Una nave per Nove

di Mannu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Una nave per Nove
1.

Diario personale del sottotenente Miranda Alterman, ufficiale scientifico della U.S.S. Starfender.
Finalmente il turno di servizio è terminato! Th'Karr è certamente un ottimo ufficiale tattico: un klingon tutto d'un pezzo, degno appartenente alla stirpe di Kahless dalla testa ai piedi, barba e baffi. Ma spesso è troppo duro ed esigente. Rimpiango il comandante Nove: può non sembrare rassicurante avere un mezzo borg seduto sulla poltrona al centro del ponte, anche se il comandante ha già dato ampiamente prova di meritare tutta la fiducia dell'equipaggio. Ma non c'è paragone con un primo ufficiale klingon temporaneamente al comando della nave... quasi preferisco fare i doppi turni alla cartografia stellare con Sular, il vulcaniano di ghiaccio. Viene spontaneo pensare che nonostante la giovane età si sia sottoposto al kolinahr, ma nessuno dell'equipaggio ha ancora avuto il coraggio di chiederlo a lui. Non sarò io a farlo.
E che dire del caitiano di rimpiazzo? Quasi novanta chili di gattone antropomorfo, con tutto quel bel pelo scuro e corto, a eccezione del muso... o dovrei dire viso? Devo dire che si fa molta fatica ad abituarsi alle unghie, ai denti, alla coda... voglio dire, ho avuto anche io un gatto in casa, ma questo è alto quasi due metri! Ogni tanto mi viene l'impulso fortissimo di accarezzargli la testa e di grattarlo dietro le orecchie, ma mi passa subito. Anche perché non ci arrivo. È un sottotenente tattico, una vera rarità per un caitiano: fresco di Accademia, ovviamente ha fatto subito le scintille con Th'Karr. Non tutti i caitiani sono pacifisti convinti, evidentemente. Fa impressione vedere un gattone con l'uniforme della Flotta Stellare (tranne gli stivali, è digitigrado ovviamente) che parla lo standard e fa bene tutto quello che un buon ufficiale deve saper fare. In più riesce a tenere testa a un klingon: se non per la forza fisica, almeno in aggressività non è da meno.
Tutto questo caos per via del fatto che i colleghi medici dell'attracco spaziale terrestre hanno finalmente trovato un modo per staccare dalla testa del comandante Nove quell'orribile protesi borg. Senza ucciderla, intendo. Non posso negare di essere in ansia per lei. Noi qui, a divertirci al confine romulano acchiappando qualche incauto contrabbandiere quando va bene... Th'Karr non lesina l'energia ai phaser. Ma lei sotto i ferri del chirurgo... per modo di dire, naturalmente.
Vorrei che fosse qui con noi, anche se con quegli orrendi aggeggi attaccati alla testa.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Una nave per Nove
2.

- Ghuy'cha! - sbraitò il klingon rivolto all'impassibile interfaccia LCARS del monitor sul tavolo - Computer, non tradurre! - si affrettò ad aggiungere. Furioso, misurò l'alloggio con lunghi passi trattenendo ulteriori bestemmie.
- La seconda richiesta respinta in tre settimane! Ma cosa passa per la testa a quei rammolliti del Comando? Credono forse che senza il comandante Nove noi della Starfender si debba stare al sicuro, lontani da possibili guai? Ci credono incapaci di operare e ci mandano qui, a fare da balia ai romulani! A tenere lontani dai loro confini quei... piazzisti falliti dei ferengi. Cani da guardia! Di pattuglia nello spazio profondo, dicono... ma alla fine non troppo lontani dalla Base Stellare 39 Sierra. Come cuccioli di targh, mai troppo lontani dalla madre!
Il suo sguardo furioso cadde sull'interfaccia LCARS: il computer di bordo stava diligentemente registrando tutto. Th'Karr si era lasciato trasportare dall'ira mentre preparava la risposta al messaggio del Comando della Flotta Stellare che gli confermava l'ordine di mantenere la posizione e pattugliare la zona assegnata, una piccolissima fetta del lungo confine tra lo spazio della Federazione e quello dell'Impero Stellare Romulano. Uno spazio quasi del tutto vuoto, a parte qualche occasionale, patetico tentativo di attraversamento da parte di incauti “commercianti”.
- Computer, cancella tutto. Anzi, annullare la risposta!
Il klingon accolse il trillo flautato che confermava l'esecuzione del comando digrignando i denti limati. Poi fu il segnale acustico della porta a sovrastare il rombo del sangue nelle orecchie del combattivo ufficiale.
- Avanti! - disse impettito, cercando di assumere l'atteggiamento consono a un tenente comandante della Flotta Stellare. Senza dimenticare di essere klingon.
- Sottotenente M'Namann a rapporrto, comandante.
Sintesi di felina eleganza e potenza anche mentre se ne stava sull'attenti, il caitiano attendeva indecifrabile.
- Ebbene? - Th'Karr represse l'istinto di essere molto più sbrigativo, anche se sapeva perfettamente che il caitiano non avrebbe potuto apprezzare quelle finezze degne di un terrestre.
- Chiedo il perrmesso di parlare liberamente.
- Accordato.
Senza abbandonare la postura sull'attenti, il massiccio felino si espresse con schiettezza e insolito eloquio.
- Certo di interrprretare il desiderio unanime degli ufficiali e di tutto l'equipaggio, le chiedo molto corrtesemente di inoltrrarre richiesta presso le autorità mediche dell'attracco spaziale terrestre al fine di riceverre notizie del comandante Nove di Ventuno.
M'Namann aveva qualche lieve difetto di pronuncia: le erre sembravano uscire soffiando dal suo naso o dal petto, ora sotto forma di fusa, ora di ruggito basso e represso. Invece di renderlo ridicolo, quel piccolo problema lo rendeva... inquietante. Th'Karr non conosceva felini temibili predatori, mentre sapeva perfettamente che sul pianeta degli umani ve n'erano diversi, tutti cacciatori eccellenti e temutissimi. Si rendeva conto che mentre lui non si sentiva affatto minacciato, per la maggioranza terrestre dell'equipaggio non era affatto così. Superiorità klingon, pensò con orgoglio.
- Con me!
A grandi passi il klingon raggiunse il ponte di comando, seguito dal silenziosissimo caitiano. Qui il guardiamarina Brax, una giovanissima e dolce trill non unita, si occupò dell'apertura di un canale subspaziale. Pochi minuti dopo l'ordine del comandante, sullo schermo apparve un capitano medico della stazione in orbita terrestre.
- Al momento il comandante Nove è ancora in sala operatoria. Ci sono state delle... inattese complicazioni e non è stato possibile rispettare i tempi dell'intervento come previsto.
Interpretando le espressioni degli ufficiali sul ponte, il capitano medico si affrettò ad aggiungere che non c'erano motivi di temere alcunché.
- Si tratta di un intervento complesso, mai esente da rischi. Abbiamo a lungo lavorato per ridurre al minimo questi rischi e continueremo a lavorare per mantenere le possibilità di fallimento le più basse possibile.
- Bene! - esclamò Th'Karr, impacciato. Nel suo cuore echeggiavano parole radicalmente diverse.
- A nome dell'equipaggio della Starfenderr, desidero ringraziarre lei e tutto l'equipe medica che si sta occupando della salute del comandante Nove.
Con grande sorpresa di tutti gli ufficiali sul ponte, peraltro piuttosto ben celata, il caitiano ultimo arrivato aveva audacemente preso la parola. Il collegamento si chiuse di lì a poco con gli usuali convenevoli e le formule di rito molto usate dagli umani. Th'Karr lasciò che fosse il caitiano a occuparsene, visto che sembrava così a suo agio nella comunicazione con gli umani.

Il capitano rimase a guardare pensieroso il simbolo della Flotta Stellare che aveva sostituito le immagini provenienti dalla Starfender. Incrociò le braccia dietro la schiena, chiedendosi se era stato giusto fare quello che aveva appena fatto. Il suo assistente lo raggiunse alla console delle comunicazioni.
- Capitano, il dottor Steiner chiede il permesso per l'attivazione di un campo di smorzamento subspaziale di livello tre.
Il capitano si voltò verso il giovane assistente, il viso come una maschera di pietra.
- È lei?
- Sì capitano. Sta tornando al Collettivo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Una nave per Nove
3.

Virma Brax seduta al tavolo della sala da pranzo dell'equipaggio si godeva la sua tazza di raktajino appena uscita dal replicatore. La Starfender era una nave di classe Miranda e non aveva certo a disposizione gli spazi ricreativi di una classe Galaxy, ma la saletta dove i duecento membri dell'equipaggio consumavano i pasti su quattro turni era più che decente, confortevole soprattutto ora che non c'era nessuno.
- Posso?
Alzò gli occhi e sorrise. Il sottotenente Alterman stava occupando il posto di fronte a lei.
- Prendi qualcosa? - alzò la tazza di raktajino fumante.
- No, grazie, altrimenti poi non dormo. Mi cercavi?
- Sì... nulla di importante, ma sai... con i turni in plancia non abbiamo mai il tempo di fare quattro chiacchiere. In realtà è una vera sciocchezza, ma... potrebbe essere una cosa carina... pensavo a un regalo per il comandante. Per il suo ritorno, intendo.
- Un regalo? - Alterman aveva usato un tono interrogativo, ma in realtà il suo cervello era già al lavoro.
- Sì, lo so che sembra un'idea sciocca, e forse lo è davvero. Ma mi sembra davvero una cosa carina.
Brax era imbarazzata: non era necessario essere empatici per capirlo. Si ripeteva, spostava lo sguardo tutto intorno, tentennava. Alterman era un ufficiale scientifico e lavorava spesso fianco a fianco col vulcaniano Sular. Giovane, ma già tutto d'un pezzo e capace di esercitare una stretta d'acciaio sui propri sentimenti. Forse lei aveva istintivamente assorbito un po' di quel granitico autocontrollo?
- Hai anche già pensato a cosa regalarle? E quanti siamo?
- Siamo in quattro, cinque se accetti anche tu. Per il resto... no, non ho la minima idea di cosa regalare a una donna mezza borg.
- Nemmeno io. Non la conosco così bene. Sono stata al suo tavolo diverse volte, ma la conversazione è sempre stata entro parametri molto formali. Non ho ben chiari i suoi gusti.
- Beh, una cosa è certa – esordì Brax incoraggiata da un sorso della bevanda klingon simile al caffè – le piacciono le gonne corte.
- Vero. Le indossa spesso. E sempre senza calze. Con i naniti borg nel sangue non sente il freddo. Credo.
Alterman sorrise complice, cercando di incoraggiare la trill ancora imbarazzata. Si rese conto all'improvviso che nonostante i mesi di servizio già trascorsi insieme, e perfino qualche disavventura, non conosceva davvero bene nessuno degli ufficiali del ponte.
- Direi di lasciar perdere il vestiario, non vorrei sbagliare taglia e offenderla... sai com'è... - Brax si lasciò andare e mimò con le mani davanti al petto il seno abbondante del comandante Nove di Ventuno.
- Ma gli altri chi sono? Non ti hanno suggerito nulla? - Alterman sorrise ancora, lieta di vedere che il guardiamarina trill si stava sciogliendo un po'.
- Ho chiesto a Sular, che mi ha detto “parteciperò volentieri concorrendo a eventuali spese o impegni logistici, per quanto mi sarà possibile” o qualcosa del genere – Brax cercò di imitare il tono impostato dell'ufficiale scientifico di bordo – B'lagg ha proposto una spezia di Bolarus, subito scartata perché tossica perfino per i borg... mentre Th'Karr...
Il sorriso scomparve dalla faccia del sottotenente. Afferrò delicatamente un polso della trill, interrompendola.
- Sei andata a chiedere al klingon?
- Ho fatto male?
Alterman sgranò gli occhi per la sorpresa.
- No, no... hai più fegato di quello che si direbbe a prima vista.
La trill ci pensò un poco, poi chiese:
- È un complimento umano, vero?
- Certo. Non ha nulla a che vedere con le dimensioni dei tuoi organi interni.
A metà del colorito racconto di ciò che era successo tra la trill e il klingon suonò l'allarme giallo.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Una nave per Nove
4.

L'ufficiale alle comunicazioni premette meglio l'auricolare e scosse la testa.
- Nessun segnale, comandante. Siamo isolati da ogni canale della Flotta.
- Timoniere, mantenere la distanza. Signor Sular?
- L'analisi dei sensori indica un ordigno di qualche tipo. Sembra inattivo, o solo parzialmente funzionante. Danneggiato, probabilmente.
Il klingon sulla poltrona di comando si accarezzò la barba mentre pensava al da farsi. Indagare su un'anomalia rilevata dai sensori a lungo raggio si stava rivelando più impegnativo del previsto.
- Non c'è modo di essere più precisi?
Il vulcaniano non guardò nemmeno i propri strumenti.
- Non a questa distanza.
Th'Karr digrignò i denti all'implicito insulto, ma si chiese se ve ne fosse stata l'intenzione. BaQa'! Indossare la divisa della Federazione mi sta rammollendo, pensò prima di ordinare una rotta di intercettazione a pieno impulso.
- Passare all'allarme rosso!
Sul ponte echeggiò il noto triplice segnale acustico e le luci virarono al cremisi.
- Signor Sular!
- I sensori sono molto più precisi ora e... comandante, le consiglio di ridurre la velocità.
Th'Karr ordinò mezzo impulso e la Starfender rallentò sensibilmente. Le immagini sullo schermo principale erano quelle della mappa tattica, un reticolo fitto di informazioni. Appesi all'icona del loro bersaglio lampeggiavano dati sempre più precisi e numerosi.
- Si tratta senza dubbio di un ordigno esplosivo ad alto potenziale. Gli strumenti indicano evidenti indizi della presenza di tricobalto, ma c'è dell'altro.
- Mine! - sbraitò il klingon. Subito dopo ordinò macchine ferme.
- Esattamente, comandante. Mine romulane, dotate di un dispositivo di occultamento. Ne vediamo una sola poiché dev'essersi guastata, ma è estremamente probabile che ve ne siano altre.
La tranquillità del vulcaniano non era trasmissibile al resto degli ufficiali sul ponte che si scambiarono bisbigli preoccupati. Th'Karr si alzò dalla poltrona di comando con lentezza, guardandosi intorno come se potesse vedere attraverso lo scafo, come se potesse individuare le mine occultate a occhio nudo.
- Siamo finiti in un campo minato – ringhiò. Nessuno ebbe il coraggio di commentare.
- Signor Sular, dobbiamo uscire da questa situazione.
- Concordo, comandante – fu la logica risposta.
- Che possibilità abbiamo di fare una mappa del campo minato e trovare una via d'uscita?
- Impossibile dirlo con i dati attualmente a nostra disposizione.
Il klingon riflettè per un paio di secondi, poi propose la sua idea.
- E se facessimo semplicemente macchine indietro fino a uscire?
- Potrebbe non essere una buona idea senza sapere dove sono le mine. Un minimo errore potrebbe essere fatale.
Logico, pensò l'ufficiale klingon.
- Se facessimo saltare la mina guasta apriremmo un varco tra le altre! - propose febbrile il comandante Th'Karr.
- Forse. Forse le mine circostanti si attiverebbero e ci verrebbero addosso, anche se avessero già perso i contatti con quella guasta – ribatté il vulcaniano che non aveva mai smesso di lavorare alla sua console.
- Ci sarà qualcosa che possiamo fare! - sbraitò il klingon battendo un pugno sul bracciolo della poltrona.
- Evitare decisioni affrettate. Sono mine di produzione romulana, purtroppo. Imprevedibili.
- Disinnescarle?
- Ci sto lavorando. Le mine comunicano con protocolli pesantemente cifrati. Sbagliare potrebbe avere un esito che definirei senz'altro... spiacevole.
- Attendo aggiornamenti, signor Sular.
- Come le ho già detto comandante, ci sto lavorando. Nel frattempo gioverebbe ridurre la nostra segnatura energetica spegnendo tutti i sistemi non indispensabili.
- Concordo – ringhiò il klingon e cominciò a dare ordini in proposito.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Una nave per Nove
5.

Gli sguardi dei medici erano tutti puntati sulla camera dove Nove di Ventuno portava a termine il decorso postoperatorio. La stessa camera dove era attivo un campo di smorzamento per impedire che Nove contattasse il Collettivo Borg con un segnale subspaziale per chiedere aiuto.
- Abbiamo fatto il terzo trattamento per riprogrammare le sue nanomacchine – disse il capitano medico Anderson, un umano squadrato che portava sul viso i segni di un'età che non coincideva con quella anagrafica. Al suo fianco il dottor Steiner, il chirurgo civile che aveva operato.
- Quello del capitano Nove di Ventuno è un ottimo caso di studi. Il primo tentativo di liberazione è andato a buon fine e quest'ultimo intervento potrebbe essere decisivo per...
- Dottore. Nove è una persona, un ufficiale della Flotta Stellare, non una cavia – Gelido, Anderson parlò senza nemmeno guardare l'anziano medico che indossava ancora il camice verde.
- Ma certo, ma certo... mi riferivo unicamente alla interessante mole di dati che è stato possibile raccogliere. Niente altro, davvero.
Steiner, imbarazzato per essere stato equivoco, non tentò di interrompere il freddo silenzio che era subito calato. Concentrò l'attenzione sulla paziente sdraiata sul lettino, visibile attraverso una finestra sul lato della camera lunga e stretta.
- Infermiera! - chiamò dopo pochi secondi. Una caitiana dal pelo dorato gli si fece subito vicina.
- Quando la paziente ha aperto gli occhi?
La caitiana consultò il PADD che teneva tra le mani e rispose con precisione.
- Un minuto e trentasei secondi fa, dottore.
- Altri segni di attività? - volle sapere Anderson, ancora rivolto verso Nove.
- Tutti i segni vitali sono invariati. È ancora più con “loro” che con noi, signore.
Anderson si girò per ringraziare l'infermiera specializzata che si congedò con un aggraziato inchino per tornare ai suoi doveri.
- I protocolli di liberazione parlano chiaro, capitano Anderson. Possono volerci ore, giorni. Ma sarà libera.
- Lo so, Steiner. Lo so.

Per una sorta di pudore non spiegabile per un klingon, Th'Karr non aveva mai occupato l'ufficio del comandante adiacente la plancia. Teneva tutte le riunioni con i suoi ufficiali proprio lì, sul ponte di comando.
- Fatemi riassumere l'ultima ora di chiacchiere, senza offesa – lo sguardo del klingon andò all'ufficiale scientifico vulcaniano, l'impassibile Sular – solo per vedere se ho chiara la situazione.
“Siamo all'interno di un campo minato. Questo è innegabile: applicando tutti gli schemi di dispersione romulana a noi noti, il risultato è sempre quello. Siamo circondati da mine al tricobalto.
Dall'analisi delle mine, queste risultano essere vecchie di oltre duecento anni, giudicando dal... dal...
- Dal periodo di decadimento degli elementi fissili accessori al tricobalto, capitano – lo soccorse il tenente Sular.
- Grazie – ringhiò il klingon prima di riprendere.
“Non possiamo chiamare aiuto, le mine distorcono il segnale subspaziale, bloccando di fatto le comunicazioni. Non possiamo distruggerle perché non sappiamo dove sono. Non sappiamo nemmeno se loro sanno che ci siamo, poiché se ne abbiamo trovata una guasta, non è detto che il campo minato sia ancora efficiente al cento per cento, anzi.
- Ma non è una cosa su cui farei affidamento. Le possibilità di navigare con successo in un campo minato occultato sono una su un milione, forse meno, e anche il trenta per cento di mine inattive non renderebbe conveniente provare.
- Grazie, Alterman – brontolò Th'Karr - Per curiosità, ha calcolato le possibilità di avere il trenta per cento di ordigni inattivi in un campo minato?
La giovane Alterman si strinse nelle spalle.
- Sì. È più probabile uscire da qui sani e salvi stando al timone bendati, anche con mine vecchie di duecento anni.
- L'ordigno analizzato è semplice ed efficace – interloquì Sular – il che lo rende economico e affidabile, oltre che mortale. Credo sia logico pensare che il guasto sia dovuto a qualche componente già difettoso al momento della fabbricazione.
- Cosa possiamo fare? - accentuare il verbo aveva sottolineato la sfida contenuta nella domanda.
- Col suo permesso, comandante... - riprese l'ufficiale scientifico.
- Accordato - il klingon non perdeva un'occasione per stuzzicare il vulcaniano, come se intendesse mettere alla prova la sua capacità di controllo delle emozioni.
- Portare a bordo l'ordigno visibile. Potremmo smontarlo e cercare di scoprire come funziona. Sarebbe particolarmente interessante scoprire come comunica con le mine circostanti e...
- Escluso! Non ci vuole un esperto in esplosivi, che a bordo non c'è se non erro, per immaginare che ogni tentativo di disinnescare un ordigno romulano è destinato a finire male! - esclamò Th'Karr.
- Si potrebbe cercare di mettere in sicurezza l'ordigno prima di portarlo a bordo.
- E come?
- Logico. Un intervento manuale diretto.
- Una missione suicida! Per ottenere cosa?
- Ho studiato a lungo la mina visibile – riprese Sular – emette segnali subspaziali intermittenti. Ho già individuato un paio di schemi ma non riesco a decifrare i segnali, sono troppo pesantemente crittografati. Ritengo che siano i segnali con cui la mina comunica con le altre.
- Per impedire che ogni mina rilevi le altre come una minaccia, per mantenere una dispersione ottimale, per scambiarsi informazioni sul bersaglio... - intervenne ancora Alterman. Di nuovo, il klingon la ringraziò con un tono poco rassicurante anche se formalmente ineccepibile.
- In poche parole, se la Starfender cominciasse a trasmettere i medesimi segnali correttamente, il campo minato la scambierebbe per una nuova mina e non solo non detonerebbe, ma si riconfigurerebbe. Procedendo a bassa velocità potremmo ingannarle e uscire da questa spiacevole situazione.
- Che possibilità abbiamo di farcela senza mandare a morire un membro dell'equipaggio?
- Per raccogliere dati sufficienti a ingannare le mine ho stimato un tempo di analisi degli schemi subspaziali dell'ordigno guasto di almeno settecento giorni terrestri. E ancora non avremmo il cento per cento di possibilità di riuscire.
- “Spiacevole situazione”, eh? - sottolineò il klingon – Signor B'lagg, possiamo resistere all'esplosione?
L'ingegnere capo boliano fece un passo avanti e rispose con decisione.
- Con tutta l'energia deviata agli scudi potremmo resistere a tre o quattro detonazioni, signore. Ma non posso garantire che lo scafo regga altrettanto. La classe Miranda non è progettata per resistere alle mine romulane, comandante.
- In alternativa potremmo cercare di interferire col sistema di occultamento delle mine – riprese Sular – ma non vi è alcuna garanzia che l'uscita dall'occultamento non le faccia detonare.
- Lo sospetto anch'io – Th'Karr sorprese tutti con quell'osservazione: nessuno tra i presenti lo avrebbe detto capace di ironia.
- Un sistema di rilevamento tachionico? - chiese poi, ricordandosi di qualche lezione all'Accademia.
- Ci manca la tecnologia necessaria – rispose subito Sular.
- Non abbiamo i replicatori industriali necessari – incalzò B'lagg.
- Alcuni componenti del sistema non sono replicabili – concluse Alterman, seppellendo definitivamente l'ipotesi avanzata dall'ufficiale tattico klingon.
- Signori – esclamò quello dopo un attimo di silenzio in cui tutti lo avevano sentito digrignare i denti – datemi un bersaglio e io punterò le armi. Tornate ai vostri posti.
- Con perrmesso, comandante!
M'Namann, il caitiano: era rimasto zitto in disparte tutto il tempo. Nessuno si era aspettato nulla dall'ultimo arrivato. Il klingon non gli rispose, limitandosi a interpellarlo con gli occhi.
- Se c'è da disinnescarre una bomba, pilotarre uno shuttle tra le mine, qualsiasi cosa possa portarrci fuori da qui, mi offrro volontario.
- Lei non è addestrato al maneggio degli esplosivi – interloquì subito Sular, attratto dall'intraprendenza del caitiano.
- Stavo per dirlo io – ringhiò il klingon.
- Sono cerrto che le indicazioni del tenente Sularr sarebbero sufficienti. Trasmesse per radio mi consentirebberro di disinnescarre l'ordigno romulano.
- Di morire tentando, vorrà dire. E non una fine gloriosa, direi: ha sentito che le mine si spostano per rimpiazzare quelle esplose?
- Sì, comandante. Vorrei che mi tenesse presente nel caso cambiassero le cose.
- Una morte inutile non è onorevole per un guerriero, M'Namann. Può andare.
Il caitiano salutò militarmente e poi entrò nel turboascensore.
- Ha detto “pilotare uno shuttle”? - interloquì pensieroso il vulcaniano, rivolto a nessuno in particolare. Th'Karr sdegnò di rispondergli e andò a sedersi sulla poltrona di comando, corrucciato.
- L'ha detto – confermò Alterman mentre a sua volta si dirigeva al turboascensore, lasciando il suo ufficiale superiore immerso in misteriose elucubrazioni.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Una nave per Nove
6.

A bordo dell'attracco spaziale terrestre.
Nella sala di osservazione e quarantena c'era tutta l'equipe medica al completo. A fianco del letto dove giaceva ancora distesa Nove, da un lato i medici militari, il capitano Anderson e il dottor Steiner, dall'altro l'infermiera caitiana e il suo assistente boliano che eseguivano analisi di routine con i loro tricorder medici. Tutti coloro che avevano contribuito a liberarla dalla schiavitù della Collettività Borg.
Anderson, il più vicino, attese che Nove puntasse i suoi terribili occhi riflettenti su di lui.
- Buongiorno – le disse sorridendo. Lei sorrise debolmente di rimando, ma tornò subito a un'espressione del tutto neutra. La pelle cadaverica, le labbra esangui, il cranio totalmente calvo a eccezione di una ristretta zona sulla nuca dove le crescevano lunghi capelli di una curiosa lucentezza, ora sparsi ovunque sul cuscino. Poco spostata a sinistra, la cicatrice dove fino a poche ore prima il tubo della protesi borg le entrava direttamente nel cranio. Al lato della testa risultava assente anche l'ingombrante e misteriosa protesi stessa. L'unica traccia rimasta era una placca metallica a forma di mezzaluna che saliva dalla tempia fin sopra l'occhio sinistro, con alcune inquietanti luci giallo-verdi ben accese. Era perfettamente aderente alle ossa del cranio e non era stato possibile rimuoverla.
- Ti ricordi di me?
Nove sollevò impassibile il braccio sinistro verso il viso di Anderson, la mano aperta come se volesse accarezzarlo. Il capitano medico ebbe appena il tempo di rendersi conto che qualcosa era andato storto: vi fu uno scatto improvviso, un movimento convulso e rapidissimo, per istinto si ritrasse ma era troppo tardi. A pochi centimetri dal suo collo vulnerabile c'erano due iniettori borg sgocciolanti scuro siero verde, saettati fuori dal polso di Nove. Polso ben stretto nella mano pelosa dell'infermiera caitiana.

- Ha cercato di assimilarla! - sbottò l'alto ufficiale della Flotta.
- Ammiraglio, siamo a un passo dal salvarla! Fermarsi ora significherebbe riconsegnarla per sempre al Collettivo!
L'anziano ammiraglio spostò gli occhi sul dottor Steiner, che gli era stato presentato come uno dei massimi esperti di medicina borg, se così si poteva definire l'insolita disciplina scientifica di strappare al Collettivo i droni assimilati e liberarli. E colui che aveva fisicamente operato il tenente Nove.
- Un ulteriore ciclo di terapia per riscrivere altre nanosonde borg potrebbe salvarla. Ha già funzionato in passato in molti casi di “ricaduta”, per così dire – confermò Steiner.
- Capitano Anderson, posso comprendere come la situazione la veda coivolto personalmente, ma io sono responsabile della buona salute degli occupanti di questa stazione. E quella là fuori – indicò l'ampia finestra alle sue spalle – è la cara vecchia Madre Terra. Nove di Ventuno è un ufficiale della Flotta Stellare. Quasi come un figlio, per me. Ma se c'è anche solo una possibilità che se ne vada in giro per questi corridoi trasformando in droni borg tutti quelli che incontra, allora ci sarò anche io col dito sul grilletto del mio phaser. Siccome io non voglio dover sparare ai miei figli, voglio fare tutto il possibile perché ciò non debba mai accadere.
- Non accadrà, signore – Anderson rispose deciso.
- Di che avete bisogno?
- Che venga ripristinato l'accesso alla zona di quarantena per tutta la mia equipe medica. I suoi uomini possono rimanere se crede, ma io devo essere libero di muovermi senza intralci – disse deciso il dottor Steiner.
- E sia. Si ricordi di quanto ho detto, capitano. Vale anche per lei, dottore. Riportatemi il tenente Nove di Ventuno, viva.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Una nave per Nove
7.

Diario personale del sottotenente Miranda Alterman, ufficiale scientifico della U.S.S. Starfender.
Sono passati quasi due giorni dalla prima e ultima riunione tra tutti gli ufficiali della Starfender per cercare un modo di uscire da questa situazione impossibile. Come se non bastasse, comincia a fare freddo davvero. Le disposizioni del comandante per ridurre la nostra segnatura energetica nello spazio sono senz'altro sensate, ma io sto congelando.
Continuo a pensare al comandante Nove. Contavo di fare un po' di shopping alla Base Stellare 39 Sierra, ma di questo passo l'unico regalo che potremo farle sarà tornare indietro tutti interi.
Sono andata a trovare il caitiano nel suo alloggio. Volevo ringraziarlo per essersi offerto volontario per disinnescare la mina. Morte certa. Che uomo coraggioso. Cioè, che caitiano coraggioso. Ha quel difetto di pronuncia che fa sembrare stia facendo le fusa. È stato molto gentile: mi ha chiamata “umana” solo una volta, e non c'è stato nemmeno bisogno di farglielo notare. Dev'essere bastata la mia espressione. Eppure ha frequentato l'Accademia! Forse è il tipo che fa comunella solo con quelli della sua specie. Anche se mi sembra difficile crederlo. È davvero carino. Gli manca solo un bel sorriso.
Ho collaborato a lungo col signor Sular in questi ultimi due giorni. Mi ha chiesto una tale mole di calcoli e analisi che ho dovuto lavorare anche durante i turni di riposo. Non riesco a capire dove portino tutti questi dati. Credo che Sular stia cercando di smontare l'algoritmo di crittografia romulano. Solo un'autentica testa dura di Vulcano potrebbe essere capace di pensare una cosa del genere. La cifratura romulana è vecchia di duecento anni, ma ciò non significa che sia facile da sgarbugliare. Per me è buona solo per procurarsi un'emicrania. O un colpo di sonno. Spero solo che Sular abbia la testa più dura del romulano che ha elaborato i protocolli di comunicazione delle mine.

- Potrebbe funzionare.
Il laconico commento del vulcaniano cadde nel silenzio della plancia. Si udivano solo i sommessi segnali acustici emessi dalle console di comando. Gli sguardi di tutti gli ufficiali erano rivolti a Sular. La tensione a bordo si era fatta palpabile e la speranza di uscire da quella situazione era come acqua per uno scampato al deserto. M'Namann con la sua squadra di sicurezza era già dovuto intervenire tre volte per calmare qualche elemento dell'equipaggio dai nervi meno saldi degli altri.
- Mi offro volontarrio per pilotare lo shuttle – si fece avanti subito il caitiano, approfittando del silenzio calato di colpo.
- Non serve. Posso controllare la trasmissione degli schemi cifrati mentre piloto io stesso – affermò Sular.
- No! - esclamò Th'Karr – la voglio concentrato al cento per cento su quei suoi dati, tenente.
Il piano escogitato dal vulcaniano era piuttosto semplice, dopotutto. Uno shuttle sarebbe stato lanciato verso l'unica mina visibile. Una volta a tiro del raggio traente, l'avrebbe agganciata e avrebbe cominciato a spingerla lentamente. Se l'ipotesi che le mine dialogassero tra di loro per riposizionarsi al fine di mantenere uno schema di dispersione ottimale era fondata, e non v'erano motivi validi perché non lo fosse, tutte le mine nelle vicinanze avrebbero cominciato a muoversi. Facendo affidamento sulla loro sicura, che impediva loro di detonare rilevandosi a vicenda come una minaccia, la Starfender avrebbe potuto a sua volta agganciare la mina e cominciare a muoversi lentissimamente. Sular, confidando nella protezione offerta dalla minor massa dello shuttle, avrebbe studiato le trasmissioni intermittenti della mina difettosa e cercato di individuare il modo di neutralizzarle ulteriormente penetrandone magari anche l'occultamento.
In poche parole, lo shuttle avrebbe rischiato grosso spostando la mina per vedere cosa sarebbe successo.
Il vulcaniano gettò uno sguardo indecifrabile a M'Namann, poi di nuovo a Th'Karr.
- Non è logico rischiare in due.
- È un ordine – lo liquidò il klingon.
- Signor M'Namann... con me all'hangar navette – il vulcaniano si diresse al turboascensore, seguito dal caitiano che salutò militarmente prima che le porte si chiudessero. Th'Karr sapeva cosa l'ufficiale aveva inteso con quel saluto.

- Trasmissione in arrivo dallo shuttle, comandante.
- Sullo schermo.
La mappa tattica fu sostituita dal segnale video proveniente dalla cabina dello shuttle. Una trasmissione a corto raggio un po' disturbata: tutti i segnali subspaziali erano bloccati. Un sicuro indice che il campo minato era ben nutrito di ordigni attivi che si dividevano il compito di bloccare le trasmissioni delle vittime.
- Ci avviciniamo all'ordigno – il viso del vulcaniano era impassibile. Al suo fianco M'Namann pareva assorto dal compito di pilotare lo shuttle alla sua destinazione ed era altrettanto impenetrabile.
- Sono troppo veloci – commentò Alterman che non perdeva d'occhio i suoi strumenti nemmeno per un istante.
- Sural, rallentate.
L'ufficiale scientifico assentì e lo shuttle perse velocità. Dopo pochi ma interminabili minuti giunse a portata della mina difettosa e visibile, e si arrestò.
- Procedo – fu l'unica cosa che il vulcaniano disse prima di attivare il raggio traente e agganciare l'ordigno esplosivo.
Non accadde nulla.
- Non sembra in grado di rilevare di essere agganciato dal raggio traente. Lo spingiamo via.
- Tutta l'energia agli scudi! – ordinò Th'Karr. Ancora una volta non accadde nulla.
- Rilevo variazioni negli schemi trasmessi dalla sonda. La corta distanza mi permette di analizzare anche le caratteristiche delle trasmissioni subspaziali. Restate in attesa, Starfender.
Tutto il ponte di comando stava con il fiato sospeso. Le luci dell'allarme giallo tingevano ogni cosa donando un aspetto spettrale alle superfici. Solo le console di comando mantenevano il loro freddo ed efficiente aspetto, con i loro pittogrammi azzurri sul fondo nero dell'interfaccia LCARS.
Lentamente, lo shuttle si stava allontanando. Avrebbe dovuto rientrare dopo l'esito positivo del test di spostamento. Th'Karr si stava chiedendo cosa avesse in mente il vulcaniano quando giunse la comunicazione.
- Comandante, le consiglio caldamente di raggiungerci senza eccedere con la velocità. Noi ci fermiamo per aspettarvi.
- Sentito, timoniere? Avanti molto piano!
Finalmente la Starfender si mosse. Nello spazio solo apparentemente vuoto i motori a impulso si accesero di un baluginio rosso e cominciarono a spingere avanti la nave con estrema lentezza.
A millecinquecento metri dallo shuttle, anche questo attivò il motore a impulso e pareggiò facilmente la velocità della nave più grande. Teneva sempre la mina nella stretta del raggio traente.
- Come mai questo cambio di programma, signor Sural? - volle sapere il klingon che si ostinava a mostrare calma e spavalderia.
- La distanza ridotta mi consente di effettuare analisi più accurate.
- Per esempio?
- Per esempio questa mina è guasta, ma solo nel sistema di alimentazione delle bobine del generatore di occultamento – fu la calma risposta dell'ufficiale scientifico.
- Vuol dire che può esplodere? - questa volta il klingon non riuscì a mascherare la preoccupazione come avrebbe voluto.
- Esattamente.
- Spero che lei sappia cosa sta facendo, tenente – quella frase a mezza voce non sembrò essere pronunciata da un klingon.
- So controllare le mie emozioni, comandante, ma ciò non significa che sia indifferente alla morte. Sono ancora troppo giovane per morire, come si dice sulla Terra.
- Su Qo'Nos invece si dice “muori con onore”, e io non vedo alcun onore nel presentarmi alle porte dello Sto-Vo-Kor disintegrato da una mina romulana. Cerchiamo di evitare questo “spiacevole inconveniente”.
- Senz'altro, comandante – la sbrigativa risposta del vulcaniano sarebbe sembrata divertente a tutti, se non ci fossero stati svariati teracochrane di potenziale esplosivo intorno a loro.
Trascorsero parecchi minuti. Non c'era alcun modo di stabilire se stavano uscendo dal campo minato oppure no, se non controllando i canali subspaziali. Che erano ancora bloccati dagli appositi disturbi emessi dalle mine. Procedendo a pochi metri al secondo, lo spazio percorso era irrisorio per una nave in grado di mantenere curvatura 9,2 per dodici ore consecutive. Tutti gli ufficiali sobbalzarono al grido di Alterman.
- Anomalia magnetica a distanza zero!
- A tutto l'equip...
L'ordine di Th'Karr si perse nel boato dell'esplosione che scosse tutta la nave, facendo spegnere le luci e balbettare le console della plancia. Gli ufficiali furono sbalzati dalle loro poltroncine e solo Th'Karr, che godeva di alti braccioli e di una forza fisica notevole, era riuscito a rimanere abbarbicato al suo posto. Presto cominciarono ad accavallarsi le voci degli ufficiali che facevano il rapporto dei danni.
- Colpo diretto!
- Falla nello scafo a babordo!
- Curvatura non operativa!
- Perdita di potenza in sala macchine!
Ci fu un altro scossone, molto meno potente del primo, seguito da una scarica di sinistri gemiti della nave, mai uditi prima.
Starfender, mi ricevete? Starfender!
- Ci chiamano dallo shuttle, comandante! - Virma Brax era stata tra i primi a riprendere il suo posto.
- Sullo schermo!
- Avete appena perso la gondola di babordo a seguito di un'esplosione. Ripeto, avvenuto distacco della gondola di babordo, non rilevo significative perdite di plasma di curvatura.
Al comandante della nave sfuggì un'atroce bestemmia klingon, parzialmente sovrapposta a un'altra debole esplosione. Le luci si riaccesero.
- Confermato, comandante – Alterman aveva ripreso il controllo della sua console.
- Rapporto danni dalla sala macchine – esordì il guardiamarina Brax – due feriti lievi, nucleo instabile ma sotto controllo, curvatura non operativa, distacco della gondola di babordo. Il pilone è stato distrutto. Il signor B'lagg chiede il permesso di reindirizzare l'energia ausiliaria e le batterie al contenimento del nucleo.
- Accordato! - esclamò il klingon. Subito dopo chiese un'analisi tattica, infuriato per non poter rispondere al colpo.
Nulla. Sulla mappa tattica appariva solo un'icona che individuava la posizione della Starfender e una per lo shuttle. Mentre dalla prima pendevano numerose indicazioni gialle e rosse, con diversi pittogrammi di allarme, dall'azzurro tenue delle indicazioni che lampeggiavano intorno allo shuttle si poteva dedurre che tutto fosse andato per il meglio per i due coraggiosi ufficiali.
- Signor Sural, perché si è fermato? - sbraitò Th'Karr constatando i dati della telemetria.
- Potrebbe non essere prudente continuare, comandante.
- Non sarà peggio di rimanere qui fermi! Avanti!
L'ultima esclamazione era un ordine per il timoniere che pareggiò immediatamente la velocità della Starfender, ferita seriamente ma tutt'altro che fuori combattimento, con quella del minuscolo shuttle che ancora abbracciava col suo raggio azzurro l'ordigno romulano grande quasi quanto lo stesso shuttle.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Una nave per Nove
8.

La luce della camera si accese cogliendo Nove con gli occhi aperti. L'infermiera entrò armata di tricorder medico e quando fu al capezzale ne distaccò lo scanner a corto raggio, indirizzandolo verso la pallidissima donna nel letto.
- Come si chiama? - chiese con tono di voce piatto.
- Surr – rispose la caitiana richiudendo il tricorder.
- Surr, saresti così cortese da procurarmi un elastico per i capelli? - chiese Nove mettendosi seduta nel letto senza aiutarsi con le braccia.
L'infermiera si sfilò dal polso un elastico nero e glielo porse.
- È il mio – commentò l'ufficiale portando subito le mani dietro la testa. Con gesti rapidi ed esperti formò una stretta coda col lungo ciuffo di capelli che le cresceva isolato sulla nuca. Il resto del cranio era perfettamente calvo.
- Sapevo che me l'avrebbe chiesto – rispose l'infermiera. Non si poteva dire che stesse sorridendo, ma dal tono di voce era facile intuirne la soddisfazione.
- Ha custodito anche la mia divisa? - Nove scese dal letto dell'ospedale con decisione e agilità.
- Ma dove va? - si allarmò la caitiana, che con felina grazia la raggiunse prontamente.
- C'è una visita per lei, se la vuole ricevere - aggiunse.
- Certamente.
- Allora mettiamoci un po' in ordine, prima. Non può farsi vedere così, tenente.
L'infermiera le si mise alle spalle e cominciò a chiudere il camice azzurro annodando rapidamente i lacci sulla schiena.
- Che bei capelli ha, tenente Nove! Anche se contengono ben poca cheratina, a dire il vero.
L'ufficiale ringraziò educatamente ma freddamente. Quando il camice fu ben chiuso si voltò verso la caitiana dal pelo corto del colore del miele e la fissò negli occhi gialli per diversi secondi. L'infermiera resse lo sguardo senza apparente imbarazzo.
- E grazie anche per tutto quanto ha fatto per me.
L'infermiera abbassò le orecchie, ma solo per un secondo.
- È stato un piacere, tenente Nove. Ma non deve ringraziarmi: non è stato nulla di straordinario. Per me stare tra voi è come... vivere una scena al rallentatore.
- Le devo la vita, Surr.
L'infermiera emise un suono basso e cupo per un secondo. Come le fusa di un gatto.
- Sono certa che lei avrebbe fatto lo stesso per me. Ma adesso vuole ricevere quella visita?
All'assenso di Nove l'infermiera aprì la porta d'ingresso della stanza. Il varco incorniciò una divisa della Flotta Stellare, alta e dalle spalle squadrate. Il capitano medico Anderson entrò a grandi passi, un sorriso sul suo viso precocemente arricchitosi di rughe. Andò a mettersi di fronte a Nove che con la testa raggiungeva a stento il suo mento.
- Ho cercato di assimilarti, mi dicono.
- Ti è andata male – rispose lui.
Nove alzò il braccio sinistro e si portò la mano aperta all'altezza della testa. Facendo sobbalzare i presenti, estrasse di scatto i due iniettori borg lunghi una spanna.
- Sono operativi – commentò freddamente mentre gocce di siero verde colavano lungo gli iniettori fino al braccio pallido della donna liberata. Il siero, ricco di nanomacchine borg specializzate nell'assimilazione di ogni genere di tessuto vivente, si raccolse sul gomito e cominciò a sgocciolare.
- Un... accessorio borg che non riusciamo ancora a disinstallare. È tutt'uno col tuo sistema linfatico. O quel che esso è diventato ora.
- Una sciocca dimostrazione, tenente. Rinfoderi subito questi... spilloni! - la rimproverò l'infermiera che, dotatasi delle opportune protezioni, afferrò il braccio di Nove per ripulirlo dalle strie di siero borg.
La donna obbedì e i due lunghi iniettori scomparvero nel braccio con una rapidità sconcertante. Dove avevano lacerato la pelle del polso l'infermiera caitiana si affrettò a posare un tampone che lentamente si tinse di sangue. Cupo e denso, ma rosso.
- Era come in un sogno. Non volevo, ma dovevo farlo – riprese Nove mentre Surr le applicava una benda adesiva sopra i fori nella pelle.
- È buon segno. Significa che la tua coscienza umana è intatta – le rispose Anderson, ritrovando il suo largo sorriso.
- Potrebbe accadere di nuovo? - il silenzio che seguì fu imbarazzante per tutti.
- Fossi in lei non sbandiererei troppo i suoi artigli borg, tenente – la rimproverò di nuovo l'infermiera spezzando la tensione – non conosco molti ufficiali che si fermerebbero a chiederle da che parte della barricata sta dopo uno spettacolo come questo – mostrò i tamponi umidi, verdi di siero.
- Perché tutta questa fiducia in me? - chiese Nove impassibile.
- Stai parlando con l'uomo che ti ha tratta in salvo.
- Salire a bordo di una sonda borg danneggiata, prendere in braccio un drone inabile e portarlo sulla propria nave per liberarlo. Questo va oltre ciò che io definisco “fiducia”.
- Hai letto i rapporti. Quello che nei rapporti non c'è – le disse sornione Anderson – è che eri la più carina con la tua tuta borg.
- Stupidaggini – troncò Nove. Come sdegnata si allontanò da Anderson che rimase saldo come un pilastro al centro della stanza. Nel silenzio che era calato all'improvviso si sentivano i piedi nudi di Nove sul pavimento.
- Ad ogni modo – disse voltandosi di scatto verso l'uomo, come memore all'improvviso che il camice si allacciava da dietro – ti sono ulteriormente debitrice.
Il capitano si strinse nelle spalle, come se fosse qualcosa che non lo riguardasse.
- Vorrei poter esprimere la mia riconoscenza – affermò Nove seriamente.
- Vederti è già una gran bella ricompensa.
- Cercherò di meritarmi la tua fiducia e la tua attenzione riprendendo servizio – disse dopo qualche secondo di scomodo silenzio. Si diresse decisa verso l'armadio dov'era la sua divisa mentre con le mani dietro la schiena già tirava i lacci del camice per sciogliere i nodi a fiocco fatti dall'infermiera.
- Ah, c'è qualcosa che sono stato incaricato di darti, a proposito – il tono artificialmente casuale della voce di Anderson fece fermare Nove. Surr con un debole gemito lasciò andare il respiro che stava trattenendo: quello cui stava assistendo esulava da tutto ciò che aveva imparato sull'ethos dei terrestri.
- L'Ammiraglio mi ha incaricato di portarti questo – l'uomo estrasse una scatoletta nera recante il simbolo della Flotta Stellare. La porse a Nove che l'aprì senza indugi.
All'interno brillavano i gradi di tenente comandante.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Una nave per Nove
9.

Virma Brax stava alla console delle comunicazioni mestamente afflosciata nella poltroncina, una mano abbandonata mollemente sui comandi dell'interfaccia LCARS e l'altra appoggiata all'auricolare come per sentire meglio. Alterman non teneva le mani ferme un minuto: impartiva comandi, riconfigurava gli strumenti, effettuava operazioni, analisi, confronti e ripartiva da capo dopo aver raccolto nuovi dati. Si era più volte lamentata di non riuscire più a tarare con efficacia il sistema dei sensori, già gravemente menomato dalla scarsità di energia e danneggiato dalle esplosioni. Infatti anche se le mine avevano già ampiamente dimostrato di sapere farsi beffe degli scudi, il comandante Th'Karr aveva ordinato di mantenerli al massimo possibile, sacrificando l'energia di altri sistemi. A causa dello stress emotivo era stato necessario sostituire il timoniere Litvanen con l'andoriana Shilar. Alla console delle armi, disattivate anch'esse per reindirizzarne l'energia agli scudi, il sottotenente tattico Glock combatteva la sua personale battaglia con i sistemi d'arma divenuti all'improvviso miopi per la mancanza di energia. Col comandante impegnato in un'ispezione della nave, l'ufficiale più alto in grado sul ponte era Miranda Alterman, che però prendeva ordini dal suo superiore l'ufficiale scientifico Sural, ancora sullo shuttle. Non c'erano i margini di sicurezza necessari per il teletrasporto: le mine avrebbero potuto interpretare quella segnatura energetica come una minaccia. E attaccarne la fonte. Sul ponte di comando reso cupo dall'illuminazione ridotta nessuno diceva più una parola da parecchio.
D'un tratto l'esperta in telecomunicazioni Brax esclamò mettendosi meglio a sedere. Gettò le mani sulla console che aveva di fronte, poi annunciò che stava succedendo qualcosa.
- Qualcosa... cosa? - chiese Alterman interrompendo la sua febbrile attività. I segni dello stress sul suo viso si manifestavano con occhiaie un po' livide.
- Beh – rispose la trill sorridendo – da “zero” siamo passati a qualche disturbo. Ricevo disturbi sui canali subspaziali prima muti!
- Potrebbe essere buon segno. Forse stiamo uscendo dal campo di influenza delle mine – constatò Alterman stropicciandosi gli occhi. Era da troppo tempo che rimandava un po' di riposo.
- Sarebbe ora – esclamò il sottotenente Glock – è da un secolo che navighiamo a bassa velocità senza sapere nulla di ciò che ci circonda.
- Abbiamo usato i sensori dello shuttle. In pratica, è il nostro cane guida.
Dovettero spiegare al timoniere andoriano cosa Alterman intendesse dire.
- Sì signore – confermò quella infine con le mani sui comandi del timone, ma ancora perplessa – continuerò a seguire il cane fino a nuovi ordini.
- La sala macchine riferisce di aver ultimato le riparazioni. Abbiamo perso la velocità curvatura, ma il resto dei sistemi è in grado di funzionare.
- Grazie, Virma. Chiami il dottor T'Sev. Sullo schermo.
La trill eseguì immediatamente l'ordine e sullo schermo apparve il vulcaniano in divisa azzurra.
- Come stanno i feriti, signor T'Sev?
- Ho dimesso i quattro contusi, mentre i due tecnici ustionati devono restare in osservazione anche se non sono gravi. Le due vittime di fratture potranno essere dimessi tra poche ore e termineranno la convalescenza nelle camerate.
- Grazie, dottore – concluse Alterman chiudendo la comunicazione di persona. La mappa tattica tornò a occupare l'intero schermo.
- Il signor Sural chiede di lei, Alterman – incalzò Virma Brax con un dito sull'auricolare.
- Sullo schermo.
Fu il turno del vulcaniano ufficiale scientifico della Starfender di apparire al centro del grande schermo del ponte di comando. Inespressivo e concentrato, come il caitiano al suo fianco che sorvegliava attentamente gli strumenti di navigazione del piccolo shuttle.
- Ho ragione di ritenere di essere ormai prossimi al confine del campo minato – dichiarò il giovane vulcaniano.
- Ottima notizia – Alterman non poté trattenere un sorriso.
- Tuttavia con lo spostamento delle mine potrebbe essersi verificata un'eventualità inizialmente non prevista.
- Mai solo buone notizie, eh?
Sural non ebbe alcuna reazione di fronte all'affermazione del sottotenente, né al cedimento del protocollo di comportamento. Si limitò a concludere la frase.
- Nel tentativo di mantenere uno schema di dispersione valido, un numero imprecisato di ordigni potrebbe aver seguito quello che stiamo trainando.
- In poche parole, ce li stiamo portando dietro? Come una nube che ci avvolge?
- Precisamente.
- Come possiamo accertarcene? - volle sapere la giovane donna.
- Attualmente non c'è modo. Posso solo supporre che la mina difettosa continui a trasmettere i suoi segnali intermittenti anche in assenza di sue... compagne – terminò il vulcaniano.
Alterman aggiornò l'ufficiale superiore riguardo i deboli miglioramenti con le trasmissioni subspaziali, poi interruppe il collegamento.
- Accidenti ai romulani! - esclamò interrompendo il silenzio che si era di nuovo impadronito della plancia, gelata dalle parole dell'ufficiale scientifico.

Anderson fissava lo scafo bianco della U.S.S. Congo attraverso l'ampia finestra che dava verso l'interno del gigantesco attracco spaziale terrestre. Capace di ospitare anche navi di classe Galaxy, in quel momento era occupato da due navi di classe Norway, la Congo e la Olympia, e da una vecchia ma sempre imponente e bellissima classe Ambassador, la U.S.S. Ghandi. Poprio mentre la fissava, la Congo accese i motori di manovra e ruotò avviandosi lentamente verso l'uscita.
- Farò ritorno sulla Terra appena ci sarà la disponibilità di un runabout.
Sopraggiunto silenziosamente alle sue spalle, Steiner si era subito pentito d'aver parlato. Anderson non gli rispose e il dottore si sentì come se avesse violato un momento intimo.
- Non ha voluto aspettare un solo giorno, nemmeno un'ora – disse infine il capitano medico sospirando. Steiner lo guardò senza capire. O se aveva capito lo nascondeva molto bene.
- È un'ufficiale della Flotta Stellare. Il suo primo dovere è verso la sua nave e il suo equipaggio.
Con quelle parole Anderson si staccò dalla grande finestra e diede le spalle allo spettacolo mozzafiato del molo spaziale. La Congo si stava ormai avvicinando alle porte spaziali, già aperte.
- Il suo posto è con loro – concluse allontanandosi.

Diario personale del sottotenente Miranda Alterman, ufficiale scientifico della U.S.S. Starfender.
La tensione a bordo si è alleggerita di parecchio col ripristino delle comunicazioni. Tre runabout ci stanno scortando verso la Base Stellare 39 Sierra, dove potremo iniziare le prime riparazioni. Forse. Chi lo spiegherà all'Ammiragliato come mai c'è improvvisamente bisogno di una gondola di curvatura nuova e relativo pilone per una nave di classe Miranda?
La cosa più bella che ho potuto fare è stare sdraiata nella branda. Ero troppo stanca anche per dormire, ma è bastato sapere di non essere più dentro quel dannato campo minato. Sarà piuttosto difficile incontrare un romulano, e ancora di più poterlo fare senza causare un incidente diplomatico... ma se dovesse accadere sarà per me difficilissimo tenere la bocca chiusa! Ho una voglia matta di dire loro cosa penso delle mine occultate! Spero tanto che venga approntata una missione per eliminarle tutte, le maledette.
A proposito di occultamento: una volta fatta brillare la mina guasta lo shuttle con l'ufficiale scientifico Sural e il sottotenente M'Namann ha fatto felicemente rientro nell'hangar, consentendoci di procedere a pieno impulso. Di questo passo ci metteremo un giorno a raggiungere la base stellare, ma non ha più importanza ormai. L'unica cosa che conta è che ne siamo usciti e...

- Computer, sospendere!
Alterman si strinse nell'accappatoio e sbloccò la porta del suo alloggio. Davanti a lei apparve Sural. Inarcò un sopracciglio vedendola in quella condizione ma non si scompose ulteriormente.
- Spiacente di disturbarla durante il turno di riposo, tenente Alterman. Vorrei sottoporre alla sua attenzione questi dati.
Le porse un PADD. La giovane riconobbe immediatamente gli scarsi risultati dei suoi sforzi di riconfigurare i sensori della nave.
- Mi spiace, signore. Non sono stata in grado di ricalibrare correttamente i sensori.
- L'ho notato. Niente altro?
Alterman corrugò la fronte.
- No, non direi... solo...
- Mi dica – la esortò il vulcaniano, attento.
- Ha presente quel detto terrestre, quello della “coperta troppo corta”?
- Certamente.
- Ecco... per quel che può valere, ho più volte avuto la sensazione che tutto il sistema dei sensori della nave si comportasse come una coperta troppo corta.
- Per questo motivo ha scritto nel suo rapporto – indicò il PADD – che il sistema dei sensori della Starfender presenta inedite anomalie di funzionamento?
- Esatto. Non si è mai comportato così, ha sempre funzionato correttamente. La classe Miranda nasce come vascello scientifico, è normale che in fase di progettazione i sensori fossero...
- Grazie, Alterman. Buon riposo – le tolse il PADD dalle mani e con un solo passo raggiunse la soglia.
Prima che la giovane scienziata potesse dire alcunché la porta dell'alloggio si era richiusa dietro le spalle del vulcaniano. Di nuovo si strinse nell'accappatoio, cercando di immaginare cosa avesse voluto dire il suo più diretto superiore.

In plancia regnava un generico buonumore. Il ponte di comando non era il posto dove la Flotta Stellare aveva previsto il maggior grado di socializzazione. Per quello c'erano ambienti appositi. Ma quell'ultima disavventura aveva creato una sorta di complicità fra gli ufficiali che sembrava potersi estendere a qualunque livello.
- Comandante, i runabout di scorta comunicano che stanno per abbandonare la formazione. Tra pochi istanti appariremo sui sensori della Base Stellare 39 Sierra – cinguettò Virma Brax, la trill specialista delle comunicazioni. A nessuno sfuggì la sua felicità nel fare quell'annuncio. Nemmeno a Th'Karr che però non ebbe osservazioni particolari.
- La U.S.S. Congo in rotta di intercettazione. Trasmissione in arrivo – annunciò la trill.
- Sullo schermo – fu il rauco ordine di Th'Karr, intento a visionare rapporti.
Un noto mezzobusto apparve sullo schermo principale. La pelle slavata, le labbra di un rosso mogano cupo, lucide. Nessuno poté fare a meno di notare l'ombretto leggero e la matita intorno agli occhi riflettenti del tutto privi di dettagli. Nemmeno i nuovi gradi di tenente comandante passarono inosservati, ma ognuno sul ponte seppe trattenere la propria sorpresa.
- Th'Karr, dove ha messo la gondola di babordo?
- Abbiamo avuto un contrattempo – rispose il klingon senza scomporsi.
- Lo vedo.
Un ufficiale alle operazioni raggiunse Nove e gli consegnò un PADD. Il tenente comandante vi dedicò una lunga occhiata attenta.
- Che significa, signor Sural? - Nove alzò il PADD. Anche attraverso il collegamento video erano evidenti le anomalie che i sensori della Congo avevano rilevato – La Starfender torna da una banale missione di pattugliamento senza una gondola di curvatura e ai sensori appare come una collezione di anomalie magnetiche. Vorrei una spiegazione.
- È logico pensare che non abbia ancora letto i rapporti, comandante - rispose Sural anticipando il klingon.
- Sono appena arrivata, non ne ho avuto il tempo.
- Siamo incappati in un vecchio campo minato romulano e... ha detto “anomalie magnetiche”, comandante?
- Th'Karr, fermi la nave.
Il klingon esitò al punto che Nove ripeté l'ordine alzando la voce.
In meno di un'ora dalla non lontana Base Stellare 39 Sierra venne lanciata una squadra di runabout specializzata in rilevamenti tachionici. Circondarono la Starfender e messa in funzione la griglia di rilevamento tachionica fu abbastanza facile scovare diciassette mine magnetiche occultate aderenti in diversi punti allo scafo dell'incrociatore ferito.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Una nave per Nove
10.

Alterman stava fissando la sua tazza di raktajino seduta a un tavolino di una delle frequentate sale relax della Base Stellare 39 Sierra. Se ne stava abbandonata sulla comoda poltroncina sostenendo la testa con una mano, il gomito puntellato sul bracciolo. Aveva un'aria triste ed era così assorta che non si accorse del sopraggiungere del suo comandante.
- Posso? - Nove di Ventuno indicò la poltroncina di fronte con una mano. Nell'altra sosteneva una tazza arancione, fumante tè vulcaniano a giudicare dal profumo.
- Ma certo – esclamò l'ufficiale scientifico, trasalendo. Si sollevò dalla poltroncina, ma si arrestò a metà strada incerta se scattare sull'attenti o semplicemente sedere più composta.
- Riposo, Alterman.
Un brivido scorse lungo la spina dorsale della giovane. Il comandante Nove che beveva tè vulcaniano e faceva battutine? Forse che con la rimozione della protesi borg se n'erano andati anche l'apatia e il sangue freddo a cui si era così difficilmente abituata?
- Ho saputo che l'idea del regalo è stata sua – esordì la donna liberata dal Collettivo.
- Ehm... veramente no, è stata Brax a proporla.
Imbarazzata, Alterman si decise a prendere il raktajino tra le mani anche se solo per darsi un tono.
- Ah. Non importa. Grazie: è un'idea che ho apprezzato molto. Mi mancava una scatola per il trucco e una di quelle dimensioni devo dire che risolve alcuni miei problemi. Si sarà accorta di come in passato non usavo che rossetto, e di un colore soltanto.
Nove sorrise e Alterman rabbrividì di nuovo. Qualunque cosa le avessero fatto alla testa... aveva funzionato. Nove stava parlando quasi come una donna.
- Se la cosa non comporta troppi oneri vorrei verificare la sua disponibilità, e magari anche quella del guardiamarina Brax, a fornirmi... consulenza sull'uso di tutto quel trucco. Temo che il Collettivo durante la cancellazione selettiva della mia memoria abbia considerato le tecniche di maquillage... futili.
- Sì... cioè, no... - si agitò Alterman in preda a un attacco d'ansia - voglio dire, sarò lieta di fornirle suggerimenti... in effetti già da ora posso dirle che lei fa un uso della matita troppo... ehm... marcato, comandante...
Nove si irrigidì, poi voltò intorno a sé la testa come per controllare se qualcuno la stesse fissando. Non erano molti i borg liberati a bordo della base stellare ma l'equipaggio aveva già da qualche giorno smesso di passarsi la voce e di additarla al suo passaggio.
- Ah. Capisco. Ne terrò conto, naturalmente. Grazie.
Alterman si portò alle labbra il raktajino, contenta per quell'improvviso manifestarsi di umana debolezza nel suo comandante mezzo borg.
- A più tardi Alterman – Nove si alzò dalla poltroncina senza far uso dei braccioli. L'ufficiale scientifico la fermò tendendo una mano come per afferrale un braccio ma bloccando il gesto spontaneo quasi subito.
- Comandante... cosa sa della Starfender?
- Come immaginerà non ci sono gondole di ricambio per la classe Miranda, qui. Per ora è destinata a rimanere ormeggiata. Desidera essere trasferita a un'altra nave?
- No, affatto... solo che...
Nove inclinò la testa all'incertezza del suo ufficiale. La fissò, e quella si sentì in obbligo di continuare.
- Mi sento un po' in colpa per quanto successo e...
- Non dica sciocchezze, Alterman. Tutto l'equipaggio si è comportato correttamente, più o meno. Io non avrei agito diversamente. Sappia che ho intenzione di proporre lei, il guardiamarina Brax, il tenente Sural e i timonieri Litvanen e Shilar per una promozione.
Sul viso della giovane si allargò un sorriso un po' sciocco ma sincero.
- Oh... grazie, comandante!
- Certo, per il momento siamo senza nave. La Starfender non può navigare in queste condizioni. Ho già fatto presente la situazione all'Ammiragliato e anch'io sono in attesa di ordini. Pazienti, Alterman: il nostro posto non è nel... salotto di una base stellare. Ci rimanderanno là fuori, prima o poi.
Nove si congedò lasciando il sottotenente Miranda Alterman un po' più serena e sollevata a fissare una tazza di tè vulcaniano raffreddarsi intatta sul tavolino davanti a lei.

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