Ain't no Grave

di vermissen_stern
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Apostasia ***
Capitolo 2: *** nozze in bianco ***
Capitolo 3: *** purgatorio ***
Capitolo 4: *** l'uomo nero ***
Capitolo 5: *** una scintilla chiamata speranza ***
Capitolo 6: *** di poche parole ***
Capitolo 7: *** Nella neve ***
Capitolo 8: *** non sei la benvenuta ***



Capitolo 1
*** Apostasia ***


Allora… la mia idea principale per questa storia è di dividerla in più parti in modo da creare una sorta di “miniserie”. In quanto temo che possa anche questa essere una storia incompiuta (di cui sono campione) vorrei fare le cose abbastanza ristrette. Comunque, come spesso mi accade con le fanfiction che scrivo ultimamente vorrei puntarmi soprattutto sul lato psicologico dei personaggi. Anche negli aspetti più dark.

Pertanto vi auguro buona lettura e a presto!

 

 

La stanza in cui si trovava era un connubio di suoni ovattati e di vibrazioni che lo portarono a credere, un po’ per volta nel mentre che cercava dolorosamente di svegliarsi, che il vascello in cui era si stesse prodigando in chissà quali manovre folli.

Fu solo quando i sensori ambientali di Kaon – che sostituivano le sue ottiche ormai perse da tempo – ebbero finalmente modo di attivarsi completamente che, con sforzo epico, il cieco tecnico della Decepticon Justice Division capì che la nave in cui era imbarcato non era altri che la Paceful Tyranny. E non si stava muovendo, in quanto ricordò che era ferma da un bel pezzo su Messatine. I postumi di quella che era sicuramente un post sballo da fine settimana li aveva ancora tutti, e per giunta in un periodo in cui era il caso di non averne.

Il pianeta ghiacciato in cui si trovava, un tempo prosperosa miniera per le città dorate di Cybertron – e solo successivamente sfruttato anche per mandare a lavorare forzatamente i suoi dissidenti – era da tempo diventato il loro avamposto personale in cui poter ristorare il loro incrociatore senza problemi e poter far sbarcare l’equipaggio in relativa sicurezza. In fin dei conti il maggior pericolo al di fuori della loro base era qualche crepaccio in quella landa ghiacciata dimenticata Primus e altri divini.

Cercando di fare il punto della situazione cercò di mettere a fuoco dove si trovava, e capire il perché si sentiva la schiena completamente incriccata come una treccia di cavi, intuendo che si trovava nei propri alloggi personali e che torso e braccia erano bellamente distese contro il sudicio pavimento metallico, si trovava a pancia in giù – e questo giustificava il suo mal di schiena – mentre le gambe rantolavano malamente sul bordo della sua cuccetta annaspando come in una lenta agonia.

“Oh… porca… troia!”

La voce gli uscì dalla bocca in un modo così roco che, se fosse stato un organico, avrebbe sicuramente creduto di avere la gola secca quando in realtà la scatola vocale era semplicemente rovinata dopo averla usata troppo. Si chiese istintivamente quale concerto di karaoke i ragazzi avessero organizzato la notte passata per ridurlo così, ma questo non giustificava il fatto che sentiva le viscere metalliche pronte a ributtare tutto l’energon che aveva assunto.

Cosa che effettivamente successe, seppur in piccolo, quando avvertì le componenti interne contrarsi e costringerlo per questo a scendere del tutto del letto e mettersi velocemente a carponi per non rischiare di ritrovarsi ad annaspare nel suo stesso vomito.

bleargh…! Cazzo… che schifo! M-ma cosa è successo?!”

“è quello che mi chiedo anche io, in effetti”

Per forza di cose ora il tecnico decepticon era perfettamente sveglio – seppur ancora dolorante e intontito, tutt’ora fermo con le ginocchia a terra – consapevole che di fronte a lui stazionava il severo medico di bordo con una espressione in volto tutt’altro che benevola.

La piccola e voluminosa minicon guardò con severità il proprio paziente così come è solita fare una levatrice con dei pargoli indisciplinati, notando chiaramente il modo in cui Kaon incrinò le labbra in un ghigno disgustato (per se stesso).

“Nickel… cos-”

“Ho solo due domande per te perché, come ben saprai, questo è un periodo abbastanza stressante e dunque sarò sintetica: che fine hanno fatto tutti i crediti del tuo conto bancario e perché c’è una vecchia in camera tua!”

lì per lì il tecnico decepticon non capì cosa stesse dicendo, arrivando a guardarsi intorno e a mettersi in piedi a fatica – aiutandosi con le poche forze che aveva in corpo trascinandosi su per la cuccetta – riuscendo solo dopo diversi secondi a notare che, effettivamente, c’era qualcosa che non quadrava in camera sua.

Davanti alla sua scrivania, illuminata dalle moltitudini di schermi che adornavano quel lato della parete, una figura massiccia e dall’aspetto piuttosto antico – con cromature tendenti al viola e al grigio – era seduta sulla sua poltroncina preferita intenta a trafficare su un datapad senza prestare attenzione a cosa stesse accadendo li dentro. Se ci si fosse avvicinati di più si sarebbe notato che l’anziana femme era intenta a eseguire delle incisioni per armature, un po’ come vedere una semplice nonna lavorare all’uncinetto, ma ciò che fece fermare per un momento la scintilla in petto a Kaon era il volto di quel rottame ambulante. Non vi era ne bocca ne naso, ma solo un unico occhio dorato rendendola per questo dannatamente simile a quel pazzo scienziato di nome Shockwave.

“Nickel… dimmi che non mi sono connesso con quella cosa…”

“Ah, io non lo so!” fece con tono leggermente arrogante la minicon, alzando le spalle “perché non provi a chiederglielo? io so solo che non hai risposto alle mie domande”

Questa volta Kaon l’aveva combinata grossa, quasi sicuramente Tarn gli avrebbe staccato la testa di netto per aver fatto qualcosa che il tecnico proprio non riusciva a ricordarsi, eppure in quel momento ciò che avvertì maggiormente era il fluido craniale che stava comprimendo dolorosamente il suo processore interno. Tanto da arrivare a massaggiarsi le tempie doloranti cercando di far luce su ciò che gli era successo in quelle ore di buio.

“Nnnh… senti, Nickel! Io posso rispondere al massimo ad una delle due domande! M-ma poi… come fai a sapere del mio conto…”

“ho fatto due più due quando ti ho visto ritornare su Messatine in compagnia della tua nuova fiamma e tu eri fin troppo allegro” ed essere allegri di aver rimorchiato una anziana monocola ce ne voleva “c’entra qualche sostanza che non mi piace, vero?!”

Il tono polemico della dottoressa non aiutava di certo l’esecutore decepticon che, messo con le spalle al muro, dovette per forza di cose confessare il proprio vizietto a qualcuno che – con la scusa del segreto professionale – magari non avrebbe fatto la spia ai suoi superiori.

“S-senti… ho comprato sul mercato nero un dose di dhambrexia, ok? Non l’avevo mai provata e… e avevano detto che era roba che superava tutte le altre in circolazione ma” e qui si massaggiò l’attaccatura del naso con pollice e indice, sedendosi pesantemente sulla propria cuccetta “come fanno a definirla roba da sballo indimenticabile se poi non ricordi un cazzo?! Cazzo!”

La povera minicon fu costretta a portarsi una mano sul volto in un gesto che trasudava tutta l’esasperazione dettata dal caso, cercando di comprendere cosa avesse portato l’esecutore decepticon ad un simile gesto scellerato. E la risposta non tardò ad arrivare nel suo processore.

Erano fermi in quel pianeta ghiacciato ormai da giorni, forse da una settimana, cioè da quando il loro comandante aveva fatto quel che aveva fatto. E a rimetterci non c’era stato solo Megatron, ma anche la psiche di Tarn che aveva visto crollargli il suo intero castello di carte… e nel mezzo c’era la DJD che rischiava di subire le violenze di un leader distrutto. Divenuto fragile come quella stessa neve al di fuori del piccolo spazioporto della loro base, era un miracolo se fino a quel momento si era limitato a dare solo occhiate di fuoco ai suoi sottoposti.

Il tradimento di Megatron, passato inspiegabilmente alla fazione avversaria degli Autobot, non era rimasto inosservato agli occhi dei suoi discepoli più fedeli… e Tarn, purtroppo per lui, era un uomo che sentiva di dovere tutto all’ex leader dei Decepticon. Com’era possibile che, nientemeno che il fondatore di un intero esercito – alla stregua di un dio per molti suoi adepti – avesse deciso non solo di abbandonare tutto ma persino di sciogliere definitivamente la sua stessa organizzazione? In nome di una pace che non riusciva a trovare forse? Ma se fosse stato così, perché non tener conto della guerra interna che in molti avrebbero dovuto affrontare?!

Tutte queste domande avevano portato in molti così tanto sconforto che ora, la povera Nickel, doveva agire tempestiva se non voleva che uno dei suoi colleghi di lavoro commettesse delle autentiche pazzie. E se purtroppo con Kaon non aveva vigilato abbastanza, ritrovandosi con un possibile ulteriore casino per le mani, con Tarn era stata decisamente provvidente. Forse perché, in fin dei conti, quel mech per lei era come un libro aperto.

La minicon aveva intuito che quello stolto avrebbe sicuramente cercato di commettere una pazzia dopo aver visto l’annuncio video di Megatron – dove rinnegava letteralmente se stesso – e nel mentre che Tarn era fuori dalle proprie stanze private la piccola donna aveva ben pensato di inserire una perla in ogni bottiglia di liquori che possedeva.

Ci aveva visto giusto, quelle pillole effervescenti di sedativo avevano impedito ad un pazzo di iniettarsi così tanto nuke in corpo da potersi uccidere in una sola seduta di iniezioni, svenendo all’interno della camera di drenaggio delle sostanze chimiche usate per aumentare le loro prestazioni in battaglia.

Non sapeva se Tarn l’avrebbe mai perdonata per averlo bloccato nei suoi intenti suicidi – un cavaliere senza il proprio sire era come un viandante senza strada – ma perlomeno così facendo gli aveva dato da pensare sul da farsi e, almeno una settimana dopo, essere abbastanza lucido da voler affrontare il proprio signore in una chiacchierata a tu per tu finita nei peggiori dei modi.

E questo la preoccupò maggiormente, in quanto il gelo che era calato nell’intero gruppo era pari a quello che permeava le lande di quel sasso alla deriva in cui stavano sostando ormai da tempo. Vi era una sottile paura nella scintilla di molti, una inquietudine velata nei gesti della quotidianità, e se alcuni mascheravano bene quel timore di vedere il loro leader fin troppo silenzioso – come Tesarus ed Helex impegnati a fare l’inventario o per Vos rintanato nel proprio laboratorio impegnato in chissà quale esperimento – per altri era in atto una crisi di nervi.

Ne era la prova evidente Kaon che, con il favore delle prime tenebre, era sgattaiolato via dalla base con una navetta di servizio diretto chissà dove. Anche se Nickel aveva timore di sapere dove si fosse diretto, visto l’aspetto dell’anziana femme che continuava ad ignorarli e a pensare agli affari propri.

“Uff… Kaon, ascolta: non sono arrabbiata, ok? Ma questo è un momento terribile per tutti e dobbiamo essere preparati al peggio” nel dirlo allungò una mano verso l’anziana donna e questa la prese alzandosi lentamente dalla sedia, aiutata dalla dottoressa “situazioni come questa di certo non aiutano! Quindi ora cerca di darti una sistemata e di renderti presentabile, perché dovrai spiegare a Tarn diverse cose. Io intanto visito la nonna e le faccio un paio di domande… anche se dubito sappia ancora parlare data l’età”

Si allontanò con calma dalla stanza, dando il tempo alla ciondolante – e cigolante – femme di sgranchirsi le gambe prima di continuare spedita verso l’infermeria, lasciando per questo un povero tecnico a massaggiarsi le tempie ancora doloranti e conscio di aver commesso una autentica pazzia.

“Cavolo… speriamo che quella tizia non mi abbia attaccato la vecchiaia!”

 

[…]

 

Il paesaggio offerto dal pianeta Messatine era lo stesso ovunque si posasse lo sguardo. Dune di ghiaccio fino a perdita d’occhio; ampi crepacci nascosti dalle sferzate di vento improvvise e catene montuose sconfinate. Il tutto baciato dai raggi solari che tingeva quelle morbide curve di tenue rosa ogni qual volta la stella di quel remoto sistema solare si affacciava al mattino tra le creste impetuose e selvagge che caratterizzavano l’orizzonte più estremo. Una natura apparentemente incontaminata che, però, presentava nelle sue viscere miniere redditizie che a lungo avevano arricchito il pianeta natale dell’esecutore decepticon e isolato i soggetti più pericolose alla sua democrazia fallimentare.

Attraverso i sensori ottici scarlatti di Tarn quello spettacolo desolato gli forniva l’unico momento di pace da una moltitudine di pensieri e atti che non riusciva a riconoscere come suoi. Eppure, seduto su quella neve morbida, un po’ per volta stava cominciando a fare il punto della situazione.

Si sentiva più lucido rispetto a quando aveva tentato di farla finita, e nel mentre che i miasmi delle droghe e dei sedativi gli avevano fatto passare qualsiasi intento autolesionista dopo aver visto il video messaggio del fu lord Megatron, ora era il turno di fare i conti con un vuoto che non riusciva a colmare.

Ciò che il suo processore ricordava del suo ultimo dialogo con il suo ex signore erano frasi, immagini e sensazioni frammentarie che il suo subconscio cercava disperatamente di non unire come i pezzi del puzzle qual erano. Uno stato di shock ancora effettivo in lui, ma nonostante tutto la scintilla della pazzia non era comunque scattata dopo aver usato i suoi doppi cannoni per fondere il petto di Megatron e lasciarlo agonizzante tra quei fiori tecnorganici dalle corolle perennemente aperte.

Sapeva che ci sarebbe stato un confronto, prima o poi, tra lui e quello che doveva essere il leader dei decepticon… ma finito a quel modo, in terra neutrale, avrebbe volentieri preferito evitarlo.

“Tarn…”

Riusciva ancora a ricordare la sua voce ferma nonostante la vita si stesse per spegnere all’interno del suo petto. La bocca sporca di roseo energon tossito in punto di morte, lo sguardo fermo di chi non voleva ancora decedere.

“Ragazzo…”

Aveva provato a farlo ragionare, a cercare di convincerlo che mollare tutto ciò che aveva creato nello corso dei secoli era qualcosa di insano. Ciò che Megatron rappresentava per lui – ciò che aveva fatto per lui, trascinandolo fuori dal cumulo di immondizia qual era la sua vita e dandogli la giusta importanza – ricordandogli quanto il credo decepticon avesse segnato un nuovo ciclo in un’era stagnante nella democrazia di Cybertron.

“C’è una cosa che devi sapere”

Fu tutto inutile, colui che fino a quel momento aveva venerato quasi alla stregua di un dio – l’unico in un panteon privo di divini in quanto la religione era una droga che andava debellata per la dottrina decepticon – aveva deciso di abdicare alla via della violenza e rinnegare tutto ciò che era stato. Annunciandogli pubblicamente che quel che era stato, ciò che aveva commesso, era stato il più grosso sbaglio della sua vita e ciò che poteva fare per porvi rimedio era solo quello di rinnegare la violenza e abbracciare il nemico per il bene futuro di tutti.

Si era rifiutato di dargli spiegazioni convincenti – Tarn rifiutava categoricamente una simile spiegazione superficiale – gli aveva rifiutato un confronto alla pari incapace anche solo di muovere un dito verso ciò che aveva creato. Verso il giudice che si era scelto per punire coloro che mancavano di rispetto a lui o alle regole che si era creato scrivendole personalmente.

L’esecutore trovò solo ora la scelta di Megatron alquanto ironica, perché fra tutti i decepticon con cui poteva volere un confronto aveva accettato proprio il suo, eppure fu con un tremito che ricordò il momento di disperazione e rabbia che lo offuscò a tal punto da puntargli contro i propri cannoni a fusione e premere il grilletto senza esitazioni.

Aveva registrato il suo volto contorto in una espressione indecifrabile – sensori ottici spalancati quanto la sua bocca, lo stupore e il dolore in un’unica immagine impressa nella sua memoria per sempre – il petto fondersi come lava e il suo intero corpo cadere all’indietro tra quei petali di silicio e fibre biorganiche. E li, tra i tremiti della sua scintilla e quella di Megatron ormai prossima a spegnersi, il suo mentore ebbe la forza di parlargli un’ultima volta con la dignità che solo un leader poteva avere… e consegnargli qualcosa che ancora stringeva tra le mani.

“Questo è il mio ultimo ordine…”

Sentì ancora le mani del fu Megatron prendergli con forza il polso sinistro, con un ringhio di rabbia di chi non ammetteva ripensamenti, lasciandogli quello che a tutti gli effetti era un piccolo registratore audio/video.

Lo stesso che Tarn teneva tra le mani in quel momento, piegando lo sguardo giusto un po’ poteva osservarlo stretto nelle mani congelate dalla candida neve, decidendo di ascoltarlo per l’ennesima volta da quando aveva messo piede su quella che un tempo era stata la prigione in cui Megatron aveva “soggiornato” a lungo a causa di quelle sue idee – divenute poi il credo di molti – che preoccupavano i potenti di Cybertron. Le stesse che avevano portato un mech a strisciare dallo schifo e divenire quello che ora era. Il mostro temuto da tutti.

 

Si sdraiò sulla neve di Messatine, osservando solo brevemente il roseo cielo del primo mattino. Solo dopo alcuni secondi di contemplazione del vuoto collegò alcuni cavi presenti all’interno della sua maschera al registratore portatile e si preparò a visionare in prima persona il contenuto che gli veniva offerto. Per l’ennesima volta da quando le mani insanguinate del suo leader glielo avevano ceduto, vide quel che il suo signore aveva voluto mostrargli.

In principio l’immagine tremolò, non rendendo chiaro la natura di quel disturbo elettrostatico, ma poi si mise a fuoco e ai suoi occhi si palesò un Megatron con ancora sul petto lo scintillante simbolo dei deepticon. Segno che quel video lo aveva registrato molto prima della sua apostasia, e su questo Tarn non sapeva decidersi se sentirsi sollevato o ferito per una simile scelta.

Inoltre, riguardando più e più volte quel filmato – in un autolesionismo compulsivo ed ossessivo – aveva notato che il paesaggio offerto dalle guglie e torri al di fuori della grande finestra alle spalle del suo ex signore poteva appartenere, in eleganza, solo al pianeta Caminos. Un dettaglio non da poco, come non erano da poco le sue cupe parole.

“Tarn… Ragazzo. Qui è lord Megatron che ti parla, e se stai ascoltando questo messaggio molto probabilmente sono morto. Sicuramente per mano tua, ma quello che sto per darti è l’ultimo mio ordine per te… e per me”

Lo vide chiudere gli occhi per un breve istante, come se le sue parole suonassero pesanti come macigni persino per lui, eppure Tarn non vide segni di cedimento o vergogna. Le spalle di Megatron non si incurvarono, dalla sua bocca non uscì nessun sospiro rassegnato, il segno evidente di nessun ripensamento per quel che avrebbe fatto in futuro.

“ho pensato a diversi modi per dirti quello che sto per dirti ma… ci credi che non sono riuscito a trovarne mezzo? Tzk, ci sarebbe solo da ridere se a parlare non fosse altro che il tuo leader” un breve cenno di sorriso sarcastico incornicia il suo volto grigio e austero, prima di tornare a parlare di fronte alla telecamera “so che, se stai guardando questo filmato, ti sarai già accorto che non sono su Cybertron… attualmente sono nella casa della mia compagna, nella nostra casa ad essere precisi. Ed ella è uno dei motivi per cui ho deciso di disertare i decepticon”

Ormai Tarn aveva ascoltato quella video registrazione così tante volte da non sentirsi più ne triste e ne indignato. Sotto quella maschera perennemente calata sul viso, messa li solo per nascondere la sua umanità agli occhi delle sue vittime, c’era il volto di un soldato stanco ancora fedele ad un credo valeva più della sua stessa vita.

“c’è una cosa che devi sapere… questa ragazza è diversa dalle altre che ho avuto nel mio passato, è speciale, ed è per lei che ho deciso di abbandonare questa vita di violenze e guerra… non può esserci pace per i decepticon, Tarn! Dovresti ormai averlo capito persino tu. E non è ciò che voglio per lei”

Vide il suo ex mentore e signore avvicinarsi alla telecamera per poterla prendere in mano, lasciando che il panorama si distorcesse per un momento prima che la visuale mostrasse ciò che Megatron poteva vedere con i suoi sensori ottici.

L’inquisitore si ritrovò a percorrere quello che era il corridoio di un appartamento semplice ma confortevole, prima di giungere in quella che era la camera da letto di Megatron e della sua nuova compagna. Ora intenta a riposarsi nella cuccetta che condividevano assieme in una penombra causata dai vetri oscurati digitalmente.

Seppur rannicchiata in posizione fetale Tarn poteva vedere perfettamente i dettagli di quella femme fonte di tutti i suoi mali, decretando che solo una nobile caminoana poteva vantarsi di un simile pregio nella propria armatura dalle colorazioni bianche e acquamarina. I dettagli erano rappresentati da intarsi color oro finemente cesellati, mentre una lunga treccia di cavi – bianchi e oro – scendeva dal suo elmetto perdendosi sul ripiano metallico del letto. Drappi di seta sintetica semi trasparente scendevano sia dalle spalle che dalla vita, orpelli costosi che rendevano quella donna un gioiello.

Una femme davvero molto bella, nonché molto giovane rispetto a Megatron a giudicare dall’aspetto, degna di un vero leader che si rispetti.

Vide di nuovo la mano del suo ex leader allungarsi verso di lei ed accarezzarne delicatamente il viso – e lo stesso fece di rimando Tarn allungando istintivamente un braccio verso il cielo, credendo quasi di poterla toccare anche lui – e spostarlo quel tanto che bastava per amor di telecamera. A quanto pare Megatron non aveva lasciato nulla al caso in quel video messaggio, ben conoscendo il fanatismo dei particolari del suo adepto più fedele, lasciando che fosse Tarn stesso a cogliere tutti gli indizi sparsi come briciole di pane da un mech piuttosto intelligente nonostante il suo tradimento.

Se non stava parlando in modo chiaro in quel filmato significava solo una cosa: temeva ben altro oltre il semplice tradimento.

“si chiama Natah… la donna della mia vita! Ed è tuo dovere trovarla e proteggerla una volta che io non ci sarò più” l’immagine cambiò nuovamente, e il volto furente di un lord Megatron che non ammetteva rifiuti si palesò ai suoi sensori ottici “Questo è il mio ultimo ordine, ragazzo… vedi di seguirlo alla lettera, perché se provi a disobbedirmi non ci sarà inferno o afterspark che potrà trattenermi dal venirti a cercare”

Gli occhi vermigli dell’ex leader dei decepticon scintillarono di un’ira repressa a stento all’idea di vedere la propria compagna soccombere alle avversità che il suo stesso compagno si era lasciato alle spalle. Molto furbo da parte sua registrare quel video da decepticon anziché da apostata… così facendo aveva praticamente “incastrato” il suo più fedele aguzzino sia a livello emotivo che, soprattutto, a livello di codice d’onore. Tarn conosceva Towards Peace a menadito – il codice comportamentale scritto da Megatron in persona, di cui conservava gelosamente la prima versione originale – e sapeva che un decepticon che si rispetti non lascia indietro i propri compagni… e nemmeno si nega ad un ordine diretto di un proprio superiore.

“Ho fiducia in te, Tarn… Qui Megatron. Chiudo”

La comunicazione si concluse così, con un ordine che un uomo di retta via come Tarn non poteva ignorare, neanche da un traditore come il fu lord Megatron, e questo rappresentava il più grande dilemma che l’inquisitore doveva affrontare in quei giorni spesi prevalentemente nella neve in meditazione. Obbedrgli ciecamente un’ultima volta… oppure inserire quella femme nella propria lista personale?

 

Si accorse di non essere solo in mezzo a quella neve solo quando si sfilò di dosso il registratore e controllò al proprio fianco sinistro, pur rimanendosene sdraiato, vedendo che il cane di Kaon lo aveva seguito fino a li in attesa di ricevere le giuste attenzioni.

La creatura dalle fattezze simil canine se ne stava seduto sulla neve in attesa di chissà cosa da parte del leader della DJD, piegando persino la testa di lato, eppure il suo sguardo manteneva un barlume di intelligenza tutt’altro che assimilabile ad una creatura domestica. Un barlume che l’esecutore capo avrebbe ancora definito vicino agli individui senzienti, e che forse era il motivo che l’aveva spinto la fuori a cercare di comunicargli qualcosa.

“ho freddo…”

Questo fu tutto ciò che Tarn si sentì di dire a quella sventurata creatura che, in tutta risposta, iniziò a leccargli il volto mascherato felice di vederlo ancora perfettamente online. Era stato al freddo per fin troppi giorni, chiuso in se stesso e nella sua silenziosa disperazione, e la vista del cane gli aveva appena ricordato che aveva un incrociatore da governare. Oltre che un drappello di soldati che rischiavano di andare allo sbaraglio senza la sua guida – capendo ormai fin troppo bene che cercare di farla finita non avrebbe risolto ne i suoi, ne i loro problemi – ed era per questo suo dovere rimanere il più possibile lucido in quei momenti di follia totale.

Decise quindi di alzarsi e di tornare alla nave.

 

[…]

 

Se fuori dall’astronave le temperature erano decisamente proibitive, l’interno della Paceful Tyranny non era da meno in quanto l’atmosfera che si era creata all’interno della cucina di bordo non era delle migliori.

Raccolti attorno all’unico tavolo presente – rotondo, affinchè tutti potessero vedersi e vedere soprattutto il loro capo – c’era sostanzialmente chi cercava di non ridere con le lacrime agli occhi e chi, tamburellando nervosamente i piedi sotto il tavolo, era intento a sbollire la tensione di vedersi dopo giorni di assenza proprio il loro leader seduto ora accanto ai suoi uomini.

L’unico che sembrava voler sprofondare letteralmente all’interno del pavimento sembrava essere Kaon, con i gomiti appoggiati sulla superficie del tavolo e la testa pesantemente appoggiata sulle mani messe a mo di coppa, così sconvolto da una notte che ancora non riusciva a ricordare da non sentire proprio gravosa la presenza di Tarn poco distante da lui. E a metterci il carico da mille ci pensò nientemeno che Helex, un massiccio mech dalle cromature blu e grigie, ormai prossimo a scoppiare a ridere.

“Sai, Kaon… devo dire che, uh, la tua nuova fiamma è un’ottima, hm… cuoca!”

Disse quelle parole cercando di contenersi il più possibile, più per rispetto del loro leader che non amava il chiasso a tavola piuttosto che per lo sfortunato tecnico, ricevendo occhiate di fuoco dall’interpellato per quanto questi di sensori ottici non ne avesse più da un pezzo.

“si, devo ammettere che la brodaglia di nonna è la cosa più buona che abbia mai assaggiato da qui a diversi secoli” fece in tutta onestà Tesarus, un gigantesco mech dal volto semi nascosto da una maschera a forma di X e caratterizzato da un inquietante foro dentellato all’altezza del petto usato per le sue spietate esecuzioni “il suo aspetto però mi ricorda qualcuno…”

“se vi riferite all’aspetto del mio ‘onesto’ ex collega di lavoro Shockwave… ebbene si, miei cari compagni, ci troviamo di fronte a colei che ha concepito uno dei suoi due genitori”

Sebbene il linguaggio primitivo dei primi cybertroiani fuoriuscì dalla mascherina di Vos in maniera fluida e impeccabile – l’ufficiale scientifico di bordo, dall’aspetto allampanato e dalle cromature viola e grigie – ben pochi li dentro capivano il linguaggio di quel purista dell’idioma originario del loro pianeta natale. E uno di quei pochi individui che per forza di cose conosceva quell’idioma arcaico era il loro taciturno leader. Tarn.

Se fino ad allora il leader della DJD non aveva minimamente parlato, facendo anche temere il peggio ai presenti a tavola – temendo che questa volta la bravata di Kaon si fosse spinta troppo oltre – questa volta sorprese tutti nel momento in cui molteplici occhi si puntarono silenti verso la sua imponente figura.

“Vos sta dicendo che questa anziana femme è, effettivamente parlando, la nonna di Shockwave”

Ci fu un lungo silenzio nella cucina. Un silenzio interrotto solo dai cigolanti passi della vecchia ciclope intenta a girare per il tavolo e riempire le ciotole dei suoi nipoti acquisiti con nuova squisita zuppa creata da lei stessa subito dopo che la piccola minicon l’aveva visitata. A quanto pare si era già ambientata bene all’interno della Paceful Tyranny.

“E ancor prima che me lo chiediate si… Vos e Shockwave hanno lavorato assieme per un breve periodo a guerra iniziata. Ma tralasciando questa piccola nozione di storia, giusto ieri sera c’è stata una festa a casa dello scienziato monocolo… motivo per il quale, Kaon, ti è stato decisamente facile portare via sua nonna senza allarmare le guardie”

Se prima non aveva spiccato nemmeno una sillaba ora la cupa voce di Tarn si poteva sentire per tutta la stanza lasciando ipnotizzati praticamente tutti i commensali, ad esclusione di una anziana femme piuttosto sorda e incurante dei loro affari, e facendo far loro la proverbiale figura barbina in quanto sicuri che il loro leader fosse caduto in stato catatonico per tutti quei giorni senza curarsi minimamente di quel che accadeva al di fuori di quel mondo ghiacciato.

“Una festa…” iniziò col mormorare allibito Tess, ma venne bloccato nuovamente da un comandante in vena di parlare.

“Che ci crediate o no si è sposato approfittando dell’armistizio imposto di recente…” fu ben attento a non pronunciare il nome del suo antico signore, quanto piuttosto ad attirare l’attenzione dei suoi su un possibile pettegolezzo “e logicamente, per correttezza, tempo fa aveva mandato un invito anche a noi tramite posta elettronica… suppongo che molti di voi fossero impegnati in altro che prestare attenzione all’invito di qualcuno che freme per una scalata al primo posto nella nostra lista

e qui alcune risatine si levarono dalla tavolata ben imbandita, costantemente ignorata da una anziana femme che sembrava fregarsene del destino del nipote, i cui ospiti furono piuttosto sollevati di vedere che Tarn era abbastanza in forma da elargire loro una battuta al vetriolo. Era comunque logico che lo scienziato monocolo avesse mandato un invito in sordina pure loro, in fin dei conti erano pur sempre degli ufficiali decepticon, e l’etichetta prevedeva di spedirne anche a coloro con cui si condivideva pessimi trascorsi.

Se in molti avevano ignorato l’evento questo era rimasto comunque sotto gli occhi di Tarn e, sorpresa delle sorprese, persino di un Kaon in vena di fare baldoria in una festa matrimoniale. Solo che purtroppo aveva perso momentaneamente la memoria dell’accaduto.

E fu proprio verso quest’ultimo che lo sguardo scarlatto del capo inquisitore si puntò maggiormente, faendo scorrere in lui brividi poco piacevoli.

“Sono… uh… nella merda, vero?”

Il tecnico decepticon cercò quasi di metterla sul ridere, ma per sua fortuna il loro leader era in vena di elargire grazie quel giorno.

“Si e no… dipende da quanto sarai capace di trovare questa persona” con un gesto fluido della mano sinistra fece scivolare il famigerato registratore lungo la superficie del tavolo fino ad arrivare, in silenzio, a toccare la ciotola ancora fumante del cieco torturatore “ma devo comunque dire che, portarci a casa questa graziosa ospite, è stato un colpo di genio che potrebbe esserci davvero utile in futuro”

Alle parole del lord inquisitore partì quella che doveva essere una risata civettuola da parte dell’anziana ciclope – che a quanto pare quell’ultima parte del discorso l’aveva sentita bene nonostante fosse ora impegnata ai fornelli – mentre per Kaon partì solo una risatina nervosa dalla gola rovinata. Pur comunque agguantando il registratore piuttosto ansioso di sapere cosa ci fosse li dentro.

“Uhh… quindi abbiamo un nuovo nome nella lista?! Si torna al lavoro??” l’entusiasmo pareva essere piuttosto evidente in Helex, in quanto di restarsene fermo a fare niente non era affatto da lui.

“Forse. Vi saprò dare i dettagli in giornata… ora mangiate, e ringraziate nonna dopo la colazione”

La notizia venne accolta con una certa esultanza dai suoi uomini – ansiosi come non mai di poter tornare a fare quello che sapevano fare meglio, ossia dare la caccia a chi commetteva blasfemia al credo decepticon – ben felici di vedere che il loro leader in quelle settimane di oblio non si era perso nella più cupa disperazione, lasciando intendere di avere un piano preciso in mente dopo aver riflettuto a lungo in mezzo alla neve. Forse non si sarebbe mai tornati ai fasti di un tempo, ma agli uomini di Tarn bastava poco per sentirsi nuovamente in carreggiata.

L’unica che non parve condividere quell’entusiasmo generale – e che per tutto il pasto era rimasta particolarmente in disparte senza proferir parola – era il piccolo medico di bordo, alias Nickel, sul cui volto simil infantile in realtà serpeggiava una espressione preoccupata per la condizione psicologica del suo comandante.

Forse gli altri in quanto uomini tenevano a badare più superficialmente a certe cose, ma il suo intuito femminile le diceva che il lord inquisitore fosse tutt’altro che guarito nell’arco di una nottata passata all’addiaccio nella neve di Messatine.

“Tarn… va tutto bene?”

La cosa buona era che si trovava accanto a lui al momento – sul suo lato sinistro – e quindi poté chiederglielo quasi sottovoce, ricevendo però una risposta solo quando il suo signore ebbe modo di bere un intero cubo di energon dalla gradazione alcolica sostenuta – l’equivalente di un bicchiere di vino a pasto – senza che questi abbassasse minimamente lo sguardo verso la sua sottoposta.

“va tutto bene, Nickel. Il peggio è passato”

La minicon non seppe dire se la sua risposta fosse del tutto sincera, ma capì che Tarn aveva apprezzato il suo interessamento per il modo in cui le toccò brevemente la spalla destra. Sperò solo che quelle parole fossero effettivamente vere, ma conoscendolo ormai bene sapeva che era un uomo che si teneva tutto dentro fino ad arrivare a scoppiare nei peggiori dei modi.

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Capitolo 2
*** nozze in bianco ***


Shockwave aveva molto per essere adirato quel giorno. Questo il capo della sicurezza della sua torre lo sapeva, eppure non poteva fare a meno di fargli rapporto dopo aver fatto controllare – e controllato egli stesso – ogni anfratto della sua dimora e fatto perquisire persino gli ospiti che si erano tardati a rimanere a festeggiare un matrimonio che doveva essere perfetto nelle intenzioni dello scienziato monocolo.

Kickback avrebbe preferito di gran lunga rintanarsi nelle viscere del suo nido sotterraneo piuttosto che sbattere freneticamente le proprie ali in direzione della cima della torre di suddetto ciclope, ma quello che lo legava a quello svitato non era semplice fedeltà quanto, piuttosto, una sorta di imprinting.

In quanto insecticon – una primitiva evoluzione dei cybertroiani sopravvissuta fino all’era moderna, con una modalità bestiale anziché veicolare che ricordava molto quello di un insetto – nutriva istintivamente una forma di rispetto piuttosto profonda verso il proprio datore di lavoro, al pari di quello che poteva nutrire per una delle regine dell’alveare, ma da qui a trovarlo simpatico ce ne passava.

Nel corso dei secoli Shockwave aveva saputo tessere per bene le sue trame con gli abitanti del sottosuolo di quel settore periferico della città di Kaon – rinomata per essere la capitale dei decepticon – stringendo affari con le sue regine per migliorarne i figli mal visti dalla società civile. Ricerche queste che avevano dato i loro frutti, gli attuali insecticon erano quasi al pari di un comune cybertroiano tanto da poter assumere un aspetto umanoide e avere libero pensiero, al giusto prezzo di vite da sacrificare alle affamate – in tutti i sensi – signore del sottosuolo. Coloro che non sopravvivevano a lungo come cavie da laboratorio dello scienziato pazzo – per lo più prigionieri di guerra ma anche disertori dell’esercito decepticon – finivano a nutrire le schiere di quelle orride regine dal culo sempre fertile.

La madre di Kickback era stata mossa da sentimenti vanitosi e materiali quando aveva deciso di perfezionare la sua stessa specie. Non tanto per salvaguardare il più possibile il nucleo del loro pianeta – da cui per secoli avevano tratto nutrimento in modo equilibrato, scavando tunnel che permettessero la conformazione cristallina di energon utile agli abitanti della superficie – dando loro la possibilità di risparmiare energie con una modalità più umanoide e intelligente… quanto di raggiungere semplicemente un canone estetico tanto invidiato dalle femmine del sottosuolo. Un chiaro segno questo che la loro razza fosse tutt’altro che intelligente, ma questo andò tutto a vantaggio di Shockwave.

E ora, con la guerra civile che da secoli funestava il pianeta era ormai ridotta agli sgoccioli, un insecticon aveva finalmente detto addio ad una padrona severa unicamente per trovarne un altro da rispettare al massimo. Ironico.

Kickback volò agile e leggero nella sua modalità che ricordava vagamente una sorta di vespa, aggirando guglie e volando attraverso le tubature fino a raggiungere quello che era a tutti gli effetti un grande balcone circolare che si affacciava sullo spettacolo offerto dalla skyline di quell’oscura metropoli.

Una volta che l’insettaccio si posò sul pavimento metallico decise di trasformarsi in modalità umanoide, ben ignorato da un padrone di casa che gli dava le spalle e che – dentro il proprio laboratorio personale, nonché appartamenti privati – era impegnato a visualizzare quelli che erano molteplici schermi olografici di una console di comando. A quanto pare quel ciclope dall’armatura viola e nera non si accontentava dell’avanzato sistema di sorveglianza nel suo centro di vigilanza al piano terra… ma ne aveva uno tutto suo indipendente dalla linea principale.

“Kickback a rapporto! Signore, signore, signore!”

La viscida voce dello snello insecticon riecheggiò per le pareti metalliche della grande stanza – accentuando ancor di più il suo insolito tic di ripetere almeno tre volte alcune parole – annunciando così la sua presenza ad un signore in apparenza distratto. Il grande occhio rosso dell’imponente mech era impegnato ad osservare sequenze di dati e immagini che purtroppo, per il capo della sua sicurezza, erano assai note.

Il rapimento dell’anziana nonna dello scienziato monocolo era ormai un dato di fatto e, solo per il sangue freddo avuto dai familiari, non era diventata di dominio pubblico. Ma ciò non toglieva che tutta la figura del padrone di casa trasudasse una certa tensione mista a nervosismo perfettamente logica.

“E mi auguro che questa tua venuta porti buone notizie”

No, non aveva buone notizie. E questo portò il viscido adepto decepticon a deglutire amaramente facendo fremere le ali dietro la schiena. Il suo volto umano si piegò in un sorriso forzato, trattenendo una ridarella isterica tra i denti, perché tutto ciò che sapeva erano le stesse cose che aveva redatto al proprio signore ore fa. Nonostante avesse fatto nuovamente setacciare la residenza a caccia di indizi.

“Mio sire, sire, siiire! Ho visualizzato personalmente le riprese di sorveglianza e si può chiaramente vedere la vostra anziana levatrice mentre… ehm, lascia la tenuta a bordo di quella che è una sedia mobile…. Signore, signore, sign-”

“risparmia il fiato, Kickback. Mi stai raccontando cose che già so” lo scienziato pronunciò quelle parole in modo atono, nel mentre che si voltava verso il suo incompetente sottoposto. Per poi proseguire in modo più cinico “piuttosto, sarebbe stato logico da parte tua dirmi chi fosse l’individuo che trasportava mia nonna… o forse devo considerarti alla stregua di un esperimento fallito?”

I passi pesanti del mech riecheggiarono per tutto il laboratorio, nel mentre che si avvicinava con tutta tranquillità ad un insecticon sempre più inquieto. La luce che emetteva il suo occhio vermiglio non prometteva nulla di buono, in quanto già istintivamente il soldato poteva percepire che, a livello chimico, il leader della torre fosse piuttosto indisposto ad accettare fallimenti o scuse campate per aria.

“l-le immagini suggeriscono che si sia allontanata volontariamente con uno dei vostri ospiti! Un mech piuttosto allegro, allegro, allegro che…”

Non concluse la sua spiegazione che, senza preavviso alcuno, il braccio destro dello scienziato si cinse attorno alle sue spalle in un gesto che trasudava falsa amicizia da tutti i pori. Per forza di cose l’insecticon si sentì particolarmente inquieto, irrigidendosi come una stalattite di ghiaccio, nel mentre che l’imponente mech estraeva da uno scomparto sul petto quello che era un datapad personale.

L’immagine olografica che si palesò sullo schermo mostrava una scena ben nota al soldato decepticon, in quanto si trattava della foto del matrimonio di Shockwave con la sua deliziosa mogliettina – una femme dall’armatura bianca e grigia che con fare civettuolo abbracciava un braccio del marito.

“Kickback… sai raffigurare le persone in questa foto?”

“ehm, sua eccellenza e la sua bellissima, bellissima, bellissima sposa?!”

“esatto! Deduzione logica… e dimmi, come ti sembra Hancock in questa foto?”

“m-mi sembra felice, felic-GHHH!!”

Non concluse la risposta in quanto la mano di Shockwave, che precedentemente era posata sulle spalle dell’insecticon, andò a stringersi di prepotenza contro il collo scoperto del proprio sottoposto stringendo con forza e costringendolo a guardarlo nell’unico occhio che letteralmente bruciava di rabbia.

“Esatto! Mio piccolo e stupido sottoposto! Mia moglie qui è felice!” lo strattonò violentemente vicino a se, godendosi il terrore nei sui sensori ottici gialli “hai una vaga idea da quanto tempo progettavo di raggiungere questo traguardo con lei?! Ovvio che no! E sai cos’è adesso Hancock? Triste!”

Berciò quell’ultima parola trascinando l’insecticon per tutto il laboratorio, ignorando i suoi istintivi tentativi di liberarsi, fino a raggiungere quello che era a tutti gli effetti un tavolo chirurgico.

“non ho mai avuto grandi ambizioni per quanto concerne la sfera di vita privata… ma ho sempre avuto un unico obiettivo: rendere Hancock la mia compagna di vita” la sua voce parve solo in apparenza essere tornata priva di empatia come lo era prima di quella brutta discussione, ma in realtà stava solo preparando la scenata al suo sadismo finale “sai da quanto tempo è che le vado dietro? No… non puoi saperlo, hai strisciato in una cavità contorta fino all’altro ieri! Quindi deduco che tu non sappia neppure cosa siano le scuole di formazione superiore, perché è durante quel periodo che l’ho notata. Impossibile non notarlo, in quanto amica di mia sorella Shockblast”

Abbatté con forza l’insecticon sulla fredda superficie metallica del tavolo, arrivando anche a deformarlo leggermente sotto il peso della dolorante schiena di Kickback, lasciando bene intendere che la punizione per quell’incapace era solo agli inizi.

“a partire da quel periodo ho dato il massimo per studiare l’anatomia femminile e per tenere lontano da Hancock possibili spasimanti cafoni! Nel corso dei secoli sono stato con molte femme unicamente per poter affinare al meglio le mie arti amatorie ed essere il migliore per lei… per soddisfarla in ogni sua richiesta! L’ho persino convinta a lavorare per me come capo ingegnere idraulico per la mia torre, così da poterla tenere d’occhio meglio! Lo sai che è ancora intatta, vero? Ovvio che NO!!”

Shockwave ricordava bene quel periodo di studio e formazione, già per il fatto che in quelle scuole aveva mietuto le sue prime vittime ben mascherando quegli efferati omicidi come incidenti nel campus in cui studiava. Quegli sventurati mech che tentavano di approcciarsi all’ingenua e spensierata ragazza – dalla personalità infantile ma piuttosto intelligente per essere tra i primi cinque studenti con il massimo dei voti al corso di ingegneria idraulica – finivano con lo sparire misteriosamente dopo averla piantata in asso al primo appuntamento o, più semplicemente, crepavano male se dalle loro bocche fuoriusciva una qualche forma di apprezzamento verbale poco apprezzata dallo scienziato monocolo.

Aveva ignorato le lamentele di sua sorella che lo invitavano a dare un appuntamento a quella povera ragazza perché, andava detto, neppure lei riusciva a sopportare di vederla in lacrime quando qualcuno la lasciava sola come un salame ad aspettare al Maccadam’s House – uno tra i locali più rinomati di tutta cybertron – in quanto il piano di Shockwave erano del tipo “a lungo termine”. La sua idea era sempre stata quella di spingere Hancock a prendere considerazione che solo lo scienziato ciclopico era l’uomo adatto a lei, e che l’avrebbe resa una donna felice contrariamente a coloro che l’avevano misteriosamente piantata in asso.

E ora, nel momento in cui le sue dita affilate si stavano infilando sempre più nell’orbita destra di un terrorizzato Kickback, con frustrazione doveva ammettere a se stesso che quella sera non avrebbe finalmente addentato la fetta di torta che gli spettava di diritto.

“Avrei finalmente potuto cogliere quel suo fiore ancora intatto proprio questa notte…” lo disse con tono quasi sognante, in un momento di distrazione nel mentre che le sue dita si erano conficcate oltre il metallo densomorfico delle palpebre e si erano ben aggrappate al bulbo oculare “avevo programmato la nostra luna di miele su Caminos – hai idea di quanti crediti ci vogliano per una vacanza da quelle parti?! – e proprio in quel lungo mese di assenza da casa avremmo concepito la nostra prima protoforma… e invece, per colpa della tua scarsa vigilanza, ora mia moglie è in camera che piange perché mia nonna è stata rapita dalla feccia del cosmo!!”

Ignorò le grida di dolore, le suppliche latrate in un linguaggio arcaico conosciuto solo dalle possenti regine insecticon del sottosuolo, e con uno strattone finale – dopo aver quasi giocherellato con quel sensore ottico giusto per dare ancor più dolore al suo sottoposto – strappò via l’occhio destro di Kickback tra le scintille di cavi spezzati e fiotti di energon rosato.

Lo scagliò lontano, facendolo rimbalzare per il lucido pavimento fin quasi ai piedi della porta di ingresso del laboratorio, non notando in principio che – durante quella sua operazione senza anestesia – tale porta si era aperta per far entrare un ospite che non si era speso in presentazioni inutili.

Il nuovo arrivato aveva un aspetto insolito, quasi selvaggio se ci si soffermava sulle gambe piegate all’indietro – come una sorta di uccello – e le pinze al posto di normali mani, ma era indubbio che fosse in qualche modo imparentato con il padrone di casa di quella tetra dimora.

Whirl possedeva una colorazione dell’armatura tendente all’azzurro cielo, contrariamente a buona parte dei ciclopi tendenti al violaceo, ma quell’occhio dorato non mentiva sulle sue relazioni effettive con quella famiglia disfunzionale, ne il suo carattere altrettanto iniquo che non si scandalizzò per quella ferocia sadica e insensata.

Tutt’altro, si piegò sulle ginocchia per poter raccogliere quel bulbo oculare artificiale e separarne la lente dal resto del sensore. E tale lente, perfettamente circolare e intatta nonostante lo strattone poco aggraziato da parte di Shockwave, finì col posarsi sull’alieno volto del mech come se stesse indossando un monocolo per nobili.

“Allora, che ne dici cugino… sembro più signorile così?”

Un comportamento insolito per qualcuno che sul petto portava senza vergogna il simbolo degli autobot – a conti fatti Whirl lo si poteva praticamente considerare una pecora nera della famiglia – ma era pur vero che la guerra era finita da un pezzo e un evento come quello che si era tenuto il giorno prima, un matrimonio, era universamente considerato come una eccezione vista l’importanza del giorno.

Le parole di Whirl tuttavia vennero bellamente ignorate da un mech ancora impegnato a maltrattare un piagnucolante sottoposto – e lo stesso parente che ora si atteggiava da nobile parve non curarsene minimamente, contento com’era di specchiarsi sulla superficie di un vassoio metallico con il suo nuovo orpello acquisito – ma ancor prima che Shockwave potesse iniziare a dissezionare dal vivo il povero Kickback, ecco che dalle porte del suo laboratorio fece la sua precipitosa entrata una minicar dalle tonalità viola e nere e dagli spiccati dettagli arancioni.

“Whirl! Pezzo di idiota! Non gliel’hai ancora detto?!”

“ma se sono appena arrivato!”

“Ah… lascia perdere! Shockwave! Vuoi darmi retta?!”

La minicar si trasformò per somma gioia di un mech che non vedeva l’ora di farsi bello con la cugina, magari sfruttando quel monocolo appena ottenuto, rivelando a tutti le fattezze di una femme dannatamente simile a Shockwave.

Shockblast differenziava da buona parte dei suoi familiari per un’unica cosa: possedeva un volto vero e proprio e dunque era completa di naso e bocca. Nel corso del tempo aveva “camuffato” il suo unico occhio color oro come se si trattasse di un comune visore – per motivi che conosceva solo lei – ma a parte questa sua piccola debolezza era una dei pochi nella torre a saper tener testa quanto serve a suo fratello maggiore.

“sono un po’ impegnato, come puoi ben vedere…”

“Ah si? Anche per rispondere alle mie ripetute chiamate via comm-link?! Lascia perdere quel poveretto e accendi gli schermi! I rapitori di nonna si sono fatti sentire!”

Le parole concitate della sorella ebbero l’effetto immediato. Il furibondo fratello decise di lasciar perdere la morte di un proprio, incompetente, sottoposto per precipitarsi verso il pannello di controllo precedentemente abbandonato. Kickback ne approfittò per dileguarsi il prima possibile, con la speranza che il suo superiore sbollisse la rabbia nel mentre, lasciando che una intera famiglia di ciclopi se la vedesse con chi aveva osato rapire un loro caro.

A Shockwave bastò digitare qualche tasto per prendere la comunicazione in arrivo, e ciò che vide apparire nello schermo tremolante gli piacque ancora meno.

“Tarn… avrei dovuto immaginarlo”

In quel momento lo scienziato si pentì di essere stato così formale dall’aver invitato anche la DJD al suo matrimonio. E si dette ancor più dell’idiota per non aver riconosciuto immediatamente uno degli uomini di quel pazzo – per quanto li avesse visti ben poche volte il ciclope aveva buona memoria – durante la visualizzazione delle immagini di sorveglianza. Così preso dal non potersi gustare quel matrimonio in santa pace da aver tralasciato diversi dettagli peggio di una persona comune, qual non era, e intanto un boia mascherato sicuramente se la rideva sotto la maschera decepticon.

“Shockwave, le mie felicitazioni! Purtroppo non ho potuto partecipare di persona al tuo fastoso matrimonio, ma nonna ha saputo raccontarmi nei dettagli il giorno più bello della tua vita”

A vederlo era come se la morte di Megatron non lo avesse minimamente scalfito – si, Shockwave era a conoscenza della cosa, e in molti disertori decepticon avevano visto in quella sua festa quasi una “liberazione” dalla dittatura grigia dell’ex signore della guerra – eppure il fatto che fosse stato lui ad ucciderlo era una notizia ormai sulla bocca di tutti.

Il personale aguzzino di lord Megatron, colui che adorava il proprio signore alla stregua di un dio, aveva reciso il proprio cordone ombelicale sparandogli a bruciapelo. Una mente fragile che lo stesso ex gladiatore aveva preso con se perché estremamente duttile e adatta al ruolo che gli sarebbe spettato da li a breve… punire buona parte della feccia decepticon di cui il loro leader si era circondato nei secoli poteva suonare esilarante, soprattutto se considerato il passato tutt’altro che roseo di Tarn.

Megatron era sufficientemente a conoscenza dei trascorsi del ragazzo per sapere che il mestiere del boia gli sarebbe calzato a pennello, ma aveva sempre ignorato il motivo per cui indossava quella maschera dall’aspetto inconfutabile. E non era per omaggiarlo.

“Sarebbe ben più apprezzabile sapere quali sono le tue intenzioni nei suoi confronti, evitando i convenevoli del caso”

Shockwave sapeva che era praticamente impossibile trovare un accordo con quella gente, l’ultima volta che ci aveva provato via comm-link aveva quasi rischiato la vita quando quel bastardo si era messo semplicemente a parlare, quindi tanto valeva sciogliere subito quegli inutili convenevoli. E di tale parere fu pure il capo inquisitore.

“vedi, mio caro apostata, supponiamo che al momento abbia in mano la lista delle esecuzioni… il tuo nome certamente spiccherebbe più degli altri visto quanto è vicino alla sommità dei numeri iniziali” lo disse con tono fintamente gentile, dal retrogusto arrogante e sicuro di se. E con una voce che sembrava abbassarsi gradualmente “ma potrei anche concederti la grazia di scalare di un paio di posizioni se decidi di collaborare con noi…”

Per Shockblast c’era qualcosa che non andava. Un senso di inquietudine si impadronì gradualmente di lei ad ogni sillaba che quel mostro mascherato stava pronunciando con tanta sicurezza ed arroganza, non capendo il perché le sue ginocchia improvvisamente si stessero facendo sempre più fragili – tanto da temere di cadere per terra – e la sua gola non riuscisse minimamente a pronunciare una qualsiasi parola che mandasse a quel paese quell’inquietante decepticon.

La femme non poteva sapere dello stravagante potere dell’inquisitore, una particolarità innata che possedeva fin dalla nascita, di riuscire letteralmente a spegnere la scintilla di un individuo semplicemente abbassando gradualmente la propria voce durante un discorso. Cosa che, a quanto pare, era ancora in grado di fare a distanza.

“Una collaborazione? In cambio di cosa?”

Shockwave però non si scoraggiò, mantenendo i nervi saldi a abbassando i recettori audio quel tanto per non cadere nella trappola dell’esecutore decepticon, ma Tarn non era uno stupido. E la sua vece si fece ancor più sottile alle voci dei presenti, ammaliati contro la loro volontà.

Tutti, escluso Whirl, che si era allontanato preventivamente dallo schermo sentendo odori di possibili guai e ora stava misurando con le proprie pinze il fondoschiena della cugina. Conosceva la DJD e conosceva quel pazzo allucinato di Tarn, oltretutto non voleva comunque mettere ulteriormente nei pasticci il resto della sua famiglia – l’esecutore probabilmente non avrebbe apprezzato la presenza di un autobot in stanza – oltre che per amore del culo di sua cugina.

“la tua cara nonna si sta dimostrando davvero preziosa per la Paceful Tyranny. Un regalo davvero ben gradito, da parte tua… pertanto io-ehi!”

La fortuna per la famiglia dei ciclopi arrivò tramite un ronzio – in principio sottile e lontano, ma poi sempre più persistente e fastidioso – che in breve tempo pervase la stanza in cui si trovava il possente decepticon costringendolo ad abbandonare il colloquio per voltarsi ed osservare un ospite inatteso in camera propria.

Una anziana femme dall’aspetto non dissimile dai proprietari di quell’oscura torre si stava dando da fare nell’usare quello che sembrava essere una sorta di aspirapolvere o lucidatrice, abbastanza rumorosa e antiquata da dare il sufficiente disturbo ad un ricatto bello e buono.

“Nonna!! Stai bene??! Nonna!!”

La prima ridestarsi da quella scena quasi parodistica fu la stessa Shockblast, sentendosi improvvisamente più leggera e non più con la sensazione di svenire da un momento all’altro, cercando di decretare se la salute dell’anziana parente fosse buona. ma certamente per mettersi a fare le pulizie di primavera non richieste da nessuno non doveva stare male, tanto da riuscire comunque a sentire gli strilli della nipote e annuirle di conseguenza.

 

“Sto cercando di fare conversazione qui… i vostri servigi non sono attualmente richiesti. Soprattutto nei miei appartamenti”

A causa dell’alto tasso di rumore a Tarn non fu possibile parlare sottovoce all’anziana donna – ammesso e concesso che l’avrebbe sentito, e questo era oltremodo frustrante – quindi si ritrovò a stringere i pugni dal nervoso osservando la vecchia bastarda avvicinarsi alla sua postazione per passare quel maledetto aspirapolvere proprio davanti ai suoi piedi. generando un rumore ancor più fastidioso e assordante.

E nel mentre che faceva avanzare avanti e indietro quel maledetto marchingegno – costringendo l’esecutore a chiudere momentaneamente gli occhi per restare calmo – l’occhio dorato della vecchia non perse momento per scrutare avidamente il proprio carceriere.

“Tu non sei stupida…” sibilò lui.

No, non lo era. Tanto da fargli cenno con la testa che aveva perfettamente ragione a riguardo. Era prigioniera della DJD, nonostante godesse di una certa libertà sulla nave e nessuno sembrava intenzionato a farle del male, ma non poteva permettere che i suoi nipoti ci andassero di mezzo. Tanto da riuscire ad ottenere quella piccola vittoria sentendo il loro affascinante leader sbuffare seccato.

“uff, va bene allora… Shockwave!” in concomitanza con il suo ritorno ad osservare lo schermo olografico della sua console privata la vecchia decise di levare saggiamente i tacchi “le mie condizioni sono queste: dati i recenti fatti che si sono susseguiti e dei probabili, futuri, disordini tra le file decepticon avrò probabilmente bisogno della tua collaborazione a breve o a lungo termine. In cambio, vedrai il tuo nome in lista – perché logicamente avrai intuito da tempo di essere nella nostra lista – calare di svariate posizioni e chissà… magari un giorno non ci sarà proprio più. Intanto, come assicurazione, la tua anziana levatrice resterà con noi fino a tempo indeterminato”

L’idea di avere la propria nonna in mano a quella banda di pazzi omicidi decisamente non gustava allo scienziato monocolo, ma c’era da ammettere che la posta in palio era oltremodo allettante. Se era da sconsiderati accettare una simile offerta, lo era ancor di più non accettarla affatto già per il fatto che Tarn era comunque un uomo di parola.

“Le tue condizioni sono… logiche. Oltre che pienamente accettabili” convenne lo scienziato, sotto lo sguardo attonito della sorella “avete libero accesso alla torre e ai suoi servizi. Ma in cambio voglio avere la possibilità di poter comunicare direttamente con mia nonna in date prestabilite. E come ultimo… datele questo”

Si mise all’opera per digitare velocemente una serie di comandi sul proprio datapad personale, per poi inviare il tutto a quello che era il contatto personale del lord inquisitore.

“Hm? Di che si tratta?”
“sono le foto del mio matrimonio. Nonna vorrà sicuramente vederle”

In un primo momento Tarn avrebbe voluto ben volentieri mandarlo a quel paese, perché la DJD era tutto meno che un servizio di posta virtuale, ma decise di passare oltre e dimostrargli il proprio disappunto chiudendogli la comunicazione in faccia. Per quel giorno l’esecutore ne aveva avuto abbastanza di ciclopi infami, ed essendo ancora convalescente per ciò che era successo con Megatron giorni prima aveva altro di cui occuparsi.

Dall’altro lato della nebulosa tuttavia c’era chi ancora si stava chiedendo se fosse stata fatta la cosa giusta, perché in quel momento Shockblast aveva voglia di schiaffeggiare suo fratello maggiore. Ma si trattenne dal farlo, sapendo bene che non era il caso di dargli così tanta confidenza in un simile momento di tensione.

“Io… spero tu sappia quello che fai, fratello”

si morse le labbra nel dirlo, ma Shockwave non parve prendersela affatto. Dimostrando, anzi, una certa fiducia per il futuro.

“anche volendo non possiamo fare niente al momento, e nonna ci ha appena dato dimostrazione di sapersela cavare. Lasciamo che il tempo faccia il suo corso… anche perché ho intenzione di dare una occhiata a quella loro lista, in un modo o nell’altro. Per il momento vi chiedo discrezione sull’accaduto, intesi?”

Se Shockwave aveva una sorta di piano per il futuro non era dato saperlo al resto della sua famiglia – presente attorno a lui al momento – per il momento c’era solo da sperare che nessuno si facesse del male nell’immediato futuro, rimanendo il più possibile discreti su quanto successo in quelle ore. I panni sporchi si lavano pur sempre in famiglia, che ci fossero autobot o decepticon nel proprio credo.

 

[…]

 

Era appena ritornato alla normalità della sua consueta vita da esecutore e già gli mancava la neve di Messatine! Ma a parte l’inconveniente di quel pomeriggio poteva ritenersi abbastanza soddisfatto.

Shockwave possedeva tecnologie e mezzi che alla DJD avrebbe fatto sicuramente comodo, senza contare che un “alleato” in più che li supportasse era la cosa più sensata da fare dato che, dalla morte di Megatron in poi, si sarebbero generati parecchi apostati del credo decepticon che quasi sicuramente avrebbero scelto due opzioni: sparire per sempre dalla circolazione o iniziare una lotta intestina per il diritto di successione prendendo di mira lo stesso gruppo di esecutori.

“Molti nemici, molto onore” avrebbe sicuramente detto il loro leader estinto. Ma di averne troppi, e di avere poche risorse con cui affrontarli, non andava molto a genio a Tarn e al resto dei suoi uomini.

Quella comunque sarebbe stata l’ultima notte che avrebbero passato su quel pianeta ghiacciato, dato che Kaon sembrava avere delle informazioni importanti riguardanti il soggetto che dovevano trovare. Ed era proprio da lui che si stava dirigendo, superando silenziosamente il lungo corridoio semibuio – ad eccezion fatta per le luci di servizio che illuminavano le pareti – fino a giungere alle porte di camera sua che si aprirono con un sibilo sottile.

L’unica fonte di luce offerta negli appartamenti privati del tecnico decepticon erano la moltitudine di schermi olografici che occupavano la postazione della sua scrivania, e lo stesso Kaon era impegnato in frenetiche ricerche che avevano dato i loro frutti. Tanto da convocare a quell’ora Tarn per fare rapporto.

“dunque… a che punto siamo?”

“dunque… si… ecco… direi che ci siamo!”

Il cieco soldato si voltò giusto qualche secondo verso il proprio leader, prima di ritornare a frugare tra i dati estrapolati dalla registrazione di Megatron.

“il nostro defunto leader è stato piuttosto in gamba a seminare indizi… ma per fortuna che ci sono io! Eh, eh!”

Sul ripiano della scrivania il leader degli esecutori poté osservare una moltitudine di lattine vuote – probabilmente di bevande energetiche – e svariate sigarette all’energon ormai prosciugate che testimoniavano il pressante lavoro a cui si era sottoposto Kaon in quelle lunghe ore.

“C-comunque, avevi ragione tu Tarn… la ragazza vive a Caminos. Dal panorama alle spalle di Megatron sono riuscito a triangolare la posizione di casa sua, ma al momento non sembra esserci nessuno a casa”

“come sarebbe a dire che non c’è nessuno?”

Quello non era periodo per deludere il proprio comandante, e questo il tecnico lo sapeva alla perfezione, quindi fu con un sorriso dettato dal nervoso che lesto gli rispose nel migliore dei modi. Già il fatto di sentirlo abbassare la voce non era buon segno… Tarn poteva dire a tutti di essere tornato nuovamente in carreggiata dopo quella sua tragica discussione con lord Megatron, ma era logico mentisse soprattutto a se stesso.

E ciò voleva dire che il resto della squadra doveva prestare più attenzione in quello che faceva e diceva.

“Ecco… ho provato più volte a chiamare a casa spacciandomi per un call center dedito alla vendita di aspirapolveri” e qui Kaon non ne fu certo, ma gli parve di vedere Tarn tremare impercettibilmente “e dato che nessuno rispondeva, nel mentre ho eseguito una scannerizzazione isometrica sul volto della ragazza – altra mossa astuta da parte del nostro estinto leader – e sono riuscito ad accedere ai suoi file personali! Ti presento Natah Atilius… figlia del senatore Attilus nonché fautore delle molte trattative di pace tra autobot e decepticon. Andate tutte male, fino a poco tempo fa, ma il senatore doveva crederci molto”

Tarn aveva scarsa conoscenza di tale senatore Attilus, ma ciò che sapeva era per bocca di Megatron stesso. L’ex leader dei deepticon aveva sempre trovato quasi noiosa l’insistenza di quel mech di trovare una pace che stava logorando un pianeta in cui il nobile cybertroiano neppure viveva.

Ma se da un lato disprezzava questa sua insistenza, dall’altra ammirava il rispetto che nutriva sia per lui che per il suo storico rivale. Optimus Prime.

Questo almeno fino a che il leader decepticon non ha messo occhi sulla figlia ormai divenuta donna… da allora, guarda la coincidenza, Megatron aveva accettato più di buon grado le richieste di incontro con Attilus, ed ora che Tarn sapeva il motivo si dette dello sciocco per non averlo capito prima. Il suo volto dai lineamenti duri reso più sereno e disteso da qualcosa che andava oltre la speranza di una pace duratura tra due popoli; quel suo sguardo che in momenti impercettibili, quando credeva non essere visto, si perdeva in ricordi sconosciuti al suo fedele inquisitore; il sorriso appena accennato sulle labbra… i segni di una decadenza che avrebbe portato alla disfatta un intero esercito, generati da un sentimento ignorato per tutta la vita da Tarn.

“dov’è lei ora?”

Più ci pensava e più sentiva montargli la rabbia per tutto ciò che era successo – che aveva fatto – e per come il suo futuro dipendesse da una tizia che aveva generato tutto quel casino. Il sorriso di Kaon tuttavia, lo ridestò dai pensieri più malevoli.

“più vicino di quanto sembri…”

 

[…]

 

Una volta congedati gli ultimi parenti e fatto rientrare l’allarme agli addetti della sicurezza, a Shockwave non rimase altro che andare a riposare.

Per quanto fosse uno stacanovista incrollabile anche lui necessitava di mettersi in ricarica per il bene psicofisico della sua persona, nonché per attenersi a quelli che avrebbero dovuto essere i suoi doveri coniugali con Hancock. Se mai fosse stata giornata per quelli!

Per quanto le cose con la DJD erano state chiarite sua moglie rimaneva comunque una ragazza emotivamente fragile, e il rapimento dell’anziana ciclope l’aveva piuttosto colpita in negativo… in quanto quello, per lei – il giorno del suo matrimonio – doveva essere un giorno felice tanto per la sua persona quanto per tutti gli ospiti presenti.

E quando lo scienziato entrò nella propria camera da letto – dipinta di luci soffuse che portassero un minimo di conforto all’animo spezzato della sua sposa – i sensori ottici azzurri di sua moglie si indirizzarono tristi verso di lui.

La ragazza non si era sdraiata nella cuccetta che ora avrebbero condiviso assieme al suo neo sposo, ma era impegnata nella propria scrivania a creare una sorta di pupazzo con degli scarti di metallo di diverso colore. Se la giovane avesse saputo che quegli scarti metallici provenivano dagli esperimenti di Shockwave – ceduti a lei per gentile accondiscendenza dello scienziato – forse ci avrebbe pensato due volte a sposarlo…

Ad ogni modo, ciò che ora la ragazza stava creando con l’utilizzo di piccoli strumenti artigianali – tra cui una piccola saldatrice portatile – era la riproduzione stilizzata di quella che doveva essere la levatrice di Shockwave.

“Hancock… è tardi” iniziò lui, avvicinandosi alla consorte e appoggiandole una mano sulla spalla destra “dovresti andare a riposare. La situazione ora è sotto controllo”

“si, lo so ma…” la ragazza sospirò, appoggiando la nuca sul suo torso “mi consideri egoista se penso che il nostro matrimonio non doveva andare così?”

Forse il vero motivo per cui quella ragazza piaceva tanto al mostruoso mech era proprio perché possedeva quell’umanità che a Shockwave mancava per nascita. Un vuoto colmato dalla sua presenza solare in un ambiente che di luce ne vedeva assai poca, visto quello che il diretto interessato aveva sempre combinato in quel luogo più per amore proprio che per la causa decepticon in se. In quanto in molti sospettavano che l’unico motivo per cui aveva sempre seguito lord Megatron era per la possibilità pressochè illimitata di accedere a fondi e materiali per le sue ricerche.

“no, mia cara… non lo sei. Il tuo è un sentimento perfettamente logico” la prese per mano aiutandola ad alzarsi, per incamminarsi assieme verso un talamo che non avrebbero consumato affatto “ora andiamo a riposare e non preoccuparti. Nonna starà benissimo… e quando tornerà potrai darle quella bambola”

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Capitolo 3
*** purgatorio ***


La stazione orbitante medica nota con il nome di “Relay”, possedeva la peculiarità di fornire un servizio impeccabile a chiunque avesse abbastanza shanix da spendere tra le sue mura. In alternativa, anche con pochi crediti era comunque possibile farsi curare qualche malfunzionamento minore, ma certamente non si aveva la possibilità di accedere alle strumentazioni più costose e pezzi di ricambio vergini.

Ma c’era una cosa in cui tale clinica si differiva da tutte le altre sparse per le varie colonie cybertroiane… ossia quello di garantire l’anonimato per ogni suo paziente accolto. Pertanto, in quanto luogo di cura perfettamente neutrale, autobot e decepticon potevano curarsi gli uni accanto agli altri senza timore di riconoscersi o essere scoperti – questo perché appena arrivati le insegne dei rispettivi pazienti venivano nascoste da etichette speciali – mentre contrabbandieri e assassini potevano camminare tra le corsie dei lindi reparti e scambiare quattro chiacchiere persino con nobiluomini sotto mentite spoglie.

Quando Tarn portava ancora il nome e la carrozzeria di Damus – sua vecchia designazione – aveva sempre desiderato potersi recare in un luogo simile per poter modificare qualcosa di lui che proprio non gli piaceva. Ma i crediti in cassa non gli bastavano mai, e all’epoca, per sua fortuna, ebbe comunque modo di riscattarsi a livello sociale incrociando la strada di lord Megatron.

Le modifiche a cui venne sottoposto – pesanti e definitive. Ben volute dal suo lord e supervisionate da Shockwave – trasformarono un timido e impacciato ragazzotto di periferia, dal passato difficile, in una macchina di morte al soldo dei decepticon. Un cambiamento che venne ben accolto dal sottoscritto, pronto a vendicarsi del mondo.

Da oltre un grande oblò della Paceful Tyranny il leader della DJD poteva ben osservare la forma fungiforme della stazione medica nella quiete fornita dallo spazio siderale e dalla presenza inquietante di un gigante gassoso alle spalle della stessa. Una mossa a dir poco astuta pure quella, nel creare una stazione nei pressi di una stella mancata – per quanto comunque parecchio lontano dal subirne le radiazioni – così da recuperare nei suoi gas il giusto carburante per farla funzionare praticamente a gratis. Tarn non conosceva il nome di quell’inquietante pianeta dalle nubi giallastre e grigie, ma torreggiava sulla grande stazione medica come se fosse in procinto di inghiottirla.

“Molto strano… le luci della stazione paiono spente. Ci sono solo quelle di servizio”

A dare voce ai suoi attuali pensieri ci pensò il loro medico di bordo, Nickel, anche lei intenta ad osservare quello spettacolo insolito accanto al proprio comandante.

“hai ragione… l’ho notato pure io. Secondo te potrebbe essere un guasto?”

“non lo so. Non credo… non per una stazione così grande, Tarn”

Le preoccupazioni della piccola minicon non erano effettivamente da sottovalutare, in quanto già la strana sensazione che permeava la scintilla del capitano della nave era presagio che quella che doveva essere una missione di ricognizione piuttosto semplice poteva rivelarsi fonte di infinite seccature.

Le uniche luci visibili erano quelle rosse di segnalazione dei vari spazioporti presenti attorno al “gambo” di quel fungo artificiale e delle guglie più alte, antenne comprese. Mentre mancavano all’appello quelle di maggior parte dei locali – quasi la totalità delle finestre che si affacciavano nel vuoto siderale – ed erano completamente assenti quelle della stazione di comunicazione. Una sensazione pessima che si concretizzò alle parole piatte di Helex.

“abbiamo mandato due richieste di attracco ed entrambe le chiamate sono rimaste inascoltate. Un pessimo servizio, non c’è che dire”

Il suo fu un ovvio commento sarcastico, in quanto la situazione appariva ben poco chiara persino al resto dell’equipaggio. E la tensione era ben palpabile nei loro volti resi duri da un mestiere disumano, seppur piacevole nella loro mente malata, consapevoli che una semplice missione di recupero rischiava di fallire ancor prima che iniziasse.

Tarn lasciò perdere il panorama offerto dall’oblò dell’astronave e l’inquietante stazione medica all’ombra di un colosso gassoso per concentrarsi ora sui suoi uomini impegnati sul ponte di comando in cerca di un contatto radio che miserabilmente mancava. Ognuno di loro era nella propria postazione a monitorare sia i parametri della nave sia quelli di un ospedale che appariva come fantasma negli schermi olografici sparsi per tutto il ponte, con una tensione ben palpabile in ogni loro movimento su quegli scanni consumati.

“stando alle prime scansioni manca l’energia a tutta la stazione. Non ci sono danni evidenti come grosse esplosioni per giustificare una carenza energetica capillare… ma ho appena notato segni di bruciature da plasma su alcune piattaforme di atterraggio e credo sappiate tutti cosa significhi”

Il lapidario resoconto dettato da un atono Tesarus ricordarono a tutti quanto le armi al plasma fossero dannatamente popolari in quell’ultimo periodo negli eserciti personali di chi contava veramente, sia per le guardie private di un ospedale orbitante sia per eserciti più in carne come quello decepticon.

“attraccate su uno dei ponti più vicini alla stazione centrale e prepariamoci allo sbarco. Ciò che sta accadendo lì non è affar nostro, abbiamo una persona da recuperare”

Poteva anche esserci una rivolta interna o una epidemia dettata da chissà quale virus, ma gli ordini che Tar aveva appena dettato furono lapidari. La DJD era preparata a qualsiasi evenienza – da rivolte carcerarie a pandemie virulente – dunque la loro “preparazione” prevedeva anche l’iniezione di svariate sostanze sotto il controllo diretto del loro medico di bordo.

Un po’ di nucleon ad inizio missione era ciò di cui lui e i suoi uomini avevano bisogno se volevano divertirsi al meglio, soprattutto per una missione che ancora lasciava perplessi i più.

Il briefing che aveva avuto ore prima non aveva riscosso l’entusiasmo che di solito si aveva quando veniva scelto un nome della lista di apostati da eliminare, ma la curiosità di recuperare quella che era stata la compagna di lord Megatron c’era eccome. Forse il loro timore era di finire a far da balia ad una capricciosa nobile, oppure la lotta era più interiore e riguardava la figura di Megatron e della sua arroganza post mortem. Con che coraggio un traditore dava loro un ultimo ordine?

Sul perché poi la nobile femme avesse scelto proprio quella clinica piuttosto che una più confortevole su Caminos era uno dei misteri che Tarn voleva risolvere al più presto, magari per bocca della ragazza stessa.

 

[…]

 

Lo scenario offerto dallo spazioporto in cui avevano fatto atterrare il loro incrociatore era a dir poco desolante. Non vi era nessun tecnico ad attenderli, nessun operaio a spostare casse o suppellettili – alcuni di queste erano, anzi, riversate a terra – ed il luogo sembrava essere essenzialmente abbandonato da secoli.

“una accoglienza degna di un sire lontano… una quiete che piange violenza. Quale ironia”

L’arcaico linguaggio pronunciato da Vos rispecchiava in modo articolato quello che effettivamente il resto dei suoi compagni stava pensando. Una tensione papabile e allo stesso tempo strana, in quanto la DJD non era abituata a situazioni simili a quella. C’erano stati sicuramente dei tafferugli li dentro, ma ora era come se tutti fossero scappati via.

Per la missione di recupero Tarn aveva deciso di dividere il gruppo in due parti. Con lui sarebbero andati prevalente Vos ed Helex, mentre il resto della squadra avrebbe operato dalla Paceful Tyranny. Necessitavano che Kaon, abile tecnico in comunicazioni, fosse i loro occhi – per usare un eufemismo in quanto lui di occhi non ne possedeva –all’interno della stazione medica. Mentre Tess era meglio se a quel giro restasse di guardia all’ingresso della rampa di carico della nave per evitare spiacevoli disguidi, con buona pace della sua voglia di spaccare qualche testa.

Per quanto riguardava le due donne c’era poco da dire… Nickel e l’anziana ciclope avevano il compito di allestire l’infermeria in caso di pericolo.

Fu solo una volta superate le porte scorrevoli dell’ingresso principale che notarono che qualcosa decisamente non quadrava. La grande reception di quel piano della struttura sembrava essere sottosopra, con alcune cartelle mediche cadute a terra dai loro ripiani e segni evidenti di bruciature dovute a colpi di arma al plasma.

Alcuni distributori automatici di bevande erano andati in frantumi, riversando diverse lattine a terra – una prontamente raccolta da Helex che la stappò tutto contento, ruttando di conseguenza in quanto molto gassata – mentre il pannello di controllo della reception era andato completamente in fumo. Risultando così perfettamente inutili.

“Kaon, aggiornaci” fece Tarn tramite comm-link, scrutandosi attorno nella penombra della stanza disordinata “i computer della reception sono praticamente inutilizzabili. Chiunque abbia attaccato la struttura si è premurato di impedire che venissero chiamati i soccorsi”

Ci fu un qualche secondo di silenzio radio prima che la voce del decepticon si facesse sentire nei loro trasmettitori interni.

“se la corrente manca non c’è molto che possa fare… purtroppo la struttura garantisce un anonimato capillare ai suoi pazienti e quindi non so dirvi dove possa essere al momento, ne se abbia dato delle generalità diverse dal suo nome di nascita ma, e dico MA, era stata ricoverata nella zona dedicata al ‘day hospital’… che, ehm” ci fu un momento di silenzio dove il leader inquisitore poté sentire il proprio sottoposto borbottare qualcosa sui file segretati che stava esplorando “si trova giusto un paio di piani sopra di voi, a quanto pare per un banale controllo di routine… Almeno stando alla cartella clinica. Questo è tutto ciò che sono riuscito a scovare prima che tutta la baracca saltasse”

“era qui solo per degli accertamenti, quindi doveva essere abbastanza in salute anche per potersi mettere al riparo”

Questa era la speranza che muoveva maggiormente i pensieri di Tarn, in quanto se i disastri che avevano colpito la stazione avevano in qualche modo preso anche il soggetto del loro recupero allora ogni senso di tutta quella brutta storia avrebbe cessato di esistere per lui. E l’idea di vedere la propria sanità mentale colare a picco avendo tra le mani un cadavere completamente offline – per la seconda volta – era ciò che faceva palpitare la sua scintilla di una impazienza a stento trattenuta.

“qui fuori non ci sono astronavi, il che è molto strano… sicuri che qualcuno non sia riuscito a scappare? Magari la ragazza ci è sfuggita”

La voce un po’ lontana di Tesarus ricordò a tutti che poteva anche esserci un’altra opzione a riguardo, ma la risatina un po’ isterica di Kaon lasciava intendere che la pensava un po’ diversamente.

“Eh, eh, eh… s-si certo, magari è riuscita a fuggire ma per saperlo dovremo prima attivare la corrente elettrica in tutta la struttura. E se qualcuno è comunque riuscito a scappare dubito che si sia messo a chiamare soccorsi di alcuni tipo… gli affari che si fanno in questa stazione medica non sono propriamente legali, se capite cosa intendo”

“magari la signorina voleva una scatola vocale nuova di zecca” fece Helex sarcastico, continuando a guardarsi in giro con il fucile ben puntato in avanti “so che è una pratica in gran moda tra le caminoane ma anche vietata dal loro governo!”

Non esistevano pratiche illegali in quell’ospedale fluttuante nel vuoto siderale, poiché se avevi crediti sufficienti anche una ragazza di apparente buona famiglia come Natah poteva permettersi di rifarsi le corde vocali e rendersi più invidiabile alle amiche di salotto.

Il giro di soldi che l’ospedale Relay aveva era a dir poco sospetto nonché proficuo per i primari che dirigevano il posto, ed oltre a guadagnare shanix grazie alle spese dei facoltosi pazienti che ricoveravano c’era anche il poco trascurabile traffico di componenti e organi tutt’altro che legale. Una situazione che la DJD conosceva bene, in quanto dedita all’acquisto di t-cog al mercato nero, pertanto chiunque varcasse le soglie di quell’isolato ospedale di frontiera lo faceva con la coscienza sporca.

Non c’era da stupirsi quindi che, chi era riuscito a scappare nella confusione dell’attacco, tenesse ora la bocca cucita – quale ironia – per paura di finire in guai ben più gravi… Relay era questo: proprio come molti ambienti che tenevano alla propria facciata brillavano di lustro nascondendo il marcio sotto il tappeto.

 

Poi un rumore.

Qualcosa di apparente innocuo, come il suono di una lattina che cadeva a terra perdendosi nell’eco della grande sala, costrinse gli uomini all’interno della hall di ingresso a girare repentinamente lo sguardo verso la fonte di quel suono maldestro. E puntare i propri fucili verso un’unica direzione.

Le torce di chi era armato di fucile non in dotazione fisica si puntarono verso un angolo non illuminato della sala, vicino a quella che era una uscita di sicurezza che portava ai piani superiori, illuminando una figura minuta e tesa come una molla dallo sguardo allucinato come una lepre spaventata.

“Ooops…!”

Un minicon dall’armatura bianca e nera, e dal volto coperto da quella che era una mascherina metallica, si paralizzò dinnanzi a quei sensori ottici che lo guardarono malevoli come se fosse stato un ladro intento a rubare in un pollaio. Tra le sue braccia molteplici lattine rubate ancor prima dell’arrivo di quegli energumeni violenti, di cui alcune erano rovinosamente cadute a terra a causa del suo nervosismo nel voler scappar via da li il prima possibile.

“Non… muoverti!”

La rude voce di Tarn fu la  prima e unica cosa che riecheggiò per quella sala deserta e semibuia ingranando con un tono moderato – per attirare su di se quel minicon imprudente – per poi abbassarla quel tanto da rendere impossibile a quel fuggiasco una fuga precipitosa con le proprie gambe. Il temibile potere del comandante della DJD si era sviluppato nel corso dei secoli fino a raggiungere la sua perfezione nel corso del suo servizio come uomo di fiducia di lord Megatron, e se in principio poteva solo fermare macchine non senzienti con il solo tocco delle mani – con la conseguenza di provare forte dolore fisico nel farlo – ora poteva a piacimento uccidere un individuo anche restandone relativamente lontano. L’importante era che la sua voce raggiungesse il bersaglio designato e si abbassasse gradualmente portando la scintilla del disgraziato a spegnersi del tutto.

Un potere che ora come ora lo rendeva particolarmente soddisfatto di se stesso – credendo così di aver cancellato con un colpo di spugna il patetico ragazzo qual era stato un tempo – sentendo di aver finalmente trovato la propria strada nel marcio della sua esistenza.

“ecco… bravo. Rimani dove sei… finché non saremo vicini del tutto”

Nel mentre che parlava a bassa voce dette segno ai suoi uomini di avvicinarsi allo sventurato paziente che stava solo cercando di sopravvivere all’inferno. E quelli che dovevano apparire come i “salvatori” non sembravano ai suoi occhi essere in modalità benevola, visto il modo in cui continuavano a puntargli i fucili contro.

“v-vi prego… lasciatemi andare! L-lasciatemi andare!!”

Erano quasi sul punto di perderlo vista la chiara scintilla di pazzia che si stava facendo strada nei suoi sensori ottici rossi, perché era logico che con quelle sue povere gambe non sarebbe andato da nessuna parte, quindi se volevano delle risposte era il caso di fare le domande giuste o si sarebbero ritrovati con il terminare la vita di un pazzo isterico.

“nessuno qui vuole farti del male… la tua designazione?”

“Z-Zipper!”

“bene, Zipper… qui nessuno vuole farti del male. Ma vogliamo sapere cosa è successo alla struttura, o più semplicemente, sapere chi vi ha attaccati”

Nel mentre che la voce di Tarn tornava normale il povero minicon sentì nuovamente le proprie membra ritornare alla vita così come la sua scintilla farsi più presente all’interno del suo piccolo petto, riacquisendo così maggior lucidità nel momento in cui il suo processore neurale elaborò le parole del leader degli inquisitori. Se erano li per aiutare magari potevano anche farcela… le armi pesanti non sembravano mancare così come l’aspetto pericoloso.

“V-va bene vi dirò quello che so… cioè, io non so come hanno fatto, ma so quando è cominciato”

 

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Se non fosse stato per il suo sguardo perennemente spento, al limite del depresso, si sarebbe potuto dire che in Tesarus non scorresse nessuna emozione che non fosse far letteralmente a pezzi chiunque avesse la sfortuna di incontrare lui o più in generale l’intera DJD perennemente in viaggio. Attualmente a fargli fremere le membra di pura noia era il dover badare ad un portellone aperto in un porto particolarmente deserto e, cosa non da poco, il fatto che non gli andasse propriamente a genio fare da balia a qualche figlia di papà scappata di casa. Erano esecutori decepticon, non delle guardie del corpo a tempo perso! E l’ormai ex lord Megatron aveva ben poco da impartir loro ordini visto che era giustamente schiattato per mano del loro leader attuale. Un traditore rimaneva comunque un traditore, anche se un tempo poteva coprire il ruolo di leader di un intero esercito.

Che poi, andava precisato, Tess poteva essere annoverato in quella schiera di soldati dalla mente “semplice” e dalla mano ferma… ma non era uno stupido, e sapeva tenere per se le proprie considerazioni e continuare a fare quel che Tarn diceva loro di fare. L’ex demolitore era abbastanza saggio da sapere che quello, almeno per ora, non era momento buono per dar noia al capo inquisitore.

Stranamente però la presenza di nonna a bordo della Paceful Tyranny non gli dava affatto noia per essere una estranea al gruppo, forse perché lo “spezzatino” che aveva addentato ieri sera era stato qualcosa di favoloso.

Sorridendo lievemente in quel suo volto da funerale provò nuovamente ad immaginarsi il sapore di quelle polpette in alluminio avvolte da una deliziosa salsa di energon rosa, immaginandosi intento a sgranocchiare quelle delizie che non sentiva da quando era una protoforma.

Quel lieve sorriso appena accennato se ne andò via non appena un rumore non indirizzò i suoi sensori uditivi verso un cumulo di grandi casse alla sua sinistra, precedentemente ignorate dalla sua squadra per via della loro fretta nel voler entrare nella struttura.

Il suono che poteva percepire, ad ogni prudente passo verso quelle casse pesanti contenenti chissà cosa, era simile ad un suono ritmico e umido come se qualcuno fosse intento a sgranocchiare qualcosa di nascosto.

Tess non aveva armi da fuoco con se al momento, gli bastavano i suoi pugni oltre che al gigantesco foro dentellato all’altezza del suo petto, ma ciò che vide una volta superato l’angolo di quel cumulo di vettovaglie ammassate alla bell’e meglio gli fece pensare che forse sarebbe stato il caso di portarsi dietro un fucile al plasma.

 

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“credo si-sia successo all’incirca ventiquattro ore fa… All’inizio non abbiamo capito cosa fosse successo, pensavamo fosse scoppiato un incendio o qualcosa di simile in più di un piano… perché, ecco, era ciò che il personale medico andava a ciarlare a noi pazienti… ma il casino è sopraggiunto quando è venuta a mancare la luce ovunque, neanche dieci minuti dopo!”

La parlantina veloce di Zipper si incrinò come in procinto di spezzarsi in una risata nervosa, in quelli che erano ricordi confusi dovuti ad una situazione di panico in cui tutti avevano pensato a fuggire e basta.

“cosa è successo a quel punto? Sei l’unico sopravvissuto?”

Se fosse stato per Tarn sarebbe stato molto più incalzante nelle domande da fare a quel nanerottolo tremolante, ma se lo avesse fatto lo avrebbe stressato all’inverosimile. Per l’inquisitore comunque quel tizio avrebbe dovuto pregare che la ragazza fosse viva, altrimenti non avrebbe visto altri sopravvissuti se non la DJD.

“io, ecco… n-non ho visto bene chi fossero, per via del buio nel reparto in cui ero… ma li ho visti andare a caccia delle persone! Cybertroiani come noi, ma così malridotti da n-non avere neppure il colore della verniciatura…e il loro odore… per Primus! Puzzavano di morte!” cercò di schiarirsi la voce vedendo l’impazienza negli occhi di colui che doveva essere il leader di quel drappello di dannati decepticon, ricordandosi anche della sua seconda domanda “c-comunque non sono il solo! Le guardie dell’ospedale sono riusciti a salvare chi potevano all’interno del caveau del secondo piano… s-sembra che ogni piano ne abbia uno per-per le scorte mediche e-”

“hai vito questa ragazza, Zipper?”

Da una mano dell’esecutore mascherato apparve un oggetto rotondo – un riproduttore olografico portatile – e dal foro circolare si proiettò l’immagine virtuale di una nobildonna caminoana. La sua configurazione veicolare probabilmente era quella di una seeker, data la sua evidente eleganza, ma prima di dare una effettiva risposta lo sconvolto minicon dovette guardarla attentamente.

“Ah… si! Certo che l’ho vista. Era nello stesso reparto di mia moglie. Sapete, la mia signora si è rifatta la scatola vocale e.. ah-ehm” non stava mentendo, il suo tono di voce era fermo, per quanto si stesse perdendo in chiacchiere che agli esecutori non interessavano “il suo guardiano è rimasto indietro a fronteggiare quei pazzi furiosi mentre noi ci siamo rifugiati all’interno del caveau, ma li a parte i medicinali non ci sono viveri e quindi… m-mi sono offerto volontario per cercare qualcosina per mia moglie e gli altri”

Era viva… per Primus, era viva! E per quel piccolo miracolo non sapeva se ringraziare i divini – semmai fossero veramente esistiti, e di questo Tarn non ne era mai stato certo. Si definiva un agnostico su certi temi – oppure la semplice fortuna del caso che un branco di squilibrati non avesse preso anche Natah come gioco al massacro. La ragazza aveva scelto un brutto momento per farsi un ritocchino alle corde vocali… ma se non era per capriccio estetico forse c’era la volontà di non farsi trovare da nessuno? Se conosceva la reputazione della DJD anche solo di striscio poteva pure essere logico che cercasse nell’anonimato una via di fuga da loro, o dagli individui disgustosi che si erano appropriati di quel posto.

E proprio di tali individui parve interessarsi Helex, che ora si stava occupando di ispezionare la sala data la noia che gli aveva procurato quella conversazione, facendo una domanda ben precisa allo sfinito minicon.

“Hai detto che questi tizi vi stavano dando la caccia… a parte l’aspetto orrendo hanno detto qualcosa di interessante?”

Puntò il proprio fucile contro il soffitto di materiale fragile divelto da qualcosa che non sembrava essere un colpo di fucile – troppo grosso per esserlo – spingendo un distributore di bevande il più vicino possibile al foro per poterlo sfruttare come gradino e scrutare dunque il sottotetto pieno di cavi e tubature.

Il minicon parve momentaneamente pensarci su, massaggiandosi il mento con una mano, prima di ricordarsi qualcosa di singolare.

“alcuni di loro citavano delle litanie simili a quelle che i chierici pronunciano per ingraziarsi Primus… l-lo facevano anche mentre uccidevano le persone! Mentre altri…”

 

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Sotto la maschera di energia che caratterizzava a sua monolitica figura, Tesarus arrivò a sgranare i suoi sei sensori ottici davanti alla scena grottesca e raccapricciante che a suo malgrado si ritrovò ad osservare oltre quel muro di casse.

C’erano esattamente due individui a terra, di cui uno totalente offline e a pancia in giù – senza testa e riverso in una pozza di olio scuro ed energon violaceo – mentre un altro, ridotto ad un cadavere ambulante da tanto che era malridotto, era intento a continuare a pugnalare la vittima esamine alla schiena con una forza tale da separarne il busto dalle gambe. Tra scintille dovute all’attrito e morbidi cavi imbrattati di sudiciume nauseabondo.

Divorando di tanto in tanto quelle viscere metalliche che sporgevano come nastri insanguinati, facendo scricchiolare i pezzi più duri tra i denti metallici, borbottando di tanto in tanto frasi sconnesse di una preghiera blasfema. L’esecutore decepticon era sicuro di non aver mai visto nulla di così disgustoso e perverso nell’arco della sua lunga vita, nonostante nella sua videoteca personale avesse parecchi file riguardanti bondage e sadomaso – ma quelli erano feticci a scopo… prettamente personale – mentre qui aveva di fronte qualcosa che faceva sembrare il suo stesso mestiere roba da educande.

Dell’assalitore non riusciva neppure a capire se fosse un mech o una femme, la colorazione della sua carrozzeria era grigia e sporca, scrostata di ruggine a causa della scarsa igiene, e il suo aspetto generale era come se quell’individuo si fosse inferto per anni ferite contro la sua persona in un gioco masochista sconosciuto all’inquisitore decepticon.

“ma cosa cazzo…!”

Il grottesco toccò il culmine quando quella creatura priva di senno – con tutta probabilità sotto gli effetti di chissà quali potenti droghe – voltò la testa verso di lui con un sorriso a trentadue denti e due orbite completamente vuote ad osservarlo spiritato. Per un attimo quel particolare portò alla mente di Tess il suo collega di lavoro Kaon, ma la similitudine tra i due si concluse quando quel folle aprì la bocca in modo spropositato.

 

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“Mentre altri… gridavano e basta! Cos… Eeek!!”

Il tempismo perfetto con cui Zipper accentuò l’ultima parte del suo discorso concise con un suono agghiacciante proveniente da oltre le porte finestra della sala di ingresso. Un grido metallico – robotico e alieno come se generato da un computer – che corrispondeva ad un frenetico rincorrersi di codici binari atti ad alimentare menti malate e contorte da chissà quali droghe ignote.

Il grido inumano veniva dallo spazioporto, ma fu abbastanza potente da far tremare i vetri e vibrare le vettovaglie presenti sopra i mobili ancora intatti. Arrivando a costringere i presenti a portarsi momentaneamente le mani ai sensori acustici preda di un fastidio primordiale.

Poi così come era partito, cessò immediatamente. Portando Tarn ad aggiornarsi immediatamente sull’accaduto via comm-link, una volta che le sue orecchie cibernetiche smisero di ronzargli dal dolore.

“Nhh… Tess… a rapporto! Cosa è successo?!”

Dovette attendere diversi secondi di silenzio radio prima di sentire la voce cavernosa del proprio soldato. E il suo tono di voce, normalmente piatto e monotono, apparve a Tarn come sinceramente preoccupato.

“è successo che un pazzo furioso è sbucato da oltre le casse qui presenti e ha iniziato ad urlare come un matto! Urgh! Che schifo…” il lord inquisitore non poteva ancora saperlo, ma al momento Tesarus si stava pulendo le mani sporche di fluido craniale contro dei teli di stoffa che coprivano alcune casse del molo “ho staccato la testa a quello stronzo ma temo che i guai siano appena cominciati!”

Era una sensazione che avevano tutti lì – e persino il controllato Vos parve essere piuttosto nervoso nel trovarsi in quella che poteva essere una trappola per topi, arrivando a stringere con più sicurezza il proprio fucile – tanto da lasciare che fosse il minicon parlare con voce flebile e dare sfogo e forma ad un pensiero che ebbero tutti.

“Oh no… adesso arriveranno tutti qui…”

 

Quello che in principio fu silenzio divenne all’improvviso rumore. In primordio un brusio lontano, come echi in alta montagna, e poi solo in seguito suoni di passi sempre più frenetici che sembravano arrivare dal piano superiore – portando gli sventurati soldati a puntare i loro fucili verso l’alto – seguiti da altrettanti rumori molesti da quelli che erano i bui corridoi laterali che si affacciavano in quella malsana reception. Passi, calci, grida rauche e parole sconnesse… il tutto amplificato dall’eco di quelle grandi sale che avevano visto giorni migliori. L’unico che ebbe il coraggio di parlare, pur tenendo puntando i propri cannoni a fusione ancorati al braccio destro, fu lo stesso leader di quel drappello di uomini sempre più tesi.

“Tess… rientra nella nave e chiuditi la porta alle spalle”

“cosa?? Ma voi…?”

“è-un-ordine!” invece di urlare quelle parole furiose le pronunciò in un labile sussurro, tanto da riuscire a sentire via radio il proprio demolitore grugnire di dolore “chiudetevi nella nave e aprite solo quando torneremo! Voi invece” e qui si riferì al resto dei suoi uomini presenti in sala “verso le scale! Muov-”

 

“e infine l’altissimo dirà: arriverà la notte e avrà i tuoi occhi!”

 

Troppo tardi.

Ovunque in quel buio opprimente incominciarono a farsi strada sensori ottici dal colorito malato o, alle volte, completamente assente in quanto alcuni volti mancavano di uno o di entrambi gli occhi. I sorrisi di quelle facce spiritate – sussurranti parole spesso incomprensibili persino ad un cultore delle lingue arcaiche come Vos, o per un uomo attento come Tarn – incorniciavano un quadro malato dato il loro aspetto tutt’altro che rassicurante che sorgeva da quelle tenebre spezzate solo dai faretti dei fucili dei soldati. Ad alcuni mancavano pezzi di armatura mostrando l’endoscheletro interno, altri anche un arto, mentre altri ancora erano così sporchi di lordura da dare l’idea che sudassero quello schifo nero dalle pieghe delle loro armature.

“Tarn… credo che questi siano mortiliani! Cultisti di un dio cieco e idiota che…”

“Lo so cosa sono, Vos!” in quel momento avrebbe ben volentieri preferito sussurrare ai suoi uomini ordini di ritirata, ma sapeva che li avrebbe uccisi al posto di quegli invasati che aveva di fronte. Maledicendosi, nel mentre, di non aver intuito subito cosa avesse potuto causare tutta quella catastrofe, concentrato com’era a trovare quella sciagurata ragazza da tralasciare certi particolari “avviciniamoci alle scale e continuate a puntare i vostri fucili contro di loro! Sembra che la luce dia fast-”

Lo strillo acuto e inumano che partì dal mezzo di quella calca che li circondava – simile a quello che aveva preceduto la loro venuta pochi minuti prima – interruppe gli ordini di Tarn e portò il resto di quei cybertroiani a sorridere con maggior malizia e follia. Scattando con una agilità e velocità incredibili nonostante il loro aspetto emaciato e malridotto, ridendo come sciagurati, non lasciando praticamente il tempo a quei drappello di soldati di premere sui grilletti dei rispettivi fucili.

Se Tarn voleva anche solo avere un minimo di sopravvivenza in quella situazione allora lui e i suoi uomini dovevano contemplare la fuga.

 

[…]

 

Nella Paceful Tyranny la tensione era per forza di cose palpabile. Il resoconto offerto dal gigantesco Tesarus non venne accolto favorevolmente dal resto della squadra presente sul ponte di comando, in primis Nickel che voleva vederci chiaro il prima possibile. Il grido acuto lo aveva sentito pure lei, nonostante fosse ben protetta dalle spesse pareti dello scafo, tanto da farle abbandonare l’infermeria per cercare di capire cosa stesse succedendo li fuori. Ma ciò che aveva visto una volta raggiunto l’hangar di carico era solo un demolitore intento a chiudere in fretta e furia le porte di ingresso così come gli aveva ordinato di fare Tarn.

“non c’è modo di connettersi via comm-link con gli altri? Perché ora non rispondono??”

La preoccupazione dell’energica minicon si era amplificata dalla seconda sequenza di strilli meccanici e acuti – roba che aveva fatto vibrare per un momento la strumentazione della nave, dando prova di un attacco elettromagnetico – e da allora, da dopo la breve conversazione con Tess, sembrava che al momento non fosse possibile raggiungere la squadra di ricognizione.

“senti, sto cercando di fare del mio meglio qui!” il tono con cui Kaon si rivolse alla compagna di squadra rasentava la maleducazione, nel mentre che premeva tasti su tasti sulla console delle comunicazioni “ma quello che è successo – quella specie di “grido” – sembra aver sfasato i sistemi di comunicazione e sto facendo per questo un reset ma… credo di potermi connettere ai visori di Tarn a remoto”

“non sarebbe come violare la sua privacy?”

La perplessità di Tesarus era legittima, ma quello era uno di quei casi eccezionali in cui determinate cose potevano essere messe da parte per un bene più comune. Cosa che gli ricordò anche il tecnico decepticon, mentre riusciva a mostrare le prime immagini tremolanti provenienti dalla maschera di Tarn grazie ad un hakeraggio senza eguali.

“normalmente si, ma questa non è una situazione normale, da quel che potete vedere e… oh merda

Il loro leader, assieme al resto della squadra, era intento a darsi alla fuga in un ambiente semi buio da quelli che sembravano essere degli zombie affamati di energon puro. Le parole letteralmente morirono in bocca a Kaon, nell’atto di osservare i suoi colleghi di lavoro farsi strada in quell’inferno di volti devastati da ferite autoinflitte e follia procurata da chissà quali sostanze tossiche e fanatismo religioso. Alcuni individui mostravano una verniciatura ormai sverniciata e irriconoscibile, altri invece erano stati “iniziati” da poco… dando dimostrazione che la caccia di quei cultisti aveva dato buoni frutti.

Ora capiva perché le comunicazioni si erano repentinamente interrotte nel giro di ventiquattro ore, intuendo che parte di quella feccia doveva essere arrivata anche lei in incognito come tutti gli altri pazienti, spacciandosi per bisognosi in cerca di cure piuttosto che di adepti da convertire.

“Tu… sai chi sono quegli individui, Kaon?!”

La preoccupazione di Nickel per la sorte del suo leader e del resto della squadra era palpabile, ma vedere il tecnico di bordo così cupo di fronte a quelle immagini sgranate la rendeva ancora più inquieta.

“si… so chi sono” fece funereo lui, non riuscendo a distogliere l’attenzione da quei volti folli e contorti “sono seguaci del dio Mortilus… e l’unica cosa che posso consigliarvi è di armare le torrette esterne della nave ed aspettare che i nostri tornino da li sani e salvi!”

Ma quando sarebbe avvenuto ciò?

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Capitolo 4
*** l'uomo nero ***


Uno dei primi ricordi che Tarn possedeva da quando aveva coscienza di esistere era qualcosa di tutt’altro che tranquillo e consono a ciò che dovrebbe essere il primo ricordo di una protoforma.

Quello che lo colpiva maggiormente in quelle memorie remote, a distanza di secoli, era la sensazione di viscido e sporco – di buio opprimente e fetore indicibile – che accompagnavano il suo cammino a carponi verso la fine di quello che era un tunnel di scarico fognario. Piccolo e stretto come lo era lui un tempo, ma misterioso così come il motivo che lo aveva spinto a incamminarsi in quell’inferno dall’odore pungente e nauseabondo.

Che fosse arrivato a rimembrare la propria infanzia trascurabile fu un dettaglio che lo sorprese non poco, e non tanto perché pure quella era stata dimenticabile come il resto della sua adolescenza e maturità, quanto piuttosto forse all’odore che quei rottami putrescenti emanavano fin tanto da fargli desiderare di vomitare.

Con sua somma vergogna aveva ordinato ai suoi uomini di darsi alla fuga, dopo aver visto che la sua stessa voce ne faceva cadere solo alcuni – con tutta probabilità quei pochi ad avere i sensori audio ancora attivi – e i colpi del suo cannone a fusione ne inceneriva parecchi ma non era adatto alle corte distanze con soggetti così agili. Era come se più ne uccidevano e più ne arrivavano, dandogli l’idea che quei bastardi si fossero praticamente moltiplicati nella struttura semplicemente torturando e soggiogando i pazienti al suo interno che nulla potevano fare per contrastarli. Rendendoli succubi e folli con chissà quale sostanza chimica tossica.

“Questa è una mietitura! È per questo che sono qui?!”

Nella domanda di Vos probabilmente c’era già la risposta – per quanto ora stessero fuggendo per una rampa di scale intasata di quei fanatici, ed era quindi l’ultima cosa da chiedersi – ma Tarn non aveva mai visto questi fanatici del culto di Mortilus, uno delle cinque divinità primarie venerate un tempo su Cybertron prima di finire confinate a culti minori in favore di Primus, dare la caccia a della gente per renderli forzatamente degli adepti del loro credo. Un culto antico e al limite della blasfemia certo, a cui già milioni di anni prima le autorità del pianeta impuntarono precisi paletti ai suoi cultisti affinché si evitassero disordini di natura sociale, ma non al punto di comportarsi come dei selvaggi inferociti.

Di loro il signore della DJD sapeva quel che bastava. I mortiliani seguivano gli oscuri precetti religiosi dettati dai sacerdoti di Mortilus, dio della morte cybertroiano, che prevedevano di considerare come sacro e indispensabile solo le funzioni religiose dedicate a un dio che non sembrava ascoltar molto i propri adepti. Così come un po’ tutti gli altri divini, a parere dell’inquisitore.

Tutto ciò che non prevedeva vivere, e respirare, in nome di un dio mortifero era considerato al pari della blasfemia… compresa la cura dell’igiene intima stando all’aspetto di quegli orridi individui. E oltre a questo dettaglio poco trascurabile, in quanto già i loro corpi sporchi e imbottiti di droghe erano una bomba biologica non indifferente, non era risaputo che effettuassero razzie in giro per la galassia, in quanto i limiti imposti dalla legge limitava il loro raggio di azione alle preghiere giornaliere – in templi lontani dal quieto vivere delle città più grandi – e certamente non si contemplava minimamente sacrifici di individui senzienti. Ma a vederli sembrava avessero rimediato alla cosa con l’auto flagellazione. Altrimenti non si spiegava le componenti mancanti tra arti e ottiche divelte.

“non è il momento per farsi queste domande… sta giù!” quasi ruggendo quell’ultima parola ordinò al suo ufficiale scientifico di abbassare momentaneamente il capo per evitare l’attacco di un mortiliano sbucato da una conduttura di areazione alla sua sinistra. Il disgraziato venne fuso da un colpo di cannone di Tarn “Zipper! Dove dobbiamo andare ora?!”

Il piccolo minicon – che fino a quel disastroso attacco aveva fatto loro da cicerone –era attualmente tenuto per mano dal capo di quella combriccola pericolosa e, contro la sua volontà, sballottato da una parte all’altra come se fosse stato una bambola di latta.

“A… a destr-NO! A sinistra! Al pianerottolo svoltate a sinistra!”

Il drappello di soldati dovette virare verso la direzione giusta in modo quasi rocambolesco, con Helex che andò letteralmente a sbattere contro un paio di cultisti armati di spranghe e, colpiti dalla massiccia schiena del mech, vennero schiacciati contro la ringhiera della passerella fino a scardinarla del tutto e farli cadere di sotto.

“e meno male che mi sono vaccinato! Che schifo!”

Il gigantesco mech non dette modo ai suoi compagni di sapere a quale vaccino generico parlasse, non c’era tempo, ma la lordura che quei pazzi gli avevano lasciato addosso gli fece venir voglia di farsi un bagno con gli stessi acidi che già si agitavano all’interno della capsula di ebollizione posta al centro del suo petto.

Fino a quel momento l’ex demolitore ci aveva dato dentro nel far suonare i propri poderosi pugni primari contro chiunque tentasse di aggrapparsi alla sua schiena – e il fatto che chiudesse la file era cosa buona in quanto evitava che i fanatici sottostanti raggiungessero l’intero gruppo, nonostante ora le sue grandi mani fossero lerce di chissà quali fluidi – mentre con il paio di braccia più piccole, quasi delle appendici di riserva, aveva più dimestichezza nell’usare il fucile contro dei corpi che non sembravano affatto sentire il dolore.

“quanto manca ancora?!”

Arrivati al piano di destinazione Tarn notò immediatamente che il reparto e le biforcazioni dei corridoi sembrava essere sgombro sebbene non mancassero segni di lotta e disordine – probabilmente i mortiliani si erano riversati tutti al piano terra quando si erano accorti della loro presenza – ma guardandosi attorno, nel mentre che Vos e Helex barricavano le porte metalliche da cui erano entrati con una saldatura provvisoria, non avrebbe saputo dire dove fosse il caveau. Quella barricata non sarebbe durata a lungo, i cultisti erano già dall’altro lato a battere i loro pugni con fare frenetico e furioso, pertanto avevano pichi minuti prima di vedere quella barricata cadere e il minicon aveva già preso l’iniziativa di correre via nel momento esatto in cui il lord inquisitore lo aveva lasciato andare.

“per di qua! Seguitemi! M-ma state attenti al mostro!!”

In quel momento Tarn non comprese a cosa il piccolo transformers si riferisse, il momento era così concitato che non era concesso a nessuno di loro di riflettere con più accuratezza su certi dettagli, pertanto si limitò a seguirlo e a perdere completamente la concentrazione quando, svoltato l’angolo, non vide quella che era l’entrata blindata del caveau.

La porta, di forma circolare e argentea e talmente grande da poter garantire il passaggio anche a un mech di dimensioni modestamente grandi – sebbene Tarn, con un rapido calcolo, decretò che i suoi due demolitori più grandi avrebbero dovuto chinare le spalle e la testa per superarla – era attualmente socchiusa per permettere ad un rapido Zipper di intrufolarcisi dentro in tutta fretta prima che un individuo iniziasse a forzare sulla maniglia per iniziare a chiuderla con una certa fatica. Tutto ciò che il leader della DJD riuscì a notare era che quell’individuo era una seeker – dalle cromature lilla e acquamarina – e nonostante l’evidente sforzo di chiudere il più velocemente possibile non dette modo ai nuovi arrivati di poter entrare dentro anche loro.

“Apetta! Non chiudere!! Aspetta!!”

Nel mentre che Tarn urlò quelle parole concitate – quasi disperate – poté sentire le porte che avevano sigillato in precedenza sfondarsi ai frenetici colpi dei mortiliani fuori di senno. Tanto da portare momentaneamente Vos ed Helex  a voltarsi verso l’angolo precedentemente svoltato nel timore di vedersi nuovamente quella mandria alle calcagna. Avevano le armi con loro, ma per quanto ancora sarebbero riusciti a resistere senza stancarsi?

Per Tarn invece era come se in quel momento non esistessero fanatici religiosi degni di nota, vi era solo l’immagine di una porta che si chiudeva velocemente una volta che il suo custode si era accorto dell’arrivo di altra gente. E nonostante lo scatto violento che lo portò a schiantarsi contro la sua superficie metallica dandogli una dolorosa spallata, si vide costretto a guardare quel diniego con occhi colmi di furia e disperazione. Il suo obiettivo era li dentro, era ad un passo da poter completare la propria missione, non poteva finire così… dannazione!

“Aprite! Aprite maledizione!!”

“prima le luci”

“Cosa??”

“riattivate le luci” disse lapidaria una voce femminile al di la dello spesso metallo, arrivando ovattata seppur comprensibile “poi si vedrà”

Ciò che la donna guardiana ricevette in risposta fu un ruggito colmo di risentimento da parte di un mech che fino a quel momento aveva covato del tutto al proprio interno. Non aveva esternato come voleva durante il suo confronto con Megatron – lasciando che una rabbia quasi silenziosa gli facesse premere il grilletto del cannone a fusione – non lo aveva fatto nei giorni scorsi, rimanendosene nella neve di Messatine in stato di coma apparente, ma lo stava facendo ora con un ruggito furioso e i doppi cannoni calibrati alla potenza massima.

“Naahrrghh!!”

Il suo urlo colmo di rabbia e disperazione venne quasi coperto dal boato del raggio a fusione che si profuse dal suo braccio allungato, illuminando quella lega metallica come un braciere infernale, deciso più che mai a fondere quella spessa porta senza però ottenere il successo sperato.

Il caveau da quell’attacco folle aveva ottenuto un grosso solco infiammato come se fosse appena uscito da una forgia, ma neppure i suoi doppi cannoni erano riusciti a scalfire quel capolavoro di sicurezza interna. Lasciando momentaneamente interdetti i suoi due alleati distratti da quell’atteggiamento poco lucido, a discapito di quello che stava accadendo nei corridoi adiacenti.

“Non… non funziona” balbettò Helex a denti stretti “forse dovremmo…”

La fortuna del demolitore fu di non finire la frase già iniziata – perché se avesse consigliato a Tarn di seguire le istruzioni di quella seeker probabilmente quest’ultimo, decisamente provato da una moltitudine di pensieri, avrebbe sicuramente fuso il petto del suo alleato senza rimorso – poiché l’improvviso trambusto dei mortiliani si placò quando sopraggiunse un grido che di mortale non aveva proprio nulla.

Un suono metallico e gutturale, di una voce forse un tempo appartenuta ad un cybertroiano come loro, ma ora talmente distorta da sembrare semplicemente la macabra parodia di una persona viva. Così spaventosa da aver portato i cultisti fanatici a ritirarsi nei meandri della struttura o a perire per mano di qualcosa che non tardò a far sentire nuovamente la propria presenza.

“c’è qualcosa, che danza nelle ombre…”

Vos sussurrò quelle parole tenendo il proprio fucile ben puntato davanti a se, osservando la biforcazione del corridoio illuminata solo di quelle che erano delle luci di sicurezza ambrate. E lì, proprio su quelle pareti di metallo bagnate d’ambra, si stagliò la minacciosa ombra di tentacoli che si muovevano sinuosi accompagnando i ringhi e i balbettii senza senso di un mostro che avevano tralasciato nelle parole di Zipper.

Persino Tarn dovette mettere da parte la frustrazione di non poter accedere ad un caveau ben sigillato di fronte a una nuova minaccia a cui non aveva minimamente pensato. Ma in fin dei conti, vista la situazione straordinaria, come poteva credere che in quella struttura potesse nascondersi uno sparkeater?

 

Uno Sparkeater…

In vita sua Tarn non ne aveva mai visto uno, ma lord Megatron aveva avuto modo di vederne uno con i propri occhi e di narrarlo nelle sue cronache di guerra – Towards Peace – lasciando ben intendere tutta la bruttura della loro inumana natura un tempo leggenda da raccontare a quei giovani disubbidienti agli ordini dei loro creatori.

Questa sorta di uomo nero nasceva da un processo di fusione della scintilla che nella stragrande maggioranza dei casi portava alla morte dello sventurato malcapitato, ma questo era il prezzo che si rischiava di pagare quando due individui che si amavano profondamente decidevano di unire le loro scintille e con esse anche tutti i loro ricordi.

Due anime che diventavano una, due vite intrecciate e destinate ad un amore eterno spezzatesi con l’avvento della guerra civile tra autobots e decepticons. Coloro che perivano in guerra lasciavano il loro partner ad un destino ben peggiore, che nei migliori dei casi si concludeva con una morte tutt’altro che rapida e indolore. Mentre chi sopravviveva alla propria anima che bruciava fino a scavare un foro nel proprio petto diventava una creatura vuota, di intelletto e di umanità, arrivando addirittura a mutare fisicamente e alla costante ricerca di quella parte di se stesso ormai andata persa per sempre. Un’anima spezzata, un dolore che fasullamente si poteva colmare con la ricerca di altre scintille incompatibili, la pantomima di un essere senziente devastato da un dolore che l’aveva reso irrimediabilmente folle.

Megatron una volta ne vide uno in un campo di battaglia, ed ordinò i suoi uomini di abbatterlo da lontano per evitare che le sue viscere – trasformate ora in tentacoli – finissero col trucidare altri dei suoi soldati impreparati a quello scontro al limite dell’orrore grottesco. Né all’ex signore decepticon né a Tarn – che lesse di quella cronaca piuttosto affascinato – fu ben chiaro se quel primo abbozzo di sparkeater fosse nato proprio in quella zona di guerra devastata dai bombardamenti e cannoni laser, oppure fosse strisciato dalle fogne in cui erano soliti rannicchiarsi creature simili, ma quello che fu più importante in quel frangente fu porre fine alla sua esistenza il prima possibile.

 

Ma ora… il trio di soldati decepticon non si trovava in uno spazio aperto che permettesse loro di evitare gli insidiosi attacchi di quella letale caricatura cibernetica, e la comparsa da oltre l’angolo di una creatura apparentemente deforme e fragile – mancavano alcune parti di armatura da quello che pareva essere un cybertroiano selvatico – fece capire loro che lo sparkeater era in netto vantaggio.

Il tempo che la creatura facesse sbucare il suo orribile volto sfigurato da oltre l’angolo, mostrando loro uno sguardo folle e all’apparenza felice di aver trovato nuove scintille da immettere nel proprio stomaco mai sazio, che il leader della DJD gridò ai suoi uomini di fare fuoco.

 

[…]

 

Le dita di Kaon letteralmente strimpellavano sulla superficie della sua tastiera personale su una console dai molteplici schermi, ignorando qualsivoglia distrazione esterna che non fossero altro che i dati e le immagini che scorrevano davanti ai suoi occhi vuoti. Se fosse stato per lui si sarebbe messo a operare direttamente da camera propria, dove avrebbe sicuramente avuto modo di concentrarsi meglio a modo suo – restandosene nudo e con il cavo di fuori, neppure lui sapeva il perché la cosa lo mettesse a suo agio – ma ora come ora era richiesta la sua presenza sul ponte di comando dove in effetti avrebbe avuto più libertà di azione e movimento.

Cercare di fare breccia nel server interno della struttura medica, cercando di usufruire della scarsa energia fornita da quella di servizio – si stava dimostrando un lavoro altamente stressante da fargli “seccare” la scatola vocale. Per sua fortuna c’era nonna che gli allungava la cannuccia della sua bibita preferita – una kremzeek ghiacciata – quando lui semplicemente annunciava “cannuccia!” con un’enfasi quasi drammatica… ma se non fosse stato dannatamente serio allora si che si poteva ridere di quella scena assurda.

“ok… forse riesco a fare qualcosina da remoto con la corrente di riserva… ma giusto qualcosina! Cannuccia!”

Tosta l’anziana femme – alla destra del tecnico – si apprestò ad avvicinare la cannuccia alla bocca del giovane, che l’agguantò avido succhiando quel nettare all’energon fin troppo zuccherato, mentre alla sinistra di Kaon una incerta Nickel continuava ad osservare gli schermi olografici tutt’altro che convinta della riuscita del piano.

Anche lei, come gli altri sul ponte di comando, poteva vedere quello che lo stesso Tarn poteva vedere attraverso il visore della sua maschera, e quella creatura orrenda – di cui fino a quel momento aveva solo sentito parlare, pur sapendo ormai della loro esistenza – si stava dimostrando ostica persino per degli inquisitori preparati come i suoi compagni. Le immagini erano confuse, dinamiche a casa dei continui scatti di Tarn per evitare quelle viscere uncinate divenute letali fruste metalliche – riuscendo purtroppo a scalfire la sua armatura con rapidi colpi non letali – ed era frustrante osservare come i colpi dei suoi doppi cannoni fusione mancassero costantemente il bersaglio a causa della sua sconveniente agilità.

“come ha fatto una creatura simile a finire in quella stazione…?”

Era l’unico pensiero a cui riusciva dare voce nell’angoscia generale che la teneva bloccata li nel ponte di comando. Avrebbe potuto chiedere a Kaon se il suo piano in qualche modo si sarebbe dimostrato efficace, se fosse riuscito effettivamente a dare una mano a Tarn e gli altri, eppure riuscì solo a soffermarsi su un dettaglio che reputava banale.

“i casi sono due: ho quella creatura si è generata qui, oppure l’hanno in qualche modo portata loro… dubito che qualcuno sia così fesso da legare la propria scintilla con qualcuno in questo periodo!”

La voce cavernosa di Tess li raggiunse nonostante il gigante si trovasse nella sua posizione di lavoro, intento a monitorare le torrette esterne e pronto a fare fuoco in caso sommossa, e quel che disse tanto bastò come risposta per la piccola dottoressa. Se era vera la seconda ipotesi, ed era comunque la più plausibile, lasciava intendere che quei mortiliani fossero più organizzati di quel che poteva sembrare. Ma il come fossero riusciti a portare all’interno della struttura un simile abominio all’interno dell’ospedale probabilmente sarebbe rimasto un mistero irrisolto, in fin dei conti la squadra non era li per quello.

“si… bè… comunque ecco come sbollire i bollenti spiriti di quello stronzo!”

Premendo un’ultima serie di tasti il tecnico decepticon riuscì finalmente a dare vita al proprio complicato piano che, per quanto fosse tutt’altro che risolutore, almeno sarebbe servito a far formulare ai suoi compagni una strategia d’attacco.

Dal sistema di energia ausiliario poteva fare ben poco – in fin dei conti era nato per alimentare solo le apparecchiature mediche e le celle frigorifere – ma immettersi negli impianti antincendio era stata una furbata tutt’altro che semplice da superare.

 

[…]

 

Se la situazione non fosse stata così drammatica molto probabilmente Tarn si sarebbe messo a ridere di gusto. La creatura era agile e loro non lo erano affatto – soprattutto lui ed Helex – impegnati com’erano a evitare quelle fruste uncinate pur comunque venendo graffiati, e nel caso del demolitore in maniera pesante seppur capace di difendersi e riuscire a strappare un paio di quei cavi con le mani. In quel caso si, Helex riuscì effettivamente ad avere la meglio sfruttando quelle appendici viscide della creatura per lanciarla letteralmente contro le pareti vicine come se fosse stato un mazzafrusto – arrivando persino a deformare quelle pareti metalliche un tempo candide – ma lo sparkheater non rimase certo fermo a subire, riuscendo a sgusciare via e a riprendere la sua danza di morte arrivando a fracassare di botte il colossale demolitore.

“Helex! Attento!!”

L’avvertimento dettato dal lord inquisitore arrivò comunque troppo tardi, e almeno tre degli ameno undici uncini del mostro si conficcarono prepotenti nelle giunture del malcapitato esecutore. Le scintille si propagarono in quelle ferite fin da subito chiaramente serie – due braccia, una grande e l’altra piccola, erano ormai inutilizzabili compresa una gamba oramai zoppicante – e l’urlo carico di rabbia del demolitore lo portò a scrollarsi di dosso quella belva con tutta la forza rimasta nelle braccia ancora sane.

Il solo membro del gruppo che fino a quel momento non aveva subito danni era l’ufficiale scientifico della Paceful Tyranny. Vos era l’unico abbastanza agile da evitare ogni fendente ed ogni scudisciata che quel mostro cercava di inferire a loro, con una grazia tale da farlo sembrare come acqua tra le spire di una bestia tentacolare affamata.

I suoi colpi fino a quel momento erano sempre andati a segno – contrariamente a quelli di Tarn ed Helex – e nonostante non avesse minimamente scalfito la rovinata armatura della fiera era quantomeno riuscito a distrarla quel tanto che bastava dall’evitare al resto dei suoi compagni ferite che potevano anche risultare letali.

E proprio mentre il capo di quel drappello di disperati si chiese per quanto ancora sarebbero stati capaci di tenere testa ad un essere che non sembrava stancarsi come potevano farlo loro – e le munizioni iniziavano a scarseggiare nei loro fucili – qualcosa accadde in quel corridoio dalla biforcazione a T.

Si erano spostati di parecchio dal caveau iniziale, la battaglia li aveva portati al limitare di quello che sembrava essere una parete che si affacciava verso l’esterno visto che era composta interamente di pannelli di vetro – il cui paesaggio sembrava essere composto da strutture interne, tubature che si inabissavano nel buio e ragnatele di cavi sottili che attraversavano quell’abisso artificiale –  quando il suono dell’allarme antincendio non portò i presenti a distrarsi momentaneamente da un nemico implacabile.

L’improvviso botto dei diffusori antincendio portarono il drappello di uomini a guardarsi momentaneamente in alto, vedendo che dal soffitto furiose nubi di gas idrogeno si stavano velocemente propagando nella loro zona congelando suppellettili e superfici e rendendo l’intero pavimento estremamente scivoloso e pericoloso. Lo stesso Tarn dovette aggrapparsi ad una ringhiera lungo la parete per cercare di tenersi in equilibrio e non scivolare a terra come un emerito idiota, mentre Helex, seppur dolorante, agguantò il proprio minuto compagno di squadra prima che un soffione di aria fredda non lo congelasse fino alla morte. Per quanto Vos fosse agile non possedeva la stessa resistenza dei suoi compagni di scorribande.

Nonostante avessero fatto confusione per quei corridoi, distruggendo diverse pareti come pioggia di meteore, non avevano generato abbastanza danno da provocare incendi – in quanto tutte le loro armi erano settate sul perforare l’armatura nemica anziché darle fuoco – quindi quello delle manichette antincendio si rivelò essere un altro mistero che si andò ad aggiungere alla lista di anomalie registrate fino a quel momento, ma tutto sommato la cosa andò a loro favore.

La creatura aliena lanciò uno strillo carico di dolore e rabbia quando i vapori di idrogeno la colpirono direttamente, iniziando a congelarla fin all’interno dell’armatura arrugginita rendendo sempre più difficoltosi i suoi movimenti e portandola a spezzarsi miseramente una gamba rimasta ancorata al pavimento ghiacciato. Le viscere usate come fruste continuarono comunque a oscillare in maniera pericolosa e con giri più ampi – come se stesse disperatamente cercando un appiglio che le permettesse di sfuggire da quei fumi pericolosi – ma a questo giro la DJD fu preparata a cogliere quell’improvvisa opportunità di successo.

Con un ringhio rabbioso Helex si appropriò di un paio di tentacoli oscillanti con le braccia ancora buone– nel frattempo che Vos aveva abbandonato il proprio fucile per mutilare l’avversario con una lama affilata estratta dalla gamba sinistra, tranciando via di netto gli uncini di quelle funi metalliche – e con un ruggito risentito, evitando per un pelo di essere ferito dagli artigli della furente creatura, scagliò lo sparkheater contro un pannello di vetro grande quanto l’intera parete del corridoio.

E lì, cogliendo finalmente una occasione per fare centro, Tarn sfruttò una delle ultime cariche del suo cannone a fusione per colpire di prepotenza un avversario che per un momento, una razione di secondo, guardò il lord inquisitore con una espressione basita. Quasi come se una scintilla di normalità si fosse affacciata nel suo petto vuoto – in un volto simile ad una maschera grottesca – nel mentre che l’esecutore gli sparava proprio lì con una forza tale da sfondare i vetri blindati di quella zona del corridoio.

Il vetro dapprima si crepò in così tanti tasselli concentrici da far sembrare per davvero lo sparkheater un ragno sulla sua ragnatela e poi, una frazione di secondi dopo che la belva aveva accusato il colpo, quella ragnatela si spezzò facendo fare la fine della preda ad un perfetto cacciatore degli abissi.

Privato dei suoi uncini – e con solo le zampe malandate dai vapori di idrogeno a cercare disperatamente un appiglio – la creatura demoniaca cadde verso l’abisso il cui grido si disperse tra le pareti metalliche e tubature fino a giungere a contatto con qualcosa che, forse la fortuna per il trio di esecutori, non scatenò un vero e proprio inferno di scintille e scariche elettrostatiche che dal basso si propagarono verso l’alto in pulsazioni continue e ripetute fino a che, con un boato che portò i soldati decepticon a coprirsi il volto con le mani, ci fu una breve esplosione di luce ed il ronzio tipico della corrente che tornava a farsi risentire tra i sistemi operativi della stazione medica. A quanto pare, senza volerlo, con quell’attacco disperato avevano riattivato la corrente in buona parte della struttura.

Le luci tornarono a riaffacciarsi nei corridoi, i macchinari ricominciarono ad operare in tutta tranquillità e i sistemi di comunicazione interni finalmente ritornarono perfettamente online negli elmetti di quei soldati provati. Segno che, se si voleva e se i sopravvissuti erano interessati, si potevano finalmente chiamare i soccorsi per salvare il salvabile.

“Allora… piaciuto il mio scherzetto?”

La prima cosa che Tarn e soci sentirono nei loro comm-link fu la voce un po’ disturbata di Kaon – segno che le comunicazioni si stavano ancora settando – piuttosto soddisfatto di aver dato loro supporto da remoto, ma non era il momento di perdersi in chiacchere dato che, per uno sparkheater abbattuto, rimanevano centinaia di individui esaltati che scorrazzavano per la struttura.

“suppongo che ti chiederò più tardi come hai fatto a darci una mano… per il momento grazie”

“figurati capo! Grazie a voi per aver riattivato la corrente elettrica, ehe! Comunque ho attivato le serrature di sicurezza lungo tutto il piano e mi accingo a fare altrettanto anche negli altri settori, questo dovrebbe darvi una maggiore sicurezza e più grattacapi a quei pazzoidi… sono stati abbastanza furbi da disattivare i droidi di difesa, ma con me nel sistema è tutt’altra storia”

Nel mentre che il tecnico della Paceful Tyranny tesseva le proprie lodi – e spiegava un po’ la situazione – il trio decepticon si era mosso lentamente dal corridoio in cui si erano svolte le ultime fasi della battaglia per avvicinarsi al caveau. Per forza di cose Helex era sostenuto da Tarn – che senza non poca fatica trascinava con se un demolitore che zoppicava più di quel che avrebbe voluto dare a vedere – mentre Vos si era già avviato a passo lungo verso la loro meta di destinazione per poter comunicare con gli abitanti all’interno della cripta.

“nelle mentre che proseguiamo con la missione voi preparate l’infermeria, Helex qui ha bisogno di un intervento urgente e non sappiamo in che condizioni si trovi la ragazza”

“Urgh… no! Posso farcela, poss-”

“il tuo orgoglio non ti terrà in piedi, anche se apprezzo il coraggio”

Non era dato sapere se per “coraggio” Tarn si riferisse alla volontà di Helex di voler proseguire nella missione oppure nell’aver cercato in malo modo di sfidare l’autorità del proprio leader. Ma qualche che fosse la reale chiave di lettura non aveva più importanza, in quanto le porte del caveau iniziarono ad aprirsi con un sibilo come da accordo precedente.

 

[…]

 

Quando la femme aveva chiuso dietro di se la pesante porta blindata sapeva di aver commesso un azzardo imperdonabile – perché per quanto il loro incontro fosse durato pochi secondi aveva ben riconosciuto il lord inquisitore Tarn al di là della porta, sentendone la furia dei suoi colpi a fusione contro un metallo impenetrabile – ma in quanto comandante dei cieli decepticons era suo dovere proteggere i suoi uomini e i civili inermi presenti nel grande magazzino. Non poteva rischiare, non in un momento delicato come quello che stava vivendo un intero popolo abbandonato dal suo stesso leader.

Su questo Slipstream era abbastanza soddisfatta di come aveva gestito le cose fino a quel momento nella stazione medica Relay – riuscendo a portare al sicuro buona parte dei pazienti e, soprattutto, anche tutti gli infanti presenti nel reparto che era rimasto sotto attacco – ma il capo della DJD fu di parere contrario visto il modo in cui entrò in scena una volta che le porte si aprirono grazie al suo successo.

Con un sibilo risentito, e che accompagnava uno sguardo furente sotto l’iconica maschera, il gracile collo della seeker venne agguantato da una mano artigliata di Tarn con una violenza tale da sollevarla da terra come un giocattolo inerme. Sotto lo sguardo allibito e terrorizzato di molti degli ospiti presenti.

“Slipstream…” la voce dell’esecutore era carica di rancore per essere un sussurro letale, ed i suoi occhi non mentivano “hai commesso un grave errore nel tenermi fuori”

“Nhh… s-signore! Mi dispiace! Ma… ma non potevo mettere in pericolo l’incolumità dei feriti qui dentro con quella belva lì fuori!!”

Tarn conosceva a menadito tutti gli ufficiali decepticon promossi da Megatron in persona, e sapeva che quella seeker dalle cromatura lilla e acquamarina si era dimostrata, nei secoli, più affidabile del fratello megalomane noto come Starscream. Bè, almeno fino a quando quella femme imprudente non aveva deciso di sua spontanea volontà di mettersi in automatico nella lista, nell’esatto momento in cui aveva preso la folle decisione di tener fuori lui e la sua squadra in balia di un mostro sanguinario.

Ma fu solo quando il mech si guardò attentamente attorno che vide l’effettivo motivo di quell’insubordinazione senza precedenti.

Nel grande ambiente che lo circondava, tra le scaffalature piene di prodotti medici e tavoli ora usati come lettini di fortuna, una marea di pazienti cercava di rimanere in vita con i pochi medici ancora vivi che continuavano ad operare in condizioni lavorative a dir poco precarie. I visi stanchi del personale medico – alle volte pure loro con ferite al pari dei loro pazienti – accompagnavano i lamenti degli individui moribondi a cui non bastavano gli antidolorifici e  il pianto delle protoforme dentro delle culle non sempre accudite dalle loro creatrici. E nel mezzo di quella cornice di disperazione vide svariati decepticon messi altrettanto male dopo aver cercato di combattere contro dei fanatici religiosi imbottiti di droga e mostri di vario genere… riuscendo comunque a mettere in salvo tutte quelle persone.

Capì inoltre che, furia a parte, non poteva biasimare troppo Slipstream per aver cercato di salvare quel poco che rimaneva del loro esercito in quella situazione di crisi. I simboli del loro esercito erano ben visibili sulle ali della femme, segno che non aveva accettato di nasconderli come da regolamento interno della struttura, e questo era un punto a favore suo in quanto Tarn necessitava di decepticon lealisti.

Riluttante, ma conscio che non era il momento di mettersi a guardare il pelo nell’uovo – dopotutto la DJD non trattava mai con i propri bersagli, nonostante lui avesse fatto praticamente quello una volta che si era messo in contatto con Shockwave… ma data la gravità della situazione non poteva fare altrimenti – e notando che Slipstream non perse tempo a massaggiarsi il collo dolorante una volta libera volle fin da subito chiarire il motivo della sua presenza nella stazione medica.

Ancora una volta estrasse il proiettore olografico da uno scomparto segreto del petto mostrando l’immagine del suo obiettivo ad una allibita seeker e, senza mezzi termini, fece le sue domande bruciapelo.

“Questa femme, l’hai vista? Sai dove si trova?!”

Slipstream si ritrovò ad annuire velocemente cercando di riprendere compostezza e non tremare troppo, dopo aver guardato attentamente l’immagine mostratagli dall’inquisitore, mettendo da parte la propria sorpresa e cercando di essere il più esaustiva possibile.

Con il dito indice indicò una stanza separata da quella centrale – c’erano diverse stanzette laterali usate come magazzini di sorta, ora riconvertiti in stanze per i malati gravi – l’unica in cui attualmente mancava la luce e a rischiarare le tenebre c’erano solo delle lampade artigianali.

“S-si… ho visto quella donna, lord Tarn. Ma è conciata davvero male e… signore!”

Per forza di cose il leader degli esecutori non si curò oltre delle parole della seeker – e fino a quel momento aveva messo addirittura da parte anche i suoi stessi compagni malandati ora intenti a rattopparsi al meglio, ma non che potessero fargliene una colpa – camminando velocemente verso la stanza indicata e, una volta superato l’uscio, lasciare che i suoi sensori ottici rossi si adattassero all’ambiente scarsamente illuminato.

Seppur di dimensioni ridotte rispetto alla stanza centrale anche in quella non mancavano pazienti malmessi, quasi tutte donne, ma l’unica di loro che attirò l’interesse di Tarn era rannicchiata su una panca metallica in posizione fetale dandogli completamente le spalle. La corazza bianca e acquamarina dai dettagli dorati, le cui vesti leggere cadevano a terra sporche di chissà quali macchie dopo una fin troppo possibile aggressione subita da parte di quei lunatici del cazzo, lasciavano pochi margini di errore su chi fosse veramente.

Quella era Natah, la compagna dell’ormai defunto lord Megatron, ed oltre la maschera che celava le espressioni facciali di Tarn uno strano sentimento si affacciò in lui. Un sentimento che rasentava la rabbia nei suoi occhi sgranati.

“sei Natah?”

Glielo chiese una volta che raggiunse lentamente la panca in cui la femme si era accomodata, arrivando addirittura ad appoggiare un ginocchio a terra per poterla osservare meglio. I dettagli erano tutti al loro posto, gli stessi che aveva visto nel filmato che lo stesso Megatron aveva voluto che vedesse a tutti i costi, ad eccezione di una brutta ferita al polpaccio destro. Qualcuno, o forse qualcosa, aveva letteralmente lasciato un morso nel metallo candido, tanto da strappare via parte dell’armatura e lasciare una brutta ferita scoperta. I medici avevano fermato l’emorragia, ma essendo in pochi molto probabilmente non avevano tempo di stare dietro anche ad una ragazza con una probabile infezione in corso, visto il modo in cui tremava sottilmente.

“n-no… non sono Natah… mi chiamo… Nova”

La voce della giovane, seppur sottile e fragile a causa della febbre, sembrò voler marcare in maniera decisa le sue false generalità, forse perché preda della febbre oppure per timore di essere scoperta da chiunque poteva volere il suo male. Magari la stessa DJD che, dopo aver concluso con lord Megatron, non vedeva l’ora di fare i conti con chi l’aveva allontanato dallo stesso credo decepticon da lui fondato. Dopotutto loro erano uno dei motivi che l’avevano spinta ad allontanarsi repentinamente da Caminos.

Di questo Tarn non se ne preoccupò, ma mal digerì quella testardaggine e quella maleducazione nel voler continuare a dargli le spalle.

“Menti…”

“no… sono Nova”

Non si sprecò a farle altre domande, era già sufficientemente nervoso da non poter digerire altre menzogne dell’ultima ora, e con un gesto tutt’altro che comprensivo – quasi manesco visto il modo in cui non si preoccupò delle sue condizioni di salute – prendendola di forza per l’avambraccio destro la costrinse a voltarsi verso di lui con uno scatto repentino e dolorosissimo per la sua gamba malandata.

Un singhiozzo carico di dolore fuoriuscì dai denti digrignati, seguita da quelle che potevano essere definite lacrime scenderle da un volto già segnato in precedenza da medesimo liquido, non riuscendo più a nascondersi dagli occhi di un uomo che nel proprio intimo la voleva morta.

Tuttavia fu proprio nella sua vulnerabilità che Tarn vide qualcosa che lo portò a sentire perdere un paio di pulsazioni alla scintilla.

Non fu il simbolo autobot a portarlo a spalancare momentaneamente la bocca – poco più di una spilla, ormai non più nascosta dalle etichette di rito, all’altezza del manubrio dello sterno – ma ciò che c’era più sotto… ossia oltre al “seno” e più precisamente all’altezza di dove poteva trovarsi la bocca dello stomaco. Le bioluci della femme erano di color rosa pallido, forse dovuti alla sua condizione di salute precaria, ma quelle sullo stomaco, tra le piastre della sua armatura, si facevano più scure simili a magenta.

“Vos! Vieni qui!”

Non dovette aspettare molto prima che il suo ufficiale scientifico arrivasse quasi galoppando – giusto in tempo nell’aver rattoppato alla bell’e meglio il compagno Helex – e la stessa espressione stupefatta si materializzò nei suoi occhi rossi nel vedere ciò che pure il lord inquisitore vedeva.

“Scannerizza”

Il tono lapidario di Tarn non ammetteva repliche, tanto che il suo ufficiale scientifico si limitò ad annuire e ad attivare un congegno laser posto nel suo braccio destro. Un fascio di luce rossastro si proiettò sulla figura inerme di una giovane che forse non era molto cosciente di quello che stava accadendo, troppo debole e febbricitante per potersi ribellare, ritirandosi dopo qualche secondo dando modo al suo proprietario di leggere i dati appena acquisiti.

“questa creatrice è ancora in una fase iniziale di creazione della scintilla. Attualmente non si è ancora generata una protoforma al suo interno, ma solo la sua fragile anima… brutto momento questo per diventare madri”

“C’è altro?”

“non vi è sofferenza fetale, ma la giovane ha in corso una infezione batterica dovuta a quell’infausto morso alla gamba. Quegli inutili orpelli che indossa devono averla intralciata nella fuga in quale mo… do”

Le parole arcaiche morirono in bocca allo scienziato decepticon in quanto Tarn non aspettò la fine del suo responso per strapparle via di dosso, e con malagrazia visto il modo in cui la fece sussultare in protesta, i preziosi veli del suo nobile vestiario lasciando al loro posto corti moncherini inutili.

Attualmente nella testa del lord inquisitore – che si apprestò questa volta a raccogliere tra le braccia una femme ferita con una certa delicatezza – vi erano più risposte che domande da quando avevano iniziato quella missione insolita e oltremodo pericolosa. Ecco perché Megatron voleva a tutti i costi che fosse lui a ritrovare la sua compagna; ecco perché la giovane aveva deciso di viaggiare fino in quella stazione medica sotto falso nome; ecco perché il defunto signore dei decepticon stava per abbandonare tutto per una donna che aveva messo volontariamente incinta. E di riflesso, in un moto di angosciosa ansia, capì che oltre alle risposte ci sarebbero stati molti più problemi di quelli che si era prefissato all’inizio… nel grembo di quella femme stava crescendo l’erede di Megatron, e Tarn ancora non era sicuro se sarebbe riuscito a reggere tutto.

Quando poi si avviò verso l’uscita di quella stanza oscura trovò la comandante dei cieli ad attenderlo, ora più consapevole di quello che stava accadendo dentro quel caveau. Pronta ad assumersi le sue colpe vere o presunte che fossero.

“i mortiliani ci hanno attaccato circa ventiquattro ore fa e ci hanno colti di sorpresa… io ho accompagnato qui alla stazione alcuni soldati che necessitavano di cure, ma se avessi saputo fin da subito che questa femme era la vostra compagna, lord inquisitore, avrei predisposto subito una sicurezza maggiore di quella che lei aveva già”

A Tarn – e ai suoi compagni presenti – non mancò di notare fin da subito un equivoco che un tempo sarebbe stato un semplice pretesto per ridere e mettersi in imbarazzo, ma che per questioni prettamente strategiche decise di cogliere a proprio vantaggio la cosa annuendo silenziosamente alla seeker guerriera.

“dell’attacco improvviso non avete colpa, comandante dei cieli… ma capite bene che, non avendo più avuto contatti dalla mia compagna, ho dato priorità assoluta al suo recupero. La scorta che le ho dato non è stata sufficiente, a quanto vedo”

“il suo guardiano l’ha protetta quando quelle bestie ci hanno attaccato qui al secondo piano. È riuscito a liberarla quando l’hanno buttata a terra e morsa, ma poi lo hanno sopraffatto… ho coperto più che potevo la ritirata dei miei uomini e dei pazienti nell’unico rifugio sicuro del piano, ma anche dopo cercare di mandare in avanscoperta delle sentinelle è stato un rischio che mi è costato un paio di scout piuttosto validi”

Al mech era chiaro che quella soldatessa non fosse solo provata per quello che era successo in quella maledetta stazione medica, ma anche il peso di portare con se le insegne di un esercito ormai morto avevano lasciato una ferita che difficilmente si sarebbe rimarginata. Ma a Tarn servivano alleati validi per non vedere tutto il suo mondo spezzarsi in mille frammenti, quindi per quella volta poteva anche passare oltre agli sbagli dell’ufficiale ecepticon.

“comandante, voglio essere onesto: qual è la vostra lealtà al momento?”

Una domanda questa che poteva suonare altamente pericolosa se la risposta data non fosse stata di gradimento del macellaio decepticon, ma per fortuna di Slipstream il suo orgoglio era meno personale del fratello e più rivolto a quello che ormai da secoli la femme definiva la sua famiglia.

“con o senza Megatron la mia fedeltà alla causa decepticons non può essere messa in discussione, signore. Sono pronta a prendermi le mie responsabilità”

Postura rigida e mento alto, pugni stretti e sguardo fiero di chi ancora aveva degli ideali seppur il mondo intero era comunque crollato sulle loro schiene. Il signore della DJD decretò che di quella femme poteva ancora fidarsi.

“molto bene allora. Vi comunico già che il mio team ha appena cominciato l’offensiva contro i mortiliani riattivando quelle difese che prima erano state disabilitate… nel mentre vi consiglio di chiamare i soccorsi, noi purtroppo dobbiamo allontanarci il prima possibile”

“sarà lei a guidarci, ora?”

La domanda della seeker arrivò decisamente inaspettata. Tarn aveva sempre visto nella disciplina decepticon una via di fuga da una vita che non gli aveva mai offerto nulla se non umiliazioni e sofferenza. Una dottrina creata da un uomo che veniva dal basso, che parlava a coloro che venivano anche loro dal basso e non guardava comunque in generale al ceto sociale o alla casta a cui appartenevi. Che tu fossi di nobili natali o un uotlier appena menomato dal senato stesso non aveva importanza.

Quelle regole lo avevano riportato alla vita, gli avevano dato uno scopo cambiandogli completamente il pensiero chiuso e individualista che aveva, credendoci a tal punto da aver completamente sposato il lavoro che Megatron gli aveva affidato secoli addietro. Una pedina perfetta a sua insaputa, un discepolo ideale a cui affidare un ultimo incarico prima di morire… ma non il capo che tutti si potevano aspettare.

Aveva un buon rapporto con i suoi uomini certo – a cui aveva impartito regole precise che prima del suo arrivo decisamente mancavano, rendendo la DJD gli esecutori che erano ora piuttosto che i razziatori conosciuti prima – ma sapeva di non avere il carisma e la leadership che aveva Megatron prima che decidesse di mollare tutto per la femme che ora teneva tra le braccia.

La posta in gioco era molto alta, diviso tra il seguire le regole e ciò che gli aveva ordinato il suo defunto signore, ma il timore di vedere perdere tutto ciò in cui aveva creduto fino a quel momento lo stava portando ad agire su binari insoliti e pericolosi. Doveva elaborare un piano per il futuro a lungo termine, altrimenti rischiava che, dal morente esercito decepticons, fosse un individuo nella loro lista a prendere le redini di tutto ciò che era sacro per lui.

“avrete notizie sul da farsi nelle prossime settimane, Slipstream… per il momento avete l’ordine di tenere i ranghi serrati e di punire i disertori. Posso assicurarvi che il credo decepticon non morirà con Megatron”

Anche perché al momento doveva preoccuparsi ad uscire sano e salvo da quell’ambiente il prima possibile, quindi tutto il resto poteva venire anche dopo che aveva messo una Natah malmessa al sicuro…

 

 

Alla fine ce l’ho fatta a sbloccarmi! Purtroppo però ho trovato idoneo tagliare anche questo capitolo. La conclusione di questa rocambolesca fuga si vedrà nel prossimo ;)

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Capitolo 5
*** una scintilla chiamata speranza ***


Aveva la scheda medica della ragazza sotto il naso. L’avevano tutti ad essere onesti.

Per ottenerla Kaon aveva smanettato parecchio al computer in contemporanea con il suo lavoro di riattivare le difese della struttura e ordinare ai droidi di sicurezza – dei transformers senza anima ma dall’alto potenziale bellico – di fare piazza pulita di qualunque ostile che avesse un aspetto vagamente ferale e putrido, attivando anche le torrette da remoto affinché coprissero la fuga del resto della squadra nel caso avessero deciso di lasciare il caveau. Sparkeater compresi oltre a fanatici religiosi disgustosi, nel caso ne fossero rimasti altri oltre quello buttato giù dai suoi compagni.

Ma oltre quello aveva finalmente avuto modo di hakerare come si deve il server medico, scoprendo più per sfizio proprio il motivo del perché la giovane si fosse recata in un luogo così poco raccomandabile. La sicurezza interna per mantenere l’anonimato degli ospiti era formidabile, ma nulla a confronto a quello che poteva fare lui.

“una serie di visite prenatali di controllo e una operazione chirurgica per il cambio della scatola vocale più qualche altro ritocchino minore…” Kaon pronunciò quelle parole con tono serio, nel mentre che scrollava sullo schermo i dati riguardanti la femme “sapeva già che le eravamo addosso e ha pensato di rendersi irreperibile. La ragazza non è stupida, ha cambiato persino il suo nome da Natah a Nova… ma perché non cercare la protezione di papino?”

“forse pensava che non sarebbe stato capace di proteggerla da noi oppure il senatore non sa che sua figlia ha uno sformato di energon in forno… e sono propenso a pensare la seconda”

“non ti sembra di essere un po’ troppo pessimista, Tess?”

“per esperienza personale so che di certi genitori proprio non ci si può fidare. Sfondati di soldi o meno”

Tralasciando la conversazione tra Tesarus e Kaon c’era effettivamente parlando un’ombra scura in tutta quella faccenda. Per quel che Nickel poteva saperne – e questo per bocca di Tarn – il senatore Attilus non le aveva dato l’impressione che fosse una così cattiva persona per volere a tutti i costi che la guerra civile volgesse al termine. Ma c’era anche da dire che la minicon era l’ultima arrivata in quella banda di macellai legalizzati, precisamente da quando la DJD non l’aveva salvata dalle macerie liquefatte del suo pianeta distrutto, quindi il suo parere poteva effettivamente risultare un po’ ingenuo.

La vita su Prion – un pianeta/colonia popolato da soli minicon neutrali – era sempre trascorsa pacifica all’insegna della quotidianità fatta di piccole cose e dalle feste di paese che spesso coinvolgevano l’intera popolazione di quel planetoide disperso nello spazio. Quella era la sua vita, così semplice che alle volte le sembrava pure noiosa, trovando però un punto di rottura quando ad alcuni organici – la Black Block Consortia, associazione commerciale ostile alle forme di vita tecnorganiche – non era andata a genio che quei piccoletti vivessero a pochi quadranti stellari da loro e dai loro affari tutt’altro che limpidi. Sterminandoli in massa con un attacco dal cielo dalle loro navi militari.

Il fuoco bruciò e ridusse a metallo liquido l’intera colonia compresi i suoi familiari e i suoi amici, ridotta a scampare a quella tragedia abnorme nascondendosi come un ratto preda del terrore più cieco e venendo trovata quasi per caso dagli inquisitori decepticon tra quelle rovine fumanti e contorte. Colma di rabbia e disperazione, ma viva e cinica quel che basta per affrontare quella nuova vita che le si parava davanti, accettò la mano tesa dei suoi salvatori.

Ma la DJD non era il senatore Atilius. Non avevano la parvenza benevola di chi voleva la pace sopra una guerra combattuta ormai da generazioni incalcolabili… ma ciononostante l’avevano salvata e presa a bordo come una di loro, ricambiando la loro generosità abbracciato quel credo per cui Tarn avrebbe dato persino la vita.

Quindi si, nonostante la lieve ingenuità che ancora poteva portarsi dietro Nickel era ormai abbastanza saggia da sapere che le apparenze ingannano. Pertanto poteva essere che oltre quel volto onesto si celasse un padre autoritario che mal avrebbe digerito una simile insubordinazione dalla figlia.

“temeva per la vita del suo piccolo… ma se neppure Tarn era a conoscenza di questo dettaglio forse non lo sa nessuno”

Quello di Nickel era più un pensiero ad alta voce, nel mentre che guardava gli schemi olografici con i dati della ragazza, pensando a quanto fosse ora miserabile la vita di Natah. Da amante di uno degli uomini più potenti di cybertron a reietta braccata da chi non vedeva di buon occhio la sua vita e quello del futuro erede di Megatron. Per alcuni poteva essere considerata come l’artefice della fine di una guerra generazionale, per altri come la piaga che aveva distrutto i sogni e le certezze di un intero popolo. Il piano post mortem di Megatron era così delicato e così complesso da rasentare la genialità più assoluta… perché se Tarn fosse stato meno lealista nei suoi confronti, anche da morto, probabilmente a quest’ora avrebbero avuto due cadaveri per le mani.

Era triste come pensiero, e personalmente la minicon avrebbe preferito che non si arrivasse a tanto – perché se aveva agito prontamente nei riguardi del suo leader, impedendogli di farsi del male, era ugualmente probabile che non avrebbe retto ad un infanticidio comportandosi di conseguenza. Per quanto potesse passare con indifferenza sul lavoro dei suoi compagni di squadra, andava detto, anche lei aveva i suoi limiti morali.

“non siamo qui per la sua sparkling” fece laconico Tess, scrollando le spalle con indifferenza “e comunque… acc-! Eccoli che arrivano!!”

La sua presa di posizione nella console delle torrette esterne si fece immediatamente sentire quando dalle telecamere di sorveglianza non apparve una vera e propria mandria urlante che stava attraversando il ponte di attracco su cui era parcheggiata la Paceful Tyranny.

Evidentemente le difese attivate da Kaon stavano portando scompiglio nei ranghi dei mortiliani e volevano farla pagare a quei nuovi invasori, oppure erano talmente pazzi da volersi comunque aggrappare all’unica nave presente in porto nella speranza di non finire trucidati dai robot guardiani precedentemente disattivati. Quale che fosse il reale motivo di quella mandria non aveva importanza, Tesarus aveva già iniziato a premere il grilletto delle mitragliatrici deciso a fare a pezzi quei bastardi nel senso letterale del termine.

Il breve tempo per le chiacchiere era ormai finito.

 

[…]

 

Gli ululati degli invasori arrivavano fin dentro la spessa porta del caveau come un suono ovattato partorito da profondità marine innominabili. Alcuni colpi di pugni parvero palesarsi ai recettori uditivi di Tarn, ma potevano anche trattarsi di colpi di cannone sparati dai droni di sicurezza e quelle grida erano il risultato di una pulizia senza precedenti all’interno della struttura.

Per il leader della DJD e i suoi compagni comunque, era chiaro che il tempo da trascorrere dentro quell’ospedale improvvisato era ormai arrivato alla fine. La comunicazione con Kaon non aveva lasciato dubbi a riguardo, e se non volevano che pure la loro nave finisse in mano a quei lunatici dei mortiliani era il caso di darsi una mossa.

“siete sicuro di non voler aspettare che i robot di sicurezza facciano piazza pulita? Sarebbe più sicuro per voi e la vostra compagna”

I dubbi di Slipstream erano in fin dei conti legittimi, la donna tra le braccia del lord inquisitore era in stato di semi incoscienza mentre per quello più grosso del gruppo erano state fatte delle riparazioni lampo, ma Tarn fino a quel momento non aveva smesso di fissare quella spessa porta blindata su cui ci si era accanito neanche mezz’ora prima.

“purtroppo non possiamo trattenerci a lungo. Preferisco che la mia compagna sia seguita dallo staff medico della mia nave, ed oltre a ciò i problemi sono ampi al di sotto della punta dell’iceberg…”

Come a dire che l’inquisitore aveva ben altre grane a cui pensare che attendere ancora e rischiare di vedere la propria donna morirgli tra le braccia nello stesso modo in cui rischiava di fare l’intero esercito decepticons. Questo la seeker poteva ben capirlo, tanto da annuirgli comprensiva seppur con un velo di preoccupazione non indifferente.

Slipstream aveva notato qualcosa di simile ad una spilla autobot sul petto della femme malata – semi nascosto da una etichetta ormai lacerata dagli eventi violenti – e di questo parve accorgersene lo stesso Tarn notando quello sguardo fugace e repentino, volgendo anche lui una rapida occhiata al corpo della donna inerme.

“vi chiedo discrezione, comandante dei cieli. Gradirei inoltre che non si parlasse troppo di questo episodio”

“sono… faccende personali. Posso capirlo, signore” fece repentinamente lei, alzando lievemente le braccia “non siete il primo decepticon ad avere… una compagna autobot. Questi sono interessi che non mi competono”

Non era preoccupata della perdita di fedeltà da parte del leader della DJD – anche se persino Megatron sembrava essere immune al tradimento, cosa che poi non si è rivelato come tale, ma Tarn non le appariva così vecchio da avere simili episodi di demenza – ma era a conoscenza che tra ufficiali decepticon e tra i guerrieri più forti ci fosse l’abitudine di tenersi dei prigionieri di guerra come animali domestici. In particolar modo le femme, ridotte in schiavitù e costrette a sopportare ogni capriccio del loro nuovo signore, e forse era ciò che era successo a quella bella ragazza tra le braccia del mech mascherato.

Una pratica che non le piaceva affatto, era pur sempre di donne che si parlava, ma era una guerra quella che stavano vivendo sulla loro armatura… e gli uomini che la combattevano volevano rivendicare il loro premio dopo aver rischiato la vita in battaglia.

“Helex, te la senti di proseguire?”

Voltando completamente lo sguardo verso la disordinata sala piena di pazienti Tarn dette una occhiata al proprio demolitore intento a saggiare le riparazioni provvisorie che gli erano state fatte. Il gigante mosse le braccia massaggiandosi le spalle, ed anche se il suo sguardo tradiva un certo scetticismo volle comunque accontentare il proprio leader.

“le riparazioni sono meglio di niente, ma posso ancora spaccare crani! Dimmi solo quando”

Tarn annuì nei confronti del proprio sottoposto ben vedendo che almeno l’umore non era così basso dopo l’umiliante batosta subita – almeno per lui, ma in fin dei conti gli spazi stretti erano un ambiente di combattimento che non si addicevano per quelli che, come il demolitore decepticon, avevano bisogno di spazio di manovra.

Per la fuga da quel posto si erano già accordati poco prima, ed approfittare comunque del disordine provocato dalle forze di sicurezza poteva sicuramente risultare un azzardo se non si era ben preparati. Perché un animale feroce era pericoloso, ma un animale feroce per giunta ferito – come lo erano ora i seguaci di Mortilus – poteva essere anche peggio in fatto di imprevedibilità.

Quando i rumori inquietanti cessarono al di là del caveau, lasciando solo un ancor più sinistro silenzio, Slipstream aprì la grande porta di metallo sotto la supervisione di alcuni suoi soldati pronti a sparare in caso di pericolo. Il primo che sgusciò via rapido nel corridoio fu il longilineo Vos, che tosto puntò il proprio fucile in ogni direzione possibile per garantire la situazione esterna, prima di dare segnale al resto della compagnia che il corridoio principale era libero.

E nel mentre che l’ufficiale scientifico avanzava quatto e guardingo lungo il corridoio – mandando avanti la canna del fucile negli angoli ora non più in ombra aspettandosi agguati di ogni genere – il colosso ferito lo seguì lentamente lasciando comunque una certa distanza di sicurezza che permettesse a entrambi la fuga. In caso di pericolo Vos avrebbe fatto da esca, così da permettere una fuga sicura per Helex e Tarn se mai le cose fossero nuovamente precipitate non permettendo ai suoi due alleati più “fragili” di andarsene da lì, lasciando che i mortiliani lo seguissero così come l’ignaro pesce segue la lanterna di una rana pescatrice.

Ma da come era ridotto il corridoio principale, e qui fin da subito i due esecutori se ne accorsero subito non riuscendo a nascondere una smorfia in volto, il grosso del lavoro dovevano averlo fatto le unità di sicurezza della stazione medica.

Fu solo quando i suoi due colleghi si allontanarono dalla luce barcollante dei neon che Tarn – con il suo gravoso fardello tra le braccia – si decise ad uscire con fare guardingo in un grande corridoio rivestito da segni di bruciature laser e rottami di aggressori ormai offline.

“Vi auguro buona fortuna, lord inquisitore” disse per l’ultima volta Slipstream, prima di tornare a chiudere il pesante portone circolare “spero di avere presto vostre notizie!”

Li per lì il signore della DJD si limitò ad annuirle un’ultima volta prima di alzare i tacchi ed andarsene, appuntandosi mentalmente quelle parole per il futuro a venire. Avrebbe dovuto eccome contattarla il prima possibile una volta rientrati nella Paceful Tyranny, e non solo lei, per fare il punto della situazione e procurarsi così una lista di candidati possibili a coprire il ruolo di leader. Lui non ne aveva la stoffa su questo – e in fin dei conti neppure si vergognava di ammetterlo a se stesso – ma ora che aveva la compagna dell’ormai defunto lord Megatron tra le braccia c’erano troppe carte in tavola per poter ignorare un compito così gravoso. Forse c’era ancora speranza di non vedersi il mondo crollare addosso, dopotutto…

“Vos, come procede?”

“le scale si sono dimostrate libere fino al primo piano, poi una mandria di gente in fuga mi ha costretto a virare per un giro panoramico. Mi sono alle calcagna con una veemenza inaudita, ma perlomeno Helex ha ora via libera”

Interruppe quella cupa linea di pensieri nefasti quando si decise di contattare il proprio ufficiale scientifico via comm-link e, senza battere ciglio, constatò che il piano che avevano ideato stava funzionando discretamente. Magari Helex non era propriamente contento di tornare alla nave con la coda fra le gambe senza prima aver masticato qualche testa con le proprie poderose mani – perché mai avrebbe svitato quei crani lerci a morsi – ma attualmente era più affidabile l’agilità di Vos che ben sapeva quello che stava facendo. Mentre dal canto suo Tarn avrebbe preso uno dei due ascensori presenti vicino all’entrata degli ambulatori del day hospital.

Lui, ancor meno dei suoi alleati, era decisamente impossibilitato a mettersi a correre per le corsie con il rischio di mettere in pericolo il proprio carico – senza contare che i danni lasciati dai droni guardiani erano piuttosto ingenti, tra fori nei muri e cadaveri affumicati lungo tutto il pavimento – per cui l’utilizzo degli elevatori tornati nuovamente in funzione gli avrebbe consentito una via di fuga più veloce verso la nave che ancora attendeva al porto.

“Mh… dove… sono?”

“Shh… va tutto bene. Sei al sicuro, adesso”

Le sussurrò quasi distrattamente quelle parole, pur non usando il proprio potere per calmarla, non appena segni di lucidità tornarono a farsi sentire nella febbricitante Natah. Sapeva che non era neppure in grado di ribellarsi fisicamente, non con quella gamba messa davvero male, ma nel mentre che ordinava alla tastiera di comando dell’ascensore di portarlo al piano terra volle ribadire quel concetto ad una ragazza dalla espressione stranita.

“non siamo venuti qui per terminarti, era volontà di Megatron metterti al sicuro per… hm?!”

Dovette fermarsi con le proprie delucidazioni – ad una ben sorpresa fanciulla che sgranò gli occhi con più lucidità sentendo il nome del proprio defunto compagno – quando da sopra la sua testa non giunse un suono piuttosto preoccupante. Nel mentre che l’ascensore stava placidamente scendendo verso il pian terreno non aveva avuto impressioni negative sulle condizioni della cabina, rimasta intatta dalle violenze dei mortiliani, ma ciò che lo rese sospettoso furono degli strani stridii sopra la sua testa.

In principio gli parve come di sentire una porta metallica aprirsi con forza, giusto un piano sopra la sua testa come se qualcuno avesse divelto con poca grazia la porta che dava alla tromba dell’ascensore, per poi sentire un tonfo sordo sopra di lui – così potente da far traballare le luci al neon della cabina e allarmando persino la povera Natah nonostante la sua condizione fisica precaria – che lo portò a piegare momentaneamente le ginocchia in una risposta istintiva.

“Cosa succed-Naahrgg!!

Non ebbe il tempo di dire altro. Non fu in grado di alzare il proprio cannone per potersi difendere da un attacco repentino e vigliacco.

Quello che prima era un rumore secco e violento – come di qualcosa di pesante che cadeva sul soffitto in metallo della cabina dell’elevatore – si trasformò in una mano artigliata che andò a squarciare lo spesso metallo del soffitto come se fosse stato fatto di carta velina.

L’attacco fu così veloce da cogliere impreparato lo stesso esecutore dalle mani impegnate, portandolo a non riuscire a reagire prontamente quando quelle dita uncinate lo colpirono di striscio alla testa – portandogli via in principio l’iconica maschera con uno strappo violento – e completando la loro corsa manesca contro la sua spalla destra.

L’urlo che gli uscì dalla gola fu carico di rabbia e dolore per un attacco che andò fino in fondo alla sua armatura – che quasi sfiorò la testa della femme che teneva tra le braccia portandola a sua volta a strillare terrorizzata – scavando come un coltello in un barattolo di marmellata oltre le giunture metalliche spezzandogliele di netto e quasi troncandogli il braccio destro. Quello a cui aveva fissato i suoi doppi cannoni a fusione.

La presa su Natah venne a mancargli, cadendo a terra in ginocchio e stringendo i denti dal dolore mentre la ragazza andava a sbattere contro il pavimento ora sporco di energon caldo. E proprio parlando di lei il dolore che provava alla gamba, in aggiunta ad una febbre molto alta, passarono in secondo piano quando i suoi sensori ottici azzurri videro l’orrore che si stava consumando. Incrociando senza volerlo gli stessi occhi sgranati dell’inquisitore.

In quel momento, nonostante la vista gli si annebbiò per un momento, Tarn capì che il suo povero braccio era ancora collegato al suo busto tramite dei tendini e dei cavi sensoriali – che gli permettevano solo di muovere un po’ le dita ma non di sollevare un braccio percorso da scintille di circuiti spezzati – e cosa ben peggiore non volle credere ai suoi stessi occhi quando realizzò chi li aveva appena aggrediti.

Il volto ora nudo dell’inquisitore poteva dare ben mostra delle emozioni che gli stavano attraversando la scintilla, per suo sommo malgrado, ma nulla era in confronto al volto grottesco che li stava osservando da oltre lo squarcio nel metallo sopra le loro teste.

“Io non… non posso CREDERCI!!”

Per somma frustrazione di Tarn a quanto pare lo sparkeater era sopravvissuto all’attacco congiunto della DJD e, purtroppo per lui, non si trattava di un brutto scherzo dettato dal troppo nucleon che magari si era iniettato prima della missione.

Poteva solo immaginarlo com’era andata a finire con il precedente scontro, dato il modo in cui agitava l’unico braccio buono e le fruste uncinate – quelle restanti – stavano cercando di farsi largo nello squarcio appena aperto, poteva solo aver usato quegli stessi strumenti di morte per risalire dall’abisso in cui era stato scagliato.

Intuì che quel bastardo dall’espressione assente era comunque capace di sentimenti di vendetta per essersi messo sulle loro tracce fiutando il loro odore e calarsi fin nella tromba dell’ascensore pur di dare la caccia a dalle prede mancate. Le sue urla strazianti e grottesche non si sarebbero fermate fino a che non fosse finalmente riuscito ad addentare le loro scintille per colmare una solitudine infinita e incolmabile, ed anche dopo una loro probabile morte non si sarebbe mai fermato. Una blasfemia vivente che Tarn cercava di tenere a freno con l’unico braccio ancora buono, bloccando la fiera all’altezza dello sterno ben consapevole che rischiava di perdere anche quello se non avesse formulato una strategia vincente in fretta.

Ciò che non si aspettò invece era l’improvvisa collaborazione di un soggetto che avrebbe dovuto difendere a costo della propria vita. Natah, pur sconvolta da ciò che stava accadendo, fu comunque abbastanza lucida da capire cosa andava fatto se volevano avere una possibilità di uscita da lì.

La porta dell’ascensore stentava ancora ad aprirsi, forse a causa dell’eccesivo peso raggiunto con quell’orrenda creatura sopra di loro, ma l’unica cosa certa era che doveva salvarsi – lei e il suo piccolo – attraverso l’aiuto di un soldato che la implorava con lo sguardo di alzare il braccio ferito verso lo sparkeater.

A fatica, sentendo le lacrime scenderle dal dolore nel sentire la gamba destra andarle praticamente in fiamme nonostante fosse anche lei inginocchiata a terra come il soldato decepticon, prese con ambo le braccia il possente braccio ferito del mech e lo indirizzò verso un bersaglio che non andava assolutamente mancato. Sebbene Tarn riuscisse a stento a muovere le dita il sistema di fuoco era ancora attivo nei suoi cannoni a fusione, e sperò che l’unico colpo rimastogli non mancasse quel bersaglio che rischiava di amputargli anche l’unico arto superiore sano rimasto da un momento all’altro.

“alzalo di più… bene! Tienilo fermo e… reggiti!”

Quel giorno nessuna vendetta si sarebbe consumata. Nessuna follia avrebbe visto altra luce da due orbite che ormai avevano perso entrambi i sensori ottici.

Se mai lo sparkeater avesse avuto un pensiero lucido quel giorno avrebbe sicuramente riguardato una luce potente come quella di un sole e altrettanto bollente  investirlo e sciogliergli completamente la faccia con un’unica, sola, carica di fucile a fusione. Un grido strozzato e metallico gli fuoriuscì dalla scatola vocale danneggiata nel mentre che quella doppia fiammata radioattiva sciolse i suoi tratti facciali e l’endoscheletro interno rendendolo metallo fuso, liquido proprio come il mercurio, con una potenza tale che il rinculo letteralmente fece sbalzare via la povera femme che con un grido andò a picchiare la testa contro il pannello di controllo dell’ascensore. Aprendo così una porta che fino a quel momento non ne voleva sentire di aprirsi.

Natah perse i sensi sul colpo, accasciandosi al suolo a peso morto come una bambola inanimata, mentre Tarn – sopprimendo imprecazioni colorite e folli – si prese un momento di pausa per riacquistare una lucidità che a breve se ne sarebbe andata così come la definitiva morte del mostro che li aveva perseguitati fino a quel momento.

“Nhh… non finirà così. Non lo permetterò”

Cercando a tastoni la propria maschera in quel pavimento ora recante i segni di una lotta disperata – e i pezzi di una belva ormai priva di vita che dondolava mollemente dal soffitto – il soldato decepticon riuscì finalmente ad indossare nuovamente il proprio orgoglio, sebbene sporca di liquidi innominabili, ed infine a raccattare da terra una fanciulla inerme.

Se la issò sulla spalla buona come se fosse stato un tappeto arrotolato, non curandosi al momento delle sue reali condizioni fisiche, perché gli era ben chiaro che finalmente erano giunti al piano terra visto l’assembramento di mortiliani che correvano verso l’unica fonte di possibile salvezza per loro. Ignorando quei due disperati appena usciti traballanti e sporchi da un ascensore inutilizzabile.

I folli adepti di una religione lugubre si stavano accalcando verso l’uscita della grande hall di ingresso – le cui porta scorrevoli in vetro erano ormai in frantumi – in direzione di un incrociatore poco disposto a dar loro diritto di asilo.

Già da dove si trovava Tarn poteva sentire le mitragliatrici della Paceful Tyranny spezzare il silenzio del vuoto siderale con raffiche mirate a falciare l’avanzata di quei folli, e se anche lui non voleva perdere il “treno” era il caso che si mettesse in marcia. Braccio a parte le gambe gli funzionavano ancora.

“Kaon… Kaon! Mi senti?! Aprite il portellone di carico della nave! Dì a Nickel di predisporre subito l’infermeria, abbiamo una emergenza qui!”

“affermativo! Helex è arrivato poco fa ma di Vos…”

“non preoccuparti di lui! Muoviti! Ora!!”

Avrebbe voluto ben aggiungere che il suo ufficiale scientifico sapeva bene cosa fare, ma ora doveva letteralmente fare lo slalom tra dei fanatici religiosi che ogni due per tre cercavano di aggredirlo. E a cui lui rispondeva con poderosi calci ogni qual volta cercavano di rallentare la sua corsa, nonostante questo lo stesse portando a perdere sempre più energon dalle brutte ferite esposte. L’unica nota positiva era che, chiunque dei suoi uomini stesse manovrando le torrette, gli stava facendo un enorme favore con il fuoco di copertura.

 

[…]

 

Neppure dieci minuti prima del disperato appello del leader della DJD l’infermeria dell’incrociatore decepticon era già occupata da un demolitore tanto massiccio quanto malandato.

Helex era riuscito a raggiungere la nave prima che l’effettiva calca di mortiliani si facesse sentire nella hall di ingresso alla struttura e, nonostante le ferite in parte riparate all’interno dell’ospedale, c’era ancora parecchio lavoro da fare per la piccola dottoressa di squadra.

“ancora trovo incredibile che quei pazzi abbiano introdotto uno sparkeater nella struttura…” borbottò la minicon, usando la propria saldatrice per sistemare le giunture parzialmente saldate di Helex “ma quello che mi preoccupa è che Tarn e Vos che sono ancora lì dentro con-nonna! Smettila di imboccare il mio paziente! Sono nel pieno di una riparazione!”

Come se la situazione non fosse già assurda di suo l’anziana ciclope aveva seguito Nickel fino in infermeria con un vassoio pieno di fumanti “muffin” azzurri e insolitamente luminosi, ed ora era intenta a metterne diversi in bocca ad un Helex tutt’altro che recalcitrante a quella generosa offerta.

“Ho biFogno di nutrimento!” fece lui, con la bocca piena “tutto quel movimento mi ha messo una fame enorme… urgh! Che succede ora?!”

A destare tutti all’interno dell’ambulatorio furono delle sirene di allarme che iniziarono a propagarsi pesantemente per tutto l’incrociatore, e ciò poteva accadere solo quando i sensori interni riconoscevano l’ingresso di personale non autorizzato a bordo della Paceful Tyranny. I casi quindi erano due: o il sistema non aveva riconosciuto Natah, cosa plausibile se Tarn era rientrato a bordo; oppure alcuni di quei viscidi tossici aveva fatto in qualche modo breccia nello scafo in cerca di probabili rogne.

E proprio nel momento in cui il trio stava cercando di formulare l’ipotesi più plausibile un Kaon selvatico si palesò correndo lungo tutto il corridoio presente al di fuori delle finestre dell’infermeria, con un impeto tale che a breve sarebbe scomparso dai loro sensori ottici.

“Kaon! Che succede ora?!”

La piccola dottoressa dovette alzare la voce in modo preoccupato per farsi sentire dal tecnico privo di sensori ottici, ma per sua fortuna questi aveva i recettori uditivi ben funzionati.

“si tratta di Tarn! È a bordo! Io vado ad acchiappare Vos!”

Dette quelle parole frettolose, quasi inciampando nell’atto di dare retta a Nickel, sparì oltre l’angolo decretando che forse era arrivato il momento di fare spazio in infermeria.

 

[…]

 

“a questo giro neanche una pugnetta prima di dormire mi rilasserà… proprio no!”

La frase che gli uscì a denti stretti nel mentre che continuava a correre in un corridoio illuminato dalle luci intermittenti di allarme era nata più per smaltire lo stress in corso che per effettiva realtà, in quanto era risaputo che, sotto stress, era solito parlare senza freni di cose anche scabrose. Per quanto, comunque, non si allontanasse molto da ciò che accadeva realmente nelle sue stanze private.

Se Tess al momento era impegnato a manovrare le torrette garantendo a fatica copertura al loro leader, e continuando a martoriare i mortiliani che cercavano di assaltare la nave lanciandosi dalla struttura medica con balzi nel vuoto siderale, ora che la nave stava iniziando a sollevarsi da terra grazie al pilota automatico c’era dell’altro lavoro da fare. E purtroppo lui era l’unico che poteva schiodarsi dai propri pannelli per adempiere al dovere che chiamava.

Kaon non era capace di comprendere l’arcaico linguaggio di Vos – l’unico capace di farlo era Tarn – ma quantomeno lo scienziato decepticon fu abbastanza accorto di attivare su se stesso un localizzatore che ne segnalasse la presenza in movimento, con la speranza che qualcuno nella sala di controllo si accorgesse di lui. E attualmente l’allampanato soldato si stava avviando verso quella che era una lunga gru di carico che dava verso il vuoto siderale.

“Andiamo… forza! Apriti!!”

Dopo essersi arrampicato su per la scaletta di servizio che dava all’esterno dell’incrociatore, e usata principalmente per la manutenzione delle antenne radio, si dannò per aprire il portellone circolare sopra di lui. Faticando nel far girare la manopola di sicurezza, decisamente poco oliata.

“Ah… ahahah! Ce l’ho fatta!”

Con una risata idiota il tecnico della DJD riuscì ad aprire un portellone che necessitava di una bella manutenzione, avvertendo il gelo del cosmo senza stelle investirlo una volta che uscì fuori dalla botola per metà del corpo. La sua prontezza di spirito comunque venne ripagata, vedendo l’ufficiale scientifico correre per tutta la gru di carico inseguito da una folla inferocita di pazzi bastardi.

“mi raccomando…” sussurrò Kaon tra se e sè, allargando le braccia “cerca di non mancare il bersaglio, perché non avrai una seconda possibilità”

Si riferiva al fatto che, prima di correre forsennatamente verso la coperta della nave, aveva attivato il pilota automatico senza possibilità di rallentamenti di alcun tipo. Ed ora che la nave si era staccata dal ponte di attracco stava eseguendo la sua lenta manovra che l’avrebbe portata poi a effettuare un salto nell’iperspazio.

Vos si era attardato il più possibile per permettere ai suoi alleati di fuggire da lì, e se avesse saputo dello sparkeater superstite probabilmente avrebbe adottato una strategia differente, e dopo aver corso per il dedalo di vie fino a giungere al quinto piano della struttura aveva accumulato dietro di se una mandria non indifferente di soggetti guidati unicamente dall’istinto di sopravvivenza.

Egli stesso dovette constatare che il suo piano di fuga non sarebbe durato a lungo. Le munizioni stavano iniziando a scarseggiare nel suo fucile e la stamina in corpo cominciava a calare, dunque ecco che aveva optato per la via del… suicidio.

Quello dei mortiliani, non certo il suo. Sfondando a fucilate un finestrone del quinto piano e lanciandosi sulla gru precedentemente vista già dalle finestre del piano inferiore, gli fu facile incanalare quella mandria inferocita in una strada verso la morte.

La sua strategia non fermò i folli urlanti dal seguirlo anche all’esterno, sebbene alcuni di loro caddero di sotto nel tentativo di raggiungerlo, sollevato comunque di intravedere la Paceful Tyranny… un po’ troppo lontana dall’essere raggiunta da un balzo.

“A mali estremi…”

Disse quelle poche, arcaiche, parole con un sospiro rassegnato. Ben sapendo che l’unico modo per sfuggire all’orda selvaggia che lo stava raggiungendo era quello di sfruttare il proprio fucile come asta da lancio. E non in senso propriamente letterale.

Se oltre la maschera Vos avesse avuto un volto probabilmente la sua espressione facciale sarebbe stata così tirata da spezzare persino le fibre facciali, perché ciò che stava per fare rischiava di spedirlo nel vuoto siderale se il colpo del suo fucile non fosse stato adeguatamente caricato.

Quando la carica del fucile da combattimento raggiunse quasi il suo limite, in un ipotetico 86% se la sua arma avesse avuto un dispaly digitale, smise di correre verso la fine della piattaforma e si voltò verso i suoi inseguitori senza anima. Non necessitò di prendere la mira in modo adeguato, i mortiliani erano a neanche a tre metri da lui, gli bastò semplicemente sparare ai piedi di quei drogati per darsi una spinta con il rinculo di notevole portata. Portando i suoi aggressori a urlare esterrefatti o doloranti nel caso si fossero trovati in prima fila e si fossero ritrovati gambizzati da quella cannonata non indifferente.

Il colpo produsse un boato incredibile che, però, si attutì nel vuoto cosmico come se fosse stato sparato nelle profondità marine di un oceano alieno. E nonostante la poca teatralità del suono la fiammata che produsse fu così accecante e potente da far sbalzare in aria l’esile corpo dello scienziato decepticon.

Vos finì letteralmente a gambe all’aria, sopprimendo un grugnito di dolore a causa dell’eccessivo rinculo, ma dopo una decina di metri finì esattamente dove si era prefissato di arrivare. Mai come in quel giorno fu così felice di rotolare dolorosamente lungo tutta la prua dell’incrociatore della DJD sbattendo più volte il fondo schiena e la nuca, e mai fu più felice di sentire le braccia di Kaon acchiapparlo per la vita – seppur in modo goffo e scoordinato, arrivando a passargli un braccio sotto il cavallo – non appena il collega fu in linea di tiro.

“come si dice in questi casi? Preso al volo? Eheheh!”

Lo scienziato decise di non rispondere a quella battuta penosa del cieco tecnico, limitandosi a passarsi una mano sulla fronte in segno di frustrazione seppur grato che finalmente tutta quella fastidiosa faccenda fosse giunta al capolinea.

 

[…]

 

Il suono della sirena d’allarme continuava a martellare nei suoi recettori uditivi divenuti ormai iper sensibili a qualsiasi suono o rumore molesto, rendendo sempre più difficile per lui concentrarsi nel percorrere una strada ormai nota. La perdita di energon era stata ingente dalla ferita che quel mostro malefico gli aveva procurato, causandogli per questo anche difficoltà visive dove tutto si riduceva a sfumature di luce sfocate e contorni non ben definiti di angoli e pareti. Ove le luci di sicurezza ambrate lampeggiavano rischiarando quelle porzioni di corridoio immerse nell’oscurità, contorcendosi in modo innaturale come le ombre maligne quali non erano.

“State zitte… maledizione!”

Eppure la presa sulla ragazza ancora inerme non l’aveva persa, nonostante continuasse ad avanzare a denti stretti verso quella che era l’infermeria della sua nave, deciso a portarla in salvo anche a costo di vedersi il braccio cadergli per strada. Ignorando un dolore che lo stava facendo patire in silenzio, quasi sudando freddo se fosse stato un organico, arrivando finalmente alla tanto agognata meta.

Trascinando gli stanchi piedi, lasciando alle spalle impronte sporche dei propri fluidi corporei, entrò di prepotenza nell’ambulatorio con le ultime forze rimastegli cadendo in ginocchio di peso.

“Tarn!! Per Prion, che cosa ti è successo?! Tarn…!!”

La voce disperata di Nickel raggiunse l’inquisitore capo in modo ovattato, come se anch’ella non fosse stata altro che una sua allucinazione mentale dettata da una febbre che lo stava assalendo sempre di più. La minicon non era sola nella propria infermeria, gli parve di notare altre due sagome scure avvicinarsi in modo preoccupato e lesto verso la sua figura sconfitta, ma ciò non aveva importanza.

Non poteva mollare adesso. Non ora.

E con un ultimo slancio di energia, prima di vedere le tenebre, posò a terra Natah premurandosi che fosse a lei che le prime attenzioni mediche fossero date il prima possibile.

“Urgh… n-non io! Guarda la ragazza! Guarda prima… lei…”

Poi il buio lo portò a sbilanciarsi del tutto, andando a sbattere di schiena contro un carrello chirurgico che cadde assieme a lui, rovesciando tutti gli strumenti metallici che rotolando sul freddo pavimento metallico con un dolce e sottile tintinnio.

 

[…]

 

Non seppe dire per quanto tempo rimase in stasi. Forse minuti, forse ore… ma ciò che caratterizzò quel sonno senza sogni fu di una insolita quiete che da giorni ormai, se non addirittura settimane, non riusciva più a provare da quando Megatron aveva decretato la fine della guerra sciogliendo l’esercito decepticon.

Un senso di pace che attraversava tutto il suo corpo e nutriva il suo processore interno irradiato, molto probabilmente, di antidolorifici e altre sostanze che lo tenessero buono.

Fu solo quando i suoi sensori ottici si aprirono lentamente – venendo colpiti dalle luci delle lampade del tavolo chirurgico – che capì dove effettivamente si trovava. Nickel non doveva aver dato retta al suo comando delirante di occuparsi per prima cosa del loro soggetto di recupero, ma aveva ben pensato di mettere in sesto il suo comandante per non vederlo andare all’altro mondo a causa di una brutta ferita ottenuta chissà come.

“Mmr… Nickel?”

“Ah, finalmente ti sei ripreso! Mi hai fatto disperare lo sai? Come ti senti ora?”

Seppur la sua voce era ridotta ad un sussurro sottile a quanto pare la piccola dottoressa era a tiro di orecchio per averlo sentito chiamarla con tono incerto.

E difatti, una volta che Tarn riuscì a voltare la testa verso la propria spalla destra – notando che ora era finalmente ben attaccata al suo busto, ritornando a sentire perfettamente quelle dita in principio addormentate – incrociò lo sguardo stanco di una donnina appollaiata su uno sgabello più alto di lei.

“il braccio va… bene, credo. Lo sento poco”

“è perché sei ancora sotto gli effetti dei sedativi. Ho dovuto dare a te la priorità sul resto perché…”

“la ragazza come sta?”

Dritto al punto e incurante delle proprie condizioni fisiche. Se non fosse che era ridotto ad uno straccio lo avrebbe preso violentemente a schiaffi per averla fatta preoccupare così terribilmente in quelle ore.

“lei sta bene… a parte una commozione cerebrale e una infezione in corso. Cose queste di cui comunque mi sono già occupata, quindi ci vorrà il suo tempo per riprendersi” con un braccio indicò la presenza della giovane in una stanza adiacente a quella dove loro due si trovavano, portando Tarn a issarsi a sedere per vedere meglio, separata da loro solo da una parete di vetro e con un’unica fonte di luce diretta verso di lei ad illuminare una stanza immersa nelle tenebre “il morso alla gamba è già stato riparato, tuttavia per i primi tempi zoppicherà un poco e avrà bisogni di un po’ di riabilitazione… ma è un miracolo che siate riusciti ad uscire tutti vivi da lì”

“E la sua sprakling? Che mi dici?”

Lo sguardo rossastro di Tarn non riusciva a distogliersi dalla figura inerme della bella caminoana immersa ella stessa in un sonno senza sogni, notando comunque la presenza dell’anziana nonna di Shockwave accanto a lei – semi sommersa delle ombre – impegnata ad accarezzarle la testa in un gesto di conforto che non poteva percepire. Probabilmente la vecchia cariatide decepticon aveva dato il suo contributo nell’aiutare Nickel, per quel che poteva fare data l’età avanzata.

“il piccolo sta bene, e prima che tu me lo chieda si… ho fatto una scansione medica anche su di lui”

C’era stanchezza nella voce di Nickel, forse anche un velo di preoccupazione per quello che poteva essere il futuro di due vite legate a doppio taglio da una figura così potente e maledetta come quella di Megatron. Aveva sperato per la giovane femme che le sue analisi sui codici binari di quella piccola scintilla fossero scorrette, che non fosse realmente imparentato con l’ex leader dei decepticon, ma la speranza fu da subito vana. Ed incalzata dallo sguardo ancora allucinato di Tarn, forse dovuto per la presenza in corpo di svariate sostanze chimiche, dette il suo responso lapidario nel modo più professionale possibile.

“ebbene si… quella femme porta in grembo il figlio di Megatron. Le analisi sul suo codice binario non lasciano dubbi che quel piccolo mech un giorno assomiglierà abbastanza al suo defunto padre”

Nella stanca mente di Tarn si affacciarono così tanti possibili scenari futuri che a stento riusciva a contenerli tutti senza svenire di colpo. Quello forse non era il momento adatto per formulare strategie future che lo portassero a pianificare un futuro meno incerto per la dottrina che tanto amava – non con lui che rischiava di crollare in un mondo senza sogni ancora una volta – ma la scintilla della speranza per il leader inquisitore giaceva, e cresceva, nel corpo di una donna dal futuro incerto.

Proprio come aveva fatto capire a Slipstream ore prima, aveva da studiare al meglio le proprie carte in tavola prima di fare la sua mossa.

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Capitolo 6
*** di poche parole ***


Quella notte la ricarica di Tarn fu scossa da incubi infiniti e striscianti. Oscillanti tra il grottesco e il tremendamente vero.

Nei suoi sogni il leader della DJD si trovava ancora a varcare la soglia di quell’ospedale maledetto, a scappare dai balordi che lo avevano insidiato e non per ultimo la trappola mortale all’interno di quel dannato ascensore. Sentì nel sonno il dolore lancinante che quella belva senz’anima gli aveva provocato al braccio destro, forse dovuto al post operazione per riattaccarglielo, vedendo ancora il suo sguardo allucinato moltiplicarsi in tanti segmenti da riempire tutta la cabina putrescente.

Facce senza occhi dilaniate dai suoi colpi di cannone a fusione; viscere come tentacoli uncinati che cercavano di coglierlo alla gola per strappargli via la scintilla dal petto; un caos strisciante e mortifero che gli percorse tutti i circuiti cerebrali non dandogli praticamente tregua neppure quando si svegliò di soprassalto.

Il suo sguardo di fuoco si stagliò nel buio opprimente della camera privata che usava solitamente per dormire come gli occhi di un demone inferocito, sentendo l’intero corpo percorso ancora da tremori istintivi per quello che il suo processore neurale gli aveva fatto vedere durante quei sogni nefasti e tutt’altro che reali.

La sua missione nella stazione medica Relay non era stata una passeggiata, sia a livello fisico che psicologico. E questo ultimo dettaglio era per lui qualcosa di oltremodo frustrante… perché significava che una parte del suo “io” attuale era ancora irrimediabilmente legata al passato.

Come Damus aveva speso buona parte della propria giovinezza a vivere nella paura di essere scoperto come un outlier sconosciuto al consiglio del senato – il cui potere all’epoca poteva permettere solo di fermare macchine non senzienti a discapito di immenso stress psicofisico, in quanto non possedeva ancora un fisico adatto a padroneggiare un simile dono –ma come Tarn credeva ormai di aver lasciato alle spalle una paura che si ostinava, nonostante tutto, a provare in modo istintivo.

A fatica si alzò dalla proprio cuccetta, preda ancora dell’effetto di medicine pesanti ma necessarie, strisciando i piedi nel buio della propria stanza fino a raggiungere quello che era il suo bagno di servizio personale. Necessitava di darsi una occhiata allo specchio per sincerarsi in che condizioni fosse, ma forse non fu una delle idee più brillanti per quella sera.

Seppur accese la luce dentro quell’ambiente piccolo ciò che lo investì fu un colore grigio e spento provenire dalle lampade sopra la sua testa, lasciando che le ombre avanzassero verso di lui come fiamme oscure. Perdendo tempo nel mentre che cercava di mantenersi in equilibrio con solo i suoi occhi rossi a rappresentare l’unico cenno di colore in quel mondo monocrome.

Ma fu solo nel raggiungere il tanto agognato specchio che qualcosa andò irrimediabilmente a puttane quando osservò attentamente il proprio riflesso con occhi stanchi e appannati. Ciò che vedeva tra quelle fiamme nere e grigie non era più il suo volto – contraddistinto da una cicatrice non curata sul lato sinistro – che si toccò ripetutamente con la mano sinistra non credendo a ciò che vedeva… ma quello di un lord Megatron redivivo e sorpreso quando lui di osservare ciò che non era veramente.

Tarn stava vacillando. Sia di corpo che di spirito, e con tutta probabilità c’entrava sia lo stress accumulato da dopo quella tediosa missione – in aggiunta al tradimento di Megatron stesso – sia il quantitativo di medicine che Nickel gli aveva iniettato per tenerlo buono. Ed ora il risultato di tutto quell’ammontare di disavventure si stava materializzando di fronte a lui separato solo dal lavandino incassato nel muro metallico.

Il picco di assurdità si toccò quando quel Megatron fittizio prese una propria coscienza e cambiò la propria espressione facciale in una più consona a quella che Tarn meglio conosceva. Uno sguardo truce e torvo come quello di chi si apprestava a mietere la propria falce su chi aveva avuto l’ardire di disobbedirgli.

Il leader della DJD aveva già visto altre volte quello sguardo assassino sul volto del suo ormai ex signore, e ogni volta che appariva per il povero sciagurato che aveva davanti significava avere una sua grande mano attorno al collo che iniziava a stringere forte. Proprio come stava accadendo a lui in quel momento preciso.

L’inquisitore registrò appena lo scatto meccanico e totalmente alieno con la quale Megatron avanzò un suo braccio al di là dello specchio per agguantare il collo del suo sottoposto insoddisfacente, trovando che quella presa fosse dannatamente vera e dolorosa per essere solo una allucinazione.

Poi la voce del suo signore gracchiò con suono metallico, come se giungesse dall’afterspark o dagli abissi dell’inferno, iniziando a parlare nell’esatto momento in cui il suo volto iniziò a sciogliersi mostrando sempre di più l’endoscheletro sottostante.

Una tortura a cui Tarn non poté sottrarsi, sentendosi la scatola vocale stretta da quella ferrea presa e lo sguardo colmo di primordiale e silenziosa paura.

“lei è morta… hai fallito! Te l’avevo promesso che sarei tornato a prenderti… tutto ciò che hai fatto… la tua miserabile vita… l’hai vissuta per niente!”

 

Voleva gridare ma non gli era concesso farlo. Voleva smettere di avere paura ma stava letteralmente andando in iperventilazione portando le ventole interne a surriscaldarsi da tanta che era la loro attività. Non voleva svenire, ma fu ciò che fece quando la sua psiche non resse più a quelle immagini che si fecero sempre più frammentarie e disturbate. Rovinate come quelle di un computer che faticava a ricevere dati.

Si riprese poco dopo, con le ginocchia affossate nel pavimento metallico del bagno, sentendo un gran fischio ronzargli nella scatola cranica e avvertendo ancora dolore fisico causato da… se stesso.

Le mani che gli avevano cinto il collo fino a quel momento non appartenevano a Megatron, ma erano le sue medesime appendici che avevano cominciato a stringersi attorno ai cavi della parte superiore del suo corpo preda di allucinazioni inesistenti. Ed ora che era inginocchiato davanti al suo specchio poteva ben vedere a che punto era il livello di presunta pazzia che stava toccando.

Con un ringhio carico di rabbia repressa si alzò finalmente in piedi, abbandonando una espressione facciale sconvolta per una più simile al Tarn che era ora, e non al Damus che era stato un tempo. Lasciò che la rabbia seguisse i suoi lineamenti facciali nel mentre che insisteva nel suo riflesso ambrato sullo specchio del bagno – le luci erano tornate al consueto colore giallo/arancione una volta che quella brutta allucinazione era finita – concludendo quella visione tutt’altro che rilassante con un pugno che infranse quella lucida superficie in tanti segmenti ognuno dei quali raffiguranti il volto deturpato dell’inquisitore. Tasselli di un mosaico che si sciolse a terra solo quando Tarn si decise a ritirare il proprio pugno per riportarlo lungo il fianco destro – constatando, tra l’altro, che la riparazione era andata a buon fine visto il perfetto funzionamento del braccio – e decretando che, promessa o meno, era arrivato il momento di affrontare la fonte di tutti i suoi problemi.

 

C’era un silenzio surreale all’interno della Paceful Tyranny. Se dall’esterno non giungeva nessun suono di meteoriti che andavano a schiantarsi contro lo scudo dello scafo – lasciando che il vuoto siderale cullasse il viaggio di una nave diretta verso Messatine, una sosta obbligata per leccarsi le ferite e fare rifornimento – per i corridoi bui della nave decepticon era unicamente possibile udire due cose. Il ronzio delle poche lampade di servizio che illuminavano la strada che Tarn stava percorrendo lentamente, e i lenti passi dell’inquisitore capo dal volto ora coperto dalla sua consueta maschera. I suoi occhi vermigli brillavano nel buio opprimente di quei corridoi deserti come quelli di una falena attirata dalla luce delle fiaccole circostanti, solo che la fiaccola di Tarn era piuttosto distante dai suoi appartamenti privati.

Sotto la copertura di quell’artefatto metallico che portava spesso in volto, raccolto dal tavolino accanto alla sua cuccetta, era finalmente riuscito a riacquisire la compostezza e sicurezza che gli spettavano di diritto – sentendosi nuovamente padrone di se stesso e della rabbia che stava nutrendo in petto – per quanto i suoi propositi per quella notte fossero tutt’altro che nobili.

Nel silenzio di una nave dormiente – comandata unicamente dal pilota automatico impostato – i suoi unici passi suonavano glaciali così come i suoi intenti una volta che raggiunse l’infermeria del suo incrociatore. Ed una volta raggiunto un luogo anche quello illuminato da ben poche lampade ambrate non dovette cercare a lungo prima di riuscire a trovare Natah nella zona delle degenze.

La ragazza era ancora sotto gli effetti dei sedativi, immersa in una quiete artificiale e illuminata unicamente da una tenue lampada posta sopra la sua testa. Ignara dell’ombra inquietante che calò su di lei indugiando, nello sguardo di fuoco, su quelle mani conserte al ventre e a ciò che nascondevano.

Una scelta questa dettata sia per tenerla buona – e dunque di riposarsi meglio prima di dover affrontare una dura realtà – sia per questioni mediche per tenere sotto controllo la situazione sua e dello sparkling che portava in corpo.

Il lato sinistro della branda occupata dalla donna era impegnato da vari macchinari che servivano per monitorare la sua attuale condizione fisica e quella del figlio non ancora nato – un’altra prova di come la pignoleria di Nickel fosse seconda solo a quella del suo signore – mentre il lato destro era unicamente impegnato dall’anziana levatrice di Shockwave intenta a dormire su una sedia metallica. A quanto pare l’anziana femme non aveva voluto abbandonare il capezzale della loro nuova ospite forse anche a causa di quella gestazione che nessuno si aspettava, rimanendole accanto per assisterla in caso di necessità.

Un nobile pensiero da parte sua, in netto contrasto all’attuale pensiero di Tarn che, con sguardo praticamente allucinato, nel silenzio opprimente di quella stanza – interrotto solo dai lievi “bip” delle strumentazioni mediche – allungò con tutta calma una mano verso il collo della sua ignara vittima una volta che fu abbastanza vicino per farlo.

Ciò significò essere praticamente a pochi centimetri da una anziana donna apparentemente affossata in una ricarica senza sogni, e forse fu questo l’errore principale nel far fallire fin dal principio un piano folle e autolesionista. Natah aveva sulle sue spalle un mare di colpe che la sola lista personale del leader degli inquisitori decepticons non sarebbe bastata per elencarle tutte – non per ultimo averle mostrato che sotto quella maschera si celava un comune mortale anziché un leader temuto e rispettato – e poco gli importava ormai se gli ordini che gli erano stati dettati parlavano di ben altro. Ma nel mentre che indugiava a stringere ulteriormente le proprie dita artigliate attorno a quel collo delicato non si aspettò di sentire il rumore di una sicura che scattava e la ben più inquietante presenza di una canna contro il suo costato sinistro.

La vecchia si era svegliata, oppure aveva fatto finta fin dal principio di riposare, non curandosi affatto che quello a cui aveva puntato la canna del proprio blaster – nascosto in precedenza chissà dove – era nientemeno che il leader della Decepticon Justice Division. E se con la mano destra continuava a tenere sotto tiro un inquisitore dallo sguardo di fuoco, con l’altra teneva ben stretta tra le dita quello che sembrava essere un sintetizzatore vocale portatile. Un oggetto di norma usato da chi aveva seri danni alla scatola vocale – così come erano soliti fare i tabagisti incalliti dalle corde vocali ormai corrose dai fumi tossici – e che lesta usò contro i cavi della propria gola producendo una voce metallica e gracchiante pantomima di qualsiasi essere vivente generato dal creato.

“Tzk… immaginavo che l’avresti fatto. Voi uomini siete un libro aperto quando si tratta di emozioni, a discapito di quel che volete far credere a tutti”

C’era una nota di ironia in quella vocina gracchiante e anonima, frutto di un processore vocale che sintetizzava i gorgoglii insensati di una anziana femme ormai impossibilitata a parlare, qualcosa che decisamente l’inquisitore non poteva sopportare di sentire o tollerare.

“Vecchia… attenta a chi punti quell’affare” fece gelido lui, continuando a guardarla di sottecchi e tenendo ben salda la sua presa su una donna ignara “evita di intrometterti in faccende che non ti riguardano!”

Lo disse quasi ringhiando – pur mantenendo la voce bassa come se avesse timore di svegliare Natah – ma ciò che ottenne fu solo la canna della pistola premuta con più decisione contro la sua armatura. Come se si trattasse di un ultimo avvertimento.

“non credo che Megatron volesse questo dalla sua compagna… men che meno da te”

“Megatron ci ha traditi per lei! Per una autobot!” la voce di Tarn si fece per un momento incerta, distrutta da un sentimento che non riusciva a nascondere come voleva, deciso a non voler dar ragione a quella vecchia impudente “con che coraggio ora vuole che faccia da cane da guardia anche alla sua donna?!”

“perché si tratta di un suo ordine, ecco perché. E prima ancora che tu me lo chieda rispondo: se Megatron ha deciso di sciogliere i decepticon avrà avuto le sue buone ragioni… due di queste sono proprio accanto a te; l’altra è l’esistenza della tua divisione di boia legalizzati… E io non discuto certo i suoi ordini”

Calò un silenzio carico di tensione all’interno della stanza semibuia, e ciò successe ancor prima che l’anziana ciclope avesse concluso la sua tediosa ramanzina, lasciando l’imponente mech solo con i propri infausti pensieri.

Per Tarn era difficile dare ragione a quella dannata megera, tanto criptica quanto sincera nel porgergli una verità scomoda in modo schietto e diretto, eppure non poteva fare a meno di rimuginare su quelle parole per stemperare la foschia di terrore che ammorbava i suoi pensieri.

Che cos’era ormai diventato l’esercito decepticons se non un ammasso di criminali di ogni genere a cui lui e il suo gruppo dava la caccia a tempo pieno? Quando era stata l’ultima volta che la lista si era dimezzata anziché prolungata? Una vita fa a pensarci bene… e con il tempo, forse disgustato dal suo stesso creato, persino l’ormai defunto Megatron doveva aver preso coscienza della lordura di cui si era circondato nei secoli decidendo di tagliare i ponti e uscirsene in grande stile con le mani il più possibile pulite. Lui sarebbe stato ricordato come un redento alla fine della storia, nonostante le sue mani fossero sporche dell’energon dei loro simili e del sangue di altre specie viventi che avevano avuto l’ardire di sfidare la sua autorità, mentre per Tarn il futuro restava incerto all’ombra di un signore che aveva iniziato a odiare nell’esatto modo in cui un figlio odia il proprio padre fedifrago. Un tradimento che un vero fedele viveva come una ferita che continuava a sanguinare copiosamente, immerso in un vortice di emozioni contraddittorie di chi vedeva nella speranza una fossa piena di disperazione.

E anche se avesse comunque deciso di uccidere chi gli aveva portato via il proprio signore, che garanzie c’erano che tutto sarebbe tornato come prima? Forse non avrebbe fatto altro che peggiorare ulteriormente la sua condizione psicofisica, portandolo definitivamente nella parte del torto.

 

Un gemito inconscio si palesò sulle labbra di una femme ancora sedata, segno che il suo corpo stava registrando quella presa forte e potenzialmente assassina, decretando come la fine di quel breve momento di silenzio interrotto unicamente dalle strumentazioni mediche ancora attive. La presa di Tarn si fece quindi più leggera, quasi come una carezza, prima di sciogliersi del tutto riportando quella mano a stendersi lungo il suo fianco destro. Al gesto anche la vecchia lo seguì a ruota, prendendo senza rammarico la sua saggia decisione di abbassare l’arma facendola sparire all’interno del proprio braccio.

“nonna… che cosa devo fare?”

Più che una domanda rivolta all’anziana decepticon era un quesito rivolto più a se stesso e alla sua volubile figura – perché mai se fosse stato sano di mente avrebbe chiesto consiglio ad una megera come quella – ma la donna, che pur aveva intuito la cosa, preferì rispondergli con un’altra domanda.

“prima che io possa darti consiglio, tu come ti senti?”

Se in passato qualcuno gli avesse fatto il terzo grado a quel modo – e quel qualcuno non era lord Megatron – molto probabilmente l’inquisitore della DJD avrebbe assottigliato così tanto la propria voce da uccidere con un solo sospiro pronunciato. Ma la situazione attuale lo metteva in una situazione di fragilità tale che neppure lui riusciva a nascondere la cosa come avrebbe voluto, limitandosi ad assecondare la vecchia megera.

“mi sento come… non lo so, forse come se fossi ai piedi di uno strapiombo e dietro di me mancasse completamente la strada che mi riporti indietro. Odio questa donna perché mi ha portato via ciò in cui credevo, ma allo stesso tempo vedo in suo figlio una speranza che pensavo di non possedere più…”

In poche parole il leader degli esecutori decepticons era riuscito a descrivere bene lo stato d’animo in cui era sprofondato in quegli ultimi giorni – credendo forse di poter gestire quel vuoto emotivo che lo stava divorando dall’interno, finendo invece con l’essere divorato giorno per giorno fino a raggiungere il picco di esasperazione quella sera – ma l’anziana femme non parve particolarmente colpita da quel suo gesto di apertura nei suoi confronti, volendo rincarare la dose con voce gracchiante e meccanica.

“parli proprio come un innamorato che ha ricevuto il due di picche da un amore non corrisposto…”

“ho cambiato idea sulla ragazza, ma sono ancora in tempo per sfogare su di te la mia frustrazione!”

“…ma vorrei farti notare che Megatron era innamorato di questa ragazza, non di te. Il tuo unico grande amore è e resterà il credo a cui ti sei aggrappato in un particolare momento della tua vita… hai già punito questa giovane portandole via il suo uomo, ora rivendica ciò che deve essere tuo di diritto”

Tarn sapeva bene a cosa l’anziana levatrice di Shockwave si riferiva, ma onestamente fino a quella sera non aveva preso seriamente in considerazione qualcosa che veniva accuratamente descritto persino Towards Peace per mano dello stesso Megatron. E se lo aveva fatto si era presto dato mentalmente dello stupido. Tutto questo semplicemente per un motivo: non ne aveva la stoffa.

Quando due signori della guerra decepticons finivano con l’affrontare un contenzioso in duello era noto che il vincitore potesse appropriarsi di tutti i beni dello sconfitto reclamandoli come il giusto compenso per un duello all’ultimo sangue. Il diritto di rivendicazione non guardava in faccia a consorti o eredi, anche loro parte del bottino, in quanto il vincitore poteva chiedere tutto o una parte – nel caso non fosse stato così avido – dei possedimenti e averi appartenuti un tempo al decepticon sconfitto.

Ma Tarn…? Poteva davvero permettersi una cosa del genere? Sapeva amministrare perfettamente il suo gruppo di esecutori e a farsi rispettare da loro, ma guidare un intero esercito…? Non credeva affatto di possedere un simile carisma da poter controllare intere legioni di soldati sotto la sua scure, men che meno la conoscenza necessaria per amministrare tutti i possedimenti materiali appartenuti un tempo al suo estinto leader. Conosceva a menadito il codice decepticon, ma proprio per questo non era amato dal suo stesso popolo reietto, e lo stesso ragionamento aveva più o men avuto modo di farlo anche in presenza di Slipstream ore prima. Su quella dannata stazione medica.

Sapeva fin troppo bene che il suo nome era sulla bocca di tutti e non con fare lusinghiero, in molti lo temevano per il suo potere a dir poco letale più che ammirarlo per il lavoro che svolgeva, pertanto se si fosse messo al comando di un intero popolo avrebbe sicuramente scatenato malumori così accesi da poter scatenare una possibile ribellione interna. E questa era l’ultima cosa di cui aveva bisogno in effetti… ma era pur vero che era lui che aveva sconfitto Megatron in combattimento, e forse questo particolare non era sfuggito agli altri soldati decepticons dispersi nella galassia.

In quella settimana o più dalla morte dell’ex leader di un intero esercito nessuno aveva detto o fatto alcunché. Forse alcuni avevano seguito alla lettera l’invito dell’ex gladiatore a sciogliere i ranghi decepticon; forse altri erano troppo lontani per aver ricevuto la notizia della sua morte; oppure in molti attendevano ancora il proclamo di vittoria di un inquisitore che tardava sempre più ad arrivare.

“io… ci ho pensato, è vero, ma non penso di essere la persona più adatta”

“mica devi essere per forza il leader perpetuo… puoi sempre cercarti un degno successore, sai benissimo che il codice lo permette”

Verissimo anche questo, peccato che il legittimo erede di quel succoso regno doveva ancora nascere, e Tarn non era interessato a sobbarcarsi un compito tanto importante quanto non adatto a lui. Ma tuttavia… una vocina malsana dentro di lui gli stava dicendo che glielo doveva quel favore a Megatron.

Per quanto assurdo fosse, e per quanto astio ancora portasse per il suo defunto signore per ciò che aveva fatto, se non era per lui a quest’ora Tarn era sicuramente un perfetto signor nessuno denigrato da tutti e con l’autostima che rasentava il livello di uno zerbino sporco di scorie radioattive. Gli doveva a malincuore molto, tutto, ed occuparsi dei suoi beni – inclusa quella femme dormiente – era un gesto dovuto che necessitava tuttavia di un briciolo di astuzia in più che andasse oltre la sua natura volubile e contraddittoria.

La lista della DJD racchiudeva tutto il marcio esistente nelle file decepticons, gente che mai si sarebbe dovuta occupare di guidare un esercito di uomini e il suo popolo, ma forse scartando quei nomi alla fine qualcosa di buono restava… e il primo nome che gli veniva in mente era quello di un vecchio rivale di Megatron per il controllo totale dell’esercito decepticons. Forse l’unico ad avere abbastanza onore da aver accettato quella sconfitta senza troppi rammarichi.

Deathsaurus era un nome antico che continuava a incutere timore in molti soldati che avevano avuto a che fare con lui, echeggiando nel cervello di Tarn quasi come un campanello di allarme, ma ormai da tempo si era ritirato nell’ombra dopo aver perso dolorosamente contro un leader ben più carismatico. Aveva perso solo quello, in quanto l’ex minatore aveva pensato solo a rivendicare il suo diritto a ferirgli l’orgoglio, ma dove ora soggiornasse rimaneva un mistero. E ciononostante, aveva accettato quella sconfitta non rinnegando mai il codice decepticon a cui aveva aderito… contrariamente a quanto avevano fatto certi suoi uomini, attirandosi gli occhi malevoli dei perfidi inquisitori.

Si mormorava si fosse ritirato a vita privata su una qualche colonia lontana fondata da egli stesso, ma tali informazioni non erano in possesso al leader della DJD.

Ma forse Shockwave poteva sapere che fine avesse fatto il signore dei predacons – una sotto-razza di transformers dalle caratteristiche ferali – e quasi sicuramente quello scienziato lunatico non avrebbe avuto problemi ad aprirsi come un fiore in primavera a Tarn. Non con il suo nome in bella vista nella loro lista di teste da tagliare per perpetuata eresia.

Forse si trattava di una mossa rischiosa, perché Deathsaurus pareva essere l’ultima spiaggia per una impresa alquanto disperata – l’incognita di non volergli dare udienza in quanto capo di un manipolo di macellai o di fare da semplice padrino al figlio del suo rivale rimaneva alta, senza contare il naturale astio che provava per chi aveva torturato i suoi uomini – ma attualmente era l’unica che veniva in mente allo stanco mech che urgeva di elaborare il prima possibile un piano degno di nota che non fosse una qualche macchinazione volubile dettata dal suo processore stanco e in sovraccarico.

“allora, hai deciso cosa fare lord inquisitore?”

“io… credo di si, ma ci vorrà della diplomazia…”

“per quella non ti devi preoccupare, i miei nipoti ne possiedono a sufficienza”

In tutta onestà non capì esattamente a cosa si riferisse quella vecchia megera – se avesse anche lei raggiunto la stessa conclusione dell’esecutore decepticon e dunque gli stava palesemente consigliando di chiedere aiuto al suo folle nipote – ma ciò che sapeva era che quella notte non sarebbe riuscito a chiudere occhio. E non a causa degli incubi che ancora gli scuotevano la scintilla tenendolo nella loro ragnatela di insicurezza che tanto odiava.

 

[…]

 

Il senatore Attilus aveva molto per essere amareggiato da se stesso.

Non per ultimo, la totale scomparsa da Caminos della sua unica figlia femmina. Natah era stata fino a quel momento il fulcro di tutta la sua vita, di tutte le sue speranze, e con una nota di rammarico non poteva fare a meno di pensare che l’epilogo di tutta quella storia non l’avesse scritta lui di suo pugno. Perché anche se sua figlia alla fine aveva agito di testa sua, erano state le sue azioni da genitore irresponsabile a condurla verso un capolinea indesiderato.

Da quando era venuta a mancare sua madre non aveva fatto altro che impartirle regole su regole fin dalla sua più tenera età – così come si è comunque soliti fare nell’ambiente nobiliare, in modo da tirare su rampolli istruiti ad arte e con la proverbiale scopa su per il culo – ma ciò che aveva raccolto era stato solo astio da una bambina che desiderava solo potersi divertire come i figli dei loro servitori. Costretta ogni volta a guardarli dalle grandi finestre di camera sua nel mentre che quelle discole protoforme giocavano nel parco di casa, sognando di potersi sporcare anche lei l’armatura di fango anziché ricevere bacchettate sulla mani dal proprio precettore.

Sospirando stancamente l’imponente meh dall’armatura bianca e blu, i cui raffinati dettagli erano di color argento, si alzò dal proprio trono metallico per recarsi in quello che era il piano bar presente nel suo studio privato. Aprendo uno sportello da sotto il ripiano in pietra dura volle concedersi un sorso di energon extra forte più potente che aveva in riserva, riempiendosi il bicchiere di vetro fino all’orlo e bevendo avidamente nonostante avvertì la gola bruciargli per quell’azzardo dettato dalla disperazione.

Da anni era diventato lo zimbello della nobiltà caminoana a causa della sua insistenza nel voler mettere pace ad una guerra che neppure apparteneva al suo popolo, una guerra civile tra autobots e decepticons che stava letteralmente macellando la loro casa di origine, ma sembrava che ai suoi simili poco importava del futuro dei loro stessi figli che rischiavano di essere coinvolti a loro volta in un genocidio senza fine.

 

Fin da quando era appena stato nominato senatore Attilus sapeva che era solo questione di tempo prima che una delle due fazioni rivali andasse a bussare alle porte del loro pianeta in cerca di supporto bellico o – molto probabilmente nei caso dei decepticons – cercare di conquistarlo e renderlo una loro colonia sottomessa… possibile che i suoi compaesani per tutti quei secoli non ci avessero minimamente pensato?! Desideravano vedere loro e i loro stessi figli in catene?!

A quel pensiero un moto di rabbia lo travolse con una ondata repentina e impulsiva, montata ad arte dall’altra gradazione alcolica del suo drink, portandolo a deformare il volto dai tratti nobili e severi in una espressione furiosa così come i suoi gesti successivi. Con un ringhio frustrato lanciò il bicchiere contro la parete più vicina, colpendo una mensola con dei datapad impilati uno accanto all’altro, portandolo a frantumarsi in un centinaio di schegge che andarono a sparpagliarsi un po’ ovunque.

Era colpa sua. Solo colpa sua… e ora non aveva più modo di rimediare al danno.

Aveva tenuto Natah incatenata in casa per anni, per colmare un senso di iper-protezione sorto alla morte della moglie, sommersa da talmente tante regole e ordini che alla fine aveva rischiato di trovarsi per casa una furia isterica che spaccava ogni giocattolo che le veniva dato od ogni piatto di cibo che le veniva offerto. Quello fu il periodo in cui decise di lasciarle i suoi meritati spazi, di non assillarla oltre con regole che non avrebbero fatto altro che rovinare definitivamente il rapporto di parentela, permettendole di accedere alla biblioteca di palazzo ogni qual volta lo desiderava non appena i precettori avevano notato in lei un forte fascino per la letteratura.

Ed era stata proprio la letteratura a far si che lord Megatron iniziasse a nutrire interesse per la sua Natah, complice anche la lettura di Towards Peace che sua figlia trovava tanto interessante quanto criticabile, rammaricandosi di non essere intervenuto per tempo anziché lasciarli parlare ogni qual volta il signore dei decepticons giungeva nella loro dimora per le impossibili trattative di pace.

Il sospetto nel tempo era nato nella scintilla del senatore – impossibile che non sorgesse vedendo i loro sguardi e le loro parole ridursi sempre più ad un sussurro ogni qual volta avevano modo di incontrarsi – e stupidamente aveva desistito pensando che quello strano interesse che il signore della guerra provava per sua figlia poteva essere un incentivo alla conclusione di una lotta ormai lunga e sfiancante. Ma quando aveva capito che le cose potevano farsi pericolose – era pur sempre di Megatron che si parlava, l’ultimo uomo a cui un padre normale avrebbe lasciato la propria figlia – Attilus aveva convinto la sua bambina ad accettare il simbolico arruolamento nelle file autobot.

Un modo forse tardivo di cercare di proteggere la sua primogenita, sfruttando il suo già spiccato interesse per la fazione autobot nato dalla lettura delle loro cronache, ma insufficiente per spegnere una scintilla che non si estinse nonostante gli ovvi attriti iniziali di un decepticon tutt’altro che contento della scelta fatta. Una situazione potenzialmente esplosiva, palpabile e sfrigolante come l’antimateria, in quanto lord Megatron non parve digerire l’ingerenza di Atilius nella vita della sua attuale compagna. Perché era logico pensare che nessuno, quando si parlava di Megatron, sarebbe stato in grado di proteggere dal suo sguardo l’oggetto – o la persona – del suo smodato interesse. Che fossero stati gli autobots o gli ancor più incapaci senatori con cui aveva a che fare ogni qual volta che si recava su Caminos anche per questioni non legate più a trattative di pace, l’ex gladiatore avrebbe continuato a fare quello che gli riusciva meglio da una vita. incontrando il benestare di una ragazza ormai incapace di seguire la voce della ragione – rappresentata da un padre insistente ed incapace di accettare una simile relazione – ma solo quella del cuore.

Quello era stato il passo finale, l’ultima disperata spiaggia, prima che sua figlia non sopportasse più le sue assillanti attenzioni e decidesse di fare di testa sua andando ad abitare in centro città. Lontano dal palazzo in cui era cresciuta e dal benessere di una vita agiata, preferendone una modesta ma… libera.

Una decisione che la rese effettivamente indipendente dall’ala paterna – le voci che gli erano arrivate durante quel lungo periodo lontano da lui la volevano che avesse preso impiego nella biblioteca pubblica come archivista. Lei, una nobile – ma anche più vulnerabile alle influenze di un decepticon che non si vergognava affatto di continuare a frequentare una ragazza che doveva essere ufficialmente sua nemica.

Alla fin fine però non aveva ottenuto la tanto agognata tregua che desiderava da una vita? Megatron non era forse ufficialmente capitolato sciogliendo il suo esercito e convertendosi di fatto alla causa opposta?!

Si poteva dire che era anche grazie a Natah se finalmente la guerra si era ufficialmente conclusa, nonostante fosse valso sacrificarla sull’altare delle buone intenzioni, eppure un simile lieto fine suonava come una beffa alle orecchie del senatore. Era stato tutto troppo idilliaco e veloce per sperare che finisse effettivamente con un lieto fine, e la notizia della morte dell’ex gladiatore di Kaon per mano dei suoi stessi esecutori sanguinari non venne accolta di buon grado da praticamente nessuno… men che meno dallo stesso Attilus.

Se la DJD era arrivata a punire il loro ex leader – apostata per amore di una donna – allora potevano benissimo arrivare a colpire sua figlia nei peggiori dei modi, e questo lo portò a rabbrividire a tal punto da sentire le pulsazioni della sua scintilla farsi più fievoli per un attimo. Si portò una mano alle tempie sospirando sconfortato, e nella sua disperazione poteva solo contare nella previdenza di sua figlia che tanto stupida non era.

La sua prima preoccupazione in tutta quella brutta storia fu di rintracciare sua figlia il prima possibile, sincerarsi delle sue condizioni e darle il prima possibile protezione in caso quei mostri avessero voluto prendersela anche con lei… la relazione era sempre stata tenuta segreta dai due amanti clandestini, neppure Attilus ne aveva parlato con qualcuno, ma quando si parlava di quei macellai psicopatici – la vera vergogna dell’ormai ex lord Megatron – non si poteva mai sapere fin dove potevano arrivare le fonti delle loro informazioni.

Ma ciò che aveva trovato una volta fatta irruzione nel suo appartamento fu solo un desolante silenzio e un unico appunto lasciato sul tavolo della sala principale. Quel singolo pezzettino di carta era destinato a lui, scritto di fretta dalla sua Natah, recante poche righe tutte quante dritte alla sua scintilla.

“Padre, non cercarmi. Mi farò viva io non appena possibile. Ti prego di perdonarmi… ma non posso rischiare”

La delicata calligrafia di sua figlia continuava a scorrere sotto i suoi sensori ottici azzurri ogni qual volta li faceva cadere su quel foglietto spiegazzato, e nessun alcoolico al mondo avrebbe potuto in qualche modo allievare quella colpa che riusciva solo a dare a se stesso. Per quanto non fosse totalmente vero, dato che la giovane femme aveva sempre agito in autonomia nel volersi avvicinare a Megatron, non poteva fare a meno di considerarsi un idiota continuando a rileggere quelle poche righe sentendo gli occhi bruciargli terribilmente.

Ritornando verso il proprio trono, e rimettendo in uno scomparto del petto la lettera che sua figlia gli aveva lasciato, Attilus Atilius constatò per l’ennesima volta come il fato aveva voluto giocargli un epilogo beffardo alla sua smisurata ambizione.

Aveva preteso troppo, perdendo tutto. E come l’eroe di una tragedia teatrale ciò che gli rimaneva da fare era di struggersi nel proprio rammarico, seduto ad un trono senza più sudditi, contemplando il ritorno di una figlia che probabilmente non ci sarebbe mai stato.

 

[…]

 

Come aveva ben pronosticato quella sera non avrebbe chiuso occhio, ma quantomeno avrebbe affrontato quella notte insonne in un modo che avrebbe ammazzato ogni sua voglia di chiudere occhio nei prossimi giorni.

Una volta che Tarn ebbe finito di discutere con la vecchia megera, loro ospite ancora per molto suo malgrado, decise di ritirarsi nei propri appartamenti e di dar vita al consiglio che gli aveva dato. Non aveva preparato chissà quale discorso da tramettere alle linee decepticon che conosceva – ossia proprio tutte – ma sapeva che avrebbe speso bene il suo tempo alla console di controllo della sua scrivania. Perché sarebbe stato ben chiaro per tutti quelli che si sarebbero sintonizzati.

Si sedette alla propria postazione personale contemplando i pannelli dai colori vivaci, un silenzio meditabondo che durò circa un minuto, prima di cominciare a digitare tutte le coordinate che conosceva e che arrivassero fino alle viscere più recondite della galassia. Tutti dovevano ascoltare la sua voce, anche i canali di comunicazione di decepticons ormai off-line da tempo, e tutti dovevano tremare di fronte a quello che il loro nuovo leader aveva da dire.

“a tutti i decepticons in ascolto: qui è il lord inquisitore Tarn, della Decepticon Justice Division, che vi parla. Ascoltate bene la mia voce, e ascoltate ancor meglio ciò che ho da dirvi… Come ben saprete Megatron, vostro ex leader divenuto apostata, è morto per mano nostra. O per meglio dire: per mano mia”

Si fermò un attimo, come in contemplazione delle proprie parole, sapendo che doveva ben regolare le proprie emozioni e la propria voce. Assottigliandola quel tanto da incutere il timore e il rispetto che si meritava.

“per tale motivo rivendico tutti i possedimenti, gli averi, e gli uomini appartenuti un tempo a Megatron come miei di diritto… Così come da legge scritta di suo pugno e ancora perfettamente valida in quanto legata al credo di noi tutti. Continuate quindi a serrare i ranghi, a seguire le regole e ad omaggiare il vostro nuovo leader. Perché ricordate: le vostre vite ora mi appartengono”

Chiuse di scatto la registrazione settandola ad una ripetizione di tre minuti a messaggio terminato, sentendosi comunque a disagio per ciò che aveva appena detto. Con quelle parole avrebbe fatto tremare di terrore il più pusillanime dei suoi uomini e intimorito il più coraggioso tra le file del suo nuovo esercito, ben sapendo in realtà che con quel monte di responsabilità in più poteva significare solo una cosa…

“e ora vorranno la mia, di vita…”

Era molto probabile che i malumori sarebbero serpeggiati in modo alquanto veloce tra le file dei suoi nuovi uomini, e ancor più tediosa sarebbe stata la faccenda dei signori della guerra che avrebbero avuto da ridire sulla sua presa di posizione, ma se mollava ora tanto valeva che non avesse alzato un dito neppure contro lord Megatron.

Non per ultimo Deathsaurus, per quanto il suo canale di comunicazione gli rimaneva perfettamente sconosciuto, auspicando comunque che la notizia gli arrivasse. Aveva in effetti bisogno di attirare il più possibile l’attenzione, e tenere comunque unito un popolo che rischiava di estinguersi.

Aveva in pugno il mondo intero appartenuto ad uno dei mech più potenti in assoluto – non per ultimo la sua stessa donna – e se voleva giocarsi bene tutte le carte che aveva scoperto doveva per forza di cose “elemosinare” l’auto di qualcuno un po’ più competente di lui. E Shockwave avrebbe fatto sicuramente al suo caso.

 

 

Aggiorno con un mare di ritardo, ma purtroppo tra problemi di insonnia e dolori vari faccio un po’ fatica a mettermi a scrivere. Spero possiate scusarmi se magari questo capitolo non è perfetto.

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Capitolo 7
*** Nella neve ***


Il suo sguardo vermiglio vagò per un attimo verso il limpido cielo di Caminos quando lo stonato canto di alcune gru cenerine non lo distrasse dalle sue insolite incombenze.

Uno stormo di quelle fastidiose creature organiche solcava il cielo estivo di quella colonia lontana, forse diretto verso le montagne innevate per sfuggire alla classica calura estiva di quel periodo o, forse, per allontanarsi da un gruppo di viziati parassiti che stavano letteralmente inquinando quel mondo lontano con le loro tecnologie.

Caminos si presentava per quello che era: una colonia cybertroiana in terra organica, dalle forme di vita primitive, i cui abitanti dalle splendide armature scintillanti si vantavano di vivere in un’oasi pacifica nel rispetto della natura che avevano colonizzato.

Per Megatron quel branco di ipocriti dalla pancia piena contavano poco e nulla, un mucchio di nobili ormai dissociati dalla loro terra natia che lo guardavano come un re barbaro – rozzo e ignorante – ogni qual volta metteva piede nella reggia dorata di lord Atilius per delle trattative di pace che finivano sempre con l’andare a quel paese. Eppure, puntualmente, il signore dei decepticons non aveva mai saltato un invito.

Se in principio era stato mosso da motivi anche strategici – da notare come spesso gli inviti del senatore coincidessero con la disfatta di una battaglia cruenta per ambo le fazioni – ora la questione si era fatta più curiosa sotto le sembianze di servofish che gli stavano gironzolando sotto il cavallo delle gambe.

Attualmente si trovava a mollo in una grande piscina artificiale presente nella tenuta Atilius, simile nell’aspetto ad un grande laghetto nelle sue geometrie squadrate e aliene, e il motivo per cui aveva deciso di rinfrescarsi le natiche metalliche nel fresco energon azzurrino era rappresentato proprio da quelle semplici forme di vita meccaniche che scivolavano placide lungo le sue gambe.

“tzk… ma tu guarda cosa mi tocca fare”

Non lo aveva costretto nessuno ad entrare lì dentro – ci mancava solo che qualche pivello caminoano lo sfidasse a qualche stupido gioco – ma ciò che lo aveva mosso maggiormente era quel suo smisurato orgoglio nel voler dimostrare qualcosa alla graziosa ospite che lo attendeva pazientemente inginocchiata sulla candida sponda di quel laghetto artificiale.

“sembra che la pazienza non sia nelle vostre virtù, lord Megatron…”

silenzio! Solo perché non sono ancora riuscito a catturare uno di questi maledetti affari non significa che sia un incapace!”

“…ma vi concedo una certa tenacia. Di quella ne avete in abbondanza!”

Natah Atilius, unica figlia femmina di un ben più noto senatore, dovette trattenersi di forza per non mettersi a ridere di gusto di fronte a quella situazione piuttosto insolita per il signore dei decepticons. Da quando aveva raggiunto una età adeguata da poter sostenere un colloquio con una persona più adulta di lei la giovane femme non aveva perso tempo a chiacchierare amabilmente con i diversi ospiti di suo padre che spesso solcavano la porta della loro dimora… e doveva ammettere a se stessa che il mech ora a mollo nelle azzurre “acque” del laghetto era uno tra gli individui più singolari che le era capitato di incontrare.

Singolare si, ma non per questo meno pericoloso nel suo aspetto imponente ai sensori ottici azzurri di una nobile che ben conosceva – di fama – le gesta ben poco eroiche di un signore della guerra ben poco apprezzato su Caminos. Eppure nei suoi lunghi anni di studi, china sui libri più che a prestar orecchio alle persone, aveva ben presto abbandonato il dar credito a possibili malelingue a favore del beneficio del dubbio quando si parlava di certe persone e del loro passato. Soprattutto nei riguardi della figura di Megatron, così chiacchierata eppure così mitologica, tanto da voler vedere di persona che razza di uomo fosse il sanguinario condottiero.

La sua si trattava di un’ovvia curiosità adolescenziale – amplificata dal fascino del “cattivo ragazzo” che ammaliava la figura del massiccio mech, un’aura che non lasciava mai indifferente le giovanissime donne – che volle fin da subito saziare ponendo al signore dei decepticons domande sul suo operato e su quanto ci fosse di vero nelle leggende che ammantavano la sua figura… e la sua risposta, a quella specifica domanda, in principio la lasciò spiazzata.

“tutto incredibilmente vero nella sua più totale falsità”

Una risposta che la lasciò davvero senza parole all’inizio, non capendo bene a cosa alludesse, ma poi con il passare del tempo – e le varie chiacchierate successive – le avevano comunque dato modo di comprendere a cosa si riferisse l’ex gladiatore.

Un uomo che si era costruito una fama tanto sulle proprie azioni (deplorevoli) quanto sulle dicerie circolanti sul suo conto. Un mostro generato dal senato e accresciuto per propria volontà individuale, non vedendo più motivo di fermarsi nel proprio operato. Più mito che uomo, arrivando dopo eoni a cominciare a detestare la propria immagine.

Ma per Natah, mossa da un sesto senso che la portava a sentire un inquietante pizzicore al disotto della propria armatura, non riuscendo ancora a dare un nome a quella spiacevole sensazione, ciò che vedeva in quegli occhi vermigli – quando il loro proprietario non pensava di essere visto – era spesso lo sguardo stanco di un uomo che aveva visto troppe battaglie e sopportato tanti tradimenti quanti lutti interni. Un vero signore della guerra quindi… ma talmente romanzato nel corso dei secoli che la sua delusione, ormai saturo di leggende sul suo conto, poteva anche essere sentita con mano. Una piccola “debolezza” che a quanto pare l’auto proclamatosi nobile mostrava unicamente a lei.

La giovane nobile di lui sapeva solo quello che era stato trascritto dalle cronache a suo tempo – tanto dai suoi uomini quanto dai suoi detrattori – e da Megatron stesso, ma mai si sarebbe aspettata un lato insolitamente “umano” da parte di un mech dalle mani sporche dell’energon di così tanti individui. Era come se, nelle loro chiacchierate sui tomi polverosi che entrambi apprezzavano, ci fosse una sorta di connessione platonica con qualcuno con cui poteva finalmente parlare senza i rigidi paletti imposti dall’educazione che le era stata impartita fin da piccola. E con il passare del tempo, la ragazza si dimenticò del passato del proprio nuovo amico relegandole in un angolo della propria memoria.

Ora non era più la sua storia ad interessarle… ma decisamente qualcos’altro di ben più proibito per una nobile come lei, e ben se ne ricordò nel momento in cui lo vide attraversare il laghetto artificiale per raggiungerla sulla candida sponda.

“vorrei ricordarle, cara la mia signora, che siete stata voi a convincermi a prendere uno di questi dannati pesci! ‘prenderli non è affatto facile, lord Megatron’ bè me ne sono accorto!”

Ad ogni suo goffo passo nell’energon azzurrino quelle creature dall’aspetto più disparato si dileguarono tra i flutti cristallini, tornando al loro compito primario di depurare e analizzare le acque dense come metano liquido per somma gioia del loro proprietario, riuscendo infine a toccare con mano la sponda marmorea e potercisi issare su.

La posizione che aveva scelto per tornare sulla terraferma non fu casuale, in quanto la bella nobile si trovava proprio ad una spanna da lui dal momento che aveva assistito a tutto quell’inusuale spettacolo standosene inginocchiata proprio a pochi centimetri dalla sponda. Una vicinanza piuttosto intima che si creò per forza di cose, soprattutto quando i volti dei due cybertroiani quasi si sfiorarono, non trovando indignazione di sorta sul volto di una padrona di casa che parve ben felice di quel nuovo livello di complicità che si stava creando tra loro due.

Il signore della guerra decise di rimanere fermo dov’era ancora per qualche minuto, con ancora le gambe a mollo nel fresco energon cristallino, ben sapendo che quello che stava facendo avrebbe sicuramente fatto infuriare un padre fin troppo assillante nei confronti di una figlia ormai divenuta donna. I trattati di pace se li poteva anche mettere in quel posto, visto e considerato che Megatron non aveva mai sperato davvero ad una tregua consolidata che non rispondesse alle sue esigenze specifiche, ma cercare di farlo capire al borioso nobile era dura. E ora le sue esigenze da un po’ di tempo a quella parte erano più incentrate a corteggiare una Natah divenuta adulta quanto prima.

Una femme che sembrava condividere con lui un certo risentimento nei confronti del senatore Atilius – reo di essere molte cose nella giovane mente di sua figlia – non scandalizzandosi affatto per quella vicinanza pericolosa ma trovandosi invece a sorridergli con una certa complicità.

“sa, mia cara ragazza, ho sentito che poco fuori città ci sono delle grotte di cristalli di energon davvero incantevoli che aspettano solo di essere visitate…” mormorò lui, con l’intento che quelle parole venissero captate solo dalla sua graziosa ospite e che, nella loro ambiguità, venissero comprese anche in altro senso “mi chiedevo quindi se siete esperta in questo genere di escursioni fuori porta”

La giovane soppesò bene le parole del signore della guerra, sentendo la propria scintilla sfrigolare dall’emozione – come se fosse stata una adolescente alla prima cotta, cosa che in fin dei conti era – ma fu ben attenta a non tradire le proprie emozioni sorridendogli di rimando con complicità e malizia, e rispondendogli nel modo più sincero che poteva.

“conosco quelle grotte, ed ho una certa esperienza in effetti… ma da sola. Non ho ancora avuto il piacere di perlustrarle in compagnia”

Onestamente lord Megatron non si aspettò di trovare una nobile rampolla ancora perfettamente intatta in mezzo a quella bolgia di rammolliti viziosi, ma ciò lo lasciò piacevolmente sorpreso tanto da trasformare il proprio mezzo sorriso in un ghigno che non poteva promettere nulla di buono. Si sarebbe aggiudicato quella prima fetta di torta con buona pace dell’ansioso paparino, e a quanto pare pure Natah non vedeva l’ora di perdere la propria verginità nel modo più scandaloso possibile.

Si issò dunque in piedi, seguito a ruota dalla sua giovane ospite, prendendola spudoratamente per mano nell’atto di volersi allontanare da lì il prima possibile e spiccare entrambi un volo acrobatico che li avrebbe portati nei cieli estivi di Caminos.

 

[…]

 

Di quel passato lontano a Natah rimaneva semplicemente un ricordo agrodolce,  a tratti amaro, destinato a scontrarsi con la realtà di una relazione che si era fatta via via sempre più complessa ad ogni loro incontro segreto. Quel giorno era ritornata a casa verso il calar del sole, dolorante e con le gambe traballanti, ma straordinariamente felice dell’esperienza fatta con il più sbagliato degli uomini.

Un ricordo questo che, in quel preciso momento, si fece sempre più sbiadito quando una sgradevole sensazione alla gola non la costrinse a dischiudere i sensori ottici per risvegliarsi in quello che era un ambiente totalmente alieno per lei.

Ciò che vide fu in principio il soffitto in metallo di una stanza che sicuramente non apparteneva alla stazione medica in cui si era rifugiata un giorno fa – o forse erano passati più giorni? – e il rumore dei macchinari medici la portarono a pensare velocemente che doveva essere stata trasportata da tutt’altra parte dopo le cose orribili successe all’ospedale. Le facce disossate e allucinate di quei mostri senza anima dei mortiliani per un momento occuparono i suoi pensieri con dei flash orribili e strazianti. Una paura atavica si impossessò di lei per un brevissimo momento, ricordando la loro presa sulle sue vesti e sui suoi “capelli” e la furia con cui la buttarono sul pavimento per poterla letteralmente mangiare. Con un gemito strozzato sentì nuovamente i denti di quegli schifosi addentarle l’armatura del polpaccio destro, recidendogliela di netto, urlando disperata il nome dell’unica guardia del corpo che aveva assoldato per una missione che reputava rapida e sicura. Un ragazzo giovane, che si buttò a capofitto nella mischia a colpi di spada pur di trarla in salvo e rischiare così la propria nobile vita.

Quel soldato aveva dato la vita per lei e per suo figlio – e per tutti quelli presenti all’interno del caveau – ed ora il suo sacrificio si era rivelato comunque vano quando la ragazza realizzò che solo la DJD poteva essersi presa cura di lei dopo quel disastroso attacco.

Era stata portata li e curata per chissà quali malefici scopi, nonostante quello che doveva essere il loro capo le aveva assicurato che non le sarebbe stato fatto alcun male, ed ora il suo istinto (piuttosto che la ragione) le stava suggerendo di alzarsi da quella lettiga il prima possibile nonostante lo strano peso che le bloccava in parte le caviglie.

“M-ma cosa… AH!”

Nel momento esatto in cui si mise a sedere si rese conto che sdraiato accanto a lei c’era una creatura che aveva ben pensato di appoggiare il proprio lungo muso sui suoi piedi come se fossero un cuscino, avente le sembianze di una specie di cane alquanto strano fino a quel momento impegnato più ad oziare che a farle la guardia. Pareva innocuo, ma tanto bastò per spaventare una giovane femme appena uscita dal coma indotto e a farla strillare di conseguenza. Cadendo rovinosamente a terra nell’atto di scostarsi il più possibile da una belva a lei sconosciuta, e gemendo di dolore quando colpì rovinosamente i gomiti e il fondoschiena a terra.

“Stammi… stammi lontano! R-resta lì!”

La bestia parve darle retta sebbene si alzò in piedi come allarmata da quella goffa caduta, limitandosi a guardarla incuriosita nel mentre che la disgraziata si rialzava in piedi con non poca difficoltà e con ancor poca grazia. Nonostante la gamba fosse stata riparata la sentiva ancora debole e traballante – il tutore di metallo che la sosteneva non era li solo per bellezza – pertanto dovette arrampicarsi lungo una scaffalatura di attrezzature mediche a lei ignote prima di riuscire a issarsi in piedi continuando a tenere d’occhio le possibili intenzioni di una creatura fin troppo strana per definirlo un animale vero e proprio.

“Devo… devo andarmene da qui!”

La voce le si spezzò per un momento, preda dell’adrenalina e di una possibile crisi di nervi, ma perlomeno fu grata di constatare che in quella infermeria non c’era nessuno che potesse mettere in allarme l’intero equipaggio. Con un po’ di fortuna, cercando di sfruttare le ombre offerte da quell’ambiente a lei sconosciuto, forse avrebbe potuto anche farcela… oppure, con un po’ più di saggezza, avrebbe potuto sfruttare la copertura offerta da un carrello per i panni sporchi parcheggiato fuori dalla sua stanza. Non che doveva saltarci dentro per forza di cose – anche perché non le sembrava molto igienico vista la condizione di quegli stracci, senza contare che non contava di poter nascondere le proprie ali in quanto sarebbe stato eccessivamente scomodo – ma perlomeno poteva nascondersi di lato o lanciare quel carrello come un ariete nel caso qualcuno avesse cercato di fermarla.

Un piano disperato fin dal suo concepimento, molto probabilmente destinato a fallire, ma perlomeno era meglio che non provarci affatto.

 

[…]

 

Su Messatine mancavano poche ore al sopraggiungere dell’alba, e forse fu questa la fortuna che baciò Natah quella sera. Con la notte che ancora avvolgeva le dolci colline ghiacciate del pianeta l’equipaggio della Paceful Tyranny era ancora rintanato nelle proprie cuccette, o almeno così sperava.

Non le ci volle molto per capire che la struttura in cui si trovava era una nave di dimensioni notevoli – e dagli oblò dell’incrociatore poté osservare il deserto innevato di un pianeta a lei alieno – ma una volta raggiunto l’hangar di carico dell’incrociatore si rese conto di una scoperta ancor più agghiacciante. Una volta raggiunta la sponda di carico, ferma ad una piattaforma grande abbastanza per contenere l’intero volume della nave e consentire lo scarico merci, ciò che poteva essere naturale per una seeker come lei si rivelò estremamente arduo se non addirittura impossibile.

Il suo intento era quello di trasformarsi e spiccare il volo verso quel cielo ancora buio e sferzato dal vento gelido, il più lontano possibile dai boia decepticons e dalle loro intenzioni tutt’altro che cristalline, ma ciò che le riusciva a fare era solo di accennare un tentativo di trasformazione ad ogni battito di ali.

“il mio t-cog… me lo hanno tolto!”

Lo disse con un filo di voce, chiudendo momentaneamente le palpebre sintetiche in un momento di sconforto totale, sentendosi oltremodo violata da quella loro precauzione atta a non volerla far scappare in nessun modo dalle loro grinfie. Molto furbi, gliene dava atto, ma non sarebbe stato quello a fermarla.

Anche se in quel momento non poteva definirsi propriamente lucida nei suoi pensieri – perché voler fuggire in fretta e furia senza un minimo di accortezza e un piano che fosse uno era da folli, preda del terrore più cieco – l’unica idea che le venne in mente era quella di avventurarsi in linea retta verso quel mondo ricoperto di neve, seguendo quella che sembrava essere una pista che da molto non veniva battuta. Prima o poi avrebbe pur incontrato qualcuno in grado di aiutarla.

Si fece coraggio dunque, ed alzò i tacchi verso una neve che l’accolse senza pietà alcuna.

 

Ciò che la ragazza non poteva sapere era che non tutti gli abitanti dell’incrociatore erano a riposo. Alcuni, e nello specifico il suo comandante e l’ufficiale medico di bordo, erano ancora svegli persi in una nottata insonne a sbrigare mere faccende burocratiche sul grande ponte di comando. Un buon modo per lui di distrarsi e rilassarsi da pensieri ancora nebulosi, un buon modo per lei di tenerlo d’occhio in quanto non riusciva proprio a fidarsi della sua buona parola.

Ed ora erano entrambi davanti agli schermi olografici della sala comando intenti ad osservare ciò che le telecamere esterne mostravano loro. Una femme intenta a camminare con difficoltà sulla neve che le arrivava fin quasi alle ginocchia, decisa a percorrere l’unico “sentiero” che portava nell’entroterra del pianeta e creato dai precedenti passaggi della DJD nell’atto di scaricare del contenuto indesiderato.

“Tarn… forse è il caso di andare a prenderla”

“No. Lascia che vada… e che veda

Per un momento la risposta lapidaria data dal suo leader la lasciò del tutto spiazzata, portandola a guardare velocemente l’inquisitore capo a bocca aperta e in procinto di protestare, per poi ricordarsi che non era il caso di contraddirlo troppo su di un argomento che era ancora un tasto dolente per lui.

“La strada è sicura per ancora qualche miglio, non finirà dritta dentro un crepaccio con il rischio di incombere in chissà quale pestilenza. Puoi stare tranquilla, Nickel… la ragazza ha già dimostrato di non essere una stupida”

Era risaputo che, se la superficie di Messatine era prettamente tranquilla e sicura, il sottosuolo era un concentrato di letalità a causa di una passata piaga che aveva sterminato i suoi minatori e buona parte delle sue guardie. Ora il peggio era logicamente passato, ma tra le sue gallerie ancora cariche di prezioso minerale serpeggiavano le carcasse arrugginite dei suoi precedenti abitanti, e il virus che li aveva annientati ancora dimorava assopito nell’umido terreno.

Ma il leader della DJD confidava nel fatto che la femme si sarebbe fermata molto prima nella propria corsa verso la libertà, in quanto ciò che avrebbe visto nella neve le avrebbe fatto finalmente aprire i sensori ottici sul destino che l’attendeva.

 

[…]

 

La luce del sole sorse impietosa sulle lande ghiacciate di quel sasso alla deriva qual era Messatine. La figura di Natah in tutto quel bianco immacolato, quasi accecante a causa della nebbia e della neve che continuava a cadere, procedeva a stento spossata da una camminata di almeno due ore piegata dal freddo e da un brontolio allo stomaco che si stava facendo sentire sempre più ad ogni passo su una neve che ormai le arrivava sino alle cosce. Aveva fame, e forse il pensiero costante di averla la teneva sveglia.

Le braccia le teneva incrociate appena al disotto del petto, istintivamente dedita a proteggere la vita della propria creatura da un freddo pungente che la stava portando a sentire i circuiti congelarsi ad ogni passo nella spessa neve, mentre tutta la sua figura era curva in avanti a causa della stanchezza e del dolore alla gamba da poco operata dovuta ad una lunga camminata sfiancante e inconcludente. Era come se stesse andando alla deriva e ad ogni ora che passava stava iniziando a ragionare più a mente lucida rispetto a prima, decretando che forse non doveva andarsene via così di fretta lasciando il beneficio del dubbio riguardo alla situazione in cui si era ritrovata.

Ma come poteva se in ballo c’era la vita di suo figlio di mezzo? L’unica cosa che Megatron le aveva lasciato? Davvero poteva permettersi il lusso di rischiare la propria vita e quella del loro unico figlio ora che lui non c’era più?

“Megatron…?”

Oppure non era esattamente così?

In principio pensò che fosse uno scherzo dettato dalla foschia e dalla stanchezza di essersi introdotta in un entroterra a lei ignoto, una allucinazione che si stava palesando nelle sue ottiche azzurre ad ogni incerto passo sulla densa neve sferzata da un vento ora non più tanto forte e insidioso come in quelle prime ore del mattino. Ma poi, avvicinandosi con sospetto a quell’imponente sagoma che si stagliava nella foschia mattutina, non poté fare a meno di riconoscere la sagoma dell’uomo che fino a qualche giorno fa aveva amato nel bene e nel male.

Per un momento la scintilla perse un paio di pulsazioni dovuta all’emozione di non credere ai propri sensori ottici, ora sgranati nel tentativo di riconoscere meglio le forme massicce del compagno estinto, sentendosi per un breve momento leggera come un fiocco di neve nell’atto di avvicinarsi a lui e a constatare che tutta la speranza che nutriva in quell’istante era fondata su una vana speranza.

Speranza, questa, che le morì in gola quando – nell’atto di avvicinarsi con cautela alla sua figura – constatò che quell’immagine in principio avvolta nella foschia era fatta di pura roccia anziché metallo e protoforma.

Una statua a sua immagine e somiglianza, ripreso in una posa che esprimesse al meglio il proprio potere ora in frantumi, dallo sguardo assente intento a scrutare un orizzonte vuoto e monotono nel mentre che la neve continuava a posarsi sulla sua figura fredda e immobile. Megatron era morto e non sarebbe più tornato indietro per lei, per suo figlio, o per chiunque altro avesse invocato il suo nome preda della disperazione più cieca.

Finalmente, da quando era cominciato quell’incubo, Natah realizzò di essere rimasta davvero sola. Assimilando quel lutto che aveva bruscamente ignorato per giorni, da quando le era giunta notizia della sua morte per mano dei canali autobot, decisa ad attuare il proprio piano in barba a quello che il suo stesso compagno le aveva consigliato – fonte questo di diverse litigate prima del fattaccio che aveva portato il loro nucleo familiare a disintegrarsi – ora avvertiva la propria scintilla lacerarsi in un dolore mai provato prima.

Aveva voglia di piangere ma il gelo pungente trasformava le sue lacrime in cristalli. Aveva voglia di gridare ma il fastidio alla gola la portò unicamente a rantolare nell’atto di inginocchiarsi a terra di peso continuando ad osservare quella figura di pietra priva di vita che la ignorava volgendo il proprio sguardo altrove. Abbandonato lì dopo aver disertato nel peggiore dei modi.

Megatron era morto.

Lei era sola.

E i decepticons avevano rinnegato il loro stesso signore come fosse stata spazzatura da buttare fuori dalla porta, lontana da sotto il loro naso a causa di un tanfo che potevano sentire solo loro.

 

Presa dalla propria silenziosa disperazione quasi non si accorse dei pesanti passi, attutiti quel tanto che bastava dalla soffice neve, che si generarono alle sue spalle se non quando ormai erano prossimi a raggiungerla. Alle sue spalle un solo uomo attendeva che la femme si accorgesse di lui, ed ella se ne accorse ben presto trovandosi a chinare il capo sconfitta di fronte al futuro che l’attendeva.

Tarn alla fine ci aveva giusto, e sbarazzarsi della statua del suo antico signore – un tempo posta nella hall della Paceful Tyranny, luogo di passaggio obbligato a tutti coloro che dovevano rendergli omaggio – era stata cosa buona e giusta visto che aveva salvato la vita di quell’incosciente ragazza. Oltre quel monolite granitico la strada sicura finiva, ed inizia un purgatorio ignoto ai più.

Aveva voluto darle tempo di riflettere e di farle capire che non c’era più scampo per lei, che non c’era mai scampo dalla DJD, lasciandola al suo dolore e ad una comprensione che non tardò ad arrivare.

“Quindi… è finita?”

Quella parve più una domanda posta sulla sua condizione anziché sullo stato di un esercito ora non più allo sbaraglio ma comunque teso – se non terrorizzato – di fronte ad un nuovo signore dalla fama di macellaio invasato. Ignorava ancora che il diritto di rivendicazione mosso da Tarn comprendeva anche la sua esistenza e quella del futuro erede di Megatron, facendola sua di diritto così come ogni altro bene appartenuto un tempo all’ex signore della guerra.

“Si… è finita” fece finalmente lui, compiendo gli ultimi passi che lo separavano dalla seeker e piegando un ginocchio a terra per poterle venire incontro “ora torniamo a casa… Stare qui fuori, nelle tue condizioni, può essere rischioso”

Anche se sorpresa da parole tutto sommato confortanti la nobile prese comunque con riluttanza la mano che l’inquisitore le porse per aiutarla a mettersi in piedi, prima di essere presa in braccio con facilità disarmante per facilitare un rientro tutt’altro che sereno verso quella che da ora in avanti avrebbe dovuto chiamare “casa”.

 

[…]

 

Una volta rientrati nell’incrociatore degli esecutori la vita aveva ripreso a scorrere già da un’ora. Sempre molto mattinieri i soldati decepticon si erano messi a svolgere le loro solite incombenze subito dopo colazione, a questo giro davvero buona in quanto finalmente possedevano una cuoca a dir poco eccezionale, ma almeno tre di loro stavano trasgredendo a quella basilare routine per cercare di origliare alla porta degli appartamenti del loro grande capo.

Appena giunto alla Paceful Tyranny aveva ben voluto farsi vedere dai suoi uomini in compagnia della loro nuova ospite, ed una volta varcate le soglie delle sue stanze personali non si era più fatto ne vedere e neppure sentire. Un atteggiamento questo troppo sospetto per non attirare chiacchiere più o meno innocue, al limite del pettegolezzo, visto e considerato che la ragazza non era affatto di aspetto sgradevole ed era a tutti gli effetti la vedova di Megatron.

“Saranno chiusi li dentro da ormai un’ora” borbottò Helex, massaggiandosi il mento con una grande mano “Tarn non ci ha detto una parola e francamente non so se sia il caso di restarcene qui…”

“Magari sarebbe il caso di tornare a svolgere le nostre faccende quotidiane” fece Tesarus, scrollando le spalle abbastanza seccato di tutto quel sensazionalismo “se ha voglia di connettersi con quella ragazzina dove sta il problema? Ne ha tutto il diritto in effetti”

Per forza di cose la dichiarazione registrata di Tarn venne indirizzata anche nei loro canali radio ufficiali, pertanto la prima cosa che potevano sentire appena accesa la radio al mattino era quella noiosa dichiarazione sul fatto che ora a comandare la baracca erano essenzialmente loro. O meglio, il loro inquisitore capo.

Non che al gigantesco demolitore importava, così come poco gli importava della ragazzina che ora si trovavano a bordo, in quanto ciò che contava maggiormente era che potessero continuare a fare il loro violento mestiere anziché mettersi a raccogliere margherite.

Di tutt’altro parere pareva essere invece il tecnico di bordo, ossia Kaon, intento a schiacciare i propri recettori uditivi contro la spessa porta metallica di fronte a lui cercando disperatamente di captare qualche discorso che fosse uno. O anche qualcos’altro di più torbido, se gli fosse stato possibile ascoltare.

“Oh, andiamo ragazzi! Non siete anche voi curiosi di saperne qualcosa di più sulla nostra graziosa ospite? Scommetto che conosce un sacco di aneddoti riguardanti il defunto Meg-Ahh! N-nonna?! Che cosa ci fai qu-”

Poco ci mancò che il mech dalle cromature rosse e oro si ritrovasse a faccia a terra quando le porte scorrevoli degli appartamenti di Tarn si aprirono all’improvviso, rivelando le voluminose forme dell’anziana levatrice di Shockwave.

La donna, inespressiva come suo solito, teneva tra le mani un vassoio in metallo ormai vuoto – e se fossero stati più attenti avrebbero anche saputo che la femme era giunta in quelle stanze ancor prima di Tarn, per stesso ordine dell’inquisitore capo – che con sfacciataggine criminale decise di utilizzare proprio sul volto di quel nipote acquisito intenzionato a farsi gli affari degli altri anziché i propri. Il colpo fu tanto potente quanto rumoroso, arrivando a deformare la superficie piana dell’artefatto quando andò a colpire la guancia destra di Kaon – a dimostrazione che la vecchia decepticon continuava a possedere una forza tale da non essere sottovalutata – tanto da far perdere immediatamente i sensi alla sua povera vittima.

“Nonna! Ma che diavolo!!”

Il commento di puro stupore da parte di Helex coincise nel momento esatto in cui il povero tecnico cadde a terra svenuto, ricevendo tuttavia uno sguardo freddo come la morte da parte di una anziana poco disposta a vederli bighellonare in giro e origliare i fatti degli altri.

“mi… mi sa tanto che Tarn si sia accorto che eravamo qui” fece quindi Tess, facendo un passo indietro nel mentre che osservava la ciclope prendere per una caviglia lo sfortunato collega di lavoro ancora esamine “meglio tornare alle nostre faccende!”

Decisero di allontanarsi da lì in tutta fretta, non curandosi del fatto che la vecchia pazza stava comunque portando il malcapitato inquisitore verso l’infermeria della piccola dottoressa affinché si desse quanto prima una svegliata.

 

[…]

 

Quello che i suoi sottoposti non potevano sapere era che Tarn, prima ancora di salire a bordo della propria nave, aveva contattato via comm-link l’anziana ciclope per impartirle l’ordine di allestire una stanza per miss Natah nei suoi ampi appartamenti.

Il mech era solito usare si e no tre delle stanze presenti nei suoi quartieri – compresa, oltre la sua camera da letto, anche uno studio ed un piccolo “museo” dove conservava i cimeli più esotici appartenuti un tempo al suo defunto signore – mentre le altre cinque restavano tristemente vuote fatta eccezione per il bagno padronale con tanto di vasca per un rilassante bagno d’olio. Una buona occasione quindi per mettere a suo agio la vedova di Megatron, quel tanto che bastava da darle l’idea di essere la benvenuta a bordo. Ma allo stesso tempo cosciente di essere sotto l’occhio vigile del suo nuovo signore, indisposto a farla volare via dai propri artigli.

“Questa sarà la tua stanza d’ora in avanti. È ancora molto spartana ma…”

“Va benissimo così. Ringrazio entrambi per l’ospitalità”

Seduta su quella che da quel giorno in avanti sarebbe stata la sua cuccetta la ragazza osservò con aria stanca l’arredamento essenziale della stanza in questione. Oltre al letto era presente un armadio con all’interno alcune coperte e una scrivania su cui una anziana ciclope aveva appena disposto la colazione per la sua nuova ospite, il tutto in un ambiente ancora minimalista ma nulla che non potesse sopportare. In fin dei conti una volta lasciati gli agi della villa di suo padre aveva vissuto per diverso tempo nel sottoscala della biblioteca in cui lavorava, prima di racimolare abbastanza per permettersi un appartamento tutto suo, quindi ad una vita semplice era abituata.

Ma oltre a questo, Tarn confidava che la ragazza fosse stata educata da buona caminoana alle sue regole non poi così diverse da quelle scritte in Towards Peace. Per quanto potesse sembrare una società tranquilla e amante della pace era risaputo che ancora oggi su Caminos fossero seguite regole piuttosto medioevali per quanto concerne la vita privata dei nobili più che delle persone comuni al loro servizio.

E il tanto discusso diritto di rivendicazione esisteva in forma simile anche su quel pianeta di rammolliti… quindi, magari, Natah non avrebbe fatto troppe storie sul fatto che fosse lui ora il suo nuovo “compagno”. Ma di questo c’era tempo per parlarne in diversa sede, comprendendo perfettamente che ora la femme era troppo stravolta per sostenere un colloquio.

“per oggi avrai la giornata libera, così come anche per le prossime” fece lui, estraendo da uno scomparto nascosto nel petto il registratore che gli aveva dato il suo ex leader “so che magari non è il momento più opportuno per certe cose, ma Megatron ci teneva davvero che venissi protetta da noi. A costo di dare la sua vita”

Le consegnò lo strumento sul quale egli stesso aveva speso giorni a memorizzare ogni singolo dettaglio in video – ogni sua sillaba pronunciata – notando per un momento la sua espressione facciale confusa farsi più cupa quando accese il dispositivo riconoscendo il volto del suo estinto compagno.

A quel punto la seeker non resse più, portandosi una mano alla bocca nel tentativo di frenare dei singhiozzi ormai fuori controllo colta da un esaurimento che difficilmente l’anziana decepticon e il padrone di casa sarebbero riusciti a colmare al momento. La cosa migliore da fare era di lasciarla in pace con i suo dolore, in modo che potesse assimilarlo a dovere ora che aveva compreso che Megatron non c’era davvero più, confidando che si sarebbe ripresa il prima possibile da brava nobile qual era.

“Assicurati che nessuno ci disturbi” fece Tarn alla ciclope, una volta che furono usciti in silenzio dalla camera della femme “sono sicuro che i miei uomini non perderanno tempo a curiosare, ma questa è davvero l’ultima cosa di cui la ragazza ha bisogno”

E per una volta tanto, la vecchia megera fu soddisfatta di notare uno slancio di saggezza nel suo affascinante comandante.

 

[…]

 

“Mi chiedo a cosa possa servire tutto ciò…”

“A pagare le riparazioni per il tetto di casa nostra, come prima cosa! È risaputo che questo genere di cose attiri più shanix che babbei”

“La tua risposta è… logica. Ma avrei gradito che facessi tutto da sola”

L’atona risposta di Shockwave in realtà nascondeva una certa noia dovuta alle prodezze giornaliere di sua sorella Shockblast e al suo volersi scattare foto sexy da postare sui suoi social network – cosa che lui avrebbe fatto volentieri a meno – piuttosto che mettersi a lavorare in laboratorio assieme a lui per completare diversi esperimenti lasciati incompiuti. Sul serio, sua sorella era una donna intelligente ma davvero alle volte non capiva perché sprecare le proprie potenzialità scientifiche per una effimera notorietà basata sul poderoso fondoschiena che ora stava cercando di fotografare. E d’accordo che si trattava certamente di una attività più remunerativa rispetto che star dietro ad esperimenti disgustosi – in fin dei conti non aveva torto quando diceva che con quegli shanix si erano sistemati la loro antica torre – ma vedere quelle due bocce gli veniva solo da sbuffare seccato.

“anche perché da protoforme ricordo di aver scritto ‘carico pesante’ alle sue spalle” ricordò lui quasi con logico divertimento, ed ormai saturo di una situazione paradossale che lo aveva portato fino al salotto personale di sua sorella.

Supina su di un tappeto, e con il suddetto fondoschiena slanciato verso l’alto, la bella ciclope iniziava a irritarsi di fronte alla reticenza del fratello maggiore. Tanto da sbuffare seccata e ricordargli il motivo per cui lo aveva convocato con così tanta urgenza.

“il treppiede della fotocamera olografica è andato rotto! Quindi o mi aiuti con questa cosa oppure…”

“oppure Whirl potrebbe prendere il mio posto”

Poteva sembrare alquanto strano che loro cugino – tra l’altro facente parte degli autobots e questo non era un particolare da trascurare – gironzolasse ancora per la loro torre… e difatti se l’era chiesto persino il padrone di casa neanche ventiquattro ore dopo che la sua festa nuziale era finita in malora. Poco tempo dopo si era ripresentato alla loro porta con una motivazione alquanto vaga, riguardante il fatto che voleva saperne di più sulla sorte della sua adorata nonnina, piuttosto indisposto a fornire dettagli cruciali sul reale motivo che l’avevano spinto a prendersi un altro permesso premio dai suoi superiori. Male che vada Shockwave lo avrebbe silurato sui due piedi nel caso avesse iniziato a manifestare cattive intenzioni, e comunque si trattava di un parente di primo grado a cui nonna voleva bene.

La verità ovviamente la conosceva solo il ciclopico autobot, e più che ottenere un permesso per motivi familiari – che difficilmente avrebbe ottenuto – era fuggito a gambe levate dopo aver causato un possibile casino sulla nave su cui viaggiava. E di quel casino ben se ne ricordò quando vide l’adorata cugina inginocchiata a terra e con quel suo culo che non aspettava altro che pinzettato da lui… ma sapeva che non era quello il momento, e ciò che riusciva a fare al momento era restarsene imbambolato di fronte alla porta di ingresso.

“Ehm, siete sicuri che io possa andare bene per…”

“purchè mi fai queste benedette foto, Whirl! Iniziano a farmi male le ginocchia”

La verità era che il pessimo soldato aveva cercato asilo dai suoi discutibili cugini dopo che aveva colto con le mani nel sacco quel piccolo ingrato di Tailgate chattare con la bella Shockblast su argomenti che un fottuto minicon non doveva decisamente affrontare con un transformers più grande di lui di almeno due taglie! Pertanto le legnate che ne conseguirono, reso pazzo da una gelosia che non credeva neppure sua e convinto di salvare così l’onore della bella femme, furono così forti e violente da mandare lo sfortunato nano in coma in infermeria e lui in fuga per forza di cose.

Whirl ovviamente non poteva sapere che la cugina adorava i mech di taglia esile e i minicon – rispetto a molte sue coetanee che sbavavano per il cybertroiano più massiccio in circolazione – trovando questi ultimi davvero tanto carini e iniziando per questo a flirtare con uno dei suoi affezionati ammiratori che ben apprezzavano le sue foto.

“bè allora mi metto subito all’opera… però credo che verranno un po’ alla cazzo, eheh!”

L’idea di tirare fuori suddetto arnese era una grande tentazione, ma Whirl restava comunque un signore e dunque sarebbe sicuramente riuscito a scaricare una certa tensione più tardi. Di tutt’altro parere invece parve essere Shockwave, che tosto si allontanò da quella stanza una volta consegnata la macchina fotografica nelle “mani” del cugino. Il ciclope dall’armatura viola aveva ben altro a cui pensare, conscio del fatto che aveva una anziana parente in mano al nuovo despota dei decepticons – si, la registrazione di Tarn aveva raggiunto anche lui – e una moglie che ancora non riusciva a toccare, pertanto l’unica cosa che riusciva a rasserenarlo un po’ era stare dietro ai suoi esperimenti incompiuti e portare pazienza.

Tuttavia, neanche il tempo di un paio di scatti fotogenici, qualcosa riportò lo scienziato ciclopico sui suoi passi dopo quelli che erano stati si e no cinque minuti di assenza dalle stanze di sua sorella. Portando i presenti ad allarmarsi e non di poco.

“Uh? Fratello, che succede?!”

Shockblast capiva sempre subito quando c’era qualcosa che turbava suo fratello maggiore, tanto da mettersi immediatamente in piedi nel momento esatto in cui entrò in tutta fretta in stanza dirigendosi insolitamente al mobiletto degli alcoolici.

Era successo qualcosa in quei pochi minuti di assenza. Qualcosa che aveva a che fare con una chiamata d’urgenza a cui lui aveva risposto e che ora lo stava spingendo a doversi riempire un bicchiere di cristallo per sbollire i nervi e non avere voglia di spaccare tutto e tutti.

“Si tratta della DJD, cara sorella” fece finalmente lui, una volta che finì di sorseggiare tutto d’un fiato il liquore all’energon che aveva scelto “hanno detto che verranno da noi tra cinque giorni e di tenerci pronti… qualunque cosa voglia dire questa frase”

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Capitolo 8
*** non sei la benvenuta ***


Ormai erano giorni che se ne rimaneva chiusa in camera avvolta da coperte confortevoli e accudita come una malata dall’anziana ciclope che si premurava di portarle almeno quattro pasti al giorno, donna alquanto gentile e premurosa doveva riconoscerglielo, tutti rigorosamente abbondanti a causa del suo stato interessante. Poteva essere anche una situazione comoda, di riposo assoluto accudita da servitori accondiscendenti, se non fosse che aveva speso quei giorni a struggersi nel poco sonno e nei dolori di pancia causati da un dolore lacerante trattenuto fino a quel momento.

Aveva consumato il video nel riproduttore che le aveva donato il comandante della nave fino allo sfinimento, imparando a memoria le parole del suo compagno estinto e soffermandosi su alcuni punti a suo dire importanti. Si era messo a registrare quel video a sua insaputa – al culmine di una loro discussione abbastanza sofferta – nonostante Natah si fosse espressa in senso negativo a tutto quel suo piano con annesso sacrificio finale, ma neppure lei alla fine era riuscita a lenire quelle ferite che Megatron si portava dietro da eoni.

Il fatto di essere riuscita a portarlo dalla parte degli autobots era in realtà qualcosa a cui lo stesso Megatron anelava da tempo, ormai stanco di un esercito che non rispecchiava più gli ideali che lo avevano portato a creare la propria rivoluzione millenni addietro, conscio che ora fossero i suoi antichi nemici a rappresentare ciò che avrebbe dovuto essere lui. E invece era diventato come gli antichi senatori di Cybertron, proprio coloro a cui aveva dichiarato guerra nel nome di un popolo esasperato, tiranno sanguinario che non conosceva più la compassione.

Le parti si erano invertite, così come la storia era sempre destinata a ripetersi, vedendo in suo figlio una possibilità di riscatto personale e di rinascita per il suo popolo così marcio da essere ormai divenuto ingestibile persino per il suo stesso signore.

Una purga che gli sarebbe costata del tutto, a partire dalla sua stessa vita, ma quando Megatron si impuntava con un piano – anche dalle tinte suicide – era disposto a tutto pur di portarlo a termine. Compreso passare anche sui sentimenti delle persone che lo amavano.

“ti amo, ma proprio per questo se voglio darti un futuro a te e nostro figlio devo porre fine alla mia vita”

Queste furono le sue testuali parole al culmine di una loro discussione sofferta ma necessaria, e per quanto all’epoca le parve impossibile comprendere un simile atteggiamento nichilista ora – con il passare dei giorni – stava iniziando a comprenderlo meglio nel suo disegno più nitido.

In cuor suo sapeva che non sarebbe mai durata a lungo con lui, che non sarebbero mai potuti essere felici e contenti come nelle fiabe che suo padre le leggeva da bambina – una delle rare volte in cui aveva una interazione normale con lui, come un qualsiasi genitore e figlia – ma aveva sempre cercato di sfruttare al meglio il tempo loro concessogli. Ciò che Megatron premeva era che la sua compagna e suo figlio non subissero il marchio dell’infamia costante – imparentati con un uomo sanguinario che aveva tradito il suo stesso esercito, con il costante rischio di essere oltremodo scoperti se qualcuno li avesse traditi parlando di loro – ma che, invece, diventassero i futuri signori di un mondo nuovo. Probabilmente se non fosse morto per mano del suo stesso boia non avrebbe sortito l’effetto che desiderava – lasciando compagna e figlio a rango di reietti e un esercito allo sbando – ma necessitava di lui, di Tarn, affinché potesse usare per l’ultima volta quel timore reverenziale che il suo potere aveva generato nei secoli come collante del proprio popolo esausto. La paura che Tarn e il suo gruppo generava nelle masse come un collante efficace, fino al passaggio di potere a chi ne era predestinato per nascita.

Il punto era: come avrebbe preso quella notizia il capo inquisitore? Avrebbe accettato di essere ancora una volta la pedina di un lord dalla mente diabolica? Avrebbe messo in atto la purga estrema che Megatron desiderava? Era pur vero che tutto il piano del suo defunto compagno era molto basato sulla teoria che su fatti veri e propri.

Il padre di suo figlio aveva avuto modo diverse volte di parlarle del suo boia preferito, di come lo aveva influenzato e modellato come creata sotto le sue mani, e di come lo conoscesse bene e fosse – purtroppo contrariamente a quello che pensava Tarn – un libro aperto dannatamente prevedibile quando si trattava di intuirne le mosse.

La ragazza tuttavia – ora seduta sul bordo della propria cuccetta a rimuginare su quei foschi pensieri – ignorava come questo pozzo di prevedibilità fosse stato a un passo da reciderle la scintilla, segno che poi non era così tanto prevedibile, ma Megatron era sicuro che un uomo così privo di ambizioni e impregnato di sola ideologia religiosa avrebbe sicuramente fatto ciò che il leader dei decepticons non era riuscito a fare.

Fare pulizia all’interno delle sue file – la mossa di disertare avrebbe fatto uscire allo scoperto il marcio in maniera più plateale –e riunificare coloro che si erano allontanati con il marchio della sconfitta. E Deathsaurus non avrebbe mai concesso parola al leader dei decepticons finché questi fosse rimasto in vita, tanto più che restava comunque un valido candidato alla successione al trono.

Natah si chiese per forza di cose se il suo defunto compagno si aspettava che Tarn prendesse il potere così facilmente – impossibile non notarlo visto che aveva ufficializzato la cosa tramite canale audio, e la stessa vecchia ciclope le aveva fatto ascoltare quella registrazione – avente magari voglia di sperimentare le gioie di un comando senza limiti, e si chiese con ben più preoccupazione se prima o poi avesse preteso di condividere con lei ben altro oltre che una semplice stanza gentilmente concessale dal comandante in persona.

“Che schifo…”

Mormorò quelle parole a denti stretti, stringendosi in un abbraccio personale per cercare di mitigare dei brividi poco piacevoli non dissimili dall’angoscia. L’idea che l’assassino del suo uomo la toccasse la disgustava ad oltranza – come era naturale che fosse – ma quello che la disgustava ulteriormente era la facilità, per lei, con cui stava incassando quel lutto mettendoci una pietra sopra.

L’educazione da nobile schizzinosa che aveva ricevuto fin dall’infanzia – dalle bacchettate alle privazioni; dalla pseudo superiorità nei confronti dei popolani alle regole medioevali che comprendevano tutt’ora combattimenti al singolar tenzone – pur avendola ripudiata tutta la vita si stava facendo sentire proprio in quel momento. Una antica regola di Caminos prevedeva qualcosa di non dissimile dal “diritto di rivendicazione” emanato da Megatron – anch’egli cresciuto in un ambiente militare e pieno di regole – ove il vincitore di un duello d’onore poteva reclamare il proprio diritto su ciò che più lo aggradava. Il più delle volte le dispute combattute in tal modo nel suo pianeta natale riguardavo gli altezzosi nobili, e più precisamente erano spesso duelli di natura passionale o per vendicarsi di un torto subito. Persino una sua zia materna era passata per un simile trattamento, arrivando a sposare l’assassino del suo precedente marito, ma ciò non toglieva che la giovane femme provasse un certo disgusto per se stessa per il modo in cui ora trovasse “normale” una cosa del genere.

Aveva cercato in tutti i modi di evitare che il piano di Megatron si compisse, presa dall’istintivo senso di protezione nei confronti di un figlio non ancora nato, aveva lavorato sottobanco ad un piano veloce per scappare da responsabilità che neanche voleva. Ma quello era il suo uomo – quello era Megatron, e sarebbe arrivato a lei anche da morto – e come sua compagna aveva dimostrato di non voler più scappare nel momento esatto in cui aveva deciso di stare con lui.

Se doveva quindi far parte di tutto quel piano contorto non aveva intenzione di farlo nel silenzio di una schiava spacciata per ospite ma come la madre di quello che in futuro sarebbe dovuto diventare il capo di un intero regno. Era un suo sacrosanto diritto avere almeno una voce in capitolo sull’educazione futura di suo figlio, indisposta a lasciarlo sguazzare nella più torbida ideologia decepticon come quel fondamentalista di Tarn, ed era ora intenzionata a parlare di questo al lord inquisitore.

Posò il registratore di Megatron all’interno di un cassetto del comodino accanto alla sua cuccetta – in un silenzioso gesto di addio al proprio amato compagno. Nel bene e nel male – e decise di alzare i tacchi da quegli appartamenti raggiungendo in breve tempo il corridoio principale.

Sapeva che il suo comandante era fuori dalla propria stanza – stava fuori tutto il giorno e rientrava a sera tardi, i suoi passi pesanti erano difficili da non captare – pertanto la prima cosa da fare era magari cercarlo nei luoghi pubblici della nave… se solo avesse saputo dove fossero!

L’incrociatore della DJD era semplicemente enorme, e come se no bastasse sembrava che agli inquisitori non servissero cartelli o targhe che indicassero i luoghi di interesse in quella che era la loro base mobile. Bastavano giusto le targhette o le insegne luminose sopra le porte di riferimento, ma per il resto non una freccia che le indicasse la via… rischiando così di finire chissà dove se avesse fatto troppi passi al di fuori dei propri appartamenti.

Tuttavia, tra le ombre di quel corridoio mal illuminato, la “fortuna” accorse in aiuto della seeker quando da una porta ne uscì trafilato un individuo alto quanto lei – sugli otto metri circa – dall’armatura rossa e dalle voluminose antenne tesla che gli spuntavano curiosamente dalle spalle. E se quello poteva essere un particolare estetico insolito, il suo sguardo inesistente – sostituito da due orbite nere al posto degli occhi – la portò momentaneamente a congelarsi quanto l’esecutore decepticon si accorse di lei allargando il proprio sorriso a trentadue denti.

“Ehi… ciao! Finalmente che ti vedo in piedi! allora… come stai oggi? Necessiti di qualcosa o stai solo facendo una passeggiata? Possibilmente non da sola…?”

Quell’ultima domanda fuoriuscì in modo più attenuato rispetto alla raffica di domande precedenti, quasi come se fosse timoroso di ricevere un secco “no” da parte della bella femme, e per quanto la diretta interessata non fosse propriamente d’accordo ad avere tra i piedi uno di quegli assassini sapeva bene che forse non era il caso di dargli il due di picche al primo appuntamento.

“io… si, forse potreste essermi di aiuto signor…?”

“oh, puoi darmi del tu, quindi chiamami pure Kaon e basta. Sono il tecnico della squadra, e sono al tuo completo servizio”

“Kaon… perfetto…” proprio non ce la fece a sorridergli di rimando, ma accennò un timido cenno di assenso con la testa “avrei effettivamente bisogno di una mano, in quanto non riesco a trovare il comandante della nave e avrei necessità di parlargli”

“bè, se hai tanta voglia di parlargli allora credo proprio che a quest’ora si troverà in cucina a cenare con il resto della squadra… è proprio lì che sto andando, quindi se vuoi ti ci accompagno”

In un primo momento Natah non tenne conto del significato intrinseco di quelle parole – soffermandosi solo sulla posizione dell’attuale signore dei decepticons – ma poi si rese conto di come in quei giorni avesse praticamente perso, o quasi, il senso del tempo. Se non era per la vecchia ciclope che le allungava gentilmente i pasti forse avrebbe continuato a sguazzare nel proprio dolore come una ameba, fregandosene se fosse giorno o notte su una nave di cui neppure sapeva se era ancora ancorata su Messatine oppure in viaggio per lo spazio siderale. Era chiaro che doveva riprendersi quanto prima.

“è davvero già ora di cena…?

“quasi, ma non ti preoccupare, ti accompagnerò io”

Dette quelle parole l’esecutore chiacchierone decise di trasformarsi sotto i suoi occhi, deciso più che mai a fare il galante con la nuova arrivata, lasciando ben presto intuire alla seeker il perché di quelle strane antenne sulle spalle. E non si sentì più tranquilla nel vederlo nella sua modalità veicolare.

“una sedia…”

elettrica? Si, lo so… è una trasformazione bizzarra ma dannatamente efficace, eheh!” smise tuttavia di ridere quando la vide fare un passo indietro dubbiosa “ehm, comunque puoi stare tranquilla! Non sia mai che faccia del male alla ragazza del capo…”

“cosa?! Io non-ehi!”

Quell’insinuazione da parte del tecnico decepticon piacque decisamente poco alla nobile caduta in disgrazia, che trovò la cosa ben poco divertente per quanto magari poteva esserlo in una situazione normale, e trovò ancor meno rilassante il modo in cui quel soldato le tamponò le ginocchia per farla così cadere sul proprio rigido sedile.

Costretta a seguire quell’angheria in silenzio – temendo una ben peggiore reazione da parte di quello squilibrato se lo avesse mandato al diavolo – strinse i denti cercando di mettersi comoda nel mentre che l’inquisitore aumentava la propria velocità.

“ma… potevo camminare da sola!”

“si ma è meglio non sforzare troppo una gamba operata da poco!”

La sua voce si fece leggermente stridula nel pronunciare quelle parole, come se neppure lui credeva a quanto detto, dando una netta schiacciata sul pedale dell’acceleratore per superare una scusa patetica ancor prima di una strada scarsamente illuminata.

 

[…]

 

Come ogni incrociatore che si rispetti anche la Paceful Tyranny possedeva una sala mensa degna di rispetto – dopotutto poteva ospitare fino a cinquemila uomini al suo interno, quindi doveva pur avere lo spazio per sistemarli e sfamarli – ma per ovvie comodità tecniche la DJD preferiva mangiare nell’intimità della cucina di bordo.

In passato i vari membri della squadra si erano dati il turno per quanto riguarda preparare da mangiare durante gli orari di pausa, ma per fortuna loro da quando avevano “reclutato” l’anziana levatrice di Shockwave la qualità dei pasti era nettamente migliorata così come, di conseguenza, anche l’umore. Tuttavia, come in una di quelle storie dai risvolti umoristici tetri, l’alone di intimità simile a quello che può essere definita una famiglia disfunzionale venne interrotta dall’arrivo di un ritardatario mancante al suo consueto posto al tavolo circolare. E quando Kaon varcò la soglia della cucina, per forza di cosa l’amabile chiacchiericcio si sostituì ad un gelo imbarazzante. In quanto non era affatto da solo come a suo solito, se si escludeva il fatto che era spesso in compagnia del suo cane bizzarro.

“ti ringrazio per il passaggio, ma davvero non-”

“ah, ma non preoccuparti… in fin dei conti sei nostra ospite, giusto? Ohi, nonna! Prepara un posto in più per Natah”

Per quanto l’entrata in scena fu plateale per la suddetta ragazza, era chiaro anche per lei che non fosse propriamente la benvenuta viste le occhiate gelide e/o indifferenti che subito si accollò come un sudario. Alcuni dei mech presenti li ricordava abbastanza vagamente, visti di sfuggita quando il comandante della DJD l’aveva scortata sulla nave, ma poteva comunque giurare a se stessa che quelle stesse occhiate critiche se le era addossate già giorni prima di finire dentro quella cucina.

Fu quindi lesta a rimettersi in piedi da una sedia decisamente in fibrillazione – probabilmente Kaon aveva goduto più di tutti quel breve tratto di strada – lasciando che il suo accompagnatore si trasformasse e andasse a prendere posto al suo consueto schienale.

Fu l’unica femme ad essere seduta al tavolo – una minicon, da quello che poté constare una seeker rigida dall’imbarazzo e dal timore, molto probabilmente il medico di bordo visti gli strumenti che ancora si portava appresso – a prendere l’iniziativa di scalare di posto una volta che l’anziana ciclope trovò uno sgabello per il nuovo ospite inaspettato. Il tutto nel gelido silenzio di chi sapeva di avere a che fare con un incomodo ancora poco gradito da quella banda di assassini legalizzati. Quasi le sembrò di vederla sbuffare, ma se non altro la piccola dottoressa ebbe la premura di lasciarle il posto accanto a Tarn.

Seduta tra il suo sire e il primo ufficiale medico la scongiurava da qualunque cosa che non fossero occhiate fredde e indifferenti, ma perlomeno le lingue dei restanti esecutori se ne sarebbero ben rimaste serrate nelle loro mascelle intenti a mangiare i manicaretti di “nonna”.

“mi fa piacere vedere che stai meglio” spezzò il silenzio Tarn, guardandola di profilo e non venendo ricambiato “so per certo che nonna ti abbia trattato più che bene in questi giorni, ma non devi sentirti obbligata a cenare con noi”

“no, no… non è quello. Io…” per un momento il coraggio le mancò, sentendosi davvero piccola di fronte a quegli energumeni dall’aria truce “ho pensato che fosse più rispettoso sedermi a tavola con voi piuttosto che continuare a pensare al passato in camera mia… magari cercando di rendermi utile per il gruppo, in futuro”

Si sentì letteralmente morire, ma fu comunque abbastanza attenta dal non far tremare troppo la voce mantenendo la schiena rigida e lo sguardo verso il comandante della nave, ignorando gli altri commensali in sala da brava nobile schizzinosa.

Il gelo che fino a quel momento aveva accompagnato la sua entrata in scena si stemperò brevemente in una nuvola di stupore che si sostituì poi in breve tempo, la durata di un paio di pulsazioni della scintilla, al logico dubbio su una scelta simile da parte della nuova arrivata.

Alcuni dei componenti della famelica squadra si dettero una occhiata piuttosto accigliata – la stessa Nickel adocchiò Tarn per capire se fosse effettivamente d’accordo con una simile decisione repentina – ma la risposta da parte di un silenzioso leader non tardò ad arrivare.

“è… una iniziativa lodevole da parte tua. E sono certo che riusciremo a trovarti un impiego qui sulla nave” se si era dimostrato sospettoso della decisione della giovane fu ben abile a tenerlo nascosto, merito anche della maschera che gli ricopriva il volto “penso che sarà il caso di parlarne più tardi, magari nei miei uffici. Ora mangia la tua portata prima che si raffreddi”

La paternale coincise effettivamente con un abbondante piatto di cubetti di energon servitole sotto il naso proprio dalla cuoca di bordo, lasciandola per un momento interdetta tra la sensazione di essere stata umiliata dal leader della DJD a quella di non sapere se ringraziare il fato per essere riuscita a trovare uno spiraglio di sopravvivenza da una situazione di totale soggiogazione. Se si fosse messa a fare qualche lavoro – tipo mettersi a fare l’archivista di bordo, dato che dubitava che qualcuno si occupasse veramente del registro contabilità – all’interno della loro nave avrebbe avuto modo di tenersi impegnata e farsi una idea di chi aveva attorno… e magari risultare meno di ingombro a gente abituata a fare ben altro che la balia a tempo pieno.

Ma cercare di fregarli e tentare di contattare gli autobots, di cui comunque faceva parte in modo formale, per essere salvata in grande stile non era esattamente nei suoi piani futuri. Avrebbe solo innalzato le basi per una inutile carneficina tra antichi avversari, cosa questa che anche il suo defunto compagno voleva evitare.

Quei bastardi avevano già dimostrato di poter arrivare ovunque per ottenere quello che volevano, di poter ammazzare chiunque senza troppa difficoltà, e attualmente in grembo portava una scintilla di vita che necessitava di tutti i nutrimenti necessari per crescere forte e sana e nascere quindi il prima possibile. Se non si fosse alimentata adeguatamente probabilmente il figlio di Megatron sarebbe venuto al mondo dopo secoli – a causa di una stasi naturalmente indotta – mentre con nonna e le sue premurose cure a quanto pare il futuro erede al trono si sarebbe affacciato alla vita nel giro di pochi mesi.

Concesse un timido assenso di ringraziamento all’anziana decepticon, e si apprestò a mangiare la propria portata anche se aveva la bocca dello stomaco chiusa dalla troppa tensione.

 

[…]

 

“ma quest’uomo ha almeno una stanza normale?!”

La domanda che si pose mentalmente era effettivamente d’obbligo, perché la sventurata femme non aveva ancora avuto il piacere di visitare l’ufficio principale di Tarn e visitare quindi la sua principale collezione di cimeli collegata al defunto lord Megatron. Con tutta probabilità era sua volontà metterla ancor più in soggezione con quella raccolta di macabri trofei – i sensori sgranati di Natah non potevano fare a meno di osservare con un certo terrore i corpi svuotati di minatori deceduti da secoli e appesi alle pareti come animali imbalsamati – e purtroppo per lei ci stava riuscendo pienamente, forse non del tutto convinto dalle possibili buone intenzioni di una seeker sua prigioniera. Trovando comunque giusto istruirla su quelle orribili reliquie.

“li trovi interessanti? Sono minatori morti su Messatine durante il periodo di detenzione di Megatron… quando uno dei prigionieri moriva veniva rispedito su Cybertron, e furono usati per portare la parola del tuo compagno ovunque sul pianeta” aprì come se nulla fosse un mobiletto a ridosso di un muro e ne estrasse due bicchieri e una bottiglia di energon raffinato ma non alcoolico, volendo dare ospitalità a quel modo ad una ragazza visibilmente scossa “venivano scritti messaggi nelle loro viscere, così che le guardie non lo scoprissero…”

“lasciando poi il compito alle spie su Cybertron di ricopiarli e pubblicarli in rete. Conosco questa storia m-ma… era davvero necessario appenderli alle pareti come… oggetti?”

lo disse sorseggiando lentamente il cubo di energon che le era stato appena offerto dal padrone di casa, senza quasi neppure rendersene conto, non riuscendo comunque a staccare gli occhi da quello spettacolo tanto macabro quanto esotico. Come aveva fatto notare al lord inquisitore conosceva già quella storia per bocca dello stesso Megatron, forse una delle sue storie più tetre e disperate, rimanendone comunque affascinata nel suo orrore – come un bambino di fronte al nonno e ai suoi racconti di guerra – e tuttavia ritrovarsi sconvolta nel vederli appesi come semplici oggetti di arredamento senza vita. Era in effetti tutta un’altra faccenda.

“Non c’è nulla di cui tu debba preoccuparti. Una volta morti le parti decomponibili sono state rimosse e di loro sono rimaste solo le armature… quindi è come vedere delle statue ad adornare le pareti”

 

Se la cena era stata comunque imbarazzante – consumata in un silenzio tombale e accompagnata da sguardi poco amichevoli e indifferenti (se si escludeva Kaon e il suo “sguardo” trasognante) – quel colloquio privato poteva essere considerato la ciliegina sulla torta di non benvenuto ad una ospite ancora poco gradita. Dopotutto nella DJD vigeva un principio di meritocrazia introdotto ancor prima dell’arrivo di Tarn, ma comunque ampliato da quest’ultimo da una noiosa burocrazia, e dover far da balia alla donna di un traditore non poteva certamente significare ottenere una immeritata simpatia.

“bando a convenevoli vari, da quello che ho capito hai intenzione di fare la tua parte nel gruppo… lodevole iniziativa, perché qui ognuno deve fare la propria parte come avrai già intuito, ma qualunque cosa tu abbia in mente mi auguro solo che non possa mettere in pericolo la salute tua e quella di tuo figlio”

“Cosa…? No! Certo che no, io…” si ritrovò a deglutire dolorosamente quando si accorse di aver istintivamente alzato la voce contro il proprio attuale signore “quando ho lasciato la casa di mio padre ho cominciato a lavorare come archivista nella biblioteca di quartiere, quindi ho pensato di offrirmi per assistervi al registro contabilità o nella burocrazia da sbrigare… se ne avete”

Lasciò morire lì la propria proposta non vedendolo muoversi o accennare un cenno di consenso con la testa, trovandosi per questo a distogliere lo sguardo scontenta da due sensori ottici piuttosto statici se non addirittura stupiti per le parole della giovane.

Non è che Tarn non le credesse, al contrario, solo che era genuinamente sorpreso di sapere che una nobile come lei avesse intrapreso la via della normalità con un lavoro da comune mortale che non prevedesse avere in giro troppe persone. Una normalità cercata al di fuori delle ricca mura domestiche significava solo una cosa: che con tutta probabilità Tesarus aveva ragione a sospettare che la ragazza non si trovasse più bene con il padre Attilus, soprattutto se di mezzo c’era una relazione con un uomo non propriamente normale come poteva esserlo Megatron.

Aveva molte domande che avrebbe dovuto farle nei giusti tempi e nei giusti modi… ma per quella sera bastava semplicemente ricordarle il suo posto, oltre che accontentarla in quella sua insolita richiesta.

“in effetti una mano in più sulla nave non guasterebbe, e avremmo proprio bisogno di cominciare a fare un inventario delle nostre scorte in magazzino” andò a frugare in un archivio metallico e ne estrasse un datapad che porse alla propria graziosa ospite, come suo primo oggetto di lavoro per contribuire alla loro causa “potrai incominciare da dopodomani, questo sarà il tuo strumento di lavoro principale, per ora puoi semplicemente riposarti perché sarà ancora un lungo viaggio e ci aspetterà una giornata piuttosto impegnativa domani”

La ragazza aveva intuito che si erano messi in viaggio probabilmente da qualche giorno se non forse da meno – magari erano partiti quel pomeriggio stesso – osservando il vuoto cosmico presente dai pochi oblò sullo scafo dell’incrociatore. Ma la meta finale onestamente la incuriosiva e preoccupava al tempo stesso, pregando mentalmente che non si stessero dirigendo a fare massacro di apostati e che lei fosse in qualche modo costretta a guardare quello schifo.

“Dove… dove siamo diretti?”

“Alla torre di Shockwave per essere precisi, ma non hai nulla di cui temere. Si tratta solo di sbrigare alcune faccende burocratiche… e cercare di contattare gli ufficiali che mancano all’appello. Ci aspetta una lunga giornata domani, quindi vai a riposarti. Avremo modo nelle future serate di parlare con più tranquillità”

A quanto pare pure lui aveva intuito la volontà della seeker di ampliare maggiormente i loro colloqui – oppure egli stesso era semplicemente interessato a conoscere meglio la compagna del suo ex padrone – ma era chiaro che quella povera ragazza si era caricata di troppe emozioni per quella sera. E la stessa Natah non poteva che essere d’accordo sull’andare a dormire e scrollarsi di dosso il disagio di essere in quella stanza degli orrori in compagnia del peggiore degli aguzzini, ritrovandosi per questo ad accennargli il proprio assenso con la testa. Ma perlomeno, stando alle parole del lord inquisitore, il voler contattare i suoi ufficiali – e quindi magari cercare un modo di contattare proprio quel Deathsaurus scomparso dai radar da tempo – poteva essere riconducibile a quanto pronosticato da Megatron tempo addietro.

Forse era davvero prevedibile come il suo estinto compagno le aveva detto…

 

[…]

 

Dopo mangiato i restanti membri della squadra erano soliti passare un po’ di tempo assieme nella sala ricreativa dell’incrociatore, tra chiacchiere a voce alta – causata dall’assunzione di qualche distillato di energon alcoolico – e giochi da tavolo ormai datati. Spesso semplici costruzioni da buttare giù con una manata poco delicata, quindi poco importava se qualche pezzo andava a perdersi tra i meandri della stanza, ma era comunque un buon modo per scaricare la tensione di una giornata di lavoro sempre e comunque pesante. Anche se l’argomento di quella sera era solo uno e forse non propriamente piacevole, anche se era impossibile non parlarne.

“Ragazzi voglio essere onesto: credo di non aver mai avuto una ragazza così bella che appoggiasse le sue chiappe sul mio pacco! È stato bellissimo”

L’entusiasmo di Kaon non era esattamente condiviso da molti dei suoi compagni di squadra – tutti seduti al tavolo circolare degustandosi alcool un bicchierino dopo l’altro – ma nessuno era così di cattivo umore da iniziare una litigata vera e propria.

“Kaon, proprio non capisco… hai già nonna che dorme con te, perché senti il bisogno di guardare le altre ragazze?!”

La cinica battuta fuoriuscì dalle tremolanti labbra di un divertito Helex, nell’atto di aiutare il proprio compare Tesarus a costruire una indefinita struttura metallica con dei bastoncini fatti di medesimo materiale. Ma il risultato fu solo di far stizzire il tecnico decepticon, aumentando l’ilarità del gruppo.

“guarda che non dormiamo assieme! Il fatto che per punizione debba tenermela in camera significa solo che lei occupa la cuccetta e io me ne resto sulla mia comodissima poltrona da gaming!”

Come era logico che fosse era ovvio che Tarn finì comunque per punire quel membro del gruppo disattento e dal vizietto facile sobbarcandogli la responsabilità di badare all’accoglienza di quell’ospite inaspettato a bordo, perché per quanto Kaon avesse assicurato al gruppo un’ottima governante e una chiave di accesso sicura alla torre del ciclopico Shockwave aveva comunque compiuto una azione sbagliata per di più non informando assolutamente il proprio comandante.

 

“Oh, andiamo! Davvero devo sobbarcarmi quella… quella cosa, in camera mia?!”

“Davvero vuoi sapere quale alternativa potresti avere, Kaon?”

 

Tarn sapeva essere piuttosto convincente anche senza usare il proprio potere da outlier per sottomettere i propri uomini – cosa questa che faceva comunque di rado – ma a vedere i risultati di quell’insolita convivenza sembrava che alla fine il mech dall’armatura rossa aveva accettato velocemente la presenza della vecchia nella propria stanza personale. E questo per forza di cose aveva attirato certe chiacchiere di corridoio.

“bah, vi gasate tanto per una ragazzina autobot senza ne arte ne parte” si pronunciò il massiccio Tess, ormai divenuto brillo “manco lo tiene nascosto… lo tiene lì in bella vista come a volerci provocare! Lo sa che siamo decepticon, vero?... vero?”

“non credo che lo faccia apposta” si fece sentire Nickel, unica presenza femminile nel gruppo e intenta a bere qualcosa di analcolico, trattenendosi dal far roteare i sensori ottici “semplicemente ha avuto altro a cui pensare in questi giorni… sai com’è, compagno morto, figlio in arrivo, gente poco simpatica attorno e-”

“attaccarsi al cavo del capo come e quando vuole lui! Bwahahah!!”

La volgare battuta di un brillo Helex coincise con il gesto di una delle sue mani più piccole di distruggere la fragile torre che lui e il suo compagno di stanza Tess avevano appena finito di costruire, facendo saltare uno dei pezzi anche in un’orbita vuota di Kaon che strillò di conseguenza, fece capire alla piccola dottoressa con disgusto che forse non era stata una buona idea passare un po’ di tempo con i ragazzi dopo cena. Di solito era una cosa che faceva comunque volentieri, ma vista la situazione attuale e tutti i casini avvenuti – il loro entusiasmo per il ritorno in carreggiata coincideva con una palpabile tensione che comunque dovevano pur scaricare in qualche modo – forse era il caso di lasciare quegli energumeni al loro brodo e rintanarsi nelle proprie stanze a leggersi qualche storia d’amore – di quelle melense e piene di sconcezze – nel proprio datapad personale.

“Tarn, spero davvero tu sappia quello che stai facendo…”

Mormorò la minicon, nell’atto di incamminarsi nei propri appartamenti.

 

[…]

 

L’unico che aveva preferito restarsene fin da subito nei propri quartieri – esclusa l’ora di cena – fu l’asociale Vos decisamente preso dai propri studi scientifici che per un motivo o per l’altro non potevano aspettare.

Se si escludeva l’inusuale presenza del cane di Kaon ai suoi piedi intento a elemosinare qualcosa – forse qualche mano robotica da sgranocchiare sul tavolo da lavoro a cui stava operando lo scienziato – si poteva dire che l’allampanato individuo fosse accompagnato solo dalle scarsi luci ambrate e dagi alambicchi ricolmi di sostanze ignote ai più.

Il perché quell’insolita bestia si spingesse fino ai suoi locali rimaneva per lui un mistero, forse inconsciamente “attratta” al luogo di tortura in cui aveva applicato le modifiche necessarie per la “domesticazione” del suo predecessore – scoperto essere una spia autobots all’interno della DJD – ma quello fu comunque un dettaglio che lo avrebbe comunque portato a sorridere se solo avesse avuto le labbra sotto la sua maschera metallica.

Decise che per quella sera aveva comunque il suo lavoro da sbrigare e poco tempo da concedere a quella disgraziata creatura, lanciandogli quello che era un dito mozzato di una loro vecchia vittima – la cui designazione era ormai andata perduta da tempo – che il cane accettò tutto contento prima di ritirarsi nelle ombre. Quello che Vos aveva sotto il naso meritava tutta la sua attenzione, e forse anche quella di Shockwave quando domani sarebbero giunti alla sua dimora.

In due differenti cilindri di vetro aveva riversato quell’insolita sostanza nera e oleosa – simile per certi versi al bitume – che era rimasta intaccata nel polpaccio ferito della giovane femme, a causa di una medicazione poco attenta sulla stazione medica, e nelle nocche di una delle grandi mani di Tesarus.

In principio aveva dato per scontato che quella maleodorante sostanza fosse semplicemente sporcizia che i mortiliani si ritrovavano ad avere a causa di una scarsa igiene sacrificata letteralmente per una vita di preghiere e mutilazioni, ma ad un esame più attento era saltato fuori che la sua natura era prettamente tecnorganica. Così come potrebbe essere un loro fluido corporeo – dal più nobile al più intimo – quella sostanza nera era una sorta di droga vivente sintetizzata in chissà quale modo e da chissà quale individuo con un potere simile. Si… potere.

Perché quella cosa era in qualche modo viva ancora adesso sebbene sempre più debole e poco reattiva alle sollecitazioni – iniziava praticamente ad agitarsi se Vos allungava le dita vicino al vetro – lasciando intendere che solo un outlier poteva avere l’innata di secernere una simile sostanza che riuscisse a fare di più che rendere pazzo chi la assumeva… ma letteralmente ne soggiogava la volontà rendendolo una marionetta ambulante sia da viva che da morta. In quell’ospedale maledetto lo scienziato li aveva visti bene quei lunatici religiosi, implacabili e assetati di energon come sciacalli, pertanto era sicuro che le sue teorie non fossero semplici fantasie dettate da una mente ancora spaventata.

Aveva bisogno di attrezzature più sofisticate, e ne aveva bisogno quanto prima.

 

 

Alla fine sono tornata ad aggiornare! Non ho lasciato morire questa serie, ma per motivi vari (lo confesso, principalmente di salute) aggiornerò con tempi molto lunghi, presumo. Vi chiedo scusa e portate pazienza.

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