In un battito

di Il cactus infelice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il primo giorno ***
Capitolo 2: *** La lezione di francese ***
Capitolo 3: *** Segreti che tormentano ***
Capitolo 4: *** Occhi tempestosi ***
Capitolo 5: *** Sirius Black ***
Capitolo 6: *** Chiacchiere tra amici ***
Capitolo 7: *** Un rifiuto ***
Capitolo 8: *** L'erede della famiglia ***
Capitolo 9: *** Fare conoscenza ***
Capitolo 10: *** Distrazioni ***
Capitolo 11: *** Le canzoni che ti dedico ***
Capitolo 12: *** In biblioteca ***
Capitolo 13: *** Feste e fumetti ***
Capitolo 14: *** La festa di Halloween ***
Capitolo 15: *** Il giorno dopo ***
Capitolo 16: *** E' tutto normale ***
Capitolo 17: *** Mi stai evitando? ***



Capitolo 1
*** Il primo giorno ***


IL PRIMO GIORNO 

 

“Allora? Pronto?” 

Remus sospirò. Avrebbe voluto avere lo stesso entusiasmo di sua madre alle sette di mattina, avrebbe voluto averlo per il suo nuovo primo giorno di scuola. E invece probabilmente gli era rimasto sotto le coperte. Quella era la quarta scuola che cambiava in cinque anni quindi di primi giorni ne aveva avuti più di quanti ne potesse sopportare. E sapeva già come sarebbe andata anche con quello: una scuola qualunque di una città qualunque sotto un cielo grigio con persone che avrebbe mal tollerato dall’inizio alla fine e che lo avrebbero tenuto a distanza solo perché era il ragazzo nuovo arrivato a semestre iniziato e che se ne stava sempre per i fatti suoi. 
A lui andava bene così, in fondo non è che gli servisse farsi degli amici quando alla fine dell’anno avrebbe cambiato scuola nuovamente. 
Le prime due volte era stato per il lavoro di suo padre e le altre due per la sua condizione. Avevano girato diversi ospedali del Regno Unito per trovare il migliore, quello che potesse curarlo o quantomeno tenerlo il più stabile possibile, e Remus non voleva nemmeno sapere quanti soldi avevano speso i suoi genitori quando non era lo Stato a coprire le sue spese mediche.
Suo padre era stato licenziato quando la salute del figlio era peggiorata e si era dovuto prendere troppi giorni di permesso, litigando pure col capo che non poteva capire cosa significasse avere un figlio malato. Sua madre invece aveva lasciato il lavoro quando Remus era ancora piccolo e aveva sviluppato i primi sintomi proprio per poter essere sempre disponibile nel caso si sentisse male e accompagnarlo alle visite mediche. 
Senza contare tutte le città che avevano dovuto cambiare e i traslochi avevano sicuramente prosciugato il loro conto. 
Eppure Hope si alzava tutte le mattine con un sorriso sul volto, preparava un’abbondante colazione al figlio e lo salutava piena di entusiasmo prima di mandarlo a scuola. Remus non capiva davvero come facesse quando tutto ciò che voleva fare lui era gettare la spugna. 
Sperava solo che quella fosse la destinazione definitiva. Il suo medico precedente conosceva questa cardiologa che lavorava a Brighton e che era una delle migliori e in meno di un mese i suoi avevano arrangiato tutto. 
Remus sperava davvero che questa fosse la volta definitiva. Ma non voleva nemmeno aspettarselo troppo. 
Quando l’autobus si fermò alla fermata, Remus salì svogliatamente e non si guardò nemmeno troppo attorno, prima di infilarsi le cuffie nelle orecchie. 
Si sedette sul primo posto che trovò libero e aprì il libro di Toni Morrison. Il preside della scuola era stato gentile da passargli il programma delle materie di quell’anno ed era riuscito a prendersi un po’ avanti. 
Già iniziare a Ottobre non era il massimo, se doveva pure rimanere indietro nelle materie sarebbe stato anche peggio. 

 

Il viaggio fino a scuola avvenne senza troppi imprevisti, il che non era da dare per scontato. Una volta l’autobus che aveva dovuto portarlo a una delle sue precedenti scuole aveva bucato una gomma e avevano dovuto aspettare un po’ perché un altro autobus venisse a prenderli. Inutile dire che era arrivato con due ore di ritardo il suo primo giorno.
Gli capitavano semplicemente queste sfighe. A volte Remus pensava di essere nato sotto una cattiva stella. Non che fosse scaramantico o superstizioso, però…
La scuola che avrebbe frequentato quell’anno era… Come una qualsiasi altra scuola, davvero. Un edificio grande, con un giardino attorno che, a differenza di tanti altri - Remus lo doveva ammettere - era piuttosto curato. E l’altra cosa degna di nota erano le porte a vetri che davano un effetto di minore piattezza e più libertà. 
Anche gli alberi di nocciole su un lato regalavano un aspetto confortevole al tutto. 
Almeno non avrebbe dovuto fissare muri grigi e tristi. 
Per prima cosa, Remus si diresse verso la segreteria; la prassi ormai la conosceva: andare in segreteria, prendere l’orario, incontrare il ragazzo o la ragazza che avrebbe dovuto fargli da Cicerone e spiegargli le eventuali regole e le cose importanti che doveva sapere. 
“Ciao!” salutò entrando nell’ufficio della segreteria. 
Un giovane dalla pelle nera alzò lo sguardo su di lui. 
“Sono quello nuovo. Remus Lupin”. 
“Oh!” esclamò il giovane come uscendo da una specie di trance. Subito si mise a rovistare in mezzo a una pila di carte a lato della scrivania. 
“Tieni!” disse passandogli un foglio. 
“Questo è il tuo orario. Puoi pure accomodarti lì mentre aspetti che ti vengano a prendere”. 
Remus prese il foglio e guardò dietro di sé le sedie che il tizio gli aveva indicato con un cenno del capo. 
Si sedette e lesse l’orario. Benissimo, quel giorno iniziava con francese, due ore di matematica - non proprio le sue preferite - storia e ginnastica, da cui per fortuna era esonerato per le sue condizioni di salute e di questo era estremamente grato, uno perché almeno poteva studiare e mettersi in pari con le materie che veramente gli interessavano e due, perché aveva la coordinazione di una foca e non voleva davvero fare delle figuracce. 
La porta della segreteria si aprì di colpo e una ragazza entrò trafelata. 
Remus riuscì a distinguere solo una matassa di capelli rossi. 
“Benji! Credo che oggi imploderò contro qualcuno”. 
“Cerca di trattenerti almeno fino all’ora di pranzo, Lily. Il ragazzo nuovo è qui”. 
La ragazza, Lily, si girò dove il segretario, Benji, le aveva indicato e con gli occhi percorse la figura di Remus prima di sorridergli cercando di mettere in quel sorriso tutta la cordialità di cui era capace. 
Ottimo!, pensò Remus, gli serviva proprio un’altra persona che faceva quel lavoro solo per i crediti dell’università. Gli era già capitato in passato e solitamente erano sempre ragazzi che avrebbero preferito trovarsi in qualunque altro posto che lì con lui, svogliati, frettolosi e scorbutici. 
“Ciao, Remus. Giusto?” fece la ragazza. 
Almeno aveva avuto la decenza di imparare il suo nome. 
“Sì”. 
“Piacere. Io sono Lily Evans”. 
Remus si alzò e le strinse la mano. 
“Andiamo? Abbiamo venti minuti prima che inizi la prima ora”. 
“Certo!” 
Lily aprì la porta e lo lasciò precederla. 
“A dopo, Benji”. 
“A dopo Lily”. 
Remus e Lily tornarono nel corridoio principale dove alcuni studenti si stavano già radunando, sguardi fissi sul telefono o intenti a chiacchierare in piccoli gruppetti. 
“Be’, da dove cominciamo?” fece Lily, ponendo la domanda più a sé stessa che a lui. 
“Qui al piano terra ci sono le aule di letteratura, matematica e storia. Di là a destra trovi l’auditorium”. 
Remus seguì il dito di Lily che indicava una grossa porta grigia. “Lì si tengono le riunioni importanti o per eleggere il rappresentante studentesco. In fondo al corridoio c’è l’ufficio del preside”. 
Quello Remus lo sapeva, ci era stato quando si era dovuto iscrivere. 
“Accanto c’è quello del signor Vitious, lui è tipo lo psicologo della scuola. Anche se la sua non è proprio una laurea in psicologia. Dalla parte opposta invece trovi la mensa”.
“Okay”, disse Remus solo per la pressione di farle capire che la stava seguendo. 
“Al primo piano trovi il laboratorio di scienze, l’aula di etica e filosofia, la palestra, il laboratorio di musica, quello di arte e il teatro. Se ti interessa stanno cercando attori per lo spettacolo di quest’anno”.  
“Oh, ehm… Non credo di esserci portato”.
“Oh, tranquillo. Tanto faranno Romeo e Giulietta. Lo spettacolo più mainstream di sempre”. 
Remus ridacchiò Su quello si trovava d’accordo. 
“E l’ultimo piano è adibito agli uffici dei prof”. 
“Oh, be’... grazie”, disse Remus intuendo che la presentazione fosse finita. 
“Non c’è di che. Cos’hai la prima ora?” 
Remus lanciò un’occhiata all’orario, solo per scrupolo; lo aveva già imparato a memoria mentre stava aspettando Lily. 
“Francese”. 
“Fantastico! L’aula è vicina a quella di matematica. E’ in condivisione con l’insegnante di spagnolo”. 
“Capisco”. 
Remus fissò lo sguardo sul volto di Lily e notò che era piuttosto carina; un volto morbido, il naso piccolo e punteggiato di lentiggini, occhi straordinariamente verdi. Anche i capelli erano fantastici, un rosso acceso, come una fiamma, piuttosto che piatto come gli capitava di vedere più spesso. 
A un certo punto si rese conto che la stava fissando e abbassò subito lo sguardo, imbarazzato. Lily non se ne accorse, o se lo fece, non disse nulla. 
“Sei arrivato ad anno già iniziato, ma se ti interessa puoi ancora registrarti a qualche corso extra. L’orchestra cerca sempre nuovi membri e anche l’istituzione per aiutare nell’organizzazione del ballo scolastico. Sai suonare qualche strumento, Remus?” 
Remus si sentì cadere dalle nubi. 
“Come? Oh no… Cioè, più o meno. A dire il vero…”. 
Calmati, Remus, non ti agitare.
“Penso di volermi concentrare sui libri”. 
Lily sorrise. “Saggia idea”. 
“Be’, se non hai domande, noi abbiamo finito. Come vedi, è una scuola come un’altra. Nulla di particolare. Se però ti viene in mente da chiedermi qualcosa nello specifico, non esitare a cercarmi. Il tuo armadietto lo hai già?” 
“Oh sì, è il 111”. 
“Perfetto. Vieni di qua!” 
Lily lo condusse per una fila di armadietti e si fermò proprio al 111. Gli diede un paio di colpetti e quello si aprì. 
“Eccolo, tutto tuo!” 
La ragazza si voltò verso Remus e, impostando la voce, disse. “Benvenuto alla Junior High”.
“Grazie”. 
Finalmente anche Remus si trovò a sorridere. Lily forse si piazzava al primo posto tra tutti i tutor che aveva conosciuto. 


*** 

Chi già mi segue dall’altra fanfiction, Estate 2020, probabilmente penserà “ehi, ma iniziare una nuova fanfiction non le impedirà di scrivere l’altra?”
Non dovrebbe, o almeno, cercherò di fare in modo che non sia così. Estate 2020 ha la mia massima priorità e lì gli aggiornamento resteranno la domenica.

Il fatto è che con questa mezza quarantena (per me totale perché non lavoro e l’università è chiusa, perciò esco solo per fare la spesa ogni tanto) ho bisogno di qualche distrazione piacevole. E le fanfiction sono la mia comfort zone. Diversi capitoli sono già pronti, ma non so se l’aggiornamento sarà settimanale. Li ho scritti nel mio taccuino, a mano, perciò devo riuscire a ritagliarmi di tanto in tanto qualche momento per ricopiarli al computer. 
Questo è quindi un mio piccolo progetto “da quarantena”. Ciò non significa che appena avremo la libertà di uscire smetterò di aggiornare. Questa storia ha già un finale e quindi sì, la concluderò, che sia prima o dopo. E’ solo per sottolineare che non so se riuscirò a essere costante come con Estate 2020. Spero però che ciò non vi freni dal leggerla : ) 


Questa è la mia prima/primissima Modern AU senza magia. Ne ho lette diverse che mi sono piaciute molte e mi sono detta “perché non provare?”
Sarà una fafiction piena di angst, fluff, drama e dolcezza. Almeno questa è la mia idea. E sì, si tratta di una Wolfstar.

Bene, che dirvi? Vi ho convinti? Spero di sì :) e se voleste provare a dare un’occhiata anche alle mie altre storie, vi invito a leggere Estate 2020, Afterwar e Un giorno di pioggia (queste sono quelle a tema Harry Potter). 

Ultima nota: RECENSITE!!!! Grazie. 

Cactus.

 
 
 

 

 

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Capitolo 2
*** La lezione di francese ***


LA LEZIONE DI FRANCESE


Remus entrò nell’aula di francese al suono della campanella e riuscì ad occupare uno dei posti in fondo prima che gli altri studenti iniziassero a radunarsi caoticamente.
Il ragazzo non li badò troppo. Non era nemmeno eccessivamente interessato a memorizzare i loro volti. 

L’insegnante di francese, la professoressa Dumond, una donna alta, magra, coi tacchi a spillo su pantaloni e camicia eleganti, gli diede il benvenuto e gli disse che se aveva bisogno di aiuto di non esitare a chiedere a lei o ai suoi compagni, dato che era arrivato ad anno già iniziato.
Sembrava essere un’osservazione che piaceva fare alle persone che incontrava quel giorno.
Remus ringraziò sentendo le guance imporporarsi e abbassò subito lo sguardo. Odiava attirare l’attenzione ed essere sempre il ragazzo nuovo coinvolgeva una buona quantità di sguardi e occhiatine.
Per fortuna gli altri, dopo averlo guardato per qualche secondo, tornarono presto a farsi gli affari propri, e la lezione cominciò.
Remus tirò fuori il proprio quaderno e cercò di concentrarsi solo sul prendere appunti.
Nemmeno cinque minuti dopo, però, la porta si aprì di scatto e una figura alta e ben piazzata comparve sulla soglia.
Era un ragazzo - Remus non potè fare a meno di osservare - piuttosto di bell’aspetto. Capelli lunghi, lisci e neri legati in uno chignon spettinato da cui erano fuggite alcune ciocche che gli ricadevano sul volto pallido, jeans strappati sulle ginocchia e giacca di pelle nera, zaino buttato sulla spalla.
“Black!” esclamò l’insegnante, il gesso ancora in mano. “Sei in ritardo”.
“Meglio tardi che mai”, rispose il nuovo arrivato, Black, piazzandosi un ghigno sulla faccia.
Qualcuno ridacchiò.
La Dumond si limitò a sospirare. “Forza, siediti e comincia a prendere appunti”.
Black si sedette nell’unico posto che trovò libero, in seconda fila, sotto lo sguardo attento di Remus che non si era nemmeno accorto di starlo fissando. Non sapeva se ad attrarlo fosse la fluidità dei suoi movimento, il suo aspetto peculiare, la giacca di pelle o quei capelli.
Senza sapere perché, Remus si trovò a paragonare i capelli di Black con quelli dell’insegnante. Quelli della Dumond erano lisci e sottili come spaghetti e le arrivavano alle spalle, rendendo il suo viso ancora più sottile e il naso appuntito. Quelli di Black dovevano sicuramente essere morbidi e folti e arrivargli a metà schiena se liberi dallo chignon.
Solo quando Black, piegatosi per prendere il proprio quaderno, incrociò lo sguardo di Remus, quest’ultimo si riscosse e spostò gli occhi sul proprio quaderno di appunti.
Sperava davvero che Black non pensasse che lo stesse fissando, in fondo non era così.
Ripigliati, Remus!, si disse.

Quelli come Black, che arrivano in ritardo alla lezione e rispondono a un rimprovero dell’insegnante come se fosse la loro madre non potevano portare a nulla di buono. 


Le due ore di matematica che seguirono la lezione di francese filarono via abbastanza lisce, senza altri intoppi di capelli lunghi e neri e giacche di pelle. Remus non ebbe modo di studiare quel Black perché dopo la lezione di francese il ragazzo scappò via come se avesse fretta di essere da qualche altra parte.
A pranzo, Remus prese il vassoio e perlustrò la mensa con lo sguardo per trovare un tavolo vuoto.
“Ehi, Remus!” si sentì chiamare da una voce squillante.
Il ragazzo si voltò e vide Lily che gli faceva segno col braccio di raggiungerla al suo tavolo.
Remus strinse il vassoio e si incamminò verso di lei. C’erano altre quattro ragazze con lei e più o meno tutte gli sorridevano.
“Ti va di sederti con noi?” chiese Lily indicandogli la sedia libera di fronte a sé, accanto a una ragazza coi boccoli biondi e un vestito a pois, stravagante ma molto carino.
Quello era un cambiamento di trama che Remus non si era aspettato, ma accettò di buon grado l’offerta, anche se avrebbe dovuto rinunciare alla lettura del pranzo.
“Lei è Emmeline”.
La ragazza bionda accanto a lui lo salutò con un timido ciao.
“Questa pigna in culo invece è Alice”.
“Ehi!” Protestò la ragazza seduta tra Lily e Emmeline, capelli castano scuro lunghi fino alle spalle e gli occhi marroni come il cioccolato fondente, grandi, su un volto dalle guance ricoperte di fard per farle risaltare.
“Non ascoltare Lily. Sono una persona discretamente nella norma”, fece Alice mostrandogli un enorme sorriso di labbra ricoperte di rossetto rosso sgargiante.
“E poi ci sono Marlene e Dorcas”, concluse Lily senza badare all’amica.
Le due ragazze, sedute accanto a Lily, gli fecero un piccolo cenno.
Una, Marlene, aveva anche lei i capelli lunghi e biondi, ma dal taglio diverso da Emmeline, e indossava una salopette con una spilla arcobaleno attaccata al petto sul lato sinistro. La scritta pride padroneggaiva al centro. 

Quella sì che era una cosa interessante, pensò Remus. 

L’altra, Dorcas, era la più mascolina tra le ragazze, se così era giusto definirla; capelli corti e scuri, sguardo tagliente e un anellino al naso. Era seduta molto vicino a Marlene, le due quasi si toccavano con le spalle.
“Fossi in te non lo mangerei quel polpettone”, gli disse quest’ultima con gli occhi puntati sul suo polpettone nel piatto e con espressione mortalmente seria. “Ci metterei la mano sul fuoco che non è carne. Sarà cartongesso. Ti lascia tutta la bocca impastata”.
“Oh, okay. Grazie”, rispose Remus, colto un po’ alla sprovvista.
“Come sono andate le lezioni, Remus?” gli chiese Lily.
“Credo abbastanza bene. Nulla di che”.
“Oh be’, non che ci sia molto che accada in questa scuola”, commentò Marlene con fare annoiato, allontanando il proprio piatto vuoto.
“Questo non è vero!” esclamò Alice come se la frase di Marlene l’avesse offesa personalmente. “La scuola è piena di gossip, devi solo saper ascoltare. L’altro giorno, per esempio, ho sentito che la Greengrass…”.
Mentre Alice blaterava pettegolezzi su persone che non conosceva e di cui non gli interessava nulla, Remus si guardò un po’ attorno, tra un boccone e l’altro. La mensa era ampia e con la parete che dava sul giardino fatta in vetro così ci si poteva godere il panorama. Le sedie e i tavoli erano erano di diversi colori e questo dava un po’ di allegria al posto.
Per il resto, Remus poteva concludere che anche quella scuola rappresentava gli standard delle altre scuole con le sue divisioni per “classe sociale”: c’era il tavolo della squadra di rugby, perfettamente riconoscibili dalle loro felpe con il nome della squadra - Junior Gryphons - e i colori e il logo della scuola; il tavolo delle cheerleader, anche loro nelle loro divise; e poi quello dei nerd, a giudicare dagli occhi bassi, gli occhiali spessi, i maglioni di flanella dalle improbabili decorazioni e la frenesia con cui leggevano da alcuni fogli. Probabilmente erano iscritti a qualche gara di matematica o robe simili.
E infine, c’era un tavolo con cinque ragazzi con indossi vestiti assolutamente stravaganti e i capelli dalle tinte dubbie. Sicuramente il gruppo di teatro o di arte. Remus non aveva idea di come si piazzassero loro sei in tutto questo e il fatto di essere l’unico ragazzo a un tavolo di sole ragazze non lo metteva a disagio in alcun modo.
“E tu, Remus? Vuoi fare il provino per lo spettacolo teatrale?”
“Che cosa?!”
“Il teatro? Spettacolo?” ripetè Alice senza scomporsi minimamente per la mancanza di attenzioni da parte dell’altro.
“Oh no, grazie. Non so recitare”.
“Oh be’, se ti interessa puoi sempre aiutarci dietro le quinte o con le luci o le musiche”.
“Oh be’, ecco…”.
“Remus vuole concentrarsi sullo studio”, si intromise Lily. Remus le fu grato per quell’intervento. “E fa bene”.
Alice alzò gli occhi al cielo sospirando.
“Oh Lily! Mica siamo tutti dei topi di biblioteca come te”.
“E’ appena arrivato. Lascialo respirare”.
“Comunque, spero di avere la parte di Giulietta”, disse Alice. Quella ragazza saltava da un argomento all’altro come una trottola. Era incredibile che non le venisse mal di testa.
“E il tuo Frank non sarò geloso?” le chiese Emmeline parlando per la prima volta dopo diverso tempo.
“Il mio Frank sa benissimo che ho occhi e cuore solo per lui”, rispose Alice.
Remus suppose che Frank fosse il suo fidanzato, ma non si disturbò a chiedere. “E anche qualcos’altro!” aggiunse Marlene con un ghigno malizioso.
“Marly, sei una pervertita!”
“Non c’è dubbio”.

Remus intanto era ben conscio del fatto che Dorcas lo stava fissando e non si preoccupava nemmeno di nasconderlo.
Lui tuttavia cercava di ignorarla fingendosi interessato alla conversazione di Alice e Lily.
“Di dove sei, Remus?” gli chiese a un certo punto quando calò il silenzio sul tavolo.
“Cardiff”, rispose lui.
“Oh, sei gallese quindi. Non si direbbe dall’accento”, osservò Lily.
Remus sorrise. “Sono nato lì e i miei sono di lì ma ci spostiamo spesso, quindi in realtà è un bel po’ che non ci torno, in Galles”.
“E come mai?”
Ecco, quello era uno dei motivi per cui cercava di tenere a distanza le persone. Dare spiegazioni, dire perché si era trasferito e come mai viaggiasse così spesso. Non se la sentiva di raccontare i cazzi suoi.
“Lavoro di mio padre”.
Remus non era a suo agio nel mentire, ma si sarebbe sentito molto più a disagio nel raccontare la verità.
“E che lavoro fa tuo padre?”
Dorcas non era una che mollava e tutto il tavolo ormai aveva l’attenzione rivolta a lui, persino Emmeline.
“E’ informatico. La sua azienda lo manda a lavorare in altre città ogni tanto”.
Era vero, suo padre era informatico ma non era la sua azienda a mandarlo via.
“Deve essere dura, cambiare così spesso città”, disse Emmeline.
Remus scrollò le spalle. “Be’, ci si abitua”.
“Su quello non c’è dubbio”.
La conversazione si interruppe quando un paio di forti braccia circondarono il collo di Alice da dietro e un ragazzo alto, dalle spalle larghe, la sormontò da sopra la testa come un gigante. Tuttavia, i suoi occhi all’ingiù che gli davano uno sguardo malinconico perenne e l’espressione dolce - contrastante col fisico possente che possedeva - fece intuire immediatamente che non era una minaccia.
“Frank!” esclamò la ragazza accarezzandogli le braccia muscolose.
Quindi questo era il famoso Frank. 

Alice buttò la testa all’indietro e Frank si chinò per posarle un casto bacio sulle labbra.
“Ci vediamo dopo scuola?” gli chiese lei.
“Ho gli allenamenti. Però subito dopo passo da te”.
“Oh sì, micio”.
I due si baciarono di nuovo, questa volta più intensamente, le braccia ormai incatenate e Marlene e Dorcas che facevano il gesto di vomitare. Emmeline invece spostò lo sguardo verso un punto non precisato, con le guance imporporate.
Anche Remus guardò altrove, più che altro perché non voleva intromettersi in quel momento intimo che non gli apparteneva.
Non era sicuro di essere una persona che amava troppo le effusioni in pubblico, però non gli dispiaceva vedere una coppia così innamorata. Anzi, sentì una strana pressione a metà petto, all’altezza dello stomaco.
“Ehi, Frankie!” esclamò un altro ragazzo arrivato in quel momento, che batté una mano sulla schiena di Frank. “Hai finito di divorare la tua ragazza?”
Remus lo osservò bene: una matassa di capelli neri e ricci, piuttosto spettinati ma in maniera tale che sembrava fosse voluto, una piccola fossetta sul mento, quella che ti rende immediatamente più cool, e mandibola pronunciata.
“Ehi, James! Sei geloso perché io ho la ragazza e tu solo la tua mano destra?” disse Frank ghignando in direzione del nuovo arrivato, senza allontanarsi un millimetro da Alice.
“Ha ha ha!” ribatté l’altro per nulla turbato da quella presa in giro. “Non sono geloso, Frankie. Come posso essere geloso se ho un’intensa relazione con la Evans?”
Dicendo quello il ragazzo - James - si infilò tra Lily e Marlene, poggiando le mani aperte sul tavolo. Remus percorse il profilo delle sue braccia, seguendo la linea delle vene tese. Non era grosso come Frank, ma anche James aveva una buona dose di muscoli.
Lily sospirò alzando gli occhi al cielo, chiaramente scocciata.
“Nei tuoi sogni, Potter!”
James abbassò lo sguardo sul volto di Lily e piegò le labbra in un sorriso sghembo.
“Oh credimi. Nei miei sogni siamo già sposati e abbiamo cinque figli”.
Alice scoppiò a ridere. Lily invece sprofondò il volto nelle mani.
“Ti sta bene quel maglioncino. Tutti quei colori… ti donano”, disse James riferendosi al maglioncino a righe colorate che la ragazza indossava.
Lily aprì bocca per dire qualcosa ma evidentemente ogni battuta sagace l’aveva abbandonata. Per fortuna a interrompere quel siparietto ci pensò Frank che prese l’amico per le spalle e lo allontanò dal tavolo.
“Forza, James, amico, andiamo. Smettila di importunare le signore”.
“Addio, Lily, amore mio. Mi mancherai”, urlò James mentre Frank lo allontanava, senza minimamente preoccuparsi di trovarsi in una mensa piena di gente. Ma gli altri tavoli sembravano ignorarli.
Quando i due ragazzi se ne furono andati, tutto il tavolo di Remus stava ridacchiando, a eccezione di Lily che aveva ancora addosso quell’espressione scocciata. Ma Remus avrebbe potuto dire che c’era anche dell’altro in quell’espressione, solo che non avrebbe saputo definire cosa.
“Quello era James Potter”, disse Marlene all’unico ragazzo presente al loro tavolo, probabilmente notando il suo punto di domanda dipinto in faccia. “L’ammiratore della nostra Lily”.
“Un ammiratore piuttosto… esuberante”, aggiunse Alice.
“Oh, lui non è il mio ammiratore. Si diverte solo a farmi girare le ovaie. Non gli piaccio, mi provoca e basta”.
“Non saprei, Lily. Secondo me è sincero”.
“Lo pensi solo tu, Alice”.
“E ho ragione”.
Mentre le due discutevano, Remus tornò con la mente a Frank e James e soprattutto sulle loro braccia e sui fisici, paragonandoli e cercando di capire quale dei due gli piacesse di più. Dovevano essere entrambi della squadra di rugby, sicuramente quantomeno a giudicare dalle felpe. Gli atleti le indossavano spesso, come se non si capisse che erano atleti.
Intanto Dorcas continuava a fissarlo. 


“Comunque sembra simpatico il nuovo ragazzo. Un po’ silenzioso, forse, ma simpatico”, disse Alice mentre piegava una gamba all’indietro, tirandosela per la caviglia verso il sedere. Era l’ora di ginnastica e il coach aveva ordinato a chiunque fosse già pronto di iniziare col riscaldamento.
“Non è difficile entrare nelle tue grazie, Alice. Ti piacciono tutti”, disse Lily legandosi i lunghi capelli in una coda alta.
“Perché io, a differenza tua, cerco di vedere il bello delle persone anziché partire prevenuta”.
Lily sbuffò.
“Però Alice ha ragione”, si intromise Emmeline. “E poi… è carino”.
Non appena lo disse le sue guance si tinsero di rosso.
Alice e Lily ridacchiarono. Dorcas e Marlene, seduta a terra a fare allungamenti, si scambiarono uno sguardo d’intesa.
“Emm, tesoro”, fece Marlene girandosi verso l’amica. “Su questo non ti do torto, ma purtroppo devo deluderti. Temo proprio che il nostro caro Remus sia dell’altra sponda”.
“Ma per favore!” esclamò Alice. “E cosa te lo fa dire con questa certezza?”
“Si chiama gay radar. Tutti i gay ne hanno uno”, rispose Dorcas.
Alice alzò gli occhi al cielo. Dorcas e Marlene se ne uscivano spesso con quella frase, specie da quando erano una coppia.
“E’ per questo che lo hai fissato in quel modo per tutto il pranzo?” chiese Lily. 

Dorcas spalancò gli occhi fingendo di essere sconvolta.
“Chi? Io? Ma quando mai?” 

“Dorca, il poveretto avrà pensato che volessi farlo esplodere con lo sguardo”, aggiunse Alice.
“Ma… Come mai non è qui?” chiese a un certo punto Marlene correndo in soccorso della sua ragazza.
Le altre ragazze sondarono la palestra e notarono che effettivamente Remus non si trovava da nessuna parte.
“E’ vero. Non dovrebbe avere più o meno i nostri stessi orari?” 

Lily scrollò le spalle quando una voce dietro di lei la fece sobbalzare.
“Donne! Di che parlate?”
James Potter stava in piedi dietro di loro, le braccia incrociate al petto e il solito ghigno stampato in faccia. E accanto a lui, immancabilmente, c’era Black, canotta larga, shorts, e quell’espressione costantemente seria quando non ghignava in maniera derisoria o sprezzante. 

Erano le uniche espressioni che si potevano vedere sul volto del ragazzo dai capelli lunghi. Lilu era convinta che esagerasse apposta quell’espressione seria e annoiata, solo per darsi l’aria da cattivo ragazzo. Voleva costruire l’immagine di qualcuno a cui non importava niente di nulla e che non coincideva affatto con la realtà perché probabilmente nella realtà non era granché. Lily ne era certa, anche a giudicare dalla quantità di ragazze che frequentava e nessuna restava mai troppo a lungo.
“Nulla che ti riguardi, Potter”, rispose Lily. 

“Ohi, Evans! Ti stanno bene i capelli legati così”.
Lily inarcò un sopracciglio: quello era il secondo complimento della giornata. Non che fosse strano, anzi, ma Potter aveva quella malsana abitudine di lanciarle complimenti quando erano assolutamente fuori dal contesto, tipo quando lei lo rimproverava e lui diceva semplicemente “bella maglietta, Evans” o “i tuoi capelli sono più morbidi oggi”. Sapeva davvero come farla andare fuori dai gangheri.
“Parlavamo del ragazzo nuovo”, rispose Alice con nonchalance.
“Uh”. James sembrò sorpreso. “C’è un ragazzo nuovo?”
“Sì. Si chiama Remus”.
Ora persino Black sembrava essere interessato. O almeno, non indossava più quell’espressione annoiata.
“Oh, interessante. Spero di conoscerlo presto”.
Non ci fu modo di proseguire la conversazione perché il coach richiamò tutti sull’attenti e la lezione cominciò. 

“Però è vero che hai la tendenza a fissare le persone”, sussurrò Marlene a Dorcas mentre le sue si dirigevano verso il cesto dei palloni. 


*** 

Eccomi di ritorno con un nuovo capitolo.
Vorrei fare solo un paio di appunti: la fanfiction si ambienta nel Regno Unito, a Brighton precisamente, come avevo scritto nel precedente capitolo. Io non conosco molto bene le scuole inglesi, pertanto mi baso su quanto vedo nei film o nelle serie tv. Pertanto, magari rischio di mischiare un po’ lo stile americano e lo stile inglese insieme. Chiedo scusa per questo.
Mi piace comunque l’idea dei ragazzi che giocano a rugby (sì, okay, mi piacciono le divise) e le cheerleader. Ma in realtà non so se gli inglesi abbiano la tradizione delle cheerleader. 

Secondo appunto: spero che nessuno di voi sia troppo disturbato dagli “stereotipi” che ho presentato. A me personalmente non danno fastidio, dopotutto gli stereotipi sono tali perché sono veri, il problema diventa quando siamo noi a pensarli o usarli in maniera offensiva. 

:) 


Sperando che la vostra quarantena stia andando bene e che siate al sicuro nelle vostre case e pieni di attività da fare, vi mando un mega bacio. 

Alla prossima,

C. 


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Capitolo 3
*** Segreti che tormentano ***


SEGRETI CHE TORMENTANO 


Un altro segreto che Remus custodiva con cura, a parte il suo problema di salute, era l’essere gay. Non che se ne vergognasse o altro, anche se scoprirlo era stato abbastanza uno shock, ma dopo averlo metabolizzato lo aveva semplicemente accantonato da un lato dicendosi che ci avrebbe pensato quando fosse arrivato il momento. Se fosse arrivato.

Remus non aveva né la forza né la voglia di pensare a una relazione ora o in un futuro vicino. E per quanto riguardava un futuro più distante… non era sicuro di riuscire a vederlo manco per sé stesso. 

Sta di fatto che questo e le altre cose più urgenti a cui pensare sommate insieme non gli avevano mai fatto venire in mente di fare coming out con qualcuno. Non aveva degli amici e non si era mai interessato romanticamente a nessuno. E poi, Remus si era trovato a pensare nei momenti più bui, nessuno avrebbe voluto stare con lui scoprendo della sua condizione. Non aveva nemmeno intenzione di fare coming out con i suoi; non che fossero conservatori o simili, Remus non aveva mai avuto quell’impressione, però non gli sembrava il momento. Non voleva aggiungere un altro motivo per cui preoccuparsi per lui sulle loro spalle.

Mandando giù l’ultimo pezzo di toast, Remus osservò arcignamente i flaconi pieni di pillole che doveva prendere tutti i giorni allineati sul tavolo. Ormai ci era abituato e le ingoiava come caramelle, ma la sua vita sarebbe stata molto più semplice senza quelle. 

Quando ebbe finito anche con loro, afferrò quelle che doveva prendere a metà mattina, le infilò nello zaino e si diresse verso la fermata dell’autobus. 


 

Anche quel giorno la prima ora era francese. Remus si stropicciò gli occhi cercando di svegliarsi mentre aspettava l’insegnante. Aveva sonno.

La campanella non era ancora suonata, ma gli studenti avevano già preso i loro posti. 

Persino Black quella mattina era arrivato puntuale. Questa volta indossava un paio di jeans neri, attillati, e un paio di Superga, anche quelle completamente nere. E l’immancabile giacca di pelle. Aveva i capelli sciolti e Remus poté accertarsi che sì, effettivamente gli arrivavano a metà schiena. 

Era davvero bello, Remus, in tutta la sua gayaggine, non poteva negarlo. Ma c’era anche qualcos’altro in quel ragazzo, qualcosa che non riusciva a individuare. E non era l’aria ribelle che aveva percepito l’altra volta. 

Per fortuna l’insegnante arrivò, e Remus poté riscuotersi da quei pensieri. Quel giorno toccava alla letteratura e l’insegnante voleva analizzare il primo capitolo de I tre Moschettieri. 

La classe non sembrava molto partecipe, nessuno sapeva come rispondere alle domande o semplicemente non erano interessati. Un paio di volte Remus pensò di dire quello che gli era venuto in mente leggendo il libro, ma si trattenne: non voleva davvero attrarre l’attenzione e passare come il nerd della situazione. Inoltre, il suo francese era abbastanza stentato. 

A un certo punto, quando anche l’insegnante si era ormai arresa, Black alzò la mano. Tutti pensarono che volesse fare qualche battuta stupida o chiedere di andare in bagno, persino Remus lo pensó. E invece Black rispose. E rispose con un francese perfetto. Persino la professoressa Dumond rimase colpita e lo ascoltò quasi rapita. Qualcosa sui tre protagonisti e l’evoluzione dei loro caratteri che ha anche portato a un cambiamento nel loro rapporto nel corso della storia, Remus non avrebbe saputo dire quali fossero state le esatte parole perché si perse ad ascoltare la sua voce profonda, quell’accento perfetto, sexy.

Quando smise di parlare, la Dumond ci mise qualche istante a riprendere parola. Gli fece i complimenti, non solo perché aveva capito quello che lei cercava di spiegare da tre quarti d’ora, ma anche perché con quella risposta aveva dato segno di aver letto oltre il primo capitolo. 

Sirius si limitò a spostarsi i capelli dietro l'orecchio prendendo con indifferenza quel complimento. Per il resto della lezione, Remus dovette sforzarsi di non fissare continuamente la schiena del ragazzo. 


 

In alcuni minuti di pausa, tra una lezione e l’altra, Remus, Lily e Alice si sedettero in un angolo sui gradini dell’ingresso per godersi il sole perché “tra poco non farà altro che piovere, quindi meglio godersi questi ultimi giorni d’estate”, Alice ci aveva tenuto a precisare, impedendo sia a Lily che a Remus di chiudersi in biblioteca a studiare.
Solo che Remus non aveva scelto proprio il posto migliore dove sedersi perché il sole gli andava direttamente negli occhi e doveva inclinarsi da un lato per riuscire a vedere qualcosa.
“Allora, siete pronti per il ballo?” chiese Alice allegra.
“Ballo?” fece Remus.
“Il ballo di metà anno. Lo facciamo sempre prima di Natale”, spiegò la ragazza.
“Non lo so. Non mi piace molto ballare”, disse Remus.
“E lo sai che a me non piacciono queste cose”, aggiunse Lily e Remus fu felice che ci fosse qualcun altro come lui che non apprezzava tutte queste cose tipiche degli adolescenti, come invece faceva Alice.
Quest’ultima sbuffò.
“E dai, non siate così noiosi”.
“Alice, questa scuola organizza troppi balli. Non basta quello di fine anno?”
“Non è mai abbastanza per i balli”.
“E poi, non ci vai con Frank? Noi a cosa ti serviamo?”
“Perché vorrei godermelo anche con i miei amici, anziché solo con il mio ragazzo”.
“Di che parliamo?” chiese Marlene sopraggiunta in quel momento insieme a Dorcas.
“Del ballo di Natale”.
“Oh, io e Dorcas andiamo di sicuro”.
“Ecco, visto? Qualcuno sa divertirsi?”
“Ci andiamo?” chiese Dorcas, squadrando Marlene dall’alto in basso con un cipiglio non convinto.
“Sì, ma è solo per guardare sedute da un lato e commentare in maniera acida i vestiti delle ragazze e l’eccessiva eteronormatività di questo posto”.
Remus si ritrovò a sorridere. Quella Marlene gli piaceva sempre di più, anche col suo modo diretto e piatto nel fare le battute.
“Dov’è Emmeline?” chiese Lily per cambiare argomento.
“Ha le prove con l’orchestra”.
In quel momento Remus intravide una figura affrettarsi verso il parcheggio, giacca di pelle e capelli lunghi molto familiari. Black - chiaramente era Black - col casco in mano si avvicinò a una grossa moto parcheggiata nel posto riservato ai motocicli. Remus non si intendeva di moto, ma quella era proprio una bella moto, abbastanza sportiva, una di quelle che proprio uno come Black avrebbe potuto guidare.
Stava per salirci sopra quando qualcuno lo fermò, un ragazzo dai capelli scombinati e la felpa della squadra di rugby. James Potter gli corse incontro. I due si fermarono a parlare, ma da quella distanza Remus non riusciva a sentire cosa i due si dicessero; riuscì solo a intravedere un piccolo sorrisetto spuntare sul volto di Black. L’altro ragazzo si passò una mano tra i capelli, altrettanto divertito. Poi, quando finirono di confabulare, James se ne andò e Black rimase solo vicino alla moto. Prese il telefono dalla tasca della giacca e chiamò qualcuno.
“Ohi, Lily! Ecco il tuo spasimante”, disse Alide dando una leggera gomitata all’amica e guardandola con un’espressione maliziosa che le riuscì male, mentre James passava accanto a loro senza fermarsi. Non sembrò averli notati.
“Shh! Non urlare che non ho voglia di parlare con Potter oggi”.
“Tu non hai mai voglia di parlare con Potter”.
“Puoi biasimarmi? E’ un bulletto”.
“Ci sono bulli peggiori. E’ solo uno a cui piace farsi vedere, non so cosa ci sia di male in questo. E poi, non l’ho mai visto bullizzare davvero qualcuno”, disse Marlene.
“Severus Piton tanto per cominciare”.
Alice emise un singulto. “Sì e poi? E in ogni caso non è che Piton fosse uno stinco di Santo. Sappiamo tutti cosa ha fatto”.
Lily si zittì e incrociò le mani sulle gambe, lasciando perdere le amiche. Non capiva perché prendessero le parti di Potter, come se lui significasse qualcosa per loro. Sì, okay, il ragazzo di Alice era in squadra con lui ed erano più o meno amici, ma comunque....
Remus, dal canto suo, non aveva idea di cosa avesse fatto questo Severus Piton ma supponeva non fossero affari suoi.
Così riportò lo sguardo su Black che era ancora al telefono e sembrava piuttosto agitato ora. Il sole si era alzato un po’ e poteva vederlo meglio.
“Lui chi è?” si trovò a chiedere senza averne avuto davvero intenzione. Ma moriva davvero dalla voglia di sapere qualcosa di più sul suo compagno di classe.
“Quello è Sirius Black”, gli rispose Marlene seguendo il suo sguardo. “E’ il migliore amico di James Potter”.
Sirius, ripeté Remus mentalmente per saggiarne il suono, le lettere. Era un nome particolare, simile al suo. Chissà come sarebbero suonati detti insieme.
Suvvia, Lupin, ripigliati! Che sei, una ragazzina? 

“Migliore amico? Direi più un cane da guardia”, fece Lily. “I due sono praticamente culo e camicia. E sembra che Black non abbia un’identità sua e Potter lo trascina sempre in qualsiasi cosa gli venga in mente di fare”.
“Ma sono sicura che abbia anche dei pregi”, rise Alice.
“E gioca anche lui nella squadra?” chiese Remus. Non sapeva davvero da dove gli venisse tutta questa curiosità per Black. Non aveva ancora spostato lo sguardo da lui.
“Oh sì, e probabilmente Lily ti direbbe che lo fa solo perché c’è James in squadra. Ma è bravo”.
“Oh”.
“Sì, be’, ci sono altre persone migliori con cui puoi fare amicizia. Insomma, sta’ lontano da quelli come lui se non vuoi scottarti”.
E mentre osservava Black infilarsi il cellulare in tasca con una certa frustrazione, salire sulla moto, mettersi il casco e partire sgommando, Remus pensava fino a che punto potessero essere vere le parole di Lily. 


 

“Allora, come va a scuola?” chiese Lyall Lupin quando quella sera tutta la famiglia si ritrovò a cena. La famiglia che consisteva basicamente in lui, la moglie e il figlio. 

Remus scrollò le spalle.

“Bene, normale”.

“Hai conosciuto qualcuno? Non so, qualche amico?” gli chiese ancora il padre. Cercava di mostrare un certo interesse che, secondo Remus, non era del tutto sincero, non perché suo padre non fosse interessato alla vita personale del figlio, ma semplicemente perché Lyall Lupin non era uno che perdeva tempo in banali chiacchiere su tematiche adolescenziali; e, in fondo, nemmeno Remus. 

“Si, più o meno”.

“Mi passi il piatto, tesoro?” fece la madre con un sorriso dolce e Remus le passò il piatto per farsi servire. 

Per il resto della serata ascoltò con mezzo orecchio le chiacchiere fra i genitori - la situazione al lavoro del padre e coi colleghi - afferrando solo qualche frase sconnessa. 

Le domande di suo padre lo avevano portato con la mente alla scuola, ma anziché pensare alle lezioni e alle cinque ragazze con cui aveva fatto amicizia, i suoi occhi continuavano a vedere un certo ragazzo dai capelli lunghi e neri, la giacca di pelle e lo sguardo ribelle. 

Remus finì la sua cena e con la scusa dei compiti da terminare si ritirò in camera. 

Aveva effettivamente degli esercizi di matematica da svolgere, ma il suo telefono squillò e il nome di Mary McDonald comparve sullo schermo. Mary era praticamente la sua unica amica, o quantomeno l’unica che avesse senso inserire in quella categoria. 

Si erano conosciuti qualche anno fa in ospedale. Gran parte delle persone significative con cui Remus era entrato in contatto, le aveva conosciute in ospedale. Nulla di strano. 

Lui e Mary avevano molte cose in comune e si capivano al volo e lei era stata la prima - e l’ultima - persona con cui aveva avuto una relazione, anche se poi era finita con imbarazzanti tentativi di passare alla parte intima, con Remus che non riusciva a farselo alzare nemmeno volendo, e relativo panico attorno al fatto che forse i medicinali avevano fottuto completamente i suoi attributi sessuali. 

Mary però era stata paziente, non gli aveva fatto pressioni, non lo aveva fatto sentire sbagliato e alla fine era stata lei a intuire che forse i gusti sessuali di Remus risiedevano da qualche altra parte. 

E anche se Remus era consapevole che essere omosessuale non era un peccato punibile con l’inferno - non che ci credesse, ma comunque - Mary lo aveva aiutato a capire che non c’era nulla di sbagliato in lui e che meritava l’amore tanto quanto gli altri. 

Mary quindi era l’unica a sapere che lui era gay e non aveva mai insistito perché facesse coming out con qualcuno. 

Mary aveva il cancro ai polmoni e la sua vita era una continua lotta contro un mostro che voleva ucciderla dall’interno, ma lei continuava a respingerlo tutte le volte. Mary era passata sotto i ferri più volte di lui, più volte di quanto lui stesso potesse sopportare, e per questo la ammirava. Mary girava con una bombola di ossigeno attaccata alla schiena perché il cancro le aveva talmente indebolito i polmoni che non riuscivano più a incanalare ossigeno da soli, e doveva sopportare ogni giorno le occhiate curiose della gente. La gente davvero pensa che al mondo esistano solo persone sane?

Mary era intelligente, generosa, sagace, ironica, ottimista e carina. Era la sua confidente. 

Per questo e per tutti gli altri motivi sopra citati, Remus non riusciva a immaginare la propria vita senza di lei. O un mondo senza Mary McDonald. 

E nonostante vivessero lontani si sentivano quasi tutti i giorni.

“Ehi!” esclamò Remus non appena il volto della migliore amica gli apparve sullo schermo. Il ragazzo si accomodò meglio sopra il letto e la guardò. Si era fatta crescere i capelli fino alle spalle e li aveva acconciati in una pettinatura che la faceva apparire tenera, insieme al tubicino che collegava il naso con la bombola di ossigeno che la aiutava a respirare. Non che essere malati fosse una cosa tenera, ma visto che non lo si poteva evitare era meglio cercare di trarne qualcosa di positivo. Lei lo odiava quel tubicino. Come biasimarla?

“Remmie!” esclamò Mary chiamando Remus con il soprannome che lui apprezzava solo perché glielo aveva dato lei e che solo lei poteva usare. “Com’è la nuova città?”

“Be’, come tutte”.

“Oh dai, non uccidermi così la curiosità”.

“Che vuoi che ti dica, Mary? Proverò a leggere il giornale, magari qualcosa di interessante da raccontarti lo trovo”. 

“Buona idea. Soprattutto se c’è qualche omicidio”. 

Mary odiava i casi criminali. Non perché fosse sadica o altro, ma semplicemente perché le piaceva risolvere i misteri. E i puzzle. Leggeva i thriller e i romanzi gialli o di detective - Agatha Christie, Conan Doyle, James Patterson - e seguiva tutte le serie tv poliziesche. 

“Come è la scuola?” 

“Normale”.

Mary sbuffò forte attraverso la videocamera e Remus poté quasi vedere il fumo che le usciva dalle orecchie. 

“Vuoi proprio farmi morire, eh? Almeno ci sono dei ragazzi carini?”

Remus abbassò lo sguardo un po imbarazzato, quasi sorridendo. 

Quando nessuna risposta arrivò dall’altra parte, Remus alzò lo sguardo sul telefono e vide che Mary aveva uno strano sguardo addosso, un ghigno come di chi la sapeva lunga. 

“Oh, conosco questa espressione”. 

“Quale?” fece Remus cercando di dissimulare.

“Non attacca con me. Ti conosco bene, Remus Lupin”. 

Remus alzò gli occhi al cielo sapendo di non poter scampare.

“Dai, chi è? Come si chiama? Dimmi tutto”.

Remus esito per un po’, indeciso se rivelarlo; dopotutto, non è che fosse chissà che. Aveva visto Sirius Black solo un paio di volte e lo aveva trovato carino, tutto qua. Non c’era nulla di strano per un adolescente gay. 

Però Mary voleva un po’ di gossip e chi era lui per privarla?

“Si chiama Sirius Black”, disse con voce incerta.

“Oh, un nome… interessante. Uscito direttamente da un teen drama sui vampiri o lupi mannari”. 

Remus ridacchiò. Effettivamente Sirius poteva essere un vampiro, con quella pelle chiara come il latte o i capelli lunghi alla Lestat.

No, Remus, questo non è Twilight e tu non sei Bella Swan.

“E poi niente. Siamo nella stessa classe di francese. Non so altro”. 

“Non l’hai cercato sui social?”

“Certo che no”. 

“Remus Lupin, così mi deludi. Che razza di stalker sei?”

“Non sono uno stalker. E poi, a che pro cercarlo? Non sa nemmeno che esisto. Probabilmente nemmeno è gay”.

“Sappiamo benissimo che il tuo gay radar fa schifo”.

Remus portò le braccia dietro la testa per stiracchiarsi. 

“Era meglio se non ti dicevo nulla”.

“Non essere ridicolo”, rispose Mary guardando verso la porta come se avesse sentito qualcuno. “Mi piace fare gossip con te anche se è sul nulla. Comunque ora devo andare, ma vedi di parlarci con questo ragazzo e assicurati che non sia un vampiro”.

“Ci proverò”.

La connessione si chiuse e Remus, con un sospiro, si mise a finire i compiti di matematica.


 

Finiti i compiti, Remus preparó lo zaino per il giorno dopo, si infilò sotto le coperte e aprì il libro che stava leggendo in quel periodo. 

“Tesoro”, lo chiamò la madre con voce tenera, infilando la testa nella porta. “Sei già a letto?”

Il figlio annuì. 

“Hai preso le medicine?”

“Sì, mamma”.

Hope rimase in silenzio per un po’, poi si aprì in un sorriso intenerito. 

“Posso darti il bacio della buonanotte?”

“Mamma!” esclamò Remus con tono di rimprovero, sbattendosi il libro aperto in faccia.

“Okay, okay, scusa. Buonanotte, tesoro”.

Hope richiuse la porta e Remus la fissò per qualche istante dal letto, pensieroso; adorava sua madre ma a volte lo trattava ancora come un bambino - a dispetto dei suoi 17 anni - e gli dava sui nervi che gli ricordasse sempre di prendere le medicine, come se non fosse abituato, e non fosse consapevole che erano il suo salvavita. 

Remus lesse un altro paio di capitoli prima di spegnere la luce e andare a dormire.


*** 


Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento.
Oggi è stata una giornata piuttosto pesante quindi qualsiasi commento mi farebbe un sacco un sacco un sacco un sacco piacere. 


Bacioni, 

C.


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Capitolo 4
*** Occhi tempestosi ***


OCCHI TEMPESTOSI

 

Remus si sedette nel laboratorio di scienze, prendendo uno dei posti liberi vicino alla finestra. Alice aveva ragione, era meglio godersi quel sole finché c’era. Tirò fuori il suo fedele libro per leggerlo finché l’insegnante non fosse entrato. Il professor Lumacorno era un tipo singolare, basso e tarchiato, dal sorriso gentile. Era un bonaccione e faceva delle battute piuttosto patetiche alle quali non rideva nessuno, ma almeno ci provava. Era facile alle prese in giro, però era uno dei professori più apprezzati. Forse perché cercava sempre di non bocciare nessuno. 

Remus non si accorse quando la porta si aprì una seconda volta dopo l’arrivo dell’insegnante, troppo immerso nella lettura del suo libro. Solo quando Lumacorno disse “Sirius, vai a sederti a quel tavolo laggiù, vicino a Remus”, Remus alzò lo sguardo e raggelò nel vedere la figura di Sirius Black così vicina al suo tavolo. 

Sirius Black al suo tavolo. 

Sirius Black suo compagno di banco. 

Sirius Black, capelli lunghi, neri, giacca di pelle. 

Remus si sentì immediatamente il fiato corto e il batticuore. Per fortuna non era l’inizio di un infarto, di quelli aveva già avuto esperienza, ma quella sensazione non gli piaceva comunque. 

Sirius Black gli sorrise con mezza bocca sollevando le sopracciglia, e si sedette affianco a lui. 

“Ciao”, lo salutò. 

Remus realizzò che era rimasto a fissarlo come un baccalà. 

“Ciao”, ricambiò cercando di darsi un contegno, ma la voce gli uscì incerta. Quando Sirius si tolse la giacca un profumo di colonia misto all’odore delle sigarette gli pervase il naso. Remus, la testa fissa davanti, lanciò un’occhiata di sottecchi al suo compagno di banco soffermandosi sulle braccia e le linee blu delle vene in vista. Aveva un tatuaggio sull’avambraccio destro, l’immagine di un lupo che ulula alla luna. 

Doveva darsi un contegno.

È solo un ragazzo, un ragazzo qualunque di una scuola qualunque. 

Remus tirò giù le maniche del maglione blu che indossava, coprendosi le mani fino alle dita e cercò di concentrarsi sulle parole dell’insegnante. Gli costò davvero un’enorme fatica, in quel momento, ascoltare e cercare di non fissare Sirius. Sentiva un caldo che non c’era. Le temperature non erano alte, e il suo maglione non era così pesante, anzi, gli stava una taglia più grande, scoprendogli il collo e parte delle spalle. 

Il professor Lumacorno sembrava oltretutto volergli davvero male perché non solo lo aveva messo vicino a Sirius ma ora voleva pure che lavorassero a un esperimento insieme. 

Fu in quel momento che li notò, quando si trovò faccia a faccia con Sirius. I suoi occhi erano di un colore che non aveva mai visto, una specie di grigio, come un cielo in tempesta. 

Il viso di Sirius Black era come un dipinto o una foto in bianco e nero dove gli occhi spiccavano come contrasto a tutto il resto, ma allo stesso tempo perfettamente in sintonia con le sue forme e l’intero aspetto. Se Remus avesse avuto la sua macchina fotografica lo avrebbe immortalato per poter guardare sempre quegli occhi e quel viso pallido circondato da un paio di ciocche sfuggite a uno chignon spettinato. 

“Penso che ora dovremmo iniziare l’esperimento”, si sentì dire dalla voce calda e suadente di Sirius. Non era lo stesso tono che aveva usato quando aveva parlato francese, ma era altrettanto sensuale. 

Remus si sarebbe sotterrato lì sul posto. Non aveva idea del perché il suo cervello e il suo corpo reagissero a quel modo, non si stava comportando per nulla come una persona funzionante. 

E Sirius esibiva di nuovo quel sorriso sexy da morire, e Remus si chiese se lo facesse di proposito, se ne fosse consapevole, se lo facesse apposta per deriderlo. Forse tutto in lui urlava “guardami, sono un frocio che si sta ossessionando con te”. 

 

Remus uscì dalla classe come un naufrago che stava per annegare e finalmente risaliva in superficie accogliendo nei polmoni tutto l’ossigeno che poteva, con ampie boccate e respiri affannosi. 

Non sapeva se sarebbe sopravvissuto a un’altra lezione così, la prossima volta avrebbe avuto un infarto per davvero. 

Si avvicinò al proprio armadietto e tirò fuori il telefono per non pensarci più. Non poteva pensarci o sarebbe scappato a nascondersi in un buco e non uscirne più. 

L’unica persona che gli aveva scritto era Mary: gli aveva mandato un link di Instagram accompagnato dalle parole “oh Santa Mucca! Non mi avevi detto che era così figo”. 

Il link portava al profilo Instagram di niente poco di meno che Sirius Black.  Naturalmente Mary aveva fatto le ricerche che lui si era rifiutato di fare. 

Scorse tra le foto cercando di non soffermarsi troppo su nessuna. Erano tutte foto di Sirius: Sirius in classe, Sirius al bar con una birra, Sirius sulla moto, particolari del suo corpo, delle mani, delle labbra, labbra che stringono una sigaretta, primo piano sugli occhi su cui Remus non volle indugiare troppo. In alcune, non molte, c’era Sirius con James o con qualcun altro della squadra di rugby. 

Il telefono gli vibrò di nuovo. Era ancora Mary. 

 

Mary: ha pure una moto. *tre emoji con gli occhi a cuore*. 

 

Certo, perché il ragazzo più figo della scuola non poteva che guidare la moto. 

Remus decise che le avrebbe risposto in un altro momento e aprì il proprio armadietto con un colpo più violento di quello che avrebbe voluto. Prese la boccetta con le pillole e mandò giù la dose della mattina. 

“Remuuuus!” 

Remus si girò di scatto verso la voce che lo aveva chiamato. Ebbe appena il tempo di riporre le pillole nell’armadietto che si trovò faccia a faccia con Alice. 

“Hai lezione di letteratura, vero?” 

“Ehm, sì”. 

“Benissimo! Siamo insieme allora”.

 

***

Rieccomi! E’ passato un po’ di tempo ma finalmente ce l’ho fatta ad aggiornare. Mi dispiace che questo capitolo sia così corto, ma il prossimo sarà bello lunghetto e finalmente avremo uno spiraglio sulla vita di Sirius. 

Spero che questo vi accontenti nel frattempo e spero stiate tutti bene.


Fatemi sapere cosa ne pensate e date un’occhiata anche alle mie altre storie. 

A presto,

C.

 




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Capitolo 5
*** Sirius Black ***


Questo capitolo segue due POV diversi, cercate di non perdervi :) 


*** 


SIRIUS BLACK


Sirius era steso di schiena sul letto, le gambe penzoloni oltre il bordo e scorreva distrattamente il feed di Instagram, senza soffermarsi su alcuna foto. 

Era pronto da ore ormai ma non era voluto scendere prima. Sperava sempre di riuscire a rimandare abbastanza fino a che i suoi non uscivano di casa e lui poteva fare colazione in tutta calma. Quella però non era una mattinata fortunata.
“Sirius!” sentì la voce gracchiante di sua madre chiamarlo dal corridoio e capì immediatamente che non era più il caso di temporeggiare sull’inevitabile.
Con un sospiro pesante si alzò dal letto e, lanciando un’occhiata ai poster delle modelle in bikini - non che gli piacessero davvero ma voleva solo fare un dispetto alla madre - trascinò i piedi al piano inferiore. Ed eccoli tutti lì, la famiglia felice.
Sirius era anche consapevole che avrebbe potuto lasciare la casa per primo e non incontrare nessuno di loro - con la sua insonnia non gli sarebbe stato difficile - ma non poteva. Doveva assicurarsi che suo fratello fosse al sicuro e che anche lui lasciasse la casa sano e salvo.
Ma sarebbe arrivato a un punto in cui semplicemente non ce l’avrebbe più fatta. E allora non sarebbe stato in grado di prendersi cura né di sé stesso né del fratello.
Stava ribollendo da dentro.
Regulus era già seduto a tavola a sorseggiare la sua spremuta d’arancia, perfettamente pettinato e ordinato, nemmeno una piega c’era sulla sua camicia. Gli fece appena un cenno col sopracciglio per dare conto della sua presenza. 

I due fratelli non potevano essere più diversi. Regulus non metteva mai i gomiti sul tavolo, diceva sempre grazie e prego, e non parlava mai quando non glielo si chiedeva.
Era proprio un bravo ragazzo, era l’orgoglio dei genitori. Sirius invece era la pecora nera della famiglia, quella che tutti guardavano con delusione.
E chissà, forse Sirius avrebbe anche potuto imparare a comportarsi come voleva sua madre, avrebbe potuto adeguarsi a un'etichetta, ma quando tratti qualcuno come il mostro che pensi che sia, quello finisce per diventare davvero quel mostro. 

Sirius era ormai lontano da qualsiasi prospettiva sua madre vedesse per lui e se ancora sperava di potergli far entrare un po’ di rispetto per la famiglia, lui avrebbe fatto di tutto per farle capire che lei non lo aveva in pugno.
A Sirius non poteva fregare di meno della famiglia Black.
Si sedette con un tonfo e un sospiro sulla sedia, facendo più rumore possibile, poi aprì le gambe e le distese in tutta la loro lunghezza sotto il tavolo. Scivolò con la schiena lungo lo schienale solo per essere seduto il più scompostamente possibile - una cosa che sapeva avrebbe irritato la madre - e incrociò le braccia sul petto, percorrendo con lo sguardo quello che c’era sul tavolo. Poi alzò un occhio sul padre seduto a capotavola, la cravatta già perfettamente annodata e il volto sprofondato dietro il giornale. Non aveva nemmeno salutato il figlio quando era arrivato.
A Sirius non importava, suo padre non gli parlava troppo in ogni caso.
Se sua madre usava l’approccio del rimprovero e degli insulti, suo padre invece preferiva quello dell’indifferenza e degli sguardi lunghi e silenziosi. 

Walburga Black indossava un lungo abito grigio, sicuramente di qualche marchio da mille mila sterline - avrebbe potuto risolvere la povertà nel mondo con quanto spendeva in abiti - e aveva legato i capelli in uno chignon talmente stretto che Sirius si chiedeva se le sarebbero caduti. L’immagine della sua testa decapitata con lo chignon che svettava come una bandiera gli fece quasi venire da sghignazzare.
Come si poteva essere così?
Tutta la sua famiglia - Regulus compreso - sembrava essere uscita da uno di quei romanzi dell’Ottocento di Lord e Lady, tipo Cime Tempestose e simili. O erano dei vampiri centenari e lui era stato adottato.
Forse era uno degli svantaggi dell’endogamia e dei matrimoni tra parenti. Non che fosse un dato ufficiale, ma più un rumor che passava di bocca in bocca. Ma Sirius poteva dirlo con certezza, che i suoi erano imparentati in qualche punto dell’albero genealogico, tipo cugini distanti. Entrambi si chiamavano Black e non era un cognome che sua madre aveva preso sposando Orion.
“Potresti almeno pettinarti i capelli”, commentò Walburga. 

Sirius mostrò un sorrisetto derisorio. “E darti soddisfazione, madre?”

Si allungò per versarsi del caffè e percepì il fratello irrigidirsi sulla sedia. Regulus lo conosceva troppo bene. E conosceva bene Walburga. Stranamente la donna non rispose. Forse era di buon umore quel giorno ma non lo si poteva dire con certezza visto il costante cipiglio altezzoso che sfoggiava. Quello o una smorfia di disgusto. 

Sirius si era dato da fare quella mattina per conciarsi proprio come a lei non sarebbe piaciuto: jeans neri e attillati pieni di strappi con una piccola catena che penzolava da un fianco, abbinati a una canotta nera e sopra una camicia a quadri sulla stessa tonalità che, a differenza di quella perfettamente stirata di suo fratello, sembrava essere stata masticata da un cammello. I capelli erano legati nel solito chignon ma almeno stavolta gli lasciavano libero il viso. Dio solo sapeva quante volte sua madre l’avesse minacciato di tagliarglieli. Se li era lasciati crescere principalmente per fare dispetto a lei, ma poi aveva scoperto che gli piacevano e gli stavano bene. Erano un po’ scomodi quando doveva mettere l’elmetto della divisa da rugby o il casco per andare in moto, ma poteva sopravvivere.

Sirius si allungò nuovamente sul tavolo per prendere una fetta di toast e iniziò a spalmarla di burro, facendo bene attenzione a grattare col coltello sulla fetta tostata. Era uno dei tanti rumori che irritavano Walburga. 

Regulus gli lanciò una strana occhiata, forse di avvertimento, ma non disse niente. 

“Ci siamo svegliati male stamattina?” chiese Walburga, puntando gli occhi sottili sul figlio. 

Sirius morse un pezzo di toast ricambiando lo sguardo assassino di Walburga con uno derisorio e di sfida, senza preoccuparsi di mangiare composto al tavolo e a non fare briciole per terra. Non che fosse un problema di sua madre, tanto ci pensava la domestica a pulire.

“Avere te come madre è abbastanza per svegliarsi male”. 

A quel punto finalmente ottenne dalla madre una reazione, quantomeno diversa dalle frecciatine e le occhiate di sbieco. 

Walburga si alzò, senza dimenticarsi la compostezza, e piegò il braccio per colpire Sirius col dorso della mano destra su cui svettava un grosso anello - un vecchio e orrendo cimelio di famiglia - che gli avrebbe quantomeno spaccato il labbro. La sua espressione ricordava quella di una iena. 

Sirius si preparò a incassare il colpo, incassando la testa nelle spalle e chiudendo gli occhi. 

“Walburga!” esclamò la voce possente di suo padre. 

Tutti gli occhi si spostarono su Orion, Walburga col braccio ancora a mezz’aria. Sirius si era dimenticato che il padre era lì, poteva essere morto con la faccia nel piatto per quanto gliene importava.

Orion aveva abbassato il giornale e lo aveva ripiegato sul tavolo. Davvero serviva la minaccia di una rissa nella sua cucina immacolata perché ponesse attenzione alla sua famiglia? 

“Non in faccia, ti prego”, disse alla moglie con tono paternalistico. “Evitiamo questi comportamenti da barbari”. 

Walburga si ritirò ma dovete stringere i denti a bocca chiusa per trattenere la stizza. Avrebbe potuto chiedergli di togliersi la maglietta ma nemmeno a lei sembrava il caso di farlo in cucina. 

Sirius allora, lanciando il toast nel piatto, si alzò di scatto e corse verso la propria camera. 

Sentiva di fare fatica a respirare e doveva uscire il prima possibile. Poteva essere un attacco di panico, ma non avrebbe accettato di averlo in quella casa. Doveva solo ricordarsi quello che gli aveva detto James. Oppure pensare ai pettorali di KJ Apa. Quello aiutava. Afferrò giacca e zaino e si precipitò fuori. Nel vialetto trovò Regulus, fermo vicino alla Mercedes di famiglia e l’autista in attesa. 

“Sirius, andiamo insieme?” gli chiese il fratello, la voce vagamente supplicante. Gli dispiacque dire di no a Regulus, soprattutto ora che si vedevano poco e sembrava non avessero più niente che li legasse. Ma non ce la faceva. Non poteva entrare in quell’auto coi vetri oscurati e l’odore di pelle dei sedili troppo puliti. Avrebbe vomitato bile. 

“No. Vado in moto”, rispose spostandosi verso la moto parcheggiata accanto. Regulus non disse nulla e si lasciò aprire la portiera dall’autista. 

“Non capisco davvero perché devi sempre irritarla così”, fece Regulus entrando in macchina. 

Sirius scrollò le spalle. Non lo capiva nemmeno lui a volte. Lo irritava e non voleva cedere ai suoi ricatti e alle sue minacce. 



Quando Sirius parcheggiò davanti alla scuola non entrò subito. Si accese una sigaretta e rimase sui gradini a fumare. Finì la sigaretta in cinque minuti scarsi e pensò di accendersene subito un’altra, ma decise che era meglio di no e finalmente varcò la soglia dell’edificio. 

Andò a passo spedito verso il proprio armadietto per prendere i libri della prima ora. Stava per andarsene coi libri in mano, quando si trovò James a pochi passi dal naso.

“Ohi!”

“Allenamenti oggi”.

“Sì certo”. 

Sirius sbatté un paio di volte le palpebre segnalando la propria confusione. James non accennava a spostarsi o a smettere di fissarlo. 

“Hai parlato con Evanna Greengrass?”

“Ehm… no?”

“Ha una cotta per te. Credo ti inviterà al ballo”. 

“Ah okay”. 

A Sirius non importava molto, erano molte le ragazze che si prendevano una cotta per lui. Evanna avrebbe fatto bene a sbrigarsi se voleva andare al ballo con lui. Se era di buon umore avrebbe anche potuto accettare. 

“Che hai, Sirius?” gli chiese allora James. 

“Niente. Perchè?”

“Perché lo vedo che oggi non sei il solito te”, rispose l’amico sottolineando il concetto con un colpetto sulla fronte di Sirius. 

Sirius si chiese quale fosse il suo solito. Era sempre stato volatile di umore, sapeva passare da estroverso e divertente a scontroso e a tratti maleducato in un battibaleno. 

“Nulla. Uno scontro di opinioni con mia madre”, disse. Era inutile mentire a James. 

L’amico a questo punto indossò la sua migliore espressione seria e si allontanò di un paio di passi per osservare meglio l’altro. 

“Vuoi parlarne?”

Sirius scosse il capo. “No, è sempre il solito. Non mi va di pensarci”. 

“Okay. Non avrà mica minacciato di tagliarti di nuovo i capelli”. 

Sirius suo malgrado si ritrovò a sorridere a quella stupida battuta detta in finto tono sconvolto.

“No, a quello ci ha rinunciato ormai”.

“Oh meno male. Nessuno deve toccare i capelli di Sirius Black”.

Cosa avrebbe fatto senza James? Si trovò a chiedersi Sirius. 



Remus uscì dall’aula di scienze. Quel giorno il professor Lumacorno aveva svolto una lezione frontale e non aveva avuto occasione di parlare con Sirius, ma almeno erano stati comunque seduti vicini. Il suo odore, quello di nicotina, questa volta era stato più intenso, aveva continuato a colpirlo al naso per tutta l’ora. L’ansia e il nervosismo lo avevano accompagnato per tutto il tempo. Ma almeno stavolta era preparato sapendo che lo avrebbe visto, e si era persino preparato un copione per non fare la figura di un balbettante babbuino. Ma non dovette usarlo. 

Sirius non sembrò aver riconosciuto la sua presenza, anzi, era sembrato nervoso; non aveva fatto altro che agitare la penna e disegnare scarabocchi inutili sul quaderno, gli occhi grigi vuoti di concentrazione. Remus li riconosceva quei segnali, tutto il suo corpo aveva emanato nervosismo e disagio, come se volesse essere ovunque tranne che li. E Remus avrebbe tanto voluto parlargli, magari confortarlo, ma lui non c’entrava nulla con i tormenti del ragazzo che gli sembrava sempre più lontano dalle parole di Lily. 

Lascia perdere, Remus, nemmeno lo conosci. 

Remus richiuse il proprio armadietto con uno scatto e si scontrò con la figura di niente poco di meno che Sirius Black, andando quasi a sbattergli addosso. Lo aveva chiamato col pensiero per caso?

“Oh”. 

Sirius alzò la testa su di lui. 

“Che… che c’è?”

Sirius inclino il capo da un lato, perplesso. 

“Cosa intendi? È il mio armadietto questo”, rispose Black e, come per darne prova, girò la manopola per inserire il codice e aprì l’anta con un colpetto. Infilo dentro i propri libri e lo richiuse.

“Ci vediamo, eh”, salutò poi senza nemmeno guardare l’altro che rimase a fissarlo come un pesce fuor d’acqua. 

Ora voleva decisamente essere risucchiato dal pavimento. A una settimana dal suo arrivo in quella scuola non si era nemmeno accorto che il suo armadietto era vicino a quello della sua cotta. 



“Allora, vi siete parlati?” chiese Mary quella sera quando lei e Remus si trovarono in videochat. 

Remus non aveva davvero voglia di affrontare quell’argomento. Era stata una giornata difficile, al di là dello strano comportamento di Sirius, e l’indomani aveva pure una visita medica che lo preoccupava più di quanto avrebbe ammesso.
“Sì”.
“E?”
Mary era sempre più eccitata.
“E niente, Mary, probabilmente pensa che sono un rimbambito”.
“Oh dai, Rem. Prova a conoscerlo, facci amicizia. Sei nuovo, magari chiedigli quali sono i posti più visitati”.
“Certo, tanto vale che parliamo del tempo”.
“Da qualche parte bisogna cominciare”:
“Ma perché sei così fissata? Sicuramente nemmeno è gay. E poi, perché dovrei piacergli proprio io?”
“Perché sei carino?” disse Mary come fosse la cosa più ovvia del mondo.
Remus si massaggiò il collo, ora a disagio.
“Possiamo cambiare argomento, per favore?”
“Va bene”, concesse Mary, forse percependo lo stato d’animo dell’amico e non volendo più infastidirlo sulla questione. 


Sirius tirò fuori il telefono dalla tasca quando lo sentì vibrare.


James: ehi, tutto bene? 


Sirius si alzò e si sedette a gambe incrociate nel mezzo del proprio letto. 


Sirius: sì, sono vivo e nessun omicidio è stato commesso. 


James: bene, ho mangiato troppo e sono troppo pieno per nascondere cadaveri stanotte *emoji con occhiolino*


SIrius:porco. 


James: mia madre ha fatto le alette di pollo. 


Sirius: quelle col peperoncino piccante?


James: proprio quelle.


Sirius: e contorno di patatine con quella salsa rosa che ci piace tanto?


James: assolutamente.


Sirius: maledetto! 


James: ehehehe. 


Sirius: tua madre è una Santa donna. 


Sirius pensò alla propria, di cena, principalmente alle persone con cui l’aveva dovuta condividere. Suo padre non c’era, straordinari in ufficio e simili, e quindi aveva dovuto sopportare sua madre da solo. Regulus era abbastanza inutile. Quantomeno Orion sapeva metterli in riga, odiava le urla e le botte.


James: domani però vieni qua. 


Sirius: d’accordo. 


James lo aveva invitato anche quella sera a stare da lui, per James Sirius poteva venire tutti i giorni a tutte le ore. Ma Sirius non se la sentiva. Non poteva approfittare così tanto della gentilezza dei signori Potter e non poteva nemmeno abbandonare Regulus. Per quel che valeva. 



Remus chiuse la telefonata con Mary e si preparò ad andare a letto. Si tolse il maglione e i pantaloni e poi andò verso l’armadio passando davanti allo specchio. Quando adocchiò il proprio riflesso tornò indietro e si fermò di fronte con solo i boxer addosso. Remus non si era mai considerato un ragazzo particolarmente attraente, ma non si sarebbe nemmeno classificato come brutto. Non lo sapeva. Se doveva essere sincero non ci aveva mai pensato, la mente sempre occupata su altro. Così come non badava a come si vestiva; di solito era sua madre a scegliere i vestiti per lui e se li faceva andare bene perché alla fine doveva solo essere coperto e comodo. 

Ma non avrebbe definito il proprio fisico capace di attrarre. Troppo magro, le gambe troppo sottili e le braccia senza muscoli. Trovava persino che le sue dita fossero sproporzionate rispetto al resto del corpo. E il viso era sicuramente quello di un ragazzo nella media, persino gli occhi erano di un casuale marrone - di certo non intensi come quelli di Sirius - e i riccioli castani gli cadevano sugli occhi troppo spesso. Senza contare le due cicatrici che aveva all’altezza del petto, risultato di un paio di interventi al cuore.
Mary gli aveva detto che era carino, glielo aveva già detto più volte. Ma lei non contava. E nemmeno sua madre contava.

Quindi perché uno come lui avrebbe dovuto piacere a uno come Sirius che di certo sceglieva accuratamente che tipo di jeans strappati mettere e che sicuramente passava ore davanti allo specchio solo per spettinarsi i capelli con accurata inaccuratezza? 

E lui perché continuava a pensare a Sirius? 


*** 


Seconda fanfiction che aggiorno oggi! Mi sento soddisfatta di me stessa :) 

Cosa ne pensate? Abbiamo avuto anche uno sguardo sulla vita di Sirius che, come sicuramente avrete potuto immaginare, segue più o meno il canone di Harry Potter. Per quel che ne sappiamo almeno. 


Se vi state chiedendo chi sia KJ Apa, è un attore di Riverdale (una serie tv abbastanza trash) e ha dei pettorali magnifici. Googlatelo XD


Per il resto, aspetto i vostri commenti.


Baci,

C.


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Capitolo 6
*** Chiacchiere tra amici ***


Chiacchiere tra amici


I giorni passarono e Remus scoprì di non odiare quella scuola così tanto. Le ragazze sembravano averlo preso sotto la sua ala e si trovava a passare gran parte del tempo con loro, si sedeva sempre vicino a qualcuna di loro quando avevano in comune delle lezioni.

Quella con cui faceva più fatica a comunicare era Emmeline: la ragazza sembrava sempre scattare quando lui le si avvicinava, ma Remus immaginava che fosse solo timida, parlava poco anche con le altre, dopotutto.

La poteva capire. Non era sicuro se potesse definire quelle cinque ragazze come amiche - non come Mary quantomeno - ma ci si avvicinavano. E lui stava bene. Ma non pensava che fosse ancora il momento di rilassarsi in quella abitudine. Quel pomeriggio però, dopo le lezioni, Alice era venuta a trascinare lui e Lily dal loro confortevole nascondiglio in biblioteca per trascinarli a vedere gli allenamenti di rugby.

E quindi, Remus ora si trovava seduto sui gradini gelidi degli spalti del campo della scuola nell’aria autunnale che iniziava a pizzicare le guance e le mani; non si era vestito bene. 

Guardavano una ventina di ragazzi in pantaloncini attillati e caschetti mentre si lanciavano un pallone ovale, obbedendo agli ordini del coach che si alternava tra l’insultarli e l’elogiarli, come fosse indeciso. 

Remus immaginava che quello fosse il modus operandi di un coach che ci teneva alla vittoria della propria squadra.

Alice era quella più presa dal gioco, ovviamente intenta a osservare il suo ragazzo. Anche Dorcas e Marlene erano lì, ma con aria annoiata.

Lily era seduta un gradino più in basso, il volto immerso in un libro, ma Remus notò che ogni tanto alzava lo sguardo sul campo.

Anche lui avrebbe voluto concentrarsi sullo studio, ma i suoi occhi non facevano che cadere sul giocatore con la maglia numero 22. Non era sicuro se fossero i pantaloni a dargli quella forma, o se fosse Sirius Black ad avere un culo stratosferico. 

Insomma, Remus si sentiva in tutti i sensi un adolescente gay pieno di ormoni esplosivi e non sapeva come risolverlo. Non gli piaceva quella sensazione perché non lo avrebbe portato da nessuna parte, tranne a soffrire.

Improvvisamente si sentirono delle grida e degli applausi provenire dal campo. Uno dei giocatori doveva aver segnato in quella partita amichevole improvvisata tra loro.

Tutti alzarono lo sguardo. Il numero 9, James Potter, si tolse il casco e si girò verso gli spalti, alzando la testa su di loro.

“Ehi, Evans! Questo goal era per te!” urlò a pieni polmoni. Qualcuno della squadra gli fischiò e qualcun altro gli batté una pacca bonaria sulla schiena.

Lily alzò gli occhi al cielo ma non disse nulla.

“Non capisco perché sei venuta, Lily”, disse Marlene.

“Perché voglio bene a Alice e lei ha insistito. Piuttosto, voi che ci fate qui?”

“Per guardare tutto questo esibizionismo di testosterone eternormativo e deriderlo dopo che io e Dorcas abbiamo fatto del sesso fantastico”.

Non era la prima volta che Remus sentiva una battuta di quel tipo provenire o da Dorcas o da Marlene e poteva dire ormai con una certa sicurezza che le due ragazze stessero insieme. Le vedeva sempre insieme e qualche volta si tenevano per mano. Ma non le aveva mai viste baciarsi. Alice si alzò e raccolse la propria borsa.

“Ho le prove di teatro”, disse a mo’ di risposta quando le amiche la guardarono con curiosità. “Remus, mi accompagni?”

“Oh, okay”.

“Voi potete rimanere qua”.

Nessuno protestò, nemmeno Remus che aveva intuito che Alice volesse qualcosa da lui.

“Remus!” lo chiamò quando si furono allontanati abbastanza da orecchie indiscrete. “Secondo te a Lily piace James?”

“Cosa?!”

“Sii sincero. Le piace?”

“No, ehm… a me non sembra”. 

Alice si fermò di colpo e sospirò stancamente. “Io sono abbastanza convinta di sì invece. Non fa altro che ritrovarsi dove c’è lui. Anche ora… non ho insistito perché venisse a vedere gli allenamenti. Poteva mandarmi al diavolo, non sarebbe la prima volta. E poi quando vede che James è in corridoio o da qualche parte nei paraggi, fa sempre in modo di farsi notare da lui. Penso che lei nemmeno se ne accorga. Però sa che lui la noterà sempre e che le dirà qualcosa. Deve sempre rispondergli”.

“Oh e allora perché non fa altro che insultarlo?”

“Perché loro due fanno così. È come un gioco a chi cede per primo e non sanno nemmeno di starci giocando. Fanno così dal primo anno. Sono abituati, è il loro modo di interagire l’uno con l’altro. E si, all’inizio forse Lily odiava James, ma ora credo che… credo che non sia più così”.

“Oh”. Remus abbassò lo sguardo sulle proprie scarpe. Non capiva perché Alice gli stesse raccontando tutto quello.

“Se… se ne sei sicura.”

“Credimi, ho un sesto senso per queste cose”. 

Remus aveva imparato per esperienza che dire frasi del genere portava male.

“E… io cosa dovrei fare?” chiese titubante.

“Aiutarmi a far capire a Lily tutto ciò”.

Remus spalancò gli occhi e fece un passo indietro come se fosse spaventato.

“Io? Perché io?”

“Lo so che non ti conosco bene ma credo tu sia abbastanza sensibile da capire queste cose. E poi Dorcas e Marlene sono due pezzi di ghiaccio e a loro non interessa e Emmeline ha paura persino della propria ombra”.

“Non lo so, Alice”.

“Dai, Remus!”

Remus non voleva dire di no a Alice visti che si stava rivelando essere una sua potenziale amica, ma non voleva nemmeno immischiarsi nella vita privata di altri.

“Comunque ne riparliamo. Ho davvero prove di teatro”.

Alice si girò per andarsene ma dopo qualche passo sembrò ripensarci.

“Ah e… Remus”.

“Si?”

“Visto che siamo in vena di confidenze, Emmeline ha una cotta per te e credo che farà qualcosa a riguardo. Solo che è molto sensibile quindi vedi di non spezzarle il cuore”. E con quello se ne andò lasciando il povero Remus a fissare la sua schiena esterrefatto.

E ora che doveva fare?


“Off!” sospirò James buttandosi all’indietro e stropicciandosi i capelli con entrambe le mani. Sirius ridacchiò ammirando il disastro che l’amico aveva combinato con la propria capigliatura. Era incredibile che nessun volatile ci avesse ancora fatto il nido.
“Arrenditi! Vincerò sempre io in questo gioco”.
“E dire che te l’ho mostrato io. Nemmeno lo conoscevi prima”.
“Com’è che si dice? Quando l’allievo supera il maestro…”.
“Certo certo”.
James appoggiò il joystick a terra e si alzò da terra stiracchiandosi le gambe, rimaste incrociate troppo a lungo.
“Prendo degli altri pop corn”, disse raccogliendo la ciotola di pop corn che i due avevano svuotato mentre giocavano.
Sirius appoggiò la schiena contro il divano dietro di lui e portò le mani dietro la testa, gli occhi fissi sullo schermo doveva avevano lasciato il gioco in pausa. Era contento di passare quella serata a casa di James, ma ultimamente sentiva sempre di essere un intruso, non importava che James gli ripetesse che per lui era come un fratello e i signori Potter che era benvenuto quando voleva.
Quella non era casa sua e i signori Potter non erano i suoi genitori, anche se lo avrebbe tanto voluto. Più di una volta aveva si era trovato a chiedersi perché fosse capitato proprio a lui, perché si era meritato quei genitori che aveva. Più di una volta si era trovato a chiedersi se fosse lui quello sbagliato se nemmeno i suoi genitori potevano amarlo, se nemmeno suo fratello poteva amarlo.
James lo trascinò fuori da quel sentiero di pensieri macabri ritornando con la ciotola di pop corn piena. Si risedette per terra vicino all’amico, posizionando nuovamente la ciotola in mezzo a loro.
“James?”
Sirius si servì una manciata di pop corn.
“Sì?”
“Che cosa pensi del ragazzo nuovo?”
James girò la testa verso l’amico, perplesso da quella domanda. Intanto masticò alcuni pop corn anche lui.
Sirius non sapeva da dove gli fosse uscita quella domanda, ma erano un paio di giorni che ci rimuginava sopra, sopra quel ragazzino appena arrivato nella loro scuola.
“In che senso?”
“Be’ non lo so. Nel senso che vuoi”.
“Non ci ho mai parlato. Non so nemmeno come si chiama”.
“Remus Lupin”.
“Okay”.
“E’ carino, non trovi?”
James a quel punto esibì un ghigno malizioso.
“Te lo vuoi scopare?”
Sirius abbassò lo sguardo sulle proprie mani incrociate sulla pancia. “No, non è quello”, disse e si sorprese nel constatare che era vero. “Lascia stare. Non è nulla di importante”.
“Se ti piace chiedigli di uscire. Non è mai stato un problema per te”. 
James aveva ripreso in mano il joystick e stava per rimettersi a giocare. Sirius si limitò a scrollare le spalle. Già, non era mai stato un problema per lui. 


*** 

Yeah!! Finalmente arrivo con un nuovo aggiornamento. So che vi ho fatto attendere molto e vi chiedo scusa ma è un periodo abbastanza caotico. Nonostante avessi il capitolo già pronto, purtroppo non trovavo il tempo di scriverlo al pc. O semplicemente, arrivavo a fine giornata talmente stanca che mettermi a scrivere era fuori discorso. 


Spero però che abbiate apprezzato il capitolo. So che non è molto, insomma, non succede granché e ci sono poche informazioni qui. Però dai, c’è una bella svolta: abbiamo scoperto che anche Sirius potrebbe covare dell’interesse per il nostro piccolo e insicuro Remus :) 


Voi che dite. Ogni recensione è gradita. 

Un bacio e a presto (spero). 


C.


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Capitolo 7
*** Un rifiuto ***


UN RIFIUTO


Dopo la chiacchierata con Alice, Remus aveva fatto il possibile per evitare Emmeline e non ritrovarsi con lei da solo.

Peccato che seguivano insieme il corso di storia e la ragazza aveva iniziato a sedersi accanto a lui. Remus cercava di mostrarsi il più possibile disinteressato: affondava la testa nel libro o negli appunti e rispondeva a monosillabi quando lei gli chiedeva qualcosa e dopo le lezioni scappava via di corsa. Per fortuna Emmeline sapeva mantenere le sue distanze e non era troppo invadente, ma Remus sapeva di non poterla trattare così. Dopotutto era una ragazza carina e dolce. 

Come avrebbe fatto a rifiutarla senza spezzarle il cuore? Quando una volta aveva cercato di avvicinarglisi dicendogli che doveva chiedergli qualcosa, l’aveva interrotta dicendo che doveva scappare da un’altra parte. Il che era vero, sua madre lo stava aspettando fuori dalla scuola per accompagnarlo a una visita medica. 

Ma il problema si sarebbe ripresentato l’indomani e il giorno dopo ancora e non poteva continuare ad evitarla tutto il tempo. Oppure poteva anche accettare il flirt della ragazza e uscire con lei, vedere come andava. 

No, no. Remus scacciò subito quel pensiero dalla testa. Non voleva vivere in una bugia, non era quel tipo di persona. Un conto era non aver ancora fatto coming out con nessuno ma un altro era fingere di provare attrazione per una ragazza. E Emmeline non se lo meritava. Senza contare che se le cose fossero diventate fisiche - perché succedeva sempre - come avrebbe spiegato la sua mancanza di attrazione? Quello non lo poteva fare, nemmeno col pensiero.

Ma perché doveva sempre ritrovarsi in problemi che non cercava? E perché doveva sempre fissarsi così tanto? Sapeva che non gli faceva bene ai nervi, e nemmeno al cuore.

C’era sempre la possibilità che Alice si sbagliasse e che Emmeline volesse solo essere sua amica. Dopotutto, perché mai qualcuno si sarebbe dovuto prendere una cotta per lui? Non gli era mai successo. 

A parte quella volta con Mary, ma quello era un discorso diverso.

“Remus?”

Remus quasi sobbalzò quando la dottoressa chiamò il suo nome. 


La visita, per fortuna, andò bene anche se la dottoressa notò che era un po’ stressato e gli raccomandò di cercare di non mettersi in situazioni che potevano provocargli ansia - al che Remus alzò gli occhi al cielo dentro di sé - e gli aumentò il dosaggio delle medicine. 

Adesso gli toccava vedersela con l’altro problema.

Ma non era ancora pronto. Quindi, quando un pomeriggio Lily gli chiese se voleva studiare con lei e Emmeline in biblioteca, Remus rifiutò. 

Alice era impegnata con le prove di teatro e Marlene e Dorcas erano chissà dove, quindi non aveva veramente un posto dove andare. Optò per l’unica soluzione che gli si presentò in quel momento. Gli spalti del campo da rugby.

La squadra si stava allenando e qualcuno era seduto sui gradini - sfidando l’aria autunnale che un po’ alla volta si faceva sempre più pungente. 

Remus impallidì di colpo nel realizzare cosa quello implicava. No, no. Non si sarebbe lasciato distrarre. Aveva il libro di Toni Morrison da finire che poi dovevano fare un lavoro a coppie. Però, Sirius… Diamine! 

Quel giorno, coi capelli ancora più spettinati e appiccicati alla fronte sudata era ancora più sexy. Lo doveva ammettere, se non altro per amor proprio, in quei giorni aveva sfogliato alcune volte il profilo Instagram di Sirius per vedere se aveva messo altre foto o per rivedersi quelle vecchie. Se il ragazzo avesse avuto il profilo privato non avrebbe avuto quella specie di “guilty pleasure”.Non gli avrebbe mai messo il follow.

Remus sospirò dandosi mentalmente del disperato verginello.

Non gli era mai successa una cosa del genere prima d’ora, non avrebbe cominciato ora.

Cercò di tornare alla lettura promettendosi niente più distrazioni, quando una voce femminile lo chiamò. Remus giro il capo e brividi freddi gli percorsero la schiena.

Emmeline stava venendo nella sua direzione, pestando quasi con furia il terreno con le sue Hugs

Remus esalò un altro sospiro, chiudendo per un istante gli occhi come per farsi forza. Era arrivato il momento di affrontare la questione. 

“Ciao, Emmeline”.

La ragazza posò a terra la borsa e gli si sedette accanto.

“Che fai?” 

“Ehm… Cerco di finire questo libro”.

“Perché… Perché non sei rimasto con me e Lily in biblioteca, allora?” 

Merda! 

“Perché… Perché avevo bisogno di un po’ d’aria. La biblioteca a volte è soffocante”.

“Capisco”. Emmeline posò lo sguardo sui giocatori in campo e non protestò ulteriormente. 

“Remus”.

Se Remus aveva sperato che la ragazza ci avesse rinunciato si era sbagliato di grosso. 

“Dimmi, Emm”.

“Mi chiedevo”. La ragazza esitò. Si girò verso di lui evitando di guardarlo negli occhi. Aveva le guance imporporate, forse non per il freddo. “Mi chiedevo se ti andasse di uscire con me qualche volta”.

Remus richiuse il libro e si girò verso la ragazza, inspirando e decidendo di lasciare che fosse l’istinto a guidarlo prima di perdere tutto il coraggio, scappare e nascondersi per sempre.

“Emmeline, mi piacerebbe molto uscire con te”. Pausa. “Da amici”.

Gli occhi della ragazza si erano illuminati all’istante sentendo la prima parte della frase. Poi abbassò gli occhi e assunse un cipiglio confuso.

“Ecco, io… Non so se te ne sei accorto, ma… Mi piaci. E vorrei uscire con te da più che amici”.

La ragazza aveva coraggio, questo glielo doveva concedere. Lui non sarebbe riuscito a fare tutto quel discorso senza inciamparsi nelle parole e diventare un pomodoro.

Sirius stava correndo dall’altra parte del campo quando Remus lanciò un’occhiata in quella direzione prima di tornare a rivolgere l’attenzione a Emmeline.

“Senti, sei una ragazza carina però…”.

“Non ti piaccio”, lo interruppe lei. Remus non sapeva come ammetterlo senza ferirla. Avrebbe potuto dirle semplicemente di essere gay e farla finita, era più facile che tutta quella messinscena; non è che Emmeline lo avrebbe allontanato schifata, non gli dava quell’impressione. E in ogni caso, non aveva bisogno di persone negative nella sua vita.

Aveva le parole sulla punta della lingua eppure non ci riusciva. Sarebbe stato il suo primo coming out e non ci riusciva. Non sei tu, sono io suonava altrettanto patetico ed era stato talmente abusato nei film romantici fatti male che aveva perso qualsiasi senso.

“È che al momento non sono… Non sono nelle condizioni giuste per una relazione. O uscire con qualcuno”.

Forse anche quella frase era stato un po’ abusata, ma era meno peggio della precedente.

“Oh, okay”, disse semplicemente Emmeline.

Poi cadde un silenzio teso e Remus desidero che lei dicesse qualcosa altro per fargli almeno sapere come si sentiva a riguardo.

Ma nemmeno un mormorio arrivò dalla ragazza. Quindi Remus si decise a essere il coraggioso della situazione.

“Sei una ragazza carina, troverai sicuramente qualcuno meglio di me”.

Emmeline piegò le labbra in un piccolo sorriso e Remus senti una presa invisibile allentarsi dal suo stomaco.

“Ma tu sei gentile. Ce ne sono pochi così”.

“Ehi! Abbi più fiducia negli altri”.

“Lo dice sempre anche Alice”.

Emmeline si alzò e raccolse la borsa. “Io comunque ci ho provato”.

“Ehi, Emm”, richiamò Remus prima che l’altra si allontanasse.

“Possiamo ancora essere amici? Mi piacerebbe che fossimo amici, ecco”.

Emmeline annuì. “Certo! Amici”.

Una volta rimasto solo Remus capì che non sarebbe riuscito a leggere più nulla e quindi si alzò - cominciava davvero a fare freddo - e si diresse verso l’interno, senza guardare dove andava, seguendo i piedi che si muovevano in automatico e fissandosi le scarpe da ginnastica.

Non vide che stava passando nella direzione degli spogliatoi maschili, non vide che stava andando a sbattere contro Sirius Black finché non gli fu quasi addosso.

“Woah!”

Remus alzò lo sguardo e quando vide l’altro guardarlo con un sopracciglio alzato il suo cuore accelerò immediatamente i battiti. Non un buon segnale.

Il leggero vento che c’era scompigliò i capelli sciolti di Sirius e spinse verso Remus il suo odore di sudore e sigarette. Com’era possibile trovare attraente un odore così primitivo e normalmente sgradevole? Era intossicante.

“Stai bene?”

“Sì, io… Scusami. Non stavo guardando dove andavo”.

Aveva almeno detto una frase di senso compiuto? Non ne era sicuro, ma Sirius piegò le labbra in un ghigno. Poteva esplodere l’intero campo dietro di lui e Remus sarebbe rimasto a guardarlo come uno scemo, memorizzando ogni suo dettaglio in quella divisa.

“Fai attenzione. Potresti venire travolto la prossima volta”. E con quello, Black corse via.

Magari lo avesse travolto un camion in quel momento, almeno non se la sarebbe dovuta vedere con quella pressione che stava pian piano credendo nei suoi pantaloni.


*** 


Ehi! Ditemi, non vi aspettavate un aggiornamento così presto? Be’, ho pensato che, dato che non ho aggiornato l’altra fanfic, potevo almeno consolare i miei fan (per chi segue entrambe ovviamente) con questa.
Che mi dite? Non ne sono molto soddisfatta a dire il vero, non per quello che succede in questo capitolo ma per come è scritto. Eppure non sento di poter fare di meglio.
Ma lascio a voi i commenti. 

Devo dire che leggere le recensioni che mi lasciate, sempre così belle e appassionate, mi riempie di voglia di scrivere.
Non date mai per scontato questa cosa; noi autori di fanfiction non scriviamo le nostre storie “gratuitamente”, non nel vero senso della parola: ci impieghiamo il nostro tempo, le nostre energie, la voglia, la forza, che anche se sono concetti astratti sono molto importanti nella vita di una persona e dato che non riceviamo soldi in cambio l’unica cosa che chiediamo sono i commenti. Purtroppo EFP non permette i like come AO3 quindi l’unico modo per far capire che apprezzate la storia è commentare (be’, e anche mettere la storia tra le preferite/seguite/ricordate).


Quindi davvero, vi invito a farlo. E’ veramente una cosa soddisfacente e - credetemi - inspira tanta voglia nello scrivere la storia e renderla disponibile a un pubblico (piuttosto che lasciarla a marcire in una cartella del pc).


Per il resto, buon continuo di settimana. 

Baci, 


C.


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Capitolo 8
*** L'erede della famiglia ***


L’EREDE DELLA FAMIGLIA


Sirius era indeciso tra il prendere a pugni il proprio riflesso davanti allo specchio e strapparsi di dosso quel costoso completo che sua madre lo aveva costretto a indossare. La prima opzione forse era quella più papabile; se si fosse ferito col vetro sua madre magari non lo avrebbe fatto andare a quella pagliacciata. Ma anche la seconda opzione; quantomeno lo avrebbe messo in punizione e magari non lo avrebbe fatto andare.
No, non era vero. Lo avrebbe messo in punizione e lo avrebbe fatto andare comunque, dopo averlo preso a sberle. E per lui sarebbe stata una doppia punizione. Alla fine scelse di andarci, non era esattamente sicuro cosa lo avesse convinto, forse l’auto-preservazione.
In corridoio incrociò Regulus che come lui era vestito elegante, ma aveva i capelli pettinati all’indietro col gel.
Sirius si era legato i propri in una treccia - aveva imparato a farla grazie a un tutorial di YouTube - solo perché così riusciva a tenerli in ordine, altrimenti sua madre poteva davvero tagliarglieli questa volta.
Suo fratello si limitò a lanciargli un’occhiata e poi si avviò giù per le scale. Sirius lo seguì. Odiava le domeniche. Be’, odiava quelle in cui non riusciva a scappare dalle grinfie della sua famiglia e rifugiarsi dai Potter, giocare coi videogiochi per ore con James o passeggiare senza alcuna meta chiacchierando col suo migliore amico di cose a caso.
Adorava James, con lui poteva essere quello che voleva, con lui poteva dire quello che gli pareva. James non faceva mai troppe domande e non pretendeva nulla.
“Sirius, forza! Gli ospiti sono già arrivati!” lo esortò la madre, più composta e impettita che mai.
Aveva un lungo abito verde oliva e collana di perle. Sirius si chiedeva come qualcuno potesse trovare bella e piacevole quella donna. Sirius odiava le domeniche perché la sua famiglia si divertiva a organizzare raduni e feste con tutti i parenti, i clienti e i soci migliori.
Per mantenere alto il nome della famiglia nella società, dicevano. Ma Sirius la trovava solo una emerita pagliacciata dove tutti fingevano di essere ciò che non erano.
E tra tutti lui era quello costretto a fingere di più. Ma era stufo marcio.
“Oh Sirius, caro!” esclamò sua cugina Bellatrix comparendogli accanto non appena il ragazzo entrò nell’immensa sala dei ricevimenti della casa.
Sì, erano di quelli che avevano una stanza dei ricevimenti nella casa di famiglia. Nemmeno nelle peggiori puntate di Downton Abbey. Sirius odiava Bellatrix forse più di tutti gli altri della sua famiglia. Aveva quel sbrilluccichio maniacale negli occhi e secondo Sirius rasentava la sociopatia. Si era sposata da poco con Rodolphus Lestrange, il figlio di uno dei soci di suo padre, una specie di matrimonio combinato. Il ragazzo doveva essere stupidamente coraggioso oppure ci teneva molto agli affari. Oppure era come lei.
Sirius non poteva sopportare Bellatrix, non da sobrio quantomeno. Lei aveva un sorriso ampio, mostrava tutti i denti, ma non le arrivava mai agli occhi. Era come se si sforzasse, come i sociopatici. E poi il tono di voce… Sembrava una cantilena, ma una di quelle che senti nei film horror e che promettono scene di massacro.
Sirius adocchiò subito i tavoli pieni di cibarie che erano stati addossati contro le pareti e anche se si sapeva che i camerieri avevano lavorato il triplo per preparare tutto quello, decise che avrebbe rinunciato al cibo.
Afferrò subito un bicchiere di vino da uno dei camerieri di passaggio.
“Non essere così ingordo, Sirius!” lo redarguì Bellatrix, trascinandolo malamente verso il camino.
Quattro paia di occhi si posarono su di lui: Rodolphus e il fratello Rabastan, l’altra sua cugina e sorella minore di Bellatrix, Narcissa e il marito di quest’ultima, Lucius Malfoy. Lucius non gli metteva i brividi tanto quanto Rodolphus, ma lo trovava ugualmente viscido.
“Oh Sirius”, lo salutò Narcissa con un sorriso gentile, e stranamente sembrava vero. Narcissa non somigliava per nulla a Bellatrix, anzi, era l’esatto opposto: di bellezza candida, cordiale, dalle maniere gentili e per niente rumorosa come la sorella. Stava per lo più in silenzio ma Sirius aveva come l’impressione che per la sua testa passassero un’infinità di cose.
“Ti trovo bene”.
Sirius scrollò le spalle. Davvero, non aveva voglia. Un altro paio di bicchieri e avrebbe potuto mandare tutti a quel paese.
“Le maniere non sono migliorate però, vedo” commentò Rabastan.
Sirius alzò uno sguardo di fuoco su di lui. “Da che pulpito!”
“Sirius!”
Sirius alzò gli occhi al cielo quando riconobbe la voce della madre che lo chiamava.
I suoi genitori vennero loro incontro insieme a un uomo alto accompagnato da una giovane ragazza che poteva avere l’età di Sirius o poco più.
“Questo è Sirius, il nostro primogenito. Ed erede delle cantine della famiglia”.
Oh, quindi stava ancora abbastanza simpatico alla sua famiglia da esserne considerato l’erede.
L’uomo alto abbassò lo sguardo su di lui. Aveva un sorriso bonario che non diceva molto.
“Questo è il signor Mulciber, un socio di tuo padre”, continuò Walburga. “E lei è sua figlia Anastasia. E’ una ragazza davvero a modo. Sono certa che andrete d’accordo”.
“Piacere. Puoi chiamarmi pure Sebastian”, disse il signor Mulciber porgendogli la mano.
Anastasia si limitò a sorridergli. Indossava un abito che le arrivava sopra il ginocchio, dorato e pieno di brillantini. I capelli erano raccolti in uno stretto chignon a scoprire un volto regale ma non severo, e dolcemente truccato.
“Perché tu e Anastasia non andate da qualche parte a conoscervi? Potresti farle fare il giro della casa”.
“Davvero, madre?” fece Sirius alzando gli occhi su Walburga e affrontando il suo sguardo senza esitazioni. Walburga strinse le labbra in un’espressione stizzita.
“Sirius, sai bene quanto le relazioni sono importanti nella nostra famiglia”, disse la donna sforzandosi di mantenere un tono affabile. “E so che tu ci tieni a questa famiglia”.
“Oh, come Andromeda?”
Improvvisamente tutti sembrarono trattenere il fiato e un silenzio di gelo cadde sui presenti. Solo Sebastian e Anastasia parvero confusi.
“Noi non la nominiamo qua dentro”, disse Walburga pronunciando con ferocia ogni parola, dimenticandosi stavolta ogni gentilezza.
“Oh, non perdiamoci in queste sciocchezze”, intervenne allora Orion, da sempre quello che meglio sapeva ribaltare le situazioni a proprio favore. “Sebastian, vorrei parlarti del nostro ultimo raccolto. E sono certo che nostro figlio Regulus accompagnerà Anastasia più che volentieri in giro per la proprietà”.
Suo padre continuò a intrattenere l’ospite con discorsi sui vini e le cantine e intanto Sirius si sentiva gli sguardi omicidi di tutti i suoi parenti addosso.  


Benissimo, pensò, la festa non era nemmeno a metà e aveva già combinato un casino.
Sapeva gliela avrebbero fatta pagare. Non sapeva nemmeno perché avesse tirato in ballo Andromeda. Qualcosa nelle intenzioni di sua madre lo aveva fatto scattare. Presentargli quella ragazza così, in modo subdolo…
Si chiuse in bagno e scivolò lungo la porta, sedendosi a terra sulle fredde mattonelle.
Tirò fuori il cellulare e scrisse a James:

Sirius: ehi!


James rispose subito.


James: Ehi! Come procede? 

Sirius: Credo che mia madre voglia combinarmi un matrimonio.

James: scherzi?
Sirius: Sono serio.
James: Smettila con quella battuta.

Sirius: ;) 

James: sai che puoi scappare qui quando vuoi.
Sirius: lo so, ma per ora resisto.
James: ti aspetto stasera allora.
Sirius: certo! 


Sirius arrivò alla fine della festa tra un bicchiere di vino e l’altro, cercando i posti meno affollati della casa. Un paio di volte si era ritirato nell’angolo più remoto del giardino solo per poter fumare in santa pace.
I suoi genitori non cercarono più di coinvolgerlo in alcuna conversazione con gli ospiti; probabilmente l’argomento Andromeda li aveva spaventati sufficientemente.
Quando finalmente tutti gli ospiti se ne furono andati, Sirius poté finalmente ritirarsi in camera. Si portò subito le mani al colletto della camicia per uscire il prima possibile da quel completo.
Ebbe appena il tempo di sfilarsi la camicia dai pantaloni che la porta della stanza si spalancò e Walburga apparve sulla soglia.
Sirius lasciò cadere le braccia e guardò la madre, la baldanzosità di prima completamente sparita ora.

“Cosa diamine ti è saltato in mente?”
Sirius non disse nulla.
Walburga entrò nella stanza. Sirius non vide nemmeno quando la madre sollevò la mano destra. Percepì solo il colpo che schioccava contro la sua guancia, accentuato dall’enorme anello che sicuramente gli aveva spaccato un labbro. Sentiva già il sangue sulla lingua.
“Non uscirai da questa stanza stanotte. Non mi interessa se muori di fame. E vedi di sciogliere quella treccia che sembri un finocchio”.
E se ne andò chiudendo la porta a chiave dietro di sé.
Sirius si girò verso lo specchio osservando il proprio riflesso. Riusciva già a vedere il livido spuntare sullo zigomo destro e la striscia di sangue scuro sul labbro superiore.
No, non sarebbe rimasto in quella casa quella notte. Non si sarebbe fatto fermare da una porta. Non era la prima volta che scassinava una serratura, in fondo.
Lasciò passare una mezz’ora circa - di solito sua madre dopo una festa si ritirava subito per riposarsi in camera sua e suo padre si chiudeva nello studio - aprì la porta con una delle forcine con cui si era legato i capelli e, orecchie bene all’erta, sgattaiolò furtivamente al piano inferiore. Nel tragitto incrociò solo Regulus che lo osservava con sguardo scuro dalla soglia della sua stanza.
Sirius lo ignorò e Regulus non disse nulla. Non avrebbe fatto la spia. O almeno, Sirius lo sperava. All’ingresso afferrò la giacca di pelle, le chiavi della moto e uscì. 


Sirius parcheggiò la moto nel vialetto di casa dei Potter e in due falcate raggiunse la porta. Stringendo il casco sotto il braccio, suonò il campanello. Sembrava quasi che James lo stesse aspettando perchè gli aprì subito.
“Woah!” esclamò l’amico. “Che hai fatto alla faccia?”
Sirius non si guardava allo specchio da quando era uscito di casa, ma immaginava che il colpo di sua madre si stesse gonfiando.
“Mia madre”, rispose con fare annoiato.
“Ci hai messo del ghiaccio?” chiese James facendo entrare l’altro dirigendosi verso la cucina.
“No”.
James aprì il freezer e tirò fuori una confezione di piselli surgelati.
“Mettila sul livido”.
Sirius afferrò la confezione di piselli e se la schiaffeggiò in faccia, sedendosi al tavolo. James gli si accomodò di fronte.
“Allora? Cosa è stato stavolta a farla scattare?”
Sirius scrollò le spalle. “Ho detto una cosa che non le è piaciuta”.
“Cosa?”
“Andromeda”.
“Oh”. Anche James era un po’ sorpreso. Conosceva pure lui la storia di Andromeda, ma Sirius non l’aveva mai più nominata.
“Già”.
I due rimasero per un po’ in silenzio.
“I tuoi non sono in casa?” chiese Sirius.
“No, sono andati a trovare la nonna”.
La nonna di James - madre di suo padre - era l’unica nonna del ragazzo rimasta in vita, ma praticamente non usciva più di casa e viveva con la badante. Era quasi centenaria.
“Se vuoi frego un po’ della pomata di mia mamma. Per quel livido”.
La madre di James era infermiera e ogni tanto portava a casa cerotti e pomate varie. Sapeva quanto il figlio ne avesse bisogno giocando a rugby.
James studiò la faccia del suo migliore amico per un po’, poi disse: “Senti, forse dovremmo parlarne… Trovare una soluzione”.
“No!” sbottò Sirius, più aggressivamente di quello che avrebbe voluto. “Non c’è da parlarne. Non c’è una soluzione”.
“Ma Sirius, non puoi continuare così”.
“Possiamo per favore giocare alla play? O andare al campo o fare qualsiasi altra cosa? Ti prego”.
Vedendo l’espressione supplicante e vagamente disperata dell’amico, James decise di non spingere ulteriormente.
Ma non riuscì a togliersi di dosso quella sensazione di dispiacere e preoccupazione, chiedendosi quanto tempo ci avrebbe messo Sirius a esplodere.


*** 


No, non avete le allucinazioni, questo è un aggiornamento!! Yeah! Hahaha chiedo scusa per questa enorme attesa, ma ormai è inutile che vi propini le solite scuse. La vita si mette sempre in mezzo. 


Comunque, non mi dilungo troppo, volevo solo chiedervi cosa ne pensate dei prestavolto. Mi piacerebbe scegliere alcuni “attori” che diano il volto ai personaggi di questa storia, però non so, ditemi voi. So che spesso e volentieri i lettori preferiscono non essere portati a immaginarsi i personaggi come li ha pensati l’autore, ma piuttosto andare di fantasia propria. Quindi, in caso, fatemi sapere :)
Non voglio scontentare nessuno. 


Un bacio, 

C.


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Capitolo 9
*** Fare conoscenza ***


FARE CONOSCENZA



“Ehi, Remus!”
Remus stava attraversando il corridoio principale verso le scale quando sentì la voce di Alice chiamarlo da dietro. La ragazza era in piedi vicino al proprio armadietto, attaccata al braccio di Frank.
“Noi non abbiamo avuto ancora il piacere di presentarci”, disse Frank non appena Remus si unì a loro e allungando la mano per stringere quella dell’altro ragazzo in un saluto molto cordiale.
“Sono Frank, il ragazzo di Alice. Ma questo si era capito penso”.
Remus sorrise. “Piacere, Remus”.
“E’ anche il capitano della squadra”, aggiunse Alice, spostando la mano sul petto del ragazzo con fare vagamente possessivo.
“Dai, Alice, non penso che Remus sia interessato alla squadra della scuola”.
“E’ un ruolo importante, tesoro. Non fare il modesto”.
Ora la mano di Alice aveva iniziato ad accarezzargli il petto, su e giù, tra i pettorali e l’addome e aveva dovuto inclinare la testa all’indietro per riuscire a vederlo negli occhi.
Chissà come doveva essere sentire quei muscoli a contatto con la mano. Frank era davvero un bel ragazzo e per giunta sembrava gentile.
Suvvia, Remus, che stai facendo? E’ il ragazzo di una tua amica. Ed è pure etero. 

Ma i suoi ormoni potevano comunque sognare, no?
“Ehi, Frankie!” gridò la voce esuberante di James dall’altra parte del corridoio. Il ragazzo li raggiunse, accompagnato da Sirius. Remus ebbe un sussulto non appena vide il ragazzo dai capelli lunghi; esibiva un orribile livido scuro sotto l’occhio destro e lo zigomo era di una tonalità giallo vomito.
“Woah, Sirius! Che hai fatto all’occhio?” chiese Frank, lo sgomento visibile in volto. 

“Incontro ravvicinato con un pallone. Mi stavo allenando e mi è finito in faccia”, rispose Sirius.
Remus osservò il volto tumefatto del ragazzo e percepì con la coda dell’occhio James accanto a lui irrigidirsi. Forse era solo una sensazione, forse era troppo influenzato dalle serie tv che vedeva, ma qualcosa in quella storia non gli quadrava.
“Meglio che indossi il casco anche quando ti alleni, Black”, suggerì Frank ridacchiando.

“Me lo ricorderò, Frankie”, fece Sirius in tono un po’ scocciato. Poi spostò lo sguardo su Remus.
“Vieni a lezione di chimica?” gli chiese.
Remus non si aspettava quella domanda.
“Sì, certo”.
“Andiamo?”
“Ehm… okay”.
Sirius fece strada e Remus lo seguì, il cuore che gli batteva all’impazzata nel petto. 


Remus non era sicuro di come esattamente fosse capitato, ma non se ne sarebbe affatto lamentato.
Sirius era particolarmente amichevole quel giorno  e Remus, dopo che il suo cuore aveva rallentato a un ritmo normale, aveva iniziato a rispondere alle sue battute e sembrava che a Sirius piacesse.
Avevano iniziato con battute - poco lusinghiere, questo Remus non poteva negarlo - sul professor Lumacorno e quando questi aveva finalmente affidato loro un compito da eseguire avevano trovato una piacevole sintonia.
“Ora puoi metterci l’acqua”, disse Sirius.
Remus obbedì subito e Sirius alzò i gradi del fornello che stava scaldando il composto.
“Non so tu, ma spero che questa cosa non mi esploda in faccia”, disse Sirius.
Remus sollevò le labbra in un piccolo sorriso. “Non piacerebbe nemmeno a me. Questo coso non ha un buon odore”.
Sirius si mise ad appuntare qualcosa nel suo quaderno e Remus rimase a guardarlo. Si era abituato a vedere quel livido sul suo volto perfetto e gli dava un’aria da duro, di quelli che finiscono nelle risse per difendere qualcuno, piuttosto che iniziarle. Ma comunque non gliela raccontava giusta.
“Ohi, attento!” urlò Sirius quando alzò lo sguardo su quello che stava facendo l’altro.
Distratto com’era ad osservarlo, Remus non si era accorto che la fiamma aveva scaldato troppo il composto e l’esperimento era finito comunque sul loro banco, come latte lasciato a bollire troppo.
“Black! Lupin! Avevo detto di non scaldare troppo”, li redarguì l’insegnante a senza severità nella voce.
Remus abbassò lo sguardo mortificato. Sirius invece si allontanò per prendere delle pezze e Remus lo aiutò a pulire; almeno poteva rendersi utile.
“Scusami, mi sono distratto”, mormorò.
Sirius gli sorrise. “Non ti preoccupare. Non avrei dovuto alzare la fiamma”.
Remus si sentì sollevato dal fatto che l’altro non si fosse arrabbiato, ma avrebbe davvero dovuto trovare un modo per non farsi distrarre così tanto dal volto di Sirius Black. 


“Allora? Novità sul nostro dandy?”
“Dandy?”
“Preferisci Tenebroso?”
“Parli di Sirius?”
“E di chi se no?”
Remus alzò gli occhi al cielo sospirando.
“Mary, sei una tortura”:
La ragazza dall’altra parte dello schermo ridacchiò.
“Sono qui per perseguitarti”. 

“Questo lo vedo”.
“Non cambiare argomento però”.
“Mary, io e Sirius ci vediamo a lezione di scienze. Tutto qua”.
Ci fu qualche istante di silenzio dall’altra parte, poi Mary esclamò: “Oh, conosco quella faccia! Stai sorridendo. E’ successo qualcosa”.
Era vero, Remus non aveva potuto fare a meno di frenare il sorrisetto che gli era spuntato sulle labbra al pensiero di quello che era successo con Sirius quel giorno.
“Nulla di che, abbiamo solo… parlato, ecco. Ma è stato… Non lo so, bello”.
“Ooooh”, fece Mary.
Remus si portò una mano a grattare la parte dietro il collo, un gesto che faceva sempre quando era nervoso.
“E’ carino e non sembra nemmeno una brutta persona”. 
“Non sembra una brutta persona è il tuo modo per dire che hai una cotta per lui?”
“Non ho una cotta per lui”.
“Dai, Remus, non negarlo”.
“Okay, forse un pochino”.
“Allora aspetto l’invito a nozze”.
“Non spingiamoci così in avanti”.
“Giusto. Prima devi seguirlo su Instagram”.
“Le cose fondamentali”, mormorò Remus con un sospiro.
“Almeno ora hai un terreno su cui cominciare”.
“Non mi sembra il caso di avere aspettative così alte”.
“Remus, le tue aspettative raggiungono a malapena il livello dei tuoi piedi”.
“Che vuoi farci? Preferisco volare basso per non bruciarmi”.
“Ma così rischi di non partire mai”.
“Almeno non mi faccio male”.
“Spiritoso, davvero”.


*** 


Buonsalve a tutti!!
Era da troppo tempo che non aggiornavo questa storia e mi dispiace tantissimo. Come al solito, la vita si è messa in mezzo e anche l’altra fanfiction che sto scrivendo e con cui cerco di non rimanere indietro.
Mi dispiace anche tornare con un capitolo così breve e di poche novità. E’ un capitolo perlopiù dialogico ma spero ve lo siate goduti lo stesso.


Fatemi sapere cosa ne pensate e se qualcuno di voi ha piacere, dia un’occhiata anche alle altre mie storie :)

Baci,

C.

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Capitolo 10
*** Distrazioni ***


DISTRAZIONI


Sirius rotolò al bordo del letto e afferrò il pacchetto di sigarette che aveva abbadonato sul comodino. 

Tirò fuori una sigaretta e passò il pacchetto ad Andrea che se ne servì in silenzio. 
“Accendino?” chiese Sirius.
Andrea si accese la sigaretta e passò l’accendino a Sirius.
I due rimasero qualche tempo a fumare in silenzio, stesi sul letto, nudi. Andrea, approfittando dell’assenza dei coinquilini, aveva invitato Sirius da lui per un paio di ore di sesso come piaceva a loro. 

Non stavano insieme, non c’era alcun tipo di impegno tra i due. Erano solo il passatempo l’uno dell’altro. Andrea era un ragazzo in erasmus dall’Italia e se ne sarebbe andato alla fine di quell’anno accademico. E Sirius… Sirius voleva solo stare lontano da casa il più possibile e Andrea era un bel passatempo sotto forma di un ragazzo sexy di qualche anno più grande.
Nessuno lo sapeva, nessuno al di fuori delle quattro mura dell’appartamento disordinato e malridotto di Andrea.
Nemmeno James lo sapeva. O meglio, sapeva delle preferenze sessuali volubili di Sirius, ma non di Andrea.
Andrea era una cosa privata, Andrea non era importante.
“Ti va il secondo giro?” chiese Andrea allungandosi sopra a Sirius per prendere il posacenere. 

“Solo se sto sopra io”.
“Non ci sono problemi per me. Il lubrificante è nel cassetto”. 


Remus non sapeva davvero che pensare.
O meglio, lo sapeva quali erano i pensieri che lo stavano tormentando in quei giorni. Tormentando, distraendo, facendo sorridere come un ebete. E non gli era mai capitato prima d’ora. Sembrava stupido dirlo, ma poteva giurarlo: non gli era mai capitato di fissarsi così tanto per una persona, di averla come pensiero fisso quasi dalla mattina alla sera.
Poteva chiamarla cotta adolescenziale? Anche lui, Remus Lupin, che pensava di esserne immune, era caduto vittima di una cosa così tipicamente e sdolcinatamente adolescenziale. 

Odiava quella sensazione ma allo stesso tempo gli piaceva. Gli piaceva svegliarsi la mattina e avere finalmente voglia di andare a scuola solo per vedere Sirius, anche a distanza. Gli piaceva incontrarlo nei corridoi e gli piaceva quando lo vedeva sorridere nella propria direzione con quel sorriso così… così genuino e bello e sexy e un po’ arrogante.
Probabilmente era lo stesso sorriso che riservava a tutti quanti, anche alle ragazze, ma Remus faceva comunque piacere di essere nella lista delle persone a cui Sirius mostrava quel sorriso, anche se in ultima posizione. 

E gli piaceva fare coppia con lui a lezione di scienze, gli piaceva rispondere alle sue battute e averlo vicino se non altro per sentire l’odore di sigarette e pelle. 

Era un odore che gli faceva venire la pelle d’oca.
Sirius era sempre stato carino e gentile con lui e Remus non voleva credere alle parole di Lily che lo etichettano come bullo e presuntuoso.
Ma Remus non voleva nemmeno provare quello che provava per il ragazzo dai capelli lunghi.
Odiava quella cotta - cotta? - e voleva solo che finisse.

La vita non era uno sdolcinato film adolescenziale. Non era il film di Love, Simon. 

E Sirius Black non era gay. Lo schermo del suo telefono si illuminò e Remus lo prese subito in mano.
Era Lily:

Lily: domani a casa mia per il progetto di letteratura? 

Remus: okay.

 

***

 

Eccomi tornata finalmente! Non vi aspettavate questo aggiornamento, vero? ^^ Ho deciso di farvi un regalo di Natale.
Lo so, è da troppo tempo che non aggiorno, tra lavoro, esami, tesi, ecc... Insomma, sono stati giorni impegnativi. Spero però che stiate trascorrendo questo periodo in tutta la sicurezza possibile e con le persone a voi care - per quanto si possa viste le restrizioni a cui siamo costretti.

Fatemi sapere cosa ne pensate di questo breve capitolo e ci sentiamo alla prossima, si spera un po' prima :)


Un bacio,

C. 

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Capitolo 11
*** Le canzoni che ti dedico ***


LE CANZONI CHE TI DEDICO


Lily e Remus stavano lavorando al loro progetto di letteratura da un paio di ore ormai, ciascuno scrivendo la propria parte di presentazione e iniziavano ad essere piuttosto stanchi. 

Lily sollevò gli occhi dal suo computer fissandoli su Remus e poi all’improvviso esclamò: “Facciamo una pausa!”
Remus la guardò con il volto un po’ corrucciato, il tappo della penna stretto tra i denti e poi scrollò le spalle chiudendo il quaderno. 

“Okay”. 

Ho dei biscotti deliziosi. Aspetta qua!”
La ragazza uscì velocemente dal salotto dove i due erano rimasti tutto quel tempo e Remus rimase da solo. Riusciva a sentire Lily muovere cose in cucina e parlare a bassa voce con la madre.
I suoi occhi iniziarono a vagare per la stanza lasciandosi cogliere dall’atmosfera calda emanata dai mobili di legno scuro e la moquette per terra.
Lasciò perdere i soprammobili dalle forme strane e si fermò a guardare alcune foto appoggiate in giro, indugiando in particolare su quelle sul caminetto che ritraevano Lily e un’altra bambina da piccole e un paio di altre con tutta la famiglia.
Erano in quattro da quello che Remus poteva notare. 

“Eccomi qua”, disse Lily appoggiando un piatto con dei biscotti sul tavolo. Remus sobbalzò non avendola sentita tornare. “Scusa se ci ho messo un po’. Mia madre voleva sapere delle cose. Assaggia i biscotti, sono ottimi”. 

Remus non se lo fece ripetere due volte. Effettivamente non erano male.
“Hai una sorella?” chiese con l’intento di fare della blanda conversazione. 

Ma quando vide gli occhi di Lily rabbuiarsi ed esitare nella risposta, intuì che forse quello che non era l’argomento migliore. 

“Petunia, sì. Ma… Non ci parliamo da un po’. Lei convive con il suo ragazzo. L’ho visto una volta, è un omone davvero grosso”. 

“Oh”, disse solo Remus, ora confuso e incerto se doveva aggiungere altro. Moriva dalla voglia di chiedere cosa fosse successo ma non voleva sembrare invadente.
Lily si sedette con un sospiro.
“Non lo so, a Petunia non sono mai stata molto simpatica”.
“Mi dispiace”, disse Remus fissando il tavolo.
Lui non aveva mai avuto fratelli e non conosceva bene quelle dinamiche. Lily scrollò le spalle.
“Non ti preoccupare”. E dopo un po’: “Posso chiederti anche io una cosa? Visto che siamo in vena di confessioni…”.
Remus si mise in bocca l’ultimo pezzo di biscotto temendo già le domande. “Dimmi”. 

“Le pastiglie. A cosa ti servono?”
Il ragazzo alzò di colpo lo sguardo sull’amica. Non era quello che si era aspettato. O forse sì.
“Ho visto che le prendi a scuola ogni tanto. E le ho viste anche prima nel tuo zaino”.
Remus si passò la lingua sul labbro superiore e abbassò lo sguardo incerto. 

“Non devi dirmelo se non vuoi”, si affrettò ad aggiungere Lily. “Te l’ho chiesto un po’ a bruciapelo”. 

“Non ti preoccupare. E’ solo che… Ho un’insufficienza cardiaca”, rispose Remus e poi aspettò che le parole attecchissero nel cervello di Lily”. 

“E’ quando il cuore non riesce a pompare bene l’ossigeno nel sangue. E come sai il sangue trasporta ossigeno in tutto il nostro organismo. Per cui le medicine lo aiutano”. 

Remus detestava doverlo spiegare. Esisteva il maledetto Wikipedia!
“Ed è… guaribile?”
Remus si sforzò di non sbuffare infastidito. “E’ difficile… guarire. Ma si può tenere sotto controllo”.
“E tu stai bene?”
Lily sembrava guardarlo con sincera preoccupazione piuttosto che con pietà.
“Diciamo di sì”.
Non aggiunse altro. Quanto poteva stare bene se doveva andare alle visite mediche ogni due settimane? E prendeva decisamente troppe pillole per un paziente cardiopatico stabile. 

“D’accordo!” esclamò la ragazza sorridendo. “Rimettiamoci al lavoro!” 

“Solo una cosa, Lily”.
“Cosa?” 

“Non dirlo a nessuno, okay? So che non è una cosa di cui vergognarsi, però ecco… Preferisco che non si sappia. E’ una cosa mia”. 



Tutto sommato quella giornata non era andata male per Remus; lui e Lily avevano lavorato bene e non gli era nemmeno dispiaciuto troppo averle raccontato del suo “problema”. E dopo cena andò addirittura meglio. 

Remus stava guardando una puntata di Tredici su Netflix - non una serie proprio adatta per distrarsi dai pensieri negativi certo, ma non gli dispiaceva - quando il telefono si illuminò con una nuova notifica.
Prese il telefono svogliatamente e vide che si trattava di Instagram.
Stava per far scorrere e ignorare, quando riconobbe il nickname. Ormai era impresso indelebile nel suo cervello, quel nickname. Era il profilo che aveva guardato almeno una volta al giorno in quell’ultimo periodo. 

Sirius Maledetto Black aveva iniziato a seguirlo. Scattando a sedere, Remus accettò subito la richiesta e ricambiò il follow. Si mise immediatamente a scorrere tra le foto e le storie, cercando qualcosa di interessante, non sapeva nemmeno cosa, e poi, pochi secondi dopo, un messaggio comparve nel suo direct. Sirius aveva appena risposto alla sua ultima storia. 

SIRIUS BLACK AVEVA APPENA RISPOSTO ALLA SUA ULTIMA STORIA.

Remus iniziò quasi a tremare mentre visualizzava il messaggio, il cuore in gola. 


Sirius: questa canzone è bellissima. Non la conoscevo. 


Remus cercò di calmare almeno le dita prima di rispondere per non fare errori. 


Remus: sì, è dei Poets of the Fall. Sono davvero bravi. Quella canzone si intitola Where do we draw the line. 

Sirius: adesso l’ascolto. Ne hai altre da consigliarmi? 

Remus: non riesco a mandare i link qui ma posso farti un elenco. 

Sirius: 046195744. Manda qui. 


Remus non riusciva a credere ai suoi occhi. Sirius gli aveva davvero dato il suo numero? Resistette alla tentazione di darsi un pizzicotto perché sarebbe sembrato stupido e cercò subito il suo contatto su Whatsapp. Forse non aveva la verve di Mary ma quell’occasione non se la sarebbe lasciata sfuggire.
Gli mandò subito il link delle sue cinque canzoni preferite di uno dei suoi gruppi preferiti. Avrebbe potuto inserirne di più ma non voleva calcare la mano. 


R: fammi sapere che ne pensi. Sono Remus comunque *occhiolino* 

S: certo. Grazie, Remus. 


E Remus si trovò a sorridere come un cretino finché non crollò addormentato, dopo essersi rigirato varie volte cercando di scacciare le immagini e le fantasie su Sirius.
Era davvero fottuto. 


L’indomani Remus ancora non riusciva a smettere di provare quella sensazione, quella specie di sfarfallio nello stomaco e nel petto ed era più felice del solito di andare a scuola e vedere Sirius.
Dovette ricordarsi diverse volte durante la colazione di cercare di mantenere il controllo delle proprie espressioni facciali e non sorridere come un ebete innamorato, altrimenti sua madre - che girava in cucina - se ne sarebbe accorta.
Purtroppo, però, dopo che gli aveva inviato un altro paio di canzoni prima di infilarsi sotto le coperte, Sirius non gli aveva più risposto e questo gli dava una certa ansia. Sarebbero cambiate le cose tra di loro dopo quello scambio di messaggi.
Probabilmente si stava solo facendo giganteschi castelli in aria. 

Remus salì sull’autobus con le cuffie ben infilate nelle orecchie e prese posto. Dopo nemmeno tre minuti il suo cellulare vibrò. Remus sbloccò lo schermo e vide che era un messaggio di Sirius. 


Sirius: grazie per le canzoni di ieri, mi sono piaciute tutte. Dancing on Broken Glass soprattutto. Il video è… triste. 


Sirius: ti mando questa, è del mio gruppo preferito. Spero ti tenga compagnia. 


Remus non esitò un istante a cliccare sul link della canzone. Era di un gruppo che si chiamava Ghost e il titolo della canzone era He is. Entrambi i nomi erano molto banali, ma dalle tonalità cupe e il motivo di teschi e scheletri che apparivano nel video intuì subito di che genere doveva essere. 

Remus non conosceva i Ghost, ma immaginava che fosse un genere che di solito non ascoltava. Il metal effettivamente era un genere musicale che avrebbe attribuito a Sirius. 

Tuttavia la canzone non si rivelò essere profondamente metal. Era un misto col rock, molto orecchiabile e piacevole, forse più commerciale rispetto al metal classico.
Si ritrovò ad ascoltarla due volte di fila durante il viaggio e a ringraziare prontamente Sirius per quella scoperta. Per sua sfortuna però Remus non vide Sirius da nessuna parte quel giorno; non avevano lezioni insieme e non lo beccò nemmeno nei corridoi.
Gli dispiacque più di quello che avrebbe voluto ammettere, ma almeno riuscì a concentrarsi sulle lezioni. Ci mancava solo che venisse bocciato perchè un ragazzo lo distraeva. Ma diverse volte controllò il cellulare per vedere se Sirius gli avesse risposto e ogni volta che vedeva che non c’era alcuna notifica una stretta gli mordeva il cuore. Persino in mensa si guardò attorno, ma non c’era alcuna traccia di Sirius. Tuttavia, mancava pure James e anche mezza squadra di rugby e suppose che fosse solo arrivato in anticipo.
Si sedette con le ragazze al loro solito tavolo e si lasciò trascinare dalle loro chiacchiere e dalla voce allegra di Alice, senza partecipare attivamente. Quando Remus svuotò il proprio piatto, Marlene, ridendo a una battuta di Alice che lui non aveva nemmeno sentito, si girò verso di lui e disse, genuinamente divertita:
“Il nostro Remus ne saprà qualcosa di cuori spezzati”. 

Remus si raddrizzò e la guardò pieno di confusione. A cosa doveva riferirsi quello?
Marlene sembrò accorgersi di aver detto qualcosa che non doveva.
“Oh scusami!” esclamò poi, guardandolo sinceramente dispiaciuta e preoccupata. “Intendevo… Sai, per il tuo problema al cuore. Ma era una battuta stupida”. 

Remus spostò lo sguardo su Lily, sapendo di essere impallidito. Lily aveva lanciato un’occhiataccia a Marlene e poi si era spostata su Alice. 

“Alice! Ti avevo detto di non dirlo in giro”. 

“Non l’ho detto in giro. E’ solo Marlene!”
Nel frattempo Emmeline e Dorcas si guardavano a disagio.
“Ti avevo chiesto di non dirlo a nessuno”, fece Remus, parlando con un tono di voce più ferito di quello che voleva gli uscisse.
Lily allora posò i suoi grandi occhi verdi su Remus, trasparenti di lacrime trattenute. 

“Hai ragione. Ho sbagliato”.
“Ehi, fa niente”, interruppe Alice. “E’ colpa mia. Lily lo ha solo detto a me e io non avrei dovuto sbraitarlo a Marlene. Ma non lo diremo in giro. Giusto?”
Le altre ragazze annuirono con convinzione. Remus si morse il labbro inferiore, confuso e tradito. Ma aveva senso litigare? Non voleva rovinarsi una giornata che era iniziata bene. Alla fine sorrise a Lily cercando di rassicurarla, ma sentiva che quel sorriso non gli arrivava agli occhi.
“D’accordo. Non importa”. 

Lily sorrise, apparendo ora rassicurata.
“Benissimo!” esclamò Alice battendo le mani tutta contenta. E poi continuò il discorso di prima come nulla fosse successo, perché quello era il suo potere.

Remus però non era sicuro che tutto fosse a posto. Non riusciva a togliere dalla testa il fatto che Lily non avesse mantenuto il segreto. La ragazza cercava di partecipare alla conversazione, ma si vedeva che non era davvero presa.

Alla fine, con la scusa di dover portare un libro in biblioteca, Remus si alzò, ripose il vassoio, e se ne andò. 

Non era sicuro di essere suonato sincero. Andò verso il proprio armadietto. Non aveva alcun libro da riportare indietro, ma poteva almeno continuare a leggere I tre moschettieri.

“Remus, aspetta!” 

Lily lo chiamò dal fondo del corridoio. C’erano solo loro due ora.
Remus sospirò. Perché semplicemente non lo poteva lasciare in pace? Preferiva rimuginarci da solo, quando qualcosa lo turbava.
“Sento di aver sbagliato tutto”, disse lei non appena lo ebbe raggiunto, senza lasciargli il tempo di parlare.
“Il punto non è a chi lo ha detto Alice. Io non avrei dovuto dire niente a lei tanto per cominciare. Perché te lo avevo promesso. E non ho mantenuto la promessa. E mi dispiace tanto. Non sono così di solito, non so come mi sia scappato. Cioè, stavamo parlando al telefono e lei mi ha detto di suo nonno che è malato di cuore e mi è sfuggito in quel momento. Non posso ritirarlo, però vorrei davvero farmi perdonare”. 

Wow! Remus si era quasi perso in quel marasma di parole. Gli dispiacque per Lily ora. Gli dispiaceva essersene andato a quel modo. 

“Ti va un gelato dopo scuola? Conosco un posto che ne fa di buonissimi qui vicino. Ovviamente offro io”.
I gelati, e tutto ciò che era dolce, erano il suo punto debole. 

“Okay”.
“Davvero?” Gli occhi di Lily si illuminarono. “Fantastico! Ti lascio andare allora. A dopo”. 

In fondo, pensò Remus, era un segreto in meno da tenere.



La gelateria in cui Lily lo portò aveva effettivamente mantenuto le aspettative. Remus si era scelto il gelato al cioccolato - perché non avrebbe mai rinunciato al cioccolato - e doveva ammettere che era delizioso.
“Allora, ti ho consigliato bene?” gli chiese Lily quando si sedettero a un tavolo libero. Il posto era vicino alla spiaggia, per cui erano cullati dal lento rumore delle onde del mare e dai gabbiani che cacciavano cibo. 

“Oh sì! E’ ottimo!” rispose Remus senza smettere di divorare il suo gelato. “Ti sei fatta perdonare”, aggiunse con ironia. 

Lily ridacchiò. 

Rimasero per un po’ in silenzio. Quando Remus finì il suo gelato - troppo presto per i suoi gusti - portò gli occhi sul mare e il cielo grigio sopra di esso. 

Quel paesaggio gli ricordò con un nodo allo stomaco gli occhi di Sirius, un brivido misterioso, un fascino drammatico. I suoi erano occhi su cui ci si sarebbero potute scrivere poesie, come quel paesaggio. 

E lui, oltre che rincoglionito, stava diventando pure sdolcinato.
“Come ti stai trovando nella nostra scuola?” gli chiese Lily riportandolo al presente. Quella domanda era dovuta alla sua deformazione professionale di Cicerone della scuola o era solo un tentativo di conversazione?
Remus si chiese se si avvicinasse in quel modo a tutti i ragazzi nuovi della scuola.
“Bene. Ne ho cambiate diverse, quindi non ci faccio nemmeno più caso”.

Lily annuì. Probabilmente aveva tante domande da fare in merito, ma non osava. Non voleva rovinare tutto come quella mattina. 

“Almeno qui sembrano tutti disponibili. Nella scuola precedente ti guardavano male se osavi fare domande”. 

Non era propriamente vero, ma Remus non era riuscito ad avvicinarsi a nessuno. E di certo nessuno lo aveva invitato a sedersi con loro a pranzo. 

“Oh be’, ho solo pensato che essere il ragazzo nuovo dovesse essere difficile, quindi…”. 

“Tu e le ragazze siete fantastiche. Alice è… pazzesca”. 

Lily scoppiò a ridere.

“Sì, Alice ha la facoltà di mettere a proprio agio chiunque”. 

Poi gli venne in mente quella cosa che aveva promesso ad Alice. 

Tanto valeva cogliere la palla al balzo visto che era da solo con lei.
“E che mi dici di James?”
“James?” 

“Potter”. 

Qualcosa nella posizione di Lily cambiò. 

“Che ti devo dire di lui?” 

Remus non si era preparato fino a quel punto. E ora? 

“Perché lo odi così tanto? Ti ha fatto qualcosa?” 

Lily abbassò lo sguardo per un istante come se dovesse pensarci. 

“A parte continuare a rompermi nei corridoi e a lezione per farmi i complimenti o invitarmi a uscire?”
“E c’è qualcosa di brutto nei complimenti?” 

“No, ma…”. La ragazza si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ora confusa. “E’ perché è lui. E perché insiste. Non capisco perché insiste”. 

“Perché gli piaci”. 

Lily sospirò accasciandosi contro la sedia. Remus pensò di essere andato un po’ troppo oltre. 

“E’ James Potter. Lo fa solo per farsi vedere. E anche perché sono l’unica che gli dice di no e questo non gli piace”. 

“Lo hai visto fare complimenti ad altre?” 

“No, ma… Sono sicura che lo faccia. Non vedo cosa ho di diverso io”. 

Remus annuì e non fece altre domande. Non era sicuro se ciò sarebbe stato utile per Alice, ma forse lui aveva colto più di quello che Lily aveva pensato di aver fatto intendere. In fondo, lui era bravo a leggere tra le righe. 

Quando alcune goccioline di pioggia cominciarono a minacciare il loro piacevole pomeriggio, Lily e Remus decisero che era ora di ritirarsi.

Arrivarono alla fermata dell’autobus e poi ciascuno proseguì per la propria strada. 

Una volta a casa, Remus rimuginò sulla propria giornata: a parte il suo problema di salute che era stato svelato, tutto sommato era andata bene.
Nemmeno quel segreto rivelato gli dispiaceva troppo in fondo; almeno ora non doveva più nasconderlo. 

Era un peso in meno da sopportare. Forse, dopotutto, non è così brutto condividere qualche segreto. 

Remus guardò il telefono e con un po’ di delusione constatò che Sirius non gli aveva ancora risposto. Ma non importava, era già una vittoria avere il suo numero. Almeno Mary sarebbe stata orgogliosa di lui, pensò ghignando tra sé e sé. 


*** 


Ehilà! Stupiti di questo aggiornamento??
Lo so, lo so, sono in estremo ritardo con le promesse fatte, ma ogni volta che mi promettevo di andare avanti qualcosa si metteva in mezzo, che fosse l’università, il lavoro o semplicemente la stanchezza.


Però questa volta è un capitolo più lungo, per rimediare anche a quello imbarazzantemente corto dell’altra volta.


Non vi trattengo molto, vi lascio solo i link delle canzoni citate in questo capitolo e vi chiedo di lasciarmi i vostri commenti che sono sempre un benessere al cuore :) 


He is (Ghost)

Dancing on Broken Glass (Poets of the Fall)

Where do we draw the line (Poets of the Fall)

 

A presto!

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Capitolo 12
*** In biblioteca ***


IN BIBLIOTECA


Remus era seduto in biblioteca ormai da quasi due ore, intento a finire il tema di francese che la professoressa Dumond aveva assegnato loro su I tre moschettieri, ma continuava a cancellare con scarabocchi la brutta copia e a riscrivere le frasi, continuamente in dubbio che il suo vocabolario non fosse abbastanza variegato e ricercato e le sue frasi costruite male. 

Non sarebbe mai riuscito a finirlo se continuava così. 

Non aveva alzato la testa una volta quasi da quando si era messo a lavorare e non aveva idea di chi ci fosse attorno a lui, ma trovava confortevole tutto quel silenzio e quel torpore che si era venuto a creare nell’angolino in cui aveva preso posto.
Non si era nemmeno tolto il berretto anche se gli spingeva i riccioli ancora di più sugli occhi, ma non si sarebbe scomodato a spostarli fino a che non gli avessero impedito di leggere il foglio.

Ogni tanto si tirava le maniche del maglione in segno di nervosismo. Non capiva nemmeno lui perché fosse nervoso. 

“Ciao!” La voce che lo salutò per poco non lo fece sobbalzare.

Remus alzò lo sguardo e si scontrò con due occhi grigi. 

“Sirius!” esclamò. 

“Scusa, ti ho spaventato?” 

“Oh no, ero solo… Distratto con questo compito”. 

“Oh”. Sirius abbassò lo sguardo e le sue labbra si mossero quasi impercettibilmente mentre leggeva quello che Remus aveva scritto. Il ragazzo fu tentato di coprirlo subito con le mani ma si trattenne dal farlo. 

“Ti serve una mano? Io l’ho finito ieri sera”. 

“Oh no, davvero”, rispose velocemente Remus mordendosi il labbro inferiore, il cuore che aveva già accelerato i battiti come al solito quando Sirius gli era vicino. Quel giorno non odorava di tabacco. “Devo solo trovare il modo corretto per dire le cose”. 

“Posso dargli una letta veloce. Un altro occhio aiuta sempre”.
Remus ci pensò un attimo; Sirius sembrava tenerci davvero - o era una sua impressione - e rifiutare sembrava brutto a questo punto. Poi si ricordò anche che Sirius era bravo in francese.

“Va bene. Ma devo ancora finirlo”. Sirius prese il foglio in mano con un sorriso e si mise subito a leggere. Non appena Remus vide una ruga di concentrazione formarsi sulla sua fronte si pentì di quella scelta e si vergognò di tutti quei scarabocchi. 

Dopo alcuni minuti lo mise giù e tornò a guardare Remus che provava dentro di sé un misto di emozioni, mentre cercava di calmare il proprio cuore. Non era sicuro che le sue medicine sarebbero state sufficienti se avesse continuato a quel modo. 

“Mi piace, è bello”, disse alla fine. “Non userei nemmeno un vocabolario così raffinato. Abbassa un po’ il tono. In fondo, non stai scrivendo un trattato”. 

Remus sorrise prendendo a stropicciare l’angolo del foglio. 

“Okay. Non ero sicuro su quello”. 

“Ma sì, è solo un compito per casa. Se puoi, spiega meglio il rapporto tra D'Artagnan e Athos”. 

“Okay, grazie”. 

Sirius tirò fuori il proprio telefono e guardò lo schermo. 

“Scusa, devo andare ora. James vuole vedermi ma stasera ti mando qualche altra canzone”.    

Remus si dispiacque di vederlo andare via, ma non riuscì a smettere di sorridere al pensiero che quella sera gli avrebbe scritto. 


E di fatti quella sera, dopo cena, quando si ritirò in camera e sentì il telefono vibrare, lo afferrò più velocemente di quanto mai avesse fatto - e no, non avrebbe ammesso che aveva continuato a pensare a quel momento per tutto il pomeriggio.

Sbloccò lo schermo e vide che Sirius gli aveva mandato due link a delle canzoni dei Linkin Park. Una la conosceva già, l’altra no.


Remus: pensavo che i Linkin Park fossero troppo mainstream per te.

Sirius: ascolto un po’ di tutto. I Linkin Park sono il gruppo che ascolto quando sono giù di morale. 


Remus rimase a riflettere su quell’ultimo messaggio. 


Remus: e ora ti senti giù di morale? *cancella* 


Remus: oh, capisco. Anche io ascolto la musica in base al mio umore.
Sirius: senti questa. 


Il nuovo link rimandava a una canzone degli Scorpions con un titolo che non poté fare a meno di attirare la sua attenzione.
Love Will Keep Us Alive.

Era davvero bella. Sirius gli stava facendo scoprire un repertorio musicale che ignorava.
Remus cercò di pensare velocemente a qualche canzone da mandargli perché immaginava che fosse il suo turno, ma proprio ora che gli serviva non gli veniva in mente nulla.
Alla fine ne mandò una e sperò che non fosse troppo sdolcinata. Rimase a fissare lo schermo del telefono finché Sirius non gli rispose.


Sirius: il video è tristissimo. Vuoi farmi piangere, Lupin? 

Remus: xD. Hai la lacrimuccia? 

Sirius: non ci crederai, ma sì. 


Remus sbatté un paio di volte le palpebre chiedendosi se lo stesse prendendo in giro o se fosse il caso di chiedergli che cosa non andava.

Il suo dilemma però non durò molto perché fu Sirius a scrivere nuovamente. 


Sirius: che fai? 


Remus sorrise; non avevano parlato per messaggio di cose al di fuori della musica, sicuramente non della loro vita privata.


Remus: nulla di che. Sono in camera, mi preparo per andare a dormire. 

Sirius: sei uno che va a letto presto?

Remus: più o meno. Tu no?
Sirius: naaah. Dormire è per i deboli. 


Remus piegò le labbra in un debole sorriso divertito quando lesse l’ultimo messaggio e sospirò. 

Davvero, come poteva piacere a uno come Sirius che sicuramente amava andare alle feste o a ballare in discoteca, andava a letto tardi e di certo aveva uno stuolo di ragazze che non vedevano l’ora di essere invitate al ballo da lui. 

Che cosa mai ci avrebbe visto in un ragazzo come Remus che si vestiva solo con felpe e maglioni larghi, passava gran parte del tempo a studiare e andava a letto alle dieci. 

Senza contare il fatto che per i suoi problemi di salute doveva fare attenzione a quello che mangiava o a quali attività faceva. Quale adolescente si sarebbe preso un impegno del genere? 

E poi… Sirius non era gay, non poteva esserlo, checché ne dicesse Mary. 

Eppure Remus non riuscì a smettere di sorridere come un'ebete quando si preparò per andare a dormire, e nemmeno di immaginare Sirius con lui nel letto, le sue labbra sulle proprie, le sue mani che lo accarezzavano… 


Sirius si accese la terza sigaretta di quell’ultima ora.
Non ne poteva di stare a casa quella notte e così aveva preso la moto e aveva guidato fino alla spiaggia per godersi il silenzio e il cielo stellato, lontano dalle luci della città. La sua stella, Sirio, brillava più del solito. Mancavano pochi giorni alla luna piena. 

Quella sera sua madre era più irritabile del solito e lui non si era voluto trovare nella sua traiettoria. Sarebbe tornato una volta che tutti fossero andati a letto.

Orion anche quel giorno “faceva le ore piccole in ufficio” e per quello Walburga non era del tutto in sé. Perché tutti sapevano, compreso lui, che “ore piccole in ufficio” significava che era con la sua segretaria, e non di certo a rivedere gli appuntamenti del giorno dopo. 

Decisamente quindi non era un buon momento per avere a che fare con la madre.

Si infilò le cuffie nelle orecchie e alzò il volume per ascoltare meglio gli Stooges, cercando di svuotare la mente, ma un certo viso morbido con la fronte perennemente coperta da dei riccioli castani continuava a fare capolino tra i suoi pensieri.
Aveva un forte desiderio di chiamare Remus e parlare del più e del meno, magari di musica, ma il ragazzo probabilmente era già nel mondo dei sogni. 


*** 

Buonsalve, signori.
Non pensavo di riuscire ad aggiornare con così poca distanza dallo scorso capitolo, ma sono stata veloce nel ricopiare questo capitolo :) 

Non succede nulla di particolarmente nuovo, ma vediamo un avvicinamento da parte di Sirius. 

Che dite? Piaciuto? Fatemi sapere cosa ne pensate.


Vi posto anche la canzone degli Scorpions nominata qui, Love Will Keep Us Alive.


A presto! 

C.

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Capitolo 13
*** Feste e fumetti ***


FESTE E FUMETTI


“Remus!” 

Remus si trovò a sorridere mentre si girava verso la voce inconfondibilmente allegra che lo aveva chiamato. Alice gli corse incontro nel corridoio brulicante di studenti, tallonata da Lily.

“Bene! Ora che ti ho trovato… Venerdì prossimo è Halloween e facciamo una festa a casa di Frank. Ti mando il suo indirizzo per messaggio”. 

“Ma io…”. 

“Non accetto un no come risposta”.
Lily lo guardò da sopra la testa dell’amica e scrollò le spalle come a dirgli “ormai sei fregato”.
“Sei sicura? Non vorrei disturbare”.

“Oh che sciocchezze! Sarà una mega festa. Ne parleranno tutti. Non puoi mancare”. Mentre parlava, Alice aveva circondato entrambi i ragazzi per le spalle e i due si erano dovuti leggermente piegare perché la ragazza era più bassa di almeno dieci centimetri. 

Il telefono di Remus in quel momento vibrò e il ragazzo si staccò dalla presa di Alice per guardare chi fosse. 


Sirius: ci troviamo in biblioteca dopo? Voglio darti una cosa. 


Remus cercò di trattenersi dal sorridere come un’ebete, ma poi controllando l’ora si accorse di essere quasi in ritardo per l’ora di matematica, quindi salutò velocemente le ragazze; con la sensazione di poter correre una maratona si precipitò verso la classe.



Non si erano dati un orario preciso, perciò quando arrivò in biblioteca non si preoccupò nel non vedere subito una zazzera di capelli scuri raccolti in un codino spettinato.
Mandò un messaggio a Sirius per dirgli che era arrivato e tirò fuori un libro per ammazzare il tempo, continuando a lanciare sguardi al telefono quasi ogni secondo. 

“Puntuale come un orologio”. 

Remus sobbalzò sulla sedia. Era la seconda volta che Sirius lo coglieva di sorpresa.

“Scusa, ti ho spaventato”, ridacchiò il moro. 

“No, ero solo… molto preso”. Sembrava ripetersi la scena dell’altro giorno.
RIpigliati, Remus, sembri un deficiente.

Sirius si sedette su una sedia libera vicino a lui e aprì lo zaino.

Poi gli mise davanti un piccolo libro sottile che Remus riconobbe subito essere un fumetto. In lingua francese.

“E’ il mio fumetto preferito. E’ piuttosto semplice dal punto di vista linguistico, secondo me non avrai problemi a capirlo. Potrebbe aiutarti col francese. La storia è molto particolare però. non ti spoilero niente, ma prova a leggerlo”. 

Remus lo prese in mano con delicatezza come se tenesse un qualche vecchio cimelio tra le dita e prese a sfogliarlo.

“Riportamelo appena lo finisci. Non ti preoccupare. E’ un fumetto abbastanza sconosciuto, ma credo meriti un po’ più di attenzione”. 

Remus annuì con vigore e sorrise. 

“Certo! Grazie ancora!” 

“Perfetto! Ora se vuoi possiamo studiare insieme”.

Remus non fu mai così felice di fare spazio a qualcuno perché si sedesse vicino a lui. 

Purtroppo però concentrarsi per studiare non fu così semplice da quel momento in poi; Remus dovette fare uno sforzo enorme per non continuare a rivolgere lo sguardo verso Sirius e ovviamente nessuna parola gli entrò in testa. Non passò troppo tempo però che Sirius si alzò di scatto e, senza dire una parola, si allontanò dal tavolo. Remus lo seguì con la coda dell’occhio finché questi non sparì dietro uno scaffale. Immaginando che fosse solo andato a prendere un libro, Remus tornò al proprio studio e, nello spostare lo sguardo, indugiò per qualche secondo sulla giacca che Sirius aveva lasciato sulla propria sedia, e gli parve quasi di sentire odore di pelle e sigarette, anche da quella distanza. 

Si chiese però se le temperature non fossero troppo basse per indossare la giacca di pelle. ma immaginava che Sirius fosse uno di quelli che rinunciano alla giacca di pelle solo se necessario. 

Remus lesse qualche altro paragrafo e Sirius non tornò. Riusciva a intravedere il suo profilo dietro lo stesso scaffale dietro il quale era sparito poco prima. 

Lupin si morse il labbro chiedendosi se forse doveva andare a controllare, magari chiedergli se gli serviva una mano. Temeva però di fare una pessima figura: perché mai Sirius avrebbe avuto bisogno di lui?
Però poi… Continuò a ponderare sulla questione chiedendosi cosa gli avrebbe detto Mary, qualcosa come “coraggio, Remmy, è ora di tirare fuori le palle”. 

E forse perchè si sentiva bene in quel periodo, o forse perché avevano ragione quelli che dicevano che chi dorme non piglia pesci, si alzò e raggiunse Sirius prima di avere il tempo di cambiare idea.
“Ehi! Non tornavi e mi chiedevo se ti servisse una mano a trovare qualcosa”, disse ancora prima di posare gli occhi su Sirius. 

“Ohi, Remus! Guarda qui!” esclamò l’altro con un ghigno. Remus rimase un po’ sbigottito, ma guardò lì dove Sirius gli stava indicando, cercando di non pensare al modo in cui il moro pronunciava il suo nome. 

Questi aveva tirato fuori un libro assurdo, con delle immagini strane che senza un minimo di contesto non avevano alcun senso, ma la risata di Sirius era talmente contagiosa - e bella - che a Remus non interessava nemmeno sapere il titolo.

Perciò lui e Sirius si ritrovarono a sfiorarsi in un angolo della biblioteca, a ridacchiare e parlottare su delle stupide immagini, fino a che la bibliotecaria non li squadrò severamente perché facevano troppo chiasso. 

In un’altra circostanza Remus si sarebbe vergognato del rimprovero e avrebbe trovato la cosa ridicola, ma non con Sirius. 

I due misero via il libro e tornarono al posto. Sirius guardò il telefono e si girò verso Remus, improvvisamente serio. 

“Devo andare”, disse un po’ mogio. “Ci vediamo però”. Afferrò la giacca e lo zaino e corse via quasi come se volesse scappare.


*** 


Ehilà! Torno con un nuovo aggiornamento il secondo giorno di fila ^^ Ho voluto approfittarne finché ero in vacanza, così almeno rimedio all’eventuale mancanza di aggiornamento per le prossime settimane. Hahah corro ai ripari diciamo. 


Capitolo un po’ leggero, ma penso vi farà piacere questa vicinanza tra i nostri due beniamini. 

La scena in cui Sirius e Remus leggono un libro in biblioteca è presa da una scena di un video musicale di Taylor Swift, precisamente dalla canzone Teardrops on my Guitar.
Qui la scena. 


Ogni commento è apprezzatissimo.
Grazie, 


C.


P.S. ringrazio veramente tanto per l’apprezzamento di questa storia. Mi scalda davvero il cuore.

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Capitolo 14
*** La festa di Halloween ***


FESTA DI HALLOWEEN


La Festa di Halloween a casa di Frank arrivò rapidamente e intanto era già pieno autunno, gli alberi erano nudi delle loro foglie che coprivano il terreno come un tappeto dai colori caldi. Quasi tutti ormai giravano con cappotto, sciarpa e guanti perché le temperature si erano decisamente abbassate.
Remus aveva trascorso dei giorni piuttosto piacevoli ed era da un po’ che non gli capitava di sentirsi così tranquillo e persino allegro. Gli incontri con Sirius andavano bene; non si vedevano così spesso e mai al di fuori dell’ambiente scolastico ma per Remus era già un buon segnale. E avevano persino iniziato a mandarsi meme e Mary diceva che quello era un ulteriore passo verso la confidenza.
Remus non si faceva aspettative, o almeno, cercava di non farsene. Non aveva idea di dove quella strana amicizia lo avrebbe portato dopotutto. 

Gli andava bene così. Conosceva Sirius un po’ alla volta, godersi il suo sorriso, ammirare i suoi occhi azzurri, avere anche solo l’onore di avvicinarsi e parlare a Sirius Black… Se lo sarebbe fatto andare bene.
Ed ora, mentre si ammirava allo specchio, si sentiva emozionato ad andare a quella festa.
Lui, Remus Lupin, non era un festaiolo e le uniche feste a cui era andato erano state in ospedale ed erano sicuramente mille volte più modeste di quelle che organizzavano dei normali adolescenti. E sicuramente più tristi. Non c’era alcol tanto per cominciare.
Si diede un’occhiata allo specchio e sperò che i vestiti che aveva scelto - un paio di jeans strappati e una camicia rossa - andassero bene. 

Alice aveva detto che sarebbe stata una festa in costume, ma Remus si sentiva ridicolo a mascherarsi e per di più non aveva un costume, né sapeva da cosa vestirsi.
Remus scese al piano inferiore e trovò i genitori seduti in salotto di fronte alla tv.
“Stai andando?” gli chiese sua madre, mezzo illuminata dalla luce dello schermo e con la testa appoggiata al braccio di suo padre.
“Sì”.
“Mi raccomando, non fare tardi e non bere”, gli disse suo padre.
Remus alzò gli occhi al cielo. 

“Certo, papà”.
“Sei sicuro di non volere un passaggio?”
“Assolutamente sicuro”. 

Non sarebbe stato affatto bello se si fosse lasciato accompagnare da suo padre in macchina, che figura ci avrebbe fatto. E poi, si era messo d’accordo con le ragazze di incontrarle proprio fuori dalla metropolitana.
“Allora divertiti”. 

“E fai attenzione”. 

Remus si mise addosso il cappotto e il berretto grigio che Mary aveva detto stava bene con i suoi capelli castani, e uscì nella sera. 



Tirava un vento leggero quando Remus risalì dalla metropolitana. Emmeline e Lily lo aspettavano già lì. 

“Ehi, ciao!” lo salutarono. 

Remus le guardò da cima a fondo e si sorprese nel notare che loro due erano in costume. Emmeline, a giudicare dalla mantellina e il cappuccio rossi e il cestino di vimini intrecciato, interpretava Cappuccetto Rosso, mentre Lily, con le scarpette rosse e i capelli legati in due code, doveva essere Dorothy del Mago di Oz. 

“Spero tu abbia un costume lì sotto o Alice ti ucciderà”, disse Emmeline. 

“Non pensavo fosse un obbligo”. 

“No, ma sai quanto Alice è fissata con queste cose”, fece Lily. “Comunque, non ti preoccupare. Ci giocheremo la carta del nuovo ragazzo”.
Remus si incamminò con le amiche sentendosi improvvisamente a disagio. 

“Marlene e Dorcas?” fece per distrarsi. 

“Hanno detto che ci raggiungono alla festa. Sono un attimino in ritardo col costume di Dorcas e non volevano trattenerci”.
La passeggiata verso casa di Frank durò appena dieci minuti e quando arrivarono Alice li accolse a braccia aperte. 

“Benvenuti nella mia dimora”. 

“E’ la dimora di Frank”. 

“Dettagli”. 

Alice era vestita da Catwoman, con un paio di leggins di pelle attillati e stivaletti col tacco alto. Un corpetto nero le metteva in risalto il seno e oltre alle orecchie da gatto aveva persino una coda conu n campanellino che Remus non aveva idea di come stesse sù.

“E tu? Perché non sei vestito?” gli chiese puntando di colpo gli occhi truccati di nero su di lui. 

“Ecco… Io”. 

“Oh, poco male. Vorrà dire che l’anno prossimo rimedierai con un costume spettacolare”. 

Probabilmente Alice aveva già iniziato a festeggiare.
L’amica li condusse dentro la casa e i tre poterono constatare che c’erano già un bel po’ di persone, nonostante loro fossero arrivati con solo mezz’ora di ritardo. Ed erano tutti mascherati. C’erano pagliacci, zombie, streghe, vampiri, persino uno zorro e un Robin Hood. Il costume più bello secondo Remus però era quello di Joker.

Frank era seduto sul divano circondato da alcuni membri della squadra e Alice gli si era già accoccolata con le braccia - o meglio, zampe - attorno al collo. 

Aveva tutta l’aria di voler imitare un gatto anche nelle movenze.
Remus però si mise a sondare la stanza alla ricerca di Sirius, ma rimase stupito dalla grandezza di quel salotto. Era grande il doppio della cucina, del salotto e del bagno di casa sua. Una rampa di scale nel corridoio portava al piano superiore. Chissà quanto era grande quello! 

Comunque di Sirius nessuna traccia. Ma nemmeno di James. 

“Vi va se prendiamo da bere?” chiese Emmeline. 

“Sì, dai”.
I tre si avvicinarono al tavolo del buffet. Remus seguiva le due ragazze per inerzia; non voleva essere lasciato solo in quel caos di persone che non conosceva e che non pensava fossero il suo genere di compagnia. Lily versò della birra in tre bicchieri di plastica e li distribuì agli altri due. 

“Puoi bere?” chiese passando il bicchiere a Remus. 

“Ahem… Sì”, disse lui ricordandosi il monito del padre. Ma che male poteva fargli un po’ di birra? Anche se non era granché fan. 

“Oh bella questa canzone!” esclamò Emmeline quando una canzone di Katy Perry uscì dalle casse. Qualcuno alzò il volume. 

“Ehi, ce l’avete fatta!” 

Remus alzò il capo per vedere a chi stava gridando Lily e notò due persone vestite da Morticia e Gomez Addams venire verso di loro. Ci mise qualche istante a capire che si trattava di Marlene e Dorcas. I loro travestimenti erano perfetti. 

“Come va?” 

“Siamo arrivate poco fa”.
Le ragazze si misero a chiacchierare di qualcosa a cui Remus non badò tanto, impegnato com’era a tenere d’occhio la porta per vedere se Sirius sarebbe arrivato - l’unico motivo per cui era emozionato e teso di andare a quella festa - e sperare di poterlo approcciare. 

Sentiva che una festa potesse essere il posto ideale dove avvicinarsi ancora di più, scrollandosi di dossi l’atmosfera della biblioteca e della scuola. 

E finalmente venne accontentato. 

James e Sirius entrarono dalla porta trionfanti, come se avessero appena vinto il campionato di football, il primo reggendo due pacchi di birra in entrambe le mani che sollevò in aria non appena varcò il salotto, e il secondo seguendo a ruota l’amico con un sorriso fra il divertito e lo scocciato.

Remus però si accorse ben poco di quello che accadde attorno a lui da quel momento in poi. I suoi occhi erano attratti solo da Sirius e dal suo sorriso smagliante. Nemmeno lui indossava un costume, ma la sua solita giacca di pelle e i capelli corvini questa volta, anziché essere raccolti in una crocchia spettinata, erano sciolti e gli ricadevano morbidi sulle spalle. 

Quando rinvenne dalla sua contemplazione, Remus notò che la situazione attorno a lui era cambiata: le ragazze erano sedute per terra in cerchio insieme a un gruppo di altri ragazzi e ragazze, tra cui James e Sirius. 

“Ehi, Rem… Vuoi giocare con noi?” gli chiese Alice. 

“Stiamo facendo il gioco della bottiglia”.

Remus non era estraneo a quel gioco ma non faceva per lui. 

“Oh no. Ma posso guardare”. 

“Allora vieni qui vicino a me”, Alice gli fece cenno di sedersi con lei sul divano e Remus la raggiunse - gli occhi di tutti puntati addosso - perché restare come un baccalà vicino al tavolo degli alcolici gli pareva una pessima idea.

Solo in quel momento si accorse che James indossava sulla schiena un paio di ali rosa da fata che su chiunque sarebbero state ridicole, ma non sull’atleta migliore della scuola. 

“Bene, in quanto organizzatrice della festa farò io il primo giro”, esordì Alice brandendo una bottiglia di birra vuota. 

La ragazze mise a terra la bottiglia e le fece fare il primo giro che cadde su un ragazzo piccolino e paffutello di nome Peter. Il secondo giro finì su Emmeline. 

Il pubblico si aprì in applausi e fischi mentre i due si scambiavano un veloce bacio a stampo. 

Emmeline fu piuttosto veloce nell’allontanarsi.
I prossimi due giri finirono su dei ragazzi che Remus conosceva di vista. “Ma come funziona se la bottiglia cade su due persone dello stesso sesso?” chiese Frank che non stava partecipando al gioco ma era tornato in quel momento. 

“Possono decidere di saltare il turno, ma qui non ci poniamo questi problemi. I baci non conoscono sesso”. 

Poi la bottiglia cadde su James e Lily. Il ragazzo si aprì in un sorriso smagliante mentre la ragazza alzava gli occhi al cielo. 

“Avrai usato qualche trucchetto, Potter”. 

“Non ho ancora acquisito il dono della telepatia, Evans”. 

“Possibile che tra tutte le persone qui presenti ti sia capitata proprio io?” 

“La bottiglia ha parlato. Non puoi tirarti indietro”. 

Lily non si tirò indietro; si avvicinò a James e, quando questi fu a pochi millimetri dalle sue labbra, Lily girò di colpo la testa e le labbra di James si scontrarono con la sua guancia. 

Sirius accanto a lui ridacchiò e gli diede una pacca sulla spalla. 

Al turno successivo la bottiglia cadde proprio su Black e una ragazza dai capelli neri come quelli di Sirius, gli occhi di ghiaccio e un vestitino bianco macchiato con del sangue finto. Era una delle cheerleader, si chiamava Evanna Greengrass. 

Nel pubblico partirono subito fischi e ululati da animali. 

La ragazza era palesemente soddisfatta e orgogliosa che toccasse a lei baciare quella meraviglia. 

Sirius non disse nulla, ma si avvicinò a Evanna, le prese il volto tra le mani e incollò le proprie labbra alle sue. 

Fu il bacio che durò più di tutti i precedenti e fu tutt’altro che casto. Non ci misero la lingua ma fu abbastanza passionale da far ridacchiare qualcuno e sgranare gli occhi a qualcun altro. 

Quando si staccarono, Sirius si leccò le labbra come se avesse appena mangiato un frutto succoso e guardò Evanna con uno sguardo pieno di lascivia. 

Remus bevve un sorso di birra per nascondere il malessere che era sicuro gli si vedesse in faccia, riflesso di quello che sentiva dentro. Cercò di ignorare anche quella cosa che gli pungeva contro gli occhi. 



La serata andò avanti e molte altre persone affollarono la casa, perlopiù compagni di scuola ma anche alcuni sconosciuti che si erano imbucati, tanto che la casa era piena di bicchieri abbandonati e decorazioni rotte. 

Un bel po’ di persone erano ubriache e la musica si era fatta più alta.
Remus, dopo il gioco della bottiglia, si era rifugiato qualche minuto in bagno. Non voleva davvero stare così male, non voleva davvero perché per tutto quel tempo si era ripetuto che gli andava bene essere solo amico di Sirius, eppure… Voleva stare lontano da Sirius e dimenticarsi la scena in cui baciava Evanna.
Qualcuno bussò alla porta e Remus si sbrigò ad uscire.
Scese le scale per tornare di sotto e riunirsi alle amiche, quando Alice lo afferrò per un braccio e cominciò a trascinarlo verso la cucina.
“Vieni! La festa è qui fuori ora”.
Remus seguì senza poter fare granché e si ritrovò in quello che sembrava essere il giardino sul retro dove si era radunata gran parte della gente.
Nella folla riuscì ad adocchiare una piscina piena d’acqua. Naturalmente, con quelle temperature, nessuno stava facendo il bagno.
Tuttavia alcuni si erano posizionati in semicerchio attorno a una persona e Remus riuscì ad adocchiare una giacca di pelle.
Finalmente lui e Alice riuscirono a farsi largo tra la folla e ad avvicinarsi a Lily, Emmeline, Marlene e Dorcas. Stavano tutti guardando la scena che si dispiegava davanti ai loro occhi e Remus riconobbe Sirius al centro, circondato dai suoi compagni, tra cui James e Frank.
Non capiva esattamente cosa stesse succedendo se non che c’erano grosse risate e la voce di Sirius che raccontava qualcosa. 

A un certo punto, prima che chiunque avesse il tempo di accorgersene, Sirius venne spinto all’indietro e, trovandosi sul bordo della piscina, ci cadde dentro con un gran tonfo schizzando acqua dappertutto. 

Si sollevarono svariate risate.
Dopo pochi secondi, Sirius riemerse dall’acqua bagnato come un pulcino. I capelli grondanti d’acqua gli riempivano tutta la faccia.
“Hai voluto sfidarmi, Black”, disse qualcuno.
Sirius rise sguaiatamente.
All’improvviso si udì un altro splash e Evanna raggiunse il ragazzo, tagliando l’acqua in due. Poi circondò il collo di Sirius come una piovra e lo baciò. Sirius parve essere colto di sorpresa, ma non ci mise troppo a prendere la ragazza per i fianchi e spingerla contro il proprio bacino approfondendo il bacio.
Sembrava che volessero divorarsi a vicenda.
Remus rimase a guardare la scena come ipnotizzato, sentendo il cuore precipitargli nello stomaco.
Perché? Perché? Perché?
“Oh be’, la scuola avrà qualcosa di cui parlare nei prossimi giorni”, sentì dire ad Alice ma non registrò granché le parole. 

“Non finiremo più di sentirne parlare. Di Sirius Black e Evanna Greengrass. La nuova coppia della Junior High”, commentò Marlene.
“Ehi, stai bene?” chiese Dorcas guardando Remus che finalmente si riscosse e sorrise forzatamente all’amica.
“Sì, sono solo stanco”, disse.
“Perché non entriamo dentro? Qui si gela”, fece Lily. 



Quando rientrò a casa, con la testa completamente annebbiata e non certo per la birra, Remus trovò sua madre addormentata sul divano. La donna si risvegliò non appena sentì la porta di casa aprirsi.
“Tesoro, sei tu?” gli chiese con la voce piena di sonno.
“Sì, mamma”.
“Com’è andata la serata?”
“Bene”, mentì il figlio. 

“Scusami, sono stanco. Vado a letto”.

“Okay, dormi bene”.
Remus, con calma e in silenzio, si lavò i denti e indossò il pigiama. 

Si infilò sotto le coperte e solo nel buio della stanza lasciò andare le lacrime che aveva trattenuto per tutta la serata. 


*** 


Ehi, buonsalve!
Da quanto tempo? Onestamente, pensavo di arrivare prima con l’aggiornamento. Mi spiace non sia stato così, ma questi mesi sono stati un po’... strani. Sto cercando di cambiare e mettere insieme vari aspetti della mia vita e - anche se non sembra - la cosa mi prende un bel po’ di energia. 

Oltretutto, volevo e dovevo mantenere l’aggiornamento costante dell’altra mia fanfiction e quindi questa in tal senso passa un po’ in secondo piano. 


Questo però è un capitolo abbastanza lungo quindi spero di aver rimediato alla lunga assenza e spero vi sia piaciuto.
Le cose non sono andate come avrebbero dovuto tra Remus e Sirius. Qualcuno probabilmente già si aspettava rose e fiori, ma ehi!, purtroppo le cose vanno diversamente nella vita reale. 


Fatemi sapere che cosa ne pensate.

A presto (spero). 


C.

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Capitolo 15
*** Il giorno dopo ***


IL GIORNO DOPO 


Remus si svegliò con una sensazione strana addosso. Si ricordò immediatamente di essersi addormentato piangendo, e solo perché sentiva sulle guance quella sensazione di lacrime mal asciugate.

Poi, quando si girò a pancia in sù e mise a fuoco il soffitto, i ricordi della sera prima gli piovvero addosso come un acquazzone.
La festa di Halloween. La maledetta festa di Halloween. 

Gli occhi di Remus si riempirono nuovamente di lacrime all’immagine di Sirius che baciava quella ragazza, ma le ricacciò indietro subito. Non voleva e non poteva cadere in quel baratro.
Per cui decise che avrebbe cercato di non pensare a Sirius: si sarebbe concentrato sulla sua giornata, sulle cose che doveva fare e sul rilassarsi.
In fondo era sabato. 

Buttò le gambe giù dal letto e si alzò con un colpo di reni. Andò in bagno per sciacquarsi la faccia e fare pipì, e poi scese in cucina dove si preparò una tazza di tè caldo. 

“Oh, buongiorno!” lo salutò Hope con un sorriso. “Sei già in piedi?” 

“Sì, ho un po’ di cose da studiare”. 

“Ti sei divertito ieri sera?” 

Accidenti! Il suo buon proposito non stava iniziando nel migliore dei modi. 

“Sì, è stata una festa carina”, mentì il figlio.
La madre però non lo tartassò troppo con le domande perché uscì dalla cucina dicendo qualcosa sul bucato. 

Remus tornò a concentrarsi sul suo tè e scacciò via i ricordi della festa. 

Si sedette a tavola e cominciò a fare colazione, scrollando il feed di Instagram senza dargli eccessiva attenzione. Vedeva una foto e dopo pochi secondi l’aveva già scordata. Nessuno gli aveva scritto, né Sirius né le sue nuove amiche. Dovette però resistere alla tentazione di andare sul profilo di Sirius; non voleva più spiare il suo profilo, scorrere le sue foto e osservare con occhi affamati quel profilo perfetto. Non voleva più avere nulla a che fare con Sirius.
Dannazione a lui! Non poteva nemmeno prendersela col ragazzo perché non era che gli avesse dato dei segnali o lo avesse ingannato, non era colpa di Sirius se Remus era uno sciocco che si era lasciato trasportare da quelle sensazioni irrazionali. Oltretutto, Sirius non gli aveva nemmeno fatto intendere di essere gay.

Con tutta probabilità era etero e basta. Dopotutto, era troppo bello per essere alla sua portata.

Remus rimise a posto le cose della colazione e se ne andò in camera sua. Ora doveva prendere le pastiglie. Diverse pastiglie colorate lo aspettavano in fila sulla mensola.
Che cosa se ne faceva Sirius di un ragazzo malato la cui vita dipendeva da una serie di pastiglie di cui persino lui faticava a ricordare il nome? 

Nessun ragazzo avrebbe voluto fare i conti con quello, nemmeno Remus che con quella cosa ci conviveva. 

Ma basta piangersi addosso! Chissene importava di Sirius! Poteva stare senza di lui, c’erano molti altri ragazzi belli in giro. 

Remus aprì i libri con la speranza che lo studio lo potesse distrarre. 



Ma non funzionò. 

Aveva letto sì e no un paio di pagine. E non ci aveva capito nulla. Ogni dieci minuti lanciava occhiate al telefono, scrollava i messaggi con la speranza che Sirius gli scrivesse. Era inutile nascondere la testa sotto la sabbia. Ci era rimasto per Sirius e non era sicuro che gli potesse passare tanto facilmente.
Aveva persino mandato un messaggio a Mary, ma anche da lei nessuna risposta. 

Decise di provare a distrarsi in un’altra maniera, così richiuse il libro di storia e andò a cercare sua madre. La trovò nello sgabuzzino a caricare la lavatrice.

“Ciao, tesoro. Hai bisogno di qualcosa?”
“No, no. Cercavo solo la concentrazione per lo studio”.
“Oh be’, non la troverai di certo qui”, scherzò Hope. “Come va?”
“Tutto bene”.
“Sei sicuro? Ti vedo un po’ stanco”. 

“Ma sì. Probabilmente non mi sono ancora ripreso da ieri”. 

“Dovresti fare attenzione. Non è il caso che ti sforzi”. 

Remus sospirò silenziosamente e abbassò lo sguardo; sapeva che i suoi genitori gli dicevano quelle cose a fin di bene, ma era stanco di sentirsi dire cosa poteva fare e cosa non poteva fare. Era stanco di camminare sui gusci delle uova a causa della sua salute. 

“Non ti preoccupare”, rispose scrollando le spalle. “Mi riposerò oggi. Torno a studiare comunque. Se hai bisogno di aiuto chiama”. 

Remus uscì dalla stanza prima che sua madre avesse il tempo di dirgli qualunque cosa e si richiuse nuovamente in camera. 

Riaprì il libro di biologia e si sforzò a trovare la concentrazione. In quella mezz’ora di evidenziazione inutile, sbloccò lo schermo del telefono almeno due volte sperando… Non aveva idea nemmeno lui di cosa stesse sperando. Di ricevere un messaggio di Sirius forse. Fu tentato di scrivergli lui, ma si disse che non era il caso. Perché cercarlo? Sicuramente il ragazzo era impegnato a farsi passare la sbronza o a pomiciare con la sua nuova ragazza.
Nemmeno Mary gli aveva risposto ma era meglio così. L’amica gli avrebbe sicuramente chiesto di parlarle della festa e lui non aveva voglia di rivivere l’esperienza di vedere Sirius baciare quella bionda. 

Rifletté se mettersi a letto e guardare qualcosa su Netflix quando l’occhio gli cadde su un libro sottile che aveva appoggiato sul comodino. Era il fumetto francese che gli aveva prestato Sirius e che non aveva ancora avuto il tempo di leggere, seppuree avesse adorato il fatto che Sirius glielo avesse prestato. 

Nonostante quel misto di rabbia e affetto che provava per Black, Remus lo prese in mano e si sdraiò nel letto aprendo il fumetto sulla prima pagina.
Lo colpirono subito i disegni, molto eleganti e dai colori pastello. La storia sembrava essere quella di un normalissimo ragazzo che frequenta una normalissima scuola, ha degli amici con cui fa cose normali, vive la sua vita normalissima ma nasconde un segreto: ha appena capito di essere gay e cerca di venire a patti con questa sua identità tra la paura di uscire allo scoperto e i pregiudizi. Allo stesso tempo ha anche una cotta per un ragazzo della sua stessa scuola, che gli lancia strani segnali e il poveretto non riesce a capire se provi gli stessi sentimenti oppure no. Ma dichiararsi e uscire allo scoperto è troppo pericoloso. 

Remus lesse, lesse e lesse. Il fumetto lo aveva intrigato. Sì, la storia era molto semplice e quasi banale, ma era raccontata con una tale passione e con una tale profondità dei sentimenti dei personaggi che era impossibile rimanere indifferenti.
Ma perché Sirius gli aveva dato quel fumetto? Era davvero solo per migliorare il suo francese? O c’era dell’altro?
No, no, doveva smetterla di farsi castelli in testa. Probabilmente Sirius non aveva letto nemmeno la storia. Non voleva certo essere un modo del ragazzo di fare coming out, anche perché ora stava con una ragazza.
Remus sospirò e voltò pagina. 


*** 


Eccomi qui. E’ imbarazzantemente passato troppo tempo da quando ho aggiornato questa storia. Accidenti! 

Mi spiace un sacco, e mi spiace che questo capitolo sia venuto fuori così corto, ma è un capitolo di passaggio rispetto a ciò che è successo nello scorso capitolo e dovevo lasciare a Remus il tempo di riflettere.
Che ne dite? Se vi state chiedendo che fumetto sia quello letto da Remus… L’ho inventato io perciò non sforzatevi a cercarlo XD


Grazie mille di seguire questa storia nonostante gli sporadici aggiornamenti. 

A presto (spero). 


C.

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Capitolo 16
*** E' tutto normale ***


È TUTTO NORMALE

 

Remus entrò a scuola cercando di non pensare a nulla. Aveva le cuffie nelle orecchie e quando spense la musica sul ritornello di All Too Well venne travolto dalle voci e dal caos degli altri studenti che pian piano entravano nella scuola e andavano ai loro armadietti, salutandosi con gli amici e facendo il loro solito casino.
Anche Remus aprì il suo armadietto e cercò il libro di storia.
“Reeemmy!”
Una Alice pimpante e allegra gli corse - no, gli saltellò incontro e lo abbracciò di slancio. Remus si dovette piegare per raggiungere l’altezza minuta dell’amica. 

“Alice, come mai così allegra?”
“Oh, nulla in particolare. E’ una bella giornata”.
Remus pensò che fuori c’era un cielo nuvoloso che sembrava quasi sera e probabilmente si sarebbe messo a piovere, e poi era Lunedì, il giorno peggiore di tutti per antonomasia, quindi non capiva proprio come potesse essere una bella giornata. Ma immaginava che Alice non si riferisse a quello. 

“Lasciala perdere. Solo lei può essere felice di Lunedì”, gli disse la voce di Lily che aveva raggiunto i due con un paio di libri sottobraccio.

Remus fu contento che almeno Lily la pensasse come lui, ma era anche un po’ invidioso di Alice che era sempre così allegra, qualsiasi giorno fosse. Servivano più persone come Alice al mondo.
“Oh, suvvia. Siete voialtri che siete sempre così musoni”, protestò la ragazza.
“Noi siamo normali, sei tu che sei strana”, la prese in giro Lily ridendo. “Lo sanno tutti che il Lunedì è brutto e basta”.

“La vita è bella, cercate di sorridere un po’ di più”.
Remus si appoggiò contro l’armadietto dietro le sue spalle, lasciando andare un piccolo sospiro di frustrazione e di dissenso cercando di farsi notare; ma le due amiche erano prese dal loro battibeccare per accorgersi di quello che gli passava per la testa. 

All’improvviso un rumore piuttosto forte li distrasse, facendoli girare verso l’ingresso della scuola dove la porta si era spalancata e James era entrato con un sorriso smagliante, mentre i loro compagni si spostavano ai lati per farlo passare, nemmeno fosse un calciatore famoso. Dietro di lui c’era Sirius e, abbarbicata al suo braccio, Evanna, i capelli biondi pettinati in morbide onde come fosse appena uscita dal salone, il trucco perfetto e un sorriso che sembrava voler dire a tutti che era lei la migliore. 

James e Sirius salutarono qualcuno - sembrava conoscessero tutta la scuola - e Evanna non faceva che ridere con quella sua risata civettuola ed estremamente fastidiosa. 

“Be, Evanna e Sirius saranno l’argomento della scuola per qualche giorno ora”, disse Alice tornando a rivolgere l’attenzione ai suoi due amici.
Anche Remus distolse lo sguardo da quella scena e no, non perché gli facesse male vedere Sirius con quella ragazza. Proprio no. 

“Non capisco perché debbano fare tutta sta scenata”, mormorò Lily alzando gli occhi al cielo. 

“Magari anche a loro piace il Lunedì”, fece Alice, in faccia un cipiglio canzonatorio. 

“Andiamo a lezione, Rem?” domandò Lily ignorando l’amica. 

“Hm?” Remus sembrò cadere dalle nubi.

“Abbiamo la lezione di storia”. 

“Oh sì, sì, andiamo”. 

E insieme alle amiche cominciò a camminare verso la classe di storia. 

 


La mattinata per Remus passò come fosse immerso in una foschia. Il suo cervello faticò a concentrarsi, le orecchie non sembravano voler ascoltare e anche le sue parole non trovarono la forza di uscire, anche quando sapeva le risposte alle domande dei professori.
Tutto quello che voleva era sparire.
Non faceva che agognare il suo letto e le coperte, magari un buon libro o una serie tv, insieme alla cioccolata calda che sapeva preparare sua madre. 

Certo, il lunedì non era forse il suo giorno preferito, ma non capiva perché si sentisse così… giù di morale. Non poteva essere per quella dannata cotta adolescenziale per Sirius Black.
Come se Sirius Black gli dovesse qualcosa poi. Come se Sirius fosse etero. Non era possibile che un ragazzo così fosse etero, o anche solo mimimamente interessato a uno come Remus, magro, pallido, con un colore di capelli strano e un colore degli occhi ancora più assurdo e soprattutto malato. 

Remus sapeva di non essere il ragazzo desiderabile per nessuno, figurarsi per Sirius.
E quindi doveva togliersi dai pensieri il suo sorriso sghembo, i suoi capelli lunghi, quegli occhi grigi così profondi, la corporatura…
No, basta, Remus! 

La campanella suonò facendolo sobbalzare. Raccolse le proprie cose e insieme alle amiche raggiunse la mensa.
Si sedettero al loro solito tavolo. C’era il budino al cioccolato quel giorno e, sebbene non fosse la cioccolata calda di sua madre, era comunque un buon compromesso. 

Anche Dorcas e Marlene si unirono al gruppetto.
“Giuro che non lo tollero più il professor Vitious. Continua a dirmi impegnati di più McKinnon e vedrai che ce la farai! Ma giuro che io mi impegno, sembra che lui però non l oveda”, si lamentò Marlene accasciandosi sulla sedia. 

“Oh, tesoro, lo so che ti impegni. Se vuoi possiamo riempire la scrivania di Vitious di colla o chiuderlo a chiave nell’aula professori”, cercò di consolarla Dorcas, dandole un bacio sulla tempia. 

“Grazie. Ma non lo so… Avrei voglia di prenderlo a sberle, ma non mi piace la violenza”. 

“Un po’ di violenza non guasta mai”. 

“Dorcas!” la richiamò Alice con uno sguardo fulminante. “Non dire così. Marlene ha ragione, la violenza non è la soluzione”. 

Dorcas alzò gli occhi al cielo.
Remus si trovò a sorridere tra sé e sé alla scena. Quelle ragazze erano… Erano qualcosa di diverso da tutti quelli che aveva conosciuto. Un bel gruppo di amiche dove ognuna aveva il suo carattere, diversa ma non per questo meno in sintonia, anzi. Ciascuna di loro contribuiva al gruppo alla propria maniera e si supportavano a vicenda.
E poi Dorcas e Marlene… Aveva già capito che le due stavano insieme, anche se non glielo avevano mai detto. Ma non ci voleva un genio. Questo lo faceva sentire più sicuro riguardo alla propria omosessualità e meno timoroso di fare coming out con loro. Non che lo avrebbe fatto ora. Forse un giorno, tra un po’ di tempo, quando l’occasione giusta si sarebbe mostrata. 

“Alice, oggi dopo scuola vieni a casa mia?” domandò Lily guardando l’amica più bassa.

“Non posso, ho le prove di teatro. Si sta avvicinando Natale e la data dello spettacolo, quindi c’è un bel po’ da fare”. 

“Ma mancano ancora due mesi”, le fece notare Emmeline.
“Sì, ma due mesi passano in un attimo. E uno spettacolo teatrale ha bisogno di cura. Posso venire domani però, Lily”.

“Va bene”, fu la semplice risposta dell’amica che continuò a mangiare.

La squadra di rugby arrivò in mensa facendo un gran baccano e attirando l’attenzione dei presenti su di sè.
Black e Potter erano con loro, insieme ad alcune ragazze e, ovviamente, anche Evanna, abbarbicata al collo di Sirius come quella mattina.
Remus si chiese se quella ragazza fosse sempre così appiccicosa come una cozza e se fosse un modo per sottolinearne il possesso. Non riusciva a immaginare come a Sirius potesse piacere qualcuno del genere, ma in fondo di Sirius non conosceva nulla. Forse erano proprio quelle le tipe che gli piacevano, bionde, alte, con la faccia piena di trucco, il naso appuntito e l’espressione di perenne fastidio. Quelle con la puzza sotto il naso, insomma. 

Il gruppo stava parlando di qualcosa, ma non riusciva a capire cosa, era tutto un miscuglio di frasi sconnesse, battute e riferimenti a vicende che gli erano sconosciute.
All’improvviso qualcuno fece una battuta e Sirius scoppiò a ridere, una risata forte, piena, che gli illuminò tutto il viso. Il viso di Sirius era bello ed era ancora più bello quando rideva. Gli si creavano delle pieghe attorno alla bocca che erano sia adorabili che sexy, e come facesse una persona ad apparire sia adorabile che sexy era un mistero per Remus. Probabilmente perché Sirius Black non era come tutti gli altri. 

“Remus!”
Remus si accorse di star fissando solo quando Dorcas lo chiamò. A fatica distolse lo sguardo. 

“Uh?”
“Stavamo parlando del pigiama party!”

Quand’è che le ragazze avevano cambiato argomento?
“Facciamo un pigiama party a casa mia. I miei non ci sono”, disse Marlene. “Ti va di venire?”
“Oh, ehm… Non vorrei disturbare…”.
“Ma quale disturbo! Ci fa piacere. E poi siamo sempre tutte ragazze, ci serve almeno un maschio”, scherzò Alice. 

Remus sorrise. “D’accordo, allora. Grazie”. 

“Di niente. Ti mando i dettagli per messaggio”. 


Mentre tornava a casa, Remus ricevette un messaggio di Mary che gli chiese come stavano andando le cose con il Dandy Tenebroso. 

Remus: Il Dandy Tenebroso si è trovato la ragazza.
Mary: Cooooosa?! D:
Remus: Eh già. 
Mary: Come sarebbe a dire?? Appena arrivi a casa ti chiamo. 

Remus sospirò pensando di non avere voglia di parlarne, ma allo stesso tempo forse gli avrebbe fatto bene.
Quella cosa di Sirius lo stava facendo soffrire più del dovuto e sapeva di dover risolverlo in qualche modo. Forse Mary gli avrebbe dato un buon consiglio per dimenticarselo. 

“Allora?!” esordì Mary non appena il suo volto comparve sullo schermo del computer di Remus. “Chi è questa ragazza? Come è successo?”
Remus si appoggiò allo schienale della sedia e raccontò, senza guardare l’amica: “E’ successo sabato, a una festa. Siamo andati a festeggiare Halloween a casa di questo tipo, Frank, e… Be’, c’era un sacco di gente, alcol, musica. Insomma, a un certo punto Sirius cade in piscina e questa ragazza si butta con lui e lo bacia, lì, davanti a tutti”.

“Oh”.

“Già”.

Mary sembrò pensierosa. “Come si chiama?”
“Chi? La tipa? Evanna… Greengrass, penso? Una cosa del genere”.

Lo sguardo di Mary si abbassò, probabilmente sul cellulare che teneva sempre tra le mani, e a Remus non ci volle tanto per capire che stava cercando Evanna sui social. 

“Oh be’, è carina”, commentò dopo un po’. “Molto carina”.
“Grazie, Mary, infierisci ancora un po’”, fece Remus in tono sarcastico.  

“Scusa, Re’”, disse lei tornando a rivolgere l’attenzione all’amico. “Quindi non è gay”. 

Remus scrollò le spalle. “Direi di no. Quante probabilità c’erano dopotutto?”
“Be’, pensavo… Non si può mai sapere”. 

I due rimasero in silenzio per qualche istante, pensierosi, come a voler raccogliere le idee, ma di fatto non c’era molto che potessero dire. 

“Mi dispiace, Re… Ma poi, sai come vanno queste cose. Lei si stuferà di lui o lui si stuferà di lei…”.
“Lascia stare, Mary”, la interruppe Remus un po’ malamente. Capiva che l’amica voleva solo tirarlo su di morale, ma in quel momento non aveva bisogno di false speranze. “Non ha importanza. Non so nemmeno perché ci siamo così fissati su Sirius. Non è nessuno, è solo un compagno di classe”.

Mary avrebbe voluto protestare, ma capiva fino a che punto poteva tirare la corda con Remus. 

“Hai ragione, dimentichiamoci di Sirius”.

“Piuttosto dimmi di te. Qualcosa di emozionante?” domandò Remus cercando di mostrare un entusiasmo che non sentiva. 

Mary scrollò il capo. “Che vuoi che ti dica, Re’? Non succede nulla. Domani ho una visita medica e forse mi ricoverano. Vogliono provare un farmaco sperimentale”.

“Oh, be’... E’ una bella cosa, no?”
La ragazza sospirò. “Sì, suppongo? Non ho tanta voglia di stare in ospedale, dopo così poco tempo, ma… Be’, è quello che è”. 

“Già”. Remus guardò in giù, cercando qualcosa da dire. Mary aveva ragione, era quello che era, e le loro vite erano sempre state così, un continuo ciclo di farmaci, visite e ricoveri in ospedale che interrompevano tutto quello che stavano facendo. Era impossibile a volte programmare delle cose nel lungo termine, o avere delle abitudini. Qualsiasi cosa poteva essere interrotta da una ricaduta o da un ricovero o… Insomma, per chi viveva con delle patologie era difficile riuscire a mantenere degli impegni o persino dei rapporti. 

Era quello che era.

Improvvisamente Mary sorrise attraverso lo schermo. “Suvvia, non facciamo i musoni. Vivere con la fibrosi cistica vuol dire anche questo e lo so, me ne sono fatta una ragione. Cerchiamo di guardare il bicchiere mezzo pieno”.

Remus ricambiò il sorriso. “Hai ragione. Ci sono anche delle cose belle”. Remus non ne era convinto, non riusciva a pensare ad alcuna cosa bella in quel momento, ma non avrebbe portato anche Mary giù con sé, in quel baratro di autocommiserazione e tristezza.

 

***

Buonsalve, amici!
E’ un po’ di tempo che non aggiorno, troppo tempo, ma non starò qua a giustificarmi. Sapete com’è, la vita, gli impegni, le relazioni e tutto quanto. 

Spero vi ricordiate ancora di quello che è successo nei capitolo precedenti, in caso contrario, chiedete pure nei commenti (se non avete voglia di tornare indietro).     
E’ un capitolo un po’ depressivo, mi rendo conto, ma forse adatto per un Mercoledì così uggioso (?)

Fatemi sapere nei commenti cosa ne pensate, non siate timidi. 
A presto! Spero di non farvi aspettare troppo di nuovo. 

C.

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Capitolo 17
*** Mi stai evitando? ***


MI STAI EVITANDO?

 

Remus cercò di evitare di pensare a Sirius il più possibile. Ma era difficile quando il ragazzo frequentava la sua stessa scuola, quando la sua risata chiassosa sconquassava le pareti dell’edificio, quando lui e Potter arrivavano in tutta la loro gloria occupando qualsiasi stanza come se gli appartenesse. Era difficile evitare di pensare a Sirius quando ora persino le sue canzoni preferite del suo gruppo preferito gli ricordavano Sirius e solo perché gliele aveva fatte ascoltare. Ma anche se gli capitava di ascoltare altre canzoni, soprattutto canzoni d’amore non corrisposto, la sua mente correva a Sirius.   

Si faceva schifo da solo da quanto era sdolcinato. 

Se doveva essere del tutto onesto con sé stesso, Remus era stato tentato di scrivergli. Aveva aperto diverse volte la chat di Whatsapp - dove ancora conservava i loro vecchi e miseri messaggi perché era una cosa così tipica di lui - per poi richiuderla subito dopo. Cosa poteva scrivergli? Aveva pure pensato di usare la scusa del fumetto per vederlo, ma non se l’era sentita. Non era del tutto una scusa, in ogni caso, prima o poi gli avrebbe dovuto restituire il fumetto, ma se gli avesse detto che aveva già finito di leggerlo avrebbe dato l’impressione di essere un po’ strano. Non che non fosse vero, Remus sapeva di essere un po’ strano, ma non era certo qualcosa che Sirius doveva sapere. 

Smettila, Remus, stai di nuovo vaneggiando nella tua testa.
Sirius però non gli aveva ancora chiesto indietro il fumetto, quindi forse poteva aspettare. Il ragazzo non gli aveva più scritto nulla, né aveva risposto alle sue storie e non lo aveva più visto in biblioteca e Remus non avrebbe assolutamente fatto caso allo strattone che sentiva allo stomaco ogni volta che ci rifletteva. 

Senza contare che condividevano il banco durante le lezioni di scienze e quello sì che era un problema. Per fortuna Lumacorno non aveva più dato loro esperimenti da provare a coppie e Remus poteva benissimo ignorare la presenza di Sirius accanto a lui se si limitava a prendere appunti delle lezioni, poteva ignorare quel suo odore di sigarette e pelle, le sue braccia muscolose con il tatuaggio di inchiostro nero che spiccava sulla sua pelle bianca, i suoi capelli neri e lunghi sempre legati, il suo pomo d’adamo che…
Sì, ecco. Andava tutto bene.
Andava tutto perfettamente bene. 

Durante quelle lezioni Remus si limitava a salutarlo con un ciao affettato e quasi mormorato, per poi riportare subito gli occhi sui propri appunti. Sirius gli sorrideva sempre, non appena lo vedeva, e non smetteva di sorridergli anche mentre camminava col suo passo sicuro dalla porta dell’aula al banco. Ma aveva smesso di cercare di coinvolgerlo in qualunque conversazione forse perché aveva capito l’antifona dietro alle risposte brevi dell’altro.
Remus si rendeva conto che era probabilmente ridicolo e si rendeva conto che non era colpa di Sirius, ma faceva fatica. Faceva davvero fatica.
L’unica cosa che voleva era perdersi negli occhi grigi di Sirius, affondare il volto nel suo collo e inspirarne l’odore, accarezzare quei capelli lisci… ma no, lui, Remus non era nessuno mentre Sirius aveva la biondissima e bellissima Evanna sempre attaccata al braccio come una cozza, con quella sua risata civettuola e quel mento tenuto sempre verso l’alto. 

***

“Uhuuu! Terra chiama Remus!”
La mano di Alice gli comparve improvvisamente davanti alla faccia. Remus si riscosse, tornando a rivolgere l’attenzione alle ragazze sedute al tavolo con lui. Doveva essersi perso qualche pezzo di conversazione a giudicare da come lo guardavano, e considerando che era rimasto a guardare il profilo di Sirius per dieci minuti buoni doveva essere così. Non aveva la minima idea di cosa stessero parlando le ragazze, però era riuscito a memorizzare ogni piega che compariva sul volto di Sirius quando sorrideva. 

Quel giorno lui e James Potter erano seduti da soli a pranzo, non c’erano né Evanna né gli altri compagni di squadra. Remus ne era contento, tuttavia sapeva che questo non migliorava la sua fissazione col ragazzo.
“Stavamo parlando del pigiama party”, disse Alice. “Abbiamo deciso chi porta cosa, ma non sappiamo ancora che film guardare”.

Remus riuscì a portare tutta la propria attenzione sulla ragazza. Alice era un luogo sicuro, Alice poteva distrarlo con la sua chiacchierata genuina e il suo entusiasmo contagioso. “Nessuno qui vuole guardare le commedie romantiche”.

“Oh, le commedie romantiche sono noiose! Sono sempre prevedibili”, rispose Marlene. 

Remus intanto spostava lo sguardo da una ragazza all’altra, cercando di recuperare l’attenzione che aveva perso prima. Intanto però si sentiva gli occhi di Dorcas addosso. Non capiva che cosa avesse da guardarlo così tanto, ma non si azzardava a chiederlo. Aveva notato che Dorcas era così, a volte fissava le cose e le persone, forse una sua stranezza. Remus non avrebbe certo criticato le stranezze di un’amica. 

“Tu che cosa proponi, Rem?” chiese allora Lily, i suoi occhi verdi che si spostavano piano verso di lui. 

Remus si morse il labbro inferiore, pensieroso. “Non saprei. Magari qualcosa di divertente?”
“Oppure un horror! Potremmo guardare un film horror!” si intromise Marlene.
Ci fu immediatamente un grugnire esasperato generale e un alzare di occhi. “Basta con questi film horror!”
“Marl, sei l’unica a cui piacciono gli horror. E poi lo sai che Emmeline ha paura e non dorme più per una settimana”. 

“Alice, sei tu quella che si caga addosso coi film dell’orrore. Non usare la povera Emmeline come scusa”.

Quella discussione funzionò perfettamente nel distrarre il povero Remus che quindi non si accorse che Sirius e James si erano avvicinati al loro tavolo. Almeno finché non sentì Lily esclamare in tono scocciato. “Potter!”
Remus alzò lo sguardo e immediatamente i suoi occhi trovarono Sirius. Due ciocche erano sfuggite alla crocchia e gli cadevano ai lati del viso come a farne una cornice. Gli occhi grigi però sembravano assenti, come se non fosse presente mentalmente con il resto del corpo.
James sorrideva col suo solito fare sornione. 

“Lilybella! Spero che oggi la giornata ti sorrida”. 

“Ora un po’ meno, Potter”. 

Alice, Marlene e Emmeline ridacchiavano sotto i baffi. Remus spostava lo sguardo da James a Sirius, ma i suoi occhi indugiavano soprattutto su quest’ultimo. Gli sembrava che ci fosse qualcosa di strano nel ragazzo quel giorno, come una specie di nuvola grigia sopra la sua testa. Remus avrebbe tanto voluto chiedergli che cosa c’era che non andava, farlo parlare, magari tirarlo su di morale - anche se non era la miglior persona per fare quello - ma sapeva che non era nella posizione per farlo. Per quello c’era sicuramente Evanna, anche se in quel momento non era lì. E forse c’era un motivo, forse…

No, no, Remus non poteva permettersi di sognare. 

Con un colpo secco distolse lo sguardo da Sirius e lo spostò su Dorcas che, non appena si accorse che il ragazzo la stava guardando, girò gli occhi da un’altra parte. Da quanto Dorcas lo stava guardando?
“Esci con me questo sabato, Lily?”
“Nei tuoi sogni”. 

“Oh, nei miei sogni ci sei sempre, Lilybella”. 

Lily alzò gli occhi al cielo e marciò verso la porta. Le ragazze e Remus la seguirono, lasciando dietro un ancora sorridente James, e Sirius che sembrava ancora essere nel suo mondo. 


***

Remus stava studiando nella biblioteca della scuola, l’evidenziatore in una mano e gli occhi che scorrevano sulle righe del libro che stava sottolineando.
C’era una bella atmosfera, confortevole ma non troppo calda e il chiacchiericcio sussurrato di un paio di ragazzi seduti a un tavolo in fondo gli dava quel giusto comfort per non essere completamente stordito dal silenzio, ma nemmeno disturbato.

Stava per iniziare un nuovo capitolo, quando il cellulare vibrò. Inizialmente voleva ignorare, ma quando lesse il nome nell’anteprima il suo cuore ebbe un sussulto.
Dimenticandosi completamente del libro e dell’evidenziatore, Remus afferrò il telefono e lesse subito il messaggio. 

 

Sirius Black: ti andrebbe di vederci in biblioteca? 

 

Remus non riuscì a contenere quel piccolo sorriso che gli tirò i lati della bocca.

Remus: sono già qui.

 

La risposta non si fece attendere.

 

Sirius Black: arrivo.

 

Il cuore di Remus cominciò a palpitare nel petto, e sembrava quasi che fosse l’unico rumore nella biblioteca, più forte persino del fruscio delle pagine o del chiacchiericcio della coppia di amici o della penna della ragazza del tavolo accanto al suo.

Il ragazzo continuò a lanciare occhiate alla porta, aspettandosi ogni volta di vedere Sirius e ogni volta che la porta si apriva il suo cuore faceva una capriola; non proprio ideale per uno con problemi al cuore.
Remus cercò di tranquillizzarsi, non capiva nemmeno perché fosse così agitato. Certo, aveva una cotta pazzesca ma questo non lo autorizzava a sentirsi sudare le mani e a farsi venire un infarto. Forse avrebbe dovuto dire di no, pensò, forse non era una buona idea incontrarlo vis a vis considerando che cercava di farsela passare, quella cotta, ma non ne aveva le forze, non aveva le forze di rifiutare Sirius. Sapeva che poi se ne sarebbe pentito e avrebbe sofferto, ma in quel momento non gli importava né di Evanna Greengrass, né del fatto che Sirius non potesse essere etero, né di nulla. 

Era stato Sirius a cercarlo e quell’occasione, qualsiasi fosse, non se la sarebbe fatta sfuggire. 

I minuti passavano e di Sirius nessuna traccia. Remus per un attimo pensò che forse lo aveva preso in giro, o che alla fine avesse deciso di non venire, magari rendendosi conto che era una perdita di tempo stare con Remus. Ci stava mettendo troppo tempo per essere qualcuno che aveva detto che era in arrivo. O forse, in realtà, erano passati pochi secondi e Remus aveva perso ogni cognizione del tempo.
Finalmente la porta si aprì una terza volta e Sirius arrivò in tutta la sua gloria. Remus sentì un’ondata di sensazioni diverse. Non potè fare a meno di notare, come sempre, i suoi capelli lisci e neri mezzi raccolti e mezzi sciolti, la giacca di pelle e quel modo di camminare che era una via di mezzo tra “non me ne frega niente del mondo” e “sto facendo una sfilata sulla passerella” in un paio di Doc Martens nere che arrivavano fino alla caviglia. 

Sirius gli sorrise mentre si avvicinava al tavolo e Remus si sentì quasi sciogliere. Ora sì che poteva morire felice.

“Ehi!” lo salutò il moro sedendosi sulla sedia libera accanto a lui e sorridendogli. 

Remus si sentì sciogliere alla vista di quel sorriso. Era un sorriso che gli accentuava ancora di più le iridi grigie e gli faceva uscire delle sottili rughe attorno agli occhi. Remus avrebbe potuto starsene lì a guardare quel sorriso e quel volto tutto il giorno come fossero un’opera d’arte. 

“Come stai?” gli domandò. 

“Ahem… Bene, grazie. Tu?”

“Sto… Okay”, rispose Sirius semplicemente abbassando lo sguardo per un attimo. Remus non ci diede troppo peso, distratto com’era dalla vista di Sirius e dalla sua presenza. L’odore di tabacco gli colpì fortemente le narici, ma insieme a quello c’era anche qualcos’altro, un misto di pelle e profumo costoso. Remus non avrebbe mai immaginato che avrebbe apprezzato così tanto l’odore di sigaretta, ma forse era che su Sirius stava così bene e ormai sapeva che quell’odore lo avrebbe sempre collegato a lui. 

“Volevo salutarti. Mi sembra che non abbiamo avuto molte occasioni di parlare ultimamente”, disse Sirius. “E, forse è un’impressione mia, ma… Mi stai per caso evitando alle lezioni di chimica?” 

Remus aprì la bocca, poi la socchiuse, poi la aprì leggermente di nuovo e si rese conto di star boccheggiando. E ora che cosa poteva dirgli? Non era una bugia, ma non pensava che Sirius se ne sarebbe accorto. Il che… Il che lo metteva in una difficile posizione e Remus si sentì immediatamente in ansia per il fatto che si sarebbe dovuto inventare qualcosa al più presto perché non poteva certo dirgli “sì, ti sto evitando perché mi piaci molto e sono geloso”, ma allo stesso tempo quella domanda gli fece sentire anche qualcos’altro, qualcosa di un po’ più piacevole, una sorta di sentimento lusinghiero per il fatto che Sirius se n’era accorto. E se se n’era accorto voleva dire che faceva attenzione. E se faceva attenzione voleva dire che ci teneva.
“Ehm no”, rispose Remus, parlando con un tono accettabile per la biblioteca e sorridendo per mascherare il disagio che provava. “Sono stato solo… Un po’ distratto ultimamente. Ho un po’ di cose per la testa e alcune… questioni da risolvere, quindi non c’ero molto con la testa. Non so se ha senso la cosa”. 

Sirius sorrise e annuì facendo ballonzolare il suo chignon. “Lo capisco e ha perfettamente senso. Spero solo che non sia nulla di grave”.

“Oh no, no. E’ solo che non sono molto bravo ad avere l’attenzione su più cose”. 

Il cellulare di Sirius vibrò illuminando lo schermo. Remus si sforzò per non guardare e Sirius non ci badò. 

“Se ti va di parlarmene comunque puoi farlo. Anche se non ci conosciamo da tanto”.

Remus sorrise sentendosi riempire il petto di un immenso piacere. “Grazie. Magari te ne parlerò, sì”. 

Il cellulare di Sirius vibrò nuovamente.

“Okay. Allora, quando vorrai…”.

Il cellulare vibrò di nuovo questa volta interrompendo il ragazzo che con un po’ di frustrazione lo prese in mano, lo sbloccò e guardò di cosa si trattava. Improvvisamente il suo volto si fece scuro.
“Scusami. Mi sa che devo andare”.

“Oh. Okay”. 

“Però mi farebbe piacere rivederti se ti va. Ti scrivo, okay?”
“Okay”. 

Sirius si alzò reggendo il telefono in un forte pugno e salutò Remus con un ultimo sorriso. Remus lo guardò andare via, il suo odore che ancora permeava nell’aria come una scia che si lasciava dietro.

*** 


Ce l’ho fatta a concludere questo nuovo capitolooooo! Credo di averci messo un po’ meno tempo (?). Spero.
Prossimo capitolo sarà il pigiama party. 

Fatemi sapere cosa ne pensate. 

A presto, 

C. 


P.S. se vi fa piacere, seguitemi sul mio profilo IG dedicato ai Malandrini, in particolare alla Wolfstar e a Jegulus (ed eventualmente potete commissionarmi qualcosa). E’ in inglese, però se volete scrivermi in italiano potete farlo :) Trovate il profilo qui

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