Bhfuil Grà

di niny95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Dunque Roger ha preso una piega differente rispetto a quello che avevo pensato all'inizio, quindi sto modificando tutte le scene dove compare questo bellimbusto XD
 
BFUIL GRÀ(*)
 
Capitolo 1.
«Non puoi andartene Roger.» stava dicendo Eloise quel giorno, i capelli biondi  ancora spettinati e il pigiama ancora addosso. 
Roger sospirò sistemandosi la giacca della divisa «Ne abbiamo già parlato, Eloise. Devo farlo. Non posso più vivere così.» 
Un singhiozzò gorgogliò fuori dalle labbra di Eloise «Posso cambiare.» 
« Ho bisogno di staccare la spina, Eloise. Per il bene mio e di nostra figlia, capisci?»  gli dispiaceva ma era l'unica soluzione possibile per evitare che gli venisse un esaurimento nervoso, lui ed Alice avevano bisogno di allontanarsi un pò, lasciare che Eloise si calmasse prima di tornare a essere quelli di prima. 
Secondo la sua famiglia sposare Eloise – in paese molti ritenevano la ragazza mentalmente instabile, quindi non idonea a formare una famiglia –  era stato il suo più grande errore:  ai tempi l'aveva fatto per non privare sua figlia di una famiglia, ma adesso, sì poteva dire  senza timore di amare sua moglie. 
Ma nelle ultime settimane Eloise era peggiorata di botto e lui non sapeva come comportarsi, ne aveva parlato con il suocero, inizialmente l'uomo non aveva voluto sentire ragioni, era convinto che Roger stesse abbandonando la moglie ma poi aveva acconsentito di stare accanto alla figlia finché lui non sarebbe tornato. 
Alice aveva bisogno di vivere serenamente la sua adolescenza e questo non sarebbe potuto accadere nel caos che era diventata la loro vita nelle ultime settimane. Così Roger aveva preparato la valigia, aveva detto ad Alice che si sarebbero fatti una piccola vacanza e alla fine ne aveva parlato con Eloise. 
«Eloise, non capisci? Abbiamo bisogno di staccare la spina, non è una cosa definitiva. Ti prego, evita di fare una sceneggiata. Ho bisogno di certezze, certezze che in questo momento non ho. Ho bisogno che nostra figlia abbia una vita più normale possibile, ok? Per questo abbiamo bisogno di una pausa, perché non credo che assistendo alle tue crisi possa averla.» sospirò il detective. 
«Ma Roger, non è una cosa che controllo. Non  lo faccio apposta! Non portarmi via Alice, ti prego.»  singhiozzò la donna. 
«Alice non può vivere così, lo capisci?!» sbottò Roger. 
«Ma il Maine è così lontano, come potrò vedere Alice?» 
«Eloise …» 
«Cosa c’è nel Maine? Voglio saperlo.»  
«La mia famiglia vive lì, non ricordi?» disse infine Roger. 
 «La tua famiglia? Vuoi dire quella che non ha mai approvato noi due? »  
 Roger annuì «Posso andare adesso?»  
«No! Che senso ha andare da loro, dopo tutto questo tempo? E senza di me! Vuoi dargliela vinta?» 
 «Non è una gara tra te e loro, Eloise, non lo capisci? Ho bisogno di allontanarmi di qui, ho bisogno di pensare. E sento di dover recuperare con mio fratello.» 
 La donna non aveva intenzione di demordere, però. «E cosa c’entra nostra figlia in tutto questo? Se vuoi lasciarmi, perché me la porti via?» 
 Roger era allibito: davvero glielo stava chiedendo? «Perché non mi fido di te! Non voglio che si trovi sola se avrai una delle tue crisi. È solo una ragazzina, non è giusto che si accolli una responsabilità simile» 
 «Ma tuo fratello mi odia, lui le parlerà male di me …» mormorò la donna con le lacrime agli occhi e la voce spezzata. 
 Roger le mise una mano sulla spalla con fare confortante  «Non succederà, te lo prometto. E comunque Alice è abbastanza grande da pensare con la sua testa, non si farà condizionare. Ha il suo cellulare, potrete sentirvi ogni volta che vorrete, non ho intenzione di impedirlo. Ma è meglio che venga con me. D’accordo?» 
 «D’accordo, andate.» mormorò Eloise sospirando lievemente. 
 


 Killian viveva a Storybrooke nel Maine e aveva tutto quello che poteva desiderare, una famiglia amorevole, e il lavoro dei sogni, infatti era il capitano della Jolly Roger, una nave turistica molto ambita a Storybrooke. 
Aveva conosciuto Emma sei anni prima in una giornata piovosa, la donna viveva sola con Henry,  suo figlio di otto anni. 
In breve tempo i due si erano innamorati,  nonostante le mura che aveva alzato la donna. 
Qualche mese dopo Emma era rimasta incinta, di comune accordo avevano deciso di sposarsi, e adesso Killian non riusciva a pensare a una vita senza Emma, Henry e Hope. 
Quella sembrava una delle solite serate, Emma e i bambini dormivano tranquillamente, Killian si era svegliato da qualche minuto non riuscendo più a dormire, si era alzato ed era andato nel salotto per guardare un po’ di tv. 
Dopo una decina di minuti il campanello suonò, Killian si guardò intorno spazientito, buttò un occhiata all’orologio appeso nella parete, segnava le 12.30. 
Chi diavolo poteva essere  a quell’ora? 
Aprì la porta per ritrovarsi di fronte il suo gemello e sua nipote. 
«Roger ... Alice. Che ci fate qui?» 
«Abbiamo un po’ di problemi, possiamo entrare?» chiese Roger con voce cupa. 
Killian abbassò lo sguardo sulle valigie strette tra le loro mani «Il genere di problemi che ti fa lasciare la città?» sbottò. 
«Killian siamo in viaggio da tre giorni, tutto quello che ti chiedo è un po’ di compassione.» chiese Roger con voce flebile. 
«Roger, ti ho avvertito riguardo a quella donna, quindi cosa vuoi che ti dica adesso?» chiese Killian con voce dura, ma si spostò facendo passare i due. 
«Senti, sono venuto qui perché in questo momento sto passando una situazione complicata e speravo che nel frattempo potessi riallacciare i  rapporti con l'unico fratello che mi è rimasto, ma se  devi continuare a parlare male di mia moglie posso trovare un altro posto dove andare.» sbottò Roger facendo ammutolire il fratello. 
 


 
Emma si svegliò trovando il letto freddo, si tolse il sonno dagli occhi cercando Killian. 
Dal salotto proveniva la voce profonda di Killian, stava parlando con qualcuno ma con chi? 
Con piedi scalzi Emma si incamminò verso il salotto. 
« Ma se  devi continuare a parlare male di mia moglie posso trovare un altro posto dove andare. » stava dicendo una voce così simile a quella di Killian ma in qualche modo diversa. 
Emma fece capolino in salotto, appoggiandosi allo stipite della porta «Che succede?» chiese. 
Killian sussultò, evidentemente essendo scalza non aveva fatto molto rumore «Tesoro, non preoccuparti torna pure a letto.» disse Killian sospendendo la conversazione momentaneamente. 
In quel momento entrarono nella sua visuale le altre due figure;  un uomo, la fotocopia di Killian in divisa e una ragazzina che aveva su per giù l’età di Henry con lunghi capelli biondi. 
«Killian chi sono i nostri ospiti?» chiese ancora Emma. 
«Emma …» 
In quel momento l’uomo uguale a Killian sorrise «Ciao Emma, io sono Roger il fratello di Killian e questa è mia figlia Alice. Abbiamo un po’ di casini in questo momento e stavamo chiedendo a Killian se poteva ospitarci per un po’. Ma evidentemente mio fratello non è molto ospitale.» disse poi con un forte accento irlandese. 
Emma sorrise «Perché no? Abbiamo una stanza per gli ospiti, non è molto grande ma dovreste stare abbastanza bene.» 
Killian la guardò, nel suo sguardo azzurro un misto tra la sorpresa e la delusione. 
Emma si strinse nelle spalle. Non capiva perché suo marito sembrasse tanto deluso di ospitare suo fratello e sua nipote. 
«Bene, allora.» disse Killian «Ma se succede qualcosa, qualsiasi cosa, alla mia famiglia ti riterrò il responsabile.» sbottò infine. 

 «Mamma, chi sono loro?» chiese il giorno dopo Hope seduta a tavola bevendo la sua tazza di latte e guardando con curiosità Roger e Alice che mangiavano silenziosamente la loro colazione. 
Emma sorrise passando una mano tra i capelli biondi di Hope poi indicando rispettivamente Roger ed Alice disse: «Lui è lo zio Roger, è il fratello di papà mentre Alice è tua cugina.» 
Sul viso della piccola si formò un piccolo broncio «Non sapevo che papà aveva un fratello.» disse incrociando le braccine con disappunto. 
Emma rise all’espressione di sua figlia, pur avendo solo cinque anni Hope era una bambina molto sveglia. «Perché papà non ce l’aveva detto.» 
La bambina sbuffò «Bene allora, posso giocare con Alice?» 
«Magari dopo, adesso andiamo a vestirci dai!» disse Emma dando un leggero buffetto nelle spalle di Hope. 

Dieci minuti dopo Emma e Hope tornarono. 
Hope nel suo completino bianco non smetteva di parlare facendo ogni sorta di domande a cui Emma rispondeva sempre con un sorriso. 
Roger si schiarì la gola attirando l’attenzione di quest’ultima «Non è che sai dove posso chiedere per cercare una sorta di lavoro mentre sono qui? Una cosa temporanea, niente di complicato, giusto per contribuire alle vostre spese, visto il disturbo che vi sto dando.  Volevo chiedere a Killian ma lui se n’era già andato quando mi sono alzato.» 
«Oh sì, è andato via piuttosto presto, ha detto che oggi aveva parecchio lavoro da fare.» rispose Emma con un sorriso. 
Roger ridacchiò «Probabilmente aveva solo bisogno di prendere le distanze da me.» 
Henry che era stato in silenzio lasciando che fosse sua sorella a parlare tutto il tempo sbuffò sonoramente mentre continuava a giocare col suo videogioco. 
Emma dal canto suo gli lanciò un occhiataccia «Ragazzino, posa quel videogioco e preparati che sta per passare il bus.» disse lanciando un’occhiata all’orologio. 
Henry per tutta risposta sbuffò ancora posando comunque il videogioco. 
«È in quella fase lì.» sospirò Emma. 
Roger rise «Conosco la sensazione.» disse lanciando un occhiata a sua figlia. 
Alice e Henry alzarono lo sguardo nello stesso momento fulminando i propri genitori. 
«Allora quel lavoro?» chiese ancora Roger. 
«Oh, certo. Penso che dovresti chiedere allo sceriffo.» 
«Dove posso trovarlo?» 
A quella domanda Hope ridacchiò furbescamente. 
Emma mostrò il distintivo con una risatina «Sceriffo Swan al suo servizio. Mi farebbe  proprio comodo un vice, Detective Jones. » 
Dieci minuti dopo arrivò il bus e Henry se ne andò facendo solo un cenno con la mano. 
   
Note: Bfuil Grà vuol dire amare in irlandese e questo si unisce al significato di questa fanfic perchè Killiam ama infinitamente Emma, Henry e Hope così come Roger ama Alice e oltrettutto i gemelli Jones nella mia testa sono irlandesi come Colin.

 Ho dovuto aggiungere un pezzo perchè non quadravano le cose.

Niny :)
 

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Capitolo 2
*** 2. ***


Capitolo 2.
Alice non era stupida, questa storia della vacanza non se l'era mica bevuta.
No, per niente. Magari aveva solo quattordici anni, ma era abbastanza intelligente da saper unire i puntini.
Le crisi di sua madre erano state improvvise, nessuno se lo sarebbe aspettato.
Alice non ricordava di aver visto sua madre in quelle condizioni. La ragazza non aveva potuto fare a meno di notare lo sguardo smarrito nel viso di suo padre.
E poi, poi all'improvviso lui le aveva detto che avrebbero fatto una vacanza insieme e non fu difficile capire che in realtà suo padre aveva solo bisogno di staccare la spina ma aveva deciso di non dire niente per non ferire il suo orgoglio.
Era persa in questi pensieri quando Hope si piazzò davanti, i suoi lunghi capelli biondi erano acconciati in una treccia e tra le mani aveva una bambola.
«Alice, vuoi giocare con me?» chiese la bambina con un sorriso.
Alice s’inginocchiò per essere della stessa altezza della bambina «Ma certo, non mi presenti la tua amica?» disse sorridendo.
Hope sorrise «Lei è Penny.»
«E’ un bel nome Penny.»
«Il suo nome è Penelope, come Penelope quella con la faccia da maialino, hai mai visto Penelope?».
Alice sorrise, certo che quella bambina parlava veramente tanto «No. Ti va di raccontarmelo?»
«La mamma mi ha detto che non si raccontano i film a chi non li ha visti perché rovini la sorpresa.»
Alice sbatté le palpebre, sorpresa «Oh, allora come vuoi giocare?»
«Abbiamo un tea party in corso.» disse Hope con serietà.
«Fammi strada allora.» rispose Alice facendo un occhiolino.

 Erano già passati due giorni da quando Roger era arrivato a Storybrooke insieme ad Alice e Killian non sapeva come comportarsi.
Il suo rapporto con Roger si era incrinato poco dopo la nascita di Alice, avevano conosciuto Eloise a una festa e per Roger che era da sempre molto espansivo con tutti, era stato facile fare amicizia con Eloise.
Non che Killian avesse qualche problema con lei, no sia chiaro.
Ma dopo aver visto le sue crisi pensava che la cosa migliore fosse non alimentare i suoi sentimenti. Ma figuriamoci se quel testone gli aveva dato retta.
«Ma è sempre così sola, deartháir. Non sopporto le ingiustizie, il minimo che posso fare è esserle amico.» aveva risposto lui.
Beh non che lui avesse preteso che smettesse di parlarle, del resto lui stesso aveva sentito le voci che giravano in paese ma esserle amico non voleva dire flirtare di continuo con lei!
E come dimenticare la mattinata in cui gli aveva confessato di aver bevuto troppo ed esserci finito a letto? Killian stava per sentirsi male, poteva un uomo essere così stupido? Ma lui l'aveva rassicurato dicendo che aveva chiarito le cose con Eloise, quella era stata una cosa da una notte non sarebbe più capitato.
Killian si era aspettato che Eloise non si desse per vinta invece le loro strade in breve si erano divise. Questo finché ... la donna non aveva bussato alla loro porta con una neonata tra le braccia pregando Roger di prendersi le sue responsabilità, che Alice aveva bisogno di un padre.
Roger non si era preso poi tanto a pensarci, gli era bastata una settimana.
Aveva sposato Eloise senza dare ascolto a nessuno, poi marito e moglie erano volati a Seattle per cominciare una nuova vita.
Non si erano più visti fino a quando Roger non bussò alla sua porta cinque anni dopo, Eloise era peggiorata all'improvviso e lui non sapeva come comportarsi.
Killian scosse la testa: insomma non resti sposato quattordici anni con una donna solo per il tuo senso del dovere, era ovvio che Roger doveva tenere a sua moglie.
Solo che ...
Killian si passò una mano sul volto con un sospiro, se avesse continuato a pensare così tanto le sarebbe venuto un gran mal di testa, forse era meglio parlarne con Emma, sua moglie era una gran ascoltatrice e sapeva sempre cosa consigliare.
L'uomo annuì convinto dirigendosi verso casa.

Henry guardò sua madre attentamente «Quindi … com’è che non sapevamo niente di Roger? Perché Killian ce lo teneva nascosto?» chiese alzando momentaneamente gli occhi dai compiti che stava facendo.
Emma ricambio l’occhiata di suo figlio «Non lo so, a quanto pare i rapporti tra loro sono piuttosto freddi.» disse mentre metteva davanti a suo figlio un bicchiere di spremuta e qualche biscotto.
Henry addentò un biscotto con foga «Oh? E non ha pensato di parlarne con sua moglie? Davvero curioso.»
«Henry non giudicarlo, non sappiamo le sue motivazioni.»
Henry ridacchiò con sarcasmo «Si suppone che tu abbia conosciuto la sua famiglia, avrebbe dovuto per lo meno menzionare suo fratello.».
«Henry – »
«Sono preoccupato per te mamma!» la bloccò Henry facendole segnale con la mano «Hai già sofferto tanto con papà non voglio che soffri ancora. Non te lo meriti.»
«Henry quello è che è successo con tuo padre non dovrebbe essere affar tuo. Hai quattordici anni dovresti pensare a divertirti e non alla mia felicità.» rispose Emma. Non si aspettava che suo figlio stesse così attento alla sua felicità «Ma per rispondere alla tua domanda, sono felice Henry. Tu, Hope e Killian siete la mia felicità quindi non preoccuparti troppo okay?»
«Va bene.» rispose Henry prendendo un altro biscotto dal piatto.
«Quindi come va con … come si chiamava quella ragazza?» disse Emma.
Henry tossì e per poco non si soffocava, il suo viso talmente rosso da poterlo scambiare facilmente per un pomodoro poi bofonchiò qualcosa di incomprensibile prima di abbassare lo sguardo nuovamente sui i libri.

«Ehi Ems.» disse Killian quella sera sdraiato a letto lo sguardo fisso a guardare il tetto.
«Sì?» rispose Emma mentendosi a sedere per ascoltarlo meglio.
«Sei arrabbiata con me?» chiese Killian «Per non averti detto di Roger?»
Emma sospirò «Penso di esserlo stata per i primi cinque minuti, insomma sono tua moglie e tu non mi avevi detto che avevi un fratello. Ma poi ci ho pensato e sai che c’è? Tutti noi abbiamo dei segreti che vorremmo rimangono tali e sicuramente avrai avuto le tue motivazione per non parlarmene.»
Killian si mise nella stessa posizione della moglie, le mani che s’intrecciavano nervosamente tra di loro «È complicato, io non avrei mai voluto mentirti, lo sai, vero? Ma non sapevo come affrontare l’argomento.»
«Vuoi parlarne adesso?» gli chiese Emma dolcemente.
Killian scosse la testa «Preferirei di no, ma suppongo che è quello che devo fare, aye?».
«Se non sei pronto, va bene così. Sappi che quando sarai pronto a parlarmi di tuo fratello io sarò qui pronta ad ascoltarti.» disse Emma poggiando delicatamente una mano nel ginocchio di Killian.
Killian annui «Non so come comportarmi con Alice.» sbottò poi.
«Oh?»
«Lei mi ha visto trattare suo padre in modo orribile, mi odierà di sicuro!» sospirò Killian.
«È una ragazzina, basterà prenderla nel modo giusto e non ti dico che ti amerà, ma di sicuro ti tollererà.» rispose Emma con un lieve sorriso.
«Grazie, Ems. Sei sempre la mia Salvatrice.» Killian sorrise prima di scoccare un lieve bacio nella guancia di Emma.
 
 
 
 Note: (*) Penny ha diciamo un duplice significato per me, sta sia per Penelope che è appunto un film per ragazzi del 2006 io l'ho visto da ragazzina, ma Penny è anche Penny Wildmore uno dei personaggi che più mi piace di LOST.
Deartháir: fratellone in irlandese. 
Adesso ho guardato e riguardato il testo non dovrebbero esserci errori ma visto che a quanto pare gli errori sono il mio marchio di fabbrica se ne notate non esitate a farmeli notare, non preoccupatevi che non mi offendo.
Penso di aver detto tutto, non mi dilungo che è arrivata la mia cuginetta!
Al prossimo capitolo.
Niny:)

 

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Capitolo 3
*** 3 ***


Capitolo 3.

 
Okay, era pronto.
Killian non era mai stato così sicuro come in quel momento, ma era pronto per raccontare a Emma l’intera storia della sua famiglia, sarebbe partito da principio com’era giusto fare.
Si stiracchiò con un lieve sorriso, era arrivato il momento di rispolverare vecchie storie che aveva deciso di chiudere a chiave dentro il suo cuore.
«Tutto bene?» chiese Emma.
Lui annuì «Sono pronto.» rispose.
«Sei pronto? A fare cosa?» Emma era piuttosto confusa, non riusciva a decifrare il lieve sorriso di Killian.
«A raccontarti tutto quello che non sai della mia famiglia. Ci sono cose che …» Killian prese a muovere i pollici nervosamente, sospirò « alcune cose sono semplicemente troppo dolorose e ho iniziato a chiuderle dentro me, cose che non ho mai raccontato a nessuno perché mi faceva troppo male ripesarci. Ma tu sei mia moglie, il mio cuore, mo ghrà ed è giunto il momento di  rinvangare  queste vecchie storie.  Oltretutto non posso parlarti di Roger senza prima raccontarti tutto.»
Emma accennò un sorriso d’incoraggiamento «Sai che sono sempre pronta ad ascoltarti.»
«Forse è meglio se ti metti comoda, vado a prenderti un cuscino.» disse Killian alzandosi dal divano e iniziando a camminare.
«Il divano è comodo, Killian. Sono a posto così.» rispose Emma con un sorriso.
«Sicura? È una storia lunga.» provò ancora Killian.
«Sono sicura e sono pronta ad ascoltarti.»

Flashback
Killian, Roger e Liam erano inseparabili.
Dove c’era Liam, c’erano Killian e Roger.
Spesso i loro genitori scherzando dicevano di avere tre gemelli, vedendo il rapporto unico che univa i tre ragazzi nonostante i cinque anni di differenza fra i due gemelli e Liam.
Poi era successo tutto rapidamente: il giorno prima giravano insieme i locali più in vista dell’Irlanda quello dopo era finito tutto in un soffio.
Un incidente stradale.
Era bastata una telefonata per cambiare per sempre le vite della famiglia Jones.
Dal quel momento niente era stato più come prima, ogni singolo filo d’erba, ogni soffio di vento, lo stesso rumore delle onde che s’infrangono sulla sabbia che per quindici anni aveva accompagnato lo scorrere del tempo per Killian e Roger, qualunque cosa ricordava loro Liam.
A Killian e Roger, l’Irlanda cominciava a stare stretta.
Ma non erano gli unici.
Brennan Jones viveva in Irlanda da sempre, l’Irlanda era il luogo dove era nato, lì aveva conosciuto sua moglie e dopo un lungo corteggiamento l’aveva sposata andando a vivere in una casa piccola ma accogliente a Galway e sempre lì erano nati e cresciuti i suoi tre figli.
Ma adesso dopo la morte di Liam non riusciva più a vivere serenamente  in Irlanda.
In ogni angolo vedeva il riflesso di suo figlio.
Fu così che in un attimo di crisi prese la decisione di trasferirsi, la sua famiglia aveva bisogno di cambiare aria, così in poco tempo iniziò a scandagliare riviste e quotidiani in cerca di un luogo lontano dall’Irlanda.
Dopo qualche mese la famiglia Jones si era ritrovata nel Maine con decine e decine di scatoli sparsi per casa.
Killian aveva sfogato la sua frustrazione in mare, stava giorni e giorni nella barca di suo padre oppure si rintanava nella sua stanza senza uscirne più.
Roger invece aveva iniziato a studiare per entrare nella polizia «La morte di Liam mi ha insegnato che la vita è una sola e che basta un solo minuto per finire tutto quindi voglio salvare vite, voglio mettere in cella chiunque  metta in pericolo la vita di altri.» aveva risposto prima di buttarsi a capofitto nello studio.

«Sai, penso che per parte della mia adolescenza ce l’abbia avuta con Liam.» disse Killian con un sospiro «Lui non era solo mio fratello, era il mio migliore amico, il mio mentore e mi aveva abbandonato. Come aveva potuto farmi questo?»
«Avete mai saputo la causa dell’incidente?» chiese Emma posando la sua mano sulla
gamba di Killian dolcemente.
Killian annuì «I miei ricordi di quei giorni sono confusi, ho un’enorme foschia in testa, però sì ,ricordo perfettamente la polizia che ci racconta delle cause dell’incidente.» una singola lacrima bagnò la guancia di Killian lui l’asciugò con rabbia  «Una macchina ha tamponato la moto di mio fratello che si è ribaltata, mio fratello ha sbattuto la testa sul marciapiede, non c’è stato niente da fare.  Il conducente era ubriaco ed è scappato via. Mio fratello è morto in una strada della malora da solo, quel tizio non ha avuto neanche la dignità di vedere come stava.» disse Killian stringendo forte i pugni, le nocche erano ormai quasi bianche.
Emma le prese gentilmente una mano tra le sue costringendola ad aprirsi «Va bene così, il resto me lo racconterai più avanti.»
Killian annui prima di posare il volto contro la spalla di sua moglie soffocando un singhiozzo.

Roger sospirò.
Non si era accorto dell’enorme squarcio che si era creato nel rapporto tra lui e Killian finché non era arrivato a Storybrooke qualche settimana prima.
Non parlavano quasi mai, se non per lo stretto indispensabile, poi Killian dopo aver dato un breve bacio a sua moglie e scompigliato i capelli ai ragazzi spariva per poi tornare la sera tardi.
Sospirò di nuovo «Oh Liam, tu sapresti di certo cosa fare.» bofonchiò infine.
Erano passati vent’anni da quando Liam era morto, ma non c’era un singolo momento in cui Roger non pensasse a lui.

«Devo fare cosa?» disse Alice quel giorno squadrando da capo a piedi suo padre come se improvvisamente le fosse cresciuta un’altra testa.
Roger ridacchiò «Mi hai sentito bene.»
Alice trattenne l’ennesimo sospirò «Sì, beh … non voglio uscire, non conosco nessuno!».
«Conosci Henry. Puoi chiedere a lui se ti fa visitare la città.» rispose suo padre con calma, come se fosse la cosa più facile del mondo!
«Ma non mi va. Preferisco stare qua, Hope è sicuramente più simpatica del mucchio di gente che c’è là fuori!» Alice sospirò sedendosi sul letto che momentaneamente usava.
«È su questo che vuoi basare le tue conoscenze? Una bambina di cinque anni? Alice, Hope è una bambina adorabile, un vero tesoro. Ma non puoi basare le tue conoscenze solo su lei. Abbiamo preso una pausa da Seattle perché tu avessi dei ricordi felici e per averli hai bisogno di conoscere gente.»
Alice sbuffò «Come se non mi avessi trascinato qui solo perché non sapevi come comportarti con mamma, non hai neanche chiesto il mio parere.»
Roger sospirò «Occuparti di tua madre non è compito tuo.» disse infine.
«Pa', lo so che non ti senti tranquillo finché non hai tutto sotto controllo, ma anche se non è compito mio è normalissimo che mi preoccupi per mamma. E poi guardaci, papà! Siamo qui, nel Maine, ma non mi hai mai chiesto realmente se  mi andasse di lasciare Seattle.» rispose Alice sconfitta.
Sul viso di Roger si dipinse un'espressione colpevole «Pensavo che non ti piacesse Seattle.»
Alice sospirò «Ed è così infatti. Ma hai comunque distrutto la mia routine.»
 Aveva accettato senza discuterne perché aveva capito che per suo padre era importante. Ma... ecco...  avrebbe preferito che le fosse stata data una scelta.  Del resto sua madre era rimasta sola col nonno. Non che William fosse una cattiva persona tutt'altro. Solo che...  era una persona così sulle sue che spesso Alice si era chiesta se non avesse preso da lui quella parte del carattere, per quanto riguardava il sarcasmo invece...
Alice scosse la testa mandando via quei pensieri e riprendendo da dove si era fermata:« Scusami, so che l’hai fatto per me. E Dio ti prego non guardarmi con quella faccia! Va bene, se ci tieni tanto uscirò. » disse  prima di aggiungere «E comunque non ho bisogno di conoscere la gente per sapere che la odio!»
Roger sorrise «Questa è la mia bambina!» disse.
Alice sbuffò «Lo sto facendo solo perché odio che tu ti senta in colpa per me.» disse prima di cercare qualcosa da mettersi.

Henry guardò Alice come se improvvisamente fosse diventata pazza «Scusa, non ho capito, tu vuoi che cosa?».
Alice gli lanciò un’occhiata furente «Sentimi bene Henry, te l’ho chiesto soltanto perché mio padre mi sta tartassando, posso girare questa città anche da sola. Non è molto grande, sai?» sbottò infine.
«No, no. Mi era solo sembrato strano, tutto qui. Certo che ti accompagno» disse poi Henry con un sorrisino «a una condizione, però.»
Alice sbuffò «Dio ecco perché odio gli adolescenti, cosa vuoi?» sospirò.
Henry la guardò confuso  poi ridacchiò « Gli adolescenti? E tu cosa saresti allora? Comunque il punto è questo: domani c’è una festa. Si da il caso che posso andare solo se sono accompagnato. Quindi io ti accompagno oggi ma tu domani vieni alla festa con me.»
«Odio le feste. Perché io? Non c’è qualcuno che ti piace?» chiese Alice.
«Sì, ma …» Henry arrossì di colpo «beh che ti costa? Tuo padre vuole che conosci gente, no? Bene, io ti porto a conoscere gente!»
Alice annuì infine «Okay allora.»
Henry sorrise «Perfetto! Vado a vestirmi.»
 
 Note: Prima di tutto Mo ghrà vuol dire mio amore in irlandese.
Adesso scusatemiii lo so che ci ho messo cent'anni per aggiornare >.< che posso dire in mia discolpa? Sapete che sono Pausiniana, no? Bene, l'11 luglio c'è stato il raduno a Jesolo poi sono tornata a casa ma ero troppo euforica per scrivere e adesso per scrivere questo mi sono presa tre giorni!xD
Allora il capitolo 1 è stato sistemato, anzi colgo l'occassione per ringraziare 
 veronica85 che mi ha aiutata a sistemare il capitolo. Thanks :)
Come al solito ho cercato di non fare errori ma se li beccate fatemeli notare che non mi offendo! xD
Alla prossima!
Niny :)

 

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Capitolo 4
*** 4 ***


Capitolo 4.  
  
  
Henry camminava velocemente, indicando, mentre passavano, i vari negozi.   
Fino a quel momento avevano visto la stazione, un supermercato, e perfino un cinema – che non poteva competere con quello di Seattle ma sempre un cinema era. - e il porto dove lavorava Killian. L’uomo non appena li aveva visti arrivare, aveva sorriso invitandoli a fare un giro sulla Jolly Rogers, ma i due cugini avevano rifiutato con la promessa che la prossima volta avrebbero accentato.   
«Oh guarda, quello è il banco dei pegni» disse Henry prima di salutare con la mano un uomo che, ricurvo su un bastone, si aiutava a camminare. L’uomo rispose al saluto con un sorriso inquietante. «e quello è Mr. Gold, il proprietario. Vuoi sentire uno scoop?»  propose sorridendo.  
Alice annuì con noncuranza.   
«Mr. Gold sta con Belle, la bibliotecaria, e hanno più di vent’anni di differenza.»   
Alice lo guardò inorridita «La prossima volta risparmiarmi questi scoop».
«Perché fai questa faccia? In fondo che importa? L’amore è amore, no?»   
Alice fece spallucce «Tu sei troppo sognatore.  Probabilmente questa Belle si è messa insieme a lui solo per i suoi soldi o qualcosa del genere, l’amore non muove sempre tutto. A volte due persone stanno insieme, anche se non si amano.»  
Non che Alice ne sapesse qualcosa, nonostante gli alti e i bassi i suoi genitori  si amavano molto ma aveva letto un mucchio di libri e sapeva che a volte due persone stanno insieme anche se non c'è amore. E poi essere cinica era parte del suo carattere non poteva mica far girare tutto attorno al romanticismo. 
 Henry la guardò perplesso: certo che, per avere solo quattordici anni, Alice aveva una visione della vita molto pessimista. Per fortuna avevano appena raggiunto la meta successiva, cosa che gli permise di cambiare agevolmente argomento.  
«Oh eccoci arrivati nel mio posto preferito.» disse Henry «La torre dell’orologio, e la biblioteca.» fece un gesto plateale con la mano.  
La biblioteca non era grande nemmeno la metà di quella che c’era a Seattle ma nonostante questo sembrava accogliente. In alto al centro spiccava la scritta Storybrooke Free Public Library, e i mattoni rossi della torre dell’orologio davano un’atmosfera calda e accogliente al luogo.   
Alice sbuffò «Ho lavorato in una biblioteca che è grande quattro volte questa.» disse solo per andare in contrasto con il nuovo cugino.   
 Ma Henry non si fece intimidire invece chiese: «Davvero? Cosa facevi?»   
«Intrattenevo i bambini.» rispose Alice prima di prendere l’iniziativa ed entrare dentro.  
Henry annui seguendola dentro.  
«Benvenuti, Henry sei venuto a ritirare un altro libro?» chiese la bibliotecaria.  
«Ciao, Belle. Sì, in effetti, vorrei un libro nuovo.» disse Henry. 
 

 Emma sospirò «Odio davvero questa parte del lavoro.» disse indicando la pila di scartoffie che avevano davanti.  
Roger ridacchiò «Quando sono entrato in polizia per i primi tempi non facevano altro che farmi compilare pile e pile di scartoffie.»  
«Beh non capisco perché tutta questa burocrazia, sono lo sceriffo, posso combattere il crimine senza compilare file e file di carte.» bofonchiò.  
Il calpestio dei tacchi interruppe la discussione.  
«Questo perché …» disse una donna dai corti capelli scuri «è il suo lavoro sceriffo Swan. »  
Emma si alzò andando incontro alla donna «Sindaco Mills!»  
La donna fece un gesto di non curanza con la mano «Continui pure il suo lavoro Sceriffo, sono venuta qua per dare il benvenuto al nuovo vice.» disse volgendo la sua attenzione a Roger «Sono Regina Mills, sindaco di Storybrooke. Il mio più cordiale benvenuto signor Jones.»  
Roger annuì «Lieto di fare la sua conoscenza sindaco Mills, ma è una cosa momentanea.»  
«So anche questo. Si goda la permanenza.» disse allontanandosi «e sceriffo Swan?»  
«Sì?» disse Emma alzando lo sguardo dai moduli che stava compilando.  
«Voglio quei moduli compilati nel mio ufficio entro domani.» disse uscendo definitivamente.  
«Beh, sembra severa.» disse Roger.  
«Sì, ma è brava. Non farti ingannare dal suo aspetto.» rispose Emma sorridendo.  
 


  «Quindi quale sarà la nostra prossima meta?» chiese Alice.   
Erano usciti dalla biblioteca da poco, e i loro libri erano ben riposti.   
«Passiamo da Granny’s poi possiamo tornare a casa.»  Henry indicò l’insegna luminosa del dinner «Granny fa i migliori cheeseburger.». 
 Così dicendo s’incamminò dentro seguito da Alice.   
Non ebbero neanche il tempo di sedersi che una cameriera si avvicinò al loro tavolo, blocchetto in mano «Cosa vi porto?»   
«Un cheeseburger e una cioccolata con cannella. » disse Henry.   
La cameriera scrisse tutto nel suo blocchetto prima di volgere la sua attenzione ad Alice: «E a te cosa porto?».   
«Oh, un milk-shake al cioccolato, grazie.»   
Stavano aspettando le loro ordinazioni quando una ragazza dai capelli lunghi e castani si fermò al loro tavolo, sorridendo a Henry «Ciao, Henry.».
Henry ricambiò il sorriso «Ciao, Grace.»   
«Chi è la ragazza con te?» chiese Grace.   
«Oh, lei è Alice Jones, mia cugina.» disse Henry.   
La ragazza sorrise in direzione di Alice «Piacere di conoscerti, è raro vedere un viso nuovo qui a Storybrooke.».
«Piacere mio.» rispose Alice prendendo un sorso del Milk-shake che le era stato messo davanti.   
Grace sorrise prima di rivolgere la sua attenzione nuovamente a Henry «Verrai alla festa domani?»   
«Sì, certo.»   
«Bene, ci vediamo domani allora.» disse Grace allontanandosi.   

«È lei?» chiese allora Alice non appena Grace fu abbastanza lontana da non poterli sentire.   
«Chi?»
Alice sbuffò «La ragazza che ti piace ma che ti vergogni troppo da invitare con te alla festa.»   
«No, ma …» Henry la guardò confuso «dove hai preso tutte queste informazioni? Non ti ho detto tutto questo.» disse poi.   
Alice arrossì di botto «Io … non ho molti amici, quindi ho preso l’abitudine di studiare le persone quando mi parlano.» rispose poi impacciata.  


 

Il giorno seguente Alice, dopo essersi cambiata, si piantò di fronte al cugino:
 «Se dobbiamo andare, ti conviene farlo adesso prima che cambio idea.» 
Henry distolse lo sguardo dal videogioco e annui, spense il dispositivo e si alzò «Okay, allora.» 
In quel momento Hope si piazzò davanti ai due ragazzi «Dove andate?» chiese. 
«A una festa.» rispose Henry abbassandosi per essere della stessa altezza della sorellina.  
«Posso venire?» 
Henry si passò una mano tra i capelli impacciato «Hope …»  
La bambina incrociò le braccia offesa «Non mi porti mai con te!»  
Henry le diede un buffetto tra i capelli «Ti prometto che domani usciremo io, te e Alice.» disse poi. 
«Promettilo!» rispose Hope ancora con le braccia incrociate. 
«Te lo prometto.» Henry offrì il suo mignolo alla bambina che lo intrecciò al suo con serietà. 

Erano appena arrivati alla festa, Robyn la proprietaria di casa aveva dato loro il benvenuto con un sorriso, invitandoli poi a raggiungere gli altri in giardino.   
 Il giardino era una grande distesa erbosa che sembrava perdersi a vista d’occhio.  
Henry fischiò in approvazione appena si guardò attorno «Vieni, ti faccio conoscere qualcuno!» esclamò poi trascinandosi dietro Alice.  
«Non mi va di conoscere gente!» brontolò lei.  
«Ehi, Roland!» Henry fece segno a un ragazzo dai capelli castani di avvicinarsi, senza ascoltare le proteste di Alice. «Ti presento Alice Jones, mia cugina.»  
Roland porse la mano ad Alice gentilmente «Piacere di conoscerti, io sono Roland Locksley. Spero ti troverai bene qui.»  
Alice annuì stringendo la mano di Roland.   
Henry sorrise trascinando Alice in un’altra parte.  
«Grace, l’hai conosciuta ieri.» disse avvicinandosi alla ragazza che sorrise vedendoli.  
«Ciao Henry, ciao Alice.» li salutò Grace «Le stai presentando gente?»  
Henry annui.  
«Ho incrociato Ava, Nick e Neal, se ti interessa.» rispose allora Grace.  
«Perfetto, grazie Grace!» disse Henry allontanandosi mentre Alice si lamentava di quanto fossero rompi scatole gli adolescenti. 

  Eloise camminava avanti e indietro nervosamente.   
Era già la quinta volta che chiamava a Alice, ma ogni volta rispondeva la segreteria telefonica.   
Calmati, probabilmente Alice si è addormentata e non risponde al telefono per questo pensò.   
Ma  erano solo le 10.30 ed Alice andava a letto sempre dopo le 11   
 Eloise fece un respiro profondo cercando di calmarsi.    
Perché mia figlia non risponde? Pensò cercando di scandagliare le varie ipotesi forse è uscita e non sente il telefono? Pensò ancora. Ma Alice odiava uscire e non andava molto d’accordo con i suoi coetanei. E allora perché?    
«Calmati!» sbottò Eloise prendendo un respiro profondo e riempiendo un bicchiere d’acqua.

    
Alice sbottò infastidita, Henry dopo averle presentato alcuni amici era sparito, oltretutto la musica che pompava dagli altoparlanti la urtava profondamente.  
«Posso sedermi qui?» chiese la ragazza che li aveva fatti entrare indicando il posto vuoto accanto a lei.  
Alice annuì.  
«Sono Robyn Mills a proposito» disse la ragazza sedendosi e allungando una mano «Sei nuova? Non ti ho mai visto qui.»  
Robyn era un poco più alta di lei, con lunghi capelli biondo scuro.
Alice strinse la mano che aveva davanti per poi dire «Beh, in effetti sono nuova. Abito a Seattle. Sono Alice Jones.»  
«Caspita! Seattle è lontano, come ci sei finita qui?» chiese Robyn sorpresa.  
Alice fece spallucce «È una lunga storia, davvero davvero lunga.»  
Nel frattempo arrivò Henry con due bicchieri tra le mani.  
«Henry Swan – Jones, non dovresti lasciare solo chi ti accompagna!» lo punzecchiò Robyn.  
 Henry arrossì di botto «Io … mi dispiace, mi hanno trattenuto!» disse poi consegnando il bicchiere colmo di Coca Cola ad Alice. 

 
 «Allora, la ragazza che ti piace, chi è?» chiese Alice.   
Henry arrossì, per poi blaterare qualcosa d’incomprensibile provando a cambiare discorso.   
«Non ci provare!» disse Alice puntandogli un dito contro «Tu mi hai trascinato qui, quindi il minimo che puoi fare è andare a parlare con quella ragazza! Allora chi è?»   
«Violet Morgan.» rispose indicando una ragazza con lunghi capelli neri di spalle.   
«Bene, vai. Ti aspetto qui.» disse Alice prendendo posto in una panchina lì vicino.   
Henry sbuffò «Ti odio.» bofonchiò poi.   
Alice sorrise «Fidati, è reciproco.»  

Henry sbottò, però Alice aveva ragione doveva farsi forza. 
Sfiorò la spalla della ragazza «Ehm Violet?» 
Quella si girò riservandogli solo una semplice occhiata «Come scusa? Violet chi? » 
Aveva sbagliato persona. 
Henry Swan – Jones aveva sbagliato persona. 
Sbatté le palpebre due volte prima di rendersi conto di essere rimasto fermo lì in silenzio. «Io … ti avevo scambiato per …» arrossì dileguandosi. 
Quando tornò a sedersi fulminò Alice con lo sguardo «Non ti ascolterò più.» sibilò.  
Alice lo guardò confusa «Perché? Com’è andata?» 
Henry sospirò «Non era lei.» 
Alice ridacchiò «Cosa?»
«Non ridere, è colpa tua! » l’accusò Henry. 
Lo sguardo di Alice lo trapassò da parte a parte «Come scusa? Non sono stato io a puntare alla persona sbagliata fino a prova contraria, ma tu! Quindi non dare la colpa a me.» 
Henry si passò una mano tra i capelli, impacciato «Sì, scusa. Io …» 
«Henry … sei scappato via senza dire niente a Violet 2.0 ?» disse Alice guardandolo seriamente. 
«Violet 2.0?» chiese Henry confuso. 
«Ma sì, la ragazza che hai scambiato per lei. Ti sei scusato?»  
Henry arrossì. 
Alice sospirò «Dannati adolescenti incapaci!» sbottò «Andiamo.»  
 

«Ehm scusa?» Alice sfiorò la spalla di Violet 2.0.  
Questa si girò guardandola «Sì?»  
Alice si schiarì la gola «Io sono Alice Jones, e quel decerebrato lì» disse indicando Henry «è mio cugino Henry, che idiota com’è ha puntato la ragazza sbagliata. E vorrebbe scusarsi.»  
Henry la guardò un attimo per poi abbassare lo sguardo nuovamente. «Io …» Alice gli diede un pizzicotto che lo costrinse ad alzare nuovamente lo sguardo.
La ragazza a vedere quel breve scambio ridacchiò.
«Oh so, l’impressione che fa. Ma devo ammettere che non è sempre così scemo.» disse Alice.
Henry sbottò «Okay basta così.» disse per poi rivolgere la sua attenzione alla ragazza, arrossendo «Io … mi dispiace di essere scappato così prima senza dire niente.»
La ragazza annuì «Okay, Henry …?»
«Swan – Jones.» completò Henry.
«Scuse accettate Henry Swan – Jones. » rispose la ragazza con un sorriso «Sono Ivy Belfrey.»
Henry accettò la mano, ancora imbarazzato.
«Piuttosto sono curiosa … per chi mi avevi scambiato?» chiese Ivy.
«Violet  Morgan.» bofonchiò pianissimo.
«Oh beh, vedi di non sbagliare la prossima volta.» disse allora Ivy.
Alice ridacchiò «Andiamo o vuoi continuare a fare la figura dell’idiota?»  
Henry sbuffò «Potresti smetterla per favore?» sbottò seguendo la cugina.  
  
 

Erano appena tornati a casa.
Alice si buttò nel letto con un sospiro.
«Bentornata Stella Marina!» la salutò suo padre con un sorriso.
Alice si limitò a un breve cenno con la testa prima di prendere il telefono.
Strabuzzò gli occhi.
8 chiamate perse da sua madre.
«Oddio.» bofonchiò.
Suo padre si rizzò a sedere «Cos’è successo?» chiese.
«Ha chiamato mamma.» disse prima di allontanarsi per comporre il numero.
«Mamma …» disse Alice non appena la linea dall’altra parte fu aperta «mi dispiace non averti risposto, ma sono stata a una festa e non ho sentito il telefono suonare.»
Il sospiro che seguì rispose più di mille parole «Ma tu odi le feste.» rispose poi sua madre.
«Sì, ma …» Alice sprofondò nel letto tanto per avere qualcosa da fare «ho fatto una promessa, e tu e papà mi avete insegnato sempre di mantenere le promesse che si fanno.»
Sua madre ridacchiò «Sì, è vero. Va’ a dormire bambina mia.»
Alice annui – anche se sua madre non poteva vederla –, in effetti era piuttosto sfatta. «Okay.»
«Mi chiamerai domani?»
Alice annuì nuovamente «Sì, certo. A domani.»
«A domani.» rispose sua madre prima di riattaccare.
 

     Note: Ci ho messo una vita mi dispiaceeee >.< questo capitolo è stato un vero parto!
Anche se... ho superato le cinque pagine!!
Spero vi piaccia!
Niny :)

   
  
  
 
 

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Capitolo 5
*** 5 ***


Capitolo 5. 
  
Le giornate di Eloise Gardner erano sempre uguali da quanto Roger e Alice se n’erano andati. 
Si svegliava alle 7.30 come ogni mattina, mangiava una tazza di latte con qualche biscotto, poi si rintanava in giardino – cosa che la faceva pensare molto, e pensare non sempre era una cosa buona.  
Aveva conosciuto Killian e Roger che aveva solo 18 anni, era ancora una ragazzina. Si era innamorata di Roger praticamente subito, era stato il primo a trattarla con dolcezza, e Dio era così giovane! Tutti gli altri non la degnavano di uno sguardo, ma lei non era un’idiota sapeva cosa le dicevano alle spalle. 
“Oh è arrivata Eloise la pazza!” oppure “È talmente pazza che dovrebbero riaprire i manicomi solo per lei” o ancora “dicono che abbia ucciso la sua stessa madre, come si può? Non ha il minimo rimorso?” 
Ogni frase detta dietro le spalle era una stilettata di dolore dritto al cuore. 
Non aveva ucciso lei sua madre! Anche se non passava giorno in cui non si sentisse in colpa per quello, cercava sempre di non pensarci troppo perché altrimenti iniziavano tutti quei se che rischiavano di farla impazzire. 
Ma poi era arrivato Roger, con il suo sorriso e con i suoi magnetici occhi blu che sembrava non importarsene di tutte quelle voci, era gentile con lei e non aveva secondi fini. E poi era il ragazzo più bello che avesse mai visto come poteva non innamorarsi di lui? 
La suoneria del cellulare la fece sussultare talmente era immersa nei pensieri. Nello schermo la foto di Alice lampeggiava, accettò la chiamata senza pensarci troppo. 
«Tesoro!» rispose subito. 
«Buongiorno mamma.» disse la voce assonnata di Alice. 
«Ti sei svegliata adesso, vero?» 
«Si nota così tanto?» chiese Alice con una risatina. 
«Sei mia figlia, ti ho tenuto dentro di me per nove mesi, ovvio che lo noto.» fu la risposta di Eloise «Com’è il tempo? Ti stai divertendo?» 
«Qui c’è sempre il sole mamma, non è come Seattle che piove sempre. È così strano!» disse Alice. 
Eloise ridacchiò «Mi fa piacere, goditelo. Qual è il tuo programma di oggi?» 
«Abbiamo promesso a Hope che avremo fatto una passeggiata.». 
«Abbiamo?» 
«Sì, io e Henry.» rispose Alice. 
«Divertiti, amore. Ti voglio bene.» disse allora Eloise prima di chiudere la chiamata. 
____________________________________________________________________ 
 
 
  Hope nel suo vestitino bianco non smetteva di seguire ossessivamente Henry per tutta la stanza. 
«Hope, piantala una buona volta! Mi metti ansia, si può sapere perché non smetti di seguirmi?» sbottò Henry. 
Hope ridacchiò al nervosismo del fratello maggiore poi disse: «Ti sto tenendo d’occhio, non voglio che esci senza dirmi niente.» 
Henry sospirò «Tenermi d’occhio, eh? Perché piuttosto non vai a chiedere ad Alice di sbrigarsi?»  
Hope non se lo fece ripetere due volte prima di volatilizzarsi e andare a chiamare la cugina. 
 
_______________________________________________________________________________________ 
    
    
    
  Henry infine aveva portato Hope al luna-park, dove tutti e tre si stavano divertendo da matti – persino Alice, anche se faceva di tutto per non farlo notare –. 
In quel momento stavano riposando un po’ seduti su una panchina, ognuno aveva in mano un enorme stecca di zucchero filato. 
«Possiamo fare quella adesso?» chiese Hope indicando la giostra del bruco mela davanti a loro. 
«Certo!» rispose Henry con sorriso tenendole una mano e iniziando a incamminarsi. 
Quando furono di nuovo giù Henry disse: «Okay Hope, possiamo fare solo altre due giostre cosa vuoi fare adesso?» 
Hope guardò i due ragazzi per alcuni minuti e poi chiese: «Può scegliere Alice?». 
«Oh certo.» 
Alice scosse la testa «Oh Hope, è uguale per me. Scegli pure quello che preferisci.» 
Hope annuì «Okay allora, possiamo fare gli autoscontri?» 
«Ma Hope gli hai già fatti due volte!» rispose Henry. 
Hope sfoderò un perfetto sguardo di quelli che Henry chiamava sguardo da cerbiatto alla Hope seguito da un cantilenante ti-prego-ti-prego-ti-prego e alla fine Henry cedette. 
«Possiamo andare da Granny’s dopo?» chiese Hope mentre aspettavano il loro turno per prendere i gettoni «Voglio mangiare il milk-shake che mi prepara sempre Ruby!». 
Henry annuì «Certo, se Ruby è di turno, puoi farti preparare il suo milk-shake speciale.». 
Hope fece un gridolino eccitato prima di stringere il fratello in un abbraccio, Henry con la sua sorellina stretta alla vita sorrise. 
________________________________________________________________ 
   Killian tornò a casa prima del solito, appese il giubbotto e diede un lieve bacio a sua moglie seduta sul divano prima di prendere posto accanto a lei. 
Emma mise un dito per tenere la pagina nel libro che stava leggendo e fece una carezza a Killian, assaporando il lieve pizzico della barba. 
«C’è uno strano silenzio» disse Killian chiudendo gli occhi alla freschezza della mano di Emma «non ci sono i ragazzi? ». 
Emma scosse la testa «Hanno accompagnato Hope al luna-park.». 
«Oh» rispose Killian prima di prendere consapevolezza e ripetere «Ohhh» con un sorriso birbante. 
Emma mise il segnalibro al posto del dito e posò il libro sul tavolino lì vicino. «Cosa sta pensando quella tua testolina?»  
«Siamo soli. Questo vuol dire che posso farti tutti i dispetti che voglio senza che nessuno mi disturbi!» ghignò Killian. 
Emma rise «Dispetti?» 
«Già. Dimentichi che ho l’anima di un pirata!» rispose Killian sollevandole una gamba e iniziando a solleticarle un piede. 
Emma provò inutilmente a trattenere una risata prima di dire «Sei un idiota!». 
______________________________________________________________ 
Roger mise la chiave di riserva che gli aveva dato Emma nella toppa e poi dopo averci pensato abbastanza la girò. 
Non appena mise piede in casa, gli giunse alle orecchie il suono delle risate di Emma e Killian. 
Sospirò. 
Gli venne in mente quando mentre tornava a casa da lavoro incontrò un venditore di rose e comprò una singola rosa rossa.
Quando diede la rosa a Eloise lei lo riempì di baci e poi ...
Scosse la testa mandando via quei pensieri.
Per l'ennesima volta prese il cellulare, il suo dito si fermò nel numero di Eloise.
Roger sospirò bloccando il telefono e mettendolo in tasca.
Si stava incamminando in camera sua, quando la visuale di Killian e Emma gli passò davanti. 
I due sdraiati sul divano erano nel bel mezzo di un bacio. 
Roger arrossì di botto «Non volevo disturbare.» bofonchiò. 
«Abbiamo tutti i vestiti addosso... ancora.» disse Killian staccandosi da Emma.  
Emma arrossì «Killian!» sussurrò colpendole il braccio. 
Lui rise. 
Poi però tornò serio «Avevo giusto intenzione di parlarti». 
  «Okay, allora.» rispose Roger prendendo posto nel divano tra Emma e Killian.   
 Erano già passati dieci minuti buoni ma nessuno dei tre aveva ancora aperto bocca, Emma stava facendo distrattamente zapping, Killian e Roger facevano di tutto per non fare incontrare i loro sguardi. 
 Emma si schiarì la gola « Io vado, ho delle cose da sbrigare.» disse alzandosi dal divano. 
«Vuoi una mano?» Killian la supplicò con lo sguardo. 
Emma scosse la testa « Non preoccuparti, andrà tutto bene. Tu invece hai delle cose da chiarire con tuo fratello, ricordi? » 
Killian strabuzzò gli occhi come colto di sorpresa «Oh, sì, vero.» bofonchiò.  
Emma annuì e si allontanò. 
 Killian si schiarì la gola «Scusa. Non sono stato proprio un vero fratello e neanche un buon zio per Alice –anche se almeno in quello sto cercando di migliorare! – è la tua vita, e non avevo alcun diritto di prendermela così. Se Liam fosse qui ci avrebbe fatto una delle sue ramanzine coi fiocchi.» 
Roger ridacchiò «Sicuro! Ci avrebbe preso per le orecchie, portato in qualche posto in disparte e imitando la voce roca di papà detto qualcosa tipo: ”Voi due idioti, dovete smetterla di fare gli idioti … e mi dispiace per il gioco di parole! Siamo una famiglia dobbiamo stare uniti quindi vedete voi come risolvere la cosa.”»  
Killian sorrise, un lieve sorriso triste «Sì, esatto.» 
Roger sospirò ancora «Mi manca così tanto, mo dheartháir» 
«Anche a me, Roger. Anche a me.» rispose Killian stringendo il fratello in un abbraccio. 
____________________________________________________________________ 
Avevano preso un tavolo da Granny’s, stavano aspettando l’arrivo della cameriera mentre Hope giocava con uno dei menù. 
«Allora che vi porto?» disse la cameriera, aveva i capelli lunghi e castani con qualche ciocca rossa. 
Hope saltò subito giù dal tavolo «Ruby!» disse stringendo la donna in un abbraccio. 
Alice nelle ultime settimane si chiedeva spesso dove potesse essere contenuta tutta quell’energia in una bambina così piccola. 
 «Cosa prendi piccoletta?» chiese Ruby sorridendo. 
Hope fece un enorme sorriso «Il milk-shake speciale di Ruby!» disse. 
«Un milk-shake speciale in arrivo allora!» sorrise Ruby facendo il saluto militare «E a voi cosa porto?» disse facendo segno a Henry e Alice. 
«Una cioccolata con panna e cannella e … Alice cosa prendi?» disse Henry facendola uscire fuori dai suoi pensieri. 
Alice sbatté le palpebre confusa prima di dire «Un milk-shake al cioccolato.». 
Ruby annuì allontanandosi con le ordinazioni.  
 Stavano aspettando le loro ordinazioni quando una ragazza si avvicinò al loro tavolo, aveva lunghi capelli castani ed era piuttosto minuta. 
«Ciao, Henry!» disse sorridendo. 
Henry sbatté le palpebre, due volte prima di dire: «Violet! Cosa ti porta qui?» 
Alice non riusciva a capire come facesse Henry a trasformarsi in un completo idiota davanti alla ragazza che gli piaceva. 
Violet ridacchiò «Lo stesso che porta te suppongo, no?» 
Henry arrossì abbassando lo sguardo «Io … hai ragione.» 
Violet sorrise prima di allontanarsi. 
Appena la ragazza fu abbastanza lontana Alice sospirò «Io davvero non capisco se sei davvero così idiota o ti impegni per farlo.» 
«Che vuoi dire?» disse Henry prima che la sua attenzione fu reclamata da Hope «Cosa c’è?» 
«Quando arriva il mio milk-shake, Henry?»
«Non lo so, Hope. Non ci siamo solo noi.» 
«Ma io mi sto annoooooiandoooo.» disse Hope mettendo su il broncio. 
Henry sospirò prima di prendere la console e selezionare il gioco di Barbie «Fa’ attenzione, però.». 
Hope annui prestando attenzione al gioco. 
«Quindi che volevi dire?» disse Henry volgendo l’attenzione nuovamente a Alice. 
«Dunque che mi dici del “Che ci fai qui?” dì un po’ Henry, cosa potrebbe mai farci in un dinner?» 
«Lo so, me ne sono pentito nel momento in cui l’ho detto. Ma che posso farci? Non ragiono correttamente quando lei è nelle vicinanze.» 
Alice scosse la testa «Adolescenti!» sbottò. 
Nel frattempo per la gioia di Hope arrivarono le loro ordinazioni. 
__________________________________________________________________ 
 
Erano rientrati in casa da circa mezz’ora, Hope nel tappeto al centro della stanza era immersa in una delle sue storie con le LOL. 
Henry e Alice erano seduti sul divano con gli occhi fissi nel televisore guardando Frozen, da quando era nata Hope, la casa era spesso immersa dai cartoni animati Disney, non che a Henry dispiacesse poi chissà quando, visto l’amore viscerale che lo legava alle fiabe e favole. 
«Okay, ho una domanda.» disse Henry improvvisamente. 
Alice gli riservò un semplice sguardo «Spara.». 
«Tu, è come se noi fossimo una razza a parte di cui tu non ne fai parte. Perché?» 
Alice sospirò «Che importa?» 
«Sei mia cugina, voglio conoscerti più a fondo com’è giusto che sia, no?» 
«Non proprio. Killian non è tuo padre.» 
Henry sbuffò «Però ha sposato mia madre, quindi adesso è il mio patrigno. Allora?» 
Alice sospirò nuovamente –certo che quella ragazza sospirava davvero tanto. – «Se proprio ci tieni, è una lunga storia però, sei avvisato.» disse con un’alzata di spalle. 
«Beh, sono tutt’orecchie.» fece spallucce Henry. 
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«Sai perché siamo andati via da Seattle?» iniziò Alice. 
Henry scosse la testa «So solo che avevate problemi lì.». 
Alice annuì «Sì, mia madre è … come posso dire? Instabile. Così papà ha pensato che fosse meglio allontanarsi un po’.» 
«Sì … ma cosa c’entra con la mia domanda?». 
Alice sbuffò «Se magari non mi avessi interrotto. Dio, quanto siete urtanti!» 
«Scusa.» 
«Io non so come funzionano le cose qui, ma in una grande città come Seattle i ragazzi non riescono a passare oltre. Per un po’ ci ho anche provato a farmi qualche amico prima di rendermi conto che mi prendevano in giro, li sentivo i loro discorsi alle mie spalle e tutti quei nomignoli che mi affibbiavano non erano per niente carini. » Alice sospirò. Se chiudeva gli occhi riusciva ancora a sentirli “figlia della strega” o “Alice la pazza” erano i meno peggio. Scosse la testa mandando via quei pensieri «Ma sai che c’è? Io non dovevo dare loro il potere di ferirmi, per lo meno questo è stato quello che disse mio padre. Così ho iniziato a rifugiarmi nei libri, è stato così che ho trovato la biblioteca dove lavoravo, passavo intere giornate lì. » 
«E come hai finito per lavorarci?» 
«Beh, è stata una signora che lavorava lì a propormelo, mi ha detto se mi interessava dare una mano leggendo libri ai bambini da 2 a 7 anni e ho accettato, anzi sai che c’è? Tra i bambini mi sono sentita meglio che tra i miei coetanei.» 
Henry annui «Mi dispiace.» 
 Alice fece spallucce «Ci sono abituata.» disse con un sorriso. 

 
 «Prendi il solito, Emma?» disse quel giorno Ruby.
Emma annuì «Sì, grazie Ruby.» come ogni giorno prima di andare alla stazione Emma faceva tratta da Granny’s e solo dopo aver finito la sua cioccolata con panna e cannella, si dirigeva a lavoro.
«Ieri sono passati i ragazzi, certo che quella piccoletta cresce in fretta!» esclamò Ruby.
«Parli di Hope? Già e pensa che a settembre inizia la Prima Elementare, sembra ieri che la tenevo tra la mie braccia.»
«Di già in Prima? Devi tenerla stretta tra le tua braccia prima che ti scappi.» ridacchiò Ruby.
«Non me ne parlare!» sospirò Emma prima di bere l’ultimo sorso di cioccolata. «Bene, è giunto il momento di andare a lavoro, ci si vede in giro Ruby!» disse incamminandosi verso l’uscita.
Stava per uscire quando un peso le arrivò addosso.
«Scusi, non l’ho vista arrivare
Questa voce io la conosco pensò alzando gli occhi «Neal?» sussultò.
«E …mma » sussurrò l’uomo sorpreso.

Arrivata alla stazione non riusciva a smettere di tremare, alla fine dopo diversi bicchieri d’acqua riuscì a calmarsi quel tanto che bastava per chiamare Killian.
Le rispose al secondo squillo «Tesoro.»
«Killian.» la voce le tremava ancora.
«Emma, è successo qualcosa?» rispose Killian con preoccupazione.
«Lui … lui è qui. » balbettò ancora Emma.
«Lui chi Emma? Chi ti ha fatto così spaventare? Non ti ho mai sentito così.»
«Neal, il padre di Henry. Killian non posso perdere mio figlio.»
«Sto arrivando.»  rispose Killian prima di attaccare.
 
(*) mo dheartháir: Fratello mio. 
Note: Ci ho messo una vita lo so, ma sono stata bloccata, non riuscivo ad andare avanti.
Ma sono tornata e credo che per il prossimo non ci metterò dieci mesi .-.
Dunque le LOL sono delle bamboline che le bambine di oggi amano, sono bruttissime cercatele xD e sì, ho una cuginetta dell'età di Hope xD Scusatemi ancora, alla prossima!
Spero che il capitolo vi piaccia :)

 

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Capitolo 6
*** 6 ***


Capitolo 6 
  
Flashback 
  
  
«Emma aspetta.» disse Neal agguantando un braccio a Emma nel tentativo di fermarla.  
«Cosa c’è?» fu la secca risposta di Emma
«Io, speravo potessimo parlare.» sussurrò l’uomo indicando uno dei tanti tavoli presenti al Granny’s.  
«Devo andare a lavoro.» rispose lo sceriffo senza degnarlo di uno sguardo.  
«Non ti ruberò molto, promesso.»  
«E va bene.» concesse alla fine la bionda, accomodandosi al primo tavolo disponibile di fronte al padre di Henry. «Quindi, vieni al sodo cosa vuoi?»  
«Io …» Neal si torceva in pollici con fare nervoso «Com’è andata la gravidanza?».  
«Oh adesso ti interessa? E dove sei stato negli ultimi 14 anni?»  
L’uomo arrossì a disagio «Io … so di non essermi comportato bene, ma ero giovane e da giovani si fanno molte scelte sbagliate.»  
«Tu eri giovane?! Avevo 18 anni Neal! Non avevo nessuno! I miei genitori mi hanno abbandonata appena nata, ero letteralmente sola!» la donna quasi urlò.  
Neal abbassò lo sguardo a disagio «Mi dispiace, so che non mi credi ma è  così. »
«Se davvero ti fosse importato ti saresti fatto vivo prima... ma tant'è. E se proprio vuoi saperlo mio figlio sta bene. E adesso devo andare a lavorare.» sospirò infine lo sceriffo, sperando di poter porre fine a quella conversazione.  
«Aspetta, Emma. Parlami di lui. In questi ultimi anni mi sono chiesto spesso che aspetto avesse.»  
Emma sospirò per l’ennesima volta «Vieni al sodo Neal, cosa vuoi?».  
«Ultimamente mi sono chiesto cosa sarebbe successo se non fossi scappato, magari saremo stati una di quelle famiglie felici.»  
«È questo che vuoi, Neal? Essere una famiglia? È troppo tardi, sono sposata con un uomo che amo immensamente.»  
«Beh suppongo che non debba per forza comprendere anche te.»  
«Che … cosa diamine dovrebbe significare? » lo sceriffo sbatté con forza le mani sul tavolo «Goditi la colazione!» si alzò di scatto facendo sbattere violentemente la sedia al pavimento «E non provare ad avvicinarti a mio figlio!»  aggiunse poi.  
Quando fu abbastanza lontana, la paura la pervase e una singola lacrima le rigò il viso.  
    

 
 
Quando Emma finì di parlare Killian strinse la moglie in un abbraccio «È questo che ti preoccupa? Hai paura che ti porti via Henry?» 
Emma annuì. 
«Non glielo permetterò, ti prometto che farò di tutto: Henry non lascerà la sua famiglia. Del resto è anche mio figlio, no?» 
Emma sorrise lievemente a quella premessa «Sei l’unico padre che ha conosciuto.» 
«Bene, adesso asciugati quelle brutte lacrime e seguimi!» 
Emma lo guardò frastornata «Seguirti? Dove?» 
Killian sorrise «Sulla Jolly Roger, facciamo un giro.» 
«Cosa? Non posso! Devo lavorare.» disse Emma come se avesse improvvisamente visto un alieno. 
«Andiamo, Regina non ti dirà niente se per una volta eviterai di compilare quelle inutili scartoffie. E hai bisogno di cambiare aria.» 
Emma sospirò «F… forse hai ragione.»  
«Tesoro, io ho sempre ragione!» esclamò Killian facendole un occhiolino. 

 
 
  Neal si torceva le mani con fare nervoso, come aveva potuto essere così stupido? Non aveva certo intenzione di dirle che le avrebbe portato via suo figlio, non ne aveva il diritto!  
Lui voleva solo chiedere di poter essere presente nella vita del ragazzino senza però essere per forza una famiglia. 
Voleva fare quelle tipiche cose da padre- figlio, portarlo al parco, andare insieme a pescare, dargli consigli su come corteggiare una ragazza. Quelle robe lì. Ma aveva rovinato tutto e ora sicuramente Emma non l’avrebbe più fatto avvicinare a suo figlio e aveva ragione.  
Gli ultimi anni in esercito l’avevano cambiato, aveva solo bisogno di dimostrarlo a Emma. 
Doveva guadagnarsi la sua fiducia, ma come? 

 
 «Come mai mi hai portato qui?» chiese Emma osservando il mare sotto di lei.  
La Jolly Roger fluttuava placidamente sull’acqua.
Killian sorrise stringendo la donna in un dolce abbraccio «Speravo ti calmasse, con me funziona sempre.»
«È abbastanza calmante sì.» Emma rimase in silenzio per qualche minuto prima di dire «Dovrò dirlo a Henry.»  
«Non parli molto di lui.» costatò Killian.  
«Di Neal? Non c’è molto da dire, avevo 18 anni e credevo che lui fosse l’amore della mia vita. Mi sbagliavo. Avevamo fatto dei progetti, sai? Avremmo raccolto abbastanza soldi da poter andare a vivere a Tallahassee, ma tutti questi progetti sono sfumati nel momento in cui gli ho detto di essere incinta. Ma sai io non voglio tenerlo separato da Henry, vorrei solo … -» Emma prese un respiro tremante.  
 La donna appariva così fragile in quel momento, come mai prima d’ora.  E Killian voleva solo essere faccia a faccia con quel pallone gonfiato per poterlo riempire di botte. Ma non era quello di cui aveva bisogno sua moglie al momento così disse solo: «Che non ti porti via Henry.»  continuando il discorso di Emma.
La donna annuì «Sì.»  
«Non lo farà, non glielo permetteremo.» promise Killian.  

 
Emma stava uscendo da lavoro quando sentì la vocina di Hope «Mammina sono venuta a prenderti!» disse la bambina lasciando la mano di Ashley per correre tra le  sue braccia stringendosi al collo della donna.  
 Emma la prese in braccio «Ehi, mio piccolo koala ti sei divertita oggi?» le disse.  
Hope annuì «Sì, ti ho fatto un disegno.» la bambina le mise tra le mani un foglio spiegazzato, dove aveva disegnato la sua famiglia.  
Emma sorrise a vedere il disegno «È bellissimo, grazie.»  
Ashley si allontanò affidando la bambina a sua madre.  
«Dai andiamo a casa.» disse mettendo giù la bambina.  
In quel momento Neal si avvicinò.  
Un rivolo di sudore le scivolò lungo la schiena facendole venire i brividi.
«Oh, no» sospirò Emma «Hope vai in macchina.»  
La bambina guardò preoccupata sua madre «Perché?»  
«Hope, non farmelo ripetere ancora.»  
La bambina a sentire sua madre alzare la voce s’incamminò senza farselo ripetere ancora.  
Quando la bambina fu ben chiusa in macchina Emma guardò Neal negli occhi «Quindi sei venuto qui a minacciarmi davanti a mia figlia?»  
L’uomo la guardò incredulo «C…  cosa? No. Emma è stato un malinteso. Non voglio portarti via tuo … nostro figlio. Voglio conoscerlo. Volevo solo dire che non posso obbligarti a formare una famiglia con me e lui, tu hai la tua famiglia ed è giusto così. Voglio far parte della sua vita, anche se non potrai farne parte anche tu. Non sono più quello di un tempo, sono cambiato, volevo parlartene ma sembra proprio che non abbia azzeccato il momento giusto. Possiamo vederci per parlare?»  
Emma ascoltò tutto con attenzione, era titubante inizialmente tuttavia l’uomo sembrava sincero. Così alla fine decise di dargli una chance. «Ok. Domani, da Granny’s, mi offrirai il pranzo.»  
«Con piacere.»  
Detto questo Emma salì in macchina dirigendosi a casa.  
«Mammina?» Hope reclamò l’attenzione della madre.  
«Sì, Hope?»
«Quel signore, chi era?»
«Lui … lui si chiama Neal ed è una persona che una volta conoscevo molto bene.»  
La bambina guardò la madre con curiosità «Chi è?»
A volte Emma desiderava ardentemente che la curiosità di sua figlia potesse assopirsi una volta tanto. «Il padre di Henry. Ma non devi dirgli che l’abbiamo incontrato, devo dirglielo io.»
Hope annuì all’ammonimento della madre «Va bene. Ma io pensavo che non vedevi da tantissimo tempo il papà di Henry.»
La donna sospirò «È vero, ma adesso lui vive qui e ci siamo rivisti.»
La bambina annuì nuovamente «Ti ha reso triste mamma? Vuoi piangere? Puoi piangere se vuoi.»
«No, Hope. Non voglio piangere, perché pensi che voglia piangere?»  
«Perché i tuoi occhi sembrano che vogliono piangere.» disse la bambina lasciando sua madre senza parole.  

 
  «Grazie di aver accettato di vedermi.» disse Neal quando Emma si fu presentata al Granny’s spostandole una sedia per farla sedere «Ho ordinato anche per te, spero non ti dispiaccia.»
«Neal, non mi ricordo di te come un cavaliere dall’armatura scintillante, quindi puoi anche smetterla.» sibilò la donna accomodandosi.
Nel frattempo arrivarano le loro ordinazioni.
«Come sapevi la mia ordinazione?» chiese la bionda.
«Ho chiesto alla cameriera.»
«Bene.» la donna annuì addentando il suo cheeseburger «Ti ascolto.»
Neal sospirò tamburellando le dita sul tavolo «Quando me ne sono andato ho preso una parte dei risparmi che avevamo messo da parte e ho comprato un biglietto per il primo treno disponibile, quello per Boston. Arrivato lì, non avevo niente, dormivo in stazione. Poi ho visto che cercavano un commesso in una gioielleria e sono stato assunto. Per i primi mesi è andata bene, ma vivere in stazione non è l’aspettativa migliore a cui potessi ambire. Così decisi di prendere degli orologi li avrei venduti e con i soldi avrei preso in mano la mia vita. Non ho messo in conto l’anti furto, sono stato arrestato. Ma mi è stato permesso di scontare la mia pena arruolandomi. Ed Emma la guerra è terribile, stare in mezzo a tutto quel casino mi ha cambiato profondamente. Non ce la facevo a resistere ancora, quindi finita la mia condanna, ho dato le mie dimissioni ed eccomi qui.»
Emma ascoltò tutto senza fiatare «C’è una cosa che non capisco: come hai fatto a scoprire dove vivevo?»
«Oh, ma io non lo sapevo, è stato un caso. Sono venuto qui perché mio padre vive qui. Hai presente il banco dei pegni? Il proprietario è mio padre.»
«Mr Gold?» la donna alzò inavvertitamente la voce «Mr Gold è tuo padre?»
È buffo come il destino a volte riesca a giocarti certi scherzi, si era creata una vita a Storybrooke senza la più pallida idea di rivedere il padre di suo figlio, per poi scoprire che il padre di Neal era uno degli uomini più conosciuti di Storybrooke. Tuttavia l’uomo la distolse dai suoi pensieri. «Già. Ma basta parlare di me. Come si chiama mio figlio?»
«Henry.»
L’uomo sorrise lievemente «È un bel nome. Potrei … potrei vederlo? »
La bionda fece spallucce «Non lo so, Neal. Devo parlarne con Henry, io voglio che dipenda da lui, capisci?»
Neal annuì «Sì, certo hai ragione.»

  Henry era in salotto, un libro tra le mani, quando dalla cucina sentì le voci di Killian e sua madre.  
La voce di Emma era perplessa, quella Killian invece era confortante.  
Henry posò il libro pronto a sentire di più.  
«Non so come fare, Killian. Come faccio a dirgli che suo padre vuole conoscerlo?» stava dicendo Emma con voce incerta.  
Henry entrò senza nemmeno fingere di non aver origliato «Ho sentito bene? Mio padre vuole conoscermi?»  
«Henry …» Emma lo guardò perplessa, infine annuì «Sì».  
«Stavo per dirtelo.» continuò la donna improvvisamente insicura.  
«Va tutto bene mamma, non sono arrabbiato, per lo meno non con te. Ma sono confuso, ho bisogno di pensare.»  
Emma annuì nuovamente «Henry, è una tua libera scelta, io non ho intenzione di forzarti per andare o non andare, sentiti libero di fare ciò che ti dice il cuore.»  
«Grazie, mamma.» disse Henry allontanandosi.  
Tornato in salotto, aveva la testa divisa in due.  
Che doveva fare? Aveva sognato da sempre di incontrare suo padre, ma a lui non era mai importato di lui. Killian era stato suo padre negli ultimi tempi. Che cosa avrebbe dovuto fare? Qual era la cosa giusta? Sospirò accendendo la consolle, forse in questo modo sarebbe riuscito a schiarirsi un po’ le idee.  
 

 
  Alice entrò in casa trovando il cugino stravaccato sul divano che pigiava con forza i tasti del joystick. 
«Deve averti fatto arrabbiare davvero molto quel videogioco!» esordì spostando il cugino tanto quanto bastava per sedersi.  
«Mio padre è in città.» rispose senza degnarla di uno sguardo «E vuole conoscermi.» continuò mentre lo schermo diventava nero. 
«Ma tu non vuoi conoscere lui.» disse Alice cercando di interpretare lo sguardo sul volto del cugino. 
Henry la guardò di colpo «E perché dovrei? Lui ci ha abbandonati, non l’ho mai conosciuto e sono cresciuto benissimo, ora spunta fuori dopo 14 anni e pensa di poter sistemar tutto? Non è così che vanno le cose.» 
La cugina lo guardò con curiosità «Beh mica devi incontrarlo per forza, quindi cos’è che ti turba davvero?» 
 «Io non lo so, sono diviso in due parti: una parte di me vuole correre a conoscerlo, l’altra invece vuole chiudersi in casa per non rischiare di incontrarlo.» 
«Cavolo.» disse la ragazza «dai, collega un altro joystick facciamo una partita.» 
Henry la guardò sconvolto «Chi sei tu e che ne hai fatto di mia cugina? Ti avrò chiesto mille volte di giocare con me e mi hai sempre detto di no!» 
«Beh adesso mi va.» ridacchiò Alice. 
Henry le diede una gomitata «Questa poi, da quando ridi anche tu?» 
La cugina lo guardò indignata «Ehi, a volte rido anch’io! Non è che stai facendo queste storie perché hai paura di essere battuto?» 
Il ragazzo rise «Non ci conterei molto.» disse prima di collegare un secondo joystick.«Grazie comunque.» 
Alice lo guardò stupita «Di cosa?» 
«Mi hai fatto passare il malumore.» 
   
Note: Ebbene sembra che c'è l'abbia fatta senza fare passare 5023429012 anni XD
Il capitolo è piuttosto Emma centrico ma spero vi piaccia lo stesso. E spero anche che non ci siano 383403912093 errori come ogni volta XD
Nel caso volete restare informati delle cosette che scrivo c'è la mia paginetta (https://www.facebook.com/Niny95FanArtFanfiction/notifications/ )
Alla prossima allora!
Un bacio,
Niny :)

  

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Capitolo 7
*** 7 ***


Buongiorno gente, vi comunico che molti dei paragrafi su Roger, Alice e Eloise sono stati cambiati, la loro storia ha preso una piega differente e ho dovuto modificare.
Quindi vi consiglio di rileggere velocemente un pò tutto!
Detto questo buona lettura.
 
 Capitolo 7
 
     Flashback 
 Dopo averne parlato approfonditamente con Emma, Killian e Alice, Henry  aveva deciso di dare una chance a Neal. 
Non aveva perdonato l’uomo, non avrebbe potuto: per troppo tempo aveva avuto bisogno di lui e aveva dovuto cavarsela da solo. 
Ma era stato educato a dare sempre una seconda possibilità ed era quello che stava facendo in quel momento, fermo davanti al Granny’s mentre tamburellava un piede nervosamente. 
«Sei qui.» disse l’uomo reclamando la sua attenzione toccandogli lievemente una spalla «Sono felice che hai accettato di vedermi. Vogliamo sederci?» 
Il ragazzo annuì seguendolo senza farselo ripetere due volte, dopo che ebbero preso posto si schiarì la voce: «Non ti ho perdonato:  per tanto tempo ho cercato l’appoggio di un padre senza mai trovarlo, poi è arrivato Killian e mi ha dato più di quanto potessi sperare. Nonostante questo però mi è stato insegnato a dare sempre una seconda possibilità, quindi eccomi qui.» 
Neal annuì «Ti sono grato per questa opportunità, so di non meritarmelo, so che sei molto deluso da me e me lo merito, mi merito tutto il tuo rammarico. Ho pensato spesso a te negli ultimi anni, e mi sono pentito così tanto per essermene andato. Non ho scusanti, ero giovane e da giovani si fanno molte cose stupide … non è una giustificazione lo so, ma sono cambiato, ho avuto esperienze che mi hanno segnato e spero davvero che avremo occasione di conoscerci.» 
Il ragazzo annuì nuovamente «Come ho già detto ho deciso di darti una seconda possibilità, vedi di sfruttarla bene, però.» 
«Lo farò. Allora ordiniamo?» 
Henry sorrise per la prima volta quel giorno «Con piacere.» 
 

Erano passate diverse settimane da quando Henry e Neal avevano parlato e adesso i due passavano  davvero molto tempo insieme.
L'antipatia che il ragazzo provava per il padre pian piano era scomparsa sostituita dalla voglia di sapere sempre più cose su di lui.
In quel momento i due stavano provando a pescare anche se sembrava che tutti i pesci presenti in quel corso d'acqua avessero deciso di andare in vacanza.
«Beh mi sa che possiamo anche andarcene, i pesci sembrano essere in sciopero.» esordì Henry rompendo il silenzio che si era creato negli ultimi minuti.
Neal che in quel momento stava trafficando con la sua canna da pesca alzò gli occhi a guardare suo figlio «Perché, che fretta c'è?» ribadì con un sorriso.
Henry si torse le mani con nervosismo «Ecco, veramente dovrei andare in giro con Alice e Hope. Sai domani è il compleanno di mamma e...-» il ragazzo si rese conto troppo tardi di quanto aveva detto e si tappò prontamente la bocca. Poi scosse le spalle «Non te l'ho detto perché ...»
Neal lo zittì prontamente «Non preoccuparti, so bene perché non me l'hai detto. Magari le prenderò qualcosa anch'io come offerta di pace: c'è stato quest'enorme malinteso che non sono sicuro di aver risolto.» sorrise lievemente «Allora, vogliamo andare?»
Henry annuì «Certo!»

Quel giorno un’ondata di malinconia invase Eloise: le mancava terribilmente la sua famiglia, erano quelle piccole cose quotidiane a mancarle, il destreggiarsi ai fornelli con Roger la mattina mentre preparavano la colazione, Alice che diceva sì e no due parole in croce e teneva lo sguardo fisso nel libro che stava leggendo poi padre e figlia le davano un bacio sulla guancia prima di uscire di casa, dopo di che quando la  chiamavano a lavorare si faceva una rapida doccia e si incamminava al negozio di fiori rigorosamente a piedi, odiava prendere i mezzi e poi camminare l’aiutava a schiarirsi le idee. Sennò puliva casa e si occupava del giardino. 
Presa dalla malinconia tirò fuori l’album di foto iniziando a sfogliarlo: la prima ritraeva lei e Roger il giorno del matrimonio, nonostante la fretta sembravano felici. 
Subito dopo c’era Alice seduta al seggiolone mentre Roger la imboccava. 
Le foto si susseguivano: Alice sulle spalle di Roger, una foto di famiglia per il quinto compleanno di Alice. 
Eloise chiuse violentemente l’album con un tonfo, faceva troppo male.
Istintivamente compose il numero di Roger, rispose al secondo squillo.
«Roger … noi …  noi siamo mai stati innamorati?» esordì mentre una lacrima randagia si fece strada nei suoi occhi, l’asciugò con foga. 
«Eloise, perché mi fai questa domanda?» la voce di Roger appariva sorpresa. 
«Io … stavo guardando il nostro album di foto e sembravamo così felici e … scusa ho sbagliato a chiamare.» farfugliò nervosa. 
«No, no, mi hai solo sorpreso. Certo che siamo stati innamorati, lo siamo ancora. Non pensare che questa piccola crisi possa spezzare il nostro legame, okay?» rispose lui gentilmente e il cuore di Eloise perse un battito di fronte alla tenerezza nella voce del marito. 
«Spero che prima o poi torneremo a essere felici.» sussurrò.
«Certo che lo saremo. Stai bene?» si interessò Roger. 
«Sì, domani torno a lavorare, mi hanno chiamato oggi.» rispose la donna lievemente. 
«Mi fa piacere. Stammi bene.» 
«Anche tu.» concluse Eloise riattaccando. 
Bene, era giunto il momento di mettersi all’opera: quei i fiori non si innaffiavano da soli! 

Hope aveva iniziato la prima elementare da poco più di due mesi, ma quel giorno aveva deciso di fare i capricci: non avrebbe fatto i compiti per nessun motivo a meno che Henry o Alice non l'avessero aiutata. Ma  da quando nella vita di Henry era entrato Neal il ragazzo passava poco tempo a casa con lei, mentre Alice ultimamente era spesso in libreria. I due ragazzi le mancavano terribilmente e quindi Hope aveva creduto che, facendo abbastanza capricci, sarebbe riuscita a convincere la madre a farle passare un po' di tempo col fratello o con la cugina. 
«Hope ti prego, fallo per me. Facciamo questi compitini, così dopo possiamo tornare a giocare.» stava dicendo Emma con voce supplichevole.
«No, no e no.» rispose Hope scuotendo la testa con veemenza.
Emma sospirò sconfitta.
Nel frattempo i due ragazzi si palesarono entrando dentro casa.
«Oh finalmente, eccovi.» li accolse Emma andandogli incontro «La signorina qui presente mi sta facendo uscire fuori di testa.» disse indicando la bambina che a sentire i ragazzi entrare era andata ad accoglierli insieme alla madre «Non vuole fare i compiti con nessuno tranne voi.»
Henry a quelle parole fece un occhiataccia alla sorellina «Hope, perché questi capricci?»
Hope lo guardò con i suoi grandi occhioni prossimi al pianto il fratello «Ma voi non ci siete mai e mi mancate.»
A quelle parole il ragazzo prese la sorellina tra le braccia stringendola in un abbraccio «Non mi ero reso conto di averti trascurato, mi dispiace.» disse.
Anche Alice strinse la cuginetta in un abbraccio «Mi dispiace, sono stata spesso in libreria e mi sono dimenticata di giocare con te ma ti prometto che la prossima volta andremo insieme e leggeremo il più bel libro che hanno, okay?»
Hope annuì ancora stretta nell'abbraccio della cugina «Può venire anche Henry?»
«Certo che sì!» rispose il diretto interessato «Anzi sai che facciamo appena finisci i compiti?»
Hope scosse la testa.
Il ragazzo sorrise «Andiamo in un posto speciale insieme ad Alice, ti va?»
«Sì!» rispose la bambina con entusiasmo.

«Allora che  vogliamo regalare a tua madre?» esordì Alice, stavano girando per negozi da circa due ore, ma ogni volta che Alice o Hope avevano proposto qualcosa  Henry aveva fatto facce disgustate  o perplesse così erano finiti per uscire.
Il ragazzo scosse le spalle «Non lo so ancora, suppongo che lo capirò quando lo vedrò.» disse.
«Beh vedi di sbrigarti a decidere, questo è il sesto negozio da cui usciamo dopo dieci minuti.» rispose Alice con fare annoiato.
«Eddai, non posso mica prenderle una cosa a caso, no? Che ne pensi Hope?»  replicò Henry solleticando lo stomaco della sorellina, lei rise «Sei uno sciocchino!» disse.
 A un tratto Henry si fermò di botto «Trovato!» esultò indicando una vetrina.
«Quale?» chiese Hope attaccandosi alla vetrina per vedere meglio.
 Henry prese il dito della sorellina e lo puntò su una collana, un semplice cerchietto d'acciaio con su disegnato un cigno « Questo. È perfetto, vero Hope?» sussurrò.
La bambina annuì «Mi piace!» disse  seguendo il fratello dentro, Alice li seguì a ruota.

Il giorno dopo Emma si svegliò di buon'ora come al solito.
Infine era arrivato il 22 ottobre anche quell'anno, il suo compleanno. Per molto tempo il suo compleanno non era stato un giorno da festeggiare, anzi.
 Ad ogni nuovo anno trascorso, vedeva sfumare  sempre più la possibilità di essere adottata. Lei cambiava, diventando più grande, più chiusa e più rassegnata, ma i gusti delle famiglie adottive restavano sempre uguali: preferivano neonati o bambini molto piccoli o più beneducati e talentuosi di lei. Lei era sempre troppo poco e il giorno del suo compleanno glielo ricordava in modo particolare.
Ma da quando nella sua vita erano entrati Henry, Killian e Hope le cose erano profondamente cambiate e il 22 ottobre era diventato un giorno da celebrare.
 Stava preparando il caffè quando due braccia forti l’abbracciarono da dietro: «Buon compleanno, Mo ghrà.» sussurrò Killian, Emma si girò tra le braccia del marito incontrandolo in un bacio. L’uomo strinse un po’ più forte la moglie, e una volta concluso il bacio, le baciò teneramente la fronte. 
Emma sorrise alla tenerezza del marito mentre sistema a su un vassoio caffettiera e tazze, poi si diresse in salotto seguita da un sorridente Killian. 
Qualche minuto dopo uno sbadigliante Roger entrò in salotto trovando i due innamorati accoccolati sul divano. 
«Giorno. Auguri cognatina.» disse. 
Emma fece posto sul divano al cognato «Prenditi il caffè, poi siediti qui con noi, dai.» propose. 

Hope si svegliò più presto del solito, ma non poteva aspettare un minuto di più, era il compleanno della sua mamma! Così sgattaiolò fuori dal letto, tirò fuori il disegno che aveva preparato il giorno prima, prese una penna e con la sua scrittura elementare scrisse: "TANTI AGURI MAMA♥"
Poi si diresse nelle stanze di Henry ed Alice.
I due ragazzi tra uno sbadiglio e l'altro acconsentirono alla richiesta della bambina cercando la festeggiata, la trovarono nel salotto seduta sul divano a guardare la tv insieme a Killian e Roger.
«Buongiorno, ragazzi!» li salutò lei.
«Auguri!» risposero insieme i tre, Hope non perse tempo a correre tra le sue braccia «Ho un regalo per te!» affermò, sedendosi sulle sue ginocchia mentre le porgeva il disegno.
«È bellissimo, tesoro! Grazie mi piace tanto!» esclamò Emma arruffandole i capelli dolcemente.
«E a me niente?» scherzò Killian.
Hope passò nelle gambe del padre baciandogli la guancia «Per te solo questo!» disse.
Killian fece un piccolo broncio al misero dono di Hope e la bambina rise. Poi voltandosi verso Roger aggiunse «Zio Roger, vuoi un bacino anche tu?»
Roger sorrise «Mi piacerebbe molto!» disse mentre la bambina lasciava un piccolo bacio nella guancia dell'uomo.
«Bene piccoletta, che facciamo?» disse Henry.
La bambina fece spallucce «Non lo so.»
«Mentre ci pensi ci vestiamo, che dici?» propose Alice.
La bambina annuì d'accordo.

E infine era arrivata la festa, Hope nel suo vestitino rosa era felicissima, sembrava quasi lei la festeggiata!
Non c'erano molti invitati, Emma non amava le feste troppo affollate: aveva vissuto per parte della sua vita in case famiglia affollatissime, nelle quali non c`erano mai vere feste, ma solo baraonde infinite. Questo gliele aveva rese mal tollerabili, e ora, a distanza di anni, non si era ancora liberata di quella sensazione e continuava a ritenere che le feste troppo affollate avessero un'atmosfera cupa. Non che non ci fosse mai stata, no, essendo sceriffo capitava di dover partecipare a party del genere, ma le sembravano impersonali, organizzati da ricconi altrimenti soli come cani, con l`unico scopo di avere un pò di compagnia. Eppure continuava ad incontrare, proprio in quelle occasioni, gente la cui unica compagnia era un bicchiere di superalcolico o che parlavano con persone che il giorno dopo non si sarebbero ricordate neanche il loro nome. Questa, a parere di Emma, era la forma più brutta di solitudine e se ne teneva alla larga il più possibile.
Quindi aveva invitato giusto qualche amica come Regina Mills: il sindaco era stata una leale confidente durante i primi tempi a Storybrooke  e nel tempo le due avevano instaurato una buona amicizia, certo al lavoro era una vera tiranna ma faceva solo il suo lavoro, del resto doveva esserci un motivo se per sei anni Storybrooke non aveva mai cambiato sindaco, no?
La diretta interessata in quel momento stava discutendo con la sorella, Emma l'aveva conosciuta durante una delle riunioni scolastiche.
Tuttavia la sua attenzione fu reclamata da Ashley: «Sembra proprio che quei due siano inseparabili, eh?» disse indicando Hope e Cole.
Cole era il figlio più piccolo di Ashley ed era praticamente cresciuto insieme a Hope.
«Non dirlo a me! L'altro giorno se ne uscita fuori con la storia che si devono sposare!» rispose.
Ashley rise «Quando si dice avere le idee chiare fin da piccoli!»
«Esattamente!» ridacchiò la festeggiata «Ma dov'è Alex?»
Ashley scosse la testa «E chi lo sa? Sai come sono gli adolescenti, ne hai uno anche tu! Sicuramente starà cercando i suoi coetanei tenendo la distanza di sicurezza da me.»

«E così ci rincontriamo!» disse Robyn reclamando l'attenzione di Alice.
Quest'ultima alzò lo sguardo verso la sua interlocutrice «Ci siamo già rincontrate, l'altro giorno, in bibblioteca.» commentò.
«Oh sì, ma eri così assorta nel tuo libro che non ero sicura che ti fossi accorta di me.» rispose ridendo.
Alice sorrise «Fidati Robyn, io mi accorgo di tutto.» rispose.
«È una minaccia o una promessa?» la stuzzicò l'altra.
«Entrambe.» rispose Alice ridendo.
Robyn rise accomodandosi vicino Alice «È una tua prerogativa stare in disparte alle feste?» disse cambiando argomento.
«Non sono una grande fan delle feste.» Alice fece spallucce.
«Nonostante questo sei andata a due feste, davvero buffo!» ridacchiò la bruna.
«Le stelle si sono allineate contro di me!» ribatté  la bionda.
«Caspita! Sarà meglio che vada allora, non vorrei toglierti la possibilità di essere asociale!» esclamò l'altra ragazza.
Alice rise «Prometto che per stavolta non ti farò niente!» promise.

Emma stava aprendo i regali finalmente per la felicità di Hope, che per l'appunto non smetteva di saltare su e giù.
La festeggiata rise «Vieni qui piccoletta!» disse.
La bambina non perse tempo a correre tra le braccia della madre «Quando apri il nostro regalo?» disse.
Henry rise all'impazienza della bambina «Non c'è fretta, Hope.» disse poi cercando di calmarla.
Emma sorrise «Hope, io non so qual è il vostro regalo. Se me lo porti, lo apro subito!»
La piccola non se lo fece ripetere due volte, scese abilmente dalle gambe della madre afferrò la busta contenente il regalo e corse nuovamente nelle braccia della madre.
La donna aprì delicatamente la busta, lesse gli auguri prima di tirar fuori il pacchetto contenente la collana.
Sorrise facendola vedere a tutti, accarezzò lievemente il cerchietto col cigno prima di arruffare i capelli di Hope.
«Ragazzi è bellissimo, mi piace molto!» disse poi indossandola.
Poi fece un cenno con la mano facendo avvicinare Alice e Henry stringendo i tre in un abbraccio.

  Note: Finalmente dopo mesi d'assenza sono tornata, dai stavolta non erano tantissimi XD
E questo è ufficialmente il capitolo più lungo finora!!
Allora una piccola premmessa Cole compare nella raccolta del writober, per il resto spero vi piaccia!
Oh vero, non posso lasciarvi senza la lezione d'irlandese: Mo ghrà -> Amore mio.
Ah ovviamente il disegno di Hope è scritto di proposito sbagliato.
A presto.
Niny :)

 

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Capitolo 8
*** 8 ***


Capitolo 8.
 
Eloise si era svegliata di  buon ora quel giorno, il fatto che l'avessero chiamata a lavorare le permetteva di non pensare troppo a Roger e questo di per sé era un motivo sufficiente per svegliarsi volentieri.
Adesso stava servendo Mr. Brown: l'uomo stava evidentemente facendo un regalo alla moglie -o era l'amante?- visto la grande quantità di rose e margherite che aveva scelto.
Le piaceva immaginare le vite dei clienti, le teneva la mente lontana e la rilassava.
In quel momento il campanello sulla porta trillò annunciando l'arrivo di un nuovo cliente, la donna alzò distrattamente lo sguardo senza prestarci troppa attenzione.
«Oh, Eloise ho saputo di Roger, mi dispiace tanto!» fece Mrs. Miller avvicinandosi al bancone con finta preoccupazione.
Eloise non sopportava la finta preoccupazione di Mrs. Miller, era una gran pettegola ed era ovvio che stava facendo tutta questa sceneggiata solo per cavargli parole di bocca, ma non sarebbe stata al suo gioco. «Cosa le serve Mrs. Miller?» fece mentre consegnava a Mr. Brown  il suo mazzo.
La donna parve cadere dalle nubi iniziando a bisbigliare velocemente il suo ordine.
«No, davvero come ha potuto andarsene e per giunta portarsi dietro tua figlia? Sai che forse se parlassi con un avvocato...-»
«Roger, non se n'è andato.» fece Eloise pulendo con foga i fiori che aveva davanti «Lui tornerà.»
«Oh certo, è quello che direbbe chiunque nella tua situazione.» fece ancora Mrs. Miller.
 «Lui tornerà.» insistette Eloise completando il mazzo e consegnandolo alla donna con foga che la guardò un ultima volta prima di allontanarsi.
Mentre la donna si allontanava Eloise la sentì sussurrare, non sentì con precisione cosa ma colse le parole pazza e esercizio pubblico perciò non fu difficile indovinare cosa la donna stava dicendo.
Eloise sospirò e non era ancora finita.

In quell’ultimo periodo erano successe parecchie cose che avevano scombussolato la routine di Emma, la donna odiava le cose inaspettate, l’unica cosa che facevano era darle un mucchio di stress e onestamente? Ne faceva volentieri a meno.  
Lo sceriffo si sgranchì una mano con un sospirò mentre compilava i rapporti arretrati : se Regina avesse deciso di farle visita proprio in quel momento le avrebbe fatto una ramanzina coi fiocchi. 
Infatti come per magia il ticchettio dei tacchi dell’altra donna si fece sempre più vicino. 
«Aspetto quei rapporti da due settimane, sceriffo.» esordì infatti l’altra donna mettendo piede nella stazione. 
Emma scosse le spalle «Sì, beh lo so ma … -» 
«Beh il padre di tuo figlio si ripresenta dopo anni e tu non sai che pesci pigliare, posso immaginare.» Emma si era sfogata con il sindaco e amica subito dopo che Neal era comparso, Regina l’aveva fatta parlare senza fare commenti e solo alla fine aveva commentato «In ogni caso non sono qui per quei rapporti. Ma ho delle notizie da darti.» disse. 
«Che notizie?» fece lo sceriffo impaziente. 
Regina fece un sorriso diabolico, parlando di proposito lentamente «Ho appena ricevuto una chiamata dalla National Gallery in Canada. All’inizio dell’anno daranno in prestito alcune opere ai musei confinanti.» 
«E questo cos’ha a che fare con noi? Regina sai che odio la suspense!» disse lo sceriffo con impazienza. 
Il sindaco rise «La pazienza è la virtù dei forti, sceriffo Swan!» poi continuò «Per farla breve a partire da gennaio per una durata di quattro mesi il museo di Storybrooke ospiterà il quadro Vaso di zinnie e gerani di Vincent Van Gogh.» 
«Ma è fantastico!» esclamò Emma. 
«Lo è davvero. Ovviamente non ho bisogno di dire che voglio la massima sorveglianza per quel periodo, vero?» domandò Regina.  
«Ovvio che no.» fu la risposta dello sceriffo.  
 

La voce che in città sarebbe arrivato un importante quadro di Van Gogh si era sparsa in fretta e oramai tutti parlavano dell'imminente arrivo del quadro.
Roger in quel momento stava leggendo un articolo in proposito sul giornale locale, lo Storybrooke Daily Mirror.
[...]Questo non può che essere positivo per la nostra città: ne aumenterà il prestigio e, di certo, contribuirà a farla conoscere, dando, nel contempo, una notevole impennata al turismo.
«Certo che c'è molto fermento per l'arrivo di questo quadro, eh?» commentò Roger attirando l'attenzione di Emma.
«Beh, mi sembra normale, no? Storybrooke è una piccola città, quindi ovviamente il nostro museo non ha tantissime opere famose, nonostante qualche nome illustre ci sia ma parliamo comunque di opere poco famose, quindi questo quadro è un enorme beneficio per la città.» affermò la donna con un sorriso.
Erano passati diversi giorni da quando Regina aveva comunicato la notizia allo sceriffo, il tempo necessario a spargere la voce praticamente.
Roger tirò fuori il cellulare per controllare l'ora, l'orologio segnava le 12.30.
Il suo sguardo indugio a lungo sui volti sorridenti di Eloise ed Alice, erano così felici in quella foto, ma le cose sarebbero tornate come sempre. Doveva solo attendere.
Scosse la testa come a mandar via quei pensieri «Vado a prendere qualcosa al Granny's, ti porto qualcosa?» domandò a Emma.
«Un cheeseburger non mi dispiacerebbe.» rispose lo sceriffo con un sorriso.

Da quando Hope aveva detto di sentire la mancanza del fratello e della cugina, i due ragazzi si erano giostrati in modo di fare sentire Hope incluse nelle loro uscite.
Adesso Alice aveva portato la bambina in libreria per scegliere un libro che avrebbero letto insieme: Hope aveva scelto Alice nel paese delle meraviglie.
«Possiamo prendere un milk shake al Granny's?» aveva chiesto Hope coi suoi occhioni da cucciolo, la ragazza aveva acconsentito incapace di resistere a quello sguardo.
Stavano aspettando che una delle cameriere di turno le notasse per ordinare, quando effettivamente qualcuno le notò sedendosi di fronte a loro.
«Ciao, Hope.» fece Robyn «Ci rincontriamo, Alice.»
«Sai,» Alice accennò a un sorriso ironico «sto iniziando a pensare che tu sia una stalker.»
Robyn ridacchiò «Sembra essere l'unico modo per poter scambiare due parole con te.»
«Come mai sei così interessata a parlare con me?» chiese Alice.
L'altra ragazza scosse le spalle con noncuranza «Sono sempre aperta a nuove amicizie. Ma sai, è un po' complicato quando queste sono così asociali.» rispose Robyn allontanandosi.
Quando la ragazza fu abbastanza lontana Hope disse «Mi piace Robyn.»
Alice la guardò confusa «Come scusa?»
La bambina sospirò drammaticamente «Mi piace Robyn, è simpatica e mi regala sempre le caramelle. Dovresti essere sua amica, sai?»
Alice sorrise «Prometto che ci penserò» disse.
Nel frattempo una cameriera finalmente si avvicinò al loro tavolo per prendere le ordinazioni.

Henry quel giorno era in ritardo, dannatamente in ritardo per essere precisi.
 Aveva incontrato Violet mentre si dirigeva in classe e si sa come vanno le cose, una parola tira l'altra e la campanella era suonata senza che se ne accorgessero.
E adesso il ragazzo era costretto a correre per non arrivare troppo in ritardo a lezione, una volta giunto davanti alla porta dell'aula di chimica spalancò la porta entrando velocemente «Mi dispiace, non ho sentito la campana.» spiegò col poco fiato che aveva in corpo alla professoressa  che annuì con noncuranza facendogli segno nell'unico posto libero.
«Toh, guarda chi si vede. Il tizio strambo della festa di Robyn.» fece la sua vicina di posto osservandolo con curiosità.
Lui ricambiò lo sguardo «Ivy, giusto?» disse.
La ragazza annuì.
«Mi dispiace ancora per quello. Che posso dire? A volte sono piuttosto imbranato.» fece lui impacciato.
Ivy ridacchiò «L'ho notato.»
«La verità è che tu di spalle somigli davvero tanto a Violet, quindi ecco spiegato il mio malinteso» spiegò.
«Allora vogliamo iniziare?» disse la ragazza cambiando argomento.
«Certo, che dobbiamo fare?»
La ragazza indicò la lavagna «Legge della conservazione della massa. E tira fuori il quaderno dobbiamo annotare man mano l'esperimento.»
Dopo qualche minuto in totale silenzio passato ad osservare l'esito dell'esperimento la ragazza  chiese «Quindi ti sei più dichiarato?» ma vedendo l'espressione perplessa di Henry aggiunse «Avevi puntato me per questo,no? Per dichiararti»
Il ragazzo abbassò lo sguardo trovando molto più interessanti le proprie scarpe «Quindi tu sei nuova, no? Ti sei trasferita da poco o qualcosa del genere?» disse poi cambiando volutamente argomento.
«Beh sì, mi sono trasferita qui circa tre mesi fa. Infatti sono capitata alla festa per sbaglio, ero venuta a iscrivermi a scuola quando Robyn mi ha dato l'invito, mi sembrava un buon pretesto per conoscere gente.» spiegò Ivy.
Henry annuì d'accordo «Adesso sono curioso, chi era il tuo accompagnatore?»
La ragazza sorrise lievemente «Mi spiace deludere le tue aspettative ma il mio accompagnatore era semplicemente mia sorella.»
Henry restituì il sorriso «E qual è il problema? La mia accompagnatrice era mia cugina!»

William Gardener era un uomo molto pacato nel complesso.
E di certo non era arrabbiato col genero, solo che ... lui aveva giurato di stare accanto a Eloise in salute e in malattia.
E sapeva benissimo a cosa andava incontro.
Certo, ovviamente Alice era ancora una ragazzina ed era compito di Roger fare in modo che crescesse in un contesto più sereno possibile e lo capiva. Però...
In quel momento il campanello trillò annunciando l'arrivo di sua figlia.
A William bastò una singola occhiata a Eloise per capire che qualcosa non andava.
 «Tesoro, qualcosa non va?» chiese.
Eloise sbuffò «Mrs. Miller è una gran pettegola, ma questo già lo sapevamo. Dio come non la sopporto!» disse buttandosi a peso morto nel divano sembrando la coetanea di sua figlia «Sai cosa ha avuto il coraggio di consigliarmi? Un dannatissimo avvocato! Come se ne avessi bisogno! Io so che Roger tornerà da me, non è vero?»
William si sedette accanto alla figlia «Certo tesoro, ovviamente tornerà, non vi siete sentiti di recente?»
Eloise annuì «Non la sopporto.»
L'uomo strinse la figlia in un abbraccio «Lo so tesoro, lo so» disse.

Era stata una lunga giornata per Emma, Regina aveva indetto una riunione per discutere del quadro. Emma odiava davvero tanto le riunioni, erano pieni di gente che parlavano incessantemente per minuti interi senza arrivare davvero al fulcro del discorso. 
La donna  sbuffò avviando il computer, la sua casella di posta elettronica scoppiava liberarla un po' sembrava una buona idea. 
La poveretta era piena zeppa di pubblicità ed e-mail da parte di Facebook e Twitter. 
Cancellate quelle la situazione non era poi molto migliore, le e-mail sembravano non finire mai: messaggi da parte di Regina che le ricordavano di consegnare in tempo di documenti, avvisi da parte della scuola dei ragazzi, conferme alle visite di Hope e altro. 
Così Emma selezionò tutte le e-mail vecchie di due settimane. 
Rimase un numero ancora piuttosto alto ma la situazione era molto migliorata, controllò allora cos'altro poteva cancellare. 
Lasciò tutte le e-mail riguardanti i ragazzi – le varie comunicazioni scolastiche e mediche. – 
Il resto lo cancellò, compresa l'e-mail riguardante la conferma per un'intervista imminente. 

James e Ingrid avevano cercato a lungo, scandagliato vari indizi, beccato un numero imprecisato di vicoli ciechi ma alla fine la fortuna era stata dalla loro parte a giudicare dal sorriso vittorioso sulle labbra di Ingrid, la donna fece uno screenshoot all'articolo che aveva appena finito di leggere prima di girarsi verso James «È una bella sensazione quando dopo mesi di ricerche finalmente si trova quel che si è cercato con così tanta dedizione e sacrificio, non è vero?» disse.
L'uomo annuì «Ma non ce l'avremo mai fatta senza te. Te l'hanno mai detto che quando ti ci metti sei un vero osso duro?»
Un lieve sorriso increspò le labbra di Ingrid «Adulatore!»
James ghignò «Ma è un trattamento che riservo solo a te, dovresti essere onorata.» disse incontrando la donna in un bacio.
Ingrid fu come rinvigorita da quel bacio «Su, è giunto il momento di imballare tutto ciò che ci serve. Siamo stati fermi fin troppo.»

Note: Ebbene finalmente ce l'ho fattaaaa! Questo capitolo è stato faticoso, non tanto il capitolo in sè ma perchè lo storia di Roger ha preso una piega diversa e ho dovuto cambiare tutte le sue scene insieme a quelle di Eloise e Alice.
Detto questo spero che il capitolo vi sia piaciuto.
A presto, buona quarantena (mi raccomando sta a casa!)
Niny :)

 

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Capitolo 9
*** 9 ***


Capitolo 9. 
 
A differenza del sindaco lo Sceriffo Emma Swan (classe 1986, Mary’s House, Portland) si crede già arrivata. Non troviamo altra spiegazione al suo totale disinteresse a rispondere a qualche semplice domanda. Evidentemente la sua saffica amicizia col sindaco Mills le ha fatto credere che potesse ergersi nel suo personale piedistallo e[…] 
Emma chiuse il giornale sbattendolo rumorosamente sul tavolo sbigottita «Non ci posso credere! Tutta questa cattiveria solo perché ho dimenticato di rispondere a una dannata e-mail. Vorrei urlare!» 
«Puoi farlo se vuoi.» scherzò Roger cercando di alleggerire l’atmosfera. 
«Ti prego, le tue orecchie non lo sopporterebbero.» 
Roger rise, sguaiatamente «Non preoccuparti per le mie orecchie, non sono così delicate come credi.» disse poi, avvicinando la sedia al tavolo dove giaceva inutilizzato l’oggetto incriminato, continuò «Allora cosa dicono?» 
«Intendi a parte lo sbandierare ai quattro venti il mio essere orfana? Hanno detto che me la tiro definendo Saffica la mia amicizia con Regina. Che anche se fossi come minimo bisessuale non potrei mai vedere Regina in quel modo, è la mia più cara amica!» puntualizzò Emma sistemandosi dietro l’orecchio una ciocca bionda.  
«Dai, andiamo a mangiare qualcosa al Granny’s, e butta quell’affare.» disse Roger prima di appallottolare il giornale e fare un perfetto canestro nel cestino. 
«Grazie.» disse Emma e lo intendeva sul serio. 
«È dovere di un cognato, no?» rispose Roger sorridendo. 

 
Sydney Glass stava gustando il suo caffè con due  zollette di zucchero come piaceva a lui quando una furia bionda gli si piantò davanti. 
Il direttore dello Storybrooke Daily Mirror sorrise riservando la sua attenzione alla donna «Sceriffo, ha bisogno di qualcosa?» 
«Sì, darti un pugno su quel tuo ghigno soddisfatto. Ma sono una persona adulta e so che non servirebbe.» la sua voce tremava dalla rabbia «Adesso dimmi era necessario far sapere a tutti che non ho uno straccio di famiglia a parte mio marito e i miei figli? Era necessario presupporre che tradisca Killian con nientemeno che la mia più cara amica? Credi che non sappia della tua cotta per Regina? La verità è che sei solo un fallito, Sydney!» 
Sydney fece spallucce «Sceriffo Swan cosa vuole che le dica? È  così che funziona il giornalismo, nessun rancore.» 
La donna sbuffò sonoramente guardandolo con rabbia poi volse lo sguardo verso il cognato «Roger, ho bisogno di aria. Scusami.» 
Lui annuì dicendo qualche parola ma erano troppo lontani per sentirli e a Sydney neanche interessava.  

 
La vista del giornalista le aveva fatto salire tanta di quella rabbia che Emma non era neanche sicura che potesse essere contenuta in un unico corpo. 
Stava vagando senza metà quando si ritrovò al porto si sedette sulla panchina ormai svuotata. 
Killian aveva ragione: il movimento delle onde aveva il potere di calmare anche l’animo più tormentato. 
Aveva perso il senso del tempo quando qualcuno si avvicinò. 
«Provo a indovinare?» fece Regina sedendosi accanto a lei «A infastidirti è stato l’articolo sullo Storybrooke Daily Mirror.» 
«Hai sviluppato una qualche forma di telepatia durante la notte?» scherzò Emma pur senza allegria nella voce. 
«Non era difficile da immaginare.» rispose Regina «Ho davvero bisogno di dirti che Sydney è un idiota?» 
«No.» la voce di Emma era ancora un po' flebile «Mi stai parlando come il sindaco Mills o come mia amica?» disse sforzando un sorriso. 
«Chi dice che non possa essere entrambi?» 
Emma sorrise «Devo pur sapere se posso lamentarmi di quei rapporti!» 

 
 Alice stava gustando il suo milk-shake alla fragola, Ruby – la simpatica cameriera con le ciocche rosse – aveva guarnito la bevanda con talmente tanta panna che Alice non era neanche tanto sicura a riuscire a berlo tutto. 
Era persa nei suoi  pensieri, niente di troppo complicato, quando qualcuno prese posto accanto a lei. 
Alice alzò gli occhi al cielo «Ancora tu? Comincio a pensare che sei davvero una stalker.» 
Robyn rise «È una città piccola, ma sì voglio essere tua amica.» 
«Perché io?» Alice non riusciva davvero a capire cosa vedesse in lei l’altra ragazza. 
«Beh perché no? Hai troppi amici e non hai bisogno di fartene altri?» 
Alice scosse la testa con un sorriso amaro «No, no semmai il contrario. Io… non ho molti amici.» 
«Allora non c’è problema, no?» 
«Ma non sai niente di me!» puntualizzò Alice confusa. 
«Non è vero!» rispose Robyn iniziando a elencare «So che ti piacciono i libri, che non hai un bel rapporto con i nostri coetanei, che vieni da Seattle e che sei cugina di Henry. Direi che basta per decidere di esserti amica!» 
«Beh allora sono io a non sapere niente di te.» disse Alice stavolta sorridendo ampiamente. 
«A questo possiamo rimediare!» Robyn le fece l’occhiolino «Uhm vediamo un po’, sono nel club di tiro con l’arco e…» 

Emma era distrutta quando tornò a casa, l'articolo dello Storybrooke Daily Mirror e lo scontro con Sydney l'avevano sfinita, entrò in casa strascinando i piedi dalla stanchezza. 
Giunta al salotto trovò Killian sul divano che guardava un documentario. 
«Ehi.» lo salutò. 
«Ehi, sembri sfinita. Quell'articolo ti ha proprio devastato, eh?» commentò, l’aveva letto  quella mattina  sul giornale, poi mentre pranzava da Granny’s tutto non facevano che parlare della lite tra Emma e Sydney. «Vieni qui, ti faccio un massaggio. Che ne dici?» 
«Sai che non direi mai di no a un tuo massaggio, soprattutto se li offri così liberamente.» rispose Emma sorridendo. 
Killian baciò quel sorriso, poi si sgranchì le mani e iniziò a impastare le sue spalle «Son belle contratte eh?» mise un po' più di forza nel muscolo poi continuò a parlare, la sua voce in quel momento era pacata come il mare dopo la tempesta «Rilassati  mo ghrá is milis.» 
Emma sorrise beata, girandosi per incontrare suo marito in un bacio. 
Se le avessero chiesto cosa amava di Killian avrebbe risposto questo: che fosse felice, triste o stressata, lui era sempre al suo fianco, a dispensare un sorriso gentile, coccole o, come in quel caso, un massaggio. Era davvero fortunata: aveva un uomo meraviglioso al fianco, sul quale poteva sempre contare. 

Ingrid quel giorno era su di giri, dopo tanta fatica, viaggi a vuoto e ricerche infruttuose finalmente la loro ricerca si avviava alla fine. 
Adesso stavano preparando le loro cose, impilandole in macchina -per fortuna Ingrid era una gran giocatrice di Tetris altrimenti sarebbe stato complicato far entrare le loro cose in uno spazio così ridotto- 
James le aveva circondato la vita dopo  averle passato l'ennesima scatola. 
«Mi piace quel sorrisetto, a cosa è dovuto?»  
«Magari sto pensando a te!» fu la risposta civettuola di Ingrid. 
James incontrò la donna in un bacio «Adulatrice.» 
Ingrid tornò seria «Beh è ovvio che dopo tanta ricerca essere arrivati a un punto di svolta non può che rendermi felice, ma è proprio perché siamo quasi alla meta  che non dobbiamo farci distrarre da niente.» la donna sistemò maggiormente la scatola prima di dire «Quante scatole mancano?» 
James sorrise «Sono rimasse le ultime due. Siamo pronti a partire!» 

 Dopo tanta insistenza Alice aveva “accettato “di essere amica di Robyn, in fondo che male poteva farle? Robyn sembrava diversa dagli altri adolescenti e nonostante fosse la nipote del sindaco non se la tirava anche se avrebbe potuto – questo l'aveva scoperto quando si erano scambiate confidenze, insieme alla sua passione per la crostata di mele preparata da sua zia  – 
«Oggi è arrivato il tanto atteso quadro, ci andiamo?» stava dicendo Robyn . 
«Cos- , cosa?» fu la risposta di Alice che persa nei suoi pensieri non aveva sentito la domanda. 
Robyn rise «Suppongo che sia quello che succede a voler diventare amica di un'asociale.» scherzò «Ho detto: oggi è arrivato l'attesissimo quadro di Van Gogh, andiamo a dare un’occhiata?» 
 «Oh certo, volentieri.» Alice fece uno dei suoi rari sorrisi, e come sempre Robyn ne rimase affascinata: l’amica aveva davvero un bel sorriso, peccato che non lo mostrasse spesso.  

Henry era ritardissimo, suo padre l’aspettava da almeno dieci minuti ma aveva dovuto convincere Hope a restare a casa e tra una cosa e l’altra si era fatto tardi.  
Adesso stava correndo a perdifiato quando sbatté contro qualcosa o meglio, qualcuno, finendo a terra. Rassettandosi tornò a guardare di fronte a lui, per scoprire che la persona che aveva letteralmente investito era una ragazza, anche lei, al momento, seduta a terra. Cavallerescamente, Henry le porse la mano, aiutandola a rialzarsi scoprendo che si trattava nientemeno che di Ivy.  
«Scusami, ero di fretta.» disse «Ma vieni, ti offro un gelato.»  
La ragazza scosse la testa «No, va bene così. Ma se ti senti in colpa puoi accompagnarmi a vedere il nuovo quadro.»  
«In realtà avrei già un impegno, ma va bene. Dammi cinque minuti.» disse allontanandosi mentre digitava il numero di suo padre, rispose dopo due squilli.  
«Ehi Pa’? Ho avuto un contrattempo possiamo posticipare di un’ora? Sì, sì okay. A dopo.»  
Quando chiuse la chiamata si avvicinò nuovamente a Ivy «Allora vogliamo andare?» disse.  

 Eloise stava sorseggiando il suo tè al gelsomino nella sua caffetteria di fiducia quando qualcuno le si sedette accanto. 
La bionda alzò lo sguardo per ritrovarsi di fronte niente di meno che Skye  Davies. 
La donna era la cosa più vicina a un amica, era stata l'unica a trattarla come una persona. 
«Ti ho visto e ho pensato che scambiare quattro chiacchiere potesse fare piacere anche a te: è da tanto che non parliamo.» disse sorridendo apertamente. 
«Mi fa sempre piacere parlare con te, Skye . Sei l'unica persona che posso considerare un’amica.» rispose Eloise pacata. 
«Ammetto che sono venuta qui sperando di incontrarti. Ho saputo di Roger.» 
La bionda fece un verso indecifrabile «Ho sentito fin troppi discorsi iniziare con Ho saputo di Roger e so bene dove vanno a parare. Lui tornerà, capito? Lo so, lui me l'ha promesso.»  obiettò. 
Skye alzò le mani in alto in segno di resa «Non volevo insinuare niente, ho solo pensato che potesse servirti qualcuno con cui parlare.» 
«Oh.» fece Eloise «Lascia che mi faccia perdonare allora, ti offro un caffè.» disse poi mentre faceva segno a una cameriera coi capelli rosa ordinando per Skye. 
Quando la cameriera si fu allontanata Skye chiese «Allora come stai?» 
«Bene, stamattina mi ha chiamato Alice e lei sembra davvero felice, sai? Più felice di quanto fosse qui a Seattle.» la voce di Eloise si affievolì man  mano «Se allontanarsi da me le fa quest'effetto non posso che esserne contenta e sta istaurando un bel rapporto con i suoi  cugini e di questo ne sono felice, era ora che si facesse degli amici.  Poi ho ripreso a lavorare e questo mi da modo di non farmi sentire troppo la loro mancanza.» 
Skye sorrise «L'importante è che tu stia bene.» 
Nel frattempo Runa, la cameriera dai capelli rosa portò l'ordine di Skye. 

Emma era immersa a firmare moduli. 
Come se non bastasse tenere stretta sorveglianza al museo di Storybrooke , Regina le aveva dato tanto di quei moduli da compilare che avrebbe finito tra una settimana. 
La bionda sbuffò fissando quella montagna di fogli -in realtà non era un montagna e neanche una collina, non erano più di dieci fogli ma a Emma sembravano ugualmente troppi.- guardò Roger che compilava un modulo dopo l'altro senza fiatare. 
«Come diamine fai?» disse. 
Roger ridacchiò «Anni e anni di esperienza.»  
«Piuttosto mi sarei uccisa.» 
«Esagerata!» scherzò per poi aggiungere « È curioso come non appena ti si chiede di firmare dei semplici moduli regredisci alla stessa età di Hope.» 
Emma gli fece una linguaccia assumendo effettivamente lo stesso comportamento di Hope «Non è per niente vero!» esclamò. 
I due risero, ma il momento di gioia fu interrotto da  Mr Hopper, l'usciere. 
«Mi scusi sceriffo Swan.» disse trafelato come al solito. 
«Non si preoccupi Mr. Hopper.» lo tranquillizzò Emma gentilmente. 
«Ci sono delle persone qua fuori, dicono di essere i tuoi genitori.» disse infine l'uomo. 
Emma sbatté le palpebre, due volte. Poi le risbatté un’altra volta prima di sussurrare un fievole «Cosa?» 

Note: Ma cciao! com'è che si dice? Chi non muore si rivede? Ebbene sì, ho il difetto di essere lenta. 
Ma dettagli, dettagli.
Allora passiamo alle cose tecniche: 

mo ghrá is milis-> amore mio dolcissimo.
Runa invece sarebbe un personaggio della visual novel Sweet Enchentments (https://lovestruckvoltage.fandom.com/wiki/Sweet_Enchantments )del gioco Lovestruck di cui io sono fissatissima >.>
Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Alla prossima,
Niny :)


 

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Capitolo 10
*** 10 ***


Capitolo 10.
 
Negli ultimi tempi Roger aveva imparato a conoscere la cognata, ma l'espressione che assunse quando Mr. Hopper disse nuovamente «Ci sono delle persone qui, dicono di essere i vostri genitori. » nascondeva talmente tante emozioni da non saperla decifrare bene. L'usciere parlò lentamente come per paura che Emma non capisse quello che stava dicendo. Ma Roger sapeva che la donna aveva afferrato ogni singola parola.
La  bionda infatti scosse la testa come per schiarirsi le idee «Mr. Hopper, come tutti in questa città sapranno io non ho i genitori.» disse infine.
«Loro hanno detto di aver visto l'articolo sullo Storybrooke Daily Mirror e di avervi riconosciuto.» riferì l'uomo.
Emma gemette «Dio ci mancava solo questo.» sospirò poi guardando Roger con sguardo di scusa disse «Roger, ti dispiace?»
Il cognato scosse la testa «Ne approfitterò per prendere qualcosa al Granny's, fai pure con comodo.»

Emma guardò a lungo Ingrid e James dopo che ebbero finito di raccontare la loro storia cercando di trovare tra le rughe della coppia qualcosa in comune che le confermasse che quello che stavano dicendo i due era la verità: Ingrid aveva lunghi capelli biondi, nessuno dei due aveva gli occhi verdi ma forse guardandoli attentamente poteva trovare delle somiglianze. Forse dopotutto avrebbero potuto essere effettivamente i suoi genitori.
«Quindi mettiamo che vi credo» disse intrecciando tra di loro le dita, sintomo del suo nervosismo «pensate davvero che dopo 33 anni io faccia finta di niente e vi accolga a braccia aperte come se niente fosse? »
Ingrid sospirò «Siamo consapevoli del rammarico che avrai e ce lo meritiamo. Ma eravamo giovani e —»
«No!» l'interruppe Emma bruscamente «Quando ho avuto Henry avevo solo 18 anni ed ero sola, completamente sola. Il mio fidanzato è scappato non appena ha saputo che ero incinta e indovinate un po’? non avevo una famiglia. Ma non ho pensato neppure per un istante di abbandonarlo, quindi non venite a raccontare la balla che eravate giovani.»
«Sapevamo che c'era la possibilità di incorrere nella tua rabbia» James parlò lentamente, forse per paura di incorrere in un'altra sfuriata «Ma, ti abbiamo cercato a lungo e quando finalmente abbiamo capito che eri qui, non abbiamo potuto non correre a conoscerti ma se non vuoi saperne più niente noi ce ne andremo.»
Emma scosse la testa «No, non ce n'è bisogno.»
I due sorrisero «Suppongo allora che ci vedremo presto?»  chiese suo padre  — Dio,suonava così strano! —
La bionda più giovane annuì semplicemente.

Alice e Robyn ormai passavano molto tempo insieme e la ragazza dovette ammettere che con la coetanea si trovava davvero bene.
Quel giorno erano da Granny's a gustare i loro soliti milk-shake.
«Allora parlami di Seattle. Ti manca?» chiese Robyn rompendo il silenzio degli ultimi minuti e distogliendo Alice dai suoi pensieri.
Quest'ultima scosse violentemente la testa «No. L'unica cosa mi manca è mia madre e … la biblioteca.» la ragazza chiuse gli occhi come immaginando di essere ancora lì «Amavo stare lì, sarei stata capace di trascorrere giornate intere là dentro senza nemmeno accorgermene.»
Robyn ridacchiò «Non ne dubito!» poi si fece seria «Ma come mai non ti manca Seattle? È casa tua!»
«Ti mancherebbe un luogo in cui per tutti sei quella strana? La figlia della pazza?» sbottò l'altra ragazza poi rendendosi conto del tono appena usato sussurrò «Mi dispiace, ho esagerato.»
Ma Robyn scosse la testa «No, scusami tu. Sono così curiosa che non rifletto molto. Mi dispiace non volevo farti riemergere esperienze sgradevoli.» le toccò lievemente una mano confortandola.
Il cuore di Alice parve fare un balzo,  del resto cosa aspettarsi? Robyn era la prima persona da poter definire amica era normalissimo che quel disgraziato al primo gesto carino iniziasse a fare i saltelli «Non scusarti, non potevi saperlo.» disse infine.

Killian era nel divano, stava giocando con Hope. Aveva finito di lavorare prima, così era passato da Ashley a prendere la bambina prima di tornare a casa.  Emma negli ultimi tempi era sommersa dal lavoro quindi se poteva fare in modo di aiutarla non se lo faceva ripetere due volte.
«Papà?» la piccola interessata lo riscosse dai suoi pensieri.
«Dimmi tesoro.» rispose l'uomo con un sorriso.
La bambina sollevò la Barbie che aveva tra le mani «Ti ho chiesto se vuoi venire al ballo con me.» rispose con fare saputello.
Killian rise guardando il Ken che aveva tra le mani «Ma certo che verrò al ballo con te!» replicò solleticando il pancino di Hope, la bambina rise di quelle risate chiassose che riempiono la casa di gioia tipiche dei bambini.

Quando Emma varcò l'uscio di casa l'accolsero le risate di suo marito e sua figlia e per un attimo questo bastò a farle dimenticare ogni problema.
Ma a quanto pare tutto quello che era successo nelle ultime ore doveva essere ben scritto sul suo viso perché Killian la salutò con un «Che è successo? Sembra che hai visto un fantasma!»
Qualcosa del genere pensò Emma mentre Hope raccattava le sue cose dirigendosi nella propria stanzetta.
«Allora cos'è successo?» la incalzò suo marito dopo che Hope se ne fu  andata.
La bionda sospirò gettandosi esausta sul divano «Stavo firmando delle scartoffie, non che sia una novità: da quando è arrivato quel dannato quadro Regina non fa altro che farmi firmare scartoffie su scartoffie.» aveva chiuso gli occhi e parlava lentamente come se stesse mettendo in ordine i pensieri «A un certo punto bussa Mr. Hopper, dice che ci sono delle persone che affermano di essere i miei genitori.» Killian sobbalzò: i suoi genitori?! Emma era stata abbandonata davanti un orfanotrofio quando aveva appena una settimana, crescendo era passata da una famiglia affidataria a un'altra fino ai diciotto anni. Non disse niente aspettando in silenzio che finisse il discorso. «A quanto pare mi hanno trovato grazie all'articolo scritto da quel deficiente di Glass.» sospirò «Killian, io non so davvero cosa fare. Ho aspettato questo momento per tanto tempo e adesso che è successo io … ho paura che sia tutta una fregatura.»
Killian la strinse in un abbraccio. Sospirò, ne avevano parlato e straparlato quando si erano conosciuti: Emma aveva sperato per tutta la vita che i suoi genitori venissero a cercarla, ma quando dopo sedici lunghi anni nessuno si era palesato ci aveva semplicemente fatto l'abitudine: era stato questo a spingerla a occuparsi di Henry, nonostante fosse sola e giovanissima. Ed era stato proprio l'amore puro e travolgente che provava per Henry ad averlo fatto innamorare perdutamente di lei. Prese una lunga sorsata d'aria riordinando i pensieri «Io non sono la persona giusta per darti dei consigli, sai in che razza di rapporto ero con mio fratello» incominciò «ma  mo chroí se c'è qualcuno che può dirti cosa fare è lui.» prese una mano e la mise sopra il cuore di Emma «Seguilo, sono sicuro che saprà aiutarti.»
La bionda sorrise grata «Grazie.» disse prima di incontrarlo in un bacio.

James e Ingrid, seduti in un tavolino al Granny's sorrisero vedendo arrivare Emma, era un piccolo passo e ne erano grati.
Emma si sedette senza tante cerimonie «Mettiamo le cose in chiaro: non vi ho perdonati e non mi fido di voi. Ma ho deciso di darvi un occasione voglio sperare che non la sprecherete.»
Ingrid sorrise «Te ne siamo grati, è più di quanto potessimo sperare.»
Emma annuì alzandosi «Godetevi la colazione.» disse alzandosi.
Quando Emma si fu allontanata abbastanza i due sorrisero «Beh direi che è andata abbastanza bene, no?» chiese Ingrid.
«Più di quanto potessimo sperare, adesso abbiamo bisogno che abbassi un po’ quelle difese. Ma il primo passo l'ha fatto sicuramente.» concordò James.
La bionda sorrise baciando il marito «Ti amo.»

Note: E sono tornataaaaa! Mi dispiace ma è stato un periodo infernale .-.
Ma finalmente eccomi qua! 
Intanto iniziamo con la lezione di irlandese: mo chroì-> cuore mio.
Ma dunque che mi dite del capitolo? Spero vi piaccia!! 
Come al solito spero di non aver fatto errori, ho controllato e ricontrollato ma quei disgraziati si son nascosti! ma se ne notate qualcuno non esitate a farmelo notare, non mi offendo!
Al prossimo capitolo(spero non arrivi troppo tardi XD) 
Niny :)

 

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Capitolo 11
*** 11 ***


Capitolo 11.
 
Eloise era a casa, il negozio dove lavorava era corso ai ripari e una volta annunciata l'emergenza COVID aveva chiuso i battenti. 
Adesso era stravaccata sul divano, ricordando per un attimo sua figlia. Suo padre era seduto sulla poltrona, gli occhi fissi sul giornale. 
La tv accesa dava a ripetizione aggiornamenti sul COVID e neanche navigare sui social l'aiutava. Non negava che quella situazione iniziasse a essere insostenibile. 
Sospirò e poi impulsivamente, prese il telefono e compose il numero del marito: sapeva che Roger avrebbe potuto essere occupato ma aveva davvero voglia di sentirlo e, in fondo le decisioni impulsive erano tipiche di lei. Roger avrebbe capito, o almeno così sperava.  
Suo padre alzò lo sguardo dal giornale al suono dei tasti, un sopracciglio inarcato. 
Suo marito rispose al secondo squillo:«Eloise! Stai bene?» la sua voce piena di preoccupazione riempì d'affetto il cuore della donna «Sto bene. Volevo solo sapere come stavi.» 
Roger sospirò «La situazione qui è … complicata. » la voce dell'uomo appariva piena di dolore «Se avessi saputo io … non me ne sarei andato» disse. 
Eloise scosse la testa nonostante il marito non potesse vederla «No, Roger io … capisco. Alice aveva bisogno di questo. E mi rendo conto che questa è stata una buona idea; Alice adesso ha un bel rapporto con i suoi cugini, ha un amica. Adesso sembra davvero felice.»  
«Sì è vero. Stare qui sembra aver sortito un buon effetto su Alice, però …» Roger si fermò come se stesse mettendo in ordine i pensieri poi continuò « Eloise farò di tutto per tornare da te al più presto possibile.»  
Nonostante tutto Eloise sorrise.   

«Quindi in cosa consiste esattamente il tuo lavoro?» chiese Ingrid quel giorno, la donna le aveva portato una scatola di donnut: ultimamente lei e James sembravano fare a gara su chi fosse il più premuroso, forse per cercare di sopperire a 33 anni di mancanze. Emma non negava che i suoi genitori ce la stavano mettendo davvero tutta, ma la parte di lei che ancora soffriva per anni e anni sballottata tra una casa affidataria e un'altra non si fidava. Ciò nonostante sorrise lievemente «In questo momento supervisionare il Van Gogh e verificare che tutti rispettino le disposizioni sanitarie, ovviamente.» rispose «Ma se vuoi sapere il mio parere preferisco sicuramente la prima.» sospirò «Almeno il quadro resta fermo. Sono davvero stanca di discutere con gente che si rifiuta di capire.»  
«Eppure indossare la mascherina non dovrebbe essere così difficile, no?» domandò Ingrid indicando la mascherina che in quel momento teneva abbassata «D’altronde la usavamo già quando avevamo un po’ di influenza, no? È un modo di salvaguardare noi e chi ci circonda»  
«Eppure ti stupiresti di sapere di quanta gente dice che siamo vivendo in una dittatura sanitaria e che se si ammalano i più deboli è solo selezione naturale. Mi disgusta soltanto l’idea di dividere la mia aria con questa gente.»  
Ingrid scosse la testa partecipe «Allora parliamo del Van Gogh. Dev'essere bello avere nel museo di una piccola città un quadro così famoso.» disse. 
Emma annuì «È un gran bel traguardo per Storybrooke.» confermò.  
«Sai che l’arte di Van Gogh fu riconosciuta soltanto quando morì?» chiese Ingrid con uno strano luccichio nello sguardo «Da giovane ho studiato arte.» spiegò allo sguardo interrogativo di Emma.  
 Emma rimase in silenzio pensierosa, non riusciva a capire a quale parte di sé dare ascolto: a quella che le diceva di aggrapparsi a questi attimi insieme ai suoi genitori o a quella che le diceva di non fidarsi, che l’avevano lasciata comunque sola per 33 anni.  
Ingrid sorrise, forse capendo i dubbi della figlia «Beh ti lascio lavorare in pace. Ci vediamo!» disse lasciando la stazione.  

 Alice era seduta sul divano, scorreva distrattamente la home di Facebook.  
Robyn le aveva chiesto di uscire ma la ragazza aveva rifiutato, non sopportava la mascherina e oltretutto presto avrebbe dovuto tornare a Seattle. Che senso aveva far progredire quel rapporto? Per farla soffrire al momento in cui sarebbero state divise? Non aveva proprio voglia di aggiungere altro dolore al mucchio, grazie tante. 
Proprio in quel momento il suo cellulare squillò, Alice gettò un occhiata veloce: Robyn, sospirò, ma quella ragazza non si arrendeva mai? «Prendere o lasciare: usciamo?» la salutò l'altra ragazza. 
«Grazie ma no.» rispose Alice, la sua voce tremava lievemente. 
 L'altra ragazza fece un sospiro, Alice non riusciva a capire se fosse grato o di frustrazione «Ti ho fatto qualcosa?» chiese infine, la sua voce suonava ferita. Il cuore di Alice sussultò di rimando; Robyn era una delle poche persone a mostrarsi gentile con lei e le dispiaceva che potesse soffrire a causa sua «Cosa? Certo che no!» esclamò. 
«E allora cosa ti prende?» il sorriso che di solito condiva ogni parola della ragazza era stato sostituito dalla preoccupazione «E non osare mentirmi! So che mi stai evitando.»  
Alice sospirò «È … è complicato.»  disse infine. 
«Bene, ho tempo.» dal tono di voce era chiaro che Robyn adesso stava sorridendo «Posso venire?»   

Henry era appena uscito dalla biblioteca, l'ultimo volume delle origini di Shadowhunters al sicuro nella tracolla — era proprio curioso di sapere come si sarebbe svolta la situazione alla fine, soprattutto era curioso di sapere alla fine chi avrebbe scelto Tessa tra Will e Jem! — quando incontrò Ivy, per un attimo non la riconobbe con la mascherina addosso «Dove vai di bello?» chiese curioso.  
«Stavo per fare un salto al Granny's, ti unisci a me?» propose la ragazza.  
Henry annuì. 
Circa dieci minuti dopo erano seduti a un tavolo aspettando il proprio ordine.  
Ivy guardò il ragazzo con curiosità, una mano poggiata sotto il mento «Quindi…  come va con…  come si chiamava?» chiese.  
Henry scosse la testa divertito, da quando l’aveva scambiata per Violet Ivy gli poneva sempre la stessa domanda.  
La ragazza sospirò, forse insultandolo internamente come era solita fare Alice «Lei ti piace sul serio?» chiese.  
Uno sguardo confuso si dipinse nel volto dell’amico «Certo. Perché?»  
Ivy scosse la testa «Certo che voi maschi siete proprio tonti.» commentò «Non penserai mica che starà ad aspettare la tua dichiarazione per sempre? Devi darti una mossa!»  
Henry abbassò lo sguardo «Lo so, però…» intrecciò le dita tra loro «Come faccio a sapere che prova lo stesso?» domandò infine.  

    «Quindi mi stai dicendo che ti è sembrata una buona idea troncare i rapporti con me perché hai paura di quello che succederà quando lascerai Storybrooke?» chiese Robyn dopo che Alice finì di raccontare il motivo per cui la stava evitando, le due erano sedute sul letto, in quella che al momento era la stanza di Alice.  
Alice sbuffò «Non ho paura.» bofonchiò a bassa voce. 
Robyn alzò gli occhi al cielo, poi si sedette di fronte all'altra ragazza costringendola a guardarla negli occhi «Alice sii seria!» esclamò «Siamo nel ventunesimo secolo: abbiamo le videochiamate, le mail, whatsapp. Abbiamo i mezzi per spostarsi e mi stai davvero dicendo che dovremmo troncare la nostra amicizia perché a breve lascerai Storybrooke?» il tono della ragazza era dolce, come il tono usato da un insegnante quando spiega un argomento piuttosto difficile. 
«E perché mai dovresti fare tutto questo per me?! Puoi essere amica di chiunque!» sbottò Alice, la sua voce si alzò di diversi toni. Da quando aveva abbassato le sue difese non aveva più alzato la voce con Robyn e se ne pentì all'istante, fece per scusarsi ma l'altra ragazza la fermò con una mano «Sai, Alice a volte sei più ottusa degli adolescenti che giudichi tanto.» rispose con voce fredda «Farei tutto questo per te perché ci tengo. Ma evidentemente per te non è lo stesso.» 
A sentire quelle parole la risposta di Alice si fece altrettanto tagliente « E per quale ragione allora pensi che ti abbia detto questo?! Dio Robyn! Ti ho detto cose che non ho mai raccontato a nessuno. Come puoi pensare che non ci tenga a te?!» sbottò mentre una lacrima solitaria le bruciava lungo la guancia, se l'asciugò con foga. 
La voce di Robyn si ammorbidì «Allora dimostralo, Alice. L'amicizia richiede che ci si sforzi da entrambe le parti.»   

Bastò sentire il ticchettio affrettato dei passi di Regina per rendessi conto che la donna era di pessimo umore. Ciò venne confermato quando fece il suo ingresso nell’ufficio dello sceriffo, nonostante la donna indossasse la mascherina non era difficile capire il suo umore. La bionda scambiò uno sguardo perplesso con Roger, gettò uno sguardo colpevole alle carte che ancora doveva compilare prima di chiedere «Regina! Cosa ti porta qua?»  
La bruna si gettò con aria stanca nella sedia disponibile «Swan, sono davvero esausta!» nonostante Emma fosse sposata da un pezzo, Regina continuava imperterrita a chiamarla col suo cognome da nubile «Questa situazione mi sta davvero facendo impazzire. Potremmo dover chiudere tutto a breve e non ho ben capito se devo consegnare il quadro alla National Gallery o no» sospirò «Posso chiederti di fargli una telefonata? So che non tocca a te ma se la faccio io rischio di sbranarmeli e non mi sembra il caso.»  
Emma ridacchiò alle parole dell'altra donna ma annuì «Lo faccio subito!» disse componendo immediatamente il numero, ma il telefono sembrava suonare a vuoto. La bionda non si fece intimorire e riprovò altre due volte ma la situazione non cambiò, scosse la testa «Suona a vuoto.» 
Regina sospirò «Grazie lo stesso.» stava per andarsene quando la voce di Emma la fece fermare: «Vuoi parlarne o qualcosa del genere?» 
«Non c'è niente di cui parlare, sono solo terribilmente stressata. Ma grazie.» rispose il sindaco prima di lasciare la stazione. 

 Roger sospirò, la telefonata di Eloise il giorno prima l'aveva alquanto destabilizzato. Avrebbe voluto solo fare la valige e tornare da Eloise insieme ad Alice. Sospirò. 
Killian si sedette sul divano accanto al fratello, gli porse una tazza di cioccolata calda senza dire nulla.  
Roger ne bevve un sorso rigenerante. Sospirò «Hanno bloccato i voli. Mi chiedo se ho fatto bene ad andarmene.»  
Nonostante Killian non avesse mai approvato la sua storia con Eloise, lo sguardo del fratello era così calmo e … gentile che l'uomo si ritrovò a continuare a parlare quasi senza accorgersene «Non avevo intenzione di stare lontano tutto questo tempo. » la voce di Roger tremava leggermente «Solo che … io e Eloise litigavamo giorno e notte per ogni minima cavolata e ho pensato che questo non facesse bene ad Alice o, forse semplicemente, ero solo io che volevo ritrovare un po’ di tranquillità.» 
Killian posò una mano sopra la spalla del fratello «Hai cercato di preservare tua figlia, se nel frattempo hai voluto trovare un po’ di tranquillità nessuno può biasimarti.» rispose con voce calma. 
«Beh invece dovrebbero! Sapevo a cosa andavo incontro quando l'ho sposata come mi hai ricordato tu giusto qualche mese fa. » sbottò Roger, la sua voce si era alzata di diversi toni. 
La voce di Killian rimase calma però «Io ero arrabbiato e, ammetto, per motivi futili. Non avevo nessun diritto ad essere arrabbiato con te per come hai deciso di vivere la tua vita.» 
Roger sospirò «Mo dheartháir , non capisci. Non amavo Eloise quando ci siamo sposati, ho solo fatto quello che pensavo fosse il mio dovere per Alice. » la sua voce era dolce, nessuno poteva dubitare che l'uomo non stesse facendo altro che mettersi a nudo «Ma poi ho imparato a conoscerla, e man mano che l’ho vista prendersi cura di Alice me ne sono innamorato, non so esattamente come sia successo ma … — » 
«Roger, Roger frena!» disse Killian con un sorriso gentile «Io non metto in dubbio quanto tu ami Eloise e se sia o no una buona madre. Dico solo che non ti biasimo — non più — per aver voluto mettere in primo piano il benessere di tua figlia. E non dovresti farlo neanche tu.»  
Roger non trovò le parole per rispondere così tutto quello che fece fu stringere il proprio gemello tra le braccia. 

«Dobbiamo sbrigarci» James stava facendo avanti e indietro nella stanza d'albergo che condivideva con Ingrid. 
«Maledizione, siediti! Mi stai facendo girare la testa!» sbottò infatti la moglie «So benissimo che dobbiamo fare in fretta. Ma abbiamo bisogno di ancora un po’ di tempo, sono sicura che arriveremo al punto in cui nostra figlia —» il tono di voce di Ingrid sembrò quasi mettere in evidenzia la parola figlia «si fiderà totalmente di noi.» 
James sospirò «Lo so, so che siamo facendo del nostro meglio ma questa situazione mi sta facendo venire l'esaurimento!» 
Ingrid sorrise «Lo so benissimo.» si piazzò di fronte al marito abbracciandolo, lo baciò, un bacio che aveva ben poco di casto «Ti va di coccolarci un po’?» 
James per tutta risposta ghignò. 
  
  
 
  Note: Allora intanto mi rendo conto che è passato quasi un anno dall'ultima volta che ho aggiornato e mi dispiace anche! Però nel frattempo ho fatto la scaletta per non rieschiare di combinare più casini quindi adesso dovrei scrivere senza troppi danni! Altra cosuccia: io non avevo intenzione di inserire il Covid ma mi sono resa conto di doverlo fare per forza, la storia ha inizio all'incirca a settembre/ottobre 2019 quindi per forza maggiore bisognava inserirlo. Piccola lezione di irlandese: mo dheartháir-> fratello mio e ci vediamo presto!
Niny :)

 

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Capitolo 12
*** 12 ***


Capitolo 12.  
 
Roger sospirò, afferrando il cellulare  e controllando per l’ennesima volta le offerte dei voli.  
Nulla.
 Negli ultimi tempi aveva controllato spesso, quasi ossessivamente, le varie offerte nella speranza di poter trovare un volo disponibile per poter tornare a Seattle, da Eloise. Non si era reso conto di quanto gli mancasse la moglie finché non era scattata l’emergenza COVID.  
«Tutto bene?» chiese Emma, non appena mise piede in stazione, guardando il cognato con curiosità.  
Una nuova nuvoletta di respiro fuoriuscì dalle labbra dell’uomo «È solo che … vorrei tornare da Eloise, in questa situazione così non oso immaginare cosa debba pensare. L’ho lasciata nelle mani di suo padre, e so che sono delle ottime mani ma …» fece un gesto vago con la mano.  
«Ma non sono le tue mani, e anche se gli affideresti la tua stessa vita, vorresti esserci tu al suo posto.» completò la cognata per lui.  
L’uomo annuì «Ma i voli continuano ad essere bloccati, impedendomi di tornare a casa.» disse, poi però cambiò discorso «E a te invece? Com’è la situazione con i tuoi genitori?» domandò.  
A questa domanda Emma sembrò voler sprofondare più di quanto fosse possibile sulla sedia «Beh, non posso negare che non stiano facendo il possibile, ma sono comunque passati anni. Troppi. E non sono davvero in grado di fidarmi totalmente, vorrei poterlo fare ma …  è difficile.»  
Roger sorrise comprensivo «Non posso dirti che posso capire, ma se hai bisogno di parlare io ci sono.» disse.  
Emma ricambiò il sorriso «Lo so, e te ne sono grata. E sta tranquillo, sono sicura che presto potrai tornare da tua moglie!»  
Roger annuì grato, stava per dire altro quanto l’ormai caratteristico ticchettio dei tacchi di Regina si fece sentire nella stazione. Quando la donna fece la sua comparsa «Qualche contatto con la National Gallery?» chiese. 
Roger si scambiò uno sguardo interrogativo con Emma che quindi scosse la testa «No, il telefono continua a suonare a vuoto. Credo che abbiano chiuso.»  
Regina sospirò «Dio, non ci voleva proprio! Spero che non abbiano davvero chiuso.» bofonchiò.  
Emma scosse le spalle «Non so che dirti. La situazione è complicata.» 
Regina annuì «Grazie comunque.» disse allontanandosi.  
 

 
Da quando Alice aveva discusso con Robyn, non riusciva proprio a smettere di pensare a ciò che era successo. Non che non si rendesse conto di essersi comportata da vera stronza, perché Dio se ne rendeva conto eccome. Ma credeva davvero che essere acida, allontanare Robyn e fingere che lei non contasse nulla fosse l’unico modo per non soffrire. Aveva notato che suo padre aveva iniziato a controllare i voli in modo quasi ossessivo e questo significava una cosa sola: Roger avrebbe voluto tornare a Seattle quanto prima. E ovviamente, lei avrebbe dovuto seguirlo. E se da un lato ne era felice perché sua madre le mancava davvero tantissimo, dall’altro significava lasciare Robyn e la sola idea le faceva venire la nausea. Per questo  aveva deciso di troncare ogni rapporto con lei, al più presto possibile, prima che i suoi sentimenti si intensificassero troppo: meno l’avesse frequentata più facile sarebbe stato andarsene e dimenticarla. O almeno questa era la teoria. In pratica invece … in pratica, a dover essere brutalmente onesta con se stessa, era già troppo tardi, perché, se ne rendeva conto forse solo ora, ma ogni volta che Robyn le sorrideva o le sfiorava la mano per sbaglio il suo cuore faceva un balzo e un intero sciame di farfalle faceva festa nel suo stomaco. Era quindi impossibile tornare indietro, non dopo aver capito quello che davvero provava per l’altra ragazza.  
 Sospirò, prima di prendere la decisione di chiamare Robyn, la ragazza rispose al primo squillo «Mi dispiace! Sono stata pessima, litigare con te è l’ultima cosa che avrei voluto.» disse non appena la chiamata fu accettata.  
 «Mi dispiace! Sono stata pessima, litigare con te è l’ultima volta che avrei voluto.» disse non appena la chiamata fu accettata.   
Robyn sospirò «Neanche a me piace litigare con te. Tengo davvero a te, Alice.» rispose, e a quelle parole il cuore di Alice perse l’ennesimo battito.   
Per un po’ l’unico suono fu quello dei loro respiri.   
«Anche io tengo a te. Pensavo davvero che troncare tutto fosse il solo modo per non soffrire non appena me ne dovrei andare. Ma non è possibile, immagino.»   
Robyn a quelle parole ridacchiò «Certo che no. Tu vorresti mettere un catenaccio alle tue emozioni, ma non è proprio possibile!» esclamò l’altra ragazza.   
  
 

 
 «Dobbiamo agire in fretta!» stava dicendo James camminando nervosamente su e giù lungo tutto il perimetro della stanza, rischiando quasi di scalfire il pavimento «Con l'emergenza Covid rischiamo di non fare in tempo. Dobbiamo agire in fretta!»
Ingrid sospirò «Dio santo! Smettila! Abbiamo ideato un piano fin nei minimi dettagli e dovremmo rispettarlo.» disse esasperata dal comportamento del marito.
«Sì e finora è stato molto utile, giusto? Sei almeno riuscita a cavare qualcosa ad Emma?» chiese James, la voce grondante di sarcasmo.
Ingrid suo malgrado scosse la testa sconfitta «No, solo qualche confidenza. Non parla molto del quadro, l'unica cosa che mi ha detto è che Regina le tiene in stretta sorveglianza.»
L'uomo fece un verso impaziente «Non siamo qui per le confidenze!» sbottò.
Ingrid a questa risposta si alzò dal letto, spazzolando le pieghe invisibili dai pantaloni bianchi, si avvicinò al marito, costringendolo a fermarsi, le massaggiò le spalle notando quando fossero tese «Dai, rilassati.» disse mordicchiando un orecchio al marito «Prometto che poi penseremo a un piano migliore!»
«Beh, se la metti così!» disse James girandosi tra le braccia della moglie e incontrando immediatamente le labbra della donna in un bacio bruciante, le loro lingue si scontrarono come ogni volta. L'uomo ghignò «Pensavo mi avresti aiutato a rilassarmi.»
Ingrid sorrise in risposta «Oh e intendo farlo!» disse iniziando a sbottonare la camicia del marito.

 
Henry dopo averci pensato su, era arrivato alla conclusione che forse Ivy non aveva tutti i torti e che magari avrebbe potuto davvero tentare di dichiararsi a Violet.
Scosse la testa, Dio in quei pensieri c'erano troppi se. Era solo che da quando spinto da Alice si era dichiarato a Violet, salvo poi scoprire di aver puntato la ragazza sbagliata, l'aveva preso come un segno dall'alto.
Smettila di fare il codardo!
«Volevi vedermi?» chiese Violet venendogli incontro, indicando il cellulare dove lampeggiava il messaggio che le aveva mandato qualche ora prima su Whatsapp.
Henry si sentì sudare, si asciugò i palmi sudaticci nei pantaloni, deglutì «Sì, ecco … io … vorrei parlarti.» la sua voce appariva così incerta che avrebbe voluto prendersi a sberle da solo.
Violet sorrise «Certo, andiamo da Granny's?» chiese. Lui annuì, onestamente non si  fidava della propria voce.
Erano arrivati al Granny's da una decina di minuti, stavano aspettando le loro cioccolate calde «Allora che dovevi dirmi?» chiese Violet.
Dritta al punto. Generalmente questa era una delle cose che gli piaceva di lei, in quel momento però gli metteva solamente più ansia addosso, sospirò «Sì, certo. Hai ragione. Io …» ma proprio in quel momento arrivarono le loro ordinazioni. Henry avrebbe voluto urlare, sembrava che l'universo avesse deciso di mettergli i bastoni tra le ruote ogni volta che trovava il coraggio. Bevve un lungo sorso della calda bevanda nella speranza che gli infondesse il coraggio necessario a dire quelle poche parole. Sospirò «Violet ecco … tu mi piaci molto e quindi mi chiedevo se magari, volessimo provare a … -»
«Oh Henry frena!» disse Violet bloccando la dichiarazione del ragazzo «Anche tu mi piaci molto, sei un bravissimo ragazzo ma temo che …» fece un gesto vago con la mano forse cercando le parole esatte per non ferire i sentimenti dell'amico.
Ma Henry non ne aveva bisogno, aveva capito perfettamente «Ma non provi le stesse cose.» concluse per lei, abbassando lo sguardo e provando a ignorare il bruciore che quelle parole gli procuravano.
La ragazza annuì «Mi dispiace. Ma spero che potremo restare amici.»
Henry si costrinse a sorridere «Certo che sì. Per chi mi hai preso?» disse.
 

 
«Quindi stiamo qui ad aspettare che Roger magicamente torni a casa?» chiese Helga, un sopracciglio inarcato guardando Eloise dritta negli occhi.  
Era da un po’ che non vedeva le proprie sorelle e non si aspettava che sarebbero arrivate proprio in quel momento. Sospirò «Ho fiducia in lui.»  
«Non lo mettiamo in dubbio, tesoro, ma sai un uomo ha bisogno del conforto di una donna.» disse Elsa «Voglio dire, al tuo posto io non sarei così tranquilla.»  
Eloise sussultò, possibile che stavano davvero insinuando quello? Scosse la testa, aveva sicuramente capito male «Roger mi ama davvero! Non vi permetterò di insinuare alcunché!» sbottò.  
«Ma certo, non lo mettiamo in dubbio, tesoro.» disse Helga con dolcezza, forse nella speranza di non far aumentare la collera di Eloise «Diciamo solo che magari dovresti andare a controllare che la situazione sia sotto controllo.»  
«Sì, infatti.» confermò Elsa «Sappiamo che vi sentite tutti i giorni, ma non è la stessa cosa.»  
Eloise voleva davvero fidarsi di Roger, ma quello che stavano dicevano le sorelle non era del tutto sbagliato. Un uomo aveva certi bisogni, poteva davvero biasimare il marito se li avesse cercati altrove? Sospirò «E come dovrei fare? È tutto bloccato per l’emergenza COVID.» le sue sorelle per tutta risposta la guardarono come se avesse dovuto capire da sola cosa fare. La donna annuì tra sé e sé, prendendo il proprio cellulare e iniziando a scandagliare le offerte dei voli.  
 

 
Era stato dichiarato il lockdown da meno di due giorni e a Henry la situazione era già insostenibile: dopo la friendzone feroce di Violet, stare a casa a piangersi addosso era l’ultima cosa che voleva ma non c’era molto che potesse fare.  
Alice gli si sedette accanto «Scommetto che Puffo Brontolone in questo momento è più allegro di te.» esordì.  
Suo malgrado Henry si ritrovò a sorridere «Immagino che vinceresti.»  
La ragazza lo guardò dritto negli occhi «Allora che succede? E non provare a dare la colpa al lockdown, so che non è solo quello il problema.»  
Henry sospirò, c’erano volte in cui non sopportava la perspicacia della cugina, ma vedendo il sincero interesse non poté far altro che parlare «Ivy mi ha convinto a dichiararmi a Violet. Beh l’ho fatto, non è andata affatto bene. Violet è stata molto carina nel rifiutarmi, e forse non dovrei sentirmi un totale idiota. Però, mi ci sento lo stesso.»  
Alice annuì «Un rifiuto è pur sempre un rifiuto, è normale che faccia male.» disse d’accordo, poi inarcò un sopracciglio «Piuttosto: Ivy, eh? Ultimamente passate molto tempo insieme.»  
«Beh sì.» confermò «Siamo diventati amici. Ti dispiace? So di averti un po’ escluso.»  
Alice scosse la testa «Non scherzare, non è che io sia stata da meno.»  
Henry sorrise «Già, perché eri troppo occupata a passare tutto il tuo tempo con Robyn!» la punzecchiò «Dì un po’: mica lei ti piace?»  
Alice non mostrava mai quello che pensava, quindi il ragazzo fu stupito di sentirle rispondere un flebile «Puoi dirlo forte.»  
Henry sorrise entusiasta «Davvero? Glielo hai detto?» chiese, il pensiero del suo rifiuto presto dimenticato.  
Lei scosse la testa «Non posso. Presto me ne andrò. Come posso sperare di intrecciare una qualunque relazione con chiunque?» chiese.  
Il ragazzo scosse la testa incredulo, diceva sul serio? Con l’avvento di Facebook, WhatsApp e compagni bella aveva davvero paura di intrecciare una relazione a distanza? «Ma non vedo il problema! Ci sono tanti modi per restare in contatto adesso!»  
Alice annuì «Lo so, lo so. Ma suppongo che una parte di me ne abbia paura.»  
Henry non rispose, si limito a sorridere alla cugina e a stringerla in un abbraccio, sperando che questo bastasse.  
 

 
Hope sembrava essere l’unica a non soffrire lo stare chiusa in casa: Henry sbuffava continuamente, Alice aveva perennemente lo sguardo scocciato, Emma e Roger erano gli unici che, in qualche modo, continuavano il proprio lavoro. La bambina però, era l’unica ad avere sempre lo sguardo acceso, pronta a tirar fuori quel gioco o quell’altro. Killian sorrise, accarezzando i morbidi capelli biondi della figlioletta che a quel gesto si girò lasciando per un attimo la presa alla Barbie che aveva tra le mani «Papino?» chiese reclamando l’attenzione del padre «Sei preoccupato per mamma?»  
Killian si sorprese come ogni volta della capacità di sua figlia di leggergli dentro. Si dipinse un sorriso che sperò, fosse, confortante «La mamma sa badare a se stessa.»  
Hope annuì «Bene, giochiamo adesso?» disse passandogli Ken con un sorriso.  
Killian accettò volentieri il bambolotto, scosse la testa con un sorriso, chi l’avrebbe mai detto che sarebbe finito col farsi comandare a bacchetta da una bambina?  
 

 
Era stata una settimana infernale per Emma, tra l’incertezza del quadro e l’annuncio del lockdown il lavoro era triplicato, per non parlare di tutta la situazione con i suoi genitori. L’unica consolazione era stata tornare a casa e trovare Killian che da uomo perfetto, quale si dimostrava di essere ogni giorno di più, le aveva preparato un bagno caldo «Ho pensato che potesse aiutarti a rilassarti.» aveva detto con un sorriso dolce.  
Emma non aveva resistito a stuzzicare il marito «Mi sorprende che non mi suggerisci di unirti a me.»  
Killian aveva fatto un sorriso sghembo, la sua voce traboccava di malizia malcelata «Beh, se può aiutarti a rilassare chi sono io per rifiutare? Lo sai, tesoro. Sono a tua completa disposizione!»  
Emma a quel punto era scoppiata a ridere. Era questo che amava di Killian, il fatto che dopo una giornata infernale le bastava tornare a casa, per trovare suo marito che con i suoi gesti romantici, le sue battutine maliziose e i suoi sorrisi sghembi le faceva dimenticare tutto il resto «Beh non mi dispiacerebbe uno dei tuoi massaggi!» il sorriso del marito a quelle parole si era ampliato. 
Neanche a dirlo il bagno l’aveva davvero aiutata a rilassarsi, l’acqua calda aveva sciolto i nervi, e i suoi muscoli doloranti ne erano stati grati, e le mani morbide di Killian sulla sua pelle nuda avevano aiutato ulteriormente la donna a rilassarsi.   
Una volta arrivata al letto era talmente stanca che si era addormentata non appena la sua testa aveva toccato il cuscino. E aveva dormito serenamente per diverse ore, finché non si era svegliata per il suono incessante del telefono, aveva buttato un occhiata all’orologio, l’una.  
Chi diamine chiamava all’una di notte?  
«Pronto?» rispose, la voce ancora impastata dal sonno.  
«Sceriffo Swan?» la voce dell’interfono sembrava tesa, quasi spaventata «Qualcuno si è introdotto al museo.»  
 
 Note: Vi sono mancata?! Scherzi a parte è stato un periodo in cui ho scritto mille cose autoconclusive accantonando le long, ma sembra che al momento ne sia uscita, tra l'altro con la scaletta sono arrivata pure alla fine quindi dovrei andare più spedita.
Ma beh parliamo del capitolo: succedono un bel pò di cose! Alice che ammette a se stessa e a Henry quello che prova per Robyn, Henry che viene friendzonato, le sorelle di Eloise che le mettono il pallino in testa e qualcuno si è introdotto al museo! Che ne pensate? Spero che finora vi stia piacendo! <3
A presto,
Niny :)

 

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Capitolo 13
*** 13 ***


Capitolo 13
 
James e Ingrid ne avevano parlato a lungo ed erano arrivati alla conclusione che quello era proprio il momento più propizio. Le pattuglie erano impegnate a fare sì che il coprifuoco venisse rispettato e loro potevano davvero agire indisturbati. 
Se doveva essere del tutto onesta, a Ingrid un po’ dispiaceva aver usato Emma in quel modo, la donna era veramente in gamba e se si fossero conosciute in occasioni diverse sarebbero andate sicuramente d'accordo. Fece spallucce, d'altronde com'è che si diceva? Il fine giustifica i mezzi, vero? 
«È ora di andare.» disse James dandole una lieve gomitata e sistemandosi il passamontagna sui corti capelli biondi. 
Ingrid annuì, scendendo dall'auto con passi incerti, calandosi nella parte. 
Non appena arrivò all'ingresso del museo gettò un’occhiata  al vigilante, un normale uomo di mezza età: grassoccio, capelli brizzolati, gettava di continuo occhiate ansiose all'orologio che portava al polso, forse per far sì che il suo turno finisse più in fretta.  
Ingrid tossì richiamando l'attenzione dell'uomo, Omar, stando alla targhetta che portava attaccata alla camicia «Mi scusi.» disse calcando maggiormente il suo accento «Sa indicarmi la strada per il Granny's?» mosse le mani velocemente «Ho perso la cognizione del tempo e adesso non riesco proprio a trovare la strada.» 
Omar si passò una mano tra i capelli imbarazzato «Sì,  certo.» disse ma proprio in quel momento, James, che come da piano doveva già aver disattivato gli allarmi, arrivò da dietro colpendo il vigilante con un pugno.  
«Oh è stato più facile del previsto!» commentò James notando come l'uomo aveva velocemente perso conoscenza «Il poveretto non era un granché, eh?» 
Ingrid scosse la testa indossando il proprio passamontagna, a suo modesto parere quel capo era un vero omicida di stile «Andiamo dai.» disse al marito. 
Avevano appena sostituito il quadro, quando iniziarono a sentirsi le sirene spianate delle pattuglie «Appena in tempo!» commentò James «Veloce, andiamo!»  
Ingrid si guardò intorno un’ultima volta prima di seguire velocemente il marito. 

Appena aveva ricevuto la chiamata, Emma si era alzata più in fretta possibile per raggiungere il museo.
Ma doveva essere stata più irrequieta del previsto, perché, con un mugugno, Killian aveva annunciato il suo risveglio «Che succede?» aveva chiesto poi, stropicciandosi gli occhi nel tentativo di scacciare via il sonno.
«Mi dispiace, non volevo svegliarti.» si era scusata sua moglie, concentrata ad allacciarsi le scarpe. «Qualcuno si è introdotto al museo. Devo andare a controllare. Non preoccuparti, non sarà niente, torna pure a dormire.»
«Chiama Roger.» biascicò Killian mal celando uno sbadiglio «Mi sentirei più tranquillo sapendo che mio fratello è al tuo fianco.» aggiunse mettendo a tacere qualunque protesta della donna.
Emma nonostante tutto sorrise lievemente, era bello vedere che  finalmente suo marito era riuscito a costruire un rapporto col proprio gemello.
Mentre Roger si preparava, Emma aveva prontamente chiamato una pattuglia.
 «Eh insomma, tra COVID e i miei genitori che si fanno vivi dopo anni, stava andando tutto troppo liscio, giusto?» aveva sbottato, stringendo quasi convulsamente il volante del proprio Maggiolino.
«Onestamente, non so perché, ma in cuor mio temevo potesse succedere una cosa del genere.» rispose Roger.
Emma represse la voglia di accasciarsi drammaticamente sul volante facendo suonare il clacson «Anche io.» sospirò «Non so, ho l'impressione che nell'ultimo periodo il destino non voglia saperne di renderci la vita facile.»
Il cognato, per tutta risposta, le aveva dato una pacca confortante alla spalla.
Quando arrivarono al museo, una pattuglia era già lì presente insieme a … Regina.
«Regina, non mi aspettavo di trovarti qui.» la salutò Emma inarcando un sopracciglio appena la vide.
«Avrei licenziato chiunque non mi avesse avvertito all'istante.» rispose la donna poi rivolgendo lo sguardo a un agente che si era appena avvicinato chiese «Scoperto qualcosa?»
L'agente fece spallucce «Sembra tutto invariato, sindaco Mills.» abbassò lo sguardo forse nella speranza di non incorrere nella collera della donna «Il quadro non sembra essere stato spostato.»
Regina gettò fuori una nuvoletta di respiro, che evidentemente non si era resa conto di star trattenendo «Bene, allora. Per il momento è tutto: è tardi e siamo stanchi, torniamo pure a casa. Ci aggiorniamo domani.»
«Questo è molto strano.» borbottò Emma una volta rientrata in macchina «Che senso ha fare irruzione in un museo per non prendere nulla?»
Roger annuì, d'accordo «È vero, ma Regina ha ragione. Siamo stanchi ci penseremo domani, o più tardi che dir si voglia.»
Emma non era certa che sarebbe riuscita ad addormentarsi con tutti quei pensieri che le frullavano in testa, ciononostante annuì.  
  

 
Era passata una settimana e la notizia del tentato furto si era diffusa a macchia d'olio, Sydney non aveva perso tempo a schiaffarla in prima pagina, come l'avesse saputo poi rimaneva un mistero. A volte Emma si domandava se l'uomo non avesse spie sparse un po’ dappertutto.
Emma erano giorni che guardava e riguardava i video di sorveglianza nella speranza di poter trovare il colpevole ma senza risultato, almeno al momento. Lo sceriffo inizialmente aveva scaricato la colpa ai propri genitori «Riflettici: sono arrivati giusto qualche giorno dopo l'arrivo del quadro.» aveva detto, per poi aggiungere «Sempre che siano davvero i miei genitori.»
Roger a sentire quelle parole aveva inarcato un sopracciglio «Emma rifletti, però! Non puoi incolparli solo perché sono nuovi in città, anche io lo sono!» Emma avrebbe voluto rispondere a tono, dire qualcosa, qualsiasi cosa per avvalorare la sua tesi, poi però era arrivata alla conclusione che a parlare era solamente il suo senso dell'abbandono, così aveva annuito distrattamente.
Il ticchettio caratteristico di Regina la distrasse dai suoi pensieri, a giudicare dai passi affrettati la donna doveva essere davvero in collera. Cosa che venne confermata pochi secondi dopo «Non rispondono  per giorni, ma appena succede un imprevisto ecco che si fanno sentire subito!» sbottò infatti.
Emma si scambiò uno sguardo dubbioso con Roger «Regina … che succede?» domandò poi squadrando il sindaco, quasi come cercando la risposta alla propria domanda.
Regina si sedette nella sedia lasciando andare un sospiro «Mi hanno chiamato quelli della National Gallery, pare che abbiano saputo del tentato furto.»
Emma inarcò un sopracciglio «E …? Cosa dicono?»
Il sindaco fece spallucce «Pare che presto manderanno un esperto a controllare che sia tutto regolare.»
«C'era da aspettarselo.» commentò Roger.
Regina lasciò andare un ennesimo sospiro «Qui invece come va? Ci sono novità?»
Emma scosse la testa tristemente.

   Eloise sbuffò, erano giorni che controllava ossessivamente i siti delle varie compagnie aeree, nella speranza di trovare disponibile qualche volo per poter raggiungere Roger, ma nulla. I voli continuavano ad essere bloccati.
Avrebbe potuto ricorrere a treni e autobus, ma mal sopportava la mascherina, l'avrebbe sopportata volentieri per qualche ora ma l'aereo impiegava meno tempo del treno o del bus.
«Secondo me dovresti ponderare l'idea di prendere la macchina di papà.» bofonchiò Helga sedendole accanto.
Eloise scosse fermamente la testa «Non posso fare una cosa del genere!»
«Ti stiamo solo dicendo di guardare il quadro più ampio della situazione.» aggiunse a quel punto Elsa, prendendo posto sul divano, al lato opposto rispetto alla sorella.
Eloise scosse nuovamente la testa «No, no, no! Deve esserci un altro modo! Ne sono sicura.»
«Eloise?» suo padre alzò gli occhi dal giornale riservandole un'occhiata interrogativa «Con chi stai parlando?»
Eloise si guardò intorno in cerca di risposta, le sue sorelle erano di colpo sparite.
«Con nessuno.» rispose flemmaticamente, non poteva certo dire che vedeva le sue sorelle. No, suo padre non avrebbe di certo capito, anzi probabilmente l'avrebbe rinchiusa da qualche parte e non era proprio il caso.
Suo padre annuì, chiudendo il giornale e appoggiandolo sul  tavolo «Capisco, che questa situazione può essere un po’ stressante.» disse alzandosi dalla propria poltrona per sedersi sul divano accanto a Eloise «Ma dobbiamo avere pazienza, solo così ne usciremo presto.»
La donna annuì «Spero tu abbia ragione.» bofonchiò poi.
 

 
«Ancora quel muso lungo?» domandò quel giorno Ivy prendendo posto accanto a Henry «Lo so, ti ha rifiutato. Ma non ti sembra come se avessi tolto un peso dallo stomaco? Okay ci stai male ma almeno sai che a lei non ti interessa.» il ragazzo infatti, da quando era stato rifiutato era spesso con la testa tra le nuvole.
Doveva ammettere che Ivy aveva ragione, si girò verso la nuova amica «Tu che faresti?» 
La ragazza fece spallucce «Mi butterei tutto alle spalle e andrei avanti.» sorrise «Abbiamo solo quindici anni, se ci facciamo abbattere da un rifiuto non viviamo più!»
Henry annuì, Ivy aveva proprio ragione la sua vita non era finita mica! «Hai ragione. Scusami, immagino di non essere stato un buon amico, in questi ultimi giorni.»
La ragazza fece un gesto di noncuranza liquidando la questione come se nulla fosse «Ho saputo del quadro. Deve essere un casino lì a casa tua.» aggiunse poi cambiando abilmente argomento.
Il ragazzo fece spallucce «A casa mia è un casino già da un po’ : mio zio Roger traffica spesso col cellulare controllando le compagnie aeree, Alice borbotta per qualunque cosa sia successa con Robyn e probabilmente perché sa di doversene andare, mamma … a lei ultimamente è successo di tutto, ha rivisto mio padre dopo anni, i suoi genitori si sono fatti vivi soltanto adesso e per finire la batosta del quadro. L'unica a cui sembra non importare tutto questo è Hope!»
Ivy ridacchiò, forse nel tentativo di smorzare un po’ l'umore del ragazzo «Beh immagino! È una bambina, la sua unica preoccupazione è finire i compiti in tempo per poter tornare a giocare. Non la invidi un po’ ?»
Henry sorrise di rimando «Sì, un po’ sì.»

«Ancora non risponde.» disse James girando in tondo nella stanza «Che senso ha avere un cellulare se non lo si usa?» sbottò.
Ingrid sospirò «In un'altra occasione ti avrei detto che stavi esagerando e di rilassarti.» la donna si passò distrattamente una mano tra i capelli «Ma hai ragione, Emma raccontava che la National Gallery verrà presto a indagare.»
James si sedette sul letto accanto alla moglie, provando a placare un po’ la sua irrequietezza «Non possiamo proprio permetterci di star qua quando scopriranno che è un falso.» sospirò «E con lui che non risponde e il coprifuoco che non ci permette di lasciare facilmente la città …»
Ingrid sorrise comprensiva «Lo so, è frustrante.»  disse mettendo la mano sotto il mento dell'uomo e costringendolo a guardarla «Ma almeno siamo in questo insieme.» lui annuì, e lentamente le labbra dei due coniugi si incontrarono in un bacio bruciante, le loro labbra danzavano lentamente , quando si separarono avevano entrambi il fiato corto. Poi James ghignò, baciando languidamente il collo della moglie «Una distrazione mi farebbe comodo.»
Ingrid scosse la testa, iniziando però, a slacciare la camicia del marito.
 
Note: Dunque sarò veloce, veloce!
Stiamo arrivando alal parte clou che progetto da tempo, e sono proprio contenta! Ci tengo molto a completare questa long <3
Come sospettavate Ingrid e James sono proprio interessati al quadro, non sono brava a mantenere il mistero mi sa ahah
E niente, a prestissimo <3
Niny 

  
   
 
  
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** 14 ***


Capitolo 14
 
Alice era stravaccata svogliatamente sul divano, dopo la litigata avvenuta qualche tempo prima con Robyn la ragazza era spesso triste. Nonostante fossero arrivate a una sorta di tregua Alice si chiedeva se con le sue parole non avesse incrinato il loro rapporto — qualunque esso fosse —
Era talmente persa  nei suoi pensieri che il suono del campanello la fece sobbalzare; scambiò un'occhiata con Henry «Aspetti qualcuno?» chiese.
Lui scosse la testa «No. Magari cercano te!»
Alice inarcò un sopracciglio «Chi vuoi che mi cerchi? Non ho poi così tanti amici qui!» esclamò allargando le braccia.
«Beh andiamo a vedere!» disse Henry alzandosi dal divano e dirigendosi alla porta, Alice gli trotterellò dietro e quasi boccheggiò quando vide Robyn sull'uscio della porta «Vedi? Che ti avevo detto?» commentò Henry dileguandosi velocemente. Alice fece per dire qualcosa, qualunque cosa ma dalla sua bocca non uscì nulla.
Per fortuna prese parola Robyn «Allora … abbiamo intenzione di restare qui o possiamo andare a parlare da qualche altra parte?»
Alice aprì la bocca senza emettere alcun suono, la richiuse, scosse la testa «Certo … scusa» disse infine dirigendosi verso la sua stanza.
Quando Alice chiuse la porta dietro sé, Robyn si sedette sul letto prima di prendere parola «Mi dispiace di essere venuta senza il minimo preavviso ma … -»  tuttavia qualunque altra parola fu fermata da Alice, che liquidò con un gesto vago della mano la prima parte del discorso, prima di prendere posto anche lei sul letto, pur con la dovuta distanza «Sono io che mi devo scusare. Mi sono comportata male: stavamo costruendo un bel rapporto — credo — ma ho mandato tutto alla malora per colpa delle mie stupide pare, delle mie paure» sospirò «Mi piace stare qui, mi piace la tua compagnia, ma so che non resteremo, non senza la mamma e nemmeno lo vorrei. Ma avevi ragione, solo perché tornerò a Seattle non vuol dire che noi dovremo perderci, non per forza e … in breve mi dispiace!»
«Cavolo Alice!» ridacchiò Robyn «Mi ero preparata tutto un discorso fichissimo in cui ti avrei detto tutto quello che provo, ma poi tu hai parlato e il mio discorso ha perso valore!» si avvicinò azzerando la distanza che le divideva «Allora dirò solo questo: Alice anche a me piace la tua compagnia, mi piaci tu! Non so dirti esattamente quello che provo ma … -» le mise una mano fresca sulla guancia «- … sono felice quando sono con te» e dicendo questo le sue labbra incontrarono quelle di Alice, le labbra di Robyn erano fresche e sapevano di menta e Alice dopo un momento di confusione si ritrovò ad appoggiarsi a quel bacio. Tuttavia poco dopo Robyn si scostò, arrossendo furiosamente «Scusa! Questo non era previsto, io …» scosse la testa forse nel tentativo di mettere a fuoco le parole successive.
Alice sorrise «Non mi è dispiaciuto!» esclamò prendendo lei stessa l'iniziativa di baciarla, e Dio Alice avrebbe potuto abituarsi al sapore di quelle labbra.
  

 
Quando quel giorno Emma si era svegliata e preparata per incontrare l'esperto della National Gallery, sperava che avrebbe portato finalmente delle buone notizie, ma così non sembrava considerando il cipiglio dell'uomo. Si era presentato come Joel Smith, aveva un impeccabile completo che sembrava essergli stato cucito addosso, profondi occhi azzurri e corti capelli biondi. Emma doveva ammettere che era chiaramente un bell'uomo, però in quel momento la sua attenzione non era certo concentrata sul suo bel faccino — figuriamoci, era una donna sposata lei! — ma sull'esito di qualunque controllo stesse facendo. 
Alla fine, si voltò verso di lei, si spazzolò gli invisibili granelli di polvere e disse: «Questo è chiaramente un falso.» 
A quelle parole Emma quasi boccheggiò, Dio Regina l'avrebbe come minimo uccisa! «Co… cosa? Ne è davvero sicuro?»  
L’uomo annuì, le fece cenno di avvicinarsi «I colori sono troppo vividi e guardi» indicò il quadro «È praticamente immacolato, sembra sia stato fatto ieri ma stiamo pur sempre parlando di un quadro di duecento anni fa che per quanto sia conservato bene qualche segno di usura deve pur avere» 
Emma annuì brevemente, pur capendo molto poco di quello che l’uomo aveva cercato di spiegarle, sospirò «Farò il possibile per trovarlo, avremmo dovuto stare più attenti. Mi dispiace molto …»  
Ma Joel scosse la testa «Purtroppo è una cosa che per forza maggiore dobbiamo mettere in conto quando diamo in prestito i quadri, molti trafficanti d'arte non aspettano che questi momenti per agire. Speriamo solo che il Van Gogh possa ritornare al sicuro quanto prima!»  
«Farò il possibile» ripeté Emma e lo intendeva davvero, una parte di sé se ne riteneva responsabile. Se solo avesse fatto di più … se fosse stata più attenta, ma non era proprio il momento di perdersi in ipotetici sé.  
Quando dopo aver salutato Joel, Emma finalmente poté tornare in stazione, la prima cosa che fece fu buttarsi a peso morto sulla poltrona girevole, non perdendo tempo e accendendo il computer. 
Roger, che era rimasto alla stazione in assenza di Emma, notando lo stato d'animo della donna chiese: «Immagino che il controllo non sia andato bene?»  
Emma per tutta risposta picchiettò velocemente sulla scrivania, aspettando che l'applicazione delle telecamere di sorveglianza si aprisse. 
«Sarà la centesima volta che guardi quei filmati! Cosa vuoi che sia cambiato nel frattempo?» chiese il cognato, arrivandole alle spalle. 
«Magari non ho attenzionato qualcosa … non so … devo fare qualcosa» Emma gemette sconsolata. 
«Sì ma … sono passati tre giorni, pensi davvero che non l'abbiano già venduto?» Emma stava per rispondere quando Roger continuò «È un quadro famoso, famosissimo pensi davvero che i giornali non vorranno avere l'esclusiva sul furto di un quadro così famoso?»  
Emma boccheggiò presa alla sprovvista «Intendi …?» lasciò in sospeso la frase. 
«Tieni d'occhio internet, qualcosa verrà sicuramente fuori!» suggerì l'uomo con un sorriso confortante. 
Emma ricambiò leggermente il sorriso «Grazie» disse infine «A te com’è andata? È successo qualcosa degno di nota mentre non c’ero?» chiese poi cambiando discorso.  
Roger annuì «Ha chiamato Regina, voleva sapere se c’erano novità» rispose.  
Emma sospirò «Certo, ovviamente vorrà sapere tutto, le chiamerò appena possibile. Altro?»  
«Solo l’ennesima chiamata della signora Clarke, il suo gatto è di nuovo salito su un albero.»  
Emma sorrise «Sei stato il suo supereroe in armatura splendente?» scherzò, la signora Clarke era infatti una simpatica vecchietta, che chiamava, a volte, anche più volte al giorno perché Matisse, il suo gatto, aveva la pessima abitudine di salire su un albero senza poi riuscire a scendere.  
Roger sorrise in risposta «Ovviamente.»  
Emma annuì tornando a concentrare la sua attenzione al computer «Bene, visto che al resto stai pensando tu io torno a concentrarmi qui: voglio concludere questo caso quanto prima» disse infine con un sospiro.  

 
Henry quel giorno era arrivato in ritardo in classe, ma non aveva potuto fare altrimenti: Hope lo aveva bloccato prima che uscisse, chiedendogli di accompagnarla a scuola. Lui aveva provato a farle capire che quel giorno non era proprio il caso, ma la bambina non aveva voluto sentire ragioni. Alla fine, aveva deciso di assecondarla: in fondo l' Elementary School non distava poi così tanto dall'High School, sarebbe arrivato in classe al limite, probabilmente, ma per una volta si sarebbe potuto fare. Giunti a destinazione, però, la bambina lo aveva trattenuto, alla ricerca di abbracci e baci, facendolo sentire in colpa: sapeva di aver un po’ trascurato la sorellina in quell'ultimo periodo quindi un comportamento del genere era assolutamente comprensibile. Si ripromise di rimediare alla prima occasione disponibile, magari quel pomeriggio stesso o il successivo. Sospirò sollevato vedendo di essere arrivato prima dell'insegnante, prendendo posto accanto a Ivy «Ehilà, straniero!» lo salutò quest'ultima. 
Lui alzò una mano in segno di saluto «Mrs Jameson è già arrivata?»  
Ivy scosse la testa «Non ancora. Sei fortunato!» inarcò un sopracciglio «Cos'è successo stavolta? Un altro incontro con Violet?» a Henry non sfuggì il tono acido della ragazza, tuttavia, fece finta di niente «No, nient'affatto. Hope ha voluto che fossi io ad accompagnarla, è stata dura separarci.» ma Ivy non ebbe il tempo di continuare la discussione, perché Mrs Jameson era appena entrata in classe «Più tardi possiamo parlare? Dovrei dirti una cosa» disse poi Ivy prendendo i libri di letteratura, non incontrando il suo sguardo. Henry si chiese di cosa mai dovesse parlargli Ivy da renderla chiaramente così ansiosa, tuttavia annuì semplicemente. 
Quando tutte le lezioni finirono, Henry si rivolse a Ivy «Quindi … andiamo al Granny's?» chiese, lei si limitò ad annuire. 
«Cosa … cosa devi chiedermi di così importante?» chiese Henry strada facendo, il silenzio divenuto quasi assordante. 
«Te lo dirò tra poco» rispose lei indicando l'entrata del Granny's. Henry sospirò, entrando. Ordinarono entrambi una cioccolata calda e mentre attendevano i loro ordini il ragazzo tamburellava una mano velocemente sul tavolo. 
«Allora» «Quindi» le voci dei due ragazzi si accavallarono, Henry ridacchiò «Vai, ti stavo per l'appunto chiedendo cosa volessi dirmi»  
Ivy annuì, arrossì leggermente, Henry si chiese per l'ennesima volta cosa mai dovesse chiedergli da farle assumere quello strano comportamento ma non disse nulla lasciando che l'altra ragazza iniziasse. Ivy sospirò e poi iniziò il suo discorso «So che il rifiuto di Violet deve averti turbato molto ma … mi chiedevo: ti sei reso conto di come il nostro rapporto sta man mano mutando?» Henry inarcò un sopracciglio confuso ma non disse nulla «Non posso parlare per te, ma … io sento che la nostra non è più una semplice amicizia» 
«Sono molto lusingato ma …» Henry sospirò «Hai ragione, il rifiuto per Violet mi ha molto turbato e … onestamente sono molto confuso ma … non voglio darti un due di picchè senza prima aver messo davvero a fuoco quello che penso. Hai ragione, il nostro rapporto non può definirsi solo amicizia ma ho davvero bisogno di capire.» 
Ivy annuì d'accordo «Certo, lo immaginavo. Spero solo che non mi farai invecchiare qui.»  

 Quando Roger tornò a casa quella sera, il suo umore non era esattamente sereno. La mancanza di Eloise si faceva sentire ogni giorno di più, inoltre, avendo un ruolo provvisorio, non poteva occuparsi più di tanto del caso del quadro e la giornata era stata piuttosto tranquilla; quindi, non aveva nemmeno potuto sobbarcarsi di lavoro per non pensarci.  
Sospirò, mentre metteva nella toppa la chiave che gli aveva dato Emma.  
Entrando la prima cosa che sentì furono le risatine di Killian e Hope. 
«Emma è rimasta in stazione, vuole vedere se riesce a trovare qualcosa» disse rispondendo alla muta domanda di Killian. 
Il gemello annuì «Quel quadro la sta proprio facendo dannare! Spero che si prenda una pausa anche solo per cenare» sospirò, poi forse accorgendosi dell'umore del fratello, gli fece spazio sul divano dicendo «Tu stai bene?» 
Roger per tutta risposta si afflosciò sul divano, mettendo ben in evidenza il suo stato d'animo «Niente di nuovo» fece spallucce «lo sai, non avevo intenzione di lasciare Eloise per tutto questo tempo, doveva essere questione di poche settimane massimo un mese, avevo bisogno di rimettermi a posto e vorrei … vorrei tornare da lei ma non posso. Non oso immaginare come debba sentirsi sola e abbandonata e non so davvero cosa fare.» 
Killian annuì «Sai bene che non ho mai avuto una grossa opinione di Eloise e magari quello che sto per dire può essere una totale assurdità ma …» fece spallucce «hai pensato a una videochiamata su Skype? Magari potrebbe essere un'alternativa per farvi stare meglio entrambi.» 
Roger inarcò un sopracciglio, doveva ammettere che era stato talmente orientato sul voler tornare a Seattle che non ci aveva minimamente pensato, fu quello che disse infatti «No, io … ammetto di essermi talmente orientato sul voler tornare a casa dal non aver preso in considerazione nient'altro» 
Killian per tutta risposta gli sorrise confortante, ma qualunque cosa il fratello stesse dicendo fu bloccata da Hope, che evidentemente, stanca delle chiacchiere dei due adulti, porse la bambola che aveva in mano al padre «Papino … -» reclamò l'attenzione «- … giochiamo?»  
Roger sorrise alla nipotina «Vuoi giocare anche con me?» chiese, poi vedendo l'occhiata interrogativa del fratello mimò «Lo farò dopo.» 

Eloise sospirò, poco prima aveva ricevuto una videochiamata da Roger e questo aveva fatto sì che la sua decisione di raggiungere Storybrooke fosse ancora più ferma. 
«Pensaci, Eloise!» aveva esclamato Helga «Ti ha chiamata per rassicurarti, per far sì che tu non esca fuori di testa.» 
«Sì, esatto!» aveva annuito Elsa d'accordo «Ti tiene buona in modo che lui possa far un po’ quello che vuole.» 
E una parte di lei non voleva crederci, Roger era un uomo buono, non avrebbe mai agito in maniera così meschina. Ma c'era anche una piccola parte di sé che credeva che invece Roger avrebbe potuto farlo eccome, del resto l'aveva già separata da Alice, no? Sospirò nuovamente, non le restava altro da fare che raggiungere Storybrooke al più presto e riprendersi la sua famiglia, con le buone o con le cattive. Ma come fare? «Te l'ho detto» riprese dopo poco Helga «il modo più veloce per raggiungere Storybrooke è prendere l'auto di papà.»  
«Non posso fargli questo!» sbottò Eloise in collera, possibile che non se ne rendessero conto?  
Elsa le si avvicinò ulteriormente, mettendole un braccio tra le spalle «Lo so che non vorresti ferire papà — nessuno di noi vorrebbe! — ma Helga ha ragione.» disse dolcemente «Pensaci: innanzitutto sarebbe sicuramente più veloce di prendere il treno o il bus, visto che i voli sono ancora bloccati, e poi non dovresti avere neanche troppe rogne riguardo al coprifuoco e robe simili.»  
Eloise ce la mise tutta per non assecondare le idee malsane delle proprie sorelle, ma doveva ammettere che le loro argomentazioni erano davvero valide e alla fine, suo malgrado, la sua fermezza vacillò. 

 «Che succede?» chiese Alice quel giorno osservando il cugino gettarsi a peso morto sul divano, sembrava come se, negli ultimi due giorni, un grave peso gli fosse piombato sulle spalle «E non negare! Sembra come se negli ultimi due giorni reggessi il peso del mondo sulle spalle!» continuò poi, non lasciando via di fuga al ragazzo. 
«Beh qualcosa del genere!» gemette frustrato «Ivy mi si è confessata, non le ho ancora dato risposta, le ho detto che ci avrei pensato … ma il punto è proprio questo! Io non so cosa fare!» 
Alice inarcò un sopracciglio «Ivy … sarebbe Violet 2.0, vero?» chiese poi. 
Henry annuì «Smetterai mai di chiamarla così?» chiese. 
La ragazza ghignò, fece spallucce liquidando la questione «Lei … ti piace?» chiese infine. 
Henry gemette nuovamente «Non lo so» disse coprendosi il viso con entrambe le mani «Mi piace stare con lei, ma tutto questo è talmente nuovo che non so se si tratta di semplice amicizia o di altro» in un'altra occasione, probabilmente, Alice avrebbe preso in giro il ragazzo, ma ci era passata lei stessa con Robyn; quindi, era proprio l'ultima persona che poteva permettersi una presa in giro «Hai pensato che potresti dirle esattamente questo? Voglio dire, siamo ragazzini alla prima cotta, ci sta che non abbiamo ancora tutte le risposte in tasca. Non credo che Ivy si offenderà»  
Henry annuì d'accordo «Hai ragione. Proverò a dire le stesse cose anche a lei, spero vada bene.» sorrise grato «A te, invece, come va? Sono giorni che sembri indecisa se metterti a saltare dalla gioia o rinchiuderti in camera a piangere!» 
Alice a quella domanda arrossì vistosamente «Non è assolutamente vero!» esclamò, ma vedendo l'occhiata che il ragazzo le lanciò decise di sputare il rospo, del resto parlare non poteva farle male e, anzi, magari l'avrebbe pure aiutata a schiarirsi la mente. Sospirò.  
«Robyn mi ha baciato!» sputò poi tutto d'un fiato. 
Henry inarcò un sopracciglio incredulo, boccheggiò lievemente sorpreso «Ed è un male? Pensavo ti piacesse!»  
«È così infatti!» sbottò Alice «Ma … lo sai, io sono qui provvisoriamente, e nonostante lei stessa abbia detto che non è un problema non riesco a non pensare a come potremo farlo funzionare» insomma possibile che non capisse?! 
«Devi smetterla di fossilizzarti su questo!» la redarguì Henry «Non ti dirò che sarà semplice, ma questo non vuol dire che se vi impegnerete non potete far funzionare le cose!» 
Alice annuì, dopotutto Henry aveva ragione, perché rovinare tutto prima del tempo? «Hai ragione» disse infine «Prometto che ci proverò.» 

 Ingrid sospirò grata, il giorno prima Nick, il committente a cui avrebbero dovuto vendere il Van Gogh, si era degnato di farsi vivo e di dar loro appuntamento per l'indomani. Finalmente potevano chiudere quella storia senza correre troppi rischi. Oltretutto Emma aveva pure già scoperto che il quadro era un falso, la donna era davvero sveglia, sarebbe stato questione di tempo prima che scoprisse tutto, restare a Storybrooke col vero Van Gogh era oltremodo rischioso. Anzi, restare a Storybrooke, dopo tutto il putiferio che quel quadro aveva generato era un azzardo che, onestamente, Ingrid non desiderava correre. 
«Eccolo!» James la scosse dai suoi pensieri indicando Nick. 
Scesero entrambi dall'auto, Ingrid sentiva come se si stesse liberando di un peso. 
«Ce ne hai messo di tempo!» l'apostrofò la donna non appena scese dall'auto. Nick per tutta risposta si passò una mano tra i capelli imbarazzato «Lo so» sospirò «Ma non è facile fare il nostro lavoro con tutti questi controlli» 
James annuì «Possiamo immaginare!» disse. 
La vendita fu piuttosto veloce, e Ingrid non avrebbe preferito niente di diverso. 
James sorrise entrando in macchina, indicò il bagagliaio con le loro valigie «Allora … ti mancherà Storybrooke?» chiese. 
Ingrid ridacchiò stando al gioco «Devi ammettere che è piuttosto pittoresca!» rispose. 

Note: Lo so, ci ho messo eoni, purtroppo ho la grande capacità di distrarmi con la qualunque maaaa non dovrebbe mancare molto, in scaletta sarebbero circa quattro capitoli, forse anche meno. Come potrete intuire ci siamo avvicinando alla fine e sarà stata davvero così facile per Ingrid e James? Oh e ho il dubbio che non si capisce, quindi forse è il caso di chiarirlo, le sorelle di Eloise non sono davvero lì, solo lei le vede!
Oh e piccola conquista: questo è il capitolo più lungo che ho mai scritto per questa long, ben 2903 parole! Ne sono piuttosto fiera <3
E niente spero vi sia piaciuto, a prestissimo 
Niny 

   
   
    
  
   
  
 
 
  
 

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Capitolo 15
*** 15 ***


 Capitolo 15 
  
 Emma avrebbe dovuto prevederlo. 
 Era stata così stupida, ma si era aggrappata all'idea che, anche se era passato tanto, troppo tempo, i suoi genitori l'amassero comunque. la realtà dei fatti le era piovuta addosso, quasi soffocandola, quella mattina, quando aveva raggiunto la stanza che Ingrid e James avevano affittato da Granny’s: non era solo vuota, era stata letteralmente svuotata, perfino le lenzuola erano state cambiate. E quando aveva chiesto a Granny lei le aveva confermato quello che la prima impressione e aveva suggerito ma che si rifiutava di accettare: la coppia se n’era andata. E no, non avevano lasciato nessun messaggio per lei, non un biglietto, né un messaggio orale da riferirle. 
Era stato solo grazie a Roger se non era caduta letteralmente a pezzi: l'uomo si era limitato a stringerla a sé, lasciandole il tempo di sfogarsi, finché lei poco dopo non si era scostata, asciugandosi velocemente le lacrime «Basta, non se lo meritano» aveva detto infine. 
Poi aveva acceso il computer: se almeno fosse riuscita a trovare quel dannatissimo ladro tutti ne avrebbero giovato e si sarebbe tolta quell'enorme peso di dosso, pensò mentre scandagliava vari giornali, come Roger le aveva suggerito giusto qualche giorno prima. 
Era talmente persa nei suoi pensieri che quando si vide mettere sotto al naso un muffin al cioccolato per poco non sobbalzò. Roger sorrise passandole pure il solito bicchierone di caffè di Granny's «Mi sembrava che ne avessi bisogno!» spiegò alla muta domanda della cognata.  
Evidentemente, era talmente assorta nei suoi pensieri e nella collera, da non essersi accorta che Roger era uscito. 
Emma guardò per qualche minuto sorpresa il cognato, non aspettndosi un gesto del genere, poi sorrise, grata «Grazie, ne ho proprio bisogno» disse addentando con gusto il muffin. 
Poi, mentre scavava nei meandri di internet la sua attenzione fu catturata da un’edizione del Daily News di New York:
Arrestato a Portland Nick Price.
 
 L'uomo fermato per eccesso di velocità appariva nervoso, cosa che ha insospettito i carabinieri che hanno chiesto di controllare l'auto trovandovi dentro un famoso quadro. 
Emma si lasciò sfuggire un gridolino liberatorio «Abbiamo il nostro uomo!» esclamò, leggendo velocemente l'articolo a Roger che annuì d'accordo «Sì, sembra proprio essere lui» 
Emma alzò la cornetta pronta a chiamare la polizia di Portland, quando il telefono squillò «Detective Jones, buongiorno!» rispose con un cipiglio interrogativo. 
«Buongiorno, sono il detective Sparks. La chiamo per quanto riguarda l'arresto di Nick Price.» rispose la voce all'altro capo del telefono 

Henry stava aspettando al Granny's, tamburellando con una mano sul tavolo; Ivy gli aveva scritto poco prima, chiedendogli di incontrarla al diner perché aveva necessità di parlargli. 
La ragazza arrivò poco dopo, si sedette di fronte a Henry e bevve subito un sorso della cioccolata calda che il ragazzo aveva ordinato per lei poco prima, poi prese parola «Okay sarò diretta: Henry non posso aspettare per l'eternità una tua risposta» 
Henry sospirò, si aspettava che il motivo di quell'incontro fosse quello, eppure nonostante questo ebbe bisogno di qualche minuto per pensare alla sua risposta, minuto che si prese bevendo anche lui qualche sorso della sua cioccolata calda «Hai ragione, ma non so che risposta darti» e pensando a quello che gli aveva detto Alice qualche giorno prima continuò «mi piace passare il tempo con te, mi piace la tua compagnia ma … non so dirti se quello che provo per te è semplice amicizia o altro» 
Ivy annuì, dimostrando di aver compreso perfettamente quello che il ragazzo stava dicendo «Allora fai una prova!» esclamò per poi spiegare bene quello che intendeva «Esci con me per un mese: se quello che provi per me è semplice amicizia, lasciamo perdere e amici come prima, se invece al contrario così non fosse, possiamo provare a trasformare qualunque cosa ci sia tra di noi in … altro» 
Henry guardò sorpreso l'altra ragazza, in effetti quello che Ivy gli proponeva non era affatto una cattiva idea «Ci sto!» fu infatti la sua risposta.  

   
Alla fine, Eloise era arrivata alla conclusione che, in fin dei conti, Helga ed Elsa non avevano del tutto torto: prendere l'auto di suo padre era la soluzione migliore per raggiungere Storybrooke in breve tempo. 
Così, aveva aspettato che l'uomo si addormentasse e solo quando aveva sentito il suo lieve russare era sgusciata fuori lentamente – stando ben attenta a non fare rumore con i bagagli – poi si era fermata qualche minuto a cercare la pistola di suo padre – solo per precauzione, non aveva davvero intenzione di usarla! – e aveva scritto un breve messaggio in modo che l'uomo non si preoccupasse troppo. 
Circa mezz'ora dopo, però, il senso di colpa iniziò a farsi sentire. 
Helga, seduta accanto a lei, le posò lievemente una mano sulla gamba «Hai fatto la scelta giusta, papà capirà»  
Eloise fece spallucce «Magari avrei dovuto chiedergli» bisbigliò. 
«Sai bene che papà non sarebbe mai stato d'accordo» cinguettò Elsa. 
Eloise annui, ma nonostante sapesse che quello che le stava dicendo sua sorella fosse vero, il senso di colpa non si dissipò.  
Helga sorrise verso la sorella «Su dai, pensa solo al fatto che tra poco rivedrai Roger!» Eloise annuì nuovamente e, in effetti, quel pensiero la fece stare subito meglio. 

 Quando Nick Price venne portato a Storybrooke aveva un'aria strafottente, evidentemente, o almeno stando al voluminoso fascicolo che il detective Sparks aveva consegnato ad Emma, quella non era la prima volta che veniva arrestato e la cosa non lo intaccava particolarmente. 
E mantenne il suo atteggiamento anche quando iniziò l'interrogatorio. Il ragazzo, perché di questo si trattava, non aveva più di ventidue anni, continuava, però, a stare in religioso silenzio. 
Emma sbuffò, quella situazione cominciava a essere insostenibile «Hai idea di quanto rischi? Sei ancora giovane vuoi davvero sprecare i tuoi migliori anni dietro le sbarre?» evidentemente Emma aveva appena premuto i pulsanti giusti perché l'espressione di Nick mutò quasi impercettibilmente, sospirò lievemente e poi iniziò a parlare «Sentite non ho rubato io quel quadro, io mi occupo di rivendere i quadri che, a sua volta, vengono venduti a me. Mi rendo conto che con queste parole non miglioro di molto la mia situazione, ma ecco … non sono io quello che cercate!» 
Emma annuì comprensiva «Bene allora, dimmi pure il nome di chi ti ha venduto il Van Gogh» 
Nick sembrò quasi farsi più piccolo, come se avesse paura di qualcosa «Andrà tutto bene, non permetteremo ti succeda alcunché» lo rassicurò Emma vedendo lo stato d'animo del ragazzo. 
Nick a quel punto sospirò «Sono due, marito e moglie: Ingrid e James Fisher» 
«Cosa? Sei sicuro?» chiese Emma al sentire i nomi dei propri genitori, Nick annuì ed Emma si chiese come aveva potuto essere così stupida, avrebbe dovuto immaginarlo! Ecco perché erano scappati con la coda tra le gambe senza lasciare neanche un messaggio. Si sforzò di mantenere la calma prendendo profondi respiri. 
«Ehi!» la voce di Nick la riportò con i piedi per terra «Vuol dire che mi ridurrete la pena?» 
Emma fece spallucce «Vedremo» disse lasciando la stanza degli interrogatori poi chiamò la polizia delle città vicine chiedendogli di prestare attenzione ai due, raccomandandoli del fatto che potevano aver usato nomi falsi, erano passati solo due giorni da quando avevano lasciato Storybrooke,  non potevano essere lontani! Fece le stesse raccomandazioni anche ai suoi uomini e poi suo malgrado attese.  

 
Stava andando tutto liscio, forse troppo rifletté Ingrid, dopo aver venduto il quadro erano andati spediti pronti a lasciarsi quella storia alle spalle il più velocemente possibile. 
Eppure nonostante, inizialmente, l'euforia l'aveva avvolta come una calda coperta, adesso un senso di inquietudine la invase. Non disse nulla per non preoccupare il marito, ma quel senso di inquietudine non accennava ad affievolirsi e anzi aumentò non appena oltrepassarono l'ingresso di South Portland.  
Quando dopo poco la macchina fu fermata e, nonostante, i documenti falsi, l'agente pregò lei e James di seguirli in centrale senza opporre resistenza, Ingrid voleva dirsi sorpresa, ma la verità era che una parte di lei non lo era affatto. 
Fu sorpresa, però, di non essere condotta alla centrale di South Portland ma in quella di Storybrooke. 
Quando l'agente li fece entrare in stazione, non prima di averli ammanettati ovviamente, Ingrid non sapeva cosa aspettarsi, ma sicuramente, lo sguardo imperscrutabile che le riservò Emma, non era tra questi. La donna, infatti, non disse nulla, si limitò a ringraziare con un cenno del capo l'agente, prima di indicare la stanza degli interrogatori.  
Ingrid si lasciò cadere elegantemente sullo sgabello, non appena la porta fu aperta, sospirò, onestamente poteva davvero biasimare la donna dopo il modo meschino in cui lei e James l'avevano ingannata? 
Tuttavia i suoi pensieri non ebbero modo di proseguire oltre, perché Emma entrò una decina di minuti dopo. 
Per un paio di minuti non disse nulla limitandosi a fissarli, poi dopo aver preso un profondo respiro disse: «Siete almeno davvero i miei genitori?» 
James ghignò maligno «Cosa vuoi che ti rispondiamo, dolcezza? Sfruttare le debolezze altrui è il nostro lavoro» 
Ingrid gli diede una gomitata, non era il caso di prolungare quell'agonia «No» scosse la testa «Abbiamo letto in un articolo che eri orfana, era la copertura perfetta» disse con voce lieve. 
Emma non rispose, ma Ingrid si accorse come le sue mani iniziarono a tremare. Poi la porta si aprì violentemente ed entrò Roger, evidentemente l'uomo era rimasto a guardare tutto il tempo, posò una mano leggera sulla spalla di Emma «Vai a casa» disse comprensivo «Continuò io» Emma lo guardò per qualche minuto sorpresa, poi annuì velocemente cedendo il posto al cognato. 

 
Killian capì che qualcosa non andava non appena la porta si aprì, non era da Emma tornare a casa a quell'ora, non da quando era iniziata tutta quella storia del quadro. Ma bastò vedere l'espressione della moglie per avere la certezza dello stato d'animo della moglie. Fece una carezza alla zazzera bionda di Hope che stava aiutando a fare i compiti  – ma che al momento stava colorando – «Continua pure in camera tua, tesoro» disse, prima di concentrare la sua attenzione alla moglie «Cos'è successo?» chiese, mentre con la coda dell'occhio guardava Hope raccattare velocemente le sue cose. 
Emma si lasciò andare svogliatamente «Mi hanno mentito per tutto questo tempo» borbottò a denti stretti. 
Killian si sedette accanto a lei mettendole un braccio attorno alle spalle, «Chi?» chiese poi inarcando un sopracciglio. 
«Ingrid e James» rispose Emma «i miei "genitori"» aggiunge poco dopo virgolettando la parola genitori
Il sopracciglio di Killian si inarcò nuovamente ed Emma spiegò «Non sono mai stati i miei genitori, tutto quello che volevano era il dannato quadro» qualche lacrima iniziò a scorrere lungo le guancie della donna «Sono stata così stupida … ho pensato che anche se sono passati molti anni la mia famiglia non mi aveva mai dimenticato e mi amasse almeno un po'» bisbigliò. 
«Ma la tua famiglia ti ama infatti: hai me, i nostri bellissimi figli e pure Roger e Alice. Non hai bisogno di quei tizi che ti hanno abbandonato!» esclamò Killian confortandola. 
«Sì, però …» iniziò Emma. 
«Lo so, fa male ma aggrappati a me, lascia uscire tutto» rispose Killian, e dopo poco la moglie lo assecondò stringendolo in un abbraccio e lasciando che le lacrime scorressero lentamente. 

 
  Era stata una giornata strana; Roger, dopo aver preso il posto di Emma, aveva provato a lungo a continuare l'interrogatorio ma, sembrava che dopo quelle poche  parole dette ad Emma i due trafficanti d'arte si fossero chiusi in sé stessi, Roger infatti non era riuscito a cavare un ragno dal buco. Ma del resto, cosa mai avrebbero potuto dire due noti trafficanti d'arte per giustificarsi? Così, infine, Roger li aveva rispediti in cella senza troppe cerimonie. 
Tutto sommato la giornata non era stata piena, sì aveva dovuto compilare diversi moduli, in più Regina era passata a controllare la situazione – la donna non aveva fatto il minimo accenno all'assenza di Emma, probabilmente capendo totalmente che in quello stato d'animo lo sceriffo non avrebbe potuto lavorare come si deve – ma nonostante tutto, quando Roger lasciò la stazione si sentiva stanchissimo come se non dormisse da giorni. 
Sospirò, prendendo il cellulare per controllare l'ora, ma proprio in quel momento iniziò a squillare, Roger strabuzzò gli occhi non appena lesse chi lo stava chiamando: William
Che fosse successo qualcosa ad Eloise? «Pronto?» rispose nascondendo a malapena la preoccupazione. 
Purtroppo, però, William non fece niente per quietare la preoccupazione del genero, perché infatti esordì con un sonoro «Roger, Eloise ha preso la mia macchina, dice che sta venendo da te!» Roger spalancò la bocca ma non ebbe modo di dire nulla perché l'uomo aggiunse «E … credo che … credo che abbia preso anche la mia pistola.»  
Dopodiché piombò il silenzio e Roger rimase lì, a pochi passi dalla stazione senza la forza di muoversi. 
 
 
 Note: Ebbene dopo mesi eccomi ad aggiornare questa long! Come potete vedere ormai manca davvero pochissimo, due capitoli tecnicamente. Non dovrei metterci troppo, l'idea di concentrarmi solo su lei e l'altra long c'è, tutto dipende se riesco a non farmi distrarre da altro XD
Mi rendo conto che la situazione di Ingrid e James possa essere affrettata, ma parliamoci chiaro, questa long è nata sotto una cattiva stella ed è stata rimaneggiata tantissimo, ma ciononostante voglio comunque tanto bene a questa long e ci tengo a darle una degna conclusione, spero che comunque non dispiaccia troppo neanche a voi.
A prestissimo!
Niny

 
 
 

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