!” esclamò Hydra, il
cui ciuffo era l'unica cosa
visibile da dietro Wolf.
“Vogliamo
venire anche noi!” aggiunse quest'ultimo.
Con
un cenno della mano, Jabu li azzittì, poi mosse un passo in
avanti
ed entrò, sbilanciando i due fratelli che caddero a terra
con un
tonfo e un paio di lamentele ed imprecazioni.
Saori
si lasciò scappare una risatina divertita, salvo poi
ricomporsi
quando lo sguardo di Unicorn incrociò il suo: “So
che forse
sarebbe meglio per noi riposare... Ma non ce la sentiamo di restare
qui quando Seiya ha più bisogno di noi.” disse il
ragazzo più
giovane.
“Allora
mi congedo.” soggiunse Athena, alzandosi: “Sedetevi
e fate
colazione, io vado a dire a Tatsumi di preparare la
macchina.”.
“Io
vado a chiamare Seika-san per avvertirla.” Shiryu la
imitò, prima
di spingere teiera e biscottiere verso i posti solitamente occupati
dai tre fratelli: “Mangiate. Se avete bisogno, Akiko-san
è di
là.”.
Senza
fiatare, Jabu e compagni ubbidirono e ben presto nella stanza non si
udì altro che il ruminare delle loro mandibole.
§§§
Il
Sole che entrava dall'ampia finestra venne accolto da Seiya con un
sorriso sollevato: già sveglio da alcuni minuti, al
giovanissimo
Saint convalescente avrebbe certamente fatto piacere dormire qualche
minuto in più, tanto si sentiva stanco, ma non appena aveva
sentito
sul proprio viso il calore dei raggi luminosi, aveva subito sentito
il bisogno spasmodico di svegliarsi e immergersi in quella luce tanto
amata e cercata.
E
infatti...
Con
la testa pesante poggiata sul cuscino e il viso rivolto alla vetrata
a sinistra, Pegaso osservava il cielo colorarsi di un bel blu
ceruleo, segno che la giornata sarebbe stata bellissima.
Fredda,
ma bellissima.
La
sua attenzione venne improvvisamente distolta da un sospiro profondo
proveniente dalla sua destra e, quando riuscì a voltare la
testa, la
vista che lo accolse fu di quanto più dolce avesse
sperimentato
negli ultimi mesi: Shun e Hyoga non erano andati a casa, quella
notte, e si dividevano fraternamente una coperta e la poltrona
accanto al suo letto: la spalla di Cygnus faceva da cuscino
all'Andromeda e sui loro volti poteva vedere benissimo il pallore e
le occhiaie che risaltavano sul bianco latte dei loro visi.
Avrebbe
voluto alzarsi e cercare di abbracciarli ma non ne aveva le forze,
quindi Seiya si limitò unicamente a osservarli attentamente,
annotando mentalmente ogni cambiamento e ogni sfumatura di stanchezza
e tristezza riscontrasse: chiese scusa mille volte in cuor proprio,
deciso a ripetersi una volta che anche loro avessero aperto gli occhi
ma, per il momento, andava bene così; avevano entrambi
bisogno di
riposare e non sarebbe stato certo lui a svegliarli.
Facendo
un respiro profondo, socchiuse gli occhi, lasciandosi avvolgere dal
calore della coperta drappeggiata sul suo corpo: lo sentiva pesante,
poco propenso a rispondere ai suoi comandi ma il semplice fatto di
poterlo sentire di nuovo era abbastanza.
C'erano
tanti pensieri nella sua mente e tante cose che avrebbe voluto fare:
primo fra tutti, se avesse avuto le forze, sarebbe certamente sceso
da quel letto, avrebbe indossato dei vestiti più dignitosi
di un
pigiama ospedaliero e sarebbe corso fino all'Istituto per vedere
Seika.
Il
nome della sorella, al solo pensarlo, gli fece balzare il cuore in
gola.
Sapeva
che era ancora viva, l'aveva vista prima di cadere sotto le grinfie
di Hades, sapeva che gli altri l'avevano protetta con tutta la forza
che possedevano in corpo e non si erano risparmiati ma voleva
sincerarsene di persona.
Voleva
stringerla a sé, dirle quanto le voleva bene, poterla avere
vicino
per il resto della propria vita...
In
cuor suo, Seiya fremeva: aveva atteso anni prima di rivederla,
l'aveva perduta ancora prima di poterla riabbracciare al ritorno
dalla Grecia, aveva vissuto nel sogno di ritrovarla e nel frattempo
era passato così tanto tempo...
Un
moto di paura gli bloccò il respiro in gola: e se Seika
fosse
cambiata? Se la sorella amorevole che ricordava e che sognava fosse
diventata un'altra persona?
Come
avrebbe potuto reagire? Come avrebbe potuto continuare a vivere con
la consapevolezza di aver solo inseguito un mero ricordo?
“E
se si fosse rifatta una vita, nel frattempo?”
pensò egli con le
lacrime che minacciavano di affollargli gli occhi.
“S-Seiya...
Che succede? Ti fa male da qualche parte?”
La
voce assonnata di Shun lo colse genuinamente di sorpresa mentre il
ragazzo, alzatosi dalla poltrona, era accorso al suo fianco:
“Ti ho
sentito singhiozzare... Senti dolore? Devo chiamare
Meiko-chan?”
domandò agitato.
Anche
Hyoga si era alzato e, guardatosi attorno con espressione confusa,
notò all'istante i due fratelli – a loro volta
svegli – e non
gli sfuggirono le lacrime del Saint di Pegasus.
“Shun,
vado a chiamare il medico.” disse subito Cygnus, serio in
viso
nonostante la stanchezza.
“N-Non
sento dolore...” ammise Seiya all'improvviso, con una voce
sottilissima: “S-Stavo solo pensando...”.
“A
cosa?” Shun era visibilmente preoccupato.
“A
S-Seika-neesan... S-Se si fosse fatta una vita, nel frattempo? S-Se
non mi volesse vedere... Io non potrei...” una lacrima scese
dagli
occhi esausti del ragazzino a letto, andando a morire tra le sue
labbra.
“Seiya,
ora calmati... Seika-san... Seika-san è rimasta a vegliarti
tutto il
tempo, ti vuole bene come prima e non ha mai smesso di volertene...
Non pensare a cose negative che non hanno alcun senso, non ora
né
mai. E' tua sorella, ti ama e non ha intenzione di lasciarti di nuovo
solo. E neppure noi.” disse l'Andromeda con un sorriso
sereno:
“Rimarremo al tuo fianco sempre. Te lo avevamo promesso, no?
Che
saremmo morti assieme o non saremmo morti affatto.”
ridacchiò il
Saint dai capelli castani.
“Shun
ha ragione.” ribatté Hyoga con tono severo:
“Siamo tutti qui per
te, di questo non dubitare mai.”.
A
quel punto, Seiya alzò debolmente un braccio per asciugarsi
gli
occhi e riuscì infine a donare un sorriso stanco ad entrambi
i
fratelli: “G-Grazie... Scusate... E' che...”.
“Non
devi scusarti di nulla.” lo rassicurò Andromeda:
“Siamo qui per
te, sei stanco e hai superato una prova di indicibile
difficoltà, è
normale sentirsi negativi. Ma vedrai che tempo qualche settimana e
tornerai di nuovo ad essere la nostra spina nel fianco.”
ridacchiò
Hyoga, guadagnandosi una decisa gomitata dal fratello minore,
“Non
sono cose da dire!” lo rimproverò questi,
rasserenandosi nel
sentire la gorgogliante risata del Pegaso.
Ambedue
si voltarono verso di lui, che socchiuse gli occhi, sorridendo:
“Sapete sempre come tranquillizzarmi... Vi ringrazio,
ragazzi.”.
“Di
nulla, otooto...” mormorò Hyoga, rimboccandogli le
coperte.
Fu
in quel momento che qualcuno bussò alla porta.
Seiya
riaprì di scatto gli occhi, Shun si alzò in piedi
dalla sua
posizione inginocchiata sul pavimento e Hyoga mosse istintivamente un
passo in avanti, come a voler difendere entrambi:
“Avanti!” gridò
infine egli con voce squillante.
“Buongiorno
ragazzi miei.” sulla soglia comparve il dottore, che li
salutò con
calore mentre entrava nella stanza seguito da una solerte Satsuki:
“Sono passato a fare il mio solito giro mattutino.”
annunciò,
sorridendo nel vedere i nervi del biondo sciogliersi e il viso del
suo compagno rasserenarsi – quei due erano veramente troppo
tesi –
al loro ingresso: “Vi ricordate di me, vero?”.
“Buongiorno,
Makishima-sensei.” Shun, educato come sempre, si profuse in
un
inchino: “Le siamo grati di averci permesso di restare con
lui.”.
“Via,
via.” minimizzò l'uomo, sistemandosi gli occhiali
sul naso: “Mi
dipingono come un orco mangiabambini ma in verità non sono
niente di
tutto questo. Kido-kun deve aver sicuramente riposato meglio con voi
al suo fianco.” sorrise.
“G-Già...”
replicò Seiya debolmente: “Sono gli scaccia-incubi
perfetti.”
dichiarò.
“Mi
fa piacere sentirlo. Ma ora dobbiamo chiedere loro di andare a
prendersi qualcosa da mangiare in mensa per colazione mentre noi
cambiamo le bende e controlliamo un altro paio di cosine. Non
è un
bello spettacolo ma vi prometto che faremo in fretta.” il
medico
guardò i due fratelli, i quali si affrettarono a ripiegare
la
coperta che avevano usato per la notte e a rimetterla nell'armadio:
“Torniamo presto, Seiya. Tu ascolta il medico.” si
raccomandò
Shun, prima di seguire Hyoga all'esterno; sulla soglia, rivolse un
ultimo inchino ai due adulti prima di sparire.
§§§
“Davvero
potremmo vedere il fratellone?!” esclamò Makoto,
saltellando sui
sedili della macchina.
“Certo,
se è sveglio potrete anche giocarci qualche
minuto.” concesse
Saori, cullando sulle gambe un'assonnata Mimiko: “Ma dovete
fare
piano, è ancora molto debole.”.
Il
piano originale prevedeva che solo le due educatrici sarebbero andate
in clinica mentre i piccoli sarebbero dovuti rimanere in Istituto
sotto la custodia dei maggiori dei Kido, ma i bambini erano stati
irremovibili: desideravano tanto rivedere Seiya e l'unica soluzione
che Saori trovò fu quella di caricarne alcuni a bordo mentre
il
resto sarebbe andato a piedi con Ban, Geki, Nachi e Jabu.
Ichi
e Shiryu, invece, la stavano assistendo nel tenere a bada quel
quartetto di marmocchi che, con buona pace di Tatsumi, turbava la
quiete mattutina con urla e risate.
Ormai
erano quasi arrivati: l'automobile sfrecciava lungo le strade
semi-deserte e appena appena illuminate dalla luce del primo, timido
Sole.
Nell'angolo
del sedile, Miho e Seika sonnecchiavano – non dovevano aver
dormito
molto neppure loro – e Saori era ben felice di aiutarle
almeno in
quelle piccole cose; con un sospiro, mentre accarezzava
distrattamente la testolina della bimba in grembo, la ragazza
osservò
con espressione assorta il frammento di cielo che spuntava tra i
palazzi.
Alla
guida, anche Tatsumi sembrava pensieroso mentre svoltava rapidamente
attraverso le stradine strette del distretto residenziale: non era
riuscito a riposare bene e, anzi, aveva trascorso gran parte della
notte nel bugigattolo che fungeva da suo studio personale come
capo-maggiordomo dei Kido, intento a frugare in mezzo a documenti e
fogli.
Tutto
pur di allontanare la mente dal quel fastidioso senso di colpa che
non lo lasciava stare.
“Tatsumi,
siamo arrivati?”.
La
voce di Saori lo riscosse improvvisamente dai propri pensieri e
Tatsumi si rese conto che sì, erano ormai in dirittura di
arrivo:
“Sì, ojou-sama. Se aspetta un attimo, chiamo per
farci aprire.”.
Ma
lei, da dietro, scosse la testa: “Non c'è bisogno,
aspetteremo i
ragazzi qui fuori.” replicò, ridendo nel vedere i
bambini a bordo
saltellare come folletti e svegliare Miho e Seika: “Siamo
arrivati!
Siamo arrivati!” gridò Makoto, tirando Hiroshi e
Akira per le
braccia.
“Ora
calmatevi.” li rimproverò la Dea, sistemandosi il
vestito e
aiutando Ichi a far indossare loro le giacche: “Non dovete
fare
troppo chiasso.” si raccomandò.
“Saremo
muti come pesci!” giurò Mimiko.
“Sì!”
aggiunsero gli altri.
“D'accordo.
Forza, tutti giù. Aspetteremo gli altri qui.”
Shiryu prese per
mano Hiroshi e scese dalla macchina, nel frattempo fermatasi dinanzi
al cancello, mentre Ichi, alle prese con Makoto e Akira – il
temibile duo – si faceva strattonare da una parte e
dall'altra,
incapace di tenerli del tutto a bada.
Dietro
di loro, uscirono Miho e Seika sbadigliando e, per ultima, Saori che
portava tra le braccia sottili una tranquillissima Mimiko.
Il
gruppetto salutò appena Tatsumi, che girò subito
la macchina per
tornare indietro, poi si mise ad attendere l'arrivo degli altri, i
quali non tardarono nel farsi udire da in fondo alla strada.
Quando
finalmente i quattro adolescenti – ciascuno con un ragazzetto
sulla
schiena - sbucarono da dietro un angolo con alle spalle il codazzo di
bambini, Hydra non riuscì a trattenere una sonora risata
all'indirizzo dei fratelli: “Sbaglio o vi state facendo
sottomettere da un gruppetto di mocciosi?!” gridò
questi, portando
le mani chiuse ad imbuto davanti alla bocca, “Grandi eroi che
siete!” scherzò ancora, strappando un sorriso
anche a Shiryu.
Per
tutta risposta, Jabu spiccò una corsa con uno dei piccoli
orfani
sulle spalle e assieme si lanciarono su Ichi, buttandolo per terra
con estrema facilità: “BRAVO JABU-NII!”
gridò il piccolo,
smontando dalla schiena del maggiore, “lo hai
abbattuto!”
applaudirono gli altri.
Con
aria sbruffona, Unicorn si sedette sul fianco di Hydra riverso a
terra, accomodandosi come se fosse seduto su di un divano:
“Mai
sottovalutare il fratellone Unicorn.” dichiarò con
tono falsamente
pomposo.
Un
istante dopo, i due si ritrovarono ad accapigliarsi giocosamente
sull'asfalto, tra le risate dei bambini.
“Forza, ora basta.” li rabbonì
Geki, afferrandoli entrambi per i colletti
delle giacche per separarli: “Volete entrare o dobbiamo
raffreddarci tutti per i vostri giochi? Parola mia, ragazzi. Sono
più
maturi Akira-kun e Makoto-kun!” esclamò Ban da
dietro.
“Ha
cominciato lui!” esclamarono in coro, puntandosi
vicendevolmente il
dito contro e scatenando uno scroscio incontrollabile di risa da
parte anche di Miho e Seika.
“D'accordo.
Entriamo, ora.” ordinò Saori, mettendosi alla
testa del gruppo: “E
ricordate, fate piano. Possono esserci persone che dormono
ancora.”.
Le
due educatrici radunarono i bambini e li disposero efficentemente in
fila indiana, ponendosi al fianco di quelli più agitati per
tranquillizzarli, e seguirono diligentemente Athena e i suoi Saint
all'interno prima del giardino e poi della clinica.
Non
vista, Seika sussultò.
Era
stata a lungo tra quelle quattro mura ma il nervosismo di sapere che
suo fratello era finalmente sveglio... la consapevolezza di poterlo
finalmente rivedere... Non sapeva se il suo cuore avrebbe retto a
tutte quelle emozioni.
Fu
Miho a stringerle la mano, riportandola all'istante alla calma: la
sua collega e amica più giovane le sorrise con fare
rassicurante,
facendole capire che non era sola, che ci sarebbe stata anche lei al
suo fianco e così anche i bambini e naturalmente Saori-san e
i
ragazzi.
Seika
si calmò.
“Buongiorno,
ragazzi.” salutò all'improvviso la voce di Shun.
Una
decina di teste si voltarono verso il corridoio opposto a quello dove
si trovava la stanza di Seiya e videro Andromeda e Cygnus con un
vassoio a testa tra le braccia: “Makishima-sensei ci ha
chiesto di
allontanarci qualche minuto mentre lui e Satsuki-san cambiavano le
bende.” spiegò Hyoga, “Ci hanno
consigliato di andare a mangiare
qualcosa.” si giustificò l'altro.
“Hanno
fatto bene.” replicò Shiryu, squadrandoli con
attenzione:
“Dovreste mangiare un po' di più, siete pelle e
ossa.”.
“Ti
sei visto tu?” borbottò il russo con tono
sardonico: “Dovrebbero
metterti all'ingrasso.” ghignò.
“Miho-neechan,
se i fratelloni litigano, perchè non posso litigare anche io
con
Makoto?” chiese Akira: “Mi ha rubato le
caramelle...”.
“Ragazzi.”
intervenne Saori: “Date il buon esempio ai
bambini.”.
Nel
mentre del vivace battibecco, la porta della camera di Seiya si
aprì
e si richiuse, lasciando che il medico – seguito
dall'infermiera –
raggiungesse il gruppo senza che nessuno si fosse accorto della loro
presenza.
“Vedo
che abbiamo un sacco di visite.” salutò lui,
riponendo lo
stetoscopio nella tasca del camice; i ragazzi sobbalzarono e si
voltarono subito, rivolgendo ai due un rispettoso inchino:
“Tranquilli, tranquilli. Kido-kun vi aspetta. Vi avevo
promesso che
saremmo stati veloci, no?” chiese, rivolgendo un occhiolino
verso
Shun e Hyoga.
“Come
sta?” domandò subito Saori.
“Non
è stato zitto neppure per un secondo.” rise
l'uomo: “Per essere
uscito da poche ore da un coma di tale portata, è una specie
di
piccolo miracolo. Ma vi pregherei di non stancarlo troppo. Sono stato
chiaro, bambini?”.
“Sì,
sensei.” risposero in coro i piccoli.
“Ottimo.”
disse l'uomo soddisfatto: “Io sono nel mio ufficio.
Ojou-sama,
quando più le aggrada, passi a trovarmi. Le
offrirò un tea mentre
cominceremo a discutere delle pratiche per il rilascio di
Kido-kun.”
“Ma
non è un po' presto?” domandò Shiryu
dubbioso.
“Rilascio
che avverrà tra almeno un mese. Ma ci sono molte cose da
curare e
controllare.” replicò il medico prima di
allontanarsi lungo il
corridoio opposto: “Buona giornata, ragazzi.”
salutò infine.
Il
gruppetto restò in silenzio qualche istante, poi fu Saori a
prendere
in mano la situazione: “Miho-san. Potresti occuparti un
attimo tu
dei bambini? Seika-san, vieni con noi.” disse la Dea.
“Certamente.
Seika-neechan, vai da Seiya-chan, abbraccialo e dagli un pugno da
parte mia.” singhiozzò la giovane insegnante,
abbracciando subito
dopo la ragazza che, per lei, era come una sorella maggiore.
“Lo
farò, stanne certa.” sorrise lei, donandole una
carezza sui
capelli spettinati.
I
Saint fecero baluardo attorno a lei e Saori e, a ranghi serrati, si
diressero senza indugio verso la camera.
Shiryu
bussò due volte alla porta: “Seiya, siamo
noi.” annunciò, prima
di aprire con cautela la porta.
La
finestra lasciata lievemente aperta faceva entrare un fresco refolo
d'aria mentre il Sole splendeva in ogni angolo, illuminando perfino
il viso apparentemente semi-addormentato del Pegaso, rannicchiato tra
le coltri.
Il
gruppo di fratelli si radunò attorno al letto –
disponendosi per
evitare di affollarsi tutti in un unico punto – e
restò col fiato
sospeso per alcuni istanti, incerti su cosa fare: sembrava
così
pacifico...
“Seiya...”
Shiryu lo scosse piano sulla spalla: “Seiya... Sono io...
Svegliati.”.
Dalle
labbra del Saint uscì un grugnito di protesta ma finalmente
le sue
palpebre iniziarono – pur se lentamente – ad
alzarsi e lentamente
il ragazzo mise a fuoco le figure attorno a sé, lasciandosi
sfuggire
un sorriso: “Era ora...” borbottò con la
voce impastata di
sonno, “Spero mi abbiate portato la colazione...”
aggiunse,
cercando di muoversi per mettersi seduto.
“La
tua colazione è qui, sciocchino.” lo
sfottè Hyoga, dando un
colpetto alla flebo: “Preferisco l'omelette.”
protestò il
Pegaso, sfregandosi gli occhi.
Capitolo 10 *** 10. Riannodando i Fili della Vita ***
CAPITOLO
10
RIANNODANDO
I FILI DELLA VITA
La
voce di Seika l'aveva fatto raggelare sul posto: Seiya non aveva il
coraggio di alzare lo sguardo dal grembo in cui li aveva posati per
osservarsi le mani scarne e pallide, incerto sul come agire e
incapace di frenare i battiti inconsulti del proprio cuore e i
tremiti del proprio corpo.
“Otooto...
Guardami... Io lo so che s-sei arrabbiato... Ti ho lasciato solo...
Perdonami...” Seika non riusciva a trattenersi: aveva
combattuto
contro tutti quei sentimenti per mesi e mesi, nel tentativo di
mostrarsi forte, ma ora non ce la faceva più.
Shun
la abbracciò forte mentre Hyoga armeggiava col telecomando
per
sollevare lo schienale del letto: “Alza quella testa da
struzzo che
ti ritrovi, ronzino.” lo punzecchiò Cygnus
– cercando a propria
volta di non far trapelare nulla.
“Seiya,
non avere paura...” sussurrò Saori,
inginocchiandosi accanto a lui
e stringendogli la mano: “Va tutto bene...”.
Finalmente,
i grandi occhi scuri del Saint di Pegasus fecero capolino dal ciuffo
disordinato che erano i capelli del ragazzino - tagliati alla bell'e
meglio dalle infermiere per le lunghe e dolorose terapie a cui
l'avevano continuamente sottoposto, operazioni comprese per i
complessi traumi che aveva presentato – che celavano
cicatrici
ancora fresche di punti da poco tolti.
Nella
stanza cadde un silenzio pregno di attesa, i ragazzi attendevano:
Seiya stava in silenzio, fissandoli con espressione spaesata e occhi
pericolosamente lucidi.
All'improvviso,
il ragazzino ebbe un sussulto e subito dopo, nella stanza,
risuonarono una serie di singhiozzi inconsulti: il Saint di Pegaso
stava piangendo, le lacrime scendevano copiose lungo le guance
pallide senza che lui facesse nulla per asciugarle o impedire che
scendessero.
Seika
si inginocchiò al suo fianco, accanto a Saori, e
allungò una mano
tremante per raccoglierne almeno un paio prima che cadessero sul
lenzuolo ma la reazione di Seiya fu inaspettata: strinse al petto con
forza il braccio della sorella e la costrinse ad alzarsi di scatto,
cadendo con un lieve tonfo sul materasso; agitato, Pegaso strinse con
tutta la propria forza quell'arto, incapace di lasciarlo andare.
“I-Io
temevo... t-temevo...” rantolò il più
giovane dei due con la voce
rotta: “T-Ti ho c-cercata... Ma.. F-forse ti eri rifatta una
vita... Lontano... S-Senza di me...”.
Shiryu
guardò verso Shun e Hyoga, i quali scossero la testa,
rivolgendogli
un cenno della mano: sapevano ma non era il momento di parlarne.
La
ragazza si lasciò andare ad una risatina nervosa:
“Stupido
fratellino...” disse, mettendosi seduta senza però
interrompere il
contatto con il ragazzino tremante, “Pensavi davvero che
avrei
potuto abbandonarti così dopo averti visto sparire nel nulla
nel
giro di pochi secondi?” mormorò, allungando la
mano libera per
accarezzargli la testa spettinata.
La
ragazza aveva il cuore pesante: dopo aver vissuto sei anni in un
limbo senza memoria, venir rigettata nella realtà
più nera
all'improvviso, ricordare e vedere il proprio amato fratellino venire
impietosamente massacrato dai colpi di un nemico a lei sconosciuto,
non capire la situazione in cui aveva visto Seiya trovarsi...
Ma
ogni singola lacrima che si affollava nei propri occhi sparì
subito,
asciugata dalla manica dello scialle che le copriva le spalle,
lasciando il posto ad un tenero sorriso mentre stringeva teneramente
a sé il corpo tremante di Seiya.
Questi
sussultò un attimo, poi fu come se il battito del cuore di
Seika lo
tranquillizzasse, lasciandolo rilassato contro di lei.
Gli
altri ragazzi attorno a loro trattennero per un attimo il respiro,
emozionati come non mai nel vedere quella scena, e infine anche loro
si lasciarono andare ad un sospiro sollevato: non visto, Ichi si
asciugò a propria volta gli occhi lucidi.
La
stretta affettuosa durò per parecchi minuti mentre,
finalmente, il
Saint di Pegaso si sentiva definitivamente a casa: amava i suoi
fratelli, avrebbe dato la vita per loro, ed era sceso a patti con
quel Destino doloroso che lo aveva condotto a versare il suo sangue
mille e mille volte.
Ma
Seika... Seika era sempre stato il suo sogno, il suo obiettivo, il
desiderio di una vita chiuso a doppia mandata dietro la porta
più
robusta del suo cuore per difenderlo da ogni cosa, soprattutto dalle
brutture di quella vita fatta di violenza.
Sua
sorella era sempre stata il suo angelo custode.
Quando,
alla fine, riuscirono a trovare la forza di staccarsi, entrambi
sorridevano tra le lacrime: “Bentornato, otooto...”
mormorò lei,
dandogli un bacio sulla fronte.
“Mi
sei mancata tantissimo, oneechan...” ammise lui, ridendo
nervosamente: Sono così felice di vederti...”
sussurrò,
afferrandole la mano.
“Anche
io lo sono e ti prometto che non me ne andrò più.
Non ti lascerò
più solo.” disse lei con tono fermo.
“Seika-san
sarà la benvenuta alla Villa, se vorrà venire a
stare da noi.”
intervenne Saori con voce gentile: “E se anche non se la
sentisse,
le porte saranno sempre aperte, per lei e per tutti.”.
“Forse
è meglio parlarne dopo...” interruppe
improvvisamente Geki,
tendendo l'orecchio: “Credo che i bambini stiano facendo un
bel
chiasso qui fuori. Forse è meglio farli
entrare...”.
“Andiamo
a chiamarli, allora.” disse Nachi, spostandosi in avanti:
“Ci
sarà tutto il tempo di parlare più
tardi.” annunciò, precedendo
il resto dei fratelli nel corridoio.
§§§
“SEIYA-NIICHAN!”
Le
grida allegre dei bambini dell’orfanotrofio precedettero di
un
secondo l’arrivo di una truppa vociante di scugnizzi armati
di
fogli di carta coloratissimi e pastelli all'interno, neppure un
minuto dopo l'abbandono del campo da parte dei Kido.
Makoto
e Akira erano in testa al gruppo di invasori: “Seiya-niichan,
Come
stai? Come stai?” chiese tutto su di giri il paffuto bambino,
poggiando dove capitava fogli e matite colorate, accanto a lui
c’era
Mimiko che si era tranquillamente issata sul letto per farsi
abbracciare dal ragazzo più grande.
“Buongiorno
ragazzi, è bellissimo vedervi!” ammise il ragazzo,
con un gran
sorriso, cercando di abbracciarli tutti a mano a mano che si
arrampicavano sul materasso, incuranti di ogni cosa e con l'unico
obiettivo di assicurarsi che il loro fratellone preferito stesse
bene.
Il
bambino moro sorrise, appollaiandosi sul bordo e facendo attenzione a
non toccare il tubo della flebo: “Saremmo venuti prima, ma
quell’antipatico di Shiryu ce lo ha impedito.”
s’immusonì il
piccolo, “E' vero,” s’intromise un altro
orfanello, facendosi
strada tra i compagni più grandi, “Volevamo venire
subito ma lui e
Ichi-niisan hanno detto che stavi ancora male. Niisan, siamo
così
contenti di vederti sveglio!” esclamò il bambino
con gli occhi
lucidi.
Pegasus
rise sommessamente, elargendo carezze a tutti: “Non
prendetevela,
sono un po’ nervosi…”
constatò con una punta di malinconia,
“Non ce l’avevano con voi, volevano solo che
riposassi, tutto
qui. E poi, tutto intubato e incerottato non ero al meglio di
me!”
li rassicurò, accogliendo qualche altro pestifero temerario
sulle
proprie ginocchia, “Allora, cosa mi raccontate?”
chiese,
“Ragazzi, parliamoci chiaro, sono bloccato qui dentro da non
so
quanto, ho bisogno di informazioni e notizie fresche! Devo
aggiornarmi. Quindi, sotto a chi tocca!”.
Per
almeno tre ore, i bimbi si diedero il cambio per raccontare, spiegare
e illustrare minuziosamente gli avvenimenti, importanti o meno che
fossero, accaduti, disegnarono al ragazzo anche alcune scene, le
più
spassose, sino a quando Mimiko non si accorse di un particolare:
“Shhh!!” esclamò, azzittendo tutti i
presenti e balzando a terra
dalla sua postazione privilegiata sulle ginocchia del quattordicenne,
“Seiya-niichan s’è
addormentato.” sogghignò lei; tutti
alzarono lo sguardo, constatando che il ragazzo era veramente
crollato tra le braccia di Morfeo, l’espressione pacifica sul
suo
volto era così dolce che faceva tenerezza anche ai cuori
più duri
della combriccola di teppistelli.
Svelti
come anguille, i bambini riacchiapparono i pastelli sparsi
dappertutto e, in religioso silenzio e in fila indiana, lasciarono la
stanza: “Notte notte Seiya-niichan!”
salutò a bassa voce la
piccola, agitando la manina per poi uscire dalla camera.
“Bambini,
cosa ci fate fuori?”
Il
tono preoccupato dell’infermiera risuonò nel
corridoio deserto.
“S’è
addormentato,” dichiarò Makoto con estrema
serietà, “Non
volevamo disturbarlo così siamo usciti, così, se
dorme, potrà
tornare più presto a giocare a calcio con noi.”
ragionò il
piccolo nella sua stentata grammatica, “E possiamo finalmente
stracciarlo!” esultò un altro bimbo, aggrappandosi
alla gonna
della donna; Satsuki scoppiò a ridere: “Hai
perfettamente ragione,
bravissimo!” si complimentò lei battendo le mani,
“Siete bimbi
intelligenti ma ora è meglio se tornate a casa, Miho-san ha
detto
che vi aspetta e anche Saori-sama e gli altri sono già
andati, ci
penserò io ad avvertirlo quando si sarà
svegliato, promesso!”
giurò la giovane, spingendoli dolcemente verso
l’uscita.
“Aspetta,
dagli questo per favore!” si divincolò Akira,
dando alla donna un
coniglietto di peluche, “Miho-neechan ha detto che quando si
è
malati come il fratellone si fanno brutti sogni,”
riferì convinto,
“con Usagi-kun, gli incubi cattivi se ne andranno di
sicuro.”
decretò l’orfanello, allontanandosi dietro gli
amichetti,
intabarrati nei giacconi per proteggersi dal freddo.
La
fanciulla restò a osservarli mentre si allontanavano, tra le
mani
sottili stringeva ancora il tenero pupazzetto, aveva le lacrime agli
occhi: “Se questo mondo ha ancora una qualche speranza, lo
deve a
piccoli come loro…” balbettò ella,
dirigendosi senza ulteriore
indugio nella cameretta del Saint il cui viso era disteso in un
sorriso caldo e affettuoso. Senza dire nulla, gli mise in braccio il
bambolotto e gli rimboccò la coperta, sistemandogli la flebo.
“Finchè
ci saranno persone come voi, questo mondo ha ancora speranza di
farcela.” disse la donna con un filo di voce per non
svegliarlo,
“Dormi e sogna, piccolo guerriero
coraggioso…”.
§§§
Stelle
che ora tacciono,
ma daranno un senso a quel cielo.
Gli
uomini non brillano,
se non sono stelle anche loro.
Quando
Pegaso riaprì gli occhi, la prima cosa che vide fu il viso
del
Dragone chinò su di lui.
Il
bruno sorrise, cercando il contatto con la mano del fratello
maggiore, che subito gliela afferrò: “Dove eravate
finiti tutti?.”
chiese con voce roca e stanca, notando le profonde occhiaie che gli
segnavano la pelle; il cinese sospirò, abbandonandosi con la
schiena
contro la sedia, “Visto che eri in buona compagnia, abbiamo
riaccompagnato a casa Seika-san; ma quando siamo tornati, eri
già
crollato e quindi ci siamo messi comodi. A casa ci si annoia senza di
te e quindi abbiamo deciso di restare nei paraggi. Credo che Jabu e
Ichi abbiano piantato le tende in sala mensa.”.
Seiya
si mise seduto, osservando con aria incuriosita fuori dalla finestra:
“È già buio?” notò
sorpreso il ragazzo, scorgendo solo
oscurità al di là del vetro, il rintocco lontano
di una campana
battè undici colpi, “Si, i bambini se ne sono
andati ore fa, a
detta di Geki, li ha accompagnati lui sino a casa quando li ha
trovati tutti soli nel cortile.” gli spiegò
Shiryu, passandogli
una tazza piena d’acqua.
Pegaso
bevve, senza però staccare un attimo lo sguardo dal viso del
fratello, che si sentiva in imbarazzo per quell’occhiata
penetrante.
“Cosa
succede?” si convinse finalmente a chiedergli, chinandosi su
di
lui, “Ho qualcosa in faccia?”.
Pegaso
scosse violentemente la testa, chinandola: “No…
è che…”
biascicò il ragazzo, tormentandosi le mani, come poteva
chiedergli
una cosa così?
Dragone
lo guardò incerto: “Che hai?” gli
mormorò con tono leggermente
preoccupato; si chinò su di lui, scompigliandogli i capelli.
Il
ragazzetto gli afferrò prontamente il polso, poi gli prese
la mano,
stringendola tra le sue dita: “Niisan.. Ci vedi,
vero?” bofonchiò
piano, senza incrociare lo sguardo del ragazzo più grande;
il moro
restò un attimo interdetto, sentì un tuffo al
cuore vedendo le
spalle del fratellino sussultare per i singhiozzi, poi però
scosse
la testa con aria malinconica, e lo strinse forte a sé.
Senza
dire nulla, senza quasi respirare.
Lo
abbracciò con tutta la forza che l’Amore gli
poteva dare,
affondando il viso nella capigliatura spettinata del più
giovane.
“Otooto…
Ho recuperato la vista appena in tempo per vederti di nuovo
sveglio…
E per me, questa è la cosa più importante. Non
importa nient’altro.
Non importa quello che è successo o
succederà.” gli sussurrò
piano, cingendogli con affetto le spalle; Seiya si rilassò
appena
nel suo abbraccio, muovendosi piano nella sua stretta.
Ad
occhi chiusi, poggiò la propria testa sulla spalla del
fratello
maggiore: “Grazie… Mi sei
mancato…” sussurrò piano lui.
“Anche
tu… Anche tu.”.
In
quel momento, un bussare lieve e gentile alla porta li riscosse e i
due giovani fecero appena in tempo a staccarsi prima che la lunga
chioma ramata di Saori facesse capolino, con un sorriso affettuoso
dipinto sul viso pallido ed eccessivamente strapazzato.
“Meiko-san
mi ha detto che stavi ancora dormendo.” disse la ragazza,
entrando
nella stanza: “Hai detto bene, stavo.
Mi sono appena svegliato.” replicò lui con uno
sbadiglio
innocente, “Sto decisamente poltrendo troppo, a differenza di
qualcuno che non vede un letto da settimane,” e
così dicendo, il
suo sguardo penetrante indugiò prima su Shiryu e poi su
Athena, che
indosso aveva ancora la medesima veste della mattina.
“Voi
due, confessate, da quanto non dormite in modo decente?”
La
Dea e il suo guerriero si fissarono negli occhi, sbalorditi.
Ma
non risposero.
“Lo
immaginavo,” affermò rassegnato Seiya, scuotendo
la testa e
scostando il lenzuolo: “Niisan, non voglio rivederti qua
dentro
prima di domattina, ben oltre l’ora di pranzo, e tu, Saori,
imitalo, questo è un ordine. Non mi sono fatto infilzare da
Hades
per vederti collassare di stanchezza”.
La
sua battuta strappò una risata alla ragazza, che
tranquillizzò un
fin troppo esagitato Shiryu con un semplice cenno della mano:
“Dagli
retta, resto io qui con lui per stanotte.” gli
sussurrò
all’orecchio Athena, “Ti fidi di me,
vero?”.
Era
una domanda assolutamente inutile, la cui risposta poteva essere solo
una, ovviamente.
Il
Dragone annuì, poi poggiò un bacio sulla fronte
del fratello più
giovane, raccomandandosi di riposare, e sparì oltre la
porta,
lasciando i due coetanei da soli.
“D’accordo,
allora apri il cassetto.”.
Non
appena la porta si fu chiusa, la voce squillante di Seiya
risuonò
nella stanza, tranquilla e quasi saccente: “Apri il
cassetto,”
ripeté il ragazzo, affossandosi con la testa sul cuscino,
“E
mettiti il pigiama di Shiryu... La poltrona è libera per
stanotte.”.
Il
tono così duro del ragazzo - nonostante l'evidente
stanchezza - sorprese la Dea: “Seiya, ma
cosa…”
fece lei, senza avere la forza di dire altro, “Niente ma,
devi
dormire almeno qualche ora. Non ho più voglia di vedere
qualcuno
della mia famiglia stare male a causa mia, avete
sofferto anche troppo per colpa della mia irruenza. Io... Io vi ho
visti...
Mentre ero laggiù, vi vedevo.” confessò
con un filo di voce il
bruno, “Ho assistito al litigio tra Shun e Shiryu, alle crisi di Jabu, ai tuoi
pianti… Non
credo di avere la forza di vedervi ancora stare
male…” borbottò
il ragazzo.
Ci
fu un momento di silenzio imbarazzato, con Saori che faticava a
infilare i bottoni nelle asole, tanto era concentrata sul viso tenuto
basso di Seiya: “In realtà, è da un po'
che ci penso, e credo sia
giunto il momento di dirtelo. A me non importa più del fatto
che tu
sia la Dea.” ammise candidamente il ragazzo, con i grandi
occhi
ambra spalancati e puntati improvvisamente su di lei,
“Cioè, io
sarò sempre fedele ad Athena, e a te, ovviamente, ma per me
tu sei
una sorella, non solo una divinità da seguire. Sei la nostra
preziosa sorellina, esattamente come Seika-neesan lo è per
me. Può
sembrare sciocco e infantile, ma è
così.”.
Le
parole di Seiya riecheggiarono come un’eco nella camera,
mentre il
ragazzino, pieno di vergogna, abbassava di scatto lo sguardo, aveva
perfino le punte delle orecchie e del naso arrossate per
l’imbarazzo.
“Davvero
pensi questo?”
La
voce tremula di Saori lo fecero sobbalzare: la coetanea aveva gli
occhi lucidi e tremava nel pigiama troppo grande per lei; Pegaso
annuì e si sentì improvvisamente avvolto in una
stretta gentile e
affettuosa, tiepida, stretta che ricambiò più che
volentieri, aveva
sviluppato un affetto immenso per quella ragazzina della sua
età, un
affetto totalmente diverso dal sentimento che provava per Shiryu ma
che era del tutto uguale all’amore che il suo cuore sentiva
per gli
altri fratelli.
In
effetti, le battaglie sostenute fianco a fianco con quello scricciolo
di fanciulla, che sembrava sempre in procinto di spezzarsi al minimo
soffio d’aria, ispiravano un innato senso di protezione nei
suoi
confronti: ormai non erano più Dea e guerrieri soltanto, ma
erano
diventati una vera e propria famiglia, forse quella che lo stesso
Mitsumasa Kido, guardando il cielo quando ancora era in vita, sperava
che si creasse in un prossimo futuro?
Nessuno
poteva saperlo, forse solo le stelle, ma queste non sono solite
tradire le confidenze.
Però
era nata lo stesso.
Il
primo passo verso una nuova vita.
“Grazie,
Seiya-kun… Grazie.” gli sussurrò lei
all’orecchio, tra i
singhiozzi.
Shiryu salutò con un cenno le due infermiere che
sedevano al bancone della reception per dirigersi a passo spedito verso la sala
mensa; una volta svoltato l’angolo, si concesse uno sbadiglio, ampio al punto
da quasi slogargli la mascella.
Non l’avrebbe mai ammesso di
fronte al fratello ma era stanco morto: ora che tutto sembrava si stesse
normalizzando, le tensioni e le preoccupazioni dei mesi precedenti si facevano
sentire forte e chiare, lasciandolo prostrato ed esausto.
Ma era disposto a qualunque
sacrificio per stare vicino a Seiya in quei momenti
così delicati della sua ripresa, non aveva intenzione di lasciarlo solo e
avrebbe fatto qualunque cosa in suo potere per supportarlo al meglio: era suo
fratello e ora che aveva bisogno di loro, non lo avrebbe abbandonato per alcun
motivo al mondo.
Perso nelle sue elucubrazioni,
aveva percorso distrattamente quasi tutto il corridoio che conduceva al
refettorio senza notare il ragazzo che sfrecciava nella direzione a lui
opposta, salvo poi andarci a sbattere contro, finendo ambedue a terra; seccato
e frastornato, Dragoon aprì bocca per mormorare
parole di rimprovero ma poi riconobbe la zazzera scura che si agitava assieme
alla testa del proprietario: “Jabu, sbaglio o ti
hanno già sgridato a sufficienza oggi? Sai che non devi metterti a correre
così, sei ancora debole.” fece notare lui, aiutando però il fratello a
rialzarsi.
Unicorn accettò di buon grado la mano tesa del
ragazzo più grande e si scrollò i vestiti con noncuranza: “Venivo a vedere come
andavano le cose.” replicò tranquillamente, “Saori-sama
è passata da noi prima.” spiegò, “Ha detto che sarebbe passata in stanza da Seiya, ti ha dato il cambio?”.
Con un braccio attorno alle sue
spalle, Shiryu lo guidò verso la mensa: “Tutto a
posto, si è di nuovo addormentato e Saori-san è
rimasta con lui. Ha detto che ci penserà lei a tenergli compagnia per stanotte,
non è da solo.”
Fecero qualche passo in silenzio,
poi Jabu si decise a riprendere la parola, guardando
però a terra con imbarazzo: “C-Come stai tu?” chiese
in un sussurro, “Hai un’aria stravolta.”
Shiryu si lasciò andare ad un sospiro: “Sono solo
un po’ stanco, non darti pensiero per me.” rispose, forse un po’ troppo
seccamente di quanto avesse voluto; Jabu, difatti,
alzò la testa di scatto, fissandolo con severità negli occhi arrossati e
velati.
“Me ne do eccome. Non voglio che
tu ti ammali, non adesso che abbiamo risolto un problema di questa portata.
Non... non è il caso.”
Il Saint di Dragoon
si diede dello stupido e aumentò la stretta sul corpo tremante del compagno,
fermando la marcia e poggiando la fronte contro la sua tempia: “Scusa, hai
ragione. Non volevo essere aggressivo. Ti assicuro che sto bene, ho solo
bisogno di dormire un po’.” e affiancò alle proprie parole un sorriso
incoraggiante che sortì l’effetto sperato.
Jabu, infatti, si rilassò e, divincolatosi, lo
afferrò per il polso: “Vieni, ti abbiamo preso qualcosa da mangiare.” disse,
tirandoselo dietro.
I due ripresero a camminare
velocemente e, quando entrarono nella sala, riconobbero subito la figura di
spalle che, seduta ad un tavolo d’angolo, sembrava fissare il vuoto con una
tazza tra le mani: “Ichi, il tè si raffredda.” furono
le prime parole di Shiryu mentre lo avvicinava; il
ragazzino sobbalzò e subito il maggiore si sentì in colpa, doveva avere i nervi
a fior di pelle.
I due nuovi arrivati si
affrettarono a prendere posto al tavolino, il rumore delle sedie spostate
riecheggiò nel locale deserto e Jabu spinse davanti
al fratello un paio di involti ancora tiepidi: “Vado a dire alla signorina che
sei arrivato, così ti prepara un po’ di zuppa. Si è raccomandata di avvertirla
per tempo.”.
Hydra raccolse efficientemente i rifiuti lasciati
sul tavolino nel silenzio più assoluto mentre Dragoon
sbocconcellava distrattamente il contenuto di una ciotola di riso con alghe:
pur non avendo molta fame, sapeva di dover mangiare, non voleva far preoccupare
ulteriormente i fratelli per la propria salute.
I suoi occhi s’incantarono a
fissare la figura saltellante di Jabu che gesticolava
animosamente nel parlare con una giovane donna dietro il bancone, la quale alzò
la testa per rivolger loro un saluto gentile, salvo poi concentrarsi sul
ragazzo stranamente silenzioso dinanzi a sé.
Dopo aver ripulito il tavolo,
infatti, il fratello si era chiuso nuovamente in sé stesso, le mani attorno
alla tazza ormai raffreddatasi nel vano tentativo di scaldarsi, lo sguardo
perso nel vuoto come quando erano arrivati.
Era strano quell’atteggiamento,
doveva ammetterlo: di solito, riuscire a zittire Ichi
era una cosa difficile e complessa, a volte rivaleggiava con Jabu e Seiya per parlantina,
mentre ora sembrava una statua di cera, tanto era immobile e rabbuiato.
Ma come rompere quel mutismo?
Come far breccia in lui?
Shiryu non riusciva a trovare un’idea
soddisfacente, l’unico rumore che si udiva tra loro era il tintinnare delle hashi sul bordo della ciotola che andava via via svuotandosi, non un sussurro né un respiro: Ichi teneva ostinatamente la bocca chiusa, sembrava quasi
non respirare nemmeno.
Jabu, da lontano, osservava la scena con un misto
di preoccupazione: era tutto il pomeriggio che cercava di far parlare Hydra – senza riuscirci – e aveva sperato che almeno il
fratello maggiore avesse più successo di lui.
“Cosa dobbiamo fare con te…?” borbottò Unicorn, calciando
un sasso invisibile in segno di frustrazione.
“Sembra sul punto di esplodere.”
La voce triste della cuoca lo
fece sobbalzare mentre la ragazza, levatasi la cuffia, rifaceva la coda che
teneva fermi i suoi capelli lunghi e scuri: “Guarda le sue labbra, se le sta
mordendo a sangue.” indicò lei, puntando un dito snello verso il giovane dai
capelli bianchi, “Sono di turno da oggi pomeriggio e ho avuto modo di
osservarlo,” disse lei a mò di giustificazione, come
se si scusasse della propria invadenza, “vi ho osservati entrambi e mi siete
sembrati subito due cuccioli sperduti.” aggiunse prima di prendere in mano uno
straccio e cominciare a pulire il bancone.
“Noi…”
iniziò il più giovane – la sua interlocutrice non poteva avere più di 25 anni –
ma venne subito interrotto: “So chi siete. Non c’è nessuno qui che non vi
conosca, proprio per questo voglio esservi d’aiuto.” intervenne.
Dalla cucina si udì un sibilo e
lei subito sparì dietro la porta, riapparendo dopo alcuni minuti con un vassoio
e tre ciotole piene fino all’orlo: “Ho pensato che un piatto di ramen sarebbe stato più indicato, c’è un freddo che penetra
fin nelle ossa stanotte.” aggiunse, stringendosi nello scialle, “Minaccia neve,
state attenti se avete intenzione di tornare a casa.”.
Con un cenno del capo e il cuore
gonfio di sollievo e gioia per quell’ennesimo atto di gentilezza che era stato
loro donato, Jabu si affrettò a prenderlo in mano:
“Grazie di cuore.” disse infine lui con un inchino.
“Per qualunque cosa, sono qui.”
concluse lei, ritornando alle proprie occupazioni.
Più sereno, Unicorn
trasportò il vassoio fino al tavolo e distribuì celermente le porzioni ai
fratelli: “Mangiate finchè è caldo.” si raccomandò,
prendendo poi posto accanto a Ichi, “Anche tu.” gli
disse, scrutandone il viso con preoccupazione.
La donna aveva ragione: sembrava
teso come una corda di violino in procinto di spezzarsi.
Si misero a mangiare sempre in
silenzio: ora si udiva soltanto lo sciabordare del brodo caldo mentre i loro
corpi si rinfrancavano.
Ma Ichi
non si mosse, restò immobile mentre le mani tornavano a raffreddarsi, finito
l’influsso benefico del calore della tazza.
Shiryu e Jabu si
scambiarono uno sguardo pensieroso poi accantonarono le stoviglie e si
concentrarono su di lui: “Ti senti bene?” azzardò Unicorn,
poggiando la propria mano su quella del fratello quasi coetaneo.
Questi sussultò ma fu l’unico
cenno di vita che fece.
“Vuoi che vada a chiamare
qualcuno?” chiese ancora, guardandolo con aria dolce.
Hydra scosse appena la testa, il cuore troppo
pesante e addolorato per fare altro.
Dragoon allungò le proprie dita a sfiorare la pelle
tirata della guancia del ragazzino più giovane, che cominciò subito a venir
solcata da calde lacrime: “Ehi… non fare così…” cercò di sembrare il più possibile rassicurante, “Parlaci… Siamo qui per te.” mormorò implorante.
Jabu, da parte sua, allungò un braccio per
cingere il corpo – ora tremante – del compagno, poggiò la propria fronte su
quella ampia dell’altro e ne accarezzò la schiena sussultante: “Shhh… va tutto bene…” gli
mormorò, “Non sei solo.”.
Fu l’ultima goccia.
La potenza con cui il pianto di Ichi eruttò era pari alla distruzione perpetrata da un
vulcano risvegliatosi improvvisamente, la forza che egli mise nell’abbraccio
soffocante riservato a Jabu prorompente come un fiume
in piena.
Shiryu si rese conto solo in quel momento della
fragilità immensa dei propri fratelli: quante cose ancora non sapeva di loro?
Quante ferite solcavano i loro
animi invecchiati in guerra?
Quante cicatrici segnavano i loro
corpi?
Dragoon avvertì distintamente l’impulso di
abbracciarli a propria volta e così fece: alzatosi e fatto il giro del tavolo,
affondò le braccia in quell’intrico di corpi e capelli, raccogliendo le loro
membra stanche e bisognose di affetto e rassicurazione per stringerli a sé.
“Scusatemi…”
borbottò Hydra all’improvviso.
“Non parlare…”
mormorò Shiryu a voce bassa: “Non ce n’è bisogno…”.
I lunghi minuti trascorsi in
silenzio furono infine interrotti dalla risata nervosa di Jabu,
il primo a staccarsi, forse un po’ a disagio: “Che ne dite di finire di
mangiare e poi andare a casa? Credo ci farebbe bene riposare un po’. A tutti.”
propose, scoccando uno sguardo perentorio verso i due compagni.
“Dico che sto morendo di fame.”
sorrise appena Ichi, attaccando i tagliolini in brodo
con rinnovato entusiasmo.
La tempesta sembrava passata, ma Shiryu aveva tutta l’intenzione di proseguire quel discorso,
magari una volta a casa, nella privacy delle quattro mura della Villa; c’era
tanto da fare e si rese conto che le sue priorità stavano lentamente cambiando:
non era solo Seiya ad avere bisogno di conforto e
vicinanza ma anche loro ne sentivano l’urgenza.
Nessuno escluso.
§§§
Stretti nelle spalle, i tre
ragazzi guardarono con rassegnazione la pioggia battere forte nel cortile della
clinica: non si erano minimamente accorti del cambio repentino di tempo, doveva
aver anche tuonato ma non avevano udito assolutamente nulla, troppo concentrati
su altre cose com’erano.
“Nessuno di voi ha un ombrello,
vero?” chiese Jabu, sfregandosi gli occhi e
trattenendo uno sbadiglio.
“E se andassimo a chiederne uno a
Satsuki-san?” propose Hydra,
il cui unico scopo al momento era correre il prima possibile a casa e dormire.
“L’ho sentita parlare con Meiko-san prima, ha chiesto se può accompagnarla a casa lei
perché lo ha dimenticato.” rispose Shiryu.
Stavano valutando se farsi o meno
la strada di casa a passo di corsa, facendo lo slalom tra una goccia e l’altra,
e asciugarsi una volta tornati al Manor, quando una
voce seccata spezzò il filo dei loro discorsi, chiedendo di Saori.
Voltatisi, videro Tatsumi affacciato dal finestrino della macchina.
“Saori-san
è in camera da Seiya, ha detto che resterà con lui
per stanotte.” replicò Shiryu tranquillo,
stringendosi nel bavero dell’abito cinese, già zuppo dopo nemmeno qualche
minuto: “Se hai intenzione di aspettarla, preparati a passare la notte qua.”
concluse il Dragone, infilandosi le mani in tasca e dirigendosi verso il
cancello, seguito a breve distanza dagli altri due, coi cappucci alzati per
proteggersi dalla pioggia.
“Dove state andando?”
La domanda dell’uomo lasciò i tre
guerrieri spiazzati, che si fermarono sul sentiero asfaltato reso scivoloso
dall’acqua piovana: “A casa, qualche ora ho bisogno di trascorrerla con la
testa poggiata su un cuscino.” replicò Unicorn,
sottolineando il suo bisogno di riposo con un sonoro sbadiglio.
“E avete davvero intenzione di
tornarci a piedi?”.
Shiryu si fermò a guardarlo, sorpreso, mentre la
pioggia gli picchettava insistente sul volto, offuscandogli la vista: “Salite,
o rischiate di ammalarvi.” borbottò Tatsumi,
armeggiando con i comandi e il cruscotto dell’auto, “E sbrigatevi.” li
rimproverò, visto che nessuno dei tre accennava a muoversi da lì.
Una delle portiere posteriori si
aprì.
Come colpiti da una scarica
elettrica, i Saints sobbalzarono, per poi infilarsi
nell’abitacolo tiepido, rabbrividendo per la differenza di temperatura tra
l’interno e l’esterno, mentre l’auto, lentamente e slittando nel fango, si
muoveva, il rumore dei tergicristalli era come una ninna nanna per i loro corpi
esausti: “Se non ce la fate più, dormite. Vi sveglio io quando saremo
arrivati.”.
Ma le parole del maggiordomo non
raggiunsero mai l’orecchio dei tre, i quali erano già miseramente crollati tra
le braccia di Morfeo, le teste poggiate le une contro le altre e le mani
intrecciate.
§§§
Non fu semplice, per Tatsumi, svegliare i ragazzi e spingerli su per i gradini del
loggiato della Villa una volta arrivati a casa: erano assonnati e sfiniti e
solo una buona dose di aiuto da parte delle domestiche che – evidentemente –
stavano ad aspettare con l’orecchio teso riuscì a condurli infine all'asciutto
mentre lui sistemava con cura l’auto nel garage.
Quando infine anche lui rientrò,
chiudendosi la porta alle spalle a doppia mandata, ad accoglierlo trovò
soltanto Akiko: “I signorini sono in salotto a
scaldarsi davanti al caminetto, abbiamo portato loro degli abiti puliti. Saori-ojousama?” domandò lei, asciugandosi le mani nel
grembiule.
Tatsumi fece un cenno affermativo con la testa e si
levò il soprabito bagnato: “Ojou-sama è in clinica
con Seiya.” disse con tono severo, “Mi è stato
riferito che passerà la notte lì.”.
Con espressione sollevata, la
donna di servizio prese il cappotto dalle mani del maggiordomo e lo appese con
cura all’attaccapanni: “Ne sono lieta” soggiunse, facendo un rapido inchino di
commiato prima di dirigersi a passo svelto verso la cucina.
Malgrado l’ora tarda, gran parte
delle domestiche era lì, tutte affaccendate tra fornelli e bucato: “Akiko-san, puoi portare tu queste tazze ai signorini?”
domandò subito Miyuki – una delle più anziane di casa
– non appena la ebbe vista entrare.
Ella annuì senza proferire verbo
e, preso in mano il vassoio, uscì nuovamente nel corridoio; in capo a qualche
minuto, era dinanzi alla porta del salotto principale: bussò, l’orecchio teso a
sentire una qualsivoglia voce darle il permesso di entrare, poi udì un
borbottio affermativo che riconobbe appartenente a Jabu-bocchan
e infine aprì la porta.
La stanza era avvolta dal tepore
delle fiamme guizzanti e immersa in una tenue semioscurità: i tre ragazzi erano
accoccolati sul divano, gli abiti puliti indosso e i visi stanchi ma forse
troppo sovraeccitati per dormire serenamente come avrebbero voluto: la donna
rivolse loro un lieve cenno di saluto e poggiò il vassoio sul basso tavolino in
cristallo a metà tra i divani e il caminetto stesso, dispose le chicchere e la
teiera e tolse le stoviglie abbandonate lì dall’ora di cena, ultima volta in
cui aveva visto gli altri signorini prima che questi si fossero ritirati a loro
volta nelle proprie stanze.
“Avete bisogno di qualcosa?”
chiese lei con tono premuroso: “Abbiamo acceso il riscaldamento anche nelle
vostre camere da letto, ma se avete ancora freddo ci sono delle coperte negli
armadi”.
Ichi le sorrise grato: “Grazie, va bene così.” disse,
servendosi per primo: “Tra poco comunque andremo a riposare.” intervenne Shiryu, versando del tea anche per Unicorn,
“Perché non andate a dormire anche voi? Sarete tutte stanche dopo una così
lunga giornata di lavoro.” propose il maggiore dei tre.
Ma la domestica scosse la testa: “Essere
al vostro servizio non è un peso, bocchan. Adesso che
sappiamo che Seiya-bocchan sta bene, lavoreremo con
più entusiasmo. E poi, Shun-bocchan e Hyoga-bocchan non sono ancora tornati e vogliamo essere
sveglie per accoglierli come si deve.” dichiarò lei con entusiasmo,
raccogliendo i loro vestiti umidi per la pioggia e sporchi per la lunga
permanenza in ospedale.
“Vi auguro una buona notte.” concluse
prima di congedarsi con un inchino.
Nella stanza cadde un silenzio
tranquillo, rotto di quando in quando dal crepitio del fuoco e dal picchettare
della pioggia sui vetri; rinfrancati dal calore degli infusi, infine, i ragazzi
poggiarono le chicchere sui piattini tintinnanti e si lasciarono avvolgere dal
tepore della stanza: e se si fossero addormentati lì?
Non c’erano pericoli, erano a casa…
Casa…
Con una risatina a stento
trattenuta, Jaburiflettè
che era la prima volta – in tanti anni – che pensava a quella grande villa come
ad una casa sicura, un nido dove riposare le ali prima di riprendere il volo,
forse il fulcro che poteva dar vita alla famiglia che tanto aveva sognato in
passato e che ancora sognava, quella famiglia che vedeva testardamente
possibile nel legame con quei fratelli estraniati che condividevano con lui
quel morbido divano che li stava precipitando nel sonno.
“…Non
ho la forza di alzarmi…” ammise improvvisamente Hydra, sistemandosi meglio sulle sue gambe usate come
cuscino: “Restiamo ancora un po’ qui?” chiese lui con voce bassa e
gorgogliante.
“…Ma
una volta spentosi il fuoco… non prenderemo freddo?”
chiese Jabu, faticando a tenere gli occhi aperti
“Basta usare una coperta…” notò Shiryu, alzandosi
per andare a prenderne una dal cesto che le ospitava.
Quando il morbido trapuntino
avvolse i due fratelli, questi si raggomitolarono il più possibile per
assorbire quel calore piacevole mentre Dragoon andò a
sedersi sulla poltrona, come a voler vegliare su di loro.
Fu in questa posizione che li
trovarono – ormai ore dopo – Shun e Hyoga di ritorno dall’Istituto dove erano rimasti a cena:
con le giacche grondanti di acqua e i volti arrossati, entrarono in salotto per
vedere cosa stessero facendo i fratelli – Akiko li
aveva intercettati all’ingresso, preoccupata perché non aveva più sentito nulla
provenire dalla stanza ma troppo discreta e restia a disturbarli per aprire la
porta e sbirciare all’interno –, Shun si commosse e Hyoga, più in disparte, si diresse verso il caminetto per
attizzarne la fiamma.
“Ehi, Jabu-kun…ragazzi… non stareste più comodi a letto?” chiese il
ragazzo a voce bassa, scuotendo appena i fratelli suoi coetanei; ma questi
mugolarono nel sonno, scostandosi.
“Lasciali stare, Shun. Hanno avuto una giornata lunga.”.
Shiryu si alzò dalla poltrona e andò ad aiutare il
fratello più giovane a levarsi il cappotto, allontanandolo dal divano per non
svegliare gli altri: “Sono piuttosto stanchi, hanno bisogno di dormire.” dichiarò
Dragoon con aria serena.
“Ma non c’è rischio che si
ammalino?” Shun sembrava pensieroso.
“C’è un bel caldo qui.” disse invece
Hyoga, riponendo l’attizzatoio: “Staranno bene.
Piuttosto, notizie di Ikki?” domandò con espressione
indecifrabile.
Shiryu scosse la testa: “Non si è visto. Akiko-san ha detto nulla?”.
Andromeda scosse la testa, anche
nella penombra si poteva vedere il turbamento del suo animo riflesso nelle
lacrime a stento trattenute che si affollavano ai suoi occhi: “Ho sentito Miyuki-san e Maiko-san borbottare
qualcosa in corridoio mentre venivamo qui, pare che sia chiuso nella sua stanza
e che non abbia intenzione di uscire, men che meno di
mangiare… non capisco cosa gli prenda.” mormorò il
ragazzino, portandosi la mano destra sul cuore.
Shiryu sospirò: “Allora
domani vedrò di fare io qualcosa… Ora andate, è tardi
per tutti. Domattina vi conviene dormire un po’ di più.”.
“Se vai in clinica…ecco… io vorrei venire con te…”
disse Shun, tormentandosi le mani.
Dragoon sorrise e gli accarezzò la testa spettinata:
“Vedremo domani. Non voglio che tu ti sforzi ulteriormente né che tu ti privi
di sonno.” Il suo tono era severo eppure carezzevole, “Ora andate, vi raggiungo
subito.”.
Hyoga allacciò le dita con quelle di Shun, rivolse al coetaneo un cenno affermativo e uscì, lasciandolo
solo: con cura, rimboccò la coperta dei fratelli, li osservò per qualche
secondo, poi lasciò a propria volta il salotto, chiudendosi accuratamente la
porta alle spalle e ripromettendosi di tornare a controllarli la mattina
seguente prima di colazione.
Nel corridoio, Shun e Hyoga non c’erano ma
poteva udirne i passi mentre salivano le scale che portavano al piano delle
camere e né seguì i passi, diretto finalmente verso la propria stanza e
desideroso di non pensare più a nulla, solo di chiudere gli occhi e
abbandonarsi al sonno.
Domani sarebbe stato un altro
giorno e voleva affrontarlo al massimo delle forze disponibili.
§§§
Ikki era abbandonato sul letto, gli occhi sfatti
di lacrime e le vesti sporche, aveva il viso scavato per la scarsità di
nutrienti e una leggera barba incolta, segno di trascuratezza; la stanza non
era messa in condizioni migliori: coi vestiti sparsi per ogni dove, pareva un
campo di battaglia.
Quello della Fenice era un sonno
poco riposante, tormentato da incubi e da risvegli solitari, simboli del suo
animo esausto.
Nel pugno stretto, serbava quello
che pareva un biglietto, vergato in una grafia semplice e dall’inchiostro
sbavato per le lacrime che lo avevano picchettato: la frase era una soltanto.
Seiya si è svegliato.
La firma? Quella svolazzante di Shun.
Ma Ikki
non aveva la minima intenzione di uscire da lì: non aveva il coraggio di
guardare negli occhi Seiya, non riusciva a dimenticare
l’orrore del sangue – fuoriuscito dal corpo minuto del Pegaso - che gli
scivolava mortifero tra le mani.
Non riusciva a dimenticare
neppure un momento di quei lunghi mesi di follia e agonia e, chiuso nel suo
profondo rammarico, marciva nel più profondo dei sensi di colpa.
Tenendosi
per mano, Seiya e Saori sedevano sulla riva del fiume accanto a
Mitsumasa Kido: i due ragazzi non parlavano ma l'espressione
tranquilla e serena dei loro visi diceva abbastanza, due fratelli che
non desideravano altro che andare incontro al futuro con rinnovato
entusiasmo e orgoglio.
“Grazie
di non averci lasciati, Seiya.” mormorò Saori, i
suoi occhi verdi
rilucevano di migliaia di stelle sotto quel Sole fittizio di un sogno
che non sapeva neppure lei se lo fosse sul serio o se si trattasse di
realtà.
“So
che è stata dura.” disse ancora, stringendo la
mano del ragazzino
con forza: “Ma sono fiera di te, non ti sei lasciato
andare.”
sorrise, sentendo un groppo in gola mozzargli il respiro per la
commozione.
Pegaso
sospirò, lasciandosi cullare dal riverbero dell'acqua
cristallina:
“Non ero solo.” ammise con grande candore mentre il
suo sguardo
vagava distratto tutto attorno, “Ci sono riuscito solo
perchè voi
eravate al mio fianco, tutti. Forse mi sarei lasciato morire prima se
non avessi avuto... Insomma, voi siete la mia famiglia, Saori-san,
senza di voi non avrei molto per cui vivere. Se vi avessi persi in
battaglia, vi avrei seguiti in un modo o nell'altro.” disse
lui con
grande serietà.
Le
sue parole lasciarono una ferita profonda nel cuore di Saori, che
notò solo in quel momento l'infinita solitudine negli occhi
di quel
suo prezioso guerriero bambino e la sua mente collegò
immediatamente
quei tanti piccoli dettagli che, fino a quel momento, non sembravano
aver avuto molto peso; si rese infine conto del profondo significato
che esse celavano e si comportò d'istinto.
Le
sue braccia andarono a stringere il corpo tremante di Seiya mentre il
volto di quest'ultimo andava a posarsi nell'incavo del collo della
giovane, il guerriero si lasciò sfuggire un piccolo
singhiozzo e una
volta di più Athena rinnovò la propria promessa
silenziosa: non
avrebbe più permesso loro di soffrire così.
“Tu
devi vivere, Seiya. Per la speranza, tutti voi dovete
vivere.”
mormorò.
“E
tu con noi, Saori-san. Promettimelo.” mormorò il
ragazzo a bassa
voce, stringendo nel pugno la sua veste candida: “Promettimi
che
non te ne andrai, sei preziosa per noi e ti vogliamo bene,
davvero.”.
Le
parole sincere di Seiya la fecero sussultare ma non si
scostò da
quella presa gentile e affettuosa, anzi, rimase immobile mentre un
tenero sorriso le increspava le labbra sottili: “Non
accadrà, è
una promessa.” replicò.
Due
grandi mani calde si poggiarono infine sulle loro spalle, dando
leggere pacche sui muscoli appena accennati sotto la pelle e i
vestiti mentre, al loro fianco, Mitsumasa Kido sorrideva orgoglioso
di quei due bambini così determinati: “Ora dovete
andare. Figlio
mio, Saori, è ora.”.
“Di
già?” chiese Seiya con aria stupita.
“È
ormai mattina, se non ci svegliassimo in tempo...”.
La
certezza delle conseguenze del loro possibile non risvegliarsi
aleggiò nell'aria attorno a loro, spingendo Seiya ad alzarsi
in
piedi di scatto – tendendo poi la mano ad Athena -:
“Allora
sbrighiamoci, non facciamoli aspettare.” sorrise infine.
Ella
annuì e accettò di buon grado il suo aiuto; una
volta in piedi,
entrambi si voltarono verso l'uomo ancora seduto sulla riva, ora
circondato dalle donne e dai bambini; nessuno disse nulla, ma le
lacrime e i sorrisi erano abbastanza eloquenti.
Ben
presto, gli occhi dei due ragazzi cominciarono a velarsi mentre
un'altra percezione – quella della realtà
– cominciava a farsi
strada nella loro coscienza, assieme ad una voce distante che
chiamava i loro nomi.
§§§
“Ojou-sama,
si svegli, per favore. Il dottore deve visitare Seiya-kun.”
Goffamente,
la mano di Meiko si poggiò sulla spalla della quattordicenne
profondamente addormentata sulla poltrona; la coperta le era quasi
del tutto caduta di dosso, coprendole soltanto il ventre, ma il suo
viso era disteso e riposato, come se quello fosse stato il primo
sonno sereno dopo tanto tempo: per tale motivo, l'infermiera era
restia a disturbare lei e il suo giovane protetto ma non poteva
esimersi dal farlo.
Le
ferite di Seiya-kun dovevano essere controllate.
Finalmente,
dopo qualche minuto di insistenti tocchi, la giovane
cominciò a
svegliarsi; ancora intorpidita e assonnata, la ragazza
sbattè più
volte le palpebre, riconoscendo infine Meiko china su di lei che la
spiava con febbrile attesa.
“Buongiorno,
ojou-sama.” salutò la donna con un lieve cenno
della testa:
“Makishima-sensei è qui fuori e attende di poter
visitare
Seiya-kun.” annunciò, voltandosi verso il letto
occupato da
quest'ultimo, “Dobbiamo svegliarlo, purtroppo. Sembra dormire
così
bene...”.
Saori
sospirò e, scostata la coperta, si alzò in piedi:
“Abbiamo avuto
una nottata tranquilla.” affermò lei, avviandosi
verso il mobile
dove, la sera prima, ricordava di aver lasciato i propri abiti;
trovò
anche un cambio di biancheria e si appuntò mentalmente di
ringraziare Shun, era piuttosto sicura che l'avesse lasciato lui
lì
in previsione di un suo eventualmente fermarsi per la notte.
“Io
posso cambiarmi in bagno.” disse infine, raccogliendo tutto
il
necessario: “Faccia entrare il dottore.”.
Una
volta che ella fu sparita al di là della porta, Seiya
cominciò a
propria volta a svegliarsi.
All'inizio
i suoi furono movimenti appena accennati ed intuibili, poi
però i
muscoli ebbero spasmi, il respiro si fece più profondo e
infine le
palpebre si sollevarono.
“Buongiorno.”
lo salutò l'infermiera, occupata ad armeggiare con la flebo:
“ È
ora di alzarsi, dormiglione.” scherzò lei,
cambiando infine la
sacca, “Makishima-sensei aspetta solo di pungolarti a
dovere.”.
Il
ragazzo sospirò, guardandosi poi attorno:
“Saori-san?” chiese,
cercando di mettersi seduto.
Meiko
lo fermò con un cenno, poi prese lo stesso telecomando che
Pegaso
aveva già visto in mano a Shun e sollevò il
materasso: “Ojou-sama
è in bagno. Tu non riaddormentarti.” si
raccomandò.
Rassicurato,
la lasciò fare ed ebbe anche la forza di sorridere al medico
che,
nel frattempo, aveva fatto il proprio ingresso nella stanza:
“Buongiorno, dormito bene?” chiese quest'ultimo,
osservandolo
attentamente da dietro gli spessi occhiali; Seiya annuì,
stiracchiandosi, “Ho fatto anche un bel sogno.”
confermò il
ragazzo.
“Questa
è una buona cosa.” dichiarò Makishima,
iniziando la propria
visita.
Quando
anche Saori uscì dal bagno, Satsuki stava cambiando le bende
sporche
di sangue che cingevano il petto martoriato del più giovane
dei suoi
Saints: nel vedere quelle ferite, la Dea ebbe un sussulto, ricordando
distintamente il momento in cui aveva sentito il soffio della vita
abbandonare il corpo del giovane guerriero.
Il
cuore le balzò in petto, doveva anche essere impallidita
perchè
vide Meiko-san accorrerle al fianco per sorreggerla, sentì
le sue
mani gentile sulle proprie braccia magre mentre l'accompagnava alla
poltrona sotto lo sguardo preoccupato degli altri presenti:
“Forse
è meglio se le misuriamo la pressione, ojou-sama.”
disse severo
Makishima, “Cos'ha mangiato per cena?”
incalzò, aggrottando le
sopracciglia nel vedere i valori sballati della giovane.
A
malincuore, Saori scosse il capo: “Non mi è stato
possibile
cenare, ci sono state numerose riunioni ieri e poi sono venuta subito
qui.” disse, conscia che non aveva senso giustificarsi in
quel
modo.
“Se
non si prenderà cura di sè, mi vedrò
costretto a dare compagnia a
Seiya-kun.” disse il medico con tono serio, terminando poi la
visita: “Dirò a Fournier-kun di portarle qualcosa
dalla mensa.”
concluse, riponendo tutti i propri attrezzi nella borsa di pelle
lucida, “Ora riposate entrambi, ordine del medico.”.
“E
se avessi del lavoro da fare?” chiese la giovane.
“Allora
dirò personalmente al suo assistente di lasciarla in pace e
di
occuparsene lui.” disse il medico con soddisfazione, uscendo
poi
dalla stanza assieme alle due donne.
Una
volta da soli, Seiya subito si voltò verso Saori,
osservandola con
preoccupazione: “Stai bene?” chiese lui ansioso.
Lei
annuì con un sospiro, socchiudendo gli occhi con la testa
reclinata
sul cuscino: “Solo un mancamento.” disse sbrigativa.
“D'accordo.”
Seiya decise di crederle: “Ti assicuro che il cibo da queste
parti
scarseggia, non so quanto sia una buona idea farti rinchiudere qui
dentro.” scherzò lui, abbozzando una risatina.
Saori
lo imitò, sentendosi il cuore infinitamente più
leggero.
§§§
Il
bussare insistente di qualcuno alla porta disturbò il sonno
di Jabu,
rotolato giù dal divano in un momento non meglio precisato
della
notte e lì rimasto, avvolto nella coperta; mugolando
infastidito, il
ragazzo si strinse maggiormente nella trapunta, cercando di ignorare
quel rumore, ma ormai anche gli ultimi scampoli di sonno lo stavano
abbandonando e il bisogno di cibo che gli attanagliava lo stomaco
contribuiva al rapido risveglio.
Alla
fine, con un poderoso sbadiglio, Unicorn alzò la testa
spettinata e
si guardò attorno: ancora intontito dal lungo sonno, non
identificò
subito l'ambiente circostante ma non gli fu difficile riconoscere i
ciuffi albini che spuntavano dal bozzolo di coperte a pochi passi da
lui, ugualmente disteso sul tappeto.
Liberatosi
a fatica, il ragazzo si mise seduto e si sfregò gli occhi,
accorgendosi del cielo azzurro e limpido aldilà della
finestra e
associandolo al continuo bussare: era mattina, nell'aria c'era odore
di caffè e biscotti...
Colazione!
Con
uno scatto fulmineo, Jabu si precipitò alla porta e la
spalancò,
facendo sobbalzare dallo spavento una minuta cameriera:
“B-Buongiorno, bocchan.” salutò lei con
un inchino, “Vi stanno
aspettando a tavola, è tutto pronto.” disse,
tenendo gli occhi
bassi.
Il
Saint di Unicorn sospirò: “Grazie...
Miko-san...?” azzardò –
non ricordava ancora tutti i nomi -, “Arriviamo
subito.”.
Un
cenno del capo ed ella era già scomparsa al di là
di una delle
porte.
“Sento
un buon odorino!” esclamò all'improvviso Ichi,
comparendogli alle
spalle, i suoi capelli disordinati gli solleticavano il naso.
“Vedi
di dare un taglio a questo spazzolone, serpentello.” lo prese
in
giro Jabu, superandolo all'interno: “Non vorrai venir
scambiato per
un cane peloso, vero?”.
Con
eleganza, Unicorn evitò una pantofola lanciata a tutta
velocità
verso di lui e superò il fratello con un balzo:
“Io vado a
mangiare, tu cerca di non incappare in qualche accalappiacani lungo
la strada!” e anche lui sparì nel corridoio,
lasciando Ichi con
soltanto una pantofola ai piedi e l'espressione confusa sul volto.
Quando
anche lui ebbe raggiunto la sala da pranzo, trovò il tavolo
più
affollato del solito: era raro vedere tutti riuniti per la colazione.
“Finalmente.”
esclamò Geki, spalmando una generosa quantità di
marmellata sul
toast croccante: “Temevamo fossi tornato a
dormire.”.
“Troppa
fame.” tagliò corto lui, servendosi di
tè e tramezzini.
“Mangia
piano.” lo rimproverò Shiryu da dietro la tazza.
Il
pasto si svolse nella più assoluta tranquillità,
di tanto in tanto
qualcuno scambiava qualche parola con gli altri ma, in generale, non
si parlò molto; quando anche le ultime briciole furono
spazzolate,
Akiko li raggiunse al tavolo, sorridendo gentile:
“Tatsumi-san vi
aspetta per andare in clinica.” disse loro, cominciando a
sparecchiare, “Vi conviene andare.”.
I
ragazzi annuirono piano poi, alla spicciolata, cominciarono ad
alzarsi e a lasciare la stanza, sparirono a gruppetti di due o tre
nel corridoio – Akiko poteva sentirne i passi se tendeva
l'orecchio
– mentre ella finiva efficientemente di mettere ordine e
portar via
le stoviglie sporche.
Pur
essendo in piedi da ormai parecchie ore – si era levata
all'alba
assieme ad un altra collega più anziana per preparare la
colazione
ai signorini – non sentiva la stanchezza, anzi: sentiva il
suo
corpo pieno di energie.
Dall'ampia
vetrata, entrava un raggio di sole.
Si
preannunciava una meravigliosa giornata.
§§§
Quando
Jean arrivò davanti alla stanza 118, si stupì di
sentire delle
risate sommesse al di là della porta; con il vassoio della
colazione
tenuto in equilibrio sulla mano, si chinò a tendere
l'orecchio
mentre, con la mano rimasta libera – a mezz'aria –,
sembrava
indeciso se bussare o meno, restio a disturbare gli occupanti della
camera.
Eppure
Meiko-san si era raccomandata di sbrigarsi a portare la colazione a
Saori-ojousama e non voleva deluderla; fattosi infine coraggio, il
francese bussò: “E' permesso?” chiese.
Da
dentro si udì un tramestio poi all'improvviso la porta si
spalancò
e la giovane donna che apparve nel suo campo visivo era difficilmente
riconoscibile come l'impeccabile nobildonna che aveva sempre visto e
alla quale si era sempre rivolto con deferenza: i lunghi capelli
spettinati e la veste stropicciata la facevano piuttosto assomigliare
ad una ragazzina a cui era stato imposto di crescere troppo in
fretta.
“Buongiorno,
Jean-san.” salutò lei con un lieve cenno del capo
e un sorriso
gentile.
“L-Le
ho portato la colazione!” annunciò lui, mostrando
forse con troppa
veemenza in vassoio: le stoviglie tintinnarono pericolosamente e le
bacchette caddero dalla ciotola, scivolando contro la tazza di
tè
verde.
Con
le orecchie tinte di rosso per l'imbarazzo e il capo chino,
l'infermiere entrò nella stanza senza guardare Saori negli
occhi e
si affrettò a poggiare il tutto sul primo piano disponibile.
Con
calma, la giovane richiuse la porta alle proprie spalle e
osservò
con l'ombra di un sorriso Seiya scambiare due parole con il nuovo
arrivato, lo vide ridere ad una sua battuta e il suo cuore si
riempì
di nuova e rinnovata gioia mista a sollievo; dal vassoio poggiato
lì
vicino prese la tazza di tea tiepida e ne bevve qualche sorso prima
di sedersi sulla poltrona.
Non
parlò molto mentre l'infermiere si trovava lì,
preferiva osservare,
e quando infine Meiko-san venne a cercarlo per riportarlo al lavoro
–
annunciando al contempo l'arrivo dei ragazzi – Seiya lo
salutò con
calore: “Grazie.” aggiunse soltanto prima di
vederlo scomparire
nel corridoio.
“È
una brava persona.” esordì Saori, poggiando la
ciotola di riso
vuota sul vassoio.
“È
gentile.” precisò il ragazzo, cercando di mettersi
seduto sul
materasso ma senza troppo successo.
Athena
allungò una mano per recuperare il telecomando e
armeggiò lei
stessa con i comandi per farlo stare più comodo;
improvvisamente, la
porta si spalancò ed entrambi ebbero la visione di un mare
di
capigliature dai colori più disparati affacciarsi dalla
porta troppo
stretta per farli passare tutti mentre otto paia d'occhi li
guardavano con espressioni ancora assonnate.
“Vi
siete svegliati dalla parte sbagliata del letto, ragazzi?”
chiese
Seiya con un sogghigno: “Avete delle facce
spaventose.”
Jabu
scoppiò a ridere, seguito dagli altri: “Non fare
tanto il furbo,
tu.” lo rimbeccò, chiudendosi la porta alle spalle
dopo aver fatto
entrare tutti gli altri, i quali si riunirono affollandosi attorno al
letto: “Tu qui, coccolato e vezzeggiato, e noi alla
mercè di
Tatsumi.”.
Saori
si lascò scappare una risata: “Non è
così cattivo.” disse lei
con tono sereno.
“La
aspetta fuori, Saori-san.” annunciò Ban a quel
punto, come se
l'improvviso riferimento al maggiordomo gli avesse ricordato
qualcosa: “Se vuole tornare a casa a cambiarsi prima di
andare in
ufficio...”.
Ma
la giovane scosse la testa e, avvicinatasi al telefono sul comodino,
digitò rapidamente un numero sotto lo sguardo curioso dei
ragazzi.
“Tatsumi,
sono io. Per oggi resto qui, puoi pensare tu a cancellare tutti i
miei appuntamenti per la settimana? Sì, sono sicura. No,
può
occuparsene qualcun altro, non è indispensabile che io sia
presente.
Grazie.”
La
breve conversazione telefonica s'interruppe così come era
iniziata e
Saori rioccupò la propria poltrona.
Con
un sospiro, Shun si sporse verso il fratello, prendendo dalla
tracolla un pacco di fumetti: “Tieni, Seiya.” disse
con un
sorriso, consegnandoglieli, “Nel caso ti
annoiassi.”.
“Grazie,
Shun. Sarò anche convalescente, ma non sono una donnetta
isterica, e
non sono fatto per starmene in panciolle tutto il santo giorno. Mi
sento già molto meglio.” replicò lui, e
per sottolineare,
cominciò subito a sfogliare quei volumi nuovi di zecca.
“Dovresti
invece! Sei sveglio da nemmeno due giorni, anche se recuperi in
fretta devi riprendere le forze.” lo rimproverò
subito Ban,
sovrastando il più giovane con uno sguardo che voleva dire
tante
cose, sollievo, preoccupazione e… Seiya leggeva nei suoi
occhi
anche una malinconia che non si riusciva a spiegare.
“È
successo qualcosa?” chiese a bruciapelo il bruno, mettendosi
seduto
per osservare meglio il maggiore in viso, “Hai
un’aria strana.”
notò Pegaso pensieroso.
Subito,
il giapponese scosse la testa, biascicando una scusa poco
convincente; senza aggiungere nulla, Seiya lo guardò fisso
negli
occhi poi, all'improvviso, scostò a coperta e
riuscì a mettersi a
sedere sul bordo del letto; fili e tubi cominciarono a staccarsi da
ogni dove – la flebo cadde per terra come un serpente - e,
facendo
leva con entrambe le braccia, riuscì infine a mettersi in
piedi,
arrivando perlomeno all'altezza del collo del Leone Minore:
barcollava e le gambe gli facevano un male del diavolo, ma
finché
non fosse riuscito a capire cosa frullasse nella testa del compagno,
non si sarebbe dato per vinto.
Sotto
gli occhi stupefatti dei presenti – nessuno si sarebbe mai
aspettato una cosa del genere -, e puntellandosi con una mano sul
materasso, restò immobile a guardare Lionet: “Hai
intenzione di parlare oppure devo fare la bella statuina ancora per
molto? Guarda che non-“
In
quel momento, le ginocchia del ragazzo cedettero, incapaci di reggere
ulteriormente il suo peso, e sarebbe anche rovinosamente caduto a
terra se il compagno dinanzi a lui non lo avesse preso al volo,
depositandolo nuovamente sul letto.
Era
visibilmente furibondo.
“Ecco
cosa c’è! Sei un dannatissimo
incosciente!” sbottò amaramente
Ban, “Cosa ti costa startene a letto per un po’,
spiegamelo! Hai
rischiato di rimetterci la vita in quella battaglia, è anche
giusto
che tu ti riposi!” esclamò il giapponese.
Seiya
lo guardò stupefatto, incapace di proferire parola.
Una
mano gli si poggiò sulla spalla, gentile e leggera, e lui,
voltatosi, incrociò gli occhi velati di lacrime di Shun che
gli
sorrideva, nonostante tutto: “Sanno tutto.” gli
disse
semplicemente, come a voler giustificare quello scatto di rabbia.
E
a quel punto, Seiya capì ogni cosa e si sentì in
colpa.
Pegaso
guardò alternativamente i visi dei fratelli, non riusciva
minimamente ad aprire bocca e sentiva un fastidioso magone cominciare
a formarsi nella sua gola, mozzandogli ancora di più il
respiro.
“Forse
l’abbiamo sempre saputo,” a sorpresa, Nachi teneva
lo sguardo
basso a sua volta, lontano da quello di Seiya: “Ogni volta,
mi
chiedevo cosa fosse quel dolore che mi suscitava il vedere le vostre
schiene allontanarsi per venir inghiottite dall’ennesima
oscurità
in procinto di avvolgere il pianeta, e non riuscivo a
capirlo.”
bisbigliò a voce bassissima, quasi non volesse farsi
sentire, “Poi
però… Saori ci ha parlato…”.
Seiya
tremò impercettibilmente.
“Ci
ha parlato e ci ha mostrato i nostri certificati di nascita. Sono
autentici.” aggiunse Ichi, tirando fuori dalla tasca il
proprio
opportunamente ripiegato.
I
kanji di Kido Ichi campeggiavano in bella vista nel centro del
foglio.
E
così sicuramente doveva valere per gli altri.
Il
quattordicenne convalescente allungò una mano tremante per
accarezzare quelle lettere vergate in inchiostro nero, così
lucente,
al tocco del Sole, da sembrare tempestato di diamanti.
“Mi
dispiace, avrei dovuto parlarvene prima.” mormorò
lui,
distogliendo lo sguardo da loro.
A
quelle parole, gli altri otto si scambiarono un’occhiata, poi
Shun
scosse la testa e lo abbracciò: “Va tutto bene,
ora non dobbiamo
fare altro che raccogliere i cocci e rimettere tutto a
posto…”
gli sussurrò all’orecchio, “E lo faremo
assieme.”.
“Si,
e ti posso assicurare fin da subito una cosa.” aggiunse Jabu,
unendosi all’abbraccio: “Da questo momento in poi,
saremo una
famiglia.”.
Pegaso
alzò di nuovo la testa, col viso solcato di lacrime,
fissò
alternativamente ora l’Unicorno, ora i fratelli presenti
nella
stanza: sorridevano, tenendosi gli uni stretti agli altri attorno a
lui.
Con
la manica del pigiama, si asciugò gli occhi:
“Saremo una
famiglia.” ripetè il bruno con convinzione mentre
il Sole fuori
dalla finestra splendeva ancora più fulgido di prima.
“Forza,
ora basta piangere.” disse Nachi, battendo le mani:
“Vediamo di
rendere questa giornata meno malinconica!”.
Le
voci concitate e le grida delle persone in fuga dal vicolo buio
attirarono l'attenzione dei pochi a passeggio per quella zona della
città a quell'ora così tarda, i testimoni che la
polizia interrogò
successivamente dissero di aver sentito delle grida e poi di aver
visto un gruppo di ragazzi scappare, travolgendosi e passandosi sopra
gli uni agli altri.
Qualcuno
era sicuro di aver visto anche un lampo di luce ma successivi
sopralluoghi non avevano rivelato niente.
Chiunque
fosse stato, e qualunque cosa avesse fatto, era già
scomparso da
tempo assieme alle prove delle sue azioni.
§§§
La
giovane donna, stretta al massiccio ragazzo, camminava nervosamente
attraverso quelle stradine nascoste poco illuminate, preoccupata
dagli sguardi che li circondavano dalle pieghe delle ombre.
“Tieni
lo sguardo basso.” la avvertì il suo compagno,
parandosi davanti a
lei come a proteggerla.
Lei
obbedì senza proferire verbo, la borsetta stretta al petto
come ad
un salvagente, e in breve uscirono alla luce dei lampioni, in una
strada tranquilla e poco trafficata, rassicurante nella sua
normalità
notturna: poco lontano da loro, i neon di un distributore automatico
invitavano a prendersi una pausa.
Senza
domandarle alcunché, il ragazzo la afferrò per un
polso e la
trascinò fin lì, lasciandola andare solo dopo
averla fatta sedere
sulla panchina lì affianco; fu solo in quel momento che ella
poté
finalmente vederlo in viso. E qualcosa nei suoi lineamenti le era fin
troppo familiare.
“Non
ti sei fatta niente, vero?” chiese all'improvviso lui,
scrutandola
con attenzione, quegli occhi grandi e scuri le davano una strana
sensazione a metà tra il rassicurante e lo spaventoso:
“S-Sì, sto
bene.” rispose lei, respirando profondamente per calmarsi,
“G-Grazie di essere intervenuto.” aggiunse,
cercando di
sorridergli con riconoscenza.
Questi scrollò le spalle con
noncuranza, poggiandosi al macchinario rosso brillante: “Ho
sentito
un grido.” disse semplicemente, incrociando le braccia al
petto,
“La prossima volta, ti conviene non passare da quel vicolo,
almeno
non a quest'ora.”.
Piena
di vergogna, lei abbassò lo sguardo: “Ho finito di
lavorare tardi,
quella strada di solito non è così
pericolosa…” confessò.
“Di
giorno le cose sono molto diverse. Quando cala il buio, i mostri
restano in agguato per aggredirti.”
Il
tono freddo e cupo del ragazzo la colpì profondamente, un
simile
cinismo, un pessimismo del genere… non era abituata a
reazioni come
quelle.
D'istinto, ella cominciò a frugare nella borsetta,
estrasse il portamonete e da esso tirò fuori una manciata di
spiccioli prima di alzarsi e dirigersi verso il distributore:
“Cosa
posso offrirti?”.
“Non
l'ho fatto per una ricompensa.”.
“Lo
so, ma voglio offrirti qualcosa.”.
“Sei
testarda.”.
“Lo
so.”.
Con
un sospiro, il giovane andò a sedersi al posto da lei
occupato poco
prima: “Del caffè.” disse soltanto,
incrociando le braccia
dietro la nuca.
Lei armeggiò qualche minuto con i pulsanti poi,
con le due lattine di caffè saldamente tra le dita, lo
raggiunse e
gliela consegnò: “Comunque io sono
Satsuki.” si presentò lei
con un sorriso.
Lui
non rispose, limitandosi a bere lentamente.
“Posso
chiederti come ti chiami?”.
“Puoi
farlo ma non è detto che ti
risponderò.”.
“E
perché?”
“Il
mio nome non è importante.”.
“Mi
piacerebbe comunque saperlo. Vorrei poterti ringraziare
adeguatamente.”.
Il silenzio che ne seguì durò qualche
minuto, minuti durante i quali nessuno – neppure una macchina
–
passò nei paraggi, una tranquillità quasi
innaturale rispetto al
caos della città; infine, dopo aver svuotato la lattina, il
ragazzo
la accartocciò tra le dita: “Ikki.”
disse soltanto, prima di
lanciarla nel cestino lì accanto, “Il mio nome
è Ikki.”.
Dire
che il cuore di Satsuki perse un battito è poco: era un nome
così
poco comune e quello sguardo così familiare e
caldo… Non poteva
avere dubbi.
“M-Mi sembrava di conoscerti, infatti.” rispose
lei con voce tremante: “Ci siamo già visti. Io
lavoro alla
clinica della Fondazione Graude, s-sono l'infermiera di tuo
fratello.”.
Ikki
non rispose, teneva lo sguardo ostinatamente rivolto verso un punto
lontano, concentrato su qualcosa che forse vedeva solo lui.
“Non
ti ho riconosciuto subito perché era da un po' che non ti
vedevo.”
ammise lei, stringendo la lattina semivuota tra le dita:
“Stavi
tornando a casa?” domandò.
Il ragazzo annuì appena, senza
però spostare lo sguardo di un millimetro.
“Tra
qualche settimana comunque dovrebbero dimetterlo, non so se
Makishima-sensei te lo abbia detto.”.
“Non
ho parlato con nessuno.”.
Il
tono freddo e cupo del giovane la fece trasalire, dandole una
spiacevole sensazione di gelo: “N-non importa. Probabilmente
non lo
hai incontrato durante le tue visite, è sempre molto
impegnato. Però
è una buona notizia, no?”.
“Non
mi sono spiegato bene.” disse all'improvviso Ikki, voltandosi
di
scatto e guardandola fisso in viso, lo sguardo gelido come il
ghiaccio: “Non ho visto nessuno e non ho parlato con
nessuno.”.
Fu
in quel momento che Satsuki comprese.
“Intendi
dire che non hai più fatto visita a tuo fratello da quando
si è
svegliato?” chiese lei con un filo di voce, non lo aveva
più visto
in clinica ma non pensava che fosse questa la verità.
Con
un gesto stizzito, Ikki si ravvivò i capelli prima di
mettersi le
mani in tasca: “Fai attenzione sulla strada di
casa.” disse
soltanto, prima di allontanarsi a passo svelto nella direzione
opposta alla quale erano venuti; interdetta, Satsuki ci mise qualche
istante prima di realizzare che, no, non poteva lasciarlo andare via
così', doveva capire, doveva parlarci.
Raccolta
rapidamente la giacca e la borsetta, la giovane infermiera gli
andò
dietro, guardandosi febbrilmente attorno nella speranza di prevenire
qualunque aggressione: una le era bastata; lo raggiunse dopo una
lunga camminata, trovandolo appoggiato, con gli occhi chiusi, come
concentrato in una profonda meditazione, al muro di cinta di un
signorile edificio che ella riconobbe all'istante come la residenza
di Lady Saori e, a quel punto, doveva esserlo anche di quei ragazzi
che della giovane nobile erano i fratelli.
Satsuki
non aveva mai razionalizzato del tutto quel legame familiare, li
aveva sempre visti muoversi nel fin troppo a lei noto ambiente della
clinica e non si era mai del tutto soffermata sulla questione, ma
vedere quel ragazzo lì, in quel momento, le diede una nuova
consapevolezza dei fatti.
“Perchè
mi hai seguito?” chiese Ikki all'improvviso, sollevando di
scatto
le palpebre.
“Voglio
capire.” replicò lei con assoluta fermezza nella
voce: “Ti ho
visto stare accanto a Seiya-kun, non posso pensare che tu non sia
più
andato a trovarlo dal suo risveglio, è assurdo e
impossibile.”
“Non
sono cose che ti riguardano.”.
“Invece
sì, dal momento che Seiya-kun è un mio
paziente.”.
“E
questo cosa c'entra?”
“Non
posso permettere che qualcosa – o qualcuno – lo
ferisca,
ritardandone la guarigione.”.
Tra
loro cadde il silenzio.
“Cosa
vuoi da me, esattamente?”
La
voce di Ikki suonava furiosa mentre le si rivolgeva ma Satsuki non si
dava per vinta: sarebbe andata a fondo di quella storia.
“Io
non ti sono nemica.” disse lei con un sospiro:
“Voglio capire e
aiutarti.” aggiunse, muovendo un passo in avanti,
“E' di tuo
fratello che stiamo parlando, se tra voi è accaduto
qualcosa, vale
la pena distruggere un legame per questo?”
Ikki restò in
silenzio, chiuso nel suo mutismo testardo ma, nei suoi occhi, Satsuki
leggeva una profonda tristezza che riverberava attraverso ogni fibra
del suo corpo: “Ho visto come e quanto ti sei preso cura di
lui in
questi mesi.” proseguì lei, gli occhi lucidi che
le pungevano per
le lacrime in agguato, “Ti ho visto asciugargli con pazienza
la
fronte, cambiargli il pigiama, parlargli e tenergli la mano, ti
vedevo anche quando, di notte, forse credevi che nessuno potesse
vederti. So che tu gli vuoi bene e anche per questo la tua reazione
mi pare incomprensibile.”
“Non
sai niente.”
“Spiegami
allora. Cosa è accaduto? E poi, perché quelle
ferite? Come ve le
siete procurate?”
“Basta.”
“Ma
posso...”
“HO
DETTO BASTA!”.
Il
grido di Ikki suonava come rotto da un pianto a stento trattenuto
mentre il pugno stretto andava a colpire con violenza il muro,
facendo al contempo sobbalzare la giovane donna per lo spavento, la
quale chiuse istintivamente gli occhi, temendo l'arrivo di uno
schiaffo che però non giunse.
Ikki,
dinanzi a lei, la fissava con espressione sbarrata, gli occhi che
mandavano fiamme, la osservò con apparente disprezzo per
alcuni
istanti prima di scappare via, nel buio della notte che diventava
sempre più fitta.
La
sua furia cieca e incontrollabile lasciò la giovane
prostrata, ella
cadde in ginocchio sull'asfalto, respirava affannosamente come dopo
una lunga e interminabile corsa, un rivolo di sudore freddo le
correva lungo la schiena ed ella tremava inconsultamente come se la
temperatura si fosse improvvisamente abbassata senza che se ne fosse
accorta.
Un
primo singhiozzo eruppe dalla sua bocca, poi un secondo, un terzo,
fino a diventare una sequela ininterrotta tra le lacrime di un dolore
che sapeva non appartenerle ma che era conscia fosse quello che Ikki
stava provando, aveva sentito qualcosa di tremendo defluire come un
veleno dalle parole del ragazzo, qualcosa che il suo cuore aveva
assorbito come una spugna, emozioni talmente forti e violente da
esserle estranee ma che fin troppe volte si era accorta di aver
notato nelle persone accanto a lei, con loro condivise in
virtù di
un'empatia talmente forte da averle reso, in passato, la vita
difficile.
Ikki
stava soffrendo, di questo ne aveva la più assoluta certezza.
Ma
capire come aiutarlo… era un problema forse troppo grosso
per
affrontarlo lei da sola.
Aveva
bisogno di aiuto.
§§§
«Sì,
Saori... Non è ancora uscito e la porta è chiusa.
Non ha neppure
toccato cibo.»
La voce preoccupata di Shun fu la prima cosa che
Ikki sentì dopo essere rientrato nella propria
stanza-prigione,
passando per la finestra che dava sul parco deserto della
proprietà.
Nessuna
guardia, nessun allarme, e se anche ci fossero stati, non gli avrebbe
comunque dato la minima importanza.
In
piedi e immobile nell'oscurità, tese l'orecchio per
afferrare
stralci di discorsi e parole dette a mezza voce attraverso la porta
chiusa, quelle scarne conversazioni telefoniche che riusciva a
sentire erano il solo mezzo che aveva per ricevere notizie, per
restare ancorato a quella realtà che non riusciva, ora
più che mai,
a percepire come 'giusta', una realtà che gli pareva fin
troppo
crudele e avvolta in un buio del quale - in tutta serietà -
non
riusciva a vedere la fine.
Non
era come l'oscurità a cui era abituato, quella del
male e
dell'odio che aveva giurato di combattere, piuttosto era qualcosa di
più sottile, qualcosa che non aveva percepito subito, un
malessere
che - almeno all'inizio - aveva imputato alla paura con cui, ormai da
tempo, aveva imparato a convivere; il suo coraggio era però
venuto
meno, incapace di sopportare oltre quella pressione emotiva che
minacciava di farlo a pezzi, le sue difese erano troppo scarne e si
sentiva confuso: gli sembrava come se fosse stato aperto un vaso
accuratamente nascosto che conteneva ogni singolo frammento della sua
umanità e che lui non riusciva a richiudere.
L'unica
risposta che era riuscito a trovare era stata quella di rinchiudersi,
isolarsi, lontano da qualunque forma di sentimento ed emozione che
avrebbe potuto farlo precipitare ancora di più nel baratro,
forse
troppo orgoglioso per chiedere un aiuto che non gli sarebbe stato
negato, non dalle persone che vivevano al di là della sua
porta e
che ormai avevano assunto la forma di voci e ricordi, non
più
fisiche e non più palpabili.
«Vorrei
che si aprisse con noi, Seiya non fa che chiedere di lui, non posso
continuare a mentirgli, Saori-san. Ne soffrirebbe. No, credo che
Ikki-niisan gli voglia... ci voglia bene, forse questa situazione ha
chiesto troppo a tutti e lui non sa come comportarsi. Sì,
forse ha
bisogno di tempo, credo dorma. Lo lascerò riposare,
allora...
Domattina passerò assieme a Nachi e Shiryu a portarle un
cambio di
vestiti. Buonanotte, Saori-san.»
La
conversazione s'interruppe bruscamente e cadde il silenzio, che venne
rotto dopo qualche secondo da un rumore di passi svelti che si
allontanavano verso le scale.
Esausto, Ikki si lasciò cadere
sul letto sfatto e coprì gli occhi col braccio che gli
doleva: aveva
cercato volontariamente la rissa di poco prima, in un modo assurdo di
scendere a patti con quel malessere che gli stava avvelenando la vita
e il fatto di aver aiutato quella ragazza era stato solo un risultato
secondario rispetto all'obiettivo principale.
Tutto
gli appariva senza senso e, mentre si preparava a una nuova nottata
d'inferno, maledisse in cuor suo quello in cui si stava a poco a poco
trasformando.
Cercava la distruzione, l’anelava e la vedeva
sempre di più come l’unica via d’uscita
da quella prigione che
non voleva riconoscere come costruita da lui stesso.
Nervosamente,
allungò la mano a cercare il lenzuolo semi-strappato da
convulsi
scatti di rabbia che sfogavano la propria potenza distruttiva su
ciò
che li circondava – e anche per questo aveva preferito
nascondersi,
in uno sprazzo di lucidità si era reso conto che non avrebbe
mai
potuto perdonarsi se, nel buio in cui era perduto, avesse ferito, o
peggio , uno dei fratelli.
In
una maniera contorta, stava cercando di proteggerli.
Col
pugno stretto al petto, coperto dai brandelli della biancheria, Ikki
si lasciò sfuggire un singhiozzo rabbioso, le lacrime
scendevano
bollenti lungo le guance graffiate, acuendo il bruciore che sentiva
ma era un dolore che portava catarsi e una pace spirituale che da
troppo tempo gli mancava, attenuava un altro tipo di dolore,
più
sottile e subdolo – quello della solitudine e
dell’impotenza -,
che lo confondeva e lo precipitava sempre più nel baratro.
Sarebbe
bastata anche solo una parola, una debole richiesta d’aiuto
mormorata a mezza voce, e di sicuro l’avrebbero udito,
circondandolo di quell’amore totalizzante che solo un legame
come
il loro – forgiato da sangue e battaglie – poteva
plasmare,
eppure il solo pensiero gli stringeva la gola come una morsa, gli
strappava il cuore dal petto e lo lasciava agonizzante e senza
respiro, non avrebbe permesso a nessuno di avvicinarglisi: in un moto
di orgoglio, quella situazione l’avrebbe gestita da solo; tra
quelle quattro mura – le sole che stavano assistendo
impotenti al
suo lento tracollo – Ikki abbassò le palpebre,
esausto e
rassegnato agli incubi che il sonno gli avrebbe portato.
“Ehi,
leggete qui! Su questa rivista parlano di vacanze da trascorrere in
campeggio. Potrebbe essere una bella idea per la primavera!”
“Sai
che hai ragione, Nachi?”
“Ma
abbiamo abbastanza tende? E il fornello da campo?”
“Ci
serve una lista di tutto il necessario, cosa dice
l’articolo?”
“Sono
stati previdenti, è tutto scritto qui. Saori-san, dove
potremmo
trovare un materasso ad aria?”
“Dovrei
chiedere a Tatsumi se sa dove trovare dell’attrezzatura da
campeggio alla Villa, da qualche parte di certo dovremmo averla. In
caso contrario, la ordineremo.”
“Verresti
anche tu, Saori?”
“Naturalmente,
Seiya.”
Era
primo pomeriggio ma la luce, dato il cielo coperto che minacciava
pioggia, era già scarsa; tuttavia, nessuno dei ragazzi
sembrava
preoccuparsi, completamente a proprio agio nelle differenti posizioni
sparse un po’ in ogni angolo.
Con
le gambe di Seiya in grembo – impegnato nella lettura attenta
di
uno dei fumetti che Shun gli aveva portato qualche giorno prima e di
tanto in tanto occupato a grattarsi il naso per il fastidio della
cannula dell’ossigeno - Saori osservava i suoi ragazzi che
discutevano della proposta di Nachi: “Forse Aprile sarebbe la
stagione più indicata.” fece notare Shun,
indicando un grafico
colorato stampato sulla rivista, “Non fa ancora troppo caldo
ed
elenca anche alcuni posti interessanti che varrebbe la pena
visitare.”.
“Non
sarebbe divertente andare ad Hakone?”
“Ad
Hakone ci vanno i vecchietti, Seiya.”
“Ma
i bagni termali sono il massimo.”
“Così
giovane fuori ma così vecchio dentro...”
“Noioso.”
“Vecchietto.”
Il
cuscino venne lanciato nella direzione generale di Ichi ma non
superò
neppure Saori, che se lo ritrovò in grembo; con un sorriso,
la
ragazza lo prese tra le mani, lo sprimacciò ben bene e si
allungò
per rimetterlo dietro la schiena di Seiya: “Non preoccuparti,
dirò
ad Akiko-san di non dargli la solita doppia razione di torta al
cioccolato stasera.”.
Ichi
si rintanò con la testa tra le spalle mentre gli altri
presenti
ridevano.
“Grazie
di vendicare il mio onore.” Seiya si lasciò cadere
all’indietro
e chiuse gli occhi per qualche istante, esausto anche solo per quel
piccolo movimento.
Quando
riaprì gli occhi, la mano di Shiryu stringeva un bicchiere a
pochi
centimetri dalla sua bocca: “Devi bere un
po’.” gli disse lui.
Seiya
annuì e avvicinò le labbra al bicchiere,
lasciando che il fratello
lo aiutasse: “Grazie…”.
Shiryu
annuì e, una volta che Seiya ebbe finito di bere, riprese il
bicchiere e lo poggiò sul comodino prima di riprendere
possesso
della sedia che ormai era diventata parte di lui: “Riprenditi
in
fretta, così possiamo andare in campeggio già
questa primavera.”.
17
Dicembre
Makishima-sensei
ripose lo stetoscopio nella borsa e rivolse un sorriso a Seiya, che
lo fissava con aria stanca: “Avete fatto bene a farmi
chiamare, ha
qualche linea di febbre ma niente di troppo preoccupante,
l’importante è che assuma abbastanza liquidi e che
non si sforzi
troppo. Il suo fisico è ancora indebolito dalla lunga
immobilità e
ha bisogno di abituarsi gradualmente alla vita di tutti i giorni ma
sta migliorando costantemente. Mi aspetto che presto possa iniziare
la terapia riabilitativa, magari possiamo provare tra un paio di
giorni? Tempo che la temperatura torni ottimale.”.
I
presenti sospirano di sollievo quasi all’unisono e, mentre
Saori si
attardava a parlare ancora per qualche minuto col medico, Shun si era
avvicinato al letto per sedersi sul bordo accanto al coetaneo, gli
strinse la mano e poggiò la testa sulla sua spalla:
“Sono proprio
contento...” ammise sottovoce.
Seiya
si lasciò scappare un sorriso e ricambiò la
stretta: “Non sarà
mai troppo presto.” ammise lui, prima di poggiare la guancia
tra i
capelli del fratello, “Comincio a essere stanco di sentirmi
così
debole…” borbottò, chiudendo gli occhi.
Shun
gli accarezzava la schiena ritmicamente, mormorando una vecchia
ninna-nanna: “Pensa che siamo qui per te, che per noi
l’importante
è che tu sia qui, vivo e vegeto.”.
“Grazie,
Shun… Grazie davvero. E-E sono felice che siate qui, sul
serio...”.
Gli
occhi di Shun si riempirono di lacrime a quelle parole appena
sussurrate ma si limitò a sorridere e a stringerlo
più forte: “Ti
voglio bene, fratellino...”
“Ehi…
Non siamo così distanti di età.”
“Ma
sono comunque più grande di te.”
“Non
fare tanto lo sbruffone, solo di qualche mese.”
22
Dicembre
“Quindi
secondo lei può essere dimesso?”
Con
la propria tazza di tè ancora intonsa sulla scrivania e
quella semi
vuota della giovane Dea davanti a sé, il dottor Makishima
annuì e
si poggiò coi gomiti a sorreggere la testa:
“Certamente. Ha fatto
enormi progressi in queste ultime settimane di cure e terapie
farmacologiche, anche i primi risultati della riabilitazione sono
discreti e sono lieto
di confermare la mia iniziale idea: Seiya-kun potrà essere
dimesso a
breve, una decina di giorni al massimo, e se anche i primi tempi
sarebbe consigliabile che deambulasse con l’ausilio di una
sedia a
rotelle, non ne avrà bisogno sul lungo periodo. Prevedo un
recupero
praticamente totale. Certo, si affaticherà con maggior
facilità ma
riprenderà a camminare senza problemi. Mi auguro che lo
continuerete
a sostenere anche in futuro.”.
A
quelle parole, il petto di Saori si liberò di un peso e la
giovane
si lasciò andare a un sospiro sollevato: “Non sa
che gioia mi dà,
dottore.” rispose lei sorridendo.
“Posso
immaginarlo, sa…” l’uomo si
alzò in piedi e le diede le
spalle, guardando al di là della grande finestra che
illuminava lo
studio: “So cosa dovete aver passato, ojou-sama. Seiya-kun
non è
il primo paziente così giovane che mi è capitato
in cura. Ho visto
molte famiglie nelle vostre condizioni ma il fatto che sia
sopravvissuto… è un dono enorme, mi aspetto che
non lo gettiate
via.”.
“Non
ne abbiamo l’intenzione. Adesso che… vogliamo
agire per il
meglio.” replicò Saori con un lieve e rispettoso
cenno del capo:
“Abbiamo perso troppo tempo, abbiamo sacrificato troppe
cose...”.
“È
una buona cosa, ojou-sama e sono felice di vedervi finalmente
sorridere.”
A
quelle parole, la ragazza sollevò di scatto la testa,
guardando il
dottore con aria confusa mentre questi sorrideva accondiscente e le
versava dell’altro tè prima di risedersi:
“La conosco da molti
anni e conoscevo suo nonno da molto prima, non sono a conoscenza di
tutti i dettagli ma Kido-sama era solito confidarsi con me
nell’ultimo periodo della sua vita, oltre che con
Tatsumi-san,
ovviamente. Mi ha raccontato che questi ragazzi… che sono
figli
suoi, che sono fratelli nel sangue e nello spirito, che li ha dovuti
mandare via, incontro a morte certa. Una notte venne da me, vecchio e
pallido come mai l'avevo visto in vita mia, supplicandomi di
occuparmi di loro se mai fossero tornati, che il rimpianto delle sue
azioni lo avrebbe accompagnato nella tomba. Quella notte, per la
prima volta, l’ho visto piangere senza alcun freno. Era un
uomo
come tanti, un uomo che ha fatto tanti, forse troppi errori, che non
ha mai chiesto perdono perché consapevole di non meritarlo.
Ma io
credo che Seiya-kun sia qui anche grazie a lui, ho
l’incrollabile
fede che anche dopo la morte lui abbia continuato a vegliare sui suoi
figli, su di lei, ojou-sama, e che stia espiando la sua colpa
cercando di darvi quella gioia di cui vi ha privati in
passato.”.
“Ma
io-”
“So
che da bambina era particolarmente… convincente.”
la fermò
l’uomo con un cenno della mano e un tenero sorriso:
“Era solita
ottenere quello che voleva, ad ogni costo.” aggiunse, Saori
abbassò
lo sguardo, turbata, “Ma con l’atteggiamento
permissivo dalla
quale era circondata, ha negato una natura amorevole che, ho potuto
notare, le s'addice molto di più. Kido-sama se
n’è accorto forse
troppo tardi quando il danno era già stato fatto –
lui per primo
si è pentito di non aver posto un freno alla cosa quando
avrebbe
potuto - ma lei è cresciuta e si è presa cura di
questi ragazzi,
come penso anche loro si siano presi cura di lei in passato, ha
affrontato con coraggio una sfida enorme e posso dire senza ombra di
dubbio che suo nonno sarebbe stato fiero di lei, così come
lo sono
io.”.
Un
singhiozzo, seguito da altri, bloccò il fiato in gola alla
ragazza,
che nascose il viso nella stoffa dell’abito candido:
“I-Io non...
non capivo... Pensavo f-fossero g-giocattoli, n-non bambini come
m-me... Ricordo... Ricordo di aver chiesto a Tatsumi di poter
sostituire J-Jabu perchè si era rotto un braccio per f-farmi
da
cavalluccio.” la ragazza sembrava veramente distrutta,
“C-Chiesi
a T-Tatsumi di r-riportarlo dove l'a-avevano trovato e di prenderne
un a-altro. Eppure, lui non ha mai smesso di proteggermi, mi sono
stati vicino anche quando avevo la freccia nel petto, n-non mi hanno
lasciata sola un attimo. E io l-li volevo sostituire come v-vecchi
g-giocattoli rotti, n-non li ritenevo u-umani come me, e-erano
o-oggetti! Oggetti! Quei ragazzi h-hanno fatto così tanto
per me e
io v-volevo buttarli via.”.
Pazientemente,
Makishima-sensei le sorrise e le passò un fazzoletto, che
ella
accettò di buon grado mentre le lacrime non smettevano un
attimo di
scendere: “Pianga finché ne sente il bisogno,
ojou-sama. Qui
nessuno la disturberà. Si prenda tutto il tempo di cui ha
bisogno.”.
Lei
annuì: “N-Non voglio farmi vedere dai
ragazzi… Non così. Hanno
bisogno di me. Devo essere forte per loro.”.
“Sanno
che lei è accanto a loro e che sta facendo tutto quello che
è in
suo potere perché stiano bene, sono anche sicuro che
l’abbiano
vista in condizioni molto peggiori, non la giudicheranno
negativamente per questo.”
“S-Sono
sempre stati forti, per me e per tutti quanti. Hanno convissuto per
tutta la vita con un peso enorme che non so come abbia fatto a non
schiacciarli, si meritano che qualcuno adesso lo prenda sulle proprie
spalle al posto loro.”
“Sono
invece convinto che soffrirebbero.”
Confusa,
Saori alzò gli occhi ancora lucidi verso il medico, il quale
era
tornato a sedersi: “Vi ho visti, ojou-sama. Stavo facendo un
ultimo
giro prima di ritornare a casa, sono passato in camera di Seiya-kun
per valutarne le condizioni e vi ho trovati addormentati, vi tenevate
per mano e Seiya-kun sembrava tranquillo e sereno, nonostante le sue
condizioni. E quando si è sentita male... Ojou-sama, quel
ragazzo le
vuole un bene infinito e se lei soffre, beh, soffrirebbe anche lui,
lui e tutti gli altri. Non abbia fretta, la vita che avete davanti
è
lunga e bellissima, avrà tempo per
“espiare”, se così si può
dire. Anche se sono convinto che non ce ne sia bisogno. Non
più,
almeno.”.
La
ragazza sembrava tremare impercettibilmente sotto lo sguardo del
dottore mentre il significato di quelle parole si amalgamava coi suoi
sentimenti: “In questo momento deve sentirsi senza dubbio
molto
turbata, forse anche molto spaventata. Dia tempo alla sua mente di
guarire; anche se ad essere stato ferito maggiormente è
stato
Seiya-kun, non per questo non siete vittime anche voi. Anche le
famiglie sono vittime quando qualcosa accade ai loro cari.”.
Saori
annuì, stringendo il fazzoletto tra le dita sottili.
“Ora
si asciughi gli occhi, può servirsi del mio bagno personale,
se ne
sente il bisogno. Poi, una volta che si è calmata,
può tornare in
camera da Seiya-kun.” Makishima-sensei le indicò
la pesante porta
di legno lucido in fondo alla stanza: “Faccia con
comodo.”.
La
giovanissima sorrise: “La ringrazio.”
Lui
scosse la testa: “Non deve. Mantengo solo una promessa fatta
ad un
vecchio amico. Ora vada, per qualsiasi cosa mi trova qui”.
§§§
“Non
si era detto che non ti saresti mosso da qui mentre andavamo a
prendere il pranzo anche per te?”
“Mi
annoiavo e Jean e Satsuki-san non avevano tempo di
chiacchierare.”
“Avresti
potuto farti male.”
“Non
farla così tragica, serpentello. Satsuki-san mi ha lasciato
le
stampelle apposta per fare un giro. Il medico ha detto che muovermi
mi fa bene, per la riabilitazione!”
“Sempre
il solito incosciente. Non ha detto che potevi uscire sotto la
neve!”
Il
battibecco che accolse Saori di ritorno nella piccola stanza le
strappò una risata sincera: Seiya, aggrappato alle spalle di
Geki,
gesticolava all’indirizzo di Ichi, che sembrava tirarlo per i
pantaloni del pigiama mentre Jabu, scuotendo la testa sconsolato,
depositava sul mobiletto un vassoio con sopra cinque scodelle e
altrettante tazze di tè pericolosamente in bilico:
“Sei pallido
come Hyoga, e non è un complimento.” gli fece
notare Unicorn,
raddrizzandosi e asciugandosi i palmi delle mani sui pantaloni della
tuta.
“Ma
ho fatto solo quattro passi per il corridoio!”
“Jean-kun
ha detto di averti visto uscire in cortile prima di riuscire a
riportarti dentro semi-congelato. Non avevi neppure uno straccio di
giacca addosso.” aggiunse Geki, depositandolo sul materasso
con
cautela; Ichi afferrò la pesante coperta appoggiata allo
schienale
della poltrona e gliela mise addosso: “Stai
tremando.” disse
torvo, “Perché ti vuoi ammalare a tutti i costi?
Testardo.”
“Cosa
è successo?” chiese Ban, comparso all'improvviso
sulla soglia
accanto a Saori, sembrava pallido e col volto tirato ma si sforzava
di sorridere, più che altro a beneficio degli altri.
Saori
sentì un brivido di freddo correrle lungo la schiena,
sembrava
avesse visto un fantasma; si domandò se per caso...
I
quattro ragazzi si voltarono di scatto verso di loro e Seiya le
sorrise: “Lo hanno trovato che gironzolava per il cortile, in
pigiama. Ha nevicato tutta la notte e le temperature sono
polari.”
rispose Jabu al suo posto, frugando nel cassetto alla ricerca di
qualcosa, “Ecco, tieni questo sotto la lingua e non
parlare.”
esclamò, tirando quindi fuori il termometro e passandolo a
Ichi;
questi glielo infilò poco gentilmente tra i denti;
“Ban, dov'eri
finito? Hai trovato Makishima-sensei?” chiese Hydra.
Saori
sussultò e Ban la imitò, i due non osavano
guardarsi negli occhi ma
sembrava che nessuno degli altri se ne fosse accorto: “N-no,
era
occupato e non sono riuscito a parlarci...” ammise, tenendo
lo
sguardo basso.
Infastidito
dal termometro, Seiya lanciò un’occhiata
indispettita ai fratelli
suoi coetanei: “Non fiete mia mafre.”
borbottò.
“Cos’ha
detto?”
“Che
non siamo sua madre, preferisci che chiamiamo Meiko-san? Lei sarebbe
ben contenta di farti un bel predicozzo.”
Pegasus
si ammutolì di colpo.
“Vedo
che ci siamo capiti.” esclamò Jabu soddisfatto,
facendo quindi
spazio ad Atena: “Abbiamo preso qualcosa da mangiare anche
per lei,
Saori-san.”.
La
ragazza annuì prima di entrare; seguita da Ban - che
accostò la
porta alle loro spalle -, andò a sedersi in poltrona:
“Vi
ringrazio.” disse solo, prendendo una delle ciotole che Geki
teneva
in equilibrio, “Ho delle buone notizie da parte del dottore,
Seiya
presto potrà essere dimesso.”.
“Davvero?!
E quando?!” chiese subito l’interessato, a cui Geki
aveva tolto
in tempo il termometro dalla bocca: “Quasi 38° C,
ecco cos’hai
ottenuto dalla tua gita.” lo rimproverò Ursa
Minor, agitandogli
l’oggetto davanti al naso, “Saori-san,
verrà dimesso prima o
dopo Natale?” continuò poi il massiccio ragazzo,
“Abbiamo
mandato Ban a cercarlo appunto per avere notizie sulla
dimissione.”.
“Credo
che prima della fine dell’anno sarà a casa, sul
Natale non saprei
dirvi nulla ma Makishima-sensei pare voglia tenerlo ancora un
po’
sotto osservazione. Soprattutto vista questa febbre. Ma vedremo
stasera, quando farà il giro delle visite.”.
Rabbuiatosi
improvvisamente, Seiya si lasciò sprofondare nei cuscini che
lo
tenevano sollevato; accortasi del suo inaspettato mutismo, Saori si
girò verso il Saint di Pegaso, scrutandolo con
preoccupazione: “Ti
senti male?” chiese lei.
Seiya
scosse la testa ma evitò accuratamente di incrociare lo
sguardo dei
presenti: “Senti dolore da qualche parte?” Saori
non capiva cosa
avesse scatenato quella reazione e neppure gli altri tre ragazzi
sembravano averne compreso l’origine, data
l’espressione
pensierosa sui loro volti; ancora una volta, Seiya scosse la testa e
si aggrappò col pugno alla casacca del pigiama, giusto
all’altezza
del proprio petto martoriato: “Solo…”
mormorò, sentendo gli
occhi iniziare a riempirsi di lacrime.
“Solo…?”
“Solo
che… Stamattina ho visto in giro delle decorazioni e non
volevo
crederci… E’ davvero Dicembre?”
Saori
sentì distintamente Geki accanto a sé trattenere
il fiato mentre la
stanza sprofondava nel silenzio.
Con
un sospiro stanco, la ragazza poggiò la ciotola sul comodino
per poi
andarsi a sedere sul materasso accanto a Seiya; facendo attenzione a
non strappare alcun filo, Athena gli strinse le mani tra le proprie,
sfregandole per scaldarle: “Ho perso davvero così
tanto tempo?”
sussurrò lui guardandosi attorno sperduto, come se il peso
immenso
di quei mesi lo avesse improvvisamente soverchiato.
Jabu
sentì il cuore balzargli in gola: c’era qualcosa
di profondamente
sbagliato nel vedere Seiya così indifeso e fragile, lui che
era
sempre stato il cuore pulsante dei Bronze Saints di
quell’epoca.
Saori
rivolse a Seiya un sorriso affettuoso mentre gli sistemava i capelli
troppo lunghi e spettinati dietro le orecchie: “Ti sei preso
il
tempo che ti serviva.” disse lei, “Non
c’era alcun motivo per
cui tu avresti dovuto aver fretta. Ti abbiamo aspettato.”.
“Saori-san
ha ragione.” intervenne Jabu, lui e Ichi si erano avvicinati
al
letto e ne avevano occupato l’altro lato: “Tutto
è meglio
dell’alternativa. E se ti preoccupa l’esserti perso
il mio
compleanno… Beh, hai sempre tempo per rimediare.”
concluse
Unicorn con soddisfazione, “Ho visto proprio ieri una cosa
che
potresti comprarmi per farti perdonare.”.
“E
il mio compleanno allora?” borbottò Seiya:
“Ve lo siete
dimenticato?”
“Non
è proprio così, malfidato.”
Dalla
porta lasciata socchiusa, entrarono all’improvviso Hyoga e
Shun,
seguiti a breve distanza da Shiryu e Nachi, quest’ultimo
aveva le
braccia piene di pacchetti: “Abbiamo fatto un giro veloce in
orfanotrofio e poi in pasticceria per ritirare la torta, volevamo
aspettare che stessi meglio per festeggiare.”
annunciò Andromeda
mentre si levava la sciarpa e i guanti.
Saori
si alzò per aiutare i nuovi arrivati a mettere ordine:
“Non
abbiamo ancora pranzato, però.” disse lei,
spostando il vassoio
dimenticato in un angolo; Cygnus scrollò le spalle,
esaminando il
contenuto delle tazze e delle ciotole di zuppa: “E’
ancora caldo,
sedetevi e mangiate. Noi abbiamo preso qualcosa al volo lungo la
strada.”
In
pochi secondi, i piatti furono distribuiti e i cinque cominciarono a
mangiare, scambiando di tanto in tanto qualche parola tra di loro,
Seiya – ancora debole – veniva aiutato da Shiryu
con le posate;
quando infine anche gli ultimi residui di zuppa e riso vennero
spazzati via e le stoviglie messe da parte per evitare che si
rompessero, l’involto più grosso di tutti venne
posato con
delicatezza sul letto: “Akiko-san e le altre avrebbe voluto
prepararti una delle loro torte al cioccolato, sanno che le apprezzi
particolarmente, ma i bambini le hanno precedute e hanno voluto ad
ogni costo comprartene una.”.
Gli
occhi di Seiya si allargarono in maniera buffa, inumidendosi un poco
per la commozione mentre Saori, seduta accanto a lui, sorrideva: non
era stato per niente difficile coinvolgerla, per i bambini, in quella
missione “super-segretissima per far felice
Seiya-nii”.
“Sorellona
carina, possiamo chiederti una cosa?”
Seduta
sulla veranda e impegnata a chiacchierare con Miho e Seika, Saori non
si era accorta dell’arrivo di un gruppetto di bambini i
quali,
scostatisi dai compagni, si erano radunati davanti a lei; sorpresa,
la ragazza annuì: “Cosa succede?”
domandò, passando a Seika la
tazza semi-vuota.
Imbarazzati,
i piccoli si scambiarono un’occhiata per poi consegnarle una
busta
decorata con mille adesivi e tracce di pastelli: “Abbiamo
raccolto
questi. Seiya-nii ha saltato il compleanno, lui adora festeggiarlo
con noi!” esclamò Makoto, il bambino era sempre in
prima linea
quando si trattava di far qualcosa per il suo fratellone preferito,
“Sorellona carina, puoi comprargli una torta e portargliela
da
parte nostra? Ci hanno detto che per un po’ non potremmo
andare a
trovarlo...”.
“Ve
l’abbiamo spiegato, piccoli.” intervenne Seika,
tirando fuori
dalla tasca un fazzoletto per pulire le guance di Hiroshi ancora
sporche di pennarello: “Seiya sta facendo delle cose che lo
faranno
stare meglio ma non sono cose da bambini. Ma quando uscirà
potrà
giocare con voi.”
Saori
annuì, la sua mente andò alla terapia di
riabilitazione che il
Saint di Pegasus aveva da poco iniziato, era faticosa e a tratti
anche dolorosa oltre ogni previsione e sia Shiryu che tutti gli altri
fratelli erano costantemente impegnati ad assisterlo durante ogni
sessione e per tale motivo le loro visite all'istituto si erano
drasticamente ridotte.
“Lo
sappiamo, ma lui ha sempre festeggiato tutti i nostri compleanni e
vogliamo fargli un regalo.” insistette Akira,
“Makoto, dagliela.”
“Lo
sto facendo!” esclamò piccato l’altro
bambino, allungando ancora
il braccio per depositare la busta in grembo alla Dea:
“Abbiamo
visto una torta bellissimissima in un negozio mentre andavamo con
Seika-neechan allo zoo, dentro la busta c’è
l’indirizzo. È
giusto perchè abbiamo controllato sull'elenco telefonico per
essere
sicuri, li abbiamo anche chiamati per chiedere se l'avevano ancora e
ci hanno detto di sì. Sorellona carina, ci aiuti?”
Mimiko si era
aggrappata alle spalle di Hiroshi per vedere meglio in viso la
ragazza più grande, “E’ una missione
super-segreta per far
felice Seiya-nii.” mormorò lei con fare
cospiratorio
Incerta
su come rispondere per non far udire il singhiozzo che le si era
fermato in gola, Saori annuì, prendendo il piccolo involto
di carta
con mano tremante, aprendolo per esaminarne il contenuto: sul
foglietto che trovò allegato alle banconote stropicciate,
era
segnato effettivamente l’indirizzo di una delle pasticcerie
migliori della città.
Esultando
soddisfatti, i piccoli si sparsero per il giardino mentre Miho, presa
una manciata di fazzoletti di carta dalla scatola poggiata accanto a
sé, li allungò verso la coetanea: “Sono
delle pesti ma di buon
cuore.” disse soltanto, anche lei aveva gli occhi lucidi.
“Non
ne ho mai dubitato.” rispose lei prima di alzarsi in piedi e
sistemarsi la veste stropicciata: “Ora però
è meglio che vada”
aggiunse; Seika e Miho la imitarono, iniziando a raccogliere gli
oggetti sparsi per la veranda, “Può restare quanto
vuole,
ojou-sama, lo sa che ci fa piacere la sua presenza. E poi i bambini
la adorano, quasi quanto adorano i ragazzi.” disse la
più anziana
delle due educatrici ma Saori scosse la testa con un sorriso,
“Il
negozio che i bambini hanno visto chiuderà a breve e voglio
passarci
prima di tornare in clinica.”
Quando
Nachi finalmente riuscì a rompere il nastro che teneva
chiuso il
pacco, nella profusione di carta, apparve un dolce
dall’aspetto
invitante, un trionfo di cioccolato ed eleganti volute di crema, dalla
cura visibile nei minimi particolari decorativi: “Gli
scriccioli si sono impegnati.” esclamò questi,
scostandosi per far
vedere quel trionfo di zuccheri anche ai fratelli,
“Chissà a
quante caramelle hanno rinunciato.”.
Seiya
non riuscì a dire niente, sentiva unicamente gli occhi
riempirsi di
lacrime e un groppo fermarsi in gola.
La
mano gentile di Saori gli si poggiò sulla spalla e, anche
senza
alzare lo sguardo, il ragazzo poteva giurare che la sua Dea stesse
sorridendogli con lo stesso affetto di sempre:
“L’hanno fatto per
te, per farti sorridere e farti capire che ti sono vicino.”
disse a
bassa voce senza interrompere il contatto, “Ti vogliono bene,
Seiya, sei circondato dall’amore di così tante
persone…”.
Il
ragazzo annuì, sfregandosi gli occhi con la manica del
pigiama prima
di alzare la testa e guardarli uno ad uno negli occhi: “L-Lo
so,
eppure… Non riesco a smettere di piangere.” ammise
con un filo di
voce.
Con
cautela, Shun gli si avvicinò; sedutosi sul materasso
accanto a
Saori, si sporse per asciugargli il viso dalle lacrime:
“Siamo qui
per te, Seiya. Tutti, nessuno escluso.” mormorò il
fratello, non
senza un vago senso di colpa a pesargli sul petto, sapeva di parlare
implicitamente anche per Ikki-niisan, anche se ormai aveva perso il
conto dei giorni in cui aveva smesso di incontrarlo anche solo di
sfuggita nei corridoi della villa, un fantasma che aleggiava negli
angoli di una stanza perennemente chiusa a chiave, una stanza dove
nessuno di loro poteva entrare, impenetrabile come la mente del
più
anziano fra tutti e sigillata come lo scrigno del suo cuore.
“Lo
so… E-E mi dispiace, davvero, non so cosa mi
prenda.”
“Come
facciamo a farti capire che non devi giustificarti? Non con noi e
neppure con qualcun altro, non è necessario.” Geki
e Ban, ben più
alti di tutti loro messi assieme, svettavano sopra le teste dei
presenti con espressione seria.
Ursa
Minor si fece largo tra Shiryu e Hyoga - in piedi accanto al comodino
come a voler vegliare sul Saint di Pegaso - e poggiò la
propria mano
sulla sua testa, scompigliandone i capelli: “Non hai fatto
niente
per cui tu debba farti perdonare.”.
Seiya
annuì e tirò su col naso prima di sollevare lo
sguardo su ciascuno
di loro: “Vi ho fatto soffrire così
tanto… Eppure siete ancora
qui. Non saprò mai come ringraziarvi.”
mormorò, gli occhi pieni
di lacrime e speranza.
Ai
presenti balzò il cuore in gola; mentre Shun gli gettava le
braccia
al collo, stringendolo con tutta la forza che aveva, tutti gli altri
lo circondarono, racchiudendolo in un guscio di amore e affetto da
cui sarebbe stato difficile districarsi, non che qualcuno di loro
volesse, in realtà.
Quando
i singhiozzi smisero di farlo sussultare, Seiya si scostò
gentilmente dall’abbraccio e si asciugò gli occhi
con la manica
del pigiama, non disse niente, incerto della propria voce, ma
annuì
vigorosamente allo sguardo incoraggiante del fratello coetaneo, che
lo fissava ansioso: “Ti senti meglio?” chiese
Shiryu, chinandosi
su di lui per passargli un fazzoletto.
Seiya
annuì di nuovo.
“E
se intanto iniziassimo a tagliare la torta? Sarebbe un peccato
sprecarla.”
Nel
tentativo di alleggerire l’atmosfera, Nachi
afferrò uno dei
coltelli che avevano portato dalla villa e ne puntò la lama
verso
il dolce: “Non so voi ma ho fame.”
Hyoga
gli diede un pugno scherzoso sulla spalla: “Ma se ti sei
mangiato
una dozzina di takoyaki al chiosco vicino alla pasticceria! E hai
rubato un giro di bacchette di ramen a Shun!”
“C’è
sempre spazio per il dolce.”
In
breve, la torta venne tagliata a fette e distribuita –
quattro
vennero tenute da parte per Meiko, Satsuki, Jean e il dottore
– e
l’aria attorno a loro perse quella pesantezza emotiva che
sembrava
averli imprigionati fino a qualche minuto prima: dopo aver finito di
mangiare, il letto venne invaso da pacchetti di ogni forma e
dimensione, doni da parte dei bambini, di Miho e Seika, delle donne
di servizio della Villa, uno arrivava perfino dalla Grecia e il
mittente sorprese e non poco il gruppo di guerrieri che facevano a
gara per accaparrarsi un pezzo di materasso dove appoggiarsi per
avere più ampia visuale.
“Julian
Solo? Davvero, Saori-san?” chiese Jabu, esaminando il
biglietto
d’auguri scritto in eleganti lettere greche; la ragazza
annuì con
una risata nascosta dietro la mano: “E’ arrivato
verso metà
Novembre, l’ho conservato con cura da allora. Poseidon-
Julian-kun
venne a sapere dell’ “incidente” in
Grecia e, dato il passato
che abbiamo... condiviso, è stato di grande aiuto e
sostegno. Si
presentò in ospedale, impedendo che facessero troppe
domande, e ha
supportato il vostro trasferimento con medici e infermieri che hanno
sostituito temporaneamente quelli della Fondazione che erano in
arrivo. È stato fondamentale per soccorrervi e
stabilizzarvi.”.
I
ragazzi si guardarono confusi: “Questo vuol dire
che… ricorda
quello che è successo?” Hyoga sembrava restio ad
accettare la
cosa.
Saori
scosse la testa: “Non del tutto. Ricorda che deve essere
accaduto
qualcosa ma i dettagli gli sono del tutto oscuri. Tuttavia, non ha
fatto domande. La coscienza di Poseidon riposa tranquilla e, anche se
si risvegliasse, non sono convinta che ci possa essere avversa, non
più. In ogni caso, ci teneva a far avere a Seiya questo
regalo,
possiamo prenderlo come un buon segno per il futuro.”.
Quando
finalmente lo spacchettarono, i ragazzi sgranarono gli occhi mentre
un elegante ed ugualmente possente Pegaso intagliato nel cristallo
rifletteva i raggi del sole, poggiato sul palmo della mano di Seiya.
Ad
Atena scappò una risata divertita nel vedere le facce dei
suoi
ragazzi e, in cuor suo, sperò che quella pace durasse per il
resto
delle loro vite, e magari anche oltre.
§§§
“Devono
essere veramente stanchi per dormire così a lungo in quella
posizione.”
Jabu
scese dal bordo del letto con un balzo mentre Seiya, dalla sua
posizione accoccolata sul cuscino accanto a Shiryu, osservava con
espressione lievemente stralunata il viso addormentato di Saori,
semi-sdraiata sulla poltrona assieme a Nachi e Ichi.
Geki
scosse la testa: “Dovremmo riportarli a casa.” fece
notare, senza
però fretta di muoversi: “Non rischiano di
ammalarsi, dormendo
così?” chiese Ban.
Con
le teste degli altri due in grembo e tutti e tre avvolti in una
morbida coperta, Saori sembrava in pace con sé stessa.
“Lasciamoli
tranquilli per ora, manca ancora un po' alla fine dell'orario di
visita.” Shiryu si interruppe un attimo per bere un sorso di
té
tiepido: “E non credo che Meiko-san sarà troppo
fiscale. E poi, il
riscaldamento funziona a pieno ritmo, staranno bene.”.
“Però
rischiamo di svegliarli se restiamo qui a chiacchierare.”.
“E
se uscissimo in corridoio a fare due passi? Così Seiya
potrebbe
togliersi la voglia di andare a zonzo da solo e noi potremmo al
contempo tenerlo d'occhio.” Ban si era alzato dalla sedia e
aveva
spostato le stoviglie sporche e gli avanzi di torta: “Non
è una
cattiva idea.” Geki approvava quella proposta, senza contare
che
restare sempre chiuso lì dentro non faceva bene a Seiya, ne
comprendeva il desiderio di libertà –
benchè i metodi di evasione
che il fratello impiegava non fossero i suoi preferiti – e
voleva
fare qualcosa al riguardo.
“Te
la senti? La febbre non è più così
alta ma...” chiese Ban,
voltandosi verso Seiya; questi annuì vigorosamente e
spostò le
coperte, mettendo in mostra i tutori che celavano le gambe:
“Scherzi?
Passami quelle stampelle e usciamo prima che Shiryu decida di
fermarci.” disse lui, allungando le mani verso le stesse,
poggiate
contro il muro più lontano.
Shiryu
scosse la testa e si lasciò scappare una risata:
“Non ho
intenzione di fermarvi. Penso anche io che sia una buona
idea.” e
così dicendo lo sollevò, prendendolo da sotto le
ascelle, e lo
depositò con cura sulla sedia più vicina mentre
Hyoga gli allungava
le stampelle e Shun afferrava una vecchia felpa per fargliela
indossare.
In
breve, il gruppo seguì un traballante Seiya all'esterno;
Jean –
notatili fin dal banco dell'accettazione – li raggiunse di
corsa:
“Meno male che non sei da solo questa volta, Seiya-kun!
Oppure
Meiko-san se la prende con me.” disse l'infermiere,
scompigliandogli i capelli.
“Per
impedire altri tentativi di evasione bislacchi, gli abbiamo permesso
di fare un giro all'esterno. Ma solo se non si stanca.” Jabu
fulminò Seiya con lo sguardo, “Al primo accenno,
ritorneremo in
camera.”.
Per
tutta risposta, Seiya gli fece una linguaccia: “Se non te ne
fossi
accorto, sono qui con voi. Non parlare come se non fossi
presente.”.
“Cos'è
questo ronzio fastidioso? Lo senti, Shun?” intervenne Hyoga.
“No,
non sento niente. Sarà stato il vento. Ci sono un sacco di
spifferi.” Shun nascose la propria risata dietro la mano:
“Dovremmo
dire a Saori che sono necessari dei lavori di
ristrutturazione.”.
Jean
scoppiò a ridere: “C'est drôle,
Seiya-kun! Saori-ojousama è in camera?”
“Si
è addormentata. Nel caso si svegliasse prima del nostro
ritorno,
potresti dirle che siamo usciti?” ormai Seiya aveva fatto
amicizia
con lui; il giovane infermiere annuì: “Lascia fare
a me,
Seiya-kun. Ora andate. Buon pomeriggio, ragazzi.” e
così dicendo
ritornò al bancone, immergendosi nella lettura di un plico
di
documenti che faceva bella mostra di sé accanto al telefono.
“Bene,
cosa vogliamo fare ora?” chiese Hyoga:
“Probabilmente il giardino
interno è ancora aperto, anche se è tardo
pomeriggio.”.
“Prima
scendiamo in caffetteria, voglio salutare la signorina dei
ramen.”
intervenne Seiya: “Me ne ha fatta recapitare una ciotola
l'altra
sera dopo riabilitazione, è stata gentile.”
aggiunse, notando gli
sguardi interrogativi dei fratelli.
“Deve
essere la stessa che ha preparato i ramen per noi, Shiryu.”
Jabu si
voltò verso il maggiore di loro: “La signorina
della caffetteria,
quella della sera in cui Saori-san è rimasta a dormire
qui.”.
Shiryu
annuì, ricordava la ragazza che sorrideva dietro il bancone:
“Allora
scendiamo.”.
Il
gruppo di ragazzi si strinse attorno a Seiya e avanzò verso
l'ascensore; mancavano ormai pochi passi quando una voce sorpresa li
bloccò, facendoli voltare: “Seiya, ragazzi, dove
state andando?”.
Seika
era in piedi sulla soglia, le mani sollevate a togliere la sciarpa
lunga e pesante e l'aria visibilmente confusa: “Non ti
aspettavamo
oggi, Seika-san.” rispose Geki, poggiando una mano sulla
spalla di
Seiya per tenerlo fermo e impedirgli di cadere, “Stiamo
andando di
sotto. Vieni con noi, Seika-neesan?” gli occhi di Seiya
brillavano
per l'entusiasmo di vedere la sorella maggiore; ella, a propria
volta, si sentiva felice nel constatare che le condizioni del
fratello fossero migliorate al punto da permettergli non solo di
alzarsi dal letto ma anche di andare in giro per la clinica con un
minimo aiuto.
Lei
annuì, raggiungendoli con pochi e ampi passi:
“Saori-ojousama? Gli
altri?” domandò lei, schiacciando il pulsante di
chiamata
dell'ascensore; Jabu indicò la stanza alle loro spalle con
un
sorriso, “Addormentati. Quanto vorrei avere una macchina
fotografica sotto mano.”.
“Sempre
il solito dispettoso, Jabu-kun.” rise Seika.
“E'
un modo come un altro di collezionare ricordi.” disse invece
lui:
“Riuscite a immaginare la faccia di Tatsumi nel vedere
Saori-san
addormentata su una poltrona? Peccato abbia già perso tutti
i
capelli, altrimenti se li strapperebbe da solo. Conosci Tatsumi,
vero, Seika-san?”.
“Ve
l'ho già detto, Jabu-kun, ragazzi, non c'è
bisogno di essere
formali con me. Potete chiamarmi Seika e basta, anche Seika-neesan,
se vi fa sentire meglio. Insomma, siamo praticamente una famiglia...
Comunque no, in realtà non lo conosco. L'ho visto soltanto
una volta
ma di sfuggita, ho avuto come l'impressione che stesse cercando di
evitarmi...” mormorò Seika pensierosa, ricordando
quel breve
scambio di sguardi che si erano scambiati mesi prima, in una sera
d'estate in cui il maggiordomo era passato a prendere Saori in
clinica per riportarla a casa.
Jabu
rise nervosamente: “Non è facile
abituarsi.” ammise lui.
“Però
tu e gli altri mi avete fatto da scudo e non avete avuto bisogno di
alcuna abitudine. Potete fare questo piccolo sforzo per me.”
e così
dicendo, Seika strizzò l'occhio ai ragazzi presenti:
“Anche Hyoga
ha smesso di usare il -san con me.” fece notare.
Seiya
sbuffò: “Non voglio doverti contendere con
Jabu.” borbottò con
tono falsamente offeso: “Già mi ruba le coperte
quando resta a
dormire qui. In ogni caso, Crapa Pelata non è proprio la
persona più
indicata con la quale cercare di fare amicizia, neesan.”
disse lui,
“Non lo è mai stato, neppure in
passato.”.
Seika
guardò il fratello minore con aria sorpresa: “Non
capisco.”
ammise lei, “L'ultima volta che l'ho visto sembrava turbato.
E'
successo qualcosa?”
“Non
è mai stato tanto gentile nei nostri confronti,
Seika.” intervenne
Shiryu con un sorriso tirato: “Noi crediamo... Crediamo che
adesso
si senta in colpa.”.
La
ragazza sembrò sorpresa ma si limitò a guardare
alternativamente i
ragazzi, senza dire alcunchè.
“Quando
eravamo bambini, si divertiva a farci del male...” Shiryu non
sapeva come spiegarle la situazione senza turbarla troppo:
“E'
sempre stato crudele con noi, eppure al momento tende a
evitarci.”.
“Definisci
crudele, Shiryu. Mi ribellavo ai suoi metodi violenti contro i
più
piccoli e mi sono trovato più volte appeso a testa in
giù come
bersaglio mobile per la sua spada di bambù. Se la prendeva
perfino
con Shun, con Shun! Che neppure riusciva a guardarlo in faccia per il
terrore!” esclamò Seiya massaggiandosi al contempo
il fianco che
aveva preso improvvisamente a fargli male.
Seika
sussultò e lo afferrò istintivamente per il
braccio, stringendolo a
sé: “Ma Saori-ojousama...”
mormorò sconvolta.
Geki
scosse la testa: “Era una bambina come noi e tutti la
viziavano.
Anche lei... Anche lei è stata crudele nei nostri confronti
ma
all'epoca non era in grado di comprendere cosa stesse facendo,
nessuno gliene fa una colpa.” disse lui spingendo i ragazzi
nell'ascensore appena arrivato, “Quando sono riuscito a
tornare in
Giappone... All'inizio, la detestavo.” ammise candidamente
Seiya,
chinando il capo, “Ero sicuro che non avesse fatto nulla per
trovarti, neesan, che volesse soltanto farci uccidere nel suo
spettacolo. Poi però...”
“Poi
però...?”
“Sono
successe molte cose da allora.” intervenne Shun, stretto in
un
angolo dell'ascensore: “Abbiamo imparato a conoscerla, a
conoscere
la coscienza di Atena dentro di lei, l'abbiamo seguita e protetta.
Vedi, anche lei ha sacrificato molto per questo mondo e non ce la
sentiamo di colpevolizzarla per qualcosa sulla quale non aveva alcun
potere. Forse è stata lei a pagare il prezzo più
alto di tutti.”
sospirò lui.
“L'abbiamo
perdonata, per quello che c'era da perdonarla. Ma mentre noi eravamo
in addestramento... lei deve aver visto il proprio mondo andare in
pezzi mentre lentamente si rendeva conto di tutto quello che deve
aver fatto da bambina.”.
“Ma
come fate ad esserne sicuri...?” Seika era ancora turbata da
quelle
confessioni.
“Perchè
l'ho sentita.”.
A
sorpresa, Ban si era fatto avanti, pallido e lo sguardo puntato verso
il pavimento: “Qualche ora fa, ero andato a c-cercare il
medico per
chiedergli della dimissione di Seiya, avremmo voluto averlo a casa
per Natale. Sono arrivato davanti al suo ufficio e ho sentito
Saori-san che piangeva. M-Mi sono spaventato e sono rimasto a
sentire, p-pensavo che f-fosse qualcosa che riguardava Seiya. Invece
piangeva per quello che ci ha fatto, per quello che
c-contribuì a
fare.” confessò il ragazzo con un filo di voce,
“Si sentiva in
colpa e p-piangeva per noi.”.
Shun
gli strinse il braccio: “Ne parlavamo prima, in camera. Come
Saint,
ne siamo usciti malconci ma lei non ha avuto una sorte
migliore.”.
Il
segnale sonoro dell'ascensore ne annunciò l'arrivo al piano,
le
porte si aprirono con un fruscio e i ragazzi si sparsero al di fuori,
guardandosi attorno: “La caffetteria è da quella
parte.” disse
Shiryu, indicando il fondo del corridoio e la porta che si apriva su
un'altra stanza, più ampia e luminosa. In silenzio, col solo
rumore
dei loro passi come compagnia, il gruppo di fratelli si mosse,
raggiungendo in breve l'accesso; all'interno, non videro nessuno,
solo la ragazza dietro il bancone che sembrava affaccendata nelle
pulizie.
“Noi
cerchiamo un tavolo abbastanza grande per tutti.” disse
Hyoga,
tirandosi dietro Shun e Ban: “Non dimenticate di prendere
qualcosa
da mangiare per Seika-san.” aggiunse Andromeda, prima di
venir
trascinato via in tutta fretta.
“Ma
non è necessa-” tentò di dire la
ragazza, venendo bloccata da
Shiryu che le sorrideva: “La decisione è
presa.” disse lui, “Hai
mangiato, neesan?” chiese Seiya, osservandola con attenzione.
Imbarazzata,
la ragazza scosse la testa: “Mentre i bambini erano fuori con
Miho-chan, io ne ho approfittato per rimettere un po' in ordine. Non
mi sono neppure accorta dell'ora. Quando i bambini sono tornati, sono
uscita di corsa per venire qui.”.
Jabu
scosse la testa: “Non ti fa bene non mangiare,
neesan.”
insistette Seiya, “Ha ragione, Seika-san.” Jabu
tirò fuori dalla
tasca un piccolo portafoglio di pelle, dal quale estrasse una
banconota da 1000 yen nuova e numerose monete, “Ramen caldo
per
Seika-san, té per Shiryu, Shun e Hyoga, kasutera per me e
Ban, caffè
per Geki...”
“Io
voglio una cioccolata calda!” intervenne Seiya.
“E
una cioccolata calda per il marmocchio.” concluse Jabu,
contando
con attenzione i soldi nel palmo della mano: “Perfetto,
possiamo
ordinare.” annunciò, avvicinandosi al bancone.
La
giovane donna dietro di esso alzò la testa e sorrise,
agitando la
mano in un segno di saluto: “Buongiorno ragazzi, cosa posso
fare
per voi?”
Jabu
ripetè l'elenco delle richieste e le porse i soldi:
“Grazie.”.
Lei
annuì e sparì nella piccola cucina, dalla quale
ben presto giunse
il rumore di stoviglie e pentole che cozzavano le une contro le
altre; appoggiato con la schiena al bancone, Jabu incrociò
le
braccia al petto: “Non ci vorrà molto,
è veloce.”.
“Ma
non era necessario. Avrei mangiato con calma assieme a Miho-chan
stasera a cena.”
“Neesan,
mancano ancora parecchie ore. Non farmi fare il fratello maggiore che
ti rimprovera perchè non mangi, sarebbe troppo
strano.”
“Ecco
a voi ragazzi.”
Il
vassoio con tutti gli ordini fumanti venne poggiato con delicatezza
sul bancone e Shiryu lo prese in mano: “Grazie.”
rispose lui.
“È
il mio lavoro. E poi, è bello vedervi più
sereni.”
“Grazie
per l'altra sera, Jean mi ha portato i ramen.” intervenne
Seiya,
avvicinandosi con passo traballante: “Erano
buonissimi.”.
La
ragazza gli sorrise mentre riprendeva a sistemare dietro il bancone:
“Sono contenta che ti siano piaciuti, E poi, Jean-kun
è sempre
così disponibile e affettuoso con i pazienti che ha voluto
ad ogni
costo occuparsene, io mi ero già organizzata per portarteli
personalmente.”.
“Jean
è veramente gentile, ha sempre un mucchio di caramelle
nascoste
nelle tasche da darmi.”.
“Ora
capisco perchè, di recente, non hai più
così tanto appetito. Mangi
fuori pasto.” Shiryu teneva il vassoio in equilibrio ma al
contempo
lo squadrava con espressione severa: “Dovremmo fare un
discorsetto
sulla questione.”.
Per
tutta risposta, Seiya gli fece una linguaccia e andò a
nascondersi
dietro la schiena di Geki: “Ho bisogno di zuccheri per
riprendermi!”
“Ammettilo
che in realtà sei solo un inguaribile goloso.”
“Senti
chi parla... Chi si è appena ordinato un pezzo di kasutera
da
mangiare da solo?”
“Buoni
bambini.” sorrise Geki, spostandosi di lato e dando una
leggera pacca sulla schiena di Seiya: “Andiamo a sederci
prima che si raffreddi tutto.
Grazie
signorina.” e con un leggero inchino alla ragazza, Ursa Minor
prese
i due fratelli più giovani sotto braccio e li
accompagnò fino al tavolo,
seguito
da breve distanza da Seika, che non la smetteva di ridacchiare dietro
la mano sollevata a coprire la bocca, e Shiryu.
Shun
si alzò non appena li vide avvicinarsi per spostare la sedia
dove
far accomodare Seiya: “Ci avete messo poco.”
notò lui, riponendo
le stampelle contro la parete perchè non fossero d'ingombro,
“La
signorina è sempre veloce ed efficiente. Attento che la
teiera
scotta.” rispose Shiryu, iniziando a distribuire piatti e
tazze;
una volta serviti tutti, si sedette a propria volta.
“Come
sono i ramen, neesan?” s'informò Seiya, il labbro
superiore sporco
di cioccolata.
“Buonissimi.
Non mi ero accorta di avere così tanta fame.”
“Immaginavo,
Seika-chan.” Shun sorrise gentile: “Avessimo saputo
che fossi
passata, ti avremmo tenuto da parte anche una fetta della torta dei
bambini.”.
“La
torta di compleanno per Seiya? Com'era, buona?” chiese lei
curiosa:
“Mai mangiata una più buona.” rispose
l'interessato, “Appena
possibile, voglio ringraziarli a dovere.”.
“Quando
ti dimetteranno, verrai a trovarci, otooto.” disse Seika.
“Senz'altro.
Non vedo l'ora di giocare con quelle piccole pesti.”
“Con
calma, Seiya. Non subito, prima devi riprenderti.”
“Ah,
ma sto bene, Shiryu! E poi, il dottore ha detto che vorrebbe
dimettermi presto, no? Quindi anche lui è convinto della
cosa!”
Conscio
che discutere con il fratello minore fosse del tutto inutile, ma
felice per la sua allegria e il suo entusiasmo nei confronti del
futuro, Shiryu riprese in mano la tazza smaltata per bere un altro
sorso di té mentre Seiya si voltava verso Geki:
“Abbiamo una
partita di pallone in programma, gliel'avevo promessa prima di
partire, e stavolta verrete anche voi.”
“Dovremmo
allenarci allora, non gioco a calcio da una vita.”
esclamò Ban,
incrociando le braccia dietro la nuca: “Quei bambini sono
avversari
temibili, dove non arrivano con le gambe, arrivano con le braccia.
Senza contare che giocano tutti insieme contemporaneamente quindi
è
difficile intuire dove andranno a lanciare il pallone.”
intervenne
Hyoga, “E usare il Cosmo sarebbe come barare, quindi
è stato
bandito.”.
“Fammi
capire, salvate il mondo almeno tre volte prima di pranzo e vi fate
mettere sotto da dei bambini?” Jabu era sull'orlo delle
lacrime dal
ridere.
“Non
ho detto questo.” si difese Hyoga: “Solo, non
è corretto usare
il Cosmo contro dei bambini; ti assicuro però che
difficilmente ci
facciamo battere senza lottare.”.
“Lo
sapevo, i marmocchi ve le suonano di santa ragione.”
“Questo
perchè Seiya si ostina a restare in porta, non ne prende
una.”
“Questo,
a casa mia, si chiama arrampicarsi sugli specchi e
non ti fa
onore, Hyoga.”.
“E
poi non gioco così male in porta!”
“Su
questo avrei da ridire.”.
Seika
posò le bacchette sulla ciotola e si sporse verso Shun:
“Sono
allegri, vero?” disse lei, “Otooto, non cavare gli
occhi di Jabu
col cucchiaino.”, aggiunse, sporgendosi verso il fratello per
togliergli di mano l'arma improvvisata.
Shun
non potè non scoppiare a ridere:
“Già.” rispose, osservando i
ragazzi che battibeccavano tra loro ma senza la minima malizia:
“E'
bella la pace.”.
§§§
Quando
Saori aprì gli occhi, la prima cosa che vide fu Nachi chino
su di
lei: “Che succede?” chiese, coprendosi la bocca per
nascondere
uno sbadiglio; dal bagno si udiva il rumore dell'acqua che scorreva e
la ragazza notò non solo l'assenza di Ichi ma anche la
stanza
deserta, tranne che per loro due.
“Ci
siamo addormentati, Saori-san.” confessò Wolf con
le guance
arrossate per l'imbarazzo: “E gli altri devono essere
usciti.”.
“Saranno
andati a far sgranchire le gambe a Seiya, stare chiuso qui dentro non
deve essere il massimo per lui.” fece notare Ichi, di ritorno
dal
bagno: “Li troveremo nel giardino interno, dubito che Shiryu
abbia
permesso a Seiya di uscire con la febbre. Saori-san, se vuole darsi
una rinfrescata al viso...”.
La
ragazza annuì per poi alzarsi: “Aspettatemi qui,
andiamo a
cercarli assieme.” e sparì dietro la porta bianca.
Con
un sospiro, Hydra si gettò sulla poltrona mentre Nachi
raccoglieva
le stoviglie sporche del pranzo: “La mensa è sulla
strada per il
giardino, non ci costa niente riportarle giù.”
aggiunse, incerto
su come interpretare lo sguardo del fratello fisso su di lui; questi
annuì ma non disse nulla, si limitò a concentrare
lo sguardo su un
punto che, Nachi capì, si trovava alle sue spalle.
Voltatosi,
Wolf vide che l'anta dell'armadio era mezza aperta e, da essa, si
intravedeva non solo lo scialle di Seika-san ma anche un certo numero
di disegni appiccicati al legno con pezzi irregolari di nastro
adesivo, disegni di bambini, gli stessi che i loro piccoli amici
avevano donato a Seiya in quei lunghi mesi di coma.
Nervosamente,
ripose le stoviglie sporche e si avvicinò al fratello, che
non aveva
staccato gli occhi dall'armadio: “Ehi, tutto bene?”
chiese con un
filo di voce prima di poggiargli la mano sulla spalla; Ichi
sussultò
e, con uno scatto, spostò lo sguardo su di lui, quegli occhi
neri
come la pece sembravano spalancati su un mondo spaventoso.
Nachi
non disse nulla, si limitò a stringere più forte
le dita nel
tentativo di fargli sentire che gli era vicino: lentamente, Ichi
sembrò riacquistare la propria consapevolezza e, come se si
vergognasse, abbassò lo sguardo, “S-Sì,
tutto a posto.”
mormorò, senza per questo avere il coraggio di guardare
l'altro
negli occhi.
Wolf
sospirò ma non si mosse: “Non ti credo.”
disse soltanto.
Fu
quello il momento in cui Saori ritornò in camera, trovandosi
davanti
la bizzarra scena; sorpresa, restò ferma sulla porta,
osservando la
posizione statica di Ichi e quella tensiva di Nachi:
“Ragazzi?”.
I
due ebbero un sobbalzo e si voltarono verso di lei con l'espressione
di due bambini pescati con le mani nella marmellata: “Tutto
bene?”
chiese lei, asciugandosi il viso con un asciugamano color pesca,
“Siete pallidi.”.
Ichi
scosse la testa e tenne lo sguardo basso: “E' stato solo un
momento, g-giuro.”.
“Vieni
a sederti un attimo qui.” Saori si era accomodata in fondo al
letto
di Seiya e, battendo la mano sulla coperta, invitò il
ragazzo a
raggiungerla: “Non avere paura...”.
Vedendolo
incerto, Nachi lo spinse in avanti – aveva entrambe le mani
poggiate sulle sue spalle – e lo guidò fino al
letto dove Saori lo
attendeva con le braccia spalancate: “E' tutto a posto, non
sei
obbligato a parlare...” mormorò lei, stringendolo
a sé.
Ichi
annuì poco convinto ma non fece alcun movimento ulteriore
mentre il
peso che gli premeva sul petto sembrava diventare sempre più
opprimente, impedendogli quasi di respirare.
“è
stato un anno difficile, per tutti quanti.” la voce di Saori
era
carezzevole e gentile: “Non solo per Seiya, ma anche per voi
che
gli siete rimasti vicini, che avete scoperto il vostro
passato.”
“M-Ma
voi siete stati in prima linea in battaglia, noi non abbiamo fatto
granchè...”
“Avete
protetto Seika-san e avete dato a tutti una ragione per tornare
indietro, hanno avuto la forza di farcela solo perchè
sapevano che
c'era qualcuno ad aspettarli. Avete dato a Seiya una ragione per
vivere ancora.”
A
quelle parole, Ichi ebbe un sussulto e Nachi si avvicinò di
un passo
a loro, pallido in viso e confuso: “In che senso?”
domandò.
Senza
lasciare la presa su Ichi, la ragazza gli sorrise: “Seiya...
Seiya
forse saprà spiegarvi meglio ma, quando abbiamo visto il
Pegaso in
cielo quella notte, sono corsa qui.”
“Me
lo ricordo.”
“Al
mio arrivo, ho sentito il suo Cosmo. Soffriva così tanto,
sentivo il
suo dolore come se fosse stato il mio e non potevo lasciarlo
lì; ho
attraversato le vie del Cosmo e l'ho trovato, era lontano da noi ma
al tempo stesso vicino, ci separava soltanto un velo che
però lui
non riusciva a varcare per la paura, era scisso in due dal terrore di
soffrire ancora e dal desiderio di tornare qui per riabbracciarci e
riabbracciarvi. Tuttavia, non era da solo.”
“Cosa
vuol dire?” mormorò Ichi.
“Assieme
a lui, c'era vostro padre. E non soltanto lui.”
“Intende
dire che...?”
“Lo
spirito di Seiya rischiava di perdersi nel nulla, di sparire e di
andarsene per sempre ma vostro padre, le vostre madri e perfino i
vostri fratelli... Erano tutti lì con lui, lo hanno tenuto
ancorato
alla vita e gli hanno dato un motivo per resistere. E il motivo siete
voi.”
Nachi
sembrava sull'orlo delle lacrime.
“Ripeto,
lui saprà senza dubbio spiegarvi meglio ma non dite che non
avete
fatto nulla. Non ve lo permetto. Anzi, ringrazio gli Dei che non
siate scesi in battaglia assieme a noi, il vostro ruolo è
stato
senza dubbio molto più importante: forse Seiya e gli altri
hanno
salvato l'umanità ma voi avete salvato Seiya. Lo avete
aspettato e
gli avete dato la forza di affrontare il dolore e superarlo, i veri
eroi siete voi.”.
“D-Dice
davvero?”
Con
le lacrime che avevano iniziato a scendere senza freno, Nachi si era
avvicinato a Ichi – nelle medesime condizioni – e
lo aveva
stretto a sé senza tuttavia perdere il contatto visivo con
Saori;
tra le sue braccia, Hydra sembrava più bambino che mai:
“Non
potrei mai mentirvi, né ora né mai. Stamattina ho
parlato con
Makishima-sensei ed è stato lui a farmi capire una cosa
fondamentale. E' stato un anno difficile per tutti e non soltanto
Seiya ne è una vittima ma anche te, Nachi, e Ichi, e Hyoga,
Shiryu,
Jabu... Tutti voi siete vittime, tutti noi siamo vittime ed
è per
questo che dobbiamo darci il tempo necessario per riprenderci e
guarire, per poter affrontare di nuovo il mondo con gioia e speranza.
E se non riuscite a
credere alle mie parole
per il vostro bene, almeno fatelo per quello di Seiya...”.
Nella
stanza si udirono solo singhiozzi soffocati per parecchi minuti ma,
quando infine Saori uscì nel corridoio, seguita dai due
ragazzi, sui
loro volti ancora arrossati per le lacrime vi erano dipinti dei
timidi sorrisi e nei loro occhi si era rinnovata quella fiamma che
sembrava essersi spenta per sempre dopo la Guerra.
Forse
il processo di guarigione sarebbe stato più lungo del
previsto ma
qualcosa cominciava a muoversi.
Capitolo 15 *** 15. Per curare un cuore spezzato, per guarire uno spirito distrutto ***
CAPITOLO
15
PER CURARE UN CUORE
SPEZZATO, PER GUARIRE UNO SPIRITO DISTRUTTO
Tutto
era iniziato con la
paura.
Quella
paura sottile e
beffarda, che ti si insinua nel cuore e che, quando ti accorgi della
sua
presenza, è troppo tardi, ti ha già catturato
nelle proprie grinfie,
spingendoti a fare follie nel tentativo di azzittirla, di allontanarla.
Tutto
era iniziato con la
paura e, sulle prime, Ikki aveva fatto del suo meglio.
Giorno
dopo giorno,
settimana dopo settimana, aveva cercato di tenerla a bada
concentrandosi sul
dolore delle proprie ferite, per poi concentrarsi sul dolore dei
fratelli
ancora in vita, dei fratelli che avevano combattuto con lui e dei
fratelli a
cui dovevano rivelare ogni cosa.
Fino
a quando non era più
riuscito a reggere.
All’indomani
della
confessione, era sparito, volatilizzatosi come nebbia al sole.
Non
li aveva affrontati
lui in prima persona, non ne aveva avuto il coraggio – era
stato un vigliacco,
lo sapeva, ma non pensava di poter reggere i loro sguardi feriti, la
consapevolezza che quello disteso in quel letto troppo grosso per lui
non era
soltanto un amico d’infanzia, un compagno d’armi,
ma sangue del proprio sangue,
un fratello in tutto e per tutto e non solo spiritualmente –
ma ne aveva
sentito i Cosmi confusi e il vociare basso e striato di lacrime che si
erano
scambiati nei corridoi, aveva assistito come un’ombra agli
abbracci impacciati
e silenziosi negli angoli bui dei corridoi deserti della Villa durante
le notti
prima tiepide, poi roventi e via via sempre più fredde, fino
alla notte in cui
era arrivata la telefonata.
Era
appena rientrato in
casa dalla finestra della propria stanza, dopo un’altra
giornata chiuso tra
quelle soffocanti quattro mura e una serata trascorsa a vagabondare per
la
città, alla ricerca di altri stupidi come lui che pensavano
di poter affrontare
i loro problemi con i pugni e il sangue versato – eppure
aveva sempre
funzionato, aveva pensato spesso in cuor suo, un sacrificio di sangue
in
passato aveva sempre contribuito a sconfiggere anche i nemici peggiori
– per
soffocare il proprio dolore e la propria mancanza di risposte.
Per
soffocare la paura.
Aveva
appena varcato la
finestra quando aveva sentito un tramestio fuori dalla propria porta,
poi un
rumore di passi in corsa, di porte sbattute e la voce alta di Ban che
chiamava
a gran voce i nomi dei fratelli – fratelli, che parola
straniera sulle sue
labbra, ancora straniera nonostante tutto – e che urlava a
gran voce la propria
gioia e il proprio sollievo per il risveglio di Seiya.
Quando
Ikki ne sentì il
nome, per un attimo si paralizzò sul posto, nel buio della
stanza disordinata e
dall’odore di chiuso, di lacrime e rabbia, incapace di
razionalizzare quello
che aveva appena udito.
Poi
sentì la voce di Shun
che piangeva davanti alla sua porta chiusa, una voce che lo pregava di
uscire,
di farlo per Seiya.
Una
voce a cui, in
passato, non sarebbe riuscito a dire di no ma che, in quel momento, gli
faceva
più male di un osso spezzato: una voce supplichevole che
veniva sommersa da
quella stessa paura che lui aveva combattuto in ogni modo e che,
purtroppo,
sembrava stesse vincendo.
E per
la prima volta nella
sua vita, non rispose all’appello di Shun.
Ignorò
la voce del
fratello che amava più di se stesso.
Ignorò
la luce, per
l’ennesima volta, per perdersi nuovamente nel buio.
Ma
questo buio era
diverso, più pesante di prima, più forte della
sua anima e del suo Cosmo,
impossibile da affrontare, quantomeno non da solo.
Ma
era un’oscurità
velenosa, che gli avviluppava la mente e lo spingeva giù,
sempre più giù,
facendolo sprofondare in una voragine da cui non poteva scappare.
Si
sentiva di nuovo quel
bambino spaventato in un mondo di macchine sotto la pioggia, con un
fagottino
tra le braccia, in fuga attraverso ombre che non si curavano di loro.
Ma
stavolta, Shun non era
con lui, troppo lontano e Ikki non voleva insozzarne la
felicità ritrovata, gli
sforzi che stava facendo per ricostruire una parvenza di famiglia, come
il
Saint di Andromeda aveva sempre desiderato.
E
perciò, la sola risposta
che aveva trovato in sé era stata quella: e dopotutto, cosa
mai poteva
aspettarsi dal mondo? Cosa mai poteva pretendere dal mondo, un mondo
che aveva
divorato ogni loro grammo di felicità, ogni singola goccia
di sangue che
avevano versato per proteggerlo e che li aveva ripagati con tutto quel
dolore,
con quel destino votato al martirio in quanto Saint ancora prima di
nascere?
Nulla,
se non l'oblio.
Oblio
e paura annidata in
fondo al cuore.
Una
paura che, tuttavia, non
gli permetteva di vedere una grande e sola verità.
Non
era davvero solo.
§§§
Quando
Saori uscì
corridoio mentre finiva di allacciarsi in vita la veste da camera per
proteggersi dal freddo di fine dicembre, trovò Ichi e Nachi
poggiati contro la
parete, in attesa, e lei li ricompensò con un sorriso
affettuoso prima di
tender loro le mani e attendere che le afferrassero, seppur con
titubanza.
Insieme,
i tre percorsero
il corridoio, venendo subito notati da Jean, ancora seduto al bancone
dell'accettazione; il francese si affrettò ad alzarsi e ad
andare loro
incontro: "Mademoiselle Kido," disse il giovane infermiere con un
piccolo inchino, "Seiya-kun e gli altri sono andati di sotto, li ho
visti
prendere l'ascensore con… Seika-san?" azzardò
lui, incerto sul nome della
ragazza dai capelli rossi.
Saori
annuì: "Allora
li raggiungeremo. Il giardino interno è aperto?"
Jean
scosse la testa:
"C'è stata la festa di compleanno per il piccolo Sasaki,
devono ancora
rimettere tutto a posto. Credo che siano andati in
caffetteria…"
"Perfetto,
proprio
dove stiamo andando anche noi." disse Nachi, mostrando il vassoio con
le
stoviglie sporche che bilanciava sulla mano libera: "Se passasse
Makishima-sensei, potresti dirgli dove siamo, Fournier-kun?" chiese
Saori.
Lui
annuì con decisione:
"Lasci fare a me, mademoiselle. Se per il giro delle visite non sarete
ancora tornati, lo accompagnerò personalmente di sotto,
promesso."
Lei
lo ringraziò con un
cenno del capo, poi tirò leggermente le mani dei due ragazzi
e, insieme, si
avviarono verso gli ascensori, in un silenzio niente affatto
spiacevole, anzi
quasi gradevole e caldo, come una coperta di pile in inverno.
Il
breve tragitto passò in
un lampo e ben presto i tre si ritrovarono sulla soglia della
caffetteria
deserta, tranne che per un tavolo, al centro della stanza, accanto a
cui Jabu
cercava di sfuggire dalle bacchette che Seiya usava come arma
impropria, tra le
risate di Seika.
Mentre
Nachi, non visto,
si avviava al bancone per restituire le stoviglie, Saori e Ichi si
avvicinarono
a loro, venendo subito notati da Hyoga, con metà viso
nascosto da una tazza di
tè ancora fumante; ma non disse niente, lasciò
che si avvicinassero abbastanza
perché anche Jabu li notasse e si affrettasse a nascondere
le bacchette che
aveva rubato a Seiya: "Ben svegliati." disse a quel punto Hyoga,
"Siamo usciti per non svegliarvi." aggiunse Shun, seduto al suo
fianco.
"Avete
fatto bene,
ragazzi. Seiya aveva bisogno di cambiare aria." rispose Saori prima di
accomodarsi su una sedia che Seika le aveva passato: "Altrimenti
sarebbe
evaso di nuovo." borbottò Geki, guadagnandosi una linguaccia
dal fratello
convalescente.
Quando
Nachi li raggiunse,
i ragazzi si strinsero per fargli posto e, attorno a quel tavolo
decisamente
troppo piccolo per accogliere tutti, si scambiarono chiacchiere a bassa
voce e
risate sonore che rimbalzavano sui muri bianchi, pugni scherzosi e
abbracci
goffi ma spontanei.
La
sera stava ormai
calando quando, sulla soglia della caffetteria, apparvero Jean Fournier
e il
dottor Makishima, il quale notò subito il suo paziente e la
sua espressione
rilassata e, quasi non osava dirlo, felice.
Makishima
Seiichiro
lavorava nella Clinica della Fondazione da anni e di cose ne aveva
viste
parecchie: aveva visto persone uscirne con le proprie gambe, altre
dentro
un'urna nera, gli erano passati davanti agli occhi talmente tanti
frammenti di
vite che faticava a ricordarli tutti, ma ogni volta che vedeva un
sorriso sul
volto di un suo paziente, segno di una vita che cercava ad ogni costo
di
riprendersi quello che era suo, non poteva fare a meno di sentirsi
sereno a
propria volta.
E non
era soltanto una
questione di aver fatto bene il proprio lavoro: era qualcosa di
più profondo e
importante, di impalpabile e fragile.
Era
la consapevolezza di
aver salvato una vita, una consapevolezza che contribuiva a ricordare
ogni
giorno all'anziano medico perché avesse deciso di
intraprendere quella
professione.
"Makishima-sensei,
Fournier-kun, posso prepararvi un tè?" chiese subito la
giovane donna
dietro il bancone, una volta raggiuntili dopo averli notati.
"No,
grazie, mia
cara. Sono qui da tanto?" chiese il medico, mentre Jean, accanto a lui,
declinava a propria volta l'offerta; lei annuì: "Da un paio
d'ore.
L'orario di visite è finito da un pezzo ma non avevo cuore
di mandare a casa
quei ragazzi. Come sta Kido-kun?"
Il
dottore guardò per un
attimo il gruppo, ignaro della loro presenza, poi sospirò:
"Sta meglio, ha
recuperato molto negli ultimi tempi e volevo fare un'ultima visita per
decidere
quando dimetterlo."
"Sono
certa che una
notizia del genere li renderebbe tutti felici. Anche se questo posto
sarà un
po' triste senza di lui… Non mi fraintenda, sensei!" disse
subito la
giovane donna, alzando le mani verso l'uomo più anziano:
"Sono contenta
che possa tornare a casa e che si sia ripreso, ma è un
ragazzo adorabile e prendersi
cura di lui è un piacere."
"Anche
Meiko-san e
Satsuki-san la pensano così, monsieur le
médecin." disse Jean con un
sorriso: "Seiya-kun è sicuramente pestifero ed esuberante,
ma per qualche
motivo, quando lui è in una stanza, questa sembra
più luminosa, più viva.
Meiko-san stravede per lui e se potesse se lo porterebbe a casa."
"Ma
non credo che
Saori-ojousama ne sarebbe felice. E neppure gli altri ragazzi, ho
l'impressione
che siano parecchio protettivi nei confronti di Kido-kun."
La
voce del dottore
suonava divertita e Jean e la giovane donna si scambiarono un'occhiata,
consci
del fatto che avesse ragione: la famiglia di quel ragazzino a cui erano
così
affezionati avrebbe avuto da ridire, e parecchio.
"Makishima-sensei,
buonasera."
Fu la
voce gentile di Shun
ad attirare l'attenzione dei fratelli sui tre rimasti in disparte a
parlare,
facendo irrigidire appena Seiya che, senza che nessuno l'avesse
apparentemente
notato, impallidì un po'.
Il
dottore si avvicinò al
gruppo a larghi passi, senza smettere di sorridere, ed estrasse dalla
tasca un
termometro digitale: "Sono passato per il giro serale ma ho trovato la
stanza deserta, così Fournier-kun è stato
così gentile da accompagnarmi qui da
voi. Ma non dovete scusarvi, ragazzi," aggiunse, prima che Shiryu
potesse
dire una parola, la bocca già aperta, "Terapia non vuol dire
solo medicine
e punture, vuol dire anche calore e affetto. E anche se è
già finito l'orario
di visite, per questa volta chiuderemo un occhio e non diremo a nessuno
dove
siete stati." il medico strizzò l'occhio e i ragazzi
sembrarono più
rilassati mentre lui si avvicinava a Seiya e poggiava il beccuccio del
termometro sulla sua tempia.
In
pochi secondi, diede il
suo responso.
"Uhm…
Hai qualche
linea di febbre, ma credo che sia per il tuo giro all'esterno di
stamattina,
vero?"
Incapace
di mentirgli,
Seiya annuì.
Poi
il medico tastò petto
e fianchi, ne esaminò le garze che ancora coprivano il suo
petto, dopodichè gli
prese il polso e ne contò i battiti.
Tutta
la stanza sembrò
trattenere il respiro mentre il medico borbottava tra sé e
sé.
Quando
infine si staccò e
permise a Seiya di abbottonare di nuovo la casacca del pigiama dopo
avergli
auscultato cuore e respiro, la prima cosa che fece fu rivolgere un
sorriso
rassicurante ai presenti: "Se prende le medicine che stasera gli
farò
avere e non si strapazzerà troppo, anche se è
ancora un po' debole, Kido-kun
potrà uscire tra un paio di giorni."
Il
silenzio si fece quasi
opprimente per una manciata di secondi, prima che urla di gioia
riecheggiassero
tra le pacche sonore sulle spalle e gli abbracci dei presenti mentre
Seiya,
come svuotato e inebetito, restava seduto sulla propria sedia, fissando
il
vuoto.
"Sul
serio?!"
disse Jabu, con gli occhi sgranati.
Il
medico annuì, poi si
voltò verso Saori con un sorriso: "So che prima ero stato un
po' criptico
ma non volevo darvi false speranze. Ora ne sono convinto, soprattutto
vedendovi
insieme. La medicina può curare le ferite del corpo ma per
guarire davvero
serve ben altro, e voi lo avete. Continuate così e ben
presto Kido-kun potrà
tornare a camminare e avrà la vita piena che si merita."
Nel
mentre, Shiryu,
spostatosi accanto al fratello più piccolo, lo aveva
abbracciato, stringendolo
a sé con tutta la forza che aveva e nascondendone le lacrime
mentre gli
sussurrava qualcosa che né il medico né Saori
potevano udire; a quella scena,
gli altri ragazzi si fermarono e, con gli occhi lucidi, si gettarono su
entrambi, rinnovando l'abbraccio e lasciando che tutto l'affetto che
stavano
imparando ad esprimere fluisse e li avvolgesse come una calda coperta.
"Andremo
a casa,
Seiya… E stavolta verrai con noi…" disse Shiryu,
a voce un po' più alta:
"Andremo a casa, insieme."
Saori
e Makishima videro
il cespuglio di capelli spettinati del più giovane muoversi
in un cenno di
assenso, ma non riuscirono a udirne la risposta a voce, se mai ci fosse
stata.
"D'accordo,
ragazzi,
ma ora è il caso che Seiya-kun torni in camera sua e che voi
andiate a
riposare." disse Jean battendo le mani: "Ci penserò io a
controllarlo."
Seiya
emise una risata
strozzata tra le lacrime mentre Shiryu scioglieva la stretta: "Ci
vediamo
domani. Dopo colazione saremo di nuovo qui." gli promise il Saint di
Dragoon con una carezza sulla testa.
Nachi
annuì e Ichi, al suo
fianco, fece per raccogliere tazze e stoviglie, prima che la giovane
donna,
rimasta fino a quel momento in silenzio, gli rivolgesse un cenno con la
mano:
"È il mio lavoro, ci penso io. Voi tornate a casa, e fate
attenzione per
strada, ha ripreso a nevicare.".
Geki
e Ban si guardarono,
poi, con un sospiro, radunarono i fratelli e li spronarono a tornare di
sopra
per recuperare le loro cose: "Abbiamo un po' di strada da fare, quindi
gambe in spalla. Saori-san, viene con noi oppure la passa a prendere
Tatsumi?"
Saori
scosse la testa:
"Vengo con voi, un po' di aria farà bene a tutti." disse,
per poi
girarsi verso Seiya prima di posargli un bacio affettuoso sulla fronte,
"Ti serve qualcosa?"
A
quella domanda, Seiya
ebbe un tuffo al cuore: in effetti qualcosa c'era, ma non sapeva come
chiederlo, e se potesse chiederlo.
Vedendolo
a disagio e
anche rabbuiato, Saori gli rivolse uno sguardo interrogativo, e,
allontanando
gli altri ragazzi con un gesto della mano, si sedette accanto al Saint
di
Pegasus e gli prese la mano pallida: "Puoi chiedermi tutto, Seiya. Lo
sai."
Con
la coda dell'occhio,
il ragazzo vide i fratelli allontanarsi verso la porta, accompagnati
dal
medico, mentre Jean-kun restava accanto al bancone, discreto, per
accompagnarlo
di nuovo in camera.
Con
il petto pesante, lui
strinse la mano della Dea e la sentì calda, piacevole come
il Cosmo divino che
permeava tutto l'edificio: "Mi chiedevo… Mi
chiedevo…"
Saori
lo vide abbassare lo
sguardo e ne percepì il disagio, ma faticava a capire cosa
lo turbasse a tal
punto.
"Saori…
Avrei voluto
chiederlo tante altre volte, ma vedere Shun triste ogni volta mi ha
fermato. Ma
voglio saperlo. Ikki sta bene, vero?"
Ikki.
Athena
aveva temuto quel
momento: quel momento in cui sapeva che non avrebbe avuto le risposte
che il
suo protetto stava cercando, quelle risposte che lei stessa aveva
cercato a
lungo in quel mese, frugando le vie del Cosmo alla disperata ricerca
del più
testardo e ferito dei suoi guerrieri, senza ottenere nulla.
Non
dubitava del fatto che
fosse ancora vivo, non aveva neppure preso in considerazione l'ipotesi
contraria, ma non era mai riuscita a trovarlo, nonostante le preghiere
alle
stelle: era come scomparso, inghiottito dalle pieghe della notte e del
dolore.
Con
un sospiro, la Dea
annuì ma strinse più forte la mano di Seiya:
"Sarò sincera con te, perché
mentire sarebbe inutile e controproducente. Non lo so, Seiya. Ho
provato a
cercarlo con tutti i mezzi a mia disposizione, ma è stato
tutto inutile."
"Ma
hanno mantenuto
la promessa di dire agli altri del nostro legame, perché
andarsene adesso? Non
riesco a capire, non vuole restare con noi? Non vuole avere una
famiglia?"
gli occhi di Seiya si inumidirono: "Se è per qualcosa che ho
fatto… Se è
per la mia scelta di proteggerti e… Posso chiedergli scusa,
cercarlo e farmi
perdonare…"
Il
corpo magro del
ragazzino tremò, e Saori lo abbracciò per
calmarlo: "Non è colpa tua,
Seiya. Non pensarlo neppure per un attimo." gli sussurrò
mentre gli
accarezzava i capelli, "Io credo che stia male, sia ferito
profondamente
nello spirito e che, come un animale ferito e spaventato, si stia
nascondendo
per curare le proprie ferite. Continuerò a cercarlo. Lo
cercherò e farò di
tutto per riportarlo a casa."
"Me
lo
prometti?"
"Te
lo prometto,
Seiya. Lo troverò e lo riporterò indietro."
§§§
“Ojou-sama,
posso parlarle un attimo?”
Saori
sobbalzò
non appena ebbe chiuso la porta della stanza di Seiya dopo averlo
riaccompagnato di sopra, sorpresa nel venir chiamata da Satsuki:
l'infermiera
la raggiunse di corsa dal fondo del corridoio, la cuffietta bianca
perfetta
sulla testa; con un cenno della testa, Saori la salutò:
“Buonasera,
Satsuki-san. Cosa succede?” chiese, “Se sta
cercando i ragazzi, sono fuori in
cortile, mi stanno aspettando per tornare a casa ma posso
chiamarli.”.
Tuttavia,
lei
scosse la testa e le prese le mani e quel gesto sorprese non poco la
giovane
Athena: “Le devo parlare ma non dei ragazzi, o meglio, non di
Shiryu e degli
altri. Sarò franca, devo parlarle di Ikki. E con la massima
urgenza.”.
Saori
sgranò
gli occhi: “Cosa vuol dire?”
“Ojou-sama,
ho
aspettato parecchio e ho riflettuto molto prima di parlarle, ma mi sono
convinta che fosse l'unica cosa da fare. Qualche sera fa, sono stata
aggredita
sulla strada di c-casa... Dei teppisti volevano r-rubarmi la borsa, ma
Ikki-kun
è apparso all'improvviso per salvarmi. Non sono riuscita a
parlarci molto ma
non mi sembrava in forma, aveva lividi e graffi, sembrava avesse fatto
a pugni
con qualcuno di più grosso di lui, era scontroso e
aggressivo e ha detto che
non ha più fatto visita a Seiya-kun da quando si
è risvegliato. Pensandoci, è
vero che non l'ho più visto in clinica, ma pensavo fosse
perché venisse quando
non ero di turno o perché magari restasse poco. Ma qualcosa,
nel suo sguardo,
mi ha portato a crederci… Ojou-sama, quegli occhi erano
così scuri e pieni di
rabbia che mi sono spaventata, ma non temevo per me, quanto piuttosto
per lui.
C'è qualcosa che si può fare per aiutarlo?"
Mentre
la
giovane infermiera parlava, stringendole le mani e guardandola con
espressione
supplice, Saori sentì il cuore stringersi, e si chiese tra
sé come veicolare
questi sentimenti verso il più testardo dei suoi protetti,
come fargli sentire
tutto l'amore che era lì, pronto per lui, se solo l'avesse
voluto afferrare.
Con
un sospiro
stanco, Saori si divincolò dalla sua presa e ne
afferrò le mani a propria
volta, scrutandola negli occhi.
Satsuki,
imbarazzata, abbassò lo sguardo: "Mi scuso per la mia
insolenza,
Ojou-sama, io…"
Athena,
tuttavia, scosse la testa e le sorrise gentile: "Grazie, Satsuki-san.
Grazie per voler così bene ai miei ragazzi…
Purtroppo non è così facile aiutare
Ikki, soprattutto se non vuole essere aiutato. Ma farò del
mio meglio per
trovarlo e fargli capire che può contare su di noi, su di te
e su tutte le
persone che si sono prese cura di loro in questi mesi."
Più
rassicurata,
Satsuki annuì e Saori la lasciò andare, venendo
quindi salutata con un profondo
inchino: "Grazie di cuore, Ojou-sama… Per qualsiasi cosa, io
sono a
disposizione…"
§§§
Tremando,
se
di freddo o di altro non lo sapeva, Seiya si trascinò con le
stampelle fino al
letto prima di lasciarcisi cadere sopra con un sospiro che sembrava
più un
singhiozzo; affondò il viso nel cuscino e lo prese al tempo
stesso a pugni,
imprecando: "Stupido Ikki, cosa ti salta in testa?!" mugolò
il
ragazzino, mentre una sensazione di opprimente ansia gli premeva sul
petto.
"Stai
facendo preoccupare tutti, stupido fratellone…"
mormorò il ragazzo mentre
una lacrima scivolava sul cuscino.
Nella
sua
mente si affollavano mille idee e pensieri, ma solo una era la strada
che
poteva intraprendere: il mondo al di là della finestra era
freddo e buio, la
notte poteva celare il male ad ogni passo ma sentiva che Ikki aveva
bisogno di
aiuto, che aveva bisogno di lui, da solo e prigioniero della propria
stessa
oscurità e quanto era vero che fosse il Saint di Pegasus,
l'avrebbe salvato
perfino da sé stesso.
Ancora
mezzo
dolorante e debole, ma determinato ad ogni sacrificio, il ragazzino si
lasciò
nuovamente scivolare dal letto e indossò le pantofole, pur
se con difficoltà,
prima di alzarsi facendo leva sul letto sfatto.
Pur
lamentandosi
sottovoce, riuscì a mettersi dritto e afferrò lo
scialle che Seika aveva
lasciato appeso accanto al letto: indebolito anche da quel piccolo
movimento e
con il cuore che batteva forsennatamente, lo indossò a
malapena prima di
prendere le stampelle e puntellarsi per camminare; con fatica,
raggiunse la
finestra, che venne spalancata senza troppi riguardi, facendo entrare
una
corrente di aria gelida.
Seiya
spiò
all'esterno, ma non c'era nessuno in giro, o meglio, nessuno che lui
riuscisse
a vedere: forse poteva farcela.
Da
quel
momento in poi, lasciò fare al suo corpo, reduce di molte
battaglie che gli
avevano insegnato a sopravvivere agli abusi più indicibili:
come se fosse stata
separata dal corpo, la sua coscienza sprofondò lentamente
nel buio; vagò a
lungo sulle strade che venivano via via coperte dalla neve che scendeva
dal
cielo, seguendo quella traccia rovente che lo avrebbe condotto da Ikki.
Sperava
soltanto di essere ancora in tempo, di riuscire a salvarlo da
sé stesso prima
che quel buio di rabbia lo fagocitasse.
"Questa
volta sarò io a salvarti, Ikki…"
§§§
Ikki,
tuttavia, stava perdendo.
Con
le nocche
insanguinate e gli occhi spalancati su un mondo che vedeva soltanto
lui, il
ragazzo non sentiva più alcun dolore, i sensi erano ovattati
e anche se i suoi
aggressori stavano avendo la peggio, ben poco era rimasto del suo
raziocinio.
Colpiva
con
precisione, un pugno, due calci, un altro pugno…
Completamente
soggiogato dalla propria rabbia, non vedeva nient'altro che gli
avversari che
gli si paravano davanti e non si accorse subito della figura
barcollante che,
uscita dal buio di un vicolo laterale, aveva spalancato gli occhi pieni
di
terrore, prima che il suo urlo straziante risuonasse nela notte gelida.
Continuava
a
nevicare sulla strada e il sangue macchiava la neve già di
suo sporca che si
ammassava negli angoli; tutto quel che accadde in quei momenti non fu
mai del
tutto chiaro a Ikki: nello spazio di qualche secondo, dilatato in ore
dalle sue
percezioni, Seiya lasciò cadere a terra le stampelle - che
sbatterono per terra
con un clangore metallico – e lo spinse via prima di gettarsi
nella mischia.
Ikki,
a terra,
lo vide con orrore mentre gli faceva da scudo con il proprio corpo e
prendeva
su di sé la tempesta di pugni e calci che gli avversari,
incattiviti, avrebbero
riservato a Ikki; e intanto lo abbracciò, tremando di freddo
e dolore, senza
lasciarlo andare neppure quando Seiya sentì chiaramente
parte dei punti
saltare, neppure quando si sentì improvvisamente debole per
il sangue che
fuoriusciva.
Stretto
a Ikki
per non cadere, Seiya si accorse di faticare a restare cosciente: "Sono
venuto a cercarti… Ho sentito… Non potevo
lasciarti…" mormorò prima di
chiudere gli occhi per il dolore ormai insopportabile.
La
grossa mano
di Ikki gli accarezzò meccanicamente la testa mentre questi,
lentamente,
sembrava riacquistare consapevolezza: come se fosse un film di cui era
solo
spettatore, ricordò il desiderio di autodistruzione, le
botte, la violenza,
quel buio che anestetizzava i gesti e affogava la paura, il tutto venne
illuminato di nuova luce, come se Seiya avesse di nuovo acceso il sole.
Con
quel corpo
magro e ferito tra le braccia, Phoenix si alzò, troneggiando
sui teppisti:
"Che c'è? Il tuo amichetto non ha più voglia di
giocare con noi?"
sbottò uno di loro dopo aver sputato a terra un grumo di
sangue.
Il
Saint di
Phoenix lo ignorò, mosse qualche passo verso il portone
più vicino e, dopo aver
avvolto Seiya in quello che restava della sua giacca, lo
sdraiò contro la
parete: "Torno subito." gli disse a bassa voce, "Resta qui e non
muoverti…"
"E
dove
vuoi che vada…?" gli rispose di rimando Seiya, tremava come
una foglia e
Ikki sapeva di non avere molto tempo.
In
pochi
minuti, complice anche il rinnovato vigore dovuto all'urgenza del
momento, i
teppisti erano stati messi in fuga oppure giacevano privi di sensi a
terra,
alcuni in un lago di sangue che macchiava la neve, che ciononostante
continuava
a cadere.
Ikki
sputò un
grumo di sangue a terra e restò qualche minuto a osservare
la scena davanti a
propri occhi, ansimando.
Dopodichè,
prese Seiya tra le braccia e sparì nel vicolo più
vicino mentre in lontananza
si udivano le sirene.
Capitolo 16 *** 16. Per rivendicare il posto che mi spetta ***
CAPITOLO
16
PER RIVENDICARE
IL POSTO CHE MI SPETTA
Fischiettando
una versione un po’ stonata di Omatsuri Mambo,
Meiko attraversò il
corridoio diretta alla stanza di Seiya-kun bilanciando tra le mani una
tazza di
tè e una pastiglia di antipiretico.
Il
corridoio era semi-illuminato, tutto era tranquillo e lei
già pregustava un
turno di notte pacifico, per una volta; giunta di fronte alla porta,
bussò una
volta prima di chiamare con voce bassa ma chiara il nome
dell’occupante:
“Seiya-kun, sono Meiko. Posso entrare?”
Ma
la giovane infermiera non ottenne alcuna risposta.
Riprovò,
questa volta con un tono di voce un po’ più alto:
“Seiya-kun, posso entrare?”
Il
silenzio avvolgeva corridoio e stanza.
Inquieta,
Meiko aprì la porta, venendo investita da una corrente di
aria gelida che, per
un attimo, le mozzò il respiro in gola mentre i suoi occhi
si abituavano
all’oscurità della stanza, ingentilita unicamente
dalla luce che proveniva
dall’esterno, dalla Luna nel cielo invernale glaciale.
Luna
che, illuminando il letto posizionato proprio sotto alla finestra, lo
mostrò
vuoto, come un nido da cui erano volati via tutti i pulcini.
La
tazza le cadde di mano e si infranse con un fragore quasi assordante
sul
pavimento, spargendo il liquido caldo sulla moquette.
“SEIYA-KUN!”
§§§
Saori
stava salendo le scale che portavano alla zona notte della villa dietro
a Jabu
quando la voce di Akiko-san la bloccò con il piede a
mezz’aria mentre la
cameriera, con il telefono in mano, entrava di corsa
nell’atrio da un corridoio
laterale.
“Ojou-sama!
È Meiko-san dalla clinica, è successo qualcosa a
Seiya-bocchan!”
I
capelli di Akiko, solitamente in perfetto ordine, erano spettinati e lo
sguardo, normalmente rassicurante, era ansioso; in piedi nel bel mezzo
dell’atrio,
fissava la padrona e i padroncini con espressione sconvolta.
Saori,
voltatasi di scatto, scese rapidamente i gradini con un lembo del
vestito in
mano per evitare di inciampare e, seguita dai ragazzi sui cui volti
passava
ogni sorta di sentimenti negativi - dalla paura alla preoccupazione -,
la
raggiunse e le prese di mano l’apparecchio.
“Meiko-san?
Che succede?” chiese Saori.
“Ojou-sama,
Seiya-kun è sparito dalla sua stanza! La finestra era aperta
e non lo troviamo
da nessuna parte…”
“Avete
controllato in mensa?”
“Jean-kun
ha chiesto anche al guardiano notturno e ai responsabili degli altri
piani,
nessuno l’ha visto.”
Nella
mente di Saori passarono mille idee, una più preoccupante
dell’altra, poi prese
un bel respiro, chiuse gli occhi per un attimo e poi li
riaprì, più calma:
“D’accordo. Torniamo subito, il tempo di arrivare.
Intanto voi continuate a
cercare, per favore.”
“Sarà
fatto, ojou-sama… Ma se fosse uscito dal cortile della
clinica e si fosse
diretto in città?”
“Non
appena lì, valuteremo cosa fare. Per ora, continuate a
cercarlo. Noi stiamo
arrivando.”
“Vi
aspettiamo.”
§§§
Sasagawa
Yoshiko aveva iniziato da poco a coprire i turni di notte in quella
piccola
clinica di periferia ma non aveva mai avuto esperienze negative, fino a
quel
momento.
Era
appena uscita dalla piccola sala ristoro con una tazza di tè
bollente in mano
quando sentì il fruscio delle porte scorrevoli che si
aprivano e, alla luce
asettica dell’ingresso, vide quel ragazzo collassare sul
pavimento, sanguinante,
mentre teneva tra le braccia un altro ragazzino, praticamente un
bambino, in
condizioni decisamente peggiori.
Agitata,
posò la tazza di carta sulla prima superficie piana
disponibile, dopodiché
corse loro accanto: era il medico di guardia e doveva fare del suo
meglio.
Con
delicatezza, aveva scosso la spalla del ragazzo più grande
nel tentativo di
rianimarlo: “Mi senti? Io sono Sasagawa, cerco di aiutarti.
Tu come ti chiami?”
chiese a voce bassa lei, esaminando al contempo quel poco che le era
permesso;
la sua attenzione venne quasi subito attirata dall’involto di
giacca e scialle
ormai irrecuperabili che lui teneva tra le braccia, e dalla voce quasi
inudibile del maggiore: “M-Mio
fratello…” sussurrò con voce strozzata,
Yoshiko
ancora non riusciva a vederlo in viso, “H-Ha
bisogno…”.
La
donna annuì e, seppur a fatica, riuscì a fargli
sciogliere la presa quel tanto
che bastava per vedere la blusa del pigiama del bambino zuppa di sangue
all’altezza del petto.
Manovrando
con attenzione, la donna riuscì infine a sollevare un lembo
di stoffa della
blusa, salvo poi sentire il respiro bloccarsi nella sua gola: qualcuno,
dall’aspetto avrebbe scommesso su un tirapugni, aveva
lesionato una parte di
tessuto cicatriziale piuttosto recente – era ancora roseo e
morbido al tatto –
e buttava fuori sangue.
Rischiava
una brutta infezione.
“Hiroshi-kun!
Porta una barella!” gridò la donna, rivolta in
direzione del corridoio buio.
Si
udì un tramestio di passi e metallo, poi un fruscio di ruote
e infine fece la
sua comparsa una barella lucida, spinta da un giovane infermiere dai
corti
capelli neri e con un paio di spessi occhiali sul naso che doveva avere
l’età
della dottoressa; lui la raggiunse e si chinò al suo fianco,
senza dire nulla,
in attesa di istruzioni.
“Portalo
in sala visite 1, prepara tutto l’occorrente per disinfettare
e suturare e
aspettami.” Disse lei indicando il ferito: “In
fretta, per favore.”
L’altro
annuì e, aiutato da lei, caricò il ragazzino
sulla barella prima di tornare da
dove era venuto.
Yoshiko
sospirò, dopodiché si voltò verso
l’altro ragazzo per assicurarsi che stesse
bene, che non avesse anche lui delle ferite, ma lo trovò
seduto per terra.
Con
le mani ancora grondanti di sangue.
Era
sotto shock.
La
donna gli posò con gentilezza e fermezza una mano sulla
spalla: “Ascolta, io
devo andare a occuparmi di tuo fratello…”
azzardò lei; lo vide trasalire, ma
non fece alcun verso o emise parola, rimase semplicemente immobile.
Titubante,
Yoshiko continuò senza però interrompere il
contatto: “Puoi aspettarci qui,
potresti sederti lì.” propose, indicandogli la
fila di divanetti poco distante,
“E puoi usare il bagno dietro quella porta, se vuoi darti una
ripulita.”
Il
ragazzo non disse nulla, non fece alcun movimento, eccetto che per
l’alzarsi in
piedi, e andò a posizionarsi nell’angolo
più estremo della stanza, puntando
quindi gli occhi sul corridoio deserto.
La
dottoressa sospirò ma si affrettò nella stessa
direzione del suo collega: aveva
un paziente di cui occuparsi e doveva fare presto.
§§§
Erano
quasi le tre del mattino quando lei e Hiroshi uscirono dalla sala
visite dopo
aver accompagnato il paziente in una stanza e averlo messo a letto.
Il
fratello non si era mosso, era ancora nella stessa posizione in cui
Sasagawa
l’aveva lasciato; e fu proprio lei che, seppur incerta, lo
avvicinò di nuovo e
gli si sedette accanto.
“Tuo
fratello ha perso sangue, ma abbiamo curato la ferita,
l’abbiamo disinfettata,
e abbiamo inserito una flebo di liquidi e glucosio, compresi degli
antibiotici
per la febbre che è salita. Gli abbiamo anche somministrato
un leggero calmante
perché era molto agitato, piangeva e chiamava un nome. Per
caso tu sei Ikki?”
Ikki
trasalì, ma dopo qualche secondo annuì piano.
“Posso
farti qualche domanda? Poi ti accompagnerò da lui.”
Lui
annuì ancora.
La
donna trasse di tasca un bracciale in plastica, sporco di sangue e
chissà
cos’altro, le scritte erano praticamente illeggibili, tranne
per uno o due
kanji: “Aveva questo al polso, era per caso ricoverato da
qualche parte? Avete
qualcuno da avvertire? Me ne occuperò io.”
Ikki,
davanti a lei, si passò una mano sul viso, il primo
movimento da essere umano
che lei gli aveva visto fare da quando erano arrivati lì:
“S-Sì, credo di sì…
Credo che fosse ancora ricoverato alla clinica della Fondazione Graude.
Loro
possono... Possono chiamare…”
La
voce del ragazzo davanti a lei era strana, roca, come se il
proprietario non la
usasse da molto tempo e come se l’utilizzarla gli causasse
dolore fisico.
Yoshiko
si appuntò mentalmente quelle informazioni, poi gli rivolse
un sorriso
amichevole: “Si rimetterà, ora farò una
telefonata e dirò loro che Ikki e…?”
“Seiya.”
“Che
Ikki e Seiya sono qui. Ora puoi andare da lui, Ikki-kun, è
nella stanza 106, in
fondo al corridoio.”
Quando
Hiroshi la raggiunse, la trovò al bancone
dell’accettazione intenta a frugare
in mezzo a una pila di fogli: “Non so cosa sia
successo.” esordì lei senza
neppure alzare lo sguardo, “Ma Seiya-kun deve essere scappato
dalla Clinica
Graude. Sto cercando il loro numero.”
Hiroshi
sgranò gli occhi: “Dalla Clinica Graude?! Come ha
fatto?” chiese lui, “Ma
soprattutto, come sono riusciti ad arrivare qui?!”
“Non
lo so,” rispose Yoshiko mentre appuntava un numero di
telefono su un foglietto:
“Ma viste le sue condizioni, è già
tanto che Seiya-kun sia arrivato fin qui vivo.”
Hiroshi
la osservò sollevare il cordless dalla sua base e digitare
il numero segnato
prima di avvicinare l’apparecchio al proprio orecchio;
Yoshiko, da parte sua,
sperava di trovare al più presto qualcuno: non osava pensare
alla
preoccupazione della loro famiglia in quel momento.
§§§
Il
telefono dell’accettazione della Clinica suonava
insistentemente da qualche
minuto, costringendo Meiko ad affrettarsi lungo il corridoio deserto e
abbandonare le ricerche di Seiya.
Stringendo
i denti per la frustrazione, la giovane donna ripensò con
preoccupazione agli
avvenimenti delle ultime ore, dalla sua scoperta della stanza vuota di
Seiya-kun alla telefonata a Kido Manor, con conseguente precipitarsi di
Saori-ojousama e dei signorini; ricordò con tristezza
l’espressione sconvolta
di Shiryu-kun e le sue mani tremanti, a malapena controllate mentre
Shun-kun e
Hyoga-kun gli stavano accanto per rassicurarlo.
Jabu-kun
e gli altri invece si erano subito messi alla ricerca del fratello
scomparso,
dividendosi tra la clinica, il giardino e i luoghi dove poteva essersi
diretto.
Erano
appena rientrati, ed erano nello studio di Makishima-sensei per fare il
punto
della situazione, mentre lei e i suoi due colleghi facevano un ultimo
giro
nella speranza che fosse ancora nell’edificio, anche se con
scarsa fiducia.
Meiko
raggiunse infine il bancone e sollevò il cordless con
stizza: “Clinica Graude,
come posso aiutarla?” rispose, cercando di controllare il
proprio umore e al
contempo mostrarsi professionale.
Fu
una voce femminile a risponderle, stanca e tesa: “Mi dispiace
per l’ora, qui è
la Clinica Hirameki, di Arakawa-ku. C’è qualcuno
con cui posso parlare? È urgente.”
Meiko
sospirò e si premette il ponte del naso per allontanare un
mal di testa in
arrivo: “Mi dispiace, abbiamo un’emergenza al
momento, potrebbe richiamare
domani, per favore?”
La
donna all’altro capo della linea la interruppe:
“Due ragazzi sono arrivati qui
da noi poche ore fa, uno dei due era in brutte condizioni ma
è stato soccorso e
adesso è stabile e riposa. L’altro ragazzo ha
detto di chiamarsi Ikki e ha
detto di essere il fratello del ferito, Seiya-kun. Vi risultano
pazienti con
questo nome? Ikki-kun non ha saputo darmi altre informazioni, tranne
che probabilmente
era ancora ricoverato lì da voi.”
Nel
sentire quei due nomi, Meiko ebbe un tuffo al cuore subito seguito da
una
sensazione di leggerezza e sollievo estreme; si aggrappò
all’apparecchio come
se fosse stato un’ancora e non si curò di
asciugare un paio di lacrime che le
caddero dagli occhi: “Grazie al cielo!”
esclamò con voce rotta lei mentre con
una mano andava a frugare sul bancone alla ricerca di un foglio di
carta per
appuntarsi le informazioni, “Sì, Seiya-kun
è nostro paziente e Ikki-kun è suo
fratello maggiore, sono scomparsi da ore e la loro famiglia
è davvero molto
preoccupata. Può darmi l’indirizzo preciso?
Manderò subito qualcuno a prenderli
per riportarli qui.”.
Dall’altro
capo della linea, Yoshiko sospirò di sollievo poi fece cenno
a Hiroshi di
avvicinarsi mentre Meiko le spiegava succintamente le condizioni
mediche di
Seiya-kun e a cosa fare attenzione intanto che lei organizzava il
trasporto.
L’infermiera
della clinica Graude era così immersa nella conversazione
che per poco non le
sfuggì il passaggio di Saori, seguita dai suoi ragazzi;
quando la notò, a capo
chino e con le labbra strette, fu veloce a interrompere la dottoressa
in linea:
“Aspetti, sono qui… Saori-ojousama!”
chiamò Meiko, coprendo con la mano il
microfono del telefono: “Saori-ojousama,
c’è una dottoressa di un’altra clinica
in linea, dice che Seiya-kun e Ikki-kun sono da loro, li hanno
soccorsi.”
Athena
attraversò il corridoio a larghi passi, seguita dal gruppo
di ragazzi che
parlottavano gli uni sopra gli altri concitati, ma fu la giovane tycoon
a
prendere il cordless e a portarselo all’orecchio:
“Kido Saori, chi parla?”
domandò con tono serio.
La
voce dall’altra parte era tesa ma professionale:
“Pronto, sono Sasagawa,
clinica Hirameki di Arakawa.”
“È
vero quello che mi è stato riferito?”
“Sì,
Kido-san. Seiya-kun e Ikki-kun sono qui da noi. Si sono presentati qui
poche
ore fa, Seiya-kun aveva una brutta ferita sul petto che abbiamo curato
e
fasciato, ma ha la febbre piuttosto alta. Lo ha portato qui Ikki-kun in
braccio
e ora è con lui in una stanza.”
Saori
sospirò di sollievo, lasciandosi sfuggire anche un piccolo
sorriso: “Arriverò
subito a prenderli. Seiya è scappato dalla clinica senza che
nessuno se ne
accorgesse.”
“Sospettavo
fosse qualcosa del genere… Era in pigiama e indosso aveva
soltanto un piccolo
scialle di lana, troppo poco per proteggersi dalla neve. Mi dispiace
aver
disturbato a quest’ora.”
“Non
si scusi, ha fatto la cosa giusta. Per favore, lo prepari per il
trasporto.
Saremo lì il più presto possibile.”
“Sarà
fatto. Vi aspettiamo.”
Quando
Saori riattaccò, il primo volto che vide fu quello
stralunato di Shiryu, i cui
grandi occhi verdi erano velati di lacrime: “Seiya sta
bene.” si affrettò a rassicurarlo
lei prima di posargli le mani sulle spalle, “Ikki
è con lui, no, non ci ho
parlato.” Saori rispose in fretta alla domanda inespressa
negli occhi di Shun,
“Ma partirò non appena Makishima-sensei
avrà fatto preparare un’ambulanza.”
“Dove
sono?” domandò Shun con voce bassa.
“Arakawa…
Non ho idea di come siano finiti lì ma chiederò
informazioni appena arriverò.”
“Possiamo
venire anche noi?” chiese Hyoga con tono irrequieto, subito
spalleggiato da
Jabu al suo fianco: “Esatto! Seiya ha bisogno di
noi!” esclamò Unicorn.
“Calmatevi,
ragazzi. Non voglio portarvi con me non per cattiveria, ma
perché prima vorrei
capirne di più” Saori scosse la testa e prese le
mani di Shiryu, ancora di
fronte a sé: “Non sappiamo cosa sia successo, se
Seiya è scappato senza dire
alcunché ci deve essere un motivo e credo che una folla
preoccupata possa
soltanto peggiorare la situazione. La presenza di Ikki è un
altro discorso,
comunque. Vorrei prima parlarci e capire, per poter aiutare anche lui e
non
lasciarlo solo. Ho fatto una volta questo errore, non voglio
ripeterlo.”
“Saori-ojousama
ha ragione.” disse Geki, a braccia conserte dietro Shiryu:
“Non vediamo Ikki da
settimane, nonostante l’abbiamo cercato in lungo e in largo.
Si comporta come
un animale ferito e non siamo in grado di aiutarlo, non da soli.
È meglio
essere prudenti e solo Athena può fare qualcosa per lui in
questo momento.”
Sconfitto,
Jabu fece un passo indietro: “D’accordo…
Però è frustrante.”
Ban
gli stinse la spalla con la mano: “Lasciamo che se ne occupi
Saori-ojousama.
Siamo troppo agitati e preoccupati, rischiamo di peggiorare soltanto le
cose e
allontanarlo ancora di più.”
Jabu
affossò le mani nella tasca unica della felpa e
incassò il collo nelle spalle:
non disse nulla, ma il suo atteggiamento parlava per lui, parlava di
preoccupazione, ansia e voglia di risposte che tuttavia dovevano
aspettare.
“Perché
non tornate a casa a riposare un po’? Chiedo a Tatsumi di
venirvi a prendere.”
propose Saori, venendo però accolta da sguardi nel panico e
saettanti da una
parte all’altra, quello di Shun era quasi supplice mentre si
aggrappava alla
spalla di Hyoga; nessuno dei ragazzi sembrava a proprio agio con quella
proposta.
“Noi
resteremmo qui, se non è un problema.” disse Ichi
con lo sguardo tenuto basso:
“Vorremmo aspettare il ritorno di Seiya e assicurarci che
stia bene.” aggiunse
Ban; gli altri annuirono, stringendosi gli uni agli altri come se le
rispettive
presenze fossero l’unica medicina a quella malattia che li
torturava, quella
dell’assenza e dell’incertezza.
Con
un sospiro, Saori annuì, consapevole che impedirglielo
sarebbe stato inutile e,
forse, anche deleterio perché avrebbero senza dubbio trovato
un modo per
tornare in clinica o, peggio, per seguirla: “Va bene. Ma
cercate di riposare un
po’, è stata una nottata difficile per
tutti.”
I
ragazzi annuirono e, senza allontanarsi troppo gli uni dagli altri,
andarono a
sedersi sulla panca contro la parete del corridoio che portava alla
stanza di
Seiya, parlando a bassa voce tra loro.
Fu
in quel momento che Satsuki entrò nell’atrio dalla
porta principale senza
neppure togliersi il cappotto e raggiunse ad ampi passi Saori:
“Ojousama,
l’ambulanza è pronta, ci aspetta fuori.
Makishima-sensei ha chiesto di
accompagnarla per assistere Seiya nel rientro.”.
La
giovane donna le rivolse un cenno con il capo poi, con un sorriso ai
ragazzi,
si congedò da loro e la seguì
all’esterno, nella notte buia e gelida.
§§§
“Seiya-kun
è davvero scappato dalla Clinica Graude, Hiroshi-kun. Al
telefono, ho parlato
con Kido Saori-san.”
“Kido
Saori? Quella Kido Saori?
“Credo
di sì, sta venendo a prenderli.”
“Di
persona?!”
“Sì.
Non vorrei sbagliarmi ma… da quel poco che sono riuscita a
decifrare del
braccialetto di Seiya-kun, ho intravisto quello che mi sembrava la
prima parte
del cognome Kido. Che siano parenti?”
“Forse
la Fondazione se ne sta occupando, in fondo sono famosi per la gestione
di
istituti e case-famiglia. E poi, non ho mai sentito di un altro membro
della
famiglia Kido, men che meno di altri due… Ikki-kun ha detto
di essere suo
fratello, no?
Appoggiata
al bancone, Yoshiko sospirò prima di scuotere la testa:
“Non ne ho idea…
Aspettiamo che arrivino e vedremo. Perché non vai a
stenderti un po’? Io
controllo i nostri ospiti.”
§§§
“Mamma…
Natassia-mama… Otou-san… Ikki-niisan mi
odia…”
Abbandonato
tra le braccia della madre sulla riva di quel fiume così
familiare, Seiya singhiozzò
disperato, con il corpo magro che sussultava per gli spasmi dovuti alle
lacrime
e alla disperazione che gli aveva attanagliato le membra, dolorosamente
consapevole dei sentimenti che bruciavano negli occhi del fratello
maggiore
quando si era parato dinanzi a lui dopo averne seguito il Cosmo rovente
attraverso tutta la città innevata e glaciale.
A
nulla, sembravano servire gli accorati appelli delle donne in forma di
spirito
che lo circondavano, avvolgendolo di amore e calore.
“Bambino
mio…” mormorò la madre, accarezzandogli
con dita quasi impalpabili i capelli
sudati per la febbre: “Ikki non può
odiarti…” sussurrò un’altra
voce, simile a
quella di Shun, che aveva aggiunto le proprie mani alle carezze delle
compagne,
“Siete fratelli, condividete lo stesso sangue e avete
condiviso lo stesso dolore,
ma è spaventato, tanto.” la madre dei suoi
fratelli aveva gli occhi lucidi che
le illuminavano il viso incorniciato da una cascata di capelli color
del rame e
contratto per la tristezza.
Lei
gli accarezzò la guancia e gli posò un bacio
sulla fronte: “Non sa affrontare
tutto questo, il mio bambino ha paura, più di quanta ne
abbia mai avuta in vita
sua. Ha avuto paura dei suoi sentimenti verso di voi, di perdere tutto,
di perdere
la sua famiglia dopo averla ritrovata, ha avuto paura perfino di
toccarvi,
temendo di essere lui la fonte della vostra distruzione, come
già pensa sia
stata sua responsabilità in passato… Non
biasimarlo, piccolo.”
“Ma
io sono qui!” singhiozzò Seiya con voce strozzata:
“Mi ha evitato per settimane…
ma io sono qui e sono vivo. Sono tornato per lui.”
“Non
odiarlo per la sua debolezza, bambino mio, perché lui ti
ama, ma non riesce a
liberarsi della propria oscurità.”
“Io
non lo odio!” la voce disperata di Seiya
riecheggiò sulle sponde del fiume,
sotto il cielo terso del mondo spirituale: “È mio
fratello, è la mia famiglia,
come faccio ad odiarlo?!” gridò, “Io
voglio rivederlo… Parlargli… Abbracciarlo
e rassicurarlo che andrà tutto bene… Che sono
ancora qui e che non me ne andrò…”
tra le braccia della madre, sembrava avesse le convulsioni.
“Papà…
Aiutami…”
Mitsumasa
Kido apparve nella corolla di visti apprensivi, il suo volto burbero
emanava
luce e calore.
“Combatti,
figlio mio.” disse soltanto: “Combatti ancora una
volta, per il posto che ti
spetta nel mondo terreno… Combatti anche per tuo fratello.
Devi essere forte
ancora una volta.”
Il
grido che eruttò dalla sua gola lacerò il
silenzio e il legame spirituale che lo
univa a loro, ne vide i visi preoccupati ancora per un attimo prima di
ripiombare
nell’oscurità di una stanza sconosciuta, mentre
Ikki, tenendolo tra le braccia,
ricalcava con la propria espressione ansiosa quella dei suoi cari
appena
scomparsi dalla sua vista.
Seduta
da sola nella sala del trono della Tredicesima Casa, ridotta quasi del
tutto in
macerie al punto che, dal soffitto ridotto a un colabrodo, poteva
vedere lembi
di cielo azzurro, Saori teneva gli occhi chiusi mentre stava accomodata
con il
vestito raccolto sotto i piedi su uno dei gradini rimasti
miracolosamente
integri.
Era
stanca, Athena, stanca come mai si era sentita in vita sua e, per la
prima
volta nella sua vita mortale, sentì il peso della sua anima
divina e immortale:
ogni cellula del suo corpo anelava riposo dopo una battaglia
così tremenda come
quella conclusasi da pochissime ore; probabilmente avrebbe dovuto
riposare,
concedere al proprio fragile corpo di carne il tempo di riprendersi, ma
il
tempo era l’unico lusso che, al momento, non poteva
concedersi per alcuna
ragione.
Doveva
agire in fretta.
Con
il viso contratto in una smorfia di dolore per lo sforzo immane cui
stava
sottoponendo perfino il proprio Cosmo, la giovane donna cercava di
concentrare
in un punto solo ogni singolo frammento di essenza divina a cui
riusciva ad
aggrapparsi: sentiva ancora i loro Cosmi, poteva riconoscerli uno per
uno, pur
nella loro infinita debolezza, quasi invisibili nelle vie del Cosmo, ma
ciononostante
li sentiva ancora.
Ecco
l’Ariete… Poi l’impronta calorosa del
Toro, del Leone… Ecco il doppio Cosmo dei
Gemelli…
E
poi via, via, fino ai Pesci, e ancora un altro che conosceva meno, ma
del quale
non poteva ignorare la carezza gentile di chi ha vissuto per secoli e
secoli e
ha sperimentato per ben due volte la morte fisica.
Simili
ferite non possono non avere un impatto anche sullo spirito.
Aleggiavano
ancora attorno a lei, come se non volessero abbandonare quel posto per
cui
avevano sacrificato tanto, per cui erano morti, tornai in vita e morti
di nuovo…
Dagli
occhi chiusi della Dea sgorgarono un paio di lacrime roventi, che
scivolarono
lungo le sue guance pallide mentre un sorriso di madre ne sfiorava le
labbra e
le dita andavano a intrecciarsi tra loro in una struggente preghiera
per un
miracolo, forse quello più importante: perché, a
volte, perfino le divinità
pregano, quando non gli è rimasto più nulla da
fare nella loro potenza. E Athena
non era da meno: sarebbe strisciata fino ai piedi di Zeus padre per
implorare
pietà, per strappare anche solo uno dei suoi guerrieri alle
grinfie di un limbo
oscuro lontano dalla vita.
Come
era riuscita a riportare a casa i suoi ragazzi, le stelle
più brillanti del suo
firmamento personale, quelle persone che anelava chiamare famiglia ma
che non
osava associare a un simile pensiero per non illudersi di non essere
soltanto una
Dea senza radici e senza possibilità di essere felice,
avrebbe fatto qualsiasi
cosa per salvare almeno uno dei suoi Gold Saint.
“Tornate
da me…” sussurrò con un filo di voce
che sembrò riecheggiare come un’esplosione
nella stanza deserta: “Tornate da me, guerrieri miei, figli
miei…” le parole
eruttarono dalla sua bocca con violenza miste a singhiozzi, mentre le
due dita
si flettevano come su una tastiera di pianoforte nel tentativo di
afferrare
almeno un lembo di quel Cosmo dorato debole che, poteva vederlo, era
davanti a
lei nelle strade infinite che si dipanavano davanti agli occhi del suo
cuore.
Uno…
Soltanto uno…
Almeno
uno…
I
polpastrelli sfiorarono quella luce fioca e la afferrarono come se
fosse stata
fisica, la tirarono con tutta la forza che avevano, centimetro per
centimetro
la trascinarono e più si avvicinava più ad Athena
sembrava che prendesse
energia, che il Cosmo Divino la alimentasse, la nutrisse, per
strapparla alla
morte.
Poteva
farcela…
Doveva
farcela, si disse, scuotendo la testa senza azzardarsi a sollevare le
palpebre.
Almeno
uno.
Glielo
doveva.
In
un tempo che, dilatatosi, parve durare secoli, finalmente lei
sentì un corpo
caldo tra le proprie braccia, pulsante di vita seppur fragile come uno
stelo d’erba
dopo una lunga siccità.
Non
osò aprire gli occhi, ma poteva riconoscerne
l’impronta spirituale mentre in cielo
sentiva ritornare a splendere l’Ariete.
Il
cuore le sobbalzò nel petto quando, mentre sorreggeva tra le
proprie braccia il
corpo vivo di Mu, sentì anche gli altri Cosmi
avvicinarglisi, sfiorarle le
braccia come se fosse immersa nel profondo dei loro spiriti.
Erano
lì, sentì le lacrime affollarle gli occhi mentre
razionalizzava quel pensiero.
Si
erano fatti forza vicendevolmente, non si erano lasciati portar via.
Forte
di quella nuova consapevolezza, semplicemente Athena lasciò
ogni cosa.
Con
la forza di una supernova che esplodeva nella profondità
dell’Universo, la Dea
osò ciò che mai aveva anche solo azzardato di
pensare di osare: come già spesso
aveva sentito fare ai suoi ragazzi, a quel Seiya che in quel momento
combatteva
tra la vita e la morte su un aereo diretto in Giappone, fece esplodere
il
proprio Cosmo divino.
L’intero
Santuario venne inglobato prima da una luce accecante, poi si
udì un lontano
scampanellio, che divenne via via sempre più forte ad ogni
corpo e spirito che
la Dea - immersa completamente nella luce dorata – strappava
con la pura
disperazione che le albergava nel cuore alla morte.
Aldebaran…
Death
Mask…
Aphrodite…
Shaka…
Aiolia…
Kanon…
Shura…
Milo…
Camus…
Dohko…
Shion…
Saga…
Per
ultimo, proprio mentre le ultime forze la abbandonavano e la nausea la
assaliva
a ondate pressoché continue, costringendola a piegarsi sul
pavimento gelido
mentre lo stomaco si svuotava della bile, Aiolos rotolò al
suo fianco,
atterrando forse con troppa violenza tra lei e Saga.
La
luce si spense improvvisamente, il rumore di passi in corsa che si
avvicinavano
alla sala del trono riecheggiò nelle orecchie di Saori, che
si era accasciata
sul corpo di Aiolos; era esausta ma la presenza viva dei Gold Saint al
suo
fianco la ripagava di ogni minima stilla di energia perduta.
Ce
l’aveva fatta.
Ormai
senza freno, le lacrime scorrevano sulle sue guance e lei
lasciò che il loro
calore la scaldasse e la rinfrancasse: i muscoli si rilassarono e la
spossatezza lasciò il posto alla gioia.
All’improvviso,
la porta si spalancò e il silenzio divenne grida di soldati
e imprecazioni, salvo
poi ammutolirsi una volta viste le persone riverse le une sulle altre,
impossibile non riconoscerle.
Fu
la mano gentile di Marin a sfiorarle il polso e a invocarne il
risveglio.
Troppo
spossata per rispondere in maniera coerente, Saori alzò
appena la testa e riuscì
a obbligare le sue palpebre a sollevarsi: quando vide la maschera di
metallo
incastonata tra i capelli rossi, le rivolse un sorriso debole:
“Non potevo
lasciarli…”
Pur
perdendo i sensi subito dopo, Saori sapeva di aver vinto.
Capitolo 18 *** 17. Una famiglia che prende forma ***
CAPITOLO
17
UNA
FAMIGLIA CHE PRENDE FORMA
Ikki
non sapeva cosa l'avesse svegliato dal sonno
poco ristoratore in cui era precipitato, con la testa a ciondoloni sul
petto
mentre sedeva sulla scomoda sedia di plastica che aveva trovato nella
stanza;
con un movimento doloroso, il ragazzo si mise dritto, e
strizzò più volte gli
occhi nel tentativo di distinguere qualcosa nella
semi-oscurità che lo
circondava, mentre il dolore ai muscoli si faceva più
intenso ad ogni nuovo
movimento, o tentativo di farlo.
Con
cautela, mosse il collo: questo piccolo
movimento gli strappò un lamento di dolore, segno che le
botte che aveva preso
dovevano aver lasciato qualche conseguenza.
Sentendosi
stranamente più lucido del solito, il
Saint di Phoenix strinse il pugno e, con fatica, si mise in piedi,
riuscendo
finalmente a distinguere la sagoma del fratello che giaceva sul letto
di fronte
a lui, debolmente illuminata da una fioca luce che proveniva dalla
strada.
Seiya.
Il
pensiero del fratello lo colpì come un pugno
nello stomaco e si rese conto finalmente di cosa l'aveva svegliato.
Piangeva.
Poteva
sentirlo singhiozzare e avrebbe riconosciuto
quei bassi ansimi misti a lamenti ovunque, troppe erano state le notti
in cui
si era ritrovato a dividere la stanza con Seiya quando erano bambini;
in quelle
notti, quando lui sembrava addormentato e senza alcuna preoccupazione
al mondo,
aveva invece trascorso le lunghe ore di buio in bianco, con l'orecchio
teso a
udire i fievoli lamenti che provenivano dal letto di Shiryu, presso cui
Seiya
aveva imparato presto a cercare conforto alla malinconia e al dolore
ancora
troppo fresco di non poter più vedere la sorella.
Aveva
imparato a riconoscerli come aveva imparato
fin dalla più tenera età a riconoscere quelli di
Shun quando si aggrappava a
lui alla ricerca di calore e conforto, di cure e cibo.
E,
forse, già da allora nel suo cuore si era
radicato un seme di affetto, di amore fraterno…
No.
Con
una fitta di dolore che gli squassò il petto,
Ikki si piegò in avanti e trattenne a stento un lamento.
Non
poteva lasciarsi vincere da quel sentimento che
aveva così a lungo tentato di reprimere.
Poteva
ancora sconfiggerlo.
Poteva
ancora proteggerli da sé stesso e dargli la
vita che meritavano, non una vita macchiata dalla presenza di una
persona che
non aveva cercato di fare altro che di ucciderli, di una persona che
aveva
alzato le mani sul sangue del proprio sangue, che aveva odiato tutti
loro e
aveva desiderato la loro morte in maniera dolorosa.
Seiya
era al sicuro, si disse, ricordando quanto
accaduto nelle ultime ore.
Era
riuscito a portarlo in salvo.
Poteva
andarsene, aveva già perso troppo tempo e più
i minuti passavano e più Seiya era esposto al male che
sentiva di emanare da
ogni poro.
Ikki
doveva andarsene.
In
quel momento, dalle labbra del ragazzo più
giovane eruppe un lamento, l'ennesimo, e un'invocazione.
"Mamma…"
Ikki,
titubante, si avvicinò di un passo e,
illuminate dalla luce di alcuni fari di una macchina che passava in
quel
momento, vide le lacrime.
Le
vide scorrere come fiumi in piena lungo le guance
scarne e pallide di Seiya, le vide morire tra le sue labbra e sul
lenzuolo che
lo copriva fino al collo, le vide picchettare il cuscino e inumidirne
il
tessuto.
Non
avevano alcun freno.
Qualunque
cosa stesse sognando Seiya in preda alla
febbre, non doveva essere piacevole.
Il
suo primo istinto fu quello di sfiorargli le
guance pallide con la punta delle dita.
Le
sentì gelide, pelle di ghiaccio contro pelle così
bollente che neppure il freddo più intenso riusciva a
spegnerne il fuoco che
emanava; ne delineò i lineamenti con delicatezza, come il
tocco di un fantasma
che si prepara ad abbandonare per sempre il mondo terreno ma
desiderando
ricordare almeno un po' il volto di una persona amata.
Seiya
si lamentò ancora, singhiozzò nel sonno e
altre lacrime, unite a invocazioni accorate, sgorgarono dai suoi occhi
chiusi.
"Niisan…
Io… Io…"
Ikki
si paralizzò sul posto mentre le orecchie
rimbombavano del battito del proprio cuore che sembrava essere
diventato quasi
assordante.
Seiya
lo stava chiamando.
Seiya
lo stava cercando.
Anche
senza che il fratello avesse pronunciato il
suo nome, Ikki sapeva che lo stava cercando.
Lo
sentiva nella pronuncia accorata di quelle quattro
sillabe, nella supplica che si celava nella sua voce rotta dal pianto.
Ikki
sapeva che Seiya lo stava cercando e che
l'aveva sempre cercato, che si era spinto in un mondo buio e freddo
soltanto
per poterlo rivedere, anche per un attimo.
Fu
quella consapevolezza, improvvisa come il
temporale d'estate, a spingerlo ad agire: con infinita attenzione, la
stessa
cura che aveva riservato in passato soltanto a Shun e che ora sentiva
fosse
qualcosa che doveva anche a Seiya, lo prese tra le braccia e gli fece
poggiare
il capo sul proprio petto; come aveva fatto soltanto per Shun in
passato, lo
cullò tra le braccia mentre le prime lacrime dopo anni di
deserto emotivo gli
caddero dagli occhi, andandosi a mischiare con quelle che ancora
uscivano a
stille da quelli gonfi di Seiya.
Non
si accorse subito del risveglio del ragazzo più
giovane, ma fu la mano di lui, tremante e fredda che sfiorava il
bicipite nudo,
a riscuoterlo; i loro occhi si incontrarono nella
semi-oscurità, castano nel
blu, e il sorriso sghembo che il tredicenne gli rivolse
sembrò illuminare la
stanza di nuova luce, pulsante di vita.
"Niisan…"
sussurrò Seiya con voce roca, di
pianto e malattia.
Con
la gola serrata e incapace di dire alcunchè,
Ikki si limitò ad annuire prima di muoversi con l'intento di
farlo nuovamente
sdraiare, ma Seiya lo bloccò con una mano alzata e tremante,
che gli sfiorò la
guancia: "Dove sei stato, niisan?" mormorò Seiya, "Mi sei
mancato…" confessò con un filo di voce.
Con
la voce nella sua testa che gli urlava di
andarsene, di scappare lontano, di non infettare altri con il male che
trasudava, Ikki si lasciò sfuggire un lamento di dolore,
mentre il cuore nel
petto sembrava sul punto di esplodere, tanto gli faceva male;
combattuto,
diviso tra la volontà di andarsene via e il bruciante
desiderio di restare,
Ikki si piegò in avanti e artigliò con una mano
il lembo della maglietta
all'altezza del cuore mentre altre lacrime continuavano a scorrere dai
suoi
occhi.
Il
ragazzo più anziano strinse i denti mentre nuove
ondate di dolore lo lambivano, i singhiozzi si affollavano nella sua
gola,
impedendogli di respirare a meno di non lasciarli uscire, e Ikki non
voleva
affatto lasciar loro campo libero: non poteva lasciarglielo, oppure
avrebbe
perso quell'ultima stilla di controllo che ancora aveva.
Controllo
che tuttavia perse un attimo dopo, quando
le braccia sottili di Seiya andarono a cingergli il collo e il fratello
affossò
il proprio viso contro la sua spalla: "Niisan… So che hai
paura… Le mamme…
Le mamme me l'hanno detto." confessò lui in un sussurro, "Ma
non devi
più averne, ci sono io qui con te. Io sono qui, e sono vivo."
Poi,
con una mano, Seiya prese quella libera del
fratello e se la portò al petto, all'altezza del cuore:
"È un cuore
malandato, ma batte ancora, e ha continuato a battere per tornare da
te, da voi
tutti… E continuerà a farlo, sempre e soltanto
per voi, per la mia famiglia…"
confessò mentre un tenero sorriso gli sfiorava le labbra
rosate: "Scusami…"
Ikki
non riusciva a parlare, avrebbe voluto
chiedergli per cosa si stesse scusando ma le parole non avevano la
forza di
uscire.
"Scusami
per avervi costretti a vedermi… A
sentirmi morire."
La
voce di Seiya, così sottile, gli diede l'impressione
di un ultimo respiro e istintivamente Ikki lo strinse di
più, come a volergli
impedire di andarsene via ancora.
"Scusami
per tutto il male che vi ho fatto… Che
ti ho fatto."
Era
troppo.
Ogni
singola difesa che il Saint di Phoenix aveva
tirato su negli ultimi anni, sulla strada prima e durante
l'addestramento,
quelle stesse difese che l'avevano reso vulnerabile a paura e rabbia
represse –
le stesse che aveva equivocato come male che suppurava da lui come una
ferita
infetta -, crollò miseramente come un castello di sabbia
travolto dai marosi in
tempesta sull'oceano.
E
mentre piangevano, uno tra le braccia dell'altro,
finalmente le ferite cominciavano a rimarginarsi.
§§§
Fu
un bussare leggero alla porta a distrarre Ikki e
ad attirarne l'attenzione, parecchi minuti dopo.
Sfinito,
Seiya si era appisolato con la testa a
ciondoloni contro la spalla del fratello, il quale l'aveva di nuovo
sdraiato
sul materasso e coperto con la trapunta che fino a pochi istanti prima
giaceva
abbandonata a terra.
Sul
chi vive, il ragazzo più anziano si alzò in
piedi e scrutò la porta con espressione allucinata mentre
questa si apriva con
un cigolio e, dalla soglia, entrava una lama di luce che illuminava la
sagoma
di Saori.
Come
se fosse stato un animale sorpreso sulla strada
dai fari di una macchina, Ikki restò paralizzato sul posto,
incapace di dire
alcunchè mentre il Cosmo divino di Athena abbracciava
entrambi con calore quasi
materno.
Senza
dire nulla, sorridendo appena, Saori
attraversò la stanza in silenzio e li raggiunse; dopo aver
lanciato un'occhiata
rassicurante a Ikki, lei si chinò su Seiya e gli
posò un bacio sulla fronte,
prima di prenderne la mano: "Eravamo preoccupati per voi." disse
soltanto,
non aveva bisogno di specificare chi fosse il destinatario della sua
preoccupazione.
Il
Saint di Pegasus si mosse nel sonno, ma non si
svegliò, a suo agio sia per il calore della coperta che per
la presenza di
Saori al suo fianco.
Quando
finalmente la reincarnazione in terra di
Athena fu soddisfatta, questa si mise in piedi e spostò la
propria attenzione
su Ikki, ancora fermo immobile accanto al letto.
Con
gentilezza, lei gli fece cenno di sedersi sul
bordo libero del materasso, per poi imitarlo subito dopo che questi si
fu
accomodato.
Un
attimo dopo, Saori gli prese la mano e la strinse
nella propria, più piccola e sottile, delicata.
"Sono
venuta a prendervi, se vuoi tornare a
casa con noi." iniziò lei con voce bassa per non svegliare
il suo protetto
esausto: "Non voglio costringerti a fare niente, Ikki."
precisò,
tenendo lo sguardo fisso su quello del ragazzo più grande,
"Ma non è più
necessario che tu ti nasconda, vorrei prendermi cura di te come sto
cercando di
prendermi cura anche degli altri. E non lo faccio perché mi
sento in dovere, ma
piuttosto perché voglio aiutarti, vogliamo aiutarti. Io per
prima sono
colpevole di questa situazione perché è vero che
Seiya aveva bisogno di aiuto,
ma non per questo trascurare te e questo dolore che ti stai portando
dietro da
anni è stata una cosa giusta. Sei rimasto solo troppo a
lungo, e non voglio che
questo accada ancora."
Sulle
prime, la reazione che Ikki ebbe fu di rabbia,
e il ragazzo sentì il proprio Cosmo eruttare con violenza e
quasi
schiaffeggiare Saori, ma la sottile barriera dorata –
invisibile ai più ma non
a lui – la protesse e dissolse il lembo di Cosmo infuocato
che era scattato in
avanti per colpire la Dea.
Questa
gli sorrise triste, ma non lasciò andare la
sua mano: "So che credi di essere il male incarnato, che credi che Shun
e
tutti gli altri stiano meglio senza di te, lo so benissimo," disse lei,
prima di alzare la mano per interromperlo, "Lo so perchè
molto spesso ho
creduto di me stessa la medesima cosa." aggiunse lei, mentre
l'espressione
affettuosa si tramutava in una smorfia di dolore.
"Quando
morì mio nonno… Quando morì mio nonno
e
trovai i documenti dove si parlava di voi, quando trovai il vero
testamento e
non quello fasullo che la Fondazione prese in mano per farmi erede,
ebbi un
momento di mancamento, subentrato da rabbia e dolore. Avevo sempre
saputo di
non essere sua figlia, di non avere con lui alcun legame di sangue,
eppure
avevo osato toccare i suoi figli, avevo osato ferirvi in maniera
indicibile per
un bambino e avevo permesso a Tatsumi di torturarvi. Sì, so
tutto." Saori
rispose alla domanda inespressa sul viso allucinato di Ikki: "Credo di
averlo sempre saputo, e questo non ha mitigato la mia percezione, se
possibile
l'ha esacerbata. Mi sono sentita il male incarnato, la crudele aguzzina
di
bambini che avrebbero avuto più diritto di me di vivere nel
lusso e nella
bambagia, la torturatrice. L'ho detto anche a Ban qualche settimana fa:
la
coscienza di Athena deve essersi risvegliata in quel momento.".
"Siamo
uguali in questo, Ikki. Abbiamo creduto
di essere il male, di ferire ogni cosa che tocchiamo, ogni persona che
ci è
cara, ma la realtà è ben diversa. Torna a casa
con me, con noi. Ricostruiremo
tutto, te lo prometto."
Una
volta di più in quella nottata gelida, malgrado
la paura e la rabbia, Ikki decise di fidarsi: con un semplice cenno di
assenso
con la testa, acconsentì.
Qualcosa,
in lui, si era spezzato, e uno strano
calore – che non pensava più di provare in vita
propria - iniziò a riempirgli
il petto mentre sentiva di aver ripreso a respirare più
liberamente.
Quando
Satsuki entrò nella stanza, seguita dai due
individui che Ikki ricordava avessero soccorso lui e Seiya, lei gli
rivolse un
sorriso gentile prima di concentrarsi su Seiya; in un turbinio di
azioni troppo
rapide perché la sua mente completamente priva di energie
riuscisse a
concepirle, caricarono Seiya su una barella mentre lui e Saori
rimanevano in
piedi a poca distanza.
Quando
terminarono di preparare il fratello per il
viaggio, Ikki rispose con un grugnito al saluto di Sasagawa e del suo
compagno
che si congedavano da loro con alcune ultimeraccomandazioni, la sua attenzione era completamente
assorbita dal viso
pallido di Seiya.
Saori,
con gentilezza, lo tirò dietro di sé lungo il
corridoio e poi all'esterno.
Una
volta che Satsuki e l'autista dell'ambulanza ebbero
caricato la barella a bordo, lei e Ikki salirono a bordo, accomodandosi
sulla
panca accanto a Satsuki.
Meccanicamente,
Ikki prese la mano di Seiya che
spuntava da sotto la coperta e la strinse con forza: non disse nulla,
non ce
n'era bisogno.
Stavano
tornando a casa.
Insieme.
§§§
Quando
l'ambulanza rientrò nel cortile della
clinica, a sirene spente, Meiko e Jean erano in attesa sulla soglia
dell'ingresso dell'edificio principale: una volta apertosi il
portellone, i due
infermieri si avvicinarono per aiutare e facilitare la discesa della
barella di
Seiya – svegliatosi da poco ma ancora intontito -; dietro,
vennero Satsuki,
Ikki e Saori, lei chiudeva la fila con dei documenti tra le mani.
"Bentornato,
Seiya-kun, ci hai fatti
preoccupare." Meiko si chinò sul ragazzino e gli
sistemò i capelli dietro
le orecchie con fare materno.
Jean
si era portato accanto a Ikki per spingere la
barella mentre Satsuki si affrettava all'interno per andare a cercare
il dottor
Makishima e avvertirlo del loro ritorno.
Quando
il gruppetto si ritrovò nel corridoio, Saori
notò subito il resto dei ragazzi addormentati sulle panche,
gli uni
praticamente sopra gli altri: "Gliele ho messe io addosso." disse
Fournier mentre indicava le coperte, "Non hanno voluto scendere in
caffetteria e si sono addormentati così, non volevo che
prendessero
freddo."
Saori
annuì riconoscente: "Grazie del pensiero,
Fournier-kun."
Ikki
non disse nulla, ma restò immobile a fissare il
mucchio di corpi sparpagliati per la fila di panche in posizione
precaria, li
riconobbe per le sfumature delle capigliature, prima Shun, abbracciato
a Hyoga,
poi Shiryu, che era aggrappato alla spalla di Geki, il quale faceva da
cuscino
a tutti quanti; Ban, con la testa di Jabu sulle ginocchia aveva le
braccia
strette attorno alle spalle di Ichi e Nachi.
Non
sarebbe bastata una spranga per separarli.
A
Ikki si chiuse lo stomaco e il groppo che aveva in
gola minacciò di soffocarlo: si lasciò sfuggire
un singhiozzo che, per quanto
basso, ebbe l'effetto di svegliare Shun; il fratello si mosse nel
dormiveglia
tra le braccia di Hyoga, con il risultato di disturbare a cascata tutti
gli
altri e svegliarli.
Ma
fu lo stesso Shun il primo ad aprire gli occhi e
a riconoscerlo.
In
un momento, il più giovane si lanciò tra le sue
braccia, ripetendone in maniera quasi ossessiva il nome;
istintivamente, Ikki
ne fermò la caduta, stringendolo con forza mentre gli altri
attorno a loro
borbottavano per il brusco risveglio.
"Siete
tornati!" esclamò Jabu con voce
arrocchita, quando riconobbe Saori prima e poi Ikki a terra con Shun:
"Dov'è
Seiya?" chiese poi.
"In
camera," indicò Saori, puntando il
dito verso la porta della stanza: "Ha la febbre piuttosto alta e
qualche
graffio, ma sta bene."
Jabu
annuì, poi si alzò dalla panca e si
portò
davanti a Ikki con espressione truce: "Sai che sei veramente
stupido?" gli disse, dopo averlo osservato con aria torva per qualche
minuto, "Dove sei stato per tutto questo tempo? Ti abbiamo cercato un
sacco!"
Ikki
non rispose e, dopo aver sciolto l'abbraccio
con Shun, si alzò in piedi e diede le spalle a Unicorn,
prima di dirigersi
verso il punto più esterno della panca, lo sguardo tenuto
basso e il fianco
tenuto fermo dalla mano mentre si sedeva.
"Ti
sei ferito?" Shiryu fu il primo ad
affiancarlo; con una mano sulla spalla, lo costrinse ad alzare lo
sguardo –
Shiryu lo vide velato di lacrime –: "Fammi vedere." disse, il
suo
tono era pacato ma non ammetteva la minima protesta.
Ikki
lo lasciò fare e, quando il Saint di Dragon gli
ebbe sollevato la maglietta, la prima cosa che questi vide fu la pelle
tumefatta, violacea per una serie di lividi che percorreva il fianco
dall'ascella alla vita; quando Shiryu lo toccò, Ikki si
lamentò.
"Hai
almeno tre costole rotte." lo avvertì,
prima di passare ad esaminare la benda logora e sporca di sangue che
gli
cingeva il busto, sotto la quale si intravedeva una ferita arrossata e
infetta.
Il
resto dei fratelli li circondò, osservando la
scena con orrore.
Shun
sussultò spaventato mentre Jabu allungava la
mano per saggiarne la temperatura: "Quest'idiota ha la febbre!"
gridò, prima di afferrare la mano di Hyoga, sempre gelida,
per usarla al posto
di una pezza bagnata.
Ikki
esalò un sospiro di sollievo intanto che si
lasciava cadere privo di forze contro il muro.
Hyoga
prese la coperta che Shun gli passava e la
drappeggiò sulle spalle del fratello maggiore e Ichi si fece
strada tra loro
con una bottiglia d'acqua in mano: "Me l'ha data Jean-san." disse lui
con una scrollata di spalle, "Makishima-sensei ha quasi finito con
Seiya,
appena possibile verrà qui." aggiunse.
Shun
si sedette accanto a Ikki e posò la testa
contro la spalla del Saint di Phoenix: "Niisan… Come hai
fatto a ridurti
così?" mormorò tra le lacrime.
"Chiederselo
è inutile." Hyoga teneva
ancora la mano sulla fronte del fratello: "Dovremmo piuttosto chiederci
come fare ad aiutarlo." Shiryu, nonostante fosse in pensiero per Seiya,
sentiva di dover prima di tutto occuparsi di quella situazione.
"E
c'è ancora da chiederselo?" Jabu
giocherellava con il cordino della felpa: "Quando Seiya
verrà dimesso,
anche a costo di legarlo e buttarlo in macchina, porteremo alla villa
anche
Ikki."
"Anche
se i modi di Jabu sono un po'… bruschi,
credo che sia l'idea più sensata." Ban, che aveva raccolto
tutte le
coperte e le aveva riconsegnate a Jean, sovrastava i fratelli: "Ha
perso
peso, è praticamente l'ombra di sé stesso, ed
è chiaro che non abbia avuto
molta cura della propria salute. Anche lui è nostro
fratello, e dobbiamo
prendercene cura."
E
mentre i suoi ragazzi discutevano del modo
migliore per curare le ferite sia del corpo che dello spirito di Ikki,
a Saori
sfuggì un singhiozzo commosso.
La
famiglia che aveva tanto sognato stava finalmente
prendendo forma davanti a suoi occhi.
Ikki
aveva appena aperto faticosamente gli occhi, confuso, quando
sentì la voce
familiare di Shiryu.
Voltata
con difficoltà la testa sul cuscino che non riconosceva come
quello della
propria stanza, il ragazzo vide il fratello entrare nella stanza
illuminata dal
sole che entrava dalla finestra per poi appoggiarsi con la schiena
contro la
parete.
Questi
incrociò le braccia sul petto e gli rivolse un sorriso
sollevato: "Hai
fatto preoccupare tutti." disse calmo.
Ikki
non rispose subito, sbattè più volte le palpebre
come a sincerarsi che non
fosse un sogno o una visione, poi si puntellò con le mani
sul materasso e,
malgrado la testa che girava e il dolore al petto, si mise seduto per
poi
guardarsi con espressione perplessa le mani tremanti.
Dopodichè,
il suo sguardo saettò più volte tra la figura del
fratello, ancora in piedi, e
il letto accanto a lui, vuoto.
Non
riusciva a mettere a fuoco i ricordi, il dolore gli faceva capire che
doveva
aver fatto a botte con qualcuno, se più grosso o
più numeroso non ne era certo,
ma non ricordava altro, forse aveva avuto la meglio?
Cercare
di concentrarsi gli provocò una fitta di dolore alla testa,
tale da farlo
piegare in due; in un attimo, Shiryu gli fu accanto con una pastiglia
in una
mano e un bicchiere pieno d'acqua nell'altra: "Prendi questa, ti
farà
sentire meglio." disse.
Ikki
obbedì e buttò giù la medicina con un
singolo sorso d'acqua.
Nel
mentre, Shiryu raccoglieva vestiti e rifiuti abbandonati un po'
ovunque;
restarono in silenzio per parecchi minuti poi, mentre l'antidolorifico
iniziava
a fare effetto e la sua mente recuperava la lucidità, a poco
a poco Ikki
cominciò a ricordare.
E
coi ricordi, giunse anche la consapevolezza.
"Dov'è?"
Sorpreso,
Shiryu si voltò – in mano aveva uno dei pigiami
che Shun aveva comprato per
Seiya in previsione dell'inverno – e fissò Ikki
perplesso: "Chi?"
"Seiya,"
il più anziano si stupì di sentire la propria
voce così roca, innaturale:
"Ricordo che fosse con me, poi mi sembra di ricordare anche
Saori…"
disse con voce incerta; si sentiva ancora confuso.
Con
un sospiro, Shiryu ripose i vestiti sporchi in una borsa a parte poi
gli si
avvicinò: "Non ricordi altro?"
Ikki
scosse la testa.
"Prima
di tutto, devi capire che nessuno ti incolpa per quello che
è successo, eravamo
solo preoccupati."
"Cosa
non mi stai dicendo?"
"Eh?"
"Ieri
notte deve essere successo qualcosa, sono sicuro che sia
così, ma a parte Seiya
e Saori non ricordo nulla. Perché Seiya era con me?"
"Vuoi
davvero saperlo?"
"Sì."
Pensieroso,
Shiryu restò in silenzio per alcuni minuti – il
che contribuì ad aumentare il
nervosismo di Ikki – poi finalmente si sedette sulla poltrona
accanto al suo letto,
per poi guardarlo negli occhi con cautela: "Seiya è scappato
per venire a
cercarti."
Le
spalle di Phoenix ebbero un sussulto ma non proferì parola.
"Mentre
lo cercavamo, ha chiamato qualcuno da una clinica di Arakawa-kun
dicendo che
entrambi vi trovavate lì, perciò Saori
è uscita di corsa con Satsuki-san per
venirvi a prendere."
"Chi
ho colpito?"
"Scusa?"
"La
notte scorsa… Chi ho colpito?"
"Non
hai colpito nessuno di noi, tranquillo. Sei collassato contro la
parete, con la
febbre alta e un paio di costole rotte. Makishima-senseiha detto che ti
riprenderai ma che per un po'
non potrai fare sforzi, men che meno prendere a pugni qualcuno in una
rissa di
strada." Il tono severo di Shiryu irritò Ikki, non tanto per
essere stato
scoperto, quanto per l'imbarazzo che provava nel leggere nei suoi occhi
rimprovero.
"Seiya
dov'è?"
"Jean-san
dovrebbe riportarlo in camera a breve, aveva l'ultima sessione di
fisioterapia
prima della dimissione e Jabu e Ichi si sono offerti di accompagnarlo
per 'fare
il tifo'."
"E
tu sei rimasto qui."
"Qualcuno
doveva farlo, non volevamo che ti svegliassi senza sapere dove ti
trovassi.
Shun è andato a casa a farsi una doccia su insistenza di
Saori e tornerà tra
poco con tutti gli altri."
Nella
stanza cadde il silenzio, rotto nuovamente dalla voce di Shiryu:
"Ikki." disse con tono calmo.
"Uh?"
"Cosa
ti è successo? Ti abbiamo cercato ovunque. Sei scomparso dal
giorno in cui
abbiamo detto agli altri di… di nostro padre."
Dragon
vide Phoenix irrigidirsi alla menzione di Mitsumasa Kido ma si
sforzò di
ignorare la cosa: loro avevano avuto tutto il tempo di elaborare la
cosa ma
Ikki no e doveva aiutarlo in tal senso.
"Perché,
Ikki? Perché sei scomparso così?"
Sulle
prime, sembrò che il ragazzo più anziano non lo
avesse sentito e perciò Shiryu
fece per ripetere la domanda, ma si bloccò non appena vide
un riflesso sulla
sua guancia, quello di una lacrima solitaria sfiorata da un raggio di
sole che
scivolava lungo la pelle.
"Ikki?"
Phoenix
alzò la mano per asciugarsi la faccia con un lembo del
pigiama che qualcuno
doveva avergli messo addosso al posto dei vestiti lerci che non
ricordava
neppure più quando li avesse cambiati l'ultima volta: "N-Non
è
niente."
"Non
sei obbligato ad affrontare tutto questo da solo, lo sai. Lasciati
aiutare,
siamo qui per te."
"Lo so!" gridò il
ragazzo stringendo
i pugni, una vampata di Cosmo rovente eruttò dal suo corpo e
un frammento dello
stesso si staccò per colpire Shiryu davanti a sé,
il quale tuttavia, con calma
imperturbabile, lo bloccò con il proprio.
"Lo
so…" ripetè con voce roca mentre i due Cosmi si
toccavano e quello di
Dragon avvolgeva quello del fratello per abbatterne le difese: "Ma
è di me
che non mi fido… Non ancora del tutto, almeno."
"Cosa
intendi?"
Esausto
per lo sforzo di evocare il Cosmo quando ancora non era completamente
in forma,
le fiamme che avevano circondato Ikki si spensero e il ragazzo
sentì le forze
mancargli; cadde all'indietro sui cuscini poggiati contro la testiera
del
letto, con le lacrime che minacciavano di uscire ancora e un senso di
nausea
alla bocca dello stomaco.
Incapace
di trattenerle oltre, Phoenix le lasciò uscire e si
coprì gli occhi con
l'avambraccio, il corpo scosso dai singhiozzi.
"Ho
cercato di uccidervi." confessò tra i singhiozzi: "Volevo
affogarvi
nel sangue e affogare qualsiasi legame potessimo avere. L'ho fatto
consapevole
di quello che stavo facendo e per anni, per anni non mi sono mai
pentito
davvero della cosa…"
"Ma
sei rimasto, questo conta qualcosa, no? E c'eri anche quando Saori ha
detto a
Jabu e agli altri come stanno le cose."
"Perché
l'avevo promesso, ma piuttosto che trovarmi lì avrei
preferito restare bloccato
nel Cocito per sempre. Non era il mio posto, non avevo diritto di
trovarmi
lì."
"Per
questo sei scappato?"
Ikki
annuì: "Come potevo guardarvi in faccia? Come potevo
guardare in faccia i
fratelli che ho cercato di ammazzare come animali? Con che coraggio
potevo
rispondere al richiamo del sangue quando per primo l'avevo ignorato per
tanti
anni, soffocato da una furia omicida?"
"Sai
che sei proprio un cretino?"
La
voce improvvisa e inaspettata di Ichi fece voltare di scatto i due
occupanti
della stanza verso la porta e, con il cuore in gola, Ikki vide non solo
il
ragazzo più giovane ma anche tutti gli altri, assiepati
dietro di lui, e Seiya
che, in sedia a rotelle, cercava di spuntare da dietro Hydra con la
testa.
Che
avessero…?
"Anzi,
darti del cretino è troppo poco. Sei proprio un dannato
cretino."
"Un
cambiamento epocale. Dovresti insegnare come insultare una persona.
Tenere
proprio delle lezioni."
"Jabu,
taci."
Con
un sospiro esasperato, Hyoga spinse di lato i fratelli, facendosi
spazio, e si
infilò sulla soglia, proprio accanto a Seiya che, con Shun
alle spalle,
sembrava preoccupato.
Con
un gesto della mano, Cygnus fece cenno ad Andromeda di entrare nella
stanza
spingendo la carrozzina, poi gli altri lo seguirono in ordine, fino a
Geki;
l'ultimo a entrare fu appunto Hyoga, il quale si chiuse la porta alle
spalle
con attenzione intanto che gli altri si sistemavano per la stanza.
Seiya
si fece spingere fino al letto e poi, con l'aiuto di Shiryu, si sedette
sul
materasso, guardando Ikki negli occhi: "Ehi, niisan." esordì
sorridendo, "Prendersela con Shiryu non dà soddisfazione,
perché non ci
scorniamo noi? Sono un osso duro, lo sai."
Il
più giovane appggiò la mano sul ginocchio del
fratello e lo strinse con forza
senza però tuttavia smettere di sorridergli rassicurante:
"Te l'ho detto
la notte scorsa," continuò prima di allungare la mano per
afferrare quella
di Ikki e portarsela al petto, "Questo cuore malandato non smette di
battere, e continuerà a farlo per voi, perché
siete la mia famiglia, abbiamo lo
stesso sangue. Sono tornato per voi, e per restare." la stanza
trattenne
il respiro, quelle parole erano come un pugno nello stomaco per tutti i
presenti.
"Ma
vedo che non è servito a molto. Dobbiamo affrontare questo
discorso una volta
per tutte. E lo affronteremo tutti insieme. Ora." esclamò il
Saint di
Pegasus con tono determinato.
Geki
si fece avanti: "Seiya, non è necessario che-"
"Ah,
no! Stavolta si fa come dico io." lo interruppe l'altro:
"Sì, lo
confesso, ho spinto io gli altri a fare quella promessa di rivelarvi
chi siamo,
chi sia nostro padre, e non me ne pento." così dicendo,
guardò Jabu, poi
Ichi e Nachi, Geki e infine Ban, "Non c'ero per dirvelo, ed
è l'unica cosa
di cui mi pento. Ma non del resto. Voglio che questa famiglia funzioni
e sia
felice, non voglio più perdere altro tempo in lotte inutili,
voglio essere
felice con voi. S-So che non siamo mai stati molto uniti, anche da
bambini," Jabu distolse lo sguardo, incapace di reggere le lacrime che
Seiya stava versando, ben conscio che fosse lui il primo a cui Seiya
aveva
pensato, ricordava fin troppo bene la crudeltà che aveva
riservato nei propri
gesti ai più piccoli, "Ma possiamo ricominciare. Io vi
perdono, perdono
tutti quanti. Perdoniamoci a vicenda ma basta lacrime… Basta
rimpianti… Non
p-penso di farcela a vedervi ancora così, a vederci ancora
così."
La
voce di Seiya si affievolì in un rantolo mentre la testa si
abbassava e i
capelli che, lentamente, stavano ricrescendo dopo le operazioni gli
coprivano
gli occhi, le spalle erano scosse dai singhiozzi; sempre a capo chino,
Seiya
riprese a parlare nonostante gli spasmi e disse tutto quello che aveva
tenuto
dentro di sé per così tanto tempo,
mormorò tutte le scuse che non era riuscito
a dire prima, tutte le parole che avrebbe voluto dire e che non aveva
mai avuto
il coraggio di pronunciare.
Quando
infine, sfinito, esalò l'ultima di esse, questa fu la
più devastante e al
contempo la più dolce.
"Vi
voglio bene."
Fu più di
quanto riuscissero a sopportare.
Dopo
un istante di silenzio talmente dilatato da sembrare secoli, la
reazione dei
presenti fu unica.
Come
se fossero stati una persona sola, i ragazzi in piedi si lanciarono sul
letto
per abbracciare sia Seiya che Ikki, i quali vennero avvolti da una
miriade di
braccia calde che si spintonavano e si aggrappavano le une alle altre,
in una
stretta praticamente impossibile da sciogliere mentre le voci rotte
dalle
lacrime si scambiavano scuse e donavano perdono, con parole di amore
che
danzavano negli occhi e a poco a poco fiorivano dagli sguardi.
Non
c'era confine, non c'era nessun muro invisibile di odio e rammarico a
separare
gli uni dagli altri, ogni difesa era crollata e ad ogni lacrima una
ferita
dell'animo veniva curata.
A
un certo punto - nessuno avrebbe saputo indicare con esattezza quando -
qualcuno aveva unito i due letti e, nel momento in cui le lacrime si
erano
esaurite per lasciare il posto allo stordimento dopo aver pianto
così tanto, si
erano lasciati cadere sui materassi, incapaci di allontanarsi.
E
fu così che Saori li trovò, qualche ora dopo.
§§§
"Ragazzi?
Ci siete?"
Il
bussare alla porta, unito alla voce gentile della ragazza,
svegliò il gruppo
che si era appisolato nel calore di un ritrovato legame.
Sfregandosi
gli occhi e tirandosi su a vicenda, gli occupanti della stanza
invitarono Saori
a entrare e nel vederli così, accoccolati su due letti
troppo piccoli per
accoglierli tutti, il cuore di Athena ebbe un tuffo e lo stomaco le si
strinse
in una morsa.
Ciononostante,
si sforzò di sorridere e di ignorare l'impulso di piangere
per mostrarsi sicura
di sé e rassicurante: "Stavate dormendo?" chiese.
"S-Sì."
sbadigliò Nachi prima di scendere per primo e andarle
incontro: "Che ore
sono?"
"Tardo
pomeriggio. Avete mangiato?"
"Non
proprio. Ma potremmo scendere in caffetteria e prendere qualcosa. Vuoi
venire
con noi?" la invitò Shiryu mentre si massaggiava il collo
indolenzito.
"Ho
mangiato a casa. Ma prima che scendiate, vorrei parlarvi. Non
preoccupatevi,
sarà una cosa breve."
"Non
è la lunghezza che ci preoccupa." Le fece notare Dragon con
espressione
perplessa: "è successo qualcosa?"
"Ci
sono brutte notizie?" chiese Shun con tono allarmato.
Lei
scosse la testa: "Va tutto bene, solo che vorrei discutere con voi di
una
certa cosa. Ma se non ve la sentite possiamo parlare un'altra volta,
non è
importante."
"Non
c'è momento migliore del presente." ribattè
invece Seiya con uno sbadiglio
e stiracchiandosi: "Cos'è quella roba che hai in mano?"
chiese,
notando solo in quel momento il plico di documenti che la ragazza aveva
con sé.
Nervosamente,
Saori distolse lo sguardo da loro e li appoggiò sulla
cassettiera lì accanto
prima di portarsi davanti ad essa con le mani strette tra loro come in
preghiera: "Premetto che non siete obbligati a rispondere subito alla
mia
richiesta. Ma dopo ieri notte… Dopo ieri notte ho pensato
che fosse il momento
giusto. Ci sono alcune cose di cui dobbiamo discutere, e la prima
riguarda le
volontà di mio no- di vostro padre."
Nella
stanza cadde un silenzio di tomba.
Con
mano ferma ma il viso turbato, Saori distribuì a ciascuno un
plico di fogli
pinzati insieme: "Ban ne ha già letto un pezzo, ma vorrei
che tutti voi lo
leggeste attentamente. È-È il testamento
originale di Mitsumasa Kido, non
quello che la Fondazione prese in mano per farmi diventare erede
universale ma
quello vero, che era stato affidato a Tatsumi."
"Non
so leggere." Il tono di Seiya era perentorio: "È una cosa
inutile,
cosa cambierebbe ora?"
"Seiya,
è importante." Gli fece notare Shiryu: "Riguarda tutti noi.
Se Saori
dice che dobbiamo farlo, è nostro dovere."
"Manco
per sogno! Ciò che è davvero importante non
può essere scritto su un pezzo di
carta."
"Seiya,
lo so che è difficile. Ma te lo chiedo per
favore…" Saori aveva gli occhi
lucidi: "Leggilo."
Questi
sbuffò platealmente ma non abbassò lo sguardo sul
foglio: "Non capisco perché
intestardirsi tanto…"
"Saori-san
ha ragione, Seiya. Io non sono certo un esperto ma si tratta di nostro
padre, è
una questione di eredità. Dobbiamo sistemare la nostra
posizione." disse Ban.
"È
presto detto, teniamo le cose come stanno."
A
sorpresa, Saori prese le mani del Saint di Pegasus mentre una lacrima
le
scivolava lungo la guancia: "So che è doloroso ma
è veramente importante
per me, è l'ultimo sacrificio che ti chiedo… Ti
prego…"
Stupito,
e forse anche imbarazzato, finalmente il più giovane
annuì e scorse con lo
sguardo le prime righe del documento: "Non ho paura dei sacrifici."
Mormorò
sottovoce, "Soprattutto se fatti in tuo nome.".
Lei
annuì: "So che siete coraggiosi, ma quest'ultima prova
è forse la più
importante di tutte. Io sono stata adottata da lui ma Mitsumasa Kido
è vostro
padre e avete dei diritti."
Jabu
incrociò le braccia dietro la nuca: "È strano
sentir parlare di diritti,
pensando agli ultimi anni. Non è una critica, Saori-san." si
affrettò a
puntualizzare, "Solo, è strano perché non
è qualcosa a cui siamo abituati.
La vita è diversa per noi."
"Lo
capisco." concordò lei con un cenno della testa: "Ci sono
così tante
cose che dovete imparare a conoscere e vi aiuterò in questo.
Il primo passo, però,
è definire la vostra situazione. Ci sono anche i vostri
certificati di nascita
e nessuno può contestarli, ma il testamento è un
altro paio di maniche."
"Saori,
questa storia può impedirti di continuare il lavoro che hai
portato avanti
finora?"
"Non
lo so, Shun. Sinceramente, il mio status come guida della Fondazione
è stata
una conseguenza del testamento fasullo e del fatto che nessuno sapeva
della
vostra esistenza, a parte poche persone. A rigor di logica, e alla luce
della
presenza di tutti questi documenti, i veri eredi dovreste essere voi."
I
ragazzi rimasero in silenzio, scioccati.
"Ovviamente,
qualsiasi scelta facciate io l'accetterò e la
supporterò in ogni modo
possibile."
"Tu
cosa vorresti?"
La
domanda di Ikki, emerso improvvisamente da dietro Seiya, la fece
sobbalzare.
"C-Cosa
intendi?" chiese lei.
"Io
credo che la decisione sia già stata presa. Almeno, io ho
preso la mia e Seiya
probabilmente ha preso la sua, che comunque trascinerà tutti
gli altri. Ma tu,
cosa vorresti davvero?"
"Non
spetta a me. Questa cosa riguarda voi, Ikki."
"Non
è così, e lo sai. La notte scorsa hai detto che
ricostruiremo tutto e se vuoi
che questa famiglia inizi a vivere, è parte del tuo compito
dire cosa vorresti."
La voce di Phoenix era sempre la stessa, diretta e netta, ma qualcosa
nel suo
tono sembrava irrimediabilmente cambiato.
Saori
abbassò lo sguardo e strinse un lembo del vestito tra le
mani. Ci mise un po',
ma quando finalmente riuscì a parlare, sembrava
più bambina di quanto i suoi
Saint l'avessero vista in vita loro: "P-prima di venire qui ci ho
riflettuto molto. Nonostante tutto, state cercando di creare una
famiglia. E… E
per quanto possa sembrare assurdo, vorrei che restaste qui, che
accettaste la
vostra eredità… E che mi permettiate di farne
parte, di e-essere un membro
della vostra famiglia, m-magari una sorella." sentirla balbettare era
qualcosa di strano e quasi sconvolgente.
"So
che non ho diritto di chiedervelo, non dopo avervi fatto
così tanto male quando
eravamo bambini ma davvero, basterebbe anche una cosa minima come
eliminare
l'onorifico…"
Sconvolti,
i ragazzi ne videro le lacrime scorrere senza accenno a fermarsi, miste
a
singhiozzi.
Soddisfatto,
Ikki si puntellò con la mano sul materasso mentre Nachi e
Geki si affrettavano
a cercare un fazzoletto da darle.
"Niisan.
Hai un po' esagerato." Shun sembrava preoccupato.
"Umpf.
Forse, ma pensi che altrimenti avrebbe detto qualcosa?"
"Ikki
ha ragione. Saori, tu non vuoi che nessuno veda quando soffri, non vuoi
pesare
sugli altri quando hai bisogno di qualcosa. Però non
è così che funziona."
Seiya,
messosi su un fianco, la guardava negli occhi: "Te l'ho già
detto una volta:
per me, sei una sorella e non sarà un pezzo di carta a
confermarmelo o meno.
Non voglio leggere quel foglio perché non voglio che cambi
qualcosa o che tu ti
senta obbligata a fare qualcosa che non vogliamo tu faccia, come
metterti da
parte."
"Seiya
ha ragione, Saori-san. Non devi sentirti in colpa." Nachi intervenne
nella
discussione: "Non abbiamo scelto noi questa vita ma è stata
scritta nel
nostro destino, è inutile recriminare e pretendere qualcosa
che non è mai stato
nostro dal principio. I-Io voglio provare. A non usare più
l'onorifico,
intendo. Sei la nostra Dea e ti dobbiamo rispetto, quindi non
sarà facile
abituarsi. Ma anche io voglio che questa famiglia funzioni."
"E
ce la faremo." assicurò Jabu con il pugno alzato: "In fondo,
abbiamo
affrontato di peggio, non sarà come prenderle da Thanatos,
giusto?"
Capitolo 20 *** 19. Senza lasciare indietro nessuno ***
CAPITOLO
19
SENZA
LASCIARE INDIETRO NESSUNO
Quando
finalmente ritornò la calma, Saori si ritrovò
seduta sul letto con la testa di
Seiya, assopitosi, in grembo, e ne accarezzava distrattamente i capelli
mentre
gli altri discutevano a bassa voce del testamento che avevano appena
finito di
leggere ed erano passati a decifrare altri documenti che Saori aveva
portato
con sé.
"Una
cosa è certa." gemette Nachi mentre consultava con
espressione esasperata
un dizionario che aveva chiesto in prestito a Jean: "Nessuno di noi
sarebbe in grado di gestire tutto questo, non da soli perlomeno."
concluse
mentre decifrava righe e righe di difficili espressioni economiche,
tracce per
la gestione della Fondazione alla morte di Mitsumasa Kido,
"Ojo-… Saori,
come hai fatto a non impazzire? È troppo per una persona
sola."
Lei
sorrise gentile: "Ovviamente non ho fatto tutto da sola. Tuttavia,
essendo
mia l'ultima parola, ho dovuto studiare molto." ammise.
"Ti
fa quasi rimpiangere gli anni dell'addestramento." borbottò
Ichi, seduto
sul tappeto con la schiena contro il letto: "Sono riuscito a leggere
soltanto la metà di questi kanji, gli altri sono
impossibili! Mai visti in vita
mia!"
"Questo
perché non sai leggere, dì la verità."
"Ah,
perché tu li hai riconosciuti tutti, vero, Hyoga?"
"Ma
io sono in parte russo, tu sei giapponese purosangue."
"Buoni,
bambini." Geki alzò la testa dal plico di fogli che stava
leggendo con
aria divertita: "Che svegliate il pargolo."
"Chi,
Seiya? Non lo tirano giù dal letto manco le cannonate." Jabu
si sporse
verso Shiryu di fronte a lui per chiedergli come si leggesse un
carattere:
"Anche se tra un po' dovremmo svegliarlo, in effetti… In
fondo, abbiamo
dormito tutto il pomeriggio e dovrebbe mangiare qualcosa e prendere le
medicine. E anche Ikki." disse quest'ultimo prima di rispondere al
fratello.
Saori
annuì: "Credo che Makishima-sensei abbia chiesto a
Satsuki-san di passare
con la cena per tutti, l'ho sentito anche dire che ha una sorpresa per
noi."
L'attenzione
generale si concentrò sulla ragazza: "Che tipo di sorpresa?"
chiese
Ban, sinceramente curioso.
"Non
ne ho idea, non sono rimasta ad origliare, non sarebbe
stato… consono. Ma ormai
è quasi ora del giro di visite, quindi penso che ce lo
comunicherà
personalmente."
In quel momento,
all'improvviso, qualcuno
bussò alla porta e simultaneamente le teste di tutti i
presenti meno Seiya si
voltarono verso di essa: "Avanti." disse Saori.
La
prima cosa che videro fu il carrello, e solo dopo Satsuki che lo
spingeva,
seguita dalla familiare sagoma del dottor Makishima, il quale li
salutò con un
sorriso caldo: "Buonasera ragazzi, avete passato un buon pomeriggio,
spero."
Con
un cenno del capo, la giovane tycoon salutò il medico:
"Quando sono arrivata,
stavano dormendo. E non hanno pranzato."
"Mi
è stato riferito. Ed è per questo che ho
richiesto una consegna speciale. E ho
anche un regalo di compleanno per Seiya, benchè un po' in
ritardo." disse
l'uomo con una busta in mano.
Intanto
che Satsuki distribuiva le ciotole di ramen fumanti - "Regalo di
Mitsuki-san della caffetteria", aveva detto l'infermiera con un sorriso
–
Saori si chinò su Seiya per scuoterlo e svegliarlo: "Seiya?
È ora di
cena." sussurrò all'orecchio del coetaneo, "E
Makishima-sensei ha un
regalo per te."
Infastidito,
sulle prime Seiya si limitò a grugnire e a ignorare i
richiami, ma Saori
insistette e ben presto il ragazzo fu costretto a sollevare una
palpebra e a
osservarla insonnolito: "Sono sveglio… Sono
sveglio…" borbottò lui
prima di mettersi seduto con un po' di aiuto.
"Ben
svegliato, Kido-kun, dormito bene?" chiese il medico con aria gentile.
"Come
un sasso… E ho fame. Cosa c'è per cena?" Seiya
annusò l'aria come un
cucciolo affamato.
"Ramen,
Mitsuki-san li ha fatti per voi." Satsuki passò a Seiya la
sua ciotola e
un paio di bacchette usa-e-getta sopra un vassoio: "Attento, che sono
caldi."
Bilanciando
sulle ginocchia il vassoio e la ciotola piena di brodo, il Saint di
Pegasus
attese che anche Saori ricevesse la propria porzione,
dopodichè osservò con
curiosità la busta che il dottore aveva in mano e che gli
stava porgendo:
"Buon compleanno in ritardo, Kido-kun. Puoi aprirla, se vuoi."
Il
foglio all'interno era bianco e piegato su sé stesso ma,
quando venne dispiegato,
la prima cosa che il ragazzo vide fu il logo della Fondazione e della
Clinica,
poi un fitto muro di kanji ma quello che davvero attirò la
sua attenzione fu il
titolo del documento che aveva tra le mani.
Dimissione.
Per
un attimo, a Seiya mancò il respiro mentre la sua mente
registrava la parola ma
non la concepiva del tutto.
Saori
sbirciò il foglio e sul suo viso apparve un'espressione
sorpresa, che incuriosì
ulteriormente gli altri fratelli presenti: "Che succede?" chiese
Shiryu, in procinto di alzarsi in piedi e verificare di persona; Seiya
però,
nonostante le orecchie che gli fischiavano e le lacrime che,
traditrici, si
affollavano ai suoi occhi, alzò la testa con un sorriso
dipinto sul volto.
"Sono
stato dimesso…" annunciò con un filo di voce.
Una
bomba sarebbe stata meno rumorosa.
In
un istante, la stanza si riempì di grida, voci esultanti che
si coprivano l'un
l'altra e lacrime, questa volta di gioia e sollievo, che nessuno si
preoccupava
di nascondere davvero.
"Quando?!"
chiese subito Jabu.
"Domani…
Da domani posso tornare a casa…"
"Bisognerà
avvertire Seika-neesan."
"Ci
penserò io quando chiamerò Tatsumi, Ichi."
"Vorrei
chiamarla io per dirglielo, Saori…"
"Dopo
cena, Kido-kun, Satsuki-kun ti accompagnerà alla reception
così potrai
telefonarle e darle la bella notizia di persona. E ovviamente, anche
Kido
Ikki-kun potrà tornare a casa con voi, a patto che per un
po' eviti di litigare
con qualcuno di più grosso e cattivo di lui.
Facciamo… Per i prossimi dieci
anni, d'accordo?"
Shun
si sporse per abbracciare il fratello maggiore seduto accanto a lui,
incurante
della ciotola ormai vuota, che cadde a terra con un tonfo.
Mentre
Satsuki, con espressione commossa, fermava Jabu con una mano per
impedirgli di
chinarsi ad aiutarla, Shun strinse con tutte le sue forze Ikki, in un
abbraccio
di cui entrambi sapevano di aver bisogno ma che avevano troppo a lungo
rimandato.
In
una piacevole tranquillità, rotta di quando in quando dai
singhiozzi di Shun e
dalle risate basse e nervose degli altri – Makishima-sensei
si era congedato
subito per proseguire il proprio giro di visite serale -, Shiryu
aiutò Seiya a
non rovesciarsi addosso il brodo intanto che finiva di mangiare mentre
Geki e
Ban, con la collaborazione di Jabu e Nachi, si erano attivati per
sistemare vestiti,
libri, disegni e quant'altro avesse preso residenza in quella stanza
negli
ultimi ormai otto mesi.
Otto
mesi.
Incredibile
come il tempo fosse passato rapido, nella noia di giorni tutti uguali
in attesa
di un qualsivoglia cenno di vita da parte di Seiya – Jabu,
ripensando a quanto
avevano passato, non riuscì a non lanciare uno sguardo di
sfuggita
all'indirizzo del fratello minore, avvolto in un pigiama ancora troppo
grande
per lui -, incredibile la mole di segreti e rivelazioni di cui erano
stati
messi al corrente.
In
otto mesi, avevano toccato con mano la più profonda
disperazione e la gioia più
grande.
Avevano
rischiato di perdere un fratello ma ne avevano guadagnati altri.
Avevano
una sorella, due se si contava anche Seika-san.
Avevano
una famiglia.
Potevano
ancora vivere una vita piena.
Tuttavia,
un'ombra rabbuiò i pensieri di Jabu, il quale –
dopo essersi assicurato
silenziosamente che Seiya stesse bene e che stesse mangiando senza
alcuna
preoccupazione – rivolse un'occhiata preoccupata prima a
Shiryu e poi a Hyoga.
Unicorn
non era un ragazzo stupido, anzi, e in quei lunghi mesi di convivenza -
prima
quasi forzata e poi piacevole nella sua familiarità
– aveva osservato con
attenzione i ragazzi più grandi e non aveva avuto
difficoltà a riconoscerne,
nei volti, il rammarico e il dolore.
Dolore
per la sorte di Seiya, certo, ma anche dolore per qualcosa di
più profondo e
non era difficile immaginare di cosa si trattasse: sapeva quanto
Dragoon e
Cygnus… quanto i suoi fratelli fossero legati ai loro
Maestri, forse le persone
più simili a una figura paterna che avessero mai conosciuto.
Nella
loro vita come comandanti dei soldati semplici del Santuario, Jabu e
gli altri
avevano sentito numerose storie sui Gold Saints e tutti erano concordi
su una
cosa: quando si trattava dei loro allievi, Camus e Dohko potevano
smuovere mari
e monti per loro.
Diamine,
Camus aveva anche deciso di congelare per l'eternità il suo
allievo allo scopo
di proteggerlo dalla morte di una guerra intestina tra Guerrieri di
Athena!
Seppur
con un briciolo di invidia, Jabu aveva ammirato quel sacrificio e aveva
provato
sincero dispiacere quando aveva saputo che Camus di Aquarius era perito
per
mano di Hyoga stesso.
E
quando Saori, all'indomani del loro ritorno in Giappone dopo aver
affrontato
Hades in terra e nell'Elisio, aveva raccontato ai Bronze rimasti in
Grecia
quanto era accaduto nel Regno d'Oltretomba, Jabu era rimasto di sasso.
Dohko,
Camus, perfino Death Mask e Aphrodite, di cui aveva soltanto sentito
parlare, e
Aldebaran…
Tutti
i Gold Saint erano morti, sacrificatisi per permettere a Seiya e agli
altri di
avanzare.
Non
osava immaginare il dolore di Shiryu e Hyoga nel rendersi conto di aver
perso quelli
che per loro erano come dei padri.
Ed
era felice che i suoi fratelli fossero tornati, che Athena avesse fatto
del suo
meglio per riportarglieli e permettergli di poter avere un rapporto con
loro;
tuttavia, non nascondeva che avrebbe voluto di più, anche
solo per poter vedere
Shiryu e Hyoga sorridere davvero e non vederli con quel peso sullo
spirito.
"Ehi,
bell'addormentato. Hai intenzione di mettere via quel paio di calzini
puzzolenti e venire qui oppure preferisci che ti lasciamo solo con
loro? "
Il
tono scherzoso di Ichi e la sua mano sulla propria spalla riscossero
Jabu dai
suoi pensieri all'improvviso, facendolo sobbalzare per lo stupore;
voltatosi di
scatto, Unicorn vide l'espressione perplessa del fratello maggiore con
la mano
a mezz'aria: "Hai visto un fantasma? Sei pallido come un morto." disse
Hydra con tono interrogativo.
La
stanza era silenziosa e fu in quel momento che Jabu si accorse che
mancava metà
di loro: "Seiya è andato a telefonare a Seika-san e gli
altri l'hanno
seguito." disse Saori, seduta sul letto sfatto mentre Geki, accanto a
lei,
faceva cenno a Jabu di raggiungerli, "Dobbiamo parlare di una cosa
importante e per il momento non voglio che nessun altro ci senta."
Curioso,
Unicorn seguì Ichi e si sedette accanto a lui:
"C'è un ultimo segreto di
cui vi devo mettere al corrente, e per la prima volta non so davvero
come dirvi
una cosa del genere senza turbarvi." ammise Saori con lo sguardo tenuto
basso.
"Dobbiamo
preoccuparci?" chiese Nachi: "È stata una giornata pesante e
se è
successo qualcosa di grave…"
"No,
no, anzi. Si tratta di una bella notizia. Non c'è altro modo
per dirvelo se non
così, ragazzi. Sono vivi."
Nella
stanza cadde il silenzio, un silenzio perplesso e pieno di domande.
"Cosa
vuol dire che 'Sono vivi'?" chiese Ban dubbioso.
Jabu
annuì, non capiva cosa intendesse Saori con quelle parole
criptiche.
Ichi,
tuttavia, era sbiancato e, rizzatosi in piedi, guardò Saori
con gli occhi
sbarrati: "S-Stai parlando… Stai parlando dei Gold Saint?"
Saori,
con la malinconia sul viso, annuì, senza dire nulla.
Il
cuore di Unicorn ebbe un tuffo mentre le lacrime gli invadevano gli
occhi e
scattò in piedi imitando Ichi: "È-È
vero? Tutti? S-Saori, Hyoga e Shiryu…
Hyoga e Shiryu devono saperlo!"
Con
una carezza del proprio Cosmo Divino, Athena calmò il
coetaneo sconvolto che
tremava davanti a lei: "Jabu, respira e ascoltami, per favore.
È
importante che ascoltiate tutti perché ho bisogno del vostro
aiuto."
La
ragazza gli tese la mano e lui, seppur goffamente, gliela strinse e si
lasciò
condurre fino al letto, dove venne fatto sedere intanto che Athena
continuava a
tenere la sua mano stretta nella propria; inspirò
profondamente e raccolse le
idee prima di rimettersi a parlare, conscia dell'attenzione dei
presenti su di
sé: "Quando eravate già partiti dalla Grecia per
tornare qui in Giappone con
Seiya, ho approfittato della confusione che regnava al Santuario per
ritirarmi
nel naos. Sapevo che, se mi fossi confidata con qualcuno, mi avrebbero
fermata.".
Athena
si prese un attimo per prendere fiato e osservò le
espressioni sbalordite dei
suoi ragazzi, consapevole che quello che stava per rivelare li avrebbe
sconvolti ancora di più.
"Ho
esploso il Cosmo, ho pensato che… che se fossi riuscita a
riportarne indietro
anche solo uno…"
Ban
sgranò gli occhi e la interruppe: "Così presto?!
Saori, avevate appena
finito di combattere Hades, eri appena stata liberata dal'Urna, avresti
potuto
non sopravvivere!".
Lei
annuì: "Dovevo fare qualcosa. Avevo portato a casa Seiya ma
anche loro
meritavano una possibilità di vivere."
Goffamente,
Jabu le poggiò una mano sul braccio: «Q-Quanti
sono tornati? Saori, ho visto
Hyoga fingere che andasse tutto bene, e così Shiryu, ma
erano davvero legati ai
loro maestri." mormorò lui.
"Lo
so, ed è stato difficile non dire nulla. Ma non sapevo se
sarebbero riusciti a
riprendersi. Ho pregato, ho pregato le vie del Cosmo ogni notte e ogni
giorno,
ho influsso in loro ogni stilla di energia che avevo… No,
non avreste potuto
aiutarmi," li prevenne lei mentre Geki apriva la bocca per esternare il
proprio disappunto: "Se ci fosse stata anche le minima
possibilità, ve
l'avrei chiesto. Ma perfino con il Cosmo Divino mi sono trovata in
difficoltà,
ho consumato gran parte di esso e solo da pochissimo sono riuscita a
recuperare
quel tanto di energia bastante per poterlo richiamare. Sto bene,
ragazzi, di
questo non dovete preoccuparvi. E lo stesso vale i Gold Saint, li ho
riportati
indietro tutti e mi è stato comunicato da poco che si sono
svegliati tutti,
anche Aiolos, l'ultimo che mancava."
"Come
possiamo aiutarti?" chiese Geki con espressione decisa.
"Saori
sorrise stanca prima di guardare l'orologio che portava al polso,
nascosto
sotto la manica del tailleur: "È il momento che questa
famiglia riceva una
bella sorpresa. Prima di venire qui dall'ufficio, ho chiamato
l'aeroporto
privato della Fondazione e ho fatto preparare il jet. Se partiamo entro
un'ora,
possiamo arrivare ad Atene in nottata e in un paio di giorni essere di
ritorno.
Pensavo di chiedere a chi se la sentiva di viaggiare di venire con noi
in
Giappone e trascorrere un po' di tempo alla villa."
"Vorresti
che venissimo tutti per accompagnarti?" chiese Ichi.
Saori
scosse la testa: "All'inizio sì, ma non avevo messo in conto
che
Makishima-sensei avrebbe potuto dimettere Seiya così presto.
Se partissimo
tutti all'improvviso, potrebbero avere dei sospetti e perciò
addio
sorpresa."
"Se
uno di noi partisse con te non ci sarebbero problemi, ti abbiamo
aiutata spesso
con faccende della Fondazione e nessuno sospetterebbe nulla. La scelta
migliore
sarebbe Jabu, ma…"
"Io
vorrei restare qui con Seiya…" ammise Unicorn.
Athena
alzò la mano per posarla sulla spalla di Jabu: "Lo
immaginavo, per questo
non te l'ho chiesto subito. Ed è bello vedere che vuoi
stargli vicino, visti
anche i vostri trascorsi." sorrise lei.
Imbarazzato, Jabu distolse
lo sguardo: "In
passato le cose erano diverse."
"Allora
Nachi."
Ban
indicò il fratello che osservava pensieroso fuori dalla
finestra: "Dopo
Jabu, è quello che ti ha accompagnata più spesso
e nessuno farà troppe
domande."
"Noi
resteremo qui e terremo il fortino. Faremo in modo che Seiya sia ancora
intero
al vostro ritorno. E anche la Villa." intervenne Ichi.
"Vi
ringrazio, ragazzi." disse lei sollevata prima di tirare fuori dalla
tasca
un telefono cellulare: "Chiamo Tatsumi e gli chiedo di preparare una
borsa
al volo per entrambi e di farla portare all'aeroporto, saremo pronti a
partire
entro un'ora."
"Dove
devi andare, Saori?"
Seduto
sulla carrozzina spinta da Shun, Seiya fece capolino dalla porta con
espressione dubbiosa; anche Shiryu alle loro spalle sembrava perplesso
e così
Hyoga e Shun. Ikki non sembrava esprimere alcun sentimento ma i suoi
occhi
parlavano per lui.
"C'è
stato un piccolo contrattempo con alcuni partner commerciali in Europa
e
Tatsumi non riesce a risolvere il problema per me, quindi devo partire
per la
Francia questa notte stessa. Nachi è stato così
gentile da accettare di
accompagnarmi."
Mentre
Geki si faceva avanti per aiutare Seiya a rimettersi a letto,
quest'ultimo
osservava Saori con attenzione; infine spostò il proprio
sguardo su Jabu con un
sospiro: "Non sei tu che di solito la accompagni?"
Con
una scrollata di spalle, Jabu si mise le mani in tasca e gli rivolse un
sogghigno: "Non stavolta, preferisco restare qui e infastidirti il
più
possibile.".
"Lo
so che domani verrai dimesso, e mi dispiace non esserci per questo
momento così
importante." Saori si sedette sul materasso e guardò Seiya
negli occhi:
"Ma abbiamo i nostri doveri. Io devo andare e risolvere questo problema
e
tu hai il dovere di andare a casa e riposarti per velocizzare la tua
guarigione
definitiva. Non volevi andare in campeggio in primavera?"
"Mi
sembra così strano lasciare questo posto…" ammise
Pegasus con un filo di
voce: "È stata la mia casa per così tanto tempo
che non riesco a credere
di uscire di qui."
Shiryu,
accanto al letto, lo abbracciò stringendolo con un braccio:
"Verremo a
trovare Meiko-san e gli altri, però la tua casa è
un'altra, lo sai,
otouto."
"Sì,
lo so. È che dopo tutti questi mesi… dopo tutti
questi anni, mi sembra così
incredibile l'idea di tornare alla Villa e di trovarci qualcuno ad
aspettarmi.
È una novità per me."
Sinceramente
incerto su cosa rispondere, Shiryu si prese qualche istante per
riflettere
sulle parole del fratello, un altro tassello che andava ad aggiungere
domande
al già ricco mosaico di dubbi e incertezze che avrebbero
dovuto affrontare in
futuro.
"Non
avrai tempo per stare a rimuginarci su." intervenne Hyoga: "Hai
sentito Seika e Miho, i bambini verranno a trovarti presto e ti aspetta
un
lungo periodo di convalescenza pacifica, vedrai che ti ci abituerai in
fretta.".
"E
poi, ricorda che ti ronzeremo intorno come mosche, non avrai un attimo
di
respiro con Jabu in circolazione." sogghignò Ichi
guadagnandosi una
gomitata nel costato da parte dell'interessato.
Intanto
che Saori parlava al telefono in un angolo della stanza per lasciare
istruzioni
sia sul trasporto verso l'aeroporto sia sull'orario in cui Tatsumi
sarebbe
dovuto passare a prendere i ragazzi il giorno dopo, Shun aveva
coinvolto Ikki
nella raccolta dei vestiti rimasti in giro mentre Geki ripiegava le
coperte
ormai non più necessarie. In pochi minuti, la stanza era
tornata ad essere in
ordine e tutto era stato impacchettato e preparato per la dimissione.
Quando
Athena chiuse la comunicazione, trovò Nachi ad aspettarla
sulla porta: "Satsuki-san
ha detto che è arrivata una macchina per noi." disse Wolf
con già indosso
il cappotto, "Dobbiamo andare."
Lei
annuì prima di spostarsi di nuovo accanto al letto e
abbracciare Seiya:
"Torneremo presto, non ti accorgerai neppure della nostra assenza."
Tra
le braccia della sua Dea… di sua sorella, Seiya
sospirò e ricambiò la stretta:
"Fate attenzione, ricordatevi che abbiamo un campeggio ad Hakone in
programma."
"Non
avevamo detto che Hakone era da vecchietti?"
"Tu
l'avevi detto, Ichi, non io. Ad Hakone ci sono i bagni termali."
"Per
qaundo saremo tornati, mi aspetto che abbiate fatto una lista di posti
da
visitare da vedere insieme. Ora dobbiamo davvero andare, ragazzi."
Saori
si alzò in piedi e scansionò con lo sguardo la
stanza: "Ci vediamo tra un
paio di giorni.".
"Vi
aspetteremo a casa."
§§§
Quando
atterrarono all'aeroporto privato Kido-Solo vicino ad Atene - dopo aver
fatto
scalo a Doha, in Qatar – era tarda notte; soffiava un vento
freddo, anche se
non gelido come a Tokyo, e una macchina li aspettava sulla pista di
atterraggio
con un uomo, senza alcun dubbio europeo, in piedi accanto al mezzo.
Lui
li salutò con un cenno del capo e un goffo inchino quando
furono scesi dalla
scaletta e si affrettò a farli salire a bordo prima di
ricevere dalle mani
dell'assistente di volo le borse da viaggio dei due passeggeri.
Doveva
aver già ricevuto le sue istruzioni perché non
chiese loro niente e partì
subito dopo aver caricato a bordo i loro bagagli; rintronato per il
lungo
viaggio in aereo, Nachi fissava fuori dal finestrino con espressione
stralunata
e senza capire bene la strada che stavano percorrendo.
Saori,
seduta accanto a lui, si stringeva nel pesante cappotto che copriva il
lungo
vestito bianco nella quale si era cambiata durante il volo, immersa nei
propri
pensieri.
Quando
infine l'automezzo si fermò in una piana sassosa e
apparentemente deserta,
l'autista si voltò verso di loro con espressione
interrogativa, come a chiedere
se fossero sicuri del luogo indicatogli.
Athena
gli rivolse un cenno del capo e un sorriso prima di scendere dall'auto,
seguita
da Nachi.
Nella
notte illuminata dalla luce della luna piena, il Saint di Wolf poteva
distinguere la familiare sagoma in lontananza delle montagne che
circondavano
il Santuario e un groppo in gola per poco non gli impedì di
respirare mentre il
Cosmo Divino di Athena sembrava trarre forza dalla vicinanza della
Terra Santa.
"Mi
hanno detto di venirvi a prendere domattina in questo esatto punto."
l'uomo si era rivolto a loro in un giapponese un po' stentato: "Ne
siete
certi?"
Saori,
con in mano il proprio scettro che Nachi le aveva tirato fuori dal
bagagliaio,
annuì: "Ci vediamo qui domani mattina, quasi sicuramente
avremo degli
ospiti." aveva risposto lei in greco.
Sorpreso,
l'uomo rispose in fretta – questa volta in greco - che
sì, si sarebbe trovato
lì fin dalle prime ore del mattino e che li avrebbe
aspettati e poi, dopo aver
augurato loro buona notte, salì di nuovo in macchina prima
di allontanarsi a
fari accesi nella notte.
Con
lo scettro stretto in pugno che emanava una debole luce dorata, la
quale
sembrava pulsare all'unisono con il suo respiro, Saori tese la mano
libera
verso Nachi e afferrò quella del ragazzo più
grande prima di avviarsi sul
sentiero sabbioso e costellato di rocce.
Insieme,
i due ragazzi camminarono nella notte, in silenzio: non c'era bisogno
di
parlare, sapevano benissimo dove andare e come muoversi, come se un
richiamo
atavico li stesse attirando; e se Saori gli sembrava più
alta, più regale, più…
divina, Nachi non disse nulla, contento di seguirne le orme mentre la
voce delle
stelle premeva perché rispondesse all'unico imperativo che
aveva sempre mosso
lui e i suoi fratelli anche quando erano stati fin troppo immaturi per
ascoltarlo con pienezza.
Proteggere
Athena.
Difenderla.
Esserne
lo scudo.
A
un certo punto della marcia, tuttavia, Saori si fermò e,
alla luce della luna e
del Cosmo divino, Nachi la vide sorridere prima di pronunciare un'unica
parola:
"Eccolo."
Wolf
ebbe appena il tempo di puntare lo sguardo nella stessa direzione prima
di
vedere la notte letteralmente aprirsi davanti ai loro occhi e, dalla
stessa,
uscire una figura con un lungo mantello sulle spalle, dai lunghi
capelli color
dell'erba di primavera che ondeggiavano al vento.
I
penetranti occhi viola dell'uomo erano sereni e pieni di vita, ben
diversi da
quelli che ricordava dall'ultima volta che li aveva visti.
"Athena,
è così bello vederla." disse l'uomo, chinando il
capo in segno di
rispetto.
"Lo
stesso vale per me, Shion. E sono lieta di vederti finalmente in piedi."
"Tutto
grazie a lei. E questo ragazzo deve essere uno dei suoi Bronze, esatto?
Ricordo
di averlo già incontrato…"
Quasi
soverchiato dall'emozione, Nachi abbassò la testa: "Esatto,
Nachi del
Lupo, nobile Shion. Ci siamo incontrati, in passato… Ero
comandante dei soldati
durante l'ultima…"
"L'ultima
invasione. Sì, ora ricordo. Sono sicuro di non aver torto un
capello a voi
giovani comandanti, ma i miei ricordi sono ancora un po' confusi,
perciò mi
scuso per qualsiasi danno io possa avervi arrecato." Shion si
inginocchiò
davanti ad Athena e a Nachi a capo chino.
"No,
no! Stiamo bene, Nobile Shion." Il ragazzo agitò le mani per
sottolineare
le proprie parole: "Le uniche ferite di quei giorni sono quelle che
abbiamo subito per mano di Thanatos quando abbiamo cercato di
proteggere
Seika-neesan."
All'espressione
interrogativa di Shion, intervenne Saori: "Seika-san è la
sorella maggiore
di Seiya, è stata trovata da Marin che viveva nel villaggio
di Rodorio.
Thanatos ha cercato di ucciderla per colpire Seiya e i ragazzi l'hanno
protetta, con l'aiuto di Marin e Shaina."
Alla
menzione del Saint di Pegasus, Nachi vide Shion rabbuiarsi per un
attimo:
"A tal proposito, mia Dea…"
Nachi
ebbe per un istante l'impressione che la temperatura attorno a loro si
fosse
abbassata.
"Cosa
vuoi dirmi?" Saori si inginocchiò a propria volta e
allungò le mani per
stringere quelle di Shion.
"Vi
siamo grati per averci riportati in vita, mia Dea, io e i miei compagni
non
abbiamo nulla da recriminare. Ma abbiamo riflettuto a lungo e ci
chiedevamo se
non fosse stata una scelta azzardata."
"Cosa
intendi?"
"Noi
riponiamo in voi una fede totale e non dubitabile, ma la nostra
vita… Abbiamo
avuto fin troppe possibilità, io e Dohko, abbiamo vissuto a
lungo e avremmo
sacrificato mille volte i nostri spiriti se ciò avesse
potuto riportare
indietro almeno uno dei ragazzi…"
Nachi
trasalì, consapevole del momento delicatissimo che stavano
per vivere.
"Io
vi chiedo perdono Shion. Vi chiedo perdono con tutta me stessa per non
avervi
detto nulla subito, per avervi tenuto all'oscuro di tutto."
Il
guerriero dinanzi a lei strabuzzò gli occhi ma non
riuscì a dire nulla.
"Devo
parlare urgentemente con tutti. Sono nel Tempio?"
"Siamo
ancora tutti nella Prima Infermeria… Sebbene io sia stato il
primo a svegliarmi
in estate, gli altri hanno cominciato a riprendersi soltato il mese
scorso e
Aphrodite e Death Mask ancora non possono alzarsi da letto senza aiuto."
"Ma
possono parlare?"
"il
vostro arrivo non può che portare conforto. Venite, vi
accompagno io."
Nachi
venne fatto avvicinare ai due ancora a terra e, in un lampo di luce
violetta,
la notte sparì e venne sostituita dalle pareti cosparse di
torce della
Tredicesima Casa.
Incerto,
il ragazzo mosse un passo in avanti e sentì la dura pietra
sotto i propri
piedi.
"Non
hai mai viaggiato così, figliolo?" Shion aveva slacciato il
mantello e se
l'era drappeggiato su un braccio, mostrando la tunica bianca che
indossava
sotto di esso, con i ricami che Nachi ricordava fossero le insegne del
Gran
Sacerdote di Athena.
Wolf
scosse la testa.
"Ti
lascia un po' confuso le prime volte, sii paziente. Seguitemi, da
questa
parte."
Il
ragazzo aveva vaghi ricordi del posto perché non era un
posto che frequentava
abitualmente anche quando era comandante dei soldati e
perciò seguì docilmente
Saori e Shion, i quali sembravano sapere perfettamente dove andare.
Passarono
attraverso corridoi pattugliati da soldati – qualcuno lo
riconobbe e lo salutò
con rispetto – fino a che non si fermarono davanti a una
porta nell'ala est
dell'edificio, enorme benchè non ai livelli della sala del
Trono da cui poi si
accedeva al naos.
La
stessa era sorvegliata da altre due guardie, le quali si affrettarono a
cedere
il passo nel riconoscere i due ospiti del Gran Sacerdote.
Una
volta aperta la porta, la stanza che si trovarono davanti era
illuminata da
lanterne e lampade cosparse un po' ovunque per terra e sulle pareti, a
circondare i numerosi letti che riempivano l'ambiente.
L'infermeria
era tranquilla ma Nachi si sentì ugualmente nervoso nel
riconoscere i volti
segnati dei guerrieri lì ricoverati, cupi e pieni di
rammarico.
Nessuno
di loro sembrò essersi accorto della porta che si apriva,
tranne uno.
Mu,
quello più vicino, aveva alzato la testa non appena la porta
si era aperta e
rivolse loro uno sguardo sorpreso che si tramutò subito in
un debole sorriso
mentre cercava di mettersi seduto.
In
un attimo, Saori gli fu accanto, cingendogli i fianchi con le braccia
per
aiutarlo.
"Athena…
Siamo felici di vederla…" mormorò lui con le
lacrime agli occhi.
Le
sue parole si propagarono per la stanza con rapidità di una
freccia, quei
compagni che in passato si erano puntati i coltelli alla gola ora si
aiutavano
vicendevolmente ad alzarsi: Nachi riconobbe Aiolos che si sporgeva dal
proprio
letto per aiutare Saga, vide Aldebaran che teneva in piedi Aiolia,
Shura che cercava
di mettere seduti Death Mask e Aphrodite…
"Athena,
quando siete arrivata?" chiese subito Sagittarius con aria esausta.
"Proprio
adesso. Non c'è alcun bisogno di preoccuparsi, la vostra
salute ha la priorità
Siamo venuti fin qui per potervi parlare, ora che finalmente siete
sulla via
della guarigione. E soprattutto," Saori esaminò con aria
addolorata i
guerrieri lì riuniti che si facevano forza vicendevolmente
per stare in piedi o
quantomeno coscienti: "Per chiedervi scusa di avervi ingannati, di
avervi
tenuti all'oscuro di alcune informazioni importanti.".
I
presenti sembravano scossi ma restarono in silenzio.
"In
questi lunghi mesi di convalescenza, vi ho ingannati. Non me ne
vogliare, sono
mortificata per la sofferenza che senza dubbio dovete aver provato ma
le
motivazioni erano soltanto dettate dalla preoccupazione per le vostre
condizioni. Temevo che, se vi foste stato rivelato, al risveglio,
quanto sto
per dirvi, vi sareste agitati e avreste messo in gioco la vostra salute
per
poterli rivedere. E questo non potevo permetterlo, volevo che steste
bene e che
poteste rivedervi in salute. Allo stesso modo, non ho detto nulla a chi
di
dovere perché fino all'ultimo non sapevo se foste
sopravvissuti tutti,
nonostante i miei sforzi. E non volevo addolorare nessuno.".
Un'espressione
di spasmodica attesa apparve sui visi di alcuni presenti, a Saori si
strinse il
cuore nel riconoscere la speranza sui visi di Camus e Dohko.
Jabu
aveva ragione.
«Athena,
forse abbiamo compreso ma confermate i nostri sospetti, ve ne
preghiamo."
"I
ragazzi sono vivi. Sono vivi e sulla via della guarigione.
C'è voluto del tempo
ma non si sono lasciati vincere dalla morte. Anche Seiya è
vivo e sta
bene."
Il
brusio si fece più forte.
Nachi
sussultò.
Poi
Saori chinò il capo: "Sono mortificata e vi domando perdono."
"Quando
possiamo vederli?"
Camus
era pallido ma determinato mentre si avvicinava ad Athena: "Mia Dea,
vorrei partire per poter incontrare Hyoga."
La
ragazza sorrise e annuì, sollevata: "Siamo venuti fin qui
apposta per
vedere chi fosse in grado di viaggiare e, se lo desidera, accompagnarlo
fino in
Giappone. Ovviamente, quando anche Seiya potrà viaggiare,
torneremo in
visita."
"Se
le cose stanno così, allora credo che sia meglio lasciare
che i Maestri siano i
primi a partire. E anche Aiolos." disse Shion pensieroso, voltandosi
verso
Sagittarius: "Sappiamo che vorresti finalmente poter incontrare il tuo
successore e non c'è occasione migliore di questa."
"Bisogna
far chiamare anche Marin." intervenne Aiolia con gli occhi lucidi.
"La
farò cercare in modo che per domattina ci attenda qui
fuori." Shion non
perse tempo e si lanciò subito nell'organizzazione.
E
mentre voci e lacrime si mischiavano alle risate e al sollievo che
sembrava
illuminare la stanza, Nachi si appoggiò alla parete
più vicina e chiuse gli
occhi per un attimo.
Quando
Spiro Theodorakis si fermò nello stesso punto in cui aveva
lasciato i suoi
ospiti la notte prima, era ancora buio e – nonostante le
poche ore di sonno e
il thermos di caffè semi-svuotato sulla strada
dall'aeroporto a lì – scese
dall'elegante SUV intenzionato ad aspettarli anche per tutto il giorno.
Pur
lavorando per una delle sussidiarie della Fondazione Graude in Europa
da più di
quindici anni, Spiro non aveva mai incontrato la giovanissima
presidentessa
prima della notte precedente, e con lei il suo accompagnatore; aveva
invece più
volte accompagnato in città per affari e poi alla sua
residenza privata a Capo
Sunio l'altro proprietario dell'aeroporto privato Kido-Solo, quel
Julian Solo
presidente unico della Solo Shipping International e il suo assistente.
Non
era un uomo curioso, Spiro Theodorakis, ma qualche curiosità
l'aveva anche lui,
soprattutto vista la giovane età della tycoon: come poteva
aver raggiunto un
simile ruolo?
E
anche il suo accompagnatore non doveva essere tanto più
grande.
Con
aria pensierosa, l'uomo si guardò intorno mentre il cielo
cominciava lentamente
a schiarirsi: dove diavolo potevano aver passato la notte? Non c'era
nessuna
costruzione lì attorno, men che meno un qualsivoglia centro
abitato o paesino
dimenticato da Dio.
E
perché avevano chiesto di essere lasciati proprio in quel
punto?
Troppe
domande a cui non sapeva dare risposta.
Con
un sospiro, si appoggiò al cofano del mezzo e
tirò fuori dalla tasca una
piccola agendina e una penna, iniziando quindi a segnarsi alcuni
appuntamenti e
cose da fare.
Passò
così un'ora in silenzio, quando sentì dei passi
avvicinarsi e, alzato lo
sguardo, vide una debole luminescenza a breve distanza mentre una buffa
sensazione di calore lo avvolgeva come un tenero abbraccio.
Sorpreso
e incuriosito, egli richiuse il libretto e ripose la penna in tasca,
per poi
puntare lo sguardo verso di essa; fu ancora più sorpreso nel
vedere che quella
che si stava avvicinando altri non era che Saori Kido, accompagnata dal
ragazzo
con cui era arrivata e seguita da un gruppetto di persone –
Spiro ne contò cinque,
di cui una con una maschera sul viso -.
Quando
infine il gruppo lo raggiunse, Saori Kido – con lo stesso
bastone dorato che le
aveva visto in mano poche ore prima - gli rivolse un sorriso gentile e
un
inchino prima di parlargli in greco: "Buongiorno." disse lei.
Spiro
ricambiò il saluto e, abbassando lo sguardo, si
voltò per aprire loro la
portiera: "Prego." rispose.
Lei
fu la prima a salire a bordo, seguita poi da tutti gli altri; l'ultimo
a salire
fu un ragazzo, dai corti capelli castani e dallo sguardo caldo come il
sole e
sereno.
Questi
gli rivolse un sorriso e poi, con voce profonda, un ringraziamento
prima di
unirsi ai suoi compagni.
"Ci
riporti all'aeroporto, per favore." disse Saori non appena Spiro si fu
accomodato al posto di guida: "Per quando potrà essere
pronto il jet per
tornare in Giappone?" chiese poi.
"Il
pilota è in stand-by dal vostro arrivo, posso chiamare in
modo che al nostro
arrivo siate pronti a partire. In nottata dovreste arrivare a
destinazione." rispose l'uomo dopo aver avviato il motore.
"Perfetto.
Abbiamo molta fretta di tornare a casa."
"Non
si preoccupi, signorina, non ci vorrà molto."
§§§
Il mattino della dimissione
di Seiya arrivò
fin troppo presto e il ragazzo si ritrovò seduto sul letto,
in abiti civili per
la prima volta in mesi, ad attendere che Makishima-sensei tornasse con
i
documenti della sua dimissione.
Dimissione.
Quasi
non riusciva a crederci.
Dopo
tutti quei lunghi mesi, avrebbe finamente visto il mondo esterno e
avrebbe
ricominciato a vivere, vivere davvero.
Non
poteva negarlo, era emozionato oltre ogni dire, e se avesse potuto
avrebbe
anche versato qualche lacrima; ma non voleva che – vedendolo
– gli altri si
turbassero o spaventassero.
Ne
avevano passate troppe in quei mesi per fargli anche quello.
Si
limitò perciò a sorridere stanco a Jabu, in piedi
accanto alla porta, che
scambiava due parole con Seika, stretta nel suo solito scialle che
Satsuki-san
le aveva restituito pulito e ricucito dopo la sua scorribanda ad
Arakawa.
I
due sembravano tranquilli e, nel vederli così, anche un po'
della tensione che
permeava i muscoli di Seiya si attenuò un po'.
Improvvisamente,
si udì qualcuno bussare alla porta e, quando questa si
aprì, comparvero sia
Makishima-sensei che Shiryu.
In
mano al fratello maggiore, Seiya vide dei fogli e si sentì
il cuore in gola.
"Buongiorno,
Kido-kun." salutò il medico con un cenno del capo: "Ho
accompagnato
tuo fratello così da scambiare due parole con te prima di
lasciarti finalmente
libero. Pensi di avere voglia di parlare un po' con me prima di andare
a
casa?"
Incerto
su cosa rispondere, il tredicenne si scambiò un'occhiata
ansiosa prima con Seika,
poi con Jabu e infine con Shiryu, i quali annuirono tutti e tre con un
sorriso
rassicurante: "Ti aspettiamo fuori, fratellino." disse la ragazza
prima di prendere per mano gli altri due, "Andiamo a vedere se Ichi-kun
e
gli altri sono riusciti a trovare l'uscita."
Dopodichè,
sparirono nel corridoio.
Nela
stanza improvvisamente soffocante, rimasero soltanto Seiya e il
dottore, il
quale si avvicinò al letto per sedersi sulla poltrona
lì accanto, la stessa che
Shiryu aveva occupato per tante notti di veglia.
Al
ragazzino mancò il respiro per un attimo.
"Stai
tranquillo, figliolo. Non voglio darti brutte notizie di alcun tipo,
solo
parlarti un attimo. Lo faccio sempre con i pazienti che restano insieme
a noi
così a lungo e tu sei stati praticamente un caso unico nella
storia di questa
clinica, al di là del fatto che tu sia figlio di Mitsumasa
Kido."
Seiya
sgranò gli occhi ed ebbe un moto di panico, che lo
portò ad afferrare un lembo
del lenzuolo.
Ancora
non era abituato, non del tutto.
"Sì,
ragazzo mio, so chi siete ma non preoccuparti, non voglio metterti in
difficoltà o in imbarazzo, queste cose sono molto delicate
ed è giusto che tu e
la tua famiglia abbiate tempo per rifletterci su e decidere come meglio
muovervi. No, non sono qui per questo, voglio solo ringraziarti e
augurarti
ogni bene."
"R-Ringraziarmi?"
chiese lui con voce roca.
"Sì,
ringraziarti. Ringraziarti per aver combattuto ed essere sopravvissuto."
Nella
stanza cadde il silenzio.
Makishima
si tolse gli occhiali e, con un lembo del camice, prese a pulirne le
lenti
mentre gli occhi neri erano puntati su Seiya: "Vedi, quando sei
arrivato
qui, disperavo di riuscire a salvarti. Ho contattato neurologi,
neurochirurghi,
cardiochirughi, tutti gli specialisti possibili. La Fondazione, e
soprattutto
Kido-ojou-sama, non ha badato a spese e io per primo non mi sono
certamente
risparmiato; ciononostante, quando sei arrivato le tue condizioni erano
talmente disperate che temevo non riuscissi a riprenderti. E ora, ora
stai per
essere dimesso. Per un medico, non c'è gioia più
grande, figliolo."
Seiya
deglutì con difficoltà ma non disse nulla.
"Ed
è per questo che voglio ringraziarti, Kido Seiya-kun. Per
essere sopravvissuto
e per aver dato un po' di speranza a un vecchio medico che ne ha viste
tante
nella sua vita."
Con
gli occhi pieni di lacrime, l'uomo rimise gli occhiali al proprio posto
e poi
allungò una mano verso il ragazzino: "Qui avrai sempre un
posto nel cuore
di tutti, figliolo, e se avrai bisogno non esiteremo ad aiutarti, ma mi
aspetto
che tu viva felice e sereno da oggi in poi.".
Seiya
strinse forte la mano, poi si gettò tra le braccia dell'uomo
e si aggrappò alle
sue spalle, singhiozzando contro il suo petto; con gentilezza,
Makishima-sensei
ricambiò l'abbraccio del Saint di Pegasus mentre questi
– tra i singhiozzi e i
lamenti – mormorava parole di ringraziamento e una promessa
solenne, quella di
vivere al pieno delle sue forze e di godere di ogni istante futuro che
gli era
stato concesso.
Lo
doveva anche a tutti quelli che non erano più con loro.
E
un pensiero non potè non andare a quei Gold Saint a cui era
riuscito soltanto a
dire un mesto addio davanti al Muro del Pianto.
Avrebbe
vissuto anche per loro.
Lo
promise sullo spirito del padre.
§§§
Era
notte inoltrata quando il jet atterrò in Giappone e Saori,
con i Gold Saint e
Marin, scesero dalla scaletta sferzata dal vento gelido di fine
Dicembre.
Tatsumi
li aspettava sulla pista di atterraggio insieme a due macchine e a un
altro
autista; e mentre la hostess del volo si affrettava a far scaricare lo
scarno
bagaglio dei viaggiatori, Tatsumi salutò Saori con un
inchino:
"Bentornata, ojou-sama.".
Senza
tuttavia curarsi di accogliere Nachi e gli ospiti, l'uomo si
concentrò invece
sul far salire Saori sulla macchina, sorprendendo la ragazza la quale
ebbe appena
il tempo di rivolgere uno sguardo dispiaciuto ai compagni di viaggio al
di là
del finestrino prima che l'automobile partisse sgomando leggermente.
Nachi
riuscì a sorriderle rassicurante prima di accompagnare i
Saint compagni
all'altra macchina in attesa, accanto alla quale l'autista stava ritto
sul
posto.
"Scusate
Tatsumi-san, Nachi-bocchan." l'uomo chinò il capo in segno
di rispetto:
"Kido-ojousama si era raccomandata che veniate trattati al pari suo, ma
Tatsumi-san non riesce ancora ad accettarlo. Non prendetevela troppo,
per
favore."
Per
tutta risposta, Nachi scrollò la testa_ "È sempre
stato così, ma non ho
intenzione di dargli la soddisfazione di arrabbiarmi o rimanerci male.
Andiamo
a casa, per favore. Vorrei vedere Seiya."
Egli
annuì e aprì la portiera per farli salire.
L'auto
di Saori era già sparita.
"Nachi."
Wolf
si voltò e incrociò lo sguardo torvo di Dohko.
Libra
gli poggiò una mano sulla spalla: "Ragazzo, tutto bene?"
Il
quindicenne annuì stanco: "Sì…
È una lunga storia e non cambierà certo
ora."; Libra annì e, dal finestrino, spuntò la
capigliatura ribelle di
Milo, che lo guardò con aria irritata prima di chiedere se
ci fosse qualcosa
che potevano fare.
"Grazie,
ma no. Non penso che acetterà mai il fatto che anche noi
facciamo parte di
questa famiglia e, come ho detto prima, non voglio dargli
soddisfazione.
Andiamo, ora. Gli altri ci aspettano a casa.".
Milo
fece spazio a Nachi perché si accomodasse accanto a lui
mentre Dohko si era
posizionato sul sedile del passeggero accanto all'autista.
Quando
il mezzo partì, nell'abitacolo regnava il silenzio, silenzio
che perdurò per
tutta la durata del viaggio di ritorno e anche quando varcarono il
cancello
della villa.
L'atmosfera,
fino a quel momento pesante per la maleducazione dimostrata da Tatsumi
nei
confronti di Nachi, si alleggerì quando videro Athena
aspettarli nel cortile,
da sola.
Aiolos
fu il primo a scendere e a portarsi al fianco della sua Dea, poi Marin,
Camus,
Dohko, Milo e infine il Saint di Wolf.
"Mi
dispiace, Nachi." disse subito Saori non appena il fratello li
raggiunse:
"Non c'era bisogno di due macchine, potevamo viaggiare tutti insieme
sulla
stessa automobile, o almeno avresti potuto viaggiare con me. Non
capisco
proprio cosa sia preso a Tatsumi." mentre parlava, la ragazza aveva
un'espressione ferita e delusa, "Gli parlerò più
tardi.".
"Non
preoccuparti, Saori," rispose invece Wolf con un cenno del capo: "Non
è importante."
"Invece
sì. Mi ero raccomandata che veniste trattati come vengo
trattata io, anche se i
documenti ufficiali ancora non sono stati completati. È
andato contro un mio
preciso ordine, e contro anche il volere di vostro padre, non
è qualcosa su cui
posso soprassedere.".
"Saori…
Sai com'è fatto…"
"Non
mi importa se, quando eravamo bambini, gli era permesso picchiarvi
perché
nessuno vigilava abbastanza, questo non deve più accadere,
né in mia presenza e
neppure quando non ci sono. Siamo una famiglia e prendersela con voi, o
trattarvi in maniera non consona, è come farlo a me. Fine
del discorso."
Nel
cortile cadde il silenzio e, se Nachi era leggermente imbarazzato,
Dohko e Milo
erano soddisfatti.
Poi,
Saori battè piano in terra con la punta dello scettro, il
quale emanò una
debole luce dorata, prima di sorridere: "Ora andiamo, Ichi ci aspetta
in ingresso."
Dopo
aver preso per mano il fratello, Saori fece strada e, una volta varcato
il
portone principale, si ritrovarono nell'atrio illuminato, dove li
attendeva
effettivamente Hydra; questi, vedendoli, sorrise sollevato prima di
andar loro
incontro: "Finalmente siete qui!" esclamò il ragazzo,
"Akiko-san
ci ha fatto avere il messaggio dopo pranzo così abbiamo
avuto il tempo di
organizzarci. Siamo tutti in biblioteca, anche Seiya.”.
“E
Shiryu non ha protestato?” chiese Nachi.
“Ci
ha provato, in realtà, ma Jabu ha tirato fuori dei manga da
non so dove e
stavano leggendo. Hyoga poi ha convinto Shiryu a fare una partita a
scacchi.”
Intanto
che Hydra spiegava, il gruppo si spostava verso la biblioteca, parlando
a bassa
voce; quando però giunsero dinanzi alla porta, i Gold Saint
praticamente si
paralizzarono e l’atmosfera si fece all’improvviso
pesante e ansiogena.
Ichi
sorrise rassicurante prima di bussare: “Ragazzi, guardate un
po’ chi ho trovato
fuori in cortile.” disse prima di aprire la porta.
Dopo
aver spinto indietro i Gold Saint e Marin di modo che restassero
temporaneamente
invisibili alla vista nel corridoio semi-buio, Nachi e Saori fecero un
passo in
avanti e vennero affiancati da Ban e Geki, i quali sembravano
aspettarli dietro
la porta.
Nella
stanza illuminata da alcuni abat-jour e dal fuoco nel caminetto, i
ragazzi –
perlopiù in pigiama – erano intenti a leggere,
come nel caso di Seiya e Jabu
semisdraiati su un divano, oppure a giocare a scacchi o ancora a
dormire - Shun
sonnecchiava con la testa sulle ginocchia di Ikki, mentre
quest’ultimo
sfogliava vecchi quotidiani che pescava da una pila traballante
posizionata sul
tavolo di fronte al secondo divano che occupava con il fratello -.
Un
altro tavolino era occupato da tazze vuote da cui ancora si sentiva
provenire
un buon odore di cioccolata calda.
Seiya
fu il primo ad alzare la testa e, chiuso il fumetto, lo
agitò con la mano in
segno di saluto: “Quando siete tornati?!” chiese
subito con gli occhi che
brillavano; Saori cercò di non guardare come il pigiama
fosse troppo largo per
il Saint di Pegasus e si sforzò di ricambiarne il sorriso
mentre muoveva un
altro passo nella stanza, “Un’oretta fa,
Seiya.” rispose Nachi mentre si levava
il cappotto per abbandonarlo su una poltrona lì vicino,
“Non è stato difficile
sistemare le cose e siamo potuti ripartire in fretta.”.
“Siete
stanchi?” domandò Jabu.
“Non
eccessivamente, abbiamo dormito un po’ in volo.” fu
la replica di Saori: “E
abbiamo anche una sorpresa per voi.” aggiunse lei; ignorando
le espressioni
sorprese di Hyoga e Seiya, la ragazza batté con la punta
dello scettro sul
tappeto, “Alcuni amici hanno saputo delle vostre condizioni e
hanno insistito
per venirvi a trovare. Sono venuti con noi.”
Svegliatosi
nel frattempo anche Shun, mentre Ikki si era alzato, cinque paia
d’occhi
fissarono Saori con curiosità: “Saori, non siamo
nelle condizioni di accettare ospiti.
Siamo praticamente tutti in pigiama.” fece notare Hyoga con
aria torva.
“Non
credo sia la cosa che più li preoccupi.”
Intervenne Nachi mentre si spostava di
lato per lasciare libera la porta: “In effetti, credo che
alcuni di loro vi
abbiano visti in condizioni peggiori, e in vesti peggiori, peraltro.
Sei anni
di addestramento sono tanti.”
Saori
andò a mettersi accanto a Nachi mentre Geki e Ban facevano
cenno a qualcuno nel
corridoio di entrare.
Athena
temette seriamente che i suoi ragazzi crollassero svenuti per
l’emozione nel
riconoscere i Saint usciti dal buio e, per un attimo, si
pentì della sua idea
per lo shock che aveva dato a Shiryu e Hyoga, i quali non si erano
mossi, con
le pedine a mezz’aria e l’aria smarrita e confusa,
quasi sconvolta.
Ma
la cosa durò pochi istanti poiché, subito dopo,
sia Camus che Dohko avevano
annullato la distanza tra loro e gli allievi, per poi abbracciarli
subito dopo,
ignorando il fatto che fossero ancora seduti e quasi buttandoli a terra
per l’impeto.
“Abbiamo
fatto un lungo viaggio, siate riconoscenti.”
ghignò divertito, e forse
leggermente commosso, Wolf mentre incrociava le braccia.
Ancora
troppo sconvolti per rispondere, o anche solo per parlare, Cygnus e
Dragon
ricambiarono meccanicamente l’abbraccio, qualcosa si sciolse
nel profondo del
loro cuore e, l’istante dopo, si ritrovarono in lacrime a
singhiozzare
rumorosamente contro la spalla dei propri maestri. Un attimo dopo, Milo
si era
unito all’abbraccio di Camus e Hyoga, stringendoli a
sé come se fossero stati
il tesoro più prezioso della sua vita.
Erano
lacrime irrefrenabili le loro, potenti, che bruciavano gli occhi ma
cauterizzavano quelle ferite dell’anima che, senza che se ne
fossero mai accorti,
non avevano smesso di sanguinare neppure per un attimo in quei lunghi
mesi.
E
mentre Marin si sedeva accanto a Seiya e gli cingeva le spalle con il
braccio,
lasciando che il ragazzino affondasse il viso sul suo petto, Jabu si
alzò dal
divano e raggiunse i fratelli in piedi – Ikki e Shun si erano
già spostati per
non disturbare: “Credo di non averli mai visti
così.” disse Hydra a bassa voce,
“Se non si riprendono più, chi lo spiega a
Seika?”
NOTE:
Il
titolo è in greco e significa "Riunirsi".
Questo
è ufficialmente il penultimo capitolo di questa long.
Capitolo 22 *** Epilogo - Love alone is worth the fight ***
EPILOGO
LOVE ALONE IS WORTH THE FIGHT
Ben
presto, la biblioteca ritornò silenziosa e tranquilla mentre
Bronze, Silver e
Gold Saint si distribuivano in giro per divani, poltrone e perfino
tappeti senza
però allontanarsi troppo gli uni dagli altri: e mentre Marin
era rimasta
immobile sul divano e sorreggeva la testa assonnata di Seiya che
ciondolava
contro il proprio petto, Camus e Milo fiancheggiavano Hyoga, seduto sul
tappeto
davanti al caminetto acceso, e Shiryu e Dohko occupavano l'altro
divano.
Aiolos, silenzioso, stava alle spalle del Saint di Pegasus e della sua
maestra,
come a voler proteggere il ragazzo appisolatosi.
Al
centro della stanza, Ban aveva spostato una poltrona in modo che Saori
potesse
sedersi e potesse essere vista da tutti, e potesse vedere al contempo
tutti,
con i restanti Bronze sparpagliati per il tappeto ormai fin troppo
affollato.
Con
gli sguardi stralunati, Shiryu e Hyoga fissavano ora la sorella ora i
fratelli,
ma non riuscivano ad aprire bocca.
"Ragazzi,
se avessimo saputo che avreste reagito così non avremmo
messo in piedi tutto
questo." fece notare Jabu: "Sembra che abbiate visto dei
fantasmi."
"Quello
che questo indelicato di un pony vuole dire," intervenne Geki pacato:
"è che non volevamo turbarvi. Sembrate parecchio…
fuori fase."
azzardò lui con espressione preoccupata.
"Turbarci…?"
mormorò Hyoga con voce rauca e l'occhio sano sospettosamente
lucido:
"F-Forse non vi rendete conto davvero della situazione…"
Cygnus si
passò una mano sul viso e le spalle vennero scosse da un
singhiozzo,
"Geki, se pensi che questo significa turbarci davvero non hai capito
nulla." continuò il russo con la voce che gli
sfumò in un rantolo,
"Dèi, non riesco neppure a parlare decentemente, это пиздец!1"
L'ultima
parola
suonava come un'imprecazione, e anche l'occhiata di biasimo di Camus e
quella
divertita di Milo confermarono l'impressione dei presenti, che tuttavia
non ne
domandarono la traduzione; trascorsero alcuni minuti di silenzio, rotti
di
quando in quando dal crepitio delle fiamme che divoravano il legno, poi
finalmente Shiryu sembrò riprendersi e, nonostante le
lacrime che minacciavano
di strabordare dai suoi occhi, si voltò verso Saori e i loro
sguardi si
incrociarono, caldo e rassicurante quello di lei e lievemente sperduto
quello
di lui.
"Ma
come…?"
"Ne
parleremo
quando sarete meno fragili emotivamente, non voglio che portiate anche
questo
peso…" rispose lei con tono affettuoso: "Per una volta, ci
pensiamo
noi!" esclamò Nachi, "Voi pensate a non sciogliervi in
lacrime."
li prese bonariamente in giro lui, "Non so se in casa abbiamo
abbastanza
stracci per asciugare tutto."
Shiryu
cercò di
ricomporsi e premette sul ponte del naso come a voler allontanare un
mal di
testa in arrivo: "Quindi… Non siete andati in Europa?"
chiese lui.
"Sì
che ci
siamo andati, non siamo andati in Francia, però." rispose
Wolf con aria
soddisfatta: "Ci siamo fermati in Grecia, abbiamo caricato un paio di
Gold
Saint e poi siamo tornati indietro. Due giorni, scali compresi."
"Quindi
anche
gli altri…?"
Stavolta
fu Shun a
porre la domanda.
"Sì,
stanno tutti
bene. Anche se alcuni ancora hanno bisogno di aiuto per stare in
piedi."
rispose Dohko mentre prendeva la tazza che Ban gli passava: "Ma non
manca
nessuno ed è più di quanto ci saremmo mai
aspettati."
"Anche
Kanon?"
Hyoga
si strinse
nelle spalle: "Nonostante tutto, si è rivelato essere un
buon
compagno…" aggiunse a mo' di giustificazione; Milo, al suo
fianco, sorrise
orgoglioso prima di posargli una mano sul braccio, "Quel pazzo ha la
pelle
dura, lui e Saga non sono ancora in piena forma ma stanno bene. Finora,
l'unico
ad essere in condizioni discrete è il nobile Shion."
Un
sospiro di
sollievo percorse la stanza mentre Shun si asciugava di soppiatto una
lacrima e
Ikki gli stringeva il polso con fare protettivo: "Sono notizie
meravigliose."
sussurrò il Saint di Andromeda, "Temevamo che dopo il Muro
del
Pianto…"
"Shun,"
la
voce serena e al tempo stesso autoritaria di Dohko fece sobbalzare il
più
giovane, il quale alzò lo sguardo verso il Gold Saint con
aria ansiosa:
"Ragazzo mio, non devi piangere, non per noi." aggiunse l'uomo,
guardando nei grandi occhi verdi del compagno d'arme con i propri,
marroni e
caldi, "Avremmo dato volentieri le nostre vite e le nostre anime per
salvare anche solo uno di voi. Tra tutti, voi siete quelli che questa
Guerra ha
colpito di più e l'idea di sopravvivervi ci addolorava."
così dicendo,
strinse con forza la mano del proprio allievo, del ragazzo che vedeva
come un
figlio mentre Camus faceva lo stesso con Hyoga e, poteva giurarci,
anche Marin
con Seiya.
"Ma
ora siamo
tutti qui, vivi." s'intromise Saori: "E non voglio più
sentir parlare
di sacrifici in nome mio. Potete onorarmi meglio, e onorare queste
nuove vite,
costruendo nuovi ricordi felici con chi amate. E se il Destino
vorrà ancora una
volta farci scendere in battaglia, nessuno combatterà solo,
saremo uniti. Ma
per ora voglio solo che voi siate felici, tutti voi. Voglio che siamo
felici." si corresse, memore della promessa fatta ai ragazzi prima di
partire per la Grecia.
I
presenti annuirono,
consapevoli del momento delicato e sentimentale che stavano vivendo,
avvolti
dal Cosmo dorato della Dea che li stringeva con l'amore di una madre.
Non
dissero nulla,
si bearono della vicinanza gli uni degli altri e del calore che li
circondava.
"Sarete
stanchi
per il viaggio." disse Ban dopo qualche minuto di silenzio pensieroso
rivolgendosi agli ospiti: "Akiko-san ha preparato le stanze per voi,
sono
proprio accanto alle nostre. Ah, e Saori, ha fatto spostare anche tutte
le tue
cose come hai chiesto. Abbiamo scelto la stanza tra quella di Seiya e
quella di
Jabu, così non litigheranno per chi deve stare accanto a te."
"Allora
chi
vuole può andare a riposare," disse Saori dopo aver posato
la propria
tazza vuota per poi alzarsi in piedi: "Se non avete bisogno di me, io
mi
ritirerei, è stata una lunga giornata." concluse con un
lungo sbadiglio a
stento coperto dalla mano.
"Ti
accompagno," si offrì Jabu prima di alzarsi in piedi; ebbe
appena il tempo
di muovere qualche passo verso la coetanea quando, all'improvviso, il
ragazzo
si sentì tirare all'indietro per poi ritrovarsi stretto tra
le familiari
braccia di Shiryu, con il braccio che toccava quello di Nachi.
A
fatica, riuscì a
guardarsi attorno, scoprendosi al centro di un abbraccio di gruppo con
tutti i
fratelli attorno e con la testa contro il petto del Saint di Dragon, il
quale
singhiozzava tra i suoi capelli; sorpreso, Unicorn cercò di
divincolarsi per
assicurarsi che il cinese stesse bene, ma questi lo strinse
più forte,
impedendogli di staccarsi.
"Grazie…"
mormorò Hyoga da qualche parte: "Di tutto…".
Senza
parole e
incapaci di articolare un pensiero coerente, i membri del gruppo di
'cospiratori' si limitarono ad accettare l'abbraccio, sentendo tuttavia
al
contempo una sensazione di calore avviluppargli la gola e le viscere,
qualcosa
che non avevano mai provato prima.
Jabu
sentì Ichi
singhiozzare e Ban bofonchiare qualcosa che somigliava sospettosamente
a un
"Non importa" ma non era sicuro di nulla: doveva ammettere che
quell'abbraccio gli piaceva e si ritrovò a desiderarne
altri, quasi a voler
compensare la mancanza degli stessi negli ultimi anni.
Quando
infine si
staccarono, non si guardarono direttamente negli occhi –
c'era ancora un po' di
imbarazzo tra loro ma, e di questo Unicorn ne era certo, avrebbero
avuto tutto
il tempo per lavorare sui loro sentimenti e sugli errori che avevano
fatto in
passato – ma l'atmosfera era più rilassata,
leggera.
Ban
si avvicinò al
divano occupato da Marin e, aiutato dalla Silver Saint, prese Seiya
ancora
addormentato tra le braccia e si diresse poi verso la porta, tallonato
non solo
da Eagle ma anche da Sagittarius: "Porto il pargolo a letto, Shiryu. Tu
resta pure qui. A domattina, buonanotte." salutò lui con un
sorriso prima
che Dragon potesse fare alcunché.
Geki
gli posò una
mano sulla spalla: "Avrete sicuramente molto di cui parlare, Seiya
è in
buone mani e sono sicuro che Marin-san e Aiolos-san resteranno con lui
stanotte, perciò per stasera sei in libera
uscita.” rise il ben più massiccio
fratello mentre Jabu si congedava assieme a Saori e Nachi.
Shun
e Ichi si erano
messi a raccogliere i libri in giro per la stanza e Ikki stava
impilando
piattini sul vassoio accanto alle tazze già radunate: i tre
lavoravano in
silenzio, come se non volessero farsi notare o disturbare.
Quando
poi ebbero
terminato, Hydra fece un cenno a Ursa Minor; questi annuì
prima di voltarsi
verso i fratelli e i loro Maestri con un sorriso: “Cercheremo
di aspettarvi per
colazione, ma se Seiya inizia a mangiare vi terremo qualcosa da parte.
Non
andate a letto troppo tardi, mi raccomando.”
Hyoga
bofonchiò
qualcosa come “Non sei mia madre” a viso basso ma
Geki restò soddisfatto
dall’assenso silenzioso di Milo e Dohko.
Dopodiché,
seguì i
fratelli nel corridoio.
§§§
Il
mattino dopo,
Tatsumi stava versando il tè fumante nella tazza di Saori
posizionata sul
tavolo della sala da pranzo ancora deserta quando sentì un
certo tramestio nel
corridoio; con un sospiro irritato, posò la teiera
semi-svuotata sul tavolo e
si voltò verso la porta nell’esatto momento in cui
dalla stessa entrarono Ban,
Geki e Nachi, intenti a chiacchierare e a ridere nonostante il sonno
che ancora
non li aveva lasciati.
Quando
videro che
non erano soli, i tre ragazzi si fermarono sul posto e bofonchiarono un
“Buongiorno” distratto prima di sedersi
silenziosamente.
Tatsumi
li avrebbe ripresi
se solo non fosse entrata Akiko-san qualche istante dopo, la quale
salutò con
calore i tre signorini prima di chiedere loro se avessero dormito bene
e se
fosse arrivata Saori-ojousama.
L’uomo
ignorò le
risposte che i più giovani diedero alla donna di servizio e
si concentrò sul
pulire un’invisibile macchia di sporco sulle posate; cinque
minuti dopo, altre
voci precedettero l’arrivo di Shiryu, Hyoga e dei loro
Maestri, che si
sedettero attorno al tavolo senza quasi rivolgergli parola, non che al
maggiordomo importasse granché.
Anche
se, dovette
ammetterlo in cuor suo, lo sguardo dei Gold Saint non era dei
più rassicuranti.
Jabu
e Shun, insieme
a Ichi e Ikki, furono i terzi ad arrivare in sala da pranzo.
Akiko
era impegnata
a distribuire tè e caffè a chi era già
arrivato mentre Michiko-san portava
dentro dalla porta di servizio un carrello con brioche e torte da poco
sfornate, che ancora emanavano calore; la comparsa dei dolci
rinvigorì i
ragazzi, i cui occhi si illuminarono per la golosità
– Jabu prendeva in giro
Seiya per la sua ghiottoneria ma non era certo l’unico ad
apprezzare una
concentrazione di zuccheri – spingendoli a servirsi di fette
grondanti di
cioccolato e crema come se non mangiassero da giorni.
Tatsumi
stava per
rimproverarli quando la porta, apertasi nuovamente, fece entrare Seiya,
seduto
sulla sedia a rotelle spinta da un austero Aiolos con Marin accanto;
nel
vederlo, il maggiordomo strabuzzò gli occhi, notando come
– a differenza di
tutti gli altri – il ragazzino più piccolo di
tutti fosse ancora in pigiama, la
cui casacca gli cadeva enorme sulle ginocchia magre e ossute.
“Seiya,
ne avevamo
già parlato. A tavola non ci si presenta in
pigiama.” lo apostrofò lui con aria
severa e irritata: “Per di più quando ci sono
ospiti.” la voce del maggiordomo
aumentò di volume mentre questi si avvicinava a larghi passi.
Senza
che l’uomo se
ne fosse accorto, il brusio nella stanza cessò e, quando
questi afferrò il
polso del Saint di Pegasus, la temperatura sembrò essersi
bruscamente
abbassata: se gli sguardi avessero potuto uccidere, probabilmente
Tatsumi
sarebbe stramazzato a terra senza vita.
“Cosa
sta facendo?”
Il
tono metallico
della voce di Marin, filtrata dalla maschera, precedette di un attimo
il basso
ringhio di Ikki e i sussurri affrettati dei Gold Saint già
attorno al tavolo
che cercavano di calmare i Bronze; la Sacerdotessa dai folti ricci
rossi colpì
con la mano quella di Tatsumi, costringendolo a lasciare la presa su
Seiya;
quest’ultimo sembrò volersi fare piccolo piccolo,
come se volesse scomparire.
Protettiva,
Eagle
mosse un passo in avanti: “Questo ragazzo è sotto
la nostra protezione ed è il mio
allievo. Lo tocchi ancora una volta e le farò provare tutte
le sofferenze che
Hades non ha inflitto all’umanità.”.
“Tutti
questi
ragazzi sono sotto la nostra protezione e giuro su Athena e su quanto
ho di più
caro al mondo che, se solo osa toccarne uno…”
“Cosa
succede qui?!”
Sorpresa,
Saori era
entrata in sala da pranzo salvo poi fermarsi sui propri passi nel
vedere Seiya
rannicchiato sulla sedia a rotelle, Marin che sollevava Tatsumi con una
mano e
Milo in piedi con gli occhi sbarrati.
Preoccupata,
si
precipitò davanti al fratello adottivo e, inginocchiatasi,
gli posò una mano
sul petto: “Respira, Seiya…” gli
mormorò, “Come ti ha insegnato Fournier-kun,
inspira, espira…”
“Ojou-sama,
le porto
dell’acqua?” chiese Akiko ansiosa.
“No,
per ora
aspettiamo che si calmi… Inspira,
espira…”
Mentre
Athena si
occupava di Seiya, Aiolos mosse un passo in avanti, posizionandosi
accanto a
Marin, che non aveva ancora lasciato andare il colletto della camicia
del
maggiordomo, i cui occhi erano lo specchio del terrore: “Che
astio può provare
nei confronti di questi ragazzi, tale da non rispettarne neppure la
convalescenza? Che razza di uomo è quello che se la prende
con chi ha
sacrificato tutto per difendere l’umanità, che
alza le mani su chi non può
difendersi?” chiese Sagittarius con tono lapidario.
“Siamo
stati in
silenzio, la notte scorsa, quando ha trattato in quella maniera il
giovane
Nachi. E forse avremmo fatto meglio a intervenire, magari avrebbe
capito.”
Dohko si era alzato, circondato di una tenue luce verde:
“Perché Seiya non
merita di essere aggredito, e certo non per un pigiama e non dopo tutto
quello
che ha passato. Lei c’era, no? L’ha visto in coma,
e nonostante ciò osa
aggredirlo come un criminale? Se avessimo potuto essere noi al suo
fianco… E
invece lei, che ha avuto questo privilegio…”
“O-ora
basta…”
Sottile
come un
alito di vento, la voce di Seiya ebbe l’effetto di una bomba,
facendo voltare
tutti i presenti; mentre cercava di sistemarsi la casacca del pigiama
per darsi
un contegno, con Saori protettiva accanto, Seiya si
raddrizzò sulla sedia a
rotelle e guardò con aria stanca prima Marin e poi tutti gli
altri: “S-Sto
bene. Se qualcuno mi accompagna di sopra, posso cambiarmi e tornare
giù.”
“No.”
Saori,
alzatasi in
piedi, fece un cenno alla Silver Saint e rivolse uno sguardo a
metà tra il
furente e il deluso a Tatsumi, accasciatosi a terra dopo essere stato
lasciato
libero dalla presa ferrea della giovane donna: “È
vero che i documenti
ufficiali non sono ancora pronti ma noi siamo una famiglia, ferire uno
dei
ragazzi è come ferire me. Non è bastato
torturarli quando eravamo bambini,
Tatsumi? Dimmi, non è stato sufficiente colpire Ikki con
l’elettroshock?
Picchiare Seiya con il bokken? Costringere Jabu a
servirmi? Premere
perché Ichi venisse bullizzato a causa del suo albinismo?
Per non parlare di
tutti gli altri che ormai non sono più su questa terra.
Dimmi, è così
soddisfacente torturare dei bambini innocenti? E non dire che mio nonno
lo
permetteva perché sono sicura che, se avesse scoperto quello
che facevate, vi
avrebbe licenziati in tronco. Non costringermi a fare qualcosa di cui
potremmo
pentirci entrambi. Sono stata chiara?”
Nella
stanza non si
udiva un fiato.
“Saori
ha ragione.”
A
sorpresa, Ikki fu
il primo a rompere il mutismo generale e lo fece con voce piena di
rabbia,
seppur controllata: “Tatsumi, non mi sono mai ribellato per
non esporre troppo
Shun alle vostre violenze, ma tocca un’altra volta uno dei
miei fratelli e ti
farò pentire di essere nato.”
Un
brusio di assenso
precedette l’alzarsi in piedi di Jabu che, a pugni stretti,
sembrava faticasse
a trattenersi: “Ti ho sempre rispettato, Tatsumi-san, ma
questa è la mia
famiglia e la proteggerò finché avrò
fiato nei polmoni e sangue nelle vene, non
ti permetterò di ferire ancora Seiya. Dovrai passare sul mio
cadavere prima di
poterti avvicinare a lui.”
Spaventato
dalla
piega che avevano preso gli eventi, Seiya alzò una mano per
calmare i presenti:
“Ragazzi… Non è necessario, davvero.
Posso andare a cambiarmi…”
“No,
Seiya. Adesso
ti siederai accanto a me per fare colazione e non penserai ad altro che
a
goderti la mattinata, poi decideremo quando partire per la Grecia, ci
sono
molte persone che ti aspettano. E Tatsumi, puoi andare. Ma ricordati di
quello
che ti ho detto.”
Il
tono di Saori non
ammetteva repliche, lo sguardo della ragazza era quanto di
più fermo l’uomo
avesse mai visto in vita sua; seppur con difficoltà, egli si
rimise in piedi e
barcollò fino alla porta, sparendo poi nel corridoio senza
voltarsi indietro
neppure una volta.
Athena
non degnò la
sua schiena in fuga neppure di un’occhiata, concentrandosi
invece sullo
spingere Seiya fino al tavolo, tra lei e Shiryu; quest’ultimo
si chinò sul
fratello e gli sistemò la casacca con cura e attenzione
prima di accettare la
coperta che Michiko gli passava per drappeggiargliela sulle gambe:
“Va tutto
bene, Seiya?” gli chiese poi, scrutandolo con ansia negli
occhi verdi: “Stai
tremando.” notò con preoccupazione.
“S-Sto
bene, niisan…”
mormorò Pegasus mentre stringeva con il pugno un lembo del
pigiama all’altezza
del cuore: “N-Non ho pensato al pigiama, non v-volevo creare
p-problemi.”
“Non
devi scusarti,
Seiya.”
Saori
si sedette a
capotavola e sorrise gentile al fratello: “Questa
è casa vostra e qualunque
regola possa aver messo Tatsumi non ha valore. Ho sbagliato a
lasciargli così
tanto potere se questo lo ha portato a pensare di avere il controllo su
di voi,
su uno qualunque di noi. Ora mangiamo, abbiamo tanto di cui discutere e
pianificare.
Abbiamo una famiglia da raggiungere.”
§§§
Quando
il jet
privato della famiglia, una settimana dopo, atterrò nel bel
mezzo del piazzale
antistante la Casa dell’Ariete, era una giornata di sole, con
il cielo limpido
e la luce che rifletteva il bianco del marmo, rendendolo quasi
abbagliante.
In
giro non c’era
nessuno ma, quando il gruppo scese la scaletta – in un
flashback dell’ultima
volta in cui si erano ritrovati in quelle stesse circostanze
più di un anno
prima -, Saori era in testa a tutti, con il proprio scettro in mano e
il peplo
bianco che ondeggiava al vento.
Seiya,
in piedi
accanto a lei, si sorreggeva con le stampelle e scrutava con commozione
tutto
intorno a sé: quanto gli era mancato quel luogo…
“Non
ci aspetta
nessuno?” chiese Jabu con curiosità.
“Non
abbiamo avvertito,
è vero, ma credo che qualcuno stia scendendo a tutta
velocità dalla Tredicesima
Casa per accoglierci.” sorrise la Dea: “E se ho
ragione, Seiya farebbe meglio a
tenersi forte a qualcosa.”
Un
attimo dopo, in
effetti, una figura umana saltò letteralmente fuori dal
nulla e si gettò
addosso al Saint di Pegasus, il quale non cadde rovinosamente a terra
soltanto
grazie alla prontezza di riflessi di Aiolos, che lo afferrò
per le spalle
impedendogli di salutare da vicino il terreno sabbioso.
La
prima cosa che
videro fu un ciuffo rosso, poi la tunica color ocra e infine i due tilaka2azzurri mentre Kiki, stretto al collo di Seiya, sembrava
impazzito per la
gioia.
“SIETE
QUI!” gridò
il bambino con le lacrime agli occhi: “SIETE DAVVERO
QUI!” continuò tra singhiozzi
e risate il giovane apprendista, “Mu-sama e Shion-sama
l’avevano detto… Ma
volevo vedervi di persona!”
“Anche
per noi è bello
vederti, piccola peste.” Seiya strinse forte il piccolo,
affondando il viso nei
suoi capelli: “G-Grazie per aver protetto Seika-neesan, n-non
avrei saputo che
fare se l’avessi persa di nuovo…”
“Non
c’è di che, ma…
Tu stai bene, ora, vero?” chiese Kiki con quei grandi occhi
azzurri, sinceri e
commossi.
“Sto
bene, Kiki, sto
bene. Mai stato meglio di così… Gli altri dove
sono?”
“Vi
faccio strada,
anzi, potrei portarvi tutti! Sono diventato bravo con la telecinesi e
il
teletrasporto!”
“A
patto che non ti
stanchi e ci abbandoni nel bel mezzo del Santuario, magari in aria. Non
so
ancora volare come un piccione.” Jabu si guadagnò
una boccaccia da parte del
bambino prima che questi si sfregasse le mani come a volersi
concentrare.
“Sono
pronto!”
annunciò dopo pochi minuti.
L’attimo
dopo, la
Casa di Aries era scomparsa e, al suo posto, era apparso uno Shion
estremamente
perplesso, il quale sembrava fissarli dall’alto… E
cos’era quella sensazione di
duro sotto le loro schiene?
Oh.
“Kiki,
non si era
detto che avresti fatto pratica con l’atterraggio prima di
portare qualcuno con
te?” disse il Gran Sacerdote accigliato.
“Ma
ho fatto
pratica, davvero! Non ho calcolato che portare così tante
persone poteva essere
un po’ troppo…” borbottò il
piccolo, atterrato in braccio a Mu che li fissava a
due passi di distanza, sorpreso quanto loro.
E
dietro di lui, gli
altri Gold Saint osservavano la scena con espressioni identiche, alcuni
si
erano perfino alzati dai letti e si sorreggevano a vicenda.
Aiolos,
ripresosi in
fretta dalla botta della caduta, fu perciò il primo a
mettersi in piedi e - dopo
aver aiutato Saori- sollevò poi Seiya come se non avesse
avuto peso intanto che
gli altri si sistemavano, frastornati; Jabu scosse la testa per
schiarirsi le
idee e imprecò sottovoce, giurando di prendere le scale alla
prossima
occasione.
“Mi
dispiace!”
strillò Kiki, che tuttavia non cercò di liberarsi
dalla presa di Mu: “La
prossima volta sarò più preciso, giuro!”
“Almeno
ci siamo
risparmiati la fatica di fare tutte quelle scale.” fece
notare Ichi: “Anche se
ci sono delle scorciatoie più comode.”
“Beh,”
disse Death Mask
con voce roca da qualche parte alle spalle di Mu: “Non si
può dire che non vi
siate fatti notare, marmocchi.”
Come
se si fossero
svegliati in quel momento, gli altri Gold Saint superarono Aries e
l’istante
dopo erano assiepati attorno ai nuovi venuti, parlandosi gli uni sopra
gli
altri e scambiandosi strette di mano e abbracci – Aiolia non
aveva gli occhi
asciutti mentre le sue braccia erano avvolte attorno al corpo magro di
Seiya,
men che meno li aveva Aldebaran quando lo ebbe caricato sulle spalle
come se
fosse stato un bambino alla pari di Kiki -; Dohko sorrise a Shion e lo
invitò
ad unirsi a loro con un cenno del capo mentre anche gli altri ragazzi
venivano
accolti dai compagni più anziani e ricevevano pacche sulla
schiena e parole di
ammirazione.
Con
la fluidità di
un colore che si mischia agli altri sulla tavolozza per dare vita a
qualcosa di
meraviglioso e nuovo, i due gruppi si confusero tra loro, fratelli
d’arme e
fratelli di sangue, amici e compagni, una sola famiglia che aveva
finalmente
trovato il proprio equilibrio e la propria dimensione
all’indomani della guerra
che aveva tolto loro così tanto ma che aveva anche donato
loro più di quanto
avessero mai sperato di ricevere in vita loro.
Dita
intrecciate,
lacrime amalgamate nella consapevolezza di un sentimento tracimante che
affondava le proprie radici nella parte più intima e fragile
della comunione di
spiriti in quella stanza…
In
quell’amore che Athena
aveva sempre cercato di proteggere in tutte le guerre e le battaglie
che aveva
combattuto fin dall’alba dei tempi.
In
quell’amore che
si era cristallizzato nel sacrificio di Seiya e nelle lacrime della sua
famiglia.
In
quell’amore che, celato
in giardini sconosciuti ma pronti da esplorare come la vita stessa,
valeva ogni
singola lotta, passata, presente e futura.
-------
Grazie
per essere
arrivati fin qui.
NOTE:
1.
1.
Imprecazione
che, in italiano, si può tradurre con
“Cazzo” o espressioni
similari
2.
2.
I
tilaka sono simboli che, nell’Induismo, rappresentano
l’appartenenza
a una determinata tradizione religiosa