A winter's memories

di summers001
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Winter memories

 


La sentiva, la sentiva continuamente. Lo incantava, lo ammaliava come una sirena. Faceva lunghi discorsi, cercava di convincerlo a rimanere lì con lei.

"Io non vado da nessuna parte." avrebbe voluto risponderle, ma gli veniva fuori solo un borbottio incastrato tra le labbra, mal prounciato ed incomprensibile, più simile ad un rantolo. Non riusciva a dare forma alla sua voce.

Lei gli parlava in mezzo ad un mare di vuoto, completamente nero, dove non riusciva neanche a guardarsi il palmo della mano. Dubitava persino di avercelo quel palmo.

"Jaime!" si sentiva chiamare. "Torna da me." supplicava la donna con voce angelica "Ho bisogno di te qui, adesso." Aggiungeva disperata con maggiore decisione.

"Chi sei?" chiese lui, ma di nuovo la sua voce era impastata, così tanto che neanche lui capì cosa aveva detto.

Poi un giorno la vide, o meglio vide una donna: aveva lunghi riccioli biondi che le coprivano i seni, gli occhi azzurri, le guance punteggiate di lentiggini, la pelle dorata baciata dal sole. Era alta, molto alta, con le gambe slanciate ed il ventre morbido come quello di una madre, proprio sotto all'ombelico dove la pelle aveva ceduto ed aveva lasciata spazio alle cicatrici che vengono fuori per donare la vita. Timida e quasi imbarazzata, si copriva con due dita accartocciate la punta delle labbra. Era fantastica. Jaime aspettò che parlasse, per capire se fosse lei la sirena che lo chiamava in quelle tenebre.
"Sei tu?" le chiese e per la prima volta le parole gli uscirono chiare e decise.

Quella fece sì con la testa e poi piano piano allungò la mano. "Torna da me." chiese la ninfa di nuovo. Il sorriso era scomparso e gli occhi erano lucidi, grandi occhi azzurri che gli ricordavano il mare d'estate.

"Non piangere." la pregò Jaime. Le prese la mano e cominciò ad accarezzarle le nocche. La sua pelle era screpolata in quel punto, ma le dita erano affusolate e morbide. Quel dettaglio gliela fece sentire così reale. Sentì solo allora di nuovo la presenza del proprio corpo, aveva due mani che accarezzavano quella donna, un corpo che la abbracciava e le labbra che la baciavano. La baciò piano, prima sfiorandole solo la bocca, poi bloccandola nella sua. La donna sorrideva mentre lo baciava e Jaime ripensò ad una frase che aveva sentito una volta, anche se non ricorava bene dove: ama chi ti sorride mentre ti bacia.

Il suo cuore perse un battito e poi riprese a correre all'impazzata. Si sorprese di averne uno e di non riuscire a tenerlo a bada. La sola vista della sua ninfa gli provocava un'emozione indescrivibile. Lei era dolce, dolcissima. Docile, arrendevole ed innamorata. La sentì sciogliersi sotto il suo tocco, come se fosse dotato di poteri magici. Quando Jaime riaprì gli occhi, la sua ninfa aveva la pelle accesa dall'emozione. Le accarezzò una guancia colpito da quel profondo sentimento che lei sentiva per lui.
"Tornerò." le sussurrò.

La donna piegò il capo, chiuse gli occhi e si godette l'ultimo istante di quella carezza. "Sono qui." bisbigliò. "Ti aspetto."

Jaime annuì e di colpo lei non c'era più.

 

***

 

"Jaime?" chiese una voce titubante e familiare. Era vicina, molto vicina, quasi gli stava sul collo. "Jaime?" fece di nuovo più allarmata in un crescendo d'ansia e stupore. "Jaime!" urlò un'ultima volta, colta dall'urgenza.

"Non urlare." cercò di lamentarsi lui.

"Tyrion! Dottori! Infermieri!" strepitò lei perché tutti giungessero al suo capezzale.

Jaime capì di trovarsi in un ospedale. Acuì l'udito e di colpo gli fu chiaro il suono del monitor appiccicato tramite tanti fili al suo petto, lo scalpiccio degli zoccoli del personale che correva a gran velocità verso di lui, le pale della ventola che girava sul soffitto. Poi fu investito da stimoli di qualunque genere.
Un uomo, un dottore forse, gli aprì un occhio e gli puntò una luce dritta in faccia, lo punse sulla punta delle dita di mani e piedi, gli diede un paio di pizzicotti per tenerlo sveglio. Qualcuno gli chiese come si chiamasse.

"Jaime." rispose lui e sentì allora anche un sapore amaro ed appiccicoso in bocca.

"Avanti Jaime, resta qui con noi." lo incitò sempre la stessa persona e Jaime pensava che doveva restare sveglio per cercare lei, quella donna, ma come avrebbe fatto a trovarla se non ne conosceva neanche il nome?

 

***

 

"Non sembra ricordare tutto alla perfezione."

"Cosa?" chiese Tyrion confuso "Neanche dell'incidente?"

Il dottore scosse solo la testa. Ci avevano provato in ogni modo, con qualunque tipo di domanda e sia Tyrion che Brienne lo sapevano. Avevano origliato e li avevano spiati dal vetro della stanza.

"Oh." bisbigliò comunque stupita Brienne, che in fondo al cuore sperava in un risultato diverso. Per paura che le cadesse tutto a terra, poggiò il vassoio coi due bicchieri di caffè caldo sul tavolino di fianco. Cercò di fare leva su tutte le forze che le rimanevano e si mise in ascolto concentrata.

"Tutto cosa? Un conto è dimenticarsi il latte in frigo ed un conto è non ricordarsi come si allacciano le scarpe." cercò di capire il nano.

"Non sa dove siamo," spiegò il medico mortificato, arrovellandosi le dita nelle tasche del camice bianco "chi l'ha portato qui, forse non ricorda neanche di voi due." azzardò.

No, era impossibile. Brienne rifiutava categoricamente di pensare che Jaime si fosse dimenticato di lei o persino del suo stesso fratello. Si girò verso Tyrion per studiarne la reazione e forse cercare un conforto.

"E' temporaneo?" chiedeva lui.

Il dottore guardò verso il basso e fece un sospiro, chiaramente in difficoltà. "Per ora non sappiamo dire."

"E quando lo saprete dire?" si intromise lei allora. Era l'incertezza a turbarla, il non sapere cosa sarebbe successo, come doversi preparare al peggio.

"Dateci qualche altro giorno." rispose il dottore assalito da quella donna mastodontica, alta anche più di lui.

Tyrion nel frattempo gettò un occhio nella stanza, dove vide Jaime faticare per mettere a fuoco il mondo che lo circondava, a disagio, in evidente difficoltà. Si congedò da quella stravagante coppia senza troppe cerimonie. Brienne continuava ad inveire chiedendo cosa dovesse fare e come dovesse comportarsi.
"Ci hai fatto morire di paura." disse al fratello non appena fu dentro. Nel suo letto Jaime sembrava il solito Jaime di sempre. La barba un po' scomposta, i capelli un po' sporchi, le lacrime appiccicate agli occhi, ma sempre lo stesso.

Jaime riusciva a distinguere i suoni, i rumori, la luce, il buio, la gente. Si girò, strinse le palpebre per guardare meglio: un uomo basso, nano, deforme, dalla barba incolta e gli occhi verdi lo guardava con sguardo severo. "Tyrion?" chiese.

"E chi altri?" gli rispose sorridendo, felice, incredulo. O forse neanche tanto. Forse in fondo in fondo lo sapeva che l'avrebbe riconosciuto.

"Dov'è lei?"

"Chi?" chiese Tyrion e si guardò indietro, cercando Brienne, sicuro che fosse lei la persona a cui si stesse riferendo. In fondo in fondo era felice anche per Brienne.

"Capelli lunghi, biondi..." cominciò a descrivere Jaime.

Tyrion guardò di nuovo Brienne stupito. Ci pensò pochi secondi e poi tornò verso suo fratello. "Cercei?" chiese, cercando di dare un senso a quelle farneticazioni. Che centrava Cercei?

"Cercei." ripetè Jaime a voce alta, assaporando quel nome sulle labbra. Era così che si chiamava allora la sua fata, la sua salvatrice.

La cosa successiva che Tyrion sentì furono un tonfo e poi un sonoro splash. Si guardò indietro e vide Brienne reggere una sola delle due tazze di caffè che prima stringeva tra le mani ed una macchia marrone allargarsi progressivamente sul pavimento e sui pantaloni della donna, che li guardava ad occhi aperti, spalancati, terrorizzata.

Cercei? Brienne aveva per caso sentito Cercei? La donna che aveva partorirto i figli di Jaime per poi negargliene la paternità. La donna che aveva continuato a tenerlo sulle spine, riempito di promesse, piani e progetti. La donna per cui lui aveva messo la sua vita in attesa, mentre lei andava avanti con la sua. La donna che l'aveva fatto soffrire per anni, che l'aveva isolato dal mondo e trattenuto senza avere mai il coraggio di permettergli una vita lontano dal suo sguardo. Cercei, quella Cercei.
Brienne scappò fuori e crollò pochi passi più lontano, ma prima ancora di arrivare alle panchine su cui per diversi giorni aveva dormito. Anche l'altro bicchiere di caffè bollente andò a terra giù con lei, fino ad inzupparle i jeans e parte del piumino blu che assunse un colore più scuro e meno acceso. Nei giorni a seguire l'odore di caffè l'avrebbe perseguitata.
"Cercei?" chiese Brienne tra le lacrime quando Tyrion gli fu di fronte.

Quello provò a consolarla, metterle una mano sulla spalla, aiutarla a superare quel nuovo trauma, meno drammatico ma più nostalgico di quello appena scampato. "Non so che dire." confessò alla fine ed aspettò un suo cenno, sperando in un'illuminazione fulminea che gli desse l'incipit per meglio cominciare quella conversazione.

Brienne si limitò a scrollare il capo e piangere senza ritegno e pudore, persi entrambi davanti a quello stronzo di Jaime Lannister: tutto quello che c'era stato, svanito nel nulla; tutto l'amore che le aveva dato, perso; tutte le cose che gli aveva detto, come se non fossero mai successe. Eppure doveva essere contenta: Jaime era vivo, Jaime era vivo e vegeto e chiedeva di Cercei, Jaime era vivo e vegeto e voleva di nuovo un'altra donna. Fu come ripiombare nel limbo degli anni precedenti, fu come sentirsi marginale nella vita di una una persona che era diventata protagonista della propria. Jaime aveva chiesto di Cercei e non di lei, come se non ci fosse neanche stata, come se non si fosse neanche ricordato della sua presenza. Non aveva chiesto di lei nonostante l'avesse chiamato continuamente mentre aveva gli occhi chiusi, nonostante gli avesse raccontato tutto quello che gli succedeva attorno e l'avesse supplicato di tornare quando i dottori le avevano detto che le speranze stavano scemando. Non si ricordava di lei, ne era certa. Fu come aver perso un amico ed un compagno, il complice di vita.
Eppure è vivo, si continuava a ripetere mentre Tyrion le continuava a schiaffeggiare timidamente una spalla. Eppure respira, è sveglio, sta bene, hai sentito i dottori. Piano piano le lacrime lasciarono spazio ai singhiozzi e quando pure quelli si furono esauriti a più niente.

"Va' da lui." la incoraggiò Tyrion a quel punto. Nonostante la lunga amicizia di Jaime e Brienne e poi la loro recente storia, Tyrion non conosceva bene Brienne. Aveva imparato a farlo ed era diventato avvezzo a dei brevi contatti durante l'ultima settimana, quando in pratica avevano convissuto in ospedale attorno al letto di suo fratello.

Brienne lo guardò spaventata, ancora seduta in quella pozza di caffé. Lo supplicava con gli occhi di accompagnarla, mentre quelli si riempivano di lacrime, sciogliendosi e facendoglieli apparire quasi trasparenti.

Tyrion fece segno di sì col capo ed aspettò. "Quando sei pronta." disse, ma prima che lui potesse finire Brienne era già in piedi.

Si asciugava le guance con il dorso di una mano da un lato e con il palmo dall'altra. Riprese contegno, tirò su col naso e poi si avviò verso la stanza di degenza cercando di non scivolare. Si guardò indietro quando non sentì i passi di Tyrion seguirla. Quello si scosse e poi la raggiunse. Si recarono insieme a letto del povero smemorato. Una volta dentro Brienne lo studiava ad occhi bassi, timorosa di quello che avrebbe potuto dirle.

"Fratello," lo chiamò Tyrion, sperando di contagiargli almeno un po' di quel finto buon umore che aveva nella voce, oppure sperando che capisse e che anche se non ricordasse gli reggesse il gioco. "guarda un po' chi è venuto a trovarti, ti ricordi di lei?" fece, indicandogli Brienne che gli stava davanti e che col suo timore ed il suo imbarazzo occupava tutta la stanza.

Jaime la guardò sforzandosi di ricordare. La donna era alta, robusta. I capelli le solleticavano appena il collo in una spettinata e sporca struttura color paglierino. Il suo viso era bianco in tutti i sensi: le sopracciglia quasi scomparivano su quella pelle diafana; le occhiaie scure e le palpebre gonfie le mettevano in risalto le pupille azzurre così limpide da imitare il colore dell'acqua. Era esausta, aveva pianto, doveva aver sofferto molto e di questo Jaime si dispiaceva.

"Brienne." fece lei, levandolo dall'imbarazzo.

Jaime era sicuro di ricordare qualcosa. Vederla in quello stato, sfatta, distrutta, scombinata e coi vestiti macchiati gli fece provare l'impulso di uscirsene con una battuta pungente. "Ti sei fatta un giro in una fogna?" disse e nel farlo si sentì forte ed un perfetto imbecille insieme. Era normale e riprorevole, voleva rincarare la dose e chiedere scusa in ginocchio.

Brienne alzò gli occhi stupefatta. Per qualche secondo sembrò fatta di pietra, con gli occhi spalancati e la bocca aperta a disegnare una O. Era il Jaime disfatto a parlare, quello avvelenato da Cercei o da forse tutte quelle medicine. Lo riconosceva come in un ricordo lontano.

"Il tuo cos'è?" fece Brienne una volta essersi ripresa "Essenza di rose?" aggiunse in tono monotono e studiato, freddo o quasi vuoto. Provò l'impulso di andarsene. Si voltò indietro, aprì la porta e rimase appesa alla maniglia stringendo gli occhi a tentare di contenere qualsiasi emozione.

"No." Esordì all'improvviso Jaime, allarmato o quasi spaventato.

Tyrion e Brienne si voltarono entrambi lesti verso di lui, gettando un occhio subito, ormai abituati, al campanello che avrebbe fatto correre dentro dottori ed infermieri.

Jaime si ritrovò frastornato e disorientato di fronte alla loro reazione, davanti a loro che lo guardavano come un pover uomo che sta per morire. "Non te ne andare." aggiunse automaticamente alla fine. Poi con voce incerta continuò "Sono stato uno stronzo," ammise "scusa." e provò una stretta al cuore, un calore familiare.

Tyrion guardò l'ultima scena commosso, pensando tra sé e sé che non si dimentica l'amore.

Brienne invece, che non dormiva da giorni, che aveva bisogno di una doccia, madida di caffé e sudore asciugatelesi addosso, offesa e ferita nell'animo e nei ricordi, richiuse subito la porta e come se non ci fosse nessun altro nella stanza si fiondò sulla sedia accanto al letto, le gambe accartocciate in quel poco spazio ed i gomiti sul materasso per tenergli la mano.

Tyrion continuò a guardare intenerito, felice come al solito che una cosa del genere fosse capitata a suo fratello, la persona che più amava al mondo. Camminò a ritroso senza fare rumore e lasciò la stanza, sospirando e sperando che tutto si risolvesse presto per il meglio.

 

***

 

Il mattino seguente Jaime attese paziente che la donna che gli aveva tenuto compagnia per tutta la notte, tornasse a casa con la promessa di darsi una lavata e dormire su un materasso. Le aveva bisbigliato quello che doveva fare come se fosse una bambina, come aveva fatto con lui la fata che aveva sognato, trovando nell'istinto il tono di voce giusto.
Jaime non era uno stolto. Lo sapeva, aveva capito, così bene che non riusciva a guardare Brienne negli occhi ed ammettere di non aveva la più pallida idea di chi lei fosse. La guardava e si dispiaceva di non essere l'uomo che lei credeva di avere davanti. A volte, ogni tanto, aveva avuto l'impressione di conoscere bene il suo respiro, di saper subito riconoscere quando lei si fosse addormentata, di sapere cosa dire per farla sorridere o arrabbiare. Forse sapeva tutte quelle cose, ma non appena Brienne alzava il viso verso di lui tutto spariva. Tabula rasa.
Rimase solo appena il tempo di pensare. Le ultime ore gli sembravano accavallarsi e rincorrersi nella testa. Era pieno di informazioni che gli avevano dato, infortuni che aveva ricevuto, traumi che aveva preso, il racconto di una storia che non aveva mai vissuto.

L'agocannula fisso nella sua vena gli pungeva il braccio. Stupidamente pensava di non riuscire a muoverlo. Contrasse i muscoli contando la punta di ogni polpastrello. Le ginocchia si piegavano, i piedi sentivano le lenzuola. Quando anche l'olfatto tornò provò il desiderio di trascinarsi fino ad una fontana e lavarsi. Provò allora a mettersi in piedi, ma persino alzare la testa dal cuscino gli sembrava un'impresa impossibile.

"Sono i farmaci," gli spiegò un'infermiera più tardi "gli antidolorifici."

"Posso farcela anche senza." La pregò impaziente di poter tornare a muoversi, anche se con la testa dolorante.

Quella lo guardò dubbiosa. "Ne parlerò coi dottori." rispose alla fine.

Jaime sbuffò e chiuse di nuovo gli occhi. Non appena il buio nascose la fetida stanza, Cercei era di nuovo lì. Ne vide la schiena, il contorno tonico dei muscoli, i fianchi rotondi ed il sedere sodo.

"Ehi." le disse subito per attirarne l'attenzione. "Ciao." si corresse davanti al suo viso angelico.

Cercei si girò, sorrise e gli allungò la mano. Jaime era davanti a lei e le stringeva le dita. La guardava mentre lei, avvolta da un'aura estatica, teneva gli occhi bassi a guardare le loro dita attorcigliarsi e giocare. Sorrideva divertita ed era felice, forse che fosse vivo e di averlo di nuovo lì con lei.

"Ti troverò." Le bisbigliò.

Quando riaprì gli occhi, c'era di nuovo Tyrion davanti a lui. "Ehi." Lo chiamò. Con lui quel semplice "ehi" andava bene.

"Ehi." rispose Tyrion "Come ti senti?"

"Confuso. Frastornato." ammise e finalmente ebbe la forza di sfregarsi le palpebre e pulirsi gli occhi. Sentì la barba lunga sotto le dita e subito dopo il prurito. Si grattò come se non potesse trovare pace. "La testa mi scoppia, l'odore dei miei vestiti mi fa venire la nausea, continuo a sognare Cercei e non mi ricordo la metà delle persone che mi circonda."

Tyrion sospirò: parlava di Brienne. "E di me ti ricordi?" ironizzò "Non sapevo che mi dessi così per scontato!"

Jaime scoppiò a ridere, allungò la mano e prese quella piccola di Tyrion per attirarlo a sé ed abbracciarlo. "Sì, certo che mi ricordo. Difficile dimenticare la tua brutta faccia."

"Oh, che stronzo."


 




Angolo dell'autrice
Buon giorno a tutti e buona quarantena! 
Allora questa storia è qualcosa che tengo da parte da un paio di mesi a dire il vero. Non ho mai avuto il tempo fattibile per svilupparla tutta e quindi mi ero sempre detta che avrei raccolto prima le idee, scritto la maggior parte dei capitoli e poi pubblicato. Beh di capitoli oltre questo ne sono pronti sicuramente altri 2. Prevedibilmente ne mancano ancora due alla fine per un totale di 5, a meno che non cambio idea, cosa possibilissima XD mi sono decisa ora che siamo un po' tutti in cerca di svago. Sembrava il momento più adatto.
Anyway, la trama che avevo pensato voleva essere qualcosa di veramente leggero, quasi da commedia rosa. Leggero, semplice, ma emozionante. Spero che lo sia per voi che leggete ovviamente.
Grazie quindi per essere arrivati fin qui e buona giornata :)

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
 
Tornata a casa Brienne si trascinò sul letto e cominciò a piangere. Pianse per il sollievo, per la gioia, per la stanchezza che si portava dietro e che sarebbe andata avanti precedendola sempre di qualche passo. Pianse perche Jaime era vivo e perché aveva passato tutta la notte a tenergli la mano. Gli aveva accarezzato le dita lunghe e forti una ad una, ricordandosi perfettamente che sensazione le davano sotto la pelle. Aveva percorso con gli occhi ogni tendine ed ogni vena, i peli chiari che gli crescevano sulle falangi e le unghie lunghe da tagliare.
Si addormentò con la testa sul suo cuscino, svegliandosi di sovrassalto qualche ora più tardi. Un martello le rimbombava nel cranio, gli occhi le bruciavano e la fronte le pareva la parte più pesante di tutto il corpo. La luce del giorno era già calata, il tramonto colorava di arancione il cielo e le pietre del cottage attiguo alla tenuta di Grande Inverno, dove Jaime e Brienne abitavano ormai da almeno un anno.
 
***
 
Avevano conosciuto quella struttura per la prima volta durante una passeggiata per i boschi del Nord, quella volta quando erano ancora amici. Passeggiavano spesso all'epoca. Cominciavano col correre nella natura, per tenersi in forma e finivano col camminare, nemmeno a passo tanto svelto, mentre parlavano di Cercei, di Renly, dei figli che Jaime non aveva mai potuto riconoscere, delle loro carriere e delle loro famiglie. A volte rimanevano in silenzio a guardare Grande Inverno, appesi ai cancelli di ferro che la  circondavano, sognando altri tempi, sognando di vivere in un palazzo e di poter disporre di tutti a proprio piacimento.
Durante una di quelle volte, vestiti di tuta e calzettoni, si erano imbattuti in un rudere di pietra, infilzato dalle fondamenta al tetto da un albero gigantesco che nel pavimento ci aveva messo le radici. Il tetto di legno scuro era ammaccato in più punti, le porte erano ammuffite, i vetri delle finestre un mero ricordo a circondare le intelaiature.
"E' antico." aveva commentato Brienne, che in genere non si sprecava in tante parole.
Jaime sapeva che Brienne era fatta così: si teneva per sé i commenti negativi ed esprimeva cifratamente i positivi. Era gentile nella sostanza. La osservò avvicinarsi al rudere come una bambina curiosa. Quando si girò a cercarlo la raggiunse.
"E' vecchio." rispose allora lui con notevole ritardo. "Decrepito." Non che non gli piacesse, non che non fosse curioso di controllare cosa ci fosse dentro, ma non aveva voglia di riempirsi le narici di polvere e piscio di topo.
Brienne sapeva che Jaime era fatto così: gli piaceva commentare e criticare, non si spendeva mai in complimenti; aveva una lingua erudita e folcloristica che richiamava la sua educazione da ricco uomo del sud. Quando non si perdeva in lunghi e volgari sproloqui lo intendeva sempre come un apprezzamento. Era polemico.
Quella volta erano entrati per la prima volta in quella che un giorno sarebbe diventata la loro casa. L'avrebbero comprata e ristrutturata giocando con la calce e la vernice, baciandosi sotto le radici di quell'albero gigante che cresceva al posto del tavolino al centro del salotto, nascondendosi dal freddo sotto alle coperte calde.
 
***
 
Dal primo momento in cui Brienne aveva scoperto che Jaime non ricordava, le memorie la perseguitavano: la prima volta in casa, il primo bacio, la prima e l'ultima volta che avevano fatto l'amore, i primi dubbi, le ultime certezze. Li allontanò tutti con un movimento infastidito della mano, come una mosca che le ronzava attorno alla testa, dicendosi di farsi forza e pensare al presente. Si lavò, si sistemò, preparò una borsa e ci mise dentro  tutto quello di cui Jaime avrebbe potuto aver bisogno e corse nel buio della notte invernale verso l'ospedale.
Quando arrivò riconobbe subito la voce di Tyrion dal fondo del corridoio: per essere un nano aveva  delle corde vocali particolarmente sviluppate e profonde, che gli piaceva utilizzare fin troppo di frequente.
L'ospedale si era trasformato da quella mattina, come ogni volta che calava il sole. Le luci artificiali gli davano paradossalmente un aspetto più accogliente, meno asettico. Era come riconoscere quei posti. L'odore di cibo sui vassoi riempiva le stanze anche se si trattava solo di mineste. C’era un via vai di persone, accompagnatori e parenti, che imparavi col tempo a conoscere: quello che assiste la ragazzina disabile; l’infermiere privato della notte; il figlio e la nuora del paziente nel letto quattro. Si scambiavano spesso quattro chiacchiere alla macchinetta del caffè, prima in modo più titubante poi piano piano sempre più disinvolto.
Brienne quella sera camminò a passo svelto fino a raggiungere la stanza di Jaime. Era nervosa, agitata, come ogni volta che lo lasciava e finalmente era di nuovo da lui. La sua voce suonava cristallina attraverso la porta, lo sentiva ridere e non le sembrava vero. Prese un respiro profondo ed abbassò la maniglia.                                                                                                                                                                       
"Ciao."
Calò il silenzio tra i due fratelli, che si voltarono entrambi spensierati a guardare verso la porta, come se cercassero di mantenere un segreto. A Brienne sembrò di aver interrotto qualcosa e si sentì immediatamente fuori posto. Di solito accadeva il contrario, quando lei era con Jaime e Tyrion interrompeva i loro animati discorsi. Era fuori posto, come se non c’entrasse più nulla con lui.
"Ciao." rispose allora Jaime.
Tyrion sollevò una mano e salutò agitando quella in modo buffo.
Brienne rimase a guardarli. Tyrion pareva più giovane di qualche anno con dei vestiti puliti addosso ed un sorriso da poco sbiadito sul volto. Jaime invece era così diverso da appena qualche ora prima: la barba era più corta, sfoltita con le forbici; i capelli più ordinati, pettinati, seppur ancora appiccicosi; aveva ripreso colorito in volto, le guance erano rosee e si teneva seduto sul letto con la schiena poggiata al cuscino. I suoi occhi erano vivi ed attenti ed in pochi secondi gli caddero sul borsone che la donna si portava appeso alla spalla.
"Ti ho portato qualcosa da casa," si affrettò a spiegare lei non appena se ne accorse "qualche vestito, un paio di scarpe..."
Jaime non aveva pensato a nessuna di queste cose così pratiche. Nella sua testa si sarebbe limitato a poggiare i piedi a terra, camminare nudo o con un camice pulito addosso, di quelli bianchi e celesti che gli avrebbero lasciato la schiena ed il deretano scoperti. Non aveva invece neanche mai pensato al momento in cui avrebbe lasciato l'ospedale. "Casa?" fu quello che si limitò invece a chiedere. Curiosamente non era capace di ricordare un posto da poter chiamare casa.
Brienne si agitò nervosa, guardò Tyrion cercando aiuto, si sistemò la borsa di nuovo sulla spalla come se fosse pronta ad andar via invece che a restare e poi cominciò a balbettare "S-sì, casa, dove noi... l'abbiamo... abbiamo..." provò a spiegare, non sapendo da dove cominciare per raccontare quella storia, né se lui fosse pronto a sentirla.
Per un momento Jaime la guardò intenerito da quella timidezza e da quel pudore affettivo. Sorrise e decise di trarla in salvo. "Non preoccuparti," cercò di tranquillizzarla. "So tutto." disse ed indicò Tyrion con un cenno del capo, che scrollò le spalle come a chiederle scusa o ad accettare i suoi silenziosi ringraziamenti. I suoi movimenti erano sempre indecifrabili.
"Ah." fu tutto quello che Brienne riuscì a commentare, sollevata di non dover raccontare all'uomo che amava e che l'aveva amata (e che probabilmente non se ne ricordava più) la loro storia. Si guardò attorno, cercò il tavolino sotto al muro e vi poggiò la borsa.
"Lo dimettono domani." annunciò Tyrion dando una pacca sulla spalla del suo fratellone. "Hanno detto che può continuare la fisioterapia da casa."
"Oh, è una splendida notizia." rispose lei, mantenendogli ancora le spalle. Sarebbe dovuto tornare a casa così? E cosa sarebbe successo? Avrebbe ricordato? L'avrebbe accettata di nuovo, amata di nuovo? Strinse gli occhi e scosse il capo, sperando di non dare a vedere il suo disappunto, di non pensare alle mura di casa, al vecchio Jaime, al suo Jaime.
"Sembri infastidita." la spiazzò subito lui. Già, quella era una caratteristica che non perdeva mai.
"Sono sorpresa." spiegò invece Brienne, poi si ricompose e si voltò. "Ieri avevano detto che avresti avuto bisogno di tempo."
"Posso aspettare anche in un altro posto."
"Certo, dove vuoi." l'accontentò lei incrociando le braccia, proteggendosi in maniera passivo-aggressiva dai suoi attacchi. No, questo non era da lei.
"Bene." rimarcò lui.
Jaime era tranquillo. Guardava Tyrion che alzava le mani innocentemente, come se gli volesse dire che lui non ci poteva far niente e poi gli diede una pacca nel punto più alto del braccio del fratello che riuscì a raggiungere, ma non ridevano più. La sua voce non era leggera come quella che aveva con Tyrion fino a qualche minuto prima che lei si palesasse, non come quella che aveva sentito dal fondo del corridoio.
Brienne sentì di nuovo le lacrime salirle agli occhi ed il bisogno di allontarsi velocemente da quella stanza. "Vuoi qualcosa da bere o da mangiare?" domandò, inventando la prima scusa più palusibile che riuscisse a pensare "Acqua, un panino, una pizza... Patatine?" chiese nominando tutto quello che le venisse in mente di cui Jaime andava pazzo.
"Dell'acqua andrà più che bene." rispose lui. E Jaime lo sapeva che la sua era una scusa e la stava allontanando con una bugia. Una bottiglia d'acqua fresca e frizzante giaceva mezza piena già sul suo tavolino.
Forse era troppo. Brienne credette di essere stata troppo invadente, troppo dura, troppo inopportuna, troppo poco felice per lui, troppo concentrata sui suoi bisogni, troppo poco quello di cui lui aveva bisogno o semplicemente era stata di troppo. Per Jaime era come avere un'estranea attorno.
Al piano di sotto Brienne diede un pugno al distributore automatico. Non riusciva a vedere quello che era caduto dai nastri. Si concesse altri due sfoghi di rabbia bruta e violenta, fino a quando il vetro della macchina non emise uno strano rumore e cominciò tutta la macchina a dondolare. La rimise in piedi, tirò su col naso e si sporse a controllare cosa fosse caduto. Raccolse allora una bottiglia d'acqua (guarda caso) e poi lasciò comunque le monete necessarie per pagarla.
Qualcuno le avrebbe rubate, le scappò di pensare, concentrandosi sulle futilità.
Continuò a piangere nel corridoio vuoto, scivolando in terra con il muro bianco e sfarinoso a reggerle la schiena.
 
***
 
Al piano di sopra Tyrion esordì preoccupato: "Ancora nulla?"
Jaime non riusciva a staccare gli occhi dalla porta e dal corridoio, dal vuoto che Brienne aveva lasciato, da uno strano vuoto da cui si sentiva irrimediabilmente attratto. Non riusciva a staccare gli occhi da quel punto nel vuoto. Si sentiva turbato. Era una sensazione ambigua: quando Brienne c'era era infastidito dalla sua presenza, avrebbe voluto sbatterla fuori dalla porta, urlarle di smetterla di assillarlo, di guardarlo come se aspettasse qualcosa; poi invece quando Brienne non c'era desiderava che tornasse, desiderava tornare ad essere quella persona che lei ricordava. Voleva quasi che gli raccontasse chi era quello che stava con lei fino a prima dell'incidente.
"Qualcosa." rispose Jaime vago. Qualcosa lo ricordava, qualcosa provava, era qualcosa a livello viscerale, un istinto, una forza che lo spingeva a proteggerla da sé stesso. Poi però c'era lei, c'era Cercei. Cercei occupava i suoi sogni, i suoi desideri, il suo cuore. Sapeva che avrebbe fatto di tutto pur di ritrovarla, qualunque cosa lei gli avesse chiesto. Era un sentimento folle, a tratti infantile, a tratti fin troppo adulto.
"Ti ama." spiegò Tyrion "Più di quello che meriteresti." aggiunse.
Era di Brienne che stava parlando e Jaime si concentrò per ricordarlo. "Lo so." rispose colto in fallo.
Tyrion sospirò. "Anch'io." rispose complice.
 
***
 
Quando Brienne tornò da loro, ritrovò la porta chiusa ed i vetri della stanza che guardavano verso il corridoio oscurati alla bene e male con un paio di lenzuola tese da parte a parte. Entrò spaventata, terrorizzata che fosse successo qualcosa o che lì dentro ci fosse Cercei e che lei lo avesse circuito come un invalido, un mentalmente instabile, per nascondersi là, sotto gli occhi tutti.
Aprì la porta quasi di scatto e quello che vide andò oltre ogni sua più viva immaginazione. Il letto era stato spostato ed addossato al muro, le asticelle delle flebo al centro della stanza in fila indiana come se fosse una corsa ad ostacoli, il comodino fatto da parte nell'angolo, in modo tale creare il più grande spazio possibile. Jaime torreggiava in piedi al centro, appeso alla parte del mobilio che riusciva a trovare. Teneva addosso solo una maglietta, le scarpe ed un paio di mutante pulite che Brienne gli aveva appena recapitato. Jaime cercava qualcosa con la mano più in basso e solo allora la donna vide il folletto che con i palmi rivolti verso l'alto, cercava di tenere il fratello in piedi meglio che poteva.
Fu questione di secondi prima di vederlo quasi andare a terra. Abbracciando ancora un paio di bottigline d'acqua e qualche bibita gassata, Brienne si lanciò su Jaime, così che si tenesse col braccio attorno alle sue spalle, tenendolo invece per la schiena.
"Siete pazzi." disse prima ad entrambi "Sarebbe potuto cadere e sbattere di nuovo la testa." disse poi verso Tyrion.
"Oh, non ti preoccupare." cercò di tranquillizzarla Jaime, ignorando la sua agitazione. "Che potrà succedere peggio di così?". Cercò di mettere un piede davanti all'altro, di camminare verso la porta e poi tornare indietro verso il bagno. Cercò di contare sul suo appoggio quanto meno possibile, di piegare e poi stendere le ginocchia, tenendo le gambe dritte e solide come colonne. Sentì i muscoli tremare, ma continuò a camminare imperterrito, fino a quando il ginocchio cedette e quasi non cadeva.
"Te l'avevo detto." ci tenne a rimarcare Brienne afferrandolo di nuovo, tenendo stretta la maglietta in un pugno dietro la sua schiena.
"Sì, me l'avevi detto." Jaime strinse gli occhi cercando di ignorare il dolore acuto al ginocchio e quello più sordo alla testa, che cominciarono a chiedere pegno. "Sono cocciuto." aggiunse.
Cocciuto era la parola che usava Brienne per definire Jaime. Era la parola che aveva usato più frequentemente quando avevano preso a montare i lampadari, quando si erano messi a montare mobili, a tagliare la legna, a mettere i soldi da parte per comprare quella casa. Brienne usava la parola cocciuto più di ti amo, tesoro o amore con Jaime. Jaime era cocciuto. Solo perché aveva avuto una rigida educazione ed era cresciuto lontano dalla famiglia, credeva di saper ristrutturare un rudere di montagna, montare mobili a basso costo ed appendere lampadari.
"Ehi, i miei occhi sono quassù." lo sentì scherzare e richiamare la sua attenzione.
Brienne aggrottò la fronte confusa, si riprese dal suo stato di catalessi e si rese conto di guardare proprio in basso troppo in basso. "N-non stavo..."
La risata di Tyrion, divertita e musicale, le ricordò anche della sua presenza. "In effetti ne ho sentite molte su di te, fratellone."
Fu allora che Brienne arrossì, più di quanto freddo ed acne avessero mai potuto fare negli anni sulla sua pelle. Si tirò su e si augurò di poter diventare invisibile, mentre le risate dei due fratelli risuonavano per la stanza, allegre e gioviali proprio come aveva sentito ed invidiato all'inizio.
"Non è niente che non abbia già visto!" sbottò lei per riscattarsi.
"Touchè!" alzò le mani il nano.
Si voltarono verso Jaime, aspettando uno nuovo scambio di battute, ma su di lui cadde il silenzio. Di nuovo fu per Brienne, per come aveva rovinato tutto. Era stata di nuovo inopportuna, invadente. Si sentiva in quel momento come si era sentita all'inizio con lui, come quella volta che l'aveva conosciuto, quando tutto quello che Jaime dava a vedere era una realtà fatta di apparenze. Si trovava davanti ad una persona che parlava come Jaime, scherzava come lui, si muoveva come lui, ma non era il suo Jaime. Una ciocca di capelli gli era ricaduta sul viso e Brienne non poteva neanche allungare due dita per riportargliela indietro.
I giochi finirono presto e nulla ebbe a che vedere con lo scambio di battute appena terminato. Un'infermiera, allertata dal baccano, aprì la porta di soppiatto senza neanche dare un colpo di nocche per annunciarsi. Rimase a bocca aperta mentre si trascinava un carrello pieno zeppo di scatole di medicine per tutto il corridoio. Balbettò qualcosa di incomprensibile ed agitò le mani, per poi riprendere contegno ed invitare tutti i visitatori ad accomodarsi all'uscita.
Tyrion e Jaime si comportarono come bambini colti in fallo, abbassando gli occhi e nascondendo le mani dietro la schiena, pur non avendo niente da nascondere tra le dita.
"Ci dispiace." cominciò a ribattere Brienne, chiudendosi le mani sul petto, quasi fosse indifesa in quel posto in quella situazione. Intendeva scusarsi, non era quello il modo di comportarsi, non avrebbe dovuto aiutare i due fratelli, ma chiamare medici ed infermieri per aiutare Jaime. Loro avrebbero saputo come meglio fare.
"E' stata colpa mia." si levò alla fine Jaime. Alzò prima una mano, poi con la stessa fece per appendersi ai braccioli della sedia su cui era crollato poco prima. Traballante ed instabile, un po' alla volta si tirò su, fino a ritrovarsi ricurvo sulla schiena ma dritto sulle gambe.
"Signor Lannister." lo ammonì quella col dito. "Ci fa piacere che stia in piedi, ma dovrebbe almeno abbassare la voce." continuò, parlando al plurale come tutti gli altri sanitari che lavoravano in quel posto. L'infermiera comunque lo guardò e sospirò, cercando di nascondere l'orgoglio ed il sollievo per quel giovane paziente. "Ora dovreste andare, solo un parente per paziente." disse e li istruì alla fine rabbonita, lasciandoli per ritornare al suo carrello ed alle sue medicine.
"Da lei sì che mi farei fare una spugnatura!" mormorò Tyrion verso il fratello con sguardo complice colpendolo ad un braccio col gomito, cercando di strappargli un sorriso.
Brienne lo ignorò in un primo momento, cadendo nelle vecchie abitudini, per poi allungare l'occhio e cercare la reazione di Jaime che, diversamente da quanto s'aspettava, sorrideva apertamente. La donna si disse di mantenere i nervi saldi, di non dare peso alla faccenda, di ignorarlo: non ricorda di stare con te, non ricorda di essere legato sentimentalmente, è normale che guardi altre donne più belle di te, ma passerà. Passerà quando si ricorderà di te.
"Vado via." annunciò Brienne, poi guardò il nano con una punta di disprezzo, come se quella battuta innocente avesse potuto davvero aumentare il divario tra Jaime e lei. Tyrion le fece solo un cenno col capo, ignaro del suo turbamento emotivo, confuso forse da un possibile eccesso di rettitudine morale che gli metteva le manette ai pensieri.
Brienne si avviò verso la porta e poco prima di allontanarsi dalla portata d'orecchio, la voce di Jaime la bloccò. "Passi a prendermi domattina?" chiese lui "Per favore".
C'era un velo di formalità che metteva le distanze tra loro. Ti ci devi abituare, si ripeteva lei nella sua testa mentre lo guardava, almeno finché non cambia la situazione. Si sentiva mancare la terra da sotto ai piedi. Come avrebbe fatto a dormire a casa loro sapendolo nell'altra stanza a pensare a Cercei? Era una condizione temporanea, sapeva che era così, che doveva essere così. Ce l'avrebbero fatta ancora una volta.
"Certo." rispose solo e s'avviò fuori.
"E' un'idea sua." recitava un SMS di Tyrion qualche minuto più tardi, probabilmente per motivarla. Probabilmente le si leggeva in faccia qualunque emozione stesse provando, come al solito.
 
***
 
Il mattino seguente, alle otto di buon ora, si trovava già in sala d'attesa davanti alle porte chiuse dei reparti. Vedeva passare medici ed infermieri digitando combinazioni segrete di numeri su tastierini. Ogni volta che uno di loro apriva la porta lasciandola fuori, una ventata di odore di detergente le inondava le narici. Quell'odore pungente cominciava a darle la nausea.
Attese che le venissero consegnate le dimissioni, una lunga lista redatta su tre pagine intestate di cose da fare e non fare: non svolgere attività fisica, non sollevare carichi pesanti, segua la dieta, assuma le medicine... Se la imparò a memoria in pochi minuti in piedi mentre aspettava che Jaime a passo lento la raggiungesse.
Quella mattina doveva essersi svegliato presto anche lui. Quel Jaime che aveva davanti era molto più vicino al Jaime che conosceva: non aveva più la barba, i capelli erano lavati e tagliati in maniera più o meno precisa, aveva addosso una maglia bianca a mezze maniche ed il cappotto pesante che copriva le sue forme ancora molto esili. Camminava appoggiandosi ai corrimano lungo i muri, metteva piano piano un piede dopo l'altro e con un mano reggeva il borsone che gli aveva portato lei il giorno prima.
"Non sollevare carichi." gli disse immediatamente andandogli incontro. Gli tolse il borsone da mano e se lo tenne stretto in modo che non glielo potesse sottrarre di nuovo.
"Ce la faccio, andiamo." protestò lui con quella voce volutamente dolce e premurosa. Era la stessa voce che usava quando voleva aiutarla a fare qualcosa che sapeva sarebbe riuscita anche a fare da sola. Una volta Jaime le aveva detto che gli piaceva sentirsi utile per lei: aprirle un barottolo, portare la spesa, tagliare la legna per il fuoco, spostare questo o quello. Il fatto che lei fosse capacissima in ognuna di quelle cose non significava che lui non potesse aiutarla. Era gentile ed ogni volta che faceva qualcosa per lei Jaime le regalava anche un bacio.
"Le istruzioni parlano chiaro." gli sbandierò davanti alla faccia quell'elenco di regole che avrebbe dovuto seguire, su cui Brienne avrebbe dovuto sorvegliare per aiutarlo in una veloce guarigione ed entrambi sapevano quanto fosse importante guarire velocemente. "Non puoi sollevare pesi" protestò di nuovo e mantenne salda la presa, mentre Jaime allungava la mano per riprendersi le sue cose.
"Al diavolo." fece alle fine lui mettendogli via quei fogli. Glieli strappò da mano e se li stropicciò in una tasca del giaccone, lasciandosi alla fine aiutare.
Insieme, Jaime e Brienne si trascinarono lontano dal corridoio in cui aveva vissuto per quasi un mese, dentro all'ascensore, giù per le scale. Ritirarono le carte per le medicine e si avviarono verso l'uscita silenziosamente.
Poco prima che si aprissero le porte dell'ospedale, Brienne cacciò fuori due mucchietti di lana dallo zaino. Ne tirò uno verde a Jaime, quello che lui usava sempre quando erano soliti andare a cercare insieme legna nel bosco. Lo studiò con fare disattento sperando che lui si ricordasse come si indossava, poi si mise in testa quello bianco e nero che le aveva regalato proprio lui lo scorso anno. Ciuffi di capelli biondi le sfuggivano arrotolandosi sull'orlo elettrostatico di lana. Brienne se li schiacciò con le mani inguantate senza ottenere alcun risultato, poi uscì seguita dallo strisciare rumoroso dai suoi passi pesanti che con un crack schiacciavano la neve.
"Andiamo a casa." fece lui, chiudendosi dietro la portiera della macchina.
"Andiamo a casa." fece lei assertiva, mettendo in moto.


 


Angolo dell'autrice
Ohibò, buon salve. Mi sentivo ispirata ed ho deciso di aggiornare una delle storie che per ora ritengo meglio scritte ed un po' più adulte per i miei standard. 
Questo è il secondo capitolo della mia storia. Non ho molto da dire, mi auguro che vi piaccia ed intrighi almeno un pochetto. Alla prossima. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
 
C'era stata quella volta, quando si era presentato alla sua porta e le aveva chiesto di entrare, subito dopo aver litigato. In quel periodo Jaime cercava di nominare Cercei sempre meno, si infastidiva quando qualcun altro accennava anche solo a voler parlare di lei. Cercei era sempre stata l'argomento dominante delle loro conversazioni. Quella sera Jaime aveva chiesto a Brienne di guardare un film e non aveva detto più niente. Continuava a guardare verso il televisore e spingersela sempre più vicino e quel silenzio e quei gesti morbidi l'avevano letteralmente cullata, ai tempi in cui Brienne avrebbe preso tutto quello che Jaime decideva di darle.
Si era ritrovata distesa sul fianco, faccia a faccia, premuta a lui. Tutto attorno era buio, solo quello stupido film proiettava una luce blu su di loro, quasi fossero su un palcoscenico.
Jaime le aveva preso una mano, un gesto quasi casuale all'inizio, come se l'avesse sfiorata per errore. Piano piano l'aveva portata in alto, in mezzo ai loro corpi. L'aveva lasciata e, prima che Brienne potesse allontanarsi, aveva allungato le dita contro le sue, fino ad incrociarle e stringere.
Brienne aveva guardato quella scena ipnotizzata col cuore che batteva nel petto, mentre la sua mano stava inerme in quella di lui. Non sapeva cosa significasse, perché lo stesse facendo, anche se non le importava fino in fondo. Alzò gli occhi e cercò il suo viso. Gli occhi di Jaime erano fissi sulle loro mani. Le guardava agitato, irrequieto, leccandosi le labbra e poi stringendo i denti, agitandosi con le gambe sul divano. Stupidamente e teneramente agitato. Lo amava con ogni fibra del suo essere. Con le lacrime agli occhi Brienne gli strinse la mano ed allora lo vide risvegliarsi e sorridere con tutto il volto che si illuminava. Jaime era arrogante, pieno di sé, ma spontaneo come un bambino che non sapeva trattenere un'emozione. Sapeva amare al cento per cento anche a costo di bruciare.
Quella volta Jaime le strinse così forte quelle dita che le fece quasi male ed allora sorrise di nuovo, mollò la presa e la baciò. E quella fu la prima volta. Il primo bacio che le avesse mai dato. Durò un'eternità. Per la verità furono un milione di lunghi baci posati su ogni centimetro di pelle che il maglione ed i vestiti non nascondevano.
Era quella spontaneità libera da ogni calcolo e precisione che Brienne amava più di tutto. A volte era così spontaneo da essere ridicolo, così ridicolo da farle pensare che sarebbe stato un ottimo padre per i suoi figli, se solo Cercei avesse mai detto loro la verità.
Quella sera Brienne aveva chiuso gli occhi ed aveva fatto finta di dormire, mentre nel buio del presente cercava di ricordare ogni piccolo dettaglio: c’era Jaime che si sistemava sempre un po’ più in alto di lei per poterla accogliere tra le braccia; la punta dei piedi di lui che giocava coi suoi. Brienne si portò le ginocchia al petto e stupidamente si toccò in quel punto. Quella volta Jaime aveva sorriso in quel magico mondo del dormiveglia. Le accarezzava continuamente una tempia pettinandole con tre dita la stessa ciocca di capelli.
"Lo so che sei sveglia." le aveva bisbigliato. Poi si era abbassato e le aveva posato un bacio sulla guancia, vicino alle labbra. "Buona notte." Aveva aggiunto ed allora Brienne si era addormentata per davvero.
Sembrava tutto così lontano, un mondo quasi dei sogni.
 
***
 
"Ehi."
"Ehi." gli rispose Brienne stringendo una tazza calda tra le mani. Accennò ad un sorriso prima di ricordarsi tutto quanto. Era solo che a volte tutto sembrava così uguale. "Ti ho preparato la colazione." gli disse.
Jaime guardò sul tavolo e trovò una tazza di caffè, due toast quasi bruciacchiati ed imburrati su un lato, con la marmellata accanto in un vasetto. Si sedette a tavola e sperava di provare tristezza o malinconia per quella quotidianità che non ricordava. “È zuccherato?" chiese poi.
"No, io non so mai mettercene la quantità giusta." rispose lei, poi si girò e gli allungò lo zucchero ed un cucchiaino. Brienne aveva avuto l’accortezza di sistemare tutto quello che sapeva che gli sarebbe servito sul bancone, così da evitargli imbarazzi nel cercare qualcosa di cui lui non ricordava la collocazione.
Quando Jaime lo prese, gli sembrò che lei gli avesse sfiorato la mano con le dita prima di ritirarsi quasi impaurita nel suo nido di maglie e coperte. "Mi dispiace." disse rapidamente lui, neanche sapeva di cosa. Di non essere la persona che lei conosceva, forse.
"Non fa niente, non fa niente." cominciò a ripetere lei. "Non l'ho fatto apposta, non fa niente." È solo l'abitudine, avrebbe voluto spiegare, piuttosto che continuare a balbettare "non fa niente".
"E tu? Cosa bevi?" la trasse in salvo lui. Come sempre. Se c’era una cosa che a Jaime non mancava era la capacità di intavolare una conversazione con chiunque avesse davanti. Una volta era riuscito ad intrattenere l’anziano contadino che abitava nella casupola di fronte, parlando di rape, patate, pomodori e concimi. Il più delle volte non sapeva cosa dire e finiva col blaterale, ma lo faceva con una tale convinzione e coinvolgimento che era impossibile non fermarsi ad ascoltarlo.
"Oh, è cioccolata." rispose immediatamente lei guardandosi nella tazza con fare imbarazzato "Sai, ci vogliono..."
"Energie per cominciare la giornata?"
Brienne fece sì col capo ripetutamente.
Jaime alzò gli occhi giusto il tempo necessario per vedere quel briciolo di speranza nascere nei suoi occhi, speranza di poter ritrovare presto la persona che stava con lei prima dell'incidente.
"Sai, a volte ho questi flash." cominciò lui "Ricordo delle cose. Per esempio, siamo mai andati al mare?" chiese ricordando le giornate calde ed afose trascorse al sud. C'era stata una volta per esempio, in cui (ne era sicuro) era con Brienne. Lei stava guardando il mare con aria truce, triste e per un attimo Jaime si era immedesimato, aveva pensato a Cercei (ancora ed ancora, in ogni ricordo c'era lei) e poi aveva deciso di tirarla su. Le aveva dato un buffetto, si era immediatamente scostato per non farsi raggiungere da lei e si era lanciato con tutti i vestiti in acqua.
"M-mh" mormorò Brienne figurandosi bene la giornata. Gli si era appiccicata la sabbia tutta addosso, se l'era ritrovata persino nelle tasche dei pantaloni e qualche giorno dopo lui le aveva confidato di riuscire a trovarla ancora nel suo ombelico. Quella volta era scoppiata in una risata contenuta, con le dita a bloccare la bocca per trattenere quell'eccesso di saliva e denti.
“Vorrei poterti dire di riuscire a mettere insieme i pezzi o di avere tutti i pezzi, tanto per cominciare…” partì a spiegare lui, immaginando la sua mente come un puzzle da dover risolvere, i suoi ricordi come tessere da incastrare per far quadrare con la ragione quella figura più grande che era la sua vita. Come se questa si potesse limitare ad una serie di sterili ricordi. Sapeva che c’era molto di più oltre vecchi accaduti.
“Non devi.” Rispose ferma Brienne, scrutando il suo sguardo, cercando di cogliere il minimo segno di un mal di testa imminente. Nel frattempo cercò di ripensare ai fogli delle dimissioni, ai consigli medici ed a tutti quei “cosa fare se…” che vi erano riportati. “Verranno.” Gli disse alla fine lei, ottenendo la sua attenzione. “Devi solo aspettare.” Concluse con fare rassicurante.
“Intanto io sono qua.”
“Intanto tu sei qua.”
Jaime sorrise. Brienne lo stava guardando, neanche poi tanto intensamente, quasi di sfuggita, eppure non riusciva a reggere quello sguardo. Abbassò gli occhi e bevve un sorso di caffè, convinto che il suo fosse senso di colpa per non essersi dimostrato quel Jaime che lei voleva. Guardò fuori ed ammirò la natura immobile. Bianca ed immacolata. “Quando Tyrion mi ha parlato di questa casa, di…” cominciò a dire ed indicò prima il suo petto poi quello di lei “Avevo pensato di aver battuto la testa molto prima dell’incidente.” Scherzò, rise e poi bevve di nuovo. Brienne non stava ridendo. Si schiarì la voce e continuò. “Poi però ho visto la neve fuori dalla finestra dell’ospedale e… Wow.” Disse con lo sguardo pieno di meraviglia “Non so spiegarti quello che ho provato.”
“Lo so io.” Rispose lei. Chiuse gli occhi e cercò di ricordare parola per parola quello che le disse lui una volta. Era stato qualche tempo dopo quel bacio, alle porte di qualche inverno fa, quando l’erba era appena coperta. “È candida, brilla. La neve copre tutto, per far rinascere la natura. La mette in pausa e nel frattempo la fa risplendere. La fa sembrare candida, innocente. Uno spettacolo. È un’opportunità.” Concluse. Quella volta, quando le disse quelle frasi, Jaime aveva il viso perso in tutto quel bianco. Era la prima neve e stava cercando di dirle che ci doveva essere una ragione se si sentiva un uomo migliore quando c’era lei. Riusciva a fargli temporaneamente dimenticare i suoi errori ed a farlo brillare.
Jaime ascoltava rapito ogni parola ed intanto guardava lei, che ad occhi chiusi sembrava afferrare un ricordo. Doveva avergliele dette lui stesso quelle parole. Poetico. Innamorato. Sì, forse era esattamente quello che aveva provato. Aveva pensato alla magia dell’inverno e poi della primavera, al fatto che per sia tutto candido ed innocente sopra alla neve, ma morto sotto. Aveva pensato che presto però sarebbe rinato tutto e l’inverno gli sarebbe parso necessario per concedere alla terra di restituirgli il verde ed i colori.
“Voglio fare qualcosa oggi.” Disse poi all’improvviso, dopo un momento di lunga contemplazione agitato solo dal suono delle loro bocche bere dalle rispettive tazze.
“Tipo?”
“Tipo i miei esercizi?” rispose, avviandosi verso l’altra stanza. Vide con la coda dell’occhio un sorriso affiorarle sul viso quasi compiaciuto, orgogliosa della sua scelta, del suo uomo, di quanto diligente dopo un incidente fosse diventato. “Scherzo.” La prese in giro poi, sottraendosi ai suoi doveri, come era solito fare persino a scuola. O perlomeno questo era quello che si ricordava. Assurdo come riusciva a ricordare bene quelle cose e non tutto il resto. “Che ne dici di una partita a palle di neve?”
“Palle di neve?” ripeté lei scettica, sperando davvero di aver sentito male “Sei serio?”
“Certo.”
In poco tempo fu fuori a correre e nascondersi come un bambino. Non sapeva da dove ne usciva, dovevano essere tutti quei farmaci a fare il loro effetto. Era sicuro che una di quelle medicine servisse per tirarlo su di morale. Rimase in attesa, nascosto dietro il tronco di un albero ad aspettare che Brienne arrivasse, che lo rincorresse come il boss cattivo di un qualche video gioco.
Quando fu precisamente a portata di tiro, le lanciò una palla e quando quella le cadde sulla testa fu lui a ricordare qualcosa.
 
***
 
Stavano ristrutturando la casa. Stavano verniciando. Brienne si era distratta e per richiamarla all’attenzione, Jaime aveva immerso la mano nella vernice bianca e gliel’aveva all’improvviso passata in faccia, tra i capelli, persino in bocca e sulla lingua. Lei aveva urlato, arrabbiata, ma neanche per davvero. Teneva gli occhi chiusi per paura che quella le bruciasse le congiuntive. Si era agitata e per contenerla l’aveva afferrata ed erano caduti a terra l’uno sopra all’altro. Aveva cominciato a baciarla e si era sporcato di vernice bianca anche lui. Con la mano pulita le aveva liberato le palpebre e poi aveva continuato a baciarla.
Non se n’era reso conto allora, ma aveva lasciato l’impronta della sua mano, esattamente sopra l’interruttore della luce. Ricordò anche che ogni volta che ci passava di fianco provava a riempire quella forma a stampo. Sorrise, si distrasse, poi qualcosa gli arrivò in faccia e cadde a terra. Si bagnò e scivolò. Batté la coscia e la gamba contro, boh, qualcosa. La neve era soffice, ma sentì comunque un dolore elettrico irradiarsi dietro la schiena fino al collo.
Si ripromise di controllare, di cercare quell’interruttore e provare ancora a far entrare la mano in quel segno. Tornò alla realtà con l’urlo di Brienne che lo raggiunse di corsa, scivolando o cadendo sulla neve anche lei stessa.
 
***
 
“Oh dio.” Fece Brienne, preoccupata fino all’invero simile delle sue condizioni. “No, no, no, no…” ripeteva e sembrava che stesse rivivendo una scena che le era fin troppo familiare. Sul viso le si era stampata una maschera di disperazione. Iperventilava e per poco non piangeva. Agitava le mani, non sapendo dove metterle, cosa cercare, come aiutarlo. Fregandosene delle buone maniere cominciò allora a toccargli le braccia cercando ossa rotte o chissà cosa.
Jaime si sentiva un po’ come un bambino e per qualche secondo fu persino piacevole. “Calmati, calmati.” La pregò poi “Guardami, è solo un livido. Vieni, ti faccio vedere.” Disse facendo per abbassarsi i pantaloni. Non ci pensò due volte, ma non l’avrebbe fatto con uno sconosciuto, né con un amico. Qualcosa di lei era rimasto nella sua testa, qualcosa che manovrava i suoi automatismi motori, quel gesto con la mano quando lei muoveva le dita in una certa maniera, il sorriso che sapeva che le piaceva per calmarla, il modo di consolarla che trovava sempre davanti al suo viso corrucciato, abbassarsi i pantaloni in sua presenza.
“No!” lo bloccò con voce ferma lei, adesso arrossita. Ritirò le mani e si chiuse a riccio, facendo attenzione a non sfiorarlo neanche con la punta delle dita. Jaime pareva addirittura divertito da quella reazione. “Niente che non abbia già visto,” disse ripetendo le stesse parole che aveva usato in ospedale, cercando di spiegarsi e di giustificare quell’eccesso di vergogna che le era venuto all’improvviso. “ma così sembra sbagliato.” Concluse. Evitò di dirgli che le pareva che quello che aveva davanti, sebbene gli somigliasse maledettamente, sebbene a volte sembrasse comportarsi come lui e dire le stesse cose, non era il suo Jaime e non era giusto guardare un altro uomo che non fosse lui.
Jaime sorrise, ignaro di tutto il suo processo mentale. Non aveva mai conosciuto una persona più onesta. “Okay.” Rispose sorridendo ancora e massaggiandosi la coscia. “All’aperto i tuoi occhi sembrano trasparenti. Brillano.” Notò all’improvviso, spontaneamente, prima di rimettersi in piedi ed avviarsi verso casa.
Quante altre volte l’aveva sentito Brienne? Al mare coi vestiti in acqua, in montagna coi piedi sulla neve, in città a fare la spesa. Si sentì immediatamente in colpa per aver pensato quelle cose, che non fosse lui, che il suo corpo lo stesse abitando un altro, ma che importava? Brienne sorrise, perché forse si stava ricordando. Si era innamorato di lei una volta. C’era, quel sentimento c’era. Era ancora là sotto la neve.
 
***
 
Lo guardò spogliarsi dei panni bagnati. Era in bagno e non aveva ancora chiuso la porta, privo di ogni pudore. Jaime si toglieva sempre prima i pantaloni, poi la maglietta. L’aveva fatto anche allora. Brienne non poté fare altro che notare ancora una volta quanto l’uomo fosse dimagrito, fermo in quel letto d’ospedale. Le braccia erano sottili, le gambe neanche a parlarne. Manteneva però una buona proporzione, come se le sue forme fossero state scolpito dalla natura e le conservasse sempre, qualunque fosse il numero che indicava una bilancia.
Jaime si voltò e la sorprese a guardarlo. Brienne si rigirò allora di scattò, arrossì e prese nota mentale di chiedergli scusa subito dopo e di promettere di non farlo mai più. Così sembra sbagliato, si ripeté lei. Non poté vedere il suo di sorriso invece.
Se fosse stato un altro, o se fosse stato lo stesso di quel giorno a mare, Jaime si sarebbe messo in mostra ancor di più. Arrogante e sicuro di sé. Avrebbe accolto il suo sguardo malizioso, per giovarne, tirarsi su e poi mollarla lì con un pugno di mosche. Negli occhi di lei però non c’era malizia. C’era una strana forma di ammirazione, qualcosa che gli faceva venire il batticuore. Non era il suo corpo sciupato che stava guardando. Non quelle braccia molli o quelle gambe inferme. Lei vedeva il vero Jaime Lannister e questa cosa gli dava ai nervi, lo terrorizzava ed eccitava insieme. Non sapeva neanche chi fosse quest’uomo. Se doveva essere sincero ne era quasi spaventato, eppure voleva ritrovarlo.
Aprì l’acqua del lavandino, si lavò le mani e per qualche assurda associazione mentale gli tornò in mente Cercei. Quella donna che l’aveva salvato venendogli in sogno. Bella, bellissima, dagli occhi chiari e la voce celestiale. Aveva la pelle diafana ed i capelli chiari di un angelo.
Non era più nitida come lo era nei suoi sogni. Jaime si sentì frustrato per aver perso il ricordo preciso persino di lei. Chiuse la porta del bagno ed accese la luce. Eccola la sua mano sul muro. Ci passò sopra i polpastrelli e poi strinse il pugno.
Doveva ricordare.
Cercei, Cercei, Cercei.
 
***
 
Là fuori Brienne era rimasta sconvolta. Come era potuto succedere? Non era da lei.
Già, assurdo, guardare il proprio uomo spogliarsi.
No, non era lui, doveva dargli tempo e lo sapeva.
Le mancava. Le mancava lui come l’aria. Le mancavano i suoi abbracci, la voce sussurrata, quei piccoli gesti con cui si capivano senza dire niente, l’assurdo modo in cui le leggeva la mente e sapeva fare esattamente quello di cui lei aveva bisogno. Le mancavano i suoi demoni ed il modo premuroso con cui lei ci si approcciava per farli stare in silenzio durante la notte. Le mancava fare l’amore con lui. Dei, come le mancava.
Fare l’amore era sempre speciale. Non c’era niente di più magico. La faceva perdere in quel turbine di sensazioni magnifiche ed elettrizzanti. Jaime la faceva sentire sempre su di giri, la baciava ovunque e le faceva dimenticare tutto quello che non fosse quel momento. Ci si dedicava sempre molto, non era mai frettoloso e gli piaceva prendersi i suoi tempi per accarezzarla e baciarla come meglio credeva in quel determinato momento. Era anche dolce e fantasioso. Jaime era una di quelle persone nate per amare, che aspettavano solo l’altra metà.
Ci fu solo un’unica volta, in cui Brienne prese in mano le redini e lui si lasciò guidare incuriosito, finendo troppo presto per darle piacere e troppo tardi per tirarsi fuori preventivamente. Brienne era sopra di lui e stava ascoltando i suoi sospiri, incantata come al solito. Poi un gemito, dei movimenti frenetici ed aveva capito. L’intontimento del momento l’aveva resa stupida e si era fermata anche lei frastornata. Poi lo sentì sorridere soddisfatto, chiamarla tamburellandole le dita sul petto mentre l’abbracciava e se ne ricordò. “Jaime!” lo sgridò, tirandosi su all’istante, allontanandosi e mettendosi a sedere dall’altro capo del letto.
“Hai ragione, scusa.” Le disse e le si avvicinò di nuovo. Per un attimo lei credette, dando per scontato, che lui avesse capito “Speravo di farmi perdonare con un bacio.” Aggiunse, portandosi con le labbra sul suo collo e con le mani tra le sue cosce.
“Cosa?” fece lei confusa. “No. Intendevo,” cercava di farsi capire, mentre gli sforzi di lui un po’ la scioglievano “è così che metti incinta una donna.” Spiegò, riferendosi a tutte quelle volte in passato in cui da amico si era giustificato con Brienne per esserci cascato con Cercei, usando un “non so come sia successo” parlando di Geoffrey, Myrcella e Tommen. “Domani dovrò prendere la pillola.” Protestò ancora lei.
“Sarebbe così tremendo?” chiese Jaime, quasi per gioco, senza smettere di baciarla. Era tutto un gioco per lui.
“Cosa?” chiese lei, ma lui non smetteva di baciarle il collo, leccarle dietro l’orecchio, toccarla ovunque. “Cosa hai detto?” ribadì, cercando di allontanarlo con le braccia, usando sapientemente i gomiti per farsi leva. Era improvvisamente allarmata, la testa confusa, non capiva più nulla. In testa solo scariche elettriche come o peggio di un orgasmo.
Jaime si arrese, si asciugò le labbra e cercò di ricomporsi. “Sarebbe così tremendo se adesso tu fossi rimasta incinta?”
Brienne non riusciva a capire. Si sentiva quasi offesa, tradita. Per niente intenerita o innamorata. “Io non sono la tua occasione per rimediare.” Gli disse solo.
“Non è quello che voglio. Cioè, sì, ma non così.” Si corresse e divenne serio. Si mise a sedere ed a guardare il vuoto, forse pensando ai figli che aveva avuto e mai cresciuto, a quello che si era perso. Oppure forse… “Volevo un figlio nostro.” Ammise. Chiuse gli occhi e sorrise. Brienne capì dall’espressione estasiata che aveva sul viso a cosa stava pensando in quel momento. Se lo stava immaginando, come aveva appena cominciato a farlo anche lei. I suoi capelli biondo dorato, gli occhi azzurro chiari, la forma delicata del suo viso, le sue espressioni furbe. Alto, davvero tanto. Brienne sorrise immaginandoselo ed allora si sentì emozionata ed innamorata. Voleva questo Jaime? Aveva visto questo nel vuoto? Sarebbe stato davvero così tremendo?
Non si era resa conto di aver chiuso gli occhi fin quando non sentì il bacio di lui a fior di labbra.
Brienne non aveva più preso la pillola. Aveva aspettato venti giorni, aveva fatto un test, ma le mestruazioni alla fine erano arrivate. Un po’ ci aveva sperato. Non sapeva come avrebbe gestito tutto, le faceva persino paura il pensiero, ma ci aveva sperato. Non ne parlarono più. C’è tempo, continuava a ripetersi.


 


Angolo dell'autrice
Mi sono resa conto di non essere molto seguita, quindi non mi dilungherò molto. 
Credo che questa sia la storia più adulta che abbia mai scritto. Mi sembra di aver trattato gli ultimi temi con la stessa naturalezza e timore del mondo degli adulti, quindi penso che mi toccherà alzare un po' il raiting ad arancione. Non penso di andare oltre.
Per il resto non credo ci sia molto da dire. Io sono innamorata di quello che ne sta uscendo, ci sto mettendo passione come non mi veniva fuori da un po' di tempo e ne sono particolarmente contenta, nonostante la scarsa attenzione che riesco ad attirare. Mi fa piacere se c'è anche una sola persona a cui questa storia sta piacendo :)
Ora come promesso vi lascio, un bacio :*

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 
Capitolo 4
 
 
Quando non ricordi più niente i giorni corrono veloci. La mattina arriva troppo presto, la sera segue in un battibaleno. È come avere la mente vuota, pronta a ricevere così tante informazioni, buttate confuse dentro un calderone, che pare tutto possa succedere insieme. Tutta quella confusione gli provocava l’emicrania. Per fortuna, il dolore era una delle possibilità attese per i dottori, tanto da trovare medicine per combatterla tra le loro prescrizioni. Questo rassicurava Jaime del fatto che la sua mente stesse guarendo com’era previsto da manuale e che quindi prima o poi si sarebbe riappropriato dei suoi ricordi.
Una notte la sognò. Sognò Cercei di nuovo. Ritrovarla fu come prendere una boccata d’aria, gli diede un senso di libertà e di leggerezza, facendolo fuggire dal quella opprimente sensazione di ignoranza. Era diverso però, c’era qualcosa che non andava, come se un po’ di quella tristezza quotidiana se la stesse trascinando nel suo mondo onirico.
“Sei lontana.” Le disse Jaime cupo, amareggiato.
Cercei inclinò il capo di lato, delusa, da qualcosa che lui aveva fatto o non aveva fatto. I lunghi capelli le ricaddero davanti al volto corrucciato. Fece per spostarli con le dita, dandogli modo di vedere la sua espressione, che gli animò qualcosa dentro. Si portò poi una mano sul ventre e si guardò indietro. Poi scomparve.
Quella mattina Jaime ebbe uno dei peggiori attacchi di emicrania che riusciva a ricordare. Aveva preso quelle pillole, forse troppe tutte insieme. Aveva vomitato e non aveva mangiato. Non si era sciacquato neanche la bocca. Si era chiuso in stanza ed aveva oscurato le finestre. Non voleva vederlo tutto quel bianco. Non c’era niente di bello, candido o affascinante quel giorno.
Più tardi Brienne l’aveva raggiunto in stanza. Jaime occupava ancora quella matrimoniale. C’erano diverse confezioni di pillole sul comodino, una bottiglia d’acqua e sul pavimento, disseminato qua e là, album di fotografie vecchie. C’era buio, com’era ovvio, intervallato solo da piccoli cerchi di luce che filtravano tra le doghe della tapparella.
L’aveva trovato semi seduto sul letto con una mano sulla fronte e la schiena poggiata sul cuscino. Brienne aveva parlato più e più volte coi dottori. Quegli attacchi di emicrania erano segno che la sua mente provava ad accedere ai suoi ricordi. Le avevano suggerito di parlargli in quelle situazioni, di raccontargli fatti passati. A lui sarebbero parsi come dei déjà-vu, ma presto sarebbero tornati. Anche Jaime lo sapeva e forse per questa ragione si era messo a sfogliare le fotografie.
Brienne si era messa a sedere dall’altro lato del materasso, una mano all’indietro, inclinata per potergli stare vicino, un po’ per egoismo, un po’ per dargli sostegno. Sapeva cosa c’era in quegli album di foto. In passato, certe volte, l’aveva trovato a guardarle così tanto che poi aveva deciso di prenderne una e nasconderla nel portafogli. Brienne non aveva ancora avuto il coraggio di renderglielo, ma sapeva che era tempo. Ormai aveva capito.
“Vuoi una mano?” gli chiese in sussurro: gli antidolorifici avevano appena cominciato a fargli effetto e non voleva che la sua voce gli rimbombasse nel cranio.
“Una testa.” Le rispose lui. Aprì gli occhi per controllare nel buio e quando la vide sorridere, accennò anche lui ad un sorriso.
Jaime non si faceva la barba da diversi giorni. I suoi denti bianchi spuntavano appena sul suo viso biondo e grigio. Brienne ce l’aveva davanti eppure non riusciva a smettere di pensare a quando rideva per davvero insieme a lei. “Vuoi che ti racconti qualcosa?” chiese poi.
Jaime si rabbuiò immediatamente. Prese un respiro profondo, cercando il coraggio di parlare, forse prendendo il discorso troppo alla lontana. “Tu sai tutto di me, non è vero?” aspettò che lei facesse un segno di sì col capo e poi andò avanti “Sono…” fece per chiedere, ma gli mancava il coraggio. Se chiudeva gli occhi, lo sentiva: quel senso di inadeguatezza, di incompletezza, un senso di colpa fisso e costante. Accennò agli album di fotografie. Erano pieni zeppi delle stesse foto, tutte uguali. Geoffrey, Myrcella e Tommen recitava l’intestazione che era scritta in quella che riconosceva come sua grafia. Le foto seguivano la crescita di quei bambini. Il più grande pareva avere almeno quindici anni. Una fitta gli attraversò di nuovo il cuore. Aveva sempre saputo che avrebbe potuto fare qualcosa di più, ribellarsi, urlare e strepitare, ma se l’era sempre fatto andare bene.
Cercei. Era lei, gli aveva chiesto di non dire niente. La prima volta, quando era incinta di Geoffrey, si era fatta prendere dal panico. Jaime l’aveva rassicurata, le aveva detto che avrebbe aspettato e che presto sarebbero potuti stare insieme per davvero. Poi lei lo aveva spiazzato. Gli aveva detto che avrebbe dovuto andare a letto con l’altro, suo marito, per far finta che fosse suo. Avrebbe dovuto lasciare che lui se la scopasse. Quella montagna bruna di barba, schifosamente ricco, schifosamente potente. Jaime non era nessuno a confronto. Al pensiero strinse di nuovo i pugni come aveva fatto con lei quella volta.
Era stata la seconda volta che Cercei gli aveva spezzato il cuore. La prima fu quando invece lei aveva sposato quella montagna bruna ed incivile. Jaime era in missione, ma sarebbe tornato, sarebbe tornato da lei, gliel’aveva promesso e glielo diceva in ogni lettera che le scriveva. Ed invece al suo ritorno l’aveva trovata sposata. Si era detto che prima o poi sarebbe finita, non sarebbe durata. Poi era rimasta incinta ed il bambino era suo. Quando arrivarono Myrcella e Tommen, Jaime ormai ci aveva fatto l’abitudine. Non osava neanche avvicinarsi a lei durante tutta la gravidanza. Aveva paura di pensare a quelli come figli suoi. Aveva paura di sentirli muoversi nella pancia, di guardarli negli occhi, di studiare le sue foto da bambino ed i loro visi.
Era sorprendente come era riuscito a ricordare così tante cose, così tanti anni guardando semplici fotografie. Si era concentrato su quello che gli muovevano dentro e c’era arrivato.
Ogni volta gli faceva male ricordare che non aveva fatto niente, aveva accettato passivamente. Piuttosto che urlare, dirle che erano anche i suoi figli, che era suo diritto, che suo marito non ne era mai stato capace e che i bambini dovevano sapere chi era il loro padre. Avrebbe potuto dirlo, avrebbe dovuto, ma non l’aveva mai fatto. Per amor suo. Prima o poi sarebbero stati insieme, prima o poi loro l’avrebbero saputo. Ci credeva e non aveva sentito quel senso di colpa fino a quando… Alzò gli occhi e c’era Brienne davanti, col volto speranzoso e ferito insieme.
Si era ricordato di Cercei, dei suoi figli, ma non ancora di lei. Certo, era naturale, era ovvio che sarebbe andata così. Eppure, non poteva fare a meno di provare una fitta di dolore. Era come se quella vicenda le rivelasse l’inconscio di Jaime, le sue priorità, tutto. In fondo in fondo, sapeva di non essere mai stata così importante per lui.
Brienne prese il suo portafogli dalle tasche e glielo rese. Lo custodiva tra le mani come se fosse un oggetto importante. Jaime fu colpito da così tanta premura.
“E’ mio?” chiese stupidamente lui.
“H-hm.” Mugugnò Brienne. Le sarebbe mancato, un altro degli oggetti del vecchio Jaime. Profumava di lui e dei suoi vestiti, di pino, di vento.
Jaime lo aprì. La foto era là. Riconosceva la luce, i colori. Non solo perché aveva visto tante altre immagini simili sparse sul pavimento in quegli album, scattate forse tutte con la stessa macchina. La guardava spesso, se lo ricordava. I tre ragazzini erano là e lo guardavano anche. Si ricordava anche il giorno in cui l’aveva scattata. Ricordava Brienne che gli diceva che Myrcella aveva il suo stesso colore e taglio degli occhi. Myrcella era dolce, sensibile, premurosa, affettuosa. Lo riconosceva persino nel suo carattere, sopravvalutandolo come sempre.
Chiuse poi il portafogli di colpo per non doverla più guardare. Il dolore era troppo grande per riuscirlo a sopportare. Sbuffò e si guardò attorno. Se Jaime aveva bisogno di farsi la barba, Brienne aveva bisogno di tagliarsi i capelli. Continuava a pettinarseli all’indietro per nascondere la coda che le si allungava solo sul collo, in una brutta imitazione di quelle acconciature punk anni Ottanta. “Sì, raccontami qualcosa.”
“Che cosa?”
“Non lo so,” rispose solo, evitando di puntualizzare che se l’avesse saputo non gliel’avrebbe chiesto di certo “ci conosciamo da così tanto e non trovi qualcosa da raccontarmi?” chiese invece, sperando che in uno qualunque dei suoi racconti riuscisse a trovare una traccia di sé stesso.
“Uhm…” fece per pensare lei, guardando altrove, cercando tra i suoi ricordi più belli quello da potergli raccontare. Non riusciva ad isolarne uno. Non avevano mai fatto viaggi, cene romantiche o plateali dichiarazioni d’amore da poter raccontare. La loro felicità era nella quotidianità, stava nel tenersi la mano per strada, nel fare le compere e cucinare insieme, nello svegliarsi l’uno accanto all’altra, essere instancabili o nel guardare un film. Se avesse dovuto raccontare qualunque di quelle cose, sarebbero parse noiose.
“Come ci siamo conosciuti?” le diede lui l’input, pensando che magari partire dall’inizio l’avrebbe riportato indietro al punto da riuscire a capire più cose del presente.
Brienne rispose freddamente come se fosse un elenco di cose accadute, lette magari da un libro di storia. “Nell’esercito, tu col tuo reggimento, io col mio…”
“No, no. Questo lo so.” La fermò Jaime “Quando è iniziata?” chiese, accennando ad un minimo gesto col dito tra loro “Siamo mai stati amici?” continuò ad insistere, sperando con poche risposte di poter ricostruire i pezzi.
Brienne cominciò a pensarci su. La tentazione di dire sì era forte, anche se in effetti così non era mai stato. C’era stima, passavano del tempo insieme e sì, forse basta questo per definirti amico di una persona, eppure c’era qualcosa di più. Si ruotavano attorno come corpi celesti, attratti dalla reciproca gravità, spinti via da quella energia cinetica che distingueva entrambi. C’era sempre stato qualcosa di più. C’era stima, fiducia ed una strana energia che era nell’aria.
 
***
 
La notte dopo quel loro primo bacio davanti al televisore acceso, dopo che Jaime si era presentato alla sua porta dopo aver litigato, si addormentarono entrambi su quel divano. Il tessuto era scucito in più punti, la spugna esposta ed odorava di polvere. Briciole delle cene precedenti erano accumulate tra le pieghe, pizzicavano la pelle e se le sarebbero dovute togliere di dosso al mattino.
In realtà Brienne era rimasta sveglia quasi tutta la notte e non fu per via del divano vecchio. Stava pensando a quello che era successo ed a cosa comportasse. Era strano averlo lì, così vicino. Era normale eppure insieme, come se non fosse la prima volta, come se succedesse tutte le sere. Jaime aveva il viso finalmente rilassato, non una smorfia a turbarlo. Il viso pulito dalla barba, i capelli tagliati di recente. Aveva la pelle ancora dorata, baciato dal sole, nonostante l’autunno fosse ormai inoltrato. Se ne stava steso sul fianco, la schiena schiacciata contro i cuscini, le braccia aperte perché lei dormisse col capo sul suo petto. Le mani grandi erano nascoste una sotto al fianco e l’altra dietro la sua schiena ad abbracciarla. L’odore che emanava era inebriante. Non usava profumi, dopobarba o oli particolari, era l’odore della sua pelle calda che la colpiva tanto.
Quando si erano ormai fatte le quattro del mattino, Brienne decise di alzarsi. Lesse l’orario sul piccolo schermo del video registratore e si arrese ad una notte insonne. Allontanò le mani, senza girarsi cercò di toccare terra prima con un piede e poi con l’altro, fino a mettersi seduta. La mano di Jaime ricadde sul divano accanto a lui. Si strinse e si risistemò, finendo con la guancia schiacciata al divano, abbracciato ad un cuscino.
Brienne guardò l’alba quel giorno. Abitava ancora nella sua vecchia casa di città ad Approdo del Re. Comprava macina di caffè di seconda scelta e lo preparava in una macchinetta che ormai sapeva di bruciato, però tutte quelle cose avevano un sapore confortevole. Mentre rifletteva sul suo prossimo passo, Jaime la raggiunse. Doveva aver fatto rumore o forse erano stato proprio l’odore di caffè bruciato ad averlo svegliato.
“Già in piedi?” chiese lei in un tentativo di mantenere le cose identiche a sempre.
“E tu?” rispose lui piano, con la bocca ancora impastata di saliva appiccicosa e densa “Non hai dormito?” si grattava il capo in modo adorabile, scompigliandosi i capelli con fare assonnato. L’alba lo rendeva ancora più affascinante e Brienne detestava pensare quelle cose quando avrebbe dovuto soltanto prenderne le distanze per non soffrire ancora una volta.
La donna scosse il capo e tornò a guardare fuori. I tenui raggi del sole facevano ancora difficoltà a superare l’altezza delle palazzine. Il nero delle strade diventava grigio e piano piano celestino. La luce entrava attraverso la finestra illuminando la polvere che danzava in aria indisturbata.
“Ehi.” La chiamò lui, accarezzandole il braccio col dorso delle dita, sperando di poter replicare con quel gesto la morbidezza e la dolcezza dell’alba. La carezza divenne poi pian piano un abbraccio, fino a quando non fu con il petto contro la schiena di lei e con il mento sulla sua spalla ad annusare quel brutto aroma di caffè. Brienne gli allungò la tazza e Jaime ne prese un sorso, sforzandosi poi di non sputarlo abbozzando una smorfia.
Erano strani tutti quei gesti, proprio come quel bacio, proprio come la sua presenza lì. Erano nuovi, eppure così semplici, come se Brienne li avesse sempre conosciuti. Le sue labbra erano là, arricciate sulla sua spalla, a mezza spanna dalle sue. Respiravano la stessa aria. Chiuse gli occhi e si avvicinò ancora di più, finché fu lui a baciarla di nuovo.
Durante la notte la barba gli era appena cresciuta, diventando da solo un’ombra sulle guance una irregolarità palpabile. Le pizzicava le guance e la bocca ed era perfetto così. Aveva il sapore di quel caffè e del sonno. Si muoveva piano, ma in maniera sempre più audace, avida ed eccitante. C’era il silenzio attorno a loro, l’unico rumore nella casa silenziosa erano le bocche umide che si muovevano. Pareva irreale, sospeso tra un sogno e la realtà.
“Jaime?” lo interruppe lei, senza mai allontanarsi o aprire gli occhi, in una supplica quasi. Odiò come le uscì il suo nome dalle labbra.
“Shh.” La pregò lui.
“Per favore?” insistette lei di nuovo, ma nonostante tutto continuò a baciarlo. Erano le prime volte, sembrava non essere in grado di smettere. Lo guardava mentre con gli occhi chiusi la baciava anche lui, come da una prospettiva diversa. Poi lui si staccò da lei, aprì gli occhi verdi e la fissò intensamente nei suoi. “Non riesco a guardarti così.” Gli confidò Brienne spontaneamente, sorridendo imbarazzata.
Anche Jaime sorrise allo stesso modo, divertito poi dalle reazioni di entrambi. Le cinse la vita con le mani e si nascose con la fronte poggiata contro la nuca di lei. “Ora non devi guardarmi.”
Era stata una trovata poco seria, infantile, evitante, ma spiritosa. Sorrise e sperò che lui l’avesse sentito. C’era così tanto da dire, ma Brienne rimase in silenzio, non sapendo assolutamente da dove cominciare. Guardò le sue mani incrociate, una appesa all’altra e con un palmo contro la sua pancia in un’intima carezza. Avrebbe voluto non esserne così distratta.  Pareva emanare scintille ovunque la toccasse, in quel silenzioso appartamento alle prime luci del mattino.
“Vuoi chiedermi se faccio sul serio?” le domandò poi composto, così imperturbabile da parere arrogante o aggressivo, da fargli sentire che riuscisse a pilotare la conversazione in una insolita situazione di potere, una maschera come tante altre. “Perché sono qui, perché ti bacio e…”
Brienne si girò, sciolse l’abbraccio e lo guardò. Sembrava imbarazzato anche lui, improvvisamente scoperto e senza una parte da recitare. Stava quasi per indietreggiare e lo afferrò. “Voglio chiederti perché ora.”
“Ora?” ripeté lui incredulo e stupito. Sembrava superficiale per lui dover spiegare. Non sapeva come dirle che da quando l’aveva conosciuta qualcosa era sempre andato storto, tutte le sue convinzioni erano state messe in dubbio e quello in cui credeva all’improvviso non era più così importante. Si era raccontato tante balle per restare con Cercei, si era messo in discussione così tante volte da sentirsi diverso, ma con Brienne era di nuovo quello di prima, quello di sempre, protagonista della sua storia, coi suoi ideali ed i suoi obiettivi. All’inizio pensava spesso a lei, poi l’idea di baciarla era diventata semplice e costante, fino a diventare ossessionante. Parlava con lei, si fingeva suo amico ed intanto immaginava di fare l’amore. Non tollerava più le assurde richieste di Cercei, la sua presenza era diventata opprimente, le sue mani lo manovravano come le grinfie di un burattinaio. Non c’era mai stato un perché ora e non prima. Era stato piuttosto un crescendo di emozioni che si accumulavano goccia dopo goccia fino a traboccare. Prima o poi sarebbero uscite fuori ed era quello che era successo. Ed era dolce, perfetto, liberatorio.
Guardare Jaime indifeso davanti a lei sembrava sbagliato. Forse era la sua vulnerabilità a darle la forza necessaria. “Ho sempre provato qualcosa per te.” Gli disse in un impeto di coraggio.
“Anch’io.” Si affrettò a dire lui. Sembravano due imbranati. Si sorrisero a vicenda ed abbassarono lo sguardo.
“Ora che si fa?” chiese spiandolo timidamente da sotto le palpebre.
Jaime scrollò le spalle, le prese la mano, le sorrise e si avvicinò per baciarla di nuovo.
 
***
 
Tyrion arrivò qualche giorno dopo. L’emicrania aveva abbandonato Jaime e finalmente qualche nodo cominciava a venirgli al pettine, qualche pezzo ad incastrarsi ed un po’ alla volta il passato pareva avere senso. Quello che non quadrava, quello che sentiva di aver perso più che i suoi ricordi, era però il presente. Non solo aveva passato mesi in ospedale, in coma o sotto i ferri. Non solo aveva perso giorni di fisioterapia ed emicrania in una casa che non riconosceva neanche più come sua, ma era ancora fermo là a guardarsi la vita scorrere accanto ad aspettare insieme a Brienne di tornare ad essere quella persona che ormai non conosceva più.
“Sei migliorato.” Gli fece Tyrion raggiungendolo in cucina, al tavolo ed arrampicandosi sopra alla sedia. Era tutto imbacuccato di abiti pesanti: la maglia di lana, i corti pantaloni a coste, stivali alti ed un giubbino gonfio e pesante che non si toglieva neanche in casa. Aveva lasciato solo le mani scoperte, lanciando i guanti sul tavolo davanti a sé che Jaime si fissò a guardare.
Jaime sorrise sardonico. Si alzò e recuperò una bottiglia di vino, mal conservata nel frigorifero. Sbuffò e con due bicchieri lo raggiunse di nuovo. “In che modo?” Chiese, pensando che suo fratello si riferisse alla sua testa, come faceva sempre Brienne. Non che a lei interessasse solo quello, anzi lo incoraggiava quotidianamente a fare tutti i suoi esercizi, lo spronava ad essere indipendente ed a prendere le sue medicine.
“Cammini di nuovo più veloce di me, tanto per cominciare.” Scherzò Tyrion, senza ricevere però risposte ugualmente entusiaste dal fratello, che al contrario ricambiò con uno sguardo malinconico. “Allora, come va con la…” chiese portandosi due dita della mano destra alla tempia, finalmente rivelandogli il motivo di quella visita. Controllarlo, controllarlo ed ancora controllarlo, come faceva costantemente anche Brienne e praticamente chiunque altro incontrasse.
Jaime era stanco della gente che voleva controllarlo, che sperava che si risvegliasse una mattina con tutti i suoi ricordi, che tornasse ad essere quella persona che tanto mancava a tutti, che tanto riconoscevano in lui. Sbuffò. Non ne poteva più. “Mi sento in trappola.” Disse alla fine.
“Ironico.” Commentò subito Tyrion.
“Perché?” rispose Jaime con fare polemico.
“Mi hai detto le stesse parole quando hai deciso di trasferirti qui con la tua dolcissima metà.” Ironizzò l’altro.
Jaime sospirò. Forse era davvero ancora la stessa persona che gli altri conoscevano. Chiuse gli occhi e si rese conto quanto questi gli bruciavano dietro alle palpebre. Il ricordo dei tre ragazzi lo tormentava e lo faceva uscire fuori di testa. Come i suoi occhi, anche le sue tasche bruciavano. E poi c’era lei, ancora ed ancora. Cercei, quel ricordo costante, quel sogno che ormai faceva ogni notte. Doveva trovarla. Non gli importava più niente di chi gli stava attorno e quello che dicevano. Tyrion e Brienne avrebbero dovuto accettare la sua decisione. Sarebbe stato triste, avrebbero sofferto, ma la vita è imprevedibile e Jaime abbracciava quella imprevedibilità. Si tenne la testa con le mani, poi si arrese ad un altro mal di testa che era in agguato. Raccolse poi il portafogli dalle sue tasche, lo aprì e mostrò a Tyrion quella fotografia. Dalla sua espressione capì che anche suo fratello doveva averla riconosciuta a primo colpo. Un flashback improvviso ricordò a Jaime della prima volta in cui aveva gliel’aveva mostrata. Era impossibile non notare la somiglianza sfacciata tra lui ed i suoi ragazzi.
“Credono che tu sia loro zio.” Gli spiegò Tyrion, poi ci pensò “Zio acquisito.”
Sebbene già lo sapesse faceva male sentirlo. “Lo so.” Si avvicinò di nuovo la foto e guardò più da vicino. Myrcella era quella che gli somigliava di più, con lei aveva sempre avuto un rapporto più stretto. Era con lei che doveva parlare. Lei e Cercei l’avrebbero capito ed aiutato con i due ragazzi. “Tu capisci che devo tornare da lei.” Disse come fosse un’affermazione più che una domanda. “Da Cercei.” Sottolineò poi. L’idea di averla vicino, di stringere la madre dei suoi figli, di poterla finalmente toccare, abbracciare, baciare lo faceva sentire subito euforico. Avrebbe fatto di tutto pur di riuscirci. Sarebbe andato in capo al mondo. Le avrebbe chiesto scusa, le avrebbe detto di amarla e lei avrebbe capito. Avrebbe lasciato suo marito e sarebbero vissuti tutti insieme, tutti e cinque come una vera famiglia.
C’era qualcosa che rabbuiò il volto di Tyrion. Non era più sorpreso come i primi giorni, ma neanche così felice di aiutarlo. “Io non so neanche dove vive.” Disse con una pallida scusa per allontanarlo dai suoi intenti.
“Ma hai un numero di telefono.”
Tyrion si agitò. Avrebbe voluto dirgli di no e basta. Se lo ricordava Jaime durante quei lunghi in anni. Viveva nell’ombra, amava di notte e si nascondeva sotto la luce del sole di giorno. Era diventato un’ombra. Quando divenne ormai ovvio difendeva quella donna con le unghie e con i denti. Difendeva lei e per certi versi denigrava sé stesso. Parlava spesso dei suoi non-figli, sosteneva di poter uccidere per lei o per loro, voleva che lui li conoscesse. Eppure, non era mai stato felice, solo più triste giorno dopo giorno, gravidanza dopo gravidanza. Poteva toccare l’amore, la famiglia, ma mai averla. Assaporava il sapore della felicità per lasciarla andar via ogni volta e tornare a casa da solo, dove tutto quello che gli rimaneva erano un mucchio di foto a cui cantare la ninnananna. Da quando stava con Brienne invece, l’aveva visto finalmente felice. Rideva e sorrideva, ma con tutto il volto. Era tornato ad essere il ragazzino con cui era cresciuto insieme. Non era per sé stesso però che gli dispiaceva, ma per lui. L’avrebbero atteso ancora una volta anni di patimenti ed umiliazioni dietro alla gonna di Cercei. Tyrion sospirò: se non per lei, per quella donna, doveva farlo quanto meno per i tre ragazzi. Cercò sul cellulare, prese un pezzo di carta, trascrisse un numero di telefono e poi se ne andò.
Fuori dalla porta c’era Brienne, seduta a terra con le spalle al muro contro le assi di legno verniciate di bianco sbriciolata, un’espressione indecifrabile e la bocca salata di lacrime. Non lo guardava neanche in faccia, come se fosse colpevole per le richieste mossegli dal fratello. “Non sono tuo nemico, Brienne.” Le disse, cerando un appiglio. Non è colpa mia, avrebbe voluto aggiungere.
“Neanche mio amico però.” Rispose amaramente lei, che non sapeva che altro commentare. Non c’era rabbia sul suo volto.
“Sono suo fratello.” Protestò Tyrion. Se avesse avuto voce in capitolo, se avesse dovuto scegliere quale tra le due donne gli piacesse di più per Jaime, avrebbe risposto Brienne ad occhi chiusi.
“Ok.” Rispose solo lei e questo gli parve strano. Non strepitava, non urlava come aveva fatto coi dottori in quei giorni in ospedale. S’era arresa e soffriva. S’era arresa fin troppo facilmente per una che aveva aspettato che Jaime si accorgesse di lei sin dai primi giorni in cui s’erano conosciuti. L’aveva notato Tyrion come lei lo guardava, lo amava sin dall’inizio. E allora perché arrendersi così? Perché Jaime lottava per Cercei e Brienne non lottava per lui? Un dubbio cominciava a farsi strada nella sua testa. Che fosse colpa sua? Che in realtà lo sapesse? Che si incolpasse dell’incidente di Jaime? La guardò per la prima volta dall’alto verso il basso e per la prima volta le sembrò piccola. L’idea di chiederlo se ne andò così come venne. Doveva essere proprio un insensibile anche solo per pensare ad una cosa del genere. Girò i tacchi e se ne andò.
Poco più tardi Brienne fece uno sforzo per pulirsi la faccia. Si portò le mani fredde sugli occhi per nascondere il gonfiore delle lacrime e tornò in casa. Trovò Jaime che si rigirava quel foglietto tra le mani davanti ad un bicchiere di vino ancora pieno. Pareva non averla notata, quando invece disse ad alta voce. “Devo chiederti un favore.” Fece con voce ferma, non togliendo gli occhi da quella foto e dall’appunto di Tyrion “Devo parlare con lei.”
Sembrava un tuffo nel passato, un dolorosissimo déjà-vu. “E me lo dici perché…” non era una domanda, piuttosto l’offerta di darle una risposta
“Sento che con te devo essere onesto.” Disse solo. Sapeva che questa era una sua caratteristica, sapeva che lei lo spingeva sempre ad essere la versione migliore di sé, che forse era sempre stato questo ad averlo attratto di lei. Eppure, c’era dell’altro. “E se non recuperassi mai tutto?” chiese. Non trovò sorpresa sul volto di Brienne, come se lei ci avesse già pensato, se non ne fosse addirittura convinta. “E se ricordassi tutto e non fossi comunque più la stessa persona?” Sapeva che prima o poi le sue memorie sarebbero tornate. Sapeva che prima o poi avrebbe ricordato tutto e che sarebbe tornato quel Jaime che Brienne aspettava, ma nel frattempo lui era là. Respirava, parlava, viveva nuove o vecchie esperienze, sviluppava ricordi e provava emozioni. Avrebbe dovuto ignorare quelle emozioni?
Brienne si guardò attorno. Distolse lo sguardo per non dovergli mostrare di nuovo le lacrime. Cercò il telefono, lo staccò dalla corrente e glielo porse. Jaime la guardava. Doveva prenderlo? Doveva chiamarla?
Brienne premette un pulsante, il rumore dei tasti riempì l’ambiente. Finalmente l’inverno pareva come doveva essere: vuoto, freddo e fin troppo silenzioso. Se avesse emesso anche solo un singhiozzo, questo le sarebbe ritornato con l’eco. Abbandonò lì la cornetta, sul tavolo accanto al vino, e se ne andò seguita dal suo sguardo sorpreso.



 


Angolo dell'autrice
Eccola che a volte ritornano parte 2. 
Beh, sto mettendo su un po' di angst, devo ammetterlo. Onestamente a me sta piacendo molto scrivere questa storia, mi auguro che a voi stia invece facendo piacere leggerla. 
Dunque non saprei che altro scrivere o commentare. Ringrazio solo chi è arrivato fin qui. Se c'è qualcosa che non va spero sempre che qualcuno mi dia una voce e... buona giornata :) un bacio 

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