Kairos

di Anna Wanderer Love
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** I ***


KAIROS:
 

Kairos nell’antica Grecia significava “momento giusto o opportuno” o “momento supremo”.
Il tempo per gli antichi greci poteva essere espresso da due parole: χρονος (chronos) e καιρος (kairos). Chronos si riferisce al tempo cronologico e sequenziale ed ha una caratteristica quantitativa, mentre Kairos è qualitativo e significa “un tempo nel mezzo”, un momento di un periodo di tempo indeterminato nel quale accade qualcosa di speciale per chi utilizza questa parola.
 


 
I
 


Un piccolo pettirosso era appollaiato a un ramo di ciliegio e la sua esile voce melodiosa accarezzava l’aria frizzante del primo mattino, decorata dalle macchie rosate dei fiori e intrisa del loro profumo dolce.
Sotto a quello stesso ciliegio era accasciata una sagoma ricoperta da un lungo mantello nero. Respirava lentamente, gli occhi celesti che si sforzavano di mettere a fuoco l’ambiente attorno a sé. La vista andava e veniva, concedendogli di vedere solo brevi frammenti di ciò che lo circondava. Davanti a lui, la via in cui erano caduti i suoi migliori guerrieri, la via che lui stesso aveva percorso falciando un nemico dopo l’altro senza lasciarsi andare alla disperazione, senza permettersi di deconcentrarsi anche per un solo secondo mentre volteggiava tra gli orchi ferendo e decapitando tutti quelli che le sue lame riuscivano a raggiungere. Nonostante ciò, e nonostante con lui combattessero le sue guardie personali, per ogni mostro che cadeva ne arrivavano altri due. Ne erano arrivati a dozzine, finché si era ritrovato da solo, con il corpo macchiato di sangue e il volto ferito, le forze che cedevano mentre la flebile speranza che ancora provava cominciava a spegnersi.
Thranduil aveva combattuto finché aveva avuto ossigeno nei polmoni, finché le gambe lo avevano retto in piedi e il suo braccio aveva avuto la forza di sollevare la spada assetata di sangue.
E i suoi sforzi erano stati premiati: era riuscito ad abbattere anche l’ultimo orco, l’ultimo di una lunga scia di corpi ammassati e di pozze di sangue che avevano sporcato il terreno di nero.
Il re degli elfi si era girato, solo per scorgere i suoi fedeli guerrieri immobili nel loro letto di morte tra quei mostri maledetti. Uno dopo l’altro, non avevano potuto far altro che soccombere, proteggendo il loro re con l’ultima scintilla di vita.
Thranduil non era riuscito ad andare lontano. Aveva fatto qualche passo, trascinandosi in avanti mentre si aggrappava ai tronchi degli alberi, ascoltando i sussurri del vento tra le foglie mentre il sangue colava e gli macchiava il tessuto pregiato dei pantaloni e della casacca, finché l’argento originario del tessuto non era stato più visibile.
Alla fine si era accasciato contro un tronco, respirando affannosamente per lo sforzo, mentre il suo cuore batteva forte e la sua mano premeva sulla ferita al ventre per cercare di fermare il sangue.
Ed era ancora lì, che si trovava. Aveva perso conoscenza più volte, mentre si sforzava di lottare contro il freddo che gli invadeva il corpo, che non ne voleva sapere di lasciarlo andare, perché lui non poteva ancora morire, doveva vivere.
Era lì, che si trovava, con il volto macchiato di sangue e il sopracciglio spaccato da un graffio a guardare i fiori armoniosi sopra di sé, mentre le immagini perdevano nitidezza ogni pochi secondi. Un refolo di vento gli accarezzò la guancia, dopo un minuto, o forse era già passata un’ora. Era comunque un’eternità quella in cui era sprofondato, un’eternità in cui era in bilico e non riusciva né a trarsi dalla parte della vita né ad abbandonarsi all’abbraccio della morte.
Sentì un lieve profumo di gelsomino e vaniglia, portato dal vento, e aggrottò la fronte, con un respiro spezzato. Stava sognando o era vera, la figura che scivolava verso di lui, annebbiata dal velo sui suoi occhi?
Ebbe la conferma che era vera, era vera e si stava inginocchiando davanti a lui, mormorando parole rapide e intrise di preoccupazione. Le sue orecchie erano diventate insensibili, o forse lo erano diventate fin troppo, sensibili, mentre sentiva le parole rimbombare nella sua mente con fitte dolorose. C’era qualcosa che non andava.
La sua vista si schiarì, e riuscì a vedere un volto umano davanti a lui, dai grandi occhi verdi che lo fissavano preoccupati. Le labbra dell’umana si mossero veloci, di nuovo, ma di nuovo Thranduil non riuscì a comprendere cosa stesse dicendo e fece una smorfia mentre un fischio copriva ogni rumore, tranne quello del suo cuore che batteva sempre più lento.
Sentì le palpebre farsi sempre più pesanti, e appoggiò la nuca al tronco ruvido dietro di sé.
No, lesse sulle labbra dell’umana. Non addormentarti.
La vide estrarre qualcosa da sotto al mantello grigio, una fiala dal contenuto azzurrognolo. La avvicinò alle sue labbra, afferrandogli il mento per socchiudere la sua bocca. Versò un sorso del liquido, il sapore dolciastro si mischiò a quello acre del sangue. Thranduil fece in tempo a mandare giù, poi gli abissi calarono su di lui.

Quando si risvegliò, era in uno stato di confusione tale che gli parve frutto della sua immaginazione vedere un soffitto di fiori sopra alla sua testa. Poi si rese conto che non era la sua immaginazione e che effettivamente sotto alla trapunta di lillà e nontiscordardime intrecciati da cordicelle poteva vedere le sfumature chiare delle assi di legno nascoste sotto ai fiori. Sbatté le palpebre e cercò di guardarsi attorno, ma il suo corpo non obbediva alla sua volontà imperiosa. Sentiva le tempie che pulsavano e aveva fin troppo caldo. Poteva sentire le coperte ruvide contro la sua pelle nuda, non abituata a tessuti poco pregiati. Il materasso era duro contro la sua schiena.
Thranduil socchiuse gli occhi, con un sospiro, ma nemmeno al secondo tentativo i suoi muscoli collaborarono e si rassegnò a non riuscire a voltare la testa.
Sentì dei vaghi suoni ovattati. O forse se li era immaginati.
C’era qualcosa di strano, un silenzio innaturale. Dove era finito, perché non sentisse il canto di nessun uccellino? Il fischio del vento tra gli alberi fuori dalla finestra? Era forse morto?
Ma poi un volto entrò nella sua visuale, dandogli la conferma che ancora non era diventato pazzo. Era un volto tondo, dai grandi occhi verdi e dai ricci ribelli di un castano con sfumature rossastre. Era ben diverso dagli eleganti visi elfici, soprattutto perché sulle guance di quel viso comparivano due macchie rosse, grandi quanto una piccola mela ciascuna.
- Siete ridotto male – stavolta non sentì nulla, ma lesse le labbra piene che si mossero lentamente, come se l’umana avesse compreso che aveva difficoltà nel sentire.
Thranduil avrebbe voluto afferrarle indignato il braccio quando la donna si permise di scostare le coperte dal suo corpo e gettare un’occhiata al suo glabro torso nudo. Se fosse stato in possesso delle sue forze, l’avrebbe di certo colpita. L’aveva spogliato, per curare le sue ferite, sì, ma chi le aveva dato il permesso? E come poteva permettersi un’umana di guardarlo a quel modo?
La rabbia che gli montava nelle vene aumentò quando sentì le dita della giovane tastare le bende appena sopra alla sua cintola. Rimase immobile, incapace di muoversi, mentre l’aria fredda gli schiaffeggiava la pelle sudata.
La donna disse qualcos’altro che non riuscì a capire, perché la massa di capelli le aveva parzialmente coperto il viso e non era riuscito a osservare il movimento delle sue labbra. Si girò verso di lui e aggrottò le sopracciglia quando vide che lui rimaneva silenzioso a fissarla, gli occhi che dardeggiavano malevoli.
- Quale è il problema?
Thranduil ponderò se rispondere o meno. Non sentiva alcun rumore. Men che meno udiva la voce di quella donna che si permetteva di non rimettergli le coperte addosso e di fissarlo così insistemente. Aveva letto quelle parole dalle sue labbra. Un’unica conclusione poteva essere tratta: aveva perso l’udito.
Ricordava che poco prima di abbattere l’ultimo orco un improvviso colpo al lato sinistro della testa l’aveva tramortito, ed era caduto battendo il capo. Aveva cominciato a sentire un lieve fischio, mentre si rialzava e sgozzava gli ultimi avversari rimasti, ma aveva pensato che presto sarebbe passato, se fosse riuscito a sopravvivere.
A quanto pareva si sbagliava. Aveva perso l’udito. Certo, poteva essere una lesione temporanea, ma non ne aveva la certezza. Anche se avesse potuto muoversi, Thranduil sarebbe rimasto immobile, le iridi improvvisamente svuotate di ogni emozione rabbiosa, mentre assimilava la novità.
Come avrebbe fatto a condurre il suo popolo alla vittoria? In guerra? L’udito era l’ultima delle facoltà che avrebbe potuto permettersi di perdere, dopo la sanità mentale.
Uno schiocco di dita lo risvegliò dai suoi pensieri. Non sentì nulla, ma la mano della donna era a un palmo dal suo viso e ottenne lo stesso effetto. Il re degli elfi batté le palpebre e riportò lo sguardo cristallino sul suo viso.
- Dove vi fa male? Riuscite a muovervi? – scandì le parole.
Il suo viso tondo era fin troppo vicino. Aveva il naso a punta e una spruzzata di lentiggini che accentuavano il suo aspetto così umano.
Thranduil abbassò per un momento le lunghe ciglia nere, cercando di riprendere il controllo del proprio corpo. Provò con tutte le sue forze a muovere l’indice della mano destra, ma non collaborava. Le sue palpebre tremarono e si rialzarono, piantando uno sguardo astioso negli occhi della sua ospite.
- Vi ho immobilizzato – lesse dalle sue labbra. – Vi contorcevate troppo mentre provavo a estrarre i frammenti di una lama nel vostro fianco.
Lo sguardo furente che le lanciò probabilmente fu abbastanza eloquente, perché lei si ritrasse un pochino, con la fronte aggrottata.
- Vi ho chiesto quale è il problema. Se non riuscite ancora a parlare dovete essere più debole di quanto pensassi.
Il re degli elfi sentì una nuova onda di irritazione inondargli il corpo. Era paradossale, ritrovarsi in quella situazione. Lui, disteso su un povero letto mezzo nudo davanti a un’umana che non era in grado di trattenere la lingua e continuava ad offenderlo una parola dopo l’altra. Avrebbe tanto desiderato poter almeno muovere un braccio, così da poterle afferrare la gola e darle modo di ripensare a come fare un uso più saggio dell’aria che aveva a disposizione.
- Meglio che riposiate.
La donna si alzò dal lato del letto su cui si era seduta e il materasso si rialzò senza il suo peso a deformarlo verso il basso. Uscì dal suo campo visivo, e dopo qualche secondo il re degli elfi la vide ritornare e chinarsi sopra di lui. Lo ricoprì con le coperte e infilò una mano sotto alla sua testa, reggendo la sua nuca per inclinarla in avanti e accostare alle sue labbra una ciotola con un liquido dall’odore pungente.
Thranduil fu costretto a bere, ma mentre i suoi occhi si chiudevano per l’effetto potente del sonnifero maledisse con ogni impropero possibile quella donna che lo faceva sentire così impotente e ben poco regale.

Si svegliò lentamente da un profondo sonno popolato da incubi che gli erano sembrati fin troppo reali e che gli avevano fatto accapponare la pelle. Nel vivido nero di una notte lontana nel tempo aveva visto la figura lontana di suo figlio, che si era girato verso di lui. Ma gli occhi erano neri, e la voce che era uscita da quel viso familiare era quella del Legolas di centinaia di anni prima. La voce del bambino che chiedeva dove fosse sua madre. Subito dopo, suo figlio era stato seppellito da una montagna di orchi che avevano dilaniato il suo corpo davanti a lui, che immobilizzato aveva solo potuto distogliere lo sguardo. Non era nemmeno riuscito ad urlare per l’orrore.
Non appena aprì gli occhi ritrovò il rosa e l’azzurro che decoravano il soffitto ad accoglierlo nel mondo reale. Era un risveglio dolceamaro. Sentiva le varie ferite che aveva riportato bruciare la sua carne. Tra i vari graffi e la ferita al braccio sinistro e al fianco destro, quella che aveva al ventre era la più fastidiosa tra tutte.
Per un attimo il re degli elfi osservò quei fiori, poi si rese conto che il torpore lo aveva abbandonato e, per quanto sentisse dolore in ogni parte del suo corpo, era in grado di muoversi.
Fece prima una prova con la mano destra, muovendo ogni dito e respirando il più silenziosamente possibile. Poi passò al braccio e al movimento impercettibile di una gamba, stando attento a non muoversi troppo. Ancora non voleva che la donna sapesse che aveva riacquistato il possesso del suo corpo. Se lo credeva debole, era saggio continuare a fingere di esserlo.
Mosse la testa, girandosi prima verso la parete alla sua sinistra che aveva intravisto già la prima volta che si era svegliato. Era una semplice parete di legno, e sullo spazio in fondo, oltre al letto, una finestra quadrata ornata da fiorellini che non aveva mai visto lasciava passare una grande quantità di luce, che illuminava la piccola stanza in cui si trovava. Alla sua destra, lo spazio libero tra le quattro pareti. Lungo la parete perpendicolare al letto dove si trovava c’era un tavolo ingombro di bende pulite, ampolle e ciotole e fiale con contenuti dai colori e profumi che poteva sentire distintamente. Sulla parete opposta a lui, la porta chiusa che probabilmente conduceva ad altre stanze e accanto ad essa una libreria ingombra di libri e pergamene dall’aria consumata.
Thranduil tornò a fissare il soffitto.
Aspettò per quelle che gli sembrarono ore, con la gola riarsa e un crescente senso di disagio mentre si rendeva conto che era probabilmente stato dato per disperso da giorni. I suoi soldati non avrebbero saputo dove cercarlo. Non sapeva perché, ma aveva la sensazione che il luogo in cui si trovava non fosse così accessibile.
La porta si aprì, ma lui non se ne accorse finché vide un volto spuntare sopra di lui.
Un sorriso si disegnò sulle labbra della donna che lo fissava con entusiasmo.
- Siete sveglio!
Thranduil rimase mortalmente serio. Il sorriso scomparve. La donna aggrottò la fronte.
- Siete rimasto menomato mentalmente? Sapete come vi chiamate? Sapete parlare?
Un’ondata di gelo lo aggredì, nonostante fino a un secondo prima sentisse fin troppo caldo.
Thranduil si alzò di scatto, mettendosi seduto con un rapido movimento che fece urlare di dolore ogni suo muscolo. Ignorò le stilettate di sofferenza che gli trafiggevano il corpo e fissò la donna con espressione impassibile, socchiudendo gli occhi. Lei era indietreggiata di un paio di passi, colta di sorpresa, e aveva gli occhi sgranati.
Le coperte gli erano cadute alla vita e l’aria fredda sulla pelle, lì dove non era fasciato dalle bende, lo fece rabbrividire. Con la schiena dritta come un fuso, i capelli che scendevano lungo il petto e sulle spalle, il re degli elfi manteneva il contegno altero che dimostrava davanti ai suoi sudditi, nonostante fosse ferito e nel letto di una casa sconosciuta.
- Sono domande stupide quelle che fate.
La donna incrociò le braccia, inarcando un sopracciglio con aria quasi offesa. In effetti sembrava molto giovane, la pelle del suo viso era priva di ogni ruga e sembrava sana e morbida. Il re degli elfi approfittò della sua condizione di vantaggio -percepiva il suo imbarazzo nel trovarsi davanti ad un elfo nudo e poco collaborativo nel suo letto- per scrutarla. Era di corporatura robusta, le forme abbondanti nascoste da una tunica verde e dei pantaloni neri. Ai piedi aveva degli stivali macchiati di fango, e i capelli ricci erano raccolti con una fascia rossa sulla nuca. Le macchie rosse che le decoravano le guance erano ancora lì, e il rossore si era diffuso anche lungo il collo.
- Allora, dato che sono così stupide, non dovrebbe essere per voi un problema rispondere.
Si fissarono a lungo, senza abbassare lo sguardo, in una sorta di sfida. Poi, suo malgrado, Thranduil fu scosso da un brivido involontario e dovette chiudere gli occhi mentre afferrava il bordo del letto, per sostenersi.
Le mani della donna gli sfiorarono delicate le spalle, e il re degli elfi non si sforzò di nascondere la repulsione che provava. Dagli occhi socchiusi intravide le labbra di lei muoversi, ma non riuscì a capirne le parole, mentre un velo annebbiava la sua vista. Lo spinse delicatamente giù, e il sollievo che provò nel sentire di nuovo il sostegno dei cuscini sotto alla sua schiena fu immenso.
- Dovete riposare. Chiudete gli occhi, siete al sicuro.
Il re degli elfi le afferrò il polso vicino alla propria spalla, fissandola intensamente. Brividi scuotevano la sua schiena.
- Dove sono i miei compagni? – era così strano parlare senza poter sentire la sua stessa voce. Il silenzio in cui era immerso era assordante. Ma doveva averne la certezza.
Nei lineamenti dell’umana scorse qualcosa che non avrebbe voluto vedere sul volto di nessuno. Compassione.
- Siete solo – lesse.
Thranduil chiuse gli occhi, con una stilettata al cuore.
Così sia, pensò.

L’elfo aveva perso di nuovo conoscenza. Nonostante fosse stato brutalmente ferito e il suo corpo bruciasse per la febbre, era straordinaria la forza che aveva dimostrato di avere nei loro brevi scambi. Asinna bevve un sorso di infuso al miele, osservando il volto pallido e immobile sul suo cuscino. I lunghi capelli che lo circondavano erano talmente chiari da sembrare dalle sfumature argentee, colpiti dalla luce del primo pomeriggio che trapelava dalla finestra. I lineamenti erano affilati, le folte sopracciglia nere aggrottate nel sonno. Era di una bellezza disarmante, ma sapeva che questo non avrebbe dovuto farle dimenticare quanto le creature di quella razza fossero pericolose in realtà.
La giovane strinse le dita attorno alla tazza di ceramica, osservando il mucchio di vesti insanguinate che giacevano ancora ai piedi del letto, dopo che l’aveva faticosamente spogliato e che aveva passato ore a curare e bendare le sue ferite.
Quando era arrivata sul luogo del combattimento non avrebbe mai pensato di trovare qualche sopravvissuto. Aveva avuto la tentazione di scappare, vedendo la quantità di orchi riversi al suolo, membra sparpagliate e i loro grugni mostruosi rivolti al cielo. Ma era suo dovere controllare se ci fossero persone che avrebbe potuto aiutare, e così era stato. Aveva trovato quell’elfo accasciato contro il tronco di un albero. La pozione che era riuscita a fargli bere prima che svenisse aveva rallentato l’emorragia e le infezioni in corso, mentre lei, con le lacrime agli occhi e lo stomaco in subbuglio, ripercorreva la scia dei cadaveri, inginocchiandosi accanto ai corpi degli elfi martoriati per sincerarsi che fossero morti. E così era stato.
Per essere sopravvissuto a quel massacro, l’elfo doveva avere una tempra formidabile. Del resto, anche dalle occhiate furenti che le aveva rivolto, sospettava avesse un caratterino niente male. Ma avrebbe trovato pane per i suoi denti, dato che le doveva la vita soprattutto.
Asinna si alzò e sistemò nuovamente le coperte, prima di chinarsi e afferrare gli indumenti laceri dal pavimento. Era ora di fare un falò.

 Aveva passato il pomeriggio a preparare nuove scorte di unguenti cicatrizzanti e disinfettanti, nonché infusi che potessero rinforzare il fisico debilitato del suo paziente. Mentre la luce del tardo pomeriggio si faceva sempre meno intensa e le ombre degli alberi si allungavano sul terreno davanti a lei, Asinna aveva terminato il proprio lavoro ed era rimasta ad osservare la vallata sotto di lei. Il corso bluastro del fiume si snodava tra folte macchie di abeti e a tratti scompariva sotto al verde delle loro fronde. In lontananza si potevano vedere le case di un villaggio, molto più in basso rispetto all’altura dove il suo rifugio era stato costruito molti anni prima, al centro di una piccola radura in cui in estate fioriva ogni tipo di fiore sgargiante. Dietro alla capanna si alzava una massa rocciosa che si allontanava diventando sempre più alta, fino a che la sua cima si macchiava di bianco. Ma questo molto più in alto rispetto alla sua casa.
Quando i colori perlacei del tramonto sfumarono in un azzurro sempre più scuro si alzò dalla sua sedia a dondolo, raccolse i preparati e rientrò, chiudendosi la porta alle spalle. L’aria calda della stanza le punzecchiò le guance, mentre si destreggiava tra i tappeti e pile di libri sparse in giro. L’ordine non era decisamente il suo forte, ma si era impegnata per togliere ogni gingillo superfluo da terra e rimettere le cose al loro posto o negli spazi vicini, così che quando l’ospite fosse stato in grado di camminare non si sarebbe scandalizzato troppo nel vedere la confusione. Posò tutto sul tavolo rotondo al centro della stanza, accarezzando le foglie della piantina di basilico che svettava al suo centro, poi si avvicinò al camino. Rimestò i ciocchi di legno, per poi afferrare un vassoio dalla credenza accanto e posarvi un bicchiere pieno dell’infuso che aveva preparato, assieme a un piatto colmo della minestra che stava bollendo nella pentola appesa sulle fiamme.
Tenendo tutto su un solo braccio aprì la porta della camera e sospirò di sollievo nel vedere la testa dell’elfo girarsi verso di lei. La fissò con i suoi profondi occhi cerulei, un’espressione neutra sul volto etereo.
- Meno male, stavo considerando se svegliarvi con una padella in testa – commentò allegramente mentre si girava di spalle e chiudeva di nuovo la porta. Si voltò, sorpresa dal silenzio che aveva ottenuto in risposta e inarcò un sopracciglio.
- Come, non mi rispondete? – esclamò.
L’elfo aggrottò le sopracciglia. Il graffio che ne spaccava una si contorse.
- A cosa dovrei rispondere? – la sua voce, come aveva avuto già modo di appurare, era più profonda di quanto si aspettasse, ma c’era una nota remota nella sua voce che suggeriva chiaramente come non appartenesse alla stirpe umana, nel caso improbabile in cui qualcuno non lo capisse dal suo aspetto. Era una voce melodiosa, incantevole, e pericolosa.
- Non avete sentito la mia domanda?
Si sedette sul bordo del letto, ignorando la lieve sensazione di disagio che la attanagliò quando lui le rivolse un’occhiata dall’alto in basso. Anche se in effetti era sdraiato, quindi semmai avrebbe dovuto essere il contrario. Sentì le guance farsi calde.
- No – mormorò l’elfo, evitando per un secondo il suo sguardo. Poi tornò a guardarla.
Asinna si immobilizzò. Mentre parlava, notò che lui le fissava le labbra.
- Oh, questo non va per niente bene. Siete per caso sordo? Non sentite quello che dico?
Lui sbuffò forte, ma la contrazione del petto dovette fargli male, perché una smorfia di dolore gelò il suo viso.
- Vi ho già detto che non vi sento. Continuate a fare domande sciocche.
Asinna alzò gli occhi al soffitto, sospirando irritata.
- Avevate risposto al mio “non avete sentito la mia domanda”. Non vi avevo chiesto se non mi sentiste in generale. Direi che a fare commenti sciocchi siete voi.
Vide la rabbia lampeggiare nei suoi occhi, ma rimase zitto. Asinna indicò il vassoio che aveva appoggiato sulle proprie gambe.
- Ora, potremmo continuare a battibeccare, ma dovete mangiare. Siete rimasto incosciente per tre giorni. Ora, due rapide domande. Se scandisco le parole, riuscite a capirmi bene? E ce la fate ad alzarvi o vi devo aiutare?
L’elfo annuì mentre formulava il primo quesito; in risposta al secondo, espirò lentamente e si alzò sugli avambracci. Con movimenti molto lenti, si alzò finché la sua schiena fu appoggiata alla parete dietro di lui. Anche se non era completamente dritto, la superava di tutta la testa, e Asinna scorse un lampo di trionfo nei suoi occhi vedendola distogliere lo sguardo quando le coperte gli ricaddero sullo stomaco, scoprendogli il petto nudo.
Gli posò il vassoio sulle gambe, alzandosi e afferrandogli la nuca senza troppo complimenti per spingerlo in avanti così da riuscire a sistemargli il cuscino dietro alla schiena. Lo sentì trasalire quando lo toccò.
- Bene – disse, tornando a sedersi sul bordo del letto e guardando il volto pallido e sudato davanti a sé. – Mangiate. Non c’è nulla di avvelenato, se avessi voluto avrei potuto darvi una sostanza letale giorni fa, quindi non abbiate paura. O volete che assaggi prima io?
L’elfo la scrutò per lunghi istanti, mentre il tempo si trascinava lento. Alla fine spinse lentamente la ciotola che conteneva la minestra verso di lei. Asinna aveva previdentemente portato un secondo cucchiaio. Senza dire niente, lo afferrò e lo immerse nel liquido, portandoselo poi alle labbra. Sorbì la minestra senza abbassare lo sguardo.
- Devo bere anche l’infuso?
Il ferito annuì appena. Lei obbedì, poi si alzò.
- Se avete bisogno, basta che mi chiamiate. Il mio nome è Asinna. Dopo cena dovrò cambiare le bende, quindi preparatevi. Farà male.
Thranduil la osservò, mentre se ne andava e richiudeva la porta dietro di sé. Sconfortato, appoggiò la testa al muro di legno e alzò lo sguardo sui fiori che lo sovrastavano, quasi derisori con i loro colori allegri, in contrasto con il suo umore nero.
Doveva riprendersi e andarsene al più presto.

Thranduil rimase sorpreso, suo malgrado, dalla professionalità dell’umana quando bussò alla porta della stanza. La sua testa fece capolino, una cascata di ricci indomiti che penzolavano nell’aria.
- Avete finito?
L’elfo annuì. Con non poco dolore, si era chinato a posare il vassoio vuoto per terra. La donna entrò, con dei drappi neri tra le mani.
- La cena era di vostro gradimento?
Il re degli elfi accennò a un cenno del capo che avrebbe potuto dire tutto e niente. Era restio ad ammettere che era stata deliziosa. Non voleva darle soddisfazione. Di sicuro era perché era da giorni che non mangiava e che il suo palato si era abituato alle cene fredde consumate durante la marcia verso il sud. Il calore della minestra gli aveva dato conforto.
Rassegnata a non ricevere risposta, l’umana si sedette sullo sgabello accanto al letto, fissandolo con i suoi grandi occhi verdi.
- Vorrei procedere a cambiare prima le bende sulla ferita che avete al ventre. È quella messa peggio, quindi vi sembrerà piacevole controllare quelle dopo.
Il ragionamento filava. La donna gli porse la lama di un coltello per tagliare l’estremità della fasciatura, lasciando che fosse lui a farlo. Il contatto con l’acciaio freddo sulla sua pelle gli fece venire un brivido istintivo e il re degli elfi aspettò un secondo prima di lacerare il tessuto con un movimento deciso. Svolse i vari strati, lasciando solo quello meno superficiale alle mani della donna.
Lentamente, tornò a stendersi e osservò il volto della donna mentre si protendeva verso di lui e con un bicchiere d’acqua bagnava la stoffa, per far sì che si staccasse più facilmente dalla pelle. Thranduil trattenne un gemito di dolore, mentre la benda veniva tirata via e l’acqua gli colava lungo il fianco, con un fastidio considerevole. Quando Asinna ebbe finito, approfittò del fatto che si fosse chinata a posare quello strato sporco di sangue per gettare un’occhiata alla ferita. Era stato fortunato, perché se il pugnale dell’orco fosse affondato anche solo di un centimetro in più avrebbe rischiato di non riprendersi. Era un taglio lungo, anche se non molto profondo, che partiva sopra all’osso della sua anca e si inclinava verso l’alto fino a sotto l’ombelico. Il filo intervallava la carne rossastra in un barbarico intreccio, ma i punti erano stati messi con maestra, e probabilmente non gli sarebbe rimasta che una pallida cicatrice.
- Non guardate, potreste sentirvi male – lesse sulle labbra di Asinna.
Non obbedì, ma la osservò mentre puliva con gesti decisi e delicati il sangue rappreso. Quando le sue dita spalmarono un unguento cicatrizzante Thranduil sussultò, nel sentire un improvviso bruciore.
- La foglia di re – disse lei.
Il dolore si fece ancora più intenso, tanto che il re degli elfi afferrò il bordo delle coperte e le strinse con forza, digrignando i denti. Tenne gli occhi fissi sul soffitto, controllando il respiro, finché sentì di nuovo una benda coprirlo.
Probabilmente lei doveva aver detto qualcosa, perché gli schioccò le dita davanti agli occhi.
- Dovete alzarvi.
La aiutò ad avvolgerlo nella fasciatura. Non le avrebbe permesso di avvicinarsi così tanto.
Le ferite al braccio e al fianco erano sulla buona strada per la guarigione. Non sarebbero servite grandi cure, solo pazienza.
Asinna finì di appallottolare le bende e lo guardò, incassando la testa tra le spalle. Thranduil notò che aveva un piccolo neo sotto all’angolo dell’occhio sinistro, sullo zigomo. Gli porse una fiala con un contenuto dal verde chiarissimo.
- Questo è per il graffio che avete in faccia.
Thranduil inarcò il sopracciglio, sebbene gli facesse male.
- Vi ringrazio – disse in tono distaccato, allungando il braccio e prendendo la boccetta dalla sua mano. Lei si strinse nelle spalle e gli indicò un catino con dell’acqua che aveva posato vicino al vassoio entrando nella stanza.
- Vi consiglierei di darvi una rinfrescata. Facciamo passare la notte, domani potrete lavarvi decentemente.
Detto questo si alzò, afferrando vassoio e bende, e uscì dalla stanza.
Il re degli elfi era rimasto impietrito a fissare la sua schiena che si allontanava.
Sta dicendo che puzzo?
 







 
Angolino dell'autrice:
Buongiorno a tutti! O buonasera ^^
Eccomi qui, alla fine. Da molto tempo non pubblico qualcosa, ma l'idea per questa storia mi è saltata in mente all'improvviso, e non ho potuto far altro che assecondare la mia mente che macinava chilometri e mettere tutto per iscritto. 

Non ho molto da dire, solo che spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Spero anche di non aver perso la mano e che la lettura sia stata piacevole e scorrevole, senza troppi intoppi o rallentamenti, e di aver fatto un buon lavoro nell'abbozzare il carattere della nostra Asinna, nonché del regale re di Bosco Atro ;)
Un'ultima cosa: la citazione che spiega il significato del titolo di questa storia è preso da un interessante post di una blogger, vi lascio qui l'indirizzo nel caso vogliate dare un'occhiata: 
https://www.viaggiandosimpara.org/le-piu-belle-parole-straniere/
Se vi va, commentate anche voi, per farmi sapere cosa ne pensate di questa introduzione; se avete una critica da rivolgere o un apprezzamento positivo, sono entrambi più che benvenuti!
Atra esterni' ono thelduin, 
Anna



 

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Capitolo 2
*** II ***


II

 




Quella notte Thranduil non dormì. Ovviamente non nel senso del sonno umano, ma non sprofondò nemmeno nel dormiveglia che cullava le notti degli elfi. Rimase sveglio, a fissare il soffitto e le forme della camera per lui perfettamente visibili alla fioca luce della luna che rischiarava appena la stanza. Pensava a molte cose.
Pensava a suo figlio, prima di tutti. Suo figlio che aveva sognato in pericolo. Sperava davvero che fosse stato solo un brutto incubo partorito dalla sua mente, e sperava che fosse arrivato sano e salvo là dove la sua ricerca l’aveva portato. Sperava che avesse trovato il figlio di Arathorn, e che avesse potuto quietare l’angoscia e la rabbia che aveva visto oscurare quegli occhi così simili ai suoi nel doloroso momento in cui aveva dovuto lasciarlo andare.
Pensava al suo regno, ai suoi sudditi. Pensava ai soldati che avrebbe dovuto raggiungere, e che l’avevano aspettato invano. Era certo che i suoi generali fossero più che capaci di mantenere il sangue freddo -anche perché non li avrebbe scelti, se non fosse stato così- ma la sua scomparsa poteva essere nascosta solo per breve tempo, prima che il panico dilagasse e che fosse dato per morto. Doveva tornare in piedi e raggiungerli, il prima possibile.
Pensava ai valorosi guerrieri che avevano dato la vita per lui. Pensava a loro e ai loro cari, che non li avrebbero più visti tornare. Pensava a come fossero stati coraggiosi e avessero guardato la morte in faccia, fino all’ultimo secondo, rinunciando alle loro preziose vite per il loro re.
Pensava alla guerra che si stava avvicinando. Quella stessa guerra che si era rifiutato di riconoscere, e che non appena l’aveva fatto non gli aveva nemmeno dato il tempo per schierare le sue truppe prima di metterlo fuori gioco in un crudele scherzo del destino.
Pensava a se stesso, a come avrebbe fatto a condurre un esercito contro gli orchi, in quelle condizioni. Senza l’udito, avrebbe dovuto affidare il comando in campo ad altri. E come avrebbe fatto ad ascoltare i rapporti, i pareri, i consigli? Per iscritto? Non era una soluzione adatta, non era un metodo abbastanza rapido che potesse garantire la vittoria in battaglia. Il tempo lì era prezioso, ogni momento contava. Erano molti i pensieri che lo tennero occupato quella notte, con l’unica compagnia del dolore, nel buio screziato di raggi lunari.
Accolse con sollievo l’arrivo dell’alba. Osservò le ombre muoversi, la luce diventare di una calda sfumatura dorata, e fu lieto che il tempo delle tenebre fosse finalmente finito. Aspettò poco, prima che la porta si aprisse e la figura ormai familiare si appoggiasse allo stipite della porta con le braccia incrociate.
- Ve la sentite di alzarvi?
Thranduil annuì e lei sciolse le braccia. Si girò per afferrare qualcosa e quando si voltò verso di lui l’elfo vide che aveva in mano una camicia. Si avvicinò per porgergliela e senza dire niente se ne andò, socchiudendo la porta dietro di sé per lasciargli la dovuta intimità.
Il re degli elfi si mise seduto e lentamente riuscì a vestirsi, nonostante i muscoli tirassero. Indossava ancora i pantaloni macchiati di sangue, ma immaginava che non fosse facile procurarsi vestiti della sua taglia per una donna che viveva probabilmente sola e isolata.
Si alzò, e un giramento di testa lo colse di sorpresa. Barcollò, ma riuscì a riacquistare l’equilibrio prima di cadere e rimase immobile qualche istante, con i capelli che gli erano scivolati davanti al volto. Sentiva l’urgente bisogno di lavarsi.
Raccolse i capelli in una treccia rapida, prima di avvicinarsi alla porta e spingerla lentamente in avanti. Davanti a lui si prospettò una piccola stanza tonda, in cui il disordine era impressionante. Il soffitto era basso, numerosi libri e pergamene erano stati grossolanamente raccolti e accatastati sulle mensole alle pareti, per altro ingombre già di barattoli colorati e piantine in vasi di terracotta. Al centro della stanza un tavolo tondo, attorniato da sedie e sgabelli tutti diversi; una poltrona era sistemata davanti al caminetto, oltre che dei cuscini, e accanto il piano e le credenze per cucinare.
La donna si stava affaccendando lì, e senza rivolgergli nemmeno un’occhiata posò un cestino pieno di biscotti, frutta e focaccine sul tavolo, assieme a una brocca di latte e una di tè.
- Avete intenzione di rimanere lì in eterno?
Doveva ancora abituarsi al modo in cui la sua percezione era sfasata. Il silenzio era stranissimo, e le parole che aveva letto erano formulate con la sua, di voce, che gli rimbombava nella mente con un cupo eco.
Si avvicinò, mentre Asinna si accomodava su una delle sedie. Thranduil scelse uno sgabello sbeccato, salvo poi rendersi conto che una delle tre gambe non era molto stabile e traballava. Nonostante quello, rimase seduto lì, la schiena dritta come un fuso e il suo solito contegno altero.
La donna versò due bicchieri di latte, ne spinse uno verso di lui con la mano e bevve un sorso dal proprio, fissandolo negli occhi. Solo quando ebbe mandato giù Thranduil fece lo stesso, stringendo con le dita affusolate la terracotta nera.
- Mangiate.
Lui continuò a fissarla, le iridi nuvolose puntate sul suo viso come un gatto intento a studiare una preda. Lei alzò gli occhi al cielo e afferrò una focaccina, mordendone un angolo.
- Contento?
In risposta, lui afferrò un acino d’uva dalla bacinella e se lo rigirò tra le dita, osservando controluce la pelle violacea del frutto. Se lo portò alle labbra e lo mordicchiò piano, assaporando il gusto dolce della polpa quando si ruppe sotto ai suoi denti.
La donna schioccò le dita, col braccio proteso verso di lui. Thranduil tornò a fissarla, irritato. Non gli piaceva il modo in cui lo richiamava, non era un animale domestico.
- Come vi chiamate?
Un sorriso obliquo illuminò le labbra del sovrano.
- Questo non ve lo dirò – disse. La mancanza di suoni lo fece rabbrividire. A quel punto, non era più nemmeno sicuro di articolare i suoi correttamente, o di dar loro voce. Ma dal volto di lei, la frase doveva essere stata piuttosto chiara.
- D’accordo, tenetevi pure i vostri segreti.
Mangiarono in silenzio. Per quanto l’elfo desiderasse mangiare qualcosa di solido, non era sicuro che il suo stomaco avrebbe retto, perciò si limitò a spiluccare la frutta. Osservò la donna, nel frattempo, conscio che quel suo guardarla costante la metteva a disagio. Era visibile, da come lei evitava il suo sguardo a come il rossore si propagava lungo tutto il collo. Quando fu sazio, lui spinse impercettibilmente verso di lei la ciotola e la donna sospirò, come se un peso le si fosse levato dalle spalle.
- Bene. Vi laverete nel ruscello dietro casa. State attento a non scivolare e a non farvi male, siete troppo pesante perché io riesca a recuperarvi se cadete.
Un lampo di indignazione fulminò l’elfo, inchiodandolo allo sgabello.
Ha appena detto che sono grasso?
Fu un pensiero infantile, se ne rese subito conto, ma questa consapevolezza non gli tolse l’irritazione di dosso. Il re degli elfi si alzò, mentre lei gli passava accanto, facendola sobbalzare suo malgrado mentre la sua figura imponente si elevava sopra di lei, bassissima a confronto. La donna sostenne il suo sguardo, un’espressione decisa nonostante tutto.
- Ce la fate a camminare o dovete appoggiarvi a me?
Con le labbra increspate in un sorrisino, Thranduil accettò la provocazione. Si volse e con lunghe falcate raggiunse la porta della casa, facendole cenno di uscire per prima. Lei spinse la porta verso l’esterno, e non appena uscì all’aria aperta il re degli elfi fu costretto a socchiudere gli occhi per la luce intensa. Non appena riuscì a guardare senza problemi diede un’occhiata al panorama dipinto davanti ai suoi occhi, e rimase senza fiato. Suo malgrado, dovette ammettere che era meraviglioso.
Si trovavano sul pendio di una montagna, circondati dalle folte chiome di alberi che macchiavano di verde il fianco roccioso. Sotto di loro poteva vedere un lontano villaggio degli uomini, poco distante dal corso di un fiume scintillante che scendeva dalla montagna, tra curve e sbalzi di altitudine, fino ad allungarsi nella pianura sottostante, nascosto da piccole colline e grappoli di case appena percepibili persino per i suoi occhi di elfo. Oltre, il manto uniforme della foresta. Il re cercò di orientarsi, ma non avrebbe saputo dire dove si trovava con esattezza. Probabilmente era lontano dalla strada che stava percorrendo solo pochi giorni prima per dirigersi verso sud, e non riusciva a individuarla nemmeno tra gli alberi in lontananza.
Si voltò verso l’umana e la trovò appoggiata alla parete, con le braccia incrociate. Chinò la testa, nascondendo il turbamento che lo aveva colto. Dove era finito?
Lei scomparve dietro l’angolo e fu costretto a seguirla. Il sovrano faticò a mantenere il volto impassibile, quando si ritrovò davanti a un tappeto di fiori sgargianti. Nontiscordardime, primule e bucaneve coloravano di allegre macchie l’erba brillante, e poco più lontano scorse il nastro di un ruscello, le cui acque scorrevano placide e cristalline.
La donna gli indicò le acque, porgendogli un telo candido.
- Io rimarrò qui dietro l’angolo. Se avete bisogno, chiamatemi.
Il re degli elfi annuì e aspettò che lei sparisse prima di inginocchiarsi ad osservare i morbidi petali di un bucaneve. Sorrise, con amarezza. Quel posto sarebbe tanto piaciuto a Legolas.
Si spogliò con gesti lenti, una volta avvicinatosi al ruscello. La riva era irta di sassi e ciottoli, rendendo facile scivolare. Lasciò cadere la camicia e i pantaloni sull’erba appena prima della sponda, godendosi la sensazione dell’aria frizzante sulla pelle nuda, e si immerse lentamente, lasciando che il freddo lambisse il suo corpo. Il letto del ruscello non era profondo, l’acqua gli arrivava al petto quando si avvicinò al centro. Per prima cosa lavò i pantaloni, cercando di togliere il sangue secco che li incrostava, e solo dopo lunghi minuti riuscì a farne sparire il grosso. Si chiese come potevano le donne umane lavare per ore montagne di vestiti, come aveva spesso visto fare quelle poche volte che era passato per i villaggi umani. Dopo li stese ad asciugare al sole.
L’elfo si lasciò cullare dalla carezza placida della corrente, immergendosi e scuotendo la testa sott’acqua per sciogliere i capelli dalla treccia in cui li aveva legati. Fili dorati formarono una corona attorno alla sua testa.
Riemerse e alzò lo sguardo verso il cielo, di un azzurro incredibile, solcato da pochi squarci di bianco. Sarebbe stata una giornata perfetta per passeggiare nei giardini del suo palazzo, se solo fosse stato a casa. Chiuse gli occhi e lasciò che l’acqua lo sollevasse, galleggiando per lunghi minuti, finché non gli venne la pelle d’oca.
Solo allora riprese possesso del suo corpo e si avvicinò alla riva, rendendosi conto che era stato trasportato molti passi più in là rispetto a dove aveva lasciato i vestiti. Fece una smorfia quando, avvolgendosi nel telo che Asinna gli aveva dato per asciugarsi, la stoffa gli graffiò la pelle. Altro che le morbide sete con cui si vestiva ogni giorno.
Indossò i pantaloni ancora umidi, strizzò i capelli e indossò anche la camicia. Si sentiva una persona nuova. Avrebbe tanto voluto sedersi in mezzo al prato e respirare l’aria fresca, beando i suoi occhi dei colori primaverili, ma doveva carpire delle informazioni essenziali alla donna.
Quando svoltò l’angolo, la trovò intenta a leggere un libro dalla copertina nera, seduta su una sedia a dondolo. Alzò gli occhi verdi verso di lui, con un sussulto, quando le si parò davanti. Non si era accorta dei suoi passi leggeri, e il re sogghignò. Anche se era sordo, non aveva perso la sua discrezione.
Si sedette su una delle sedie, su un cuscino viola, e allungò le gambe, incrociando le dita sul grembo. Lei chiuse di scatto il libro e si portò una mano al collo, massaggiandolo. Un ricciolo le sfuggì davanti agli occhi, rilucendo di sfumature ramate sotto alla luce del sole.
- Dove mi trovo?
Asinna alzò un sopracciglio.
- Ancora non l’avete indovinato?
Thranduil rimase in silenzio, fissandola con le iridi piene di astio. Non gradiva che qualcuno si prendesse gioco di lui, tantomeno che lo facesse sentire stupido.
- Sulle montagne di Bosco Atro.
Asinna vide l’elfo sgranare involontariamente gli occhi, perdendo il controllo del suo volto. Per un attimo la sorpresa trapelò dai suoi lineamenti, poi riprese il contegno impassibile.
- Come posso essere arrivato fino alle montagne se ero a metà strada, nel folto della foresta?
Lei si strinse nelle spalle.
- Casa mia era qui. Ve l’ho detto che siete rimasto incosciente per tre giorni.
- Come siete riuscita a portarmi fin qui, donna? – esclamò lui, irato.
Un lampo di rabbia attraversò il volto paffuto dell’umana, che si alzò di scatto, lasciando cadere a terra il libro.
- Non permettetevi di mancarmi di rispetto! Vi ho salvato la vita, vi ho curato, vi ho dato da mangiare. Il minimo che possiate fare è essere educato. Pensavo che gli elfi fossero cortesi, non bifolchi anche più della mia razza. Non ho nemmeno preteso di sapere il vostro nome. Io ripenserei al mio comportamento, fossi in voi, e parlerei in un altro modo – disse indignata.
Thranduil rimase in silenzio, bollendo di rabbia. Nonostante non avesse potuto sentire le sue parole e il loro tono, era sicuro di aver tirato troppo la corda. Si lasciò ricadere contro lo schienale della sedia, cercando di trattenersi dal risponderle a tono. Era ovvio, lei non sapeva che fosse un re, anzi il re del regno in cui viveva. Altrimenti non gli avrebbe parlato a quel modo, non si sarebbe nemmeno azzardata a guardarlo in faccia.
Ma Thranduil non poteva rivelare questa informazione. Doveva fare buon viso a cattivo gioco e conquistarsi le sue simpatie, per riuscire a raccogliere quante più informazioni possibili.
- Non volevo essere maleducato, ma non comprendo come voi abbiate potuto portarmi così lontano da sola e a piedi.
Lei gli scoccò un’altra occhiata indispettita, indecisa se rispondergli o meno. Ora anche il suo petto era diventato rosso. La facilità con cui la sua pelle potesse cambiare colore lo impressionava. Lentamente, Asinna si sedette e si chinò a raccogliere il libro.
- Non ho mai detto che ero sola ed ero a piedi.
Aprì il libro e tornò a leggere. Thranduil aspettò. All’inizio con impazienza, poi, man mano che i minuti scorrevano, si perse a guardare il sole che saliva nell’orizzonte. Osservò il volo di un paio di cinciallegre, che andarono a posarsi su un ramo poco lontano dal margine della radura. Osservò come la luce filtrava tra le foglie, e come le anse del fiume scomparissero sotto di loro, e le case dai tetti di paglia e legno che vedeva in lontananza, chiedendosi da quando ci fosse un villaggio lì, e perché non ne fosse a conoscenza.
Quando il sole fu alto all’orizzonte la donna chiuse di scatto il libro. Il re degli elfi riportò lo sguardo su di lei, vedendo che era più rilassata.
- Ero in viaggio con altre persone. Vi abbiamo trovato su quella strada, e vi abbiamo portato via, fino a qui, su un carro. Ci abbiamo messo due giorni e mezzo, siete rimasto addormentato tutto il tempo.
- Come è possibile che non siate stati attaccati? Se non da orchi, da ragni almeno.
Asinna si strinse nelle spalle. – Fortuna.
Era ben poco credibile, ma scelse di non indagare. Non voleva che cambiasse umore e si rifiutasse di parlargli.
- Tra quanto potrò andarmene?
Lei inarcò un sopracciglio, con una smorfia sorpresa.
- Non meno di una settimana.
- No. È troppo.
- Non faccio miracoli. Siete ferito, solo e disarmato. Se proverete ad andarvene prima farete una brutta fine. A voi la scelta.
Thranduil strinse i denti, afferrando il bracciolo della sedia con le dita e stringendolo con forza. Non aveva alternative, ma non gli piaceva. Abbassando lo sguardo, guardò le gambe fasciate dalla stoffa argentea. La maggior parte del sangue era andata via, ma restava ancora una macchia.
La donna schioccò le dita nella sua direzione, attirando il suo sguardo cristallino.
- Oggi pomeriggio mi dovrò recare giù al villaggio per prendere viveri e medicine. Farò in modo di procurarmi dei vestiti per voi, ma mi serviranno quei pantaloni o rischierò di sbagliare la misura.
- Non ho intenzione di rimanere nudo – disse lentamente Thranduil.
Con suo dispetto, lei sorrise, mostrando i denti bianchi e uno scintillio delle iridi verdi.
- Vi coprirete con una coperta.
Non era un’idea che gli garbava, ma di sicuro non avrebbe voluto nemmeno rimanere giorni interi con indosso quei pantaloni macchiati di sangue. Gli dispiaceva profondamente buttarli, erano stati tra i suoi preferiti, soprattutto per la qualità della stoffa e il colore perfetto che si intonava ai suoi occhi. Ma non disse niente, sospirando soltanto. Come gli mancavano le comodità del suo palazzo.
La donna si alzò, posando il libro sul tavolo.
- Dato che siete sveglio e attivo, lavatevi le mani. Faremo delle torte salate e del pane, e mi aiuterete.
Il re degli elfi le lanciò un’occhiata obliqua, inarcando un sopracciglio, trattenendo una smorfia al fastidio provocato dal graffio.
- O preferite non pranzare?
Mordendosi il labbro, Thranduil si alzò e la seguì dentro casa dopo qualche secondo. Il suo stomaco era stretto in una morsa. Non mangiare non era una possibilità che contemplava volentieri, suo malgrado.
Donna maledetta. Mi fa anche lavorare.

Si erano appostati fuori, su quello stesso tavolino dove prima Asinna aveva appoggiato il suo libro, ora abbandonato su uno sgabello, anche quello sgangherato. Thranduil si era chiesto se la donna non avesse fatto apposta a prendere solo mobili rotti o graffiati, per la sua casa. Che poi, molte domande aveva ancora da farle: aveva detto che viveva da sola, ma come era arrivata fino a lì? Tra le tradizioni elfiche il trovare un compagno non avveniva in un tempo preciso, perché quando capitava, capitava per la vita. Ma sapeva che tra gli uomini non vigeva la stessa usanza e che le donne umane prendevano marito da giovani, e Asinna sembrava nell’età giusta, forse anche più avanzata. Non aveva un marito? Una famiglia? Gli sembrava strano, sapendo come gli umani fossero tradizionali su queste materie.
Erano seduti, lei di fronte a lui, con le mani immerse nella farina che pian piano, mescolata all’acqua e alle uova, stava diventando un impasto omogeneo.
Thranduil aveva vaghi ricordi di quando un giorno, da piccolo, con sua madre si era divertito a impastare del pane, nelle cucine. Ma quei frammenti di memoria erano, appunto, solo frammenti, sbiaditi dopo centinaia di anni: aveva osservato i movimenti veloci ed esperti dell’umana, prima di mettersi all’opera, con occhio critico, controllando ogni suo gesto con attenzione per evitare di sbagliare. Era un’esperienza nuova: mai aveva dovuto cucinare per sé, avendo un personale di centinaia di elfi sempre a sua disposizione. Ma mentre lavorava si ritrovò a pensare che non fosse poi così male: tralasciando la sensazione viscida della pasta che si appiccicava alle dita mentre ancora non era compatta, trovò piacevole mettere all’opera i muscoli che erano rimasti immobili per tre giorni consecutivi.
Mentre impastava il tutto in una palla notò che lei lo fissava. Ricambiò il suo sguardo, rimanendo impassibile quando lei tirò un pugno all’impasto. Forse serviva a farlo appiattire più velocemente? Ne dubitava.
- Come siete finito a farvi massacrare dagli orchi?
Si irrigidì a quelle parole, ma lei ancora non aveva finito.
- Da quanto ne so, si stanno tutti ammassando a sud per una battaglia contro gli elfi di Bosco Atro. O almeno, queste sono le voci. Non avrebbero dovuto trovarsi lì, in mezzo alla foresta.
Thranduil si chiese se dovesse tirare anche lui un pugno alla pasta. Poi decise di no e la rivoltò, tornando ad arrotolarla su se stessa.
- Non lo so. Dovrebbe essere come avete detto voi, ma li abbiamo incrociati comunque.
Asinna rimase in silenzio per un attimo. Una ciocca di capelli le scivolò davanti alla fronte e cercò di scostarla con il polso per evitare di toccarsi i capelli con le mani sporche, ma ebbe poco successo.
- Ho visto… - esitò. – Era un massacro. I vostri compagni… - il volto dell’elfo si adombrò a quelle parole, e lei strinse le labbra prima di proseguire – erano molto più indietro sul sentiero, rispetto a voi. Siete stato voi a uccidere tutti quegli orchi?
Un semplice cenno del capo le fece da risposta. Le ciglia nere della giovane tremarono, mentre abbassava il capo.
- Li abbiamo seppelliti – un’onda di gratitudine inondò il sovrano di Bosco Atro. Fissò il volto della guaritrice senza nessuna ombra di inquietudine; anzi, le sue iridi, che alla luce del sole vertevano verso un grigio perlaceo, si illuminarono da una scintilla di riconoscenza.
- Grazie – mormorò.
- Li conoscevate bene?
Thranduil tornò a fissare la pasta davanti a lui. Guardò le mani di Asinna e si rese conto che lei la stava modellando in una pagnotta. Prima che potesse fare lo stesso, lei richiamò la sua attenzione.
- Stendete la pasta. Dobbiamo fare una torta.
Lui esitò, avendo notato il plurale nella sua frase, al che un sorriso appena accennato apparve sulle labbra rosse dell’umana.
- Non l’avete mai fatto?
Si sarebbe arrabbiato, ma la conversazione aveva preso una piega strana e l’amarezza che si era risvegliata nel rivangare i ricordi gli impedì di irritarsi per un nonnulla. Scosse la testa, e lei allungò le braccia, alzandosi, tendendosi sopra al tavolo per afferrare il suo impasto e appiattirlo in rapide mosse.
- Così. E poi alzate i bordi, così possiamo riempirla.
Il re degli elfi obbedì, osservando con curiosità le proprie mani che si accingevano a fare quel lavoro. Gli sembrava irreale, ma non era spiacevole. Dita che avevano impugnato spade, scudi, archi, che erano abituate al contatto freddo con il metallo e al tocco morbido di sete e lini pregiati, erano ora impegnate nel lavoro che ingoiava gran parte degli elfi che lavoravano a palazzo, ora dopo ora, giorno dopo giorno, impegnati costantemente a cucinare per bocche fameliche.
- Non li conoscevo. Non bene quanto avrei dovuto.
Asinna annuì, e calò il silenzio. Ma a differenza di prima, era un silenzio sereno.
Thranduil seguì attentamente i movimenti dell’umana, quando si alzò e versò un misto di uova, verdure ed erbe all’interno della torta; e la seguì, fingendo di dare un’occhiata alla libreria colma di tomi e carte, anche quando lei rientrò per mettere il tutto a cucinare, in realtà osservando i suoi movimenti. Quando iniziò a riordinare il piano che era rimasto ingombro di ciotole, si voltò e osservò davvero la fila di libri davanti a lui, leggendone i titoli e prendendone uno in mano.
Storia di Arda.
Osservò la copertina rilegata in cuoio, graffiata sul retro, e le pagine a tratti ingiallite e piegate. Era evidente che fosse un libro che era stato più volte aperto, studiato e consultato. Sfogliò le prime pagine, cercando l’indice, per scorrere con uno sguardo veloce i titoli dei capitoli.
Asinna si voltò e quasi le venne da ridere nel vedere quello spettacolo. Un elfo, nella sua cucina, intento a guardare uno dei suoi libri con un’avidità strana. Nonostante avesse il capo reclinato in avanti per facilitare la lettura, la sua schiena continuava a rimanere dritta come un fuso. I suoi capelli biondi cadevano lisci e maestosi ai lati del suo viso e lungo la sua schiena. Sotto al tessuto bianco della camicia poteva vedere l’ombra più scura delle fasciature. C’era da dire che gli stava bene, avvolgendo il suo fisico imponente alla perfezione.
L’elfo si girò, probabilmente avvertendo il suo sguardo su di sé. Le rivolse uno sguardo curioso, inclinando appena la testa. Asinna non sopportava come i suoi occhi potessero scandagliarla così in profondità, come se volesse metterla a disagio.
- Ci sono tre regole.
Lui ripose il volume nella libreria e si girò, incrociando le braccia.
- Finché rimarrete qui dovrete aiutarmi a fare da mangiare e in altre faccende, se chiederò il vostro aiuto. Sono da sola e non sono abituata ad avere ospiti. Ovviamente non vi chiederò di fare cose impegnative, tenendo conto che dovete recuperare le forze, ma in due è diverso che essere da sola.
Le rispose solo il silenzio e un fantasma di indignazione sul volto dell’elfo, che però non proferì parola.
- Secondo. Non dovrete farmi troppe domande personali, come io non ve ne farò, dato che mi sembra di aver capito che non siete propenso a dire granché su di voi, personalmente.
- Terzo. Se avete qualcosa da dire, ditela subito. Dovremo convivere per qualche giorno, quindi mi aspetto un comportamento adeguato da parte vostra. Non so chi siate, da dove veniate o a quali stili di vita siate abituato, ma dovrete adattarvi.
Thranduil ponderò per un attimo le parole dell’umana. Ne aveva persa qualcuna, nel leggere le sue labbra, ma aveva capito il concetto generale. Per quanto fosse abituato diversamente, avrebbe dovuto rassegnarsi a condurre un altro tipo di esistenza, per quei pochi giorni, così da riuscire a guarire il più velocemente possibile e poter tornare dal suo popolo.
- D’accordo.
Si ritrovarono a fissarsi, finché lei si lasciò andare a un sospiro e si girò verso il camino, allungando le mani dietro la testa e sciogliendo i capelli. Le ricaddero sulle spalle, e Thranduil si rese conto che erano più lunghi di quanto avesse pensato. Le arrivavano quasi fino alla base della schiena. Con mosse veloci, lei li raccolse di nuovo, sistemando i ricci che le erano prima sfuggiti, e si lavò le mani.
Gli indicò di sedersi su una delle sedie che circondavano il tavolo, e Thranduil non esitò a sceglierne un’altra rispetto allo sgabello del giorno prima. Peccato che quella cigolasse ad ogni suo movimento.
Anche Asinna si sedette, incrociando le mani sul tavolo. I loro polsi e i dorsi erano ricoperti da un leggero velo di lentiggini.
- Il vostro udito – lesse sulle sue labbra l’elfo. – Non avevate mai avuto problemi prima?
Lui scosse la testa. Lo rendeva nervoso parlare di quell’argomento. Per quanto lui stesso avesse partecipato a battaglie e guerriglie, e avrebbe dovuto essere abituato a farlo, parlare di ferite lo metteva in agitazione; soprattutto se non erano visibili. Grazie alla sua esperienza di guerra al tempo in cui suo padre era ancora vivo, riusciva a capire quanto fosse grave una ferita nella carne, e all’incirca anche come guarirla. Ma le ferite interne erano le più pericolose, e quelle che aveva sempre temuto di più. Quelle che aveva sperato di non riportare, anche se, in fondo in fondo, sapeva bene che da quando era tornato dalla guerra non era più stato lo stesso di prima.
La donna si morse il labbro. Sembrava perplessa.
- Vi hanno colpito in testa?
L’elfo annuì.
- Un orco mi ha tramortito prima che riuscissi a parare il colpo. Avrei dovuto essere morto – disse seccamente. Scrutò le guance rotonde della donna, che si arrossarono leggermente mentre tratteneva il respiro.
- Vi darò delle soluzioni con la foglia di re e altre erbe. Magari è temporanea, e rinforzando il vostro corpo potrebbe tornare, piano piano. Il vostro corpo potrebbe avere solo bisogno di riprendersi dal trauma. Ma come esiste questa possibilità, esiste anche quella contraria, sappiatelo. È il massimo che posso fare.
Thranduil annuì. Dal modo in cui aveva curato le sue ferite, aveva l’impressione che, per quanto non appartenesse alla stirpe elfica, l’umana fosse una guaritrice sapiente, nonostante la giovane età.
- Più tardi controlleremo le altre ferite, ma sembrano procedere bene. Vi fanno male?
- È sopportabile. Ho passato di peggio.
Asinna si chiese cosa avesse potuto sopportare, di peggiore. A parte amputazioni, le sembrava che nulla potesse essere peggio delle ferite che aveva riportato, che dovevano essere estremamente dolorose, nonostante lui non lo dimostrasse.
Eppure quell’elfo dall’aria così criptica e fredda aveva parlato con un tono così serio che non poté fare a meno di credergli.









Angolino dell'autrice:
Buonasera!
Spero di portare un po' di gioia in questa noiosa domenica, con questo capitolo! Fatemi sapere se vi è piaciuto, e cosa ne pensate del rapporto che comincia a instaurarsi tra i nostri due protagonisti... 
Una piccola precisazione: ho deciso di modificare un pochino la geografia di Arda. In teoria il regno degli elfi di Bosco Atro si estende a nord, prima della guerra dell'anello. Qui come avete visto siamo prima, dopo le vicende dello Hobbit, quando Thranduil inizia a muoversi per combattere gli Orchi. Ho deciso di estendere il dominio del nostro signore di Bosco Atro un po' più a sud, allargandolo progressivamente mentre si fa strada contro i ragni e gli orchi fino a poco prima delle montagne che tagliano in due la foresta, così da poter ambientare meglio la storia. Ecco tutto! 
Grazie per essere arrivati fin qui ^^
Anna

 

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Capitolo 3
*** III ***


III

 



L’umana se ne era andata poco dopo aver finito di lavare i piatti usati per mangiare a pranzo. Si era raccomandata di non muoversi troppo, di non girovagare, di non frugare in giro, di non andare nella foresta. E che per favore non gli venisse in mente di mettersi a rovistare tra gli unguenti e le sue erbe, ma soprattutto che non gli venisse la malsana idea di fare ciò che lei non avrebbe fatto. Il che quasi includeva anche respirare, a quanto pareva, pensò Thranduil con ironia.
Il momento in cui le aveva dovuto consegnare i pantaloni era stato imbarazzante anche per lui. Avvolto in vita da una coperta, si era sentito ridicolo, ma almeno lei aveva avuto la decenza di evitare di guardare nella sua direzione, aveva afferrato i pantaloni ed era uscita di fretta dicendo che sarebbe tornata prima del tramonto.
Il re degli elfi, non appena si era chiusa la porta alle spalle, ovviamente aveva immediatamente deciso di fare ciò che lei non avrebbe mai fatto. Si era messo a cercare in giro qualche indizio che potesse dargli delle informazioni sulla donna, cercando con attenzione nei cassetti e nei mobili, ma dopo un’ora dovette constatare frustrato che la sua ricerca era stata vana. La seconda porta, oltre a quella della camera, era chiusa a chiave, quindi non aveva potuto entrare nella stanza. L’unica cosa che aveva trovato in un piccolo cassetto erano i suoi anelli, che evidentemente gli aveva tolto durante il viaggio. Aveva esitato, indeciso se prenderli o meno, ma aveva scelto di lasciarli lì per vedere cosa avrebbe fatto lei a riguardo nei giorni seguenti.
Si lasciò cadere con un pesante sospiro sulla poltrona nell’angolo della stanza, accanto alla finestra. Aveva trovato solo manuali per guaritori, oggetti senza significato e altre pergamene su medicina e argomenti simili, oltre ai normali oggetti di una casa.
Possibile che sia davvero un’umana normale senza segreti?

Asinna procedeva per le strade del villaggio, tenendosi ai lati della strada per evitare carri e cavalli. Era un paesino minuscolo, di un centinaio di case, inerpicato sulle pendici delle montagne. Gli abitanti si erano stabiliti lì di recente, ed erano tutte persone che avevano perso le loro case in seguito alla diffusione inarrestabile degli Orchi e delle forze del male, che avevano trovato la loro strada priva di ostacoli e si erano dati alle razzie e ai massacri di porzioni di terre sempre più ampie. Asinna più volte si era chiesta perché il sovrano degli elfi di Bosco Atro non avesse schierato prima le sue forze in campo: avrebbe evitato una marea di sofferenza e dolore, e prevenuto gli spostamenti di massa degli esuli, che costretti dalle circostanze si erano rifugiati nel suo stesso regno. Non nutriva certamente alcuna simpatia per quel re che non sembrava interessarsi al destino del mondo, anche se non poteva pretendere di conoscere le ragioni per cui era rimasto nell’ombra così a lungo.
Ah, alla faccia sua. Si tratta di difendere innocenti e salvare il mondo, mormorò tra sé e sé.
Per fortuna qualcosa era cambiato, ultimamente. Era giunta voce, per quanto loro fossero isolati, che il re aveva mobilitato le sue truppe e stava schierando il suo esercito per combattere il male. Orchi e ragni pian piano erano respinti, e probabilmente lo stesso elfo che aveva trovato ferito faceva parte di quei guerrieri che stavano raggiungendo l’esercito.
Asinna sospirò, nel ripensare a quello sconosciuto che aveva lasciato da solo a casa. Probabilmente stava già frugando tra le sue cose per cercare di ottenere qualche informazione su di lei. Sorrise, nel toccare la sacca in cui aveva messo le preziose lettere che avrebbero potuto rivelargli ciò che di sicuro voleva sapere riguardo a lei. Era stata più furba di lui.
Giunse finalmente alla bottega di legno della sarta. Quando aprì la porta, dei campanelli tintinnarono e dal bancone emerse la testa castana di una donna sulla cinquantina. Indossava degli occhiali e un sorriso cauto. Asinna si fece largo tra i mobili e i manichini dove erano esposti vari tipi di tessuti e indumenti, arrivando fino a lei. Sul piano in legno di noce era steso un quadrato di stoffa verde con delle cuciture bianche lungo uno dei lati.
- Buongiorno.
- Buongiorno a voi – le sorrise la donna. Aveva qualche filo grigio tra i capelli, raccolti in una crocchia. – Come posso aiutarvi?
- Mi servirebbero dei vestiti da uomo. Dei pantaloni, direi due. Due camicie e una tunica.
La donna annuì, mentre Asinna estraeva dalla sacca i pantaloni argentei. La sarta sgranò gli occhi nel vedere il tessuto pregiato, di un bellissimo argento perlaceo, e impallidì quando vide la macchia di sangue che lo aveva danneggiato.
- Questo è un tessuto elfico – esclamò. Afferrò il bordo dei pantaloni e la guardò atterrita, trattenendo il respiro. – Dove li avete presi? Questo non è un semplice tessuto elfico, è uno dei più pregiati in assoluto.
Asinna inarcò le sopracciglia, spaesata. Cosa avrebbe dovuto dire? Non era certo una buona idea andare a raccontare in giro che aveva trovato un elfo ferito e che si trovava a casa sua, soprattutto se quell’elfo indossava vestiti del genere, dato che avrebbe potuto essere più importante di quanto avesse immaginato precedentemente.
- Io… - balbettò. Fu la donna a toglierla dall’impiccio, scuotendo la testa.
- Anzi, non ne voglio sapere niente. Di questa misura? Dovrei averne giusto due.
Scomparve nel retrobottega e Asinna tirò un sospiro di sollievo, seppur perplessa. Chi diavolo era quell’elfo?
La sarta tornò con le cose che aveva richiesto in pochi secondi. Sembrava ansiosa che se ne andasse. Fu felice di accontentarla; dopo aver pagato infilò le cose nella sacca e uscì, lasciandosi alle spalle l’angusta bottega. Osservò il cielo azzurro, con un sospiro. La sua testa era piena di confusione, ma almeno aveva ancora un’ora prima di tornare a casa.
Comprò le erbe, farina, uova e quant’altro le servisse, distraendosi nel fermarsi a chiacchierare con un anziano seduto davanti alla sua casa, sulla via del ritorno. Le offrì un bicchiere di latte e lei accettò sorridente, sedendosi sul bordo degli scalini per riposarsi un minuto.
- Avete sentito dei movimenti dei soldati?
Il volto dell’anziano uomo era solcato da rughe, il volto era cotto dal sole e le sue mani, appoggiate allo schienale della sedia, erano nodose e piene di calli. Era il volto di chi aveva visto tante estati ed era riuscito a sopravvivere a molte difficoltà, un volto che rimaneva sereno anche nel parlare di argomenti che spaventavano la maggior parte delle persone, perché aveva visto molto di peggio.
- Non proprio – rispose incerta.
L’uomo sorrise, alzando un braccio e indicando verso la foresta che si intravedeva sopra alle ultime case dietro di loro. – Elfi. Arriveranno. Stanno cercando qualcuno.
La bocca le si seccò. Asinna posò il bicchiere sul gradino di pietra accanto a sé.
- Come fate a saperlo? Siamo isolati.
- Io ascolto, giovane donna.
Gli rivolse un sorriso nervoso, ma lui non aveva ancora finito.
- Si stanno dirigendo a sud, per respingere il male. Dol Goldur tornerà a risplendere, ma tra tanto tempo, quando tutto sarà finito. Ma sento che tra poco gli elfi arriveranno anche qui. Hanno perso qualcuno, qualcuno senza cui non potranno vincere la guerra.
Asinna si alzò e tolse la polvere dal vestito, riprendendo in mano le borse.
- È ora di andare, per me. Buona giornata.
Sentì quegli occhi penetranti continuare a fissarla finché non fu troppo lontana. Solo allora tirò un sospiro di sollievo e guardò le punte rilucenti di bianco delle vette delle montagne sopra di loro.
Tra sé e sé si disse di non prestare attenzione a ciò che il vecchio aveva detto. Ma l’ombra del dubbio si era insinuata in un angolino della sua mente, e continuò a tormentarla mentre si inerpicava su per il sentiero irto di sassi e radici nodose.
Cosa significavano quelle parole?

Arrivò in cima alla radura con il fiatone. Si fermò per un attimo, posando le borse per terra e posando le mani sui fianchi, respirando a fondo per calmare il battito martellante del suo cuore. Si raccolse i capelli che le erano sfuggiti dalla fascia e li ricacciò dietro le orecchie, posando le mani fredde sulle guance bollenti, mentre i suoi occhi verdi scrutavano la piccola casa davanti a lei.
L’elfo non era fuori, ma in effetti nemmeno lei si sarebbe avventurata fuori senza pantaloni. Erano isolati, sì, ma non si sapeva mai.
Riprese in mano le sue borse e si disse che dopo aver bevuto un bicchiere d’acqua avrebbe dovuto controllare il pollaio e la capretta sul retro. Aveva quegli animali per pura necessità, perché non voleva scendere ogni giorno al villaggio a prendere uova. In realtà la capra era anziana e le si era affezionata, quindi lei la teneva per pura compagnia.
Quando entrò il suo sguardo fu subito catturato dalla figura imponente dell’elfo sdraiato sulla poltrona davanti al camino. La fissò con le iridi cerulee annoiate e alzò un sopracciglio.
- Siete tornata presto.
- Sì, be’ – esclamò Asinna, avanzando e appoggiando con un sospiro di sollievo le borse sul tavolo tondo, curandosi di rimanere davanti a lui così che potesse leggere le sue parole – ero preoccupata che poteste dar fuoco alla casa nel provare a fare un tè.
L’elfo sogghignò, alzando il mento.
- Solitamente non incuto timore per questo motivo, nei miei nemici.
- Non sapevo fossimo nemici – commentò la donna. Dalle guance piene fino al petto era completamente rossa, notò Thranduil. Si voltò e l’elfo afferrò in un gesto fulmineo i vestiti che gli aveva lanciato.
- Per voi.
Lui scrutò il tessuto, saggiandolo con le dita. I pantaloni erano di una foggia rozza rispetto ai tessuti che indossava quotidianamente, ma secondo i canoni umani erano considerati di buona qualità. Erano neri, in perfetta combinazione con la camicia che stava indossando in quel momento.
- Vi ringrazio – disse seccamente. Ignorò la sua espressione stupita e si alzò, dirigendosi verso la stanza. Asinna si lasciò andare a un risolino, approfittando della sua sordità, nel vedere come la coperta avvolta intorno alla sua vita strascicasse sul pavimento, come una parodia del mantello di un sovrano. L’elfo non sembrava ridicolo -aveva un atteggiamento troppo composto e regale per sembrarlo- ma la scena era comunque comica.
Quando la porta si riaprì, cigolando appena, si voltò e rimase sorpresa.
Non era di certo uno spettacolo esilarante, non più.
I pantaloni gli avvolgevano alla perfezione le gambe muscolose, e la camicia aderiva al suo fisico, ma era rimasta aperta, lasciando intravedere il petto glabro. La fissava impassibile, gli occhi illuminati dalla luce proveniente dalle finestre, con i capelli che scendevano come una cascata di fili d’oro sulle sue spalle.
- Tanto vale controllare le ferite – disse. Asinna percepì una minima esitazione nella sua voce. Annuì e gli fece segno di sedersi, girandosi per mettere al loro posto nella credenza tutte le cose che aveva comprato. Non perché si era improvvisamente accorta di quanto fosse attraente l’elfo e le serviva riprendere un contegno, no.
Tirò fuori gli unguenti e le bende nuove da un cassetto, sperando di non doverle usare. Aveva avuto in mente di comprarle uscendo dal villaggio, ma poi aveva incontrato quel vecchio matto e le era passato di mente. Non ne aveva prese di nuove e ne erano rimaste ben poche.
Si girò, trovandosi davanti alla schiena nuda del suo ospite. Posò tutto sul tavolo davanti a lui, iniziando a togliere per prima cosa la stoffa arrotolata attorno alla ferita sulla parte alta del suo braccio. I suoi muscoli guizzarono sotto alla pelle quando gli spalmò un unguento dall’odore dolciastro sul taglio. Asinna sapeva che doveva bruciare da morire, ma lui non disse nulla.
- Questa va bene – disse, per poi ricordarsi che lui non poteva sentirla. Alzò gli occhi al cielo, esasperata con se stessa, e richiamò la sua attenzione per ripetere la frase. Lui si limitò a un lieve cenno, per poi alzarsi e darle modo di riuscire a controllare la ferita sul fianco.
- Anche questa.
Svolsero le bende che gli circondavano il ventre, e l’elfo sibilò quando Asinna staccò la stoffa appiccicata alla sua pelle. Si trovarono davanti a un brutto spettacolo. I punti affondavano nella carne, mentre la pelle era rossa e gonfia.
- Maledizione – esclamò lei. Si guardò intorno, per poi afferrare da sopra una mensola un vasetto con sopra delle erbe essiccate. Le sbriciolò, mischiò con degli oli e dell’erba di re, pestando il tutto in una ciotola di terracotta, seccata. Non le piaceva quando le cose non andavano come previsto.
Lui la osservava in silenzio. Era una visione strana, quella della donna. Anche se era così palesemente umana, non gli provocava più lo stesso fastidio del giorno precedente. Mentre si adoperava per creare quell’unguento per lui, la osservò e si rese conto che sarebbe stata anche attraente per un umano, e anche che il suo carattere affabile sarebbe stato apprezzato da qualcuno di diverso da lui. Eppure, persino il re degli elfi doveva ammettere che l’umana era dotata di una determinazione e un senso del dovere straordinario. L’aveva raccolto dalla strada, aveva penato per salvarlo quando le probabilità che sopravvivesse erano molto basse, lo aveva nutrito e curato, mostrandosi sempre disponibile nei suoi confronti.
Alla fine, nonostante tutto, non era così male.
Dopo vari minuti di pestaggio, Asinna riuscì ad ottenere una crema densa. Tornò verso di lui e lo guardò, una scintilla nelle iridi color giada. Thranduil si rese conto che qualcosa l’aveva contrariata.
- Volete fare voi?
Scosse la testa. Meglio lasciar fare a lei, decisamente più esperta. Trattenne il respiro quando le sue dita, più delicate di quanto si aspettasse, sfiorarono la sua pelle. La sensazione di fresco sulla ferita pulsante gli fece alzare la testa verso l’alto con un sospiro profondo, donandogli un rapido sollievo che presto svanì.
- Fatto, ricopriamo tutto. Dovete riapplicarlo nello stesso modo prima di dormire, dopo aver tolto questo che ho messo con dell’acqua tiepida. Avete messo la crema sul graffio in viso?
Thranduil annuì, mentre lei riavvolgeva la vecchia fasciatura attorno alla sua vita, trattenendo un sorriso amaro. Fosse stato solo un graffio, quello che gli deturpava il volto.
- Bene.
Il sovrano di Bosco Atro si rimise la camicia addosso, abbottonandola fino a poco più sotto delle clavicole. La donna bevve un bicchiere di acqua, appoggiandosi al piano della cucina, fissando pensierosa un punto tra il camino e la parete.
- Cosa c’è?
Distolse lo sguardo riluttante, guardando il volto serio dell’elfo con dubbiosità.
- Ho incontrato una persona strana, che diceva cose davvero strane.
- Sono molti i saggi travestiti da matti.
Lei sbuffò.
- Non saprei proprio quale dei due fosse, se matto o saggio.
- Cosa vi ha detto?
- Non ha importanza.
Asinna posò il bicchiere e si diresse verso la porta, dopo aver rimesso a posto le boccette e le bende. Lui la seguì fino al retro della casupola, dove c’era un piccolo recinto che facendo il bagno nel ruscello, quella mattina, non aveva notato. Accanto, i solchi nel terreno di un piccolo orto ricoperto da una tettoia composta di rami intrecciati; non erano ancora nate le piante, e la terra era scura e umida.
Si rimproverò, chiedendosi da quando fosse diventato così distratto.
Nel recinto c’era un’anziana capra che belò quando vide la giovane avvicinarsi. Thranduil non poteva sentire, ma dal modo in cui Asinna si inginocchiò ad accarezzarla era sicura che si stesse rivolgendo all’animale come spesso aveva visto gli umani rivolgersi ai cani o ai gatti, con una voce molto più acuta del normale. Non capiva davvero perché gli uomini lo facessero, ma immaginava di non poter arrivare a capire molte cose di creature che si professavano sagge e poi non sapevano nemmeno come evitare di scatenare conflitti sanguinosi per una gallina rubata.
La donna si voltò verso di lui, indicando la capra. L’animale lo guardò con gli occhi scuri e aprì la bocca emettendo un suono inudibile per l’elfo.
- Mirtilla – lesse sulle sue labbra. La guardò con velato disprezzo.
- Mirtilla? – Asinna lo fulminò sentendo la vena canzonatoria nella sua voce. Thranduil si appoggiò alle assi di legno del recinto, mentre la donna si avviava verso il piccolo pollaio e si chinava. La capra spinse la testa contro la sua mano e il re degli elfi girò il palmo, lasciandosi annusare, per poi accarezzare la sua testa morbida e candida.
- Mirtilla – mormorò, e la vide belare di nuovo.
L’umana riemerse dal pollaio, tenendo in mano un paio di uova. Si fece strada verso di lui, che bloccava l’entrata al recinto e non si mosse, fissandola intensamente quando arrivò vicino a lui.
- Cosa? – esclamò lei.
- Posso mandare un messaggio?
Asinna aggrottò le sopracciglia, confusa.
- Non ci sono corrieri, qui. Il villaggio è formato da esuli che si sono ritirati nella solitudine di queste montagne senza che nemmeno il re degli elfi lo sapesse. Sono qui da una decina d’anni, cacciati dalle loro case dopo che gli Orchi le hanno rase al suolo e non hanno lasciato loro scelta se non inoltrarsi nel bosco, perché tutto ciò che c’era attorno era stato ridotto a terra bruciata. Vivono del loro lavoro e della terra, null’altro. Non sono collegati con l’esterno. Quindi non vedo come possiate, non c’è nessuno che potrebbe avventurarsi nella foresta.
L’elfo emise un lieve sospiro, guardando la capra nei suoi grandi occhi dolci e scuri. Non era la risposta che si aspettava, e non poteva permettersi di rimanere inattivo così a lungo.
- Avrò bisogno di un cavallo, almeno per allontanarmi dalle vicinanze del villaggio.
Asinna si strinse nelle spalle, esitando. – Potrei convincere alcune persone a prestarvelo, ma dovrete lasciare in pegno qualcosa.
- Il che mi ricorda qualcosa. Avevo degli anelli indosso, quando sono stato attaccato.
La donna annuì. – Sì, li ho tenuti io. Dopo ve li darò. Ve li ho tolti perché… be’, durante il viaggio non ero con persone di cui propriamente mi fidavo.
Lui inclinò la testa.
- Perché viaggiavate con loro allora?
- Era l’unico modo per tornare a casa sana e salva. Ora mi fate passare, di grazia?
Thranduil si scostò dall’entrata del recinto, aprendolo lui stesso, dato che lei aveva le mani impegnate. Gli rivolse un brusco cenno per ringraziarlo, e l’elfo la seguì di nuovo in casa.
- Avete parlato del re degli elfi. Che opinione avete di lui?
Asinna sbuffò visibilmente, afferrando il libro nero e sedendosi sullo sgabello dondolante. Thranduil studiò il suo volto. Non esitò un attimo mentre parlava.
- Penso che avrebbe risparmiato un sacco di sofferenza se si fosse deciso a intervenire prima. Non so cosa l’abbia spinto a cambiare idea, ma per fortuna l’ha fatto. Questa foresta è diventata inquietante. Prima i ragni, ora anche gli orchi… fossi stata in lui, sarei intervenuta molto prima. Del resto, è da tempo che hanno invaso il suo territorio. Avevo sentito fosse avido e non tollerasse estranei nel suo regno, ma a giudicare dalle sue azioni queste voci sulla sua personalità non mi sembrano molto coerenti con le sue azioni. Non è intervenuto prima a combattere e probabilmente ancora non sa che ai piedi delle sue montagne vive un intero villaggio di uomini. Direi che dovrebbe rivedere la fedeltà delle guardie che pattugliano i suoi territori, e dovrebbe svegliarsi. Anche uno stolto avrebbe capito che c’è in gioco il destino delle nostre terre, e chi ha un tale potere e una tale influenza dovrebbe essere conscio delle responsabilità che derivano dal suo ruolo, non rimanere cieco a ciò che ha davanti agli occhi – concluse lei.
Quando sentì solo silenzio in risposta alle sue parole, alzò lo sguardo ed ebbe un fremito di timore nel vedere il volto intriso di furia dell’elfo. I suoi occhi nuvolosi lampeggiavano di rabbia, mentre una smorfia gli deturpava il volto.
- Senza offesa – aggiunse esitante.
Senza dire nulla, lui scosse la testa con un sospiro altezzoso e andò in camera, sbattendosi la porta alle spalle. Asinna sbatté perplessa le palpebre, per poi sussultare quando la porta si riaprì e l’elfo le si parò davanti, dall’altro lato del tavolo, chinandosi verso di lei e appoggiando le mani affusolate sul legno graffiato. La fissò come un predatore fissa la preda.
- Come potete avere la presunzione di parlare a questo modo di un sovrano?
Asinna chiuse il libro e intrecciò le dita sopra di esso, guardandolo tranquilla.
- So che siete suo suddito, ma pensate. Il ruolo di un sovrano è guidare il suo regno, amministrare ciò che deve essere amministrato, essere di ispirazione per il suo popolo e comportarsi nel modo migliore per chi vive entro i confini del suo regno, il che comprende anche dover prendere decisioni che altri non avrebbero il coraggio di prendere. Lui ha scelto di limitarsi a difendere i suoi confini dall’invasione dei ragni, solo finché essi rimangono nel suo territorio. Quanti elfi sono morti in questa difesa senza fine? E quanti sarebbero morti invece andando direttamente alla fonte anni e anni fa, eliminando la radice del problema? Di sicuro meno di quanti ne siano rimasti feriti o uccisi durante gli attacchi infiniti di quei mostri. E pensate a quanti altri luoghi quei ragni hanno devastato, essendo semplicemente cacciati via e non uccisi definitivamente dalle guardie del re solo perché avevano oltrepassato i confini del regno ed erano ormai fuori dalla giurisdizione degli elfi.
Thranduil sentiva l’irritazione crescere sempre di più. Eccolo lì, lui, sovrano degli Elfi da prima di quanto un uomo potesse immaginare, che doveva stare ad ascoltare la predica di un’insulsa umana sul suo ruolo e sulle sue responsabilità.
- Pensate se fosse intervenuto prima. La foresta non sarebbe conciata in questo modo, una pallida ombra oscura di ciò che era. Una volta il nome di questo posto non era Bosco Atro. Lo è diventato perché il vostro re non ha avuto il coraggio di guardare in faccia la realtà e capire che era ora di combattere. Non so se per codardia o altre ragioni, ma ha portato la foresta e i suoi abitanti sull’orlo del baratro, tra le grinfie di quei mostri orrendi.
Thranduil sbuffò. Ribolliva di rabbia.
Ribolliva di rabbia perché in quelle parole risentiva l’eco di ciò che il suo stesso figlio gli aveva detto. Di ciò che Gandalf, Bilbo gli avevano detto; dei sussurri che risuonavano a palazzo, mentre i suoi sudditi si chiedevano perché il loro sovrano insistesse a perseguire quella linea difensiva estenuante, mentre i ragni aumentavano sempre di più e i primi orchi si azzardavano ad avvelenare il suo regno.
Erano le parole che confermavano ciò che lui stesso sapeva e che si rifiutava di accettare. Che aveva sbagliato, e che a causa del suo errore già in troppi avevano sofferto.
Asinna si alzò e si diresse verso un cassetto. Estrasse qualcosa, girandosi verso di lui e porgendogli gli anelli sul palmo della mano. I suoi occhi erano grandi, ed esprimevano una sincerità che colpì il re degli elfi.
- Io non pretendo di sapere le ragioni che hanno spinto il vostro sovrano ad agire così. So solo che sono grata che abbia finalmente deciso di fare qualcosa. Lui può salvare molte persone, e non solo i suoi sudditi. Ogni tanto, si sentono degli strani rumori qui, anche di notte. Molte volte mi sono svegliata in preda al panico, pensando che fosse giunta la mia ora. Sono rimasta qui perché non saprei dove altro andare. Ma ora che il vostro re ha deciso di muoversi e scendere in campo, so che c’è una possibilità anche per me di vivere tranquilla, senza più risvegliarmi terrorizzata mentre sento quelle creature correre nella foresta fin troppo vicine a noi.
Avvicinò la sua mano a quella più grande dell’elfo, che aprì le lunghe dita, rimanendo in silenzio. Le sue parole avevano colpito una parte profonda di lui, anche se avrebbe voluto rimanere immune a quell’emozione che gli smuoveva il cuore. Thranduil si era già ripromesso di fare del suo meglio, in quella guerra, per suo figlio. Ma guardando quegli occhi di giada si ripromise di vincere non solo per Legolas, ma per tutti gli innocenti che aveva mancato di proteggere negli anni in cui si era ostinato a rimanere cieco nell’ombra, e per tutti gli innocenti che non erano in grado di difendersi da soli.
Gli anelli caddero nel suo palmo, e il re degli elfi osservò le pietre lucenti e preziose.
- So che non siete un elfo comune – alzò lievemente le sopracciglia, mentre la sorpresa si disegnava sul suo volto etereo nel leggere quelle parole. Asinna sorrise.
- La sarta ha detto che i vostri vestiti erano fatti di uno dei più pregiati tessuti elfici, uno che ben pochi possono indossare. Mi dispiace avervi dato fuoco, magari i vostri sarti avrebbero potuto riusare il tessuto intatto. Se volete ho ancora i pantaloni, però.
Le lunghe ciglia nere di Thranduil si abbassarono lievemente. Non era tenerezza quella che provava, assolutamente no. Quell’umana non poteva immaginare chi si trovasse davvero di fronte. I suoi sarti avrebbero creato delle vesti ancora più meravigliose di quella che era ormai perduta senza alcun bisogno di riciclare materiale. Se c’era una cosa per cui Thranduil pretendeva perfezione, erano i ricchi vestiti con cui impressionava ogni suo suddito, ogni volta che avevano la fortuna di scorgere il loro sovrano. Un re non poteva governare vestito come un contadino; parte del suo potere e della sua influenza risiedeva anche nell’apparire sempre al massimo del suo potere, nel piegare le menti di coloro che avevano il privilegio di scorgerne la figura con la meraviglia della sua apparizione, e questo non poteva avvenire con vesti rattoppate.
- Non vi preoccupate. Mi avete salvato la vita, ed è più preziosa di qualunque tessuto – disse. Lei annuì, fissando una ciocca dei suoi capelli.
- Siete vicino al re? – chiese.
- Molto – disse dopo un lungo silenzio Thranduil. Non sapeva perché avesse deciso di rivelare quella verità distorta, ma sentiva che era una briciola di verità che poteva concedere a colei che gli aveva salvato la vita. Per quanto fosse umana e non l’avrebbe più vista in vita sua, e l’avesse appena insultato nel profondo con le sue parole sconsiderate.
Asinna lo guardò per qualche istante, osservando i lineamenti ora calmi del sovrano.
- Cosa pensate?
- Penso che nelle vostre parole ci sia un’eco di verità, per quanto non mi piaccia.
La donna prese i vestiti ripiegati che erano rimasti nella sua borsa. Mentre li tirava fuori, lo sguardo acuto del re colse un angolo di quella che sembrava una lettera spuntare dal suo interno. Prese gli indumenti, sulla cui cima svettavano i pantaloni elfici, chinando la testa in segno di ringraziamento.
Asinna si stupì della sua improvvisa accondiscendenza. Il carattere combattivo e impetuoso che aveva dimostrato il giorno prima e quella mattina si stava mitigando, forse?
- Quanto avete speso? – lei scosse la testa con un sorriso, nonostante quegli occhi cristallini le pesassero addosso.
- Non preoccupatevi.
Era lei a doversi preoccupare, in realtà. Aveva speso più di quanto avesse in mente di fare, e i suoi risparmi stavano cominciando ad assottigliarsi sempre di più. Sperava davvero che l’orto che aveva cominciato a coltivare desse presto i suoi frutti, o sarebbe stata nei guai. Da sola avrebbe anche potuto cibarsi di radici ed erbe trovate nella foresta, ma l’elfo aveva bisogno di riprendere le forze e non poteva permettersi di rimanere a dieta. Avrebbe dovuto spendere gli ultimi soldi rimasti per nutrirlo a dovere, e pregare che l’orto si popolasse presto di verdure.
- Cosa mangiamo per cena? – sentì la voce melodiosa dell’elfo risuonare dietro di sé. Sorrise.
- Pensavo di mangiare delle uova, con verdure varie e pane e burro.
L’elfo inarcò un folto sopracciglio, mentre si accomodava su una sedia verniciata di blu. Quella non era traballante, notò con soddisfazione. Il sorriso gli morì sulle labbra quando l’umana gli mise davanti un tagliere e un coltello, con delle patate davanti. La fissò contrariato. Dalla sua faccia allegra, era evidente che l’idea di farlo lavorare le sembrava molto divertente, ma lui non era dello stesso parere.
- Forza – lo incitò, sedendosi dalla parte opposta con un mucchio di zucchine. Incominciò a tagliarle con movimenti rapidi, che tradivano quanto fosse abituata a cucinare.
Lo stesso non si poteva dire del re degli elfi, che scoprì che sbucciare le patate non era così facile come sembrava.

Mentre Asinna era voltata di spalle per riempire i piatti delle verdure miste che aveva cotto sul fuoco, Thranduil notò che dalla scollatura del vestito si vedeva un pallido graffio sbucare dal tessuto verde che ricopriva la sua schiena. Aggrottò le sopracciglia. Anche se poteva solo vederne un’estremità, sembrava una cicatrice abbastanza grossa, che spiccava sulla sua pelle pallida come un tulipano tra i bucaneve.
Distolse lo sguardo e afferrò il piatto che gli porse, appoggiandolo al tavolo. Non era di certo la cena che era solito mangiare a palazzo, su cui i cuochi passavano ore a lavorare, ma si rese conto che sembrava avere un gusto diverso. Era soddisfatto, nonostante fosse una cena povera e poco raffinata, solo grazie al fatto che aveva contribuito lui stesso a prepararla.
- Avete detto che siete vicino al vostro re – lesse sulle labbra rosate della donna. Annuì, bevendo un sorso d’acqua, curioso di sapere cosa avrebbe detto. Lei posò il cucchiaio per afferrare una fetta del pane che avevano fatto e spalmarci un tocco di burro. Glielo porse e Thranduil accettò con un cenno del capo, sorpreso.
- Com’è?
Tra tutte le domande, era quello che lo metteva più in difficoltà. Avrebbe davvero dovuto descrivere se stesso agli occhi di quell’umana curiosa fingendo di essere un’altra persona? Se qualche giorno prima avesse saputo in che situazione si sarebbe trovato, non ci avrebbe di certo creduto. Sembrava irreale -uno scherzo del destino che avrebbe fatto sorridere persino suo figlio, che da lungo tempo non sorrideva più.
Ponderò a lungo le parole che avrebbe detto, domandandosi quanto potesse mentire e quanto potesse dire la verità.
- Di sicuro ha fatto quello che riteneva meglio fare per il suo popolo.
Asinna scosse la testa.
- Già lo so questo. Intendevo come è di persona. Non ho mai visto elfi oltre a voi, e i vostri compagni caduti – fece una breve pausa, esitando allo sguardo intenso del suo interlocutore, chiedendosi se potesse dar voce a domande che sarebbero sembrate impertinenti ma erano solo frutto di una curiosità sincera. - Siete tutti simili nell’aspetto? Anche lui è biondo? Fa paura o è un sovrano che mette a suo agio le persone? Si mostra spesso ai suoi sudditi, e come è in quelle occasioni? Per dire, i bambini scappano davanti a lui o vogliono essere presi in braccio?
Thranduil era rimasto spiazzato. Per una volta, era stato davvero colto di sorpresa. Si sarebbe aspettato tutt’altro tipo di domande: magari relative alle sue decisioni in guerra, agli schieramenti dei suoi soldati, o sul suo ruolo in battaglia. Non si aspettava di certo che lei fosse curiosa riguardo alla sua personalità.
Ben pochi lo erano mai stati. O se lo erano stati, nessuno di loro aveva mai avuto l’ardire di trovare risposte dirette alle sue domande, e avevano soddisfatto la loro curiosità con i pettegolezzi e i sussurri che correvano tra i servitori. Il re era conscio che a causa della propria posizione nella gerarchia sociale era destinato a essere visto come uno strumento, un alleato da attirare o un nemico da ammansire. Mai nessuno chiedeva quali fossero i suoi gusti, i suoi interessi, i suoi pensieri; chiedevano quali fossero le idee del sovrano, le mosse che avrebbe attuato, le decisioni che avrebbe preso. Ma non si chiedevano chi fosse davvero.
Sbuffò, sconcertato, appoggiando la schiena alla sedia e fissando la donna con un’espressione così sbalordita che lei quasi soffocò mentre stava bevendo dell’acqua. Tossì e le sue guance divennero cremisi.
- Non… non volevo offendervi – balbettò, cercando di prendere aria.
- Non l’avete fatto – esclamò Thranduil. La fissò corrucciato. – Riuscite a respirare?
Lei annuì, tossendo a fatica. Il re lasciò che riprendesse fiato e che le sue guance tornassero di un colore normale prima di aprire bocca. Solo allora, mentre i suoi grandi occhi verdi lucidi lo fissavano confusi, parlò.
- Non molti lo conoscono bene da quel punto di vista. Riguardo alle vostre domande, noi elfi siamo simili dal punto di vista fisico, ma fino a un certo punto. Pochi nel nostro regno hanno i capelli chiari, il sovrano e suo figlio sono alcuni di loro. Siamo generalmente più alti degli umani, e il nostro addestramento fin da piccoli fa sì che i nostri corpi siano più agili e forti dei vostri.
Fece una pausa, addentando il pane che lei gli aveva dato. Il sapore dolce del burro contrastava con il sale, ma rimase sorpreso nell’accorgersi che lo trovava squisito.
- Il sovrano non si mostra spesso, solo nelle occasioni di festa o nelle cerimonie importanti, e ultimamente non ce ne sono state. Quando lo fa… pochi hanno il coraggio di guardarlo in faccia. Il suo ruolo prevede che non sia amichevole con chiunque incontri. Questo ovviamente non significa che sia maleducato con i suoi sudditi. Semplicemente, è… distante. E i nostri bambini sono pochi – aggiunse. – Da quando il male è calato su queste terre, il nostro popolo ne ha risentito. I bambini sono pochi, e non ridono più come una volta.
Calò il silenzio, mentre Asinna assimilava quelle informazioni e Thranduil rifletteva sulle proprie parole. Non si era mai guardato da un’altra prospettiva, ed era strano riflettere come fosse a capo di un popolo eppure non avesse legami con pressoché nessuno, all’infuori di suo figlio e degli elfi che rivestivano le cariche più importanti nell’esercito.
- Ha un figlio, avete detto?
Annuì.
- E lui è simile a suo padre?
L’ombra di un sorriso malinconico apparve sulle labbra dell’elfo, mentre abbassava lo sguardo lucente di dolore.
- Il figlio del re è cresciuto in fretta, fin troppo in fretta. Ha imparato che la distanza con cui suo padre ha tenuto a distanza il mondo non poteva funzionare per lui.
Asinna rimase muta. Avrebbe voluto porre altre mille domande, ma l’aria triste del suo ospite le impedì di affondare il coltello nella dolorosa ferita di cui persino lei, estranea e di una razza diversa, riusciva a intuire la profondità, grazie a quelle sofferenti iridi perlacee perse nel vuoto. Finirono di mangiare in silenzio, e sempre in silenzio rimasero per l’intera sera, anche quando lui la seguì fuori e rimasero seduti sull’erba a guardare la notte trapuntata di stelle, i capelli smossi da una lieve brezza che arrossò le loro guance, i cuori persi a rimirare lontani frammenti del loro passato, le dita strette attorno a infusi caldi che scaldavano i loro corpi ma non le loro anime sofferenti.
 
 
 



 

Angolino dell'autrice:
Buonasera (:
Ecco qui un altro capitolo. Avevo in mente di aggiornare domani, ma ho deciso di anticipare!
Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento! Abbiamo avuto modo di vedere una conversazione piuttosto interessante tra i nostri due personaggi... finalmente forse, dico forse, stanno iniziando ad abituarsi alla reciproca presenza, nonostante i battibecchi! Quale è stata la parte che vi è piaciuta di più?
Devo dire che una delle parti che mi sono divertita di più a scrivere è quella in cui Thranduil viene costretto ad abdicare ai suoi regali privilegi e darsi da fare... probabilmente le patate sono diventate uno dei suoi incubi più ricorrenti eheh...
E nulla! Spero di esser riuscita ad accendere la vostra curiosità, sia nei confronti di Asinna che del nostro re... ditemi se vi è sembrato in character, perché è una delle mie più grandi paura non rispettare il carattere del personaggio u.u 
Se avete voglia, lasciatemi un commento o una vostra riflessione! Mi farebbe molto piacere sentire la vostra!
A sabato prossimo!
Anna 

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Capitolo 4
*** IV ***


 

IV

 


Quella mattina Thranduil si riscosse dal suo sonno leggero con un brivido. Ancora una volta, la sua mente era sprofondata in cupi abissi e aveva dato vita ai suoi incubi più profondi. Osservò i fiori intrecciati sopra alla sua testa, con un sospiro, prima di mettersi seduto.
Le ferite dolevano ancora, e procedette a svolgere le bende e pulire con acqua tiepida quella al ventre, applicando di nuovo l’unguento. Il gonfiore era diminuito, ma aveva l’impressione che il fastidio non gli avrebbe dato tregua, nelle lunghe giornate a seguire.
Il re degli elfi si riavvolse nella fasciatura e osservò i vestiti che la donna gli aveva procurato il giorno prima. I due pantaloni erano neri, una camicia era bianca e l’altra di un azzurro pallido; c’era anche una tunica di un grigio molto più rozzo rispetto a quello cui era più abituato, ma pazienza. Sarebbe tornato presto a vestirsi sfarzosamente.
Indossò i pantaloni e la camicia azzurra, intrecciando alcune ciocche di capelli in una pettinatura simile a quella che vedeva sempre addosso a Legolas. Gli mancava, gli mancava come l’aria a un naufrago trascinato sott’acqua dalla corrente, ma non poteva fare altro che rivolgergli il suo pensiero sperando che non incontrasse ostacoli sul suo cammino e che le stelle illuminassero la sua via.
Uscì dalla stanza, mentre la luce fioca cominciava a rischiarare la casa. Si fermò nel vedere la donna appisolata sulla poltrona davanti al camino, stupito. Pensava che ci fosse un’altra stanza, oltre la seconda porta accanto al camino, e che lei dormisse lì. Non si era di certo immaginato che lei riposasse su quella scomoda poltrona ogni notte perché lui stava occupando il suo letto. Di certo lui non l’avrebbe mai fatto.
Scosse lievemente la testa, sbuffando.
Il re degli elfi non provava mai tenerezza. E soprattutto non era intenerito dal vederla rannicchiata contro i cuscini rossi, il collo piegato sulla spalla in cerca di un inesistente appoggio e le braccia incrociate sul petto, una coperta buttata addosso a coprirla malamente. Si avvicinò, lentamente, e le aggiustò i lembi della stoffa di lana per coprirle anche le spalle, giusto perché si sentiva in debito per aver dormito nella sua stanza. Ma la sua gratitudine terminava lì. Del resto era stata lei a scegliere di ospitarlo, non era colpa sua se la donna era altruista. Avrebbe anche potuto farlo dormire per terra, anche se in quel caso si sarebbe attirata la sua ira eterna.
Thranduil si avvicinò silenziosamente al piano dove afferrò una pentola. La riempì d’acqua e l’appese al gancio sopra al fuoco, dopo aver mormorato una parola in elfico per esortare le fiamme ormai spente a ravvivarsi. Non usava la magia, ma talvolta riusciva a incanalare l’energia degli elementi naturali e a fare piccoli incantesimi di quel tipo, sfruttando la sua sintonia con la foresta.
I ciocchi nel camino presero fuoco e l’elfo mise in infusione le erbe del tè.
Quando si voltò, dopo essere rimasto a lungo immobile ad osservare il sole che saliva in cielo dalla finestra, si accorse che Asinna era sveglia e lo fissava, avvolta dalla coperta.
- Buongiorno – disse, coprendosi la bocca per nascondere uno sbadiglio. Si alzò con una smorfia, massaggiandosi il collo dolorante.
- Buongiorno – rispose lui.
- Cosa state facendo? – chiese curiosa lei. Lui si strinse nelle spalle, con indifferenza.
- Ero sveglio e volevo del tè.
Asinna guardò le fiamme che scoppiettavano nel camino, corrugando la fronte.
- Come avete fatto ad accendere il fuoco senza fare rumore?
Thranduil inclinò le labbra in un accenno di sorriso, incrociando le braccia con aria di superiorità.
- Questo è un segreto.
Asinna si imbronciò e gli si avvicinò, posando la mano sul suo braccio per spingerlo via così da poter aprire la credenza e afferrare due tazze. Thranduil fu rapido ad anticipare il suo movimento e scostarsi, così che le dita della ragazza riuscissero a sfiorarlo appena. Gli uomini basavano le loro interazioni sul contatto fisico, ma per gli elfi non era lo stesso, e constatare che lei aveva lo stesso istinto anche nei suoi confronti, anche se estraneo, lo sbalordì.
Se uno dei suoi sudditi si fosse permesso di toccarlo, si sarebbe ritrovato in cella in meno di un minuto. Però quell’umana non era un suo suddito e non conosceva le abitudini elfiche, e solo per quel motivo Thranduil non si arrabbiò, dopo un iniziale fastidio.
Asinna non notò nulla, ma controllò a che punto era il tè, mentre il sovrano di Bosco Atro individuava il cassetto dove l’aveva vista posare il pane il giorno prima e lo tirava fuori, per poi prendere due piatti. La mensola era talmente alta che lei doveva allungarsi in punta di piedi per arrivarci, ma lui riuscì a raggiungerla facilmente. Mentre stava abbassando il braccio uno spasmo gli attraversò i muscoli, partendo dalla ferita, e le sue dita si aprirono d’istinto, lasciando andare i piatti, che si schiantarono sul pavimento. Thranduil imprecò in elfico, mentre con la coda dell’occhio vide Asinna rischiare di bruciarsi con l’acqua bollente per lo spavento.
Non sentì l’urlo che uscì dalle sue labbra, ma la vide spostarsi di scatto mentre rovesciava il tè per terra e alzava lo sguardo spaventata, come un cerbiatto colto dal panico alla vista di un lupo affamato.
La donna si portò una mano al petto, dopo aver posato tutto ciò che aveva in mano, e si inginocchiò per afferrare i cocci nello stesso istante in cui lui faceva altrettanto.
- Lasciate fare a me – disse l’elfo, mentre lei esclamava di lasciar stare. Nello stesso momento, la vide sussultare e ritrarre di scatto la mano dai cocci. L’elfo le guardò la mano e vide comparire sulla pelle morbida del suo palmo una mezzaluna rossa.
- Maledizione – esclamò Asinna, agitata.
Il sonno che prima le annebbiava ancora la mente se ne era definitivamente andato. Lo spavento le aveva fatto accelerare i battiti del cuore, che le martellava in petto come un tamburo, e aveva il sospetto che le sue guance fossero del colore delle ciliegie mature.
Fu colta da un brivido quando l’elfo le afferrò la mano tra le sue, con una presa decisa ma delicata.
- Ferma – disse, guardandola con intensità. Le sue mani erano grandi il doppio di quelle della donna, e le sue dita erano fredde contro la sua pelle.
Asinna si alzò, turbata, mentre l’elfo andava a prendere una delle boccette disposte sulle mensole e apriva il cassetto dove teneva le bende. Il sangue si era raccolto in una piccola pozza sulla sua pelle decorata da lentiggini, e Asinna la sciacquò velocemente. L’elfo tornò da lei e le afferrò il polso, tenendole ferma la mano mentre rovesciava la soluzione disinfettante sul suo palmo. Lei fece una smorfia nel sentire un bruciore improvviso divorarle la pelle, e Thranduil la guardò di sottecchi.
- Mi dispiace. È stata la ferita.
Lei annuì e aspettò con pazienza che lui finisse di avvolgerle la garza attorno alla mano e ne annodasse l’estremità, fissando le sue lunghe dita inanellate lavorare precise e metodiche.
Thranduil avvertì che c’era qualcosa che non andava. Non perché lei sembrasse arrabbiata o sofferente; gli occhi verdi della donna erano fissi sulle sue mani, ma in realtà sembravano guardare un punto lontano nel tempo, nel suo passato. La sua espressione era vitrea, immobile, come se si fosse persa in un ricordo.
- Asinna? – il suo richiamo non servì a riscuoterla. Thranduil inclinò la testa, incerto.
- Asinna – ripeté più forte. Lei sobbalzò e tornò a fissarlo, ritraendo di scatto la mano e stringendola al petto.
- Sì – mormorò in un soffio. Sembrava turbata, e distolse lo sguardo, allontanandosi da lui. – Sì, scusate.
Gli dava le spalle, e il re degli elfi ebbe l’impressione che dicesse qualcosa, ma ovviamente non poteva sentire. Rimase a fissarla, odiando sentirsi così incerto e impotente, finché lei scosse la testa e uscì dalla casa, lasciandolo da solo.
Thranduil sospirò. Non capiva cosa fosse successo, ma forse l’episodio l’aveva fatta sprofondare in alcuni ricordi spiacevoli. Era successo più volte anche a lui, quando nel palazzo risuonavano i canti e le risate dei suoi sudditi durante i festeggiamenti per la luna piena, e lui era rinchiuso nelle sue stanze, a guardare le stelle immobili e lontane e ad annebbiare la mente con il vino per allontanare il dolore, ricordando quando millenni prima era solito danzare tra quelle risate, sorridere durante la festa, stringendo tra le braccia la compagna della sua vita. Si chinò a raccogliere i cocci per terra, posandoli sul piano, per poi asciugare il pavimento con uno straccio. Versò in due tazze il tè rimasto, che era comunque abbondante, e uscì.
La donna era seduta sul prato davanti alla casa, vicino a dove esso sprofondava verso il basso e si trasformava in un sentiero che scendeva al villaggio. Fissava il bosco davanti a loro, rannicchiata su se stessa. Thranduil la raggiunse, fermandosi qualche passo indietro, e rimase immobile ad aspettare finché lei girò il capo verso di lui e gli fece un piccolo cenno.
Il sovrano di Bosco Atro si sedette di fianco a lei, allungandole una delle tazze senza parlare. Lei avvolse la mano bendata attorno alla ceramica e appoggiò la fronte sul suo bordo.
- Scusate – mormorò.
Lui scosse impercettibilmente la testa. Le sue iridi vertevano al grigio, nella luce del mattino presto. Erano incantate, mentre osservavano le folte chiome verdi e ammiravano la maestosità della natura.
- Non siamo svegli nemmeno da un’ora e già questa mattinata si è rivelata un disastro – commentò asciutto. Si girò stupito quando vide che le spalle di lei sussultavano. Con il volto coperto dai ricci, all’inizio Thranduil fu preso dall’incertezza -e dall’orrore- pensando che stesse piangendo. Poi lei gettò la testa all’indietro, rivelando un sorriso ampio e due occhi lucidi sì di lacrime, ma per le risate.
- Non è un disastro per niente, anzi – disse tra sé e sé. Si asciugò le lacrime e tirò su col naso.
Il re degli elfi riportò lo sguardo sulla foresta davanti a sé, con una sorta di strana rassegnazione. Di certo aveva più probabilità di comprendere quella, che non la donna accanto a lui.

Quando rientrarono, facendo colazione, Thranduil decise che era arrivato il suo turno di porre domande. Mentre tagliava una fetta di mela rossa, fece attenzione a sembrare il più ingenuo possibile.
- Da quanto vivete qui?
Asinna stava masticando un acino d’uva. Si fermò, con le guance gonfie come uno scoiattolo, alzando un sopracciglio.
- Regola due.
L’elfo emise un lieve sbuffo. – Non vi sto chiedendo il vostro più profondo segreto.
La donna strinse le labbra e mangiò un altro paio di acini prima di degnarlo di una risposta, fissando la pianta di basilico tra loro.
- Da un anno circa.
- La casa era già qui?
Lei annuì. – Penso fosse di qualche eremita. Sono arrivata e ho trovato il villaggio. Per qualche mese sono rimasta lì, ma avevo bisogno di solitudine.
- E… - Thranduil si fermò appena in tempo. – Mirtilla?
Asinna lo guardò sorpresa e lui nascose un sogghigno. Sapeva che usare il nome proprio della capra invece che chiamarla semplicemente “animale”, dopo che il giorno prima l’aveva presa in giro per la sua infantilità, l’avrebbe spinta ad essere più accondiscendente.
- Mi è stata regolata da un’anziana del villaggio che non poteva prendersene più cura.
- Quanti anni avete?
La sua domanda suscitò l’irritazione della donna, che gli scoccò un’occhiata in tralice.
- Tra gli elfi non è maleducazione chiedere l’età?
- Sì, ma dato che noi siamo in circostanze particolari non vedo perché parlare di cose di poco conto come questa. Non vi vedrò più, dopo questi giorni.
Asinna abbassò lo sguardo, schioccando la lingua. Thranduil esitò. Era stato troppo duro?
Non era mai stato bravo a parlare con le persone. Era da lungo tempo che non parlava con qualcuno. Un tempo se la cavava, ma era stato secoli prima. Nemmeno con suo figlio aveva avuto da decenni una conversazione affettuosa, o triste, o rabbiosa. Ogni scambio che avevano era semplicemente… piatto. Non c’era nessuna emozione, o se c’era, era nascosta in profondità. Non era abituato a misurare le parole, non aveva mai dovuto farlo, essendo un re. Poteva scaraventare la sua rabbia su chiunque volesse, parlare in qualsiasi modo senza conseguenze. Ma ora era diverso: aveva di fronte un’umana, i cui sentimenti erano più volubili dei suoi. E dalla sua disponibilità verso di lui dipendeva la sua riabilitazione, per quanto detestasse quell’idea, quindi avrebbe dovuto fare più attenzione.
Le sue riflessioni furono interrotte dalla risposta dell’umana.
- Ho venticinque anni.
Decisamente oltre l’età da marito.
- E siete sola come avete detto?
Asinna sbuffò, lisciando la superficie bianca della benda.
- State facendo troppe domande. Non sapevo che gli elfi fossero così curiosi.
- Non sapete molte cose degli elfi.
Lei si strinse nelle spalle. – Vero. Ma solo perché non è facile reperire informazioni su di voi.
Thranduil addentò del pane su cui aveva steso uno spesso strato di marmellata alle more. Più spesso di quanto avesse mai permesso al piccolo Legolas.
- Vi piace studiare?
- Prima, sì. Ora non ho molte possibilità. Sono nel mezzo del nulla.
- Per vostra scelta.
- Vero.
- Cosa vi ha portata qui?
Lei si fermò con la tazza di tè a mezz’aria, e lui seppe di aver raggiunto il limite.
- Regola due.
- Va bene.
Finirono di mangiare in silenzio. Mentre sparecchiavano, Asinna gli lanciò un’occhiata strana.
- Cosa? – chiese Thranduil.
- Non mi avete fatto assaggiare per prima.
- Nemmeno ieri sera, se è per questo – ribatté lui. Lei gli posò davanti una brocca che conteneva l’infuso di foglie di re ed erbe che avrebbe dovuto aiutarlo a riprendere le forze e a impedire eventuali infezioni.
- Avete deciso che volete essere avvelenato?
Lui sorrise appena, anche se le parole dell’umana l’avevano genuinamente divertito. Si versò in un bicchiere il liquido fumante, storcendo il naso al suo odore pungente.
- Ho deciso di fidarmi.
- Molto imprudente da parte vostra. Dopotutto, è solo da quattro giorni che siete nelle mie grinfie. Non avrei potuto uccidervi in qualunque momento, assolutamente – lo canzonò.
L’ironia della ragazza gli fece alzare gli occhi al cielo, appoggiandosi teatralmente allo schienale della sedia -questa sembrava non avere nessun difetto- e incrociando le gambe, come spesso faceva a palazzo. Non dubitava di essere comunque uno spettacolo, ma avrebbe voluto essere seduto sul suo trono, giusto per rendere il volto della donna ancora un po’ più rosso.  
- Non siete divertente – la finta nota minacciosa nella sua voce non la scalfì, e anzi provocò un piccolo sorriso. In effetti, secondo i canoni umani quella donna era davvero carina, soprattutto quando i suoi occhi verdi splendevano divertiti in quel modo.
- Assolutamente.
- E voi, quanti anni avete?
- Più di quanti possiate immaginare.
- Mh. Gli elfi sono più longevi degli umani, quindi voi siete più vecchio di quanto sembrate.
Thranduil fece una smorfia annoiata, anche se in realtà la piega che il discorso aveva preso lo stava divertendo molto. La curiosità dell’umana gli ispirava una sorta di tenera compassione.
- Non so nemmeno fino a che età i vostri bambini siano considerati tali.
L’elfo sorrise, godendo della sua curiosità, mentre lei aspettava evidentemente una risposta. Il silenzio si prolungò, tra un intenso scambio di sguardi, finché lui non capitolò e con un finto tono annoiato disse: - Un centinaio di anni*.
Asinna sgranò gli occhi.
- Un centinaio? Però – mormorò, appoggiando una guancia alla mano stretta a pugno. Dal basilico posto tra di loro, tornò a fissare l’elfo, battendo le palpebre.
- Cento anni a me sembrano un’eternità, ma probabilmente per voi non sono che un battito di ciglia. Quanti anni avete? Non riesco davvero a immaginare. Mille?
Thranduil sorrise. Il tono sconfortato della donna lo intenerì, suo malgrado, e decise di porre fine a quell’evidente tortura.
- Ho undicimila anni, circa.
Il re degli elfi per un momento ebbe paura che le venisse un colpo.
A quelle parole, Asinna sgranò gli occhi e lo fissò sconvolta. La sua bocca si spalancò, ma non ne uscì alcun suono, e la richiuse dopo qualche istante, fissandolo come se davanti a sé avesse un orco.
Ci mise una decina di secondi a riprendersi dalla sorpresa.
- Quanti? – esclamò con veemenza.
Thranduil alzò il mento, celando a malapena il piacere e la soddisfazione che stava provando in quel momento.
- Avete sentito.
Asinna voltò la testa per nascondersi allo sguardo dell’elfo. Era ancora sconvolta.
Undicimila anni.
Non riusciva davvero a immaginarsi quante cose quell’elfo avesse potuto vedere, nel corso di quell’eternità. Risaliva a un tempo antico, un tempo che apparteneva alle leggende. Un tempo di cui la maggior parte degli uomini non conosceva nemmeno l’esistenza.
Le erano venuti i brividi.
La voce melodiosa e delicata dell’elfo la risvegliò dai suoi pensieri. Incontrò il suo sguardo ceruleo, privo dell’orgoglio che lo arricchiva di solito, trovandovi solo un’ombra esitante di gentilezza.
- Vi ho sconvolta?
Lei annuì solamente. Non sapeva perché, ma quell’informazione l’aveva davvero scossa nel profondo e si sentiva lievemente a disagio, cosa che non era mai capitata prima, anche quando l’elfo si era dimostrato aspro e pretenzioso. Ed era consapevole che lui potesse leggere tutto questo sul suo volto.
La donna si alzò, rimettendo a posto le tazze ormai vuote e guardando il suo ospite.
- Volevo andare a passeggiare tra gli alberi qui vicino.
Il re degli elfi abbassò la testa.
- Vi accompagno. Se siete d’accordo – aggiunse poi.
Non capiva perché la sua età l’avesse turbata tanto, ma magari la donna aveva bisogno di tempo per stare da sola. Non che a lui importasse, comunque, aveva avuto quel pensiero solo perché nel caso anche lui avrebbe dovuto fare i conti con qualche riflessione.
Ma lei annuì, e un sorriso timido riapparve sulle sue labbra rosate.
- Andiamo.
Thranduil alzò la mano per fermarla.
- Non ve l’ho chiesto prima perché non ne ho avuto bisogno. Ma le mie spade?
Asinna lo guardò a lungo, prima emettere un sospiro.
- Volete portarle con voi?
- Una, sì. Non credo riuscirei a impugnare anche la seconda con la ferita al braccio.
La donna annuì e gli fece cenno di aspettare, entrando nella stanza a lui ancora sconosciuta. Era evidente che l’idea che lui la accompagnasse armato la mettesse a disagio, ma Thranduil non era disposto a cedere. Se fossero stati attaccati non avrebbe potuto difendersi, disarmato.
Riemerse dalla stanza con in mano un fagotto. Lo posò sul tavolo, e l’elfo svolse la stoffa bianca, rivelando la lama scintillante delle sue spade gemelle. Erano ancora incrostate di sangue nero in alcuni punti dove il metallo elfico creava intricati disegni, ma era evidente che Asinna le avesse ripulite, grosso modo.
Thranduil chinò il capo verso la donna.
- Vi ringrazio.


Thranduil si sarebbe aspettato che la donna avesse qualche problema nel camminare a lungo, data la sua corporatura robusta. Lei invece lo sorprese, avanzando con passo lento ma costante, senza che nemmeno le sue guance si colorassero di una sfumatura rosata.
Aveva indossato dei pantaloni neri che le avvolgevano morbidi le gambe e una tunica color rame intenso, che illuminava il verde dei suoi occhi e nascondeva le sue forme abbondanti. Thranduil aveva notato che si vestiva con abiti semplici, ma lo faceva dimostrando di conoscere bene quali colori le donassero e quali no. I suoi capelli ricci quel giorno erano legati in una coda bassa, che lasciava sfuggire alcune ciocche attorno al suo viso.
Seguirono la scia di un antico sentiero che si inerpicava tra gli alberi, lievemente in salita. Dalla piccola radura in cui si trovava la casa si ritrovarono catapultati nel manto fitto e impenetrabile della foresta.
Thranduil sapeva che per un umano Bosco Atro era pericoloso. Tralasciando le creature del male che lo infestavano, i sentieri erano confusi, si intrecciavano e sparivano all’improvviso. E se un umano perdeva la via, era poco probabile che sarebbe sopravvissuto all’esperienza.
Ma Asinna procedeva sicura, anche lì dove il sovrano esitava. Percepiva attorno a sé la forza dei giganteschi alberi, la vita che scorreva nelle radici e nel sottobosco, anche se non era a lui familiare. Quella zona era particolare: il suo regno si fermava più a nord, e solo nell’ultimo tempo durante i combattimenti i confini si erano lentamente allargati scendendo a sud. E le montagne avevano fornito un rifugio perfetto agli umani, nascondendo la loro presenza ai suoi elfi; solo grazie ad esse non aveva scoperto della loro presenza e non erano stati sterminati dai ragni.
- Lo percepite? – Asinna, qualche passo più avanti, si voltò verso di lui per far sì che potesse leggere le sue labbra. Thranduil annuì: sapeva bene a cosa si riferisse. Quella parte del bosco non era tetra; l’atmosfera non era pesante come più a nord o a sud, sembrava una bolla di pace in un territorio infestato. Era come se la foresta si fosse racchiusa su se stessa, proteggendo il suo cuore ai piedi delle montagne, e il villaggio, dall’oscurità che imperava sovrana nel resto del suo corpo e che i suoi elfi combattevano strenuamente.
Nonostante ciò, il sovrano di Bosco Atro non si sentiva tranquillo. Senza il suo udito, non poteva avvertire i rumori della selva, le vibrazioni del terreno e la voce del vento. Era come se una parte del suo essere fosse stata strappata via, e quella mancanza gli provocava una grande sofferenza.
Procedettero per quelle che sembrarono un paio d’ore, seguendo la scia del sentiero che ogni tanto affondava sotto a radici grandi quanto i loro stessi corpi. Thranduil non aveva problemi a saltarle, nonostante le ferite; ma un paio di volte si ritrovò ad aspettare che Asinna le scavalcasse e a tenderle la mano per far sì che non perdesse l’equilibrio. Non gli piaceva doverla toccare, ma meglio così che portarla in braccio fino a casa perché si era slogata una caviglia.
Alla fine, i tronchi massicci e nodosi cominciarono a distanziarsi. Svoltando sul sentiero, Thranduil rimase sorpreso nel vedere davanti a sé un ruscello scorrere rapido verso il basso. Con un balzo agile saltò sopra alla propaggine dell’albero alta la metà di lui che emergeva dalla terra e costringeva a fare il giro attorno al sentiero per proseguire, ostacolando la vista a chiunque si trovasse al livello del terreno, e sorrise meravigliato. Davanti a lui le acque formavano una serie di pozze placide, il cui bordo era formato dalle radici dei giganti; erano talmente cristalline che si poteva vedere il fondo costellato di frammenti di pietre colorate e piante acquatiche.
Con la coda dell’occhio il re degli elfi vide arrivare dalla sua sinistra l’umana, che a differenza sua aveva raggirato la radice fino ad arrivare ad un punto in cui fosse possibile anche per lei scavalcarla. Aveva un sorriso stampato sul volto, e sembrava genuinamente divertita dalla sua meraviglia.
- Come è possibile – mormorò Thranduil.
Stentava a credere che all’interno della foresta fosse rimasto un luogo così puro. Sugli alberi, i suoi occhi da elfo riuscivano a vedere gli uccellini dai manti colorati che cinguettavano allegri; tra le ombre, vide animali correre rapidi a nascondersi ai loro occhi. L’atmosfera lì era la stessa che permeava l’intera foresta secoli prima, quando la natura regnava benigna e sovrana.
Asinna lo raggiunse, guardandolo dal basso. Scosse la testa a un suo pensiero e con il cestino sottobraccio si inerpicò lungo i corpi nodosi degli alberi che contenevano le pozze, inginocchiandosi per raccogliere alcuni funghi che crescevano lungo i loro margini, a contatto con l’acqua cristallina. Thranduil la seguì, senza riuscire a riprendersi dall’aggressiva speranza che gli aveva inondato il cuore, guardando meravigliato attorno a sé. Se c’era un luogo così all’interno della sua foresta, non tutto era perduto.
Dopo lunghi minuti, in cui l’umana procedeva cauta sul legno cercando di non perdere l’equilibrio e non scivolare nelle acque, con l’elfo che saltava con grazia di radice in radice attorno a lei, beandosi della vista di ogni creatura attorno a loro, dai piccoli pesci argentei che schizzavano sul pelo dell’acqua ai pettirossi sui rami, Asinna si fermò per sedersi. Era sul bordo di uno dei laghetti, quello più grande tra tutti quelli che si succedevano lungo il pendio e dopo il quale l’acqua tornava a scorrere in un rivo che scompariva sotto agli alberi.
Il cestino era pieno di funghi dal cappello azzurro e rosa, con dei puntini rossi a macchiare i gambi. Thranduil era sicuro di non averli mai visti. Si sedette accanto a lei, rimirando come la luce filtrasse tra le foglie e sfumasse sulla superficie delle acque. Rimasero in silenzio.
L’unica pecca era non poter ascoltare la foresta. Thranduil sentì una struggente nostalgia invaderlo, mentre guardava attorno a sé in un desolato silenzio.
Ma anche l’umana sembrava provare la sua stessa pace interiore, notò il re degli elfi. Era assorta ad osservare l’ambiente che li circondava, e ad un tratto il sovrano la vide sgranare gli occhi. Istintivamente allungò il braccio per toccare quello dell’elfo, che sentendo le sue dita premere contro i propri muscoli rilassati volse lo sguardo nella direzione in cui le sue iridi color giada erano puntate.
Sentì il cuore mancare un battito.
Il muso bianco di un alce era emerso dall’ombra, dallo spiazzo sotto alle polle d’acqua, e si stava avvicinando a lenti passi. I suoi grandi occhi gentili guardavano il sovrano di Bosco Atro con intelligenza. L’animale era maestoso, e dal manto completamente bianco, ancora più grande del caro alce che il re aveva visto morire con i suoi stessi occhi durante la battaglia dei cinque eserciti.
Thranduil si alzò di scatto, con il cuore che batteva forte in petto e un’intensa emozione che gli stringeva la gola. Sentì gli occhi farsi lucidi, mentre l’alce avanzava lentamente verso di loro, protendendo il grande muso verso il sovrano degli Elfi.
L’esemplare maestoso che era stato il suo fidato compagno e che era morto in battaglia era l’ultimo di una stirpe di antichi spiriti della foresta. Quando era morto, qualcosa si era spezzato dentro di lui, e aveva provato un dolore antico, che gli aveva tolto il respiro. Thranduil non avrebbe mai pensato di poter avere la fortuna di scoprire che un altro era ancora in vita nella foresta dilaniata dal male.
Era a un solo passo di distanza, quando si fermò. Thranduil chinò il capo, mentre una lacrima scorreva sulla sua guancia. Il fiato caldo dell’animale la asciugò, mentre l’alce gli sfiorava la fronte con il muso. Brividi di un’emozione viscerale scossero il corpo del sovrano, mentre una voce antica risuonava attorno a lui, pronunciando parole dimenticate e piene di vita e speranza, facendogli comprendere che non tutto era perduto, che doveva lottare ancora.
L’alce lo fissò per un ultimo momento, gli occhi pieni di un messaggio che solo un elfo avrebbe potuto capire. Il sovrano annuì, e l’animale si voltò e scomparve di nuovo, a passi lenti.
Thranduil rimase immobile a lungo, cercando di realizzare ciò che aveva appena visto.
La foresta poteva essere salvata. C’era ancora speranza.
Un pensiero trafisse la sua mente. Aveva sentito la voce dello spirito della foresta interrompere quel silenzio assordante in cui era sprofondato. E, anche se ora non udiva nulla, nemmeno un alito di vento scuotere le foglie degli alberi, ciò significava che forse anche il suo udito avrebbe potuto tornare come prima.
Si voltò, e vide il volto atterrito e commosso dell’umana dietro di lui che lo fissava con emozione. Asinna sapeva che era stata testimone di qualcosa che non avrebbe mai dimenticato, di un momento che sarebbe rimasto inciso nella sua memoria per sempre.
Il re degli elfi le sorrise, mentre una sola, rotonda lacrima scivolava sulla sua guancia dagli occhi perlacei.
- Grazie – sussurrò.   


 
* disclaimer: non ho trovato questa informazione da nessuna parte su Internet, Wikipedia o Tolkenpedia. Da tempo non leggo i libri, quindi non ricordo se è scritto lì. Se qualcuno ha idea, mi farebbe piacere se condividesse questa informazione così da poterla correggere! (:




 

Angolino dell'autrice:

Ed eccoci qui (: come state? Come procede la vostra quarantena? Ho deciso di aggiornare oggi, così da impegnare qualche decina di minuti del vostro sabato!
Vi ringrazio per essere arrivati a leggere fino a qui!
In questo capitolo le cose iniziano a farsi un po' più interessanti... dopo un piccolo imprevisto che risveglia brutti ricordi (chissà quali?), il nostro re preferito cerca di carpire qualche informazione da Asinna. Ci sarà riuscito? Forse non troppo! 
Devo dire che una scena particolarmente divertente da scrivere è stata quella in cui Asinna e Thranduil si ritrovano a discutere delle loro rispettive età... che ne pensate?
E finalmente è entrato in scena un altro personaggio! Il misterioso alce, spirito della foresta... per quale motivo si sarà mostrato al re e alla nostra umana? Perché ha deciso di rivelare la sua presenza, in queste circostanze? Se avete idee, fatemi sapere ;)
Spero che stiate tutti bene, stay home and stay safe!
Anna

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Capitolo 5
*** V ***


 
 

V

 



Sulla via del ritorno, Asinna rimase in silenzio a lungo, così come il suo compagno. Procedevano con passo lento, seguendo i sentieri battuti dai boscaioli, immersi nei loro pensieri, finché la mente della giovane smise di vagare e tornò a bearsi della natura attorno a lei. Flebili cinguettii e il frinire di piccoli insetti risuonavano in una melodia appena udibile, mentre fruscii di foglie e cespugli davano minuscoli indizi sui rapidi movimenti di creature che li seguivano curiose. Anche senza avere una percezione particolarmente acuta come quella degli elfi, la donna sentiva la vita fluire attorno a sé, ed era una sensazione meravigliosa.
A tratti ricordava l’alce maestoso che era apparso come d’incanto. Non riusciva ancora a credere che fosse successo davvero. Il modo in cui quella creatura imponente li aveva guardati, e in cui aveva reso omaggio all’elfo, la sbalordiva e la commuoveva al tempo stesso. Non molti umani potevano dire di aver vissuto la stessa esperienza magica, e lei si sentiva fortunata ad avervi assistito, anche perché c’era qualcosa di arcano, in quell’alce, che le aveva subito fatto intuire che fosse diverso dagli animali che popolavano la foresta.
Era rimasta stupefatta anche nel vedere la reazione dell’elfo. Certo, non si aspettava che rimanesse impassibile come sempre; ma nel vedere i suoi occhi lucidi di lacrime perlacee, e nel sentire la sua voce rotta da un’emozione profonda, era rimasta profondamente turbata.
Non si era sentita a suo agio, quando l’aveva ringraziata. Era stata quella creatura magica e antica a concedere loro quell’esperienza surreale, non lei.
Il silenzio fu rotto quando, intenta a sorpassare una radice particolarmente alta che tagliava in diagonale la via, il suo piede scivolò su una macchia di muschio e perse l’equilibrio, scivolando in avanti. L’elfo era balzato sulla parte superiore della radice senza alcuno sforzo, ma nel vedere il suo movimento improvviso con la coda dell’occhio si riebbe dai suoi pensieri e in un secondo Asinna si ritrovò la schiena premuta contro al suo petto, il braccio sano di lui che le circondava le spalle, la mano che stringeva il suo braccio e sorreggeva il suo peso, depositandola delicatamente a terra. Rimase immobile per un secondo, gli occhi sgranati e il cuore che batteva impazzito nel petto, incapace di muoversi, mentre l’elfo non lasciava la presa ma continuava a stringerla.
- State bene? – udì la sua voce melodiosa avvolgerla e si riscosse. Si allontanò bruscamente da lui, con un respiro spezzato, scostandosi con gesti nervosi le ciocche davanti al volto e schiarendosi la voce.
- Sì, sì – disse affannata, salvo poi ricordarsi che lui non poteva sentirla. Maledì la sua goffaggine e si voltò, solo per trovarsi davanti le braccia tese dell’elfo, sulle cui mani a coppa risaltavano i funghi dai colori accesi. Li aveva raccolti da terra con una velocità straordinaria, mentre lei era voltata.
Sospirò, guardandolo con un’espressione di stanchezza mista ad imbarazzo, mentre lui la esaminava con uno sguardo intenso.
- Sto bene. Grazie – mormorò, e tese il cestino verso di lui. L’elfo vi fece ricadere i funghi e indicò davanti a loro, iniziando a camminare senza dire altro.
Asinna lo seguì. Era così agitata perché era stata colta di sorpresa, nient’altro. E anche perché non le piaceva il contatto fisico, e trovarsi la schiena premuta contro il torace ampio dell’elfo, i suoi capelli d’oro pallido che le sfioravano il viso e le ricadevano sul petto in una profumata cascata, le sue mani ferme e gentili che affondavano nella sua pelle, e il piacevole tepore del suo corpo... si riscosse bruscamente, rimproverandosi. L’ultima cosa che le serviva era mettersi ancora di più in imbarazzo. Cestino contro al fianco, si posò una mano sulla guancia e si detestò, quando sentì che era bollente sotto alle dita.
Di fronte a lei, la figura maestosa ed elegante proseguiva leggiadra, saltando su sassi e radici come se il suo corpo fosse stato leggero come una piuma. La differenza tra loro era abissale: lui a suo agio come un pesce nel mare, con una grazia ed un’eleganza innaturali, e lei che procedeva sul terreno ben attenta a dove metteva i piedi per non cadere di nuovo.
- Perché sul soffitto della vostra camera avete appeso dei fiori?
La domanda la colse alla sprovvista e fissò l’elfo con un’espressione fin troppo spaesata, almeno finché lui voltò con un movimento elegante il capo e la guardò con intensità.
- Nessun motivo – rispose, lievemente sulla difensiva. – Mi piaceva il pensiero che fossero la prima cosa da vedere, al risveglio.
Lui saltò giù e le si affiancò. Era straordinariamente imponente, ora che Asinna ci faceva caso. La camicia gli calzava a pennello, evidenziando i fasci di muscoli delle braccia e il torace ampio. La sua voce era vibrante di curiosità, e i suoi occhi avevano una scintilla di interesse infantile, mentre mandava avanti la conversazione.
- Non ho mai visto questo tipo di funghi.
La donna annuì, gettandovi un’occhiata. Sorrise nel ricordare come avesse imparato a conoscerli. Mentre camminava impaurita lungo la via che attraversava la foresta, in fuga e nel disperato tentativo di arrivare all’estremità occidentale della selva, alla fine si era rassegnata alla fame e aveva mangiato alcuni di quei funghi velenosi senza sapere se fossero commestibili, affidando la sua vita al fato. Era stata ritrovata tra dolori lancinanti da un paio di boscaioli che si erano allontanati dal villaggio a caccia, e l’avevano portata lì, dove l’anziana guaritrice l’aveva presa a male parole per aver rischiato di morire in un modo così stupido. Dopo essere guarita, era rimasta lì finché la donna era stata in vita, imparandone il mestiere, per poi andare a vivere nella casetta sull’altopiano in cui si era imbattuta per caso durante una passeggiata.
- Nemmeno io li avevo visti, prima di arrivare qui. Credo non esistano altrove, e crescono solo in quelle pozze d’acqua. Alcuni sono commestibili, quelli che hanno il cappello arancione, per quanto possa sembrare improbabile. Quelli azzurri o rosa sono velenosi ma se trattati possono essere usati per due cose; la parte colorata per gli unguenti, mentre il gambo a puntini servirà per voi. Ha un potente effetto su corpi debilitati. Ho pensato che avrei potuto provare a fare qualcosa per il vostro udito, oltre all’infuso con la foglia di re.
Il re degli elfi scosse lievemente il capo, sorpreso dalla sua premura, ancora una volta. Doveva ancora abituarsi all’entusiasmo della giovane umana per la medicina, e la sua passione per aiutare i malati gli sembrava incredibile. Gli pareva ancora assurdo che l’avesse raccolto morente ai margini di una strada, ma aveva notato la scintilla che aveva illuminato i suoi occhi di giada mentre descriveva le capacità dei funghi, e la sua aria contenta gli ricordava quella che suo figlio aveva avuto quando aveva ricevuto dalle sue stesse mani il suo primo arco. Era il volto di qualcuno che gioiva nel praticare una passione, non un lavoro. Rammentava come il Legolas bambino l’avesse preso per mano e trascinato fuori, nei giardini, implorandolo di insegnargli a tirare. E ricordava come si fosse inginocchiato, avesse guidato le sue piccole braccia e sussurrato le istruzioni nelle sue orecchie, mentre sorrideva nel vedere la felicità di suo figlio nell’imparare a tirare con l’arco. Quella felicità era stata come una stella cadente, intensa e meravigliosa, che si era spenta in quello che era sembrato un istante.
- Vendete al villaggio i vostri unguenti? – le chiese, cercando di abbandonare quei ricordi dolorosi.
Lei annuì, scostando un ricciolo ribelle dalla guancia e ricacciandolo dietro all’orecchio. Thranduil lo osservò per un secondo. La sua estremità, tonda e non a punta, era buffa.
- La maggior parte. Altrimenti non saprei come usarli. Non mi capita spesso di trovare elfi feriti – scherzò, suscitando un sorriso lieve.
- Per vostra fortuna direi.
L’elfo però era curioso. Sapeva che non avrebbe dovuto insistere a porle domande personali, era parte del patto che la donna aveva imposto il primo giorno. Ma non era sua abitudine rinunciare a qualcosa che voleva. Rifletté su come ottenere quell’informazione, trovando un’unica soluzione.
- Asinna.
Lei si girò verso di lui, guardandola sospettosa. L’elfo fece del suo meglio per sorridere con grazia e usare un tono ammaliante -e dall’espressione incantata che balenò per un attimo sul suo volto, sortì l’effetto sperato.
- Se vi prometto di rispondere a una delle vostre domande, farete lo stesso?
Il passo della donna rallentò fino a fermarsi del tutto. Lui si voltò a guardarla, parandosi di fronte a lei, che lo guardava incerta. Si fissarono per una manciata di secondi, poi le ciglia dell’umana si abbassarono e Thranduil seppe di aver vinto.
- Va bene. Però giudicherò io se rispondere o meno. Se sarà troppo personale, potrete farmene un’altra.
L’elfo ridusse le labbra ad una linea sottile, evidentemente contrariato, provocando il sorrisetto della donna.
- Non vale.
- O così o nulla – ridacchiò Asinna. Dall’espressione crucciata di lui, e dal carattere testardo che aveva dimostrato in quei giorni, poteva intuire che non avrebbe rinunciato a soddisfare la sua curiosità. Era sicura che avrebbe accettato, anche se le condizioni non erano quelle che aveva posto lui. Difatti, l’elfo annuì con aria scontenta, le folte sopracciglia nere aggrottate.
- Forza allora – lo esortò lei.
Erano arrivati nei pressi di un’altra radice che sorgeva dal terreno e Thranduil balzò agile sulla sua sommità, senza alcuno sforzo. Asinna cominciò a chiedersi se non lo facesse apposta, per intimorirla con la sua forza elfica, ma mentre si allontanava di qualche passo per cercare un punto in cui fosse più facile arrampicarvisi sopra lui la seguì in perfetto equilibrio sulla corteccia, tendendole una mano. I suoi occhi grigi la fissavano con un’ombra di gentilezza nelle iridi chiare.
Allungò la mano e afferrò quella dell’elfo, che sostenne il suo peso mentre scalava con difficoltà la massa di corteccia ruvida. La aiutò anche a scendere, indicandole dove posare i piedi per non rischiare di scivolare, e poi proseguì tranquillo, come se quello non fosse stato il gesto più gentile e privo di astio che le avesse mai rivolto.
- Come siete arrivata in questa foresta?
Anticipò la sua smorfia infastidita con un cenno della mano, mitigando la sua rabbia con un’occhiata tranquilla.
- Non intendo perché: intendo come siete riuscita a non perdervi o a non farvi divorare dalle bestie. Presumo siate entrata in questa foresta da est, e non è una strada breve fino al villaggio.
- Non lo so nemmeno io – disse lei dopo una breve esitazione. – So che sembra strano, ma ho davvero avuto fortuna. Ci sono stati momenti in cui credevo di impazzire. Questa foresta è spaventosa, e spesso sentivo rumori orribili… fruscii spettrali, schiocchi di rami, sibili di ragni. Ma non mi sono mai fermata, e questo mi ha salvata. Ho continuato a camminare, anche quando ho perso la via, perché se non l’avessi fatto mi sarei lasciata andare alla disperazione. Era come se non riuscissi ad abbandonare la speranza di poter arrivare in un luogo sicuro, come se ci fosse una forza che mi guidasse. Me ne sono resa conto dopo, ma credo che la foresta mi abbia permesso di arrivare nei paraggi del villaggio sana e salva. Non so perché, non so se è stata tutta un’invenzione della mia mente, ma quando cadevo o mi lasciavo andare allo sconforto c’era sempre qualcosa a indurmi a riprendere a camminare. Il canto di un uccellino, uno spiraglio di luce in una direzione particolare, il gorgoglio di un ruscello svanito appena mi sono rimessa in piedi… è stata lei a proteggermi. Questo luogo si chiama Bosco Atro, ma è il simbolo della mia salvezza.
Thranduil assimilò in silenzio le sue parole, colpito suo malgrado da ciò che Asinna aveva rivelato. Ancora una volta, il bosco riusciva a sorprenderlo quando meno se lo aspettava. Non dubitava della veridicità del racconto, anzi era sicuro che la foresta e gli ultimi spiriti antichi che la dimoravano avessero tratto in salvo quell’umana. Se non ne avesse appena incontrato uno, non avrebbe mai creduto a ciò che la donna aveva detto. Avrebbe attribuito la sua salvezza alla fortuna e le sensazioni che aveva provato alla facilità con cui le menti umane sull’orlo del terrore potevano piegarsi all’immaginazione e ai vaneggiamenti. Ma dopo aver visto con i suoi stessi occhi l’alce, era certo che fosse stata la foresta; lo spirito non si sarebbe mai mostrato agli occhi della donna, altrimenti.
Ciò che però sfuggiva alla sua mente curiosa era il perché. Perché quella donna aveva colpito in quel modo il bosco? Perché aveva fatto sì che rimanesse in vita e arrivasse al villaggio?
Per quanto generosa e abile nel suo lavoro di guaritrice, Asinna era solamente una donna. Non c’era nulla di speciale in lei, ne era certo. Non conosceva la magia, non era predestinata a grandi imprese. Ma allora perché prendersi tanto disturbo per una donna comune?
- È il vostro turno – disse, interrompendo quei fili interminabili di pensieri.
La donna annuì. Rimase in silenzio per un po’, e l’elfo la osservò mentre guardava le fronde color smeraldo, ornate d’oro e di marrone, sopra di loro. Aveva notato come, a differenza della maggior parte degli umani, lei fosse a suo agio nella natura, e non perdesse l’occasione per rimirarne la bellezza.
- Vorrei tanto chiedervi di rivelare il vostro nome – disse infine. Piantò gli occhi smeraldini nei suoi, abbozzando un sorriso obliquo mentre si stringeva nelle spalle. – Ma so che sarebbe chiedervi troppo. Capisco che vogliate tenere la vostra identità segreta. Nel caso in cui qualcosa dovesse andare storto, sarebbe più sicuro per voi.
Thranduil avvertì una nota amara nella sua voce. Tese la mano ad afferrare il manico del cestino, notando come le sue spalle fossero incurvate per la fatica, e lei lo guardò sorpresa mentre glielo toglieva dalle mani. Ignorò il suo sguardo e osservò i colori sgargiati dei funghi.
- Non vorrei nemmeno farvi domande riguardo al vostro combattimento con gli Orchi e alla guerra, perché immagino siano informazioni che non potete rivelare a cuor leggero a chiunque. E se lo faceste, posto che non potrei comunque rivelarle a nessuno quindi non so come i vostri superiori potrebbero venirne a conoscenza, potreste finire nei guai. E non sia mai che finiate nei guai a causa di una donna umana. Non potrei sopportare la colpa.
Thranduil non riuscì a non sorridere alla tenera scena. La donna si preoccupava persino che finisse nei guai. Il pensiero lo divertiva molto, perché non avrebbe mai potuto verificarsi quell’occasione, essendo lui a capo dell’intero regno, libero da ogni ordine e responsabilità, ma lei ovviamente non poteva saperlo. Scosse la testa, divertito, rivolgendole un’occhiata penetrante.
- Allora non sapete cosa chiedermi? Pensavo aveste più fantasia – non riuscì a trattenersi dallo stuzzicarla, e l’espressione indignata di Asinna lo soddisfò più di quanto si aspettasse.
- Certo che ho fantasia! Più di voi, anche se avete undicimila anni più di me.
La risata cristallina dell’elfo la colse di sorpresa, ma un grande sorriso le illuminò le labbra nell’ascoltare quel suono melodioso, che sembrava risuonare in una perfetta armonia con la foresta stessa.
- Forza, allora – la esortò lui, guardandola con la testa inclinata.
- Qual è la prima cosa che farete, non appena sarà finita questa guerra?
Thranduil smise di sorridere, sentendo un’ombra calare sul cuore. La domanda della donna era innocente, e dal suo volto capì che la sua reazione cupa l’aveva spaesata, ma ancora una volta il pensiero della guerra riusciva ad avvelenare ogni istante di serenità che provava.
- Non volevo… - fermò le scuse con un gesto della mano.
- Non preoccupatevi.
- Non dovete rispondere.
- Un patto è un patto – mormorò il re con voce greve. Riportò le iridi chiare sul sentiero davanti a loro, riconoscendo il tratto che avevano percorso qualche ora prima. Erano vicini a casa.
- Spero di avere modo di rimediare ad alcuni torti che ho fatto. Vorrei… ricostruire il rapporto con mio figlio – aggiunse, a voce talmente bassa che si stupì nell’accorgersi che lei aveva sentito.
Il volto di Asinna non mascherava lo stupore cocente che stava provando in quel momento. Solo quando lui si voltò a guardarla cercò di riacquistare un’espressione neutra, rimproverandosi. Quell’elfo aveva undicimila anni, era ovvio che avesse una famiglia. Chi mai avrebbe potuto sopportare di vivere così a lungo senza di essa?
- Siete stupita che io abbia un figlio?
Asinna scosse la testa, ma evitò il suo sguardo. – No, in effetti, è piuttosto logico.
Thranduil era incerto su cosa dire. Non sapeva perché, ma gli dava fastidio che fossero passati da un’atmosfera così piacevole e scherzosa a quel silenzio imbarazzato. Non che gradisse particolarmente la compagnia dell’umana, ma non era nemmeno spiacevole intrattenere due parole con una persona diversa dai generali cui era abituato.
- E vostro figlio quanti anni ha?
- Duemilaottocentosettant’anni.
Asinna sbuffò, scuotendo la testa divertita. Thranduil non riuscì a capire cosa avesse mormorato, ma era piuttosto sicuro che fosse un’esclamazione stupita. Era esilarante come il pensiero dell’età di un elfo potesse sconvolgerla così intensamente.
Prima che potesse aggiungere altro, davanti a loro gli alberi cominciarono a farsi più radi e la luce più intensa. Il volto della donna si illuminò e tirò un sospiro di sollievo.
- Finalmente! – esclamò, accelerando il passo contenta. Avevano tardato abbastanza e il sole era alto in cielo, con l’unico risultato che il suo stomaco aveva continuato a borbottare per l’ultima parte del viaggio. In quel caso la sordità dell’elfo le era tornata comoda.

Appena rientrati, dopo che Asinna era andata a controllare Mirtilla e le galline, si misero subito all’opera per preparare il pranzo. Nonostante la febbre e le ferite avessero debilitato il suo corpo, Thranduil era sollevato nel vedere che la camminata non l’avesse stancato più tanto. Significava che la guarigione stava procedendo bene, anche se non si sarebbe mai ripreso abbastanza velocemente per riuscire a raggiungere le sue truppe in un tempo ragionevole.
A quell’ora, dopo cinque giorni dall’aggressione degli orchi, degli esploratori lo stavano sicuramente cercando nei pressi del combattimento, senza alcun risultato. Secondo i suoi calcoli, dovevano essere passati due giorni dall’attacco perché i generali prendessero consapevolezza della sua scomparsa; e altri due perché le squadre di elfi raggiungessero il luogo dell’imboscata. I suoi elfi erano stati seppelliti, e di sicuro avevano trovato le loro tombe poco lontano dalla via, e scoperto che il suo corpo mancava tra quello dei caduti. Probabilmente stavano cercando di seguire le tracce, ma era piuttosto sicuro che si sarebbe rivelato tutto inutile. Non sapeva perché, ma aveva la sensazione che la foresta avrebbe impedito loro di raggiungerlo. Era piuttosto sicuro che il bosco lo volesse lì, in quel preciso momento, e non avrebbe permesso ai suoi sudditi di portarlo via. Altrimenti perché mai l’alce si sarebbe mostrato?
Seduto sullo sgabello traballante, dato che l’umana gli aveva rubato l’unica sedia intatta, a Thranduil toccò l’ingrato compito di pulire i funghi commestibili. Mentre le sue dita si macchiavano di terra e gli anelli si opacizzavano per i granelli neri che andavano ad oscurare la loro brillantezza, storse il naso. Non era abituato a cucinare e mai si sarebbe abituato.
Asinna sorrideva sotto i baffi nel vedere le smorfie dell’elfo che guardava implacabile i funghi, come se fossero stati nemici da spellare. Li tagliava con movimenti aggressivi e decisi, imbronciato. Quando le aveva chiesto se invece di occuparsi di quelli potesse impastare la farina e le uova per formare una focaccia, lei gli aveva negato quel privilegio e l’aveva costretto a fare quel lavoro ingrato, ma solo perché pensava che prima o poi, nel caso si fosse ritrovato costretto in circostanze simili, gli sarebbe tornato utile saper cucinare altri alimenti oltre che pane e patate. Questo però non gliel’aveva detto, e l’elfo non le aveva più rivolto la parola, mantenendo però una vaga aria indignata.
Quando ebbe finito, la donna si sporse sul tavolo per guardare il frutto della sua opera. Inarcò un sopracciglio e Thranduil la fulminò con un’occhiata minacciosa, quando si azzardò a commentare che la prossima volta avrebbe potuto tagliarli in strisce più sottili.
Asinna mise a cuocere la focaccia su una lastra sopra alle fiamme del camino, di fianco a una padella dove versò i funghi dopo averli conditi con alcune spezie. Voltandosi, si ritrovò l’elfo a una spanna di distanza e inarcò le sopracciglia, mentre lui la guardava severo.
- Cosa? Stavo solo guardando – borbottò, mentre lei lo aggirava e cominciava a sistemare il tavolo.
La donna represse un sorriso per evitare di farlo irritare, ma la divertiva molto assistere ai vani tentativi con cui l’elfo guerriero cercava di mascherare l’interesse per la sua cucina.
Mentre lei stava monitorava la cottura Thranduil si dedicò ad esplorare la libreria. Scoprì che la donna aveva numerosi volumi riguardanti la storia e geografia dei vari regni, sebbene fossero pochi quelli che contenevano informazioni sugli elfi e sui nani. C’era un discreto numero di pergamene contenenti poesie e poemi, trattati sulla medicina e rare edizioni di diari di viaggio di molti esploratori che avevano girato il mondo e scrupolosamente trascritto le loro esperienze e le tradizioni politiche e sociali di vari popoli.
- Non molti possono vantare una raccolta simile – commentò perplesso.
Guardò la donna, appoggiandosi alla libreria e incrociando le braccia. Lei voltò il viso per far sì che riuscisse a leggere le sue parole, ma continuò a fissare il loro pranzo.
- Sono rimasti a me quando la vecchia guaritrice è morta. Li aveva portati scappando dagli orchi. Non so come, ma l’ha fatto.
Il sovrano annuì.
- Potete leggerli, se volete. Non so se c’è qualcosa che potrebbe interessarvi, ma nel caso.
- Grazie – mormorò lui, accarezzando il dorso di cuoio rossastro di Antiche leggende di elfi e nani. Lo estrasse e sfogliò le prime pagine. Degli appunti erano stati presi in alcuni passaggi, e il tratto era sbavato in alcuni punti, segno che era stato molto tempo prima.
- Pronto – annunciò Asinna, per poi ricordarsi che le parole non servivano. Schioccò le dita alzando il braccio e il gesto richiamò l’attenzione dell’elfo, che mise a posto il libro e si accomodò. Mentre la donna disponeva le porzioni nei piatti, Thranduil versò l’acqua nei bicchieri. Non era abituato a pranzare senza bere il vino più pregiato delle sue cantine, ma doveva ammettere che non era così male come aveva pensato inizialmente.
Mentre mangiavano, altre domande affollavano la mente della donna, l’elfo poteva vederlo con chiarezza da come era assorta nei suoi pensieri e continuava a gettargli occhiate assorte, per poi distogliere gli occhi non appena lui incrociava il suo sguardo.
Posò il bicchiere e le lanciò uno sguardo sfrontato.
- Avanti, chiedete.
 Lei finì di masticare e dondolò la forchetta tra le dita, sostenendo il suo sguardo senza timore. La luce che proveniva a fiotti dalla finestra illuminava la spruzzata di lentiggini sul suo naso, e dava ai suoi occhi una sfumatura calda, accogliente.
- Voi dove vivete?
L’elfo inarcò le sopracciglia, ma prima che potesse ribattere lei lo anticipò. – Voglio dire, c’è un palazzo? All’interno della foresta? Mi sembra strano, se a nord il bosco è come qui gli alberi sono fitti e non ci sarebbe spazio per una corte.
Thranduil annuì. – Molto tempo fa, quando gli elfi si stabilirono nella parte settentrionale della foresta, trovarono una serie di caverne sotto ad antiche colline. Lì sorge la reggia, che in realtà funge anche da capitale. Vivono migliaia di elfi… non come un tempo, ma ancora adesso il Palazzo del Re è il principale centro del regno.
Asinna lo fissava ad occhi sgranati, meravigliata. Thranduil sapeva che avrebbe dovuto moderare le informazioni che stava elargendo, ma il suo stupore era così sincero e puro che esitò. Non spesso si era trovato di fronte a qualcuno che non mascherasse le sue vere emozioni davanti a lui, ed era persino piacevole rispondere a quelle domande innocenti.
- Quindi il palazzo è formato da caverne?
Il re degli elfi chinò il capo in un cenno d’assenso.
- Ma… deve essere immenso – mormorò lei.
Il sorriso ermetico sulle labbra di lui si ampliò, mentre gli occhi grigi balenavano di un segreto piacere nel catturare la sua attenzione tessendo una pittoresca trama di parole.
- Lo è. Ogni caverna è collegata all’altra da corridori maestosi, che formano un intricato labirinto su diversi livelli. Ogni insenatura ha la sua funzione, ma la sala più maestosa è quella del trono del re. Il trono svetta al suo centro, illuminato da torce e lampade, così come le colonne intagliate e pitturate da mosaici realizzati dai migliori artisti elfici, che hanno messo la loro arte a disposizione del sovrano.
La donna pendeva dalle sue labbra. Era una soddisfazione impareggiabile, quasi perversa, quella che l’elfo stava provando. Era tornato ad usare la malia delle sue parole per controllare colei che gli stava davanti, esercitando un potere che lei nemmeno sospettava avesse.
- E voi?
Thranduil inclinò la testa, senza capire.
- Che funzione avete voi, a casa? Dubito siate un semplice soldato, avete detto di essere vicino al re.
Una sensazione di gelo lo aggredì.
E io che pensavo di averla in pugno, ironizzò l’elfo. È lei che ha in pugno me, senza nemmeno saperlo.
Trasse un sospiro teatrale, appoggiando la schiena alla sedia e raddrizzando le spalle, senza volerlo sembrando ancora più massiccio di quanto non fosse. Dondolò la gamba, accavallando una sull’altra, e guardò dall’alto in basso l’umana che non accennava ad abbassare lo sguardo, anche se le sue guance si tinsero di un lieve colore rosato.
- Sono ai vertici dell’esercito – la risposta fu laconica, ma Asinna non si scoraggiò.
- E anche vostro figlio lo è?
- Quante domande. Io non ve ne ho fatte così tante – replicò con un sorriso mellifluo l’elfo. Lei lo guardò dolcemente, anche se le sue parole erano intrise di veleno.
- Siete stato voi a incitarmi a parlare.
Thranduil si morse lentamente il labbro inferiore, alzando lievemente il mento, mentre i suoi occhi grigi rimanevano intrecciati in uno sguardo di sfida con quelli di lei. Il pranzo si era trasformato in una prova di forza velata che nessuno dei due riusciva a vincere.
- Anche lui riveste una carica importante, ma se ne è andato da Bosco Atro per seguire il suo destino.
- Non lo rivedrete a breve, allora.
Un’espressione feroce comparve sul volto dell’elfo. – No, non credo.
La donna afferrò una mela dalla ciotola in cui erano riposta assieme a vari altri frutti e la tagliò in spicchi. Il succo dolce le inumidì le dita e ne tese uno all’elfo, in silenzio. Thranduil sentì la sensazione appiccicosa sulle dita, mentre lo raccoglieva dal suo palmo e ne addentava piano un’estremità.
- Sono scappata – disse all’improvviso Asinna, evitando lo sguardo dell’elfo. I suoi occhi erano fissi sulla finestra, e osservavano un piccolo pettirosso che cantava allegro appollaiato sul davanzale. Si alzò, raccogliendo un pezzetto della focaccia avanzata e dirigendosi lentamente verso di lui, la mano tesa con le briciole sul palmo. L’uccellino smise di emettere la sua melodia acuta e girò di scatto la testa, ma Thranduil mormorò una breve frase in elfico per non farlo scappare via.
Piccolo amico, ti nutrirà. Non volare via.
La donna sorrise quando lui, con un frullo d’ali, saltò sul suo polso e becchettò piano le briciole.
- Sono scappata perché ero intrappolata in una vita che non avevo scelto e che mi ha causato tanta sofferenza. Ne porto ancora i segni, sul mio corpo e sulla mia anima.
Si riferiva forse alla cicatrice che gli stessi occhi di Thranduil avevano scorto sulla sua schiena? Era piuttosto sicuro di sì. Ma le parole che aveva detto non dovevano essere state facili da pronunciare, si rese conto. Lui stesso non era mai riuscito a parlare a qualcuno della morte che aveva spezzato la sua famiglia, dell’orrore di aver assistito alla morte di suo padre che gli aveva scavato profonde ferite dolorose nel cuore, e della guerra in cui aveva visto atrocità che tutt’ora gli infestavano la mente. Per non parlare della cicatrice che gli aveva sfigurato il viso, e che nascondeva grazie a un incanto potente, fingendo che non esistesse, che il suo volto fosse ancora integro e bello come era quando ancora ignorava cosa fosse la vera sofferenza.
Asinna si voltò, una sfumatura triste negli occhi.
- Qui sono felice, ma manca una parte di me che ho lasciato quando sono fuggita. Sono felice, ma ho il terrore che non possa durare.
Thranduil sostenne il suo sguardo, ogni goccia di avversione che aveva provato quando la donna aveva menzionato suo figlio ormai evaporata. Sentiva solo una profonda empatia.
- Comprendo. Ma talvolta è necessario lasciar andare i ricordi di ciò che è stato, o anche il presente rischia di essere avvelenato.
Il pettirosso emise una nota trillante che spezzò l’aria, per poi aprire le ali e volare via, fuori dalla finestra aperta.










Angolino dell'autrice:
Buon pomeriggio! Come state? Come procedono le vostre vacanze pasquali? (: 
Ed ecco qui un altro capitolo... vediamo Asinna e Thranduil cedere sempre di più alla curiosità, e mettersi in gioco per cercare di cogliere qualche indizio reciproco. Parlano di età, di figli, di cariche, il nostro re cede, disposto persino a rivelare qualcosa sul suo palazzo. Ho approfittato di questo capitolo, un po' di passaggio, per indagare le loro curiosità, le loro idee, far sì che rivelassero la curiosità che nutrono una nei confronti dell'altro. è stato molto divertente (: 
Qual è la scena che vi è piaciuta di più? A me, se devo essere sincera, quando l'altezzoso sovrano cerca di nascondere il suo interesse per la cucina... fallendo miseramente (: 
Vi ringrazio per essere arrivati a leggere fino a qui, se vi va fatemi sapere cosa pensate (della storia, dei personaggi, di Mirtilla...), se avete dubbi o riflessioni! 
Stay home and stay safe  <3
Anna

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Capitolo 6
*** VI ***


Dopo pranzo, Asinna decise che era arrivato il momento di controllare le ferite. Ebbe modo di constatare che quella sul ventre dell’elfo stava guarendo bene, e il gonfiore era diminuito grazie all’unguento che l’elfo applicava mattina e sera sui punti. Anche le altre procedevano bene, nonostante quella mattina Thranduil avesse avuto uno spasmo al braccio.
Mentre, alzandosi dalla poltrona, l’elfo indossava di nuovo la camicia, lei si avvicinò al suo volto con aria inquisitoria, facendolo indietreggiare. Era più alto di lei, sì, ma la donna era fin troppo vicina e non sembrava importarle che la camicia azzurra fosse ancora aperta sul suo petto.
- Cosa state facendo esattamente? – chiese inarcando un sopracciglio, diffidente.
- Sto controllando il vostro graffio – rispose lei, ignorando il suo disagio ben percepibile e analizzando il suo volto imbronciato. – State mettendo la crema che vi ho dato, sì o no?
Thranduil serrò le labbra. Si era dimenticato di applicarla, sia la sera prima che quella mattina, ma era troppo orgoglioso per ammetterlo. Bofonchiò qualcosa, mentre lei gli lanciava un’occhiata provocatoria e tornava verso il camino.
- Poi non date la colpa a me se il vostro bel visino non torna come prima.
Il re degli elfi provò una cocente ondata di irritazione, ma rimase zitto, per evitare di ammettere di avere torto. Invece incrociò le braccia e la fissò con le sopracciglia aggrottate.
- Non dovreste darmi il vostro miracoloso infuso, invece?
Asinna ridacchiò, indicando con un dito il paiolo che aveva messo a scaldare sopra al fuoco.
- Tra poco sarà pronto.
- Bene, perché ho intenzione di allenarmi.
Asinna si voltò di scatto, fulminandolo con un’occhiata che impressionò persino il sovrano di Bosco Atro. Si mise le mani sui fianchi.
- Non se ne parla.
Thranduil inclinò la testa con un sorriso mellifluo.
- Non posso permettermi di rimanere nell’ozio. E nonostante tenga in conto il vostro parere di guaritrice, ho deciso che non è sufficiente per fermarmi.
L’umana si portò una mano a massaggiarsi la tempia, esasperata. I suoi occhi verdi baluginavano di sdegno, e le sue guance erano diventate di nuovo rosse.
- Fate come volete. Se vi fate cogliere da qualche spasmo e finite nel fango, io non ho intenzione di lavarvi i vestiti. Se i punti saltano, ve li ricucite da solo. Se vi fate male in qualche modo, rimarrò a guardare gioiosamente lo spettacolo– sottolineò velenosamente.
L’elfo sorrise dolcemente, la voce ombrosa come nubi temporalesche.
- Non ve ne darò occasione.

Thranduil si era posto al centro del prato, poco distante dal recinto. Si era tolto la camicia, giusto per evitare di sporcarla, appoggiata poco distante dal punto in cui Mirtilla aveva infilato il muso tra le assi di legno e lo fissava curiosa. Il sole baciava delicato la sua pelle morbida, oscurata solo dalle fasciature che gli avvolgevano il ventre e il braccio.
Per iniziare, aveva deciso di non usare entrambe le spade, ma solo quella che riusciva ad impugnare con il braccio sano. Per quanto fosse sicuro di non aver perso troppa resistenza, sarebbe stato incosciente da parte sua sforzare troppo il suo corpo dopo quattro giorni in cui si era grandemente debilitato.
La donna aveva tenuto il broncio, disapprovando in silenzio la sua decisione di allenarsi. Thranduil capiva il motivo per cui era così avversa all’idea, ma non poteva permettersi di perdere la forma fisica che gli serviva per rafforzare la sua agilità, ora che era privo dell’udito. Doveva capire come fare a gestire un eventuale combattimento, senza poter sentire alcun rumore.
Chiuse gli occhi, privandosi della vista dei fiori che decoravano allegri l’erba color smeraldo. Lentamente, cominciò a roteare la spada tra le dita, mentre immaginava di essere immerso in uno scenario completamente diverso. Circondato da orchi, il re degli elfi fece scattare il braccio all’indietro e roteò la lama che sibilò nel tranciare le teste di due nemici immaginari alle sue spalle. Voltandosi con un movimento leggiadro, ne infilzò un altro e parò una lama, disarmando l’avversario con un colpo deciso e trapassandogli il cranio mostruoso. La spada affilata mozzò un arto, per poi recidere la gola del mostro, e l’elfo si girò di scatto per parare un colpo diretto alla sua schiena, lanciare in alto la lama del nemico con una rotazione del braccio e trapassare facilmente il suo petto.
Mentre Thranduil si addentrava in una complicata mossa di affondi e parate, il suo corpo cominciò a reagire. Il cuore iniziò a battere forte in petto, il respiro divenne affannoso mentre i muscoli si tendevano e contraevano a velocità sovrumana, e il re degli elfi si immergeva in un combattimento all’ultimo sangue, spingendo il suo corpo al limite. I capelli biondi fluttuavano attorno a lui mentre ondeggiava, si chinava e piegava massacrando nemici immaginari, gli occhi pieni di una rabbia antica e ardente, con un’eleganza e una fluidità impressionanti.
Asinna era rimasta in cucina a pulire ed essiccare i funghi che aveva intenzione di usare per accelerare la guarigione dell’elfo, contrariata. Non sopportava che lui avesse deciso di fare di testa sua, soprattutto perché era sicura che non fosse ancora abbastanza forte da reggere un allenamento che avrebbe sforzato troppo il suo corpo. Ma dopo un po’, aveva gettato un’occhiata curiosa alla finestra e aveva visto l’elfo muoversi in una danza letale, colpendo e ferendo avversari inesistenti. Suo malgrado, si era alzata ed era uscita, affascinata dallo spettacolo davanti a lei. Era andata a sedersi sul bordo del recinto, accanto a dove era posata la camicia celeste, dondolando le gambe nel vuoto. Vicino a lei Mirtilla era sdraiata al sole, e i loro occhi curiosi avevano iniziato a seguire i movimenti fluidi ed esperti dell’elfo, inarrestabile e terrificante.
Thranduil continuò a combattere per lunghi minuti, immerso nello scenario immaginario che aveva creato nella sua mente. Senza udito, si rese conto che era più difficile mantenere l’equilibrio, ma sperava che in un combattimento reale gli sarebbe bastato percepire le vibrazioni del terreno per anticipare le mosse dei nemici.
Continuò a danzare mortale finché la sua pelle nuda si ricoprì di sudore, i muscoli cominciarono a bruciare e la gola gli diventò secca. Mentre eseguiva una parata finale, fu colto da un dolore paralizzante al fianco e le gambe gli cedettero. Cadde carponi a terra, lasciando la presa sull’elsa della spada, e si ritrovò a fissare con il respiro affannoso e il cuore che gli rimbombava in gola i verdi fili d’erba sotto di lui, oscurati dalla sua ombra.
Maledizione.
All’ultimo, il suo corpo lo aveva tradito. La rabbia che provava era immensa.
Sentì una mano sfiorargli la spalla e reagì senza pensarci. Si voltò di scatto, puntando la lama alla gola di Asinna, per poi rendersi conto di chi avesse effettivamente davanti. Gli occhi color giada della donna lo fissavano impauriti, grandi come non mai, mentre il suo viso diventava pallido come un bucaneve.
Thranduil rimase immobile per un secondo, mentre la lama graffiava la pelle candida della donna. I suoi occhi grigi si fusero con quelli della donna, e notò come il petto di lei fosse immobile. Non osava nemmeno respirare.
Abbassò la lama, lentamente, un’espressione neutra sul volto, mentre lei si rialzava da terra, gli voltava le spalle e se ne andava.
Il re degli elfi cadde seduto sull’erba, il petto che si sollevava e abbassava ad un ritmo rapido.
Rimase fermo a recuperare il fiato, la spada abbandonata sulle gambe incrociate, gli occhi perlacei feriti dal sole che cercavano un vago sollievo nella tela variopinta dei fiori attorno a lui.
Dopo molto tempo, l’elfo si rialzò, avvicinandosi a passi lenti al recinto dove la capra dal manto candido lo guardava.
- Cosa vuoi? – mormorò stizzito, e Mirtilla aprì la bocca in un suono muto che agli occhi del re sembrò alquanto derisorio. Sbuffò e appoggiò l’elsa della spada al recinto, afferrando la camicia e dirigendosi verso il ruscello poco distante, sentendo ogni muscolo bruciare ad ogni passo.
Si spogliò e si immerse a lungo nell’acqua, lasciando che la debole corrente portasse via ogni traccia di sudore e fatica, mentre osservava il celeste del cielo e le macchie di soffici nuvole bianche che nascondevano le vette delle montagne sopra di lui.
Lasciò liberi di correre i suoi pensieri, nonostante avessero preso una direzione che non gradiva.
Aveva visto quanto il suo gesto di difesa involontaria avesse ferito la donna. L’aveva visto nei suoi occhi, che lo fissato guardato in un modo in cui i suoi stessi sudditi lo avevano spesso guardato. In cui suo figlio l’aveva spesso guardato. Senza dar voce alle parole, i suoi occhi azzurri avevano espresso tutta la delusione e il muto rimprovero che serbava in petto. Thranduil lo odiava, quando Legolas lo guardava così. Aveva sempre fatto ciò che credeva fosse la cosa migliore per proteggere il suo popolo, eppure suo figlio non era mai stato d’accordo. Suo figlio aveva ancora un cuore puro, intaccato dall’odio e dall’abisso di oscurità che ormai corrodeva il petto di suo padre. Suo figlio credeva che fosse giusto e doveroso combattere non solo per il suo popolo, ma per il mondo intero. E se era da poco che Thranduil aveva imparato a conoscere e apprezzare il punto di vista di Legolas, non aveva ancora accettato come quella divergenza ormai appianata li avesse separati, a causa di una colpa che era unicamente sua. Non aveva saputo trattenere tra le dita l’amore di suo figlio, e l’aveva lasciato andare senza riuscire a esprimere ciò che veramente provava. Senza riuscire a dirgli che era ciò di più prezioso che aveva al mondo, e che era unicamente per lui, per garantirgli un futuro sereno e una tranquillità d’animo che lui non aveva mai avuto, che aveva deciso di combattere.
Thranduil chiuse gli occhi, un sospiro lasciò le sue labbra rosate.
Da quanto aveva intuito del carattere di Asinna, era piuttosto certo di trovarla in cucina a maneggiare erbe e unguenti. Probabilmente era arrabbiata con lui, perché non aveva ascoltato i suoi suggerimenti -che si erano rivelati esatti, dato che alla fine il suo corpo l’aveva tradito ed era finito a terra tra dolori lancinanti- e perché aveva rischiato di ferirla. Non solo aveva prima messo in chiaro che se si fosse fatto male sarebbe rimasta a guardare con piacere; appena aveva visto che era caduto a terra, era anche corsa al suo fianco per assicurarsi che stesse bene, dimostrando ancora una volta quanto, sotto al carattere autoritario, ci fosse in realtà un cuore gentile. Thranduil non avrebbe mai colpito prima di vedere chi avesse davanti, aveva reagito solo per istinto e perché non era abituato a essere avvicinato da qualcuno che non volesse ucciderlo, ma questo lei non poteva saperlo. Lei non era abituata alla crudezza della guerra, ai sensi resi iperacuti dal terrore e dal panico, dalla sensazione di pericolo costante che stringeva le viscere in una morsa crudele, agli scatti istintivi ad ogni minimo movimento e rumore inaspettato. Lei non conosceva nulla di tutto ciò, perciò avrebbe dovuto scusarsi.
Mentre si alzava, e l’acqua scorreva in rivoli vorticosi lungo il suo corpo nudo, l’elfo sorrise con amarezza. Mai avrebbe pensato di dover porre delle scuse a una donna umana, e mai avrebbe pensato che si sarebbe sentito in dovere di farlo. L’orgoglio e la testardaggine che lo avevano accompagnato fin da piccolo si stavano ammorbidendo, e il sovrano di Bosco Atro era ben consapevole che questo sarebbe durato ben poco. Solo finché sarebbe stato al fianco di quell’umana, perché poi non avrebbe potuto permettersi alcuna debolezza, e tutto avrebbe dovuto tornare come prima.
Si asciugò con i tiepidi raggi del sole, sicuro che lei non si sarebbe mossa di casa prima di qualche tempo. Intrecciò i lunghi capelli d’oro bianco in una treccia, nonostante non li legasse quasi mai, per poi indossare i pantaloni neri e la camicia che giacevano a terra accanto a lui. I tessuti si erano scaldati grazie al sole, ed era piacevole la sensazione del tepore sulla pelle.
Tornato presso il recinto, raccolse la spada, rimirando il sangue rappreso che ancora ne oscurava la lucentezza. Avrebbe dovuto pulirla, dopo aver parlato con la donna.
L’elfo fece il giro della casa, ma quando entrò i suoi occhi videro solo il vuoto. Asinna non era da nessuna parte: né seduta sulla poltrona, né impegnata a impiastricciarsi con le erbe e i funghi, né intenta a camminare avanti e indietro in preda alla rabbia. Thranduil esitò, mentre i suoi occhi si soffermavano sulla porta di legno scuro che non aveva mai oltrepassato. Si avvicinò, bussando piano sulla superficie.
- Asinna?
La porta rimase chiusa. L’elfo sospirò.
- Asinna, sto per entrare.
Aspettò una decina di secondi, poi sospinse la porta lentamente. Quando si aprì, Thranduil si trovò di fronte a una piccola stanza vuota, tranne che per un baule dai rinforzi in metallo sulla parete davanti a lui. Sopra, la sua stessa spada avvolta in un drappo bianco che la donna aveva rimesso a posto quella mattina.
L’elfo fu tentato per un attimo di aprire il forziere e vedere cosa contenesse, ma si trattenne.
Afferrata la spada, tornò nella sala principale e si guardò attorno, confuso.
Era rimasto solo.

Asinna aveva camminato per ore nel folto della foresta. All’inizio ribolliva di rabbia, ma man mano che passeggiava l’irritazione era stata pian piano sostituita da impressioni meno intense e alquanto ingarbugliate. Era confusa, perplessa e scoraggiata, ma non sapeva ricondurre nessuna delle tre emozioni a una ragione logica e precisa, e questo la faceva sentire ancora più incerta. 
Aveva camminato, seguendo il sentiero nella direzione opposta rispetto a quella che avevano intrapreso quella mattina, finché le gambe avevano cominciato a protestare. Allora si era arrampicata su una radice, appoggiandosi con la schiena all’inizio curvilineo del tronco di un gigantesco abete che protendeva i suoi lunghi rami intrecciati verso il cielo, molti passi più in su rispetto a lei. Era rimasta lì, le braccia che circondavano le ginocchia e il mento posato su di esse, finché nella sua mente ogni sorta di pensiero era svanito ed era riuscita a calmare il respiro affaticato, concentrandosi solo sui suoni attorno a sé.
Le foglie erano scosse da una lieve brezza, e il fruscio sembrava rendere la foresta ancora più animata. Ogni tanto riusciva a sentire suoni istantanei, di cespugli smossi, rami spezzati e canti remoti di uccelli che risuonavano con echi distorti.
Non se ne era andata perché era rimasta particolarmente ferita dallo scatto che aveva portato l’elfo a puntarle la spada alla gola, anzi. Dopo che la rabbia iniziale era passata, aveva realizzato che fosse perfettamente comprensibile. L’elfo non aveva sentito i suoi passi avvicinarsi, e nell’avvertire la sua mano toccarlo aveva reagito senza pensarci. Era un guerriero, non un contadino, era ovvio che sarebbe stato sulla difensiva. Aveva sbagliato lei ad avvicinarsi alle sue spalle e a non farsi prima vedere per evitare di spaventarlo. L’elfo aveva un problema che non gli consentiva di reagire come una persona normale, e lei avrebbe dovuto anticiparlo.
No, quello che la disturbava profondamente era che lui non l’avesse presa sul serio.
Non era una sensazione nuova. Vedere che le sue parole erano ignorate, che i suoi consigli non valevano nulla. Prima di arrivare al villaggio, era così che aveva passato ventidue anni della sua vita, sentendosi meno importante di un granello di sabbia. Ma lì, lì aveva imparato un mestiere che le aveva dato uno scopo, che le aveva fatto riguadagnare fiducia in se stessa, che le aveva fatto capire che valeva qualcosa come persona. Ne aveva avuto la conferma dagli sguardi grati degli abitanti del villaggio quando aveva fatto guarire i primi malati, quando dava loro consigli su come curare un figlio con la tosse, quando fasciava un braccio rotto cadendo da una scala, quando alleviava i dolori delle articolazioni durante l’inverno. Diventare guaritrice le aveva fatto acquistare fiducia in se stessa e nelle sue capacità, e vedere che l’elfo non teneva in considerazione le sue parole l’aveva ferita nel profondo, perché non era abituata a essere messa in discussione, non più ormai. Aveva raccolto dalla strada quell’elfo, sepolto i suoi compagni con le lacrime che scendevano lungo il volto bollente e lo stomaco che si ribellava, si era presa cura di lui senza chiedere nulla in cambio perché era suo dovere morale e professionale. E lui non si era nemmeno curato di ascoltarla, quando gli aveva detto che non era pronto.
Asinna sospirò, le fronde massicce sopra di lei che si riflettevano con un verde più scuro nei suoi occhi di giada. Avrebbe dovuto farsi passare il malumore e cominciare a tornare in poco tempo, per riuscire a seguire il sentiero senza perdersi nell’oscurità della sera.
Un movimento improvviso al margine del suo campo visivo le fece girare la testa e spalancò la bocca meravigliata quando scorse un picchio dal manto nero e bianco, e dalla testa colorata di rosso, arrivare a posarsi su uno dei grossi rami davanti a lei. Sorrise, mentre frullava le ali e becchettava il tronco, alla ricerca di nutrimento.
Asinna sciolse le gambe dall’abbraccio, che rimasero penzoloni sopra al sentiero.
Durante il movimento, sentì una superficie ruvida graffiarle la pelle sotto alla stoffa all’interno della tasca, e con un sospiro estrasse il quadrato di spessa pergamena che aveva afferrato uscendo da casa. I suoi occhi si soffermarono sul volto che era tratteggiato a carboncino sulla carta, una volta che lo ebbe aperto, e strinse le labbra cercando di trattenere un singhiozzo, mentre gli occhi si inumidivano di lacrime amare.
Il volto sorridente del bambino la guardava con occhi immobili, privi della scintilla di vita che li aveva abbandonati tempo prima. I capelli ricci erano spettinati e ricadevano sulla sua fronte, una fossetta rendeva il suo sorriso ancora più malandrino.
Asinna si strinse la pergamena al petto, sentendo un dolore lancinante trafiggerle i polmoni e il cuore. Prese un respiro profondo, mentre lacrime calde le bruciavano le guance.
La sua mancanza era l’aspetto più terribile di quella ritrovata libertà.
Pianse a lungo, in silenzio, soffocando i singhiozzi disperati, finché iniziò a scendere il buio e non sentì un fruscio provenire dallo spiazzo d’erba alla sua destra. Si voltò, asciugandosi le lacrime, solo per rimanere di stucco.
Davanti a lei c’era il magnifico alce bianco che quella stessa mattina si era mostrato all’elfo.
Asina si alzò lentamente, continuando a stringere a sé il ritratto, dimenticando per un attimo il suo dolore profondo. Scese lentamente lungo la radice, arrivando al livello del terreno. L’alce era massiccio, la superava con il collo e il suo enorme palco di corna, ma nei suoi grandi occhi Asinna vide una gentilezza assoluta. Sbuffò piano e abbassando il muso raspò a terra con una zampa, come se la stesse invitando ad avvicinarsi. Temendo che quella visione meravigliosa potesse svanire ad un movimento improvviso, Asinna obbedì esitante, tremando dall’emozione.
Sembrava un sogno. Tutta la foresta era caduta nel silenzio, niente si muoveva attorno a lei. L’unico segno di vita era l’animale arcano davanti a lei che irradiava un’aura talmente magica da farle vibrare il cuore di emozioni intense e intricate, un misto di una struggente nostalgia e di pace assoluta.
Quando fu a meno di un passo di distanza dal suo muso, grande il doppio del suo braccio, l’alce allungò il collo e soffiò sulla sua fronte. Asinna sentì la sofferenza devastante che le inaridiva il cuore allievarsi, trasformarsi in una pacata accettazione del suo dolore. Una lacrima le scivolò lungo il viso e sorrise, grata all’antico animale, che le permise di alzare una mano ad accarezzare il suo soffice collo bianco. Posò la fronte contro il suo muso vispo e gentile.
- Grazie – mormorò.
L’alce sbuffò nuovamente, poi indietreggiò, muovendo l’elegante muso verso l’interno della foresta scura. La donna lo guardò confusa.
- Ma il sentiero è di là… - mormorò. L’alce emise un suono sordo, impaziente, battendo a terra la zampa. Mentre Asinna si decideva ad avvicinarsi, un rumore orribile le perforò i timpani, proveniente dalla via dietro di lei. Con uno scatto la donna si girò, e vide dei rami cadere di schianto a terra mentre un sibilo risuonava sopra alla sua testa.
Gridò, indietreggiando veloce mentre foglie e frammenti di corteccia le piovevano attorno. Si girò e corse verso l’alce, che abbassò la testa porgendole il dorso. Asinna afferrò l’estremità di una delle sue corna e saltò in groppa al suo manto candido con qualche difficoltà, ma non appena sentì il suo peso sulla schiena l’animale scattò e cominciò a correre a una velocità impressionante.
Asinna si aggrappò al suo pelo, terrorizzata, con il cuore che batteva a mille e le orecchie che percepivano tonfi, schiocchi e sibili inumani dietro di lei. Qualcosa li stava inseguendo, qualcosa che fino ad allora non aveva mai osato addentrarsi nella foresta lungo le montagne. E per quanto l’animale corresse veloce, saltando con maestria radici e sassi, il mostro dietro di loro non accennava a rallentare il passo.
Asinna si ritrovò a pregare un dio sconosciuto, mentre il bosco si materializzava e svaniva in un istante ad ogni balzo dell’alce in un confuso vortice verde e marrone. I fianchi dell’animale si alzavano al ritmo del suo cuore potente di cui poteva sentire il battito rimbombare sotto alle sue gambe, e Asinna urlò quando l’alce scavalcò con un balzo un burrone improvviso, affondando il volto nel suo manto.
Rimase così per quelli che le sembrarono lunghissime ore, mentre l’alce la portava in salvo, nonostante i rumori del ragno fossero scomparsi fin da quando non era riuscito a superare il dirupo. Rimase così, con il cuore in gola e scie salate sulle guance, finché il passo dell’animale si trasformò in una camminata tranquilla, per poi non rallentare del tutto e fermarsi. Asinna alzò timorosa la testa, ancora aggrappata al suo manto bianco, solo per riconoscere il tratto del sentiero vicino a casa immerso in un’oscurità talmente fitta che era quasi invisibile ai suoi occhi stanchi.
L’alce sbuffò, e il suo respiro si condensò in una nuvola di vapore calda che le investì il viso mentre lui faceva qualche passo avanti. L’aria era diventata fredda e aveva i brividi.
Asinna guardò per terra. I suoi piedi erano sospesi a una considerevole altezza rispetto al sentiero, ma ci pensò la sua cavalcatura ad aiutarla a scendere, sdraiandosi a terra così che non si facesse male cadendo di peso. Asinna scese cautamente dalla sua groppa, e quando fu a terra l’alce si rialzò e le sfiorò di nuovo la fronte con il muso in un tocco gentile.
Rimase a guardarlo mentre si allontanava e svaniva nell’oscurità, ancora tremante di paura, con il ritratto che aveva miracolosamente trattenuto dalle grinfie del vento stretto al petto. Sapeva che l’alce non l’avrebbe mai lasciata andare in un luogo dove sarebbe stata ancora in pericolo, lo sentiva. Ma il terrore che le scorreva nelle vene era ancora lì, e aveva reso i suoi sensi più acuti che mai. Ogni fruscio attorno a lei la faceva trasalire, il rumore del vento la spaventava ad ogni passo, l’odore pungente della foresta era diventato travolgente e i suoi occhi non riuscivano a vedere distintamente la via davanti a lei. Si diresse verso la direzione opposta rispetto a dove era sparito l’alce, tremando. Proseguì lentamente, ma il buio la fece inciampare più volte, finché il suo piede non finì intrappolato in una radice che spuntava dal terreno e cadde a terra. Un dolore lancinante le trafisse la caviglia e imprecò, con le lacrime che affioravano agli occhi. Si sforzò di ricacciarle indietro, cercando di rialzarsi, mentre il braccio e il fianco dolevano per la botta, ma Asinna urlò e si ritrasse istintivamente quando avvertì un tocco estraneo sulla schiena.
- No, via, via – gridò, strisciando via in preda al panico, con un’angoscia tale da non riuscire a respirare. La sagoma confusa davanti a lei si mosse seguendo il suo movimento.
- Asinna – udì, e il suo intero corpo si immobilizzò. Aprì gli occhi, che si erano chiusi istintivamente quando un braccio si era teso verso di lei, e tra le lacrime riuscì a distinguere appena i lineamenti del volto dell’elfo che la sovrastava. Rimase ferma a fissarlo per qualche secondo, poi lasciò andare il respiro e si buttò sul suo petto, abbracciandolo forte. Thranduil si irrigidì, stupito, ma dopo qualche secondo le sue braccia andarono esitanti a circondare quella figura tremante, le cui spalle sobbalzavano ad un ritmo irregolare.
- Asinna – mormorò, la voce un caldo sussurro mielato che lenì ogni goccia di panico che ancora le avvelenava il cuore. – Asinna, sono io – la strinse a sé, reprimendo la sensazione di disagio che lo avvolgeva nel sentire quel corpo estraneo così premuto contro al suo, posando esitante una mano sulla sua testa e accarezzando lentamente i capelli intricati.
I suoi occhi grigi individuarono subito il problema. Allentando l’abbraccio, Thranduil si tese ad afferrare la caviglia della donna e la liberò dall’incastro, facendola sussultare.
- Ce la fate ad alzarvi?
Lei annuì, tenendo il volto basso. Thranduil poteva vedere il bianco spettrale della sua pelle, e quello, il volto macchiato di lacrime e il continuo tremore del suo corpo erano chiari segni che qualcosa l’aveva terrorizzata, qualcosa che forse era ancora lì vicino. Dovevano tornare a casa il prima possibile.
Asinna lasciò che le sue mani gentili e forti la sostenessero, mentre si rialzava. Si asciugò con una manica della casacca il volto sporco di terra, reprimendo una smorfia di dolore. Stilettate di dolore lancinante non le lasciavano tregua, ma da come la percepiva la sua caviglia non sembrava messa troppo male. Fasciandola e non sforzandosi troppo, avrebbe ancora potuto camminare, ma al momento sembrava impossibile procedere se non al passo di una lumaca.
- Non riesco a camminare – mormorò, provando comunque a fare qualche passo, staccatasi da lui. Fu inutile, perché la caviglia le cedette e non ricadde a terra solo grazie al pronto intervento dell’elfo.
Senza dire nulla, Thranduil si chinò, afferrandole le gambe e raddrizzandosi. Asinna si strinse istintivamente a lui nel sentire il terreno mancarle sotto ai piedi, aggrappandosi alle sue spalle ampie. I loro occhi si incontrarono per un secondo, mentre l’elfo cominciava a camminare spedito, come se la donna non pesasse più di una piuma tra le sue braccia, e Asinna distolse lo sguardo, affondando la testa nella sua spalla. Il battito forte e regolare del cuore dell’elfo risuonava sotto al suo orecchio. Rimasero così per quella che sembrò un’eternità, lei che lentamente si calmava al contatto con il calore del suo corpo e il lieve profumo dei suoi capelli che le sfioravano il viso, lui che saltava e correva veloce per arrivare al sicuro, i sensi tesi a percepire un eventuale pericolo, il cuore stretto da una morsa di amarezza e malinconia.
 

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Capitolo 7
*** VII ***


 
VII




Thranduil si accorse che l’umana che teneva tra le braccia era sprofondata in una sorta di trance. Immobile, si lasciava sorreggere senza muovere nemmeno la testa, posata sul suo petto. Il re degli elfi aveva faticato non poco a portarla fino a casa, dopo aver sfibrato il suo corpo con l’allenamento del primo pomeriggio. Ma alla fine aveva rallentato il passo, mentre gli alberi si facevano meno folti e la luce della luna piena rischiarava la radura davanti a loro. Thranduil camminò tranquillo fino alla casa, osservando come le stelle fossero particolarmente luminose nel manto scuro del cielo, avvertendo il lieve sospiro caldo della donna scaldargli il collo.
Si fermò davanti alla porta di casa, gettando per la prima volta un’occhiata all’umana rannicchiata tra le sue braccia. Era ancora pallida. Vide le sue palpebre tremare, prima che lei aprisse gli occhi e si rendesse conto che erano arrivati. Si aggrappò alla sua spalla e Thranduil represse un brivido di dolore. Gli aveva afferrato un punto poco più sopra alla ferita che gli mordeva la carne, ma probabilmente era così sconvolta che nemmeno se ne era resa conto. La depositò delicatamente a terra, continuando a sorreggerla con un braccio che le cingeva il fianco, e allungò una mano per aprire la porta d’entrata.
L’aria calda all’interno della stanza le aggredì le guance, che ripresero un colore rosato. Thranduil la sostenne, zoppicante, fino a farla sedere davanti al camino. Mentre la donna si lasciava andare sulla poltrona, per la prima volta alzò gli occhi dal basso e Thranduil vide una scintilla di stupore balenare nelle sue iridi di giada mentre scorgeva lo spettacolo davanti a sé.
L’elfo rimase immobile, senza che alcuna emozione trapelasse dai suoi eleganti lineamenti, mentre lei lo guardava sconcertata, un accenno di lacrime negli occhi. Per sua fortuna, le ricacciò indietro mentre osservava quel volto incantevole e impassibile.
- Avete fatto tutto… voi? – mormorò, riportando lo sguardo sul tavolo davanti a loro.
Sopra alla sua superficie, tutto era stato disposto con ordine e cura. I piatti erano posti uno di fronte all’altro, accanto alle posate, i bicchieri all’angolo delle tovagliette colorate che Thranduil aveva estratto dai cassetti. Al centro, una scodella con della zuppa ormai fredda, del pane appena sfornato che doveva essere stato fragrante e caldo solo qualche ora prima, e una piccola torta decorata da spicchi di frutta che troneggiava al centro.
- Non ha importanza – liquidò la faccenda Thranduil, chinandosi per slacciare i lacci dello stivale della donna. Si fermò quando sentì una mano posarsi esitante sulla sua spalla. Alzò il volto, trovandosi davanti quello commosso di lei. Aveva ripreso colore, alcune ciocche di capelli le erano scivolate davanti al viso e le sue labbra erano di un invitante rosa scuro, costellate dagli impercettibili segni dei suoi denti.
- Grazie – sussurrò, abbozzando un sorriso.
L’elfo alzò un sopracciglio, chinando brevemente il capo per mostrare di accettare la sua gratitudine. Tornò a svolgere i lacci, allargandoli per far sì che sfilando lo stivale la sua caviglia non fosse troppo pressata, e osservò poi il gonfiore che l’aveva resa il doppio di quella che era prima.
Asinna si chinò sopra di lui, i suoi riccioli gli ricaddero sulla spalla mischiandosi con i suoi capelli d’oro colato. Thranduil sentì improvvisamente il suo profumo di gelsomino e vaniglia avvolgerlo sensualmente, e si ritrasse appena mentre le mani della donna andavano a tastare la caviglia.
Osservò la sua bocca contrarsi in una smorfia dolorante, poi lei si raddrizzò, indicando i cassetti.
- Potete portarmi le bende? – prima ancora che avesse concluso la domanda lui si era alzato ed era andato a prenderle. La donna guardò la schiena dritta dell’elfo con un misto di emozioni confuse che le prendevano a pugni lo stomaco, finché lui si voltò e catturò il suo sguardo con le iridi perlacee. Si avvicinò e si inginocchiò di nuovo, accanto a lei, afferrandole con delicatezza la gamba e allontanando le sue mani puntinate di lentiggini chiare per svolgere la stoffa e cominciare a fasciare la caviglia. Anche lì la pelle chiara era decorata da quelle allegre macchioline castane.
Asinna trasse un respiro tremante, mentre sentiva le dita delicate dell’elfo scorrere sulla sua pelle, con il cuore che si rifiutava di battere a un ritmo regolare. Thranduil stesso poteva sentire il suono rimbombare nelle sue vene sotto ai polpastrelli, ma rimase in silenzio.
L’umana era reduce da un incontro che l’aveva scossa profondamente, e l’ultima cosa di cui aveva bisogno era cadere trappola dell’adrenalina e di sensazioni confuse nate da un disperato desiderio di conforto. Sorrise con compassione, scuotendo appena il capo, rimproverandosi. Da quando si era ammorbidito così tanto da non sfruttare le debolezze altrui?
Eppure, quando alzò lo sguardo e vide il verde mare di dolcezza dei suoi occhi, seppe di aver fatto la scelta giusta. Se avesse permesso alla donna di scavalcare barriere invalicabili, anche con un solo gesto sconsiderato dettato da un bisogno momentaneo, qualcosa l’indomani sarebbe cambiato. Per quanto Thranduil avvertisse la tensione che c’era nell’aria, e sentisse che dentro di lui qualcosa si stava rompendo, che la barriera che aveva posto tra sé e il mondo fosse sulla buona strada per crollare, sapeva che non sarebbe stato giusto lasciare che l’umana cedesse all’istinto solo perché era puramente curioso di vedere cosa sarebbe successo.
Si rialzò, porgendole esitante una mano per aiutarla ad alzarsi. Asinna intrecciò le dita alle sue, infinitamente più lunghe, e si trasse in piedi, cercando di fare ordine nella mente caotica e di scacciare l’agitazione che non le lasciava tregua. Posò lentamente il piede ferito a terra e caricò gradualmente il peso. Era sicura di non essersi rotta nulla, e la fasciatura avrebbe di sicuro aiutato a far assorbire il colpo.
- Sarebbe un peccato sprecare quello che avete fatto – disse, voltando il volto verso l’elfo. Le loro dita erano ancora intrecciate. Thranduil scrollò lievemente le spalle.
- Ormai è freddo.
Asinna abbozzò un sorriso. La calma nei suoi occhi grigi stava sortendo l’effetto di quietare la sua inquietudine. Stava spazzando via ogni complesso intrico di desideri ed emozioni che le opprimevano lo stomaco.
- Dovete riprendere le forze.
Un sorriso sarcastico velò le labbra provocatorie dell’elfo, che le lanciò uno sguardo mellifluo da sotto le lunghe ciglia nere. La sua voce profonda fece vibrare il suo cuore dolente.
- Certo, riversate la colpa su di me – la prese velatamente in giro, ma accettò il suo timido invito. La aiutò a sedersi, e quando le sue dita lasciarono andare il calore della sua pelle e incontrarono la fredda aria, Thranduil sentì qualcosa contorcersi nel petto.
È la luna, pensò con rammarico.
Per un istante, la sua mente tornò a quando centinaia di secoli prima scherzava tra i raggi di luna e il chiarore delle stelle, avvolto in morbide coperte di seta, guardando gli occhi dell’amore della sua vita, e accarezzava la pelle tesa che proteggeva quella che sarebbe diventata la persona più importante della sua intera esistenza. È la luna, dicevano, è la luna quella che darà la sua bellezza a nostro figlio. È la luna, che rende tutto più magico. È la luna, che fa sentire la pace nel cuore.
Thranduil si sedette davanti ad Asinna, il cuore che batteva al ritmo di una nostalgia che gli toglieva il fiato. Eppure, nel perdersi per un attimo nel verde giada che lo osservava sereno, il dolore si affievolì.
È la luna, pensò.
Tornò al presente, ai piatti che Asinna stava riempiendo nonostante la sua mano ancora tremasse. Proprio non riusciva a rinunciare ad avere la situazione sotto controllo, pensò l’elfo con un flebile sorriso che lei non notò. Era tardi, probabilmente troppo tardi, ma il tempo si era dilatato in una bolla che li aveva racchiusi nel loro mondo, e mangiarono lentamente, assaporando tutto ciò che avevano davanti con più gusto del solito.
Alla fine rimaneva solo la torta da tagliare. Thranduil aveva cercato a lungo dei libri di cucina, sfogliando i fascicoli di pergamene tenuti insieme da spago, scorrendo velocemente gli indici per trovare delle ricette per preparare la cena. Quando sarebbe tornato a casa, avrebbe decisamente dovuto provare a imparare ad arrangiarsi a cucinare, nel caso circostanze simili fossero capitate di nuovo -anche se si augurava di essere solo paranoico, e che una tale eventualità fosse ben remota. Solo alla fine aveva trovato nell’armadio in camera qualcosa che potesse essergli utile, un vecchio ricettario polveroso abbandonato sopra all’angolo della mensola, e seguendo riga per riga le istruzioni era riuscito a creare quella piccola tortina decorata da macchie sgargianti di frutta. Era stato più difficile di quanto si aspettasse, ma era soddisfatto del suo lavoro.
Asinna gli porse il coltello, e l’elfo fu colta da un dubbio fastidioso.
E se non è buona?
Si rimproverò da solo non appena ebbe formulato quel pensiero. Perché si curava così tanto di un dettaglio così irrilevante? Il re di Bosco Atro si stava davvero rammollendo. Si era già sforzato troppo.
Afferrò il coltello e con tagli decisi divise la torta in due piccoli spicchi. Spinse il piatto verso di lei, che afferrò la sua fetta con un sorriso per poi morderla delicatamente, mentre anche Thranduil prendeva la sua porzione. L’espressione vagamente fiera della donna gli fece intuire che ancora una volta, il re degli elfi non aveva sbagliato nulla. Era deliziosa.
La donna lo guardò aggrottando le sopracciglia.
Non è la vostra prima torta, lesse sulle sue labbra.
Sorrise, e si limitò a scrollare le spalle. Spostò lo sguardo sulla finestra, e la valle addormentata sotto di loro. Le stelle erano piccoli diamanti luccicanti nel cielo, che vegliavano sulla foresta silenziosa. Era giunto il momento. Il re degli elfi riportò lo sguardo su di lei.
- Cosa è successo?
Lei si irrigidì, guardandolo con una sorta di timore indeciso negli occhi. Rimase in silenzio a lungo, immersa nei suoi pensieri. Il suo zigomo era ancora sporco di terra, così come il suo braccio, su cui figurava una fastidiosa bruciatura che arrossava il bianco della sua pelle.
Infine, tornò a guardarlo. Thranduil sorresse il suo sguardo. Fosse stato quello stesso pomeriggio, si sarebbe arrabbiato per il suo silenzio. Avrebbe preteso prima una risposta. Ma la quiete della notte aveva lenito anche il suo carattere ombroso e impaziente, come un dolce unguento steso su una ferita bruciante.
- C’era un ragno.
Asinna vide un’ombra calare sulle iridi grigie dell’elfo. Si protese verso di lei, improvvisamente teso.
- Un ragno? Come siete riuscita a scappare? – esclamò incredulo.
Un sorriso triste illuminò il volto dell’umana, una nota malinconica trapelò dalle sue parole.
- Ve l’ho detto, che questo bosco è la mia salvezza.
Il re degli elfi la guardò intensamente, ma lei non sembrava intenzionata a dire altro. Distolse lo sguardo dal suo, alzandosi lentamente.
- Vado al ruscello.
Thranduil aprì la bocca per protestare, ma le implicazioni delle sue parole lo trattennero un istante più del necessario. Rimase seduto, immobile, mentre la donna usciva lentamente, con un’andatura ondeggiante, e esalò un profondo sospiro. Si alzò dopo qualche minuto, raggiungendo il retro della casa. Mirtilla dormiva in un angolo del recinto, appallottolata su se stessa. I vestiti di Asinna erano stesi per terra vicino a dove lui aveva abbandonato i propri quando si era alzato in piedi e si era immerso nel ruscello per la prima volta. Per un attimo, la superficie dell’acqua rimase intatta, riflettendo come uno specchio il manto del cielo. Poi si ruppe, e la schiena della donna emerse, mentre rivoli d’acqua le scendevano lungo la pelle nuda, i capelli che si allargavano nell’acqua come una corona scura.
Thranduil si era avvicinato, tanto da riuscire a vedere le lentiggini che le macchiavano l’incavo della colonna vertebrale con i suoi occhi da elfo, anche se rimaneva distante di parecchi passi. Si sedette a terra, incrociando le gambe mentre la donna si voltava percependo la sua presenza. O meglio, voltava la testa, avendo cura di coprirsi con le braccia, abbassandosi subito per immergersi fino alle spalle, arrossendo involontariamente.
- Non sappiamo se sia lontano, e senza udito non posso proteggervi nel caso arrivasse qualche pericolo. Non guarderò, prometto.
Nonostante le sue parole, i suoi occhi erano soffermi su di lei quando notò un sorriso divertito addolcire il suo viso. Asinna si voltò quel tanto che bastava per scoccargli un’occhiata impertinente, e far sì che l’elfo osservasse le sue labbra muoversi lente.
- Da quando vi ho chiesto di proteggermi?
Thranduil rimase senza fiato. Mai nessuno gli aveva dimostrato una tale irriverenza, e dal suo volto era sicuro trapelasse la sua seccatura. Il modo in cui lei rise, gettando la testa indietro e lasciandosi cullare dall’acqua, glielo confermò. Scosse la testa, distogliendo lo sguardo con un’improvvisa voglia di colpire qualcosa.
Era persino andato a cercarla nel bosco, si era sforzato di cucinare per far sì che non arrivasse a casa e si trovasse a dover faticare, l’aveva portata in braccio fino a lì e lei lo prendeva persino in giro. L’elfo sbuffò, rigido come un cristallo di ghiaccio, anche se dentro di lui c’era una tempesta di fuoco. Rimase seduto sull’erba umida, fremendo di impazienza mentre i suoi occhi vagavano senza trovare quiete nella bellezza della foresta, le braccia incrociate sul petto come un bambino arrabbiato.
Passò molto tempo, tanto che il re si chiese se la donna non si fosse addormentata in acqua. Poteva vederla, con la coda dell’occhio, ferma nel ruscello, con la testa inclinata verso l’alto ad ammirare il cielo. Passò molto tempo, in cui la sua impazienza si trasformò in una calma accettazione. Dopotutto, era un elfo. Un’ora era meno di un istante nella sua lunga vita.
Infine, la vide muoversi. Girò la testa, chiudendo gli occhi per evitare qualsiasi fraintendimento, mentre lei si rivestiva e i tessuti si bagnavano a contatto con la sua pelle fradicia. Asinna si avvicinò all’elfo, seduto a gambe incrociate, il corpo imponente rigido nella bellezza eterea e maestosa che lo rendeva simile a una statua. Si avvicinò, inginocchiandosi davanti a lui, fissando i suoi lineamenti cesellati, i capelli d’oro scossi dalla lieve brezza che la faceva rabbrividire di freddo, le lunghe ciglia nere che tremarono appena prima di sollevarsi e lasciarle vedere le sue iridi plumbee.
Lui non si mosse di un millimetro, nemmeno nel trovarla così vicina a sé.
Asinna sopportò in silenzio, mentre lui scandagliava il suo volto con cura, osservando le lentiggini chiare sulla pelle pallida, il neo sullo zigomo, gli occhi verdi, per poi tornare a fissare le sue labbra mentre lei pronunciava un’unica parola.
- Grazie – mormorò. Esitò, poi allungò una mano ad afferrare quella dell’elfo con le sue, umide ed insicure. – Grazie, per quello che avete fatto per me oggi.
Thranduil fece brevemente pressione sul suo palmo con il pollice, come aveva fatto tutte le notti in cui Legolas si sdraiava nel buio accanto a lui e piangeva spaventato dai mostri dietro alle tende. Le strinse il palmo, in un muto gesto di affetto e riconoscenza. La rabbia era evaporata.
- Prego. Avrei dovuto ascoltarvi, oggi pomeriggio.
Asinna sbuffò divertita. Si alzò e gli tese una mano. L’elfo la prese e con un movimento rapido si trasse in piedi. Tornarono in casa, e Thranduil le indicò la porta della sua stanza.
- Andate.
Quando Asinna fece per protestare, la zittì con un’occhiata che non ammetteva repliche. Il suo braccio muscoloso rimase teso in aria.
- Andate – ripeté lentamente. Asinna lo fissò crucciata, poi alzò gli occhi al cielo e passò sotto al suo braccio senza nemmeno doversi chinare, scuotendo i ricci bagnati.
Thranduil era piuttosto sicuro che stesse mormorando qualcosa come maledetto elfo.
Quando la porta si chiuse, Thranduil sospirò e si lasciò cadere con eleganza sulla poltrona davanti al camino, in cui ardevano gli ultimi ciocchi consumati dalle fiamme affamate. Portò una mano a sorreggere la testa, fissando il buio oltre la radura.
Ora doveva fare i conti con i suoi pensieri.

Asinna era sveglia, quando i primi raggi di luce le scaldarono le guance. Aprì lentamente gli occhi per abituarli al chiarore dell’alba, fissando i fiori intrecciati sopra alla sua testa. Nel sonno le coperte le erano scivolate fino al bacino, e sentiva le braccia infreddolite. Sospirò, voltandosi su un fianco e guardando la porta socchiusa. I suoi vestiti erano sparsi sul pavimento, dato che la sera prima se li era sfilati ansiosa di mettersi sotto alle coperte.
Aveva fatto fatica ad addormentarsi. Primo perché le coperte e il cuscino erano intrisi dell’odore ammaliante dell’elfo, che le aveva impedito di lasciare andare ogni pensiero che le frullava in testa. Secondo perché ciò che era successo continuava a tornarle alla mente: il ragno, l’alce, la corsa verso casa. La cena che l’elfo aveva preparato per lei, e il fatto che si fosse preoccupato tanto da andare a cercarla quando era calato il buio. E non per ultimo, il ruscello.
Asinna non aveva avuto modo di spogliarsi davanti a qualcuno da anni, e mai l’aveva fatto volontariamente. Il fatto che la sera prima non avesse provato nemmeno una briciola di vergogna era una cosa che le faceva torcere le budella, a pensarci ora, la mattina dopo. Non si capacitava di come si fosse tranquillamente immersa nelle acque cristalline lasciando che lui vegliasse accanto a lei.
Asinna si voltò dall’altro lato. Avrebbe tanto voluto che la sua mente smettesse di lavorare.
Sospirò di nuovo. Erano passati solo tre giorni da quando l’elfo si era risvegliato, ma sembravano una settimana. Troppe cose erano successe, e dato che se ne sarebbe andato non prima di qualche giorno aveva davvero paura di cosa avrebbe potuto accadere in quelli successivi.
Un rumore attutito catturò la sua attenzione. Rimase immobile per qualche istante, poi decise di alzarsi. Si infilò i pantaloni color muschio e una camicia bianca, arrotolando le maniche sulle braccia. La bruciatura sull’avambraccio provocata dalla caduta della sera prima le dava un fastidio insopportabile, accentuato dal suo nervosismo.
Nell’uscire dalla camera, facendo attenzione a non scaricare il peso sulla caviglia dolorante, afferrò la fiala che conteneva la crema che l’elfo avrebbe dovuto spalmare sul graffio che gli attraversava la fronte fino allo zigomo, irritandosi. Gli aveva fatto la predica perché si era dimenticato di metterla, e poi lei stessa si era scordata di dargli la fiala la notte prima.
Quando entrò nella stanza, ciò che si trovò davanti fu così inaspettato che rimase immobile, cercando di capire se stesse sognando o meno.
L’elfo era addormentato sulla poltrona davanti al camino, la testa inclinata sulla spalla, le braccia incrociate sul petto. Sotto alle sue gambe distese, però, c’era la testa curiosa di Mirtilla che la fissava, con il muso appoggiato sullo stivale dell’elfo. Asinna fissò gli occhi marroni della capra, destabilizzata, chiedendosi per un attimo se non fosse vittima di una presa in giro.
Dal suo atteggiamento, l’elfo aveva messo in chiaro che non gradiva la capra. E poi lo trovava addormentato con lei come un bambino con il suo pupazzo.
Un risolino le sfuggì dalle labbra, ma si trasformò in una risata silenziosa che la costrinse a premersi entrambe le mani sulla bocca per evitare di svegliarlo. Peccato che però l’elfo sembrò istintivamente percepire la sua presenza, e le sue palpebre si sollevarono lentamente. I suoi occhi grigi si fissarono su di lei senza esitazione, osservando la sua ilarità con un’ombra di disprezzo.
- Cosa? – esclamò, per poi rendersi conto che qualcosa era appoggiato sul suo piede. Si sollevò dallo schienale della poltrona, guardando in basso per rimanere di stucco nel vedere la testolina bianca di Mirtilla sollevarsi verso di lui con un muto ‘bee’.
Asinna diede libero sfogo alla risata, mentre la faccia sconvolta dell’elfo si imprimeva vividamente nella sua memoria. Era sicura che non avrebbe dimenticato presto quella scena.
- Colazione – lo prese in giro con un sorriso sornione, prendendo dei bicchieri per posarli sul tavolo, mentre lui la fulminava irritato.
- Potremmo mangiare questa capra per pranzo – borbottò, per poi afferrare all’improvviso il bicchiere in volo verso la sua testa. Si voltò verso la donna per trovarla a pochi passi da sé, furibonda.
- Non ditelo nemmeno per scherzo!
Thranduil inarcò le sopracciglia, seccato. Sbuffò, rimanendo in silenzio, mentre Asinna si voltava e cominciava a disporre la colazione sul tavolo. Mirtilla si alzò e lui fu libero di muoversi. Afferrò il braccio della donna con forse un po’ troppa forza, attirandosi la sua occhiata seccata mentre la costringeva a sedersi e finiva di predisporre la colazione, evitando che sforzasse troppo la caviglia, e tenendole comunque il broncio.
Maledetta capra.

Quel giorno passò tranquillo. Asinna controllò le ferite dell’elfo, trovandole a buon punto nonostante gli sforzi del giorno prima. Mentre spalmava concentrata gli unguenti e riarrotolava le bende, Thranduil notò come l’aria fosse tesa. Qualcosa era cambiato nel suo atteggiamento, che la portava a tenere una maggiore distanza e a colorare le sue guance di un impercettibile rosa. Sapeva cosa fosse, e in parte se ne rammaricava, nonostante si ripetesse di non darci più di tanto peso, consapevole che ormai era questione di giorni prima di separarsi.
L’umana era imbarazzata nel trovarsi vicino a lui, probabilmente anche il suo bagno nel ruscello la notte prima infestava i suoi pensieri. L’elfo era consapevole che gli umani si tormentassero con pensieri e paranoie inutili, quando qualcosa non andava come programmato. E di sicuro trovarsi a così breve distanza da un elfo -per cui ogni creatura umana provava una sorta di attrazione, indipendentemente dal sesso- l’aveva portata a pensare troppo alla specie di legame che li connetteva.
Da parte sua, anche Thranduil aveva avuto modo di tormentarsi quella notte, con gli stessi pensieri. Una tale vicinanza tra elfo e umana non si era mai vista nella storia. Figurarsi tra un’umana comune e un re degli elfi. La scenetta della sera prima aveva contribuito a rafforzare i suoi sentimenti contrastanti, che aveva cercato di sopprimere per tutte le lunghe ore in cui era rimasto a fissare la luna. Era furioso, perché sotto sotto si era accorto che la compagnia della donna non era poi così male, e si stava instaurando un legame che qualsiasi altra persona -non lui di certo- avrebbe definito amicizia.
Era confuso, perché il desiderio di tornare dal suo popolo era stato affievolito, anche solo per un istante, dal rammarico. Perché Thranduil aveva trovato una sorta di rifugio, lì. Per quanto la donna si rivolgesse a lui in un tono che non avrebbe mai accettato in circostanze normali, lo facesse lavorare sodo, osasse persino prenderlo in giro, Thranduil si era abituato fin troppo velocemente alla sua compagnia, alle sue lentiggini, alle sue battute e ai suoi ordini imperiosi addolciti dal verde dei suoi occhi.
Era arrabbiato con se stesso, perché inavvertitamente aveva fatto ciò che si era sempre impedito di fare. Trovare qualcuno che scalfisse la monotonia e la solitudine dei suoi giorni.
E pensare che entro breve tempo quella presenza sarebbe svanita dalla sua vita gli lasciava un lieve sentore di amarezza. Sapeva di dover tornare indietro, di dover tornare alla guerra e al sangue, alla freddezza e alla solitudine nelle stanze vuote del suo palazzo, ma l’atmosfera tranquilla e dolce di quel rifugio sulle montagne aveva curato gran parte della sofferenza che aveva celato nel cuore per fin troppo tempo. E non era sicuro di volerlo lasciare andare.












Angolino dell'autrice: 
Buonasera! Come state? Spero che vada tutto bene e siate contenti!
Questo è un capitolo fondamentale. In seguito all'avventura spaventosa di cui Asinna si ritrova protagonista, l'atmosfera cambia radicalmente: sia lei sia Thraduil sono disposti a lasciare andare il velo di ostinazione che impediva loro di parlarsi veramente, di godere della reciproca compagnia, di apprezzarsi per davvero. E questo li porta a pensare e a riflettere sul loro rapporto, sui loro desideri, sulla loro solitudine che tra pocò tornerà ad avvolgersi, quando le loro strade si separeranno. In un breve momento, mettono a nudo le loro anime e lasciano che l'altro lo veda. 
Ormai siamo cica alla metà della storia, ci avviciniamo sempre di più alla fine... chissà cosa succederà nel poco tempo che hanno ancora a disposizione!
Io sto bene, ieri ho ricevuto la notizia di essere stata selezionata per l'Erasmus... sto già impazzendo per le procedure burocratiche, per questo mi stavo dimenticando di postare il capitolo! Scusate il ritardo, spero di essermi fatta perdonare ;)
Come sempre, sono benvenuti i vostri commenti e le vostre riflessioni, che mi fanno sempre sorridere!
Un abbraccio, 
Anna 

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Capitolo 8
*** VIII ***


 
 VIII
 
 



I tre giorni successivi passarono lentamente. Asinna e l’elfo si ritrovarono assorbiti in una routine familiare. L’elfo aveva insistito perché la donna continuasse a dormire nella sua stanza, e all’alba lei lo trovava assopito sulla poltrona, il volto elegantemente illuminato dai chiari raggi del sole. Non appena posava lo sguardo su di lui, l’elfo sembrava avvertire la sua presenza e apriva gli occhi.
Dopo aver mangiato, la donna si dedicava alle sue faccende. Preparava altri unguenti, metteva in ordine la stanza, andava a controllare Mirtilla e le galline portando indietro qualche uovo. Il secondo giorno Thranduil le tenne il broncio l’intera giornata perché lo costrinse a lavare i loro vestiti in un punto dove il ruscello si immergeva nella foresta, di modo che l’acqua dietro alla loro capanna non si contaminasse con il sapone.
Destreggiandosi tra le bolle bianche e i tessuti macchiati, i capelli d’oro legati in una treccia che gli scendeva lungo la schiena e la fronte aggrottata tanto che le sue sopracciglia sfioravano le lunghe ciglia, Thranduil ribolliva di rabbia, strofinando con forza le setole della spazzola sul tessuto azzurro della sua camicia. Lui, un re, anzi il re, costretto a lavare dei vestiti da un’umana.
Era grato di essere solo, perché se qualcuno l’avesse visto -il volto arrossato dal caldo, la camicia inzaccherata di acqua e sapone, i bruschi e faticosi movimenti con cui aggrediva il tessuto macchiato che rivelavano il suo oltraggiato stato d’animo- sarebbe morto dalla vergogna.
Dopo una decina di minuti, spostò lo sguardo sulla pila di indumenti che giaceva accanto a lui e fu preso per un attimo dallo sconforto. Quel lavoro era faticoso, snervante e noioso, e non avrebbe mai perdonato l’umana per un affronto simile.
Asinna aveva finito di trattare i funghi per creare l’unguento miracoloso per le ferite del re quando l’ombra imponente dell’elfo oscurò il pavimento. La donna alzò lo sguardo e scoppiò a ridere alla vista del guerriero sommerso da una catasta di vestiti appena lavati che barcollava verso la poltrona, visibilmente indignato. Le gettò un’occhiata di fuoco e lei abbassò la testa, senza riuscire a far scomparire il sorriso.
Lui le si parò davanti, le iridi grigie che dardeggiavano rabbiose.
- Per oggi ho finito.
La mano calda della donna gli afferrò il polso mentre si voltava per andarsene, e Thranduil si voltò sdegnato solo per trovarsi davanti un ghigno di sfida.
- Lì ci sono le patate da pelare.
Thranduil esalò un respiro tremante quando posò lo sguardo sul mucchio di almeno venti patate che aspettava sul piano della cucina. Asinna richiamò la sua attenzione con uno schiocco di dita, sorreggendo il suo sguardo rabbioso.
- O niente unguento.
Thranduil emise un sordo ringhio tra le labbra, si avvicinò alla cesta e afferrò bruscamente un coltello, sedendosi sulla poltrona e dandole le spalle.
Dovrebbe inchinarsi ai miei piedi, e invece mi fa lavorare come uno schiavo.

Durante il pranzo, Thranduil ignorò ogni tentativo di conversazione, fissando ostinato un punto indistinto alla destra dell’umana. Erano seduti fuori, a mangiare la focaccia di ceci e patate accompagnata da qualche manciata di riso, con l’aria che accarezzava i loro volti e uno splendido cielo a decorare la foresta.
- Non potete tenermi il muso a lungo. Tra pochi giorni ve ne andrete.
La realtà di quell’affermazione riportò l’attenzione del re di Bosco Atro sulle guance rosse della donna. Dopo l’incidente nel bosco, il suo comportamento nervoso si era pian piano acquietato ed era tornata ad avere la solita parlantina. Le gettò un’occhiata altezzosa.
- Mi rincresce privarvi di un tale prezioso aiuto. Chissà che sofferenza sarà lavare i vestiti senza di me.
Lei gli sorrise dolcemente.
- Davvero, è un peccato. State diventando un’ottima massaia.
La bocca di Thranduil rimase aperta per qualche secondo più del necessario mentre si portava un boccone alle labbra. L’elfo sbuffò, afferrò il piatto e andò a sedersi sull’erba qualche passo più in là, arrabbiato.
Asinna rise fino ad avere il mal di pancia quando Mirtilla andò a sdraiarsi contro la gamba dell’elfo e lui le lanciò un’occhiata furibonda.

Dopo quello spettacolo, Thranduil rimase all’aperto a pulire le sue spade gemelle, strofinando il metallo elfico finché iniziò a brillare. I residui di sangue nero erano ormai incrostati al metallo, dato che era passato fin troppo tempo da quando erano stati puliti grossolanamente dalla donna mentre lui era in preda alla febbre.
Si avvicinava sempre di più il momento in cui Thranduil avrebbe dovuto rimettersi in marcia.
Era ansioso e preoccupato. Non sapeva quale fosse la situazione che avrebbe trovato una volta raggiunto il suo esercito. Forse i suoi sudditi avevano già cominciato la battaglia contro gli orchi, forse no. Forse gruppi di esploratori erano ancora intenti a cercarlo nella foresta, molto più a nord di quanto si trovasse realmente.
Da una parte voleva arrivare il prima possibile a destinazione. Ma dall’altra non voleva lasciare quel luogo. Tralasciando la rabbia che provava in quel momento, il sovrano di Bosco Atro si sentiva in pace con se stesso in quella radura, mentre osservava le folte chiome scure che si dipanavano sotto di lui. Sapeva che abbandonare quel luogo l’avrebbe portato solo a guerra, ferite e sangue.
Era lacerato in due, ma non era l’unico.
Vedeva come l’umana si comportasse normalmente, ma anche come i suoi occhi celassero una vena malinconica che si rafforzava la sera, quando gli augurava la buonanotte e indugiava un momento di troppo sulla soglia.
Erano entrambi rimasti soli al mondo, e si erano trovati in una sorta di equilibrio che aveva lenito la loro sofferenza per un lasso di tempo che nella sua lunga vita non corrispondeva nemmeno a un istante. Ma Thranduil era sicuro che quell’istante non sarebbe mai svanito dalla sua memoria.
Percepì un movimento e vide lo stivale della donna apparire alla sua sinistra. Alzò lo sguardo e trovò il suo volto serio a guardarlo dall’alto. Aveva in mano una ciotola.
Thranduil ripose le spade nel drappo bianco, posandole davanti a sé. Asinna si sedette accanto a lui, incrociando le gambe e posando il contenitore a terra. Conteneva una crema densa dal colore del fiordaliso.
- Dovete spalmarla sulle ferite. Stasera vi toglierò i punti. Vi direi di rimanere anche domani, poi potrete partire quando volete – lesse sulle labbra della donna. I suoi occhi di giada sfuggivano i suoi, intenti ad osservare i batuffoli di nuvole davanti a loro.
Asinna era lieta che l’elfo non sentisse. Non aveva potuto accorgersi della sua voce incrinata.
- Mi dispiace per il vostro udito. Ho cercato di fare quello che potevo.
Il re di Bosco Atro annuì. Si sbottonò la camicia, lasciando cadere la stoffa a terra. Il calore del sole baciò la sua pelle mentre svolgeva le bende che gli fasciavano il ventre e toglieva delicatamente l’ultimo strato che copriva le due ferite. Scoccò un’occhiata rapida alla donna, che continuava a guardare davanti a sé, le guance rosse come dei piccoli tulipani.
- Asinna – la richiamò. Lei si voltò e tenne gli occhi ben alti sul suo volto. Thranduil indicò con un gesto del capo in basso, e lei fece scorrere lo sguardo giù, lentamente, dalla sua clavicola al petto definito, dallo sterno fino al suo basso ventre tagliato dalla linea sottile intervallata dai punti. Il re degli elfi sentì una strana morsa al ventre mentre gli occhi di lei lo esaminavano.
Si maledisse. Non poteva agitarsi così solo perché la donna lo stava guardando.
- Dovete solo spalmare la crema – lesse sulle sue labbra rosate. Asinna si morse quello inferiore e la stretta al ventre di Thranduil si rafforzò.
- Fate voi.
Lei evitava il suo sguardo. Lentamente, immerse le dita nell’unguento fiordaliso e si protese verso di lui, i ricci che le scivolavano ai lati del viso. Thranduil trasalì quando sentì le sue dita posarsi delicate e tracciare una scia morbida sopra alla ferita, incendiando la sua pelle.
- Grazie – mormorò.
Lei sorrise, si alzò e rientrò in casa.

Le stelle erano da tempo in cielo quando Thranduil si rassegnò a chiedere aiuto all’umana. Erano seduti davanti al camino, lei stava leggendo il libro dalla copertina nera. Senza posare lo sguardo sulla donna, Thranduil parlò con voce ferma.
- Non dovete togliermi i punti?
Asinna alzò lo sguardo e sospirò piano. Appoggiò il libro capovolto sul bracciolo della poltrona, annuendo lentamente.
- Giusto.
L’elfo le lanciò un’occhiata e si sentì tremare dentro. Le sue iridi plumbee la scrutavano con un’intensità che le fece venire la pelle d’oca. Anche se il suo volto era composto e neutro, dai suoi occhi trapelava una sorta di comprensione. Aveva forse capito?
Aveva capito che dal momento in cui le sue braccia si erano racchiuse attorno a lei, sottraendola al buio e al terrore di quella notte nella foresta, qualcosa era cambiato? Aveva capito che nonostante lei detestasse con ogni briciolo del suo animo la sola idea di non essere più indifferente, era così? Aveva capito che quando si spogliava davanti ai suoi occhi sentiva un cocente imbarazzo? Aveva capito che egoisticamente voleva che rimanesse con lei, per non tornare alla solitudine della sua remota esistenza tra quelle montagne?
Era sicura che avesse capito. Se non tutto, almeno una parte di quei segreti inesprimibili.
- Dovete stendervi – mormorò, alzandosi e sottraendosi allo sguardo dell’elfo. Si avvicinò al cassetto per prendere le bende e gli strumenti che le servivano, ma il cuore le balzò in gola quando sentì il suo odore avvolgerla, il suo respiro lieve poco distante dalla sua schiena.
- Non dovete temere.
Asinna strinse le labbra in una linea sottile, respirando a fondo. Si voltò. Erano vicini, fin troppo vicini, tanto che doveva inclinare la testa verso l’alto per riuscire a guardare quel volto etereo sopra di lei. Era sicura di essere arrossita.
- Cosa significa?
Il suo sguardo sembrava affondare nella sua anima, dolorosamente. Thranduil rimase immobile per qualche istante, mentre trovava una conferma che non avrebbe voluto trovare negli occhi della donna.
- Se ho fatto qualcosa che vi ha messa a disagio, mi dispiace.
La donna continuava a non capire, era chiaro dal modo in cui le sue sopracciglia erano aggrottate.
- Da quando siamo tornati dalla foresta… - si interruppe, vedendo una scintilla nei suoi occhi e notando come lei si fosse irrigidita – e anche prima, quando vi ho chiesto aiuto… ho avuto l’impressione che la mia presenza vi provochi disagio.
Perché si ostinava a non capire?
- Volevo solo… dirvi che apprezzo profondamente il vostro aiuto. Non me ne dimenticherò. Non dovete avere paura – ripeté, e vide nei suoi occhi che qualcosa era cambiato. Si sgranarono leggermente, poi Asinna distolse lo sguardo, come se le sue parole l’avessero ferita.
- Andiamo – disse semplicemente. Scivolò via, allontanandosi da lui, e la sua improvvisa freddezza gli provocò una morsa allo stomaco. Thranduil sospirò, confuso. Aveva forse sbagliato a interpretare il suo comportamento?
Eppure la donna era a disagio, ogni volta che si trattava di curarlo e di toccare le sue ferite. Non aveva dovuto chiederle esplicitamente di aiutarlo lui stesso, poche ore prima, sul verde brillante del prato? Il re di Bosco Atro aveva pensato che lei non volesse più avvicinarsi a lui, non così. Aveva pensato che si preoccupasse della sua intimità, di non dargli fastidio. Non per questo distoglieva lo sguardo quando la camicia si scostava dal suo corpo? Aveva percepito la sua esitazione, più volte, e il modo in cui evitava di guardarlo. Non era successo prima perché prima era un semplice paziente da curare. Ma adesso? Adesso, dopo tutte le giornate trascorse, i discorsi fatti, le battute? Ora che il loro legame, qualsiasi fosse, si era trasformato in qualcos’altro, per quanto strano, lei doveva aver pensato che questo cambiasse le cose, e aveva cominciato a comportarsi diversamente per mantenere le distanze e non dargli l’occasione di fraintendere. Per lei era semplicemente un elfo di cui non sapeva nemmeno il nome con cui trovava piacevole passare il tempo, magari solo quello e solo finché non sarebbe partito. Per questo era imbarazzata, per questo era diventata così pudica, perché ormai erano ciò che altre persone avrebbero definito amici.
Thranduil era consapevole che per lui era lo stesso, e trovava sciocco che ci fosse quella tensione a rendere amari gli ultimi momenti in cui potevano rallegrarsi della compagnia dell’altro. Nonostante sentisse che era profondamente sbagliato, e fosse irritato al pensiero, aveva finito per affezionarsi a quell’umana testarda che gli teneva testa con un’irriverenza per cui altri sarebbero finiti decapitati. Ma lei era diversa. Con lei, Thranduil aveva ritrovato una scintilla di pace, che presto si sarebbe esaurita. E si rammaricava che l’imbarazzo che aleggiava tra loro impedisse alla donna di rimanere serena durante quegli ultimi giorni.
Eppure era così.
Era sicuro che lei avesse in qualche modo percepito l’attrazione che lo trascinava verso di lei, che lo portava a desiderare di rimanere, di godere della sua compagnia ancora per un po’, nonostante con ogni briciola di determinazione avesse cercato di sembrare impassibile e nascondere quegli strani sentimenti che non avrebbe dovuto provare. Per questo era stato sicuro che si trovasse a disagio, in quei momenti. Si era forse sbagliato?
Asinna era già nella stanza, quando la raggiunse. Gli dava la schiena, la testa china mentre sistemava i suoi oggetti sulla scrivania e accendeva una candela. Thranduil slacciò i bottoni della camicia, sfilandosela. Non si era mai spogliato così tante volte davanti a qualcuno da molto tempo.
Si sdraiò, fissando i fiori sopra alla sua testa, ignorando ogni movimento della donna. Davvero non capiva.
Asinna si sedette sul bordo del letto. Il suo fianco toccò morbido l’anca del sovrano e si spostò velocemente quando lui le lanciò un’occhiata penetrante. L’aria fredda prese il posto di quel dolce calore, ed entrambi ne avvertirono la mancanza.
- Scusate – mormorò Asinna, cercando di calmare i battiti del suo cuore.
Tornò a fissare il corpo davanti a lei. Lacerò le bende, posando per un istante la mano sulla pelle tesa del suo addome e sentendo i suoi muscoli contrarsi al contatto. Era forse disgustato? Non sopportava che lo toccasse?
Pulì la ferita con un panno. Gocce d’acqua colarono lungo il ventre del sovrano, scivolando lungo i suoi fianchi e perdendosi nel materasso. Asinna era sicura che le sue guance fossero del colore di un incendio. Lentamente, si accinse a togliere i punti. Un sospiro roco sfuggì dalle labbra dell’elfo sotto di lei ogni volta che il filo abbandonò la sua carne, un sospiro che le fece salire il cuore in gola, mentre lavorava e vedeva i muscoli delineati del corpo contrarsi ad ogni fitta di fastidio. L’ultimo punto si era inciso nella pelle più in profondità degli altri. Mentre lo sfilava, Thranduil si lasciò scappare un gemito soffocato, le braccia che si contraevano afferrando il materasso, il petto che si sollevava in un respiro profondo, la testa che si sollevava verso l’alto sprofondando nel cuscino, mostrando la sua gola candida. Asinna sentiva un calore devastante al ventre, grazie a quella visione, e ringraziò il cielo che l’elfo non avesse guardato il suo volto per tutto quel tempo.
Thranduil riaprì gli occhi, dopo qualche istante. Alzò piano la testa, incontrando le iridi lucide della donna, e si alzò sugli avambracci per gettare un’occhiata alla linea che correva dalla sua anca a sotto l’ombelico. Era una linea rosata, richiusa perfettamente dai punti. Guardò la donna e per una volta si concesse di sorriderle davvero. Asinna ricambiò timidamente.
- Grazie – le mormorò.
Le sue guance erano cremisi, ma l’occhiata che gli lanciò era davvero serena.
- Di niente.
La guaritrice applicò di nuovo l’unguento con un gesto rapido, per poi aiutare l’elfo a bendarsi di nuovo. Una volta finito, Thranduil rimase fermo, senza rivestirsi, mentre la donna gli faceva cenno di aspettare e tornava nell’altra stanza.
Rientrò con due tazze fumanti in mano, porgendogliene una e sedendosi all’estremità opposta del letto, le gambe distese lungo la parete, parallele alle sue. Thranduil si appoggiò al cuscino, godendo del calore dell’infuso che gli scaldava la pelle dello stomaco.
- L’ho fatto con il resto dei funghi – gli spiegò timidamente.
La tensione che aveva scorto nei suoi occhi mentre le parlava nell’altra stanza prima era evaporata. Ora la donna lo guardava semplicemente, e il re aveva l’impressione che quella sarebbe stata una conversazione che non avrebbe dimenticato.
- Vi ringrazio. Avete fatto tanto per me.
Asinna sembrò stupita, al che Thranduil alzò un angolo della bocca in un sorriso triste.
- Conosco le buone maniere, e non sono ingrato, anche se ho un carattere particolare.
- È ammirevole che ne siate consapevole – lo prese in giro lei, provocando una risata leggera. Nel vederlo così rilassato, la schiena appoggiata contro la parete, i capelli che scendevano sul suo petto come una cascata, Asinna sentì una strana quiete calmare ogni traccia di nervosismo che le era rimasta nel cuore.
Il silenzio che seguì era tranquillo. Entrambi si immersero nei loro pensieri, gettando ogni tanto piccole occhiate all’altro, finché Thranduil non prese la parola.
- Non posso rivelarvi il mio nome.
- Lo so.
- Ma questo non significa che se mai avrete bisogno di trovarmi non potrete farlo.
Thranduil posò la tazza sul materasso davanti a sé, appoggiandola contro alla sua coscia per farla rimanere ferma, osservando gli anelli che impreziosivano le sue dita. Ne sfilò uno, quello dalla gemma color acquamarina incastonata sull’elaborata banda d’argento che aveva ricevuto in dono dai nani dopo la Battaglia. Era un dono di cui tutti i suoi sudditi erano al corrente, poiché aveva sancito la pace e l’alleanza con la stirpe che avevano osteggiato così a lungo, consegnatogli da Dàin in una cerimonia di commiato davanti ai loro popoli.
Thranduil tese la mano, e l’espressione perplessa di Asinna mutò.
- Non potrei…
L’elfo la guardò severamente. – È considerata un’offesa terribile rifiutare un dono, tra le usanze elfiche.
La donna esitò, poi si protese in avanti ad afferrare l’anello. Lo osservò, strabiliata dalla bellezza e dal pregio. Persino lei che non era un’esperta riusciva a comprendere che doveva avere un valore enorme. E l’elfo gliel’aveva donato come segno di amicizia, così che se mai avesse avuto bisogno di lui sarebbe stata in grado di raggiungerlo. Non era comune che gli elfi elargissero quel tipo di dono a membri di altre razze, era risaputo. E soprattutto, non lo facevano mai a cuor leggero.
Alzò lo sguardo e sorrise commossa, mentre l’elfo la osservava con una sorta di dolcezza che le scaldò l’anima.
- Non è un semplice anello. È un simbolo che ogni elfo può riconoscere. Non avrete problemi a trovarmi, finché lo indosserete.
Asinna chinò la testa e lo rimirò ancora per qualche istante, prima di provare a infilarlo sulle sue dita. Era talmente grande che le andava sul medio, mentre aveva visto che l’elfo lo indossava al mignolo.
- Non so come ringraziarvi.
- L’avete fatto salvandomi la vita – replicò l’elfo. Riprese la tazza tra le mani e bevve un sorso dell’infuso, con un lieve sospiro. Lo sguardo della donna era ancora su di lui, e le sue iridi color giada erano incerte mentre gli rivolgeva una domanda a cui Thranduil davvero non sapeva cosa rispondere.
- Sarete al sicuro?
L’elfo sorrise con amarezza, pensando a come fosse rimasto al sicuro per fin troppo tempo.
- Non lo so. Non sarò indifeso – fece una pausa, osservando la radura fuori dalla finestra. La notte era ormai inoltrata, e la luce era fioca, dato che nubi grigiastre avevano oscurato la luna. Per i suoi occhi non era un problema, ma per la donna non doveva essere facile distinguere i suoi lineamenti, nonostante la candela che ancora ardeva poco distante da lui.
- Voi?
Asinna si strinse nelle spalle, una nota triste negli occhi.
- Non lo so. Credo dipenda tutto dalla vittoria, o dalla sconfitta, degli elfi. Magari lo stesso istante in cui voi ve ne andrete il ragno tornerà a cercarmi e morirò avvolta in una ragnatela. Almeno voi non avreste il problema di rivedermi di nuovo.
Thranduil la guardò serio, una sorta di malinconia che lo avvolgeva lentamente in una bolla.
- Vorrei rivedervi mille volte, al contrario.
La donna era rimasta senza parole e sorrise tra sé e sé. Per una volta era stato lui a zittirla.
- Mi mancherete – disse semplicemente Asinna, suscitando la sua sorpresa. Lo guardò e Thranduil notò un velo di lacrime rendere i suoi occhi simili a piccole gemme luccicanti. – E non perché toccherà a me lavare i vestiti.
Il re degli elfi sorrise.
- Sarà strano anche per me.
- Torneremo a sentirci di nuovo soli – un lampo folgorò il sovrano. Mai aveva detto di sentirsi solo, eppure lei l’aveva capito comunque. Ancora una volta, lo sorprendeva.
- Immagino di sì – rispose a voce bassa.
La donna gli colpì giocosamente il polpaccio con il ginocchio, in un gesto istintivo per mitigare la tristezza che aveva preso in ostaggio la loro conversazione.
- Promettetemi che parlerete con vostro figlio.
Thranduil aggrottò le sopracciglia, reprimendo l’irritazione istintiva che sorse nel sentirla parlare di quell’argomento, e si disse di ascoltare, per una volta. Avrebbe potuto tornargli utile, pensare diversamente dal solito. E l’unica opinione che avrebbe mai potuto accettare era quella di Asinna.
- Come?
Lei sorrise, e una lacrima solcò la sua guancia mentre guardava fuori dalla finestra, al che Thranduil rimase stupefatto. Non poteva sentire, ma era certo che la sua voce fosse rotta dalla tristezza.
- Se io avessi un figlio con cui parlare, gli direi quello che provo senza nascondermi dietro a scuse o problemi. Gli direi che lo amo più di qualsiasi altra persona al mondo. Più di me stessa.
Rimase in silenzio per un istante, prima di voltarsi. Lacrime calde scendevano lungo il suo viso, mentre i suoi occhi arrossati lo paralizzarono sul posto.
- Ditegli cosa provate, con sincerità. È l’unico modo per abbattere qualsiasi barriera.
Thranduil chinò il capo, mentre lei distoglieva lo sguardo e cercava di riprendere il controllo. Vederla piangere era troppo intimo. Eppure sapeva che lei non si sarebbe permessa di lasciare andare le sue emozioni con nessun’altra persona, e in nessun altro momento. Si stavano dicendo addio, e niente avrebbe intaccato la purezza di quel momento, nemmeno la vergogna.
Un uomo l’avrebbe abbracciata. Un uomo l’avrebbe stretta a sé, lasciando che desse sfogo al pianto che le infiammava la gola sul suo petto, accarezzandole i capelli e aspettando.
Thranduil fece di più. Si alzò dal letto e le si avvicinò. La notte avrebbe nascosto ciò che stava per succedere, avrebbe custodito quel segreto agli occhi del mondo. Per una volta, il re degli elfi lasciò andare ogni etichetta e ogni facciata, e agì di cuore.
Si bagnò le labbra con un ultimo sorso di infuso, e poi cominciò a cantare, sedendosi accanto a lei, spalla contro spalla, donandole il calore del proprio corpo per scaldare il suo cuore assediato dal freddo intenso del dolore.  
Nel sentire quel suono inaspettato, Asinna sussultò. Riportò lo sguardo su di lui. L’elfo stava intonando una canzone in una lingua melodiosa, straniera. La sua voce echeggiava delicata e profonda attorno a loro, creando un’atmosfera magica. Rimase seduta immobile, respirando appena, mentre la cantilena addolciva il suo dolore, scuotendola fin nelle ossa. Rimase immobile, mentre l’elfo la cullava con il suo canto antico e magico, fino a far sparire ogni ombra di oscurità dal suo cuore.







Angolino dell'autrice: 
Buon pomeriggio (: 
Come state? Spero tutto bene! 
Allora, ci avviciniamo alla fine... anche questo capitolo si incentra sul rapporto tra i due protagonisti, il cui tempo ormai è agli sgoccioli... e proprio per questo qualcosa sta iniziando a cambiare! La consapevolezza di essere quasi alla fine li porta ad essere più incauti, più onesti, più aperti. Da una parte l'affetto che si è risvegliato timidamente in loro, dall'altra nuove sensazioni che stanno affiorando e che non sanno bene come controllare...
La parte che ho apprezzato di più, nello scrivere, è sicuramente quella in cui Thranduil regala ad Asinna l'anello. Pensate che servirà, in futuro?
Spero che questa parte vi sia piaciuta, e che possa aver alleggerito un minimo l'atmosfera di questo periodo! Sarei molto felice, se vi avesse fatto sorridere. 
Come sempre, ogni critica o commento è più che benvenuto! Ma vi ringrazio anche solo per essere arrivati a leggere fino a qui!
A presto, 
Anna xx

 

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Capitolo 9
*** IX ***


IX

 


All’alba, Asinna aprì gli occhi e si ritrovò il muso di Mirtilla a una spanna dal volto. Sussultò, ritraendosi istintivamente e alzando lo sguardo per trovarsi davanti il volto sconvolto dell’elfo che la fissava colpevole.
Avvampò, stringendosi le coperte addosso mentre l’elfo raddrizzava la schiena e si portava una mano a massaggiare il collo, nel gesto più umano che gli avesse mai visto fare, con un’espressione lievemente imbarazzata. Mirtilla belò e posò il muso sul suo letto, cercando di raggiungere il braccio della sua padrona, che continuava a fissare l’ospite nella sua stanza senza riuscire a pronunciare nemmeno un suono, la testa ancora sul cuscino.
- Mi dispiace – disse l’elfo, nello stesso istante in cui lei riprendeva il controllo delle sue corde vocali e pronunciava un cosa ci fate qui con un’ottava più alta del normale.
Si mise seduta, ben consapevole che la veste da notte blu non le copriva le cicatrici che le deturpavano le spalle e la parte superiore delle braccia, nascoste di giorno dai vestiti. L’elfo indietreggiò di un passo, riacquistando il controllo del volto e riprendendo un’aria neutra mentre puntava lo sguardo sulla capra in mezzo a loro.
- Stavo cercando di portarla via. Mi sono svegliato mentre entrava qui, e non volevo che vi svegliasse – spiegò, una vena d’incertezza nella sua voce.
Asinna sbuffò e guardò gli occhi castani della capra. Lei le rivolse un bee allegro.
- Come fai a uscire dal tuo recinto, di grazia? – sbottò arrabbiata, e le orecchie candide dell’animale si abbassarono. Asinna alzò lo sguardo sull’elfo, che suo malgrado stava cercando di nascondere un sorriso divertito.
- Uscite. Arrivo.
Lui annuì e tornò nell’altra stanza, richiudendosi la porta alle spalle mentre la donna tirava un sospiro di sollievo e lasciava cadere le coperte, scoprendo le braccia costellate da lunghi segni pallidi. Ci mancava solo che lui li vedesse e cominciasse a fare domande, il giorno prima della sua partenza.
La realtà la colpì come una secchiata d’acqua gelida, mentre posava i piedi sul pavimento. Le forze le vennero improvvisamente meno e rimase seduta, con un peso improvviso a schiacciarle il petto. Quello era l’ultimo giorno che avrebbe passato con l’elfo.
Asinna strinse gli occhi, mentre una fitta di panico acuto le colpiva dolorosamente il petto.
Un giorno e sarebbe tornata alla normalità.
Deglutì, prendendo un paio di respiri profondi. Aveva passato i giorni precedenti comportandosi normalmente, evitando di pensare a quell’imminente partenza che, già lo sapeva, le avrebbe fatto rimpiangere l’aver deciso di vivere isolata da ogni cosa e persona.
Ma più di tutto avrebbe rimpianto la compagnia di quell’elfo che aveva accolto in casa. Se ne era presa cura con tutte le sue forze, dedicandogli ogni momento del suo tempo per farlo ristabilire, all’inizio ansiosa che se ne andasse. Ma pian piano quell’ansia di tornare alla vita di prima era svanita, sostituita dalla piacevole tranquillità che il loro nuovo equilibrio aveva instaurato.
Adesso sentiva lo stesso dolore sordo che aveva provato quando aveva deciso di abbandonare la sua vecchia vita e si era inoltrata nella foresta armata solo di un vecchio bastone e tanta speranza. L’incertezza era quella che aveva provato anni prima, solo molto più cocente, perché si stava per separare dall’unica persona di cui avesse realmente mai gradito la compagnia, e sarebbe tornata a vivere sola, senza le sue occhiate rabbiose, senza le sue risposte aspre, senza i suoi gesti, gentili a dispetto delle sue parole.
Senza la sua amicizia.
Asinna riempì i polmoni d’aria con un sospiro profondo, finché li sentì sul punto di scoppiare. Poi lasciò andare il fiato, aprendo gli occhi. Aveva poche ore davanti, e non le avrebbe passate rimuginando su ciò che non poteva cambiare. Le avrebbe usate per godersi gli ultimi momenti assieme all’elfo.
Si vestì, indossando dei pantaloni color pece e una casacca verde scuro. Al medio infilò l’anello che l’elfo le aveva donato la sera prima, quando ogni problema sembrava una remota eventualità.
Quando uscì dalla stanza, lo trovò seduto al tavolo. Tutto era già stato disposto sul tavolo, e Mirtilla era scomparsa.
Asinna si sedette al tavolo dopo aver preso la caraffa di tè, incontrando lo sguardo dell’elfo. I suoi occhi sembravano di un grigio più scuro del solito, mentre la guardava con un’espressione lievemente crucciata. La donna alzò un sopracciglio in una muta domanda, versando la bevanda fumante nella sua tazza, ma lui scosse la testa.
Il silenzio diventò insopportabile, mentre mangiavano, tanto che Asinna si decise a romperlo per prima.
- Devo andare al villaggio per mettermi d’accordo con la persona che vi presterà il cavallo.
L’elfo aggrottò le sopracciglia, rimirando uno spicchio di mela alla luce dell’alba.
- Non sappiamo se accetterà.
- Non ho dubbi – disse con calma la donna. Lui sbuffò lievemente, posando lo sguardo sul suo volto. Le sue guance non erano macchiate da nessuna sfumatura di rosso, solo estremamente pallide.
- Verrò con voi.
Asinna avrebbe preferito evitarlo, ma non obiettò. Ormai non aveva più senso tenere nascosta la sua presenza, dato che entro qualche ora sarebbe svanita. Annuì e il suo stomaco si strinse improvvisamente. Abbassò lo sguardo a fissare il piatto pieno a metà di frutta e piccole focaccine che avevano preparato il giorno prima, con un sospiro. Sapeva di dover mangiare, dato che la camminata non sarebbe stata breve, ma non riusciva.
L’elfo fissò il suo volto per qualche istante prima di alzare gli occhi al cielo e battere una mano sul tavolo con uno schiocco secco. Asinna sussultò, alzando lo sguardo su di lui, stupefatta. Era il primo gesto di impazienza che l’elfo aveva mai mostrato.
- Non sto morendo – sbottò Thranduil. Una sorta di irritazione profonda gli aveva stretto le viscere, e non riusciva a sbarazzarsi di quel miscuglio di dispiacere e malinconia.
Un sorriso timido apparve sulle labbra della donna.
- Lo so.
- Allora non comportatevi come se stessi per farlo.
Asinna inarcò un sopracciglio, divertita.
- Io sto mangiando, a differenza vostra.
Thranduil guardò il suo piatto. Era colmo. Guardò quello della donna. Ne aveva già mangiato metà.
Sbuffò infastidito e afferrò bruscamente la tazza, bevendo un sorso di tè. Era talmente caldo che gli bruciò la gola, ma non permise ai muscoli del suo volto di muoversi.
Asinna nascose un sorriso.

Era una giornata splendida. Il cielo era sereno, sopra alle loro teste, e poi sopra ai rami degli alberi che impedivano loro di vedere i banchi di nuvole muoversi sospinti dal vento. Thranduil e Asinna camminavano fianco a fianco, in silenzio, o almeno finché l’elfo decise di dar sfogo alla sua curiosità.
- Chi è la persona da cui stiamo andando?
Asinna gli gettò un’occhiata perplessa.
- Un amico.
Il re di Bosco Atro annuì, riportando lo sguardo sul sentiero davanti a loro che curvava dietro alle masse degli alberi. Non sopportava la mancanza di conversazione, perché i suoi pensieri cupi tornavano ad assalirlo senza lasciargli scampo, ma ogni suo tentativo volto a iniziare un dialogo era stato infruttuoso.
- Un amico o un amico? – calcò l’ultima parola, fingendo che fosse una domanda dettata semplicemente da pura curiosità. Avvertì lo sguardo della donna su di lui, penetrante, ma la guardò innocentemente.
- Dato che manca poco, ignorerò la regola due e vi risponderò. È solo un amico.
L’elfo annuì lentamente, incrociando le mani dietro alla schiena. Non era di certo sollievo quello che sentiva. Non gli importava per nulla della risposta. Dopotutto non si sarebbero mai più rivisti.
- E non avete una persona… speciale nella vostra vita? – aggiunse.
Il volto della donna si adombrò per un secondo, prima di tornare neutrale. Asinna alzò le iridi di giada verso di lui, che si sentì soffocare per un attimo da quello sguardo profondo.
- No – esitò, mordendosi il labbro. – Siete felice di rivedere vostra moglie?
Fu come se un lampo lo fulminasse lì, dov’era. Thranduil si fermò, colto alla sprovvista, guardandola con gli occhi sgranati, le labbra schiuse, mentre lei lo guardava spaesata. Si ricordò solo dopo qualche secondo che nei suoi discorsi aveva menzionato suo figlio, ma mai la sua compagna.
- Mia moglie non c’è più – mormorò. Asinna impallidì.
- Scusate, io- si interruppe al cenno rilassato di Thranduil. Era un dolore che covava da tempo, a cui era abituato, che non se ne sarebbe mai andato. Ma lo tormentava da così tanto che ormai era riuscito ad accettare la sua morte, tranne nelle notti di luna piena, quando la sofferenza lacerante tornava a straziare il suo corpo e la sua mente.
- Non preoccupatevi.
Ripresero a camminare, finché Thranduil si voltò di nuovo verso di lei.
- Volete una famiglia?
Due macchie cremisi comparvero sulle guance di lei, e alla sua occhiata scandalizzata il re di Bosco Atro si sentì fulminato per la seconda volta, rendendosi conto che la sua domanda poteva facilmente essere male interpretata.
- Non intendevo… - rimase senza fiato. – Non era una proposta.
Perché il suo cuore batteva così forte? Non era normale. Doveva essere impazzito. Sì, decisamente. Non era da lui balbettare in quel modo e non padroneggiare la sua lingua. Da quando si era trasformato in un adolescente impacciato che non sapeva parlare in modo adeguato? Da quando le sue parole erano diventate così deboli e fraintendibili?
- Non ho mai pensato che lo fosse! – la risposta di Asinna gli fece rimpiangere il momento in cui aveva deciso di aprire bocca, e la donna accelerò il passo, decretando la fine della conversazione.
Thranduil si era maledetto più volte, quando arrivarono finalmente ad avvistare il villaggio. Era costituito da qualche decina di case in legno, disposte lungo i lati di due strade che si incrociavano al centro del paesino.
Asinna rallentò e gli fece cenno di coprirsi. Gli aveva procurato una mantella così che il cappuccio potesse coprire i suoi vistosi capelli biondi e le orecchie a punta, anche se anche bastava la sua altezza a rendere impossibile ignorarlo.
Si inserirono sulla strada principale, camminando al lato della via, evitando gli sguardi curiosi delle donne e degli anziani puntati su di loro. Gli uomini probabilmente erano a lavoro, a caccia o impegnati altrove. Quando passarono davanti alla bottega della sarta, Asinna scorse la proprietaria avvicinarsi rapidamente alla finestra per guardarli a bocca spalancata, e si avvicinò di un passo all’elfo, nervosa. Lui le gettò un’occhiata e le porse il braccio, notando come aveva cominciato a zoppicare. La sua caviglia era guarita abbastanza da permetterle di camminare, ma la strada era stata lunga e doveva essere stanca. La donna appoggiò esitante la mano al suo braccio, guardandolo incerta, ma lui ignorò il suo sguardo e tornò a guardare dritto davanti a sé. Un paio di bambini attraversarono la strada, lanciandosi una palla mentre li guardavano sfrontati.
La donna gli indicò con una lieve pressione del braccio di svoltare a sinistra, in un vicolo tra due capanne più grandi delle altre. Seguendo la stradina, arrivarono infine a una casa dal tetto ricoperto di muschio, cosa che Thranduil trovò piuttosto interessante.
Mentre Asinna bussava, l’elfo si guardò attorno. Era una casa abbastanza lontana dalle altre, tanto che pochi passi più avanti gli alberi formavano una fitta parete; era ad un solo piano e il portico in legno era graffiato da profondi segni. 
La porta aprì, e comparve il volto amichevole di un uomo. Sorrise alla donna e la abbracciò, provocando l’occhiata sdegnosa del sovrano di Bosco Atro. Aveva radi capelli attorno alla testa, compensati da una folta barba striata di bianco, e due caldi occhi castani. Era di altezza media, piuttosto muscoloso, e con un bel sorriso.
- Che bello rivederti, guaritrice – esclamò, posando le braccia sulle spalle della donna. Asinna rise, e Thranduil si sentì inquieto. Mai l’aveva vista così rilassata, se non la notte prima.
L’uomo squadrò l’elfo, individuando fin da subito i lunghi capelli nascosti sotto al cappuccio. Si fece indietro senza dire niente e allargò un braccio per invitarli ad entrare, cosa che Asinna fece, gettando un’occhiata indietro per far sì che l’elfo la seguisse.
La casa era piccola, ma accogliente, nonostante i mobili fossero pochi. Al centro, un tavolo rettangolare attorniato da varie sedie, di fronte a un camino. L’angolo della cucina era perfettamente in ordine alla loro destra, e una serie di tre porte si apriva sulla parete in fondo.
Si accomodarono, mentre l’uomo offriva loro un bicchiere di latte di capra. Thranduil rifiutò, attirandosi l’occhiata ammonitrice di Asinna.
Finalmente, l’uomo si sedette a capotavola, guardando la donna.
- Cosa ti porta qui?
Asinna sospirò, intrecciando nervosamente le mani davanti a sé. Il sovrano di Bosco Atro vide chiaramente lo sguardo dell’uomo fissare l’anello che le aveva regalato.
- Ho bisogno del tuo aiuto.
Lui annuì, appoggiandosi allo schienale della sedia.
- Avrei bisogno di uno scambio. Mi serve un cavallo.
L’uomo aggrottò la fronte, perplesso.
- Con cosa vorresti scambiarlo?
Asinna si voltò verso l’elfo. Thranduil detestò il momento di silenzio cupo che seguì. Abbassò lo sguardo, fissando le gemme che decoravano le sue dita. Avrebbe davvero dovuto scambiarle per un misero cavallo?
Ma poi il pensiero delle conseguenze lo investì. Se non lo avesse fatto, tutto il suo popolo sarebbe stato ancora più in pericolo di quanto già non fosse. Con un lieve, drammatico sospiro si sfilò dall’indice l’anello d’oro, decorato dal rubino più appariscente. Vide gli occhi dell’uomo sgranarsi increduli quando posò il gioiello sul tavolo in mezzo a loro. Rimase muto per qualche decina di secondi, fissando poi la donna con profonda costernazione.
- Asinna, non è uno scambio equo. Nemmeno il migliore dei miei cavalli potrebbe valere la perdita di quell’anello.
Era arrivato il momento di parlare. Thranduil abbassò il cappuccio, rivelando il volto etereo e maestoso. Aveva ripreso il contegno da re, l’altezzosità nello sguardo, la piega severa delle labbra e la postura dritta. Emanava un’aura imperiosa, che fece rimpicciolire gli umani nelle loro sedie, intimiditi dalla sua bellezza remota. Vide gli occhi dell’uomo spalancarsi ancora di più, quando le sue parole grevi ruppero l’aria come una melodia antica e profonda.
- Il vostro aiuto vale quell’anello, non di meno.
Finalmente l’umano si degnò di guardarlo, stupefatto. Abbassò lievemente il capo, confuso.
- Non sono convinto delle vostre parole, ma se a voi va bene… venite.
Lasciò l’anello sul tavolo, turbato, guardando per l’ennesima volta Asinna che lo fissò stringendosi nelle spalle. Non era a lei che toccava trattare quell’affare.
Thranduil riprese il gioiello incustodito, seguendo la schiena dell’uomo. Li condusse sul retro della casa, dove c’era una stalla. Dalle porte spuntavano i musi di alcuni cavalli. L’uomo possedeva sei esemplari, tutti magnifici, ma li portò direttamente al cubicolo dove era rinchiuso uno stallone dal manto nero come la pece e gli occhi intelligenti. Sbuffò, quando si avvicinarono, protendendo il muso verso l’elfo.
- Questo è il migliore che ho. Si chiama Tuono.
Il re si avvicinò lentamente, osservando il suo muso elegante. Posò una mano sul suo collo caldo, sorridendo lievemente mentre l’animale sbuffava contro il suo collo, annusandolo curioso.
- Va bene.

Dopo essersi messi d’accordo su alcuni dettagli, Asinna e Thranduil si erano congedati. Usciti dal villaggio, mentre Asinna avvertiva lo sguardo del vecchio matto fisso su di loro, si erano avviati verso casa, fermandosi a metà per mangiare qualcosa. Avevano parlato del più e del meno, senza toccare alcun argomento che avrebbe potuto intaccare l’atmosfera serena, favorita dalla bellezza del paesaggio che potevano intravedere seduti sulle massicce radici che salivano su per il pendio della montagna.
Quando erano arrivati a casa, Thranduil si era lavato e l’aveva aiutata a cucinare. Mentre pelava le patate, per l’ultima volta, si era ritrovato ad osservare con attenzione ogni angolo della piccola casupola che non avrebbe mai più rivisto, per non lasciarla svanire nella memoria.
Il pomeriggio era trascorso più velocemente di quanto avrebbe voluto, finché si erano ritrovati seduti a cena. Mentre il re degli elfi distribuiva le porzioni della focaccia e dell’insalata di verdure, vide la donna estrarre una bottiglia dal colore inconfondibile da un’anta.
- Da quando avete del vino? – esclamò, genuinamente sorpreso.
Lei gli sorrise con una vena di sarcasmo. – Da sempre, ma non volevo sprecarlo con un elfo antipatico.
Il re degli elfi fremette, alzando un sopracciglio. Posò il piatto della donna davanti a lei e la guardò con aria di sfida.
- Quindi l’elfo non è più nella vostra lista di persone non gradite?
Asinna scrollò le spalle, aprendo la bottiglia e versando il vino di un invitante rosso scuro nei bicchieri.
- Potrebbe essere.
Thranduil sogghignò, e si sedette. Si guardarono per un istante, poi afferrarono i bicchieri e li fecero scontrare con delicatezza, senza distogliere lo sguardo uno dall’altra mentre bevevano il primo sorso.
Il re doveva ammettere che era buono, anche se non si avvicinava alla qualità di quelli che aveva a disposizione nelle sue cantine. Ma soprattutto era forte.
Mangiarono in silenzio, ma senza che nessuna emozione negativa appesantisse l’atmosfera. Si godettero semplicemente la compagnia, finché la cena si concluse, mentre il vino continuava ad essere versato e un lieve velo di allegria annebbiava le loro menti.
Si ritrovarono a ridere e a prendersi in giro liberamente, senza dar più ascolto alla timidezza o al riserbo. Thranduil notò che alla luce della candela gli occhi di Asinna sembravano rilucere di luce propria, e il suo sorriso aveva il potere di scaldargli il cuore.
A un certo punto, lei lo invitò a seguirla, e tenendo in mano bottiglia e bicchiere si recò fuori. Il cielo era terso, e una mappa di stelle riluceva sul blu notturno. Thranduil la seguì, i capelli lievemente smossi dal vento e una strana sensazione che gli penetrava fin nelle ossa -una sensazione che si avvicinava pericolosamente alla felicità, e che da tempo non provava.
Asinna si sedette sull’erba, e l’elfo seguì il suo esempio, accomodandosi accanto a lei senza mantenere una distanza di cortesia. Non importava più, perché tra le stelle e gli occhi di lei Thranduil non voleva perdere nemmeno un istante di serenità, e più vicino era più il suo cuore tornava a battere forte. Aveva bevuto troppo, la sua mente era annebbiata dal calore piacevole che aveva spazzato via ogni preoccupazione, lasciando posto a una pace sconosciuta.
Asinna bevve il penultimo sorso di vino, le guance rosse come due mele mature. Gli porse la bottiglia perché lo finisse, e le loro dita si sfiorarono, e la donna sentì una dolorosa sensazione stritolarle il cuore. Thranduil obbedì, e posò la bottiglia sull’erba accanto a loro, leccando via le ultime gocce di quel dono divino dalle labbra. Era ben consapevole che gli occhi dell’umana seguirono quel movimento, senza alcun pudore, e sorrise nel sentire una sensazione di vittoria dentro di sé.
- Volevate conservare il vino per festeggiare la mia partenza, dunque – mormorò, la voce roca più del solito. Asinna lo guardò appoggiandosi sui gomiti e scoccandogli un’occhiata impertinente prima di sollevare lo sguardo verso il cielo. Era sdraiata accanto a lui, i lunghi ricci sparsi sull’erba, come la figura di un ritratto colta in un momento di ammirazione per la bellezza della notte che faceva risaltare la sua pelle ricoperta di lentiggini.
- Non direi festeggiare – mormorò. Poi ridacchiò. – Anche se l’idea all’inizio era quella, sì.
Piantò gli occhi di giada nei suoi e ghignò, prima di fare l’imitazione di una delle prime frasi che Thranduil le aveva rivolto. – Continuate a fare domande sciocche.
L’elfo era tentato di allungare il braccio e darle un leggero colpo alla sua spalla, ma rimase immobile, con una dolce irritazione che lo assaliva.
- Era da tempo che non bevevo, però, e mi avete fornito l’occasione giusta – aggiunse la donna. – Grazie per il mal di testa che avrò domattina.
La risata melodiosa dell’elfo le fece venire i brividi, e lo guardò. Era di una bellezza assoluta, e la sua pelle sembrava il marmo di una statua finemente scolpita, dalla bellezza quasi selvaggia sotto ai raggi lunari. I suoi occhi grigi la guardarono divertiti, e pericolosi.
- Siete voi che avete deciso di farci ubriacare, non io.
Asinna rise. Era felice. – Non ho mai detto che dovevamo finire la bottiglia.
- Non ve l’avrei fatta di certo finire da sola.
- Non è che mi sarebbe dispiaciuto. Mi sarei ubriacata il doppio.
- Per un doppio mal di testa.
- Allora dovrei ringraziarvi per avermi risparmiato metà della sofferenza? – lo prese in giro lei. Thranduil la guardò. Sorrideva, ed era bella, e le sue labbra erano di un rosa intenso.
- Questo spetta a voi deciderlo.
La donna si sdraiò completamente sull’erba, spostando i capelli da sotto al capo. Sembravano formare una sorta di corona attorno alla sua testa.
- Vi ringrazierò per avermi fatta sentire meno sola – mormorò. Lo fissò intensamente e il re rimase immobile, mentre ogni suo lineamento era esaminato da quegli occhi lucidi.
- Potreste farmi un dipinto – ironizzò dopo qualche minuto, facendola ridacchiare.
L’Asinna ubriaca era molto più incline a sorridere. Era più serena. E gli piaceva questa Asinna.
- Se solo fossi capace a disegnare lo farei. Tutti gli elfi sono belli come voi?
Il re di Bosco Atro sogghignò, alzando per un attimo lo sguardo sulla vallata sotto di loro. Quella tranquillità era svanita, dentro di lui. Sentiva solo fuoco scorrere nelle vene.
- Assolutamente no.
- Ah, sareste voi il più bello? – l’elfo era estremamente divertito dalle sue parole, Asinna poteva vederlo. Ma era la pura verità quella che usciva dalle sue labbra incaute.
- Potrei dirvi di sì, ma non vi fidereste della mia parola.
- Invece mi fido.
Thranduil rimase sorpreso dalla sua risposta. Quelle tre parole erano sfuggite alle sue labbra così veloci, così convinte, così sincere.
- Penso che mio figlio sia più bello di me.
Lei sventolò la mano in un cenno distratto. – Lo dicono tutti i padri questo.
L’elfo sorrise, sbuffando. – Non lo direi se non fosse vero. Io non mento.
- Allora ditemi qualcosa di vero.
Thranduil la guardò per qualche istante, cercando di radunare fili disordinati di pensiero, ma era come se il controllo della sua mente gli sfuggisse tra le dita.
Maledetto vino.
- Cosa volete sapere?
- Qualcosa che nessun altro sa. Così sarò almeno un po’ speciale – sorrise lei.
L’elfo la fissò, improvvisamente serio. – Ma lo siete già.
Asinna rise. Non l’aveva preso sul serio, ma lo era. Estremamente.
Thranduil sbuffò, e si stese accanto a lei, il suo braccio a contatto con la sua spalla. Quella debole pressione gli fece salire il cuore in gola, mentre il mondo davanti ai suoi occhi girava rapido per il movimento improvviso. Asinna voltò la testa verso di lui, e lui fece lo stesso. Le fissò le labbra, voleva disperatamente che lei dicesse qualcosa, ma la donna rimase in silenzio.
- Vi dico che non voglio andarmene – mormorò, suscitando la sua sorpresa, moltiplicata dal vino. Asinna sgranò gli occhi.
- Ma dovete farlo.
- Certo.
- Ma potete non farlo.
- Lo so.
- Potete rimanere qui a lavare i vestiti e pelare patate.
- Se rimanessi qui non rimarrei a lavare vestiti e pelare patate.
- E cosa fareste? – ridacchiò Asinna. Le sue guance erano cremisi, ancora, nonostante il freddo. Un ricciolo le era scivolato sull’occhio e la donna alzò una mano a rimuoverlo impacciata. Ci vollero diversi tentativi prima che avesse successo.
- Imparerei qualcosa del vostro mestiere. Coltiverei l’orto meglio di quanto facciate voi.
Lei si imbronciò. Thranduil non aveva simpatie per chi si comportava in modo infantile. Ma in quel momento l’unico aggettivo che gli veniva in mente per descrivere quel volto ridente e confuso era tenero.
- Non è vero. Io sono la migliore coltivatrice di orti del mondo! – esclamò, allungando le braccia verso il cielo, con enfasi, per far arrivare la sua voce fino alle stelle, che luccicarono in assenso. Thranduil rise, una risata genuina, forte, divertita.
- Ma se è solo terra.
Lei lo colpì alla spalla, e il punto in cui lo toccò sembrò prendere fuoco.
- Usate l’immaginazione!
- Nulla di quello che state dicendo ha senso – commentò l’elfo, attirandosi un secondo, debole pugno sulla spalla. Ma prima che lei riuscisse a toccarlo, la sua mano scattò a velocità disumana e intrappolò il suo polso sottile tra le dita inanellate. Il contatto fece mancare un battito ai cuori di entrambi, mentre si fissavano, immergendosi in un mare di grigio e di verde, col respiro improvvisamente corto, le teste adagiate sul tappeto d’erba.
- Non tutto deve averlo – sussurrò appena Asinna.
I suoi occhi scesero a fissare le labbra dell’elfo, che sentì un’ondata di desiderio inondare ogni fibra del suo corpo, violenta e implacabile. Si dibatté per un istante, diviso tra ciò che era decoroso e ciò che era giusto fare in quel momento, come un animaletto si dibatte nelle fauci di un predatore.
Le sue dita erano bollenti sulla pelle del polso di Asinna, entrambi lo avvertivano, e avvertivano la bolla di incertezza che li aveva avvolti, intrappolandoli nell’aura di desiderio che incendiava i loro corpi. Thranduil emise un lieve sospiro, allentando la presa sul suo polso, e vide la delusione, in quel mare di giada.
- Non… - cominciò a dire lei, ma le sue parole furono soffocate. Con un movimento rapido, Thranduil si sollevò sul braccio e la sovrastò, posando la mano sulla sua gola in una presa delicata, mentre le sue labbra premevano soffici contro la bocca rosa della donna, baciandola con dolcezza, e Asinna rimaneva immobile nel sentire il corpo imponente dell’elfo gravare sul suo.
Thranduil si scostò, mentre una pioggia d’oro bianco accarezzava il petto dell’umana sotto di lui, e aprì gli occhi solo per vedere un sospiro sfuggire dalle sue labbra. Osservò come le sue palpebre si sollevassero lentamente, e i suoi occhi di giada riflettessero il suo stesso volto pieno di brama e incertezza.
- Scusate – mormorò l’elfo. La mente era un confuso mucchio di pensieri che non riusciva a distinguere chiaramente. Forse aveva sbagliato? Non avrebbe dovuto farlo?
L’insicurezza durò meno di un secondo, finché lei sollevò la testa e lo baciò, con voracità, mentre il suo corpo cercava il contatto con il suo, e la mano costellata di lentiggini gli afferrava la nuca per tirarlo a sé, per impedirgli di allontanarsi e privarla di quel calore di cui aveva disperatamente bisogno. Thranduil ricambiò il bacio, mordendo il labbro inferiore della donna e cercando di non pesarle addosso mentre si sdraiava sopra di lei, e avvertiva la sua gamba alzarsi contro al suo fianco per fargli spazio. La bocca di Asinna depositò una sequenza di baci sul suo volto, partendo dalle labbra per arrivare al suo collo, dove si soffermò con più insistenza, provocando un gemito da parte del sovrano, un gemito che le penetrò nelle ossa. Thranduil sentì la pressione delle sue mani delicate scorrere lungo le sue braccia, per arrivare fino ai fianchi, e soffermarsi sul suo ventre, incerte nonostante la passione dei loro baci. L’elfo ansimò quando sentì il bacino della donna spingersi istintivamente contro il suo, e la bocca di lei torturare la punta del suo orecchio, provocando una colata di fuoco nelle sue vene che incendiò il suo intero corpo.
- Come diavolo sapete che quello è un punto sensibile – mormorò, e gli rispose solo il lungo bacio che Asinna gli concesse in risposta.
Si scostò lentamente, osservando il volto arrossato della donna sotto di sé. Il vino aveva annebbiato la sua lucidità, ma non le sue sensazioni, che erano più acute del normale. Le accarezzò lentamente la guancia, posando un altro delicato bacio sulle sue labbra dolci, inspirando il profumo di gelsomino e vaniglia, imprimendo a memoria nella sua mente l’impressione dell’intreccio dei loro corpi.
Asinna sorrise dolcemente, e Thranduil guardò quel verde giada con rimpianto.
- Vorrei tanto farvi rimanere – mormorò, e l’elfo le sorrise con dolore.
- Sareste l’unica a potermi convincere – depositò altri piccoli baci sulle sue labbra rosee, finché lei si ribellò e lo spinse contro di sé, abbracciandolo con talmente tanta forza da fargli male. Thranduil ricambiò l’abbraccio, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo e trattenendo l’ondata di emozioni aggrovigliate che allagarono il suo petto, inspirando il suo profumo e lasciandosi cullare dal battito del suo cuore.
È la luna.






 

Angolino dell'autrice: 
Heilà! Buonasera :)
Perdonate il ritardo, ma ho avuto una giornata piuttosto impegnativa... e poi ho sprecato mezz'ora a capire perché i capitoli non erano nell'ordine giusto, per poi accorgermi dopo anni che li avevo numerati in modo sbagliato :/ spero che il modo in cui si è concluso il capitolo sia stato sufficiente a farmi perdonare ;)
Che ne pensate? Vi è piaciuto? Devo dire che per me è stato molto divertente scriverlo eheh. Prima la conversazione che prende toni imbarazzanti, poi il vino, e infine... la parte migliore. Spero di non avervi delusi!
Eppure, nonostante tutto, il tempo è scaduto. Cosa pensate che succederà? Fatemelo sapere ;)
Un bacio!
Anna






 

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Capitolo 10
*** X ***


 
X

 
 

Asinna era profondamente addormentata, quando Thranduil aprì silenziosamente la porta e si appoggiò allo stipite, osservandola per qualche secondo. Mancava qualche ora all’alba, il cielo era dello stesso colore dei mirtilli che aveva usato qualche giorno prima per decorare la torta, di cui una parte era ancora posata al centro del tavolo.
La donna era girata verso di lui, i suoi lineamenti rilassati nel sonno profondo che la rendeva simile al soggetto di un quadro. Non l’aveva mai vista così indifesa e rilassata, se non quella stessa notte. I ricci erano sparsi disordinatamente attorno alla sua testa, alcuni pressati sotto alla sua guancia. La sua mano era nascosta dal cuscino, l’altro braccio abbandonato vicino al volto. Le coperte le arrivavano fino al bacino, lasciando intravedere i vestiti che si era rifiutata di togliere quando Thranduil l’aveva presa in braccio e deposta sul letto, sottraendola al gelo della notte. Gli aveva intrappolato il volto tra le mani e aveva cercato le sue labbra ancora e ancora, e l’elfo non era riuscito a sottrarsi a quella dolce tortura, sdraiandosi accanto a lei e prendendola tra le braccia, almeno finché i loro respiri si erano calmati e un’improvvisa tenerezza li aveva colti in trappola. Asinna aveva posato la testa sul suo petto e lì era rimasta, accarezzandogli con tocchi gentili il fianco, attenta a non toccare la ferita. Thranduil si era beato di quell’abbraccio e del profumo di gelsomino e vaniglia che aveva riappacificato i suoi sensi finché lei non si era addormentata, e dopo qualche ora si era costretto ad alzarsi e ad abbandonare quella calda culla. Se fosse rimasto sarebbe stato ancora più difficile andarsene.
Ora la sua mente non era più annebbiata dal vino, e un’amara punta di rimorso gli opprimeva il petto mentre guardava la donna immobile davanti a lui, rendendosi conto che non si sarebbe mai pentito di quello che era successo, nonostante non ci fossero mai stati precedenti del genere nella storia degli elfi. Un compagno per l’eternità, era quello che Thranduil si era sempre ripetuto, anche dopo la morte di sua moglie. Il pensiero di poter anche solo trovare qualcun’altra lo aveva sempre disgustato. Aveva passato secoli a nutrirsi del ricordo di lei, del loro amore, della loro felicità, prima che tutto crollasse in pezzi, rendendolo indifferente a qualsiasi altra persona mentre avvelenava il proprio cuore con il costante dolore della consapevolezza che non avrebbe mai più riprovato quelle sensazioni.
Ma quel volto innocente e sgombro di preoccupazioni che ora ammirava davanti a sé lo invogliava ancora di più a rimanere, a rendersi conto di quanto si fosse sbagliato, ad abbandonarsi a quel calore e quell’affetto che gli era così mancato. Asinna non avrebbe mai potuto sostituirla, ma non era questo che Thranduil voleva. Nessuno avrebbe mai potuto sostituire la madre di Legolas. Ma Asinna era stata senza nemmeno saperlo la ventata d’aria che l’aveva portato a respirare di nuovo, a rivedere la luce dopo un’eterna notte, a imparare di nuovo a vivere. Gli aveva insegnato tante cose, soprattutto a bearsi dei piccoli momenti. Gli aveva insegnato a ritrovare la bellezza nelle persone, ad avere fiducia, a rimettersi in discussione. A ritrovare la tranquillità, la serenità, a lasciarsi andare.
E adesso era lei, quella che doveva lasciare andare.
Thranduil si avvicinò silenziosamente al letto. Si inginocchiò, imprimendo a fuoco l’immagine di quei lineamenti nella sua memoria, mentre qualcosa si rompeva nel suo petto, impedendogli di respirare. Si abbassò e baciò lentamente la sua fronte, inspirando per l’ultima volta il suo profumo.
Gli occhi brillanti di lacrime nascoste, si rialzò e uscì dalla stanza.
Nel sonno, Asinna si mosse inquieta.

Lo stallone galoppava veloce sul sentiero che l’uomo gli aveva indicato di seguire. Il fiato usciva in nuvole di vapore che si dissolvevano all’istante scontrandosi con il corpo dell’elfo, che scrutava attorno a sé, all’erta per percepire eventuali pericoli. Il silenzio era assordante, e l’inquietudine si mischiava all’amarezza che stava provando da quando si era allontanato dal villaggio. Aveva paura -sì, il sovrano aveva paura- di non riuscire ad anticipare attacchi di ragni o orchi, senza l’udito.
Il cielo si stava lentamente schiarendo. Ormai doveva essere abbastanza lontano dal villaggio, immerso nel folto della foresta. Persino le montagne erano state nascoste alla sua vista dalle chiome nere degli alberi.
Stava procedendo verso sud, sperando che le sue truppe non si fossero mosse rispetto al punto in cui gli era stato comunicato che si fossero fermate ad aspettarlo, prima dell’agguato. Avrebbe provato a seguirne le tracce, altrimenti, ma sperava di non dover arrivare fino a quel punto. Mentre galoppava, i capelli scossi dal vento, l’elfo rivedeva bagliori di ricordi appartenenti alla settimana prima, quando cavalcava senza sapere che di lì a poco sarebbe caduto in trappola. Durante quei giorni non avrebbe mai pensato di diventare sordo, di conoscere un’umana per cui avrebbe rinunciato alla solitudine che lo aveva accompagnato per millenni. L’idea gli sarebbe sembrata ridicola, e chiunque avesse avuto l’ardire di esprimerla sarebbe stato decapitato per affronto alla sua persona.
Thranduil sogghignò tra sé e sé -l’unico a potersi mettere sulla sua strada e a infrangere le sue certezze si rivelava inevitabilmente se stesso. Prima decidendo di intervenire nella guerra, ora con questo.
Il cavallo scartò spaventato e Thranduil tirò le redini rapido, mentre il suo cuore mancava un battito nel vedere la figura maestosa dell’alce apparire dal nulla sul sentiero. Lo stallone indietreggiò, mentre l’elfo fu paralizzato dal timore scorgendo gli occhi dello spirito della foresta. Erano neri. Bastò il suo sguardo a trasmettergli tutta l’urgenza che l’animale provava.
Maledizione.
Thranduil fermò il cavallo e smontò con un balzo, avvicinandosi alla creatura, che abbassò la testa sbuffando impaziente.
- Perché sei qui? – mormorò l’elfo, e l’alce gli porse il dorso con un verso di allarme.
Il sovrano di Bosco Atro gli saltò in groppa, lanciando uno sguardo al cavallo che lo fissava, ancora terrorizzato da quell’apparizione, il respiro affannoso e il corpo imponente che tremava. Ebbe appena il tempo di mormorare una breve frase in elfico, torna indietro, prima che l’alce si lanciasse in una corsa sfrenata, volando tra gli alberi e le radici, mentre davanti a lui i sassi e gli alberi sembravano spostarsi per liberargli il cammino.
Cosa sta succedendo?, pensò inquieto il re.

Sapeva già dove lo spirito lo stava conducendo, ma ne ebbe la conferma quando scorse in lontananza il profilo delle case del villaggio. L’animale balzava di radice in radice, di sasso in sasso, a una velocità disumana, verso il pendio della montagna.
Thranduil sentì l’angoscia sbriciolargli il cuore. Perché l’alce lo stava riportando da lei?
L’animale era stato rapido, ma il sole si stava innalzando in cielo e la luce illuminava la foresta, filtrando tra le foglie. All’improvviso, dopo aver curvato lungo la salita, davanti a loro sbucò la radura. L’alce si fermò all’istante, i suoi fianchi che si allargavano e si comprimevano a ritmo del suo respiro come due grossi mantici. L’elfo scivolò giù dalla sua groppa, stringendo l’elsa delle spade gemelle, mentre si avvicinava al limitare degli alberi che ancora lo tenevano nascosto.
L’alce gli colpì delicatamente la spalla, facendogli segno di procedere. L’elfo si voltò di nuovo, avanzando piano mentre usciva dall’ombra e si avvicinava al retro della casa. Perché non l’aveva portato direttamente davanti?
Ma quando i suoi occhi colsero una macchia di sangue spuntare da dietro al recinto, il cuore gli balzò in gola. Thranduil si avvicinò rapido, leggiadro, mentre il terrore gli stringeva la gola e calava distruttivo sul suo petto. Quando superò l’angolo del pollaio che gli impediva di vedere l’interno del recinto, il sangue gli si gelò nelle vene.
Mirtilla giaceva immobile per terra, gli occhi spalancati e vuoti, la gola recisa da un colpo di lama che aveva macchiato di rosso il suo manto candido. Sul suo muso Thranduil poteva ancora vedere l’espressione di terrore che aveva avuto nei suoi ultimi istanti.
L’elfo alzò lo sguardo. Aveva il presentimento che se avesse esitato un istante di più sarebbe arrivato troppo tardi. Fece silenziosamente il giro, fino ad arrivare alla porta d’entrata, e la morsa sul suo petto si fece ancora più stringente quando vide le sedie fuori fatte a pezzi, il tavolo rovesciato. La porta stessa sembrava essere stata sfondata, uscita dai cardini.
Entrò rapido nella sala, deserta. La camera da letto era in linea d’aria, sembrava vuota. Quello che attirò il suo sguardo fu la seconda porta, quella della stanza che conteneva solo il forziere, socchiusa. Senza esitare, il re la spalancò, e non udì il tonfo assordante del legno che sbatteva con violenza contro la parete.
Processò in un istante ciò che si trovava davanti a lui, mentre i suoi occhi si riempivano di furia. Un istante, meno del tempo che impiegò a reagire l’uomo che stava strangolando Asinna tenendola sollevata contro la parete.
Quando si voltò, Thranduil rimase inorridito. Metà del suo volto si era fusa. La pelle si era agglomerata in una maschera mostruosa, la cicatrice aveva deturpato la sua faccia, un mero specchio della bestialità in cui era contorta la parte ancora intatta. Uno solo dei due occhi era ancora intero, ed era nero come la pece. Le sue mani erano strette attorno alla gola della donna, il cui volto era quasi viola, mentre tentava di dimenarsi senza più forze. I suoi occhi color giada si posarono su di lui e per un secondo, il sovrano di Bosco Atro rimase immobile, sentendosi preda di un incubo. Era come avere davanti a sé uno specchio, che rimandava la sua immagine speculare. L’immagine di ciò che avrebbe potuto diventare dopo aver assistito alla guerra, all’uccisione di suo padre, al fuoco del drago, se si fosse lasciato andare al buio che lo aveva corroso. Il terrore che impossessava le iridi verdi della donna, il terrore che avrebbe potuto incutere ai suoi sudditi se si fosse permesso di abbandonarsi all’oscurità.
Poi l’uomo lasciò andare Asinna, che ricadde a terra annaspando, stringendosi le mani alla gola e tossendo, e si avvicinò di qualche passo al sovrano.
- Maledetto – urlò, il volto deturpato che rifletteva l’ira e la follia che facevano brillare quell’unico occhio nero. Si gettò contro il re, che reagì prontamente, evitando il colpo. Quell’uomo era immenso, alto quasi quanto lui, robusto. Dalle maniche arrotolate si vedevano i muscoli potenti delle sue braccia. Con un grido disumano l’uomo si gettò contro di lui, che lo afferrò e lo spinse indietro, colpendolo con un pugno che lo mandò a terra. L’uomo lo colse di sorpresa quando si rigirò su se stesso e si gettò contro di lui prima che avesse il tempo di reagire, caricandolo come una bestia inferocita. Thranduil colpì la parete, mentre il dolore gli esplodeva in corpo, la ferita al ventre schiacciata dal peso massiccio dello sconosciuto. Scintille bianche gli apparvero davanti agli occhi mentre stilettate di dolore lo paralizzavano, e con un ringhio inferocito colpì il collo dell’uomo, rispedendolo indietro con un calcio. Lo straniero si rialzò da terra e si scagliò di nuovo contro di lui, che gli afferrò un braccio e glielo torse dietro la schiena, facendogli inarcare la schiena per il dolore. Il suono secco delle ossa che si spezzavano risuonò nella stanza, ma Thranduil non riuscì a evitare di cadere quando l’uomo gli si gettò a peso morto addosso, schiacciandolo a terra sotto di sé. Cercò di toglierselo di dosso, ma pesava più di quanto si aspettasse, e lo sconosciuto lo colpì in faccia con una serie di pugni, urlando impazzito. L’elfo alzò le braccia a proteggersi il volto, ringhiando infuriato, vedendo con la coda dell’occhio Asinna che si riparava piangendo in un angolo della stanza, fissandolo terrorizzata. Fu il panico nei suoi occhi che gli infuse una forza sconosciuta. Con un movimento rapido, Thranduil bloccò il pugno che si stava abbattendo sul suo volto e approfittò della breccia nella difesa dell’uomo per colpirlo in successione alla gola e al naso, o quello che ne rimaneva. Sentì la cartilagine spaccarsi sotto alla sua mano, il sangue schizzargli sulla mano, e vide l’uomo ululare mentre si spostava indietro istintivamente, dandogli modo di scrollarselo di dosso. Lo colpì alla testa, ma lui lo afferrò per il braccio e lo ritrascinò a terra in una lotta corpo a corpo. Thranduil riuscì a invertire le posizioni, seduto sul torace dell’uomo, ancorandosi a terra con le gambe, e con una serie di mosse rapide lo colpì più volte, insanguinando il suo volto mentre la pelle si rompeva sotto alle sue nocche, finché l’uomo giocò sporco e lo colpì all’inguine.
Una marea di puntini accecò Thranduil mentre boccheggiava per il dolore, piegato in due. Un colpo al lato sinistro della testa lo tramortì e ricadde di lato, mentre un fischio lo assordava.
L’uomo si rialzò e Thranduil lo vide scattare verso il fondo della stanza.
Senza nemmeno perdere un istante, nonostante il dolore, l’elfo si rialzò da terra. Barcollò per un attimo, senza riuscire a trovare l’equilibrio, mentre il suono acuto continuava a perforargli i timpani e il cervello. Come se il tempo si fosse fermato, vide l’uomo lanciarsi verso Asinna, che si era ritratta in piedi contro la parete, il volto gelato in una maschera di terrore, segni violacei a macchiarle il collo.
L’uomo non ebbe il tempo di affondare nel petto della donna il pugnale che era improvvisamente apparso dal nulla con uno scintillio, perché un colpo di spada lo abbatté trapassandogli la schiena, tagliando la sua carne a partire dalla spalla sinistra fino ad arrivare al fianco sinistro. Un suono cristallino sancì la sua morte, mentre vertebre, muscoli e carne venivano attraversati dalla lama elfica che Thranduil aveva lanciato contro di lui con forza disumana.
Il corpo macellato dell’uomo cadde a terra, mentre Asinna urlava terrorizzata, ricadendo a terra e coprendosi la testa con le braccia attraversate da tagli e graffi.
Al suo urlo seguì solo il silenzio, e dopo qualche istante la donna alzò timidamente lo sguardo, scioccata nel vedere il morto davanti a lei. Rimase a fissarlo tremando violentemente, incredula e in preda alla nausea, finché l’ombra di Thranduil si avvicinò a lei.
Alzò gli occhi pieni di lacrime e l’elfo vide per un attimo il terrore deformare il suo volto stravolto nel vedere il viso del suo guerriero. Metà era perfetta, segnata solo dai graffi e dal sopracciglio che si era di nuovo spaccato sotto alla violenza dei colpi dell’umano. L’altra metà era deformata dalla cicatrice, dove la pelle si era corrosa sotto al fuoco del drago e aveva lasciato spazio solo ai muscoli e all’ombra interna dei suoi lineamenti, e l’occhio era diventato bianco come la neve, cieco per sempre.
Thranduil scavalcò il cadavere e la pozza di sangue, respirando affannosamente, inginocchiandosi di fronte a lei. Asinna continuava a fissarlo come se fosse stato un estraneo, incapace di parlare o di muoversi, rannicchiata su se stessa.
Il re degli elfi chiuse gli occhi, respirando a fondo e attingendo alle sue riserve di energia per far sì che l’incantesimo calasse di nuovo sul suo viso, riparasse i danni che la sua carne mostrava, sentendosi ferito nel profondo dal terrore negli occhi di giada di lei. Scacciò quella sensazione, e avvertì il formicolio della magia che riparava miracolosamente il suo viso, anche se solo in superficie, ma nonostante quello la donna rimase immobile a fissarlo.
Thranduil riaprì gli occhi, rendendosi conto con stupore che il fischio stava diminuendo lentamente di intensità, e al suo posto riusciva ad avvertire il respiro affannoso di lei. La guardò, le iridi grigie piene di dolcezza mentre allungava una mano a prendere le sue.
- Asinna – disse dolcemente. Scacciò le lacrime che gli affiorarono agli occhi quando sentì l’eco della propria voce, distorta ma ben percepibile, mentre il sollievo gli provocava un brivido per tutta la schiena.
Lei trattenne un singhiozzo. Scie di lacrime si erano seccate sulle sue guance che erano innaturalmente pallide, a differenza del suo collo dove i segni del tentato strangolamento spiccavano sulla sua pelle.
Thranduil avrebbe voluto abbracciarla, portarla via di lì, ma sapeva che non poteva permettersi di toccarla, non ora che la donna era traumatizzata.
- Alzati – mormorò. Lei scosse la testa, tremando incontrollabilmente, e la voce dell’elfo si fece più dura, come quando Legolas si rifiutava di obbedire a un suo ordine e continuava a fare i capricci.
- Alzati.
Le sue labbra tremavano. Thranduil avrebbe tanto voluto stringerla a sé e soffocare il suo terrore con il calore delle sue braccia, ma la aiutò semplicemente ad alzarsi, sorreggendo il suo peso, mentre le gambe la tradivano e cedevano. La sostenne, rimanendo fin troppo vicino a lei per coprire lo spettacolo macabro dietro di lui, e la portò fuori dalla stanza.

Asinna ci impiegò un paio d’ore per smettere di tremare. Thranduil l’aveva fatta sedere davanti al fuoco, dopo aver chiuso dietro di sé la porta della stanza dove giaceva il cadavere dell’uomo.
Per una ventina di minuti era rimasto seduto davanti a lei, in attesa che smettesse di fissare il vuoto, gli occhi intrappolati in un vortice di ricordi oscuri che lui non aveva il diritto di interrompere. Ma lei non aveva dato segno di riprendersi o calmarsi, e l’elfo aveva deciso di mettere su del tè per far sì che bevesse qualcosa di caldo. Le aveva messo la tazza in mano, portandogliela alle labbra, e lei aveva bevuto, solo per correre dopo qualche minuto fuori a rigettare il contenuto del suo stomaco sul prato. Thranduil l’aveva seguita e le aveva tenuto la testa, posandole una mano sulla spalla e non azzardandosi a toccarla di più.
Quando il suo stomaco aveva smesso di ribellarsi, l’aveva riportata dentro. Aveva aspettato un altro po’, seduto sui cuscini, poi aveva notato i segni insanguinati sulle sue braccia e aveva preso della lozione disinfettante dalle mensole, strofinando la pelle segnata per eliminare il sangue secco. Le sue braccia, aveva notato arrotolando le maniche, che erano state ridotte a brandelli nella lotta contro lo sconosciuto mentre probabilmente lui la artigliava e la gettava contro i mobili -come si poteva dedurre dalle sedie rovesciate, una mensola che era crollata, ora a terra e coperta da un miscuglio di creme e vetri rotti- erano attraversate da cicatrici pallide, come quella che aveva scorto sulla sua schiena.
Dopodiché era rimasto immobile ad aspettare, mentre lei tremava sulla poltrona, stringendosi le ginocchia al petto in un gesto istintivo. Non se ne sarebbe andato senza spiegazioni -e ogni volta che il pensiero di andarsene gli affiorava in mente, una cocente sensazione di colpa lo assaliva. Come avrebbe potuto lasciarla così?
La donna non era in buone condizioni, e di certo non si sarebbe ripresa in breve tempo. Non aveva nemmeno più Mirtilla a tirarla fuori dalla depressione in cui sarebbe forse sprofondata. Thranduil pensò a lungo, su cosa scegliere, e alla fine un pensiero folle si delineò nella sua mente. Un pensiero che le avrebbe esposto dopo aver ascoltato ciò che la donna aveva da dirgli.
In tutto ciò, mentre aspettava, Thranduil sentì il fischio ridursi al silenzio. Al suo posto, udiva di nuovo i rumori che lo circondavano. Se ne rese conto improvvisamente, mentre quell’assordante mancanza di suoni svaniva, e si sforzò di ricacciare via la gioia che lo invase mentre percepiva il flebile cinguettio del pettirosso che Asinna stessa aveva nutrito qualche giorno prima, posato sul davanzale.
Finalmente, dopo lunghe ore, Asinna ricominciò a tornare in sé. Il suo sguardo si mosse, andando a posarsi sul volto dell’elfo seduto vicino a lei, che era assorto a fissare il camino spento. I suoi occhi perlacei percepirono quel movimento, e Thranduil guardò il suo volto ancora sconvolto. Si fissarono in silenzio per qualche minuto, finché lei aprì le labbra e disse due parole, la voce soffocata intrisa di dolore.
- Il baule.
Aveva una voce più bella di quanto si aspettasse. Era la prima volta che la udiva, e fu colpito dalla sua melodiosità, anche se tremante e rotta dall’incertezza.
Il re si alzò e fece come richiesto, dopo un’iniziale esitazione. Si alzò e tornò nella stanza, evitando di guardare il corpo immobile in mezzo al pavimento insanguinato. Afferrò il piccolo bauletto e lo riportò nell’altra stanza, posandolo ai piedi della donna.
Lentamente, Asinna si chinò ed estrasse una chiave dal vestito, dalla stoffa che le ricopriva il seno. La inserì e la girò tre volte. I tre scatti provocarono una gioia infinita nel sovrano.
Quando la donna sollevò il coperchio, Thranduil vide solo due oggetti all’interno. Il primo era il sacchetto che conteneva le lettere che lui stesso aveva scorto nella sua sacca il primo giorno in cui Asinna era andata al villaggio. Il secondo gli mozzò il respiro.
Era un piccolo vestito, un vestito delle dimensioni di un bambino di pochi anni. Era di stoffa azzurra, decorato da ricami sul collo e sulle maniche minuscole. Thranduil sentì un peso enorme calare sul suo petto, e per un istante non riuscì a respirare.
Il solo motivo per cui un vestito del genere poteva essere conservato era che il bambino non esistesse più. La sua mente corse istintivamente a Legolas, e si sentì estremamente in colpa per la sensazione di sollievo che lo colse -il saperlo vivo, sano, in viaggio.
Guardò il volto di Asinna, che si era piegata in avanti, aveva preso quella stoffa tra le mani e se l’era portata al petto, immergendo il volto in essa. Thranduil sentì una violenta ondata di compassione stringergli la gola. Quando lei riaprì gli occhi, l’elfo vide che erano pieni di lacrime.
- Avevo quattordici anni quando mio padre mi diede in sposa. Eravamo una famiglia povera, avevo solo sorelle ed ero la maggiore. Disse che sarebbe stato l’unico modo per far sì che nessuno morisse di fame. Mi diede in sposa, e in cambio ricevette abbastanza soldi per garantire la sopravvivenza degli altri.
Mentre parlava, la sua voce rifletteva un dolore antico, ma mai scomparso. Thranduil sentì dei brividi percorrergli la schiena e fissò quegli occhi persi in ricordi dolorosi, sentendosi di troppo. Non voleva che lei ricordasse ciò che la faceva star male, ma la donna aveva deciso che era suo diritto sapere, e quella consapevolezza lo addolorava ancora più nel profondo, consapevole che quello che Asinna gli stava rivelando sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe saputo di lei.
- Lui era vedovo, più grande di me di quindici anni. Prima del matrimonio avevo acconsentito, sentendomi grande, adulta, responsabile.
Fece una lunga pausa, rimirando la stoffa azzurra tra le sue mani con un dolore opprimente al petto che quasi non la faceva respirare.
- La prima notte capii che non sapevo assolutamente nulla, che ero solamente una bambina. Piansi fino al mattino. Volevo tornare indietro, ma ormai non potevo, ormai ero diventata di proprietà di quell’uomo. Dalla prima moglie non aveva avuto figli, ma era di una famiglia abbastanza ricca, e voleva un erede per portare avanti il giro di affari. Era a quello che gli servivo.
Thranduil sentiva l’orrore crescere dentro di sé, e poteva vederlo nei suoi stessi occhi, come era stata piegata e usata. Mai come in quel momento le usanze degli uomini gli sembrarono barbariche.
- Non riuscivo ad avere figli. Dopo due anni, si stancò. Non che fosse mai stato gentile, ma prima non era mai stato violento. La notte sì, non vedevo l’ora che finisse, ma era solo durante quei pochi minuti in cui ero soggetta al suo controllo che provavo paura. All’improvviso cambiò. Era stanco di me, che non riuscivo a dargli l’erede che voleva. Cominciai a temere di essere uccisa, quando tornava a casa ubriaco, o dal lavoro. Il giorno ero chiusa in casa, i servi erano gli unici a compatirmi perché la sua famiglia mi vedeva come la condanna all’estinzione del loro lignaggio. 
Asinna puntò lo sguardo negli occhi nuvolosi dell’elfo, osservando il suo volto etero macchiato di sangue come se non stesse elencando una serie di atrocità tali da far accapponare la pelle.
- Dopo due mesi di violenza, rimasi incinta. Tutto cambiò, improvvisamente ero il simbolo della sua vittoria. Mentre la pancia cresceva il vanto aumentava. Nacque un maschio. Non so dirvi la gioia – sorrise tra le lacrime, stringendosi una mano al cuore, sentendolo battere. Asinna si chinò ad aprire il sacchetto e ne estrasse una pergamena ripiegata in quattro. La aprì e la porse all’elfo, che la prese, osservando meravigliato il volto ritratto con il carboncino sulla pagina.
Era il volto di un bambino, che le assomigliava moltissimo. Aveva gli stessi ricci, le stesse lentiggini, lo stesso sorriso.
- Era la gioia della mia vita – la voce le si ruppe e Thranduil sentì una stilettata di dolore al cuore. Alzò lo sguardo e allungò la mano per stringere la sua, sentendosi insopportabilmente inutile, mentre assisteva al dolore che a lui era stato risparmiato dal sacrificio di sua moglie. Si fermò, appena prima di toccarla, ma lei non si accorse del suo gesto, era tornata a fissare il vuoto.
- Si ammalò, quando aveva cinque anni. Mio marito ricominciò a bere, perché il futuro di mio figlio era chiaro. Era improbabile che guarisse, era sempre a letto, reso debole dalla febbre. Eppure io continuavo a sperare.
Le sue iridi color giada tornarono a immergersi nel grigio plumbeo di quelle di Thranduil. Sorrise tristemente.
- Fu allora che arrivarono gli Orchi. Incendiarono tutto.
Un brivido colse il re, mentre capiva finalmente.
- Era un inferno. La casa in fiamme, io cercai di prendere mio figlio e scappare. Mio marito era tornato ubriaco. Mi trovò mentre scendevo le scale. Si gettò addosso a me, urlando che tanto era inutile, che il bastardo sarebbe crepato comunque. Mi colpì, e Gunnar mi cadde dalle braccia. Picchiò la testa a terra. Non si mosse più.
L’orrore che avvolse violentemente Thranduil non era descrivibile a parole. Chinò il capo, chiudendo gli occhi, ma sentì la mano di Asinna toccare delicata la sua, macchiata ancora di sangue. Le sue dita si intrecciarono a quelle dell’elfo mentre una lacrima cadeva lungo la sua guancia.
- Fu a quel punto che reagii, solo dopo che… - prese un respiro tremante, cercando di controllare il respiro – quando fu troppo tardi ormai. Riuscii a farmi strada, picchiandolo con un pezzo di una trave. Con il corpo di mio figlio in braccio scappai via, mentre la casa crollava. Credevo fosse crepato quella notte, evidentemente mi sbagliavo.
Thranduil strinse con forza la sua mano, mentre Asinna guardava triste il piccolo vestito che riposava sulle sue ginocchia.
- Lo seppellii e me ne andai. Volevo morire, ma Traen, l’uomo che avete conosciuto, me lo impedì. Era stato il mio maestro a scuola prima che mio padre fosse costretto a mandarmi a raccogliere la legna per guadagnare qualche soldo. Cercò di convincermi a venire qui, dove sapevano che c’erano già alcuni esuli. Rifiutai. Cambiai idea dopo qualche mese, e alla fine raggiunsi quelli che già erano partiti. Il resto lo sapete.
Thranduil rimase in silenzio. Non c’erano parole che potessero alleviare l’orrore.




 





Angolino dell'autrice:
infine, eccoci qui! 
Spero che questo capitolo sia stato all'altezza delle vostre aspettative... finalmente si scopre la verità sul passato di Asinna, e tutti i suoi incubi vengono allo scoperto. Per fortuna Thranduil è stato in grado di prendersene cura... o almeno, fino ad ora. Che ne pensate? Sono molto curiosa!
Ho deciso di aggiornare un giorno in anticipo perché sì... ormai manca poco, molto poco, quindi un piccolo regalino è necessario per ringraziarvi per tutto il supporto! Chi mi scrive in messaggio, chi lascia recensioni, anche chi legge soltanto... davvero grazie di cuore. 
A presto!
Anna

 

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Capitolo 11
*** XI ***


XI






Mentre Asinna era seduta sul prato a guardare la foresta sotto di loro, persa nei suoi pensieri, Thranduil si era occupato di sbarazzarsi del cadavere dell'uomo. L'aveva portato nella foresta, in spalla, il suo disgustoso peso ad affaticare il suo corpo già provato, e per un attimo aveva ponderato se abbandonare il morto in mezzo a un avvallamento del terreno e lasciare che la natura facesse il suo corso. Ma nemmeno lui era così spietato. Sebbene detestasse l'idea di sprecare le forze per quel mostro, scavò una buca e lo gettò all'interno, senza degnarlo di un'occhiata, ricoprendolo di terra smossa.
Tornato alla capanna, cercò di lavare via la macchia dal pavimento, con poco successo. Il legno ormai aveva assorbito il sangue, e ne rimaneva l'alone, di una tonalità più scura rispetto alle assi, come una macabra testimonianza di ciò che era successo. Finì quando era ormai mezzogiorno, e uscì all'aria fresca, solo per trovarsi davanti Asinna in piedi davanti a lui. La guardò sorpreso. Non credeva si sarebbe scrollata di dosso i suoi incubi così presto, ma il suo volto era di nuovo composto. Indossava ancora gli stessi abiti stropicciati, una manica lacerata che le penzolava sul braccio.
- Possiamo seppellire Mirtilla? – mormorò.
Thranduil annuì, serio. Le aveva riferito della sua morte dopo che la donna gli aveva rivelato del suo passato, e aveva visto un dolore enorme trasparire sul suo viso. Quell'animale era stato la sua unica compagnia, e il legame che avevano era unico. Si erano prese cura l'una dell'altra per anni. L'elfo aveva finto di detestarla, ma in realtà ora che era stata uccisa era disposto ad ammettere che l'anziana capra era stata di una dolcezza e di un'intelligenza incredibile.
La prese per mano e la condusse sul retro, e la sentì tremare quando si trovarono davanti al corpo.
Asinna si fermò, guardandola con le lacrime agli occhi.
- Probabilmente sarebbe morta tra poco – sussurrò, la voce tremante, asciugandosi le guance.
Thranduil annuì.
- Era anziana.
Annuì di nuovo.
- Ed era solo un animale, in fin dei conti.
Scosse la testa. – Era più di un semplice animale.
Asinna lo guardò stupita, aggrottando le sopracciglia, stupita sia da quello che sembrava essere un complimento sia dal fatto che l'elfo non si fosse girato verso di lei, quando aveva parlato.
- Voi... riuscite a sentire? – esclamò. Thranduil riportò gli occhi sul suo volto e annuì appena.
Il debole sorriso che apparve sulle labbra dell'umana gli scaldò il cuore, anche se le sue iridi verdi rimasero di una sfumatura scura.
- Ma come?
Fece finta di non saperlo. Dirle che era stato merito del mostro che l'aveva intrappolata in un incubo senza fine per tanti, lunghi anni, era fuori discussione. Il colpo che l'uomo gli aveva inferto alla testa aveva probabilmente fatto reagire il suo corpo al trauma in cui era sprofondato quando era stato attaccato dagli orchi, e aveva stimolato di nuovo il suo udito.
- Dove volete seppellirla?
Asinna guardò indecisa attorno a sé. Poi indicò un punto dove i fiori sgargianti del prato erano meno fitti degli altri. – Pascolava sempre lì.
Thranduil lasciò la sua mano e si chinò ad afferrare il corpo della capra, sollevandolo sorpreso. Pesava più di quanto pensasse. Asinna afferrò la pala che aveva appoggiato al recinto e lo seguì, mentre l'elfo faceva strada fino ad arrivare allo spiazzo.
Lasciò che fosse lei a scavare, dopo che lei gli impedì di riprendere l'attrezzo tra le mani. Rimase in piedi, immobile, il volto ancora macchiato di sangue, a fissarla mentre scavava arrabbiata, sollevando mucchi di terra con forza, dando sfogo alla furia che le avvelenava le vene. Al volto e al petto tornò ad affluire il sangue, rendendoli di un rosso intenso, che si intonava ai segni violacei sul suo collo.
Quando la buca fu abbastanza profonda, Asinna si inginocchiò e baciò il muso della capra, ignorando il sangue che macchiava il suo pelo candido e che sporcò la sua casacca.
Grazie, la sentì sussurrare Thranduil. Poi la donna alzò lo sguardo verso di lui, che si chinò ad aiutarla per spostare con gentilezza il corpo nella sua tomba.
Fu sempre Asinna a ricoprirla di terra, ma con grande sorpresa del sovrano non si lasciò più andare alle lacrime. Finì il lavoro composta, sforzandosi di non cedere alla tristezza per dare un ultimo, degno omaggio a quella che era stata una compagna fidata.
Quando ebbe finito, Asinna lasciò cadere la pala e gli si avvicinò, cercando la mano dell'elfo, fissando con le iridi verdi la terra scura, sotto cui riposava la sua amica. Lui intrecciò le dita alle sue, e le gettò uno sguardo preoccupato. Il sole era alto nel cielo, lui avrebbe dovuto mettersi in marcia. Non aveva più tempo.
Ma quando lei lo guardò, indicando il ruscello con un cenno del capo, decise che i suoi elfi potevano aspettare ancora qualche ora.
- Lavatevi. Io arrangio qualcosa per pranzo.

Erano seduti uno davanti all'altra, sulle sedie che Asinna aveva rimesso in piedi assieme al tavolo mentre Thranduil lavava via il sangue e il sudore. Ora che l'adrenalina era scesa e aveva avuto modo di riprendere fiato, sentiva fitte di dolore percorrergli il corpo non appena si muoveva. La pelle delle sue nocche si era spaccata, formando una ragnatela di linee rosse. I colpi dell'uomo erano stati brutali, come quelli di una bestia impazzita che lotta per la vita. Peccato che si fosse trovato davanti a una bestia ancora più feroce.
Thranduil si era scrollato di dosso l'acqua, asciugandosi con un telo. La sua mente continuava a ritornare alle parole che aveva sentito, al racconto gli aveva perforato il cuore. La crudezza e il dolore che aveva avvertito nella voce di Asinna gli ricordavano i momenti in cui aveva temuto per la vita di suo figlio, di sua moglie, quando si era reso conto che la sua cecità li aveva portati sull'orlo della catastrofe. Solo grazie al sacrificio di lei non aveva perso la persona più preziosa che aveva al mondo, e sebbene quello fosse stato devastante, non riusciva nemmeno a immaginare come sarebbe stato perdere davvero Legolas.
Anche se probabilmente era già successo. Non sapeva se suo figlio avrebbe mai deciso di seguire un destino che li avrebbe ricongiunti, e quella consapevolezza gli faceva mancare l'aria. Ma nonostante tutto, sapeva che Legolas era vivo, era in viaggio, era ancora libero.
Aveva pensato più volte che Asinna non sapesse nulla di dolore, di guerra, di disperazione, in quei giorni in cui si era presa cura di lui. Ma quello che aveva passato era quasi più orribile di ciò che Thranduil stesso aveva visto. Lei era stata protagonista degli orrori di una guerra nascosta, interna, in cui era destinata ad essere sconfitta e umiliata, in cui aveva perso ogni libertà. Aveva visto il suo mondo crollarle addosso, letteralmente e non, quando il suo villaggio, in cui era cresciuta per tutta la sua vita, era stato dato alle fiamme, e quando suo figlio era crollato morto tra le sue braccia.
Il re degli elfi sentì i brividi percorrergli la schiena. Tenere tra le braccia il corpo freddo e senza vita di Legolas, le sue piccole braccia abbandonate sul suo petto senza stringere allegre i suoi capelli come erano solite fare, i suoi occhi azzurri fissi sul cielo pieno di stelle a lui invisibili... Il solo pensiero gli faceva tremare il cuore. Era l'incubo che l'aveva tenuto sveglio per notti eterne senza dargli respiro, l'incubo che ancora adesso ricorreva sotto gli occhi della luna, quando il dolore si faceva così acuto da cancellare ogni altra cosa.
Ora, seduto davanti a lei, Thranduil non sapeva cosa dire. I piatti pieni di frutta e pane davanti a loro erano ancora intatti. I colori allegri delle mele e dell'uva si accostavano come un pugno in un occhio sulla ceramica dipinta di bianco. Tutto attorno a loro, la natura splendeva, incurante del loro dolore, come se un incubo non si fosse appena manifestato. I versi melodiosi degli uccelli e i fiori blu, bianchi e gialli si intrecciavano in un tappeto sgargiante che accarezzavano i loro sguardi pieni di incertezza.
Fu Asinna ad allungare la mano e prendere un acino d'uva tra le dita. Lei non si era lavata, aveva alcune gocce di sangue che si erano seccate sulla sua fronte, dove un graffio attraversava la sua pelle.
L'aveva lanciata contro la parete? Contro la porta? Contro il tavolo? Contro la mensola? Cosa le aveva fatto, prima che arrivasse? Thranduil non osava chiederlo.
- Perché siete tornato indietro? – i suoi occhi di giada si posarono inquisitori sul suo volto. Asinna poteva vedere la maschera di imperturbabilità che era calata sul suo volto, e intimamente ne fu ferita. Dopo ciò che aveva visto e sentito, si sarebbe aspettata che non fingesse di essere rimasto intoccato, avrebbe voluto che lasciasse trapelare anche un briciolo di emozione, così da non sentirsi così vulnerabile.
Ma il volto di lui era immobile, i suoi occhi grigi come uno specchio che rifletteva il suo stesso volto, senza mostrare nulla di ciò che stavano provando.
- L'alce – una sola parola, dunque. Era tutto ciò che aveva da dire? Dopo il fiume di parole che gli aveva mostrato la sua fragilità, la sua essenza, una sola misera parola era la sua ricompensa? La sua voce era delicata, insopportabilmente delicata. In essa Asinna poteva sentire la sua paura, e capire le fece ancora più male. Aveva paura che andasse in pezzi, che non sopportasse nulla di più. Magari aveva paura che si mettesse a urlare, a piangere, che si gettasse ai suoi piedi implorandolo di ucciderla, o magari aveva paura di ciò che lei avrebbe potuto chiedergli.
Ma dopo tutto ciò che avevano passato, dopo ciò a cui aveva assistito, non aveva ancora capito che nient'altro avrebbe potuto spezzarla? Era già stata spezzata, quando gli occhi di Gunnar si erano posati vuoti su di lei, quando il sangue che usciva dalla sua piccola bocca aperta le aveva macchiato indelebile il collo mentre lo stringeva a sé urlando fino a sentire la gola lacerarsi, i polmoni scoppiare, il cuore fermarsi, la vita fermarsi. 
Ma l'elfo intrecciò le mani sul tavolo davanti a lui, appoggiando la schiena alla sedia e rilassando le spalle, mentre il suo sguardo la osservava attento.
- È apparso mentre ero in viaggio. Mi ha riportato qui.
- Il cavallo?
Thranduil non sopportava come la conversazione stesse prendendo una piega così banale. Non poteva, non dopo ciò che era successo.
- A quest'ora sarà arrivato dal vostro amico.
Asinna non chiese come potesse un cavallo ritrovare la strada di casa senza cavaliere. Non le importava così a fondo di quell'animale. Si sentiva come immersa in una bolla, come se le sensazioni che stava provando appartenessero in realtà a un'altra persona, come se lei fosse solo una spettatrice che stava assistendo a un dialogo improbabile.
Thranduil rimase in silenzio qualche minuto, rimirando i frutti invitanti che riposavano tra loro. Aveva lo stomaco chiuso, completamente.
- Immagino non siate riuscito a raggiungere i vostri compagni, prima.
Il re scosse lievemente la testa. Le sue iridi nuvolose si alzarono ad osservare il cielo, inquiete.
- No, purtroppo.
Lo sguardo della donna lo fissava implacabile, quasi arrabbiato, e lui non voleva incontrarlo.
- Cosa farete adesso? – chiese con calma.
Asinna si strinse nelle spalle.
- Non posso rimanere qui.
L'elfo sentì una morsa al petto. Era il momento di chiederlo. Sospirò piano, osservando il suo volto rimanere impassibile mentre formulava parole che mai avrebbe pensato di pronunciare.
- Venite con me.
Capì subito quale sarebbe stata la risposta. Vide la maschera di rabbia cadere per rivelare un'espressione di profonda dolcezza e malinconia.
Thranduil distolse lo sguardo, puntandolo sulle cime innevate delle montagne maestose sopra di loro, con una punta di dolore che gli perforava il cuore. Aveva sperato, in fondo, di poter riuscire a trovare un equilibrio tra ciò che doveva e ciò che avrebbe voluto fare, ma non era destino.
Sussultò, sorpreso, quando sentì la mano della donna posarsi sulla sua, le sue dita accarezzare il palmo e stringerlo brevemente, come lui aveva fatto la notte in cui l'aveva sottratta alle tenebre della foresta, come aveva fatto quando Legolas era preda degli incubi.
- Non posso – mormorò Asinna, mentre per un attimo la sofferenza pulsante che la teneva preda si scioglieva sotto allo sguardo dell'elfo, incrinato dall'incertezza, dalla meraviglia, da una speranza ormai persa. - Non è posto per me.
Thranduil si protese in avanti, odiandosi per non riuscire ad accettare le sue parole, per non riuscire ad ammettere che era vero.
- Non sarete al sicuro qui.
- Lui è morto – disse con calma Asinna. Le sue iridi verdi erano fisse nel grigio struggente dei suoi occhi. – Se voi elfi vincete, sarò salva.
- E se attaccassero mentre combattiamo? Prima di riuscire a vincere? Se annientassero questa parte della foresta? Orchi, ragni, qualsiasi cosa. Se arrivassero? Non ci sarò a proteggervi – la sua voce era come il brontolio di un temporale, come il mare prima della tempesta. Ribolliva di emozioni violente, che ancora riusciva a stento a trattenere, ma che il suo sguardo color argento liquido non riusciva a nascondere.
- Bosco Atro mi ha già salvata una volta. Due, contando oggi. Non mi abbandonerà.
Thranduil scosse la testa, irato, gli occhi fulminanti. – Non dite sciocchezze, non potete esserne sicura.
I loro toni erano aspri, ma entrambi erano ben consapevoli delle loro mani che si stringevano con forza, senza lasciare andare la presa. Asinna gli sorrise.
- Sapete, ci ho pensato.
- A cosa?
- Al motivo per cui questa foresta mi ha fatta sopravvivere.
Seguì una lunga pausa, mentre ogni briciola di durezza si sgretolava, in entrambi, lasciando posto a una triste calma, a un intreccio di sguardi che esprimeva molto più di qualsiasi frase.
- Non credo di essere stata io il motivo.
- Cosa intendete dire? – mormorò Thranduil confuso.
Lei gli sorrise dolcemente.
- Credo che mi abbia salvata per voi.
L'elfo sentì un'ondata di incertezza stravolgergli il cuore.
– Non per me, non per la mia persona in sé. Il bosco sapeva che avrei avuto un altro ruolo, una parte importante nella lotta contro il male. Ha fatto sì che sopravvivessi per far sì che salvassi voi.
Thranduil emise un sospiro di meraviglia. Mentre Asinna parlava, si rendeva conto che nonostante l'apparente insensatezza delle sue parole, quello che stava dicendo era plausibile. Perché l'alce si era mostrato a loro, quando erano insieme? Perché uno spirito così antico che non si rivelava nemmeno ai più puri tra gli elfi aveva deciso di mostrarsi a una semplice umana?
Perché la donna lo stava curando, in ogni senso. L'aveva salvato, raccolto dal massacro, si era presa cura non solo del suo corpo ma anche della sua anima. Asinna aveva curato le ferite della carne, ma anche le ferite del suo cuore. Aveva lentamente, gentilmente lavato via l'odio e le tenebre che gli impedivano di respirare, gli aveva insegnato ad apprezzare di nuovo la vita, i sensi, il bosco, ad uscire dall'oscurità dei suoi incubi e a combattere per ciò che era giusto, per ciò che amava. Gli aveva insegnato ad accettare che qualcuno si prendesse cura di lui, che si preoccupasse, che gli desse consigli e che lo amasse. Che fosse suo amico.
Thranduil abbassò la testa, il cuore che batteva forte in petto mentre un velo di commozione gli oscurava lo sguardo. La foresta aveva fatto sì che Asinna lo guarisse, così che lui fosse in grado di guarire lei. Di combattere per estirpare il male che l'aveva avvelenata, così come la donna aveva fatto con lui.
L'elfo rimase in silenzio a lungo, stringendo la mano della donna con forza, fino a farle male. Ma lei non disse nulla, consapevole che c'era qualcosa che andava al di là della sua comprensione nella commozione che vedeva sul volto di quell'elfo, e rimase lì, ad accarezzare il dorso della sua mano, osservando i suoi lineamenti esprimere una tristezza soffusa, i suoi capelli rilucere alla luce del sole, finché lui non levò di nuovo lo sguardo su di lei.
- Ve l'ho detto che siete speciale – sussurrò. Anche se non avrebbe voluto, Asinna si sentì turbata, mentre le sue guance si arrossavano. Sostenne lo sguardo del re con le viscere che si contorcevano, senza sapere cosa dire. Era la prima volta che lui accennava a ciò che era successo tra loro, alla sera prima, quando si erano lasciati andare facendo cadere ogni finzione ed infrangendo ogni regola, e Asinna sapeva che non l'avrebbe fatto se non avesse ritenuto di grande importanza ciò che era successo. Non aveva mai parlato di piccolezze, e non avrebbe di certo cominciato adesso. Il ricordo dei loro baci incandescenti la obbligò a distogliere gli occhi, sentendo un dolore acuto al pensiero che non sarebbe più successo niente del genere, perché non si sarebbero visti mai più.
- Venite con me. Non credo che la foresta possa esserne contrariata.
Asinna sorrise, con tristezza. Sapeva che non era giusto accettare la sua richiesta, per quanto desiderasse con tutto il cuore di poterlo fare.
- Ve l'ho detto, non è il posto per me. Sento che c'è qualcosa che devo ancora fare, qui.
Thranduil abbassò il capo, cercando di contenere la tristezza che quelle parole gli avevano provocato. Avrebbe voluto convincerla, o prenderla di peso e trascinarla con sé, ma sapeva che la foresta non gliel'avrebbe permesso. Lui era solo una sua creatura, che non poteva trascendere le sue regole, indipendentemente dal suo ruolo tra i popoli mortali. Se la foresta voleva che si separassero, non poteva sperare di disobbedirle.
- Va bene – mormorò, e la sua voce delicata e malinconica le spezzò il cuore.
Thranduil sospirò, alzandosi, lasciando la presa sulla sua mano. Asinna sentì una voragine aprirle il petto, mentre la sovrastava, gli occhi resi cristallini dalla luce del sole, i capelli biondi scossi dalla brezza. Si trasse in piedi anche lei, nonostante le tremassero le gambe e un velo di lacrime le appannasse gli occhi. Thranduil si avvicinò, chinando la testa esitante e posando la fronte sulla sua, inspirando per l'ultima volta l'odore di gelsomino e vaniglia e osservando i suoi occhi di giada, intaccati da sfumature castane.
Annon allen, Asinnandil. *
Lei sorrise, mentre una lacrima scivolava sulla sua guancia costellata di lentiggini. Alzò una mano a sfiorargli la guancia, e Thranduil rabbrividì alla sua morbida carezza, consapevole che non aveva scelto per caso di toccare il lato del viso segretamente deformato dal fuoco del drago.
- Perdonami – mormorò la donna, e si alzò sulle punte, per baciare un'ultima volta le sue labbra. Il re la strinse a sé, ricambiando il dolce bacio, accogliendo la profonda gratitudine che sentì pervadergli il petto. Quando si scostò, Thranduil le impedì di fare un passo indietro e le prese il volto tra le mani, baciandole la fronte.
- Se non l'avessi fatto tu, l'avrei fatto io – sussurrò, e la sua risata illuminò le sue labbra con un sorriso. Le accarezzò un'ultima volta la guancia, le dita roventi sulla sua pelle striata di scie di lacrime, poi si voltò e scomparve tra gli alberi della foresta, il cuore che si spezzava un'altra volta, lasciandola immobile a guardare nella sua direzione.

Quando Thranduil giunse nei pressi dell'accampamento, sentì vari sussurri percorrere gli elfi di guardia quando lo riconobbero, vedendolo emergere dall'ombra degli alberi. Non che ci fossero dubbi sulla sua identità, dato l'alce che stava cavalcando e che incedeva maestoso verso le tende, e il volto torvo che fissava gli elfi con uno sguardo di fuoco. Le guardie si inchinarono e alcune di loro, gli occhi sgranati e le espressioni che rivelavano la violenta sorpresa nel rivederlo, lasciarono le loro postazioni di guardia per scortarlo mentre procedeva tra le tende. Al rumore del loro passaggio, i veli erano scostanti e dalle abitazioni provvisorie uscirono altri elfi, che nel vederlo si profusero in inchini rispettosi e occhiate sollevate, mentre un mormorio si alzava concitato. Il re era vivo, ed era tornato per condurli alla vittoria.
Ben presto si formò un folto seguito, fin troppo rumoroso, e Thranduil vide il capitano delle guardie incedere verso di lui, l'espressione sconvolta che si trasformava in sollievo. L'alce si arrestò davanti a lei, che si inchinò, i lunghi capelli rossi che le scivolavano davanti al volto. Il sovrano la osservò in silenzio, mentre raddrizzava la schiena e lo guardava meravigliata. Dal suo volto trapelava una blanda felicità nel vederlo vivo e in forze davanti a sé, ma l'ombra che celava il suo dolore dimorava ancora nei suoi occhi, nella piega delle labbra, nel modo in cui le sue spalle erano appena incurvate. Thranduil si chiese se anche lui avrebbe dovuto sopportare quel dolore, ancora.
- Mio signore.
- Tauriel – mormorò Thranduil.
- Come...
- Non qui – con un cenno imperioso, il sovrano la silenziò e scese dalla sua cavalcatura.
Ad un secco ordine di Tauriel il corteo che si era formato si dissolse, mentre gli elfi tornavano alle postazioni o nelle loro tende, e rimasero solo loro due, uno di fronte all'altra, davanti alla tenda dei generali.
Il sovrano si voltò e guardò il muso intelligente dell'alce, che si avvicinò fino a toccare la sua fronte. L'elfo rimase immobile, mentre lo spirito sbuffava e si girava, tornando lentamente da dove era arrivato, per sparire di nuovo nella foresta.
Thranduil continuò a fissarlo anche quando fu svanito, con una profonda malinconia che gli stringeva il petto, senza però far trapelare alcun sentimento dal proprio viso.
- Mio signore.
La voce di Tauriel lo riscosse, e si voltò. In silenzio, la seguì fino a che furono entrati nella tenda, spartanamente arredata. Thranduil lasciò che gli versasse un calice di vino, lasciandolo sul tavolo al centro perché lo prendesse da sé, e si avvicinò lentamente, afferrando il bicchiere di cristallo. I suoi occhi grigi si persero nel rosso scuro per qualche istante, per poi alzarsi a guardare il volto dell'elfa, che aspettava, preda di una terribile curiosità, nonostante cercasse di non renderla troppo evidente. Thranduil però era ormai in grado di leggere ogni sfumatura su quel volto che aveva prima tanto disprezzato, e che ora si ritrovava a compatire e a invidiare. Tauriel aveva passato il peggio. Per lui doveva ancora arrivare.
- Come siete riuscito a sopravvivere?
Eccola, la solita irriverenza che da qualche tempo si era stemperata, ora ritornata a galla grazie alla sua apparizione improvvisa. Dai suoi occhi sgranati, l'elfo comprese che non era riuscita ancora a trovare una spiegazione logica.
- Si potrebbe definire... un atto di benevolenza da parte della foresta – mormorò.
Si voltò e si allontanò di qualche passo, consapevole che Tauriel stava fissando i suoi vestiti, chiaramente di foggia umana. La camicia era quella bianca, che Asinna gli aveva regalato il primo giorno in cui aveva ripreso conoscenza.
- Siete stato salvato dagli umani?
Thranduil rimase assorto per qualche momento, osservando la sedia elaborata che svettava in fondo alla tenda, davanti a lui. Dall'imbottitura di velluto, dai preziosi ricami d'oro, doveva essere rimasta vuota per giorni in sua attesa. Quando si sedette, Thranduil si scoprì a fare il paragone con le vecchie, cigolanti sedie su cui era stato costretto a sedersi per giorni. Con sua sorpresa, si ritrovò a pensare che era sì più comoda, ma meno confortevole. Quella sedia gli restituiva l'immagine di sovrano, di guerriero, di capo che avrebbe dovuto affrontare ogni orrore possibile e immaginabile, di lì a poco. Su quella sedia, non poteva permettermi sentimentalismi e dolcezza.
- Cosa avete fatto al volto?
Sorrise.
- Nulla. Sì, sono stato salvato dagli umani.
Tauriel alzò lievemente un sopracciglio, sorpresa. Prima che potesse riprendere a parlare, Thranduil la fermò, accavallando le gambe e abbandonando la schiena contro il tessuto rosso. 
- C'è un villaggio, tra le montagne. Un villaggio di cui non sapevamo l'esistenza.
Vide il volto dell'elfa impallidire. Probabilmente pensava che avrebbe preteso di punire gli ultimi esploratori che si erano addentrati verso le montagne, che non erano stati abbastanza accorti da scoprire quel centinaio di umani che le abitavano. Ma a Thranduil non importava. Non importava più.
- Richiama gli esploratori che mi stanno cercando.
Thranduil increspò le labbra, tornando a fissare il vino, sentendo il sapore fruttato pizzicargli la lingua.
- È ora.

Traen era stato abbastanza comprensivo da non fare domande, quando aveva bussato alla sua porta e gli aveva chiesto se potesse tornare a vivere da lui. Teoricamente aveva la casa della vecchia guaritrice a sua disposizione, ma era da più di due anni che non ci metteva piede e non voleva rimanere da sola fin da subito. L'uomo l'aveva accolta a braccia aperte, preoccupato, ma solo dopo qualche giorno Asinna era stata in grado di raccontargli cosa era successo. Aveva visto l'orrore nei suoi occhi, e il sollievo, e un migliaio di altre emozioni contrastanti. Sapeva che quell'uomo la considerava come una figlia, e lei pensava a lui come al padre che non aveva mai avuto. Se non fosse stato con lei, era sicura che non sarebbe riuscita a sopportare gli incubi che infestavano le sue notti, il dolore che tornava ad assalirla, la paranoia che la faceva paralizzare dalla paura nei momenti più impensabili.
Eppure, con Traen Asinna riuscì ad andare avanti. Poco a poco, smise di svegliarsi la notte, di rimanere chiusa in casa. Tornò a cercare erbe e funghi nelle vicinanze per creare unguenti e creme, e a curare gli abitanti del villaggio, che evitarono di chiederle dell'elfo misterioso e della sua improvvisa decisione di tornare al villaggio, probabilmente sotto minaccia dell'uomo.
Erano passati due mesi quando la donna si ritrovò a camminare nei pressi della casa dove abitava il vecchio. Rimase indecisa a guardare la porta di legno, non riuscendo a prendere una decisione.
Per fortuna ci pensò lui.
- Allora, signorina? – Asina si voltò sentendo la voce anziana provenire da dietro di lei. Osservò la figura curva che camminava lentamente verso casa, appoggiandosi a un bastone, avvolto in vestiti puliti ma evidentemente logori. Si lasciò sfuggire un sorriso, anche se un'ombra di inquietudine rimaneva sempre lì, nei meandri della sua mente.
- Serve una mano?
L'uomo le rivolse un sorriso contento, allungando la sua mano e annullando lo spazio che li divideva mentre lei gli faceva da sostegno.
- Il braccio, direi – rispose allegro, e alzò il bastone verso la porta, mentre il suo sguardo vagava cieco.
- Venite, vi offro un bicchiere di latte. O succo di mirtilli.
Entrarono, mentre Asinna faceva attenzione a non farlo inciampare sugli scalini. Spinse in avanti la porta e si ritrovò in una casa accogliente, con piccoli gingilli di strane forme e colori disseminati ovunque.
- Spero vi piaccia la confusione, perché tutti questi oggettini sono cose che ho portato indietro dai miei viaggi – esclamò il vecchio.
Lei sorrise e lo aiutò a sedersi, convincendolo a lasciarla prendere il latte da sola. Seguì le sue indicazioni, prendendo una bottiglia e due bicchieri.
- Siete stato in molti luoghi – commentò, giusto per rompere il silenzio.
L'uomo annuì, appoggiando le mani nodose al bastone e guardandola, nonostante le sue iridi rimanessero vuote. Asinna rabbrividì, istintivamente.
- Posso farvi una domanda?
- Anche cinquantaquattro.
Alzò gli occhi al cielo, suo malgrado divertita.
- Perché mi avete detto quelle cose?
Sapevano entrambi a cosa si riferisse, e sulle labbra screpolate dell'uomo apparve il fantasma di un sorriso. Si chinò verso di lei.
- Signorina, come ho già detto, io sento. Sarò cieco, ma il mio udito è molto più acuto di quello di voi testoline addormentate. La foresta parla, bisogna solo capire come interpretare la sua voce. Mi sembrava giusto che fosse al corrente di quello che la riguardava, ecco tutto.
Asinna seppellì il volto nel bicchiere, confusa.
- Ma era sbagliato, quello che ha detto. Nessun elfo è arrivato. Almeno, nessun altro.
L'uomo le rivolse un sorriso sornione.
- Signorina, sono arrivati, e la foresta non ha gradito. Li ha mandati via. Molto divertente. Non me lo sarei mai aspettato, eppure è stato così.
Rimase in silenzio, inclinando la testa come se fosse in ascolto. Asinna lo fissò, con una crescente inquietudine, finché l'uomo si riscosse e puntò di nuovo il suo sguardo su di lei.
- E le dico anche un'altra cosa: incontrerà il re, e presto anche. Dovrà solo abbandonare le ceneri e usare il mare.
Asinna strinse le labbra in una linea sottile. Era abbastanza. Sentiva nel profondo che quelle parole erano importanti, ma non era in grado di capirle, almeno non in quel momento. Si sarebbe limitata a custodirle come un tesoro prezioso nella sua memoria, nel caso dovessero tornarle utili, ma non poteva più rimanere lì. Non avevano alcun senso. Quale re avrebbe dovuto incontrare, in una foresta? Il re degli animali, al massimo. Forse intendeva l'alce? Ma poi, cosa significava usare il mare? Il mare era a centinaia di leghe di distanza, non ci sarebbe mai arrivata, e non aveva intenzione di muoversi dalla terraferma.
Doveva andarsene.
Si alzò, ringraziando il vecchio per la sua cortesia, e se ne andò, mentre la speranza e la confusione lottavano per conquistare il suo cuore. Alzò gli occhi verso il cielo, prendendo un sospiro profondo, guardando l'azzurro striato di bianco.
Era ora di cominciare una nuova vita.

*grazie, amica mia











Angolino dell'autrice: 
Buonasera a chiunque sia arrivato a leggere fino a qui (:
Perdonate il ritardo, ma questa giornata è volata e mi sono completamente persa tra le mille cose da fare! purtroppo gli esami si avvicinano e tocca anche a me studiare /: poi pensavo di aver aggiornato ma a quanto pare ho chiuso tutto senza premere "aggiorna", quindi mi sono resa conto dopo mezz'ora che non avevo aggiornato niente e ho dovuto rifare tutto da capo. Un parto! però tecnicamente non è ancora mezzanotte, quindi non sono troppo imperdonabile!
Questo capitolo è stato molto doloroso da scrivere; in particolare il momento in cui alla fine di tutto Asinna e Thranduil si ritrovano faccia a faccia, destabilizzati alla piega degli eventi, senza sapere più come rapportarsi... ma alla fine, l'amore vince tutto e l'ultimo momento che gli è concesso di passare assieme non è altro che di dolcezza pura. 
Ecco spiegato anche il motivo per cui il fato ha deciso di farli incontrare... per far sì che si prendessero cura uno dell'altra, imparando a tornare ad apprezzare la vita assieme, a fortificarsi e ad aprirsi di nuovo al mondo. Forse questo farà incrociare di nuovo le loro strade... forse è questo che le parole del vecchio matto sottintendono. Voi che ne pensate? 
Ho voluto inserire Tauriel per mantenere la continuità con i film, a cui ovviamente mi sono ispirata; sia per il conteggio degli anni, sia per la cicatrice. Ho voluto creare un personaggio speculare a Thranduil, infliggendo anche a lui la stessa cicatrice per simboleggiare tutto ciò che il re degli elfi avrebbe potuto diventare, se Legolas non l'avesse spinto a reagire e a non lasciarsi andare alle tenebre. E anche il fatto che Thranduil alla fine abbia mostrato il suo vero volto, quello martoriato dal fuoco del drago, e che Asinna infine l'abbia accarezzato, non è un caso, ma il segno che entrambi sono riusciti ad accettare il loro passato e gli eventi più oscuri che li ha portati ad offrire, grazie alla fiducia reciproca. 
Insomma! Cosa ne pensate? Vi aspettavate questo addio? E cosa vorranno dire le misteriose parole del vecchio?
Fatemi sapere! xx
Buona notte (:
Anna

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Capitolo 12
*** XII ***


XIII

 



L’elfo di guardia era terribilmente annoiato. Stringendo in mano la lancia, in piedi da un paio d’ore, era consapevole che avrebbe dovuto fare attenzione al ponte e alle figure maestose degli alberi che celavano alla sua vista la vita della foresta, ma la sua mente vagava distratta. Avrebbe voluto che la fine del suo turno arrivasse rapida, così da poter sgusciare nelle cucine e farsi dare di nascosto da Indis uno dei biscotti di mandorle che le cuoche stavano finendo di preparare per la festa, che sarebbe iniziata di lì a poco.
L’intero palazzo era preda di un fermento che non si era visto da anni. Finalmente la guerra stava andando per il verso giusto, gli Orchi stavano scappando verso Dol Goldur e presto sarebbero stati cacciati dal regno. Per i ragni ci sarebbe voluto più tempo, ma era un inizio, e il popolo era dell’umore giusto per festeggiare. Presto i canti sarebbero risuonati come dolci echi tra le pareti, accarezzando le orecchie degli elfi che si sarebbero lasciati andare a risa e vino. Per la prima volta da anni timori e paure non avrebbero appestato l’aria.
Da quando il re aveva deciso di muoversi per la guerra e cacciare gli sporchi mostri che infestavano il bosco, tutte le creature che lo abitavano avevano cominciato ad uscire allo scoperto, a cantare; persino gli alberi sussurravano calde parole di antiche melodie. La vita stava tornando, e bisognava celebrare.
Non aiutava che il paesaggio davanti a lui fosse uguale al solito. Sentiva gli acuti cinguettii delle cinciallegre e dei pettirossi che facevano frullare le ali appollaiati tra le foglie, i fruscii delle frasche al suono del vento e dei piccoli conigli che correvano di qua e di là. I suoi pensieri andavano ai dolci occhi di Indis, le dolci labbra che sarebbero state sue quella sera.
Un movimento dietro alle grandi radici catturò la sua attenzione, riportandolo alla realtà. Strinse con forza l’asta, protendendola verso l’esterno, indietreggiando di un passo. Sentì un movimento leggiadro accanto a sé mentre il suo compagno ripeteva i suoi stessi movimenti con un istante di ritardo.
Almeno non sono l’unico distratto, si consolò.
- Chi è là? – esclamò con voce minacciosa.
Per un istante ebbe l’infausto presentimento che si sarebbe perso la festa, mentre una figura emergeva dal folto degli alberi. Poi realizzò che era una sagoma minuta, avvolta in un mantello nero, con il cappuccio a nascondere il volto, che non poteva costituire chissà quale problema per cui sarebbe stato punito. Trattenne un sospiro di sollievo e aggrottò la fronte.
- Ho detto chi è là – ripeté alzando la voce.
Osservò la figura incedere lentamente, esitante, lungo il ponte. Era molto più bassa di loro, e mentre si avvicinava l’elfo riuscì a scorgerne il mento, la linea della mascella che delineava due guance piene, le mani cosparse di lentiggini che stringevano nervose il bordo del mantello.
Si fermò a qualche passo da loro, mentre un pensiero improvviso fulminava l’elfo.
Come ha fatto ad arrivare fin qui?
- Non fate un altro passo – intimò.
La figura si arrestò al suono della sua voce. Un istante di silenzio calò, prima che sollevasse una mano tra loro, mentre le guardie reagivano all’istante puntando la punta delle lance alla sua gola.
Duilin sussultò quando il suo sguardo si posò sul palmo dell’intruso, e il suo compagno emise un’esclamazione sgomenta.
- Dove l’avete preso?
Sulla pelle pallida della mano, l’anello dalla gemma acquamarina del re.

Thranduil si trovava nelle sue stanze quando sentì i passi lievi di Lindir raggiungere la porta nel corridoio. Era sdraiato sul grande letto, immerso tra i cuscini, e fissava con sguardo vacuo l’alto soffitto dell’antro, decorato da meravigliosi affreschi in oro che ripercorrevano le vicende del suo popolo.
Sospirò quando sentì due lievi tonfi sul legno, segno che l’elfo aveva bussato come suo solito.
- Avanti – disse, la voce annoiata, le iridi nebulose che scorrevano fino all’ingresso dove la figura di Lindir fece capolino.
Il suo volto non lasciò trapelare la sorpresa che lo colse nel vedere il suo re ancora sdraiato, con indosso solo i pantaloni, i capelli che lo circondavano come una corona d’oro bianco sulle coperte di velluto blu.
- Mio signore – si profuse in un inchino, mentre Thranduil si metteva seduto. Sul suo ventre si poteva distinguere la pallida cicatrice rosata che non era più scomparsa dalla sua pelle.
- Lindir.
Il sovrano si alzò con grazia, anche se tutto ciò che voleva era rimanere sdraiato e immobile a fissare le figure dorate e a crogiolarsi nella sua malinconia. Con un gesto, intimò al maggiordomo di seguirlo e scese gli scalini dell’alcova dove dormiva, entrando nel più ampio spazio dove erano ripiegati e appesi i ricchi vestiti che formavano file e file di indumenti.
Si fermò con impazienza all’ingresso della sala, percorrendo con lo sguardo le pareti affrescate e cercando di scegliere cosa indossare. Esitò, sentendo una stretta al cuore quando scorse la camicia bianca e i pantaloni neri con cui era tornato all’accampamento, poco più di un anno prima, appesi in fondo alla stanza, appena visibili in quanto coperti dagli altri tessuti infinitamente più preziosi. I suoi servitori avevano cercato di eliminarli, ma quando Thranduil se ne era reso conto si era infuriato e aveva punito i responsabili mandandoli a pulire le segrete per un mese, finché i pavimenti non avevano brillato. Da lì in poi, nessuno si era più azzardato nemmeno a pensare di gettare via quei rozzi vestiti umani.
Sospirò, mentre Lindir lo superava senza accorgersi della sua incertezza.
- Ricordate che ci saranno anche gli ambasciatori di Re Elrond, mio sire.
Thranduil alzò gli occhi al cielo, emettendo l’ennesimo sbuffo annoiato, riprendendo il controllo delle sue emozioni. Una parte del suo cuore ancora doleva, quando si soffermava a pensare agli eventi che lo avevano portato a cambiare così radicalmente, ma non poteva permettersi di indugiare adesso. Quelli che doveva vestire erano i panni dell’altero sovrano di Bosco Atro, non del sofferente innamorato.
Innamorato.
Era una parola che all’inizio aveva faticato ad accettare. Solo dopo lungo tempo era riuscito a prenderne possesso, a non negare la realtà. Perché la realtà era quella, perché per quanto breve fosse stato il tempo trascorso tra le montagne, era stato abbastanza per farlo innamorare di nuovo. Aveva cercato di camuffarlo, sotto forma di rabbia, di fastidio, di irritazione, ma era così. Se ne era accorto, e si era detestato per quello, perché non poteva essere possibile. Eppure lo era, e alla fine era riuscito ad accettare quel sentimento devastante e dolente che aveva intaccato lo specchio di ghiaccio che si era costruito attorno al cuore per non soffrire più, che l’aveva sciolto fino a fargli scoprire una parte di se stesso che aveva dimenticato da millenni.
Thranduil si riscosse dalle sue riflessioni quando Lindir gli si avvicinò, tenendo tra le braccia una preziosa veste di velluto ricamato con fili d’argento e un mantello di un rosso intenso. Li prese dalle braccia del suo servitore, osservando i disegni di fiori che si intrecciavano lungo il mantello, e sospirò.
- Va bene – mormorò.
Una punta di curiosità trapelava dai fini lineamenti di Lindir mentre guardava il sovrano infilarsi la veste e raccogliere i lunghi capelli biondi per poi lasciarli ricadere sulla schiena. Lo aiutò ad avvolgersi nel mantello e fece un passo indietro per ammirarlo.
Il re era maestoso e nobile, di una bellezza raffinata. Di sicuro tutti gli occhi sarebbero stati attirati dal suo incedere quando avrebbe fatto la sua apparizione nelle sale della festa. Ma c’era qualcosa di indecifrabile nel suo volto, una tristezza diffusa nei suoi lineamenti eleganti che il servitore non riusciva a spiegarsi. Da secoli serviva il suo re, da secoli conosceva i suoi gusti, da secoli sapeva interpretare ogni sua espressione e gesto, segretamente conosceva i modi con cui blandire la sua rabbia o suscitare il suo interesse. Ma fin da quando Thranduil era scomparso in seguito all’attacco subìto dagli orchi, per un periodo così breve che era però stato un incubo per tutti i suoi sudditi, qualcosa era cambiato.
Lindir però non riusciva a capire cosa.
- Siete pronto?
L’elfo annuì, risalendo gli scalini per poi soffermarsi davanti al grande specchio che ornava la parete della sua stanza. Il servitore lo raggiunse dopo qualche istante, con una sottile tiara d’argento tra le mani. Thranduil voltò il volto verso di lui e lasciò che la posasse sul suo capo, tornando a guardare il proprio incantevole riflesso. Esaminò i suoi occhi, quel grigio che riprendeva il colore dei ricchissimi tessuti che lo rivestivano, un grigio spento, privo di luce.
- È ora, immagino – sospirò.  
I grandi antri erano stati addobbati a festa e splendevano alla luce delle lanterne pregiate. Piccoli gruppetti di elfi vestiti con i loro abiti più eleganti affollavano gli spazi, mentre il suono dolce di arpe e canti armoniosi riecheggiava nei soffitti a cupola scavati nella roccia decorata da pitture preziose. Vesti bianche, rosse, blu, verdi si muovevano e mescolavano, formando un turbinio di pennellate graziose mentre gli elfi si destreggiavano nelle danze e si muovevano leggiadri per raggiungere amici e sconosciuti e scambiarsi saluti e felicitazioni.
Quando era apparso, il vuoto accanto a lui lasciato dall’assenza di Legolas fin troppo evidente, gli occhi di tutti erano stati attirati dalla sua figura regale attorniata da un gruppo di elfi dalle più nobili discendenze. Guardie, servitori, semplici invitati si erano profusi in eleganti inchini mentre si faceva strada tra la folla, lo sguardo vacuo fisso davanti a sé e un’espressione impenetrabile sul volto. Il sovrano di Bosco Atro emanava un’aura feroce e terribile, che intimava di stare alla larga.
Fu solo uno l’incauto che osò avvicinarsi.
Mentre Thranduil camminava, rivolgendo freddi cenni di saluto attorno a sé, una piccola sagoma sgusciò tra la folla e si interpose sul suo cammino. L’elfo si arrestò, osservando sorpreso la piccola bambina che lo guardava ad occhi sgranati, le iridi di un intenso verde che gli ricordavano uno sguardo fin troppo familiare. Il re provò una stilettata al cuore, mentre la piccola, dai lunghi capelli neri e la bocca spalancata per la meraviglia, si avvicinava a lui tra i sussurri della folla, fino a che Thranduil non fu costretto ad abbassare completamente la testa per guardarla, un’espressione di dolcezza che intaccava appena il gelo dei suoi lineamenti.
La piccola allungò le braccia verso l’elfo e un mormorio sgomento percorse gli invitati.
Lei non batté ciglio e continuò a fissarlo, finché un’elfa trafelata riuscì a farsi spazio tra le persone che li attorniavano e li raggiunse, chinando il capo e profondendosi in scuse interminabili mentre si chinava per riprendere la figlia. Thranduil alzò una mano in un gesto imperioso per fermarla.
Si abbassò, lentamente, osservando il volto delicato e pieno di stupore davanti a lui, intento a fissare la sua tiara luccicante, i suoi occhi grigi, le vesti dagli intricati disegni pregiati.
Senza proferir parola, il re la afferrò per i fianchi e la sollevò, prendendola in braccio mentre un rumoroso brusio si sollevava dalla folla, e si accentuava quando la bambina osò allunga una mano per toccare sorridente i suoi capelli d’oro bianco, accarezzandoli, rapita dallo scintillio che sembravano emanare alle luci delle lanterne.
Thranduil sorrise, suo malgrado, una dolcezza sconosciuta che gli avvolgeva il cuore.
Infine, ho la risposta alla vostra domanda. Persino i bambini vogliono essere presi in braccio dal re.

Il sovrano non avrebbe voluto trovarsi lì, attorniato da una folla che lo faceva sentire ancora più solo, ma la sua nuova, piccola amica alleviò la malinconia che lo opprimeva. Per qualche tempo rimase con lei, che non pronunciò nessuna parola, ma lo intrattenne con i suoi occhi spalancati e il braccio che si tendeva periodicamente ad indicare le colonne, o i fregi, o i biscotti di mandorla. Sembrava nutrire una particolare curiosità verso le volute sinuose che si innalzavano verso i grandi soffitti maestosi, e le figure incise che narravano la storia di tempi remoti, nonché per ogni cosa che brillasse o fosse di un caldo colore dorato. O fosse ingeribile. Più volte Thranduil dovette con dolcezza frenare i suoi tentati furti volti a prendere possesso della sua tiara.
I presenti erano sconvolti dal modo in cui il sovrano, solitamente così freddo e rigido, aveva permesso a una bambina di giocare con il suo mantello, o di prenderlo per mano e trascinarlo con i suoi piccoli passi verso le grandi tovaglie di velluto dove riposavano vassoi d’argento ricoperti di dolci, indicandogli le schiere di dolcetti per farsene prendere a decine, o aveva accettato di prenderla in braccio e farsi accarezzare i capelli. Le loro occhiate li avevano seguiti finché il re si era voltato e aveva lanciato uno sguardo agli elfi che lo attorniavano, e l’atmosfera si era improvvisamente gelata. Tutti erano tornati alle loro chiacchiere, e sebbene Thranduil fosse consapevole che il giorno dopo i racconti sulla bambina che aveva sciolto il cuore ghiacciato del sovrano sarebbero risuonati in ogni ala del palazzo, si era permesso di non pensarci e godersi quello stupore incantato sul volto della piccola, ricordando con nostalgia quando quell’espressione era solita comparire sul volto di Legolas.
Il suo seguito si era pian piano disperso, lasciandolo solo con la familiare presenza di Lindir, che guardava meravigliato quello che avrebbe potuto essere considerato un miracolo. Thranduil si era rifugiato in una piccola sala più appartata, dove le poche persone presenti non lo degnavano di un’occhiata per paura di infastidirlo. Seduto sulla base di una colonna, osservava la piccola dagli occhi verdi mangiare un biscotto con le guance piene, una spolverata di briciole sulla piccola tunica bianca. Aveva i capelli lucidi intrecciati con fili d’argento, ma la treccia si era sfatta e ciocche ribelli le incorniciavano il volto. Avvertendo il suo sguardo, la bambina lo fissò e esitò, prima di addentare quello che rimaneva del dolcetto. Abbassò lo sguardo sull’ultimo che teneva nell’altra mano e con un’espressione timida lo allungò verso il re.
Thranduil trattenne un sorriso, per un attimo dibattendosi nel dubbio. Non avrebbe voluto prenderle l’ultimo, ma la bambina ne aveva mangiati fin troppi. E poi Legolas non aveva di certo ereditato la sua passione per i dolci dalla madre.
Prima che potesse afferrarlo, però, e prima che la bambina potesse intrappolargli la mano tra le sue minute per osservare gli anelli che impreziosivano le sue dita, un rumore di passi veloci gli fece alzare lo sguardo. Tauriel si dirigeva verso di lui, il volto cupo, l’inquietudine ben leggibile negli occhi scuri.
Si fermò a qualche passo di distanza, mentre la sua sorpresa nel vedere l’insolita compagnia del re trapelava dal suo volto, e si inchinò brevemente. Thranduil fece cenno a Lindir di portare via la bambina, che lo guardò triste mentre l’elfo la prendeva in braccio e la riportava dalla madre, persa tra la folla.
- Mio signore, abbiamo un problema – mormorò l’elfa.
Il re si alzò, rimpiangendo di non aver preso il biscotto alle mandorle, ma segretamente fu sollevato nel sentire le parole del suo capitano. Aveva la scusa perfetta per sgusciare via dalla festa.
- Non volevo disturbarvi, ma dovete venire con me.
L’elfo inarcò un sopracciglio, sorpreso dall’irriverenza di quel commento, fissandola torvo. Ma Tauriel sostenne il suo sguardo.
- Seguitemi – mormorò, e Thranduil sbuffò lievemente, pensando a quali punizioni avrebbe potuto infliggerle per la sua sfacciataggine. La seguì, mentre la folla si scansava al loro passaggio, mormorando curiosa nel vedere il re abbandonare così presto i festeggiamenti.
La seguì, scendendo ripide scale a chiocciola e percorrendo bui passaggi, mentre i suoni delle arpe e dei flauti si facevano sempre più fiochi, finché si rese conto che erano diretti verso le prigioni.
- Tauriel, cosa succede? Non lo chiederò un’altra volta.
Il silenzio fu l’unica risposta al tono minaccioso delle sue parole, ma prima che potesse dar sfogo alla rabbia girarono l’angolo e videro due guardie disposte a sorvegliare una delle celle. Nel vederli avvicinarsi, Thranduil vide i due elfi guardarlo nervosi. Un dubbio fugace attraversò la mente del sovrano, che per un momento si ritrovò a temere di dover avere a che fare con qualche nuova, malvagia oscenità. Un orco? Un nuovo mostro maligno creato dalle tenebre? Qual era l’ennesima e infida creatura che spezzava l’unico momento di quiete che il tempo aveva loro concesso?
Ma quando si avvicinò alle sbarre, nell’oscurità vide solo una figura incappucciata, abbandonata in un angolo della cella, seduta sulla pietra liscia e nera. Thranduil aggrottò la fronte, ma il suo cuore mancò un battito quando la sagoma girò la testa verso di lui e degli occhi di giada lo fissarono da sotto il cappuccio.
- Chiavi – esclamò, la voce un tuono rabbioso che mandò in frantumi il silenzio nervoso delle sue guardie.
Sentì Tauriel trasalire dietro di lui.
- Ma, sire… - Asinna si stava rialzando, entrando nel cono di luce che spezzava a metà la cella. Nel sentire le parole dell’elfa rimase impietrita, fissandolo sconvolta, ma non era quello ciò a cui Thranduil stava dedicando la sua attenzione. Gli occhi tempestosi del re erano fissi sulla cicatrice ancora fresca che partiva dalla tempia, le attraversava lo zigomo ed arrivava al mento.
- Ho detto le chiavi – non aveva urlato, ma la furia nella sua voce fece tremare i tre elfi presenti, e persino l’umana. Era carica di rancore, un presagio del terribile castigo che avrebbe inflitto ai suoi soldati se non avessero eseguito istantaneamente i suoi ordini.
La guardia alla sua sinistra si affrettò ad infilare le chiavi nella serratura, che scattò tre volte, mentre Thranduil rimaneva immobile e imperioso a sostenere lo sguardo di Asinna, che lo fissava con una nuova consapevolezza negli occhi. Ora vi vedeva un briciolo di timore, di incertezza, mentre le sue iridi si soffermavano sulla tiara che gli cingeva la fronte, sui suoi ricchi vestiti, sul tremore delle guardie al suono delle sue parole.
- Aveva il vostro anello, mio signore – Tauriel fece un passo avanti, cercando testardamente spiegazioni, mentre finalmente la porta della cella veniva aperta.
Thranduil la interruppe alzando la mano.
- Lasciatemi solo – intimò, e nessuno osò disobbedire. Le due guardie si affrettarono ad allontanarsi, sollevate dal suo congedo, e anche Tauriel dopo qualche istante di indugio si decise a voltarsi. Il re aspettò finché sentì i loro passi svanire del tutto, prima di fare un passo indietro, mentre Asinna rimaneva immobile al centro della cella, il volto deturpato estremamente pallido. Non lo ricordava così magro, così stanco. Le occhiaie violacee erano l’unico tocco di colore sulla sua pelle.
- Uscite – mormorò con voce dolce l’elfo. Il contrasto con le sue parole tiranniche di qualche secondo prima fece rabbrividire la donna, ma obbedì, mentre lo sguardo pallido del sovrano scorreva lungo la sua figura che emergeva alla luce delle torce. Il mantello le cadeva largo addosso, aveva perso la rotondità con cui Thranduil aveva imparato a riconoscerla.
Asinna emerse dalla cella, a un solo passo di distanza, gli occhi fissi su di lui. La luce tremolante delle torce dipingeva sfumature mutevoli e inquietanti sul suo volto.
- Sire? – mormorò dopo qualche secondo.
La sua voce tremava, nonostante si fosse sforzata di parlare con calma. Thranduil abbassò lievemente il capo, senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla sua cicatrice. Un dolore sordo si stava scontrando contro una gioia selvaggia nel suo petto, e non sapeva a quale cedere.
- Siete il re? – chiese Asinna, inquieta, incredula, e per la prima volta la maschera composta che aveva indossato fino ad allora si infranse, e lasciò che l’elfo vedesse la paura e il terrore che l’avevano accompagnata fin lì. Thranduil sentì una stilettata di sofferenza lacerargli il cuore quando cercò di prenderle la mano e lei si tirò indietro.
- Asinna – mormorò, la voce un morbido canto che acquietò il panico che minacciava di soffocarla. Asinna sentì le lacrime affiorare agli occhi, mentre la realtà la colpiva in pieno, mentre la consapevolezza che finalmente era lì, era salva, era con lui, le spezzava il respiro. Si lasciò andare a un respiro tremante, mentre Thranduil eliminava la distanza tra loro, la avvolgeva tra le sue braccia, le abbassava il cappuccio e le accarezzava dolcemente i capelli, i corpi premuti uno sull’altro, mentre le sue mani si aggrappavano disperate ai suoi fianchi e i singhiozzi trovavano il via libera. Si strinse all’elfo, che la cullò dolcemente, lasciando che piangesse e sfogasse la tristezza e la paura che l’avevano attanagliata per quei mesi, finché il battito lento del cuore del sovrano sotto alla guancia la aiutò a rallentare il respiro, a riprendere il controllo. Sentì le labbra dell’elfo sfiorarle la fronte, la sua mano accarezzarle delicata la schiena.
- Mi dispiace – sussurrò, la voce rotta dalle lacrime. I capelli d’oro attorno a lei si mossero quando lui scosse la testa, e la sua bassa risposta le accarezzava le orecchie.
- Non scusatevi.
- Volevo… volevo davvero non venire qui, ma non ho avuto scelta – Thranduil si scostò, e Asinna si odiò. Non voleva che si allontanasse, voleva che la stringesse a sé, che il suo abbraccio la scaldasse ancora e ancora, per l’eternità. Ma il re le prese il volto tra le mani e le asciugò le lacrime con le dita delicate, guardandola preoccupato, mentre lei stringeva il tessuto rosso del mantello tra le mani per non lasciarlo andare, una sorda disperazione dipinta sul viso stravolto.
- Non parliamone qui – mormorò il re. La prese per mano e si voltò, e Asinna non ebbe altra scelta che seguirlo, il cuore che batteva impazzito nel petto.

Asinna era riemersa dall’acqua fumante sentendosi una persona nuova. Stordita dalla novità –davvero era il re? Quello che aveva quasi insultato? Quello che aveva biasimato, colpevolizzato, su cui aveva fatto ogni tipo di domande? Ancora non riusciva a crederci- l’aveva seguito per i lunghi corridoi e le scale tortuose, mentre risalendo verso l’alto passavano da una grotta all’altra. Camminando, aveva sentito echi di canti e melodie arcaiche risuonare tra le pareti, ma non si erano avvicinati alla fonte di quei suoni meravigliosi. Non che le dispiacesse, perché non avrebbe sopportato molto altro. Era già impegnata a fissare a bocca aperta le grotte che attraversavano, alcune decorate da preziose colonne e affreschi colorati, altre spoglie e scure, illuminate solo dalla luce delle torce, tutte collegate da passaggi aperti che lasciavano solo immaginare quanto grande e maestoso potesse essere quel posto, sconfinato a vista d’occhio. Per tutta la durata del tragitto, la mano dell’elfo non aveva ammorbidito la presa sulla sua, ma il suo passo impaziente si era frenato quando aveva capito che non le restavano molte forze e non era in grado di sostenere la sua velocità. L’aveva guidata fino ad arrivare a quelle che sospettava fossero le sue camere, una serie di grotte finemente decorate da dipinti e mobili splendenti. Nella sala centrale un enorme tappeto intrecciato di fili d’oro e d’avorio giaceva al centro della sala, e alle pareti erano allineati vari specchi, che moltiplicavano la grandezza degli spazi, già enormi. Non aveva prestato grande attenzione all’enorme tavolo, o ai soffici cuscini dai toni tenui in angolo; o almeno, non ne aveva avuto il tempo, perché l’elfo l’aveva condotta verso un’apertura laterale, nascosta da varie tende. Avevano attraversato altre sale sfarzose, mentre la bellezza delle decorazioni e dei colori le faceva girare la testa, finché l’elfo era arrivato davanti a una spaccatura nella roccia che formava un’entrata nascosta da veli argentei.
- Andate, manderò qualcuno ad aiutarvi – aveva detto, ed era scomparso senza nemmeno darle il tempo di proferire parola. Asinna era entrata, scoprendo con meraviglia che si trattava di una sala con un’enorme quadrato interrato pieno d’acqua calda. Si era spogliata e si era immersa, rimanendo immobile nell’acqua, senza avere nemmeno la forza di lavare via il sudore e la sporcizia, finché aveva sentito dei passi leggiadri e una presenza alle sue spalle. Un’elfa bellissima era arrivata e l’aveva aiutata a lavarsi, nonostante il suo imbarazzo. Le aveva lasciato degli indumenti puliti prima di svanire, silenziosa come era arrivata.
Si era vestita dopo essersi asciugata con un telo morbidissimo -altro che quelli ruvidi che aveva avuto sulle montagne-, sentendosi vagamente a disagio con indosso quelle vesti riccamente decorate, di un verde scuro su cui si intrecciavano ricami d’oro.
I capelli bagnati le solleticavano il collo, mentre era uscita dalla stanza, per ritrovarsi davanti all’elfa che le aveva fatto cenno di seguirla. Aveva obbedito, osservando meravigliata le nuove stanze -che non aveva ancora percorso- che attraversarono, il cuore pieno di meraviglia e di timore.
Come poteva avere la presunzione di trovarsi ?
Lei, fragile umana, aveva cercato l’elfo sperando di trovare un po’ di pace, un luogo dove poter riposare dalla terribile tragedia che le era piombata addosso. Si era immaginata mille scenari, ma nulla poteva competere con ciò che aveva davanti agli occhi, con la realtà in cui lui era un elfo importante ben al di là della sua immaginazione. Si sentiva fuori posto, in quel luogo. Persino l’elfa davanti a lei la metteva in soggezione, perché ormai era ben consapevole della crudele striscia rossastra ancora non guarita che le attraversava il volto, del suo corpo così umano, della sua posizione nella gerarchia sociale che paragonata a quella dell’elfo poteva essere considerata meno di niente.
Quando aveva salvato la vita a quell’elfo riverso per terra, immerso nel sangue nero e cremisi, tra decine di corpi caduti, non si sarebbe mai immaginata tutto ciò. Mentre lo raccoglieva da terra con le lacrime agli occhi e il petto che sembrava scoppiare per l’orrore che riempiva i suoi occhi, non avrebbe mai pensato di salvare la vita del re degli elfi. Né che, per quel puro atto di umanità -perché lei l’aveva salvato per pura compassione, perché non poteva rimanere immobile a lasciarlo morire così, così come lei un tempo aveva rischiato di morire- lui le avrebbe dato la speranza di poter sopravvivere ancora una volta, di ritrovare una quiete che non credeva avrebbe mai avuto di nuovo.
I suoi pensieri svanirono d’un tratto quando sbucò in una sala più raccolta, decorata da effigi d’argento lungo le pareti di pietra lucente al chiarore delle lanterne, dove il suo sguardo si fermò sulla figura maestosa dell’elfo, che si voltò a guardarla.
Si era cambiato, indossava una semplice tunica bianca che lo faceva sembrare una creatura ancora più magica e intoccabile. Asinna sentì una morsa contorcerle lo stomaco, e fu grata del digiuno che aveva sofferto per giorni, perché star male di stomaco in quelle circostanze era lo scenario peggiore che potesse immaginare. L’elfa li aveva lasciati soli, se ne rese conto quando lui le fece cenno di non sostare sulla soglia e si avvicinò al tavolo al centro della stanza, dove erano disposti vari piatti colmi di cibi che sembravano squisiti. Asinna obbedì, suo malgrado intimidita, mentre le iridi grigie dell’elfo la osservavano. Seppe subito che aveva notato la sua timidezza, ma per fortuna non fece commenti. Non poteva fingere di non essere stata piegata di nuovo, non poteva fare battute argute, non aveva la forza di prenderlo in giro. E gli era grata, perché lui l’aveva capito. Aveva capito che avrebbe avuto bisogno di tempo per tornare come prima, e che non doveva aspettarsi che si comportasse come si era comportata quando erano soli tra le montagne. Non lì, nel cuore delle colline, del raffinato splendore del regno elfico, dove il semplice verde e azzurro delle montagne l’aveva abbandonata.
Thranduil si accomodò accanto a lei, e per un attimo Asinna fu trascinata indietro nella memoria, quando ancora erano relativamente sereni, seduti al tavolo tondo della misera casetta che aveva ospitato l’elfo per poco più di una settimana, su sedie traballanti non ricoperte da velluto. L’imbarazzo scemò, mentre lui faceva scivolare un piatto pieno di un’invitante stufato davanti a lei, sorridendo appena.
- L’avete fatto voi? – un sorriso illuminò le labbra del sovrano, un fulmine di serenità nel mezzo della tempesta di emozioni che oscuravano l’atmosfera.
- Non sono ancora così bravo, nonostante i vostri insegnamenti. Mangiate.
Ma Asinna scosse la testa, guardandolo incerta.
- Devo assaggiare prima io? – mormorò il re, e l’opprimente preoccupazione che gli attanagliava le viscere sparì quando vide un sorriso esitante illuminare le labbra della donna.
- Non ho fame.
- Non credo sia così – replicò con dolcezza Thranduil.
Asinna si strinse nelle spalle, evitando il suo sguardo. – No, ma non voglio mangiare. So già che starei male.
Era vero. Era troppo nervosa. Rimasero in silenzio, finché lei riportò gli occhi su di lui, osservando il suo volto splendente nella gloria di sovrano, la sottile corona a cingergli la fronte.
- Siete davvero il re? – non riuscì a impedirsi di ripetere la domanda, e Thranduil sorrise.
- Sì.
Asinna si prese il volto tra le mani, nascondendo la cicatrice alla sua vista, sconvolta.
- Non riesco a crederci.
Sollevò di nuovo gli occhi su di lui, abbagliata da un pensiero, aggrottando la fronte. – Vostro figlio è il principe?
Thranduil annuì, inclinando la testa, e lei si massaggiò la fronte, fissando il piatto pieno davanti a lei. Il suo stomaco si contorceva, il profumo delizioso era quasi doloroso, ma non riusciva nemmeno a pensare di mangiare in quel momento. – Assurdo.
Il sovrano di Bosco Atro allungò il braccio per afferrarle la mano, e Asinna seguì il suo gesto sorpresa, lasciando che lui la rigirasse per guardare le sue dita. Al medio non c’era il suo anello.
- Me l’hanno preso le guardie – mormorò, capendo al volo cosa stesse cercando. Lo sguardo del re si incupì, ma la donna gli afferrò il polso, chinandosi verso di lui.
- Dovreste esserne felice. Hanno svolto il loro lavoro alla perfezione.
L’elfo sbuffò, con un sorriso ironico. Ancora una volta l’umana non si lasciava intimidire e parlava chiaramente. Era felice che almeno quello non fosse cambiato. Poi il suo sguardò scivolò dal verde delle sue iridi alla cicatrice che le spezzava la carne.
- Farò di modo che vi sia restituito. Ormai è vostro. Cosa è successo? – chiese, ignorando lo stupore che illuminò il viso dell’umana a quelle parole. Asinna sospirò, un velo di tristezza le scese sul viso. Rimase in silenzio a lungo, cercando di raccogliere i pensieri e raccontare l’orrore ancora vivido nella sua mente, ma riuscì a trovare le forze solo quando la mano di Thranduil le sfiorò in una delicata carezza il braccio, infondendole coraggio. La afferrò e intrecciò le dita tra le sue, incurante delle gemme che le graffiavano la pelle e dello sguardo sorpreso di lui. Incurante che quelle che stava stringendo fossero le dita del re.  
- Dopo che ve ne siete andato sono tornata a vivere al villaggio. Tutto era tornato alla normalità, per un periodo sono riuscita a diventare quasi felice. Vivevo con Traen – a quelle parole vide l’elfo irrigidirsi e per un attimo la sua espressine abbandonò ogni tristezza, evidentemente divertita dalla sua reazione, - e andavo avanti giorno per giorno. Poi, è cambiato tutto.
Si morse le labbra, il volto ora di nuovo roseo perso in ricordi dolorosi.
- Quello che avevate detto si è rivelato vero. I ragni alla fine sono arrivati.
Thranduil sospirò, un’ondata di rabbia che irrigidiva ogni muscolo del suo corpo. La voce della donna era intrisa di dolore –e non riusciva a sopportarlo. Era infuriato, con le forze del male che l’avevano massacrata ancora una volta, e con se stesso, perché non era riuscito a evitarle quell’ennesimo dolore. Perché aveva dovuto andarsene. Perché se ne era andato, lasciandola lì.
La stretta di Asinna si rafforzò, mentre la donna puntava lo sguardo sul dipinto della notte stellata appesa davanti a loro, di un realismo tale da spezzarle il fiato.
- Hanno distrutto tutto – sussurrò. Una lacrima, una sola lacrima, le solcò la guancia e l’elfo alzò la mano libera per asciugarla, mentre un respiro spezzato usciva dalle labbra tormentate dell’umana al suo tocco.
- Era di notte, è stato come rivivere un incubo. Non riesco nemmeno a descriverlo. Hanno fatto a pezzi ogni cosa, ucciso decine di persone. Traen è morto nel sonno – sussurrò. Si morse a sangue la bocca e scosse la testa. – Ho assistito chi potevo assistere, poi mi sono ricordata quello che mi avevate detto. Non volevo venire qui. Non è il luogo per me, per un’umana…
Thranduil avrebbe voluto ribattere, ma sapeva che in quelle parole c’era un’amara verità. Rimase in ascolto, confortandola solo con la sua presenza familiare mentre riportava a galla l’orrore di ciò che aveva vissuto. – Ma non avevo altra scelta. Sapete, il vecchio pazzo mi aveva detto ciò che sarebbe successo, ma ero troppo confusa per capirlo – rivelò, incontrando il suo sguardo serio. Osservò quel grigio cristallino, quel volto che per notti intere aveva sognato, che aveva desiderato di rivedere, e che ora era lì, davanti a lei, come in un sogno che avrebbe potuto svanire da un momento all’altro. Ma non era un sogno, non era la sua immaginazione, lui era davvero lì, davanti a lei, la sua mano serrata mentre stringeva con forza le sue dita. Per un attimo fu sommersa dall’emozione, poi riuscì a riprendere il controllo.
- Eravate la mia unica speranza, perciò ho deciso di tentare di trovarvi. Pensavo che sarei morta, stavolta per davvero. Non ho visto nessun alce, nessun animale, stavolta la foresta era oscura, tremenda, spaventosa. Ma alla fine ci sono riuscita, non so nemmeno io come. Ho abbandonato le ceneri e seguito il mare – mormorò, ripensando alla sensazione che l’aveva portata in salvo, al modo in cui l’anello dalla gemma acquamarina sembrasse indicarle la direzione più sicura da prendere, tra le radici enormi e terrificanti del bosco. Asinna si riscosse e guardò l’elfo, un’espressione che esprimeva tutta l’incertezza e la paura che provava.
- Perdonatemi se sono venuta qui. Non sapevo… - Thranduil la zittì, posandole una mano sulla bocca. Osservò i suoi occhi sgranati, il volto spaurito, e un’ondata di dolcezza lo aggredì, mentre le sue dita accarezzavano spudorate le sue labbra morbide e calde, il respiro della donna ad accarezzarle, mentre lei lo fissava con gli occhi sgranati, come un cerbiatto colto di sorpresa da un cacciatore.
- Voi mi avete salvato la vita. Ora è tempo che io ripaghi il mio debito – disse con calma. Il sollievo nel volto della donna cancellò ogni pensiero, di ogni preoccupazione. In quel momento, l’unica cosa che importava era lei. – Rimarrete nell’unico posto dove potrete essere al sicuro. Al mio fianco – mormorò.
Asinna cercò di scacciare le lacrime, e l’elfo si alzò, invitandola a seguirlo. Scostò le tende in fondo alla stanza che rivelavano un’apertura nella roccia scura, lasciando intravedere il cielo stellato, e sotto ai raggi della luna piena la strinse a sé, sentendosi finalmente in pace mentre teneva tra le braccia quel corpo tremante e amato.
Asinna alzò gli occhi verso di lui, e l’elfo si chinò, accarezzandole la guancia, i cuori che battevano forte mentre le loro labbra si sfioravano esitanti e insicure all’inizio, poi sempre più desiderose, mentre la lontananza che avevano sofferto finalmente svaniva e lasciava posto solo alla felicità che scorreva impetuosa nelle loro vene. Asinna si aggrappò alle sue spalle, mentre il sovrano si chinava e senza alcuno sforzo la sollevava, stringendola a sé, mentre lei gli circondava la vita con le gambe, il bacio che si faceva sempre più intenso mentre i loro respiri acceleravano.
Asinna accarezzò i biondi capelli del re, scostandosi per un attimo, sorridendo mentre osservava quel volto meraviglioso davanti a sé, quegli occhi grigi che la guardavano come se fosse la stella più brillante nel cielo, il fiore più bello di ogni giardino.
- Cosa? – mormorò Thranduil, inebriato dal profumo di gelsomino e vaniglia, dal calore del suo corpo, dalla giada dei suoi occhi. Asinna baciò con dolcezza le sue labbra, godendo di quel contatto, soffermandosi per lunghi minuti mentre sentiva il battito potente del suo cuore sotto al palmo della mano, posata sul tessuto argenteo che gli copriva il petto.
- Non so ancora qual è il tuo nome – mormorò, e il re rise, una risata gioiosa, cristallina, che risuonò tra le pareti della stanza come una ventata d’aria allegra e primaverile.
- Thranduil, melamin.


 
 

* amore mio (poetico).
 
 
 
Angolino dell’autrice:
aand… that’s a wrap!
Non so come esprimere quello che sto provando in questo momento, perché è un insieme di emozioni contrastanti, amare e dolci allo stesso tempo. So solo che questa storia ha segnato il momento in cui mi sono riavvicinata alla scrittura dopo anni e anni, facendomi riprendere il coraggio di esprimere attraverso le parole il mio mondo interiore e i miei pensieri più profondi, riaprendo una vecchia via che credevo perduta per sempre. Per questo, questa storia avrà sempre un significato particolare per me. Per questo, Thranduil e Asinna per me rappresenteranno sempre ciò che ho voluto simboleggiare attraverso il loro arco narrativo: la forza di rialzarsi, tirarsi su tra le macerie e incamminarsi di nuovo, percorrendo nuovo percorso e aggrappandosi alla speranza di poter cambiare le cose.
Proprio su questa nota, vorrei due dedicare due brevi parole a ciò che sta succedendo in questo momento. A parte la pandemia, a parte la speranza che voi tutti stiate bene così come i vostri cari, in questi giorni abbiamo assistito a qualcosa di una gravità impressionante. L’assassinio di una persona sulla base della discriminazione per il colore della sua pelle, del pregiudizio nei confronti di un essere umano che chiedeva un aiuto che gli è stato negato fino a togliergli la vita. Spero che anche voi siate consapevoli che, sebbene nulla di tutto ciò sia MAI stato accettabile, ora è diventato ancora più palese di prima. Perciò, anche nel nostro piccolo, vi invito a provare a cambiare le cose: diamo voce a questo problema, offriamo aiuto e supporto a chi ne ha bisogno. Firmate petizioni, discutetene con la vostra famiglia e i vostri amici, informatevi; è di questo che la comunità oppressa ha bisogno. Ascoltate le loro parole: fate ciò che vi viene chiesto, perché solo loro sanno di che tipo di supporto hanno bisogno. Lottiamo tutti assieme per la vita, per la fine di questo incubo, perché siamo tutti uguali, siamo tutti esseri umani, eppure c’è gente che ancora non lo capisce.
Passando a toni più leggeri, tornando alla storia, io non so come ringraziarvi per essere arrivati fino a qui. Ho potuto leggere dai vostri commenti, dalle vostre recensioni, le vostre impressioni e le vostre idee, ed è esattamente questo che mi spinge a scrivere e a impegnarmi sempre di più per migliorare e dare vita a personaggi e a mondi che possano offrire un angolino di conforto in questi momenti bui. Spero di essere riuscita ad emozionarvi, in modo positivo, negativo, non importa; spero di essere riuscita a farvi affezionare, arrabbiare, indignare, intenerire, persino piangere, perché se è così vuol dire che la storia è riuscita nel suo intento. È riuscita a smuovervi dentro, a farvi pensare. A farvi emozionare.
Perciò, un grazie dal profondo del cuore a tutti voi che vi siete presi del tempo per leggere, per recensire, per scrivermi i vostri pareri in privato, per averne magari parlato ai vostri amici. Grazie davvero di cuore.
Mi mancherà, tanto. Però spero di ritrovarci presto. Magari nelle altre storie che sto scrivendo.
Per l’ultima volta, un bacio.
Anna

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Capitolo 13
*** Epilogo ***


EPILOGO



La luce della candela spargeva ombre irregolari sulle pergamene distese sul tavolo. Con un leggero sospiro, Thranduil posò la penna d'oca e osservò pensieroso le lunghe ed eleganti lettere che aveva appena finito di leggere, gli occhi nebulosi di emozioni contrastanti. Il suo petto era stretto da una morsa feroce, dilaniato da sentimenti vorticosi che lo stavano portando a pensare quasi con timore a ciò che era appena venuto a sapere. Era talmente assorto nelle onde dell'immaginazione che non si accorse delle due delicate mani che si posarono sulle sue spalle, non finché non si mossero dolcemente per accarezzare i suoi lunghi capelli d'oro bianco, spostandoli delicatamente dietro alle sue orecchie. Sospirò, riscuotendosi, e si abbandonò allo schienale della sedia, allungandosi rapido a stringere quelle dita minute per evitare che lasciassero la presa sul suo corpo. Le intrecciò alle proprie, inclinando la testa all'indietro fino ad appoggiarla al suo petto. Il profumo di gelsomino e vaniglia lo avvolse in una nuvola, la cascata di capelli spettinati che gli accarezzava la guancia, mentre lei si chinava a baciargli la fronte. Thranduil lasciò che dalle sue labbra sfuggisse un piccolo gemito, avvertendo la stanchezza che gravava sul suo corpo allentarsi al tocco umido di quelle labbra sulla sua pelle. 
Asinna strinse la presa, accarezzando il dorso della sua mano con il pollice, sfiorando la superficie fredda e dura dell'anello dalla gemma rossa che lo adornava. Thranduil si lasciò completamente andare contro di lei, lasciando che le sue braccia circondassero il suo collo e le sue mani si posassero sul suo petto, ricoperto da fini vesti color neve. Ad Asinna piaceva sentire il battito del suo cuore, e in quegli ultimi mesi si era abituato al calore della sua mano, ferma e aperta lì, sopra ad esso, a sciogliere lentamente la coltre di ghiaccio in cui l'aveva rinchiuso per secoli. 
Thranduil inspirò lentamente, ricevendo un secondo morbido bacio sulla fronte. Subito dopo sentì un piccolo sbuffo scaldargli la pelle e trattenne un sorriso. Ad Asinna dava estremamente fastidio la sottile tiara che gli cingeva la testa. Gliel'aveva rivelato qualche notte prima, mentre tra le morbide coperte lui accarezzava la sua schiena, la mano che si insinuava sotto alla sua camicia, i suoi occhi di giada che fissavano crucciati quel filo d'oro. Solo dal suo sguardo, Thranduil aveva capito che gliel'avrebbe tolta, se solo non avesse avuto timore della sua reazione -togliere la corona a un re era un gesto che nessuno avrebbe potuto permettersi di fare con leggerezza. Le sue lunghe dita allora erano andate a sfilarla, abbandonandola in un angolo del letto, tra le coperte di seta -e lei aveva sorriso, immediatamente, sorprendendolo mentre con un movimento veloce si ribellava al suo abbraccio e si sdraiava sopra di lui, il volto sospeso. Thranduil si era sentito felice come non mai, mentre lei lasciava soffici baci su tutto il suo viso, mentre posava le dita sui suoi fianchi e accarezzava il suo corpo. 
Momenti di una tale dolcezza gli facevano quasi dolere il cuore, tanto era intensa l'emozione che sentiva racchiuderlo nelle sue grinfie. E Thranduil non l'avrebbe mai ammesso, ma il fatto che si verificassero sempre più spesso guariva ogni ferita che ancora solcava la sua anima. Non ogni notte, ma quasi, Asinna lo raggiungeva nelle sue stanze e lo assisteva -durante il giorno aiutava i guaritori, si occupava dei giardini di erbe che aveva rimesso in sesto con le sue sole forze, girava per il palazzo mentre lui era indaffarato a seguire i progressi delle truppe e a ricevere generali. Ma la sera era il loro momento -quando la luna saliva in cielo, Thranduil sapeva che lei sarebbe arrivata, e quello era l'unico pensiero che gli impediva di perdere la calma, di punire i servitori, di prendersela con gli inetti che avevano fatto cadere i suoi esploratori in trappola pochi giorni prima. Quando arrivava la sera, Asinna si rivelava, e godevano semplicemente della loro presenza reciproca. 
Non avevano dato un nome al rapporto che li legava -Thranduil aveva spiegato ad Asinna alcune delle usanze degli elfi, anche se lei aveva iniziato a documentarsi nell'enorme biblioteca al centro del palazzo sotterraneo. Come aveva intuito fin da quando aveva visto le piccole mensole ricolme di libri sulle pendici della montagna, a lei piaceva imparare -passava ore a leggere aneddoti, storie, racconti di ogni tipo, trattati e manuali. 
Non avevano dato un nome al rapporto, ma entrambi sapevano che nulla sarebbe cambiato per questo. Il modo in cui Thranduil si lasciava lentamente andare, aprendosi a lei, prendendosene cura, era già un segno. E per quanto la loro vicinanza alimentasse chiacchiere e pettegolezzi, Asinna era educata, riservata e si mostrava sempre indaffarata per aiutare quando necessario. Sebbene non fosse diventata amica di nessuno, molti gradivano la sua presenza. Thranduil aveva accennato all'argomento, ma lei l'aveva fermato -specchiandosi nelle sue iridi plumbee, gli aveva sorriso. 
- È abbastanza – aveva mormorato, sfiorando le sue labbra con un bacio. Thranduil le aveva afferrato il polso, impedendole di allontanarsi, beandosi di quella bocca soffice, accarezzandole la cicatrice e cingendole la vita con un braccio, di modo che nemmeno un soffio d'aria separasse i loro corpi, portandola sulle sue gambe. 
Erano diventati due anime affini -entrambe danneggiate, trovavano tranquillità e comprensione solo una nell'altra. Alla luce delle candele, parlavano -di ogni cosa, importante o futile che fosse, mentre i loro cuori si fondevano. Non erano ancora andati oltre -entrambi avevano bisogno di tempo. Lei soprattutto -le ferite del suo corpo non erano ancora guarite del tutto, e l'ultima cosa che Thranduil voleva era danneggiarla ancora di più. La stringeva a sé, la cullava tra le sue braccia, seminava dolci baci ovunque i vestiti lasciassero trasparire la sua pelle, mordeva delicatamente l'incavo della sua spalla -e lei faceva lo stesso, e anche di più, ma non erano ancora pronti a lasciarsi andare del tutto. C'erano ancora alcune questioni da sistemare.
Intanto, però, il gelsomino e la vaniglia erano diventati il profumo dei suoi sogni. 
Thranduil si riscosse dalla piega frammentata dei pensieri, aprendo gli occhi e trovandosi davanti un verde sguardo indagatore davanti. Accennò un sorriso debole, ma la preoccupazione non smise di adombrare i suoi occhi. 
- Mio figlio – sussurrò, e Asinna esitò. 
Thranduil tornò a fissare la lettera davanti a sé. 
- Legolas sta arrivando.

La foresta sembrava strana. Legolas percepiva il suo respiro antico, il ritmo del battito arcaico che animava ogni ombra e ogni luce, ogni pianta e creatura attorno a lui. Ma qualcosa era cambiato, e ai suoi occhi chiari, non più abituati a quella vista, ormai soliti scorgere infinite pianure e bassi tetti di casupole umili, appariva ancora più evidente. Era come se il bosco si fosse risvegliato -ora i suoni che udiva erano dolci, pieni di vita, quasi armoniosi. Un'ombra ancora era ben percepibile -ma non era nulla in confronto a come ricordava l'atmosfera che regnava nella foresta. 
Al galoppo, il cavallo procedeva spedito mentre il principe aguzzava la vista e scorgeva mille lievi segni di vita attorno a sé -il suo cuore era aggredito da un misto di gioia, di stupore, di meraviglia, di perplessità. Sapeva che suo padre aveva fatto progressi, scacciando le creature maligne dal territorio, spingendole verso sud; ma mai si sarebbe aspettato di trovare la foresta quasi del tutto guarita dal veleno della loro presenza. 
In cuor suo, il principe di Bosco Atro sentiva che qualcosa era successo, qualcosa che durante la sua assenza aveva ribaltato l'equilibrio in favore della vita della foresta, non più della sua morte. Qualcosa che aveva fatto tornare casa sua all'antico splendore, o che era sulla via di riuscirci. Qualcosa a cui lui non aveva potuto assistere, impiegato nella ricerca di un cammino diverso, ma che ben presto avrebbe potuto conoscere di persona. 
Il sole filtrava tra i rami e il fogliame, illuminando il tessuto ruvido del suo mantello nero e facendo rilucere in contrasto la cascata di capelli biondi che scivolava sotto al cappuccio. L'elfo non riusciva a smettere di guardarsi attorno, colpito dalla vista, mentre un solo pensiero si faceva strada nella sua mente accanto allo stupore. 
Padre.

Thranduil era immerso nella tranquillità di una piccola stanza ricavata dalla grigia pietra scavata. Seduto tra vari cuscini d'oro e d'argento, aveva lasciato andare ogni apparenza. La stanchezza si faceva sentire -le parole dei generali gli echeggiavano ancora in mente, dipingendo un quadro piuttosto difficile. Non aveva dubbi che le truppe se la sarebbero cavata -il problema era riuscire a limitare le perdite. L'ultima cosa che voleva era sacrificare vite inutilmente. 
Thranduil si stava massaggiando la fronte, gli occhi chiusi, la schiena appoggiata alla parete da dove riusciva a vedere, tramite la spaccatura nella roccia, i giardini molti piedi più in basso. Sentì dei passi echeggiare fuori dal corridoio e sospirò, cercando di scacciare ogni malessere e gettando un'occhiata all'entrata -rimanendo di stucco.
Legolas era in piedi sotto all'arco di roccia decorato da preziose incisioni; i suoi duri occhi azzurri lo fissavano implacabili. 
Era uguale a quando se n'era andato, ma qualcosa nei suoi lineamenti era cambiato. 
Thranduil ricordava i vestiti che il figlio indossava quando si erano separati, nelle conche della montagna, immersi nel silenzio del lutto. Ricordava la morsa che gli aveva stretto la gola e il petto in una stretta agonizzante, ricordava il dolore che aveva provato nel porgere l'ultimo saluto, nel vedere la schiena del figlio allontanarsi da lui verso la luce del cielo annebbiato dai fumi, nel sussurrare quelle ultime parole. 
Quando Legolas aveva esitato, per un secondo, un mero istante, Thranduil aveva sperato che sarebbe tornato indietro. A quelle parole, l'irrazionale, irresistibile impulso di correre verso di lui, di afferrarlo, di stringerlo tra le braccia l'aveva quasi spinto a tirarlo indietro, a tirarlo a sé. 
Ma Legolas si era mosso. Aveva fatto un passo, poi due, tre, finché Thranduil si era ritrovato a fissare la roccia con gli occhi annebbiati da lacrime amare, dalla consapevolezza che per il momento aveva perso suo figlio, e che la vittoria non significava niente a confronto. 
Ricordava l'espressione combattuta sui suoi dolci lineamenti -l'incertezza, il timore, ma anche la decisione nel prendere un'altra strada, nel fare ciò che si era negato fino ad allora, perché finalmente era arrivato il momento di provare qualcosa a se stesso, e non più a suo padre. Thranduil ricordava la scintilla di rimorso che aveva scorto nei suoi occhi color del cielo mentre gli diceva di doversene andare. 
Ma in quel momento tutto ciò che poteva vedere nelle iridi cerulee del figlio era solo cautela.
Fu quella stessa cautela a graffiare prepotentemente il suo cuore. Un dolore acuto al petto risvegliò Thranduil dai suoi pensieri, mentre si alzava, lo sguardo incantato fisso su quella figura finalmente così vicina, eppure ancora così lontana. 
Me lo merito. 
Legolas indossava abiti da viaggio dalle tinte scure. La casacca color muschio era visibile sotto alla stoffa del mantello. Sulla schiena portava arco e faretra, come sempre aveva fatto. Ma al suo fianco Thranduil intravide la sagoma di un pugnale che non conosceva. I suoi capelli biondi erano raccolti in modo diverso a quello che era abituato a vedere; alcune ciocche cadevano ai lati del suo volto, meno trecce impedivano ai capelli di cadere davanti al suo viso. 
Padre
Persino la sua voce fece male
Thranduil si avvicinò, lasciando cadere a terra il mantello che gli copriva le spalle, attento ad osservare ogni minimo movimento del figlio mentre a passi misurati andava nella sua direzione. Eppure ciò che vide fu il nulla, in quegli occhi azzurri. 
Legolas aveva finalmente imparato a nascondere i sentimenti dietro a uno specchio di ghiaccio, come Thranduil gli aveva sempre ricordato di fare. Il principe non poteva rivelare ciò che pensava, non poteva far capire di essere arrabbiato, o triste, o felice. 
E ora i ruoli si erano invertiti: le iridi un tempo calde e focose erano diventate una barriera di freddezza. Gli occhi un tempo glaciali di Thranduil, invece, ora facevano trapelare ogni goccia di emozione. 
- Legolas – mormorò. Per un secondo il re degli elfi esitò -Legolas era dritto come un fuso, ancora immobile, il suo sguardo intento ad analizzare il viso addolcito dalla sorpresa e dalla violenta felicità di suo padre. 
Poi Thranduil fece qualcosa che solo qualche anno prima non avrebbe mai pensato di fare.
Eliminò ogni briciolo di distanza, avvolgendo bruscamente le braccia attorno alla schiena del figlio, pressando le mani sul suo dorso per spingerlo contro di sé, per sentire il calore del suo corpo finalmente contro al proprio. Thranduil appoggiò la guancia alla testa di Legolas, che era diventato un frammento di ghiaccio, colto dalla sorpresa. Con gli occhi sgranati che rivelavano la meraviglia che lo stava scuotendo da capo a piedi, Legolas per un secondo rimase fermo, rigido tra le braccia del padre, il volto mezzo seppellito nella sua spalla. Il suo cuore lo tradì: Thranduil poteva sentirne distintamente il battito accelerato tramite gli strati di vestiti che li separavano, mentre suo figlio percepiva la sua mano delicata accarezzare come un soffio di brezza i suoi capelli d'oro colato, andare a posarsi sulla sua nuca. Per un istante, Thranduil dovette chiudere gli occhi per scacciare la violenta commozione che l'aveva catturato.
Riuscì a stento a contenerla quando sentì le braccia di Legolas posarsi cautamente ai suoi fianchi, le sue mani aprirsi indecise sulla parte bassa della sua schiena. Suo figlio appoggiò lentamente la fronte nell'incavo del suo collo, e stavolta fu il respiro di Thranduil a tradirlo. Legolas avvertì il suo sospiro spezzato accarezzagli la tempia, mentre quel gesto li riportava entrambi nel passato -quando da bambino appoggiava il volto al collo di suo padre, e rimaneva lì, addormentandosi col calore della sua pelle, il suo piccolo corpo rannicchiato contro al suo, enorme. 
In un baleno, tutto ciò che Legolas si era immaginato -le parole dette, le frasi sottintese, i gesti duri, i sentimenti repressi che aveva anticipato nella sua mente durante il viaggio per prepararsi a quell'incontro, tutto scomparve.
Rimase solamente lì, tremante tra le braccia di suo padre, aggrappato a lui come mille volte aveva fatto da bambino e come mai avrebbe pensato fare di nuovo. 
Mi sei mancato – il sussurro lo colse impreparato, ed entrambi percepirono il brivido che gli scosse la schiena. Thranduil trattenne un sorriso intenerito. 
Infine, lo sciolse dall'abbraccio. Quando fu in grado di rivedere il volto di suo figlio, notò un lieve colore rosato sulle sue guance. E anche che la barriera di ghiaccio si era sciolta, permettendogli di intravedere l'intensa emozione che trapelava dalle sue iridi azzurre. 
Thranduil non si sarebbe mai aspettato la sua risposta. 
Anche tu, papà.

Asinna stava premendo le mani sui grumi di terra, cercando di romperli e spargere il terriccio umido in modo uniforme sulle radici della pianta che aveva appena sistemato nel terreno. Un ricciolo le scivolò davanti agli occhi e sbuffò, irritata, ma prima che la sua mano sporca potesse afferrarlo altre dita, più lunghe ed eleganti, lo sistemarono dietro al suo orecchio. La donna trasalì, girandosi di scatto -si era spaventata, nonostante avesse già riconosciuto chi fosse dalla marea di anelli scintillanti. Ad accogliere il suo sguardo sorpreso trovò un accecante sorriso e due occhi color argento. 
- Mi spaventi – mormorò, e Thranduil osservò il volto arrossato, le labbra segnate dai denti, torturate mentre le piante si rifiutavano di collaborare. 
- Sono uno spettacolo così poco piacevole per gli occhi?
Asinna abbozzò un sorrisetto, sbuffando, mentre si sedeva definitivamente per terra, mentre lui rimaneva accucciato davanti a lei, le braccia elegantemente posate sulle ginocchia coperte dalla stoffa della tunica intarsiata di sete preziose. 
- Ovviamente. 
Thranduil aggrottò le sopracciglia, incupendosi. 
- Dovrai pagare per questo insulto alla mia persona. 
- E come? – lo canzonò Asinna, guardandosi attorno. Erano in una stanza ricavata dalla pietra dove l'aria era umida e intrisa dell'odore di vita, uno spettacolo di colori e piante a beare i loro occhi. Persino dal soffitto piccole radici e fusti colorati si intrecciavano creando ragnatele verdi e marroni. Quel luogo era stato abbandonato dai guaritori di Thranduil perché preferivano andare a cercare le erbe nella foresta, e a lungo era stato dimenticato. Solo il re ne aveva conservato la memoria, e l'aveva mostrato ad Asinna, consapevole che grazie alle sue cuore la vita sarebbe rifiorita in modo ancora più splendente. E aveva ragione. Era passato solo qualche mese ma il numero di fiori e foglie era raddoppiato, così come i dolci profumi che decoravano l'aria. 
Thranduil le afferrò il volto, posando una mano sulla sua guancia e obbligandola a girarsi verso di lui. Non lasciò che la sorpresa si fermasse troppo sul suo viso; facendo scorrere la mano sul suo collo, fino ad afferrarle la nuca, il re si avvicinò e catturò le sue labbra, sorridendo vittorioso nel sentirla immediatamente abbandonarsi a quel contatto. Asinna si aggrappò alle sue spalle, cercando di evitare di toccarlo con le mani per non macchiare le sue vesti, mentre l'elfo la imprigionava in quel bacio, giocando con lei. Ogni volta che la donna cercava un contatto più profondo l'elfo si ritraeva immediatamente, lasciandosi sfuggire un sospiro roco che le accarezzava il viso, per poi tornare immediatamente a sfiorare delicatamente le sue labbra, lasciando un piccolo morso feroce a contrastare con la dolcezza con cui le sue dita premevano sulla sua pelle. Solo quando lei emise un lamento indignato, Thranduil ridacchiò e finalmente lasciò che trovasse quello che stava cercando così disperatamente. Sfiorando la sua lingua con la propria, Thranduil approfondì il bacio e arrivò a morderle delicatamente la gola dopo aver lasciato una scia bollente di lievi tocchi, dalle labbra all'incavo del collo. 
- Così – mormorò, e la sentì rabbrividire sotto di sé, mentre una mano della donna si stringeva al suo fianco. 
- Terribile – si lamentò con voce tremante lei, mentre l'elfo ghignava e fulmineo mordeva di nuovo il suo labbro, stavolta con tale forza da farla sussultare. Con un gesto rapido la afferrò e la mise seduta su di sé. Asinna sgranò gli occhi e lui si beò della confusione e del panico nelle sue iridi verdi, mentre lasciava scorrere le mani lungo le sue gambe, tracciando delicatamente il profilo delle cosce fino ad esitare prima di stringerle con forza la parte bassa della sua schiena. 
Il volto della donna diventò di un rosso intenso, così come il suo collo, facendolo sorridere. Il modo in cui la sua pelle cambiava colore così velocemente era davvero adorabile. 
- Thranduil! – esclamò lei, aggrappandosi alle sue spalle. L'elfo si limitò a guardarla, una scintilla maliziosa nelle iridi così come nel sorriso ironico che aleggiava sul suo volto.
- Asinna – il mormorio uscì dalle sue labbra di qualche tono più basso del solito, roco. Thranduil sentiva il battito forsennato del cuore di lei, il modo in cui il suo intero corpo era in tensione tra le sue braccia, in cui un leggero tremore rivelava la sua apprensione. Non l'aveva mai toccata in modo così esplicito, e probabilmente lei aveva pensato che essendo una creatura antica non provasse più certi desideri. Ma si sbagliava. Si era solo trattenuto, come aveva sempre fatto nei lunghi secoli dove la luce della luna era stata la sua sola compagna. 
Si avvicinò lentamente, posando un lento bacio sull'incavo della sua spalla, affondando le dita nei suoi fianchi morbidi. Sentì Asinna rabbrividire e sibilò sorpreso quando lei gli afferrò la nuca con forza, aggrappandosi alle sue spalle e inevitabilmente spingendo certe parti del suo corpo contro di lui. Thranduil per un secondo dovette farsi violenza per non rotolare a terra, spingerla sotto di sé e dare inizio a tutto. Chiuse gli occhi, trattenendo il respiro per non sentire il gelsomino e la vaniglia, cercando di ignorare il modo in cui i fianchi di lei si erano spinti contro la sua cinta e avevano risvegliato un fuoco nel suo ventre che credeva assopito da secoli. 
Non si rese conto di aver emesso un gemito se non quando si trovò davanti il sorriso vittorioso di lei e un secondo movimento gli fece accelerare all'impazzata il battito del cuore, torturandolo senza alcuna briciola di pietà. Il re si ritrovò a boccheggiare, le guance colte da una vampata di calore mentre Asinna lo obbligava a distendersi sotto di sé, afferrando i suoi polsi e inchiodandolo a terra. I suoi capelli caddero come una cascata attorno a loro e Thranduil si morse a sangue il labbro pur di non emettere altri suoni, fissando spudoratamente quelle iridi maliziose mentre sentiva il sangue bruciargli nelle vene. 
- Mai avrei pensato di essere sottomesso da una donna – le sue iridi lampeggiarono mentre Asinna scoppiava a ridere, ignorando il suo drammatico sbuffo contrariato. Thranduil nascose un sorriso mentre lei posava la testa nell'incavo del suo collo, facendo scorrere lentamente le mani lungo le stoffe preziose che gli ricoprivano le braccia in una dolce carezza, fino ad aggrapparsi alle sue spalle. L'elfo la cinse in un abbraccio, rallentando il respiro e fissando le iridi nebulose sul soffitto, immergendosi nei suoi pensieri. 
Rimasero immobili a lungo, mentre il profumo dolciastro di terra e di fiori li cullava in un silenzio pieno di dolcezza. 
- Legolas è arrivato – Thranduil percepì il brivido che la scosse, e accarezzò con dita lievi l'incavo della sua schiena. Sentiva il battito accelerato del suo cuore riverberare sul suo stesso petto, mentre il suo respiro agitato gli accarezzava il collo. Asinna strinse la presa sulla sua spalla e aspettò, senza scorgere lo scintillio di lacrime nascosto nell'argento delle sue iridi. 
- Mio figlio è a casa – la voce si spezzò e Thranduil si ritrovò avvolto dalle sue braccia dolci. Affondò il viso nel suo collo, negandole la vista di quelle lacrime di sollievo e dolore, ma Asinna sapeva. Sapeva tutto. E posò un bacio sulla fronte del re, mentre le sue braccia si serravano disperate attorno al suo corpo fragile -e lasciò che la stringessero fino a spezzarle il fiato, mentre Thranduil trovava finalmente il porto sicuro dove poter lasciare sfogare quella marea di emozioni.

L'atmosfera era cambiata. Legolas era sempre più curioso e sempre più perplesso. Aveva notato le occhiate sfuggenti degli elfi a palazzo, i loro sorrisi genuini che celavano un'ombra di preoccupazione. I loro occhi non si posavano mai in quelli del principe; Legolas percepiva la loro gioia nel riaverlo lì, ma sentiva anche che qualcosa era successo, qualcosa che si sarebbe presto rivelato -e che loro non azzardavano ad accennargli. 
Lindir era stata la prima persona da cui si era recato, dopo aver osservato la scia argentata del mantello di suo padre svanire lungo i corridoi. Con la testa leggera come dopo troppi bicchieri di vino e uno strano groppo in gola, Legolas si era lasciato andare contro la parete, mentre il suo cuore batteva forte nel petto. Aveva scacciato le lacrime che infine erano arrivate a tracciare due brevi scie salate sulle guance, sospirando a fondo per calmare la commozione che gli stringeva la gola. 
Padre
L'aria era pervasa di parole non dette, di emozioni ruvide e dolci. Ma non era ancora il momento di rivelarle, di lasciarle andare. O almeno così aveva pensato, mentre una parte di lui gli urlava invece di correre dietro a quella figura così amata e così rimpianta, di afferrare il lembo della sua manica come quando era piccolo -e di stringerlo a sé, e piangere, e urlare. 
Ma Legolas non era più un bambino. Non poteva farlo. 
Perciò i suoi lineamenti si erano induriti, la sua schiena raddrizzata, e a passi sicuri e leggeri si era recato lì dove anche da piccolo era solito rifugiarsi -Lindir, il suo fedele amico, quella figura che gli era stata sempre accanto anche quando suo padre si alienava da lui. 
Nemmeno Lindir aveva voluto rivelargli cosa fosse cambiato, però- con un cenno del capo aveva semplicemente annuito e sorriso mentre Legolas gli raccontava come aveva percepito di nuovo la vita nella foresta. Non si era sbilanciato, in nessun commento; e il principe sapeva che il più fidato consigliere del re non avrebbe ceduto a nessuna pressione, perciò non aveva tentato nemmeno di fare domande sull'argomento. C'era un motivo se Lindir era rimasto accanto del sovrano per secoli. 
Così Legolas si era ritrovato infine al banchetto proclamato quel giorno stesso da suo padre -lo scintillio dei calici, il dolce sgorgare dei vini profumati, il lieve mormorio gioioso rendevano l'atmosfera elettrizzante. La felicità era nell'aria -il principe era a casa. 
Lui stesso era felice. Sebbene non avesse toccato un bicchiere la sua testa era leggera, per la prima volta priva delle apprensioni che l'avevano tormentato nel lungo viaggio. La vista delle caverne scintillanti, delle fiaccole luminose, delle stoffe morbide e splendenti, dei volti che nonostante gli anni erano ancora ugualmente cari e sorridenti -tutto ciò era come un balsamo che aveva sciolto ogni traccia di inquietudine. 
Dopo mille sorrisi genuini e ancor più parole con gentili sconosciuti venuti a dargli il bentornato, Legolas era intento a parlare con Tauriel quando una delicata pressione alla coscia gli fece abbassare lo sguardo. I suoi occhi cristallini incrociarono due iridi verde giada perse nella meraviglia. 
Interdetto, un sorriso affiorò alle sue labbra mentre le manine della piccola elfa si aggrappavano al lembo della sua manica. 
Questa bambina è innamorata dei reali - udì Tauriel scherzare. 
Legolas voltò il palmo e prese le dita della piccola tra le proprie, accarezzandole il palmo con una lieve carezza. Si inginocchiò, sorridendo, cercando di ignorare il lieve imbarazzo -non era mai stato bravo con i bambini. Ma prima che potesse dire qualcosa, la piccola allungò l'altra mano e accarezzò una delle lunghe ciocche d'oro colato che riposavano sul suo petto, contrastando con la stoffa azzurra decorata da fili d'argento.
- Bentornato – la voce timida e delicata della bimba riempì il suo cuore di tenerezza. Legolas sorrise e chinò lentamente il capo, l'azzurro e il verde che si mischiavano in un unico dolce sguardo. 
- Ti ringrazio. 
- Legolas. 
La voce imperiosa gli fece voltare la testa. Trovò il re, a guardarlo -immenso e maestoso nelle vesti bianche, la tiara brillante a circondargli la fronte, gli occhi grigi rischiarati dall'inquietudine che vi aveva dimorato per secoli. Legolas sentì una stretta al cuore mentre le labbra rosate di suo padre si addolcivano in un accenno di sorriso e le sue iridi si posavano sulla piccola dai capelli corvini. 
- Vieni con me. 
- Sì, padre. 
Legolas si rialzò, percependo l'improvvisa mancanza della piccola mano posata nella propria. Ma prima che potesse avvicinarsi a Thranduil, il re avanzò solenne di qualche passo. Il principe rimase quasi a bocca aperta quando la mano ingioiellata di suo padre accarezzò lievemente la guancia rosata della piccola, e i suoi occhi scintillarono mentre le rivolgeva un sorriso, e per la prima volta da secoli piccole, quasi invisibili linee apparivano ai lati dei suoi occhi -era un sorriso genuino, ampio, come da secoli non si era visto. Legolas percepì il cambiamento nell'atmosfera -la gioia si propagò ad onde attorno a loro, mentre un lieve mormorio accarezzava le sue orecchie. Tutta la corte aveva visto quell'effimero momento, quando, per la prima volta da centinaia d'anni, il re si era lasciato andare a quel breve gesto di affetto. Thranduil si rialzò e posò lo sguardo su suo figlio, rimasto a fissarlo ad occhi sgranati, l'emozione che gli stringeva la gola.
Tutto è cambiato, pensò il principe -e i suoi occhi adesso brillavano per le lacrime di commozione. Tutto è cambiato, e mio padre è di nuovo se stesso.

Thranduil lo condusse nei giardini, nel piccolo chiostro dove Legolas era solito trovarlo da piccolo a respirare il dolce profumo dei fiori dopo un'interminabile giornata. O dove Legolas si rifugiava nelle notti tormentate dagli incubi, e mentre la luna dipingeva i suoi capelli di sfumature lucenti si rannicchiava piangente –lì dove Thranduil lo cullava con una melodia struggente per scacciare via le ombre che infestavano i suoi sogni, lì dove il piccolo Legolas si addormentava al ritmo del battito del cuore del sovrano, aggrappato alle sue spalle, avvolto dal suo profumo di casa.
Thranduil si fermò davanti a lui, alzando lievemente il mento verso la spaccatura nella roccia che lasciava intravedere il luccichio delle stelle. Dei soffici passi incerti precedettero il lieve tocco insicuro sulla sua spalla -e la voce morbida di suo figlio.
- Padre. 
Thranduil abbassò il mento, le iridi argentee sofferme sui gigli delicati che decoravano gli intrecci verdi. 
- Mi sei mancato – una crepa si aprì nel petto di Legolas, il respiro gli si spezzò -ad occhi sgranati, le labbra socchiuse, incrociò lo sguardo malinconico di suo padre, mentre Thranduil si voltava e osservava la sorpresa sul suo volto con rimpianto. 
- Non dovresti avere quell'espressione sul viso nel sentire queste parole – le lacrime affiorarono ai suoi occhi cerulei, mentre le lunghe ed eleganti dita di Thranduil si sollevavano ad accarezzare lievi la sua guancia, disperdendo una goccia salata caduta senza controllo. 
- Padre – Thranduil si lasciò sfuggire un respiro sorpreso mentre in un istante Legolas lasciava andare ogni briciola controllo -e si rannicchiava contro di lui, la testa nell'incavo del suo collo, le braccia attorno al suo torace, rimpicciolendosi come a voler ritornare della stessa taglia di quando era bambino per far sì che le braccia di suo padre riuscissero ad avvolgerlo in una dolce culla, non più semplicemente posate sulle sue spalle. Thranduil posò una mano sulla sua testa, avvolgendo con l'altro braccio la vita di suo figlio, il groppo in gola che non accennava ad andarsene. Si morse il labbro, mentre il battito forte del cuore del suo bambino riverberava nel suo stesso petto. 
- Perdonami – fu ciò che riuscì a mormorare, la voce spezzata. Incurante del tremolio, strinse ancora più forte a sé quel corpo che aveva desiderato di riavere tra le braccia così a lungo, e che ora finalmente era lì, rannicchiato di lui – perdonami per tutto ciò che ho fatto. Avevi ragione. 
Legolas rimase immobile sul suo petto, mentre i suoi respiri profondi accarezzavano la pelle del sovrano -mentre inalava il profumo di casa e il dolore scivolava via. 
- Padre, cosa è successo? 
Thranduil sorrise lievemente, accarezzando con dolcezza i suoi capelli, sfiorando la sua fronte con un bacio delicato. Legolas non voleva lasciarlo andare, ma si costrinse ad allontanarsi, sfregando via le tracce di lacrime con l'avambraccio, arrossando la pelle delle guance. Suo padre sorrise intenerito a quel gesto mentre la sua mente sovrapponeva a quel Legolas adulto l'immagine del piccolo elfo che si rimetteva in piedi asciugandosi le lacrime, dopo esser caduto dal salice rigoglioso che aveva cercato di scalare. 
- La tua cicatrice... - il tono di Legolas era incerto -come se avesse paura che si arrabbiasse a quella domanda. Le dita di Thranduil accarezzarono lievemente la linea quasi invisibile che era rimasta a solcargli il sopracciglio dall'attacco di tanti anni prima -l'attacco che aveva dato inizio a tutto.
- Sono successe molte cose durante la tua assenza. Per questo vorrei che tu ascoltassi, tutto. 
Il giovane elfo annuì, lo sguardo fisso su quello del padre, vacuo al silenzio esitante di Thranduil. Il re prese un lieve respiro e girò la testa, e fu allora che Legolas si rese conto di una terza presenza – una presenza timida che era rimasta nascosta all'ombra del grande salice. 
La figura emerse dall'oscurità e Legolas aggrottò le sopracciglia, stupito. 
Era una donna bassa, dalle forme morbide e dagli occhi di un verde brillante -dal lato sinistro del volto attraversato da una lunga cicatrice ormai guarita. 
Anche se visibilmente tesa, la donna si piegò lievemente in avanti in un inchino e i lunghi ricci scivolarono davanti al suo viso, e quando parlò la sua voce era chiara e tranquilla.
- Il mio nome è Asinna, principe Legolas.

Il racconto era statolungo. Asinna aveva impiegato circa un'ora per raccontare tutto, dall'inizioalla fine -Legolas era rimasto stupito dalla precisione con cui avevaintrecciato le trame della storia, dal modo in cui la voce aveva tremato ma nonsi era mai fermata, nemmeno nel momento in cui aveva rivelato le parti piùdolorose della loro storia. Il cuore di Legolas era ribollito di rabbia, di sorpresa,di compassione -il tutto mentre i suoi occhi vagavano dal volto composto delladonna a quello impassibile del padre, senza perdere la lieve ombra di dolcezzache compariva nei suoi occhi argentei quando le sue iridi si posavano sulladonna minuta, seduta al suo fianco sulle radici del salice. 
Thranduil aveva preso la parola alla fine, aggiungendo qualche dettaglio più macabro,ma Legolas aveva già capito tutto quello che c'era da capire da tempo -fin daquando Asinna era apparsa e il volto di suo padre si era illuminato in un modo chenon aveva visto da secoli. Fin da quando sua madre era in vita.
Quando calò il silenzio, Legolas abbassò gli occhi sulle proprie mani, un lievesorriso sulle labbra. Sentiva i loro sguardi scrutare ogni suamicroespressione, ogni dettaglio del suo volto. Asinna era visibilmente tesa,le mani strette a pugno sul grembo e le dita avvolte attorno all'anello dallagemma color acquamarina che Legolas aveva donato a suo padre decine di anniprima. 
- La foresta sta tornando in vita – sussurrò, e alzò gli occhi sul volto dilei, il dolce azzurro limpido e pieno di gratitudine. Legolas allungò una mano eAsinna trasalì quando le sue dita si avvolsero alla sua mano fredda,sciogliendo la presa nervosa attorno all'anello. Era un tocco caldo, più cautorispetto a quello del padre -Asinna sentì le lacrime affiorare agli occhimentre Legolas chinava la fronte e le rivolgeva un sorriso luminoso.
- La foresta sta guarendo, ed è anche merito tuo. Sei stata il momento giusto cheha permesso a mio padre di trovare la forza di tornare alla vita. E per questonon ti ringrazierò mai abbastanza. 
Asinna sorrise, il verde delle iridi scintillante di gratitudine. Con unsospiro tremante, distolse lo sguardo da Legolas e incontrò quello dolce e grigiodel sovrano. Con un tocco gentile asciugò la traccia di una lacrima che eracaduta sulla sua pelle pallida e prese la sua mano, posandola sulla propria ancoraintrecciata a quella di Legolas. 
- Sarò per sempre il suo momento giusto. E sarò anche il tuo, se me lopermetterai.
Il principe sorrise dolcemente. 
- Non chiedo altro. 

 

 

 

 

 

angolino
ecco la fine, questa volta per davvero. 
avevo deciso di scrivere un epilogo, ma vi chiedo scusa se ho impiegato mesi -è stato un periodo complicato per tutti, spero solo che stiate bene, sia fisicamente che psicologicamente. se non è così, spero che possiate trovare un po' di serenità e di forza nella fine di questa storia -o nel rileggerla. asinna e thranduil saranno sempre qui, ad accogliervi a braccia spalancate, quando ne avrete bisogno. 
ringrazio davvero dal profondo del cuore chiunque abbia partecipato a questa storia -leggendo, commentando, mettendo delle stelline, parlandone ad amici, scrivendomi -grazie per tutto l'amore che avete dedicato alle mie parole, è ciò che mi spinge ad andare avanti. mi sono allontanata dalla scrittura in questi mesi, ma è una mancanza che non sono più disposta ad accettare -spero di ritrovarvi, se in futuro tornerò a scrivere di questi personaggi. 
grazie davvero di cuore. 
spero che questo epilogo vi sia piaciuto -spero che l'ultima impressione che avrete di questa storia sia positiva. e spero che, anche per quest'ultima volta, mi direte che ne pensate: è un addio dolceamaro e le vostre parole mi aiuterebbero a mettere la parola fine con un po' più di serenità. 
se volete seguirmi sui social, vi lascio qui i miei contatti (nell'ultimo periodo mi sono rifugiata nella musica dei bts, che mi ha aiutata ad ad andare avanti nonostante tutto, perciò parlo e scrivo prevalentemente su questo; mi farebbe comunque piacere trovarvi anche lì)
twt: jiminsstarss (personale) o thetruthmon (account dove pubblicherò le mie fic); 
ao3: jiminsstarss
wattpad: AnnaWandererLove 
Alla prossima, 
Anna.

 

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