Twins

di LorasWeasley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lo zio Lukas e lo zio Mathias ***
Capitolo 2: *** Una sola notte ***
Capitolo 3: *** Scoperte ***
Capitolo 4: *** Vino e storia ***
Capitolo 5: *** Pancake ***
Capitolo 6: *** Conversazioni ***
Capitolo 7: *** Domande indiscrete ***
Capitolo 8: *** Punizione ***
Capitolo 9: *** Verità ***
Capitolo 10: *** Videochiamata ***
Capitolo 11: *** Parco ***
Capitolo 12: *** Emil ***
Capitolo 13: *** Febbre ***
Capitolo 14: *** Volergli bene ***
Capitolo 15: *** Cinema ***
Capitolo 16: *** Recita ***
Capitolo 17: *** I nuovi zii Gilbert, Antonio e Romano ***
Capitolo 18: *** Papa ***
Capitolo 19: *** La magia del Natale ***



Capitolo 1
*** Lo zio Lukas e lo zio Mathias ***


Ed eccomi con una nuova long!
Saranno una quindicina di capitoli, forse qualcosa in più.
Al contrario dell'altra che ho scritto sempre in questo fandom qui la coppia principale sarà solo la FrUK, con America e Canada come bambini.
E' una famiglia che adoro troppo, dovevo scrivere su di loro.
I capitoli saranno praticamente tutti della stessa lunghezza circa e pubblicherò al solito ogni fine settimana!
Non credo di avere molto altro da dire per il momento, spero che lascerete qualche commento!
Un bacio, alla prossima settimana! Deh
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Twins

 

1.Lo zio Lukas e lo zio Mathias

-Tu hai bisogno di una scopata.
Furono queste le prime parole che gli disse Lukas non appena Arthur gli aprì la porta d’ingresso e questo lo scrutò per qualche secondo.
L’inglese sospirò mentre i suoi bambini correvano e saltavano sopra lo “zio Mathias”, facendolo cadere in mezzo al corridoio non appena questo entrò in casa insieme al suo fidanzato.
-Ah si? E da cosa l’hai capito?- domandò ironico Arthur portandosi una mano a massaggiarsi la testa, mentre con l’altra chiudeva la porta alle spalle degli ospiti.
-Dalla tua faccia e dai nervi tesi.
Arthur alzò gli occhi al cielo e si trattenne dal rispondere al suo migliore amico che non voleva davvero una risposta, alla fine conosceva da una vita il norvegese, sapeva com’era fatto.
Sentì Alfred e Matthew che tiravano con le loro manine Mathias per portarlo in soggiorno e fargli vedere tutto quello che stavano facendo.
Arthur intervenne –Non fate impazzire lo zio Mathias che poi non viene più.
-Ma non stiamo facendo nulla di male- gonfiò le guancie Alfred chiudendo le sue piccole mani in dei pugni che posizionò sui fianchi, mentre Matthew nascondeva il volto sul suo peluche di orso polare e chiedeva scusa con un mormorio flebile.
Il danese rise con la sua voce squillante, si inginocchiò e prese in braccio entrambi i bambini senza alcuno sforzo –Non preoccuparti Arthur, voglio proprio vedere tutto quello che hanno da mostrarmi- e con un sottofondo di schiamazzi felici dei due gemelli si diresse in soggiorno lasciando l’inglese e il suo migliore amico da soli.
Fu il primo a parlare –Sembra molto portato a fare il padre, avete mai pensato di prendere dei bambini? Vivete insieme già da un sacco di tempo.
Lukas trasalì, guardò malissimo il suo amico e mentre si avviava in cucina senza aspettare alcun invito particolare da parte dell’altro borbottò pianissimo –Non ti ci mettere anche tu e non gli dare corda.
Arthur rimase stupito da quella risposta, l’aveva detto così tanto per dire, non pensava che fosse un argomento del quale già parlavano.
Poi rifletté anche sulla risposta che il norvegese gli aveva appena dato e corrugando la fronte lo inseguì dentro la sua cucina.
-Aspetta, che vuol dire? Perché non vuoi una famiglia con Mathias?- stava tenendo il tono basso, così che l’altro ragazzo non lo potesse sentire dall’altra stanza.
Lukas alzò un sopracciglio come se fosse ovvia la risposta –Ma ti sei visto? Non voglio finire come te. Mi piace la mia tranquillità, mi piace non cambiare pannolini sporchi e mi piace fare l’amore con il mio ragazzo ogni volta che ne ho voglia. Perché dovrei cambiare qualcosa nella mia vita?
-Ignorerò la prima parte dove hai decisamente poco tatto nei miei confronti e risponderò alla tua ultima domanda. Perché dovresti cambiare qualcosa? Perché se Mathias ti ama e vuole una famiglia con te dovresti dargliela.
Lukas sembrò davvero pensarci su, lo sguardo fisso in un punto indefinito e i denti che si torturavano l’interno della guancia, poi sembrò riprendersi e cambiò tranquillamente argomento.
-Comunque, tutto questo ci riporta alla mia prima affermazione. Hai bisogno di una bella scopata Arthur.
Gli urli e le risate divertite dei bambini nell’altra stanza facevano da sottofondo a quella conversazione.
-Si, grazie per l’informazione Lukas, ma, come hai ben potuto constatare, ha da un paio di mesi che è un po' impossibile per me uscire la sera e cercarmi qualcuno con cui passare la notte.
Il norvegese aprì le braccia –Ed è per questo che io e Mat siamo qui, proprio per aiutarti.
Scese il silenzio, Arthur aveva strabuzzato gli occhi incredulo, parlò solo dopo diversi secondi.
-Okay… Capisco che siamo migliori amici tipo dall’asilo… Ma non ho intenzione di fare una cosa a tre con il tuo ragazzo solo perché non scopo da mesi.
Lukas rimase in silenzio, confuso adesso anche lui, poi rispose con la sua voce perennemente pacata e bassa –Ma sei scemo? Non mi stavo riferendo a quello. Dio, i brividi al solo pensiero, ma da dove ti vengono in mente!
Arthur si rilassò visibilmente.
Lukas continuò –Dicevo che per una notte te li possiamo tenere noi i bambini, anche oggi stesso, li facciamo cenare e restano a dormire da noi, poi domani magari vieni a pranzo e nel pomeriggio te li riporti a casa, che ne pensi?
-Mhmm…- Arthur non era molto convinto –Ma sei sicuro di quello che dici? Infondo l’hai visto benissimo in questi mesi quanto siano… euforici. Dovrete stargli perennemente dietro, vi ritroverete distrutti.
Lukas fece un sorrisetto –Oh lo so, così magari Mathias si toglie dalla testa questa idea assurda di avere un bambino.
-Lukas…- provò ad ammonirlo Arthur in un sospiro ma venne immediatamente interrotto dall’altro.
-Pensaci, ci guadagniamo entrambi.
L’inglese sospirò per la milionesima volta passandosi una mano sugli occhi –Va bene, solo perché sei il mio migliore amico.
Lukas sorrise soddisfatto, poi si diresse in soggiorno seguito dal padrone di casa, qui trovò il suo fidanzato sdraiato a terra, mezza faccia colorata di viola, Alfred li accanto con i colori a spirito in mano e Matthew che gli saltellava sullo stomaco.
-Ehy bambini! Stasera volete venire a dormire dagli zii?
I due gemelli si illuminarono, Alfred lasciò andare i colori e chiese speranzoso –E possiamo mangiare la pizza?
Lukas annuì –Compreremo la pizza con le patatine.
Alfred saltò felice dalla gioia mentre Matthew scendeva dallo stomaco del danese e si avvicinava al suo papà, gli afferrò il tessuto dei pantaloni e chiese flebilmente –Daddy, tu non vieni?
Lukas si inginocchio per essere alla sua altezza –Non ci vuoi stare con noi?
Il bambino sembrò indeciso su cosa rispondere e strinse di più il tessuto del pantalone del padre, questo si abbassò a sua volta e lo strinse in un abbraccio –Non devi aver paura a dormire fuori di casa, gli zii li conosci e poi non sei solo, c’è tuo fratello, Alfred non ti abbandonerebbe mai.
-Non ho paura, non voglio che tu resti da solo daddy.
Ad Arthur gli si strinse il cuore –Honey…- sussurrò stringendoselo di più contro –Stai tranquillo, io ho da fare e domani sarò di nuovo con voi.
Alfred si materializzò davanti a loro –Anche io voglio un abbraccio!
Arthur rise, liberò un braccio per tirare a sé l’altro gemello e abbracciarli entrambi, infine si alzò da terra portandosi dietro i due bambini –Andiamo a preparare il pigiama? Così meno tempo sprechiamo adesso e più ne avrete stasera per far impazzire lo zio Mathias.
I cori felici delle esaltazioni dei due bambini fecero sorridere Lukas in modo quasi inquietante.
 
Chiuse la macchina quando riuscì a trovare parcheggio e, prima di avviarsi, ricontrollò per la milionesima volta che non ci fossero nuove notifiche sul cellulare e che il volume fosse al massimo.
Aveva dato così tanti avvertimenti a Lukas che questo era stato costretto a buttarlo fuori di casa per farlo andare via per la sua serata.
Sorrise al ricordo, poi si avviò verso quella via piena di locali, erano le dieci di un sabato sera, era normale che fosse piena di ragazzi e ragazze. Molti sembravano piccolissimi e di sicuro non doveva essere solo apparenza.
Storse il naso ignorando tutti i locali più famosi affollati di quei ragazzi muniti di carta d’identità falsa e si diresse verso un pub che conosceva bene. Lui, Lukas e diversi altri amici si ritrovavano spesso li a passare le loro serate prima dell’arrivo dei bambini.
Era un po' Dark, sempre con le luci soffuse e al minimo, tutto sembrava avere una sfumatura bluastra, aveva dei prezzi molto alti perché vendeva il miglior alcool che Arthur avesse mai assaggiato. I ragazzini se ne tenevano alla larga semplicemente perché loro preferivano spendere poco per dell’alcool da pochi spiccioli e vomitare qualche ora dopo in qualche vicolo isolato.
Quando entrò notò con piacere che stava della musica dal vivo ma che per questo tutti i tavolini erano occupati.
Trovò uno sgabello al bancone e ordinò dello scotch, iniziò a sorseggiarlo lentamente mentre ascoltava la musica e si guardava intorno per capire che tipo di clientela stava quella sera e per vedere se c’era qualcuno che valeva la pena portare nei bagni o addirittura nella sua macchina.
Stava cercando di capire se il ragazzo moro seduto due persone alla sua destra fosse carino o meno quando sentì una voce sensuale vicino al suo orecchio, sembrava conosciuta ma non riuscì a collegarla a nessun volto.
-Posso offrirti qualcos’altro da bere?
Si girò verso la direzione di quella voce con già un angolo della bocca alzato e la risposta affermativa sulle labbra quando gelò sul posto.
Perché conosceva benissimo quel sorriso da prendere a schiaffi, quei lunghi capelli biondi e quegli intensi occhi blu. Li aveva sognati per così tante notti da aver perso il conto.
-Francis…- sussurrò così flebile che l’altro non riuscì a sentirlo con la forte musica, ma lesse il labiale e fu soddisfatto di essere stato riconosciuto.
-Quando sei tornato?- domandò a voce più alta Arthur quando si riprese dallo shock iniziale, aveva anche distolto lo sguardo e inclinato la testa di lato per nascondere il rossore.
-È importante? Ora sono qui. E mi sei mancato- era sempre così schietto e diretto senza farsi alcun problema, allungò una mano e gli fece alzare il mento per fissarlo direttamente in quegli occhi verdi –Non ti manca quello che facevamo una volta?
Arthur deglutì e cercò di mantenere ferma la voce mentre diceva –Per quanto ne sai potrei essere impegnato con qualcun altro.
Francis sorrise –Lo sei?
Arthur dovette dire la verità –No, ma…
-Ma?
-Hai detto che mi offrivi da bere prima, sto aspettando.
Francis rise e si sporse verso il suo orecchio –Certo che non sei cambiato di una virgola.
-Ti è andata bene allora.
E, mentre si perdeva nei suoi occhi, tutti i ricordi del passato tornarono prepotentemente a galla.

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Capitolo 2
*** Una sola notte ***


2.Una sola notte

Non c’era una parola specifica per definire davvero quello che Francis e Arthur erano stati.
Neanche loro due si erano mai dati un appellativo.
Era strano il loro rapporto, troppo complicato per essere davvero qualcosa.
Si erano conosciuti al liceo, avevano la stessa età ma si trovavano in classi differenti.
Francis stava sempre con i suoi due migliori amici, Gilbert e Antonio, mentre Arthur passava le sue giornate con Lukas.
Le due classi però avevano le ore di educazione fisica insieme e per quelle due ore settimanali si ritrovavano in palestra. A volte anche nel fare partite gli uni contro gli altri.
Fu proprio in una di quelle giornate che i due entrarono in contatto.
Francis aveva lanciato la palla forte e Arthur era distratto così fu preso in pieno volto, si infuriò e iniziò a imprecare contro di lui e contro la popolazione francese in generale.
Francis aveva riso e non si era fatto problemi a rispondere per le rime, elencando tutte le cose che avevano di sbagliato gli inglesi.
E fu da quel momento che iniziò il loro odio, si insultavano e lanciavano frecciatine ogni volta che ne avevano l’occasione, non erano mai arrivati a una vera e propria rissa solo perché Lukas bloccava Arthur in tempo e Antonio tratteneva Francis, nessuno dei due voleva che il proprio migliore amico venisse espulso.
Fu al terzo anno che le cose cambiarono.
Era pomeriggio inoltrato, erano appena finiti i corsi e i due ragazzi si ritrovarono soli in corridoio.
Arthur stava camminando a testa bassa, imprecando contro il suo migliore amico che lo aveva abbandonato per uscire con quel suo amico che non vedeva dall’infanzia, Mathias.
Era così preso dai suoi borbottii che si accorse di Francis solo quando gli sbatté contro.
Corrugò le sopracciglia e gli disse quasi annoiato –Guarda dove cammini, stupida barbetta.
-Ah io? Forse le tue enormi e oscene sopracciglia ti impediscono di vedere dove metti i piedi?
-Come osi?- Arthur lo afferrò per la cravatta della divisa scolastica avvicinandosi troppo al suo viso.
E in realtà nessuno dei due poi fu certo di come si ritrovarono a baciarsi con foga, come se aspettassero solo quello da anni.
E fu soprattutto difficile spiegare poi ai propri amici com’è che si ritrovarono in bagno a fare tutto meno che litigare, perché non erano certi neanche loro di come fossero degenerate le cose così tanto, ma di una cosa erano sicuri: non gli era dispiaciuto per niente.
Il loro rapporto non cambiò molto, continuavano a litigare sempre e comunque per qualsiasi cosa, a volte andavano contro una cosa che l’altro aveva detto solo per il gusto di farlo.
E poi c’era il sesso, quello era spettacolare, era diventato una droga.
Era semplicemente una relazione carnale, non stava nessun vincolo a legarli.
Non ne avevano mai parlato apertamente, perché ogni volta che parlavano di qualcosa finivano per litigare e urlarsi contro.
Non era una relazione esclusiva, potevano benissimo vedere altre persone e far smettere quello che avevano in qualsiasi momento, ma nessuno dei due l’aveva mai fatto, non avevano bisogno di altri, perché stavano così bene insieme da sentirsi completi.
Durò per due interi anni, fino a quando non finì la scuola.
Stavano festeggiando il diploma, Francis era dentro di lui quando mormorò –Domani parto, torno in Francia.
Arthur smise anche di respirare, irrigidì i muscoli e spalancò gli occhi.
Perché dirglielo così tardi? Perché proprio in quel momento?
Boccheggiò incredulo, il viso ancora nascosto nella sua spalla nuda, avrebbe voluto dirgli un sacco di cose, urlare, piangere, odiarlo.
Ma un “okay” tremolante fu l’unica parola che uscì dalle sue labbra.
Si pentì per mesi di quella sua reazione, ma era così orgoglioso da non riuscire a chiamarlo.
E quando perse il telefono e fu costretto a cambiare numero perdendo tutti quelli che aveva salvato si chiese se non fosse un segno del destino.
Non si era mai reso conto di quando quello stupido francese fosse diventato importante per lui fino a quando non se n’era andato.
Perché era impossibile negare che si fosse affezionato quando non faceva altro che pensare a lui o a immaginarlo quando stava con altri ragazzi.
Solo quando arrivarono Matthew e Alfred le sue priorità cambiarono e il suo ricordo venne accantonato in un angolo della sua mente, come un qualcosa di stupido e immaturo che aveva al liceo.
Ma non l’aveva dimenticato, non l’avrebbe mai dimenticato, di questo ne fu totalmente sicuro mentre si baciavano in quel bar anni dopo.
Francis gli aveva offerto da bere come promesso, poi l’aveva baciato dopo che anche l’ultima goccia dal bicchiere era sparita.
E nonostante fosse passato così tanto tempo sembrò come se non avessero mai smesso di farlo.
Il francese mantenne la mano sulla sua guancia calda mentre si staccava da quel contatto umido semplicemente per sussurrare –Vieni a casa mia?
E Arthur annuì velocemente, non pensando a null’altro.
Lo seguì fuori e lo bloccò afferrandogli un braccio –Aspetta, ho la macchina, non posso lasciarla qui.
-Non c’è bisogno, abito due vie più avanti, è inutile spostare la macchina, non troveresti parcheggio.
Arthur ci pensò su, poi annuì seguendolo a piedi, era fine settembre ma non faceva ancora così tanto freddo.
Rimasero in silenzio per tutto il tragitto, infondo non avevano mai davvero parlato, perché quella sera doveva essere diversa? Lo scopo che volevano raggiungere entrambi era solo uno e non aveva bisogno di conversazioni inutili.
Solo mentre Francis cercava le chiavi del portone Arthur parlò –Sarà per una sola notte.
Le chiavi gli caddero a terra, ma il francese si riprese subito e si affrettò a raccoglierle, continuando a dargli le spalle chiese quasi disinteressato –Perché?
-Perché non siamo più quelli che eravamo al liceo.
Perché ho una vita così incasinata che non ho alcun diritto di metterti in mezzo.
Francis rimase in silenzio.
Salirono in casa e non appena la porta fu chiusa alle loro spalle non persero tempo a spogliarsi e ritrovarsi in camera da letto.
-Arthur- sospirò di piacere Francis facendolo stendere sul materasso ed entrando a contatto con la sua pelle nuda –Sono tornato per restare.
Arthur sentì il suo cuore accelerare, un mugolio gli uscì dalle labbra, era tutto quello che voleva.
Tutto quello che aveva sempre voluto.
Ma non poteva, non poteva assolutamente ricominciare quel ciclo di lussuria che aveva al liceo, non con Alfred e Matthew.
-Una sola notte- specificò di nuovo facendo uscire le parole a fatica.
E nessuno dei due disse più nulla, troppo impegnati a usare le labbra per qualcosa di più utile e piacevole.
 
Erano rimasti svegli fino alle cinque del mattino a rotolarsi nel letto, avevano fatto così tardi che quando Arthur si svegliò alle dieci passate per colpa di un raggio di sole che gli infastidiva gli occhi, Francis era ancora nel pieno del sonno.
Si alzò facendo meno rumore possibile e per prima cosa cercò il telefono dentro una delle tasche dei suoi pantaloni a terra.
Non trovò alcuna chiamata persa, solo un messaggio da parte di Lukas inviatogli mezz’ora prima.
“Qui siamo tutti vivi, fai con comodo ;)”
Sorrise, poi recuperò i suoi vestiti rimettendoseli in fretta, non perse tempo neanche per andare in bagno.
Quando si accertò di aver preso tutto perse solo qualche secondo per fissare Francis che dormiva, la bocca socchiusa e i capelli lunghi sul volto.
Stava allungando una mano per scostarglieli, ma si trattenne in tempo, non voleva svegliarlo, non poteva.
Perché preferiva andarsene lui che far scappare un’altra volta il francese, era inevitabile questa sua reazione quando avrebbe scoperto dei suoi figli.
Andò via senza lasciare nulla, alcun biglietto o alcuna prova della sua presenza in quella casa.
Cercò di scacciare tutti quei nuovi ricordi che sapeva sarebbero diventati indelebili e guidò fino a casa del suo migliore amico.
Quando suonò al campanello e la porta gli venne aperta venne travolto da quei due tornati che erano i suoi bambini.
Lo gettarono a terra e mentre Matthew lo stringeva felice di rivederlo, Alfred gli saltava sullo stomaco mentre con voce esaltata raccontava tutto quello che avevano fatto la sera prima.
Arthur rise felice, li abbracciò di rimando baciandoli dolcemente sulla fronte e si alzò prendendoli entrambi in braccio.
-… e poi abbiamo visto questo film horror…- Arthur spalancò gli occhi alla frase di Alfred e fissò malissimo il suo migliore amico mentre entrava in casa e metteva i bambini a terra.
-Gli hai fatto vedere un film horror?
Lukas sembrò impassibile a quel rimprovero, lo ignorò completamente e parlò ai bambini come se il suo amico non avesse detto nulla –Perché non andate a svegliare lo zio Mathias? Ha dormito troppo e qualcuno deve pur iniziare a preparare il pranzo.
-Siiii!- e corsero esaltati via.
Solo a quel punto il norvegese portò lo sguardo su Arthur –Allora? Com’è andata con Francis?
-Non cambiare argomento! Perché hai fatto vedere un… COME DIAVOLO SAI CHE STAVO CON FRANCIS?
Lukas abbozzò un sorrisetto –Cosa credi, che tu l’abbia incontrato per puro caso?
Arthur boccheggiava incredulo, le guance rosse –Si?
-No. È da quando è tornato che cerca di rintracciarti ma hai cambiato numero e casa, ha riconosciuto Mathias l’altro giorno al pub e gli ha chiesto se ancora stava con me. Da quando è riuscito a contattarmi non fa altro che chiedermi di te. Mi ha preso per esasperazione e gli ho promesso questo incontro.
-Sei uno stronzo- sussurrò l’inglese.
-Sono il tuo migliore amico- lo corresse Lukas.
-Sai quanto mi ci è voluto per dimenticarlo, non dovevi farlo, non dovevi…
-Sono il tuo migliore amico- ribadì un’altra volta il norvegese –So quanto ti ci è voluto per provare a dimenticarlo senza alcun risultato.
Arthur distolse lo sguardo, colto sul fatto.
-Quando vi rivedrete?- continuò Lukas tranquillamente.
-È stata solo una scopata, come al liceo. Non ci rivedremo più.
Lukas rimase in silenzio, poi strinse le labbra –Stai sbagliando.
-Non sto sbagliando. Vuole solo divertirsi, non vuole andare dietro dei bambini.
-Non puoi sapere…
-Non contestarmi, è così. Tu sei il primo che non vuole avere dei bambini con la persona che ama. Perché lui dovrebbe farsi andare bene due pesti come sono quei gemelli per una semplice scopata che potrebbe trovare ovunque?
E per la prima volta Lukas non riuscì a contestarlo in alcun modo.

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Capitolo 3
*** Scoperte ***


3.Scoperte

E dopo esattamente un mese e una settimana si trovava di fronte la porta del suo appartamento.
Aveva aspettato così tanto che si chiese perché stesse ancora fermo a fissare il legno scuro, senza fare una singola mossa.
Molto probabilmente aveva paura, perché incontrarlo di persona avrebbe dato una svolta definitiva.
E Francis aveva il terrore che l’avrebbe fatto uscire definitivamente dalla sua vita.
Ed Arthur aveva anche tutte le ragioni per farlo, visto che lui era stato il primo ad abbandonarlo, molti anni prima.
Ma non poteva accettare una cosa del genere, non quando lui era l’unico che gli faceva provare sentimenti che non aveva mai immaginato.
Non era sicuro che quello fosse l’amore di cui tutti parlavano, ma era sicuro di non volerlo perdere, nonostante l’avesse capito troppo tardi.
Sospirò, prese un bel respiro e fece gli ultimi due passi che gli mancavano, poi suonò il campanello.
Passò un po' prima che qualcuno gli venisse ad aprire e per tutto il tempo Francis smise anche di respirare.
Stava per suonare nuovamente quando la porta si aprì.
-Si?- domandò Arthur, non aveva aperto molto, come se avesse intenzione di togliersi quella scocciatura dai piedi il prima possibile.
Era trasandato, un sotto di tuta logoro, i capelli spettinati e delle occhiaie così profonde che Francis non pensava potessero esistere sul suo volto perfetto.
Arthur aveva gli occhi chiusi e si stava massaggiando le tempie con una mano, ma quando non ricevette risposta alzò lo sguardo per capire chi gli avesse suonato.
Strabuzzò gli occhi e boccheggiò incredulo, le guancie che gli diventavano leggermente rosee.
-Che ci fai qui? Come hai trovato casa mia?- sussurrò piano, come se non fosse certo di averlo di fronte.
Francis sfoggiò il suo solito sorriso, quello accattivante, che conquistava chiunque ma che nascondeva dietro di tutto.
-Ho stressato così tanto Lukas che alla fine me l’ha detto, in effetti ho anche dovuto farlo ubriacare un po'. Voglio solo capire qual è il problema.
Arthur sospirò –Non ho tempo per queste stupide cose, non è come al liceo, è tutto diverso ora.
Stava per richiudere la porta, ma Francis l’aveva previsto e lo bloccò con una mano.
Arthur immerse quei suoi occhi verdissimi nei suoi –Non costringermi a farti male.
-Arthur, non hai proprio capito un cazzo se pensi seriamente che dopo un mese io accetti per buono questa stupida scusa che non sta né in cielo né in terra e me ne vada.
L’inglese stava per rispondere, ma venne interrotto dal pianto di un bambino che si diffuse nell’appartamento e che gli fece sbarrare gli occhi dalla preoccupazione.
-Bene- disse in fretta –Vuoi sapere qual è il problema? Entra.
Abbandonò la porta lasciandola aperta, non aspettò l’altro perché spedito si avviò lungo il corridoio seguendo quella voce che piangeva.
Francis si pulì le suole delle scarpe sullo zerbino all’ingresso, poi entrò definitivamente chiudendosi la porta alle spalle.
Sentì la voce di Arthur chiedere –Che sta succedendo qui?
Il pianto si fece più forte e un’altra voce sottile, da bambino, iniziò a dire di non averlo fatto di proposito.
Sempre più confuso Francis entrò nella stanza dove aveva visto sparire l’inglese e si trovò davanti una scena che non si aspettava di certo.
Il soggiorno era cosparso di giocattoli buttati alla rinfusa ovunque, colori in giro, fogli sparsi, i cuscini del divano erano stati tolti per creare un fortino al centro della stanza.
Stavano due bambini, identici, non potevano avere più di quattro anni.
Quello con i capelli più lunghi era inginocchiato a terra davanti il peluche di un orso polare che aveva un braccio strappato, l’ovatta bianca che usciva dai due pezzi e rendeva la scena quasi tragica, il tutto alimentato dal fatto che il bambino non smetteva di piangere disperato.
L’altro bambino se ne stava più in disparte, stava gesticolando mentre spiegava o tentava di spiegare quello che era successo ad Arthur, l’uomo era davanti a lui con le braccia conserte e il volto severo. Il piccolo aveva le lacrime agli occhi, ma sembrava troppo orgoglioso per mettersi a piangere.
Francis seguì tutta la scena in silenzio, vide come l’inglese rimproverò il bambino che, per quanto aveva capito, mentre giocava per sbaglio aveva tirato il peluche del fratello e questo si era strappato. Lo rimproverò per il suo essere troppo impulsivo, poi sospirando si avvicinò verso l’altro bambino, mentre il gemello restava a debita distanza, con i piccoli pugni chiusi, il volto rosso e le guancie gonfie.
Arthur si inginocchiò di fronte a quello con i capelli più lunghi e gli accarezzò la testa –Matthew, honey, non piangere così, ne ricompreremo un altro.
Se possibile il bambino iniziò a piangere ancora di più, tra le lacrime e i singhiozzi rispose che non ne voleva uno nuovo, che voleva il suo Kumajirou e non poteva sostituirlo.
Arthur sembrò entrare nel panico, totalmente disperato per l’impossibilità di trovare una soluzione.
Così Francis decise che era arrivato il momento di intromettersi e aiutare.
Fece un colpo di tosse per ricordare all’altro della sua presenza, poi parlò –Si è strappato lungo la cucitura, quindi non dovrebbe essere difficile ricucirlo.
Il bambino che si chiamava Matthew si illuminò, con il viso ancora pieno di lacrime si girò speranzoso verso Arthur –Daddy puoi salvarlo? Salvalo ti prego! Salva Kumajirou.
Francis cercò di non mostrarsi troppo sorpreso e stranito quando sentì la parola “daddy”, Arthur gli doveva tantissime spiegazioni, ma non era quello il momento adatto.
L’inglese però sembrava ancora più nel panico dopo quelle poche frasi e lanciò uno sguardo disperato a Francis che gli fece capire che non aveva mai cucito nulla in tutta la sua vita e non aveva idea da dove iniziare.
-Posso farlo io- tre paia di occhi si puntarono su di lui, si sentì quasi in soggezione, così si affrettò ad aggiungere –Se per voi va bene.
Matthew si alzò in piedi con un sorriso dolcissimo, si girò verso il fratello e, con voce bassa ma felice, disse –Hai sentito Alfred? Il signore salverà Kumajirou! Lo salverà!
Il bambino di nome Alfred distolse lo sguardo imbarazzato e chiese –Ma… non sei seccato con me?
Matthew inclinò la testa confuso –Perché? Non volevi fargli del male. E io ho tirato dall’altro lato, è stato un incidente.
Alfred corse ad abbracciare il fratello che aveva definitivamente smesso di piangere e Arthur sospirò di sollievo alzandosi da terra.
Si girò verso Francis e lo scrutò con uno sguardo così intenso che l’altro non riuscì a comprenderlo.
Poi annunciò –Ti prendo le cose, tu siediti pure…- sembrò voler indicare il divano, ma poi si rese conto delle condizioni in cui versava e riabbassò velocemente la mano –dove trovi posto.
Quando uscì fuori dalla stanza il francese si girò a fissare i due bambini che lo stavano già fissando con timore e ammirazione allo stesso tempo.
-Ehy- Francis sorrise loro dolce –Che ne dite se sistemiamo il divano?
I due bambini si misero subito all’opera, riportando i cuscini ai loro posti e cercando di incastrarli nei posti giusti, così alla fine con l’aiuto di Francis riuscirono a sistemarlo alla perfezione, l’uomo si sedette su questo e i due gemelli gli portano l’orsacchiotto di peluche.
Ognuno ne portava un pezzo come se fosse una sacra reliquia.
Francis sorrise, se lo posò in grembo e attese, mentre i due bambini si sedevano al suo fianco, in religioso silenzio ma super curiosi per quella grande novità.
Arthur li raggiunse dopo diversi minuti che aveva intrapreso quella ricerca –Sapevo dell’esistenza di questa scatola del cucito solo perché, quando mi sono trasferito, la vecchietta che mi ha venduto la casa me l’aveva lasciata come regalo di benvenuto, sono passati così tanti anni che non avevo idea di dove…
Si bloccò spalancando gli occhi quando si rese conto della scena che aveva davanti.
-Cosa c’è?- domandò confuso Francis mentre afferrava la scatola che gli stava porgendo e si metteva al lavoro cercando l’ago e il filo giusto.
Arthur aveva lo sguardo fisso sui due bambini, come se non credesse davvero che fossero li davanti a lui –Non li ho mai visti così buoni. Mai.
Francis rise e iniziò a cucire il braccio di stoffa al resto del corpo, Arthur riprese a parlare.
-Se vi lascio qui mentre vado a cucinarvi la cena riuscite a non farlo scappare via dalla disperazione?
Fu Francis a rispondere per loro –Faranno i bravi. Non vogliono di certo che mi distragga facendo ancora più male al povero Kumajirou, vero?
Sia Matthew che Alfred scossero la testa velocemente, spaventati da quella tragica eventualità.
Arthur annuì, non del tutto convinto, poi andò di nuovo via.
Francis fece il suo lavoro sotto lo sguardo attento e stupito dei due bambini e dopo un quarto d’ora abbondante il peluche era tornato come nuovo.
Tagliò il filo soddisfatto e dopo aver posato tutto porse il peluche a Matthew –Eccolo qui, ora sta bene.
Il bambino lo fissò con gli occhi pieni di ammirazione e, prima di afferrare il suo peluche e stringerselo al petto, si gettò contro l’uomo stringendo le sue piccole braccine intorno al suo collo e abbracciandolo stretto –Grazie! Grazie davvero signore!
Francis rimase totalmente interdetto da quel gesto, non era preparato a una cosa del genere come non era preparato a sentire quel calore nuovo che si irradiò nel suo petto.
Ad interrompere quella scena fu Arthur, li stava fissando appoggiato allo stipite della porta, molto probabilmente era li già da un po' di tempo.
Si schiarì la voce e cercò di nascondere il rossore che gli aveva invaso le guancie –Al, Matt, è pronta la minestra, andate a lavarvi le mani prima che si raffredda.
I due bambini saltarono su iniziando a urlare e commentare che avevano davvero una grandissima fame, poi corsero nell’altra stanza, non prima che Matthew si riprendesse il suo peluche portandoselo dietro.
Arthur lo bloccò togliendogli dalle mani l’orsacchiotto –L’abbiamo appena aggiustato, meglio non sporcarlo, tu mangia tutto, lui ti aspetta qui.
Matthew sembrò pensarci su, poi annuì a suo padre e seguì il fratello in bagno.
Solo a quel punto Arthur puntò lo sguardo sul francese che si era alzato dal divano e ora si trovava a pochi passi da lui.
Si fissarono per interi secondi, scrutandosi fin nel profondo, poi Arthur sussurrò –Non sei costretto a stare qui.
-Lo so.
Due semplici parole che volevano dire moltissimo altro.
Arthur si morse l’interno della guancia in imbarazzo –Posso raccontarti tutta la storia, dirti tutto quello che vuoi sapere, ma devo prima dar loro da mangiare e poi metterli a letto.
Francis allungò una mano verso di lui, gli accarezzò una guancia lentamente –Sono libero tutta la notte.
Arthur chiuse gli occhi a quel tocco e sospirò quasi di sollievo, annuì impercettibilmente, poi si girò verso gli schiamazzi dei bambini e i rumori delle sedie che venivano scostate.
Parlò mentre gli dava le spalle, troppo imbarazzato per fissarlo –Vieni, mangia con noi, ho cucinato troppo.
Francis sorrise e lo seguì.

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Capitolo 4
*** Vino e storia ***


4.Vino e storia

Erano le undici e mezza di sera quando finalmente i bambini si addormentarono.
Arthur chiuse lentamente la porta della loro camera e sospirò, passandosi una mano sulla volto stanco.
Prima di raggiungere Francis nel soggiorno rischiarato da poche luci decise di passare in cucina per prendere due calici e una bottiglia di vino rosso.
Quando Francis adocchiò quello che teneva in mano fece un sorrisetto.
-A cosa devo quello?- domandò innocentemente.
Arthur si sedette al suo fianco, poggiando i bicchieri sul tavolino basso, dove stavano ancora dei colori sparsi e dei fogli scarabocchiati, e aprì la bottiglia.
-Ho davvero bisogno di ubriacarmi.
E non era una battuta, era terribilmente serio mentre lo diceva.
-E i bambini?- Francis afferrò di buon grado il suo bicchiere.
Arthur si bloccò un solo attimo, poi alzò il calice pieno e lo fece tintinnare contro quello dell’altro –Se dovessero svegliarsi penso mi impediresti di gettarli fuori dal balcone, quindi va bene così.
Francis rise, poi entrambi bevvero un sorso.
L’aria era tesa, piena di discorsi non detti, di parole che necessitavano di uscire.
-Non mi avevi detto di loro.
Arthur sorrise amaro mentre fissava il liquido scuro nel suo bicchiere.
-Non che in una notte abbiamo parlato molto, ti ricordo che eravamo impegnati a fare altro- fece presente Arthur, come se quella fosse una scusa più che plausibile per avergli nascosto dei figli di quattro anni –E comunque in generale non è che noi due abbiamo mai parlato.
-Arthur, sei…
Entrambi sapevano cosa stava per chiedere il francese, era più che naturale che una domanda del genere gli uscisse spontanea.
Perché nonostante quella sera gli avesse detto che non era occupato con nessuno, era molto più facile credere che avesse mentito invece di poter immaginare e pensare ai molti altri scenari possibili.
Così Arthur lo precedette interrompendolo a metà.
-Non sono miei.
Scese il silenzio.
Francis non gli fece pressione per continuare nonostante fosse sempre più confuso e voleva solo collegare tutti i pezzi.
Arthur prese un nuovo sorso, poi continuò a spiegare.
-Ricordi la situazione tragica che avevo con la mia famiglia, vero? Dovrei avertene parlato ai tempi del liceo. La maggior parte delle volte che venivo da te era per sfogare la mia frustrazione, dovresti ricordarlo.
Francis annuì, Arthur non lo vide, troppo concentrato sul leggero movimento del liquido rosso nel proprio calice e con la mente persa da tutt’altra parte.
Senza aspettare una risposta verbale riprese.
-Sono i figli di mia sorella. Lei è morta poco dopo aver partorito. Sono stati con i miei genitori per tutto il primo anno della loro vita, poi è stato trovato il testamento della sua morte dove lei chiedeva di affidarli a me. Non so perché l’abbia fatto, da piccoli eravamo molto legati, ma pensavo mi odiasse dopo che sono scappato di casa. Io… Non sapevo neanche della loro esistenza. Non ho idea di che fine abbia fatto il loro vero padre.
Prese un nuovo sorso di vino, questa volta molto più consistente, tanto che nel calice ne rimase pochissimo, poche gocce scarse.
-I miei genitori sapevano che lei voleva darli a me, per questo avevano nascosto il testamento, mi avevano completamente escluso dalla famiglia e non volevano che i loro nipoti crescessero in casa mia. Ma sono troppo euforici ed esaltati e loro non riuscivano a stargli dietro, così dopo un anno la cosa è tornata a galla e la mia vita è stata stravolta di punto in bianco quando mi è arrivata la lettera dal tribunale.
Ingoiò a vuoto, le mani gli tremavano leggermente -Io… Non li volevo… Non so come gestirli dei bambini, non so mai se sto facendo quello che mia sorella avrebbe voluto per loro. Certe volte penso che siano solo un peso, mi sono svegliato un sacco di mattine credendo di aver avuto un incubo e che la mia vita fosse tornata… normale. Sono sempre così esaltati, devo stargli dietro minuto dopo minuto o combineranno danni. Solo nell’ultimo mese sono andato in ospedale sette volte perché continuavano a farsi male, soprattutto Alfred.
Sospirò pesantemente.
-Quando in tribunale ho deciso di prenderli non l’ho fatto per esaudire la volontà di mia sorella o perché loro mi fissavano con quegli occhi azzurri e grandi e non volevo che finissero in un orfanotrofio, l’ho fatto per i miei genitori. Per dimostrargli che non ero così inutile e incapace come avevano sempre pensato e anche per fargli un torto. Non l’ho fatto per loro, l’ho fatto per me.
Una lacrima percorse tutta la sua guancia e si infranse contro il poco liquido scuro del vino rimasto nel suo bicchiere.
-Art…- Francis allungò una mano verso di lui, non sapeva come reagire a una reazione simile, a delle frasi simili.
-E ci sono momenti in cui  mi sento un totale mostro per aver pensato a queste cose. Come quando Alfred mi ha chiamato per la prima volta papà, l’ha fatto con naturalezza così schiacciante che mi ha scombussolato. Perché mi ha fatto capire che ci crede davvero, al fatto che io sia suo padre, non suo padre biologico, non è stupido. Ma crede davvero nella nostra famiglia. Matthew era più timido, lo è tutt’ora e mi ha chiamato in quel modo solo qualche sera dopo, mentre gli davo il bacio della buonanotte. Io… Mi sono affezionato a loro. E ho il costante terrore di sbagliare tutto e di…
Singhiozzò, poi si girò verso Francis, lo fissò con terrore –Cosa dovrei fare se quando saranno più grandi andranno via dicendo di odiarmi e di avergli rovinato la vita? Quando mi accuseranno di essere solo un egoista? Come potrei dargli torto?
E il francese capì che era arrivato il momento di agire. Poggiò il calice di vino ancora quasi del tutto pieno sul tavolino e fece lo stesso con il bicchiere vuoto dell’altro.
Lo afferrò per le spalle e lo costrinse a guardarlo negli occhi –Arthur ascolta, è inutile farsi tutti questi problemi adesso e complicarsi la vita. Non puoi andare avanti così, perché non puoi reggere a questo ritmo. È normale che per i primi tempi tu abbia fatto quei pensieri, ti sei ritrovato in una situazione più grande di te che non sapevi neanche come gestire, ma non puoi vivere con questa angoscia.
-E cosa dovrei fare allora?
Francis sorrise avvicinando il volto a quello del ragazzo –Devi vivere giorno per giorno, senza farti complessi su un possibile futuro che potrebbe o non potrebbe accadere fra moltissimi anni. Inoltre, quei ragazzini ti adorano, non te ne sei accorto? Mi è bastato stare qui qualche ora per averlo chiaro davanti agli occhi. E tu non sei da meno. Non vedo nulla di egoistico in quello che fai, nel modo in cui li guardi e nel modo in cui ti preoccupi per loro. Non posso dirti se quello che stai facendo è quello che tua sorella voleva per loro, ma posso dirti che sarebbe solo una sciocca se non dovesse essere fiera di quello che stai facendo con loro.
Gli sorrise dolce accarezzandogli gli zigomi con i pollici -Quindi vivili giorno per giorno, e vivi per te stesso giorno per giorno, minuto per minuto…- Il sorriso si trasformò in uno più nel suo stile, in uno provocante, modulò anche la voce in modo diverso mentre gli diceva -E in questo minuto hai decisamente bisogno di rilassarti.
Arthur capì dove l’altro stava andando a parare, ma decise di giocare un po' rispondendo –Già, per questo stavo cercando di ubriacarmi.
Si era calmato, le lacrime avevano smesso di scorrere sul suo viso e le parole del francese lo scombussolarono così tanto che cercò di non darlo a vedere stando al suo gioco e rispondendo a tono.
Perché non si era mai reso conto di quanto avesse bisogno che qualcuno gli dicesse quelle parole, che qualcuno gliele dicesse credendoci veramente.
E il fatto che fosse Francis a vedere questo in lui lo fece sentire in un modo che non si era mai sentito.
Francis ampliò il suo sorriso facendolo diventare un ghigno –Conosco un metodo migliore dell’alcool.
E fu Arthur a spingersi contro le sue labbra baciandolo con foga, si spinse così in avanti che finì seduto a cavalcioni sulle sue gambe, immerse la mani tra quei capelli lunghi e biondissimi stringendoli senza fargli alcun male.
Francis rispose subito artigliandogli i fianchi per non farlo scendere da quella posizione,poi scostò il tessuto della maglia per passare le mani direttamente sulla sua pelle.
Arthur rabbrividì e mugugnò qualcosa di incomprensibile.
Si staccò dalle sue labbra e con gli occhi socchiusi riformulò la domanda in un sussurro –Andiamo in camera mia?
E Francis non perse tempo neanche a rispondere, perché si era alzato di scatto portandosi l’altro in braccio.
Soffocando il suo grido sorpreso contro la sua spalla, infondo nessuno dei due aveva alcuna voglia di svegliare i bambini.

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Capitolo 5
*** Pancake ***


5.Pancake

Quando si svegliò quella mattina si sentiva così riposato e quasi in pace con se stesso che prima di aprire gli occhi sorrise impercettibilmente.
Si rigirò tra le coperte, nonostante fosse nudo non aveva freddo in quel bozzolo che si era creato.
La pace e la tranquillità di quella mattina vennero spezzate quando si rese conto che era tutto troppo perfetto per essere vero.
C’erano troppe cose che non andavano.
Aprì gli occhi e notò i raggi del sole che entravano dalla finestra, doveva già essere mattino inoltrato.
Non era un giorno della settimana, perché la sveglia avrebbe suonato più  volte per ricordargli di andare a lavoro e di accompagnare i bambini a scuola.
I bambini.
Si alzò di scatto e fissò la sveglia con occhi sbarrati, erano le 10.37 di domenica. Perché i bambini non erano venuti a svegliarlo saltandogli sul letto o rompendo qualcosa dentro casa?
Si sentì lo stomaco sottosopra, e se gli fosse successa qualcosa?
Si alzò di scatto recuperando i primi vestiti a disposizione infilandoli in fretta, il suo essere nudo gli ricordò anche quello che era successo la notte prima con Francis.
Arrossì violentemente, ma non se ne preoccupò, tanto era solo in stanza, l’altro se n’era già andato.
Aprì la porta in preda all’ansia e si sentì leggermente meglio quando sentì schiamazzi e risate provenienti dalla cucina, ma si affrettò comunque a controllare.
Si bloccò davanti la porta con gli occhi sbarrati quando vide la scena che aveva di fronte.
Nel suo tavolo sembrava che fosse appena stata combattuta una battaglia con il cibo e che questo avesse vinto.
Matthew era seduto su una sedia, i piedi penzoloni che dondolavano mentre cercava di asciugarsi il viso appiccicoso con le mani ancora più sporche.
Alfred, seduto accanto al fratello, si stava ingozzando mangiando direttamente con le mani quelli che sembravano pancake.
Francis, che non se n’era andato come credeva, era davanti ai fornelli a girare altri dischi rotondi e perfetti.
Fu proprio quest’ultimo il primo a notarlo, gli sorrise dolcemente –Bonjour!
I due bambini alzarono lo sguardo e si illuminarono vedendolo, Alfred scese dalla sedia e corse da lui –Daddy, daddy!- parlò con la bocca piena, Arthur riuscì comunque a capirlo, ma si preoccupò, come al solito, che soffocasse.
Si inginocchiò e lo prese in braccio ammonendolo –Al, ingoia prima di parlare.
Il bambino fece come gli era stato detto, poi iniziò a raccontare, con la sua voce acuta e alta e gesticolando lanciava briciole ovunque.
-Abbiamo fatto la colazione per te daddy, il sign…- sembrò ripensarci e si corresse –Francis ci ha aiutato e ha cucinato perché dice che noi siamo troppo piccoli per il fuoco, però io e Matt abbiamo fatto tutto l’impasto! Assaggiali! Sono più buoni di quando cucini tu!
Arthur si oscurò e sentì Francis trattenere una risata, baciò sulla testa Alfred e lo riportò al tavolo facendolo di nuovo sedere al suo posto.
Poi si avvicinò a Matthew che scalpitava per ricevere anche lui il bacio del buongiorno, ma quando Arthur lo accontentò fece una smorfia per il suo volto completamente appiccicoso.
Si avvicinò al lavandino e cercò una pezza che, per puro miracolo, si fosse salvata alla loro battaglia e fosse ancora pulita, per poi metterla sotto l’acqua e bagnarla.
Era vicino a Francis, lo stava fissando di sottecchi mentre questo si comportava da perfetta casalinga, avrebbe potuto dirgli un sacco di cose, ma se ne uscì con la prima stupida frase che gli attraversò il cervello.
-Gli hai detto tu che potevano chiamarti Francis?
-Oui, mon amour. Non dovevo?
Arthur alzò le spalle, sempre più rosso dopo il primo appellativo –Se a te va bene.
Francis rise –Va benissimo. Comunque...
-Si?- Arthur si era girato, con la pezza bagnata in mano era tornato verso Matthew e aveva iniziato a pulirgli tutto il viso da quella sostanza appiccicosa che sembrava non voler andare via.
-Matthew ha un piccolo problema con lo sciroppo d’acero o sbaglio?
Arthur sospirò adocchiando la bottiglietta sul tavolo piena per metà. Com’era possibile visto che l’aveva comprata due giorni prima?
L’afferrò subito e si affrettò a riposarla dentro uno scaffale, messa abbastanza in alto e nascosta per non fargli arrivare il bambino –Chiamala “piccola”…
-Daddy!- protestò il bambino in questione in tono lamentoso –Non puoi toglierlo, io cosa ci metto negli altri dolci?
-Matthew non finiremo in ospedale perché tu ti sei bevuto una bottiglia piena di sciroppo d’acero per colazione.
-Ma…
-Niente ma!
Sembrava che il bambino stesse per mettersi a piangere, fu Francis a salvare la situazione, gli posizionò davanti un piatto di pancake appena cotti e gli sorrise complice –Allora, non volevate fare vedere a vostro padre che siete più bravi di lui a cucinare?
Matthew tornò ad avere il volto luminoso ed entrambi i gemelli si sporsero sul tavolo avvicinando il piatto al padre in attesa che questo mangiasse.
Erano così esaltati che entrambi salirono sopra di questo, Matthew però si sedette poi sul bordo, stando di fronte l’inglese, perché sapeva che suo padre non voleva che facessero cose spericolate, Alfred invece non era dello stesso parere, tanto che alla fine Arthur dovette afferrarlo e farlo sedere sulle sue gambe.
-Daddy, se gli metti sopra lo sciroppo d’acero sanno più buoni- e Matthew sorrise così innocentemente che poteva anche non sembrare una frase detta solo per il suo tornaconto personale.
Arthur gli diede un buffetto sulla guancia –Matt, la vicinanza di tuo fratello non ti fa di certo bene.
Il bambino non comprese il significato di quella frase e corrugò la fronte confuso, ma dimenticò tutto quando vide il padre prendere la forchetta e tagliare un pezzo di dolce.
Se lo portò alle labbra e il sapore gli esplose in bocca, poteva benissimo credere che li avessero comprati in una pasticceria per quanto buoni fossero se solo non ci fosse stata mezza sua cucina distrutta.
Alfred gli saltellò sulle gambe quando vide il padre continuare a mangiare con voracità e gusto.
-Francis, Francis, gli sono piaciuti! A Daddy sono piaciuti i nostri dolci!
-Ti piacciono davvero tanto?- domandò invece Matthew con voce più bassa e insicura –Tipo tanto così?- e aprì le braccia facendo la massima distanza che riusciva a fare tra le sue mani.
Arthur rise –Oh si, anche più di così! Siete stati bravissimi.
Baciò Alfred tra i capelli, poi lo mise a terra perché si era stancato di stare fermo seduto sulle sue gambe.
Il bambino si mise sotto Matthew e iniziò a tirarlo per una gamba –Matthew dai andiamo a giocare! Dai vieni!
E lo tirò così forte il gemello cadde dalla superficie sulla quale era seduto e non si fece male solo perché Arthur ebbe prontezza di spirito e lo prese al volo, stringendoselo al petto mentre il cuore gli batteva forte per la paura.
-Alfred! Non si fanno queste cose! Potevi fare veramente male a tuo fratello!
Questo, dopo essere stato rimproverato con quell’urlo, gonfiò le guancie e girò la testa –Non volevo fargli male.
-Daddy- sussurrò piano la voce di Matthew –Puoi farmi scendere ora, grazie.
Arthur si riprese, rendendosi conto che stringeva ancora convulsamente il bambino tra le braccia.
Gli scostò i lunghi capelli dalla fronte e lo baciò, poi lo mise a terra.
-E non distruggete nulla!- gli urlò dietro dopo che Matthew prese la mano del fratello e corse via.
I due uomini rimasero soli.
Arthur fu il primo a prendere parola –Non va bene Francis, se me li vizi così poi non mangeranno più il mio cibo.
Francis rise togliendogli il piatto sporco da davanti e portandolo al lavandino già pieno, aprendo l’acqua e facendola scorrere sulle stoviglie da lavare.
-Considerando che sei inglese non mi stupisce che cucini di merda.
-Coglione- borbottò in risposta l’altro ricevendo come risposta una risatina.
Quando l’acqua divenne calda Francis non si fece problemi a prendere il primo piatto e iniziare a lavarlo.
Arthur si alzò avvicinandosi –Che stai facendo?
Francis continuò nel suo lavoro –Abbiamo fatto un porcile, di certo non ti abbandono a pulirlo da solo.
Arthur si morse il labbro –Intendevo in generale… Cosa stai facendo qui, con me. Pensavo che… si insomma… hai capito.
Francis sospirò –Non lo so- rispose semplicemente e con estrema sincerità –So solo che farlo con te è diverso. Che mi sei mancato e che non ho intenzione di perderti di nuovo, al momento.
-Quindi… Ti va bene continuare anche se la mia vita è più… complicata?
Francis lo guardò e si aprì in un sorrisetto –Non mi sembra che ieri notte sia andata male, no?
Arthur arrossì al ricordo.
Francis gli alzò il viso con la mano ancora insaponata e lo baciò sulle labbra, un bacio dolce e gentile che fece arrossire ancora di più Arthur.
-Ora il mio buongiorno è completo.
Arthur balbettò qualcosa di incomprensibile ma quella scena fu interrotta dalla suoneria del cellulare di Francis.
L’uomo si asciugò le mani in uno straccio li vicino e, dopo aver controllato il numero sul display, rispose –Antonio, dimmi.
Ascoltò un po' corrugando la fronte confuso, poi interruppe l’altro –Antonio non capisco nulla, se magari il tuo ragazzo la smettesse di urlare sopra forse andrebbe meglio- passo qualche secondo –E digli anche che non è molto carino chiamarmi scarto umano.
Arthur non poté fare a meno di scoppiare a ridere guadagnandosi un’occhiataccia da parte dell’altro.
-Ok ho capito, va bene, arrivo subito.
Chiuse la chiamata e si rivolse all’inglese –Perdonami, devo scappare, mi farò perdonare un’altra volta per tutto questo.
-Figurati, grazie a te ho recuperato ore di sonno, ti sono debitore.
Lo accompagnò alla porta d’ingresso.
-Allora ci vediamo eh, non sparire e vedi di rispondere al telefono- lo ammonì il francese sulla porta.
-Chissà- Arthur nascose un sorriso –Vedremo.
Francis si stava avvicinando per baciarlo di nuovo quando un brivido di terrore attraversò la schiena del più basso, perché il rumore che aveva appena sentito era di certo rumore di vetri infranti.
E non ebbe più dubbi quando si sentì un coro di “sorry” detti con vocine fintamente innocenti.

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Capitolo 6
*** Conversazioni ***


6.Conversazioni

Non appena suonarono alla porta, Arthur per poco non si ruppe il collo pur di correre ad aprire ed evitare che quel suono si diffondesse nuovamente per l’appartamento.
Aprì senza neanche chiedere chi fosse e fulminò con lo sguardo il suo migliore amico non appena vide la sua figura.
Questo alzò le mani in segno di resa –Perdonami, ero così preso dai miei pensieri che non ho fatto caso all’orario.
Arthur continuò a fissarlo malissimo, ma dopo un sospiro si fece di lato e lo fece entrare nell’appartamento.
-Spero che sia molto importante Lukas, sono riuscito a far addormentare i bambini solo adesso e devo finire di scrivere un documento, perché se non lo invio entro domani mattina mi licenziano.
Il norvegese aveva lo sguardo basso, vacuo, non sembrò neanche aver sentito il discorso del suo amico.
Arthur si preoccupò mentre chiudeva la porta alle sue spalle e sempre con voce bassa domandò –Tutto bene?
Il norvegese scosse la testa –Ho litigato con Mathias.
Aveva la voce più bassa del solito mentre lo diceva e i suoi occhi erano lucidi.
Arthur si morse un labbro, il lavoro che doveva concludere completamente dimenticato, mise un braccio intorno alle spalle del suo amico e lo condusse nel soggiorno facendolo sedere sul divano.
-Per quella cosa che mi dicevi?
Lukas annuì, fissando un punto impreciso di fronte a sé.
-Quindi tenervi Alfred e Matthew per una notte non ha funzionato?
-No, anzi… Forse l’ha convinto ancora di più a voler prendere un bambino. È diventato insistente e più esaltato del solito, oggi sono esploso e lui si è rabbuiato. Mi ha detto che sono un egoista, che lui ha sempre fatto tutto per me, che questa volta voleva una cosa per sé e non era giusto che io continuassi a trattarlo così. Mi ha…
Si bloccò, aveva un groppo in gola, Arthur non gli mise alcuna fretta, sapeva come si sentiva in quel momento.
-Mi ha accusato di non amarlo, perché se davvero lo amassi come lui ama me, non mi sarei fatto problemi a costruire una famiglia con lui…
Arthur trattenne il fiato –E tu… hai smentito questo, vero?
Lukas portò lo sguardo su di lui, sembrava confuso –Cosa avrei dovuto dirgli? Mi sono limitato ad andarmene di casa.
-Ma sei scemo!?- urlò silenziosamente Arthur –Ma come ti salta in mente di non rispondere nulla e andartene di casa così?
-Cosa avrei dovuto dirgli!?- ripeté nuovamente il norvegese, con voce più alta e quasi disperata.
-Oh, non lo so Lukas- rispose ironico l’amico –Forse che magari non è così? Ti rendi conto che gli stai facendo credere di non averlo mai amato? Che la relazione che ormai avete da anni è solo tutta una bugia?
-Devo andare in bagno- il ragazzo si alzò di scatto e si allontanò in fretta da li, per poi chiudersi all’interno della stanza citata.
Arthur sbuffò esasperato e si accasciò contro lo schienale del divano, una mano a massaggiarsi la testa.
Aveva gli occhi socchiusi, ma notò comunque il lampeggiare del suo cellulare che lo avvertiva di una nuova notifica, l’aveva abbandonato li sul tavolino diverso tempo prima.
Sbloccando lo schermo notò una chiamata persa da parte di Lukas, che doveva avergli chiamato prima di venire, e un nuovo messaggio di Francis che risaliva a un’ora e mezza prima: “ci vediamo oggi pomeriggio?”
Sorrise impercettibilmente e si affrettò a rispondere al messaggio “C’è Lukas che ha litigato con Mathias, dubito che se ne andrà presto. Inoltre, ti ricordo che ho dei bambini.”
Passarono solo pochi secondi prima che la risposta arrivò sottoforma di chiamata.
-Francis- rispose Arthur scorrendo l’indice sul touch screen.
-In realtà sono già fuori visto che non mi rispondevi, è un problema se vengo comunque?
-Oh- ad Arthur si imporporarono le guancie –Se non ti annoi…
Francis rise –Ti porto i biscotti per il the delle cinque, ci vediamo dopo.
E l’inglese si morse la lingua pur di non rispondere, avendo sentito quelle parole, dichiarandogli tutto il suo amore.
 
Fu così che un’ora dopo si trovarono tutti e tre gli adulti intorno al tavolo della cucina, i biscotti glassati al centro del tavolo e tre tazze fumanti di the inglese davanti.
Lukas non parlava molto e Francis invece non aveva chiesto nulla evitando di farsi gli affari degli altri, parlava del più e del meno per alleggerire la tensione, Arthur gliene era completamente grato.
Arthur lanciò una veloce occhiata al suo cellulare quando lampeggiò per l’arrivo di un nuovo messaggio, era da parte di Mathias “è li da te, vero?”
L’inglese sospirò mostrando il cellulare all’amico, questo distolse in fretta lo sguardo –Non rispondere.
Arthur lo ignorò e rispose con un semplice “si”.
-Sei scemo, ora verrà qui! Se avessi voluto vederlo sarei rimasto a casa!
Il cellulare lampeggiò di nuovo, Mathias aveva risposto “ero solo preoccupato, sono felice che non sia in giro da solo e al freddo, se mai vorrà tornare io lo aspetto qui, ma non mettergli fretta”.
Arthur lesse il messaggio ad alta voce, poi si rivolse direttamente al suo amico –Come fai a non sentirti una merda?
Lukas boccheggiò.
-Daddy…- un mormorio interruppe quella conversazione, proveniva dalla porta della cucina sulla quale era spuntato il piccolo Matthew con la faccia assonnata che si trascinava dietro il suo peluche.
-Matt, honey, che succede? Hai fatto un incubo?
Il bambino scosse la testa –Al si è mosso tanto nel sonno ed è caduto dal letto.
Arthur si alzò così velocemente che per poco la sedia non cadde all’indietro, poi corse preoccupato nella stanza dei bambini seguito a ruota da Matthew.
Francis e Lukas rimasero soli.
-Non ho idea di cosa sia successo tra voi due- parlò Francis rivolgendosi per la prima volta in quella giornata direttamente a Lukas –e non ho nessuna intenzione di farmi gli affari tuoi, ma forse non ti rendi conto di quanto io ti abbia sempre invidiato.
Lukas portò lo sguardo confuso su di lui –Cosa?
-Al liceo Mathias, quando è arrivato al terzo anno, era amato da tutti, tutte le ragazze stavano ai suoi piedi, ma lui non faceva altro che guardare te. Faceva di tutto per te, esistevi solo tu, eri tutto il suo mondo. Come fai a non renderti conto di quanto ti ama? Ti ho sempre invidiato perché anche io lo volevo.
Lukas strabuzzò gli occhi e Francis si affrettò a specificare alzando le mani in segno di scuse –Non Mathias, volevo semplicemente qualcuno che mi guardasse come lui guarda te. Ero totalmente invidioso del vostro amore- rise imbarazzato passandosi una mano tra i capelli –sono francese, fin da piccolo ho sempre sognato una storia romantica come quella di un qualsiasi film che si rispetti.
Anche Lukas abbozzò un piccolo sorriso, nonostante fosse perso nei suoi pensieri, scombussolato dalle parole che stava ascoltando.
Passò qualche altro secondo di silenzio prima che Francis riprendesse a parlare, il tono di voce più basso e lo sguardo di lato –E quando anche io l’ho trovato quello sguardo… Sono stato così stupido, non ho mai capito… io… non dovevo andarmene. Fidati, riprenditelo mentre sei in tempo, combatti per lui, non accettare tutto passivamente, perché te ne pentirai tantissimo.
-E se… se avessimo litigato per una cosa così grossa che non c’è soluzione?
Francis gli mise una mano sulla spalla, gli sorrise teneramente –Sei disposto a passare il resto della tua vita senza di lui, pur di aver ragione?
-Lui è la mia vita…- sussurrò cosi piano Lukas che il francese lo sentì a stento.
-Sei sicuro che non dobbiamo andare in ospedale, vero Alfred?- la voce di Arthur raggiunse le loro orecchie e pochi secondi dopo rientrò in cucina con entrambi i bambini che lo precedevano.
Alfred aveva due cerotti colorati in fronte, ma sembrava stare benissimo e corse ad arrampicarsi su una sedia libera e poi sul tavolo allungando le sue manine per afferrare un biscotto al cioccolato che aveva adocchiato –Si daddy, sto bene, posso mangiare un biscotto?
E non attese neanche una risposta, perché l’aveva afferrato con entrambe le mani e se l’era portato alla bocca.
Lukas si alzò dalla sedia, fissò il suo migliore amico con uno sguardo che sembrava ancora più disperato di quello che aveva avuto fino a quel momento e mormorò –Non posso perderlo.
Poi corse fuori di casa chiudendosi la porta alle spalle.
Arthur sbatté più volte le palpebre confuso, poi si rivolse a Francis –Cosa gli hai detto?
Questo sorrise innocentemente e alzò le spalle –Nulla di che.
Arthur avrebbe insistito se Matthew non l’avesse distratto.
Il bambino infatti aveva seguito l’esempio del gemello e aveva anche lui un biscotto in mano –Daddy, posso mettere lo sciroppo d’acero sopra il biscotto?
Arthur sospirò –No Matt, non puoi mangiare perennemente sciroppo d’acero.
-Ma sono sicuro che diventerà molto più buono.
E lo disse con un tono così serio e convinto che Arthur dovette nascondere il volto dietro una mano per non fargli vedere che stava ridendo.
-Perché lo zio Lukas è scappato via?- domandò Alfred con la bocca piena.
-Doveva andare dallo zio Mathias.
-E oggi tornano per giocare con noi?- questa volta ingoiò prima di fare la domanda.
-Non credo, devono parlare di cose importanti.
-Cose da adulti?- chiese Matthew mentre il gemello faceva una smorfia.
-Esatto.
-Quindi giochi tu con noi adesso?
Arthur sospirò –Intanto fate merenda, poi vediamo…
Francis lo scrutò –Hai finito il lavoro di cui mi parlavi ieri?
Arthur scosse la testa –Pensavo di farlo oggi pomeriggio ma non avevo calcolato la storia di Lukas, mi sa che finirò con il lavorare tutta la notte, perché se non lo consegno entro domani mattina mi licenziano.
Francis sembrò pensarci su, poi si rivolse ai bambini –Ehy, volete andare a giocare al parco?
Il “eeeh!?” urlato di Arthur si perse tra i “sii” eccitati dei due gemelli che iniziarono a saltellare per la stanza e schiamazzare.
Francis annuì soddisfatto di quella reazione –Allora andatevi a preparare che usciamo subito.
I bambini corsero nell’altra stanza e quando furono abbastanza lontani Francis si rivolse di nuovo all’inglese, aveva un sorriso malizioso in volto.
-Sei impazzito?- Arthur era senza parole.
-Che c’è di male? Ti lascio libero e in pace per due ore, così finisci il tuo lavoro e stanotte potrai essere mio.
Arthur divenne completamente rosso –Ma… Ti faranno impazzire! Hai visto come sono.
Francis ampliò il suo sorriso e si avvicinò al suo volto –Cherì, ho gestito te ai tempi del liceo, saprò gestire anche loro per due ore.
Lo baciò delicatamente, un semplice sfiorarsi di labbra, poi riprese a parlare –Non dovresti andare di la e comportarti come un padre modello aiutandoli a vestirsi e raccomandandogli tutte le solite cose, come non parlare con gli sconosciuti e non allontanarsi troppo?
-Io… si…- aveva il cervello completamente fuori uso –Hai ragione, vado da loro...
E svolse tutti i movimenti quasi meccanicamente, già con la mente proiettata a quello che avrebbero fatto quella notte.

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Capitolo 7
*** Domande indiscrete ***


7.Domande indiscrete

-Francis! Francis!- Alfred saltava sul sedile posteriore dove l’uomo li aveva fatti accomodare poco prima –Giocherai a palla con noi?
Francis gli sorrise lanciandogli un’occhiata dallo specchietto retrovisore, la suddetta palla era tra le braccia di Matthew.
Per una volta il bambino non aveva il suo peluche tra le mani e aveva concordato con suo padre che era meglio lasciarlo a casa per non perderlo o sporcarlo.
-Certo che gioco a palla con voi, come vi piace giocare?
E Alfred iniziò una serie di sproloqui su tutti i modi che conosceva e su quanto fosse bravo in tutte le discipline.
-…ci ha insegnato Daddy! In estate giochiamo ogni pomeriggio a palla con lui!
Francis sorrise al ricordo di come aveva conosciuto Arthur al liceo, proprio per colpa di una palla.
Non avrebbe mai potuto scordare come calcolò male la potenza che mise nelle sue mani e la conseguente traiettoria sbagliata che prese la palla.
Ricordava di aver aperto la bocca per urlargli di stare attento, ma ormai era troppo tardi.
Quando la palla colpì il volto di Arthur fece un rumore non troppo bello.
Francis corse da lui, non ebbe tempo di scusarsi che l’inglese aveva già iniziato a urlargli contro.
L’aveva trovato così carino che non aveva potuto fare a meno di ridere, questo ovviamente portò a una nuova sfuriata da parte del ragazzo.
Il flusso del suo ricordo venne interrotto da Alfred che cercava di attirare nuovamente la sua attenzione.
Cinque minuti dopo erano arrivati, non fu difficile trovare parcheggio essendo un pomeriggio di settimana e soprattutto in inverno.
Il sole stava tramontando e le luci erano già accese, il parco però non era deserto.
Si misero a giocare a palla per più di mezzora, poi Francis capì che non aveva più l’età per tutto quel movimento, senza contare che Alfred aveva questo brillante talento di far arrivare la palla in posti improponibili.
Stava per dire di voler fare una pausa o di cambiare proprio gioco, quando Alfred inciampò e cadde.
Francis fu subito da lui che si stava già rimettendo in piedi, aveva le mani graffiate in più punti, ma oltre questo non si era fatto quasi nulla.
Gli sorrise per rassicurarlo e lo prese in braccio portandolo a sedere in una panchina li vicino, Matthew li seguiva preoccupato.
Dallo zaino che Arthur gli aveva affidato prima di uscire di casa, prese delle salviettine imbevute per pulirgli i palmi.
Decise di spezzare quel silenzio con un sorriso –Anche vostro padre si faceva sempre male in palestra.
-Tu e daddy andavate a scuola insieme?- Alfred si animò curioso a quella nuova scoperta.
Francis annuì in risposta.
-E lui era come noi?- Matthew si avvicinò curioso anche lui di quella nuova conversazione, la palla era nelle sue mani.
-Come voi?- Francis lo domandò confuso, mentre prendeva dei cerotti e li applicava al bambino.
Sghignazzarono –Daddy dice che siamo delle pesti.
-Oh- rise –Lui era anche peggio di voi!
Matthew inclinò la testa curioso, poi chiese piano –Com’era Daddy da piccolo?
-Uhm… non lo conoscevo ancora quando era piccolo come voi.
-E quando l’hai conosciuto com’era?- c’era urgenza nella sua voce.
Francis non capiva cosa volessero sapere di preciso i due fratelli, dove volessero arrivare.
-Cosa volete sapere?- gli sembrò più facile chiederlo.
Matthew abbassò lo sguardo stringendosi la palla al petto, una flebile imitazione di quello che avrebbe fatto con il suo peluche.
Fu Alfred a prendere la parola –Era più felice? Senza di noi?
Francis strabuzzò gli occhi, il cuore che mancava un battito.
Ma quei due bambini avevano davvero quattro anni? Come potevano pensare a cose del genere?
-Non l’ho mai visto così felice come quando guarda voi.
Ed era la pura e semplice verità che gli uscì di getto dalla bocca.
Matthew si illuminò, il sorriso felice sul volto, gli occhi di quell’azzurro tendente al viola grandi e felici. Alfred, al contrario, tendeva a nascondere le sue emozioni e si limitò a un sorrisetto soddisfatto per quella rivelazione.
Matthew posò la palla accanto a Francis e prese per mano il fratello –Vieni Al, prendiamo dei fiori per Daddy.
-Eeeh?- sentì protestare il gemello nonostante si alzò per seguirlo –Ma è una cosa che fanno le femminucce! Non voglio farlo!
-Allora li raccolgo io e tu me li tieni!
Continuarono a battibeccare mentre si dirigevano verso il prato, come se le domande di poco prima non fossero così importanti e fossero già state dimenticate.
Guardandoli meglio Francis si rese conto di vedere un po' di Arthur in entrambi.
Lo vedeva nella dolcezza di Matthew e nel suo essere gentile.
Erano state tante le volte in cui, senza pensarci, Arthur gli aveva offerto un pezzo del suo pranzo, aveva detto una parola gentile sul suo conto o l’aveva abbracciato per poggiargli semplicemente la testa sulla sua spalla e godersi il momento.
Ovviamente era così sempre e solo quando non c’era nessun’altro nei paraggi.
Perché quello che Arthur Kirkland aveva sempre voluto mostrare era esattamente quello che adesso Francis rivedeva in Alfred.
I suoi sentimenti sempre celati nella voce squillante, il nascondere le proprie emozioni per non farsi vedere imbarazzato.
E mentre continuava a fissarli si rese conto che poteva anche abituarsi a tutto quello.
 
-Francis ti sei divertito?- erano di nuovo in macchina per tornare a casa, i bambini stanchi ma soddisfatti del pomeriggio sedevano tranquillamente nei sedili posteriori.
-Certo che si!- rispose subito Francis lanciando loro un’occhiata veloce.
-Dirai a daddy che siamo stati bravi?- fu Matthew a porre quella domanda.
-Glielo potrete dire anche voi stessi, vi crederà, inoltre gli avete anche portato un regalo!- i bambini annuirono felici e per diversi minuti rimasero in silenzio, troppo stanchi anche per parlare.
Ma Alfred era pur sempre Alfred, e inseguendo un suo pensiero chiese -Perché non hai dei figli anche tu, Francis?- Per poi aggiungere -Hai la stessa età del nostro daddy, no?
E, davvero, Francis non poteva fare a meno di chiedersi come potessero continuare a fare domande del genere con quella nonchalance e innocenza tipica dei bambini.
-Non è… nei miei piani al momento.
-Che significa?
Matthew gli diede una spinta sul braccio –Forse sono cose da adulti e non dobbiamo chiedere.
-Ecco esatto- rispose un po' troppo velocemente e i bambini, credendo di essere stati appena sgridati, misero un leggero broncio.
-Ehy, cosa sono quelle facce lunghe? Non ce l’ho mica con voi!
I gemelli non sembravano convinti e Francis continuò.
-Che volete mangiare stasera a cena?
-Cucini tu?- l’aspettativa era tanta nella voce di Alfred, i bronci completamente scomparsi.
-Certo che si!
Alfred iniziò una lunga lista di cose che avrebbe voluto, facendo una scelta e cambiando idea subito dopo.
Per tutto il tragitto in macchina fu quello il discorso principale.
Quando arrivarono, Francis posteggiò per poi aprire lo sportello posteriore facendo scendere i bambini, a quel punto Alfred annunciò –Ho deciso, questa volta sicuro, voglio un hamburger con le patatine!
Francis soffocò una risata –Hai un piano B? Perché tuo padre non sarà troppo felice.
Alfred borbottò qualcosa sul fatto che avrebbe convinto lui suo padre e, subito dopo aver attraversato, gli lasciò andare la mano, correndo lungo il vialetto per mettersi in punta di piedi e suonare al campanello di casa sua.
Matthew invece rimase a camminare al suo fianco, tenendogli ancora la mano, infine chiamò –Francis?
-Si, mon petit?- gli uscì spontaneo come appellativo e neanche ci fece troppo caso.
-Anche se sono discorsi da grandi, so che saresti un bravo papà.

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Capitolo 8
*** Punizione ***


8.Punizione

-Sei… mhmm…- Arthur ansimò con gli occhi socchiusi –Sei sicuro che non devi andare a lavoro?
Concluse la frase quando riuscì a riprendere fiato.
Francis gli morse la spalla nuda –Sicurissimo, faccio il turno serale di Antonio.
Arthur annuì confusamente stringendosi di più contro il suo corpo nudo e caldo.
Erano le undici del mattino e si trovavano nella sua camera, le lenzuola sporche messe alla rinfusa in un angolo del letto, il silenzio dell’appartamento era interrotto solo dal loro respiro e dai mugolii.
I bambini erano a scuola e Arthur, avendo il giorno libero, non aveva perso tempo ad invitare Francis.
L’avevano già fatto due volte. Una delle quali sotto la doccia che avevano deciso di fare dopo la prima sessione.
-Vuoi rivestirti?- mormorò l’inglese alzando lo sguardo liquido sul suo, i capelli ancora umidi che gli coprivano le sopracciglia.
-Vorresti far altro?- domandò Francis con un sorrisetto malizioso mentre gli accarezzava una guancia.
-Potremo…- ma non concluse la sua frase, perché la suoneria del suo cellulare si diffuse per la stanza.
Francis lo lasciò andare immediatamente, sapeva che l’altro doveva correre a rispondere.
In quelle due settimane aveva imparato a conoscere quella sua nuova parte, aveva capito quanto tenesse a quei due gemelli, era impossibile non notare la preoccupazione nel suo sguardo a ogni più piccola cosa.
Come in quel momento, quando mormorò semplicemente –Mi chiamano dall’asilo…
Francis lo fissò attentamente mentre rispondeva alla chiamata e si alzava in piedi per camminare lungo la stanza, ascoltando tutto quello che gli veniva detto.
-Si… cosa?... No… Si certo, arrivo subito.
Chiuse la chiamata e si affrettò a cercare i suoi vestiti sparsi per la stanza.
Francis si mise seduto –è successo qualcosa di grave?
Arthur si stava infilando i pantaloni di spalle mentre rispondeva –Alfred ha iniziato una rissa con un altro bambino.
Francis sbatté più volte le palpebre confuso –Ma ha 4 anni…
Arthur sbottò –Questo mi hanno detto al telefono, che vuoi che ti dica?
Francis notò la sua agitazione, così si alzò anche lui vestendosi a sua volta –Ti accompagno, ti va?
Arthur annuì velocemente senza pensarci troppo, poi andò alla ricerca delle sue scarpe.
Dieci minuti dopo erano fuori di casa, Francis guidava sotto le indicazioni di Arthur.
-Fortunatamente non è l’orario di punta, quindi dovremo trovare parcheggio li davanti…- commentò distrattamente l’inglese e così infatti accadde.
Scesero dalla macchina e si avviarono all’ingresso, la bidella fece un sorriso tirato ad Arthur, uno di quelli di circostanza, poi fissò curiosa Francis.
Arthur non aveva tempo per queste cose, disse semplicemente un “è con me” ed entrò dentro.
Trovò la maestra fuori dalla classe, davanti la porta socchiusa dell’aula.
Era insieme ai due gemelli, un altro bambino che aveva uno zigomo rosso e la mamma di questo.
Arthur si trattenne dal fare qualsiasi espressione. Conosceva quella donna, da quando aveva iscritto i bambini in quell’asilo lei non aveva fatto altro che parlare di lui e additarlo, facendo notare ad ogni occasione che non era ideale per dei bambini crescere solo con una figura paterna.
-Qual è stato il problema?- domandò subito arrivando di fronte a loro.
Non un saluto né nulla, sapeva che non avrebbe cambiato le cose.
-Il problema, signor Kirkland, è che suo figlio è un selvaggio, un indisciplinato e si diverte a fare a botte con gli altri bambini. È ingestibile e urla perennemente.
-Tsk- si intromise la donna non appena la maestra ebbe finito la sua frase non lasciando all’uomo la possibilità di rispondere –Non che ci si possa aspettare altro da una famiglia- e mimò delle virgolette in aria a quella parole –dove non sta una donna che porti equilibrio e insegni cosa sia giusto o sbagliato.
Arthur incassò in silenzio e si trattenne dal prenderla a pugni, cercò di rispondere calmo, come un vero gentiluomo –La ringrazio per aver espresso la sua brillante concezione di famiglia, ma io stavo parlando con la maestra, non con lei.
La donna però non aveva nessuna intenzione di restare in silenzio.
Sorrise divertita –Non è d’accordo con la mia idea? Non ho forse ragione? Cosa insegna a suo figlio oltre a risolvere tutto con la violenza?
-Non ho mai insegnato a mio figlio a risolvere le faccende con la violenza. Se si è comportato in questo modo ci sarà stato un motivo.
-Quindi sta dicendo che ha fatto bene?
-Quindi sto dicendo che qualsiasi cosa sia successa adesso si scuserà per quello che ha fatto, poi a casa me la vedrò io con lui.
La donna incrociò le braccia al petto –Sto aspettando allora.
Arthur fissò Alfred, era completamente rosso, i pugni serrati lungo i fianchi, quasi sull’orlo delle lacrime, si rivolse a lui con un tono di voce duro –Alfred, chiedi scusa per quello che hai fatto.
Il bambino rimase in silenzio.
-Alfred, ti ho detto di chiedergli scusa- la voce di Arthur si era alzata.
Una lacrima sfuggì al controllo del bambino mentre urlava –Non lo farò mai!
Arthur quasi non ci vide più dalla rabbia mentre sentiva la donna sghignazzare soddisfatta alle sue spalle, prese Alfred in braccio e, mentre questo cercava di divincolarsi, lo colpì al sedere con uno schiaffo.
-Ce ne andiamo a casa, subito.
Si avviò verso l’uscita che ormai il bambino aveva iniziato a piangere copiosamente mentre tirava i capelli del padre per farsi lasciare andare.
Francis si riscosse quando sentì Matthew aggrapparsi ai suoi pantaloni, gli sorrise per rassicurarlo e allungò le mani verso di lui per prenderlo in braccio.
Matthew gli circondò il collo con le braccia e appoggiò la testa sulla sua spalla senza pensarci due volto.
L’uomo poi si rivolse alla maestra –Mi scusi, avevano per caso degli zainetti o altro?
La maestra annuì, poi entrò in classe per recuperare le loro cose.
Rimase solo con la donna, sentiva il suo sguardo addosso, lo stava scrutando nei minimi dettagli.
-E lei chi è?- chiese infine con quella voce odiosa.
Francis non rispose, non solo perché oggettivamente non avrebbe saputo darsi un titolo, ma anche perché, dopo tutto quello che aveva sentito, avrebbe solo voluto aprir bocca per sputarle contro.
Sentiva Matthew tremare contro il suo corpo, gli accarezzò la schiena per rassicurarlo e gli sussurrò parole di conforto che ebbero l’effetto di farsi stringere ancora di più.
La maestra tornò con lo zainetto degli animali di Matthew e lo zainetto di superman di Alfred, più i giubbotti di entrambi i bambini.
Francis ringraziò e andò via.
Fuori dall’edificio, davanti la sua macchina ancora chiusa, perché le chiavi si trovavano nella sua tasca, c’erano Arthur e Alfred uno di fronte all’altro, i due si stavano urlando contro.
-Perché diavolo ti devi comportare così? Non capisci tutte le conseguenze?
-Sei tu che non mi capisci! Sei uno stupido!- la voce di Alfred superava quasi quella di Arthur.
Francis si avvicinò, prese le chiavi della macchina e l’aprì a distanza con il pulsante.
-E allora spiegami! Parlami Alfred!
-NO! Perché starai sempre dalla loro parte, come fate tutti voi grandi! E non farai altro che rimproverarmi! IO TI ODIO!
Alfred si zittì all’istante, Matthew sussultò, Francis si bloccò sul posto, sentì il gelo invaderlo mentre portava lo sguardo su Arthur.
Quest’ultimo aveva gli occhi vacui, rimase impassibile, ma dentro si sentì morire.
Aprì lo sportello che dava ai sedili posteriori –Sali- intimò e il bambino obbedì senza fiatare.
L’uomo lasciò lo sportello aperto per permettere a Francis di posare anche Matthew, poi si andò a sedere davanti, nel posto del passeggere.
Per tutto il viaggio di ritorno non una parola venne detta all’interno dell’abitacolo.
Arthur non riuscì neanche a stupirsi di quanto fossero buoni e calmi, cosa più unica che rara, era troppo teso, troppo chiuso nel suo mondo, con quella frase che non faceva altro che vorticargli nella mente.
Si rivolse nuovamente ad Alfred solo quando rientrarono in casa, la voce era sempre dura, fredda –Vai in camera tua e stacci, sei in punizione.
Alfred corse via sbattendosi la porta alle spalle, Matthew lo seguì titubante.
Arthur si diresse in cucina, si sedette su una sedia, poggiò i gomiti sul tavolo e nascose il viso tra le mani, il suo respiro era tremolante.
Francis gli si avvicinò, con dolcezza gli passò una mano tra i capelli.
Fu Arthur a parlare, un mormorio distrutto –Mi hai detto di viverli giorno per giorno, minuto per minuto… come faccio a viverli in questo minuto?
Francis ingoiò incerto –ha 4 anni… è un bambino orgoglioso… sai che non voleva dire quelle parole.
-Ma le ha dette.
-Non ci crede sul serio…
-Non puoi saperlo.
-Ma posso vedere come ti ama in tutto quello che fa.
Arthur non sembrava ascoltarlo, non davvero.
-Forse ha ragione quella donna, forse non sono tagliato per crescerli, forse hanno bisogno di una vera famiglia.
-Sei pazzo se credi davvero queste cose.
Arthur rimase in silenzio, poi si alzò –Dovresti andartene, capisco che tutta questa storia ti stia portando solo intoppi e noia, non sei obbligato a…
Francis non lo lasciò concludere, lo tirò per un braccio e se lo strinse contro il petto, abbracciandolo stretto, un braccio sulla schiena e l’altra mano tra i capelli –Non ho nessuna intenzione di lasciarti solo, Arthur.
E con il volto nascosto nel suo petto l’inglese si permise di piangere.

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Capitolo 9
*** Verità ***


Ciao!
Ne approfitto intanto per fare gli auguri di buon anno a tutti quanti!
E ringraziare sia chi mi segue da tanto sia chi ha iniziato a farlo da poco, sappiate che ho moltissime altre idee anche per questo 2020 ;)
Inoltre volevo fare una precisazione che riguarda questo capitolo: è stato quello più difficile da scrivere e ancora ora non ne sono del tutto convinta.
Ci saranno lunghi discorsi di Matthew che è un bambino di 4 anni. Scrivere come parla un bambino non è stato facile.
Ho cercato di limitare il più possibile gli errori grammaticale e puntare più sulle ripetizioni e le frasi brevi e autoconclusive, ma non sempre è stato così quindi se troverete qualcosa che vi farà storcere il naso quando parla lui, sappiate che è fatto di proposito ahah
Buona lettura. Alla prossima settimana!
Deh
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9.Verità

Nonostante fu Francis a preparare il pranzo per tutti, Alfred si rifiutò di mangiare.
Arthur non prese che qualche boccone e Matthew mangiò il minimo indispensabile prima di correre di nuovo in camera da suo fratello.
Non c’era mai stato così tanto silenzio in quella casa se non prima dell’arrivo dei gemelli.
Erano le quattro di pomeriggio e i due uomini se ne stavano sul divano, Arthur appoggiato al petto del francese mentre accettava passivamente le sue carezze.
-Forse dovrei andare di la e costringerlo a mangiare- mormorò l’inglese più a se stesso che all’altro.
-Non miglioreresti molto la situazione…- fece presente Francis.
Erano più o meno queste le poche frasi che di tanto in tanto si scambiavano, quando Matthew li raggiunse con il suo passo leggero e silenzioso.
-Daddy- sussurrò impercettibilmente.
-Darling- Arthur si sporse subito in avanti allungando le braccia verso di lui, Matthew lo raggiunse facendosi prendere in braccio per sedersi sulle sue gambe, sembrava inquieto.
-Stai bene?
Matthew parlò di getto –Dovrei essere io in punizione, non Alfred.
Arthur sbatté le palpebre confuso –Che stai dicendo Matt?
-È tutta colpa mia… mi dispiace tanto- adesso era anche lui sull’orlo delle lacrime.
-Perché dovrebbe essere colpa tua? Hai colpito tu quel bambino?
-No ma… Alfred l’ha fatto per me…
Ed Arthur non ci mise molto a collegare tutto nella sua mente e capire quello che era successo, i suoi occhi si riempirono di rabbia e la sua mandibola si irrigidì –Cosa ti ha fatto quel bambino?
Matthew rimase in silenzio.
-Matt parlami, se ti fa del male io devo saperlo.
Il bambino sembrava indeciso, non capiva più cosa fosse giusto o sbagliato fare.
-Ma la maestra dice… dice che se ci lamentiamo troppo con te poi tu ci fai andare via, che puoi farlo visto che non sei… che non sei il nostro vero papà.
I due uomini erano senza parole, fu Francis il primo a rompere quel silenzio –Questa cosa è da denuncia.
-Matthew e tu credi a queste cose? Pensi che io vi manderei via?
Il bambino scosse la testa energeticamente –Ma lei è grande, e tu hai detto sempre che le persone grandi non dicono le bugie e che bisogna ascoltarle.
-Lei è una persona cattiva, non devi ascoltarla mai più. Anche se è un adulto non devi mai ascoltare qualcuno che ti dice di tenere nascoste le cose a tuo padre, va bene?
Matthew annuì, sembrava più sollevato.
-Daddy, cosa significa che non sei il nostro vero papà?
-Ah…- Arthur non era pronto a quella domanda –Ti ricordi quando mi hai chiesto della mamma?
Il bambino annuì nuovamente –Hai detto che è in cielo con gli angeli e che non può tornare più.
-Ecco, bravo. Io sono il fratello della vostra mamma, quindi non posso essere vostro padre biologico, capisci?- ma si rendeva benissimo conto da solo che erano parole troppo complicate per un bambino.
Matthew corrugò la fronte, si stava davvero sforzando di capire tutti quei concetti –Voi persone grandi fate le cose complicate. Tu ci fai vivere con te, ci fai giocare come vogliono, ci cucini da mangiare, ci dai la buonanotte e possiamo dormire con te se facciamo gli incubi… quindi sei nostro padre.
Ed era una spiegazione così lineare e logica, così tanto da un bambino di quattro anni che ad Arthur venne nuovamente da piangere.
Se lo strinse contro abbracciandolo forte, era ormai diventato così dipendente da quei due piccoli miracoli da fargli quasi paura.
-Ti amo così tanto Matthew…
-Anche io daddy…
Fu Francis a farli tornare alla realtà con un colpo di tosse che ricordò loro della sua presenza, anche lui si stava affezionando a quei due gemelli e le prime frasi che il bambino aveva detto vorticavano ancora nella sua testa.
-Matt, ma quindi cosa ti fa quel bambino?
-Oh…
Arthur intervenne –Puoi parlare tesoro, di lui puoi fidarti, non preoccuparti, non succederà nulla.
-Lui… lui mi insulta, non vuole mai che gioco insieme a loro all’asilo, mi esclude in continuazione, ruba i colori che voglio usare o i pezzi di costruzioni che mi servono, a volte mi ruba anche la merenda.
-Sei andato a dirlo alla maestra?- Francis sembrava pratico, come se stesse calcolando tutte le domande giuste da fare.
-Si ma non mi ascolta mai. E quando vado a lamentarmi troppe volte dice quella cosa che ti ho già detto.
-Perché oggi Alfred lo ha colpito?
Matthew abbassò ancora di più lo sguardo e la voce –Lui ha detto che sono inutile, che nessuno vuole giocare con me perché non sono divertente. Alfred gli ha detto che non era vero, che lui si diverte a giocare con me e che anche per te è lo stesso. E lui ha risposto che la sua mamma dice che tu non ci volevi davvero, quindi Alfred era un bugiardo e… Hanno iniziato a urlare. La maestra è rimasta lontano e non si è avvicinata fino a quando Alfred non l’ha colpito.
Arthur annuì, poi fece sedere il bambino sul divano in modo che lui fosse libero di alzarsi.
-Vado a parlare con tuo fratello, resta qui con Francis, se ti viene in mente altro raccontalo a lui, okay?
Matthew annuì.
Francis lo scrutò profondamente –Arthur…
-Lo so. È da denuncia. Non lascerò di certo correre.
Francis gli sorrise e Arthur si avviò verso la cameretta.
Alfred era sdraiato nel suo letto, gli dava le spalle, Arthur poteva anche credere che stesse dormendo se non fosse per il tremore delle spalle e i respiri spezzati.
Gli si avvicinò sedendosi sul bordo del letto, vicino alla sua schiena.
Poi ci ripensò e si stese al suo fianco.
Lo abbracciò da dietro stringendoselo al petto anche quando il bambino iniziò a lamentarsi flebilmente.
-Alfred- mormorò l’inglese mantenendo ferrea la presa sul suo corpo –Non vi manderei mai via. Mai. Non devi ascoltare quello che dicono le altre persone sulla nostra famiglia. Anche se mi odi, ti amo più della mia vita. Tu e tuo fratello siete la cosa migliore che mi sia mai capitata.
Alfred singhiozzò, poi si rigirò tra le sue braccia per abbracciarlo forte, infine iniziò a urlare disperato tra i singhiozzi.
-Non è vero! Non è vero che ti odio! Non volevo dirlo!
Arthur sorrise con le lacrime agli occhi, gli lasciò un bacio su quella testa biondissima e cercò di calmarlo cullandolo tra le sue braccia.
Rimasero in quella posizione per un tempo indefinito, ma alla fine Alfred tornò a respirare normalmente e tutte le sue lacrime scomparvero da quel viso rotondo e paffutello.
-Daddy…- mormorò alla fine.
-Si, Al?
-Ho fame.
Arthur scoppiò a ridere –Hai ragione, andiamo a mangiare.
Si alzarono e il bambino corse fuori dalla stanza chiamando a gran voce il fratello.
A metà strada nel corridoio l’inglese venne raggiunto da Francis.
-Ehy- disse questo sorridendo –Ti ha detto che non ti odia?
Arthur arrossì e distolse lo sguardo –Si… Non dire nulla- si affrettò poi a concludere la frase velocemente.
Francis rise divertito –Userò questa cosa contro di te in futuro.
Arthur gli diede un pugno leggero sul braccio –Sei un idiota.
-Comunque, io devo andare a lavoro, mi spiace non poter stare di più.
-Oddio vero, me n’ero completamente dimenticato, mi dispiace che ti ho fatto perdere un’intera giornata.
-Arthur, ho scelto io di continuare a starti dietro nonostante tu mi abbia avvertito di quanto fosse diventata complicata la tua vita, non hai nulla di cui scusarti.
-Bene, meglio così, non ci riuscivo proprio a chiedere scusa a un francese- abbozzò un sorriso e non gli permise di rispondere a quella battutina perché si era sporto in avanti poggiando le labbra sulle sue.
Non fu un bacio particolarmente intenso, ma abbastanza lungo e dolce.
Si staccarono solo quando sentirono dei sussurri non proprio silenziosi.
-Si stanno baciando!
-Bleah, che schifo…
Arthur era saltato sul posto e con occhi sbarrati si era girato verso i due gemelli che li stavano fissando dalla porta della cucina.
-Tornate subito in cucina se non volete che metta di nuovo entrambi in punizione!- esplose l’inglese totalmente imbarazzato.
I bambini schiamazzarono correndo via e i due uomini non poterono fare a meno di sentire i commenti divertiti “hai visto quanto era rosso?” “come un pomodoro!” e risate di sottofondo.
Francis si trattenne dallo scoppiare a ridere solo perché ci teneva alla sua vita, ma non poté fare a meno di commentare –Bè… non hanno tutti i torti, sei rossissimo.
-Sta zitto! Prima che…- non seppe come continuare la frase.
Francis socchiuse gli occhi e malizioso si avvicinò al suo orecchio –Vuoi mettere in punizione anche me?
Arthur divenne viola –SPARISCI!
Gli ci vollero diversi minuti per calmarsi del tutto dopo che il francese se ne andò e poté tornare in cucina dove lo attendevano i suoi bambini.
-Alfred- chiamò mentre li raggiungeva –Comunque non sei più in punizione, ma la prossima volta che succede una cosa del genere devi venire a dirlo subito a me, se alzerai di nuovo le mani a un altro bambino non ti farò mangiare dolci per un mese. Siamo intesi?
Alfred era terrorizzato da quella prospettiva e annuì velocemente.
-Mi fido eh- l’inglese era soddisfatto di quella conversazione e di essere riuscito a cambiare argomento.
O almeno così credeva.
Aveva anche acceso la tv per tenere occupati i bambini mentre lui preparava dei panini con il burro d’arachidi.
Quando Matthew innocentemente domandò –Daddy, ma tu e Francis siete innamorati come lo zio Lukas e lo zio Mathias?
E per pochissimo l’inglese non collassò sul posto.

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Capitolo 10
*** Videochiamata ***


10.Videochiamata

-Mi sembra di essere tornato al liceo- sospirò Gilbert quando finì di ascoltare tutta la storia.
-Bè, non è che sia mai cambiato nel tempo- fece presente Antonio portando le tazze di cioccolata al tavolo e sedendosi in mezzo ai suoi amici –ti ricordo che mentre era in Francia i primi tempi non faceva altro che chiedere se avessimo visto Arthur, cosa stava facendo e tutto il resto…
-Ma almeno aveva smesso!
-Scusatemi- si intromise Francis infastidito mentre mescolava il liquido denso e caldo con il cucchiaino –Ma vorrei far presente che sono proprio davanti a voi.
Gilbert alzò un sopracciglio –Si Francis ti vediamo, e purtroppo ti sentiamo anche.
Antonio sghignazzò.
Erano proprio a casa di quest’ultimo nel giorno di chiusura del bar dove lavoravano.
-Oh sentite, avete intenzione di aiutarmi o no?
-Okay, non fare così- Gilbert alzò le mani in segno di resa –Ricapitoliamo: il ragazzo per il quale hai sempre avuto una cotta adesso ha due bambini, a te la cosa non crea problemi ma anzi, stai cercando di aiutarlo in una disputa legale contro una maestra d’asilo?
-Esatto- Francis era soddisfatto che gli altri due avessero capito tutto –e molto probabilmente quindi ci serve un avvocato.
-Cristo Francis, ma ti senti? Da quando sei così interessato ai bambini? Tra te e Antonio l’unico sano qui sono rimasto io.
-Ehy!- lo spagnolo si indispettì –Pensavo fosse finita questa storia, sono mesi ormai che Romano è maggiorenne.
-Non cambierà comunque il fatto che ti sei messo con lui quando aveva sedici anni.
Antonio arrossì –Non stavamo parlando di me.
-Per questa volta ti do ragione- Gilbert tornò a voltarsi verso Francis –Quindi perché stamattina non hai filmato la tua donna isterica mentre litigava con una maestra?
-Non è stato un grande litigio, mancava la donna con la quale Arthur vuole davvero litigare dopo tutto quello che abbiamo scoperto. Si è rifiutato di portare i bambini a scuola ed è andato li semplicemente per avvertirla che aveva scoperto tutto e che l’avrebbe denunciata. Poi non è che abbia capito molto, me l’ha raccontato al telefono, urlando incazzato mentre guidava, ha detto che poi mi avrebbe spiegato meglio.
E come se lo avesse chiamato proprio in quel momento il suo cellulare iniziò a vibrare avvertendolo di una videochiamata da parte di Arthur.
Gilbert fece un sorrisetto –Accetta, voglio proprio vederla la scenata isterica di quell’inglesino, era così divertente al liceo.
Francis corrugò la fronte –è strano, non abbiamo mai fatto una videochiamata e sapeva che ero da voi.
-Dovresti accettare comunque, sarà importante- fece presente Antonio, anche se lui era solo curioso di vedere come interagivano quei due dopo tanto tempo.
Francis accettò la chiamata e i suoi amici si strinsero a lui per entrare nell’obiettivo.
Ma sullo schermo non spuntò il volto dell’inglese come tutti si aspettavano, bensì quello di Kumajirou, si sentivano degli schiamazzi divertiti in sottofondo e dopo qualche secondo il peluche venne scostato e le teste dei due gemelli comparvero di scatto mentre urlavano “buuuu!”
Il francese non poté fare a meno di ridere mentre i suoi due amici si lanciarono un’occhiata confusa.
-Ti sei spaventato, eh Francis?- era stato Alfred a parlare, mentre teneva il telefono con le mani instabili e lo faceva traballare tutto.
-Oh si, mi sono spaventato tantissimo- mentì il biondo, poi chiese –Che state facendo? Dov’è Arthur?
-Daddy si sta facendo la doccia- spiegò Matthew.
Il fratello annuì e continuò –Noi stiamo facendo gli agenti segreti- e lo disse con un tono solenne, come se fosse una cosa importantissima.
-E tu ci devi aiutare- concluse Matthew.
-Che figo, si concludono le frasi a vicenda come nei film!- Gilbert era molto esaltato della cosa.
Alfred corrugò la fronte –Chi sono quei signori?
Francis diede una gomitata a Gilbert e sorrise al bambino –Non preoccupatevi, sono i miei amici, potete dirmi quello di cui avete bisogno.
Il telefono cadde dalle mani del bambino con un botto che non prometteva nulla di nuovo, ma la chiamata non si chiuse, dopo diversi borbottii indecifrabili fu recuperato e al posto di vedere tutto lo schermo nero vennero nuovamente inquadrati i due volti paffutelli.
-Daddy non ce lo vuole dire, ma diventa tutto rosso quando glielo chiediamo- iniziò Matthew e Alfred concluse –Tu e daddy siete fidanzati come le persone dei film?
Antonio nascose il viso con la mano per non scoppiare a ridergli in faccia, Gilbert dovette direttamente alzarsi e allontanarsi.
Francis rimase senza parole.
-Perché…- la sua voce era troppo stridula, si schiarì la gola e riprese –Perché lo pensate?
-Vi siete baciati!- urlò disgustato Alfred –Come fanno lo zio Mathias e lo zio Lukas.
Matthew annuì –E loro due vivono insieme perché si vogliono bene, perché non vieni a vivere con noi?
-Puoi dormire nel letto di daddy, non gli darà fastidio.
-Però russa un po'.
Gilbert era accasciato a terra con le lacrime, Antonio era più rosso dei pomodori che tanto amava pur di trattenersi.
I bambini non sembravano rendersi conto di quanto stessero mettendo in imbarazzo il francese, così ripresero a parlare.
-E poi ci cucini cose buone! Daddy non è molto bravo…
-Ma non dirgli che ti abbiamo detto questo, che poi diventa triste- si affrettò ad aggiungere Matthew preoccupato per i sentimenti di Arthur.
Alfred annuì –Oggi ci ha fatto  una torta al cioccolato, ma nei cartoni in televisione di solito non hanno questo colore.
Francis sbarrò gli occhi preoccupato, poteva benissimo immaginare…
-Te la facciamo vedere!
E mentre i bambini si avviavano lungo le stanze il telefono veniva tenuto malamente, e mostrava stralci di pavimento e mobili in modo sfocato.
-Ma cerca di ucciderli?- chiese Antonio in un sussurro per farsi sentire solo dal suo amico.
-È inglese, non possiamo farci molto…
Gilbert si era calmato ed era tornato ad avvicinarsi –Anche io voglio vedere questa torta.
La telecamera del cellulare iniziò a inquadrare il soffitto bianco quando i bambini lo posarono sul tavolo per potersi arrampicare sopra la sedia più tranquillamente.
Peccato che subito dopo sentirono un orribile rumore di porcellane rotte.
Francis sussultò preoccupato, non fece in tempo a chiedere se stessero bene che si sentì l’urlo infuriato di Arthur proveniente da un’altra stanza.
-Aaaaah, Matthew scappiamo!- e rumori veloci di passi che correvano via.
Arthur raggiunse la cucina di corsa e vide quello che i bambini avevano per sbaglio rotto, però non stavano in giro né cadaveri né sangue, quindi si tranquillizzò.
Si avvicinò al tavolo confuso quando notò il suo cellulare acceso e sbarrò gli occhi quando, prendendolo in mano, si ritrovò in videochiamata con Francis e i suoi stupidi amici del liceo.
Francis gli sorrise –Bonjour!
-Hola- fece contemporaneamente Antonio sventolando una mano.
Gilbert invece commentò –Però, non mi ricordavo avessi questo fisico al liceo.
Arthur divenne completamente rosso e si ricordò solo in quel momento di essere uscito di corsa dalla doccia e di avere solo un misero asciugamano sui fianchi, alzò la telecamera di scatto e corrugando la fronte –Che diavolo state facendo?
-Sono stati Matthew e Alfred a chiamare- spiegò Francis.
-Sono adorabili!- si emozionò Antonio.
Arthur gli lanciò un’occhiataccia –Stai lontano dai miei bambini.
Francis sghignazzò –E non sa della tua passione per gli adolescenti.
-Oh basta!- Antonio aveva alzato gli occhi al cielo esasperato.
Arthur non riusciva a capire cosa stessero dicendo, fu Gilbert a cambiare argomento.
-Arthur, non ti vedo da un sacco di tempo ma ricordavo avessi molte più palle al liceo.
-Cosa stai insinuando?- si infiammò subito l’inglese.
-Bè, se vuoi così tanto Francis potevi benissimo dirglielo tu di persona e non incaricare quei due bambini, per chiedergli di venire ad abitare con voi.
La mascella dell’inglese quasi toccò terra, il suo volto divenne di tutte le gradazioni di rosso fino ad arrivare al viola, infine urlò –COSA HANNO FATTO!?
E chiuse la videochiamata senza neanche preoccuparsi di salutarli.
Francis sospirò mentre sentiva i nomi dei due gemelli urlati a metà prima che lo schermo tornasse ad essere nero, poi si girò verso Gilbert –Perché l’hai fatto? Sai benissimo che non era stato Arthur a mandarli a dire quelle cose.
-Oh, lo so- il tedesco sghignazzò –Mi mancavano i tempi in cui lo facevamo esasperare al liceo, tutto qui.
Francis sospirò portandosi una mano alla fronte, ma stava anche sorridendo.
Antonio si alzò stiracchiandosi –Ma ancora non gliel’hai detto che sei innamorato di lui tipo dalla prima volta che l’avete fatto ai tempi del liceo?
-Io non…- sospirò –Per lui non è mai stato così, inoltre se dovessi dirglielo ora gli complicherei solo la vita.
Passarono solo pochi attimi di silenzio, poi Antonio commentò –Mah, ha ragione Romano a darti del coglione.
-EHY!- Francis si offese e chiese aiuto all’altro suo migliore amico.
Gilbert si limitò ad alzare le spalle –Non che abbia tutti i torti.

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Capitolo 11
*** Parco ***


11.Parco

-Sai, Gilbert ha trovato su Amazon dei guinzagli per bambini, mai pensato di prenderglieli?
Francis la disse come battuta, perché si divertiva a far infuriare l’inglese per la minima cosa, ma Arthur rimase impassibile e rispose –Si, anche Lukas me li fece vedere tempo fa, ma non vorrei passare per uno psicopatico.
Francis scoppiò a ridere non aspettandosi un risvolto del genere.
Erano al parco insieme nonostante non ci fossero più di cinque gradi considerando che ormai era quasi finito novembre.
I bambini avevano insistito così tanto per uscire che quella domenica li accontentarono, nonostante stessero morendo di freddo e avrebbero solo voluto stare a casa davanti il camino.
I due uomini erano seduti su una panchina a controllare che i gemelli, mentre giocavano, non si facessero troppo male e non distruggessero nulla.
Infine il francese decise di intraprendere una conversazione più seria –Quindi hai lasciato  tutto ai servizi sociali, non vuoi intervenire in alcun modo o altro?
Arthur annuì lentamente, gli occhi puntati su Alfred che si stava arrampicando su un palo con la corda.
-Non ho anche il tempo per prendermi questioni personali e andare in tribunale e tutte le altre scartoffie che servirebbero.
Era passata una settimana e qualche giorno da quando era successo tutto il problema all’asilo.
Arthur aveva smesso di mandarci i bambini e aveva denunciato la maestra e tutta la struttura in generale ai servizi sociali per maltrattamento e abuso di potere, però aveva deciso di non partecipare attivamente, lasciando il tutto a chi di competenza.
-Domani invece fanno il primo giorno nel nuovo asilo, quello che mi ha consigliato Antonio, forse l’unico tra voi tre che si salva un po'.
Arthur sorrise impercettibilmente e Francis gli diede un pugno sul braccio, poi riprese ad ascoltare.
-Venerdì ho incontrato la nuova maestra e sembra molto disponibile, tutto l’opposto di quell’altro essere, quindi speriamo bene.
Francis gli strinse la spalla per rassicurarlo, avrebbe anche voluto dirgli qualcosa ma Alfred scivolò dal palo per via del freddo e cadde a terra.
Arthur si alzò di scatto e corse da lui, Francis lo seguì.
Raggiunse suo figlio con un sospiro, ormai era abituato a scene del genere che erano praticamente all’ordine del giorno.
-Ti sei fatto male?- domandò inginocchiandosi di fronte a lui.
Alfred aveva una smorfia dolorante in volto, ma non aveva intenzione di piangere, seduto a terra si alzò il pantalone dalla gamba destra e mostrò il ginocchio che si era leggermente graffiato e dal quale stava uscendo qualche piccola goccia di sangue.
-Un po'- mormorò il bambino scrutando la sua ferita.
-Ora lo sciacquiamo alla fontana e poi mettiamo un cerotto così passa subito, non è nulla, non preoccuparti, va bene?
Alfred annuì e si fece prendere in braccio.
Si avviarono tutti e tre verso la fontanella poco distante, Arthur mantenne in braccio il bambino con il pantalone alzato e si rivolse a Francis –Fai tu mentre lo tengo? Nello zaino ci sono sia i fazzoletti che i cerotti.
Il francese così bagnò un fazzoletto per pulirgli la gamba dallo sporco della terra e poi mettergli sopra un cerotto azzurro con dei pesciolini disegnati.
-Ti fa tanto male? Vuoi che torniamo a casa?- gli domandò infine Arthur quando ebbero finito tutte le operazioni.
Ma Alfred non lo stava ascoltando, guardava un punto fisso dietro di loro e con voce bassa chiamò –Daddy…- stringendosi di più contro il petto del padre, le braccia intorno al suo collo.
Arthur fissò allarmato Francis, Alfred non era solito comportarsi così.
-Che succede, Al?- chiese cercando di mantenere la voce tranquilla.
-C’è la mamma di Ivan- rispose ancora più piano, nascondendo il volto nella sua spalla –Quella signora che era all’asilo e che ha detto tutte quelle cose brutte.
Arthur sentì la rabbia invaderlo, si girò di scatto e la notò subito, stava parlando con un altro gruppo di signore vicino una panchina.
-Dov’è Matthew?- chiese per prima cosa avvicinandosi al castello in legno con scivoli e posti per arrampicarsi dove l’aveva visto l’ultima volta.
E il bambino era ancora li, solo che si era seduto a terra in un angolino e stava piangendo silenziosamente con le mani sul viso.
Arthur si sentì morire, calcolò solo distrattamente che Ivan, il bambino al quale Alfred aveva dato un pugno all’asilo, si stava allontanando velocemente da li.
-Matt, tesoro, vieni scendi, siamo qui.
Ma il bambino non sembrava ascoltarlo, immobilizzato dalla sua paura.
-Matt…- Arthur sembrava sull’orlo di una crisi.
Cercò di poggiare a terra Alfred  per arrampicarsi lui stesso in quel gioco e recuperare l’altro suo bambino, ma Alfred fece resistenza stringendosi di più contro di lui e urlando spaventato non volendo lasciare.
-Al aspetta, c’è tuo fratello… io non…
Tutto quel trambusto aveva attirato un po' di spettatori, gruppi di donne e famiglie che li fissavano in silenzio.
-Lo prendo io- disse Francis deciso e prima che Arthur potesse dire una qualsiasi cosa si era già mosso verso la struttura di legno.
Si arrampicò su questa con un po' di fatica, cercando di non rimanere incastrato e di arrivare al bambino, non fu facile, ma riuscì a raggiungerlo.
-Ehy Matt- lo chiamò accarezzandogli i capelli.
Matthew fece un nuovo singhiozzo poi alzò lo sguardo, aveva gli occhi pieni di lacrime.
E Francis non poté far null’altro che prenderlo e stringerselo al petto per fargli capire che andava tutto bene, che lui c’era e che nessuno l’avrebbe mai abbandonato –Va tutto bene, cherì.
E mentre il bambino si stringeva convulsamente al suo petto Francis fece il tragitto al contrario, scendendo da li con molta più fatica di quando era salito, perché aveva tutto un braccio occupato.
Arthur li stava aspettando preoccupato, non si era perso neanche un particolare di tutta quella scena.
-Matt, sweetheart stai bene?- chiese piano quando gli fu accanto.
Allungò una mano verso di lui e gli asciugò le lacrime su quelle guancie paffutelle –Siamo qui, ci siamo noi, non sei da solo, non devi preoccuparti di nulla, saremo sempre qui per proteggerti.
Anche Alfred si sporse dalle braccia del padre per abbracciare il fratello, si sporse così tanto che Francis dovette prenderlo con il braccio libero per non farlo cadere a terra.
-Tu non sei inutile.
Erano semplicemente quattro parole, ma dette con la naturalezza e la sincerità di un bambino lasciarono senza fiato tutti quanti.
-Signor Kirkland, anche lei qui?
Lo sguardo di Arthur cambiò, l’ira si impossessò del suo corpo.
-Arthur…- cercò di ammonirlo Francis, ma l’inglese non voleva sentire ragione.
-Ce l’hai tu Alfred, vero?- si accerto che entrambi i bambini fossero tra le braccia dell’altro, poi si girò per affrontare la donna che, dopo tutto il trambusto che avevano fatto, l’aveva notato.
-Ora finalmente si degna di farsi vedere?
-Oh mi scusi, in questi giorni forse mi cercava così che suo figlio desse finalmente le scuse che tanto aspetto al mio cucciolo?
Arthur strinse i pugni lungo i fianchi e si ricordò di essere in un posto pubblico, con gente che li fissava e che quella davanti a lui era una donna, quindi non poteva ucciderla né toccarla in qualsiasi modo se non voleva passare dalla parte del torto.
-Giuro su dio che se vedo ancora il suo cucciolo vicino ai miei bambini, soprattutto a Matthew, per spintonarlo o insultarlo, nulla mi tratterrà dall’insegnargli tutta quell’educazione che evidentemente lei non ha avuto modo di fare. Con le buone o con le cattive.
La donna divenne paonazza –Ma come si permette…
Arthur non la lasciò concludere, non questa volta, urlò più forte sovrastando la sua voce –NO! Come si permette lei di giudicarmi, come si permette ad affermare che non posso crescere quei due bambini perché, secondo il suo insulso parere, non siamo una famiglia tradizionale?! COME SI PERMETTE A INCITARE SUO FIGLIO A PASSARE INTERE GIORNATE A BULLIZZARE IL MIO BAMBINO E A DIRGLI CHE È COMPLETAMENTE INUTILE! E COME SI PERMETTE A CRITICARE LA NOSTRA FAMIGLIA E A DIRE LORO CHE LI ABBANDONERÒ E CHE NON LI AMO ABBASTANZA SOLO PERCHÉ NON SONO IL LORO PADRE BIOLOGICO!
Riprese fiato, era paonazzo per la rabbia, ormai tutti li intorno stavano ascoltando quella discussione.
Tornò a un timbro di voce normale mentre concludeva –Lei e il suo gruppo di amiche bigotte, di cui fa parte anche quella stupida maestra, siete solo il cancro di questa società. E in fin dei conti mi dispiace anche per suo figlio, di come stia crescendo male solo per colpa sua.
La donna oramai era senza parole.
-Non si azzardi mai più ad avvicinarsi a me o ai miei bambini. O chiamerò la polizia.
Gli faceva ribrezzo anche solo continuare a vedere il suo volto, così si girò in fretta e allungò le mani per prendere Matthew dalle braccia di Francis.
Il bambino aveva smesso di piangere e lo stava fissando con gli occhi spalancati e stupiti, non disse nulla, si sistemò meglio tra le sue braccia e si poggiò contro la sua spalla.
-Andiamo- disse l’inglese all’altro uomo e senza aspettare una risposta si avviò lungo il sentiero per tornare al posteggio delle macchine e poi a casa.
Francis e Alfred si fissarono stupiti, troppo sconvolti da tutto quello che era successo, poi l’uomo si affrettò a rincorrerlo e raggiungerlo.
E Alfred, ancora tra le braccia del francese, si sporse oltre le schiena di questo e fece la linguaccia sia alla signora che a Ivan.

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Capitolo 12
*** Emil ***


12.Emil

Arthur digitava velocemente con le dita nella tastiera del computer.
Era totalmente preso nel suo lavoro, ma di tanto in tanto lanciava occhiate veloci all’orologio digitale nell’angolo destro in basso dello schermo, non poteva rischiare di perdere la cognizione del tempo perché alle 12 doveva uscire di casa per prendere i bambini all’asilo.
Era seduto al tavolo della cucina e non era solo nella stanza.
Infatti stava anche Francis che in silenzio, per non disturbarlo, stava preparando il pranzo.
Era rimasto li quella mattina dopo che avevano dormito insieme e aveva deciso di restare fino al pomeriggio, quando poi sarebbe stato costretto a tornare a casa per cambiarsi e correre al lavoro.
Era quasi mezzogiorno quando il cellulare di Arthur iniziò a squillare.
Era poggiato sul tavolo vicino il suo computer portatile, quindi all’inglese bastò dare una semplice occhiata per leggere il nome sul display. Era Lukas.
Non sentiva il suo migliore amico da troppo tempo.
Non lo vedeva da quando era stato a casa sua dopo che aveva litigato con Mathias, quella sera stessa poi gli aveva inviato un messaggio chiedendogli se andasse tutto bene e Lukas aveva risposto dopo qualche ora con un “poi ti spiego”.
La storia era finita li, Arthur aspettava che fosse Lukas a chiamarlo e spiegargli, con il passare dei giorni aveva avuto tutto il casino del cercare un nuovo asilo ai bambini e si era completamente dimenticato, solo in quel momento si rese conto che non si erano più sentiti.
Accettò la chiamata e mise il vivavoce in modo da poter concludere il documento e inviarlo prima di spegnere il computer e uscire di casa.
-Arthur- lo salutò Lukas con il suo solito timbro di voce monotono.
-Ehy Luk, hai fatto pace con Mathias? Mi devi raccontare.
Lukas rimase qualche secondo in silenzio, come per decidere cosa dire, poi parlò –In realtà io chiamavo per te, non è che tu mi devi raccontare qualcosa?
Arthur corrugò la fronte staccando per un momento lo sguardo dallo schermo pieno di lettere, anche Francis si era girato e l’aveva fissato confuso.
-Ovvero?- domandò non capendo l’inglese.
-Bè, tipo che hai litigato al parco con una signora per i diritti delle famiglie omosessuali?
Arthur strabuzzò gli occhi e per sbaglio non chiuse la pagina perdendo tutto quanto.
-Tu come fai a saperlo!?- aveva afferrato il telefono in mano, abbandonando completamente il computer –E poi non ci stavo mica litigando per i diritti delle famiglie omosessuali, ci stavo litigando perché quella mette in discussione il fatto che io sia il loro padre semplicemente perché non sono nati dal mio sperma.
-Sempre delicato- borbottò Lukas, ma sembrava anche divertito –Lo so perché c’è questo video che sta girando già da un po' nei social.
Arthur divenne completamente rosso, poi iniziò a balbettare –Cosa… Mi hanno… Mi hanno filmato?
Francis era stupito quanto lui, ma sembrava allo stesso tempo anche divertito da tutta quella situazione.
-Oh si, ha avuto molta popolarità su twitter e in tanti l’hanno retweettato, il titolo era “padre omosessuale difende la propria famiglia da donna omofoba” o qualcosa del genere.
-Oh cristo…
Francis scoppiò a ridere e commentò –Devo raccontarlo a Gilbert, voleva tanto un video del genere.
Poi corse nell’altra stanza alla ricerca del suo cellulare per chiamare il suo di migliore amico.
-Quella era la voce di Francis?- si informò Lukas e Arthur sospirò, tolse il vivavoce dal cellulare e si portò la cornetta all’orecchio rispondendo –Si…
-Quindi… Adesso state insieme?
-Assolutamente no! Come ti viene in mente? Hanno fatto supposizioni affrettate quelli che hanno dato il titolo a quel video, non c’è nulla di più di quello che avevamo già.
-Che ci fa a casa tua adesso?
-Sta preparando il pranzo.
Lukas rimase in silenzio e anche Arthur si rese conto di quanto fosse assurdo quello che aveva appena detto.
-Quindi… Non state insieme ma lui sta tranquillamente a casa tua a preparare il pranzo e ti accompagna al parco per far giocare i bambini?
-Bè? Non vedo nessun problema in tutto questo!- la sua voce era diventata isterica, il volto totalmente rosso ormai –Ora devo andare, o farò tardi…
-Aspetta- Lukas lo interruppe a metà –Vai a prendere i bambini a scuola e venite da noi a pranzo.
-Ma ti ho detto che Francis stava già cucinando.
-Vorrà dire che avete la cena pronta, o il pranzo di domani, ho bisogno che tu venga… devo… devo presentarti Emil.
Arthur si alzò di scatto strabuzzando nuovamente gli occhi –Chi diavolo è Emil!? HAI LASCIATO MATHIAS E TI SEI GIÀ MESSO CON UN ALTRO!?
-Ma sei deficiente? Come puoi pensare una cosa del genere! Emil è…- la sua voce si affievolì così tanto che Arthur lo sentì a stento –…un bambino.
Arthur era senza parole, avrebbe voluto approfondire quella conversazione, ma per telefono non era proprio il caso.
-Va bene, verso l’una siamo da te.
-E porta anche Francis.
Lukas non gli diede neanche il tempo di ribattere che aveva già chiuso la chiamata.
 
-Quindi abbiamo un cuginetto!?- Alfred saltò sul sedile e si sporse in avanti felice da quella nuova prospettiva.
-Non lo so Al, lo zio Lukas non mi ha detto molto a telefono- Arthur stava guidando e lanciò una breve occhiata allo specchietto retrovisore per vedere che stavano combinando li dietro –Siediti bene, ma non ti avevo messo la cintura?
-Mi dava fastidio- borbottò piano e Francis dovette sporgersi dietro e riallacciargliela.
-Ma possiamo giocare con lui?- chiese poi Matthew.
-Non ho idea di quanti anni abbia, poi vediamo.
E nonostante Arthur continuasse a dire che non ne sapeva nulla, i due gemelli fecero domande per tutto il tragitto, elettrizzati a quella novità nella loro vita.
Ad aprirgli alla porta fu Mathias, sembrava più felice del solito, gli occhi brillanti.
-Eccoli qui i miei piccolini!- esclamò alzando senza problemi i due nipotini e facendoli volare in aria mentre questi urlavano e ridevano.
Dopo averli salutati per bene li rimise giù e salutò i due adulti, accettando di buon grado la torta che Francis stava portando in mano, l’avevano comprata lungo il tragitto per non presentarsi a mani vuote.
-Sembri più elettrizzato del solito- indagò Arthur togliendosi il giubbotto e posando anche quello dei due bambini che se l’erano tolto in fretta lasciandoli a terra e correndo da qualche altra parte dentro casa.
-Come non potrei esserlo dopo tutto quello che sta succedendo?- si girò verso di loro e li abbracciò –Grazie davvero per avergli parlato quando abbiamo litigato, sono sicuro che sia tornato così in fretta da me per qualcosa che avete detto voi.
Arthur si imbarazzò –Ha fatto tutto lui- indicò Francis –Non ho idea di come ci sia riuscito, ma è tutto merito suo.
-Non so come tu abbia fatto dato il suo carattere, ma grazie sul serio- Mathias gli diede una pacca sulla spalla grato.
Francis abbozzò un sorriso –Segreto professionale, è stato un piacere.
Alfred urlò in un’altra stanza, poi corse verso di loro e prese Arthur per mano trascinandolo dietro –SEMBRA UNA TARTARUGA! MA ANCHE NOI ERAVAMO COSÌ!?
Arthur spalancò gli occhi –Ma chi?
Non ebbe bisogno di una risposta, perché si ritrovò nel soggiorno davanti al suo migliore amico, quest’ultimo teneva un fagotto di coperte in braccio, da questo spuntava la testa di un bambino dai pochi capelli chiarissimi. Gli occhi chiari erano aperti, vigili, ma era calmissimo nelle sue braccia.
Lukas sorrise loro, poi gli si avvicinò e gli porse il bambino, Arthur lo accettò con delicatezza.
-Questo è…- iniziò a domandare mentre sorrideva al piccolo e se lo sistemava meglio tra le braccia.
-Emil- concluse Lukas, passò qualche secondo in silenzio, poi concluse –Lui è… tipo il mio fratellastro. Ma… l’abbiamo anche adottato, quindi è anche mio… mio…
Fu Mathias a intervenire –È nostro figlio.
Lukas annuì lentamente stringendosi al suo ragazzo che gli si era avvicinato e gli aveva messo un braccio intorno alle spalle.
-Sembra buonissimo- commentò distrattamente l’inglese mentre si faceva afferrare un dito da quella mano piccola e paffutella e lo vedeva ridere.
-Lo è, non piange mai, dorme tranquillamente tutta la notte e ha praticamente lo stesso carattere di Lukas- spiegò il danese.
Arthur guardò di sbiego il suo migliore amico –Ti è andata più che bene e ti lamentavi pure.
Alfred si attaccò ai pantaloni del padre tirando insistentemente –Daddy faccelo vedere, dai Daddy, daaai.
-Oh si, ti è andata benissimo- continuò Arthur sempre al suo migliore amico e Francis rise, poi si chinò e prese in braccio Alfred per fargli vedere meglio il bambino che l’inglese aveva tra le braccia.
-Non lo toccare che è piccolo- lo ammonì e Al annuì sporgendosi in avanti con gli occhi grandi di stupore.
-Anche io voglio vedere- Matthew lo disse più flebilmente, ma Francis prese in braccio anche lui ed entrambi contemplarono eccitati il loro nuovo cuginetto.
-E quando cresce possiamo giocare con lui?
Mathias rise –Quando cresce è tutto vostro.
I bambini urlarono felici e Francis li rimise a terra.
-Bene- fece Lukas quando si riprese il bambino –Andiamo a mangiare che vi racconto tutta la storia.
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Ciao!
Volevo solo dirvi due cose, intanto spero che la storia fino ad ora vi stia piacendo.
E poi volevo informarvi che la storia di come Lukas e Mathias abbiano avuto Emil non verrà pubblicata in questa long, ma ho già scritto una OS a parte che troverete al link che scriverò sotto se vi interessa la coppia e volete degli approfondimenti!
La storia si intitola "Emil" e la trovate o nella mia pagina o al link:
Link: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3882844&i=1
Un bacio, Deh
 

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Capitolo 13
*** Febbre ***


13.Febbre

Quando Francis venne svegliato dal suono del telefono gli sembrò di non aver dormito affatto.
Era confuso e assonnato e solo dopo diverso tempo si rese conto che quella non era la sveglia ma l’avvertimento di una chiamata.
Fuori era ancora buio inoltrato e quando diede un’occhiata all’orologio digitale si rese conto che erano appena passate le due.
Ecco perché si sentiva così stanco.
Allungò la mano a tentoni e accettò la chiamata senza leggere il nome sul display.
-Pronto?- biascicò con voce impastata.
-Francis!- la voce di Arthur era preoccupata, al limite dell’isteria, sembrava anche sull’orlo delle lacrime.
Francis sentì il cuore accelerare, si sveglio del tutto –Arthur, che succede? Stai male?
-Non io, Matthew è caldissimo, delira e non fa altro che lamentarsi. Ha la febbre altissima e non riesco a fargliela scendere in alcun modo… Io non… Cosa dovrei fare? Lo porto in ospedale? Ma se mi fanno aspettare un sacco di tempo e peggiora perché l’ho fatto uscire di notte con questo freddo? Dovrei andare in farmacia e chiedere aiuto? Ma non posso uscire e lasciarli soli a casa… Io…- ormai aveva iniziato a delirare anche lui –Ho bisogno di te- concluse.
E Francis si era già alzato alla ricerca di qualcosa da mettere.
-Vado io in farmacia, vediamo cosa mi dicono, magari ti chiamo quando sono direttamente li, poi vengo da voi, okay?
-Dio, si. Grazie, davvero, grazie.
 
E un quarto d’ora dopo Francis si trovava nella sua macchina, tremava per il freddo nonostante avesse acceso il riscaldamento.
Fuori stavano -3° e aveva anche iniziato a nevicare.
Riuscì a trovare la farmacia di turno aperta per quella notte e quasi ebbe un mancamento per la differenza della temperatura da dentro e fuori.
-Salve, di cosa ha bisogno?- chiese subito apprensiva la donna che si trovava alla cassa, faceva il turno insieme ad un uomo ed entrambi lo stavano guardando, considerando che non stavano altre persone.
-Salve- rispose sbrigativo Francis avvicinandosi –C’è questo bambino che sta male, il padre mi ha detto che ha la temperatura molto alta e non riesce a fargli scendere la febbre.
-Da quanto tempo sta così?- si informò sbrigativa la donna e Francis si rese conto di non avere una risposta.
-Vuole chiamarlo?- suggerì l’uomo intromettendosi per la prima volta nella discussione.
-Oh si, giusto.
Francis fece come gli era stato detto e Arthur rispose subito.
-Ehy, ascolta, dovresti dirmi alcune cose.
-Sei in farmacia? Vuoi far parlare me con chi è li di turno?- Arthur sembrava più calmo, forse perché aveva finalmente un piano e non stava più con le mani in mano aspettando un miracolo.
Francis scostò il telefono dall’orecchio e si diresse alla donna –Le dispiace se parla direttamente con lei?
-Nessun problema- porse la mano e Francis le lasciò il telefono.
-Salve, sono la dottoressa Laura, mi dica tutto- annuì concentrata mentre ascoltava tutto quello che le veniva detto e scarabocchiava qualcosa in un foglio –Quanti anni ha? … Mh, è cagionevole di salute? … No, ha fatto bene a non portalo fuori, non con questo tempo. Ascolti, non si preoccupi così tanto, è il periodo di queste influenze, per il momento le prescrivo le tachipirine… si, quelle in bustina, la febbre dovrebbe abbassarsi e farlo dormire tranquillo per questa notte- ascoltò quello che le veniva detto e sorrise intenerita –Se non dovesse accadere lo porti subito al pronto soccorso, ma sono sicura che non sarà così, può fidarsi. Gliene somministri una anche domani mattina e poi lo porti dal pediatra, va bene?- annuì di nuovo –Si figuri, arrivederci.
Consegnò nuovamente il cellulare al francese e iniziò a confezionare quello che aveva detto.
La chiamata non era ancora chiusa così Francis se lo portò all’orecchio e mormorò –Sto arrivando.
-Fa presto ma… fai anche attenzione, sta nevicando.
Francis sorrise –Non preoccuparti.
Chiuse la chiamata e afferrò l’involucro che la donna gli stava consegnando subito dopo averlo incartato, pagò e ringraziando velocemente andò via.
La neve stava iniziando ad accumularsi e le strade erano deserte, Francis cercò di fare più in fretta possibile ma al limite per non sbandare e fare un incidente.
Erano le tre di notte quando si ritrovò a bussare dietro quella porta che ormai conosceva benissimo.
Arthur corse ad aprirgli e gli saltò addosso abbracciandolo non appena lo vide –Cazzo, non hai idea di quanto sia felice di vederti- aveva uno sguardo così preoccupato per Matthew che neanche fece caso a quello che aveva appena detto e Francis, per una delle pochissime volte in vita sua, decise di non farglielo notare lasciando correre.
-Oddio ma sei gelido- notò Arthur staccandosi da lui –Mi dispiace così tanto, non ti avrei mai disturbato se non fosse…
Francis lo interruppe mettendogli in mano le medicine –Arthur- bloccò il suo flusso di parole –Prima Matthew.
-Si, hai ragione- annuì velocemente e scappò nell’altra stanza.
Francis si spogliò e godette per qualche secondo del calore di quella casa, poi piano si avviò lungo il corridoio e fissò tutta la scena dallo stipite della porta.
Matthew aveva gli occhi socchiusi e le guancie rossissime, il suo peluche era abbandonato al suo fianco, non aveva neanche la forza di stringerlo e da qui si capiva quanto stava male.
Respirava a fatica e tossiva di tanto in tanto.
Arthur si era seduto al suo fianco, aveva preparato le medicine sciolte in un bicchiere mezzo pieno di acqua, con una mano cercava di farlo mettere seduto per non soffocarsi e con l’altra gli portò il bicchiere alla bocca.
-Mhmm- si lamentò il bambino corrugando la fronte e scostandosi di lato, qualche goccia cadde fuori dal bicchiere.
Arthur sospirò –Devi bere honey- la sua voce era bassa per non dargli fastidio –Starai meglio dopo, te lo prometto.
Francis decise di avvicinarsi per dargli una mano, si sedette dall’altro lato della sponda del letto e tenne lui il bambino con il busto alzato.
Arthur lo ringraziò con un mezzo sorriso, poi allungò la mano finalmente libera per tenergli ferma la testa e gli fece ingoiare tutta la medicina.
-Non mi piace- si lamentò Matthew biascicando –Mi fa male la testa e ho caldo.
-Lo so, amore, lo so- Arthur l’aveva fatto nuovamente stendere coprendolo con il piumone e accarezzandogli quei capelli umidi di sudore –Ora migliorerai, tu cerca di riposare, va bene?
Matthew non rispose, troppo stanco anche solo per annuire.
Francis si alzò e notò Alfred nel suo letto, era seduto e fissava la scena con occhi attenti.
-Ehy, non dormi?- Francis decise di occuparsi di lui.
-Mio fratello sta male- Alfred lo disse senza staccare gli occhi dalla figura del gemello, lo disse come se fosse una spiegazione plausibile.
Francis pensò a una risposta convincente, infine disse –Se vuoi aiutarlo dovresti dormire, così domani sarai nel pieno delle tue forze e potrai occuparti di lui.
Alfred portò finalmente lo sguardo su di lui, sembrava indeciso sul da farsi, Francis capì di averlo in pugno e continuò –Tuo padre già non dorme, se resti sveglio anche tu domani chi si occuperà di Matthew se tutti avrete sonno?
Alfred a quel punto si convinse del tutto –Hai ragione, io sono l’eroe e devo aiutare Matthew e mio padre domani.
Si sdraiò nel suo lettino e si coprì con le coperte borbottando la buonanotte a suo padre.
Arthur li stava già fissando, aveva gli occhi sbarrati.
-Come hai fatto?- sussurrò a Francis incredulo –Ha una notte che provo a dirgli di andare a dormire.
Il francese alzò le spalle –Devi solo toccare i punti giusti- il sorriso poi gli scomparve dalle labbra –Dovresti dormire anche tu, Arthur.
-Devo prima accertarmi che scenda dai 39 gradi, poi… poi si vedrà, piuttosto vai a coricarti tu, ti ho già disturbato abbastanza.
-Qui?
-Certo, pensi che ti faccia tornare a casa con questo tempo e a quest’ora?
Francis non rispose, si abbassò su di lui e lo strinse.
Arthur si aggrappò quasi disperatamente alle sue braccia.
Francis gli baciò il collo, poi sussurrò impercettibilmente –Andrà tutto bene, tornerà a farti impazzire prima di subito.
-Lo spero…
 
-Ehy- Francis lo scosse piano cercando di svegliarlo con pochi sussurri.
-Mh?- mugugnò Arthur incerto aprendo lentamente gli occhi.
Ci mise diversi secondi per connettere il cervello e ricordare la notte precedente.
Corrugò la fronte e scostò le coperte –Quando sono arrivato nel mio letto?- domandò confuso.
Francis era vestito di tutto punto, in piedi davanti a lui, gli sorrise divertito –Ti ci ho portato io circa due ore fa quando mi sono svegliato e non ti ho trovato, non te lo ricordi?
Arthur scosse la testa.
-Certo che eri davvero stanco allora.
L’inglese controllò l’orario, erano le otto del mattino, si alzò rabbrividendo nonostante i riscaldamenti fossero ancora attaccati.
-Ti sei addormentato mentre controllavi Matthew, ti ho portato qui, non mi sembrava il caso di farti rimanere bloccato con la schiena per la posizione data la tua età- rise.
Arthur si imbronciò e gli diede un pugno –Coglione. Abbiamo la stessa età ti ricordo.
-Oh, mon amour, ma io li porto molto meglio.
Arthur gli alzò il dito medio, Francis rise, poi continuò a parlare.
-Matthew sta meglio, la febbre oscilla sui 38 gradi, ma sta riposando tranquillamente da qualche ora. In ogni caso appena apre dovresti portarlo dal pediatra.
L’inglese annuì –Si, fra un po' glielo porto… Ma tu hai dormito? Che ci fai già alzato e vestito?
Francis scosse le spalle e decise di rispondere solo all’ultima domanda –Devo andare a lavoro, ti ho svegliato per avvertirti che me ne sto andando.
-Oh…
-Ci sentiamo più tardi, okay?- gli lasciò un leggerissimo bacio in guancia e si avviò fuori dalla stanza.
Arthur rimase per qualche secondo immobile, poi lo rincorse –Francis, aspetta!
Il francese si girò curioso e non ebbe il tempo di chiedere nulla che si ritrovò le mani dell’altro tra i suoi capelli lunghi e le labbra sulle sue che lo baciavano con forza.
Francis rimase spiazzato per mezzo secondo, poi rispose con così tanta foga che lo alzò da terra.
Quando si staccarono avevano entrambi il fiatone –Okay, wow…- mormorò il francese.
Anche Arthur annuì di riflesso –Okay- ripeté anche lui –A dopo.
-A dopo…

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Capitolo 14
*** Volergli bene ***


14.Volergli bene

Francis sbadigliò per la milionesima volta in quella giornata mentre faceva un caffè dietro il bancone del bar.
Antonio lo vide mentre tornava con il vassoio vuoto e fece un sorrisetto mentre commentava –Arthur ti fa stancare troppo?
Francis annuì lentamente –Ma magari fosse per quello che pensi tu. Ieri mi ha chiamato alle tre di notte perché Matthew aveva la febbre altissima e gli serviva aiuto.
Gilbert si intromise nella conversazione dopo aver consegnato un panino ad Antonio per portarlo al tavolo che aveva l’ordinazione –Davvero, perché non ti sei ancora trasferito da lui?
Francis sbuffò consegnando con un sorriso di cortesia il caffè alla donna che stava ancora aspettando –è più complicato di come credi.
-Vuoi che me lo faccio spiegare da lui? Tanto ti sta chiamando in questo momento.
Francis gli lanciò un’occhiataccia e si affrettò a recuperare il suo cellulare rispondendo in fretta.
-Arthur! Come sta Matthew?
-Ciao- la voce dell’inglese era bassa, forse quasi imbarazzata –Male… e ha una mattina che siamo dal pediatra e ancora ci sono delle persone prima che venga il nostro turno…- non aspettò che l’altro rispondesse prima di continuare –Ascolta, quand’è che finisci a lavoro?
Francis portò lo sguardo al grande orologio che segnava le dodici e mezza –Fra un’ora e mezza, perché?
-Oh…- sembrava ancora più imbarazzato –Non pensavo che avrei fatto così tardi, devo andare a prendere Alfred all’asilo e speravo potessi andarci tu, ma fa nulla, magari ritorno dal pediatra di pomeriggio.
-Arthur non dire cose assurde, non puoi uscire il bambino anche di pomeriggio con questo freddo! Vado a prenderlo io Alfred, non c’è problema.
-Ma… hai detto che devi lavorare ancora fino…
-Non è un problema, chiedo un permesso, lo recupero un’altra volta senza problemi.
Arthur rimase in silenzio per diversi secondi, la sua voce si era abbassata così tanto da essere ormai impercettibile –Mi dispiace, non so a chi altro chiedere, Lukas ha Emil e io non… non… so che non volevi entrare in tutto questo casino, perdonami.
-Arthur smettila di farmi perdere tempo, non vorrai mica che Alfred si dovesse sentire abbandonato, no? Ci vediamo a casa tua!
Chiuse la chiamata e si girò verso i suoi amici, Antonio aveva già le mani sui fianchi, le sopracciglia corrugate, non lo lasciò parlare che lo precedette –No, assolutamente no Francis, io ho finito, non farò di nuovo parte del tuo turno.
Francis gli sorrise mellifluo –Perché non ti prenoti il finesettimana fuori con il tuo ragazzino e mi faccio io i tuoi turni?
Non aspettò neanche una risposta, sapeva che al suo amico andava benissimo, si tolse velocemente il grembiule e mentre ancora stava infilando il giubbotto uscì dal retro.
 
Alfred corrugò la fronte confuso quando vide che a prenderlo c’era solo Francis, ma non si fece problemi ad andare con lui e a dargli la mano.
-Dov’è il mio papà?- gli chiese poi mentre l’altro lo faceva salire in macchina.
-È ancora dal dottore con Matthew, ora ci raggiunge a casa.
Francis vide Alfred annuire dallo specchietto retrovisore, mentre si immetteva nel traffico il bambino commentò –Matt sta ancora male.
E non era una domanda.
Francis era incerto mentre chiedeva –Tu lo… senti?
Alfred annuì di nuovo, come se avesse detto una cosa normalissima, poi iniziò a raccontare a Francis di tutta la sua giornata.
Venti minuti dopo stavano ancora aspettando il ritorno dell’inglese seduti sulle scale fuori casa, perché giustamente Francis non aveva le chiavi per entrare dentro.
Alfred sbuffò lamentandosi –Io ho fame…
Francis controllò nuovamente l’orario dal cellulare sospirando –Lo so, tuo padre mi ha scritto che stavano tornando, resisti un altro po'.
-Francis, ma tu vuoi bene al mio papà?- chiese infine il bambino curioso.
Il francese strabuzzò gli occhi non aspettandosi quella domanda –Certo che gli voglio bene- sussurrò poi perdendosi nei suoi pensieri.
Alfred annuì soddisfatto della risposta, aspettò qualche secondo prima di continuare –Anche lui ti vuole bene.
Francis non poté fare a meno di ridere divertito –Dici?
Il bambino annuì serio -Prima piangeva quasi sempre la notte, lui pensa che io e Matthew non ce ne siamo mai accorti.
Il sorriso scomparve dal volto del francese e si girò a fissarlo.
-Da quando ti abbiamo conosciuto non lo fa più- concluse Alfred pensandoci per bene con le sopracciglia corrugate –Quindi deve volerti per forza bene.
Francis non sapeva come rispondere a quella rivelazione, non ne ebbe bisogno solo perché fu a quel punto che Arthur arrivò.
-Daddy!- esclamò felice Alfred mettendosi in piedi e saltellando.
Arthur non lo calcolò solo perché stava cercando di calmare Matthew che tra le sue braccia continuava a piangere e a lamentarsi, Francis si accorse che l’inglese aveva tutto il giubbotto sporco di vomito.
Arrivato alla porta cercò le chiavi in tasca e con fatica cercò di aprire.
-Vieni qui, dallo a me- Francis cercò di prendergli il bambino dalle braccia ma Arthur fece resistenza.
-No aspetta, potrebbe vomitare di nuovo, se continua a piangere la situazione peggiora.
-Non importa, tu apri e poi vai a cambiarti, io lo porto in bagno.
E a quel punto l’inglese poté solo accettare.
Francis uscì Matthew dal bozzolo di coperte ormai sporche anche quelle e iniziò a sussurrargli parole di conforto, dopo che la porta di casa venne aperta riuscì ad arrivare in bagno in tempo e posizionarlo davanti al gabinetto prima che il bambino riprendesse a vomitare.
Con un braccio continuava a tenerlo perché l’altro non aveva la forza per stare in piedi da solo, con l’altro gli scostava i capelli sudati da quella fronte caldissima.
-Tranquillo Matt, non devi preoccuparti, fra qualche giorno ti passa tutto.
Gli pulì la bocca con un po' di carta quando il bambino concluse la sua tosse.
-Non mi piace vomitare, mi sento ancora più male e mi fa male la testa…- e iniziò una serie di lamenti che si persero nei suoi singhiozzi e divennero incomprensibili.
Arthur li raggiunse, si era appena cambiato la maglia sporca e aveva portato con sé anche dei vestiti puliti per Matthew.
-Sh…- sussurrò al suo bambino prendendolo in braccio e facendolo sedere sul marmo del lavandino per lavarlo e cambiarlo –Ora ti prendi la medicina che ti ha dato il dottore e poi vai a dormire così ti passa tutto.
Ma Matthew non sembrava neanche ascoltarlo, troppo preso dal suo delirio e dai suoi lamenti.
Alfred si attaccò alla gamba di Francis attirando la sua attenzione –Ho fameee, cucini il pranzo?
Fu Arthur a rispondere in un sospiro esasperato –Alfred lascialo stare, mi ha solo fatto il favore di andarti a prendere a scuola, ora ha le sue cose da fare, lascialo andare via.
-Ma io ho fame!- strillò indisposto con i pugni chiusi e le guance rosse.
-Fammi mettere a letto tuo fratello e poi mi metto a cucinare!
Francis si intromise in quella discussione che nessuno dei due aveva intenzione di lasciar correre.
-Arthur, una volta che sono qui non mi costa nulla aiutarti, soprattutto considerando che Matthew si trova in quelle condizioni.
Arthur era combattuto, era così evidente dallo sguardo che gli lanciò.
Da un lato voleva che l’altro non se ne andasse perché aveva un estremo bisogno di aiuto.
Dall’altro si sentiva terribilmente in colpa per averlo costretto in tutta quella faccenda già dalla notte precedente.
Francis gli sorrise e avvicinandosi gli lasciò un bacio tra i capelli –Davvero, non è un problema, rilassati.
Poi prese Alfred per mano –Vieni, andiamo a preparare il pranzo.
Si misero a giocare in cucina, ma riuscirono anche a creare un pranzo decente.
-Daddy non viene a mangiare?- si informò Alfred con la bocca piena.
Poco prima Francis aveva sentito che usciva dal bagno e portava Matthew in camera, si erano chiusi la porta alle spalle e ancora nessuno ne era uscito.
-Mh... Ora vado a controllare.
Il francese si alzò e si avviò silenziosamente lungo il corridoio.
Aprì la porta della cameretta lentamente e stava per chiamare il biondo quando si bloccò di scatto.
Matthew era sotto le coperte, dormiva con la bocca aperta per respirare meglio, sembrava più tranquillo ora che riusciva a stringere il suo peluche al petto.
Arthur era al suo fianco, sdraiato sopra le coperte si era addormentato anche lui, un braccio sotto la testa e l’altro a cingere il bambino.
Doveva essere così stanco dopo la notte passata quasi insonne che si era addormentato senza neanche volerlo.
Non poté fare a meno di sorridere dolce alla vista di quella scena.
Entrò in camera solo per prendere una coperta e coprire l’inglese, si chinò e gli lasciò un bacio in fronte.
Nel sonno Arthur mugugnò di piacere.
Francis si richiuse la porta alle spalle e decise di passare tutto il pomeriggio con Alfred, Arthur meritava quelle poche ore di riposo e lui aveva tutta l’intenzione di farlo stare meglio.

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Capitolo 15
*** Cinema ***


15.Cinema

Dopo quattro giorni a Matthew la febbre era scesa del tutto, ma Arthur aveva preferito fargli fare un altro giorno di cautela senza mandarlo all’asilo.
Stava preparando il pranzo quando Matthew lo raggiunse sbuffando –Daddy sono stanco di stare a casa, voglio uscire a divertirmi.
-Non oggi Matt- rispose l’uomo mentre mescolava con il mestolo di legno quel brodo che era diventato un po' troppo denso rispetto al normale –Qualche altro giorno.
-Ma…- la sua protesta venne interrotta dal campanello che suonava.
Il bambino corse ad aprire perché sapeva che erano suo fratello e Francis.
Quest’ultimo era andato a prendere nuovamente Alfred a scuola per non far uscire Arthur di casa costringendolo a portarsi con sé il bambino malato.
Arthur sospirò esausto quando sentì Matthew provare a convincere sia il fratello che il francese a uscire quel pomeriggio.
Ovviamente Alfred fu subito dalla sua parte e iniziarono a lamentarsi insieme.
Arthur stava per urlargli contro quando Francis lo raggiunse e gli sussurrò –Potresti portarli in un posto al chiuso e al caldo. Alla fine già ieri sera la febbre era del tutto scesa a Matthew e per il tragitto potresti prenderlo in braccio e coprirlo con una coperta, si insomma…
Vide lo sguardo di fuoco che gli lanciò l’inglese e si bloccò alzando le mani in segno di resa –Okay scusa, figli tuoi, decidi tu.
Arthur sospirò esasperato passandosi una mano sul viso, ad alta voce disse –Va bene, va bene. Volete andare al cinema?
I bambini urlarono eccitati e poi corsero da lui abbracciandolo –Grazie Daddy sei il migliore.
Arthur sorrise intenerito posando le mani su quelle teste biondissime, il momento fu rovinato da Francis che mormorò –Se ci arrivano vivi a oggi pomeriggio.
Stava fissando il contenuto nella pentola con una faccia schifata, poi lo scostò dai fornelli –Fai fare a me, eh? Sono troppo bello e giovane per morire oggi.
Arthur si limitò ad alzargli il terzo dito quando i bambini non stavano guardando.
 
-No aspetti… Non può dirmi che non ci sono più posti!- Arthur lo sussurrò piano, per non farsi sentire dai bambini che parlavano eccitati del cartone che volevano tanto vedere.
-Mi dispiace- continuò la donna dentro il botteghino scrutando il suo computer –Quattro posti vicini non stanno più ma…
-Ma?- si sporse in avanti speranzoso l’inglese.
-Ma potrei darvi due posti al lato di una fila e altri due la fila sotto, potete mettervi ognuno con un bambino o mettere i due bambini insieme la fila sotto e controllarli da sopra, che dice?
Arthur cercò lo sguardo di Francis e questo alzò le spalle –Una soluzione sempre migliore di farli tornare a casa.
L’inglese sospirò, sapeva che l’altro aveva totalmente ragione.
-Va bene, li prendiamo.
Pagò e si diressero all’interno dell’area e poi dentro la sala, già vi si poteva accedere perché mancava poco all’inizio del film, non erano proprio in ritardo, ma se avessero fatto prima avrebbero sicuramente trovato anche dei posti migliori.
Salirono le scale e trovarono le due file giuste –Bene, come vi volete sedere?- domandò Arthur lasciando la decisione ai due bambini.
-Io mi siedo con Daddy!- esclamò Alfred a gran voce.
-Anche io mi voglio sedere con Daddy- parlò più pacato Matthew mentre stringeva i pugni e gonfiava le guancie.
Stavano per iniziare a litigare quando Francis mise un braccio intorno alle spalle dell’inglese e sovrastò la voce dei due bambini –E invece mi ci siedo io con vostro padre, voi due vi sedete insieme così non vince nessuno- vide che la faccia dei due gemelli non era molto convinta e dovette aggiungere –Inoltre potrei comprarvi un cestello di pop-corn da dividere se non fate più i capricci.
Gli occhi dei due bambini si illuminarono, esclamarono un “Va bene!” super felici e si sedettero insieme nella fila davanti.
Arthur lanciò un’occhiataccia al francese –Ti avevo detto di non viziarmeli, Francis.
L’interessato sorrise e gli lasciò un bacio in guancia, vicino al suo orecchio sussurrò –Vizio te, perché non posso viziare anche i tuoi bambini?
Le guance di Arthur divennero rosse per l’imbarazzo, gli diede un pugno sul braccio e borbottò senza guardarlo –Muoviti a prendere quei pop-corn, non vorrai mica perderti l’inizio di questo bellissimo cartone.
Arthur prese il posto vicino alle scale e lasciò a Francis quello accanto alla ragazza esaltata che non faceva altro che parlare con le sue amiche.
Erano iniziati i trailer quando Francis fece ritorno con il secchiello più grande pieno di pop-corn che porse ai due bambini eccitati.
E mentre iniziavano a mangiare commentavano sottovoce tutti i trailer, Arthur era soddisfatto di loro, perché sapeva che per quanto potessero essere casinisti, poi durante il film avrebbe fatto silenzio. Erano rispettosi, Arthur gli aveva insegnato bene, non come quei bambini che non facevano altro che correre e urlare.
Francis si sedette al suo fianco e togliendosi il giubbotto uscì dalla tasca un’altra cosa che aveva comprato al bar: un pacco di caramelle di quelle lunghe e gommose.
Le porse all’inglese con un mezzo sorriso –Queste le ricordi?
Arthur strabuzzò gli occhi, ricordava benissimo quel giorno, non pensava però che anche l’altro le ricordava.
Era avvenuto al liceo, sempre al terzo anno, quando avevano iniziato quella strana relazione.
La scuola, con il prezzo dell’iscrizione, portava i ragazzi al cinema una volta ogni due mesi.
Per la prima volta Lukas aveva abbandonato Arthur per sedersi con Mathias, il norvegese gli aveva prima chiesto se gli andava bene e Arthur non poté fare a meno di spingerlo tra le braccia della sua assurda cotta dicendogli di non preoccuparsi.
Era così rimasto solo, non che gli piacesse stare da solo, ma era compito da migliore amico fare quello che aveva fatto, no?
E fu solo a film iniziato che Francis si alzò dal suo posto, abbandonando i suoi due migliori amici, per raggiungere il biondo sedendosi al suo fianco nel posto libero.
Arthur sussultò, le sue guance divennero rosse ma fortunatamente era troppo buio perché l’altro se ne accorgesse.
-Che diavolo fai?- sussurrò pianissimo per non disturbare il silenzio della sala.
Francis gli porse un pacco di caramelle aperte –Vuoi?
Arthur portò lo sguardo da lui al cibo diverse volte, cercando di capire dove fosse l’imbroglio.
Francis capì il suo tentennamento e sbuffando divertito prese uno dei vermetti gommosi mettendoselo in bocca per fargli capire che non aveva fatto nulla di male a quelle caramelle e che voleva solo essere gentile.
Arthur fissò la punta della caramella che usciva dalle sue labbra, non ci pensò molto quando si sporse verso di lui per mordere il dolce e baciarlo di conseguenza.
E quella fu la prima volta che passarono più di un’ora semplicemente a baciarsi.
Senza niente di troppo fisico, solo e semplici baci dolci, finirono anche per coccolarsi quasi come una vera coppia.
Sembrava che finché le luci fossero rimaste spente potessero fingere tutto quello che non erano, ad Arthur andava bene anche credere di non essere sé stesso, si sentiva così bene in quel momento da poter essere chiunque in qualsiasi altro posto.
Ritornò al presente quando le luci si spensero del tutto e il film iniziò.
Afferrò il pacco che il francese gli stava ancora porgendo, lo aprì e prendendo una caramella se la portò alla bocca, lasciandone un pezzo fuori dalle labbra.
Francis sorrise malizioso, quella era una risposta più che eloquente alla sua domanda.
Gli afferrò il viso con entrambe le mani e si sporse in avanti poggiando le labbra sulle sue.
Baci brevi e lunghi, silenziosi, nasi che si sfioravano, mani che si cercavano, sospiri.
Si sentiva bene Arthur quando il film finì, sbatté le palpebre confuso e disturbato da tutta quella luce e mentre scostava la testa dalla spalla del francese dove l’aveva poggiata.
Sistemò i bambini e tutti e quattro si diressero fuori dalla sala, i due gemelli saltellavano felici e stavano ripercorrendo tutte le scene più belle che avevano appena visto.
-Alfred non dovevi ridere a quella scena- stava dicendo Matthew al fratello con voce seria –Era triste!- poi si girò verso il padre –Vero Daddy?
Arthur non ebbe il tempo di rispondere perché Alfred l’aveva sovrastato come suo solito –Ma cosa chiedi a lui che non l’ha visto il film!- rise –È stato tutto il tempo a darsi baci con gli occhi chiusi.
E increspando le labbra iniziò a fare i versi dei baci prendendolo in giro.
Poi scoppiò a ridere e Matthew con lui.
Arthur divenne viola dall’imbarazzo, urlò isterico –Come osate insultare così vostro padre! Se vi prendo vi faccio il solletico per due giorni!
I bambini urlarono sempre con il sorriso in volto e iniziarono a scappare.
Si nascosero dietro Francis urlando –Salvaci tu, salvaci tu!
Il francese rise e aprì le braccia per bloccare Arthur, poi gli strizzò i fianchi facendolo saltare sul posto –Eh!? Così non vale! Non puoi allearti con quelle due pesti!
E forse stavano attirando troppo l’attenzione, ma a chi non sarebbe scappato un sorriso vedendo come si stava divertendo quella che all’apparenza sembrava una vera e propria famiglia?

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Capitolo 16
*** Recita ***


16.Recita

-Come mai le due pesti non sono qui a vedere il film con noi?- domandò Francis confuso sul perché i due bambini fossero chiusi nella loro stanza da quando era arrivato in casa loro.
Arthur si sedette al suo fianco, una ciotola di pop corn in una mano e il telecomando nell’altra.
Mise play al film su Netflix che si erano scelti e lasciò correre il telecomando sul tavolino basso di fronte a loro, poi, con la mano libera, coprì entrambi con la coperta in pile che aveva posizionato li vicino e si sistemò meglio contro il suo petto.
-Stanno ripetendo le loro battute e le canzoni della recita natalizia che faranno l’ultimo giorno di scuola. Non stanno facendo casino e sono chiusi in camera perché non vogliono che ci facciamo spoiler- spiegò infine.
-Mhmm- Francis ci pensò su, poi fece un sorrisetto malizioso non visto –Quindi pensi che resteranno chiusi li dentro per un altro po'?
-Sicuramente.
La mano del francese si intrufolò sotto la coperta e con lentezza arrivò al cavallo dei pantaloni dell’altro, che trattenne il fiato quando si rese conto cosa l’altro stava facendo.
-Francis…- provò ad ammonirlo in un sussurro.
-Sh…- la mano superò la barriera dei pantaloni dopo che riuscì a slacciare il bottone, entrando direttamente a contatto con la sua pelle bollente –Hai detto che non hanno intenzione di uscire da quella stanza e se anche dovessero venire sta la coperta a coprirci, non preoccuparti.
-Mhm…- Arthur aveva socchiuso gli occhi, la testa reclinata all’indietro poggiata contro la sua spalla, la bocca semiaperta.
Ogni buon proposito di vedere e seguire quel film era stato abbandonato.
Peccato che appena dieci minuti dopo, mentre Arthur ormai boccheggiava con il volto tutto rosso e voleva solo venire, Alfred e Matthew uscirono dalla stanza urlando a gran voce “daddyy”.
Arthur urlò isterico e fece volare in aria tutti i pop corn dalla ciotola che si sparsero in modo scomposto per la stanza.
-Daddy abbiamo fame!- insistette Alfred dopo essere entrato in stanza e aver guardato con curiosità tutto intorno.
Matthew continuò –Scusate, non volevamo disturbarvi durante le coccole.
E Arthur voleva solo morire in quel momento.
Come poteva alzarsi e far finta di nulla quando la sua faccia era tendente al viola e sotto quella coperta aveva i pantaloni aperti con un’evidente erezione tra le gambe?
Fu Francis a salvarlo alzandosi di scatto e sbattendo le mani felice –Volete che ve la prepari io una super merenda?
-AAAAAH SIIII- urlarono entrambi in coro correndo in cucina per precederlo.
-Con tanta cioccolata!- aggiunse Alfred.
-E lo sciroppo d’acero!- continuò Matthew.
Arthur si era portato un braccio a coprirsi gli occhi –Ti odio- borbottò.
Francis rise –Lo so, mi spiace, non volevo interrompermi a metà.
-Cretino!- era tornato a guardarlo –Non mi riferivo a quello!
Francis gli fece l’occhiolino –Ah no?- poi seguì i bambini in cucina.
Arthur si chiuse i pantaloni e scappò in bagno, prima di chiudersi la porta alle spalle sentì Alfred chiedere –Tu vieni alla nostra recita giovedì, vero Francis?
 
Così quel giovedì Arthur si ritrovò insieme a lui ad aspettare fuori dall’auditorium che la scuola aveva prenotato per le recite natalizie.
Arthur era poggiato contro il muro e sembrava nervoso, Francis era di fronte a lui con le mani in tasca.
-Ci fissano tutti- borbottò infine l’inglese distogliendo lo sguardo.
-Stai diventando paranoico Art- rispose Francis, poi abbassò anche lui lo sguardo e la voce –Mi dispiace se la mia presenza ti crea problemi, ma i tuoi figli hanno insistito così tanto che…
Arthur non lo lasciò concludere –Sono felice che tu sia qui, Francis.
Le porte dell’auditorium vennero aperte proprio in quel momento e i genitori furono invitati a entrare dentro.
I bambini erano già tutti sistemati nella parte rialzata, ognuno al suo posto, con le mani dietro la schiena, il cappellino natalizio in testa e il maglione rosso con un albero disegnato sopra.
La maestra aspettò che tutti prendessero posto, poi brevemente si presentò per chi non la conosceva, ringraziò tutti per essere venuti e si scusò anticipatamente se qualcosa sarebbe andata male lungo la recita, erano pur sempre bambini dell’asilo.
Le persone risero, fecero un applauso e lo spettacolo iniziò.
Partirono con la prima canzone natalizia cantata in coro.
Arthur rise vedendo la reazione dei suoi due bambini, erano così uguali nei tratti ma così diversi nel carattere.
C’era Alfred che cantava a squarciagola, le manie di protagonismo abbastanza evidenti.
Matthew era riservato, apriva a stento la bocca e non riusciva a guardare in faccia nessuno.
Francis si avvicinò al suo orecchio e sussurrò –Alfred diventerà uno di quei liceali popolari e famosi, lo sai si?
Arthur rise piano –Oh si, ovvio che lo so.
A gruppi di due o tre bambini dopo ogni canzone si avvicinavano alla maestra, prendevano il microfono che questa le porgeva e recitavano una frase natalizia che ognuno aveva imparato precedentemente.
Fu dopo la quarta canzone che venne il turno Alfred e Matthew.
Il primo prese per mano il fratello e se lo trascinò al centro, perché Matthew era così terrorizzato che non sarebbe riuscito a muoversi da solo.
Alfred fu il primo a prendere il microfono in mano e con una voce forte e squillante recitò –È Natale e tutti noi bambini vogliamo passarlo insieme alle nostre famiglie con tanta gioia e serenità.
Il pubblico gli fece un applauso e quando Alfred portò lo sguardo sul padre sorrise soddisfatto nel vedere Arthur sorridente che gli aveva appena alzato i pollici in su.
Poi passò il microfono al fratello.
Matthew iniziò a balbettare –Per… Perch…- ci provò davvero, ma quando si rese conto che c’erano tutte quelle persone che stavano guardando e ascoltando solo lui non riuscì più a dire nulla.
Lasciò andare il microfono e corse dal padre piangendo.
Arthur si alzò e lo raggiunse a metà strada, inginocchiandosi per prenderlo in braccio.
Qualcuno fece partire un applauso di incoraggiamento per quel piccolo bambino e Arthur sentì anche qualcuno sospirare degli “aaw”.
Rimase stupito di come le persone stavano reagendo, diversamente dai genitori che frequentavano l’altra scuola.
Ma non ebbe tempo di pensarci, in quel momento doveva consolare il bambino in lacrime che si stringeva tra le sue braccia.
-Matt, sssh, va tutto bene tesoro, non c’è nulla per cui piangere.
Matthew tirò su con il naso –Mi… mi guardano tutti, non voglio che mi guardino tutti.
Arthur sorrise accarezzandogli i capelli –Quindi non vuoi tornare li sopra?
Matthew scosse velocemente la testa.
-Sei sicuro? Ci hai messo tanto a imparare la tua frase e le canzoni, eri così felice…
Matthew continuò a scuotere la testa con paura, un nuovo singhiozzo gli uscì dalle labbra.
-Ok, ok, non voglio costringerti. Stai tranquillo e rilassati.
Si alzò con il bambino in braccio e guardò verso il gemello e la maestra al suo fianco, stavano ancora tutti aspettando che si evolvesse la situazione.
Arthur alzò le spalle e scosse la testa, facendogli capire che non c’era nulla da fare, poi fece un occhiolino ad Alfred.
E solo a quel punto il bambino recitò anche la frase del fratello.
Un nuovo applauso partì in onore di Alfred che lo accolse tutto con soddisfazione e quasi un’aria di superiorità.
Arthur si era riseduto al suo posto e mentre partiva una nuova canzone Francis si sporse verso di lui per accarezzare una guancia a Matthew ed eliminare le lacrime dal suo volto paffutello.
Poi si avvicinò all’orecchio di Arthur e in un sussurro a mala pena udibile continuò il discorso iniziato a inizio recita –Alfred dovrà anche proteggere suo fratello da tutti quelli che al liceo vorranno bullizzarlo semplicemente per il suo carattere.
Arthur aveva lo sguardo fissò sul bambino in questione.
-Penso che lo sappia già, dopo tutto quello che è successo… Lo sa. Non lo lascerà mai solo.
Passò un’altra mezz’ora prima che la recita finisse.
I bambini vennero lasciati liberi di tornare dai loro genitori e Alfred, per prima cosa, si accertò che il fratello stesse bene.
C’era confusione all’interno dell’auditorium così quando la madre e il padre di un altro bambino li raggiunsero per parlare con loro Arthur non se ne accorse subito, era troppo strano per lui un’eventualità del genere.
-Signor Kirkland?
Fu Francis a fargli capire che stava parlando con lui dandogli una gomitata.
-Si?- chiese incerto l’inglese già subito sulla difensiva.
-Salve, sono Elizabeta e lui è mio marito Roderich. Nostro figlio va nella stessa classe dei suoi bambini e sono anche la rappresentate dei genitori. Mi sono resa conto che ancora non mi ero presentata per bene e… non per farmi gli affari suoi, ma ho saputo quello che è successo nell’altra scuola, è osceno tutto questo. Può star certo che qui non succederà mai nulla di simile.
Arthur era senza parole, si aspettava di tutto tranne questo.
L’unica frase che riuscì a dire fu –Puoi chiamarmi Arthur.
La donna sorrise stringendo la sua mano, poi fissò Francis che aveva preso in braccio Matthew –Lui è il suo compagno?
Sia Arthur che Francis si imbarazzarono per quella frase, più Arthur che il francese e velocemente portò le mani in avanti e iniziò a negare –No, no, assolutamente! Lui è… lui…
La donna rise portandosi una mano davanti al viso –Non si preoccupi, non abbiamo alcun tipo di problema con le famiglie come le vostre. I vostri bambini sono bellissimi, penso che solo un ritardato non riuscirebbe a vedere il rapporto bellissimo che c’è tra voi e loro e tra loro due in particolare.
Arthur non sapeva davvero come rispondere, non ce ne fu bisogno, la donna ormai stava facendo tutto da sola, neanche suo marito parlava.
-Ti lascio il mio numero Arthur, per qualsiasi cosa non fatevi problemi a chiamare.
E quando si allontanarono, dopo aver salutato, Francis liberò la risata che stava trattenendo per educazione già da un po'.
-Bè? Qual è il problema?- domandò Arthur con le sopracciglia aggrottate mentre teneva per mano Alfred.
-Niente, semplicemente era strano che ancora non avessi un gruppo whatsapp dei genitori.
Arthur alzò gli occhi al cielo, ma sorrise anche lui.

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Capitolo 17
*** I nuovi zii Gilbert, Antonio e Romano ***


17.I nuovi zii Gilbert, Antonio e Romano

Quando si misero in macchina alla fine della recita notarono che era già mezzogiorno e mezza passato.
Arthur sospirò –Che mangiamo a pranzo che non ci voglia molto da cucinare?
-Potremo mangiare fuori- rispose Francis mentre l’altro metteva in moto.
-Mhmm, non è male, idee?- chiese nuovamente mettendo la freccia e immettendosi nel traffico.
-Se vuoi possiamo andare al bar dove lavoro, facciamo una promozione per il pranzo non male.
-Si può fare.
E in quel momento Arthur non collegò nella sua mente che in quel bar ci lavoravano anche Gilbert e Antonio e che li avrebbe sicuramente incontrati.
Se ne accorse solo quando, dopo aver posteggiato, misero piede all’interno del locale e il saluto squillante di Gilbert non passò di certo inosservato.
Il locale non era molto pieno, c’erano solo tre tavoli occupati e la gente che era già stata servita, chiacchierava tranquillamente in un brusio di sottofondo.
Gilbert si trovava dietro il bancone e stava lavando dei bicchieri, il tedesco aveva alzato lo sguardo quando aveva sentito la porta aprirsi e non appena li aveva notati aveva urlato –Oh, ma guarda chi ha deciso di venirci a trovare!
I clienti non si scomposero troppo, Arthur suppose che non era la prima volta che andassero a mangiare li e quindi fossero abituati ormai a Gilbert.
Antonio invece era poggiato al bancone dal loro lato, aveva il grembiule da cameriere ma al momento non stava facendo nulla.
Si girò e sorrise loro aspettando che li raggiungessero –Arthur, da quanto tempo!- lo salutò cordiale.
-Antonio- rispose Arthur cercando di fare il gentiluomo, nonostante non avesse mai sopportato quei due al liceo.
-Oh ma voi siete i signori che erano nel telefono l’altro giorno- commentò Alfred dopo averli riconosciuti.
-Oh ciao- Antonio sorrise di più e si chinò per scrutare i due bambini –Tu sei Alfred, giusto?
Il bambino annuì soddisfatto.
-E tu devi essere Matthew.
Il gemello invece si nascose dietro le gambe del padre.
-Sono bellissimi- concluse Antonio riportando lo sguardo su Arthur.
Il diretto interessato alzò le spalle vagamente in imbarazzo –Tutto merito di mia sorella, non mio.
-E menomale, li hai salvati dall’avere le tue enormi sopracciglia- si intromise Gilbert facendo ridere sia Antonio che Francis.
Arthur gli lanciò uno sguardo di fuoco –Dopo questo ci puoi offrire il pranzo.
Gilbert non batté ciglio –Fattelo offrire dal tuo fidanzato.
-Non dire quella parola!- urlò Alfred spaventato.
Tutti e quattro gli uomini lo guardarono confuso, infine Antonio chiese –Perché no?
-Perché poi Daddy diventa tutto rosso e inizia a dire frasi senza senso e decide di non cucinarci più torte senza alcun motivo!
Matthew annuiva solennemente per dar ragione al fratello.
Arthur strabuzzò gli occhi, le guancie che gli andavano a fuoco –Ma che… non è vero… che… che vai a dire Alfred!? E non siamo fidanzati!
Il bambino lo indicò e si rivolse agli altri –Vedete? Lo sta già facendo!
Francis non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere sussurrando –Non è che abbia tutti i torti…
Fortunatamente Arthur venne tolto dal suo imbarazzo dalla porta che veniva aperta nuovamente e i due baristi portarono la loro attenzione al nuovo entrato.
Antonio stava per dargli il benvenuto, ma si accorse di chi era e si aprì in un enorme sorriso dolce e da totale innamorato.
-Hola, mi amor.
Romano lo raggiunse, lasciò andare lo zaino ai suoi piedi e afferrando il suo ragazzo per il colletto della camicia lo fece abbassare per baciarlo in bocca.
Si staccò dopo qualche secondo e solo a quel punto si guardò intorno, notò la presenza sia di Gilbert che di Francis e chiese confuso –Perché ci sono entrambi i due scarti umani?
-Francis è qui solo di passaggio, sono qui per mangiare suppongo.
Solo a quel punto Romano portò lo sguardo sul biondo che affiancava il francese e sui due bambini.
Fu Arthur a prendere l’iniziativa allungando una mano verso di lui –Piacere, sono Arthur. Com’è che al liceo non eravamo amici visto che siamo d’accordo sugli scarti umani?
Romano accettò la sua stretta di mano –Oh… non venivo al liceo con voi. Comunque sono Romano.
Fu Francis a dargli spiegazioni –Romano sta facendo ora il liceo.
Arthur strabuzzò gli occhi –Ma quanti anni hai!?
Romano si imbronciò stringendosi contro Antonio –Ho 18 anni e sono all’ultimo anno. Non sono così piccolo e posso decidere da solo con chi stare.
-Oh no, io non intendevo… Era solo… Strano.
Fu Gilbert a intervenire –Tranquillo Arthur, puoi dirlo che Antonio è pedofilo, non facciamo altro che ricordaglielo ogni giorno.
Antonio non ebbe tempo di rispondere, perché al suo posto intervenne Romano girandosi verso il tedesco con le braccia incrociate al petto.
-Io almeno sono maggiorenne. Sai chi è davvero pedofilo invece? Quel mangia patate di tuo fratello che continua a minacciare la virtù del mio fratellino!
Francis sussurrò –La sua virtù se l’è già presa da tempo.
-Pedofilo!- calcò meglio Romano stringendosi contro il petto del suo ragazzo che aveva un sorriso soddisfatto in volto.
Era raro che Gilbert venisse zittito da qualcuno.
-Daddy- chiamò Matthew dopo aver ascoltato curioso tutta la conversazione, tirandogli i pantaloni per avere la sua attenzione –Che significa pedofilo?
Arthur urlò –Non significa niente e non sono parole che dovrete mai ripetere! Non davanti ad altre persone soprattutto!- afferrò entrambi i bambini per mano e li allontanò da li –E ora sediamoci in un tavolo se volete mangiare.
-Ma daddy, io volevo solo…
Arthur lo sovrastò –Potete ordinare tutto quello che volete se vi dimenticate di questa storia!
E la conversazione venne completamente dimenticata, troppo noiosa rispetto a tutto il cibo che potevano scegliere.
-Ops- fece semplicemente Antonio a un’occhiataccia di Francis che, dopo un sospiro, raggiunse gli altri al tavolo.
Cinque minuti dopo Arthur stava ancora leggendo il menù chiedendo di tanto in tanto consiglio a Francis se fosse meglio una cosa rispetto a un’altra, quando Gilbert li raggiunse con un piatto pieno di patatine fritte.
-Queste le offre lo zio Gilbert- annunciò mettendo il piatto direttamente davanti ai bambini che si illuminarono felici.
Alfred ne prese una manciata portandosele subito in bocca e scottandosi, ma non le sputò per questione di principio.
Matthew fu più intelligente e ne prese semplicemente una in mano soffiandoci prima sopra.
Arthur scosse la testa con un sospiro.
-Daddy, sei seccato con me per quello che è successo alla recita?
Arthur lasciò andare il menù e fissò il suo bambino confuso –Certo che no Matt, ma cosa vai a pensare!
-Non ti ho fatto vergognare?
Arthur si allungò verso di lui accarezzandogli una guancia con l’intero palmo –Non potrei mai vergognarmi di voi.
Matthew sorrise, poi mangiò la patatina che ancora teneva tra le dita.
Un’ora dopo avevano mangiato così tanto che Arthur era quasi certo di poter tornare a casa rotolando.
Soprattutto avevano mangiato tantissimo i bambini, perché Gilbert e Antonio li avevano riempiti di cibo ignorando lui e le sue frasi.
Perfino Romano aveva portato loro dei dolci che avevano iniziato a mangiare tutti e tre insieme.
L’italiano si era anche seduto al loro tavolo e aveva iniziato a parlare appassionatamente con i due gemelli.
Si era alzato infuriato solo quando Gilbert aveva commentato “tra bambini ci si capisce” e l’aveva raggiunto dietro il bancone per iniziare una lotta che Antonio aveva bloccato sul nascere.
-Mi piacciono questi nuovi zii- sospirò Matthew accasciandosi contro lo schienale della sedia, entrambe le mani sulla pancia più gonfia di quando erano arrivati.
Alfred invece stava incitando alla lotta, era indeciso e urlava prima per lo “zio Romano” e poi per lo “zio Gibert”.
-Non sono i vostri zii…- borbottò Arthur infastidito da quella cosa.
Alfred sbuffò –Come sei noioso daddy, non fare il vecchio brontolone.
Poi si alzò dalla sedia e tirò per mano anche il fratello –Vieni Matt, andiamo a giocare!
Arthur rimase senza parole dopo quella frase, lo sguardo puntato sui bambini che correvano verso Antonio, ma senza guardarli veramente.
Sentì Francis ridere.
-I miei bambini mi danno del vecchio. Pensavo che non ci sarei mai arrivato a questo punto nella vita.
-Bè, te lo sei meritato- commentò Francis vicino al suo orecchio ridendo ancora di più.
Arthur gonfiò le guancie e si girò per protestare rispondendo a tono.
Ma non aveva messo in conto che il volto dell’altro si era fatto così vicino e che le sue labbra si sarebbero posizionate sopra le sue.
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Ciao a tutti!
Approfitto di questo spazio per chiedervi se va tutto bene considerando la psicosi che sta in giro per questo coronavirus, spero che stiate bene.
E anche per informarvi che questa storia è ormai alla fine, mancano gli ultimi due capitoli.
Spero di sentirvi con delle recensioni fino alla fine!
Un bacio, Deh

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Capitolo 18
*** Papa ***


18.Papa

Ormai erano passati mesi da quando quella storia che avevano era ricominciata, nonostante quella prima volta Arthur avesse espressamente detto “una sola notte”.
Non parlavano mai apertamente di quello che erano, di quello che avevano.
Francis avrebbe voluto, voleva chiarire tutta quella situazione che a lungo andare lo stava facendo impazzire.
Ma non ne aveva il coraggio, come non ne aveva avuto quando era partito anni prima.
Non aveva il coraggio perché aveva paura della reazione dell’inglese, aveva paura di quello che poteva dire e di come avrebbe potuto chiudere quella storia che avevano senza pensarci due volte.
E non erano paure infondate, lo vedeva come Arthur entrasse nel panico ogni volta che si accennava all’argomento, come quando i bambini gli avevano chiesto se stavano insieme o come quando Lukas aveva chiesto spiegazioni.
E non era semplice imbarazzo.
Francis sapeva quanto Arthur si imbarazzasse facilmente per la minima cosa, al liceo si divertiva un sacco a farlo diventare sempre più rosso e balbettante.
Ma quello non era solo imbarazzo, la sua era una paura più profonda, una paura che non aveva ancora capito, proprio perché non aveva mai uscito l’argomento.
Ma la situazione gli andava sempre più stretta.
Perché Arthur poteva anche continuare a dire che non stavano insieme e che non avessero nulla se non una semplice relazione carnale, ma come poteva spiegare tutto l’altro che facevano?
Certo, il sesso era davvero eccezionale, ma c’erano anche giorni in cui stavano più di dodici ore insieme e al massimo si scambiavano qualche bacio di sfuggita.
Questo come lo poteva spiegare?
Quando Francis aveva il pomeriggio libero molte volte andava a casa dell’inglese semplicemente per permettergli di lavorare in pace e giocare con i due gemelli.
Si era affezionato a quei due quasi come se fossero direttamente suoi figli.
Li portava al parco, gli preparava la colazione ogni mattina che si svegliava in casa loro, ed erano diventate così frequenti quei casi che ormai passava il tempo a casa sua solo per cambiarsi i vestiti.
Aveva anche iniziato a insegnare loro qualche parola in francese, i bambini erano divertiti da quella novità e nonostante Arthur odiasse in generale tutto ciò che fosse francese non gli aveva mai detto nulla. Matthew sembrava il più elettrizzato da questa nuova lingua ed era quello che imparava più in fretta.
Delle sere erano usciti insieme a Gilbert, Antonio e Romano, altre volte con Lukas, Mathias ed Emil.
Francis non aveva fatto l’albero di Natale a casa sua, ma aveva aiutato Arthur con il suo.
Aveva anche comprato dei regali di Natale ai bambini.
Qualche settimana prima Arthur era spuntato trafelato al bar dove lavorava e di fretta gli aveva lanciato una copia delle chiavi di casa sua, andava così di fretta che quando gli disse “devo andare urgentemente in ufficio, non so quando mi sbrigo, li prendi tu i bambini a scuola e li porti a casa? Grazie!” non aspettò neanche una risposta affermativa che era già andato via, veloce com’era entrato.
Non gli aveva mai chiesto di restituirgli le chiavi e Francis non l’aveva mai fatto.
O quando i bambini l’avevano invitato a vedere la loro recita natalizia erano così felici della cosa che si era messo a fare gli straordinari a lavoro pur di avere libera proprio quella mattina, e aveva minacciato Antonio e Gilbert di non dire nulla.
C’erano così tante cose che ormai quella discussione che rimandavano da troppo tempo era diventata così opprimente da essere evidente anche a persone che non conoscevano nulla di quella storia.
Francis sapeva di non poter continuare ancora per molto, che prima o poi la cosa sarebbe esplosa.
Ma in quel momento, mentre si baciavano tra le lenzuola, dopo essersi rivestiti e puliti in seguito a una bellissima sessione di sesso, tutti quei pensieri erano chiusi in un angolo della sua mente, quasi dimenticati.
-Mi piace baciarti- mormorò Arthur nella penombra della sua stanza con gli occhi chiusi e le labbra che si erano appena staccate da quelle del francese.
Di solito non era quel tipo di persona sentimentale che si esprimeva con frasi del genere, ma era stanco dalla giornata e Francis lo stava facendo sentire così bene in quel momento che la frase gli uscì spontanea, neanche si imbarazzò per quelle parole.
Francis sorrise non visto, quando era tornato li dalla Francia non aveva fatto altro che pensare a lui, ma non credeva davvero che sarebbero arrivati a quel punto.
-Resti a dormire qui?- chiese poi Arthur mugugnando felice delle carezze che stava ricevendo lungo la guancia.
-Sono già tre notti che dormi qui- fece presente Francis.
Arthur aprì stancamente un occhio, lo scrutò, poi si girò per controllare la sveglia –Sono le due di notte, non mi sembra il caso farti tornare a casa adesso.
-Certo che sei diventato davvero responsabile da quando hai dei bambini.
Arthur sbuffò –Sono troppo stanco per risponderti male- e quasi per dimostrare quello che aveva detto fece uno sbadiglio.
-Dormiamo?- Francis si chinò per lasciargli un nuovo bacio sulle labbra.
Arthur annuì –Però prima devo andare in bagno- scostò il piumone e rabbrividì a contatto con l’aria fredda.
A piedi nudi si avviò in fretta verso il bagno accendendo la luce e chiudendosi la porta alle spalle.
Qualche minuto dopo, mentre Francis era quasi nel dormiveglia, sentì dei passi leggeri avvicinarsi.
Per un primo istante pensò ad Arthur, ma era ancora abbastanza lucido per rendersi conto che il suo inglese non era così leggero ed aggraziato.
Si alzò sui gomiti e nel buio notò la figura di Matthew davanti la porta che scrutava il letto, sembrava inquieto e si stringeva il suo peluche al petto come se ne andasse della sua vita.
-Ehy Matt, tutto bene?- sussurrò Francis sorridendo per rassicurarlo.
-Dov’è… dov’è Daddy?- sembrava avere la voce anche più bassa del solito.
-È in bagno, adesso ritorna, vieni qui sul letto che li fa freddo- scostò la coperta e aspettò che il bambino si arrampicasse sopra il materasso per coprirlo e tenerlo al caldo.
-Hai fatto un brutto sogno?- domandò poi.
Matthew annuì stringendosi di più il peluche al petto.
-Ne vuoi parlare?
Questa volta scosse la testa velocemente, forse terrorizzato all’idea di rivivere tutto quanto.
-Vuoi dormire qui?- e aprì le braccia per invitarlo a stringersi a lui.
Non era sicuro di star facendo la cosa giusta, forse doveva solo aspettare che Arthur tornasse e consolasse lui suo figlio come meglio credeva, ma gli veniva così naturale ormai comportarsi in quel modo con quei due gemelli che si sentì davvero bene quando Matthew non perse tempo a stringersi contro il suo petto.
E il cuore gli mancò un battito quando prima di cadere nel sonno lo sentì mormorare –Grazie Papa.
Contemporaneamente dall’altra parte della casa Arthur uscì dal bagno e per pochissimo non urlò quando vide una figura dirigersi in giro per il corridoio buio.
Sospirò di sollievo quando si rese conto che si trattava solo di Alfred, con una mano si stava strofinando un occhio, barcollava per via del sonno.
-Ehy Al, perché sei sveglio? Hai fatto un brutto sogno?- sussurrò l’inglese chinandosi e prendendolo in braccio.
-No, mi sono svegliato perché Matthew non era più nel suo letto.
Arthur si limitò a corrugare la fronte, ma non fece domande, aveva smesso di cercare di capire il collegamento che avevano due gemelli.
Non entrò nel panico quando sentì che Matthew non era più nella sua camera, c’era solo un posto dove poteva essere andato e controllò subito tornando nella sua stanza.
Si bloccò sulla porta quando vide Francis e Matthew addormentati insieme, abbracciati e con il volto sereno e tranquillo.
Sorrise e sentì il calore invadergli il petto a quella scena.
-Daddy?- Alfred lo riportò alla realtà con la sua voce assonnata.
Arthur si avvicinò al letto –Andiamo a dormire.
E scostando le coperte posizionò il bambino accanto al fratello, stendendosi poi anche lui al suo fianco.
Alfred annuì, sembrava soddisfatto di aver ritrovato finalmente Matthew e non appena chiuse gli occhi tornò di nuovo a dormire.
Arthur li guardò tutti e tre per qualche minuto.
Si rese conto che ormai la sua vita era stata stravolta così tante volte e in modi che lui non aveva mai neanche lontanamente immaginato che non sembrava più riuscire a gestirla e a calcolare o decidere le mosse successive.
Ormai era tutto un grande punto interrogativo il futuro.
Ma in quel momento, esattamente in quell’istante, arrivò alla conclusione che quelli che aveva nel suo letto magari erano proprio i componenti di quella famiglia che non aveva mai saputo di volere.

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Capitolo 19
*** La magia del Natale ***


19.La magia del Natale

Quella mattina Arthur si svegliò presto.
Avrebbe dormito ancora se non fosse stato per qualcosa di duro che gli stava premendo sulla guancia.
Quando aprì gli occhi dopo un lungo sbadiglio, si rese conto che quella cosa fastidiosa che aveva in faccia era semplicemente il piede di Alfred.
Il bambino, durante la notte, si era mosso così tanto che si era girato di 180°.
Arthur si chiese come stesse respirando con la testa sotto le coperte, ma non si fece troppe domande quando vide il suo stomaco che si alzava e abbassava senza problemi.
Francis dormiva con un braccio fuori dal letto e il volto girato, Matthew era rimasto fermo nella sua posizione, attaccato al suo petto.
Era la vigilia di Natale.
Decise di non alzarsi, si sistemò meglio, cercò di far tornare Alfred a una posizione normale e rimase sotto le coperte.
Si stava per riaddormentare quando sentì Matthew muoversi, lo vide girarsi verso di lui, le sue palpebre tremarono piano prima di aprirsi mostrando i suoi occhi assonnati.
-Ehy- mormorò sorridendogli.
Matthew gattonò sopra il cuscino per evitare di calpestare il fratello e raggiunse il padre, gli mise le mani intorno al viso e sorrise dolce –Good morning Daddy.
Arthur sorrise stringendoselo contro –Good morning Darling.
Anche Alfred si svegliò disturbato da quei movimenti così vicini e da quelle voci sussurrate.
Studiò un po' la situazione poi sorrise birichino e si lanciò addosso al padre e al fratello facendoli ridere e urlare a gran voce.
Francis non aveva il sonno leggero, ma dopo tutto quel trambusto si svegliò anche lui.
Sorrise nel vedere Arthur soffocato da quelle due pesti e girandosi di lato, poggiando la testa sul braccio piegato, chiese con il sorriso in volto –Ma fate tutto questo casino già di prima mattina?
Allungò la mano e strizzò il fianco di Alfred facendogli il solletico, questo urlò e per riflesso involontario piantò un calcio nello stomaco di Arthur.
Risero ancora di più.
Era un’atmosfera bella, intima, dolce. Come di quelle che solitamente le si trovano in un film, magari con una bella colonna sonora di sotto.
Poi Matthew disse quella frase che portò subito il silenzio.
Gattonò verso l’altro uomo ormai sveglio, gli baciò la guancia e, come aveva fatto con il padre, disse –Buonjour Papa.
Arthur si bloccò di colpo, sentì il gelo che lo invadeva.
Si mise seduto così di scatto che Alfred rotolò dal suo stomaco per finire al centro del letto.
-Cosa hai detto, Matthew?- sussurrò pianissimo, sicuro di aver sentito bene.
Fu Alfred a rispondere come se fosse tutto normale –Francis ci ha insegnato qualche parola nella sua lingua e con Matt pensavamo che se lo chiamiamo daddy come te poi ci confondiamo, invece con papa viene meglio a tutti, tanto è la stessa cosa, no?
Arthur non aveva idea di come si stesse sentendo in quel momento, non capiva cosa provava, cosa fosse quel peso che si sentiva nello stomaco.
Reagì senza pensarci quando si alzò di scatto e urlò furioso –NON DOVETE CHIAMARLO COSÌ! LUI NON È VOSTRO PADRE!
A Matthew si riempirono gli occhi di lacrime e il suo labbro iniziò a tremare per essere stato sgridato in quel modo, Alfred strinse i pugni lungo i fianchi e gonfiò le guancie diventando tutto rosso.
-Arthur…- provò a intervenire Francis cercando di portare l’attenzione su di lui dopo che aveva visto quanto i bambini si fossero spaventati.
-TU STAI ZITTO! È TUTTA COLPA TUA! È SEMPRE TUTTA COLPA TUA! PERCHÈ FAI SEMPRE COSÌ!?
Francis non capiva di cosa stesse parlando, non aveva di certo detto lui ai due gemelli di chiamarlo in quel modo e poi che voleva dire “fai sempre così”?
-Com’è che faccio?- si era alzato anche lui dal letto, Arthur stava camminando nervosamente, le mani a scompigliarsi quei capelli già scompigliati dalla dormita.
-Questo!- e indicò tutto intorno a sé come se fosse un qualcosa di concreto –Ti prendi i cuori delle persone come se fossero giocattoli per poi buttarli quando ti stufi? È una specie di scommessa? Far affezionare più persone possibili per poi andartene via?
Francis spalancò gli occhi mormorando –Per tutti questi mesi hai solo pensato a questo?
-A cos’altro avrei dovuto pensare!? Due anni Francis, siamo stati insieme per due fottuti anni, ogni singolo giorno! E tu te ne sei andato come se niente ci fosse mai stato! Ti sei preso il mio cuore per divertimento e l’hai calpestato quando ti sei stufato. Ma non ti permetterò di fare lo stesso con i miei bambini! Non ti permetterò di deluderli quando un giorno ti stancherai e te ne andrai da quella porta.
Francis, per una delle poche volte in vita sua, si trovava senza parole.
-Tu eri… innamorato di me?
Arthur rise, una risata amara –Fuck you Francis, come se non l’avessi mai capito! Ti vanti tanto di essere nato nel paese dell’amore e poi non riesci a renderti conto di una cosa così ovvia?
Scese il silenzio per diversi secondi, poi Francis sussurrò –Ma tu non mi hai chiesto di restare.
Arthur spalancò gli occhi –Cosa?
-Hai semplicemente detto “okay”. Non mi hai chiesto di restare.
-Cosa volevi che mi abbassassi a tanto? Che sarei arrivato a pregarti quando già avevi fatto le valigie e avevi il biglietto il mano? Perché hai avuto la decenza di dirmelo solo il giorno prima!
Francis non sapeva che dire, respirava velocemente, gli occhi spalancati.
Arthur continuò –Ti voglio fuori da casa mia, vattene. E questa volta non tornare. Ti ho fatto rientrare nella mia vita perché ero preparato a questo momento, ma che tu faccia soffrire i miei bambini non lo accetto.
Francis si sentì deluso a quelle parole, tutto quello che avevano ricostruito in quei mesi per Arthur era solo una bugia.
Lui non immaginava un futuro, lui era sempre proiettato al momento in cui se ne sarebbe andato.
Era amareggiato e senza pensarci due volte iniziò a vestirsi velocemente sotto lo sguardo disperato dei due bambini e si avviò fuori da li.
Non appena era uscito dalla camera, Arthur si era lasciato cadere sul letto, le mani sul volto per nascondere le lacrime.
-Daddy…- Matthew lo abbracciò stringendosi alla sua schiena, aveva la voce più bassa del solito velata di tristezza e pentimento.
Arthur avrebbe voluto dirgli che non era colpa sua, che non ce l’aveva con lui per quello che aveva detto e che gli dispiaceva per avergli urlato contro, ma non una parola riuscì a uscire dalla sua bocca, perché se l’avesse fatto era certo che sarebbe crollato.
Erano così presi da quella scena che nessuno si rese conto che la porta d’ingresso non era stata aperta.
E quando qualche minuto dopo Francis li raggiunse di nuovo, a passo veloce e con sguardo deciso tutti sussultarono per la paura.
Alfred urlò –Sei tornato!- con un misto di rabbia e ammirazione.
Francis afferrò Arthur per la maglia con la quale dormiva e lo costrinse a mettersi in piedi.
-Ho capito qual è il tuo gioco Arthur e non funzionerà! Vuoi dimostrare il tuo filmino mentale sull’abbandonarvi mandandomi via di casa? Col cavolo. Non me ne sono mai voluto andare, mai. Non è stata una mia decisione, dovevo tornare per questioni familiari. Ma se solo tu avessi fatto un cenno, un mugolio, una qualsiasi cosa che mi avesse fatto capire che non volevi che me ne andassi, dio Arthur, ti avrei anche portato con me.
Erano quasi alla stessa altezza, l’inglese era così stupito che aveva la bocca socchiusa, gli occhi verdi contornati di rosso lo fissavano senza capire.
-Secondo te perché, nonostante dicevamo di non avere una relazione esclusiva, io non mi facessi altri ragazzi? Sono sempre stato innamorato di te. Sempre. Ma mi odiavi così tanto che non potevo dirtelo e rischiare di perderti.
Arthur gli afferrò la camicia quasi con disperazione –Sono stato malissimo quando te ne sei andato. Non voglio più provare tutto quel dolore.
-Neanche io. E farò di tutto per proteggerti, per proteggere Alfred e Matthew. Perché siete diventati la cosa più importante della mia vita. E puoi anche continuare a cacciarmi, non me ne andrò.
Una nuova lacrima riuscì a sfuggire al controllo dell’inglese, scendendo lentamente lungo la sua guancia, solo quando questa si infranse a terra parlò –Hai ancora le chiavi di casa mia?
Francis annuì lentamente, aveva paura che potesse chiedergliele indietro e buttarlo fuori di casa.
Arthur annuì a sua volta, distolse lo sguardo mentre concludeva –Forse è arrivato il momento di trasferirti qui ufficialmente, che dici?
Alfred e Matthew urlarono di gioia iniziando a saltare sul letto, avevano seguito tutta la conversazione concentrati, ogni traccia di tristezza sparita dai loro visi.
Francis rimase stupito per i primi secondi, poi sorrise e afferrandogli il viso con entrambe le mani si affrettò a baciarlo con passione, non prima di avergli sussurrato sulle labbra –Je t’aime, mon amour.
Vennero interrotti dai due gemelli quando questi, sentendosi troppo esclusi, saltarono giù dal letto e cercarono di intromettersi tra i due uomini, arrampicandosi sui loro corpi.
Arthur rise prendendo in braccio Alfred, Francis fece lo stesso con Matthew.
-Ora è il nostro Papa?- chiese Alfred per avere conferma.
Arthur si imbarazzò –Siete voi a dover decidere, se credete che siamo una… famiglia, si. Potete chiamarlo come volete.
Alfred sorrise soddisfatto, poi arrivò al punto –Quindi adesso può cucinarci solo lui le cose da mangiare?
Arthur corrugò la fronte e Francis scoppiò a ridere –Stavano aspettando solo questo praticamente.
Matthew intervenne –Tranquillo daddy, tu sei bravo in altre cose…
Arthur corrugò ancora di più la fronte –Tipo?- chiese scettico.
-Sei bravo a litigare con le mamme cattive.
Arthur divenne quasi viola e Francis stava piangendo per le troppe risate.
Poi Matthew intervenne –Sono felice della nostra famiglia- sorrise dolce –Questa è la magia del Natale.
E Arthur capì di voler passare il resto della sua vita in quel modo, provando la gioia che stava provando esattamente in quel momento.
Strinse entrambi i suoi bambini al petto e nascose il viso sul petto di Francis facendosi abbracciare a sua volta.
Sapeva che ci sarebbero stati litigi, che con Francis avrebbe litigato come minimo una volta al giorno e che Matthew e Alfred avrebbero continuato a farlo esasperare, peggiorando crescendo con l’età.
Ma il ricordo di quel momento, la felicità di quel preciso istante l’avrebbe fatto andare avanti aiutandolo giorno dopo giorno.
Perché per quanto l’esasperazione e le litigate l’avrebbero fatto impazzire, perdere quello che aveva finalmente trovato era una cosa che non riusciva neanche lontanamente a concepire.

[Fine]

 


_______________________________________________________
Ciao!
Ed eccoci qui anche alla fine di questa storia (oddio, ho detto già troppe volte questa cosa e ogni volta è una tristezza infinita).
Spero che le avventure di Francis, Arthur, Matthew e Alfred vi siano piaciute, ormai mancava praticamente la loro consapevolezza nella relazione che hanno da tipo quando andavano al liceo e la discussione su quello che era successo, perché Arthur doveva togliersi quel peso dallo stomaco.
Vorrei specificare che si, sembra un controsenso come nello scorso capitolo alla fine Arthur abbia pensato di volere quella famiglia che aveva sul letto, mentre qui appena Matthew chiama Francis "papa" esplode in quel modo, ma secondo me ci sta perchè la notte prima era assonnato (come aveva fatto presente a Francis prima di andare a letto), mentre appena si sveglia e si rende davvero conto della situazione tutte le sue paure vengono a galla. Considerando poi il suo comportamento mi sembra anche normale ahahah, voi che ne pensate?
Spero comunque che tutta la storia in generale vi sia piaciuta e spero anche che continuerete a seguirmi!
Con il fatto che siamo in quarantena senza poter fare nulla sto scrivendo un sacco di roba nuova, quindi se vi va già dalla prossima settimana mi trovate sempre sul mio profilo con una nuova storia di loro (o altre ship del fandom).
Un bacio, spero che stiate bene e grazie ancora di essere arrivati fino a qui!
Deh

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