Everyday life

di Moriko_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** What kind of world do you want it to be? ***
Capitolo 2: *** Got to keep dancing when the lights go out ***
Capitolo 3: *** You as my brother… not my enemy? ***
Capitolo 4: *** Hold tight for everyday life ***



Capitolo 1
*** What kind of world do you want it to be? ***


Sommario: Quattro momenti, accomunati tra loro da una passione sempre crescente per il mondo del calcio.
Un tuffo nei ricordi, dall'infanzia fino all'età adulta.
[Un piccolo gruppo di missing moment su Yuzo Morisaki, scritti sulle note di "Everyday life" dei Coldplay.]






Everyday life.
「What kind of world do you want it to be?」



"What in the world are we going to do?
Look at what everybody's going through
What kind of world do you want it to be?
Am I the future or the history?"




Il piccolo parco della città era illuminato dai raggi del sole, che si facevano strada tra i rami degli alberi spogli. Strisce di intenso giallo e arancio si riflettevano sui vialetti dalla pavimentazione rossiccia che, con il loro colore, risaltavano accanto ai sempreverdi prati.
Un giovane padre stava rincasando lungo un piccolo sentiero che attraversava il parco, tenendo per mano il suo bambino di soli due anni. Con occhi curiosi e spensierati il piccino continuava a guardarsi intorno, affascinato dai colori del panorama circostante o dall’abbaiare di qualche cane che si trovava nel parco in compagnia del suo padrone.
Nel proseguire verso una collinetta, l’attenzione dei due venne richiamata da un vociare di ragazzini. Entrambi si voltarono e videro due gruppetti di bambini che, in un piccolo campetto poco distante da loro, stavano disputando una partita amichevole di calcio mentre i loro genitori, con grande slancio, facevano il tifo per i loro “piccoli campioni”.
Il padre si inginocchiò e si rivolse a suo figlio con un sorriso.
«Yuzo, andiamo a dare un’occhiata?»

Al termine della partita il campetto lentamente si svuotò.
I bambini tornarono a casa con i genitori, e così anche la piccola folla di persone che, spinte dalla curiosità, si erano lì radunate per assistere all’incontro. Sul campo da gioco rimase solo il pallone: solo il vento lo spostava lievemente, accarezzandolo con dolcezza con il suo spirare.
Yuzo lasciò la mano del padre e si aggrappò alla rete che circondava il campetto, osservando con attenzione il movimento della palla.
«Dai, andiamo,» lo invitò il genitore con tenerezza. «Dobbiamo tornare a casa, altrimenti la mamma ci sgriderà.»
Ma suo figlio non lo ascoltò, tutt'altro: con uno scatto corse verso l’ingresso del campetto e, muovendo il cancello che non era ancora stato chiuso a chiave, entrò nell’area di gioco e diede un calcio al pallone. Nel fare ciò, però, il bambino perse l’equilibrio e cadde tra le braccia del suo papà che, nel frattempo, era riuscito a stargli dietro.
«Ti sei fatto male?» chiese lui, rimettendolo in piedi. «Ora, però, dobbiamo proprio andare. Torneremo la prossima volta, va bene?»
Il piccino gli sorrise e, in tutta risposta, diede un altro calcio al pallone che, questa volta, si spostò leggermente. Vedendo quel piccolo movimento, il piccino esplose di felicità: iniziò a ridere di gioia, avvicinandosi a quella palla che nel frattempo si era fermata, e le diede un altro calcio.
«Non vuoi proprio arrenderti, eh?» commentò suo padre con un sorriso affettuoso, sedendosi sull’erba quasi incolta di quel campetto.
Osservò suo figlio che si stava divertendo con poco: un semplice pallone da calcio, amato da tutte le persone di ogni età.

È ancora troppo presto per dirlo… pensò, tenendo gli occhi fissi su di lui, mentre un riso leggero sgorgò dal profondo del suo cuore.
Forse, un giorno… il mio Yuzo potrebbe appassionarsi al calcio!




La luce del sole rendeva tutto più vivido quasi come un’esplosione di colori, in modo particolare le verdi foglie degli alberi del piccolo parco della città. Come tutti i giorni, nei pressi del campetto di calcio era appena terminata un’altra partita e i ragazzini stavano rientrando a casa insieme ai loro genitori.
All’esterno, accanto alla rete che delimitava l’area di gioco, un bambino di circa cinque anni non vedeva l’ora che il campetto venisse lasciato completamente libero, tutto per lui. Da quando, tre anni prima, aveva scoperto la felicità di giocare a pallone, si era appassionato al mondo del calcio.
Ancora una volta lui e suo padre erano tornati lì, nel luogo in cui era iniziato tutto. Da quel giorno ormai lontano, il recarsi nei pressi di quel campetto era entrato a far parte della loro routine quotidiana. E, ancora una volta, Yuzo non vedeva l’ora di entrare con suo padre e il suo amato pallone da calcio, che gli era stato regalato proprio dai suoi genitori nel giorno del suo terzo compleanno. Voleva tornare ad allenarsi con il suo papà e, soprattutto, di divertirsi con lui.
Non appena il campo si liberò completamente, suo padre lo prese per mano e si rivolse a lui con un sorriso.
«Andiamo?»
«Sì!»

«Iniziamo prima con qualche tiro in porta, va bene?»
Il bambino annuì e, seguendo suo padre che nel frattempo aveva posato il pallone sul campo, si mise in posizione di tiro, a pochi passi dalla porta. Poi, su invito del papà, si avvicinò velocemente e calciò la palla.
Sfortunatamente per l’entusiasmo di Yuzo il pallone colpì uno dei pali, nonostante il tiro per lui sembrava essere preciso.
«Uffa…» commentò il piccino, con un po’ di delusione.
Il padre cercò di consolarlo, accarezzandogli dolcemente la testa. «È normale, non scoraggiarti per così poco!»
«E invece no!»
Yuzo corse a recuperare il pallone, poi tornò dal papà e proseguì: «Devo essere molto più bravo di così se, quando sarò grande, voglio entrare nella squadra di calcio della scuola! Devo essere ancora più bravo degli altri!»
Suo padre sorrise. «Non devi avere fretta, hai solo cinque anni: metticela tutta e vedrai che anche tu riuscirai a fare dei tiri da campione!»
«Ma no!»
Il bambino sbuffò. «Dici sempre che con l’impegno si risolve tutto, ed io mi sto allenando ogni giorno, ma... non ci riesco. Pensi che io non sono bravo?»
Il genitore non rispose nulla, e iniziò a riflettere sulle parole del figlio. Aveva ragione: per quanto si sforzasse, la maggior parte dei tiri del suo Yuzo non finiva mai in rete. A volte lo vedeva perdere l’equilibrio mentre stava ancora per calciare, proprio perché ci metteva tutta la sua forza e tendeva a non concentrarsi sullo stare in piedi; altre volte, invece, riusciva a tirare ma con scarsi risultati: spesso il pallone colpiva i pali, spesso finiva fuori dalla porta e altrettanto spesso riusciva ad entrare in rete ma con molta fatica, dato che non riusciva ancora a dosare bene la giusta forza nel tiro. E, per questo motivo, più volte aveva visto il piccino giù di morale ogni volta che sbagliava.
Come era appena successo.
Però, era anche vero che suo figlio era un gran testardo. Dal giorno in cui aveva sentito parlare dei vari club presenti nelle scuole elementari e, in particolare, di quello di calcio, sognava di entrare a farne parte e diventare un bravo giocatore. Per fortuna la sua famiglia non aveva problemi economici, e lui sembrava essere un bambino con molta voglia di imparare, per cui era certo che suo figlio non gli avrebbe dato molti problemi a scuola.
Tuttavia, quando Yuzo si metteva in testa qualcosa, era davvero difficile fargli cambiare idea. Il che, se da una parte era motivo di orgoglio per lui e la sua adorata moglie, perché vedevano in questa testardaggine una grande determinazione e voglia di andare avanti nonostante le difficoltà, dall’altra parte era motivo di grattacapi per loro.
Soprattutto se c’era l’argomento “calcio” di mezzo. Da lì, smuoverlo era davvero impossibile!

Ad un tratto l’uomo ebbe un’idea. Si fece dare il pallone da suo figlio e lo mise sulla linea di tiro, poi indicò la porta e disse: «Vogliamo provare?»
«Va bene!» rispose il piccino, pronto a tirare di nuovo.
«Aspetta un attimo!»
Yuzo si voltò verso suo padre, sorpreso per l’esclamazione che aveva appena udito. «Papà, perché devo aspettare?» gli chiese incuriosito. «E… perché continui ad indicare la porta? Ho capito che devo tirare lì!»
Ma il genitore scosse la testa. «Yuzo, vorresti andare tu in porta al posto mio? È la prima volta, ma… prova a parare qualche tiro. Non preoccuparti: non saranno molto forti, promesso!»
Il bambino si incuriosì.
Anche se aveva solo cinque anni, aveva iniziato a conoscere i vari ruoli dei calciatori proprio vedendo le partite in quel campetto oppure in televisione quando, di tanto in tanto, mandavano in onda le prestazioni di calciatori famosi.
Dunque sapeva cosa fosse un portiere, ma fino a quel momento non aveva mai provato ad esserlo. Da quando aveva la sua adorata palla, come tutti i bambini della sua età aveva provato ad imitare i grandi campioni, correndo sul campo e provando a tirare in porta. Non aveva mai pensato di restare fermo tra i pali e bloccare l’arrivo del pallone; tuttavia l’idea non gli sembrava male… era pur sempre meglio che mandare la palla in orbita.
Yuzo quindi corse verso l’area di rigore e fece come aveva detto suo padre.
«Va bene!» gli disse, con uno sguardo pieno di sfida. «Sono pronto!»
Avendo cura di non usare tutta la sua forza come aveva detto, suo padre tirò. Yuzo riuscì a prendere il pallone con facilità, senza nemmeno cadere.
«Bravo! Ora passamelo!» lo incitò il papà.
Ma il piccino non si mosse: stringeva la palla tra le mani, restando fisso a guardarla.
Quasi non credeva ai suoi occhi: la parata gli sembrava molto più facile del tiro! Era vero che suo padre non aveva tirato abbastanza forte ma, per essere la sua prima volta da portiere, si era mosso nella direzione del pallone senza pensarci troppo, come se fosse stato naturale farlo.
«L’ho… preso?»
«Certo che l’hai preso!» rispose suo padre con un sorriso. «Sei stato molto bravo!»
«Davvero?»
Yuzo era ancora incredulo per ciò che era appena accaduto. Poi si credette e, entusiasta per la sua prima parata, finalmente si decise a rilanciare la palla.
«Dai, papà: proviamoci di nuovo!» esclamò, rimettendosi in posizione. «Ti prego, tira ancora! Voglio ancora parare!»
Suo padre annuì e, con un sorriso, tirò di nuovo il pallone in direzione della porta.
Anche il secondo tentativo andò a buon fine, così come gli altri che ne seguirono. Man mano che tirava e suo figlio riusciva a parare, nel cuore del genitore crebbe sempre più un sentimento di orgoglio: il suo bambino sembrava essere molto più bravo a proteggere la porta che a essere un cannoniere.
Sembra nato per essere un portiere, pensò soddisfatto, e si commosse nel vederlo correre felice verso di lui per abbracciarlo.
«Hai visto? Ci sono riuscito! Li ho parati tutti!»
«Bravissimo!»
Soddisfatto, suo padre si sciolse dall’abbraccio e pose di nuovo il pallone di fronte alla porta.
«Bravo! E ora… proviamo con qualcosa di più difficile, ti va?»
«Sì!»
Con grande entusiasmo il bambino tornò verso la porta… incurante del fatto che nel frattempo il suo amato babbo stava per tendergli una “trappola”. Difatti lui, mentre suo figlio stava ancora correndo per raggiungere i pali, decise di tirare senza attendere oltre. Yuzo vide con la coda dell’occhio il pallone che gli passò accanto e finì in rete, dove si incastrò. Come c’era da aspettarselo, la reazione del piccolo fu spontanea.
«Uffa, papà: così non vale!»
Il bambino andò a riprendersi il pallone, ma era rimasto impigliato nella rete e, tirando e tirando, non ci riuscì.
Che strano! pensò. È proprio incastrato!
Tutto ciò lo fece indispettire ancora di più. Prima suo padre e poi la rete; sembrava che, dopo quel momento in cui tutto stava girando per il verso giusto, il mondo invece era tornato a girare come suo solito: dalla parte opposta alla sua.
Di fronte a ciò il papà si lasciò sfuggire una piccola risata - cercando di non farsi notare da suo figlio - e tornò da lui per aiutarlo con il pallone.
«Ecco qui!» disse, liberando il pallone e restituendolo a Yuzo che, a quel punto, mise il broncio.
«Non è giusto, papà! Perché hai tirato? Non ero ancora pronto!»
L’altro sorrise.
«Yuzo, sai quando un portiere diventa davvero un fenomeno?»
Suo figlio lo guardò con occhi colmi di curiosità. «Quando?»
«Quando riesce a parare anche tiri inaspettati… come quello che ho fatto io. Un ottimo portiere non deve essere solo in grado di parare tutti i tiri che si trova di fronte, ma deve essere veloce e attento a tutto ciò che succede in campo, senza lasciarsi cogliere di sorpresa. Se vuoi essere un bravo portiere, devi anche seguire l’istinto: i calciatori non aspetteranno che tu ti metta in posizione. Questa volta ti ho colto di sorpresa, però sono certo che ben presto anche tu sarai in grado di riuscirci… e sai perché?»
«Perché, papà?»
«Perché non lasci mai il pallone! Non lo perdi mai di vista e, ogni volta che lo hai in mano… sei molto felice!»
Il bambino rivolse lo sguardo verso la rete: era molto rovinata e, in più punti, bucata.

Chissà quanti bambini hanno giocato qui prima di me…

«Forse hai ragione, papà: in porta mi piace di più!»
Il genitore si rallegrò per quelle ultime parole, le stesse che aveva detto nella sua mente poco prima. Ora era lui ad aver raggiunto un traguardo considerevole: era la prima volta, da quando suo figlio si era appassionato al calcio, che era riuscito a restituirgli maggiore autostima e voglia di proseguire. Già per questo, poté ritenersi soddisfatto.
«Yuzo, sai ora cosa penso?»
«Cosa, papà?»
«Che un giorno sarebbe bello vederti in televisione… a giocare nella Nazionale!»
Yuzo spostò lo sguardo colmo di stupore verso di lui; subito dopo, gli sorrise.
«Sì, papà… sarebbe proprio bello essere il portiere della Nazionale!»
Suo padre prese per mano il piccolo e, insieme, uscirono dal campetto.
«Chissà, caro il mio piccolo campione di parate





[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Ciao a tutti. Mi chiamo Moriko e sono nuova di queste parti, perciò ringrazio tutti coloro che sono giunti, con un po' di curiosità o di sorpresa, in queste note finali.
Per riassumere il mio rapporto con questa serie, mi sono (ri)avvicinata a Captain Tsubasa da poco tempo, anche se già da piccola conoscevo a grandi linee sia la storia che i personaggi che la popolano. Nel momento in cui in Italia hanno iniziato a trasmettere le puntate del remake del 2018 dell’anime, ciò mi ha spinto a seguire la serie dall'inizio, questa volta con maggiore attenzione e approfondimento.
Il mondo delle fanfiction su questa serie, invece, mi era del tutto nuovo. Tuttavia, credo che chiunque di noi abbia iniziato a pubblicare storie per condividere la passione e l'amore verso un determinato personaggio o contesto… ed è il motivo per il quale oggi sono qui. È la prima volta che pubblico in questo fandom, perciò perdonatemi se qualche parte potrebbe sembrarvi ancora imprecisa. ^^”
La prima idea che mi è venuta in mente (e della quale questa fanfiction è il prodotto finale) ha riguardato un personaggio al quale mi sono avvicinata molto proprio grazie alle puntate del suddetto remake: Yuzo Morisaki - Alan Crocker per i nostalgici. Se l'anime mi ha avvicinata a lui, il manga mi ha aiutata a conoscerlo di più e ad ammirarlo, proprio per la sua ostinazione nell’impegnarsi e la sua voglia di non arrendersi mai.
… e lo ammetto: non a caso, ho pubblicato la prima parte di questa storia proprio oggi, in occasione del suo compleanno. Tanti, cari auguri! (ノ´ヮ`)ノ*: ・゚
Riguardo la storia: come avete già letto nel sommario, ho scritto il testo partendo dal testo di una delle canzoni, a mio parere, più belle dei Coldplay: Everyday life. Un inno alla vita di tutti i giorni nella quale, sebbene vi siano dei momenti difficili e dove arriviamo a farci del male, nonostante tutto “bisogna continuare a danzare” e godere di quei momenti belli che la vita ci offre, pieni di serenità e calore degli affetti. (Tra l’altro, tutto ciò è molto attuale nella difficile situazione che tutti noi stiamo vivendo in questi giorni…)
In altre parole: mai arrendersi, appunto… proprio come fa questo personaggio!
In realtà questa storia era inizialmente nata come one shot ma, dato che come risultato finale sono saltate fuori la bellezza di 24 pagine, ho deciso di dividerla in quattro parti che saranno pubblicate ogni settimana e che, anche se saranno indipendenti l’una dall’altra, seguiranno un ordine cronologico degli eventi narrati. Questa che avete letto è la prima, nella quale ho cercato di descrivere (seguendo la mia ispirazione, dunque assolutamente discutibile) da dove è nata la passione del protagonista per il calcio. Ho immaginato una cosa che potrebbe essere accaduta a chiunque si sia avvicinato a questo sport: una partita in un campetto, e un pallone al quale ci si affeziona subito dopo… perché, si sa: i bambini sanno divertirsi con così poco!
Inoltre, vi dirò la verità: non conosco l’identità dei genitori del protagonista, o della sua famiglia in generale. In questi giorni sto riprendendo la lettura del manga, e finora non mi sembra di aver trovato qualche riferimento a tal proposito, perciò in questa sede non ho approfondito molto l’argomento - per esempio, nella mia storia i suoi genitori non hanno dei nomi e vi confesso che, non volendo inventarli, per me è stato molto difficile trovare dei sinonimi adeguati a “padre” e “madre”, LOL! Qualora ne avesse, tenetemi aggiornata: sarebbe bello scoprire se in realtà anche lui ha dei fratelli, sorelle o altri parenti… chissà! :)
Infine anche qui, come sempre, ringrazio stellaskia che ha accettato di dare un'occhiata all'intera storia. Anzi: è grazie a lei se questo gruppo di missing moments hanno visto la luce così come li state leggendo, questa volta il suo aiuto è stato davvero prezioso. :)
Grazie a tutti coloro che sono arrivati fin qui, ci vediamo al prossimo aggiornamento!
--- Moriko

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Capitolo 2
*** Got to keep dancing when the lights go out ***



Everyday life.
「Got to keep dancing when the lights go out.」



"'Cause everyone hurts
Everyone cries
Everyone tells each other all kinds of lies
Everyone falls
Everybody dreams and doubts
Got to keep dancing when the lights go out"




I mesi trascorsero, fino ad arrivare di nuovo all’autunno.
Il monte Fuji spiccava sull’intero territorio e, dal belvedere che si stagliava nei pressi di un sentiero immerso in una piccola foresta, le vaste coltivazioni di riso dominavano i suoi versanti. Da qui iniziava la piccola città di Nankatsu e, tra stradine che dividevano i campi coltivati, qui vi erano alcune villette a schiera intervallate a sugi e alberi di ciliegio.
Un luogo lontano dal centro cittadino, cuore invece di molteplici attività per tutte le età, e sebbene non vi fossero negozi, da lì si potevano raggiungere a piedi il supermercato, il parco cittadino e le varie scuole pubbliche e private.
Questo era il quartiere dove risiedeva la famiglia Morisaki, dove il piccolo Yuzo continuava ad allenarsi con il pallone, nel cortile della sua casa. Lo tirava contro la parete dell’abitazione, facendo in modo che rimbalzasse e gli tornasse indietro all’improvviso, per poi cercare di pararlo.
Era solito trascorrere le giornate in questo modo, quando non si recava al campetto del parco con suo padre nel tardo pomeriggio, mentre la mamma era intenta a preparare la cena per la sua famiglia. Ogni tanto il bambino la sentiva canticchiare una dolce melodia, alternata a momenti in cui si affacciava dalla finestra della cucina, che dava sul cortile, per ammonirlo: aveva il timore che quel pallone rischiasse di mandare in frantumi le finestre della loro casa o, peggio, quelle dei loro vicini.
Per fortuna la casa che si trovava al fianco del piccolo cortile dove giocava Yuzo era ancora vuota; nonostante ciò, sempre meglio evitare di rompere qualcosa prima che arrivino i nuovi vicini - rifletteva sempre la donna mentre, dalla finestra, osservava suo figlio allenarsi.
Anche lei, come suo marito, era contenta che il loro piccolino si fosse appassionato al calcio. Nel vederlo così felice con quel pallone si rallegrò, e in quel momento giurò a se stessa che l’avrebbe sostenuto in questo percorso se, un giorno, avesse deciso di portarlo avanti.


Qualche giorno dopo, mentre come al solito trascorreva il pomeriggio in cortile a giocare col pallone per allenarsi, Yuzo notò l'arrivo di un grande camion nella via di casa sua. Era piuttosto insolita la presenza di un mezzo del genere, dato che il negozio di alimentari più vicino era dalla parte opposta del quartiere, il che poteva significare solo una cosa: un imminente trasloco.
Incuriosito, lasciò il pallone e si avvicinò al cancello che si affacciava sulla via. Da lì fece capolino, e così notò che il mezzo si era fermato proprio di fronte all’abitazione al fianco della loro, la stessa sulla quale la madre gli aveva raccomandato di cercare di non distruggere qualcosa.
Una coppia di trasportatori scese dal camion, aprendo gli sportelli e iniziando a scaricare di tutto e di più: mobili, valigie e scatole varie.
«Hai visto? Da oggi avremo dei nuovi vicini!»
Alle spalle del bambino era giunta sua madre, anche lei incuriosita da quel viavai. Dato che quella casa era vuota da mesi, anche per lei era una novità ritrovarsi con dei vicini e sperava che essi fossero cordiali e gentili.
«Non vedo l’ora di conoscerli!»
Di fronte all’entusiasmo di suo figlio, lei sorrise.
«Anch’io, ma prima...»
Appoggiò la mano sulla sua spalla e gli fece cenno di seguirla. «… hai proprio bisogno di fare una bella doccia! Ti sei allenato molto anche oggi, vero?»
Con occhi pieni di entusiasmo, Yuzo le rispose: «Sì, devo essere molto forte se voglio essere un bravo giocatore! Papà me lo dice sempre!»
Mentre rientrarono, sua madre si lasciò sfuggire una leggera risata. Il suo bambino era decisamente cambiato da quel giorno, lo stesso in cui con suo padre aveva, per la prima volta, provato a difendere i pali.
Era come se, dal giorno di quella scoperta, la sua passione per il calcio fosse aumentata a dismisura!


Il mattino seguente il bambino andò all'asilo accompagnato da sua madre; al suo ritorno, come era solito fare, dopo essersi cambiato uscì nel cortile per giocare con il suo amato pallone.
Intorno, si sentivano gli uccelli cinguettare e rumori di altri bambini che stavano passando per le strade di quel quartiere, passeggiando tranquillamente oppure giocando a loro volta.
Ma Yuzo non ci fece caso: concentrato solo sul proprio pallone, continuava i suoi allenamenti incurante di tutto ciò che accadeva intorno a lui. Tuttavia, ogni tanto si voltava verso la casa dei nuovi vicini, curioso di saperne di più anche se non li aveva ancora incontrati.
Chissà chi sono… pensò. Ma… cos’è questo rumore?
Proprio in quella direzione, ogni tanto da lontano avvertiva un suono particolare e, allo stesso tempo, familiare… come se, dall’altra parte di quella casa, qualcun altro stesse giocando con una palla.
Ma, era anche vero che sentiva quegli stessi rumori ogni volta che un gruppo di ragazzini passeggiava per quella via, palleggiando o rincorrendo proprio un pallone. Nella cittadina, infatti, il calcio era molto amato, e non di rado si vedevano bambini di tutte le età esercitarsi in questo sport anche per le strade, mentre chiacchieravano tra loro o ritornavano da scuola. Con molta probabilità, stava succedendo la stessa cosa anche quel giorno.
Yuzo posò il pallone che in quel momento aveva tra le mani, pronto a tirare verso il muro di casa sua. Ad un tratto, però, una voce molto acuta - che non aveva mai sentito - attirò la sua attenzione.

«Oh, no! Il mio pallone!»

Attirato da quel grido, alzò gli occhi al cielo e così vide, all’improvviso, un altro pallone colpire il suo, finendogli accanto.
… cosa? Un altro pallone… è caduto dal cielo? - pensò. Era molto strano; eppure gli sembrava essere proprio così.

Da dove sarà caduto? Dalla casa dei vicini?

A quell’ultimo pensiero, Yuzo ebbe un’illuminazione. A giudicare dalla direzione dalla quale era caduto, sicuramente quel pallone non poteva provenire dalla strada.
Così voltò lo sguardo e osservò l’alto muretto di conci che separava entrambe le abitazioni.

I nuovi vicini…

Non li aveva ancora incontrati e di loro, appunto, non sapeva nulla; né tantomeno se ci fossero stati dei bambini con loro. Poteva anche trattarsi di chiunque: uno studente delle scuole medie o superiori, o anche una persona più grande d’età.
Eppure, Yuzo ne era sicuro. Tutto poteva essere possibile, ma la voce che aveva appena sentito non sembrava affatto quella di un adulto!
Così, un po' incerto sul da farsi - chiamare la mamma? Lanciare il pallone dall'altra parte? - prese l’oggetto che era caduto nel cortile e restò in trepidante attesa. Se il “proprietario” ci teneva a quel pallone, presto avrebbe suonato il campanello per reclamarlo.
I dialoghi che, nel frattempo, si udivano all'esterno dell'altra abitazione fugarono ogni dubbio.

«Torno subito, mamma!»
«Aspetta, dove vai? Stai attento: non uscire di casa senza di me!»


Allora… c’è davvero un altro bambino!
Yuzo strinse a sé il pallone che aveva tra le mani e, a lenti passi, si avvicinò al cancello calciando il suo. Lì, udì dei passi veloci e sempre più vicini finché, all’improvviso, tra le inferriate sbucò un altro bambino.
«Ciao!»
A prima vista quel piccino sembrava essere della sua età, ma ciò che colpì di più Yuzo non era l’aspetto fisico… ma il fatto che stesse sorridendo.
Forse vuole giocare!
Yuzo gli si avvicinò ulteriormente e lo salutò, con un po’ di timidezza. Poi aggiunse, porgendogli il pallone che gli era finito in cortile: «Penso che questo sia tuo… è appena caduto qui, e ha colpito il mio pallone...»
«Wow, anche tu giochi a calcio?»
«Beh, ecco...»
L’altro bambino posò lo sguardo sul pallone di Yuzo. «Lo sapevo che eri tu! Ieri ti ho sentito per tutto il pomeriggio, prima che arrivasse il camion a portare le nostre cose!»
«Mi hai… sentito?»
«Sì! Sentivo il rumore di una palla che ha sempre colpito il muro di questa casa… e non finiva mai!»
Yuzo ne fu sempre più sorpreso. Quel bambino era per lui una continua sorpresa: sembrava molto cordiale e gentile con lui, pur non conoscendolo ancora.
«A proposito: mi dai il pallone, per favore?»
«Ah… aspettami!» chiese. «Vado a chiamare mamma e torno, così ti apre il cancello!»
«Va bene, ti aspetto!»
Yuzo sorrise e, con il pallone ancora in mano, corse verso casa per avvisare sua madre che, proprio in quel momento, aprì la porta di casa.
«Con chi stai parlando?» chiese lei, incuriosita dal fatto che suo figlio stesse chiacchierando con qualcuno.
«Con un altro bambino… il vicino!»
«Il vicino?»
«Sì, mamma! Il suo pallone è caduto qui...»
La donna prese per mano Yuzo e si avvicinò alle inferriate; poi, con tono gentile, si rivolse all’altro bambino.
«Ciao, piacere di conoscerti! Sei il figlio dei vicini?»
«Sì,» rispose l’altro, «vi chiedo scusa: stavo giocando con la mia palla, e ho tirato un calcio molto forte… così è finita nel vostro cortile. Posso riprenderla, per favore?»
«Certo!» rispose lei e aprì il cancello e lasciando entrare l’altro bambino. A quel punto Yuzo fu felice di restituirgli il pallone tanto desiderato.
«Ecco qui!» disse con un sorriso.
«Grazie mille!»
Contento di riavere la sua amata palla il piccolo vicino iniziò a palleggiare, muovendosi lentamente verso l’uscita. «Evviva! Grazie ancora!»
Yuzo e sua madre restarono fissi ad ammirarlo. Quel piccino non smetteva mai di far rimbalzare il pallone, cambiando di tanto in tanto il piede, e sembrava non stancarsi mai.
«Sei proprio bravo!» commentò la donna, per poi aggiungere: «Anche a te piace molto giocare a calcio?»
«Sì!» rispose lui. «Ci siamo trasferiti qui perché...»
«Ah, monellino! Sei qui!»
Una voce improvvisa fece sobbalzare il bambino che, distraendosi, fece cadere il pallone di nuovo a terra, rischiando questa volta di finire per strada. Per sua fortuna venne preso da sua madre che in quel momento era comparsa alle sue spalle.
«Mi hai fatto preoccupare!» esclamò, arruffandogli i capelli. «Ti avevo detto di aspettarmi, e di non uscire da solo in mezzo alla strada!»
Il fanciullo mise il broncio. «Ma non sono andato in mezzo alla strada, mamma! Stavo giocando, ma la palla è finita qui...»
Lei diede un leggero sospiro; dopodiché si rivolse a Yuzo e sua madre. «Vi chiedo scusa per il disturbo. Quando c’è un pallone di mezzo, mio figlio è piuttosto irrequieto.»
«Ah, non dirlo a me!» rispose la madre di Yuzo. «Danne uno anche al mio, e apriti cielo! Non lo lascia mai di vista: se fosse per lui, lo porterebbe anche a letto e ci dormirebbe insieme tutte le notti...»
«Mamma!» gridarono in coro i due bambini.
Entrambe sorrisero e pensarono che, forse, i loro figli avevano finalmente trovato qualcuno con cui giocare. E, forse, un giorno non molto lontano i due bambini sarebbero finiti nella stessa scuola e avrebbero giocato una partita di calcio insieme nella stessa squadra scolastica.
Ad ogni modo, quello era un ottimo punto di partenza per presentarsi a vicenda: forse un po’ improvviso, ma era pur sempre un modo per iniziare a conoscersi.
Le due donne si diedero la mano e strinsero amicizia.
«Comunque, piacere di conoscerla!»
«Il piacere è tutto mio!»
La madre del bambino che aveva lanciato il pallone fece cenno all’altra, invitandola a seguirla verso casa sua. «Dato che siamo vicine di casa… le andrebbe di entrare un secondo? Le offro volentieri qualcosa per il disturbo!»

Nel frattempo i due bambini avevano deciso di restare fuori dall’abitazione, e avevano subito ripreso a giocare a pallone. Si passarono vicendevolmente la palla e, di tanto in tanto, si scambiavano qualche parola.
«Così anche a te piace il calcio?»
«Sì, molto!» rispose Yuzo, prendendo il pallone con le mani e rilanciandolo all’altro che lo fermò con il piede.
«Io sono qui da poco…» riprese l’altro, dopo aver tirato di nuovo, «… ma ho già capito una cosa: che qui tutti amano il calcio! Ho visto altri bambini giocare a pallone per strada e diversi campetti di calcio. Penso che qui mi divertirò un sacco... E, sai una cosa? Dall’anno prossimo andrò proprio qui a scuola, perciò se vuoi possiamo andarci insieme!»
«Mi piacerebbe molto!» rispose Yuzo, parando il tiro e passando la palla al compagno. «Sarebbe bello andare a scuola insieme!»
Questa volta anche l’altro bambino bloccò la palla con le mani, e esclamò di gioia: «Che bello! Mamma e papà mi hanno detto che in ogni scuola c’è un club di calcio… e un giorno voglio entrarci!»
«Wow!»
Lo sguardo di Yuzo era colmo di gioia per quella notizia. Entrambi avrebbero frequentato la stessa scuola e, forse, un giorno sarebbero entrati nella stessa squadra di calcio. E lui era molto contento all’idea di iniziare l’anno scolastico già con un amico.
«Sai...» sussurrò, avvicinandosi al vicino, «… anche a me piacerebbe molto far parte di una squadra di calcio, un giorno...»
Gli occhi dell’altro bambino si illuminarono di felicità a quella notizia.
«Anche tu?!»
Yuzo annuì. «Voglio essere un bravo calciatore… e mi piacerebbe essere un bravo portiere!»
«Evviva!»
Il bambino corse verso di lui e gli diede un buffetto. «L’ho pensato subito quando ti ho visto!»
«Hai pensato… cosa?» chiese l’altro con sorpresa.
«Che vorresti essere un portiere!»
«Sì, ho detto proprio così...»
«No! Cioè… sì, l’hai detto, però tu indossi un paio di guanti. Lo sai: mica tutti i giocatori di calcio portano i guanti! Io, per esempio, non ce li ho… ma tu sì! Perciò, quando ti ho visto, ho subito pensato che volessi diventare un portiere!»
Così Yuzo guardò le mani. Le sue portavano un paio di piccoli guanti neri, dono dei suoi genitori per il suo ultimo compleanno. Non ci aveva fatto troppo caso perché era sua abitudine indossarli non appena tornava a casa a giocare, ed erano così comodi che, se fosse stato per lui, li avrebbe portati per tutta la giornata, anche quando dormiva.
Si portò una mano dietro la nuca e si lasciò sfuggire una candida risata. «Eheheh, hai proprio ragione!»
«E, dimmi un po’!» proseguì l’altro, rivolgendogli un sorriso di sfida. «Scommetto che anche tu hai un sogno nel cassetto, non è vero?»
«Certo! Quello di giocare a calcio nella scuola delle elementari…»
«No, no, no!»
Il bambino scosse la testa. «Se entriamo entrambi nella squadra della nostra scuola e saremo sempre più bravi, magari giocheremo a calcio anche quando saremo grandi... e sarebbe fantastico se riusciamo ad entrare nella Nazionale! Pensa che bello!»
Per un attimo Yuzo restò in silenzio.
Anche suo padre aveva detto la stessa cosa, qualche mese prima. Tuttavia, il suo papà aveva sempre avuto fiducia in lui e lo conosceva più di chiunque altro; viceversa, quel bambino lo conosceva da nemmeno un giorno, dunque non poteva ancora sapere quali fossero le sue vere capacità sul campo.
Nonostante ciò, proprio quel bambino gli aveva appena detto che voleva entrare nella Nazionale… con lui. Ovvero, con un vicino che aveva appena incontrato.
Yuzo rivolse gli occhi verso la punta delle sue scarpette, non sapendo bene come rispondergli. Dopodiché lo guardò negli occhi e disse:
«Sì… dobbiamo impegnarci molto per farlo. Bisogna essere molto bravi...»
«Appunto! Non sarebbe bello? Voglio essere come i più forti calciatori che si vedono in televisione, o quelli dei cartoni animati… e so che anche tu lo vorresti!»
Di fronte al silenzio attonito di Yuzo, il piccolo vicino riprese il pallone e proseguì: «Sai… sarebbe fantastico: io e te, una coppia invincibile! Pensa: tu come portiere, e io come attaccante… saremo forti e nessuno ci farà gol!»
Gli occhi di Yuzo si spalancarono. «Dici sul serio?»
«Certo! Dobbiamo allenarci molto, se vogliamo diventare sempre più bravi!»
Yuzo posò lo sguardo verso il pallone che il suo vicino aveva ancora in mano. Proprio come il suo sembrava essere molto rovinato, come se anche lui lo avesse usato giorno e notte per allenarsi con il tiro.
E, proprio come lui, anche quel bambino si stava esercitando per diventare sempre più forte.
«Vuoi… che io giochi insieme a te?» gli chiese speranzoso. «Nella stessa squadra?»
«Esatto!»
«E… vuoi che diventi il tuo portiere? Proprio io?»
«Sì!»
«Ma sei… sei davvero sicuro?»
«Sì, sì e sì!» rispose di nuovo l’altro bambino, lasciando cadere il suo pallone a terra e spalancando le braccia con gioia. «Alleniamoci insieme, e vedrai che io e te saremo sempre più bravi! Me lo prometti? Prometti che giocheremo sempre insieme?»
«Insieme? Per sempre?»
«Dai, dai! Ti prego!»
Yuzo lo guardò negli occhi e gli sorrise. «Va bene… te lo prometto!»
«Evviva!»
Il bambino corse da Yuzo e gli prese le mani, muovendole con euforia. «Vuoi sapere una cosa?»
«Dimmi.»
«Sai, avevo disegnato col gessetto una porta sul muro di casa mia, e mi stavo allenando lì… solo che non sono molto bravo, e ho fatto addirittura volare il pallone nel tuo cortile!»
Il bambino indicò un punto sul muro che circondava il cortile, e Yuzo allora notò il rettangolo disegnato col gesso bianco.
Yuzo si rasserenò. Anche quel bambino, proprio come lui, non era un fenomeno nato; eppure si ostinava ad allenarsi per essere, un giorno, tra i più forti giocatori. In un attimo, capì che anche quel bambino condivideva con lui lo stesso amore per quello sport.
Così, dopo aver preso un respiro profondo, a sorpresa decise di prendergli la palla e correre verso la porta disegnata col gesso.
«Dai, torniamo a giocare adesso!»
«Ehi, aspetta!» rispose l’altro, rincorrendolo per riprendere il pallone.
Yuzo rise, continuando a correre nel cortile.
Il suo piccolo vicino di casa aveva ragione: se, un giorno, entrambi volevano diventare dei campioni, dovevano iniziare ad allenarsi fin da subito. Come ripeteva sempre suo padre, «per essere dei veri calciatori bisogna essere molto forti, avere un pizzico di fortuna… ma, soprattutto, tanta voglia di non arrendersi mai!»




Da quel giorno in poi i due bambini furono molto legati.
Non mancava occasione nella quale stavano sempre insieme: per strada, quando andavano e tornavano dalla scuola materna con le loro mamme; all’asilo, dove si divertivano anche con gli altri compagni; al campetto o in cortile, dove spesso giocavano e si allenavano a modo loro sotto l’occhio vigile dei loro genitori.
Non si separavano mai, nemmeno quando al mattino si affacciavano dalle finestre delle loro camere da letto poste l’una di fronte all’altra, e si salutavano, prima che le loro mamme li invitassero a cambiarsi per iniziare la giornata.
Ed era proprio da questo loro “piccolo rito mattutino” che, un giorno, Yuzo si accorse che era successo qualcosa di strano al suo nuovo amico.
Un evento inaspettato che, nel giro di poco tempo, trasformò completamente la sua vita e il suo modo di vedere ciò che più amava al mondo.

La sera precedente, Yuzo aveva salutato il suo piccolo vicino prima di tornare a casa, ma aveva subito notato che l'altro bambino non sembrava essere in forma come al solito. Per tutto il pomeriggio aveva continuato a tossire e, ogni tanto, si sentiva molto stanco.
Così, preoccupato, chiese a sua madre se potesse telefonare alla sua vicina dopo la cena, per vedere come stava il suo amichetto. Al termine della conversazione, la donna disse a suo figlio di non allarmarsi.
«Tranquillo: ha solo qualche linea di febbre. Il dottore ha detto che per qualche giorno dovrà restare a casa e non alzarsi dal letto, perciò… mi sa che domani andrai da solo all’asilo.»
Yuzo si rattristò per la notizia. «Da solo, uffa...»
La madre gli accarezzò la testa e lo rassicurò. «Su. Ora andiamo a letto, e domani… quando tornerai a casa, ti permetterò di scatenarti con il pallone: così anche lui, quando dalla sua cameretta sentirà il rumore del tuo pallone contro il muro, avrà più voglia di riprendersi e di tornare presto a giocare con te!»
Suo figlio sorrise e corse verso la sua stanza per prepararsi per la notte.
«Grazie, mamma!»

Il mattino dopo Yuzo si affacciò dalla finestra, come era solito fare. Non diede molto peso al fatto che, al contrario, il suo amichetto non lo avesse fatto: probabilmente si stava ancora riposando a causa dell’influenza.
«A più tardi!» urlò con gioia, chiudendo la finestra e raggiungendo sua madre per andare all’asilo. Era certo che, anche se non si erano ancora visti, il suo vicino di casa lo aveva sentito e, se così non fosse stato, di sicuro la sua mamma l’aveva sentito forte e chiaro.
In classe giocò con gli altri bambini e si divertì come sempre anche se, di tanto in tanto, pensava all’amico malato.
Mi manca così tanto… senza di lui non è la stessa cosa!
Per questo motivo, quando lo venne a prendere sua madre all’asilo, le chiese: «Oggi possiamo andare da lui?»
«Va bene.»
Tuttavia, giunti presso la casa dei vicini, accadde qualcosa di particolare: la donna suonò al citofono ma nessuno rispose, né aprì loro la porta.
«Che strano...» si limitò a commentare la mamma e, in silenzio, prese per mano Yuzo e fecero ritorno a casa.

Strano che non ci sia nessuno. Con un figlio con la febbre… forse saranno andati all’ospedale?

La madre di Yuzo tentò più volte di rintracciarla anche telefonandole da casa sua, ma senza alcun risultato. Il cellulare dell’altra donna risultava sempre libero, ma anche lì non vi era stata risposta.
Durante la cena, però, ad un tratto squillò il telefono di casa. La donna si alzò da tavola per rispondere e, con grande sorpresa, si trattava proprio della vicina.
Yuzo sentì sua madre farfugliare qualche parola e, all’improvviso, rivolgersi proprio a lui.
«C’è il tuo amico a telefono, vieni a salutarlo!»
Il piccolo ne fu felice: finalmente, era riuscito a mettersi di nuovo in contatto con il suo amato compagno di allenamenti! Senza pensarci troppo si precipitò e prese di colpo la cornetta dalla mano della madre, che lo guardò sorpreso. Che velocità!
«Ciao, come stai?» chiese con allegria.
Dall’altra parte della conversazione l’amico lo salutò con spensieratezza sebbene, dalla sua voce, sembrava essere ancora malato. Ogni tanto dava ancora qualche colpo di tosse ma, tutto sommato, si stava riprendendo.
«Un po’ meglio, grazie!» rispose lui.
«Ma dove sei finito?» chiese Yuzo incuriosito, mentre rivolgeva lo sguardo verso la finestra del soggiorno. Quella stanza, infatti, affacciava proprio sulla casa dei vicini, che in quel momento non aveva alcuna luce accesa.
Come se non ci fosse stato nessuno, appunto.
«Non sei a casa, vero?»
«Eheheh… no! E penso non tornerò per un bel po’!»
Ci fu un attimo di silenzio e mille furono i pensieri che in quel momento attraversarono la mente del piccolo Yuzo. Si rattristò, pensando che quella famiglia si fosse nuovamente trasferita senza dire loro nulla… anche se ciò che lo insospettiva in quella strana situazione era proprio il fatto che il suo vicino di casa fosse malato. Probabilmente, se i suoi genitori avevano deciso di andarsene e avevano deciso di portarsi dietro anche lui nonostante l’influenza, doveva esserci un motivo molto più grave della salute: qualche lutto di parenti stretti, o qualche urgenza che dovevano sbrigare in breve tempo.
All’idea che il suo amichetto non avrebbe fatto presto ritorno, i suoi occhi si riempirono di lacrime.
«Perciò… quando tornerai?» piagnucolò. «Mi manchi molto, e non vedo l’ora di rivederti!»
L’altro bambino soffocò una sincera risata, nascondendola tra i colpi di tosse. Da quelle poche parole, capì che il suo amico ci teneva molto a lui… e, in fondo, anche lui voleva riabbracciarlo presto. Altrimenti, come sarebbero diventati dei futuri campioni?
«Stai tranquillo,» disse, «tornerò presto! Forse già domani!»
«Domani?!»
Ancora colpi di tosse. «Magari, scherzo! Vedi… siamo andati a trovare mio nonno, che abita in un piccolo villaggio fuori città, però non sta molto bene e… mamma e papà mi hanno trascinato anche con la febbre! Uffa, sono così stanco e rivoglio il mio pallone per giocare… ma per il mio nonnino questo e altro!»
Yuzo sorrise, pregando in cuor suo di avere da lui buone notizie nei giorni successivi.
«Spero che tu e tuo nonno guarite presto, così lui sarà felice… e anche tu! Così puoi tornare a giocare!»
«Te lo prometto! Tornerò presto!»
Prima di restituire la cornetta a sua madre - che già iniziava a chiedergli di ridargliela per parlare con la vicina di casa - disse al suo amichetto:
«Ti aspetto! Abbi cura di te, e guarisci presto!»

Nei giorni successivi la madre continuava a tenersi in contatto con la vicina e, nelle prime telefonate, i due bambini chiacchieravano tra loro come se la lontananza non fosse stata di peso. Dalle parole del suo piccolo vicino di casa, Yuzo capì che si stava riprendendo e che, come aveva promesso, ben presto sarebbe tornato nel suo quartiere.
Per non farlo annoiare, Yuzo gli parlava di ogni cosa: le giornate trascorse all’asilo, i suoi allenamenti nel cortile, e gli confessava anche che tutte le mattine, ogni volta che si svegliava, continuava ad affacciarsi sempre dalla finestra. Anche se il suo amichetto non era in casa, per lui quell’azione era un modo per sentirlo vicino.
E l’altro, intanto, gli raccontava delle giornate trascorse a casa del nonno: che quest’ultimo si stava riprendendo e che lui era completamente guarito dalla febbre alta, anche se aveva ancora un po’ di tosse; che gli mancava tanto il pallone, ma si esercitava con il guscio di una piccola noce di cocco che aveva trovato per strada.
«Così, quando tornerò, giocheremo ancora insieme!» ripeteva sempre.
Yuzo era felice di tutto ciò: le cose stavano per volgersi al meglio e presto avrebbe riabbracciato il suo amico.
Tuttavia, qualche sera dopo, mentre il vento forte iniziava a sferzare sul quartiere, sua madre non riuscì a rintracciare la vicina di casa. E, caso strano, nemmeno lei lo aveva fatto. Di solito, infatti, le due erano sempre in contatto - anche a causa delle loro piccole pesti che lo richiedevano a gran voce… anzi: se fosse stato solo per i loro figli, i due bambini sarebbero stati in grado di non lasciare mai il telefono.
Quella sera, invece, così non fu.
Il cellulare della vicina risultava sempre non raggiungibile, e la madre di Yuzo iniziò a preoccuparsi.
«Forse è per il brutto tempo, mamma!»
«Come?»
Suo marito indicò la televisione. «Yuzo ha ragione, tutta la zona è attraversata da una forte tempesta… forse, dove si trovano loro, i cellulari sono momentaneamente fuori uso!»
«Il… maltempo...»
«Sì, mamma! Non preoccuparti, staranno tutti bene!»
Di fronte alla spensieratezza di suo figlio, ella guardò negli occhi il suo amato. «Va… bene,» disse con voce flebile, mentre iniziò a sparecchiare la tavola. «Sì, anch’io sono sicura… che stanno bene...»
Quando lei andò in cucina il bambino si rivolse a suo padre, incuriosito dallo strano comportamento della madre. Di solito era la persona che si preoccupava meno nella loro famiglia e, non appena vedeva lui e il suo papà giù di morale, era sempre pronta a rassicurarli con qualche parola di incoraggiamento, sempre con un sorriso.
Quella sera, invece, era proprio lei a sembrare molto più triste del solito.
«Mamma non si sente bene?»
Il padre gli si sedette accanto e gli sorrise. «Tranquillo, piccolino. È solo in pensiero per i vicini… ha paura che la tempesta possa fare qualche danno. Ma io ne sono certo: loro stanno bene!»
Si avvicinò al tavolo per aiutare a sparecchiare, e proseguì: «Non è vero, tesoro?»
«Sì...»
Mentre stava riponendo i piatti che il marito le passava, la donna restò in silenzio.
Dai suoi occhi iniziò a scendere qualche lacrima, che nessuno dei suoi familiari notò perché era di spalle.



La tempesta della sera prima fu solo un'avvisaglia di ciò che accadde il giorno dopo.
La via sulla quale si affacciavano le abitazioni era attraversata da un veloce viavai di persone, intente a tirare fuori gli ombrelli: infatti dal cielo iniziava a cadere qualche goccia di pioggia, che ben presto si trasformò in un vero e proprio diluvio.
Per fortuna, almeno il vento si era placato.
Dopo aver accompagnato Yuzo all’asilo sua madre andò a casa e, finché non tornò a riprenderlo, cercò di rimettersi in contatto con i vicini. Invano, dato che il cellulare risultava sempre non raggiungibile.
«Mamma...» sussurrò suo figlio, mentre tornavano alla loro abitazione. Nel frattempo aveva smesso di piovere e il cielo si era schiarito, segno che quella tempesta era ormai andata via.
«Sai qualcosa dei vicini?» le chiese.
«No, piccolo mio...»
«Uffa…»
Lei si sforzò di sorridere, nascondendo tutta la sua giusta preoccupazione che si stava accumulando ogni ora che passava. Aveva ragione suo marito: nella loro famiglia era lei quella che di solito dava coraggio a tutti, perciò anche in quel frangente doveva impegnarsi a farlo.
«Wow… hai visto, Yuzo?»
Lei indicò il paesaggio che si stagliava di fronte a loro. Il sole stava tramontando tra le montagne, lasciando dietro di sé una scia di raggi che, con il loro brillare, sembravano quasi far risplendere più vividamente ogni cosa.
«Dopo la pioggia c’è sempre il sereno… e questo è un segno!» disse con un sorriso sempre più colmo di serenità. «Non ci sarà ancora campo, ma forse hai ragione: tutti loro staranno bene! Anche se la prossima volta dovrò denunciare quelli della telefonia per il disservizio: ma guarda un po’ che tipi! Lasciare le linee in questo stato… così mettono in agitazione mezza regione, si rendono conto?!»
Dalle labbra del piccolo sfuggì un piccolo riso.
Aveva ragione suo padre, era bastato davvero poco: la mamma era tornata ad essere quella di sempre!

E, il mattino successivo, accadde un fatto insolito.
Yuzo si affacciò dalla finestra della sua camera, per iniziare una nuova giornata. In cuor suo sperava che, nel frattempo, la mamma fosse riuscita a rimettersi in contatto con la vicina e, così, avere finalmente notizie del suo amichetto.
Ormai era impaziente: due giorni di attesa per lui sembravano essere durati mesi interi.
Facendo capolino dalla finestra, notò la presenza di un altro furgone bianco all’ingresso dell’abitazione dei loro vicini. Sembrava essere più piccolo di quello del trasloco: da esso scesero due giovanotti che, aperto lo sportello posteriore, portarono nel cortile un tavolino e dei fiori.
Solo allora notò che il cancello dei vicini era aperto. Quello, per Yuzo, fu un chiaro segnale: finalmente erano tornati tutti a casa!
Chiuse la finestra, uscì dalla stanza e corse da sua madre, abbracciandola per la gioia. «Mamma, mamma: è tornato!»
La madre era ancora di spalle, ancora fissa a guardare lo schermo del suo cellulare, quasi incurante del fatto che il figlio abbia buttato le braccia intorno a lei.

Come… come glielo dico adesso? Non ce la faccio!

«Mamma… stai bene?»
Anche Yuzo notò il suo stato d’animo. Lei, di solito euforica e raggiante già di prima mattina, non si era mossa dalla sua posizione, continuando a stringere tra le mani il suo cellulare.
«Non… non stai bene?» chiese il piccolino, preoccupato nel vederla in quello stato.
«No, piccolino...»
Solo allora lei si voltò e, di colpo, lo strinse forte a sé. Yuzo fece in tempo a vedere che sua madre aveva gli occhi lucidi e le guance arrossate, come se avesse pianto per molto tempo.
«Mamma… ho combinato qualche guaio?» chiese, pensando che fosse lui il motivo della sua tristezza. «Sei arrabbiata con me? Mi dispiace tanto, mamma...»
«Tranquillo, piccolo mio… non è colpa tua...»
Dagli occhi di sua madre tornarono a scorrere le lacrime. Singhiozzò e continuò ad abbracciarlo, sussurrandogli:
«Non so proprio come dirtelo… ma mi dispiace così tanto!»

Quando udì quella notizia, a Yuzo mancò l’aria.
In quel momento, sembrò che il mondo intero gli stesse crollando addosso.





«Non vuole entrare, vero?»
«Sì. Da quando siamo tornati, si è seduto di fronte al suo pallone. È rimasto lì a fissarlo, senza prenderlo in mano: è come se avesse perso tutte le sue energie...»
Il dialogo tra i genitori di Yuzo, solitamente allegro e quasi interminabile, quel giorno si ridusse a quelle poche frasi.
Il padre era rientrato da poco dal lavoro, ma aveva subito avvertito la triste atmosfera che c’era in quella casa. D’altronde, anche la sua adorata moglie era distrutta: andare ad un funerale e vedere la sua vicina, una persona anche lei cordiale e solare, piangere disperata per la prematura scomparsa dell'unico figlio, di certo non era stato piacevole.
E, il pensiero che una tragedia del genere sarebbe potuta accadere anche a loro, gli raggelò il sangue. Anche il bambino dei vicini sembrava essere in perfetta salute, proprio come il loro Yuzo; tuttavia, la situazione era precipitata nel giro di così poco tempo e, in un attimo, i suoi genitori lo avevano portato urgentemente all'ospedale, pensando inizialmente che si trattasse solo di una forte influenza.
La sera della prima telefonata, infatti, mentre la loro vicina aveva raccontato a sua moglie tutta la verità, viceversa quel bambino aveva mentito al loro figlio. Nonostante la sua giovane età, fino alla fine era riuscito a nascondere tutto al suo amichetto, per evitare che - almeno lui - soffrisse per la sua terribile situazione.
E anche sua moglie aveva compiuto uno sforzo quasi titanico, fingendo che tutto andasse bene. Un po’ perché anche lei, proprio come Yuzo, non si arrendeva mai e sperava in un miracolo; un po’ perché non voleva che suo figlio si rattristasse fin da subito.
Purtroppo, però, alla fine nessuno di loro era riuscito ad evitare che suo figlio venisse ben presto a conoscenza di tutta la verità… con la stessa notizia della scomparsa di quel bambino.
L'uomo si affacciò dalla finestra del soggiorno e diede un’occhiata al cortile: il loro piccolo, proprio come aveva detto sua moglie, sembrava avere lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi ancora gonfi per il pianto; non si muoveva per niente, tranne quando si asciugava le lacrime che non smettevano di scendere lungo le sue guance rosse.
Era pur sempre vero che, in un’atmosfera del genere, loro gli avevano insegnato a non fare mai baccano nel rispetto di chi non c’era più e dei suoi familiari; tuttavia...
… non è da lui!
«Vado fuori,» disse, appoggiando la borsa da lavoro su una delle sedie del soggiorno.
«Caro!»
Sua moglie gli si avvicinò e, asciugandosi le lacrime, gli disse: «Per favore, solo tu puoi convincerlo...»
«A fare cosa?» le chiese. «A rientrare in casa? Tranquilla, non penso che nostro figlio avrà voglia di restare fuori tutta la notte; vedrai che rientrerà non appena inizierà a sentire freddo.»
Lei scosse la testa. «Vedi, so che è un brutto momento per lui, e forse parla di cose che non pensa davvero, però quando gli ho chiesto se volesse andare al campetto per sfogarsi, mi ha risposto… mi ha risposto che non vuole più giocare a calcio… perché non vuole più continuare senza il suo amico!»
Suo marito le poggiò le mani sulle spalle e, cercando di restare sereno, le disse:
«Ci penso io, non ti preoccupare. Vedrai, è solo un momento.»

Così egli raggiunse suo figlio, che in quel momento continuava a fissare il pallone che era di fronte a lui. In quel momento non stava più piangendo, né singhiozzando: era come se avesse perso le energie per farlo.
«Yuzo...»
Nel vedere che il piccolo non reagiva nemmeno al suo dolce richiamo, il suo papà decise di sedersi al suo fianco, cercando di consolarlo in qualche modo: all’inizio lo fece in modo silenzioso, solo con la sua presenza. Poi lo strinse a sé e, solo allora, il piccino ebbe un sussulto; Yuzo si voltò verso suo padre e lo abbracciò forte.
«Papà… perché...» sussurrò, mentre dai suoi occhi tornò a scendere qualche lacrima.
«Non lo so...» rispose lui, guardando il pallone che giaceva abbandonato. «Però… però noi siamo ancora qui, e dobbiamo farci forza...»
Entrambi restarono in silenzio, e si lasciarono cullare dal calore di quell’abbraccio. Poi, ad un tratto, suo padre riprese a parlare.
«Ti prego...» gli sussurrò, stringendolo di più a sé. «Prendi quel pallone, e torniamo dentro. La mamma ci sta aspettando...»
«No, papà...»
La risposta di suo figlio lo colse di sorpresa.
«Non lo voglio prendere...» aggiunse il piccolo, per poi esplodere di rabbia tra le lacrime. «E non voglio più giocare a pallone! Lui me l’aveva promesso: mi aveva promesso che sarebbe tornato a casa e che avremmo continuato a giocare, insieme! Però… però mi ha detto una bugia… e alla fine mi ha lasciato da solo!»
L’altro sgranò gli occhi, e cercò di far ragionare suo figlio.
«Ascoltami, Yuzo...»
Ma il piccolo scosse la testa e, continuando a singhiozzare, si scostò. Il genitore non si perse d’animo, si avvicinò a suo figlio e lo prese per le spalle con delicatezza.
«So come ti senti… ma adesso ascoltami.»
E, alzandogli il mento, aggiunse: «Non è così, piccolo mio… lui non ti ha mai detto una bugia. Voleva davvero diventare un grande campione, insieme a te… e so per certo che non voleva mentirti, nemmeno quando ti ha detto che presto sarebbe tornato per allenarsi con te...»
«Non è vero...» rispose il piccino. «Non è vero, mi ha detto una bugia… perché sapeva che non sarebbe più tornato!»
«Ascoltami… per favore.»
Suo padre rivolse lo sguardo verso il cielo, che in quel momento stava riflettendo i colori del tramonto.
«Ieri sera, dopo che ti sei addormentato, la mamma mi ha raccontato tutto. Fin da quando sono andati via, i nostri vicini le hanno sempre detto che il tuo amichetto non vedeva l’ora di tornare qui, in questo quartiere, per giocare con il suo adorato pallone… ancora una volta insieme a te. Ti era molto legato e, anche quando non stava molto bene, ha chiesto sempre alla mamma come stavi. Non voleva rompere la promessa che ti aveva fatto: anche lui, proprio come te, voleva continuare ad allenarsi per diventare un campione nel calcio. Ed è proprio per questo che non devi arrenderti...»
Si interruppe, per poi tornare a guardare il suo amato figliolo negli occhi. «… perché anche lui non l’avrebbe mai fatto. Avete fatto una promessa, e ora tocca a te mantenerla. Non smettere mai di giocare: continua ad allenarti… e diventa un bravo calciatore!»
«Ma io...»
Suo padre prese il pallone e lo porse a suo figlio.
«Ascoltami, Yuzo: tu non sarai mai solo. Ti è sempre piaciuto giocare a pallone, e questo ti ha portato ad avere un amico che lo ha amato come tu hai sempre fatto. Tra poco andrai a scuola… e anche lì sarà lo stesso: avrai nuovi amici, e nuovi compagni con i quali giocherai tutti i giorni. Perciò… perciò non smettere mai di giocare a calcio, se lo vorrai ancora. Io e la mamma faremo sempre il tifo per te, e così… e così anche il tuo amichetto, ne sono certo!»
Yuzo fissò il pallone che il papà aveva ancora tra le mani. All'inizio non rispose nulla; poi, in silenzio, lo prese e lo lanciò con tutte le sue forze verso l’alto.
«Va bene, papà. Lo prometto: mi impegnerò tanto e un giorno… sarò un bravo calciatore…»
Il piccino non distolse mai lo sguardo dal pallone che, arrivato molto in alto, velocemente ricadde al suolo con un sonoro tonfo. Mentre qualche lacrima continuava a rigare le sue guance, rivolse gli occhi lucidi verso la casa del suo amico.
In quel momento gli tornò in mente il suo sorriso nel giorno in cui lo aveva conosciuto e di quel grande sogno che gli aveva confidato, che era anche il suo: continuare a giocare a pallone, e diventare un campione come i loro idoli del calcio.
Anche se, da quel giorno, non l’avrebbe più rivisto... quel sorriso così vivace lo avrebbe silenziosamente accompagnato per il resto della sua vita, nei suoi ricordi.

E lo farò anche per te… lo giuro!





[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Ben ritrovati a tutti coloro che sono giunti fin qui. E… ebbene sì: qui l’atmosfera è decisamente cambiata rispetto alla storia precedente, già. (E non sono ancora sicura di essere riuscita a renderla alla perfezione… gasp. ^^")
Sul testo faccio subito una precisazione: essendo collegato al capitolo precedente (perché passa solo qualche mese tra le due storie), invece qui siamo agli inizi dell'autunno. Nonostante ciò, nell'immagine di testa ho inserito un'immagine della fioritura dei ciliegi che, come tutti ben sanno, cade invece nel periodo primaverile. L'ho fatto solo perché ho trovato quell'immagine significativa per descrivere l'ambiente nel quale ha luogo questo piccolo gruppo di storie, tutto qui!
Premetto che, nonostante io mi stia appassionando a questa serie, io e il calcio viviamo due mondi diversi, perciò vi chiedo scusa se da qui in poi emergeranno diverse “imprecisioni” relative agli allenamenti e al mondo del calcio in generale.
Mi ricordo che quando ero piccola mi divertivo a lanciare il pallone contro la parete dell’abitazione dei miei nonni (che vivevano in un piccolo paese fuori città), per poi riprenderlo proprio con le mani: la direzione della palla era sempre improvvisa, per cui nel mio caso era un ottimo esercizio per allenare i riflessi. Nel mio caso lo facevo per esercitarmi con il palleggio nella pallavolo - anche se non ho mai giocato a livello agonistico - quindi ho pensato di applicare lo stesso principio in questa storia, anche nel caso di un “aspirante portiere” come il nostro protagonista.
Tornando al contenuto di questa seconda parte - che, come avete notato, è molto lunga - al momento ho preferito non dare un nome e un volto ben definito al coprotagonista della fanfiction, il piccolo vicino di casa di Yuzo. L’ho fatto anche per la sua storia che, come avete visto, purtroppo non finisce bene.
Vi confesso che in realtà questa storia è nata da un analogo episodio di cui ho sentito parlare quando ero piccola… Non ero ancora nata quando è successo, e l’argomento del calcio non c’entrava niente; però tale storia mi è sempre rimasta impressa, e prima o poi volevo farne accenno in qualche mio lavoro.
Dunque, quando ho deciso di mettere mani a questa seconda parte, ci tenevo a partire da qui per sviluppare un rapporto d’amicizia che, purtroppo, si è interrotto in modo tragico. Un rapporto che, però, continuerà ad esistere nel cuore del protagonista e che lo spronerà ancora di più ad allenarsi per diventare sempre più bravo, nel ricordo di chi non c’è più.
“Got to keep dancing when the lights go out”, cioè “Dobbiamo continuare a ballare quando si spengono le luci”. Nonostante tutte le difficoltà che incontriamo ogni giorno bisogna andare avanti sforzandoci di sorridere, sempre.
Detto questo, dalla prossima parte in poi si ritornerà con qualche sorriso in più… e meno da leggere! In effetti questa parte è stata piuttosto lunga e intensa, ma non me la sono sentita di dividerla ulteriormente in due sezioni… ^^”
Colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno letto la precedente storia e lasciato un commento. Essendo questa la mia prima pubblicazione in assoluto a tema Captain Tsubasa, sono contenta che come primo tentativo sia andato bene! Vi ringrazio davvero tanto per il supporto <3
Ci vediamo al prossimo aggiornamento!
--- Moriko

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Capitolo 3
*** You as my brother… not my enemy? ***



Everyday life.
「You as my brother… not my enemy?」



"How in the world I am going to see?
You as my brother
… Not my enemy?"




Qualche anno dopo Yuzo era riuscito a superare le selezioni per entrare a far parte della squadra che avrebbe rappresentato la sua città al campionato nazionale esordienti.
Fin dal primo giorno aveva avuto modo di confrontarsi e verificare con i suoi occhi il talento dei vari giocatori, la maggior parte dei quali proveniva da una squadra prestigiosa, formata da calciatori molto bravi: la Shutetsu.
Ora anche lui era lì, nella Nankatsu SC, accanto a quei fenomenali ragazzini della sua stessa età che erano ad un livello superiore rispetto ai suoi compagni di classe e i bambini che, ogni giorno, vedeva nel campetto del parco. E anche gli altri giocatori, provenienti dalle varie squadre della città, non erano affatto male: tutti, in un modo o nell’altro, erano in gamba e riuscivano a dominare il campo da gioco.
Quell’atmosfera di competizione era per lui motivo di stimolo verso un impegno sempre più arduo.
Ottimo!
Sapeva che, solo continuando ad esercitarsi sempre più con i suoi nuovi compagni di squadra, ben presto sarebbe diventato bravo quanto loro.

Durante gli allenamenti quotidiani della squadra il suo interesse si spostava, di volta in volta, dai giocatori in campo agli altri portieri. Dei primi stava attento a prevedere le mosse, mentre dei secondi tutto ciò che poteva essergli utile per capire come essere di supporto al resto della squadra, dalle tecniche al come tuffarsi senza farsi troppo male.
Tra loro, un giocatore in particolare era sempre oggetto della sua attenzione. Si trattava del primo portiere della squadra, un ragazzino di nome Genzo Wakabayashi. Non lo conosceva ancora molto bene; nonostante ciò, di lui sapeva delle sue grandi capacità proprio sul campo da calcio.
Nessuno era riuscito a batterlo: né giocatori provenienti da altre scuole, e nemmeno i più abili della sua stessa squadra. Sembrava essere invincibile.
Di certo - pensò - lui diventerà un grande portiere!
Per Yuzo, quel ragazzino era diventato motivo di grande ammirazione, quasi un modello da seguire.
Ogni volta che era in campo, non lo perdeva mai di vista. Restava fisso a guardarlo, arrivando anche ad immedesimarsi in ogni singolo gesto che compiva.
Fu allora che prese una decisione.
Avrebbe seguito le sue orme, anche a costo di spaccarsi la schiena se fosse stato necessario.

Al termine degli allenamenti Yuzo si appartò dal resto del gruppo, mentre gli altri si diressero verso gli spogliatoi. Non gli fu molto difficile, dato che solitamente era sempre l’ultimo ad uscire dal campo da calcio.
Accertatosi della completa assenza di persone tornò ad allenarsi e, quella volta, lo fece da solo.
In realtà sarebbe stato meglio se ci fosse stato un compagno che lo avesse aiutato con i tiri; tuttavia, in quel momento, preferì che non ci fosse nessuno che lo vedesse. Aveva bisogno di concentrarsi, ricordandosi di tutte le mosse che quel prodigio aveva fatto in quella giornata.
Chiuse gli occhi.
Ogni volta immaginava che il pallone arrivasse nell’area di rigore e, ogni volta, compiva un particolare movimento nella direzione nella quale aveva pensato che arrivasse il pallone. Così, continuando a tenere gli occhi chiusi, correva e saltava da un lato all’altro della porta rischiando, a volte, di finire inavvertitamente contro i pali.
Ma a lui non importava di farsi male. Con questo esercizio era certo di riuscire ad imitare la persona che ammirava di più, senza che lui se ne accorgesse.
All’improvviso, però, una voce a lui piuttosto familiare richiamò la sua attenzione.
«Ehi, ti stai ancora allenando?»
Yuzo sobbalzò e, nell’aprire gli occhi mentre stava saltando di nuovo, si bloccò in tempo per non far sbattere la testa contro il palo: non si aspettava che qualcuno lo stesse osservando.
Nel voltarsi nella direzione di quella voce che aveva appena udito, vide di nuovo quel ragazzino eccezionale al quale era difficile fare un gol.
A quella vista, vergogna e imbarazzo colorirono le guance di Yuzo di un acceso rosso fuoco.
Caspita… che figuraccia!
Iniziò a balbettare parole sconnesse, visibilmente confuso. «N… no! Stavo… ecco…»
Cosa ci faceva lui, ancora lì? Era solito, dopo gli allenamenti, tornare subito a casa per allenarsi con il suo coach; invece, proprio quel giorno, anche lui aveva deciso di trattenersi su quel campo della loro scuola!
In quel momento Yuzo voleva solo sprofondare.
Accidenti! Di sicuro mi ha visto saltare ad occhi chiusi come uno scemo…e senza sapere il perché!
Ma, mentre la sua mente era sempre più in preda al panico, quel ragazzino gli lanciò un asciugamano, che finì dritto sul suo volto.
«Fai bene, mai abbassare la guardia!»
L’altro lo guardò con molto stupore. Finora tra loro non c’erano stati molti scambi di battute e, a prima vista, sembrava essere un bambino molto riservato. Invece, anche se non sapeva ancora il perché, da quella semplice frase e da quel gesto sentì nel profondo del suo cuore gentilezza e disponibilità.
«Se ti va, ti aiuto un po’!» proseguì Genzo, dirigendosi verso la panchina. «Con un vero pallone e un compagno di squadra sarà più facile!»
Yuzo lo seguì con lo sguardo, ancora visibilmente sorpreso.
Non poteva crederci: si sarebbe allenato proprio con lui. E il tutto senza nemmeno implorare il diretto interessato!



«Ahia, che male!»
Yuzo cadde a terra dopo aver afferrato l’ennesimo pallone che Genzo gli aveva lanciato. Guardò soddisfatto il suo compagno, mentre stringeva ancora tra le mani la palla.
L’altro si avvicinò a lui e gli si sedette accanto.
«Perché sei qui?»
«Mi sto allenando, perché?»
«Sì, l’avevo capito ma… Da quando sono in questa squadra, è la prima volta che vedo uno come te.»
«Dici… dici che non sono molto bravo a giocare a calcio?»
Yuzo iniziò a sentirsi in ansia per l’ultima affermazione dell’altro portiere. Pensò che forse quegli interminabili minuti di allenamento supplementare non erano serviti a niente: per un genio come Genzo, allenarsi con uno come lui poteva solo essere una perdita di tempo.
«Ti prego!» esclamò, chinando la testa e chiudendo gli occhi. «Voglio ancora allenarmi con te! Voglio essere più forte!»
«Bravo, così si fa!»
A quelle parole Yuzo alzò gli occhi verso di lui, e fu così che lo notò.
Lo sguardo di quel ragazzino gli fu motivo di rassicurazione: gli stava rivolgendo un sorriso divertito, che sembrava essere pieno di orgoglio; il suo volto era raggiante, come se avesse avuto di fronte a sé qualcosa che aveva suscitato un grande interesse.
«Quando ti ho visto, ho subito pensato ad una cosa. Tutti noi siamo qui proprio per giocare a calcio e diventare più forti in questa squadra. Ed è così: noi, in un modo o nell’altro, siamo bravi e, per questo, a volte non ci mettiamo molto impegno nei nostri allenamenti, perché siamo convinti di essere già molto forti. Invece tu… tu sei diverso. Sei il primo che vedo allenarsi così tanto anche fuori dall’orario… e già durante gli allenamenti fai molto. Saresti un buon esempio per tutti noi!»
… no.
Forse aveva sentito male. Lui… un esempio per i suoi compagni di squadra? Se l’avesse raccontato a qualcuno, sicuramente nessuno ci avrebbe creduto.
Yuzo incrociò le braccia e mise su un’espressione seria. «Ma io non sono bravo come te. Vedi? Finora tu sei riuscito sempre a cavartela in tutte le partite; invece io ho commesso un sacco di errori, e anche se ti guardo per capire le tue tecniche… non riuscirò mai ad essere come te! Però… però non mi arrenderò: continuerò ad allenarmi, e prima o poi ti raggiungerò!»
Genzo sorrise di nuovo.
«Ci riuscirai, ne sono certo! Anche tu sarai un ottimo portiere… anzi: d’ora in poi dovrai impegnarti a farlo perché, se un giorno dovessi infortunarmi, solo tu sarai in grado di sostituirmi. Sei molto determinato, e solo le persone così diventeranno molto forti!»
Per un istante, Yuzo continuò a guardarlo sorpreso. Poi, d’impulso, iniziò a sorridergli.
Da quelle ultime parole, finalmente capì le reali intenzioni di quel ragazzino. Le aveva dette per incoraggiarlo di certo ma, dopotutto, proprio perché le pensava davvero.
«Ti… ti ringrazio...» disse. Il suo cuore era felice e rasserenato: i complimenti di un compagno abile come Genzo erano stati la sorpresa più bella della giornata.
«Posso chiederti una cosa?» proseguì l’altro, «Come mai vuoi essere proprio un portiere?»
In quel momento dal cielo iniziò a cadere qualche goccia di pioggia; ma entrambi non se ne curarono, soprattutto Yuzo che doveva ancora rispondere alla domanda del suo compagno di squadra.
Avvertì come una stretta al cuore. Nonostante fossero trascorsi alcuni anni, il ricordo del suo amico era ancora molto doloroso, al punto da essere addirittura soffocante per lui. Ogni volta che ritornavano alla mente le immagini di quel piccolo vicino di casa e della sua gioia contagiosa, gli mancava il respiro.
«Sai...» disse Yuzo sottovoce, con un sorriso questa volta malinconico, «… tempo fa ho fatto una promessa...»
«A chi?»
«Al mio amico. Con lui giocavo sempre a pallone, e insieme abbiamo promesso di diventare più forti, io come portiere e lui come attaccante. Solo che… alla fine sono rimasto solo, perché lui...»
Mentre le lacrime iniziavano a scivolargli dagli occhi, alzò lo sguardo verso il cielo. Le gocce di pioggia caddero sulle sue guance, mescolandosi a poco a poco con le lacrime che continuavano a scendere copiose.
Yuzo si asciugò gli occhi e rivolse lo sguardo verso il suo compagno; allora il suo sorriso diventò più raggiante e sereno.
«Perciò, vedi: lo faccio anche per lui, ed è proprio per questo che non smetterò mai di allenarmi! Anche lui, come me, si impegnava ogni giorno per diventare un bravo calciatore… e voleva farlo con me. Voleva essere molto forte, cosicché un giorno… arrivare a giocare anche nella Nazionale!»
Genzo si alzò e osservò il suo compagno con orgoglio. L'entusiasmo di quel ragazzino e quel grande sogno che aveva - che, in fondo, era anche il suo - lo aveva colpito nel profondo.
«Sono certo che ci riuscirai… anche se un giorno diventeremo rivali!»
La pioggia iniziò a cadere più fitta. Genzo gli offrì una mano per aiutarlo a rialzarsi.
«Su, andiamo. Per oggi abbiamo finito; se restiamo qui ancora per molto, rischieremo solo di prenderci un bel raffreddore!»
Yuzo afferrò la sua mano.
Ora ne era certo. Avrebbe continuato ad allenarsi per mantenere la sua promessa ma, da quel giorno, sapeva di non essere più da solo.
Al suo fianco aveva trovato un nuovo compagno di viaggio, con il quale condividere i suoi progressi e verso il quale aveva iniziato a nutrire un profondo rispetto.
Forse un giorno, terminato il percorso scolastico delle elementari, i due sarebbero finiti in squadre diverse; probabilmente un giorno sarebbero diventati rivali, ma il tempo che avrebbero condiviso insieme fino a quel momento sarebbe stato prezioso per diventare sempre più forte, seguendo le orme di quel prodigio.

Andrà tutto bene… ne sono sicuro!





[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Ed eccoci giunti alla penultima parte di questa breve raccolta! Qui abbiamo fatto un bel balzo in avanti con gli anni, arrivando alla prima comparsa di Yuzo nella serie di Captain Tsubasa! Piccola nota: la storia è ambientata subito dopo la formazione della nuova squadra, e prima che Yuzo sostituisse Genzo nel campionato nazionale (foreshadowing! XD)
Qui non avrei molto da aggiungere… se non che nei giorni scorsi mi sono scervellata per capire da quale squadra provenisse Yuzo prima di entrare nella Nankatsu SC. (E ringrazio stellaskia e Melanto per avermi sopportata, LOL)
Davvero, è un mistero. Non ve la faccio lunga perché ce ne sarebbe da scrivere, però sappiate che per questa storia mi sono basata sull’informazione più recente che c’è in circolazione e che viene dall’ultimo databook, il Captain Tsubasa 3109 Nichi Zenkiroku, un volume di 320 pagine con tutti i dati sui giocatori che sono comparsi nella serie ufficiale, le formazioni, le partite, i riferimenti a giocatori e eventi reali, e così via. Lì, a pagina 69 sono elencate le varie scuole dalle quali provengono alcuni giocatori della serie, e… indovinate un po’? Yuzo compare tra gli unici due giocatori inseriti nella sezione "Altro" (l’altro è Masao Nakayama, che poi farà parte del famoso “Quartetto dell’Otomo”).
Se questa non è sfortuna: già che c'erano non potevano inserire al fianco dei loro nomi anche quello delle squadre, così da chiarire le idee? No, eh? XD
Come tutti ben sanno, la Nankatsu SC è formata da giocatori provenienti da cinque scuole, e l’unica che non configura in quell’elenco - o, meglio, l’unica che è finita nella famigerata sezione “Altro” - è la Mizukoshi, della quale sappiamo solo che ha sfidato la Shutetsu nel capitolo 3, perdendo ben 7 a 0. (E, perdonatemi se lo dico, nel manga quello che difendeva la porta della Mizukoshi non mi sembrava Yuzo: che anche in quell’occasione fosse in panchina, oppure l’autore ha voluto aggiungere questo personaggio solo successivamente nella serie? Ma questa è un’altra storia…)
Insomma: tutta questa bella frittata non cambia il concetto che volevo trasmettere con la storia di oggi. “You as my brother / … not my enemy?”, cioè “(Vedo) te come mio fratello / … e non come mio nemico?”, per sottolineare il profondo legame di rispetto che lega i due portieri della Nankatsu SC. Tutto qui. :3
Come al solito vi ringrazio per essere giunti fino a qui, ci vediamo al prossimo aggiornamento!
--- Moriko

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Capitolo 4
*** Hold tight for everyday life ***



Everyday life.
「Hold tight for everyday life.」



"'Cause everyone hurts
Everyone cries
Everyone sees the colour in each other's eyes
Everyone loves
Everybody gets their hearts ripped out
Got to keep dancing when the lights go out
Gonna keep dancing when the lights go out
Hold tight for everyday life
Hold tight for everyday life"




Finalmente, Yuzo era riuscito a realizzare il suo sogno.
Era arrivato fino a quel punto dopo anni di intenso impegno e, accanto a lui, molti compagni che l’avevano sempre incoraggiato.
Fin da piccolo aveva iniziato un percorso sempre più difficile, affrontando avversari sempre più forti e, nella maggior parte, uscirne sconfitto. Nonostante ciò, proprio quelle sconfitte gli avevano dato altrettanta determinazione e coraggio per non lasciarsi vincere dallo sconforto.
Non arrendersi mai. Questo, da sempre ma in modo particolare negli ultimi anni, era il suo motto.
E, anche se in quel momento non riusciva ancora a crederci, anche lui ce l’aveva fatta, proprio grazie alla sua risolutezza e alla voglia di provarci ancora nonostante gli insuccessi che aveva avuto.
Tutti i suoi compagni avevano ragione, in particolare Genzo Wakabayashi: la sua fermezza era stata determinante per arrivare fino a quel momento.
Quello in cui, anche lui, era entrato a far parte della squadra della Nazionale.


In quel momento, mentre si stava rimettendo in porta prima dell'inizio del secondo tempo, molti pensieri stavano affollando la sua mente.
Osservò lo stadio gremito di gente, e i suoi occhi si posarono su ogni dettaglio: le luci intense che illuminavano l’area di gioco; l’odore dell’erba sintetica che ricopriva il campo; le forti urla dei tifosi che provenivano dagli spalti.
Era stato su un campo da calcio un sacco di volte ma, quel giorno, tutti quei dettagli gli parvero essere diversi.
Perché quel giorno, per tutti coloro che erano presenti in quel luogo… era unico e irripetibile.
La prima partita dei Mondiali stava per riprendere.
E anche lui era lì, grazie al supporto di tutti che, a poco a poco, avevano iniziato ad avere fiducia nella sua forza.
A cominciare dai suoi genitori, le prime persone che lo avevano visto giocare con un pallone e che ora lo stavano guardando con trepidazione dalle tribune. Suo padre e sua madre che, fin da piccolo, lo avevano sempre spronato a continuare a giocare a calcio, facendo il tifo per lui e incoraggiandolo ad andare avanti, senza lasciarsi abbattere dalle difficoltà.
Ma in quello stesso campo c’erano anche i suoi amici: con alcuni dei quali aveva giocato nella stessa squadra fin dalle elementari; altri, invece, erano stati prima suoi avversari e poi, a poco a poco, erano anche loro diventati suoi compagni di squadra. Tutti loro erano persone speciali e straordinarie, grandi giocatori che, colpiti dalla sua forte determinazione, lo avevano sempre sostenuto in tutto ciò che faceva per la sua squadra.
E, infine, anche se non poteva vederlo… sapeva che, da qualche parte in quel luogo, c’era anche lui. Il suo amico d’infanzia dal quale si era dovuto separare a denti stretti per un destino infausto e che, con la sua semplicità e tenacia, gli aveva ricordato che per diventare dei bravi giocatori bastava impegnarsi molto e non arrendersi mai.

«Magari giocheremo a calcio anche quando saremo grandi... e sarebbe fantastico se riusciamo ad entrare nella Nazionale! Pensa che bello!»

A quel ricordo Yuzo si portò una mano sul petto e sorrise.
Hai proprio ragione. Se oggi siamo qui, è perché tutti contano su di noi per la vittoria!
Alzò gli occhi verso il cielo, mentre il suo cuore iniziava a battere all’impazzata. Sapeva che non sarebbe stato facile superare questa ennesima prova, ma ne era certo.
Ora, tutta la squadra poteva contare anche sul suo aiuto.





Quando riaprì gli occhi, Yuzo rivolse lo sguardo verso il cielo attraversato dai forti colori del tramonto.
Pochi minuti prima, il triplice fischio dell’arbitro aveva segnato la fine di una partita estenuante, seguita dai meritati festeggiamenti per la prima vittoria del Giappone. In tutto questo, in attesa della cena che avrebbe condiviso con i suoi compagni, dopo la consueta doccia aveva deciso di ritornare in quel luogo che amava così tanto. Voleva godersi di quell'attimo di pace, prima di ritornare alla quotidianità.
Felicità e serenità pervasero il suo animo. Laggiù, era proprio a suo agio: avrebbe voluto che quel momento di pace durasse il più a lungo possibile, prima che qualcuno dei suoi amici più stretti lo prendesse per le spalle e lo trascinasse verso il ristorante, in una città sconosciuta che stava proprio iniziando a risplendere tra le luci dei palazzi e dei locali, sotto il cielo dove il tramonto stava lasciando il passo alla sera.
Ma a lui non importava se il luogo dove si trovava non fosse la tranquilla cittadina dove era cresciuto. Era in ottima compagnia, e ciò gli bastava per concludere al meglio quella bella giornata segnata dalla vittoria della sua squadra.
Il cielo sembrava essere lo stesso riflesso della sua anima. I colori del tramonto stavano lentamente cangiando, dal rosso acceso ad un viola sempre più opaco fino a lasciare spazio ad una scia di stelle brillanti, sullo sfondo della notte che pareva quasi nera.
Ammirando quel meraviglioso spettacolo astrale, il cuore del portiere si riempì di gioia e energia.
Spalancò le braccia e chiuse gli occhi.
Da quel giorno avrebbe iniziato un nuovo percorso e, a quel pensiero, non vedeva l'ora di godersi tutte le grandi soddisfazioni che la vita gli avrebbe riservato nella sua passione per il calcio.


Tieniti forte, Yuzo Morisaki.
Il meglio deve ancora arrivare.






[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Lo sapete tutti, cari lettori e scrittori. Le fanfiction esistono per un principale scopo: quello di realizzare i sogni segreti di chi scrive.
E il mio sogno che oggi vi mostro è quello di vedere Yuzo Morisaki tra i giocatori giapponesi del FIFA World Cup (sì, lo so: forse sto galoppando troppo con la fantasia, visto che nella serie ufficiale siamo ancora alle Olimpiadi, e lì le partite sembrano essere infinite, per cui… ci vorrà ancora molto, moooolto tempo! :3)
Comunque, tornando a noi! Questa era l’ultima parte: un po’ breve, ma riassuntiva di tutto ciò che ho pubblicato finora. “Hold tight for everyday life”, cioè “Tieniti forte per la vita di tutti i giorni”: per un giocatore, la vita di tutti i giorni è rappresentata dalle partite nei campi da calcio, dove ogni partita porta sempre qualche novità per i giocatori.
Ogni partita è sempre l’inizio di un nuovo capitolo del proprio percorso, e in un mondo dove “Yuzo Morisaki” spesso è anche il sinonimo di una persona molto sfortunata… per una volta, volevo che diventasse il sinonimo di una persona che ce la fa ad arrivare lontano, che grazie alla propria tenacia diventa sempre più forte, che - sì, prendetemi a padellate per ciò che sto per dire - milita fin da subito come portiere della Nazionale! (Anche se l’ultima cosa che voglio è vedere Genzo e Ken fuori gioco: possibile che tutti i portieri siano un po’ sfortunatelli in questa serie? ;__;)
Per tale motivo in questa storia ho fatto scendere in campo Yuzo nel secondo tempo, nella primissima partita dei Mondiali. Mi sembra una scelta plausibile, considerato che è un portiere sostituto e che i più forti restano Genzo e Ken. Ed io auguro il meglio anche per loro, ovvio! :3
Detto questo, ringrazio tutti coloro che hanno seguito questa raccolta. Per essere stata la prima che ho pubblicato su Captain Tsubasa ha riscosso un discreto successo, ed io ne sono contenta. Era da tempo che non scambiavo piacevoli chiacchierate con chi è in questo mondo prima di me: è stato fantastico e sono felice che questo gruppo di storie sia stato così apprezzato! (*°▽°*)
Cosa dire più? Grazie a tutti, alla prossima!
--- Moriko

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