Ain't no Grave di vermissen_stern (/viewuser.php?uid=234591)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Apostasia ***
Capitolo 2: *** nozze in bianco ***
Capitolo 3: *** purgatorio ***
Capitolo 4: *** l'uomo nero ***
Capitolo 5: *** una scintilla chiamata speranza ***
Capitolo 6: *** di poche parole ***
Capitolo 7: *** Nella neve ***
Capitolo 8: *** non sei la benvenuta ***
Capitolo 1 *** Apostasia ***
Allora…
la mia idea principale per questa storia è di dividerla in
più parti in modo da
creare una sorta di “miniserie”. In quanto temo che
possa anche questa essere
una storia incompiuta (di cui sono campione) vorrei fare le cose
abbastanza
ristrette. Comunque, come spesso mi accade con le fanfiction che scrivo
ultimamente vorrei puntarmi soprattutto sul lato psicologico dei
personaggi. Anche
negli aspetti più dark.
Pertanto
vi auguro buona lettura e a presto!
La
stanza in cui si trovava era un connubio di suoni ovattati e di
vibrazioni che
lo portarono a credere, un po’ per volta nel mentre che
cercava dolorosamente
di svegliarsi, che il vascello in cui era si stesse prodigando in
chissà quali
manovre folli.
Fu
solo quando i sensori ambientali di Kaon – che sostituivano
le sue ottiche
ormai perse da tempo – ebbero finalmente modo di attivarsi
completamente che,
con sforzo epico, il cieco tecnico della Decepticon Justice Division
capì che
la nave in cui era imbarcato non era altri che la Paceful Tyranny. E
non si
stava muovendo, in quanto ricordò che era ferma da un bel
pezzo su Messatine. I
postumi di quella che era sicuramente un post sballo da fine settimana
li aveva
ancora tutti, e per giunta in un periodo in cui era il caso di non
averne.
Il
pianeta ghiacciato in cui si trovava, un tempo prosperosa miniera per
le città
dorate di Cybertron – e solo successivamente sfruttato anche
per mandare a
lavorare forzatamente i suoi dissidenti – era da tempo
diventato il loro
avamposto personale in cui poter ristorare il loro incrociatore senza
problemi
e poter far sbarcare l’equipaggio in relativa sicurezza. In
fin dei conti il
maggior pericolo al di fuori della loro base era qualche crepaccio in
quella
landa ghiacciata dimenticata Primus e altri divini.
Cercando
di fare il punto della situazione cercò di mettere a fuoco
dove si trovava, e
capire il perché si sentiva la schiena completamente incriccata come una treccia di cavi,
intuendo che si trovava nei
propri alloggi personali e che torso e braccia erano bellamente distese
contro
il sudicio pavimento metallico, si trovava a pancia in giù
– e questo
giustificava il suo mal di schiena – mentre le gambe
rantolavano malamente sul
bordo della sua cuccetta annaspando come in una lenta agonia.
“Oh…
porca… troia!”
La
voce gli uscì dalla bocca in un modo così roco
che, se fosse stato un organico,
avrebbe sicuramente creduto di avere la gola secca quando in
realtà la scatola
vocale era semplicemente rovinata dopo averla usata troppo. Si chiese
istintivamente quale concerto di karaoke i ragazzi avessero organizzato
la
notte passata per ridurlo così, ma questo non giustificava
il fatto che sentiva
le viscere metalliche pronte a ributtare tutto l’energon che
aveva assunto.
Cosa
che effettivamente successe, seppur in piccolo, quando
avvertì le componenti
interne contrarsi e costringerlo per questo a scendere del tutto del
letto e
mettersi velocemente a carponi per non rischiare di ritrovarsi ad
annaspare nel
suo stesso vomito.
“bleargh…! Cazzo…
che schifo! M-ma cosa è
successo?!”
“è
quello che mi chiedo anche io, in effetti”
Per
forza di cose ora il tecnico decepticon era perfettamente sveglio
– seppur ancora
dolorante e intontito, tutt’ora fermo con le ginocchia a
terra – consapevole
che di fronte a lui stazionava il severo medico di bordo con una
espressione in
volto tutt’altro che benevola.
La
piccola e voluminosa minicon guardò con severità
il proprio paziente così come
è solita fare una levatrice con dei pargoli indisciplinati,
notando chiaramente
il modo in cui Kaon incrinò le labbra in un ghigno
disgustato (per se stesso).
“Nickel…
cos-”
“Ho
solo due domande per te perché, come ben saprai, questo
è un periodo abbastanza
stressante e dunque sarò sintetica: che fine hanno fatto
tutti i crediti del
tuo conto bancario e perché c’è una vecchia
in camera tua!”
lì
per lì il tecnico decepticon non capì cosa stesse
dicendo, arrivando a
guardarsi intorno e a mettersi in piedi a fatica – aiutandosi
con le poche
forze che aveva in corpo trascinandosi su per la cuccetta –
riuscendo solo dopo
diversi secondi a notare che, effettivamente, c’era qualcosa
che non quadrava
in camera sua.
Davanti
alla sua scrivania, illuminata dalle moltitudini di schermi che
adornavano quel
lato della parete, una figura massiccia e dall’aspetto
piuttosto antico – con
cromature tendenti al viola e al grigio – era seduta sulla
sua poltroncina
preferita intenta a trafficare su un datapad senza prestare attenzione
a cosa
stesse accadendo li dentro. Se ci si fosse avvicinati di più
si sarebbe notato
che l’anziana femme era intenta a eseguire delle incisioni
per armature, un po’
come vedere una semplice nonna lavorare all’uncinetto, ma
ciò che fece fermare
per un momento la scintilla in petto a Kaon era il volto di quel
rottame
ambulante. Non vi era ne bocca ne naso, ma solo un unico occhio dorato
rendendola per questo dannatamente simile a quel pazzo scienziato di
nome Shockwave.
“Nickel…
dimmi che non mi sono connesso con quella cosa…”
“Ah,
io non lo so!” fece con tono leggermente arrogante la
minicon, alzando le
spalle “perché non provi a chiederglielo? io so
solo che non hai risposto alle
mie domande”
Questa
volta Kaon l’aveva combinata grossa, quasi sicuramente Tarn
gli avrebbe
staccato la testa di netto per aver fatto qualcosa che il tecnico
proprio non
riusciva a ricordarsi, eppure in quel momento ciò che
avvertì maggiormente era
il fluido craniale che stava comprimendo dolorosamente il suo
processore
interno. Tanto da arrivare a massaggiarsi le tempie doloranti cercando
di far
luce su ciò che gli era successo in quelle ore di buio.
“Nnnh…
senti, Nickel! Io posso rispondere al massimo ad una delle due domande!
M-ma
poi… come fai a sapere del mio conto…”
“ho
fatto due più due quando ti ho visto ritornare su Messatine
in compagnia della
tua nuova fiamma e tu eri fin troppo allegro” ed essere
allegri di aver
rimorchiato una anziana monocola ce ne voleva
“c’entra qualche sostanza che non
mi piace, vero?!”
Il
tono polemico della dottoressa non aiutava di certo
l’esecutore decepticon che,
messo con le spalle al muro, dovette per forza di cose confessare il
proprio
vizietto a qualcuno che – con la scusa del segreto
professionale – magari non
avrebbe fatto la spia ai suoi superiori.
“S-senti…
ho comprato sul mercato nero un dose di dhambrexia,
ok? Non l’avevo mai provata e… e avevano detto che
era roba che superava tutte
le altre in circolazione ma” e qui si massaggiò
l’attaccatura del naso con
pollice e indice, sedendosi pesantemente sulla propria cuccetta
“come fanno a
definirla roba da sballo indimenticabile se poi non ricordi un cazzo?!
Cazzo!”
La
povera minicon fu costretta a portarsi una mano sul volto in un gesto
che
trasudava tutta l’esasperazione dettata dal caso, cercando di
comprendere cosa
avesse portato l’esecutore decepticon ad un simile gesto
scellerato. E la
risposta non tardò ad arrivare nel suo processore.
Erano
fermi in quel pianeta ghiacciato ormai da giorni, forse da una
settimana, cioè
da quando il loro comandante aveva fatto quel che aveva fatto. E a
rimetterci
non c’era stato solo Megatron, ma anche la psiche di Tarn che
aveva visto
crollargli il suo intero castello di carte… e nel mezzo
c’era la DJD che
rischiava di subire le violenze di un leader distrutto. Divenuto
fragile come
quella stessa neve al di fuori del piccolo spazioporto della loro base,
era un
miracolo se fino a quel momento si era limitato a dare solo occhiate di
fuoco
ai suoi sottoposti.
Il
tradimento di Megatron, passato inspiegabilmente alla fazione
avversaria degli
Autobot, non era rimasto inosservato agli occhi dei suoi discepoli
più fedeli…
e Tarn, purtroppo per lui, era un uomo che sentiva di dovere tutto all’ex leader dei
Decepticon.
Com’era possibile che, nientemeno che il fondatore di un
intero esercito – alla
stregua di un dio per molti suoi
adepti – avesse deciso non solo di abbandonare tutto ma
persino di sciogliere
definitivamente la sua stessa organizzazione? In nome di una pace che
non
riusciva a trovare forse? Ma se fosse stato così,
perché non tener conto della guerra
interna che in molti avrebbero
dovuto affrontare?!
Tutte
queste domande avevano portato in molti così tanto sconforto
che ora, la povera
Nickel, doveva agire tempestiva se non voleva che uno dei suoi colleghi
di
lavoro commettesse delle autentiche pazzie. E se purtroppo con Kaon non
aveva
vigilato abbastanza, ritrovandosi con un possibile ulteriore casino per
le
mani, con Tarn era stata decisamente provvidente. Forse
perché, in fin dei
conti, quel mech per lei era come un libro aperto.
La
minicon aveva intuito che quello stolto avrebbe sicuramente cercato di
commettere una pazzia dopo aver visto l’annuncio video di
Megatron – dove
rinnegava letteralmente se stesso – e nel mentre che Tarn era
fuori dalle
proprie stanze private la piccola donna aveva ben pensato di inserire
una perla in ogni bottiglia di
liquori che
possedeva.
Ci
aveva visto giusto, quelle pillole effervescenti di sedativo avevano
impedito
ad un pazzo di iniettarsi così tanto nuke
in corpo da potersi uccidere in una sola seduta di iniezioni, svenendo
all’interno della camera di drenaggio delle sostanze chimiche
usate per
aumentare le loro prestazioni in battaglia.
Non
sapeva se Tarn l’avrebbe mai perdonata per averlo bloccato
nei suoi intenti
suicidi – un cavaliere senza il proprio sire era come un
viandante senza strada
– ma perlomeno così facendo gli aveva dato da
pensare sul da farsi e, almeno
una settimana dopo, essere abbastanza lucido da voler affrontare il
proprio
signore in una chiacchierata a tu per tu finita nei peggiori dei modi.
E
questo la preoccupò maggiormente, in quanto il gelo che era
calato nell’intero
gruppo era pari a quello che permeava le lande di quel sasso alla
deriva in cui
stavano sostando ormai da tempo. Vi era una sottile paura nella
scintilla di
molti, una inquietudine velata nei gesti della quotidianità,
e se alcuni
mascheravano bene quel timore di vedere il loro leader fin troppo
silenzioso –
come Tesarus ed Helex impegnati a fare l’inventario o per Vos
rintanato nel
proprio laboratorio impegnato in chissà quale esperimento
– per altri era in
atto una crisi di nervi.
Ne
era la prova evidente Kaon che, con il favore delle prime tenebre, era
sgattaiolato via dalla base con una navetta di servizio diretto
chissà dove.
Anche se Nickel aveva timore di sapere dove si fosse diretto, visto
l’aspetto
dell’anziana femme che continuava ad ignorarli e a pensare
agli affari propri.
“Uff…
Kaon, ascolta: non sono arrabbiata, ok? Ma questo è un
momento terribile per tutti
e dobbiamo essere preparati al peggio” nel dirlo
allungò una mano verso
l’anziana donna e questa la prese alzandosi lentamente dalla
sedia, aiutata
dalla dottoressa “situazioni come questa
di certo non aiutano! Quindi ora cerca di darti una sistemata e di
renderti
presentabile, perché dovrai spiegare a Tarn diverse cose. Io
intanto visito la
nonna e le faccio un paio di domande… anche se dubito sappia
ancora parlare
data l’età”
Si
allontanò con calma dalla stanza, dando il tempo alla
ciondolante – e cigolante
– femme di sgranchirsi le gambe prima di continuare spedita
verso l’infermeria,
lasciando per questo un povero tecnico a massaggiarsi le tempie ancora
doloranti e conscio di aver commesso una autentica pazzia.
“Cavolo…
speriamo che quella tizia non mi abbia attaccato la
vecchiaia!”
[…]
Il
paesaggio offerto dal pianeta Messatine era lo stesso ovunque si
posasse lo
sguardo. Dune di ghiaccio fino a perdita d’occhio; ampi
crepacci nascosti dalle
sferzate di vento improvvise e catene montuose sconfinate. Il tutto
baciato dai
raggi solari che tingeva quelle morbide curve di tenue rosa ogni qual
volta la
stella di quel remoto sistema solare si affacciava al mattino tra le
creste
impetuose e selvagge che caratterizzavano l’orizzonte
più estremo. Una natura
apparentemente incontaminata che, però, presentava nelle sue
viscere miniere
redditizie che a lungo avevano arricchito il pianeta natale
dell’esecutore
decepticon e isolato i soggetti più pericolose alla sua
democrazia
fallimentare.
Attraverso
i sensori ottici scarlatti di Tarn quello spettacolo desolato gli
forniva
l’unico momento di pace da una moltitudine di pensieri e atti
che non riusciva
a riconoscere come suoi. Eppure, seduto su quella neve morbida, un
po’ per
volta stava cominciando a fare il punto della situazione.
Si
sentiva più lucido rispetto a quando aveva tentato di farla
finita, e nel
mentre che i miasmi delle droghe e dei sedativi gli avevano fatto
passare
qualsiasi intento autolesionista dopo aver visto il video messaggio del
fu lord
Megatron, ora era il turno di fare i conti con un vuoto che non
riusciva a
colmare.
Ciò
che il suo processore ricordava del suo ultimo dialogo con il suo ex
signore
erano frasi, immagini e sensazioni frammentarie che il suo subconscio
cercava
disperatamente di non unire come i pezzi del puzzle qual erano. Uno
stato di
shock ancora effettivo in lui, ma nonostante tutto la scintilla della
pazzia
non era comunque scattata dopo aver usato i suoi doppi cannoni per
fondere il
petto di Megatron e lasciarlo agonizzante tra quei fiori tecnorganici
dalle
corolle perennemente aperte.
Sapeva
che ci sarebbe stato un confronto, prima o poi, tra lui e quello che
doveva
essere il leader dei decepticon… ma finito a quel modo, in
terra neutrale,
avrebbe volentieri preferito evitarlo.
“Tarn…”
Riusciva
ancora a ricordare la sua voce ferma nonostante la vita si stesse per
spegnere
all’interno del suo petto. La bocca sporca di roseo energon
tossito in punto di
morte, lo sguardo fermo di chi non voleva ancora decedere.
“Ragazzo…”
Aveva
provato a farlo ragionare, a cercare di convincerlo che mollare tutto
ciò che
aveva creato nello corso dei secoli era qualcosa di insano.
Ciò che Megatron
rappresentava per lui – ciò che aveva fatto per
lui, trascinandolo fuori dal
cumulo di immondizia qual era la sua vita e dandogli la giusta
importanza –
ricordandogli quanto il credo decepticon avesse segnato un nuovo ciclo
in
un’era stagnante nella democrazia di Cybertron.
“C’è
una cosa che devi sapere”
Fu
tutto inutile, colui che fino a quel momento aveva venerato quasi alla
stregua
di un dio – l’unico in un panteon privo di divini
in quanto la religione era
una droga che andava debellata per la dottrina decepticon –
aveva deciso di
abdicare alla via della violenza e rinnegare tutto ciò che
era stato.
Annunciandogli pubblicamente che quel che era stato, ciò che
aveva commesso, era
stato il più grosso sbaglio della sua vita e ciò
che poteva fare per porvi
rimedio era solo quello di rinnegare la violenza e abbracciare il
nemico per il
bene futuro di tutti.
Si
era rifiutato di dargli spiegazioni convincenti – Tarn
rifiutava
categoricamente una simile spiegazione superficiale – gli
aveva rifiutato un
confronto alla pari incapace anche solo di muovere un dito verso
ciò che aveva
creato. Verso il giudice che si era scelto per punire coloro che
mancavano di
rispetto a lui o alle regole che si era creato scrivendole
personalmente.
L’esecutore
trovò solo ora la scelta di Megatron alquanto ironica,
perché fra tutti i
decepticon con cui poteva volere un confronto aveva accettato proprio
il suo,
eppure fu con un tremito che ricordò il momento di
disperazione e rabbia che lo
offuscò a tal punto da puntargli contro i propri cannoni a
fusione e premere il
grilletto senza esitazioni.
Aveva
registrato il suo volto contorto in una espressione indecifrabile
– sensori
ottici spalancati quanto la sua bocca, lo stupore e il dolore in
un’unica
immagine impressa nella sua memoria per sempre – il petto
fondersi come lava e
il suo intero corpo cadere all’indietro tra quei petali di
silicio e fibre
biorganiche. E li, tra i tremiti della sua scintilla e quella di
Megatron ormai
prossima a spegnersi, il suo mentore ebbe la forza di parlargli
un’ultima volta
con la dignità che solo un leader poteva avere… e
consegnargli qualcosa che
ancora stringeva tra le mani.
“Questo
è il mio ultimo ordine…”
Sentì
ancora le mani del fu Megatron prendergli con forza il polso sinistro,
con un
ringhio di rabbia di chi non ammetteva ripensamenti, lasciandogli
quello che a
tutti gli effetti era un piccolo registratore audio/video.
Lo
stesso che Tarn teneva tra le mani in quel momento, piegando lo sguardo
giusto
un po’ poteva osservarlo stretto nelle mani congelate dalla
candida neve,
decidendo di ascoltarlo per l’ennesima volta da quando aveva
messo piede su
quella che un tempo era stata la prigione in cui Megatron aveva
“soggiornato” a
lungo a causa di quelle sue idee – divenute poi il credo di
molti – che
preoccupavano i potenti di Cybertron. Le stesse che avevano portato un
mech a
strisciare dallo schifo e divenire quello che ora era. Il mostro temuto
da
tutti.
Si
sdraiò sulla neve di Messatine, osservando solo brevemente
il roseo cielo del
primo mattino. Solo dopo alcuni secondi di contemplazione del vuoto
collegò
alcuni cavi presenti all’interno della sua maschera al
registratore portatile e
si preparò a visionare in prima persona il contenuto che gli
veniva offerto.
Per l’ennesima volta da quando le mani insanguinate del suo
leader glielo
avevano ceduto, vide quel che il suo signore aveva voluto mostrargli.
In
principio l’immagine tremolò, non rendendo chiaro
la natura di quel disturbo
elettrostatico, ma poi si mise a fuoco e ai suoi occhi si
palesò un Megatron
con ancora sul petto lo scintillante simbolo dei deepticon. Segno che
quel
video lo aveva registrato molto prima della sua apostasia, e su questo
Tarn non
sapeva decidersi se sentirsi sollevato o ferito per una simile scelta.
Inoltre,
riguardando più e più volte quel filmato
– in un autolesionismo compulsivo ed
ossessivo – aveva notato che il paesaggio offerto dalle
guglie e torri al di
fuori della grande finestra alle spalle del suo ex signore poteva
appartenere,
in eleganza, solo al pianeta Caminos. Un dettaglio non da poco, come
non erano
da poco le sue cupe parole.
“Tarn…
Ragazzo. Qui è lord Megatron
che ti parla, e se stai ascoltando questo messaggio molto probabilmente
sono
morto. Sicuramente per mano tua, ma quello che sto per darti
è l’ultimo mio ordine
per te… e per me”
Lo
vide chiudere gli occhi per un breve istante, come se le sue parole
suonassero
pesanti come macigni persino per lui, eppure Tarn non vide segni di
cedimento o
vergogna. Le spalle di Megatron non si incurvarono, dalla sua bocca non
uscì
nessun sospiro rassegnato, il segno evidente di nessun ripensamento per
quel
che avrebbe fatto in futuro.
“ho
pensato a diversi modi per
dirti quello che sto per dirti ma… ci credi che non sono
riuscito a trovarne
mezzo? Tzk, ci sarebbe solo da ridere se a parlare non fosse altro che
il tuo
leader” un breve cenno
di sorriso sarcastico incornicia il
suo volto grigio e austero, prima di tornare a parlare di fronte alla
telecamera “so che, se stai
guardando
questo filmato, ti sarai già accorto che non sono su
Cybertron… attualmente
sono nella casa della mia compagna, nella nostra
casa ad essere precisi. Ed ella è uno dei motivi per cui ho
deciso di disertare
i decepticon”
Ormai
Tarn aveva ascoltato quella video registrazione così tante
volte da non
sentirsi più ne triste e ne indignato. Sotto quella maschera
perennemente
calata sul viso, messa li solo per nascondere la sua umanità
agli occhi delle
sue vittime, c’era il volto di un soldato stanco ancora
fedele ad un credo valeva
più della sua stessa vita.
“c’è
una cosa che devi sapere…
questa ragazza è diversa dalle altre che ho avuto nel mio
passato, è speciale,
ed è per lei che ho deciso di abbandonare questa vita di
violenze e guerra… non
può esserci pace per i decepticon, Tarn! Dovresti ormai
averlo capito persino
tu. E non è ciò che voglio per lei”
Vide
il suo ex mentore e signore avvicinarsi alla telecamera per poterla
prendere in
mano, lasciando che il panorama si distorcesse per un momento prima che
la
visuale mostrasse ciò che Megatron poteva vedere con i suoi
sensori ottici.
L’inquisitore
si ritrovò a percorrere quello che era il corridoio di un
appartamento semplice
ma confortevole, prima di giungere in quella che era la camera da letto
di
Megatron e della sua nuova compagna. Ora intenta a riposarsi nella
cuccetta che
condividevano assieme in una penombra causata dai vetri oscurati
digitalmente.
Seppur
rannicchiata in posizione fetale Tarn poteva vedere perfettamente i
dettagli di
quella femme fonte di tutti i suoi mali, decretando che solo una nobile
caminoana poteva vantarsi di un simile pregio nella propria armatura
dalle
colorazioni bianche e acquamarina. I dettagli erano rappresentati da
intarsi
color oro finemente cesellati, mentre una lunga treccia di cavi
– bianchi e oro
– scendeva dal suo elmetto perdendosi sul ripiano metallico
del letto. Drappi
di seta sintetica semi trasparente scendevano sia dalle spalle che
dalla vita,
orpelli costosi che rendevano quella donna un gioiello.
Una
femme davvero molto bella, nonché molto giovane rispetto a
Megatron a giudicare
dall’aspetto, degna di un vero leader che si rispetti.
Vide
di nuovo la mano del suo ex leader allungarsi verso di lei ed
accarezzarne
delicatamente il viso – e lo stesso fece di rimando Tarn
allungando
istintivamente un braccio verso il cielo, credendo quasi di poterla
toccare
anche lui – e spostarlo quel tanto che bastava per amor di
telecamera. A quanto
pare Megatron non aveva lasciato nulla al caso in quel video messaggio,
ben
conoscendo il fanatismo dei particolari del suo adepto più
fedele, lasciando
che fosse Tarn stesso a cogliere tutti gli indizi sparsi come briciole
di pane
da un mech piuttosto intelligente nonostante il suo tradimento.
Se
non stava parlando in modo chiaro in quel filmato significava solo una
cosa:
temeva ben altro oltre il semplice
tradimento.
“si
chiama Natah… la donna della
mia vita! Ed è tuo dovere trovarla e proteggerla una volta
che io non ci sarò
più”
l’immagine cambiò nuovamente, e il volto furente
di un lord Megatron che non
ammetteva rifiuti si palesò ai suoi sensori ottici “Questo è il mio ultimo
ordine, ragazzo… vedi di seguirlo alla lettera,
perché se provi a disobbedirmi non ci sarà
inferno o afterspark che potrà
trattenermi dal venirti a cercare”
Gli
occhi vermigli dell’ex leader dei decepticon scintillarono di
un’ira repressa a
stento all’idea di vedere la propria compagna soccombere alle
avversità che il
suo stesso compagno si era lasciato alle spalle. Molto furbo da parte
sua
registrare quel video da decepticon anziché da
apostata… così facendo aveva
praticamente “incastrato” il suo più
fedele aguzzino sia a livello emotivo che,
soprattutto, a livello di codice d’onore. Tarn conosceva
Towards Peace a
menadito – il codice comportamentale scritto da Megatron in
persona, di cui
conservava gelosamente la prima versione originale – e sapeva
che un decepticon
che si rispetti non lascia indietro i propri compagni… e
nemmeno si nega ad un
ordine diretto di un proprio superiore.
“Ho
fiducia in te, Tarn… Qui
Megatron. Chiudo”
La
comunicazione si concluse così, con un ordine che un uomo di
retta via come
Tarn non poteva ignorare, neanche da un traditore come il fu lord
Megatron, e
questo rappresentava il più grande dilemma che
l’inquisitore doveva affrontare
in quei giorni spesi prevalentemente nella neve in meditazione.
Obbedrgli
ciecamente un’ultima volta… oppure inserire quella
femme nella propria lista
personale?
Si
accorse di non essere solo in mezzo a quella neve solo quando si
sfilò di dosso
il registratore e controllò al proprio fianco sinistro, pur
rimanendosene
sdraiato, vedendo che il cane di
Kaon
lo aveva seguito fino a li in attesa di ricevere le giuste attenzioni.
La
creatura dalle fattezze simil canine se ne stava seduto sulla neve in
attesa di
chissà cosa da parte del leader della DJD, piegando persino
la testa di lato,
eppure il suo sguardo manteneva un barlume di intelligenza
tutt’altro che
assimilabile ad una creatura domestica. Un barlume che
l’esecutore capo avrebbe
ancora definito vicino agli individui senzienti, e che forse era il
motivo che
l’aveva spinto la fuori a cercare di comunicargli qualcosa.
“ho
freddo…”
Questo
fu tutto ciò che Tarn si sentì di dire a quella
sventurata creatura che, in
tutta risposta, iniziò a leccargli il volto mascherato
felice di vederlo ancora
perfettamente online. Era stato al freddo per fin troppi giorni, chiuso
in se
stesso e nella sua silenziosa disperazione, e la vista del cane gli
aveva
appena ricordato che aveva un incrociatore da governare. Oltre che un
drappello
di soldati che rischiavano di andare allo sbaraglio senza la sua guida
–
capendo ormai fin troppo bene che cercare di farla finita non avrebbe
risolto
ne i suoi, ne i loro problemi – ed era per questo suo dovere
rimanere il più
possibile lucido in quei momenti di follia totale.
Decise
quindi di alzarsi e di tornare alla nave.
[…]
Se
fuori dall’astronave le temperature erano decisamente
proibitive, l’interno
della Paceful Tyranny non era da meno in quanto l’atmosfera
che si era creata
all’interno della cucina di bordo non era delle migliori.
Raccolti
attorno all’unico tavolo presente – rotondo,
affinchè tutti potessero vedersi e
vedere soprattutto il loro capo – c’era
sostanzialmente chi cercava di non
ridere con le lacrime agli occhi e chi, tamburellando nervosamente i
piedi
sotto il tavolo, era intento a sbollire la tensione di vedersi dopo
giorni di
assenza proprio il loro leader seduto ora accanto ai suoi uomini.
L’unico
che sembrava voler sprofondare letteralmente all’interno del
pavimento sembrava
essere Kaon, con i gomiti appoggiati sulla superficie del tavolo e la
testa
pesantemente appoggiata sulle mani messe a mo di coppa, così
sconvolto da una
notte che ancora non riusciva a ricordare da non sentire proprio
gravosa la
presenza di Tarn poco distante da lui. E a metterci il carico da mille
ci pensò
nientemeno che Helex, un massiccio mech dalle cromature blu e grigie,
ormai
prossimo a scoppiare a ridere.
“Sai,
Kaon… devo dire che, uh, la tua nuova fiamma
è un’ottima, hm… cuoca!”
Disse
quelle parole cercando di contenersi il più possibile,
più per rispetto del
loro leader che non amava il chiasso a tavola piuttosto che per lo
sfortunato
tecnico, ricevendo occhiate di fuoco dall’interpellato per
quanto questi di
sensori ottici non ne avesse più da un pezzo.
“si,
devo ammettere che la brodaglia di nonna è la cosa
più buona che abbia mai
assaggiato da qui a diversi secoli” fece in tutta
onestà Tesarus, un gigantesco
mech dal volto semi nascosto da una maschera a forma di X e
caratterizzato da
un inquietante foro dentellato all’altezza del petto usato
per le sue spietate
esecuzioni “il suo aspetto però mi ricorda
qualcuno…”
“se
vi riferite all’aspetto del mio
‘onesto’ ex collega di lavoro Shockwave…
ebbene si, miei cari compagni, ci
troviamo di fronte a colei che ha concepito uno dei suoi due
genitori”
Sebbene
il linguaggio primitivo dei primi cybertroiani fuoriuscì
dalla mascherina di
Vos in maniera fluida e impeccabile – l’ufficiale
scientifico di bordo, dall’aspetto
allampanato e dalle cromature viola e grigie – ben pochi li
dentro capivano il
linguaggio di quel purista dell’idioma originario del loro
pianeta natale. E
uno di quei pochi individui che per forza di cose conosceva
quell’idioma
arcaico era il loro taciturno leader. Tarn.
Se
fino ad allora il leader della DJD non aveva minimamente parlato,
facendo anche
temere il peggio ai presenti a tavola – temendo che questa
volta la bravata di
Kaon si fosse spinta troppo oltre – questa volta sorprese
tutti nel momento in
cui molteplici occhi si puntarono silenti verso la sua imponente figura.
“Vos
sta dicendo che questa anziana femme è, effettivamente
parlando, la nonna di
Shockwave”
Ci
fu un lungo silenzio nella cucina. Un silenzio interrotto solo dai
cigolanti
passi della vecchia ciclope intenta a girare per il tavolo e riempire
le
ciotole dei suoi nipoti acquisiti con nuova squisita zuppa creata da
lei stessa
subito dopo che la piccola minicon l’aveva visitata. A quanto
pare si era già
ambientata bene all’interno della Paceful Tyranny.
“E
ancor prima che me lo chiediate si… Vos e Shockwave hanno
lavorato assieme per
un breve periodo a guerra iniziata. Ma tralasciando questa piccola
nozione di
storia, giusto ieri sera c’è stata una festa a
casa dello scienziato monocolo…
motivo per il quale, Kaon, ti è stato decisamente facile
portare via sua nonna
senza allarmare le guardie”
Se
prima non aveva spiccato nemmeno una sillaba ora la cupa voce di Tarn
si poteva
sentire per tutta la stanza lasciando ipnotizzati praticamente tutti i
commensali, ad esclusione di una anziana femme piuttosto sorda e
incurante dei
loro affari, e facendo far loro la proverbiale figura barbina in quanto
sicuri
che il loro leader fosse caduto in stato catatonico per tutti quei
giorni senza
curarsi minimamente di quel che accadeva al di fuori di quel mondo
ghiacciato.
“Una
festa…” iniziò col mormorare allibito
Tess, ma venne bloccato nuovamente da un
comandante in vena di parlare.
“Che
ci crediate o no si è sposato
approfittando dell’armistizio imposto di
recente…” fu ben attento a non
pronunciare il nome del suo antico signore, quanto piuttosto ad
attirare
l’attenzione dei suoi su un possibile pettegolezzo
“e logicamente, per
correttezza, tempo fa aveva mandato un invito anche a noi tramite posta
elettronica… suppongo che molti di voi fossero impegnati in
altro che prestare
attenzione all’invito di qualcuno che freme per una scalata
al primo posto
nella nostra lista”
e
qui alcune risatine si levarono dalla tavolata ben imbandita,
costantemente
ignorata da una anziana femme che sembrava fregarsene del destino del
nipote, i
cui ospiti furono piuttosto sollevati di vedere che Tarn era abbastanza
in
forma da elargire loro una battuta al vetriolo. Era comunque logico che
lo
scienziato monocolo avesse mandato un invito in sordina pure loro, in
fin dei
conti erano pur sempre degli ufficiali decepticon, e
l’etichetta prevedeva di
spedirne anche a coloro con cui si condivideva pessimi trascorsi.
Se
in molti avevano ignorato l’evento questo era rimasto
comunque sotto gli occhi
di Tarn e, sorpresa delle sorprese, persino di un Kaon in vena di fare
baldoria
in una festa matrimoniale. Solo che purtroppo aveva perso
momentaneamente la
memoria dell’accaduto.
E
fu proprio verso quest’ultimo che lo sguardo scarlatto del
capo inquisitore si
puntò maggiormente, faendo scorrere in lui brividi poco
piacevoli.
“Sono…
uh… nella merda, vero?”
Il
tecnico decepticon cercò quasi di metterla sul ridere, ma
per sua fortuna il
loro leader era in vena di elargire grazie quel giorno.
“Si
e no… dipende da quanto sarai capace di trovare questa persona” con un gesto
fluido della mano sinistra fece
scivolare il famigerato registratore lungo la superficie del tavolo
fino ad
arrivare, in silenzio, a toccare la ciotola ancora fumante del cieco
torturatore “ma devo comunque dire che, portarci a casa
questa graziosa ospite,
è stato un colpo di
genio che potrebbe esserci davvero utile in futuro”
Alle
parole del lord inquisitore partì quella che doveva essere
una risata
civettuola da parte dell’anziana ciclope – che a
quanto pare quell’ultima parte
del discorso l’aveva sentita bene nonostante fosse ora
impegnata ai fornelli –
mentre per Kaon partì solo una risatina nervosa dalla gola
rovinata. Pur
comunque agguantando il registratore piuttosto ansioso di sapere cosa
ci fosse
li dentro.
“Uhh…
quindi abbiamo un nuovo nome nella lista?! Si torna al
lavoro??” l’entusiasmo
pareva essere piuttosto evidente in Helex, in quanto di restarsene
fermo a fare
niente non era affatto da lui.
“Forse.
Vi saprò dare i dettagli in giornata… ora
mangiate, e ringraziate nonna dopo la
colazione”
La
notizia venne accolta con una certa esultanza dai suoi uomini
– ansiosi come
non mai di poter tornare a fare quello che sapevano fare meglio, ossia
dare la
caccia a chi commetteva blasfemia al credo decepticon – ben
felici di vedere
che il loro leader in quelle settimane di oblio non si era perso nella
più cupa
disperazione, lasciando intendere di avere un piano preciso in mente
dopo aver
riflettuto a lungo in mezzo alla neve. Forse non si sarebbe mai tornati
ai
fasti di un tempo, ma agli uomini di Tarn bastava poco per sentirsi
nuovamente
in carreggiata.
L’unica
che non parve condividere quell’entusiasmo generale
– e che per tutto il pasto
era rimasta particolarmente in disparte senza proferir parola
– era il piccolo
medico di bordo, alias Nickel, sul cui volto simil infantile in
realtà
serpeggiava una espressione preoccupata per la condizione psicologica
del suo
comandante.
Forse
gli altri in quanto uomini tenevano a badare più
superficialmente a certe cose,
ma il suo intuito femminile le diceva che il lord inquisitore fosse
tutt’altro
che guarito nell’arco di una nottata passata
all’addiaccio nella neve di
Messatine.
“Tarn…
va tutto bene?”
La
cosa buona era che si trovava accanto a lui al momento – sul
suo lato sinistro
– e quindi poté chiederglielo quasi sottovoce,
ricevendo però una risposta solo
quando il suo signore ebbe modo di bere un intero cubo di energon dalla
gradazione alcolica sostenuta – l’equivalente di un
bicchiere di vino a pasto –
senza che questi abbassasse minimamente lo sguardo verso la sua
sottoposta.
“va
tutto bene, Nickel. Il peggio è passato”
La
minicon non seppe dire se la sua risposta fosse del tutto sincera, ma
capì che
Tarn aveva apprezzato il suo interessamento per il modo in cui le
toccò
brevemente la spalla destra. Sperò solo che quelle parole
fossero
effettivamente vere, ma conoscendolo ormai bene sapeva che era un uomo
che si
teneva tutto dentro fino ad arrivare a scoppiare nei peggiori dei modi.
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Capitolo 2 *** nozze in bianco ***
Shockwave
aveva molto per essere adirato quel giorno. Questo il capo della
sicurezza
della sua torre lo sapeva, eppure non poteva fare a meno di fargli
rapporto
dopo aver fatto controllare – e controllato egli stesso
– ogni anfratto della
sua dimora e fatto perquisire persino gli ospiti che si erano tardati a
rimanere a festeggiare un matrimonio che doveva essere perfetto nelle
intenzioni dello scienziato monocolo.
Kickback
avrebbe preferito di gran lunga rintanarsi nelle viscere del suo nido
sotterraneo piuttosto che sbattere freneticamente le proprie ali in
direzione
della cima della torre di suddetto ciclope, ma quello che lo legava a
quello
svitato non era semplice fedeltà quanto, piuttosto, una
sorta di imprinting.
In
quanto insecticon – una primitiva evoluzione dei cybertroiani
sopravvissuta
fino all’era moderna, con una modalità bestiale
anziché veicolare che ricordava
molto quello di un insetto – nutriva istintivamente una forma
di rispetto
piuttosto profonda verso il proprio datore di lavoro, al pari di quello
che
poteva nutrire per una delle regine dell’alveare, ma da qui a
trovarlo
simpatico ce ne passava.
Nel
corso dei secoli Shockwave aveva saputo tessere per bene le sue trame
con gli
abitanti del sottosuolo di quel settore periferico della
città di Kaon –
rinomata per essere la capitale dei decepticon – stringendo
affari con le sue
regine per migliorarne i figli mal visti dalla società
civile. Ricerche queste
che avevano dato i loro frutti, gli attuali insecticon erano quasi al
pari di
un comune cybertroiano tanto da poter assumere un aspetto umanoide e
avere
libero pensiero, al giusto prezzo di vite da sacrificare alle affamate
– in
tutti i sensi – signore del sottosuolo. Coloro che non
sopravvivevano a lungo
come cavie da laboratorio dello scienziato pazzo – per lo
più prigionieri di
guerra ma anche disertori dell’esercito decepticon
– finivano a nutrire le
schiere di quelle orride regine dal culo sempre fertile.
La
madre di Kickback era stata mossa da sentimenti vanitosi e materiali
quando
aveva deciso di perfezionare la sua stessa specie. Non tanto per
salvaguardare
il più possibile il nucleo del loro pianeta – da
cui per secoli avevano tratto
nutrimento in modo equilibrato, scavando tunnel che permettessero la
conformazione cristallina di energon utile agli abitanti della
superficie –
dando loro la possibilità di risparmiare energie con una
modalità più umanoide
e intelligente… quanto di raggiungere semplicemente un
canone estetico tanto
invidiato dalle femmine del sottosuolo. Un chiaro segno questo che la
loro
razza fosse tutt’altro che intelligente, ma questo
andò tutto a vantaggio di
Shockwave.
E
ora, con la guerra civile che da secoli funestava il pianeta era ormai
ridotta agli
sgoccioli, un insecticon aveva finalmente detto addio ad una padrona
severa
unicamente per trovarne un altro da rispettare al massimo. Ironico.
Kickback
volò agile e leggero nella sua modalità che
ricordava vagamente una sorta di vespa,
aggirando guglie e volando attraverso le tubature fino a raggiungere
quello che
era a tutti gli effetti un grande balcone circolare che si affacciava
sullo
spettacolo offerto dalla skyline di quell’oscura metropoli.
Una
volta che l’insettaccio si posò sul pavimento
metallico decise di trasformarsi
in modalità umanoide, ben ignorato da un padrone di casa che
gli dava le spalle
e che – dentro il proprio laboratorio personale,
nonché appartamenti privati –
era impegnato a visualizzare quelli che erano molteplici schermi
olografici di
una console di comando. A quanto pare quel ciclope
dall’armatura viola e nera
non si accontentava dell’avanzato sistema di sorveglianza nel
suo centro di
vigilanza al piano terra… ma ne aveva uno tutto suo
indipendente dalla linea
principale.
“Kickback
a rapporto! Signore, signore, signore!”
La
viscida voce dello snello insecticon riecheggiò per le
pareti metalliche della
grande stanza – accentuando ancor di più il suo
insolito tic di ripetere almeno
tre volte alcune parole – annunciando così la sua
presenza ad un signore in
apparenza distratto. Il grande occhio rosso dell’imponente
mech era impegnato
ad osservare sequenze di dati e immagini che purtroppo, per il capo
della sua
sicurezza, erano assai note.
Il
rapimento dell’anziana nonna dello scienziato monocolo era
ormai un dato di
fatto e, solo per il sangue freddo avuto dai familiari, non era
diventata di
dominio pubblico. Ma ciò non toglieva che tutta la figura
del padrone di casa
trasudasse una certa tensione mista a nervosismo perfettamente logica.
“E
mi auguro che questa tua venuta porti buone notizie”
No,
non aveva buone notizie. E questo portò il viscido adepto
decepticon a
deglutire amaramente facendo fremere le ali dietro la schiena. Il suo
volto
umano si piegò in un sorriso forzato, trattenendo una
ridarella isterica tra i
denti, perché tutto ciò che sapeva erano le
stesse cose che aveva redatto al
proprio signore ore fa. Nonostante avesse fatto nuovamente setacciare
la
residenza a caccia di indizi.
“Mio
sire, sire, siiire! Ho visualizzato
personalmente le riprese di sorveglianza e si può
chiaramente vedere la vostra
anziana levatrice mentre… ehm, lascia la tenuta a bordo di
quella che è una
sedia mobile…. Signore, signore, sign-”
“risparmia
il fiato, Kickback. Mi stai raccontando cose che già
so” lo scienziato
pronunciò quelle parole in modo atono, nel mentre che si
voltava verso il suo
incompetente sottoposto. Per poi proseguire in modo più
cinico “piuttosto,
sarebbe stato logico da parte tua
dirmi chi fosse l’individuo che trasportava mia
nonna… o forse devo
considerarti alla stregua di un esperimento fallito?”
I
passi pesanti del mech riecheggiarono per tutto il laboratorio, nel
mentre che
si avvicinava con tutta tranquillità ad un insecticon sempre
più inquieto. La
luce che emetteva il suo occhio vermiglio non prometteva nulla di
buono, in
quanto già istintivamente il soldato poteva percepire che, a
livello chimico,
il leader della torre fosse piuttosto indisposto ad accettare
fallimenti o
scuse campate per aria.
“l-le
immagini suggeriscono che si sia allontanata volontariamente
con uno dei vostri ospiti! Un mech piuttosto
allegro, allegro, allegro che…”
Non
concluse la sua spiegazione che, senza preavviso alcuno, il braccio
destro
dello scienziato si cinse attorno alle sue spalle in un gesto che
trasudava
falsa amicizia da tutti i pori. Per forza di cose
l’insecticon si sentì
particolarmente inquieto, irrigidendosi come una stalattite di
ghiaccio, nel
mentre che l’imponente mech estraeva da uno scomparto sul
petto quello che era
un datapad personale.
L’immagine
olografica che si palesò sullo schermo mostrava una scena
ben nota al soldato
decepticon, in quanto si trattava della foto del matrimonio di
Shockwave con la
sua deliziosa mogliettina – una femme dall’armatura
bianca e grigia che con
fare civettuolo abbracciava un braccio del marito.
“Kickback…
sai raffigurare le persone in questa foto?”
“ehm,
sua eccellenza e la sua bellissima, bellissima, bellissima
sposa?!”
“esatto!
Deduzione logica… e dimmi, come ti sembra Hancock in questa
foto?”
“m-mi
sembra felice, felic-GHHH!!”
Non
concluse la risposta in quanto la mano di Shockwave, che
precedentemente era
posata sulle spalle dell’insecticon, andò a
stringersi di prepotenza contro il
collo scoperto del proprio sottoposto stringendo con forza e
costringendolo a
guardarlo nell’unico occhio che letteralmente bruciava di
rabbia.
“Esatto!
Mio piccolo e stupido sottoposto! Mia moglie qui è
felice!” lo strattonò
violentemente vicino a se, godendosi il terrore nei sui sensori ottici
gialli
“hai una vaga idea da quanto tempo progettavo di raggiungere
questo traguardo
con lei?! Ovvio che no! E sai cos’è adesso
Hancock? Triste!”
Berciò
quell’ultima parola trascinando l’insecticon per
tutto il laboratorio,
ignorando i suoi istintivi tentativi di liberarsi, fino a raggiungere
quello
che era a tutti gli effetti un tavolo chirurgico.
“non
ho mai avuto grandi ambizioni per quanto concerne la sfera di vita
privata… ma
ho sempre avuto un unico obiettivo: rendere Hancock la mia compagna di
vita” la
sua voce parve solo in apparenza essere tornata priva di empatia come
lo era
prima di quella brutta discussione, ma in realtà stava solo
preparando la
scenata al suo sadismo finale “sai da quanto tempo
è che le vado dietro? No…
non puoi saperlo, hai strisciato in una cavità contorta fino
all’altro ieri!
Quindi deduco che tu non sappia neppure cosa siano le scuole di
formazione
superiore, perché è durante quel periodo che
l’ho notata. Impossibile non
notarlo, in quanto amica di mia sorella Shockblast”
Abbatté
con forza l’insecticon sulla fredda superficie metallica del
tavolo, arrivando
anche a deformarlo leggermente sotto il peso della dolorante schiena di
Kickback, lasciando bene intendere che la punizione per
quell’incapace era solo
agli inizi.
“a
partire da quel periodo ho dato il massimo per studiare
l’anatomia femminile e
per tenere lontano da Hancock possibili spasimanti cafoni! Nel corso
dei secoli
sono stato con molte femme unicamente per poter affinare al meglio le
mie arti
amatorie ed essere il migliore per lei… per soddisfarla in
ogni sua richiesta! L’ho
persino convinta a lavorare per me come capo ingegnere idraulico per la
mia
torre, così da poterla tenere d’occhio meglio! Lo
sai che è ancora intatta,
vero? Ovvio che NO!!”
Shockwave
ricordava bene quel periodo di studio e formazione, già per
il fatto che in
quelle scuole aveva mietuto le sue prime vittime ben mascherando quegli
efferati omicidi come incidenti nel campus in cui studiava. Quegli
sventurati
mech che tentavano di approcciarsi all’ingenua e spensierata
ragazza – dalla
personalità infantile ma piuttosto intelligente per essere
tra i primi cinque
studenti con il massimo dei voti al corso di ingegneria idraulica
– finivano
con lo sparire misteriosamente dopo averla piantata in asso al primo
appuntamento o, più semplicemente, crepavano male se dalle
loro bocche
fuoriusciva una qualche forma di apprezzamento verbale poco apprezzata
dallo
scienziato monocolo.
Aveva
ignorato le lamentele di sua sorella che lo invitavano a dare un
appuntamento a
quella povera ragazza perché, andava detto, neppure lei
riusciva a sopportare
di vederla in lacrime quando qualcuno la lasciava sola come un salame
ad
aspettare al Maccadam’s House – uno tra i locali
più rinomati di tutta
cybertron – in quanto il piano di Shockwave erano del tipo
“a lungo termine”.
La sua idea era sempre stata quella di spingere Hancock a prendere
considerazione che solo lo scienziato ciclopico era l’uomo
adatto a lei, e che
l’avrebbe resa una donna felice contrariamente a coloro che
l’avevano
misteriosamente piantata in asso.
E
ora, nel momento in cui le sue dita affilate si stavano infilando
sempre più
nell’orbita destra di un terrorizzato Kickback, con
frustrazione doveva
ammettere a se stesso che quella sera non avrebbe finalmente addentato
la fetta
di torta che gli spettava di diritto.
“Avrei
finalmente potuto cogliere quel suo fiore ancora intatto proprio questa
notte…”
lo disse con tono quasi sognante, in un momento di distrazione nel
mentre che
le sue dita si erano conficcate oltre il metallo densomorfico delle
palpebre e
si erano ben aggrappate al bulbo oculare “avevo programmato
la nostra luna di
miele su Caminos – hai idea di quanti crediti ci vogliano per
una vacanza da
quelle parti?! – e proprio in quel lungo mese di assenza da
casa avremmo
concepito la nostra prima protoforma… e invece, per colpa
della tua scarsa
vigilanza, ora mia moglie è in camera che piange
perché mia nonna è stata
rapita dalla feccia del cosmo!!”
Ignorò
le grida di dolore, le suppliche latrate in un linguaggio arcaico
conosciuto
solo dalle possenti regine insecticon del sottosuolo, e con uno
strattone
finale – dopo aver quasi giocherellato con quel sensore
ottico giusto per dare
ancor più dolore al suo sottoposto –
strappò via l’occhio destro di Kickback
tra le scintille di cavi spezzati e fiotti di energon rosato.
Lo
scagliò lontano, facendolo rimbalzare per il lucido
pavimento fin quasi ai
piedi della porta di ingresso del laboratorio, non notando in principio
che –
durante quella sua operazione senza anestesia – tale porta si
era aperta per
far entrare un ospite che non si era speso in presentazioni inutili.
Il
nuovo arrivato aveva un aspetto insolito, quasi selvaggio se ci si
soffermava
sulle gambe piegate all’indietro – come una sorta
di uccello – e le pinze al
posto di normali mani, ma era indubbio che fosse in qualche modo
imparentato
con il padrone di casa di quella tetra dimora.
Whirl
possedeva una colorazione dell’armatura tendente
all’azzurro cielo,
contrariamente a buona parte dei ciclopi tendenti al violaceo, ma
quell’occhio
dorato non mentiva sulle sue relazioni effettive con quella famiglia
disfunzionale, ne il suo carattere altrettanto iniquo che non si
scandalizzò
per quella ferocia sadica e insensata.
Tutt’altro,
si piegò sulle ginocchia per poter raccogliere quel bulbo
oculare artificiale e
separarne la lente dal resto del sensore. E tale lente, perfettamente
circolare
e intatta nonostante lo strattone poco aggraziato da parte di
Shockwave, finì
col posarsi sull’alieno volto del mech come se stesse
indossando un monocolo
per nobili.
“Allora,
che ne dici cugino… sembro più signorile
così?”
Un
comportamento insolito per qualcuno che sul petto portava senza
vergogna il
simbolo degli autobot – a conti fatti Whirl lo si poteva
praticamente
considerare una pecora nera della famiglia – ma era pur vero
che la guerra era
finita da un pezzo e un evento come quello che si era tenuto il giorno
prima,
un matrimonio, era universamente considerato come una eccezione vista
l’importanza del giorno.
Le
parole di Whirl tuttavia vennero bellamente ignorate da un mech ancora
impegnato a maltrattare un piagnucolante sottoposto – e lo
stesso parente che
ora si atteggiava da nobile parve non curarsene minimamente, contento
com’era
di specchiarsi sulla superficie di un vassoio metallico con il suo
nuovo
orpello acquisito – ma ancor prima che Shockwave potesse
iniziare a
dissezionare dal vivo il povero Kickback, ecco che dalle porte del suo
laboratorio fece la sua precipitosa entrata una minicar dalle
tonalità viola e
nere e dagli spiccati dettagli arancioni.
“Whirl!
Pezzo di idiota! Non gliel’hai ancora detto?!”
“ma
se sono appena arrivato!”
“Ah…
lascia perdere! Shockwave! Vuoi darmi retta?!”
La
minicar si trasformò per somma gioia di un mech che non
vedeva l’ora di farsi
bello con la cugina, magari sfruttando quel monocolo appena ottenuto,
rivelando
a tutti le fattezze di una femme dannatamente simile a Shockwave.
Shockblast
differenziava da buona parte dei suoi familiari per un’unica
cosa: possedeva un
volto vero e proprio e dunque era completa di naso e bocca. Nel corso
del tempo
aveva “camuffato” il suo unico occhio color oro
come se si trattasse di un
comune visore – per motivi che conosceva solo lei –
ma a parte questa sua
piccola debolezza era una dei pochi nella torre a saper tener testa
quanto
serve a suo fratello maggiore.
“sono
un po’ impegnato, come puoi ben vedere…”
“Ah
si? Anche per rispondere alle mie ripetute chiamate via comm-link?!
Lascia
perdere quel poveretto e accendi gli schermi! I rapitori di nonna si
sono fatti
sentire!”
Le
parole concitate della sorella ebbero l’effetto immediato. Il
furibondo
fratello decise di lasciar perdere la morte di un proprio,
incompetente,
sottoposto per precipitarsi verso il pannello di controllo
precedentemente
abbandonato. Kickback ne approfittò per dileguarsi il prima
possibile, con la
speranza che il suo superiore sbollisse la rabbia nel mentre, lasciando
che una
intera famiglia di ciclopi se la vedesse con chi aveva osato rapire un
loro
caro.
A
Shockwave bastò digitare qualche tasto per prendere la
comunicazione in arrivo,
e ciò che vide apparire nello schermo tremolante gli piacque
ancora meno.
“Tarn…
avrei dovuto immaginarlo”
In
quel momento lo scienziato si pentì di essere stato
così formale dall’aver
invitato anche la DJD al suo matrimonio. E si dette ancor
più dell’idiota per
non aver riconosciuto immediatamente uno degli uomini di quel pazzo
– per
quanto li avesse visti ben poche volte il ciclope aveva buona memoria
– durante
la visualizzazione delle immagini di sorveglianza. Così
preso dal non potersi
gustare quel matrimonio in santa pace da aver tralasciato diversi
dettagli
peggio di una persona comune, qual non era, e intanto un boia
mascherato
sicuramente se la rideva sotto la maschera decepticon.
“Shockwave,
le mie felicitazioni! Purtroppo non ho potuto partecipare di persona al
tuo
fastoso matrimonio, ma nonna ha saputo raccontarmi nei dettagli il
giorno più
bello della tua vita”
A
vederlo era come se la morte di Megatron non lo avesse minimamente
scalfito –
si, Shockwave era a conoscenza della cosa, e in molti disertori
decepticon
avevano visto in quella sua festa quasi una
“liberazione” dalla dittatura
grigia dell’ex signore della guerra – eppure il
fatto che fosse stato lui ad
ucciderlo era una notizia ormai sulla bocca di tutti.
Il
personale aguzzino di lord Megatron, colui che adorava il proprio
signore alla
stregua di un dio, aveva reciso il proprio cordone ombelicale
sparandogli a
bruciapelo. Una mente fragile che lo stesso ex gladiatore aveva preso
con se
perché estremamente duttile e adatta al ruolo che gli
sarebbe spettato da li a
breve… punire buona parte della feccia decepticon di cui il
loro leader si era
circondato nei secoli poteva suonare esilarante, soprattutto se
considerato il
passato tutt’altro che roseo di Tarn.
Megatron
era sufficientemente a conoscenza dei trascorsi del ragazzo per sapere
che il
mestiere del boia gli sarebbe calzato a pennello, ma aveva sempre
ignorato il
motivo per cui indossava quella maschera dall’aspetto
inconfutabile. E non era
per omaggiarlo.
“Sarebbe
ben più apprezzabile sapere quali sono le tue intenzioni nei
suoi confronti,
evitando i convenevoli del caso”
Shockwave
sapeva che era praticamente impossibile trovare un accordo con quella
gente,
l’ultima volta che ci aveva provato via comm-link aveva quasi
rischiato la vita
quando quel bastardo si era messo semplicemente a parlare, quindi tanto
valeva
sciogliere subito quegli inutili convenevoli. E di tale parere fu pure
il capo
inquisitore.
“vedi,
mio caro apostata, supponiamo che
al
momento abbia in mano la lista delle esecuzioni… il tuo nome
certamente spiccherebbe
più degli altri visto quanto è vicino alla
sommità dei numeri iniziali” lo
disse con tono fintamente gentile, dal retrogusto arrogante e sicuro di
se. E
con una voce che sembrava abbassarsi
gradualmente “ma potrei anche concederti la grazia di scalare
di un paio di
posizioni se decidi di collaborare con noi…”
Per
Shockblast c’era qualcosa che non andava. Un senso di
inquietudine si impadronì
gradualmente di lei ad ogni sillaba che quel mostro mascherato stava
pronunciando con tanta sicurezza ed arroganza, non capendo il
perché le sue
ginocchia improvvisamente si stessero facendo sempre più
fragili – tanto da
temere di cadere per terra – e la sua gola non riuscisse
minimamente a
pronunciare una qualsiasi parola che mandasse a quel paese
quell’inquietante
decepticon.
La
femme non poteva sapere dello stravagante potere
dell’inquisitore, una
particolarità innata che possedeva fin dalla nascita, di
riuscire letteralmente
a spegnere la scintilla di un individuo semplicemente abbassando
gradualmente
la propria voce durante un discorso. Cosa che, a quanto pare, era
ancora in
grado di fare a distanza.
“Una
collaborazione? In cambio di cosa?”
Shockwave
però non si scoraggiò, mantenendo i nervi saldi a
abbassando i recettori audio
quel tanto per non cadere nella trappola dell’esecutore
decepticon, ma Tarn non
era uno stupido. E la sua vece si fece ancor più sottile
alle voci dei
presenti, ammaliati contro la loro volontà.
Tutti,
escluso Whirl, che si era allontanato preventivamente dallo schermo
sentendo
odori di possibili guai e ora stava misurando con le proprie pinze il
fondoschiena della cugina. Conosceva la DJD e conosceva quel pazzo
allucinato di
Tarn, oltretutto non voleva comunque mettere ulteriormente nei pasticci
il
resto della sua famiglia – l’esecutore
probabilmente non avrebbe apprezzato la
presenza di un autobot in stanza – oltre che per amore del
culo di sua cugina.
“la
tua cara nonna si sta dimostrando davvero preziosa per la Paceful
Tyranny. Un
regalo davvero ben gradito, da parte tua… pertanto io-ehi!”
La
fortuna per la famiglia dei ciclopi arrivò tramite un ronzio
– in principio
sottile e lontano, ma poi sempre più persistente e
fastidioso – che in breve
tempo pervase la stanza in cui si trovava il possente decepticon
costringendolo
ad abbandonare il colloquio per voltarsi ed osservare un ospite
inatteso in
camera propria.
Una
anziana femme dall’aspetto non dissimile dai proprietari di
quell’oscura torre
si stava dando da fare nell’usare quello che sembrava essere
una sorta di
aspirapolvere o lucidatrice, abbastanza rumorosa e antiquata da dare il
sufficiente disturbo ad un ricatto bello e buono.
“Nonna!!
Stai bene??! Nonna!!”
La
prima ridestarsi da quella scena quasi parodistica fu la stessa
Shockblast,
sentendosi improvvisamente più leggera e non più
con la sensazione di svenire
da un momento all’altro, cercando di decretare se la salute
dell’anziana
parente fosse buona. ma certamente per mettersi a fare le pulizie di
primavera
non richieste da nessuno non doveva stare male, tanto da riuscire
comunque a
sentire gli strilli della nipote e annuirle di conseguenza.
“Sto
cercando di fare conversazione qui… i vostri servigi non
sono attualmente
richiesti. Soprattutto nei miei appartamenti”
A
causa dell’alto tasso di rumore a Tarn non fu possibile
parlare sottovoce
all’anziana donna – ammesso e concesso che
l’avrebbe sentito, e questo era
oltremodo frustrante – quindi si ritrovò a
stringere i pugni dal nervoso
osservando la vecchia bastarda avvicinarsi alla sua postazione per
passare quel
maledetto aspirapolvere proprio davanti ai suoi piedi. generando un
rumore
ancor più fastidioso e assordante.
E
nel mentre che faceva avanzare avanti e indietro quel maledetto
marchingegno –
costringendo l’esecutore a chiudere momentaneamente gli occhi
per restare calmo
– l’occhio dorato della vecchia non perse momento
per scrutare avidamente il
proprio carceriere.
“Tu
non sei stupida…”
sibilò lui.
No,
non lo era. Tanto da fargli cenno con la testa che aveva perfettamente
ragione
a riguardo. Era prigioniera della DJD, nonostante godesse di una certa
libertà
sulla nave e nessuno sembrava intenzionato a farle del male, ma non
poteva
permettere che i suoi nipoti ci andassero di mezzo. Tanto da riuscire
ad
ottenere quella piccola vittoria sentendo il loro affascinante
leader sbuffare seccato.
“uff,
va bene allora… Shockwave!” in concomitanza con il
suo ritorno ad osservare lo
schermo olografico della sua console privata la vecchia decise di
levare
saggiamente i tacchi “le mie condizioni sono queste: dati i
recenti fatti che
si sono susseguiti e dei probabili, futuri, disordini tra le file
decepticon
avrò probabilmente bisogno della tua collaborazione a breve
o a lungo termine.
In cambio, vedrai il tuo nome in lista – perché logicamente avrai intuito da tempo di
essere nella nostra lista –
calare di svariate posizioni e chissà… magari un
giorno non ci sarà proprio più.
Intanto, come assicurazione, la tua anziana levatrice
resterà con noi fino a
tempo indeterminato”
L’idea
di avere la propria nonna in mano a quella banda di pazzi omicidi
decisamente
non gustava allo scienziato monocolo, ma c’era da ammettere
che la posta in
palio era oltremodo allettante. Se era da sconsiderati accettare una
simile
offerta, lo era ancor di più non accettarla affatto
già per il fatto che Tarn
era comunque un uomo di parola.
“Le
tue condizioni sono… logiche. Oltre che pienamente
accettabili” convenne lo
scienziato, sotto lo sguardo attonito della sorella “avete
libero accesso alla
torre e ai suoi servizi. Ma in cambio voglio avere la
possibilità di poter
comunicare direttamente con mia nonna in date prestabilite. E come
ultimo…
datele questo”
Si
mise all’opera per digitare velocemente una serie di comandi
sul proprio
datapad personale, per poi inviare il tutto a quello che era il
contatto
personale del lord inquisitore.
“Hm?
Di che si tratta?”
“sono le foto del mio matrimonio. Nonna vorrà
sicuramente vederle”
In
un primo momento Tarn avrebbe voluto ben volentieri mandarlo a quel
paese,
perché la DJD era tutto meno che un servizio di posta
virtuale, ma decise di
passare oltre e dimostrargli il proprio disappunto chiudendogli la
comunicazione in faccia. Per quel giorno l’esecutore ne aveva
avuto abbastanza
di ciclopi infami, ed essendo ancora convalescente per ciò
che era successo con
Megatron giorni prima aveva altro di cui occuparsi.
Dall’altro
lato della nebulosa tuttavia c’era chi ancora si stava
chiedendo se fosse stata
fatta la cosa giusta, perché in quel momento Shockblast
aveva voglia di
schiaffeggiare suo fratello maggiore. Ma si trattenne dal farlo,
sapendo bene
che non era il caso di dargli così tanta confidenza
in un simile momento di tensione.
“Io…
spero tu sappia quello che fai, fratello”
si
morse le labbra nel dirlo, ma Shockwave non parve prendersela affatto.
Dimostrando, anzi, una certa fiducia per il futuro.
“anche
volendo non possiamo fare niente al momento, e nonna ci ha appena dato
dimostrazione di sapersela cavare. Lasciamo che il tempo faccia il suo
corso…
anche perché ho intenzione di dare una occhiata a quella
loro lista, in un modo
o nell’altro. Per il momento vi chiedo discrezione
sull’accaduto, intesi?”
Se
Shockwave aveva una sorta di piano per il futuro non era dato saperlo
al resto
della sua famiglia – presente attorno a lui al momento
– per il momento c’era
solo da sperare che nessuno si facesse del male
nell’immediato futuro,
rimanendo il più possibile discreti su quanto successo in
quelle ore. I panni
sporchi si lavano pur sempre in famiglia, che ci fossero autobot o
decepticon
nel proprio credo.
[…]
Era
appena ritornato alla normalità della sua consueta vita da
esecutore e già gli
mancava la neve di Messatine! Ma a parte l’inconveniente di
quel pomeriggio
poteva ritenersi abbastanza soddisfatto.
Shockwave
possedeva tecnologie e mezzi che alla DJD avrebbe fatto sicuramente
comodo,
senza contare che un “alleato” in più
che li supportasse era la cosa più
sensata da fare dato che, dalla morte di Megatron in poi, si sarebbero
generati
parecchi apostati del credo decepticon che quasi sicuramente avrebbero
scelto
due opzioni: sparire per sempre dalla circolazione o iniziare una lotta
intestina per il diritto di successione prendendo di mira lo stesso
gruppo di
esecutori.
“Molti
nemici, molto onore” avrebbe sicuramente detto il loro leader
estinto. Ma di
averne troppi, e di avere poche risorse con cui affrontarli, non andava
molto a
genio a Tarn e al resto dei suoi uomini.
Quella
comunque sarebbe stata l’ultima notte che avrebbero passato
su quel pianeta
ghiacciato, dato che Kaon sembrava avere delle informazioni importanti
riguardanti il soggetto che dovevano trovare. Ed era proprio da lui che
si
stava dirigendo, superando silenziosamente il lungo corridoio semibuio
– ad
eccezion fatta per le luci di servizio che illuminavano le pareti
– fino a
giungere alle porte di camera sua che si aprirono con un sibilo sottile.
L’unica
fonte di luce offerta negli appartamenti privati del tecnico decepticon
erano
la moltitudine di schermi olografici che occupavano la postazione della
sua
scrivania, e lo stesso Kaon era impegnato in frenetiche ricerche che
avevano
dato i loro frutti. Tanto da convocare a quell’ora Tarn per
fare rapporto.
“dunque…
a che punto siamo?”
“dunque…
si… ecco… direi che ci siamo!”
Il
cieco soldato si voltò giusto qualche secondo verso il
proprio leader, prima di
ritornare a frugare tra i dati estrapolati dalla registrazione di
Megatron.
“il
nostro defunto leader è stato piuttosto in gamba a seminare
indizi… ma per
fortuna che ci sono io! Eh, eh!”
Sul
ripiano della scrivania il leader degli esecutori poté
osservare una
moltitudine di lattine vuote – probabilmente di bevande
energetiche – e
svariate sigarette all’energon ormai prosciugate che
testimoniavano il
pressante lavoro a cui si era sottoposto Kaon in quelle lunghe ore.
“C-comunque,
avevi ragione tu Tarn… la ragazza vive a Caminos. Dal
panorama alle spalle di
Megatron sono riuscito a triangolare la posizione di casa sua, ma al
momento
non sembra esserci nessuno a casa”
“come
sarebbe a dire che non c’è nessuno?”
Quello
non era periodo per deludere il proprio comandante, e questo il tecnico
lo sapeva
alla perfezione, quindi fu con un sorriso dettato dal nervoso che lesto
gli
rispose nel migliore dei modi. Già il fatto di sentirlo
abbassare la voce non
era buon segno… Tarn poteva dire a tutti di essere tornato
nuovamente in
carreggiata dopo quella sua tragica discussione con lord Megatron, ma
era
logico mentisse soprattutto a se stesso.
E
ciò voleva dire che il resto della squadra doveva prestare
più attenzione in
quello che faceva e diceva.
“Ecco…
ho provato più volte a chiamare a casa spacciandomi per un
call center dedito
alla vendita di aspirapolveri” e qui Kaon non ne fu certo, ma
gli parve di
vedere Tarn tremare impercettibilmente “e dato che nessuno
rispondeva, nel
mentre ho eseguito una scannerizzazione isometrica sul volto della
ragazza –
altra mossa astuta da parte del nostro estinto leader – e
sono riuscito ad
accedere ai suoi file personali! Ti presento Natah Atilius…
figlia del senatore
Attilus nonché fautore delle molte trattative di pace tra
autobot e decepticon.
Andate tutte male, fino a poco tempo fa, ma il senatore doveva crederci
molto”
Tarn
aveva scarsa conoscenza di tale senatore Attilus, ma ciò che
sapeva era per
bocca di Megatron stesso. L’ex leader dei deepticon aveva
sempre trovato quasi
noiosa l’insistenza di quel mech di trovare una pace che
stava logorando un
pianeta in cui il nobile cybertroiano neppure viveva.
Ma
se da un lato disprezzava questa sua insistenza, dall’altra
ammirava il
rispetto che nutriva sia per lui che per il suo storico rivale. Optimus
Prime.
Questo
almeno fino a che il leader decepticon non ha messo occhi sulla figlia
ormai
divenuta donna… da allora, guarda la coincidenza, Megatron
aveva accettato più
di buon grado le richieste di incontro con Attilus, ed ora che Tarn
sapeva il
motivo si dette dello sciocco per non averlo capito prima. Il suo volto
dai
lineamenti duri reso più sereno e disteso da qualcosa che
andava oltre la
speranza di una pace duratura tra due popoli; quel suo sguardo che in
momenti
impercettibili, quando credeva non essere visto, si perdeva in ricordi
sconosciuti
al suo fedele inquisitore; il sorriso appena accennato sulle
labbra… i segni di
una decadenza che avrebbe portato alla disfatta un intero esercito,
generati da
un sentimento ignorato per tutta la vita da Tarn.
“dov’è
lei ora?”
Più
ci pensava e più sentiva montargli la rabbia per tutto
ciò che era successo –
che aveva fatto – e per come il suo futuro dipendesse da una
tizia che aveva
generato tutto quel casino. Il sorriso di Kaon tuttavia, lo
ridestò dai
pensieri più malevoli.
“più
vicino di quanto sembri…”
[…]
Una
volta congedati gli ultimi parenti e fatto rientrare
l’allarme agli addetti
della sicurezza, a Shockwave non rimase altro che andare a riposare.
Per
quanto fosse uno stacanovista incrollabile anche lui necessitava di
mettersi in
ricarica per il bene psicofisico della sua persona, nonché
per attenersi a
quelli che avrebbero dovuto essere i suoi doveri coniugali con Hancock.
Se mai
fosse stata giornata per quelli!
Per
quanto le cose con la DJD erano state chiarite sua moglie rimaneva
comunque una
ragazza emotivamente fragile, e il rapimento dell’anziana
ciclope l’aveva
piuttosto colpita in negativo… in quanto quello, per lei
– il giorno del suo
matrimonio – doveva essere un giorno felice tanto per la sua
persona quanto per
tutti gli ospiti presenti.
E
quando lo scienziato entrò nella propria camera da letto
– dipinta di luci
soffuse che portassero un minimo di conforto all’animo
spezzato della sua sposa
– i sensori ottici azzurri di sua moglie si indirizzarono
tristi verso di lui.
La
ragazza non si era sdraiata nella cuccetta che ora avrebbero condiviso
assieme
al suo neo sposo, ma era impegnata nella propria scrivania a creare una
sorta
di pupazzo con degli scarti di metallo di diverso colore. Se la giovane
avesse
saputo che quegli scarti metallici provenivano dagli esperimenti di
Shockwave –
ceduti a lei per gentile accondiscendenza dello scienziato –
forse ci avrebbe
pensato due volte a sposarlo…
Ad
ogni modo, ciò che ora la ragazza stava creando con
l’utilizzo di piccoli
strumenti artigianali – tra cui una piccola saldatrice
portatile – era la
riproduzione stilizzata di quella che doveva essere la levatrice di
Shockwave.
“Hancock…
è tardi” iniziò lui, avvicinandosi alla
consorte e appoggiandole una mano sulla
spalla destra “dovresti andare a riposare. La situazione ora
è sotto controllo”
“si,
lo so ma…” la ragazza sospirò,
appoggiando la nuca sul suo torso “mi consideri
egoista se penso che il nostro matrimonio non doveva andare
così?”
Forse
il vero motivo per cui quella ragazza piaceva tanto al mostruoso mech
era
proprio perché possedeva quell’umanità
che a Shockwave mancava per nascita. Un
vuoto colmato dalla sua presenza solare in un ambiente che di luce ne
vedeva
assai poca, visto quello che il diretto interessato aveva sempre
combinato in
quel luogo più per amore proprio che per la causa decepticon
in se. In quanto
in molti sospettavano che l’unico motivo per cui aveva sempre
seguito lord
Megatron era per la possibilità pressochè
illimitata di accedere a fondi e
materiali per le sue ricerche.
“no,
mia cara… non lo sei. Il tuo è un sentimento
perfettamente logico” la prese per
mano aiutandola ad alzarsi, per incamminarsi assieme verso un talamo
che non
avrebbero consumato affatto “ora andiamo a riposare e non
preoccuparti. Nonna
starà benissimo… e quando tornerà
potrai darle quella bambola”
|
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Capitolo 3 *** purgatorio ***
La
stazione orbitante medica nota con il nome di
“Relay”, possedeva la peculiarità
di fornire un servizio impeccabile a chiunque avesse abbastanza shanix
da
spendere tra le sue mura. In alternativa, anche con pochi crediti era
comunque
possibile farsi curare qualche malfunzionamento minore, ma certamente
non si
aveva la possibilità di accedere alle strumentazioni
più costose e pezzi di
ricambio vergini.
Ma
c’era una cosa in cui tale clinica si differiva da tutte le
altre sparse per le
varie colonie cybertroiane… ossia quello di garantire
l’anonimato per ogni suo
paziente accolto. Pertanto, in quanto luogo di cura perfettamente
neutrale,
autobot e decepticon potevano curarsi gli uni accanto agli altri senza
timore
di riconoscersi o essere scoperti – questo perché
appena arrivati le insegne
dei rispettivi pazienti venivano nascoste da etichette speciali
– mentre
contrabbandieri e assassini potevano camminare tra le corsie dei lindi
reparti
e scambiare quattro chiacchiere persino con nobiluomini sotto mentite
spoglie.
Quando
Tarn portava ancora il nome e la carrozzeria di Damus – sua
vecchia
designazione – aveva sempre desiderato potersi recare in un
luogo simile per
poter modificare qualcosa di lui
che
proprio non gli piaceva. Ma i crediti in cassa non gli bastavano mai, e
all’epoca, per sua fortuna, ebbe comunque modo di riscattarsi
a livello sociale
incrociando la strada di lord Megatron.
Le
modifiche a cui venne sottoposto – pesanti e definitive. Ben
volute dal suo
lord e supervisionate da Shockwave – trasformarono un timido
e impacciato
ragazzotto di periferia, dal passato difficile, in una macchina di
morte al
soldo dei decepticon. Un cambiamento che venne ben accolto dal
sottoscritto,
pronto a vendicarsi del mondo.
Da
oltre un grande oblò della Paceful Tyranny il leader della
DJD poteva ben
osservare la forma fungiforme della stazione medica nella quiete
fornita dallo
spazio siderale e dalla presenza inquietante di un gigante gassoso alle
spalle
della stessa. Una mossa a dir poco astuta pure quella, nel creare una
stazione
nei pressi di una stella mancata – per quanto comunque
parecchio lontano dal
subirne le radiazioni – così da recuperare nei
suoi gas il giusto carburante
per farla funzionare praticamente a gratis. Tarn non conosceva il nome
di
quell’inquietante pianeta dalle nubi giallastre e grigie, ma
torreggiava sulla
grande stazione medica come se fosse in procinto di inghiottirla.
“Molto
strano… le luci della stazione paiono spente. Ci sono solo
quelle di servizio”
A
dare voce ai suoi attuali pensieri ci pensò il loro medico
di bordo, Nickel,
anche lei intenta ad osservare quello spettacolo insolito accanto al
proprio
comandante.
“hai
ragione… l’ho notato pure io. Secondo te potrebbe
essere un guasto?”
“non
lo so. Non credo… non per una stazione così
grande, Tarn”
Le
preoccupazioni della piccola minicon non erano effettivamente da
sottovalutare,
in quanto già la strana sensazione che permeava la scintilla
del capitano della
nave era presagio che quella che doveva essere una missione di
ricognizione
piuttosto semplice poteva rivelarsi fonte di infinite seccature.
Le
uniche luci visibili erano quelle rosse di segnalazione dei vari
spazioporti presenti
attorno al “gambo” di quel fungo artificiale e
delle guglie più alte, antenne
comprese. Mentre mancavano all’appello quelle di maggior
parte dei locali –
quasi la totalità delle finestre che si affacciavano nel
vuoto siderale – ed
erano completamente assenti quelle della stazione di comunicazione. Una
sensazione pessima che si concretizzò alle parole piatte di
Helex.
“abbiamo
mandato due richieste di attracco ed entrambe le chiamate sono rimaste
inascoltate. Un pessimo servizio, non c’è che
dire”
Il
suo fu un ovvio commento sarcastico, in quanto la situazione appariva
ben poco
chiara persino al resto dell’equipaggio. E la tensione era
ben palpabile nei
loro volti resi duri da un mestiere disumano, seppur piacevole nella
loro mente
malata, consapevoli che una semplice missione di recupero rischiava di
fallire
ancor prima che iniziasse.
Tarn
lasciò perdere il panorama offerto
dall’oblò dell’astronave e
l’inquietante
stazione medica all’ombra di un colosso gassoso per
concentrarsi ora sui suoi
uomini impegnati sul ponte di comando in cerca di un contatto radio che
miserabilmente mancava. Ognuno di loro era nella propria postazione a
monitorare sia i parametri della nave sia quelli di un ospedale che
appariva
come fantasma negli schermi olografici sparsi per tutto il ponte, con
una
tensione ben palpabile in ogni loro movimento su quegli scanni
consumati.
“stando
alle prime scansioni manca l’energia a tutta la stazione. Non
ci sono danni
evidenti come grosse esplosioni per giustificare una carenza energetica
capillare… ma ho appena notato segni di bruciature da plasma
su alcune
piattaforme di atterraggio e credo sappiate tutti cosa
significhi”
Il
lapidario resoconto dettato da un atono Tesarus ricordarono a tutti
quanto le
armi al plasma fossero dannatamente popolari in quell’ultimo
periodo negli
eserciti personali di chi contava veramente, sia per le guardie private
di un
ospedale orbitante sia per eserciti più in carne come quello
decepticon.
“attraccate
su uno dei ponti più vicini alla stazione centrale e prepariamoci allo sbarco. Ciò
che sta accadendo lì non è affar
nostro, abbiamo una persona da recuperare”
Poteva
anche esserci una rivolta interna o una epidemia dettata da
chissà quale virus,
ma gli ordini che Tar aveva appena dettato furono lapidari. La DJD era
preparata a qualsiasi evenienza – da rivolte carcerarie a
pandemie virulente –
dunque la loro “preparazione” prevedeva anche
l’iniezione di svariate sostanze
sotto il controllo diretto del loro medico di bordo.
Un
po’ di nucleon ad inizio missione era ciò di cui
lui e i suoi uomini avevano
bisogno se volevano divertirsi al meglio, soprattutto per una missione
che
ancora lasciava perplessi i più.
Il
briefing che aveva avuto ore prima non aveva riscosso
l’entusiasmo che di
solito si aveva quando veniva scelto un nome della lista di apostati da
eliminare, ma la curiosità di recuperare quella che era
stata la compagna di
lord Megatron c’era eccome. Forse il loro timore era di
finire a far da balia
ad una capricciosa nobile, oppure la lotta era più interiore
e riguardava la
figura di Megatron e della sua arroganza post mortem. Con che coraggio
un
traditore dava loro un ultimo ordine?
Sul
perché poi la nobile femme avesse scelto proprio quella
clinica piuttosto che
una più confortevole su Caminos era uno dei misteri che Tarn
voleva risolvere
al più presto, magari per bocca della ragazza stessa.
[…]
Lo
scenario offerto dallo spazioporto in cui avevano fatto atterrare il
loro
incrociatore era a dir poco desolante. Non vi era nessun tecnico ad
attenderli,
nessun operaio a spostare casse o suppellettili – alcuni di
queste erano, anzi,
riversate a terra – ed il luogo sembrava essere
essenzialmente abbandonato da
secoli.
“una
accoglienza degna
di un sire lontano… una quiete che piange violenza. Quale
ironia”
L’arcaico
linguaggio pronunciato da Vos rispecchiava in modo articolato quello
che
effettivamente il resto dei suoi compagni stava pensando. Una tensione
papabile
e allo stesso tempo strana, in quanto la DJD non era abituata a
situazioni
simili a quella. C’erano stati sicuramente dei tafferugli li
dentro, ma ora era
come se tutti fossero scappati via.
Per
la missione di recupero Tarn aveva deciso di dividere il gruppo in due
parti.
Con lui sarebbero andati prevalente Vos ed Helex, mentre il resto della
squadra
avrebbe operato dalla Paceful Tyranny. Necessitavano che Kaon, abile
tecnico in
comunicazioni, fosse i loro occhi – per usare un eufemismo in
quanto lui di
occhi non ne possedeva –all’interno della stazione
medica. Mentre Tess era
meglio se a quel giro restasse di guardia all’ingresso della
rampa di carico
della nave per evitare spiacevoli disguidi, con buona pace della sua
voglia di
spaccare qualche testa.
Per
quanto riguardava le due donne c’era poco da dire…
Nickel e l’anziana ciclope
avevano il compito di allestire l’infermeria in caso di
pericolo.
Fu
solo una volta superate le porte scorrevoli dell’ingresso
principale che notarono
che qualcosa decisamente non quadrava. La grande reception di quel
piano della
struttura sembrava essere sottosopra, con alcune cartelle mediche
cadute a
terra dai loro ripiani e segni evidenti di bruciature dovute a colpi di
arma al
plasma.
Alcuni
distributori automatici di bevande erano andati in frantumi, riversando
diverse
lattine a terra – una prontamente raccolta da Helex che la
stappò tutto
contento, ruttando di conseguenza in quanto molto gassata –
mentre il pannello
di controllo della reception era andato completamente in fumo.
Risultando così
perfettamente inutili.
“Kaon,
aggiornaci” fece Tarn tramite comm-link, scrutandosi attorno
nella penombra
della stanza disordinata “i computer della reception sono
praticamente
inutilizzabili. Chiunque abbia attaccato la struttura si è
premurato di
impedire che venissero chiamati i soccorsi”
Ci
fu un qualche secondo di silenzio radio prima che la voce del
decepticon si
facesse sentire nei loro trasmettitori interni.
“se
la corrente manca non c’è molto che possa
fare… purtroppo la struttura
garantisce un anonimato capillare ai suoi pazienti e quindi non so
dirvi dove
possa essere al momento, ne se abbia dato delle generalità
diverse dal suo nome
di nascita ma, e dico MA, era stata ricoverata nella zona dedicata al
‘day
hospital’… che, ehm” ci fu un momento di
silenzio dove il leader inquisitore
poté sentire il proprio sottoposto borbottare qualcosa sui
file segretati che
stava esplorando “si trova giusto un paio di piani sopra di
voi, a quanto pare
per un banale controllo di routine… Almeno stando alla
cartella clinica. Questo
è tutto ciò che sono riuscito a scovare prima che
tutta la baracca saltasse”
“era
qui solo per degli accertamenti, quindi doveva essere abbastanza in
salute
anche per potersi mettere al riparo”
Questa
era la speranza che muoveva maggiormente i pensieri di Tarn, in quanto
se i
disastri che avevano colpito la stazione avevano in qualche modo preso
anche il
soggetto del loro recupero allora ogni senso di tutta quella brutta storia avrebbe cessato di
esistere per lui. E l’idea di vedere la propria
sanità mentale colare a picco
avendo tra le mani un cadavere completamente offline – per la
seconda volta –
era ciò che faceva palpitare la sua scintilla di una
impazienza a stento
trattenuta.
“qui
fuori non ci sono astronavi, il che è molto
strano… sicuri che qualcuno non sia
riuscito a scappare? Magari la ragazza ci è
sfuggita”
La
voce un po’ lontana di Tesarus ricordò a tutti che
poteva anche esserci
un’altra opzione a riguardo, ma la risatina un po’
isterica di Kaon lasciava
intendere che la pensava un po’ diversamente.
“Eh,
eh, eh… s-si certo, magari è riuscita a fuggire
ma per saperlo dovremo prima
attivare la corrente elettrica in tutta la struttura. E se qualcuno
è comunque riuscito
a scappare dubito che si sia messo a chiamare soccorsi di alcuni
tipo… gli
affari che si fanno in questa stazione medica non sono propriamente
legali, se
capite cosa intendo”
“magari
la signorina voleva una scatola vocale nuova di zecca” fece
Helex sarcastico,
continuando a guardarsi in giro con il fucile ben puntato in avanti
“so che è
una pratica in gran moda tra le caminoane ma anche vietata
dal loro governo!”
Non
esistevano pratiche illegali in quell’ospedale fluttuante nel
vuoto siderale, poiché
se avevi crediti sufficienti anche una ragazza di apparente buona
famiglia come
Natah poteva permettersi di rifarsi le corde vocali e rendersi
più invidiabile
alle amiche di salotto.
Il
giro di soldi che l’ospedale Relay aveva era a dir poco
sospetto nonché
proficuo per i primari che dirigevano il posto, ed oltre a guadagnare
shanix
grazie alle spese dei facoltosi pazienti che ricoveravano
c’era anche il poco
trascurabile traffico di componenti e organi tutt’altro che
legale. Una
situazione che la DJD conosceva bene, in quanto dedita
all’acquisto di t-cog al
mercato nero, pertanto chiunque varcasse le soglie di
quell’isolato ospedale di
frontiera lo faceva con la coscienza sporca.
Non
c’era da stupirsi quindi che, chi era riuscito a scappare
nella confusione
dell’attacco, tenesse ora la bocca cucita – quale
ironia – per paura di finire
in guai ben più gravi… Relay era questo: proprio
come molti ambienti che
tenevano alla propria facciata brillavano di lustro nascondendo il
marcio sotto
il tappeto.
Poi
un rumore.
Qualcosa
di apparente innocuo, come il suono di una lattina che cadeva a terra
perdendosi nell’eco della grande sala, costrinse gli uomini
all’interno della
hall di ingresso a girare repentinamente lo sguardo verso la fonte di
quel
suono maldestro. E puntare i propri fucili verso un’unica
direzione.
Le
torce di chi era armato di fucile non in dotazione fisica si puntarono
verso un
angolo non illuminato della sala, vicino a quella che era una uscita di
sicurezza che portava ai piani superiori, illuminando una figura minuta
e tesa
come una molla dallo sguardo allucinato come una lepre spaventata.
“Ooops…!”
Un
minicon dall’armatura bianca e nera, e dal volto coperto da
quella che era una
mascherina metallica, si paralizzò dinnanzi a quei sensori
ottici che lo
guardarono malevoli come se fosse stato un ladro intento a rubare in un
pollaio. Tra le sue braccia molteplici lattine rubate ancor prima
dell’arrivo
di quegli energumeni violenti, di cui alcune erano rovinosamente cadute
a terra
a causa del suo nervosismo nel voler scappar via da li il prima
possibile.
“Non…
muoverti!”
La rude voce di
Tarn fu la prima e
unica cosa che riecheggiò per quella
sala deserta e semibuia ingranando con un tono moderato – per
attirare su di se
quel minicon imprudente – per poi abbassarla quel tanto da
rendere impossibile
a quel fuggiasco una fuga precipitosa con le proprie gambe. Il temibile
potere
del comandante della DJD si era sviluppato nel corso dei secoli fino a
raggiungere la sua perfezione nel corso del suo servizio come uomo di
fiducia
di lord Megatron, e se in principio poteva solo fermare macchine non
senzienti
con il solo tocco delle mani – con la conseguenza di provare
forte dolore
fisico nel farlo – ora poteva a piacimento uccidere un
individuo anche
restandone relativamente lontano. L’importante era che la sua
voce raggiungesse
il bersaglio designato e si abbassasse gradualmente portando la
scintilla del
disgraziato a spegnersi del tutto.
Un potere che
ora come ora lo rendeva
particolarmente soddisfatto di se stesso – credendo
così di aver cancellato con
un colpo di spugna il patetico ragazzo qual era stato un tempo
– sentendo di
aver finalmente trovato la propria strada nel marcio della sua
esistenza.
“ecco…
bravo. Rimani dove sei… finché non saremo
vicini del tutto”
Nel mentre che
parlava a bassa voce dette segno ai
suoi uomini di avvicinarsi allo sventurato paziente che stava solo
cercando di
sopravvivere all’inferno. E quelli che dovevano apparire come
i “salvatori” non
sembravano ai suoi occhi essere in modalità benevola, visto
il modo in cui
continuavano a puntargli i fucili contro.
“v-vi
prego… lasciatemi andare! L-lasciatemi andare!!”
Erano
quasi sul punto di perderlo vista la chiara scintilla di pazzia che si
stava
facendo strada nei suoi sensori ottici rossi, perché era
logico che con quelle
sue povere gambe non sarebbe andato da nessuna parte, quindi se
volevano delle
risposte era il caso di fare le domande giuste o si sarebbero ritrovati
con il
terminare la vita di un pazzo isterico.
“nessuno
qui vuole farti del male… la tua designazione?”
“Z-Zipper!”
“bene,
Zipper… qui nessuno vuole farti del male. Ma vogliamo sapere
cosa è successo
alla struttura, o più semplicemente, sapere chi vi ha
attaccati”
Nel
mentre che la voce di Tarn tornava normale il povero minicon
sentì nuovamente
le proprie membra ritornare alla vita così come la sua
scintilla farsi più
presente all’interno del suo piccolo petto, riacquisendo
così maggior lucidità
nel momento in cui il suo processore neurale elaborò le
parole del leader degli
inquisitori. Se erano li per aiutare magari potevano anche
farcela… le armi
pesanti non sembravano mancare così come l’aspetto
pericoloso.
“V-va
bene vi dirò quello che so… cioè, io
non so come hanno fatto, ma so quando
è cominciato”
-
- - - - - - - - - - - - -
Se
non fosse stato per il suo sguardo perennemente spento, al limite del
depresso,
si sarebbe potuto dire che in Tesarus non scorresse nessuna emozione
che non
fosse far letteralmente a pezzi chiunque avesse la sfortuna di
incontrare lui o
più in generale l’intera DJD perennemente in
viaggio. Attualmente a fargli
fremere le membra di pura noia era il dover badare ad un portellone
aperto in
un porto particolarmente deserto e, cosa non da poco, il fatto che non
gli
andasse propriamente a genio fare da balia a qualche figlia di
papà scappata di
casa. Erano esecutori decepticon, non delle guardie del corpo a tempo
perso! E
l’ormai ex lord Megatron aveva ben poco da impartir loro
ordini visto che era
giustamente schiattato per mano del loro leader attuale. Un traditore
rimaneva
comunque un traditore, anche se un tempo poteva coprire il ruolo di
leader di
un intero esercito.
Che
poi, andava precisato, Tess poteva essere annoverato in quella schiera
di
soldati dalla mente “semplice” e dalla mano
ferma… ma non era uno stupido, e
sapeva tenere per se le proprie considerazioni e continuare a fare quel
che
Tarn diceva loro di fare. L’ex demolitore era abbastanza
saggio da sapere che
quello, almeno per ora, non era momento buono per dar noia al capo
inquisitore.
Stranamente
però la presenza di nonna a bordo della Paceful Tyranny non
gli dava affatto
noia per essere una estranea al gruppo, forse perché lo
“spezzatino” che aveva
addentato ieri sera era stato qualcosa di favoloso.
Sorridendo
lievemente in quel suo volto da funerale provò nuovamente ad
immaginarsi il
sapore di quelle polpette in alluminio avvolte da una deliziosa salsa
di
energon rosa, immaginandosi intento a sgranocchiare quelle delizie che
non
sentiva da quando era una protoforma.
Quel
lieve sorriso appena accennato se ne andò via non appena un
rumore non
indirizzò i suoi sensori uditivi verso un cumulo di grandi
casse alla sua
sinistra, precedentemente ignorate dalla sua squadra per via della loro
fretta
nel voler entrare nella struttura.
Il
suono che poteva percepire, ad ogni prudente passo verso quelle casse
pesanti
contenenti chissà cosa, era simile ad un suono ritmico e
umido come se qualcuno
fosse intento a sgranocchiare
qualcosa di nascosto.
Tess
non aveva armi da fuoco con se al momento, gli bastavano i suoi pugni
oltre che
al gigantesco foro dentellato all’altezza del suo petto, ma
ciò che vide una
volta superato l’angolo di quel cumulo di vettovaglie
ammassate alla bell’e
meglio gli fece pensare che forse sarebbe stato il caso di portarsi
dietro un
fucile al plasma.
-
- - - - - - - - - - - - -
“credo
si-sia successo all’incirca ventiquattro ore fa…
All’inizio non abbiamo capito
cosa fosse successo, pensavamo fosse scoppiato un incendio o qualcosa
di simile
in più di un piano… perché, ecco, era
ciò che il personale medico andava a
ciarlare a noi pazienti… ma il casino è
sopraggiunto quando è venuta a mancare
la luce ovunque, neanche dieci
minuti
dopo!”
La
parlantina veloce di Zipper si incrinò come in procinto di
spezzarsi in una risata
nervosa, in quelli che erano ricordi confusi dovuti ad una situazione
di panico
in cui tutti avevano pensato a fuggire e basta.
“cosa
è successo a quel punto? Sei l’unico
sopravvissuto?”
Se
fosse stato per Tarn sarebbe stato molto più incalzante
nelle domande da fare a
quel nanerottolo tremolante, ma se lo avesse fatto lo avrebbe stressato
all’inverosimile. Per l’inquisitore comunque quel
tizio avrebbe dovuto pregare
che la ragazza fosse viva, altrimenti non avrebbe visto altri
sopravvissuti se
non la DJD.
“io,
ecco… n-non ho visto bene chi fossero, per via del buio nel
reparto in cui ero…
ma li ho visti andare a caccia
delle
persone! Cybertroiani come noi, ma così malridotti da n-non
avere neppure il
colore della verniciatura…e il loro odore… per
Primus! Puzzavano di morte!”
cercò di schiarirsi la voce vedendo l’impazienza
negli occhi di colui che
doveva essere il leader di quel drappello di dannati decepticon,
ricordandosi
anche della sua seconda domanda “c-comunque non sono il solo!
Le guardie
dell’ospedale sono riusciti a salvare chi potevano
all’interno del caveau
del secondo piano… s-sembra che
ogni piano ne abbia uno per-per le scorte mediche e-”
“hai
vito questa ragazza, Zipper?”
Da
una mano dell’esecutore mascherato apparve un oggetto rotondo
– un riproduttore
olografico portatile – e dal foro circolare si
proiettò l’immagine virtuale di
una nobildonna caminoana. La sua configurazione veicolare probabilmente
era
quella di una seeker, data la sua evidente eleganza, ma prima di dare
una
effettiva risposta lo sconvolto minicon dovette guardarla attentamente.
“Ah…
si! Certo che l’ho vista. Era nello stesso reparto di mia
moglie. Sapete, la
mia signora si è rifatta la scatola vocale e..
ah-ehm” non stava mentendo, il
suo tono di voce era fermo, per quanto si stesse perdendo in
chiacchiere che
agli esecutori non interessavano “il suo guardiano
è rimasto indietro a
fronteggiare quei pazzi furiosi mentre noi ci siamo rifugiati
all’interno del
caveau, ma li a parte i medicinali non ci sono viveri e
quindi… m-mi sono
offerto volontario per cercare qualcosina per mia moglie e gli
altri”
Era
viva… per Primus, era viva! E per quel piccolo miracolo non
sapeva se
ringraziare i divini – semmai fossero veramente esistiti, e
di questo Tarn non
ne era mai stato certo. Si definiva un agnostico su certi temi
– oppure la
semplice fortuna del caso che un branco di squilibrati non avesse preso
anche
Natah come gioco al massacro. La ragazza aveva scelto un brutto momento
per
farsi un ritocchino alle corde vocali… ma se non era per
capriccio estetico
forse c’era la volontà di non farsi trovare da nessuno? Se conosceva la reputazione
della DJD anche solo di
striscio poteva pure essere logico che cercasse
nell’anonimato una via di fuga
da loro, o dagli individui disgustosi che si erano appropriati di quel
posto.
E
proprio di tali individui parve interessarsi Helex, che ora si stava
occupando
di ispezionare la sala data la noia che gli aveva procurato quella
conversazione, facendo una domanda ben precisa allo sfinito minicon.
“Hai
detto che questi tizi vi stavano dando la caccia… a parte
l’aspetto orrendo
hanno detto qualcosa di interessante?”
Puntò
il proprio fucile contro il soffitto di materiale fragile divelto da
qualcosa
che non sembrava essere un colpo di fucile – troppo grosso
per esserlo –
spingendo un distributore di bevande il più vicino possibile
al foro per
poterlo sfruttare come gradino e scrutare dunque il sottotetto pieno di
cavi e
tubature.
Il
minicon parve momentaneamente pensarci su, massaggiandosi il mento con
una
mano, prima di ricordarsi qualcosa di singolare.
“alcuni
di loro citavano delle litanie simili a quelle che i chierici
pronunciano per
ingraziarsi Primus… l-lo facevano anche mentre uccidevano le
persone! Mentre
altri…”
-
- - - - - - - - - - - - -
Sotto
la maschera di energia che caratterizzava a sua monolitica figura,
Tesarus
arrivò a sgranare i suoi sei
sensori
ottici davanti alla scena grottesca e raccapricciante che a suo
malgrado si
ritrovò ad osservare oltre quel muro di casse.
C’erano
esattamente due individui a terra, di cui uno totalente offline e a
pancia in
giù – senza testa e riverso in una pozza di olio
scuro ed energon violaceo –
mentre un altro, ridotto ad un cadavere ambulante da tanto che era
malridotto,
era intento a continuare a pugnalare la vittima esamine alla schiena
con una
forza tale da separarne il busto dalle gambe. Tra scintille dovute
all’attrito
e morbidi cavi imbrattati di sudiciume nauseabondo.
Divorando
di tanto in tanto quelle viscere metalliche che sporgevano come nastri
insanguinati, facendo scricchiolare i pezzi più duri tra i
denti metallici,
borbottando di tanto in tanto frasi sconnesse di una preghiera
blasfema.
L’esecutore decepticon era sicuro di non aver mai visto nulla
di così
disgustoso e perverso nell’arco della sua lunga vita,
nonostante nella sua
videoteca personale avesse parecchi file riguardanti bondage e sadomaso
– ma
quelli erano feticci a scopo… prettamente personale
– mentre qui aveva di
fronte qualcosa che faceva sembrare il suo stesso mestiere roba da
educande.
Dell’assalitore
non riusciva neppure a capire se fosse un mech o una femme, la
colorazione
della sua carrozzeria era grigia e sporca, scrostata di ruggine a causa
della
scarsa igiene, e il suo aspetto generale era come se
quell’individuo si fosse
inferto per anni ferite contro la sua persona in un gioco masochista
sconosciuto all’inquisitore decepticon.
“ma
cosa cazzo…!”
Il
grottesco toccò il culmine quando quella creatura priva di
senno – con tutta
probabilità sotto gli effetti di chissà quali
potenti droghe – voltò la testa
verso di lui con un sorriso a trentadue denti e due orbite
completamente vuote ad osservarlo
spiritato. Per un
attimo quel particolare portò alla mente di Tess il suo
collega di lavoro Kaon,
ma la similitudine tra i due si concluse quando quel folle
aprì la bocca in
modo spropositato.
-
- - - - - - - - - - - - -
“Mentre
altri… gridavano e basta! Cos… Eeek!!”
Il
tempismo perfetto con cui Zipper accentuò l’ultima
parte del suo discorso
concise con un suono agghiacciante proveniente da oltre le porte
finestra della
sala di ingresso. Un grido metallico – robotico e alieno come
se generato da un
computer – che corrispondeva ad un frenetico rincorrersi di
codici binari atti
ad alimentare menti malate e contorte da chissà quali droghe
ignote.
Il
grido inumano veniva dallo spazioporto, ma fu abbastanza potente da far
tremare
i vetri e vibrare le vettovaglie presenti sopra i mobili ancora
intatti.
Arrivando a costringere i presenti a portarsi momentaneamente le mani
ai
sensori acustici preda di un fastidio primordiale.
Poi
così come era partito, cessò immediatamente.
Portando Tarn ad aggiornarsi
immediatamente sull’accaduto via comm-link, una volta che le
sue orecchie
cibernetiche smisero di ronzargli dal dolore.
“Nhh…
Tess… a rapporto! Cosa è successo?!”
Dovette
attendere diversi secondi di silenzio radio prima di sentire la voce
cavernosa
del proprio soldato. E il suo tono di voce, normalmente piatto e
monotono,
apparve a Tarn come sinceramente preoccupato.
“è
successo che un pazzo furioso è sbucato da oltre le casse
qui presenti e ha
iniziato ad urlare come un matto! Urgh!
Che schifo…” il lord inquisitore non poteva ancora
saperlo, ma al momento
Tesarus si stava pulendo le mani sporche di fluido craniale contro dei
teli di
stoffa che coprivano alcune casse del molo “ho staccato la
testa a quello
stronzo ma temo che i guai siano appena cominciati!”
Era
una sensazione che avevano tutti lì – e persino il
controllato Vos parve essere
piuttosto nervoso nel trovarsi in quella che poteva essere una trappola
per
topi, arrivando a stringere con più sicurezza il proprio
fucile – tanto da
lasciare che fosse il minicon parlare con voce flebile e dare sfogo e
forma ad
un pensiero che ebbero tutti.
“Oh
no… adesso
arriveranno tutti qui…”
Quello
che in principio fu silenzio divenne all’improvviso rumore.
In primordio un
brusio lontano, come echi in alta montagna, e poi solo in seguito suoni
di
passi sempre più frenetici che sembravano arrivare dal piano
superiore –
portando gli sventurati soldati a puntare i loro fucili verso
l’alto – seguiti
da altrettanti rumori molesti da quelli che erano i bui corridoi
laterali che
si affacciavano in quella malsana reception. Passi, calci, grida rauche
e
parole sconnesse… il tutto amplificato dall’eco di
quelle grandi sale che
avevano visto giorni migliori. L’unico che ebbe il coraggio
di parlare, pur
tenendo puntando i propri cannoni a fusione ancorati al braccio destro,
fu lo
stesso leader di quel drappello di uomini sempre più tesi.
“Tess…
rientra nella nave e chiuditi la porta alle spalle”
“cosa??
Ma voi…?”
“è-un-ordine!”
invece di urlare quelle parole furiose le pronunciò in un
labile sussurro,
tanto da riuscire a sentire via radio il proprio demolitore grugnire di
dolore
“chiudetevi nella nave e aprite solo quando torneremo! Voi
invece” e qui si
riferì al resto dei suoi uomini presenti in sala
“verso le scale! Muov-”
“e
infine l’altissimo
dirà: arriverà la notte e avrà i tuoi
occhi!”
Troppo
tardi.
Ovunque
in quel buio opprimente incominciarono a farsi strada sensori ottici
dal
colorito malato o, alle volte, completamente assente in quanto alcuni
volti
mancavano di uno o di entrambi gli occhi. I sorrisi di quelle facce
spiritate –
sussurranti parole spesso incomprensibili persino ad un cultore delle
lingue
arcaiche come Vos, o per un uomo attento come Tarn –
incorniciavano un quadro
malato dato il loro aspetto tutt’altro che rassicurante che
sorgeva da quelle
tenebre spezzate solo dai faretti dei fucili dei soldati. Ad alcuni
mancavano
pezzi di armatura mostrando l’endoscheletro interno, altri
anche un arto,
mentre altri ancora erano così sporchi di lordura da dare
l’idea che sudassero
quello schifo nero dalle pieghe delle loro armature.
“Tarn…
credo che questi
siano mortiliani! Cultisti di un dio cieco e idiota
che…”
“Lo
so cosa sono, Vos!” in quel momento avrebbe ben volentieri
preferito sussurrare
ai suoi uomini ordini di ritirata, ma sapeva che li avrebbe uccisi al
posto di
quegli invasati che aveva di fronte. Maledicendosi, nel mentre, di non
aver
intuito subito cosa avesse potuto causare tutta quella catastrofe,
concentrato
com’era a trovare quella sciagurata ragazza da tralasciare
certi particolari
“avviciniamoci alle scale e continuate a puntare i vostri
fucili contro di
loro! Sembra che la luce dia fast-”
Lo
strillo acuto e inumano che partì dal mezzo di quella calca
che li circondava –
simile a quello che aveva preceduto la loro venuta pochi minuti prima
–
interruppe gli ordini di Tarn e portò il resto di quei
cybertroiani a sorridere
con maggior malizia e follia. Scattando con una agilità e
velocità incredibili
nonostante il loro aspetto emaciato e malridotto, ridendo come
sciagurati, non
lasciando praticamente il tempo a quei drappello di soldati di premere
sui
grilletti dei rispettivi fucili.
Se
Tarn voleva anche solo avere un minimo di sopravvivenza in quella
situazione
allora lui e i suoi uomini dovevano contemplare la fuga.
[…]
Nella
Paceful Tyranny la tensione era per forza di cose palpabile. Il
resoconto
offerto dal gigantesco Tesarus non venne accolto favorevolmente dal
resto della
squadra presente sul ponte di comando, in primis Nickel che voleva
vederci
chiaro il prima possibile. Il grido acuto lo aveva sentito pure lei,
nonostante
fosse ben protetta dalle spesse pareti dello scafo, tanto da farle
abbandonare
l’infermeria per cercare di capire cosa stesse succedendo li
fuori. Ma ciò che
aveva visto una volta raggiunto l’hangar di carico era solo
un demolitore
intento a chiudere in fretta e furia le porte di ingresso
così come gli aveva
ordinato di fare Tarn.
“non
c’è modo di connettersi via comm-link con gli
altri? Perché ora non
rispondono??”
La
preoccupazione dell’energica minicon si era amplificata dalla
seconda sequenza
di strilli meccanici e acuti – roba che aveva fatto vibrare
per un momento la
strumentazione della nave, dando prova di un attacco elettromagnetico
– e da allora,
da dopo la breve conversazione con Tess, sembrava che al momento non
fosse
possibile raggiungere la squadra di ricognizione.
“senti,
sto cercando di fare del mio meglio qui!” il tono con cui
Kaon si rivolse alla
compagna di squadra rasentava la maleducazione, nel mentre che premeva
tasti su
tasti sulla console delle comunicazioni “ma quello che
è successo – quella specie
di “grido” – sembra aver sfasato i
sistemi di comunicazione e sto facendo per
questo un reset ma… credo di potermi connettere ai visori di
Tarn a remoto”
“non
sarebbe come violare la sua privacy?”
La
perplessità di Tesarus era legittima, ma quello era uno di
quei casi eccezionali
in cui determinate cose potevano essere messe da parte per un bene
più comune. Cosa
che gli ricordò anche il tecnico decepticon, mentre riusciva
a mostrare le
prime immagini tremolanti provenienti dalla maschera di Tarn grazie ad
un
hakeraggio senza eguali.
“normalmente
si, ma questa non è una situazione normale, da quel che
potete vedere e… oh merda”
Il
loro leader, assieme al resto della squadra, era intento a darsi alla
fuga in
un ambiente semi buio da quelli che sembravano essere degli zombie
affamati di
energon puro. Le parole letteralmente morirono in bocca a Kaon,
nell’atto di
osservare i suoi colleghi di lavoro farsi strada in
quell’inferno di volti
devastati da ferite autoinflitte e follia procurata da
chissà quali sostanze
tossiche e fanatismo religioso. Alcuni individui mostravano una
verniciatura
ormai sverniciata e irriconoscibile, altri invece erano stati
“iniziati” da
poco… dando dimostrazione che la caccia di quei cultisti
aveva dato buoni
frutti.
Ora
capiva perché le comunicazioni si erano repentinamente
interrotte nel giro di
ventiquattro ore, intuendo che parte di quella feccia doveva essere
arrivata
anche lei in incognito come tutti gli altri pazienti, spacciandosi per
bisognosi in cerca di cure piuttosto che di adepti da convertire.
“Tu…
sai chi sono quegli individui, Kaon?!”
La
preoccupazione di Nickel per la sorte del suo leader e del resto della
squadra
era palpabile, ma vedere il tecnico di bordo così cupo di
fronte a quelle immagini
sgranate la rendeva ancora più inquieta.
“si…
so chi sono” fece funereo lui, non riuscendo a distogliere
l’attenzione da quei
volti folli e contorti “sono seguaci del dio
Mortilus… e l’unica cosa che posso
consigliarvi è di armare le torrette esterne della nave ed
aspettare che i
nostri tornino da li sani e salvi!”
Ma
quando sarebbe avvenuto ciò?
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Capitolo 4 *** l'uomo nero ***
Uno
dei primi ricordi che Tarn possedeva da quando aveva coscienza di
esistere era
qualcosa di tutt’altro che tranquillo e consono a
ciò che dovrebbe essere il
primo ricordo di una protoforma.
Quello
che lo colpiva maggiormente in quelle memorie remote, a distanza di
secoli, era
la sensazione di viscido e sporco – di buio opprimente e
fetore indicibile –
che accompagnavano il suo cammino a carponi verso la fine di quello che
era un
tunnel di scarico fognario. Piccolo e stretto come lo era lui un tempo,
ma
misterioso così come il motivo che lo aveva spinto a
incamminarsi in
quell’inferno dall’odore pungente e nauseabondo.
Che
fosse arrivato a rimembrare la propria infanzia trascurabile fu un
dettaglio che
lo sorprese non poco, e non tanto perché pure quella era
stata dimenticabile
come il resto della sua adolescenza e maturità, quanto
piuttosto forse
all’odore che quei rottami putrescenti emanavano fin tanto da
fargli desiderare
di vomitare.
Con
sua somma vergogna aveva ordinato ai suoi uomini di darsi alla fuga,
dopo aver
visto che la sua stessa voce ne faceva cadere solo alcuni –
con tutta
probabilità quei pochi ad avere i sensori audio ancora
attivi – e i colpi del
suo cannone a fusione ne inceneriva parecchi ma non era adatto alle
corte
distanze con soggetti così agili. Era come se più
ne uccidevano e più ne
arrivavano, dandogli l’idea che quei bastardi si fossero
praticamente moltiplicati
nella struttura semplicemente torturando e soggiogando i pazienti al
suo
interno che nulla potevano fare per contrastarli. Rendendoli succubi e
folli
con chissà quale sostanza chimica tossica.
“Questa
è una mietitura! È per
questo che sono qui?!”
Nella
domanda di Vos probabilmente c’era già la risposta
– per quanto ora stessero
fuggendo per una rampa di scale intasata di quei fanatici, ed era
quindi
l’ultima cosa da chiedersi – ma Tarn non aveva mai
visto questi fanatici del
culto di Mortilus, uno delle cinque divinità primarie
venerate un tempo su
Cybertron prima di finire confinate a culti minori in favore di Primus,
dare la
caccia a della gente per renderli forzatamente degli adepti del loro
credo. Un
culto antico e al limite della blasfemia certo, a cui già
milioni di anni prima
le autorità del pianeta impuntarono precisi paletti ai suoi
cultisti affinché
si evitassero disordini di natura sociale, ma non al punto di
comportarsi come
dei selvaggi inferociti.
Di
loro il signore della DJD sapeva quel che bastava. I mortiliani
seguivano gli
oscuri precetti religiosi dettati dai sacerdoti di Mortilus, dio della
morte
cybertroiano, che prevedevano di considerare come sacro e
indispensabile solo
le funzioni religiose dedicate a un dio che non sembrava ascoltar molto
i
propri adepti. Così come un po’ tutti gli altri
divini, a parere
dell’inquisitore.
Tutto
ciò che non prevedeva vivere, e respirare,
in nome di un dio mortifero era considerato al pari della
blasfemia… compresa
la cura dell’igiene intima stando all’aspetto di
quegli orridi individui. E
oltre a questo dettaglio poco trascurabile, in quanto già i
loro corpi sporchi
e imbottiti di droghe erano una bomba biologica non indifferente, non
era
risaputo che effettuassero razzie in giro per la galassia, in quanto i
limiti
imposti dalla legge limitava il loro raggio di azione alle preghiere
giornaliere – in templi lontani dal quieto vivere delle
città più grandi – e
certamente non si contemplava minimamente sacrifici di individui
senzienti. Ma
a vederli sembrava avessero rimediato alla cosa con l’auto
flagellazione.
Altrimenti non si spiegava le componenti mancanti tra arti e ottiche
divelte.
“non
è il momento per farsi queste domande… sta
giù!” quasi ruggendo
quell’ultima parola ordinò al suo ufficiale
scientifico di abbassare momentaneamente il capo per evitare
l’attacco di un
mortiliano sbucato da una conduttura di areazione alla sua sinistra. Il
disgraziato venne fuso da un colpo di cannone di Tarn
“Zipper! Dove dobbiamo
andare ora?!”
Il
piccolo minicon – che fino a quel disastroso attacco aveva
fatto loro da
cicerone –era attualmente tenuto per mano dal capo di quella
combriccola
pericolosa e, contro la sua volontà, sballottato da una
parte all’altra come se
fosse stato una bambola di latta.
“A…
a destr-NO! A sinistra! Al pianerottolo svoltate a sinistra!”
Il
drappello di soldati dovette virare verso la direzione giusta in modo
quasi
rocambolesco, con Helex che andò letteralmente a sbattere
contro un paio di
cultisti armati di spranghe e, colpiti dalla massiccia schiena del
mech,
vennero schiacciati contro la ringhiera della passerella fino a
scardinarla del
tutto e farli cadere di sotto.
“e
meno male che mi sono vaccinato! Che schifo!”
Il
gigantesco mech non dette modo ai suoi compagni di sapere a quale
vaccino
generico parlasse, non c’era tempo, ma la lordura che quei
pazzi gli avevano
lasciato addosso gli fece venir voglia di farsi un bagno con gli stessi
acidi
che già si agitavano all’interno della capsula di
ebollizione posta al centro
del suo petto.
Fino
a quel momento l’ex demolitore ci aveva dato dentro nel far
suonare i propri
poderosi pugni primari contro chiunque tentasse di aggrapparsi alla sua
schiena
– e il fatto che chiudesse la file era cosa buona in quanto
evitava che i
fanatici sottostanti raggiungessero l’intero gruppo,
nonostante ora le sue
grandi mani fossero lerce di chissà quali fluidi –
mentre con il paio di
braccia più piccole, quasi delle appendici di riserva, aveva
più dimestichezza
nell’usare il fucile contro dei corpi che non sembravano
affatto sentire il
dolore.
“quanto
manca ancora?!”
Arrivati
al piano di destinazione Tarn notò immediatamente che il
reparto e le
biforcazioni dei corridoi sembrava essere sgombro sebbene non
mancassero segni
di lotta e disordine – probabilmente i mortiliani si erano
riversati tutti al
piano terra quando si erano accorti della loro presenza – ma
guardandosi
attorno, nel mentre che Vos e Helex barricavano le porte metalliche da
cui
erano entrati con una saldatura provvisoria, non avrebbe saputo dire
dove fosse
il caveau. Quella barricata non sarebbe durata a lungo, i cultisti
erano già
dall’altro lato a battere i loro pugni con fare frenetico e
furioso, pertanto
avevano pichi minuti prima di vedere quella barricata cadere e il
minicon aveva
già preso l’iniziativa di correre via nel momento
esatto in cui il lord
inquisitore lo aveva lasciato andare.
“per
di qua! Seguitemi! M-ma state attenti al mostro!!”
In
quel momento Tarn non comprese a cosa il piccolo transformers si
riferisse, il
momento era così concitato che non era concesso a nessuno di
loro di riflettere
con più accuratezza su certi dettagli, pertanto si
limitò a seguirlo e a
perdere completamente la concentrazione quando, svoltato
l’angolo, non vide
quella che era l’entrata blindata del caveau.
La
porta, di forma circolare e argentea e talmente grande da poter
garantire il
passaggio anche a un mech di dimensioni modestamente grandi –
sebbene Tarn, con
un rapido calcolo, decretò che i suoi due demolitori
più grandi avrebbero
dovuto chinare le spalle e la testa per superarla – era
attualmente socchiusa per
permettere ad un rapido Zipper di intrufolarcisi dentro in tutta fretta
prima
che un individuo iniziasse a forzare sulla maniglia per iniziare a
chiuderla
con una certa fatica. Tutto ciò che il leader della DJD
riuscì a notare era che
quell’individuo era una seeker – dalle cromature
lilla e acquamarina – e
nonostante l’evidente sforzo di chiudere il più
velocemente possibile non dette
modo ai nuovi arrivati di poter entrare dentro anche loro.
“Apetta!
Non chiudere!! Aspetta!!”
Nel
mentre che Tarn urlò quelle parole concitate –
quasi disperate – poté sentire
le porte che avevano sigillato in precedenza sfondarsi ai frenetici
colpi dei
mortiliani fuori di senno. Tanto da portare momentaneamente Vos ed Helex a voltarsi verso
l’angolo precedentemente
svoltato nel timore di vedersi nuovamente quella mandria alle calcagna.
Avevano
le armi con loro, ma per quanto ancora sarebbero riusciti a resistere
senza
stancarsi?
Per
Tarn invece era come se in quel momento non esistessero fanatici
religiosi
degni di nota, vi era solo l’immagine di una porta che si
chiudeva velocemente
una volta che il suo custode si era accorto dell’arrivo di
altra gente. E
nonostante lo scatto violento che lo portò a schiantarsi
contro la sua
superficie metallica dandogli una dolorosa spallata, si vide costretto
a
guardare quel diniego con occhi colmi di furia e disperazione. Il suo
obiettivo
era li dentro, era ad un passo da poter completare la propria missione,
non
poteva finire così… dannazione!
“Aprite!
Aprite maledizione!!”
“prima
le luci”
“Cosa??”
“riattivate
le luci” disse lapidaria una voce femminile al di la dello
spesso metallo,
arrivando ovattata seppur comprensibile “poi si
vedrà”
Ciò
che la donna guardiana ricevette in risposta fu un ruggito colmo di
risentimento da parte di un mech che fino a quel momento aveva covato
del tutto
al proprio interno. Non aveva esternato come voleva durante il suo
confronto
con Megatron – lasciando che una rabbia quasi silenziosa gli
facesse premere il
grilletto del cannone a fusione – non lo aveva fatto nei
giorni scorsi,
rimanendosene nella neve di Messatine in stato di coma apparente, ma lo
stava
facendo ora con un ruggito furioso e i doppi cannoni calibrati alla
potenza
massima.
“Naahrrghh!!”
Il
suo urlo colmo di rabbia e disperazione venne quasi coperto dal boato
del
raggio a fusione che si profuse dal suo braccio allungato, illuminando
quella
lega metallica come un braciere infernale, deciso più che
mai a fondere quella
spessa porta senza però ottenere il successo sperato.
Il
caveau da quell’attacco folle aveva ottenuto un grosso solco
infiammato come se
fosse appena uscito da una forgia, ma neppure i suoi doppi cannoni
erano
riusciti a scalfire quel capolavoro di sicurezza interna. Lasciando
momentaneamente interdetti i suoi due alleati distratti da
quell’atteggiamento
poco lucido, a discapito di quello che stava accadendo nei corridoi
adiacenti.
“Non…
non funziona” balbettò Helex a denti stretti
“forse dovremmo…”
La
fortuna del demolitore fu di non finire la frase già
iniziata – perché se
avesse consigliato a Tarn di seguire le istruzioni di quella seeker
probabilmente quest’ultimo, decisamente provato da una
moltitudine di pensieri,
avrebbe sicuramente fuso il petto del suo alleato senza rimorso
– poiché
l’improvviso trambusto dei mortiliani si placò
quando sopraggiunse un grido che
di mortale non aveva proprio nulla.
Un
suono metallico e gutturale, di una voce forse un tempo appartenuta ad
un
cybertroiano come loro, ma ora talmente distorta da sembrare
semplicemente la
macabra parodia di una persona viva. Così spaventosa da aver
portato i cultisti
fanatici a ritirarsi nei meandri della struttura o a perire per mano di
qualcosa che non tardò a far sentire nuovamente la propria
presenza.
“c’è
qualcosa, che danza nelle
ombre…”
Vos
sussurrò quelle parole tenendo il proprio fucile ben puntato
davanti a se, osservando
la biforcazione del corridoio illuminata solo di quelle che erano delle
luci di
sicurezza ambrate. E lì, proprio su quelle pareti di metallo
bagnate d’ambra,
si stagliò la minacciosa ombra di tentacoli che si muovevano
sinuosi accompagnando
i ringhi e i balbettii senza senso di un mostro
che avevano tralasciato nelle parole di Zipper.
Persino
Tarn dovette mettere da parte la frustrazione di non poter accedere ad
un
caveau ben sigillato di fronte a una nuova minaccia a cui non aveva
minimamente
pensato. Ma in fin dei conti, vista la situazione straordinaria, come
poteva
credere che in quella struttura potesse nascondersi uno sparkeater?
Uno
Sparkeater…
In
vita sua Tarn non ne aveva mai visto uno, ma lord Megatron aveva avuto
modo di
vederne uno con i propri occhi e di narrarlo nelle sue cronache di
guerra –
Towards Peace – lasciando ben intendere tutta la bruttura
della loro inumana
natura un tempo leggenda da raccontare a quei giovani disubbidienti
agli ordini
dei loro creatori.
Questa
sorta di uomo nero nasceva da un processo di fusione della scintilla
che nella
stragrande maggioranza dei casi portava alla morte dello sventurato
malcapitato,
ma questo era il prezzo che si rischiava di pagare quando due individui
che si
amavano profondamente decidevano di unire le loro scintille e con esse
anche
tutti i loro ricordi.
Due
anime che diventavano una, due vite intrecciate e destinate ad un amore
eterno
spezzatesi con l’avvento della guerra civile tra autobots e
decepticons. Coloro
che perivano in guerra lasciavano il loro partner ad un destino ben
peggiore,
che nei migliori dei casi si concludeva con una morte
tutt’altro che rapida e
indolore. Mentre chi sopravviveva alla propria anima che bruciava fino
a
scavare un foro nel proprio petto diventava una creatura vuota, di
intelletto e
di umanità, arrivando addirittura a mutare fisicamente e
alla costante ricerca
di quella parte di se stesso ormai andata persa per sempre.
Un’anima spezzata,
un dolore che fasullamente si poteva colmare con la ricerca di altre
scintille
incompatibili, la pantomima di un essere senziente devastato da un
dolore che
l’aveva reso irrimediabilmente folle.
Megatron
una volta ne vide uno in un campo di battaglia, ed ordinò i
suoi uomini di
abbatterlo da lontano per evitare che le sue viscere –
trasformate ora in
tentacoli – finissero col trucidare altri dei suoi soldati
impreparati a quello
scontro al limite dell’orrore grottesco. Né
all’ex signore decepticon né a Tarn
– che lesse di quella cronaca piuttosto affascinato
– fu ben chiaro se quel
primo abbozzo di sparkeater fosse nato proprio in quella zona di guerra
devastata dai bombardamenti e cannoni laser, oppure fosse strisciato
dalle
fogne in cui erano soliti rannicchiarsi creature simili, ma quello che
fu più
importante in quel frangente fu porre fine alla sua esistenza il prima
possibile.
Ma
ora… il trio di soldati decepticon non si trovava in uno
spazio aperto che
permettesse loro di evitare gli insidiosi attacchi di quella letale
caricatura
cibernetica, e la comparsa da oltre l’angolo di una creatura
apparentemente
deforme e fragile – mancavano alcune parti di armatura da
quello che pareva essere
un cybertroiano selvatico – fece capire loro che lo
sparkeater era in netto
vantaggio.
Il
tempo che la creatura facesse sbucare il suo orribile volto sfigurato
da oltre
l’angolo, mostrando loro uno sguardo folle e
all’apparenza felice di aver
trovato nuove scintille da immettere nel proprio stomaco mai sazio, che
il
leader della DJD gridò ai suoi uomini di fare fuoco.
[…]
Le
dita di Kaon letteralmente strimpellavano sulla superficie della sua
tastiera
personale su una console dai molteplici schermi, ignorando qualsivoglia
distrazione esterna che non fossero altro che i dati e le immagini che
scorrevano davanti ai suoi occhi vuoti. Se fosse stato per lui si
sarebbe messo
a operare direttamente da camera propria, dove avrebbe sicuramente
avuto modo
di concentrarsi meglio a modo suo – restandosene nudo e con il cavo di fuori, neppure lui
sapeva il perché la cosa
lo mettesse a suo agio – ma ora come ora era richiesta la sua
presenza sul
ponte di comando dove in effetti avrebbe avuto più
libertà di azione e
movimento.
Cercare
di fare breccia nel server interno della struttura medica, cercando di
usufruire della scarsa energia fornita da quella di servizio
– si stava
dimostrando un lavoro altamente stressante da fargli
“seccare” la scatola
vocale. Per sua fortuna c’era nonna che gli allungava la
cannuccia della sua
bibita preferita – una kremzeek ghiacciata – quando
lui semplicemente
annunciava “cannuccia!” con un’enfasi
quasi drammatica… ma se non fosse stato
dannatamente serio allora si che si poteva ridere di quella scena
assurda.
“ok…
forse riesco a fare qualcosina da remoto con la corrente di
riserva… ma giusto
qualcosina! Cannuccia!”
Tosta
l’anziana femme – alla destra del tecnico
– si apprestò ad avvicinare la cannuccia
alla bocca del giovane, che l’agguantò avido
succhiando quel nettare
all’energon fin troppo zuccherato, mentre alla sinistra di
Kaon una incerta
Nickel continuava ad osservare gli schermi olografici
tutt’altro che convinta
della riuscita del piano.
Anche
lei, come gli altri sul ponte di comando, poteva vedere quello che lo
stesso
Tarn poteva vedere attraverso il visore della sua maschera, e quella
creatura
orrenda – di cui fino a quel momento aveva solo sentito
parlare, pur sapendo
ormai della loro esistenza – si stava dimostrando ostica
persino per degli
inquisitori preparati come i suoi compagni. Le immagini erano confuse,
dinamiche a casa dei continui scatti di Tarn per evitare quelle viscere
uncinate divenute letali fruste metalliche – riuscendo
purtroppo a scalfire la
sua armatura con rapidi colpi non letali – ed era frustrante
osservare come i
colpi dei suoi doppi cannoni fusione mancassero costantemente il
bersaglio a
causa della sua sconveniente agilità.
“come
ha fatto una creatura simile a finire in quella
stazione…?”
Era
l’unico pensiero a cui riusciva dare voce
nell’angoscia generale che la teneva
bloccata li nel ponte di comando. Avrebbe potuto chiedere a Kaon se il
suo
piano in qualche modo si sarebbe dimostrato efficace, se fosse riuscito
effettivamente a dare una mano a Tarn e gli altri, eppure
riuscì solo a
soffermarsi su un dettaglio che reputava banale.
“i
casi sono due: ho quella creatura si è generata qui, oppure
l’hanno in qualche
modo portata loro… dubito che qualcuno sia così
fesso da legare la propria
scintilla con qualcuno in questo periodo!”
La
voce cavernosa di Tess li raggiunse nonostante il gigante si trovasse
nella sua
posizione di lavoro, intento a monitorare le torrette esterne e pronto
a fare
fuoco in caso sommossa, e quel che disse tanto bastò come
risposta per la
piccola dottoressa. Se era vera la seconda ipotesi, ed era comunque la
più
plausibile, lasciava intendere che quei mortiliani fossero
più organizzati di
quel che poteva sembrare. Ma il come fossero riusciti a portare
all’interno
della struttura un simile abominio all’interno
dell’ospedale probabilmente
sarebbe rimasto un mistero irrisolto, in fin dei conti la squadra non
era li
per quello.
“si…
bè… comunque ecco come sbollire i bollenti
spiriti di quello stronzo!”
Premendo
un’ultima serie di tasti il tecnico decepticon
riuscì finalmente a dare vita al
proprio complicato piano che, per quanto fosse tutt’altro che
risolutore,
almeno sarebbe servito a far formulare ai suoi compagni una strategia
d’attacco.
Dal
sistema di energia ausiliario poteva fare ben poco – in fin
dei conti era nato
per alimentare solo le apparecchiature mediche e le celle frigorifere
– ma
immettersi negli impianti antincendio era stata una furbata
tutt’altro che
semplice da superare.
[…]
Se
la situazione non fosse stata così drammatica molto
probabilmente Tarn si
sarebbe messo a ridere di gusto. La creatura era agile e loro non lo
erano
affatto – soprattutto lui ed Helex – impegnati
com’erano a evitare quelle
fruste uncinate pur comunque venendo graffiati, e nel caso del
demolitore in
maniera pesante seppur capace di difendersi e riuscire a strappare un
paio di
quei cavi con le mani. In quel caso si, Helex riuscì
effettivamente ad avere la
meglio sfruttando quelle appendici viscide della creatura per lanciarla
letteralmente contro le pareti vicine come se fosse stato un
mazzafrusto –
arrivando persino a deformare quelle pareti metalliche un tempo candide
– ma lo
sparkheater non rimase certo fermo a subire, riuscendo a sgusciare via
e a
riprendere la sua danza di morte arrivando a fracassare di botte il
colossale
demolitore.
“Helex!
Attento!!”
L’avvertimento
dettato dal lord inquisitore arrivò comunque troppo tardi, e
almeno tre degli ameno
undici uncini del mostro si conficcarono prepotenti nelle giunture del
malcapitato esecutore. Le scintille si propagarono in quelle ferite fin
da
subito chiaramente serie – due braccia, una grande e
l’altra piccola, erano
ormai inutilizzabili compresa una gamba oramai zoppicante – e
l’urlo carico di
rabbia del demolitore lo portò a scrollarsi di dosso quella
belva con tutta la
forza rimasta nelle braccia ancora sane.
Il
solo membro del gruppo che fino a quel momento non aveva subito danni
era
l’ufficiale scientifico della Paceful Tyranny. Vos era
l’unico abbastanza agile
da evitare ogni fendente ed ogni scudisciata che quel mostro cercava di
inferire a loro, con una grazia tale da farlo sembrare come acqua tra
le spire
di una bestia tentacolare affamata.
I
suoi colpi fino a quel momento erano sempre andati a segno –
contrariamente a
quelli di Tarn ed Helex – e nonostante non avesse minimamente
scalfito la
rovinata armatura della fiera era quantomeno riuscito a distrarla quel
tanto
che bastava dall’evitare al resto dei suoi compagni ferite
che potevano anche
risultare letali.
E
proprio mentre il capo di quel drappello di disperati si chiese per
quanto
ancora sarebbero stati capaci di tenere testa ad un essere che non
sembrava
stancarsi come potevano farlo loro – e le munizioni
iniziavano a scarseggiare
nei loro fucili – qualcosa accadde in quel corridoio dalla
biforcazione a T.
Si
erano spostati di parecchio dal caveau iniziale, la battaglia li aveva
portati
al limitare di quello che sembrava essere una parete che si affacciava
verso
l’esterno visto che era composta interamente di pannelli di
vetro – il cui
paesaggio sembrava essere composto da strutture interne, tubature che
si inabissavano
nel buio e ragnatele di cavi sottili che attraversavano
quell’abisso
artificiale – quando
il suono dell’allarme
antincendio non portò i presenti a distrarsi momentaneamente
da un nemico
implacabile.
L’improvviso
botto dei diffusori antincendio portarono il drappello di uomini a
guardarsi
momentaneamente in alto, vedendo che dal soffitto furiose nubi di gas
idrogeno
si stavano velocemente propagando nella loro zona congelando
suppellettili e
superfici e rendendo l’intero pavimento estremamente
scivoloso e pericoloso. Lo
stesso Tarn dovette aggrapparsi ad una ringhiera lungo la parete per
cercare di
tenersi in equilibrio e non scivolare a terra come un emerito idiota,
mentre
Helex, seppur dolorante, agguantò il proprio minuto compagno
di squadra prima
che un soffione di aria fredda non lo congelasse fino alla morte. Per
quanto
Vos fosse agile non possedeva la stessa resistenza dei suoi compagni di
scorribande.
Nonostante
avessero fatto confusione per quei corridoi, distruggendo diverse
pareti come
pioggia di meteore, non avevano generato abbastanza danno da provocare
incendi
– in quanto tutte le loro armi erano settate sul perforare
l’armatura nemica
anziché darle fuoco – quindi quello delle
manichette antincendio si rivelò
essere un altro mistero che si andò ad aggiungere alla lista
di anomalie
registrate fino a quel momento, ma tutto sommato la cosa
andò a loro favore.
La
creatura aliena lanciò uno strillo carico di dolore e rabbia
quando i vapori di
idrogeno la colpirono direttamente, iniziando a congelarla fin
all’interno
dell’armatura arrugginita rendendo sempre più
difficoltosi i suoi movimenti e
portandola a spezzarsi miseramente una gamba rimasta ancorata al
pavimento
ghiacciato. Le viscere usate come fruste continuarono comunque a
oscillare in
maniera pericolosa e con giri più ampi – come se
stesse disperatamente cercando
un appiglio che le permettesse di sfuggire da quei fumi pericolosi
– ma a
questo giro la DJD fu preparata a cogliere quell’improvvisa
opportunità di
successo.
Con
un ringhio rabbioso Helex si appropriò di un paio di
tentacoli oscillanti con
le braccia ancora buone– nel frattempo che Vos aveva
abbandonato il proprio
fucile per mutilare l’avversario con una lama affilata
estratta dalla gamba
sinistra, tranciando via di netto gli uncini di quelle funi metalliche
– e con
un ruggito risentito, evitando per un pelo di essere ferito dagli
artigli della
furente creatura, scagliò lo sparkheater contro un pannello
di vetro grande
quanto l’intera parete del corridoio.
E
lì, cogliendo finalmente una occasione per fare centro, Tarn
sfruttò una delle
ultime cariche del suo cannone a fusione per colpire di prepotenza un
avversario che per un momento, una razione di secondo,
guardò il lord
inquisitore con una espressione basita. Quasi come se una scintilla di
normalità
si fosse affacciata nel suo petto vuoto – in un volto simile
ad una maschera
grottesca – nel mentre che l’esecutore gli sparava
proprio lì con una forza
tale da sfondare i vetri blindati di quella zona del corridoio.
Il
vetro dapprima si crepò in così tanti tasselli
concentrici da far sembrare per
davvero lo sparkheater un ragno sulla sua ragnatela e poi, una frazione
di
secondi dopo che la belva aveva accusato il colpo, quella ragnatela si
spezzò
facendo fare la fine della preda ad un perfetto cacciatore degli abissi.
Privato
dei suoi uncini – e con solo le zampe malandate dai vapori di
idrogeno a cercare
disperatamente un appiglio – la creatura demoniaca cadde
verso l’abisso il cui
grido si disperse tra le pareti metalliche e tubature fino a giungere a
contatto con qualcosa che, forse la fortuna per il trio di esecutori,
non
scatenò un vero e proprio inferno di scintille e scariche
elettrostatiche che
dal basso si propagarono verso l’alto in pulsazioni continue
e ripetute fino a
che, con un boato che portò i soldati decepticon a coprirsi
il volto con le
mani, ci fu una breve esplosione di luce ed il ronzio tipico della
corrente che
tornava a farsi risentire tra i sistemi operativi della stazione
medica. A
quanto pare, senza volerlo, con quell’attacco disperato
avevano riattivato la
corrente in buona parte della struttura.
Le
luci tornarono a riaffacciarsi nei corridoi, i macchinari
ricominciarono ad
operare in tutta tranquillità e i sistemi di comunicazione
interni finalmente
ritornarono perfettamente online negli elmetti di quei soldati provati.
Segno
che, se si voleva e se i sopravvissuti erano interessati, si potevano
finalmente chiamare i soccorsi per salvare il salvabile.
“Allora…
piaciuto il mio
scherzetto?”
La
prima cosa che Tarn e soci sentirono nei loro comm-link fu la voce un
po’
disturbata di Kaon – segno che le comunicazioni si stavano
ancora settando –
piuttosto soddisfatto di aver dato loro supporto da remoto, ma non era
il
momento di perdersi in chiacchere dato che, per uno sparkheater
abbattuto,
rimanevano centinaia di individui esaltati che scorrazzavano per la
struttura.
“suppongo
che ti chiederò più tardi come hai fatto a darci
una mano… per il momento
grazie”
“figurati
capo! Grazie a voi per aver riattivato la corrente elettrica, ehe!
Comunque ho
attivato le serrature di sicurezza lungo tutto il piano e mi accingo a
fare
altrettanto anche negli altri settori, questo dovrebbe darvi una
maggiore
sicurezza e più grattacapi a quei pazzoidi… sono
stati abbastanza furbi da
disattivare i droidi di difesa, ma con me nel sistema è
tutt’altra storia”
Nel
mentre che il tecnico della Paceful Tyranny tesseva le proprie lodi
– e
spiegava un po’ la situazione – il trio decepticon
si era mosso lentamente dal
corridoio in cui si erano svolte le ultime fasi della battaglia per
avvicinarsi
al caveau. Per forza di cose Helex era sostenuto da Tarn –
che senza non poca
fatica trascinava con se un demolitore che zoppicava più di
quel che avrebbe
voluto dare a vedere – mentre Vos si era già
avviato a passo lungo verso la
loro meta di destinazione per poter comunicare con gli abitanti
all’interno
della cripta.
“nelle
mentre che proseguiamo con la missione voi preparate
l’infermeria, Helex qui ha
bisogno di un intervento urgente e non sappiamo in che condizioni si
trovi la
ragazza”
“Urgh…
no! Posso farcela, poss-”
“il
tuo orgoglio non ti terrà in piedi, anche se apprezzo il
coraggio”
Non
era dato sapere se per “coraggio” Tarn si riferisse
alla volontà di Helex di
voler proseguire nella missione oppure nell’aver cercato in
malo modo di
sfidare l’autorità del proprio leader. Ma qualche
che fosse la reale chiave di
lettura non aveva più importanza, in quanto le porte del
caveau iniziarono ad
aprirsi con un sibilo come da accordo precedente.
[…]
Quando
la femme aveva chiuso dietro di se la pesante porta blindata sapeva di
aver
commesso un azzardo imperdonabile – perché per
quanto il loro incontro fosse
durato pochi secondi aveva ben riconosciuto il lord inquisitore Tarn al
di là
della porta, sentendone la furia dei suoi colpi a fusione contro un
metallo
impenetrabile – ma in quanto comandante dei cieli decepticons
era suo dovere
proteggere i suoi uomini e i civili inermi presenti nel grande
magazzino. Non
poteva rischiare, non in un momento delicato come quello che stava
vivendo un
intero popolo abbandonato dal suo stesso leader.
Su
questo Slipstream era abbastanza
soddisfatta di come aveva gestito le cose fino a quel momento nella
stazione
medica Relay – riuscendo a portare al sicuro buona parte dei
pazienti e,
soprattutto, anche tutti gli infanti presenti nel reparto che era
rimasto sotto
attacco – ma il capo della DJD fu di parere contrario visto
il modo in cui
entrò in scena una volta che le porte si aprirono grazie al
suo successo.
Con
un sibilo risentito, e che accompagnava uno sguardo furente sotto
l’iconica
maschera, il gracile collo della seeker venne agguantato da una mano
artigliata
di Tarn con una violenza tale da sollevarla da terra come un giocattolo
inerme.
Sotto lo sguardo allibito e terrorizzato di molti degli ospiti presenti.
“Slipstream…”
la voce dell’esecutore era carica di rancore per essere un
sussurro letale, ed
i suoi occhi non mentivano “hai commesso un grave errore nel
tenermi fuori”
“Nhh…
s-signore! Mi dispiace! Ma… ma non potevo mettere in
pericolo l’incolumità dei
feriti qui dentro con quella belva lì fuori!!”
Tarn
conosceva a menadito tutti gli ufficiali decepticon promossi da
Megatron in
persona, e sapeva che quella seeker dalle cromatura lilla e acquamarina
si era
dimostrata, nei secoli, più affidabile del fratello
megalomane noto come
Starscream. Bè, almeno fino a quando quella femme imprudente
non aveva deciso
di sua spontanea volontà di mettersi in automatico nella
lista, nell’esatto
momento in cui aveva preso la folle decisione di tener fuori lui e la
sua
squadra in balia di un mostro sanguinario.
Ma
fu solo quando il mech si guardò attentamente attorno che
vide l’effettivo
motivo di quell’insubordinazione senza precedenti.
Nel
grande ambiente che lo circondava, tra le scaffalature piene di
prodotti medici
e tavoli ora usati come lettini di fortuna, una marea di pazienti
cercava di
rimanere in vita con i pochi medici ancora vivi che continuavano ad
operare in
condizioni lavorative a dir poco precarie. I visi stanchi del personale
medico
– alle volte pure loro con ferite al pari dei loro pazienti
– accompagnavano i
lamenti degli individui moribondi a cui non bastavano gli
antidolorifici e il
pianto delle protoforme dentro delle culle
non sempre accudite dalle loro creatrici. E nel mezzo di quella cornice
di
disperazione vide svariati decepticon messi altrettanto male dopo aver
cercato
di combattere contro dei fanatici religiosi imbottiti di droga e mostri
di
vario genere… riuscendo comunque a mettere in salvo tutte
quelle persone.
Capì
inoltre che, furia a parte, non poteva biasimare troppo Slipstream per
aver
cercato di salvare quel poco che rimaneva del loro esercito in quella
situazione di crisi. I simboli del loro esercito erano ben visibili
sulle ali
della femme, segno che non aveva accettato di nasconderli come da
regolamento
interno della struttura, e questo era un punto a favore suo in quanto
Tarn
necessitava di decepticon lealisti.
Riluttante,
ma conscio che non era il momento di mettersi a guardare il pelo
nell’uovo –
dopotutto la DJD non trattava mai con i propri bersagli, nonostante lui
avesse
fatto praticamente quello una volta che si era messo in contatto con
Shockwave…
ma data la gravità della situazione non poteva fare
altrimenti – e notando che
Slipstream non perse tempo a massaggiarsi il collo dolorante una volta
libera volle
fin da subito chiarire il motivo della sua presenza nella stazione
medica.
Ancora
una volta estrasse il proiettore olografico da uno scomparto segreto
del petto
mostrando l’immagine del suo obiettivo ad una allibita seeker
e, senza mezzi
termini, fece le sue domande bruciapelo.
“Questa
femme, l’hai vista? Sai dove si trova?!”
Slipstream
si ritrovò ad annuire velocemente cercando di riprendere
compostezza e non
tremare troppo, dopo aver guardato attentamente l’immagine
mostratagli
dall’inquisitore, mettendo da parte la propria sorpresa e
cercando di essere il
più esaustiva possibile.
Con
il dito indice indicò una stanza separata da quella centrale
– c’erano diverse
stanzette laterali usate come magazzini di sorta, ora riconvertiti in
stanze
per i malati gravi – l’unica in cui attualmente
mancava la luce e a rischiarare
le tenebre c’erano solo delle lampade artigianali.
“S-si…
ho visto quella donna, lord Tarn. Ma è conciata davvero male
e… signore!”
Per
forza di cose il leader degli esecutori non si curò oltre
delle parole della
seeker – e fino a quel momento aveva messo addirittura da
parte anche i suoi
stessi compagni malandati ora intenti a rattopparsi al meglio, ma non
che
potessero fargliene una colpa – camminando velocemente verso
la stanza indicata
e, una volta superato l’uscio, lasciare che i suoi sensori
ottici rossi si
adattassero all’ambiente scarsamente illuminato.
Seppur
di dimensioni ridotte rispetto alla stanza centrale anche in quella non
mancavano pazienti malmessi, quasi tutte donne, ma l’unica di
loro che attirò
l’interesse di Tarn era rannicchiata su una panca metallica
in posizione fetale
dandogli completamente le spalle. La corazza bianca e acquamarina dai
dettagli
dorati, le cui vesti leggere cadevano a terra sporche di
chissà quali macchie
dopo una fin troppo possibile aggressione subita da parte di quei
lunatici del
cazzo, lasciavano pochi margini di errore su chi fosse veramente.
Quella
era Natah, la compagna dell’ormai defunto lord Megatron, ed
oltre la maschera
che celava le espressioni facciali di Tarn uno strano sentimento si
affacciò in
lui. Un sentimento che rasentava la rabbia nei suoi occhi sgranati.
“sei
Natah?”
Glielo
chiese una volta che raggiunse lentamente la panca in cui la femme si
era
accomodata, arrivando addirittura ad appoggiare un ginocchio a terra
per
poterla osservare meglio. I dettagli erano tutti al loro posto, gli
stessi che
aveva visto nel filmato che lo stesso Megatron aveva voluto che vedesse
a tutti
i costi, ad eccezione di una brutta ferita al polpaccio destro.
Qualcuno, o
forse qualcosa, aveva letteralmente lasciato un morso nel metallo
candido,
tanto da strappare via parte dell’armatura e lasciare una
brutta ferita
scoperta. I medici avevano fermato l’emorragia, ma essendo in
pochi molto
probabilmente non avevano tempo di stare dietro anche ad una ragazza
con una
probabile infezione in corso, visto il modo in cui tremava sottilmente.
“n-no…
non sono Natah… mi chiamo… Nova”
La
voce della giovane, seppur sottile e fragile a causa della febbre,
sembrò voler
marcare in maniera decisa le sue false generalità, forse
perché preda della
febbre oppure per timore di essere scoperta da chiunque poteva volere
il suo
male. Magari la stessa DJD che, dopo aver concluso con lord Megatron,
non
vedeva l’ora di fare i conti con chi l’aveva
allontanato dallo stesso credo
decepticon da lui fondato. Dopotutto loro erano uno dei motivi che
l’avevano
spinta ad allontanarsi repentinamente da Caminos.
Di
questo Tarn non se ne preoccupò, ma mal digerì
quella testardaggine e quella
maleducazione nel voler continuare a dargli le spalle.
“Menti…”
“no…
sono Nova”
Non
si sprecò a farle altre domande, era già
sufficientemente nervoso da non poter
digerire altre menzogne dell’ultima ora, e con un gesto
tutt’altro che
comprensivo – quasi manesco visto il modo in cui non si
preoccupò delle sue
condizioni di salute – prendendola di forza per
l’avambraccio destro la
costrinse a voltarsi verso di lui con uno scatto repentino e
dolorosissimo per
la sua gamba malandata.
Un
singhiozzo carico di dolore fuoriuscì dai denti digrignati,
seguita da quelle
che potevano essere definite lacrime scenderle da un volto
già segnato in
precedenza da medesimo liquido, non riuscendo più a
nascondersi dagli occhi di
un uomo che nel proprio intimo la voleva morta.
Tuttavia
fu proprio nella sua vulnerabilità che Tarn vide qualcosa
che lo portò a
sentire perdere un paio di pulsazioni alla scintilla.
Non
fu il simbolo autobot a portarlo a spalancare momentaneamente la bocca
– poco
più di una spilla, ormai non più nascosta dalle
etichette di rito, all’altezza
del manubrio dello sterno – ma ciò che
c’era più sotto… ossia oltre al
“seno” e
più precisamente all’altezza di dove poteva
trovarsi la bocca dello stomaco. Le
bioluci della femme erano di color rosa pallido, forse dovuti alla sua
condizione di salute precaria, ma quelle sullo stomaco, tra le piastre
della
sua armatura, si facevano più scure simili a magenta.
“Vos!
Vieni qui!”
Non
dovette aspettare molto prima che il suo ufficiale scientifico
arrivasse quasi
galoppando – giusto in tempo nell’aver rattoppato
alla bell’e meglio il
compagno Helex – e la stessa espressione stupefatta si
materializzò nei suoi
occhi rossi nel vedere ciò che pure il lord inquisitore
vedeva.
“Scannerizza”
Il
tono lapidario di Tarn non ammetteva repliche, tanto che il suo
ufficiale
scientifico si limitò ad annuire e ad attivare un congegno
laser posto nel suo
braccio destro. Un fascio di luce rossastro si proiettò
sulla figura inerme di
una giovane che forse non era molto cosciente di quello che stava
accadendo,
troppo debole e febbricitante per potersi ribellare, ritirandosi dopo
qualche
secondo dando modo al suo proprietario di leggere i dati appena
acquisiti.
“questa
creatrice è ancora in una
fase iniziale di creazione della scintilla. Attualmente non si
è ancora
generata una protoforma al suo interno, ma solo la sua fragile
anima… brutto momento
questo per diventare madri”
“C’è
altro?”
“non
vi è sofferenza fetale, ma la
giovane ha in corso una infezione batterica dovuta a
quell’infausto morso alla
gamba. Quegli inutili orpelli che indossa devono averla intralciata
nella fuga
in quale mo… do”
Le
parole arcaiche morirono in bocca allo scienziato decepticon in quanto
Tarn non
aspettò la fine del suo responso per strapparle via di
dosso, e con malagrazia
visto il modo in cui la fece sussultare in protesta, i preziosi veli
del suo
nobile vestiario lasciando al loro posto corti moncherini inutili.
Attualmente
nella testa del lord inquisitore – che si apprestò
questa volta a raccogliere
tra le braccia una femme ferita con una certa delicatezza –
vi erano più
risposte che domande da quando avevano iniziato quella missione
insolita e
oltremodo pericolosa. Ecco perché Megatron voleva a tutti i
costi che fosse lui
a ritrovare la sua compagna; ecco perché la giovane aveva
deciso di viaggiare
fino in quella stazione medica sotto falso nome; ecco perché
il defunto signore
dei decepticon stava per abbandonare tutto per una donna che aveva
messo
volontariamente incinta. E di
riflesso,
in un moto di angosciosa ansia, capì che oltre alle risposte
ci sarebbero stati
molti più problemi di quelli che si era prefissato
all’inizio… nel grembo di
quella femme stava crescendo l’erede di Megatron, e Tarn
ancora non era sicuro
se sarebbe riuscito a reggere tutto.
Quando
poi si avviò verso l’uscita di quella stanza
oscura trovò la comandante dei
cieli ad attenderlo, ora più consapevole di quello che stava
accadendo dentro
quel caveau. Pronta ad assumersi le sue colpe vere o presunte che
fossero.
“i
mortiliani ci hanno attaccato circa ventiquattro ore fa e ci hanno
colti di
sorpresa… io ho accompagnato qui alla stazione alcuni
soldati che necessitavano
di cure, ma se avessi saputo fin da subito che questa femme era la
vostra
compagna, lord inquisitore, avrei predisposto subito una sicurezza
maggiore di
quella che lei aveva già”
A
Tarn – e ai suoi compagni presenti – non
mancò di notare fin da subito un
equivoco che un tempo sarebbe stato un semplice pretesto per ridere e
mettersi
in imbarazzo, ma che per questioni prettamente strategiche decise di
cogliere a
proprio vantaggio la cosa annuendo silenziosamente alla seeker
guerriera.
“dell’attacco
improvviso non avete colpa, comandante dei cieli… ma capite
bene che, non
avendo più avuto contatti dalla mia compagna, ho dato
priorità assoluta al suo
recupero. La scorta che le ho dato non è stata sufficiente,
a quanto vedo”
“il
suo guardiano l’ha protetta quando quelle bestie ci hanno
attaccato qui al
secondo piano. È riuscito a liberarla quando
l’hanno buttata a terra e morsa,
ma poi lo hanno sopraffatto… ho coperto più che
potevo la ritirata dei miei
uomini e dei pazienti nell’unico rifugio sicuro del piano, ma
anche dopo
cercare di mandare in avanscoperta delle sentinelle è stato
un rischio che mi è
costato un paio di scout piuttosto validi”
Al
mech era chiaro che quella soldatessa non fosse solo provata per quello
che era
successo in quella maledetta stazione medica, ma anche il peso di
portare con
se le insegne di un esercito ormai morto avevano lasciato una ferita
che
difficilmente si sarebbe rimarginata. Ma a Tarn servivano alleati
validi per
non vedere tutto il suo mondo spezzarsi in mille frammenti, quindi per
quella
volta poteva anche passare oltre agli sbagli dell’ufficiale
ecepticon.
“comandante,
voglio essere onesto: qual è la vostra lealtà al
momento?”
Una
domanda questa che poteva suonare altamente pericolosa se la risposta
data non
fosse stata di gradimento del macellaio decepticon, ma per fortuna di
Slipstream il suo orgoglio era meno personale del fratello e
più rivolto a
quello che ormai da secoli la femme definiva la sua famiglia.
“con
o senza Megatron la mia fedeltà alla causa decepticons non
può essere messa in
discussione, signore. Sono pronta a prendermi le mie
responsabilità”
Postura
rigida e mento alto, pugni stretti e sguardo fiero di chi ancora aveva
degli
ideali seppur il mondo intero era comunque crollato sulle loro schiene.
Il
signore della DJD decretò che di quella femme poteva ancora
fidarsi.
“molto
bene allora. Vi comunico già che il mio team ha appena
cominciato l’offensiva
contro i mortiliani riattivando quelle difese che prima erano state
disabilitate… nel mentre vi consiglio di chiamare i
soccorsi, noi purtroppo
dobbiamo allontanarci il prima possibile”
“sarà
lei a guidarci, ora?”
La
domanda della seeker arrivò decisamente inaspettata. Tarn
aveva sempre visto
nella disciplina decepticon una via di fuga da una vita che non gli
aveva mai
offerto nulla se non umiliazioni e sofferenza. Una dottrina creata da
un uomo
che veniva dal basso, che parlava a coloro che venivano anche loro dal
basso e
non guardava comunque in generale al ceto sociale o alla casta a cui
appartenevi. Che tu fossi di nobili natali o un uotlier
appena menomato dal senato stesso non aveva importanza.
Quelle
regole lo avevano riportato alla vita, gli avevano dato uno scopo
cambiandogli
completamente il pensiero chiuso e individualista che aveva, credendoci
a tal
punto da aver completamente sposato
il lavoro che Megatron gli aveva affidato secoli addietro. Una pedina
perfetta
a sua insaputa, un discepolo ideale a cui affidare un ultimo incarico
prima di
morire… ma non il capo che tutti si potevano aspettare.
Aveva
un buon rapporto con i suoi uomini certo – a cui aveva
impartito regole precise che prima
del suo arrivo
decisamente mancavano, rendendo la DJD gli esecutori che erano ora
piuttosto
che i razziatori conosciuti prima – ma sapeva di non avere il
carisma e la
leadership che aveva Megatron prima che decidesse di mollare tutto per
la femme
che ora teneva tra le braccia.
La
posta in gioco era molto alta, diviso tra il seguire le regole e
ciò che gli
aveva ordinato il suo defunto signore, ma il timore di vedere perdere
tutto ciò
in cui aveva creduto fino a quel momento lo stava portando ad agire su
binari
insoliti e pericolosi. Doveva elaborare un piano per il futuro a lungo
termine,
altrimenti rischiava che, dal morente esercito decepticons, fosse un
individuo
nella loro lista a prendere le redini di tutto ciò che era
sacro per lui.
“avrete
notizie sul da farsi nelle prossime settimane, Slipstream…
per il momento avete
l’ordine di tenere i ranghi serrati e di punire i disertori.
Posso assicurarvi
che il credo decepticon non morirà con Megatron”
Anche
perché al momento doveva preoccuparsi ad uscire sano e salvo
da quell’ambiente
il prima possibile, quindi tutto il resto poteva venire anche dopo che
aveva
messo una Natah malmessa al sicuro…
Alla
fine ce l’ho fatta a sbloccarmi! Purtroppo però ho
trovato idoneo tagliare
anche questo capitolo. La conclusione di questa rocambolesca fuga si
vedrà nel
prossimo ;)
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Capitolo 5 *** una scintilla chiamata speranza ***
Aveva
la scheda medica della ragazza sotto il naso. L’avevano tutti
ad essere onesti.
Per
ottenerla Kaon aveva smanettato parecchio al computer in contemporanea
con il
suo lavoro di riattivare le difese della struttura e ordinare ai droidi
di
sicurezza – dei transformers senza anima ma
dall’alto potenziale bellico – di
fare piazza pulita di qualunque ostile che avesse un aspetto vagamente
ferale e
putrido, attivando anche le torrette da remoto affinché
coprissero la fuga del
resto della squadra nel caso avessero deciso di lasciare il caveau.
Sparkeater compresi
oltre a fanatici religiosi disgustosi, nel caso ne fossero rimasti
altri oltre
quello buttato giù dai suoi compagni.
Ma
oltre quello aveva finalmente avuto modo di hakerare come si deve il
server
medico, scoprendo più per sfizio proprio il motivo del
perché la giovane si
fosse recata in un luogo così poco raccomandabile. La
sicurezza interna per
mantenere l’anonimato degli ospiti era formidabile, ma nulla
a confronto a
quello che poteva fare lui.
“una
serie di visite prenatali di controllo e una operazione chirurgica per
il
cambio della scatola vocale più qualche altro ritocchino
minore…” Kaon
pronunciò quelle parole con tono serio, nel mentre che
scrollava sullo schermo
i dati riguardanti la femme “sapeva già che le
eravamo addosso e ha pensato di
rendersi irreperibile. La ragazza non è stupida, ha cambiato
persino il suo
nome da Natah a Nova… ma perché non cercare la
protezione di papino?”
“forse
pensava che non sarebbe stato capace di proteggerla da noi oppure il
senatore
non sa che sua figlia ha uno sformato di energon in forno… e
sono propenso a
pensare la seconda”
“non
ti sembra di essere un po’ troppo pessimista, Tess?”
“per
esperienza personale so che di certi genitori proprio non ci si
può fidare.
Sfondati di soldi o meno”
Tralasciando
la conversazione tra Tesarus e Kaon c’era effettivamente
parlando un’ombra
scura in tutta quella faccenda. Per quel che Nickel poteva saperne
– e questo
per bocca di Tarn – il senatore Attilus non le aveva dato
l’impressione che
fosse una così cattiva persona per volere a tutti i costi
che la guerra civile
volgesse al termine. Ma c’era anche da dire che la minicon
era l’ultima
arrivata in quella banda di macellai legalizzati, precisamente da
quando la DJD
non l’aveva salvata dalle macerie liquefatte del suo pianeta
distrutto, quindi
il suo parere poteva effettivamente risultare un po’ ingenuo.
La
vita su Prion – un pianeta/colonia popolato da soli minicon
neutrali – era
sempre trascorsa pacifica all’insegna della
quotidianità fatta di piccole cose
e dalle feste di paese che spesso coinvolgevano l’intera
popolazione di quel
planetoide disperso nello spazio. Quella era la sua vita,
così semplice che
alle volte le sembrava pure noiosa, trovando però un punto
di rottura quando ad
alcuni organici – la Black Block Consortia, associazione
commerciale ostile
alle forme di vita tecnorganiche – non era andata a genio che
quei piccoletti
vivessero a pochi quadranti stellari da loro e dai loro affari
tutt’altro che
limpidi. Sterminandoli in massa con un attacco dal cielo dalle loro
navi
militari.
Il
fuoco bruciò e ridusse a metallo liquido l’intera
colonia compresi i suoi familiari
e i suoi amici, ridotta a scampare a quella tragedia abnorme
nascondendosi come
un ratto preda del terrore più cieco e venendo trovata quasi
per caso dagli
inquisitori decepticon tra quelle rovine fumanti e contorte. Colma di
rabbia e
disperazione, ma viva e cinica quel che basta per affrontare quella
nuova vita
che le si parava davanti, accettò la mano tesa dei suoi
salvatori.
Ma
la DJD non era il senatore Atilius. Non avevano la parvenza benevola di
chi
voleva la pace sopra una guerra combattuta ormai da generazioni
incalcolabili…
ma ciononostante l’avevano salvata e presa a bordo come una
di loro,
ricambiando la loro generosità abbracciato quel credo per
cui Tarn avrebbe dato
persino la vita.
Quindi
si, nonostante la lieve ingenuità che ancora poteva portarsi
dietro Nickel era
ormai abbastanza saggia da sapere che le apparenze ingannano. Pertanto
poteva
essere che oltre quel volto onesto si celasse un padre autoritario che
mal
avrebbe digerito una simile insubordinazione dalla figlia.
“temeva
per la vita del suo piccolo… ma se neppure Tarn era a
conoscenza di questo
dettaglio forse non lo sa nessuno”
Quello
di Nickel era più un pensiero ad alta voce, nel mentre che
guardava gli schemi
olografici con i dati della ragazza, pensando a quanto fosse ora
miserabile la
vita di Natah. Da amante di uno degli uomini più potenti di
cybertron a reietta
braccata da chi non vedeva di buon occhio la sua vita e quello del
futuro erede
di Megatron. Per alcuni poteva essere considerata come
l’artefice della fine di
una guerra generazionale, per altri come la piaga che aveva distrutto i
sogni e
le certezze di un intero popolo. Il piano post mortem di Megatron era
così
delicato e così complesso da rasentare la
genialità più assoluta…
perché se
Tarn fosse stato meno lealista nei suoi confronti, anche da morto,
probabilmente a quest’ora avrebbero avuto due cadaveri per le
mani.
Era
triste come pensiero, e personalmente la minicon avrebbe preferito che
non si
arrivasse a tanto – perché se aveva agito
prontamente nei riguardi del suo
leader, impedendogli di farsi del male, era ugualmente probabile che
non
avrebbe retto ad un infanticidio comportandosi di conseguenza. Per
quanto potesse
passare con indifferenza sul lavoro dei suoi compagni di squadra,
andava detto,
anche lei aveva i suoi limiti morali.
“non
siamo qui per la sua sparkling” fece laconico Tess,
scrollando le spalle con
indifferenza “e comunque… acc-!
Eccoli che arrivano!!”
La
sua presa di posizione nella console delle torrette esterne si fece
immediatamente sentire quando dalle telecamere di sorveglianza non
apparve una
vera e propria mandria urlante che stava attraversando il ponte di
attracco su
cui era parcheggiata la Paceful Tyranny.
Evidentemente
le difese attivate da Kaon stavano portando scompiglio nei ranghi dei
mortiliani e volevano farla pagare a quei nuovi invasori, oppure erano
talmente
pazzi da volersi comunque aggrappare all’unica nave presente
in porto nella
speranza di non finire trucidati dai robot guardiani precedentemente
disattivati. Quale che fosse il reale motivo di quella mandria non
aveva
importanza, Tesarus aveva già iniziato a premere il
grilletto delle
mitragliatrici deciso a fare a pezzi quei bastardi nel senso letterale
del
termine.
Il
breve tempo per le chiacchiere era ormai finito.
[…]
Gli
ululati degli invasori arrivavano fin dentro la spessa porta del caveau
come un
suono ovattato partorito da profondità marine innominabili.
Alcuni colpi di
pugni parvero palesarsi ai recettori uditivi di Tarn, ma potevano anche
trattarsi di colpi di cannone sparati dai droni di sicurezza e quelle
grida
erano il risultato di una pulizia senza precedenti
all’interno della struttura.
Per
il leader della DJD e i suoi compagni comunque, era chiaro che il tempo
da
trascorrere dentro quell’ospedale improvvisato era ormai
arrivato alla fine. La
comunicazione con Kaon non aveva lasciato dubbi a riguardo, e se non
volevano
che pure la loro nave finisse in mano a quei lunatici dei mortiliani
era il
caso di darsi una mossa.
“siete
sicuro di non voler aspettare che i robot di sicurezza facciano piazza
pulita?
Sarebbe più sicuro per voi e la vostra compagna”
I
dubbi di Slipstream erano in fin dei conti legittimi, la donna tra le
braccia
del lord inquisitore era in stato di semi incoscienza mentre per quello
più
grosso del gruppo erano state fatte delle riparazioni lampo, ma Tarn
fino a
quel momento non aveva smesso di fissare quella spessa porta blindata
su cui ci
si era accanito neanche mezz’ora prima.
“purtroppo
non possiamo trattenerci a lungo. Preferisco che la mia compagna sia
seguita
dallo staff medico della mia nave, ed oltre a ciò i problemi
sono ampi al di
sotto della punta dell’iceberg…”
Come
a dire che l’inquisitore aveva ben altre grane a cui pensare
che attendere
ancora e rischiare di vedere la propria donna morirgli tra le braccia
nello
stesso modo in cui rischiava di fare l’intero esercito
decepticons. Questo la
seeker poteva ben capirlo, tanto da annuirgli comprensiva seppur con un
velo di
preoccupazione non indifferente.
Slipstream
aveva notato qualcosa di simile ad una spilla autobot sul petto della
femme
malata – semi nascosto da una etichetta ormai lacerata dagli
eventi violenti –
e di questo parve accorgersene lo stesso Tarn notando quello sguardo
fugace e
repentino, volgendo anche lui una rapida occhiata al corpo della donna
inerme.
“vi
chiedo discrezione, comandante dei
cieli. Gradirei inoltre che non si parlasse troppo di questo
episodio”
“sono…
faccende personali. Posso capirlo, signore” fece
repentinamente lei, alzando
lievemente le braccia “non siete il primo decepticon ad
avere… una compagna
autobot. Questi sono interessi che non mi competono”
Non
era preoccupata della perdita di fedeltà da parte del leader
della DJD – anche
se persino Megatron sembrava essere immune al tradimento, cosa che poi
non si è
rivelato come tale, ma Tarn non le appariva così vecchio da
avere simili
episodi di demenza – ma era a conoscenza che tra ufficiali
decepticon e tra i
guerrieri più forti ci fosse l’abitudine di
tenersi dei prigionieri di guerra
come animali domestici. In particolar modo le femme, ridotte in
schiavitù e
costrette a sopportare ogni capriccio del loro nuovo signore, e forse
era ciò
che era successo a quella bella ragazza tra le braccia del mech
mascherato.
Una
pratica che non le piaceva affatto, era pur sempre di donne che si
parlava, ma
era una guerra quella che stavano vivendo sulla loro
armatura… e gli uomini che
la combattevano volevano rivendicare il loro premio
dopo aver rischiato la vita in battaglia.
“Helex,
te la senti di proseguire?”
Voltando
completamente lo sguardo verso la disordinata sala piena di pazienti
Tarn dette
una occhiata al proprio demolitore intento a saggiare le riparazioni
provvisorie che gli erano state fatte. Il gigante mosse le braccia
massaggiandosi le spalle, ed anche se il suo sguardo tradiva un certo
scetticismo volle comunque accontentare il proprio leader.
“le
riparazioni sono meglio di niente, ma posso ancora spaccare crani!
Dimmi solo
quando”
Tarn
annuì nei confronti del proprio sottoposto ben vedendo che
almeno l’umore non
era così basso dopo l’umiliante batosta subita
– almeno per lui, ma in fin dei
conti gli spazi stretti erano un ambiente di combattimento che non si
addicevano per quelli che, come il demolitore decepticon, avevano
bisogno di
spazio di manovra.
Per
la fuga da quel posto si erano già accordati poco prima, ed
approfittare
comunque del disordine provocato dalle forze di sicurezza poteva
sicuramente
risultare un azzardo se non si era ben preparati. Perché un
animale feroce era
pericoloso, ma un animale feroce per giunta ferito – come lo
erano ora i
seguaci di Mortilus – poteva essere anche peggio in fatto di
imprevedibilità.
Quando
i rumori inquietanti cessarono al di là del caveau,
lasciando solo un ancor più
sinistro silenzio, Slipstream aprì la grande porta di
metallo sotto la
supervisione di alcuni suoi soldati pronti a sparare in caso di
pericolo. Il
primo che sgusciò via rapido nel corridoio fu il longilineo
Vos, che tosto
puntò il proprio fucile in ogni direzione possibile per
garantire la situazione
esterna, prima di dare segnale al resto della compagnia che il
corridoio
principale era libero.
E
nel mentre che l’ufficiale scientifico avanzava quatto e
guardingo lungo il
corridoio – mandando avanti la canna del fucile negli angoli
ora non più in
ombra aspettandosi agguati di ogni genere – il colosso ferito
lo seguì
lentamente lasciando comunque una certa distanza di sicurezza che
permettesse a
entrambi la fuga. In caso di pericolo Vos avrebbe fatto da esca,
così da
permettere una fuga sicura per Helex e Tarn se mai le cose fossero
nuovamente
precipitate non permettendo ai suoi due alleati più
“fragili” di andarsene da
lì, lasciando che i mortiliani lo seguissero così
come l’ignaro pesce segue la
lanterna di una rana pescatrice.
Ma
da come era ridotto il corridoio principale, e qui fin da subito i due
esecutori se ne accorsero subito non riuscendo a nascondere una smorfia
in
volto, il grosso del lavoro dovevano averlo fatto le unità
di sicurezza della
stazione medica.
Fu
solo quando i suoi due colleghi si allontanarono dalla luce barcollante
dei
neon che Tarn – con il suo gravoso fardello tra le braccia
– si decise ad
uscire con fare guardingo in un grande corridoio rivestito da segni di
bruciature laser e rottami di aggressori ormai offline.
“Vi
auguro buona fortuna, lord inquisitore” disse per
l’ultima volta Slipstream,
prima di tornare a chiudere il pesante portone circolare
“spero di avere presto
vostre notizie!”
Li
per lì il signore della DJD si limitò ad annuirle
un’ultima volta prima di
alzare i tacchi ed andarsene, appuntandosi mentalmente quelle parole
per il
futuro a venire. Avrebbe dovuto eccome contattarla il prima possibile
una volta
rientrati nella Paceful Tyranny, e non solo lei, per fare il punto
della
situazione e procurarsi così una lista di candidati
possibili a coprire il
ruolo di leader. Lui non ne aveva la stoffa su questo – e in
fin dei conti
neppure si vergognava di ammetterlo a se stesso – ma ora che
aveva la compagna
dell’ormai defunto lord Megatron tra le braccia
c’erano troppe carte in tavola
per poter ignorare un compito così gravoso. Forse
c’era ancora speranza di non vedersi il mondo crollare
addosso, dopotutto…
“Vos,
come procede?”
“le
scale si sono dimostrate libere
fino al primo piano, poi una mandria di gente in fuga mi ha costretto a
virare
per un giro panoramico. Mi sono alle calcagna con una veemenza
inaudita, ma
perlomeno Helex ha ora via libera”
Interruppe
quella cupa linea di pensieri nefasti quando si decise di contattare il
proprio
ufficiale scientifico via comm-link e, senza battere ciglio,
constatò che il
piano che avevano ideato stava funzionando discretamente. Magari Helex
non era
propriamente contento di tornare alla nave con la coda fra le gambe
senza prima
aver masticato qualche testa con le proprie poderose mani –
perché mai avrebbe
svitato quei crani lerci a morsi – ma attualmente era
più affidabile l’agilità
di Vos che ben sapeva quello che stava facendo. Mentre dal canto suo
Tarn
avrebbe preso uno dei due ascensori presenti vicino
all’entrata degli
ambulatori del day hospital.
Lui,
ancor meno dei suoi alleati, era decisamente impossibilitato a mettersi
a
correre per le corsie con il rischio di mettere in pericolo il proprio
carico –
senza contare che i danni lasciati dai droni guardiani erano piuttosto
ingenti,
tra fori nei muri e cadaveri affumicati lungo tutto il pavimento
– per cui
l’utilizzo degli elevatori tornati nuovamente in funzione gli
avrebbe
consentito una via di fuga più veloce verso la nave che
ancora attendeva al
porto.
“Mh…
dove… sono?”
“Shh…
va tutto bene. Sei al sicuro, adesso”
Le
sussurrò quasi distrattamente quelle parole, pur non usando
il proprio potere
per calmarla, non appena segni di lucidità tornarono a farsi
sentire nella
febbricitante Natah. Sapeva che non era neppure in grado di ribellarsi
fisicamente, non con quella gamba messa davvero male, ma nel mentre che
ordinava alla tastiera di comando dell’ascensore di portarlo
al piano terra
volle ribadire quel concetto ad una ragazza dalla espressione stranita.
“non
siamo venuti qui per terminarti, era volontà di Megatron
metterti al sicuro
per… hm?!”
Dovette
fermarsi con le proprie delucidazioni – ad una ben sorpresa
fanciulla che
sgranò gli occhi con più lucidità
sentendo il nome del proprio defunto compagno
– quando da sopra la sua testa non giunse un suono piuttosto
preoccupante. Nel
mentre che l’ascensore stava placidamente scendendo verso il
pian terreno non
aveva avuto impressioni negative sulle condizioni della cabina, rimasta
intatta
dalle violenze dei mortiliani, ma ciò che lo rese sospettoso
furono degli
strani stridii sopra la sua testa.
In
principio gli parve come di sentire una porta metallica aprirsi con
forza,
giusto un piano sopra la sua testa come se qualcuno avesse divelto con
poca
grazia la porta che dava alla tromba dell’ascensore, per poi
sentire un tonfo sordo sopra di lui
– così potente
da far traballare le luci al neon della cabina e allarmando persino la
povera
Natah nonostante la sua condizione fisica precaria – che lo
portò a piegare
momentaneamente le ginocchia in una risposta istintiva.
“Cosa
succed-Naahrgg!!”
Non
ebbe il tempo di dire altro. Non fu in grado di alzare il proprio
cannone per
potersi difendere da un attacco repentino e vigliacco.
Quello
che prima era un rumore secco e violento – come di qualcosa
di pesante che
cadeva sul soffitto in metallo della cabina dell’elevatore
– si trasformò in
una mano artigliata che andò a squarciare lo spesso metallo
del soffitto come
se fosse stato fatto di carta velina.
L’attacco
fu così veloce da cogliere impreparato lo stesso esecutore
dalle mani
impegnate, portandolo a non riuscire a reagire prontamente quando
quelle dita
uncinate lo colpirono di striscio alla testa – portandogli
via in principio l’iconica
maschera con uno strappo violento – e completando la loro
corsa manesca contro
la sua spalla destra.
L’urlo
che gli uscì dalla gola fu carico di rabbia e dolore per un
attacco che andò
fino in fondo alla sua armatura – che quasi sfiorò
la testa della femme che
teneva tra le braccia portandola a sua volta a strillare terrorizzata
–
scavando come un coltello in un barattolo di marmellata oltre le
giunture
metalliche spezzandogliele di netto e quasi troncandogli il braccio
destro.
Quello a cui aveva fissato i suoi doppi cannoni a fusione.
La
presa su Natah venne a mancargli, cadendo a terra in ginocchio e
stringendo i
denti dal dolore mentre la ragazza andava a sbattere contro il
pavimento ora
sporco di energon caldo. E proprio parlando di lei il dolore che
provava alla
gamba, in aggiunta ad una febbre molto alta, passarono in secondo piano
quando
i suoi sensori ottici azzurri videro l’orrore che si stava
consumando.
Incrociando senza volerlo gli stessi occhi sgranati
dell’inquisitore.
In
quel momento, nonostante la vista gli si annebbiò per un
momento, Tarn capì che
il suo povero braccio era ancora collegato al suo busto tramite dei
tendini e
dei cavi sensoriali – che gli permettevano solo di muovere un
po’ le dita ma
non di sollevare un braccio percorso da scintille di circuiti spezzati
– e cosa
ben peggiore non volle credere ai suoi stessi occhi quando
realizzò chi li
aveva appena aggrediti.
Il
volto ora nudo dell’inquisitore poteva dare ben mostra delle
emozioni che gli
stavano attraversando la scintilla, per suo sommo malgrado, ma nulla
era in
confronto al volto grottesco che li stava osservando da oltre lo
squarcio nel
metallo sopra le loro teste.
“Io
non… non posso CREDERCI!!”
Per
somma frustrazione di Tarn a quanto pare lo sparkeater
era sopravvissuto all’attacco congiunto della DJD e,
purtroppo per lui, non si
trattava di un brutto scherzo dettato dal troppo nucleon che magari si
era
iniettato prima della missione.
Poteva
solo immaginarlo com’era andata a finire con il precedente
scontro, dato il
modo in cui agitava l’unico braccio buono e le fruste
uncinate – quelle
restanti – stavano cercando di farsi largo nello squarcio
appena aperto, poteva
solo aver usato quegli stessi strumenti di morte per risalire
dall’abisso in
cui era stato scagliato.
Intuì
che quel bastardo dall’espressione assente era comunque
capace di sentimenti di
vendetta per essersi messo sulle loro tracce fiutando il loro odore e
calarsi
fin nella tromba dell’ascensore pur di dare la caccia a dalle
prede mancate. Le
sue urla strazianti e grottesche non si sarebbero fermate fino a che
non fosse
finalmente riuscito ad addentare le loro scintille per colmare una
solitudine
infinita e incolmabile, ed anche dopo una loro probabile morte non si
sarebbe
mai fermato. Una blasfemia vivente che Tarn cercava di tenere a freno
con
l’unico braccio ancora buono, bloccando la fiera
all’altezza dello sterno ben
consapevole che rischiava di perdere anche quello se non avesse
formulato una
strategia vincente in fretta.
Ciò
che non si aspettò invece era l’improvvisa
collaborazione di un soggetto che
avrebbe dovuto difendere a costo della propria vita. Natah, pur
sconvolta da
ciò che stava accadendo, fu comunque abbastanza lucida da
capire cosa andava
fatto se volevano avere una possibilità di uscita da
lì.
La
porta dell’ascensore stentava ancora ad aprirsi, forse a
causa dell’eccesivo
peso raggiunto con quell’orrenda creatura sopra di loro, ma
l’unica cosa certa
era che doveva salvarsi – lei e il suo piccolo –
attraverso l’aiuto di un
soldato che la implorava con lo sguardo di alzare il braccio ferito
verso lo
sparkeater.
A
fatica, sentendo le lacrime scenderle dal dolore nel sentire la gamba
destra
andarle praticamente in fiamme nonostante fosse anche lei inginocchiata
a terra
come il soldato decepticon, prese con ambo le braccia il possente
braccio
ferito del mech e lo indirizzò verso un bersaglio che non
andava assolutamente
mancato. Sebbene Tarn riuscisse a stento a muovere le dita il sistema
di fuoco
era ancora attivo nei suoi cannoni a fusione, e sperò che
l’unico colpo rimastogli
non mancasse quel bersaglio che rischiava di amputargli anche
l’unico arto
superiore sano rimasto da un momento all’altro.
“alzalo
di più… bene! Tienilo fermo e… reggiti!”
Quel
giorno nessuna vendetta si sarebbe consumata. Nessuna follia avrebbe
visto
altra luce da due orbite che ormai avevano perso entrambi i sensori
ottici.
Se
mai lo sparkeater avesse avuto un pensiero lucido quel giorno avrebbe
sicuramente riguardato una luce potente come quella di un sole e
altrettanto
bollente investirlo
e sciogliergli
completamente la faccia con un’unica, sola, carica di fucile
a fusione. Un
grido strozzato e metallico gli fuoriuscì dalla scatola
vocale danneggiata nel
mentre che quella doppia fiammata radioattiva sciolse i suoi tratti
facciali e
l’endoscheletro interno rendendolo metallo fuso, liquido
proprio come il
mercurio, con una potenza tale che il rinculo letteralmente fece
sbalzare via
la povera femme che con un grido andò a picchiare la testa
contro il pannello
di controllo dell’ascensore. Aprendo così una
porta che fino a quel momento non
ne voleva sentire di aprirsi.
Natah
perse i sensi sul colpo, accasciandosi al suolo a peso morto come una
bambola
inanimata, mentre Tarn – sopprimendo imprecazioni colorite e
folli – si prese
un momento di pausa per riacquistare una lucidità che a
breve se ne sarebbe
andata così come la definitiva morte del mostro che li aveva
perseguitati fino
a quel momento.
“Nhh…
non finirà così. Non lo
permetterò”
Cercando
a tastoni la propria maschera in quel pavimento ora recante i segni di
una
lotta disperata – e i pezzi di una belva ormai priva di vita
che dondolava
mollemente dal soffitto – il soldato decepticon
riuscì finalmente ad indossare
nuovamente il proprio orgoglio, sebbene sporca di liquidi innominabili,
ed
infine a raccattare da terra una fanciulla inerme.
Se
la issò sulla spalla buona come se fosse stato un tappeto
arrotolato, non
curandosi al momento delle sue reali condizioni fisiche,
perché gli era ben
chiaro che finalmente erano giunti al piano terra visto
l’assembramento di
mortiliani che correvano verso l’unica fonte di possibile
salvezza per loro.
Ignorando quei due disperati appena usciti traballanti e sporchi da un
ascensore inutilizzabile.
I
folli adepti di una religione lugubre si stavano accalcando verso
l’uscita
della grande hall di ingresso – le cui porta scorrevoli in
vetro erano ormai in
frantumi – in direzione di un incrociatore poco disposto a
dar loro diritto di
asilo.
Già
da dove si trovava Tarn poteva sentire le mitragliatrici della Paceful
Tyranny
spezzare il silenzio del vuoto siderale con raffiche mirate a falciare
l’avanzata di quei folli, e se anche lui non voleva perdere
il “treno” era il
caso che si mettesse in marcia. Braccio a parte le gambe gli
funzionavano
ancora.
“Kaon…
Kaon! Mi senti?! Aprite il
portellone
di carico della nave! Dì a Nickel di predisporre subito
l’infermeria, abbiamo
una emergenza qui!”
“affermativo!
Helex è arrivato poco fa ma di Vos…”
“non
preoccuparti di lui! Muoviti! Ora!!”
Avrebbe
voluto ben aggiungere che il suo ufficiale scientifico sapeva bene cosa
fare,
ma ora doveva letteralmente fare lo slalom tra dei fanatici religiosi
che ogni
due per tre cercavano di aggredirlo. E a cui lui rispondeva con
poderosi calci
ogni qual volta cercavano di rallentare la sua corsa, nonostante questo
lo stesse
portando a perdere sempre più energon dalle brutte ferite
esposte. L’unica nota
positiva era che, chiunque dei suoi uomini stesse manovrando le
torrette, gli
stava facendo un enorme favore con il fuoco di copertura.
[…]
Neppure
dieci minuti prima del disperato appello del leader della DJD
l’infermeria
dell’incrociatore decepticon era già occupata da
un demolitore tanto massiccio
quanto malandato.
Helex
era riuscito a raggiungere la nave prima che l’effettiva
calca di mortiliani si
facesse sentire nella hall di ingresso alla struttura e, nonostante le
ferite
in parte riparate all’interno dell’ospedale,
c’era ancora parecchio lavoro da
fare per la piccola dottoressa di squadra.
“ancora
trovo incredibile che quei pazzi abbiano introdotto uno sparkeater
nella
struttura…” borbottò la minicon, usando
la propria saldatrice per sistemare le
giunture parzialmente saldate di Helex “ma quello che mi
preoccupa è che Tarn e
Vos che sono ancora lì dentro con-nonna!
Smettila di imboccare il mio paziente! Sono nel pieno di una
riparazione!”
Come
se la situazione non fosse già assurda di suo
l’anziana ciclope aveva seguito
Nickel fino in infermeria con un vassoio pieno di fumanti
“muffin” azzurri e
insolitamente luminosi, ed ora era intenta a metterne diversi in bocca
ad un
Helex tutt’altro che recalcitrante a quella generosa offerta.
“Ho
biFogno di nutrimento!”
fece lui, con
la bocca piena “tutto quel movimento mi ha messo una fame
enorme… urgh! Che
succede ora?!”
A
destare tutti all’interno dell’ambulatorio furono
delle sirene di allarme che
iniziarono a propagarsi pesantemente per tutto
l’incrociatore, e ciò poteva
accadere solo quando i sensori interni riconoscevano
l’ingresso di personale
non autorizzato a bordo della Paceful Tyranny. I casi quindi erano due:
o il
sistema non aveva riconosciuto Natah, cosa plausibile se Tarn era
rientrato a
bordo; oppure alcuni di quei viscidi tossici aveva fatto in qualche
modo
breccia nello scafo in cerca di probabili rogne.
E
proprio nel momento in cui il trio stava cercando di formulare
l’ipotesi più
plausibile un Kaon selvatico si
palesò correndo lungo tutto il corridoio presente al di
fuori delle finestre
dell’infermeria, con un impeto tale che a breve sarebbe
scomparso dai loro
sensori ottici.
“Kaon!
Che succede ora?!”
La
piccola dottoressa dovette alzare la voce in modo preoccupato per farsi
sentire
dal tecnico privo di sensori ottici, ma per sua fortuna questi aveva i
recettori
uditivi ben funzionati.
“si
tratta di Tarn! È a bordo! Io vado ad acchiappare
Vos!”
Dette
quelle parole frettolose, quasi inciampando nell’atto di dare
retta a Nickel,
sparì oltre l’angolo decretando che forse era
arrivato il momento di fare
spazio in infermeria.
[…]
“a
questo giro neanche una pugnetta prima di dormire mi
rilasserà… proprio no!”
La
frase che gli uscì a denti stretti nel mentre che continuava
a correre in un
corridoio illuminato dalle luci intermittenti di allarme era nata
più per
smaltire lo stress in corso che per effettiva realtà, in
quanto era risaputo
che, sotto stress, era solito parlare senza freni di cose anche
scabrose. Per quanto,
comunque, non si allontanasse molto da ciò che accadeva
realmente nelle sue
stanze private.
Se
Tess al momento era impegnato a manovrare le torrette garantendo a
fatica
copertura al loro leader, e continuando a martoriare i mortiliani che
cercavano
di assaltare la nave lanciandosi dalla struttura medica con balzi nel
vuoto
siderale, ora che la nave stava iniziando a sollevarsi da terra grazie
al
pilota automatico c’era dell’altro lavoro da fare.
E purtroppo lui era l’unico
che poteva schiodarsi dai propri pannelli per adempiere al dovere che
chiamava.
Kaon
non era capace di comprendere l’arcaico linguaggio di Vos
– l’unico capace di
farlo era Tarn – ma quantomeno lo scienziato decepticon fu
abbastanza accorto
di attivare su se stesso un localizzatore che ne segnalasse la presenza
in
movimento, con la speranza che qualcuno nella sala di controllo si
accorgesse
di lui. E attualmente l’allampanato soldato si stava avviando
verso quella che
era una lunga gru di carico che dava verso il vuoto siderale.
“Andiamo…
forza! Apriti!!”
Dopo
essersi arrampicato su per la scaletta di servizio che dava
all’esterno
dell’incrociatore, e usata principalmente per la manutenzione
delle antenne
radio, si dannò per aprire il portellone circolare sopra di
lui. Faticando nel
far girare la manopola di sicurezza, decisamente poco oliata.
“Ah…
ahahah! Ce l’ho fatta!”
Con
una risata idiota il tecnico della DJD riuscì ad aprire un
portellone che
necessitava di una bella manutenzione, avvertendo il gelo del cosmo
senza
stelle investirlo una volta che uscì fuori dalla botola per
metà del corpo. La
sua prontezza di spirito comunque venne ripagata, vedendo
l’ufficiale
scientifico correre per tutta la gru di carico inseguito da una folla
inferocita di pazzi bastardi.
“mi
raccomando…” sussurrò Kaon tra se e
sè, allargando le braccia “cerca di non
mancare il bersaglio, perché non avrai una seconda
possibilità”
Si
riferiva al fatto che, prima di correre forsennatamente verso la
coperta della
nave, aveva attivato il pilota automatico senza possibilità
di rallentamenti di
alcun tipo. Ed ora che la nave si era staccata dal ponte di attracco
stava
eseguendo la sua lenta manovra che l’avrebbe portata poi a
effettuare un salto
nell’iperspazio.
Vos
si era attardato il più possibile per permettere ai suoi
alleati di fuggire da
lì, e se avesse saputo dello sparkeater superstite
probabilmente avrebbe
adottato una strategia differente, e dopo aver corso per il dedalo di
vie fino
a giungere al quinto piano della struttura aveva accumulato dietro di
se una
mandria non indifferente di soggetti guidati unicamente
dall’istinto di
sopravvivenza.
Egli
stesso dovette constatare che il suo piano di fuga non sarebbe durato a
lungo. Le
munizioni stavano iniziando a scarseggiare nel suo fucile e la stamina
in corpo
cominciava a calare, dunque ecco che aveva optato per la via
del… suicidio.
Quello
dei mortiliani, non certo il suo. Sfondando a fucilate un finestrone
del quinto
piano e lanciandosi sulla gru precedentemente vista già
dalle finestre del
piano inferiore, gli fu facile incanalare quella mandria inferocita in
una
strada verso la morte.
La
sua strategia non fermò i folli urlanti dal seguirlo anche
all’esterno, sebbene
alcuni di loro caddero di sotto nel tentativo di raggiungerlo,
sollevato
comunque di intravedere la Paceful Tyranny… un po’
troppo lontana dall’essere
raggiunta da un balzo.
“A
mali estremi…”
Disse
quelle poche, arcaiche, parole con un sospiro rassegnato. Ben sapendo
che l’unico
modo per sfuggire all’orda selvaggia che lo stava
raggiungendo era quello di
sfruttare il proprio fucile come asta da lancio. E non in senso
propriamente
letterale.
Se
oltre la maschera Vos avesse avuto un volto probabilmente la sua
espressione
facciale sarebbe stata così tirata da spezzare persino le
fibre facciali, perché
ciò che stava per fare rischiava di spedirlo nel vuoto
siderale se il colpo del
suo fucile non fosse stato adeguatamente caricato.
Quando
la carica del fucile da combattimento raggiunse quasi il suo limite, in
un
ipotetico 86% se la sua arma avesse avuto un dispaly digitale, smise di
correre
verso la fine della piattaforma e si voltò verso i suoi
inseguitori senza
anima. Non necessitò di prendere la mira in modo adeguato, i
mortiliani erano a
neanche a tre metri da lui, gli bastò semplicemente sparare
ai piedi di quei
drogati per darsi una spinta con il rinculo di notevole portata.
Portando i
suoi aggressori a urlare esterrefatti o doloranti nel caso si fossero
trovati
in prima fila e si fossero ritrovati gambizzati da quella cannonata non
indifferente.
Il
colpo produsse un boato incredibile che, però, si
attutì nel vuoto cosmico come
se fosse stato sparato nelle profondità marine di un oceano
alieno. E nonostante
la poca teatralità del suono la fiammata che produsse fu
così accecante e
potente da far sbalzare in aria l’esile corpo dello
scienziato decepticon.
Vos
finì letteralmente a gambe all’aria, sopprimendo
un grugnito di dolore a causa
dell’eccessivo rinculo, ma dopo una decina di metri
finì esattamente dove si
era prefissato di arrivare. Mai come in quel giorno fu così
felice di rotolare
dolorosamente lungo tutta la prua dell’incrociatore della DJD
sbattendo più
volte il fondo schiena e la nuca, e mai fu più felice di
sentire le braccia di
Kaon acchiapparlo per la vita – seppur in modo goffo e
scoordinato, arrivando a
passargli un braccio sotto il cavallo – non appena il collega
fu in linea di
tiro.
“come
si dice in questi casi? Preso al volo? Eheheh!”
Lo
scienziato decise di non rispondere a quella battuta penosa del cieco
tecnico,
limitandosi a passarsi una mano sulla fronte in segno di frustrazione
seppur
grato che finalmente tutta quella fastidiosa faccenda fosse giunta al
capolinea.
[…]
Il
suono della sirena d’allarme continuava a martellare nei suoi
recettori uditivi
divenuti ormai iper sensibili a qualsiasi suono o rumore molesto,
rendendo
sempre più difficile per lui concentrarsi nel percorrere una
strada ormai nota.
La perdita di energon era stata ingente dalla ferita che quel mostro
malefico
gli aveva procurato, causandogli per questo anche difficoltà
visive dove tutto
si riduceva a sfumature di luce sfocate e contorni non ben definiti di
angoli e
pareti. Ove le luci di sicurezza ambrate lampeggiavano rischiarando
quelle porzioni
di corridoio immerse nell’oscurità, contorcendosi
in modo innaturale come le ombre
maligne quali non erano.
“State
zitte… maledizione!”
Eppure
la presa sulla ragazza ancora inerme non l’aveva persa,
nonostante continuasse
ad avanzare a denti stretti verso quella che era l’infermeria
della sua nave,
deciso a portarla in salvo anche a costo di vedersi il braccio cadergli
per
strada. Ignorando un dolore che lo stava facendo patire in silenzio,
quasi
sudando freddo se fosse stato un organico, arrivando finalmente alla
tanto
agognata meta.
Trascinando
gli stanchi piedi, lasciando alle spalle impronte sporche dei propri
fluidi
corporei, entrò di prepotenza nell’ambulatorio con
le ultime forze rimastegli cadendo
in ginocchio di peso.
“Tarn!!
Per Prion, che cosa ti è successo?! Tarn…!!”
La
voce disperata di Nickel raggiunse l’inquisitore capo in modo
ovattato, come se
anch’ella non fosse stata altro che una sua allucinazione
mentale dettata da
una febbre che lo stava assalendo sempre di più. La minicon
non era sola nella
propria infermeria, gli parve di notare altre due sagome scure
avvicinarsi in
modo preoccupato e lesto verso la sua figura sconfitta, ma
ciò non aveva
importanza.
Non
poteva mollare adesso. Non ora.
E
con un ultimo slancio di energia, prima di vedere le tenebre,
posò a terra
Natah premurandosi che fosse a lei che le prime attenzioni mediche
fossero date
il prima possibile.
“Urgh…
n-non io! Guarda la ragazza! Guarda prima…
lei…”
Poi
il buio lo portò a sbilanciarsi del tutto, andando a
sbattere di schiena contro
un carrello chirurgico che cadde assieme a lui, rovesciando tutti gli
strumenti
metallici che rotolando sul freddo pavimento metallico con un dolce e
sottile
tintinnio.
[…]
Non
seppe dire per quanto tempo rimase in stasi. Forse minuti, forse
ore… ma ciò
che caratterizzò quel sonno senza sogni fu di una insolita
quiete che da giorni
ormai, se non addirittura settimane, non riusciva più a
provare da quando
Megatron aveva decretato la fine della guerra sciogliendo
l’esercito
decepticon.
Un
senso di pace che attraversava tutto il suo corpo e nutriva il suo
processore
interno irradiato, molto probabilmente, di antidolorifici e altre
sostanze che
lo tenessero buono.
Fu
solo quando i suoi sensori ottici si aprirono lentamente –
venendo colpiti
dalle luci delle lampade del tavolo chirurgico – che
capì dove effettivamente
si trovava. Nickel non doveva aver dato retta al suo comando delirante
di
occuparsi per prima cosa del loro soggetto di recupero, ma aveva ben
pensato di
mettere in sesto il suo comandante per non vederlo andare
all’altro mondo a
causa di una brutta ferita ottenuta chissà come.
“Mmr…
Nickel?”
“Ah,
finalmente ti sei ripreso! Mi hai fatto disperare lo sai? Come ti senti
ora?”
Seppur
la sua voce era ridotta ad un sussurro sottile a quanto pare la piccola
dottoressa era a tiro di orecchio per averlo sentito chiamarla con tono
incerto.
E
difatti, una volta che Tarn riuscì a voltare la testa verso
la propria spalla
destra – notando che ora era finalmente ben attaccata al suo
busto, ritornando
a sentire perfettamente quelle dita in principio addormentate
– incrociò lo
sguardo stanco di una donnina appollaiata su uno sgabello
più alto di lei.
“il
braccio va… bene, credo. Lo sento poco”
“è
perché sei ancora sotto gli effetti dei sedativi. Ho dovuto
dare a te la
priorità sul resto perché…”
“la
ragazza come sta?”
Dritto
al punto e incurante delle proprie condizioni fisiche. Se non fosse che
era
ridotto ad uno straccio lo avrebbe preso violentemente a schiaffi per
averla
fatta preoccupare così terribilmente in quelle ore.
“lei
sta bene… a parte una commozione cerebrale e una infezione
in corso. Cose queste
di cui comunque mi sono già occupata, quindi ci
vorrà il suo tempo per
riprendersi” con un braccio indicò la presenza
della giovane in una stanza
adiacente a quella dove loro due si trovavano, portando Tarn a issarsi
a sedere
per vedere meglio, separata da loro solo da una parete di vetro e con
un’unica
fonte di luce diretta verso di lei ad illuminare una stanza immersa
nelle
tenebre “il morso alla gamba è già
stato riparato, tuttavia per i primi tempi
zoppicherà un poco e avrà bisogni di un
po’ di riabilitazione… ma è un miracolo
che siate riusciti ad uscire tutti vivi da lì”
“E
la sua sprakling? Che mi dici?”
Lo
sguardo rossastro di Tarn non riusciva a distogliersi dalla figura
inerme della
bella caminoana immersa ella stessa in un sonno senza sogni, notando
comunque
la presenza dell’anziana nonna di Shockwave accanto a lei
– semi sommersa delle
ombre – impegnata ad accarezzarle la testa in un gesto di
conforto che non
poteva percepire. Probabilmente la vecchia cariatide decepticon aveva
dato il
suo contributo nell’aiutare Nickel, per quel che poteva fare
data l’età
avanzata.
“il
piccolo sta bene, e prima che tu me lo chieda si… ho fatto
una scansione medica
anche su di lui”
C’era
stanchezza nella voce di Nickel, forse anche un velo di preoccupazione
per
quello che poteva essere il futuro di due vite legate a doppio taglio
da una
figura così potente e maledetta come quella di Megatron.
Aveva sperato per la
giovane femme che le sue analisi sui codici binari di quella piccola
scintilla
fossero scorrette, che non fosse realmente imparentato con
l’ex leader dei
decepticon, ma la speranza fu da subito vana. Ed incalzata dallo
sguardo ancora
allucinato di Tarn, forse dovuto per la presenza in corpo di svariate
sostanze
chimiche, dette il suo responso lapidario nel modo più
professionale possibile.
“ebbene
si… quella femme porta in grembo il figlio di Megatron. Le
analisi sul suo
codice binario non lasciano dubbi che quel piccolo mech un giorno
assomiglierà
abbastanza al suo defunto padre”
Nella
stanca mente di Tarn si affacciarono così tanti possibili
scenari futuri che a
stento riusciva a contenerli tutti senza svenire di colpo. Quello forse
non era
il momento adatto per formulare strategie future che lo portassero a
pianificare un futuro meno incerto per la dottrina che tanto amava
– non con
lui che rischiava di crollare in un mondo senza sogni ancora una volta
– ma la
scintilla della speranza per il leader inquisitore giaceva, e cresceva,
nel
corpo di una donna dal futuro incerto.
Proprio
come aveva fatto capire a Slipstream ore prima, aveva da studiare al
meglio le
proprie carte in tavola prima di fare la sua mossa.
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Capitolo 6 *** di poche parole ***
Quella
notte la ricarica di Tarn fu scossa da incubi infiniti e striscianti.
Oscillanti tra il grottesco e il tremendamente vero.
Nei
suoi sogni il leader della DJD si trovava ancora a varcare la soglia di
quell’ospedale maledetto, a scappare dai balordi che lo
avevano insidiato e non
per ultimo la trappola mortale all’interno di quel dannato
ascensore. Sentì nel
sonno il dolore lancinante che quella belva senz’anima gli
aveva provocato al
braccio destro, forse dovuto al post operazione per riattaccarglielo,
vedendo
ancora il suo sguardo allucinato moltiplicarsi in tanti segmenti da
riempire
tutta la cabina putrescente.
Facce
senza occhi dilaniate dai suoi colpi di cannone a fusione; viscere come
tentacoli uncinati che cercavano di coglierlo alla gola per strappargli
via la
scintilla dal petto; un caos strisciante e mortifero che gli percorse
tutti i
circuiti cerebrali non dandogli praticamente tregua neppure quando si
svegliò
di soprassalto.
Il
suo sguardo di fuoco si stagliò nel buio opprimente della
camera privata che
usava solitamente per dormire come gli occhi di un demone inferocito,
sentendo
l’intero corpo percorso ancora da tremori istintivi per
quello che il suo
processore neurale gli aveva fatto vedere durante quei sogni nefasti e
tutt’altro
che reali.
La
sua missione nella stazione medica Relay non era stata una passeggiata,
sia a
livello fisico che psicologico. E questo ultimo dettaglio era per lui
qualcosa
di oltremodo frustrante… perché significava che
una parte del suo “io” attuale
era ancora irrimediabilmente legata al passato.
Come
Damus aveva speso buona parte della propria giovinezza a vivere nella
paura di
essere scoperto come un outlier sconosciuto al consiglio del senato
– il cui
potere all’epoca poteva permettere solo di fermare macchine
non senzienti a
discapito di immenso stress psicofisico, in quanto non possedeva ancora
un
fisico adatto a padroneggiare un simile dono –ma come Tarn
credeva ormai di
aver lasciato alle spalle una paura
che si ostinava, nonostante tutto, a provare in modo istintivo.
A
fatica si alzò dalla proprio cuccetta, preda ancora
dell’effetto di medicine
pesanti ma necessarie, strisciando i piedi nel buio della propria
stanza fino a
raggiungere quello che era il suo bagno di servizio personale.
Necessitava di
darsi una occhiata allo specchio per sincerarsi in che condizioni
fosse, ma
forse non fu una delle idee più brillanti per quella sera.
Seppur
accese la luce dentro quell’ambiente piccolo ciò
che lo investì fu un colore
grigio e spento provenire dalle lampade sopra la sua testa, lasciando
che le
ombre avanzassero verso di lui come fiamme oscure. Perdendo tempo nel
mentre
che cercava di mantenersi in equilibrio con solo i suoi occhi rossi a
rappresentare l’unico cenno di colore in quel mondo monocrome.
Ma
fu solo nel raggiungere il tanto agognato specchio che qualcosa
andò
irrimediabilmente a puttane quando
osservò attentamente il proprio riflesso con occhi stanchi e
appannati. Ciò che
vedeva tra quelle fiamme nere e grigie non era più il suo
volto – contraddistinto
da una cicatrice non curata sul lato sinistro – che si
toccò ripetutamente con
la mano sinistra non credendo a ciò che vedeva…
ma quello di un lord Megatron redivivo
e sorpreso quando lui di osservare ciò che non era veramente.
Tarn
stava vacillando. Sia di corpo che
di
spirito, e con tutta probabilità c’entrava sia lo
stress accumulato da dopo
quella tediosa missione – in aggiunta al tradimento di
Megatron stesso – sia il
quantitativo di medicine che Nickel gli aveva iniettato per tenerlo
buono. Ed
ora il risultato di tutto quell’ammontare di disavventure si
stava
materializzando di fronte a lui separato solo dal lavandino incassato
nel muro
metallico.
Il
picco di assurdità si toccò quando quel Megatron
fittizio prese una propria
coscienza e cambiò la propria espressione facciale in una
più consona a quella
che Tarn meglio conosceva. Uno sguardo truce e torvo come quello di chi
si
apprestava a mietere la propria falce su chi aveva avuto
l’ardire di
disobbedirgli.
Il
leader della DJD aveva già visto altre volte quello sguardo
assassino sul volto
del suo ormai ex signore, e ogni volta che appariva per il povero
sciagurato
che aveva davanti significava avere una sua grande mano attorno al
collo che
iniziava a stringere forte. Proprio come stava accadendo a lui in quel
momento
preciso.
L’inquisitore
registrò appena lo scatto meccanico e totalmente alieno con
la quale Megatron
avanzò un suo braccio al di là dello specchio per
agguantare il collo del suo
sottoposto insoddisfacente, trovando che quella presa fosse
dannatamente vera e
dolorosa per essere solo una allucinazione.
Poi
la voce del suo signore gracchiò con suono metallico, come
se giungesse
dall’afterspark o dagli abissi dell’inferno,
iniziando a parlare nell’esatto
momento in cui il suo volto iniziò a sciogliersi mostrando
sempre di più
l’endoscheletro sottostante.
Una
tortura a cui Tarn non poté sottrarsi, sentendosi la scatola
vocale stretta da
quella ferrea presa e lo sguardo colmo di primordiale e silenziosa
paura.
“lei
è morta… hai fallito! Te
l’avevo promesso che sarei tornato a prenderti…
tutto ciò che hai fatto… la tua
miserabile vita… l’hai vissuta per
niente!”
Voleva
gridare ma non gli era concesso farlo. Voleva smettere di avere paura
ma stava
letteralmente andando in iperventilazione portando le ventole interne a
surriscaldarsi da tanta che era la loro attività. Non voleva
svenire, ma fu ciò
che fece quando la sua psiche non resse più a quelle
immagini che si fecero
sempre più frammentarie e disturbate. Rovinate come quelle
di un computer che
faticava a ricevere dati.
Si
riprese poco dopo, con le ginocchia affossate nel pavimento metallico
del
bagno, sentendo un gran fischio ronzargli nella scatola cranica e
avvertendo
ancora dolore fisico causato da… se stesso.
Le
mani che gli avevano cinto il collo fino a quel momento non
appartenevano a
Megatron, ma erano le sue medesime appendici che avevano cominciato a
stringersi attorno ai cavi della parte superiore del suo corpo preda di
allucinazioni
inesistenti. Ed ora che era inginocchiato davanti al suo specchio
poteva ben
vedere a che punto era il livello di presunta pazzia che stava toccando.
Con
un ringhio carico di rabbia repressa si alzò finalmente in
piedi, abbandonando
una espressione facciale sconvolta per una più simile al
Tarn che era ora, e
non al Damus che era stato un tempo. Lasciò che la rabbia
seguisse i suoi
lineamenti facciali nel mentre che insisteva nel suo riflesso ambrato
sullo
specchio del bagno – le luci erano tornate al consueto colore
giallo/arancione
una volta che quella brutta allucinazione era finita –
concludendo quella
visione tutt’altro che rilassante con un pugno
che infranse quella lucida superficie in tanti segmenti ognuno dei
quali
raffiguranti il volto deturpato dell’inquisitore. Tasselli di
un mosaico che si
sciolse a terra solo quando Tarn si decise a ritirare il proprio pugno
per
riportarlo lungo il fianco destro – constatando, tra
l’altro, che la
riparazione era andata a buon fine visto il perfetto funzionamento del
braccio –
e decretando che, promessa o meno, era arrivato il momento di
affrontare la
fonte di tutti i suoi problemi.
C’era
un silenzio surreale all’interno della Paceful Tyranny. Se
dall’esterno non
giungeva nessun suono di meteoriti che andavano a schiantarsi contro lo
scudo
dello scafo – lasciando che il vuoto siderale cullasse il
viaggio di una nave
diretta verso Messatine, una sosta obbligata per leccarsi le ferite e
fare
rifornimento – per i corridoi bui della nave decepticon era
unicamente
possibile udire due cose. Il ronzio delle poche lampade di servizio che
illuminavano la strada che Tarn stava percorrendo lentamente, e i lenti
passi dell’inquisitore
capo dal volto ora coperto dalla sua consueta maschera. I suoi occhi
vermigli
brillavano nel buio opprimente di quei corridoi deserti come quelli di
una
falena attirata dalla luce delle fiaccole circostanti, solo che la
fiaccola di
Tarn era piuttosto distante dai suoi appartamenti privati.
Sotto
la copertura di quell’artefatto metallico che portava spesso
in volto, raccolto
dal tavolino accanto alla sua cuccetta, era finalmente riuscito a
riacquisire la
compostezza e sicurezza che gli spettavano di diritto –
sentendosi nuovamente
padrone di se stesso e della rabbia che stava nutrendo in petto
– per quanto i
suoi propositi per quella notte fossero tutt’altro che nobili.
Nel
silenzio di una nave dormiente – comandata unicamente dal
pilota automatico
impostato – i suoi unici passi suonavano glaciali
così come i suoi intenti una
volta che raggiunse l’infermeria del suo incrociatore. Ed una
volta raggiunto
un luogo anche quello illuminato da ben poche lampade ambrate non
dovette
cercare a lungo prima di riuscire a trovare Natah nella zona delle
degenze.
La
ragazza era ancora sotto gli effetti dei sedativi, immersa in una
quiete
artificiale e illuminata unicamente da una tenue lampada posta sopra la
sua
testa. Ignara dell’ombra inquietante che calò su
di lei indugiando, nello
sguardo di fuoco, su quelle mani conserte al ventre e a ciò
che nascondevano.
Una
scelta questa dettata sia per tenerla buona – e dunque di
riposarsi meglio
prima di dover affrontare una dura realtà – sia
per questioni mediche per
tenere sotto controllo la situazione sua e dello sparkling che portava
in
corpo.
Il
lato sinistro della branda occupata dalla donna era impegnato da vari
macchinari che servivano per monitorare la sua attuale condizione
fisica e quella
del figlio non ancora nato – un’altra prova di come
la pignoleria di Nickel
fosse seconda solo a quella del suo signore – mentre il lato
destro era
unicamente impegnato dall’anziana levatrice di Shockwave
intenta a dormire su
una sedia metallica. A quanto pare l’anziana femme non aveva
voluto abbandonare
il capezzale della loro nuova ospite forse anche a causa di quella
gestazione
che nessuno si aspettava, rimanendole accanto per assisterla in caso di
necessità.
Un
nobile pensiero da parte sua, in netto contrasto all’attuale
pensiero di Tarn
che, con sguardo praticamente allucinato, nel silenzio opprimente di
quella
stanza – interrotto solo dai lievi “bip”
delle strumentazioni mediche – allungò
con tutta calma una mano verso il collo della sua ignara vittima una
volta che
fu abbastanza vicino per farlo.
Ciò
significò essere praticamente a pochi centimetri da una
anziana donna
apparentemente affossata in una ricarica senza sogni, e forse fu questo
l’errore principale nel far fallire fin dal principio un
piano folle e
autolesionista. Natah aveva sulle sue spalle un mare di colpe che la
sola lista
personale del leader degli inquisitori decepticons non sarebbe bastata
per
elencarle tutte – non per ultimo averle mostrato che sotto
quella maschera si
celava un comune mortale anziché un leader temuto e
rispettato – e poco gli
importava ormai se gli ordini che gli erano stati dettati parlavano di
ben
altro. Ma nel mentre che indugiava a stringere ulteriormente le proprie
dita
artigliate attorno a quel collo delicato non si aspettò di
sentire il rumore di
una sicura che scattava e la ben più inquietante presenza di
una canna contro
il suo costato sinistro.
La
vecchia si era svegliata, oppure aveva fatto finta fin dal principio di
riposare, non curandosi affatto che quello a cui aveva puntato la canna
del
proprio blaster – nascosto in precedenza chissà
dove – era nientemeno che il
leader della Decepticon Justice Division. E se con la mano destra
continuava a
tenere sotto tiro un inquisitore dallo sguardo di fuoco, con
l’altra teneva ben
stretta tra le dita quello che sembrava essere un sintetizzatore vocale
portatile. Un oggetto di norma usato da chi aveva seri danni alla
scatola
vocale – così come erano soliti fare i tabagisti
incalliti dalle corde vocali
ormai corrose dai fumi tossici – e che lesta usò
contro i cavi della propria
gola producendo una voce metallica e gracchiante pantomima di qualsiasi
essere
vivente generato dal creato.
“Tzk…
immaginavo che l’avresti fatto. Voi uomini siete un libro
aperto quando si
tratta di emozioni, a discapito di quel che volete far credere a
tutti”
C’era
una nota di ironia in quella vocina gracchiante e anonima, frutto di un
processore vocale che sintetizzava i gorgoglii insensati di una anziana
femme
ormai impossibilitata a parlare, qualcosa che decisamente
l’inquisitore non
poteva sopportare di sentire o tollerare.
“Vecchia…
attenta a chi punti quell’affare” fece gelido lui,
continuando a guardarla di
sottecchi e tenendo ben salda la sua presa su una donna ignara
“evita di intrometterti
in faccende che non ti riguardano!”
Lo
disse quasi ringhiando – pur mantenendo la voce bassa come se
avesse timore di
svegliare Natah – ma ciò che ottenne fu solo la
canna della pistola premuta con
più decisione contro la sua armatura. Come se si trattasse
di un ultimo
avvertimento.
“non
credo che Megatron volesse questo dalla sua compagna… men
che meno da te”
“Megatron
ci ha traditi per lei! Per una autobot!” la voce di Tarn si
fece per un momento
incerta, distrutta da un sentimento che non riusciva a nascondere come
voleva,
deciso a non voler dar ragione a quella vecchia impudente
“con che coraggio ora
vuole che faccia da cane da guardia anche alla sua donna?!”
“perché
si tratta di un suo ordine, ecco perché. E prima ancora che
tu me lo chieda
rispondo: se Megatron ha deciso di sciogliere i decepticon
avrà avuto le sue buone
ragioni… due di queste
sono proprio accanto a te; l’altra è
l’esistenza
della tua divisione di boia legalizzati… E io non discuto
certo i suoi ordini”
Calò
un silenzio carico di tensione all’interno della stanza
semibuia, e ciò
successe ancor prima che l’anziana ciclope avesse concluso la
sua tediosa
ramanzina, lasciando l’imponente mech solo con i propri
infausti pensieri.
Per
Tarn era difficile dare ragione a quella dannata megera, tanto criptica
quanto
sincera nel porgergli una verità scomoda in modo schietto e
diretto, eppure non
poteva fare a meno di rimuginare su quelle parole per stemperare la
foschia di
terrore che ammorbava i suoi pensieri.
Che
cos’era ormai diventato l’esercito decepticons se
non un ammasso di criminali di
ogni genere a cui lui e il suo gruppo dava la caccia a tempo pieno?
Quando era
stata l’ultima volta che la lista si era dimezzata
anziché prolungata? Una vita
fa a pensarci bene… e con il tempo, forse disgustato dal suo
stesso creato,
persino l’ormai defunto Megatron doveva aver preso coscienza
della lordura di
cui si era circondato nei secoli decidendo di tagliare i ponti e
uscirsene in
grande stile con le mani il più possibile pulite. Lui
sarebbe stato ricordato
come un redento alla fine della storia, nonostante le sue mani fossero
sporche
dell’energon dei loro simili e del sangue di altre specie
viventi che avevano
avuto l’ardire di sfidare la sua autorità, mentre
per Tarn il futuro restava
incerto all’ombra di un signore che aveva iniziato a odiare
nell’esatto modo in
cui un figlio odia il proprio padre fedifrago. Un tradimento che un
vero fedele
viveva come una ferita che continuava a sanguinare copiosamente,
immerso in un
vortice di emozioni contraddittorie di chi vedeva nella speranza una
fossa
piena di disperazione.
E
anche se avesse comunque deciso di uccidere chi gli aveva portato via
il
proprio signore, che garanzie c’erano che tutto sarebbe
tornato come prima?
Forse non avrebbe fatto altro che peggiorare ulteriormente la sua
condizione
psicofisica, portandolo definitivamente nella parte del torto.
Un
gemito inconscio si palesò sulle labbra di una femme ancora
sedata, segno che
il suo corpo stava registrando quella presa forte e potenzialmente
assassina,
decretando come la fine di quel breve momento di silenzio interrotto
unicamente
dalle strumentazioni mediche ancora attive. La presa di Tarn si fece
quindi più
leggera, quasi come una carezza, prima di sciogliersi del tutto
riportando
quella mano a stendersi lungo il suo fianco destro. Al gesto anche la
vecchia
lo seguì a ruota, prendendo senza rammarico la sua saggia
decisione di
abbassare l’arma facendola sparire all’interno del
proprio braccio.
“nonna…
che cosa devo fare?”
Più
che una domanda rivolta all’anziana decepticon era un quesito
rivolto più a se
stesso e alla sua volubile figura – perché mai se
fosse stato sano di mente
avrebbe chiesto consiglio ad una megera come quella – ma la
donna, che pur
aveva intuito la cosa, preferì rispondergli con
un’altra domanda.
“prima
che io possa darti consiglio, tu come ti senti?”
Se
in passato qualcuno gli avesse fatto il terzo grado a quel modo
– e quel
qualcuno non era lord Megatron – molto probabilmente
l’inquisitore della DJD
avrebbe assottigliato così tanto la propria voce da uccidere
con un solo
sospiro pronunciato. Ma la situazione attuale lo metteva in una
situazione di
fragilità tale che neppure lui riusciva a nascondere la cosa
come avrebbe
voluto, limitandosi ad assecondare la vecchia megera.
“mi
sento come… non lo so, forse come se fossi ai piedi di uno
strapiombo e dietro
di me mancasse completamente la strada che mi riporti indietro. Odio
questa
donna perché mi ha portato via ciò in cui
credevo, ma allo stesso tempo vedo in
suo figlio una speranza che pensavo di non possedere
più…”
In
poche parole il leader degli esecutori decepticons era riuscito a
descrivere
bene lo stato d’animo in cui era sprofondato in quegli ultimi
giorni – credendo
forse di poter gestire quel vuoto emotivo che lo stava divorando
dall’interno,
finendo invece con l’essere divorato giorno per giorno fino a
raggiungere il
picco di esasperazione quella sera – ma l’anziana
femme non parve
particolarmente colpita da quel suo gesto di apertura nei suoi
confronti,
volendo rincarare la dose con voce gracchiante e meccanica.
“parli
proprio come un innamorato che ha ricevuto il due di picche da un amore
non
corrisposto…”
“ho
cambiato idea sulla ragazza, ma sono ancora in tempo per sfogare su di
te la
mia frustrazione!”
“…ma
vorrei farti notare che Megatron era innamorato di questa ragazza, non
di te.
Il tuo unico grande amore è e resterà il credo a
cui ti sei aggrappato in un
particolare momento della tua vita… hai già
punito questa giovane portandole
via il suo uomo, ora rivendica
ciò
che deve essere tuo di diritto”
Tarn
sapeva bene a cosa l’anziana levatrice di Shockwave si
riferiva, ma onestamente
fino a quella sera non aveva preso seriamente in considerazione
qualcosa che
veniva accuratamente descritto persino Towards Peace per mano dello
stesso
Megatron. E se lo aveva fatto si era presto dato mentalmente dello
stupido. Tutto
questo semplicemente per un motivo: non ne aveva la stoffa.
Quando
due signori della guerra decepticons finivano con
l’affrontare un contenzioso
in duello era noto che il vincitore potesse appropriarsi di tutti i
beni dello
sconfitto reclamandoli come il giusto compenso per un duello
all’ultimo sangue.
Il diritto di rivendicazione non guardava in faccia a consorti o eredi,
anche
loro parte del bottino, in quanto il vincitore poteva chiedere tutto o
una
parte – nel caso non fosse stato così avido
– dei possedimenti e averi
appartenuti un tempo al decepticon sconfitto.
Ma
Tarn…? Poteva davvero permettersi una cosa del genere?
Sapeva amministrare
perfettamente il suo gruppo di esecutori e a farsi rispettare da loro,
ma
guidare un intero esercito…? Non credeva affatto di
possedere un simile carisma
da poter controllare intere legioni di soldati sotto la sua scure, men
che meno
la conoscenza necessaria per amministrare tutti i possedimenti
materiali
appartenuti un tempo al suo estinto leader. Conosceva a menadito il
codice
decepticon, ma proprio per questo non era amato dal suo stesso popolo
reietto,
e lo stesso ragionamento aveva più o men avuto modo di farlo
anche in presenza
di Slipstream ore prima. Su quella dannata stazione medica.
Sapeva
fin troppo bene che il suo nome era sulla bocca di tutti e non con fare
lusinghiero,
in molti lo temevano per il suo potere a dir poco letale più
che ammirarlo per
il lavoro che svolgeva, pertanto se si fosse messo al comando di un
intero
popolo avrebbe sicuramente scatenato malumori così accesi da
poter scatenare
una possibile ribellione interna. E questa era l’ultima cosa
di cui aveva
bisogno in effetti… ma era pur vero che era lui che aveva
sconfitto Megatron in
combattimento, e forse questo particolare non era sfuggito agli altri
soldati
decepticons dispersi nella galassia.
In
quella settimana o più dalla morte dell’ex leader
di un intero esercito nessuno
aveva detto o fatto alcunché. Forse alcuni avevano seguito
alla lettera
l’invito dell’ex gladiatore a sciogliere i ranghi
decepticon; forse altri erano
troppo lontani per aver ricevuto la notizia della sua morte; oppure in
molti
attendevano ancora il proclamo di vittoria di un inquisitore che
tardava sempre
più ad arrivare.
“io…
ci ho pensato, è vero, ma non penso di essere la persona
più adatta”
“mica
devi essere per forza il leader perpetuo… puoi sempre
cercarti un degno
successore, sai benissimo che il codice lo permette”
Verissimo
anche questo, peccato che il legittimo erede di quel succoso regno
doveva
ancora nascere, e Tarn non era interessato a sobbarcarsi un compito
tanto
importante quanto non adatto a lui. Ma tuttavia… una vocina
malsana dentro di
lui gli stava dicendo che glielo doveva quel favore a Megatron.
Per
quanto assurdo fosse, e per quanto astio ancora portasse per il suo
defunto
signore per ciò che aveva fatto, se non era per lui a
quest’ora Tarn era
sicuramente un perfetto signor nessuno denigrato da tutti e con
l’autostima che
rasentava il livello di uno zerbino sporco di scorie radioattive. Gli
doveva a
malincuore molto, tutto, ed
occuparsi
dei suoi beni – inclusa quella femme dormiente –
era un gesto dovuto che
necessitava tuttavia di un briciolo di astuzia in più che
andasse oltre la sua
natura volubile e contraddittoria.
La
lista della DJD racchiudeva tutto il marcio esistente nelle file
decepticons,
gente che mai si sarebbe dovuta occupare di guidare un esercito di
uomini e il
suo popolo, ma forse scartando quei nomi alla fine qualcosa di buono
restava… e
il primo nome che gli veniva in mente era quello di un vecchio rivale
di
Megatron per il controllo totale dell’esercito decepticons.
Forse l’unico ad
avere abbastanza onore da aver accettato quella sconfitta senza troppi
rammarichi.
Deathsaurus
era un nome antico che continuava a incutere timore in molti soldati
che
avevano avuto a che fare con lui, echeggiando nel cervello di Tarn
quasi come
un campanello di allarme, ma ormai da tempo si era ritirato
nell’ombra dopo
aver perso dolorosamente contro un leader ben più
carismatico. Aveva perso solo
quello, in quanto l’ex minatore aveva pensato solo a
rivendicare il suo diritto
a ferirgli l’orgoglio, ma dove ora soggiornasse rimaneva un
mistero. E
ciononostante, aveva accettato quella sconfitta non rinnegando mai il
codice
decepticon a cui aveva aderito… contrariamente a quanto
avevano fatto certi
suoi uomini, attirandosi gli occhi malevoli dei perfidi inquisitori.
Si
mormorava si fosse ritirato a vita privata su una qualche colonia
lontana
fondata da egli stesso, ma tali informazioni non erano in possesso al
leader
della DJD.
Ma
forse Shockwave poteva sapere che fine avesse fatto il signore dei
predacons –
una sotto-razza di transformers dalle caratteristiche ferali
– e quasi
sicuramente quello scienziato lunatico non avrebbe avuto problemi ad
aprirsi
come un fiore in primavera a Tarn. Non con il suo nome in bella vista
nella
loro lista di teste da tagliare per perpetuata eresia.
Forse
si trattava di una mossa rischiosa, perché Deathsaurus
pareva essere l’ultima
spiaggia per una impresa alquanto disperata –
l’incognita di non volergli dare
udienza in quanto capo di un manipolo di macellai o di fare da semplice
padrino
al figlio del suo rivale rimaneva alta, senza contare il naturale astio
che
provava per chi aveva torturato i suoi uomini – ma
attualmente era l’unica che
veniva in mente allo stanco mech che urgeva di elaborare il prima
possibile un
piano degno di nota che non fosse una qualche macchinazione volubile
dettata
dal suo processore stanco e in sovraccarico.
“allora,
hai deciso cosa fare lord inquisitore?”
“io…
credo di si, ma ci vorrà della
diplomazia…”
“per
quella non ti devi preoccupare, i miei nipoti ne possiedono a
sufficienza”
In
tutta onestà non capì esattamente a cosa si
riferisse quella vecchia megera –
se avesse anche lei raggiunto la stessa conclusione
dell’esecutore decepticon e
dunque gli stava palesemente consigliando di chiedere aiuto al suo
folle nipote
– ma ciò che sapeva era che quella notte non
sarebbe riuscito a chiudere
occhio. E non a causa degli incubi che ancora gli scuotevano la
scintilla
tenendolo nella loro ragnatela di insicurezza che tanto odiava.
[…]
Il
senatore Attilus aveva molto per essere amareggiato da se stesso.
Non
per ultimo, la totale scomparsa da Caminos della sua unica figlia
femmina.
Natah era stata fino a quel momento il fulcro di tutta la sua vita, di
tutte le
sue speranze, e con una nota di rammarico non poteva fare a meno di
pensare che
l’epilogo di tutta quella storia non l’avesse
scritta lui di suo pugno. Perché
anche se sua figlia alla fine aveva agito di testa sua, erano state le
sue
azioni da genitore irresponsabile a condurla verso un capolinea
indesiderato.
Da
quando era venuta a mancare sua madre non aveva fatto altro che
impartirle
regole su regole fin dalla sua più tenera età
– così come si è comunque soliti
fare nell’ambiente nobiliare, in modo da tirare su rampolli
istruiti ad arte e
con la proverbiale scopa su per il culo – ma ciò
che aveva raccolto era stato
solo astio da una bambina che desiderava solo potersi divertire come i
figli
dei loro servitori. Costretta ogni volta a guardarli dalle grandi
finestre di
camera sua nel mentre che quelle discole protoforme giocavano nel parco
di
casa, sognando di potersi sporcare anche lei l’armatura di
fango anziché
ricevere bacchettate sulla mani dal proprio precettore.
Sospirando
stancamente l’imponente meh dall’armatura bianca e
blu, i cui raffinati
dettagli erano di color argento, si alzò dal proprio trono
metallico per
recarsi in quello che era il piano bar presente nel suo studio privato.
Aprendo
uno sportello da sotto il ripiano in pietra dura volle concedersi un
sorso di
energon extra forte più potente che aveva in riserva,
riempiendosi il bicchiere
di vetro fino all’orlo e bevendo avidamente nonostante
avvertì la gola
bruciargli per quell’azzardo dettato dalla disperazione.
Da
anni era diventato lo zimbello della nobiltà caminoana a
causa della sua
insistenza nel voler mettere pace ad una guerra che neppure apparteneva
al suo
popolo, una guerra civile tra autobots e decepticons che stava
letteralmente
macellando la loro casa di origine, ma sembrava che ai suoi simili poco
importava del futuro dei loro stessi figli che rischiavano di essere
coinvolti
a loro volta in un genocidio senza fine.
Fin
da quando era appena stato nominato senatore Attilus sapeva che era
solo
questione di tempo prima che una delle due fazioni rivali andasse a
bussare
alle porte del loro pianeta in cerca di supporto bellico o –
molto
probabilmente nei caso dei decepticons – cercare di
conquistarlo e renderlo una
loro colonia sottomessa… possibile che i suoi compaesani per
tutti quei secoli
non ci avessero minimamente pensato?! Desideravano vedere loro e i loro
stessi
figli in catene?!
A
quel pensiero un moto di rabbia lo travolse con una ondata repentina e
impulsiva, montata ad arte dall’altra gradazione alcolica del
suo drink,
portandolo a deformare il volto dai tratti nobili e severi in una
espressione
furiosa così come i suoi gesti successivi. Con un ringhio
frustrato lanciò il
bicchiere contro la parete più vicina, colpendo una mensola
con dei datapad
impilati uno accanto all’altro, portandolo a frantumarsi in
un centinaio di
schegge che andarono a sparpagliarsi un po’ ovunque.
Era
colpa sua.
Solo colpa sua… e ora non aveva più modo di
rimediare al danno.
Aveva
tenuto Natah incatenata in casa per anni, per colmare un senso di
iper-protezione sorto alla morte della moglie, sommersa da talmente
tante
regole e ordini che alla fine aveva rischiato di trovarsi per casa una
furia
isterica che spaccava ogni giocattolo che le veniva dato od ogni piatto
di cibo
che le veniva offerto. Quello fu il periodo in cui decise di lasciarle
i suoi
meritati spazi, di non assillarla oltre con regole che non avrebbero
fatto altro
che rovinare definitivamente il rapporto di parentela, permettendole di
accedere alla biblioteca di palazzo ogni qual volta lo desiderava non
appena i
precettori avevano notato in lei un forte fascino per la letteratura.
Ed
era stata proprio la letteratura a far si che lord Megatron iniziasse a
nutrire
interesse per la sua Natah, complice anche la lettura di Towards Peace
che sua
figlia trovava tanto interessante quanto criticabile, rammaricandosi di
non
essere intervenuto per tempo anziché lasciarli parlare ogni
qual volta il
signore dei decepticons giungeva nella loro dimora per le impossibili
trattative di pace.
Il
sospetto nel tempo era nato nella scintilla del senatore –
impossibile che non
sorgesse vedendo i loro sguardi e le loro parole ridursi sempre
più ad un
sussurro ogni qual volta avevano modo di incontrarsi – e
stupidamente aveva
desistito pensando che quello strano interesse che il signore della
guerra
provava per sua figlia poteva essere un incentivo alla conclusione di
una lotta
ormai lunga e sfiancante. Ma quando aveva capito che le cose potevano
farsi
pericolose – era pur sempre di Megatron che si parlava,
l’ultimo uomo a cui un
padre normale avrebbe lasciato la propria figlia – Attilus
aveva convinto la
sua bambina ad accettare il simbolico arruolamento nelle file autobot.
Un
modo forse tardivo di cercare di proteggere la sua primogenita,
sfruttando il
suo già spiccato interesse per la fazione autobot nato dalla
lettura delle loro
cronache, ma insufficiente per spegnere una scintilla che non si
estinse
nonostante gli ovvi attriti iniziali di un decepticon
tutt’altro che contento
della scelta fatta. Una situazione potenzialmente esplosiva, palpabile
e
sfrigolante come l’antimateria, in quanto lord Megatron non
parve digerire
l’ingerenza di Atilius nella vita della sua attuale compagna.
Perché era logico
pensare che nessuno, quando si parlava di Megatron, sarebbe stato in
grado di
proteggere dal suo sguardo l’oggetto – o la persona
– del suo smodato
interesse. Che fossero stati gli autobots o gli ancor più
incapaci senatori con
cui aveva a che fare ogni qual volta che si recava su Caminos anche per
questioni
non legate più a trattative di pace, l’ex
gladiatore avrebbe continuato a fare
quello che gli riusciva meglio da una vita. incontrando il benestare di
una
ragazza ormai incapace di seguire la voce della ragione –
rappresentata da un
padre insistente ed incapace di accettare una simile relazione
– ma solo quella
del cuore.
Quello
era stato il passo finale, l’ultima disperata spiaggia, prima
che sua figlia
non sopportasse più le sue assillanti attenzioni e decidesse
di fare di testa
sua andando ad abitare in centro città. Lontano dal palazzo
in cui era
cresciuta e dal benessere di una vita agiata, preferendone una modesta
ma…
libera.
Una
decisione che la rese effettivamente indipendente dall’ala
paterna – le voci
che gli erano arrivate durante quel lungo periodo lontano da lui la
volevano
che avesse preso impiego nella biblioteca pubblica come archivista.
Lei, una
nobile – ma anche più vulnerabile alle influenze
di un decepticon che non si
vergognava affatto di continuare a frequentare una ragazza che doveva
essere
ufficialmente sua nemica.
Alla
fin fine però non aveva ottenuto la tanto agognata tregua
che desiderava da una
vita? Megatron non era forse ufficialmente capitolato sciogliendo il
suo
esercito e convertendosi di fatto alla causa opposta?!
Si
poteva dire che era anche grazie a Natah se finalmente la guerra si era
ufficialmente conclusa, nonostante fosse valso sacrificarla
sull’altare delle
buone intenzioni, eppure un simile lieto fine suonava come una beffa
alle
orecchie del senatore. Era stato tutto troppo idilliaco e veloce per
sperare
che finisse effettivamente con un lieto fine, e la notizia della morte
dell’ex
gladiatore di Kaon per mano dei suoi stessi esecutori sanguinari non
venne
accolta di buon grado da praticamente nessuno… men che meno
dallo stesso
Attilus.
Se
la DJD era arrivata a punire il loro ex leader – apostata per
amore di una
donna – allora potevano benissimo arrivare a colpire sua
figlia nei peggiori
dei modi, e questo lo portò a rabbrividire a tal punto da
sentire le pulsazioni
della sua scintilla farsi più fievoli per un attimo. Si
portò una mano alle
tempie sospirando sconfortato, e nella sua disperazione poteva solo
contare nella
previdenza di sua figlia che tanto stupida non era.
La
sua prima preoccupazione in tutta quella brutta storia fu di
rintracciare sua
figlia il prima possibile, sincerarsi delle sue condizioni e darle il
prima
possibile protezione in caso quei mostri avessero voluto prendersela
anche con
lei… la relazione era sempre stata tenuta segreta dai due
amanti clandestini,
neppure Attilus ne aveva parlato con qualcuno, ma quando si parlava di
quei
macellai psicopatici – la vera vergogna dell’ormai
ex lord Megatron – non si
poteva mai sapere fin dove potevano arrivare le fonti delle loro
informazioni.
Ma
ciò che aveva trovato una volta fatta irruzione nel suo
appartamento fu solo un
desolante silenzio e un unico appunto lasciato sul tavolo della sala
principale. Quel singolo pezzettino di carta era destinato a lui,
scritto di
fretta dalla sua Natah, recante poche righe tutte quante dritte alla
sua
scintilla.
“Padre,
non cercarmi. Mi farò viva
io non appena possibile. Ti prego di perdonarmi… ma non
posso rischiare”
La
delicata calligrafia di sua figlia continuava a scorrere sotto i suoi
sensori
ottici azzurri ogni qual volta li faceva cadere su quel foglietto
spiegazzato,
e nessun alcoolico al mondo avrebbe potuto in qualche modo allievare
quella
colpa che riusciva solo a dare a se stesso. Per quanto non fosse
totalmente
vero, dato che la giovane femme aveva sempre agito in autonomia nel
volersi
avvicinare a Megatron, non poteva fare a meno di considerarsi un idiota
continuando a rileggere quelle poche righe sentendo gli occhi
bruciargli
terribilmente.
Ritornando
verso il proprio trono, e rimettendo in uno scomparto del petto la
lettera che
sua figlia gli aveva lasciato, Attilus Atilius constatò per
l’ennesima volta
come il fato aveva voluto giocargli un epilogo beffardo alla sua
smisurata
ambizione.
Aveva
preteso troppo, perdendo tutto. E
come l’eroe di una tragedia teatrale ciò che gli
rimaneva da fare era di
struggersi nel proprio rammarico, seduto ad un trono senza
più sudditi,
contemplando il ritorno di una figlia che probabilmente non ci sarebbe
mai
stato.
[…]
Come
aveva ben pronosticato quella sera non avrebbe chiuso occhio, ma
quantomeno
avrebbe affrontato quella notte insonne in un modo che avrebbe
ammazzato ogni
sua voglia di chiudere occhio nei prossimi giorni.
Una
volta che Tarn ebbe finito di discutere con la vecchia megera, loro
ospite
ancora per molto suo malgrado, decise di ritirarsi nei propri
appartamenti e di
dar vita al consiglio che gli aveva dato. Non aveva preparato
chissà quale
discorso da tramettere alle linee decepticon che conosceva –
ossia proprio tutte
– ma sapeva che avrebbe speso bene il suo tempo alla console
di controllo della
sua scrivania. Perché sarebbe stato ben chiaro per tutti
quelli che si
sarebbero sintonizzati.
Si
sedette alla propria postazione personale contemplando i pannelli dai
colori
vivaci, un silenzio meditabondo che durò circa un minuto,
prima di cominciare a
digitare tutte le coordinate che conosceva e che arrivassero fino alle
viscere
più recondite della galassia. Tutti dovevano ascoltare la
sua voce, anche i
canali di comunicazione di decepticons ormai off-line da tempo, e tutti
dovevano tremare di fronte a quello che il loro nuovo leader
aveva da dire.
“a
tutti i decepticons in ascolto: qui è il lord inquisitore
Tarn, della
Decepticon Justice Division, che vi parla. Ascoltate bene la mia voce,
e
ascoltate ancor meglio ciò che ho da dirvi… Come
ben saprete Megatron, vostro
ex leader divenuto apostata, è morto per mano nostra. O per
meglio dire: per
mano mia”
Si
fermò un attimo, come in contemplazione delle proprie
parole, sapendo che
doveva ben regolare le proprie emozioni e la propria voce.
Assottigliandola quel
tanto da incutere il timore e il rispetto che si meritava.
“per
tale motivo rivendico tutti i
possedimenti, gli averi, e gli uomini appartenuti un tempo a Megatron
come miei di diritto…
Così come da legge
scritta di suo pugno e ancora perfettamente valida in quanto legata al
credo di
noi tutti. Continuate quindi a serrare i ranghi, a seguire le regole e
ad
omaggiare il vostro nuovo leader. Perché ricordate: le
vostre vite ora mi
appartengono”
Chiuse
di scatto la registrazione settandola ad una ripetizione di tre minuti
a
messaggio terminato, sentendosi comunque a disagio per ciò
che aveva appena
detto. Con quelle parole avrebbe fatto tremare di terrore il
più pusillanime
dei suoi uomini e intimorito il più coraggioso tra le file
del suo nuovo
esercito, ben sapendo in realtà che con quel monte di
responsabilità in più
poteva significare solo una cosa…
“e
ora vorranno la mia, di vita…”
Era
molto probabile che i malumori sarebbero serpeggiati in modo alquanto
veloce
tra le file dei suoi nuovi uomini, e ancor più tediosa
sarebbe stata la
faccenda dei signori della guerra che avrebbero avuto da ridire sulla
sua presa
di posizione, ma se mollava ora tanto valeva che non avesse alzato un
dito
neppure contro lord Megatron.
Non
per ultimo Deathsaurus, per quanto il suo canale di comunicazione gli
rimaneva
perfettamente sconosciuto, auspicando comunque che la notizia gli
arrivasse. Aveva
in effetti bisogno di attirare il più possibile
l’attenzione, e tenere comunque
unito un popolo che rischiava di estinguersi.
Aveva
in pugno il mondo intero appartenuto ad uno dei mech più
potenti in assoluto – non
per ultimo la sua stessa donna – e se voleva giocarsi bene
tutte le carte che
aveva scoperto doveva per forza di cose
“elemosinare” l’auto di qualcuno un
po’
più competente di lui. E Shockwave avrebbe fatto sicuramente
al suo caso.
Aggiorno
con un mare di ritardo, ma purtroppo tra problemi di insonnia e dolori
vari
faccio un po’ fatica a mettermi a scrivere. Spero possiate
scusarmi se magari
questo capitolo non è perfetto.
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Capitolo 7 *** Nella neve ***
Il
suo sguardo vermiglio vagò per un attimo verso il limpido
cielo di Caminos
quando lo stonato canto di alcune gru cenerine non lo distrasse dalle
sue insolite
incombenze.
Uno
stormo di quelle fastidiose creature organiche solcava il cielo estivo
di quella
colonia lontana, forse diretto verso le montagne innevate per sfuggire
alla
classica calura estiva di quel periodo o, forse, per allontanarsi da un
gruppo
di viziati parassiti che stavano letteralmente inquinando quel mondo
lontano
con le loro tecnologie.
Caminos
si presentava per quello che era: una colonia cybertroiana in terra
organica,
dalle forme di vita primitive, i cui abitanti dalle splendide armature
scintillanti si vantavano di vivere in un’oasi pacifica nel
rispetto della
natura che avevano colonizzato.
Per
Megatron quel branco di ipocriti dalla pancia piena contavano poco e
nulla, un
mucchio di nobili ormai dissociati dalla loro terra natia che lo
guardavano
come un re barbaro – rozzo e ignorante – ogni qual
volta metteva piede nella
reggia dorata di lord Atilius per delle trattative di pace che finivano
sempre
con l’andare a quel paese. Eppure, puntualmente, il signore
dei decepticons non
aveva mai saltato un invito.
Se
in principio era stato mosso da motivi anche strategici – da
notare come spesso
gli inviti del senatore coincidessero con la disfatta di una battaglia
cruenta
per ambo le fazioni – ora la questione si era fatta
più curiosa sotto le
sembianze di servofish che gli
stavano gironzolando sotto il cavallo delle gambe.
Attualmente
si trovava a mollo in una grande piscina artificiale presente nella
tenuta
Atilius, simile nell’aspetto ad un grande laghetto nelle sue
geometrie
squadrate e aliene, e il motivo per cui aveva deciso di rinfrescarsi le
natiche
metalliche nel fresco energon azzurrino era rappresentato proprio da
quelle
semplici forme di vita meccaniche che scivolavano placide lungo le sue
gambe.
“tzk…
ma tu guarda cosa mi tocca fare”
Non
lo aveva costretto nessuno ad entrare lì dentro –
ci mancava solo che qualche
pivello caminoano lo sfidasse a qualche stupido gioco – ma
ciò che lo aveva
mosso maggiormente era quel suo smisurato orgoglio nel voler dimostrare
qualcosa
alla graziosa ospite che lo attendeva pazientemente inginocchiata sulla
candida
sponda di quel laghetto artificiale.
“sembra
che la pazienza non sia nelle vostre virtù, lord
Megatron…”
“silenzio! Solo perché non sono
ancora
riuscito a catturare uno di questi maledetti affari non significa che
sia un
incapace!”
“…ma
vi concedo una certa tenacia. Di quella ne avete in
abbondanza!”
Natah
Atilius, unica figlia femmina di un ben più noto senatore,
dovette trattenersi
di forza per non mettersi a ridere di gusto di fronte a quella
situazione
piuttosto insolita per il signore dei decepticons. Da quando aveva
raggiunto
una età adeguata da poter sostenere un colloquio con una
persona più adulta di
lei la giovane femme non aveva perso tempo a chiacchierare amabilmente
con i
diversi ospiti di suo padre che spesso solcavano la porta della loro
dimora… e
doveva ammettere a se stessa che il mech ora a mollo nelle azzurre
“acque” del
laghetto era uno tra gli individui più singolari che le era
capitato di
incontrare.
Singolare
si, ma non per questo meno pericoloso nel suo aspetto imponente ai
sensori
ottici azzurri di una nobile che ben conosceva – di fama
– le gesta ben poco
eroiche di un signore della guerra ben poco apprezzato su Caminos.
Eppure nei
suoi lunghi anni di studi, china sui libri più che a prestar
orecchio alle
persone, aveva ben presto abbandonato il dar credito a possibili
malelingue a
favore del beneficio del dubbio quando si parlava di certe persone e
del loro
passato. Soprattutto nei riguardi della figura di Megatron,
così chiacchierata
eppure così mitologica, tanto da voler vedere di persona che
razza di uomo
fosse il sanguinario condottiero.
La
sua si trattava di un’ovvia curiosità
adolescenziale – amplificata dal fascino
del “cattivo ragazzo” che ammaliava la figura del
massiccio mech, un’aura che
non lasciava mai indifferente le giovanissime donne – che
volle fin da subito
saziare ponendo al signore dei decepticons domande sul suo operato e su
quanto
ci fosse di vero nelle leggende che ammantavano la sua
figura… e la sua
risposta, a quella specifica domanda, in principio la lasciò
spiazzata.
“tutto
incredibilmente vero nella
sua più totale falsità”
Una
risposta che la lasciò davvero senza parole
all’inizio, non capendo bene a cosa
alludesse, ma poi con il passare del tempo – e le varie
chiacchierate
successive – le avevano comunque dato modo di comprendere a
cosa si riferisse
l’ex gladiatore.
Un
uomo che si era costruito una fama tanto sulle proprie azioni
(deplorevoli) quanto
sulle dicerie circolanti sul suo conto. Un mostro generato dal senato e
accresciuto per propria volontà individuale, non vedendo
più motivo di fermarsi
nel proprio operato. Più mito che uomo, arrivando dopo eoni
a cominciare a
detestare la propria immagine.
Ma
per Natah, mossa da un sesto senso che la portava a sentire un
inquietante
pizzicore al disotto della propria armatura, non riuscendo ancora a
dare un
nome a quella spiacevole sensazione, ciò che vedeva in
quegli occhi vermigli –
quando il loro proprietario non pensava di essere visto – era
spesso lo sguardo
stanco di un uomo che aveva visto troppe battaglie e sopportato tanti
tradimenti quanti lutti interni. Un vero signore della guerra
quindi… ma
talmente romanzato nel corso dei secoli che la sua delusione, ormai
saturo di
leggende sul suo conto, poteva anche essere sentita con mano. Una
piccola
“debolezza” che a quanto pare l’auto
proclamatosi nobile mostrava unicamente a
lei.
La
giovane nobile di lui sapeva solo quello che era stato trascritto dalle
cronache a suo tempo – tanto dai suoi uomini quanto dai suoi
detrattori – e da
Megatron stesso, ma mai si sarebbe aspettata un lato insolitamente
“umano” da
parte di un mech dalle mani sporche dell’energon di
così tanti individui. Era
come se, nelle loro chiacchierate sui tomi polverosi che entrambi
apprezzavano,
ci fosse una sorta di connessione
platonica
con qualcuno con cui poteva finalmente parlare senza i rigidi paletti
imposti
dall’educazione che le era stata impartita fin da piccola. E
con il passare del
tempo, la ragazza si dimenticò del passato del proprio nuovo
amico relegandole
in un angolo della propria memoria.
Ora
non era più la sua storia ad interessarle… ma
decisamente qualcos’altro di ben
più proibito per una
nobile come lei,
e ben se ne ricordò nel momento in cui lo vide attraversare
il laghetto
artificiale per raggiungerla sulla candida sponda.
“vorrei
ricordarle, cara la mia signora, che siete stata voi a convincermi a
prendere
uno di questi dannati pesci! ‘prenderli
non è affatto facile, lord Megatron’
bè me ne sono accorto!”
Ad
ogni suo goffo passo nell’energon azzurrino quelle creature
dall’aspetto più
disparato si dileguarono tra i flutti cristallini, tornando al loro
compito
primario di depurare e analizzare le acque dense come metano liquido
per somma
gioia del loro proprietario, riuscendo infine a toccare con mano la
sponda
marmorea e potercisi issare su.
La
posizione che aveva scelto per tornare sulla terraferma non fu casuale,
in
quanto la bella nobile si trovava proprio ad una spanna da lui dal
momento che aveva
assistito a tutto quell’inusuale spettacolo standosene
inginocchiata proprio a
pochi centimetri dalla sponda. Una vicinanza piuttosto intima che si
creò per
forza di cose, soprattutto quando i volti dei due cybertroiani quasi si
sfiorarono, non trovando indignazione di sorta sul volto di una padrona
di casa
che parve ben felice di quel nuovo livello di complicità che
si stava creando
tra loro due.
Il
signore della guerra decise di rimanere fermo dov’era ancora
per qualche
minuto, con ancora le gambe a mollo nel fresco energon cristallino, ben
sapendo
che quello che stava facendo avrebbe sicuramente fatto infuriare un
padre fin
troppo assillante nei confronti di una figlia ormai divenuta donna. I
trattati
di pace se li poteva anche mettere in quel posto, visto e considerato
che
Megatron non aveva mai sperato davvero ad una tregua consolidata che
non
rispondesse alle sue esigenze specifiche, ma cercare di farlo capire al
borioso
nobile era dura. E ora le sue esigenze da un po’ di tempo a
quella parte erano
più incentrate a corteggiare una Natah divenuta adulta
quanto prima.
Una
femme che sembrava condividere con lui un certo risentimento nei
confronti del
senatore Atilius – reo di essere molte cose nella giovane
mente di sua figlia –
non scandalizzandosi affatto per quella vicinanza pericolosa ma
trovandosi
invece a sorridergli con una certa complicità.
“sa,
mia cara ragazza, ho sentito che poco fuori città ci sono
delle grotte di
cristalli di energon davvero incantevoli che aspettano solo di essere
visitate…” mormorò lui, con
l’intento che quelle parole venissero captate solo
dalla sua graziosa ospite e che, nella loro ambiguità,
venissero comprese anche
in altro senso “mi chiedevo quindi se siete esperta
in questo genere di escursioni fuori porta”
La
giovane soppesò bene le parole del signore della guerra,
sentendo la propria
scintilla sfrigolare dall’emozione – come se fosse
stata una adolescente alla
prima cotta, cosa che in fin dei conti era – ma fu ben
attenta a non tradire le
proprie emozioni sorridendogli di rimando con complicità e
malizia, e
rispondendogli nel modo più sincero che poteva.
“conosco
quelle grotte, ed ho una certa esperienza
in effetti… ma da sola.
Non ho ancora
avuto il piacere di perlustrarle in compagnia”
Onestamente
lord Megatron non si aspettò di trovare una nobile rampolla
ancora
perfettamente intatta in mezzo a quella bolgia di rammolliti viziosi,
ma ciò lo
lasciò piacevolmente sorpreso tanto da trasformare il
proprio mezzo sorriso in
un ghigno che non poteva promettere nulla di buono. Si sarebbe
aggiudicato
quella prima fetta di torta con buona pace dell’ansioso
paparino, e a quanto
pare pure Natah non vedeva l’ora di perdere la propria
verginità nel modo più
scandaloso possibile.
Si
issò dunque in piedi, seguito a ruota dalla sua giovane
ospite, prendendola
spudoratamente per mano nell’atto di volersi allontanare da
lì il prima
possibile e spiccare entrambi un volo acrobatico che li avrebbe portati
nei
cieli estivi di Caminos.
[…]
Di
quel passato lontano a Natah rimaneva semplicemente un ricordo
agrodolce, a tratti
amaro, destinato a scontrarsi con la
realtà di una relazione che si era fatta via via sempre
più complessa ad ogni
loro incontro segreto. Quel giorno era ritornata a casa verso il calar
del
sole, dolorante e con le gambe traballanti, ma straordinariamente
felice
dell’esperienza fatta con il più sbagliato degli
uomini.
Un
ricordo questo che, in quel preciso momento, si fece sempre
più sbiadito quando
una sgradevole sensazione alla gola
non la costrinse a dischiudere i sensori ottici per risvegliarsi in
quello che
era un ambiente totalmente alieno per lei.
Ciò
che vide fu in principio il soffitto in metallo di una stanza che
sicuramente non
apparteneva alla stazione medica in cui si era rifugiata un giorno fa
– o forse
erano passati più giorni? – e il rumore dei
macchinari medici la portarono a
pensare velocemente che doveva essere stata trasportata da
tutt’altra parte
dopo le cose orribili successe all’ospedale. Le facce
disossate e allucinate di
quei mostri senza anima dei mortiliani per un momento occuparono i suoi
pensieri con dei flash orribili e strazianti. Una paura atavica si
impossessò
di lei per un brevissimo momento, ricordando la loro presa sulle sue
vesti e
sui suoi “capelli” e la furia con cui la buttarono
sul pavimento per poterla
letteralmente mangiare. Con un
gemito
strozzato sentì nuovamente i denti di quegli schifosi
addentarle l’armatura del
polpaccio destro, recidendogliela di netto, urlando disperata il nome
dell’unica guardia del corpo che aveva assoldato per una
missione che reputava
rapida e sicura. Un ragazzo giovane, che si buttò a
capofitto nella mischia a
colpi di spada pur di trarla in salvo e rischiare così la
propria nobile vita.
Quel
soldato aveva dato la vita per lei e per suo figlio – e per
tutti quelli
presenti all’interno del caveau – ed ora il suo
sacrificio si era rivelato
comunque vano quando la ragazza realizzò che solo la DJD
poteva essersi presa
cura di lei dopo quel disastroso attacco.
Era
stata portata li e curata per chissà quali malefici scopi,
nonostante quello
che doveva essere il loro capo le aveva assicurato che non le sarebbe
stato
fatto alcun male, ed ora il suo istinto (piuttosto che la ragione) le
stava
suggerendo di alzarsi da quella lettiga il prima possibile nonostante
lo strano
peso che le bloccava in parte le caviglie.
“M-ma
cosa… AH!”
Nel
momento esatto in cui si mise a sedere si rese conto che sdraiato
accanto a lei
c’era una creatura che aveva ben pensato di appoggiare il
proprio lungo muso
sui suoi piedi come se fossero un cuscino, avente le sembianze di una
specie di
cane alquanto strano fino a quel momento impegnato più ad
oziare che a farle la
guardia. Pareva innocuo, ma tanto bastò per spaventare una
giovane femme appena
uscita dal coma indotto e a farla strillare di conseguenza. Cadendo
rovinosamente a terra nell’atto di scostarsi il
più possibile da una belva a
lei sconosciuta, e gemendo di dolore quando colpì
rovinosamente i gomiti e il
fondoschiena a terra.
“Stammi…
stammi lontano! R-resta lì!”
La
bestia parve darle retta sebbene si alzò in piedi come
allarmata da quella
goffa caduta, limitandosi a guardarla incuriosita nel mentre che la
disgraziata
si rialzava in piedi con non poca difficoltà e con ancor
poca grazia.
Nonostante la gamba fosse stata riparata la sentiva ancora debole e
traballante
– il tutore di metallo che la sosteneva non era li solo per
bellezza – pertanto
dovette arrampicarsi lungo una scaffalatura di attrezzature mediche a
lei
ignote prima di riuscire a issarsi in piedi continuando a tenere
d’occhio le
possibili intenzioni di una creatura fin troppo strana per definirlo un
animale
vero e proprio.
“Devo…
devo andarmene da qui!”
La
voce le si spezzò per un momento, preda
dell’adrenalina e di una possibile
crisi di nervi, ma perlomeno fu grata di constatare che in quella
infermeria
non c’era nessuno che potesse mettere in allarme
l’intero equipaggio. Con un
po’ di fortuna, cercando di sfruttare le ombre offerte da
quell’ambiente a lei
sconosciuto, forse avrebbe potuto anche farcela… oppure, con
un po’ più di
saggezza, avrebbe potuto sfruttare la copertura offerta da un carrello
per i
panni sporchi parcheggiato fuori dalla sua stanza. Non che doveva
saltarci
dentro per forza di cose – anche perché non le
sembrava molto igienico vista la
condizione di quegli stracci, senza contare che non contava di poter
nascondere
le proprie ali in quanto sarebbe stato eccessivamente scomodo
– ma perlomeno
poteva nascondersi di lato o lanciare quel carrello come un ariete nel
caso
qualcuno avesse cercato di fermarla.
Un
piano disperato fin dal suo concepimento, molto probabilmente destinato
a
fallire, ma perlomeno era meglio che non provarci affatto.
[…]
Su
Messatine mancavano poche ore al sopraggiungere dell’alba, e
forse fu questa la
fortuna che baciò Natah quella sera. Con la notte che ancora
avvolgeva le dolci
colline ghiacciate del pianeta l’equipaggio della Paceful
Tyranny era ancora
rintanato nelle proprie cuccette, o almeno così sperava.
Non
le ci volle molto per capire che la struttura in cui si trovava era una
nave di
dimensioni notevoli – e dagli oblò
dell’incrociatore poté osservare il deserto
innevato di un pianeta a lei alieno – ma una volta raggiunto
l’hangar di carico
dell’incrociatore si rese conto di una scoperta ancor
più agghiacciante. Una
volta raggiunta la sponda di carico, ferma ad una piattaforma grande
abbastanza
per contenere l’intero volume della nave e consentire lo
scarico merci, ciò che
poteva essere naturale per una seeker come lei si rivelò
estremamente arduo se
non addirittura impossibile.
Il
suo intento era quello di trasformarsi e spiccare il volo verso quel
cielo
ancora buio e sferzato dal vento gelido, il più lontano
possibile dai boia
decepticons e dalle loro intenzioni tutt’altro che
cristalline, ma ciò che le
riusciva a fare era solo di accennare un tentativo di trasformazione ad
ogni
battito di ali.
“il
mio t-cog… me lo hanno tolto!”
Lo
disse con un filo di voce, chiudendo momentaneamente le palpebre
sintetiche in
un momento di sconforto totale, sentendosi oltremodo violata
da quella loro precauzione atta a non volerla far scappare
in nessun modo dalle loro grinfie. Molto furbi, gliene dava atto, ma
non
sarebbe stato quello a fermarla.
Anche
se in quel momento non poteva definirsi propriamente lucida nei suoi
pensieri –
perché voler fuggire in fretta e furia senza un minimo di
accortezza e un piano
che fosse uno era da folli, preda del terrore più cieco
– l’unica idea che le
venne in mente era quella di avventurarsi in linea retta verso quel
mondo
ricoperto di neve, seguendo quella che sembrava essere una pista che da
molto
non veniva battuta. Prima o poi avrebbe pur incontrato qualcuno in
grado di
aiutarla.
Si
fece coraggio dunque, ed alzò i tacchi verso una neve che
l’accolse senza pietà
alcuna.
Ciò
che la ragazza non poteva sapere era che non tutti gli abitanti
dell’incrociatore erano a riposo. Alcuni, e nello specifico
il suo comandante e
l’ufficiale medico di bordo, erano ancora svegli persi in una
nottata insonne a
sbrigare mere faccende burocratiche sul grande ponte di comando. Un
buon modo
per lui di distrarsi e rilassarsi da pensieri ancora nebulosi, un buon
modo per
lei di tenerlo d’occhio in quanto non riusciva proprio a
fidarsi della sua
buona parola.
Ed
ora erano entrambi davanti agli schermi olografici della sala comando
intenti
ad osservare ciò che le telecamere esterne mostravano loro.
Una femme intenta a
camminare con difficoltà sulla neve che le arrivava fin
quasi alle ginocchia,
decisa a percorrere l’unico “sentiero”
che portava nell’entroterra del pianeta
e creato dai precedenti passaggi della DJD nell’atto di
scaricare del contenuto
indesiderato.
“Tarn…
forse è il caso di andare a prenderla”
“No.
Lascia che vada… e che veda”
Per
un momento la risposta lapidaria data dal suo leader la
lasciò del tutto
spiazzata, portandola a guardare velocemente l’inquisitore
capo a bocca aperta
e in procinto di protestare, per poi ricordarsi che non era il caso di
contraddirlo troppo su di un argomento che era ancora un tasto dolente
per lui.
“La
strada è sicura per ancora qualche miglio, non
finirà dritta dentro un
crepaccio con il rischio di incombere in chissà quale
pestilenza. Puoi stare
tranquilla, Nickel… la ragazza ha già dimostrato
di non essere una stupida”
Era
risaputo che, se la superficie di Messatine era prettamente tranquilla
e
sicura, il sottosuolo era un concentrato di letalità a causa
di una passata
piaga che aveva sterminato i suoi minatori e buona parte delle sue
guardie. Ora
il peggio era logicamente passato, ma tra le sue gallerie ancora
cariche di
prezioso minerale serpeggiavano le carcasse arrugginite dei suoi
precedenti
abitanti, e il virus che li aveva annientati ancora dimorava assopito
nell’umido terreno.
Ma
il leader della DJD confidava nel fatto che la femme si sarebbe fermata
molto
prima nella propria corsa verso la libertà, in quanto
ciò che avrebbe visto
nella neve le avrebbe fatto finalmente aprire i sensori ottici sul
destino che
l’attendeva.
[…]
La
luce del sole sorse impietosa sulle lande ghiacciate di quel sasso alla
deriva
qual era Messatine. La figura di Natah in tutto quel bianco immacolato,
quasi
accecante a causa della nebbia e della neve che continuava a cadere,
procedeva
a stento spossata da una camminata di almeno due ore piegata dal freddo
e da un
brontolio allo stomaco che si stava facendo sentire sempre
più ad ogni passo su
una neve che ormai le arrivava sino alle cosce. Aveva fame, e forse il
pensiero
costante di averla la teneva sveglia.
Le
braccia le teneva incrociate appena al disotto del petto,
istintivamente dedita
a proteggere la vita della propria creatura da un freddo pungente che
la stava
portando a sentire i circuiti congelarsi ad ogni passo nella spessa
neve,
mentre tutta la sua figura era curva in avanti a causa della stanchezza
e del
dolore alla gamba da poco operata dovuta ad una lunga camminata
sfiancante e
inconcludente. Era come se stesse andando alla deriva e ad ogni ora che
passava
stava iniziando a ragionare più a mente lucida rispetto a
prima, decretando che
forse non doveva andarsene via così di fretta lasciando il
beneficio del dubbio
riguardo alla situazione in cui si era ritrovata.
Ma
come poteva se in ballo c’era la vita di suo figlio di mezzo?
L’unica cosa che
Megatron le aveva lasciato? Davvero poteva permettersi il lusso di
rischiare la
propria vita e quella del loro unico figlio ora che lui non
c’era più?
“Megatron…?”
Oppure
non era esattamente così?
In
principio pensò che fosse uno scherzo dettato dalla foschia
e dalla stanchezza
di essersi introdotta in un entroterra a lei ignoto, una allucinazione
che si
stava palesando nelle sue ottiche azzurre ad ogni incerto passo sulla
densa
neve sferzata da un vento ora non più tanto forte e
insidioso come in quelle
prime ore del mattino. Ma poi, avvicinandosi con sospetto a
quell’imponente
sagoma che si stagliava nella foschia mattutina, non poté
fare a meno di
riconoscere la sagoma dell’uomo che fino a qualche giorno fa
aveva amato nel
bene e nel male.
Per
un momento la scintilla perse un paio di pulsazioni dovuta
all’emozione di non
credere ai propri sensori ottici, ora sgranati nel tentativo di
riconoscere
meglio le forme massicce del compagno estinto, sentendosi per un breve
momento
leggera come un fiocco di neve nell’atto di avvicinarsi a lui
e a constatare
che tutta la speranza che nutriva in quell’istante era
fondata su una vana speranza.
Speranza,
questa, che le morì in gola quando –
nell’atto di avvicinarsi con cautela alla
sua figura – constatò che quell’immagine
in principio avvolta nella foschia era
fatta di pura roccia anziché metallo e protoforma.
Una
statua a sua immagine e somiglianza, ripreso in una posa che esprimesse
al
meglio il proprio potere ora in frantumi, dallo sguardo assente intento
a
scrutare un orizzonte vuoto e monotono nel mentre che la neve
continuava a
posarsi sulla sua figura fredda e immobile. Megatron era morto e non
sarebbe
più tornato indietro per lei, per suo figlio, o per chiunque
altro avesse
invocato il suo nome preda della disperazione più cieca.
Finalmente,
da quando era cominciato quell’incubo, Natah
realizzò di essere rimasta davvero
sola. Assimilando quel lutto che
aveva bruscamente ignorato per giorni, da quando le era giunta notizia
della
sua morte per mano dei canali autobot, decisa ad attuare il proprio
piano in
barba a quello che il suo stesso compagno le aveva consigliato
– fonte questo
di diverse litigate prima del fattaccio che aveva portato il loro
nucleo
familiare a disintegrarsi – ora avvertiva la propria
scintilla lacerarsi in un
dolore mai provato prima.
Aveva
voglia di piangere ma il gelo pungente trasformava le sue lacrime in
cristalli.
Aveva voglia di gridare ma il fastidio alla gola la portò
unicamente a
rantolare nell’atto di inginocchiarsi a terra di peso
continuando ad osservare
quella figura di pietra priva di vita che la ignorava volgendo il
proprio
sguardo altrove. Abbandonato lì dopo aver disertato nel
peggiore dei modi.
Megatron
era morto.
Lei
era sola.
E
i decepticons avevano rinnegato il loro stesso signore come fosse stata
spazzatura da buttare fuori dalla porta, lontana da sotto il loro naso
a causa
di un tanfo che potevano sentire solo loro.
Presa
dalla propria silenziosa disperazione quasi non si accorse dei pesanti
passi,
attutiti quel tanto che bastava dalla soffice neve, che si generarono
alle sue
spalle se non quando ormai erano prossimi a raggiungerla. Alle sue
spalle un
solo uomo attendeva che la femme si accorgesse di lui, ed ella se ne
accorse
ben presto trovandosi a chinare il capo sconfitta di fronte al futuro
che
l’attendeva.
Tarn
alla fine ci aveva giusto, e sbarazzarsi della statua del suo antico
signore –
un tempo posta nella hall della Paceful Tyranny, luogo di passaggio
obbligato a
tutti coloro che dovevano rendergli omaggio – era stata cosa
buona e giusta
visto che aveva salvato la vita di quell’incosciente ragazza.
Oltre quel
monolite granitico la strada sicura finiva, ed inizia un purgatorio
ignoto ai
più.
Aveva
voluto darle tempo di riflettere e di farle capire che non
c’era più scampo per
lei, che non c’era mai scampo dalla DJD, lasciandola al suo
dolore e ad una
comprensione che non tardò ad arrivare.
“Quindi…
è finita?”
Quella
parve più una domanda posta sulla sua condizione
anziché sullo stato di un
esercito ora non più allo sbaraglio ma comunque teso
– se non terrorizzato – di
fronte ad un nuovo signore dalla fama di macellaio invasato. Ignorava
ancora
che il diritto di rivendicazione mosso da Tarn comprendeva anche la sua
esistenza e quella del futuro erede di Megatron, facendola sua di
diritto così
come ogni altro bene appartenuto un tempo all’ex signore
della guerra.
“Si…
è finita” fece finalmente lui, compiendo gli
ultimi passi che lo separavano
dalla seeker e piegando un ginocchio a terra per poterle venire
incontro “ora
torniamo a casa… Stare
qui fuori,
nelle tue condizioni, può essere rischioso”
Anche
se sorpresa da parole tutto sommato confortanti la nobile prese
comunque con
riluttanza la mano che l’inquisitore le porse per aiutarla a
mettersi in piedi,
prima di essere presa in braccio con facilità disarmante per
facilitare un
rientro tutt’altro che sereno verso quella che da ora in
avanti avrebbe dovuto
chiamare “casa”.
[…]
Una
volta rientrati nell’incrociatore degli esecutori la vita
aveva ripreso a
scorrere già da un’ora. Sempre molto mattinieri i
soldati decepticon si erano
messi a svolgere le loro solite incombenze subito dopo colazione, a
questo giro
davvero buona in quanto finalmente possedevano una cuoca a dir poco
eccezionale, ma almeno tre di loro stavano trasgredendo a quella
basilare
routine per cercare di origliare alla porta degli appartamenti del loro
grande
capo.
Appena
giunto alla Paceful Tyranny aveva ben voluto farsi vedere dai suoi
uomini in
compagnia della loro nuova ospite, ed una volta varcate le soglie delle
sue
stanze personali non si era più fatto ne vedere e neppure
sentire. Un
atteggiamento questo troppo sospetto per non attirare chiacchiere
più o meno
innocue, al limite del pettegolezzo, visto e considerato che la ragazza
non era
affatto di aspetto sgradevole ed era a tutti gli effetti la vedova di
Megatron.
“Saranno
chiusi li dentro da ormai un’ora”
borbottò Helex, massaggiandosi il mento con
una grande mano “Tarn non ci ha detto una parola e
francamente non so se sia il
caso di restarcene qui…”
“Magari
sarebbe il caso di tornare a svolgere le nostre faccende
quotidiane” fece
Tesarus, scrollando le spalle abbastanza seccato di tutto quel
sensazionalismo
“se ha voglia di connettersi con quella ragazzina dove sta il
problema? Ne ha
tutto il diritto in effetti”
Per
forza di cose la dichiarazione registrata di Tarn venne indirizzata
anche nei
loro canali radio ufficiali, pertanto la prima cosa che potevano
sentire appena
accesa la radio al mattino era quella noiosa dichiarazione sul fatto
che ora a
comandare la baracca erano essenzialmente loro. O meglio, il loro
inquisitore
capo.
Non
che al gigantesco demolitore importava, così come poco gli
importava della ragazzina
che ora si trovavano a bordo, in quanto ciò che contava
maggiormente era che
potessero continuare a fare il loro violento mestiere
anziché mettersi a
raccogliere margherite.
Di
tutt’altro parere pareva essere invece il tecnico di bordo,
ossia Kaon, intento
a schiacciare i propri recettori uditivi contro la spessa porta
metallica di
fronte a lui cercando disperatamente di captare qualche discorso che
fosse uno.
O anche qualcos’altro di più torbido, se gli fosse
stato possibile ascoltare.
“Oh,
andiamo ragazzi! Non siete anche voi curiosi di saperne qualcosa di
più sulla
nostra graziosa ospite? Scommetto che conosce un sacco di aneddoti
riguardanti
il defunto Meg-Ahh! N-nonna?! Che
cosa ci fai qu-”
Poco
ci mancò che il mech dalle cromature rosse e oro si
ritrovasse a faccia a terra
quando le porte scorrevoli degli appartamenti di Tarn si aprirono
all’improvviso, rivelando le voluminose forme
dell’anziana levatrice di
Shockwave.
La
donna, inespressiva come suo solito, teneva tra le mani un vassoio in
metallo
ormai vuoto – e se fossero stati più attenti
avrebbero anche saputo che la
femme era giunta in quelle stanze ancor prima di Tarn, per stesso
ordine
dell’inquisitore capo – che con sfacciataggine
criminale decise di utilizzare
proprio sul volto di quel nipote acquisito intenzionato a farsi gli
affari
degli altri anziché i propri. Il colpo fu tanto potente
quanto rumoroso,
arrivando a deformare la superficie piana dell’artefatto
quando andò a colpire
la guancia destra di Kaon – a dimostrazione che la vecchia
decepticon
continuava a possedere una forza tale da non essere sottovalutata
– tanto da
far perdere immediatamente i sensi alla sua povera vittima.
“Nonna!
Ma che diavolo!!”
Il
commento di puro stupore da parte di Helex coincise nel momento esatto
in cui
il povero tecnico cadde a terra svenuto, ricevendo tuttavia uno sguardo
freddo
come la morte da parte di una anziana poco disposta a vederli
bighellonare in
giro e origliare i fatti degli altri.
“mi…
mi sa tanto che Tarn si sia accorto che eravamo qui” fece
quindi Tess, facendo
un passo indietro nel mentre che osservava la ciclope prendere per una
caviglia
lo sfortunato collega di lavoro ancora esamine “meglio
tornare alle nostre
faccende!”
Decisero
di allontanarsi da lì in tutta fretta, non curandosi del
fatto che la vecchia
pazza stava comunque portando il malcapitato inquisitore verso
l’infermeria
della piccola dottoressa affinché si desse quanto prima una
svegliata.
[…]
Quello
che i suoi sottoposti non potevano sapere era che Tarn, prima ancora di
salire
a bordo della propria nave, aveva contattato via comm-link
l’anziana ciclope
per impartirle l’ordine di allestire una stanza per miss Natah nei suoi ampi appartamenti.
Il
mech era solito usare si e no tre delle stanze presenti nei suoi
quartieri –
compresa, oltre la sua camera da letto, anche uno studio ed un piccolo
“museo”
dove conservava i cimeli più esotici
appartenuti un tempo al suo defunto signore – mentre le altre
cinque restavano
tristemente vuote fatta eccezione per il bagno padronale con tanto di
vasca per
un rilassante bagno d’olio. Una buona occasione quindi per
mettere a suo agio
la vedova di Megatron, quel tanto che bastava da darle l’idea
di essere la
benvenuta a bordo. Ma allo stesso tempo cosciente di essere sotto
l’occhio
vigile del suo nuovo signore, indisposto a farla volare via dai propri
artigli.
“Questa
sarà la tua stanza d’ora in avanti. È
ancora molto spartana ma…”
“Va
benissimo così. Ringrazio entrambi per
l’ospitalità”
Seduta
su quella che da quel giorno in avanti sarebbe stata la sua cuccetta la
ragazza
osservò con aria stanca l’arredamento essenziale
della stanza in questione.
Oltre al letto era presente un armadio con all’interno alcune
coperte e una
scrivania su cui una anziana ciclope aveva appena disposto la colazione
per la
sua nuova ospite, il tutto in un ambiente ancora minimalista ma nulla
che non
potesse sopportare. In fin dei conti una volta lasciati gli agi della
villa di
suo padre aveva vissuto per diverso tempo nel sottoscala della
biblioteca in
cui lavorava, prima di racimolare abbastanza per permettersi un
appartamento
tutto suo, quindi ad una vita semplice era abituata.
Ma
oltre a questo, Tarn confidava che la ragazza fosse stata educata da
buona
caminoana alle sue regole non poi così diverse da quelle
scritte in Towards
Peace. Per quanto potesse sembrare una società tranquilla e
amante della pace
era risaputo che ancora oggi su Caminos fossero seguite regole
piuttosto medioevali per quanto
concerne la vita
privata dei nobili più che delle persone comuni al loro
servizio.
E
il tanto discusso diritto di rivendicazione esisteva in forma simile
anche su
quel pianeta di rammolliti… quindi, magari,
Natah non avrebbe fatto troppe storie sul fatto che fosse lui ora il
suo nuovo
“compagno”. Ma di questo c’era tempo per
parlarne in diversa sede, comprendendo
perfettamente che ora la femme era troppo stravolta per sostenere un
colloquio.
“per
oggi avrai la giornata libera, così come anche per le
prossime” fece lui,
estraendo da uno scomparto nascosto nel petto il registratore che gli
aveva
dato il suo ex leader “so che magari non è il
momento più opportuno per certe
cose, ma Megatron ci teneva davvero che venissi protetta da noi. A
costo di
dare la sua vita”
Le
consegnò lo strumento sul quale egli stesso aveva speso
giorni a memorizzare ogni
singolo dettaglio in video – ogni sua sillaba pronunciata
– notando per un
momento la sua espressione facciale confusa farsi più cupa
quando accese il
dispositivo riconoscendo il volto del suo estinto compagno.
A
quel punto la seeker non resse più, portandosi una mano alla
bocca nel
tentativo di frenare dei singhiozzi ormai fuori controllo colta da un
esaurimento che difficilmente l’anziana decepticon e il
padrone di casa
sarebbero riusciti a colmare al momento. La cosa migliore da fare era
di
lasciarla in pace con i suo dolore, in modo che potesse assimilarlo a
dovere
ora che aveva compreso che Megatron non c’era davvero
più, confidando che si
sarebbe ripresa il prima possibile da brava nobile qual era.
“Assicurati
che nessuno ci disturbi” fece Tarn alla ciclope, una volta
che furono usciti in
silenzio dalla camera della femme “sono sicuro che i miei
uomini non perderanno
tempo a curiosare, ma questa è davvero l’ultima
cosa di cui la ragazza ha
bisogno”
E
per una volta tanto, la vecchia megera fu soddisfatta di notare uno
slancio di
saggezza nel suo affascinante
comandante.
[…]
“Mi
chiedo a cosa possa servire tutto ciò…”
“A
pagare le riparazioni per il tetto di casa nostra, come prima cosa!
È risaputo
che questo genere di cose attiri più shanix che
babbei”
“La
tua risposta è… logica. Ma avrei gradito che
facessi tutto da sola”
L’atona
risposta di Shockwave in realtà nascondeva una certa noia
dovuta alle prodezze
giornaliere di sua sorella Shockblast e al suo volersi scattare foto
sexy da
postare sui suoi social network – cosa che lui avrebbe fatto
volentieri a meno –
piuttosto che mettersi a lavorare in laboratorio assieme a lui per
completare
diversi esperimenti lasciati incompiuti. Sul serio, sua sorella era una
donna
intelligente ma davvero alle volte non capiva perché
sprecare le proprie
potenzialità scientifiche per una effimera
notorietà basata sul poderoso
fondoschiena che ora stava
cercando di fotografare. E d’accordo che si trattava
certamente di una attività
più remunerativa rispetto che star dietro ad esperimenti
disgustosi – in fin
dei conti non aveva torto quando diceva che con quegli shanix si erano
sistemati la loro antica torre – ma vedere quelle due bocce gli veniva solo da sbuffare
seccato.
“anche
perché da protoforme ricordo
di aver scritto ‘carico pesante’ alle sue
spalle”
ricordò lui quasi con logico divertimento, ed ormai saturo
di una situazione
paradossale che lo aveva portato fino al salotto personale di sua
sorella.
Supina
su di un tappeto, e con il suddetto fondoschiena slanciato verso
l’alto, la
bella ciclope iniziava a irritarsi di fronte alla reticenza del
fratello
maggiore. Tanto da sbuffare seccata e ricordargli il motivo per cui lo
aveva
convocato con così tanta urgenza.
“il
treppiede della fotocamera olografica è andato rotto! Quindi
o mi aiuti con
questa cosa oppure…”
“oppure
Whirl potrebbe prendere il mio posto”
Poteva
sembrare alquanto strano che loro cugino – tra
l’altro facente parte degli
autobots e questo non era un particolare da trascurare –
gironzolasse ancora
per la loro torre… e difatti se l’era chiesto
persino il padrone di casa neanche
ventiquattro ore dopo che la sua festa nuziale era finita in malora.
Poco tempo
dopo si era ripresentato alla loro porta con una motivazione alquanto
vaga, riguardante
il fatto che voleva saperne di più sulla sorte della sua
adorata nonnina, piuttosto
indisposto a fornire dettagli cruciali sul reale motivo che
l’avevano spinto a
prendersi un altro permesso premio dai suoi superiori. Male che vada
Shockwave
lo avrebbe silurato sui due piedi nel caso avesse iniziato a
manifestare
cattive intenzioni, e comunque si trattava di un parente di primo grado
a cui
nonna voleva bene.
La
verità ovviamente la conosceva solo il ciclopico autobot, e
più che ottenere un
permesso per motivi familiari – che difficilmente avrebbe
ottenuto – era fuggito
a gambe levate dopo aver causato un possibile casino sulla nave su cui
viaggiava. E di quel casino ben se ne ricordò quando vide
l’adorata cugina
inginocchiata a terra e con quel suo culo che non aspettava altro che
pinzettato da lui… ma sapeva che non era quello il momento,
e ciò che riusciva
a fare al momento era restarsene imbambolato di fronte alla porta di
ingresso.
“Ehm,
siete sicuri che io possa andare bene per…”
“purchè
mi fai queste benedette foto, Whirl! Iniziano a farmi male le
ginocchia”
La
verità era che il pessimo soldato aveva cercato asilo dai
suoi discutibili
cugini dopo che aveva colto con le mani nel sacco quel piccolo ingrato
di Tailgate chattare con la bella
Shockblast su argomenti che un fottuto minicon non doveva decisamente
affrontare con un transformers più grande di lui di almeno
due taglie! Pertanto
le legnate che ne conseguirono, reso pazzo da una gelosia che non
credeva
neppure sua e convinto di salvare così l’onore
della bella femme, furono così
forti e violente da mandare lo sfortunato nano in coma in infermeria e
lui in
fuga per forza di cose.
Whirl
ovviamente non poteva sapere che la cugina adorava i mech di taglia
esile e i
minicon – rispetto a molte sue coetanee che sbavavano per il
cybertroiano più
massiccio in circolazione – trovando questi ultimi davvero
tanto carini e iniziando per questo
a flirtare
con uno dei suoi affezionati ammiratori che ben apprezzavano le sue
foto.
“bè
allora mi metto subito all’opera… però
credo che verranno un po’ alla cazzo,
eheh!”
L’idea
di tirare fuori suddetto arnese era una grande tentazione, ma Whirl
restava
comunque un signore e dunque sarebbe sicuramente riuscito a scaricare
una certa
tensione più tardi. Di tutt’altro parere invece
parve essere Shockwave, che
tosto si allontanò da quella stanza una volta consegnata la
macchina
fotografica nelle “mani” del cugino. Il ciclope
dall’armatura viola aveva ben
altro a cui pensare, conscio del fatto che aveva una anziana parente in
mano al
nuovo despota dei decepticons – si, la registrazione di Tarn
aveva raggiunto
anche lui – e una moglie che ancora non riusciva a toccare,
pertanto l’unica
cosa che riusciva a rasserenarlo un po’ era stare dietro ai
suoi esperimenti
incompiuti e portare pazienza.
Tuttavia,
neanche il tempo di un paio di scatti fotogenici, qualcosa
riportò lo
scienziato ciclopico sui suoi passi dopo quelli che erano stati si e no
cinque
minuti di assenza dalle stanze di sua sorella. Portando i presenti ad
allarmarsi e non di poco.
“Uh?
Fratello, che succede?!”
Shockblast
capiva sempre subito quando c’era qualcosa che turbava suo
fratello maggiore,
tanto da mettersi immediatamente in piedi nel momento esatto in cui
entrò in
tutta fretta in stanza dirigendosi insolitamente al mobiletto degli
alcoolici.
Era
successo qualcosa in quei pochi minuti di assenza. Qualcosa che aveva a
che
fare con una chiamata d’urgenza a cui lui aveva risposto e
che ora lo stava
spingendo a doversi riempire un bicchiere di cristallo per sbollire i
nervi e
non avere voglia di spaccare tutto e tutti.
“Si
tratta della DJD, cara sorella” fece finalmente lui, una
volta che finì di
sorseggiare tutto d’un fiato il liquore all’energon
che aveva scelto “hanno
detto che verranno da noi tra cinque giorni e di tenerci
pronti… qualunque cosa
voglia dire questa frase”
|
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Capitolo 8 *** non sei la benvenuta ***
Ormai
erano giorni che se ne rimaneva chiusa in camera avvolta da coperte
confortevoli
e accudita come una malata
dall’anziana
ciclope che si premurava di portarle almeno quattro pasti al giorno,
donna
alquanto gentile e premurosa doveva riconoscerglielo, tutti
rigorosamente
abbondanti a causa del suo stato interessante. Poteva essere anche una
situazione comoda, di riposo assoluto accudita da servitori
accondiscendenti,
se non fosse che aveva speso quei giorni a struggersi nel poco sonno e
nei
dolori di pancia causati da un dolore lacerante trattenuto fino a quel
momento.
Aveva
consumato il video nel riproduttore che le aveva donato il comandante
della
nave fino allo sfinimento, imparando a memoria le parole del suo
compagno
estinto e soffermandosi su alcuni punti a suo dire importanti. Si era
messo a
registrare quel video a sua insaputa – al culmine di una loro
discussione
abbastanza sofferta – nonostante Natah si fosse espressa in
senso negativo a
tutto quel suo piano con annesso sacrificio finale, ma neppure lei alla
fine
era riuscita a lenire quelle ferite che Megatron si portava dietro da
eoni.
Il
fatto di essere riuscita a portarlo dalla parte degli autobots era in
realtà
qualcosa a cui lo stesso Megatron anelava da tempo, ormai stanco di un
esercito
che non rispecchiava più gli ideali che lo avevano portato a
creare la propria
rivoluzione millenni addietro, conscio che ora fossero i suoi antichi
nemici a
rappresentare ciò che avrebbe dovuto essere lui. E invece
era diventato come
gli antichi senatori di Cybertron, proprio coloro a cui aveva
dichiarato guerra
nel nome di un popolo esasperato, tiranno sanguinario che non conosceva
più la
compassione.
Le
parti si erano invertite, così come la storia era sempre
destinata a ripetersi,
vedendo in suo figlio una possibilità di riscatto personale
e di rinascita per
il suo popolo così marcio da essere ormai divenuto
ingestibile persino per il
suo stesso signore.
Una
purga che gli sarebbe costata del tutto, a partire dalla sua stessa
vita, ma
quando Megatron si impuntava con un piano – anche dalle tinte
suicide – era
disposto a tutto pur di portarlo a termine. Compreso passare anche sui
sentimenti delle persone che lo amavano.
“ti
amo, ma proprio per questo se
voglio darti un futuro a te e nostro figlio devo porre fine alla mia
vita”
Queste
furono le sue testuali parole al culmine di una loro discussione
sofferta ma
necessaria, e per quanto all’epoca le parve impossibile
comprendere un simile
atteggiamento nichilista ora – con il passare dei giorni
– stava iniziando a
comprenderlo meglio nel suo disegno più nitido.
In
cuor suo sapeva che non sarebbe mai durata a lungo con lui, che non
sarebbero
mai potuti essere felici e contenti come nelle fiabe che suo padre le
leggeva
da bambina – una delle rare volte in cui aveva una
interazione normale con lui,
come un qualsiasi genitore e figlia – ma aveva sempre cercato
di sfruttare al
meglio il tempo loro concessogli. Ciò che Megatron premeva
era che la sua
compagna e suo figlio non subissero il marchio dell’infamia
costante –
imparentati con un uomo sanguinario che aveva tradito il suo stesso
esercito,
con il costante rischio di essere oltremodo scoperti se qualcuno li
avesse
traditi parlando di loro – ma che, invece, diventassero i
futuri signori di un
mondo nuovo. Probabilmente se non fosse morto per mano del suo stesso
boia non
avrebbe sortito l’effetto che desiderava –
lasciando compagna e figlio a rango
di reietti e un esercito allo sbando – ma necessitava di lui,
di Tarn, affinché
potesse usare per l’ultima volta quel timore reverenziale che
il suo potere
aveva generato nei secoli come collante del proprio popolo esausto. La
paura
che Tarn e il suo gruppo generava nelle masse come un collante
efficace, fino
al passaggio di potere a chi ne era predestinato per nascita.
Il
punto era: come avrebbe preso quella notizia il capo inquisitore?
Avrebbe
accettato di essere ancora una volta la pedina di un lord dalla mente
diabolica? Avrebbe messo in atto la purga estrema che Megatron
desiderava? Era
pur vero che tutto il piano del suo defunto compagno era molto basato
sulla
teoria che su fatti veri e propri.
Il
padre di suo figlio aveva avuto modo diverse volte di parlarle del suo
boia
preferito, di come lo aveva influenzato e modellato come creata sotto
le sue
mani, e di come lo conoscesse bene e fosse – purtroppo
contrariamente a quello
che pensava Tarn – un libro aperto dannatamente prevedibile
quando si trattava
di intuirne le mosse.
La
ragazza tuttavia – ora seduta sul bordo della propria
cuccetta a rimuginare su
quei foschi pensieri – ignorava come questo pozzo di
prevedibilità fosse stato
a un passo da reciderle la scintilla, segno che poi non era
così tanto
prevedibile, ma Megatron era sicuro che un uomo così privo
di ambizioni e
impregnato di sola ideologia religiosa avrebbe sicuramente fatto
ciò che il
leader dei decepticons non era riuscito a fare.
Fare
pulizia all’interno delle sue file – la mossa di
disertare avrebbe fatto uscire
allo scoperto il marcio in maniera più plateale –e
riunificare coloro che si
erano allontanati con il marchio della sconfitta. E Deathsaurus non
avrebbe mai
concesso parola al leader dei decepticons finché questi
fosse rimasto in vita,
tanto più che restava comunque un valido candidato alla
successione al trono.
Natah
si chiese per forza di cose se il suo defunto compagno si aspettava che
Tarn
prendesse il potere così facilmente – impossibile
non notarlo visto che aveva
ufficializzato la cosa tramite canale audio, e la stessa vecchia
ciclope le
aveva fatto ascoltare quella registrazione – avente magari
voglia di
sperimentare le gioie di un comando senza limiti, e si chiese con ben
più preoccupazione
se prima o poi avesse preteso di condividere con lei ben
altro oltre che una
semplice stanza gentilmente concessale dal comandante in persona.
“Che
schifo…”
Mormorò
quelle parole a denti stretti, stringendosi in un abbraccio personale
per cercare
di mitigare dei brividi poco piacevoli non dissimili
dall’angoscia. L’idea che
l’assassino del suo uomo la toccasse la disgustava ad
oltranza – come era
naturale che fosse – ma quello che la disgustava
ulteriormente era la facilità,
per lei, con cui stava incassando quel lutto mettendoci una pietra
sopra.
L’educazione
da nobile schizzinosa che aveva ricevuto fin dall’infanzia
– dalle bacchettate
alle privazioni; dalla pseudo superiorità nei confronti dei
popolani alle
regole medioevali che comprendevano tutt’ora combattimenti al
singolar tenzone
– pur avendola ripudiata tutta la vita si stava facendo
sentire proprio in quel
momento. Una antica regola di Caminos prevedeva qualcosa di non
dissimile dal
“diritto di rivendicazione” emanato da Megatron
– anch’egli cresciuto in un
ambiente militare e pieno di regole – ove il vincitore di un
duello d’onore
poteva reclamare il proprio diritto su ciò che
più lo aggradava. Il più delle
volte le dispute combattute in tal modo nel suo pianeta natale
riguardavo gli
altezzosi nobili, e più precisamente erano spesso duelli di
natura passionale o
per vendicarsi di un torto subito. Persino una sua zia materna era
passata per
un simile trattamento, arrivando a sposare l’assassino del
suo precedente
marito, ma ciò non toglieva che la giovane femme provasse un
certo disgusto per
se stessa per il modo in cui ora trovasse “normale”
una cosa del genere.
Aveva
cercato in tutti i modi di evitare che il piano di Megatron si
compisse, presa
dall’istintivo senso di protezione nei confronti di un figlio
non ancora nato,
aveva lavorato sottobanco ad un piano veloce per scappare da
responsabilità che
neanche voleva. Ma quello era il suo uomo – quello era
Megatron, e sarebbe
arrivato a lei anche da morto – e come sua compagna aveva
dimostrato di non
voler più scappare nel momento esatto in cui aveva deciso di
stare con lui.
Se
doveva quindi far parte di tutto quel piano contorto non aveva
intenzione di
farlo nel silenzio di una schiava spacciata per ospite ma come la madre
di
quello che in futuro sarebbe dovuto diventare il capo di un intero
regno. Era
un suo sacrosanto diritto avere almeno una voce in capitolo
sull’educazione
futura di suo figlio, indisposta a lasciarlo sguazzare nella
più torbida
ideologia decepticon come quel fondamentalista di Tarn, ed era ora
intenzionata
a parlare di questo al lord inquisitore.
Posò
il registratore di Megatron all’interno di un cassetto del
comodino accanto
alla sua cuccetta – in un silenzioso gesto di addio al
proprio amato compagno.
Nel bene e nel male – e decise di alzare i tacchi da quegli
appartamenti
raggiungendo in breve tempo il corridoio principale.
Sapeva
che il suo comandante era fuori dalla propria stanza – stava
fuori tutto il
giorno e rientrava a sera tardi, i suoi passi pesanti erano difficili
da non
captare – pertanto la prima cosa da fare era magari cercarlo
nei luoghi
pubblici della nave… se solo avesse saputo dove fossero!
L’incrociatore
della DJD era semplicemente enorme, e come se no bastasse sembrava che
agli
inquisitori non servissero cartelli o targhe che indicassero i luoghi
di interesse
in quella che era la loro base mobile. Bastavano giusto le targhette o
le
insegne luminose sopra le porte di riferimento, ma per il resto non una
freccia
che le indicasse la via… rischiando così di
finire chissà dove se avesse fatto
troppi passi al di fuori dei propri appartamenti.
Tuttavia,
tra le ombre di quel corridoio mal illuminato, la
“fortuna” accorse in aiuto
della seeker quando da una porta ne uscì trafilato un
individuo alto quanto lei
– sugli otto metri circa – dall’armatura
rossa e dalle voluminose antenne tesla
che gli spuntavano curiosamente dalle spalle. E se quello poteva essere
un
particolare estetico insolito, il suo sguardo inesistente –
sostituito da due
orbite nere al posto degli occhi – la portò
momentaneamente a congelarsi quanto
l’esecutore decepticon si accorse di lei allargando il
proprio sorriso a
trentadue denti.
“Ehi…
ciao! Finalmente che ti vedo in piedi! allora… come stai
oggi? Necessiti di
qualcosa o stai solo facendo una passeggiata? Possibilmente non da
sola…?”
Quell’ultima
domanda fuoriuscì in modo più attenuato rispetto
alla raffica di domande
precedenti, quasi come se fosse timoroso di ricevere un secco
“no” da parte
della bella femme, e per quanto la diretta interessata non fosse
propriamente
d’accordo ad avere tra i piedi uno di quegli assassini sapeva
bene che forse
non era il caso di dargli il due di picche al primo appuntamento.
“io…
si, forse potreste essermi di aiuto signor…?”
“oh,
puoi darmi del tu, quindi chiamami pure Kaon e basta. Sono il tecnico
della
squadra, e sono al tuo completo
servizio”
“Kaon…
perfetto…” proprio non ce la fece a sorridergli di
rimando, ma accennò un
timido cenno di assenso con la testa “avrei effettivamente
bisogno di una mano,
in quanto non riesco a trovare il comandante della nave e avrei
necessità di
parlargli”
“bè,
se hai tanta voglia di parlargli allora credo proprio che a
quest’ora si
troverà in cucina a cenare con il resto della
squadra… è proprio lì che sto
andando, quindi se vuoi ti ci accompagno”
In
un primo momento Natah non tenne conto del significato intrinseco di
quelle
parole – soffermandosi solo sulla posizione
dell’attuale signore dei
decepticons – ma poi si rese conto di come in quei giorni
avesse praticamente
perso, o quasi, il senso del tempo. Se non era per la vecchia ciclope
che le
allungava gentilmente i pasti forse avrebbe continuato a sguazzare nel
proprio
dolore come una ameba, fregandosene se fosse giorno o notte su una nave
di cui
neppure sapeva se era ancora ancorata su Messatine oppure in viaggio
per lo
spazio siderale. Era chiaro che doveva riprendersi quanto prima.
“è
davvero già ora di cena…?
“quasi,
ma non ti preoccupare, ti accompagnerò io”
Dette
quelle parole l’esecutore chiacchierone decise di
trasformarsi sotto i suoi
occhi, deciso più che mai a fare il galante con la nuova
arrivata, lasciando
ben presto intuire alla seeker il perché di quelle strane
antenne sulle spalle.
E non si sentì più tranquilla nel vederlo nella
sua modalità veicolare.
“una
sedia…”
“elettrica? Si, lo so…
è una
trasformazione bizzarra ma dannatamente efficace, eheh!”
smise tuttavia di
ridere quando la vide fare un passo indietro dubbiosa “ehm,
comunque puoi stare
tranquilla! Non sia mai che faccia del male alla ragazza del
capo…”
“cosa?!
Io non-ehi!”
Quell’insinuazione
da parte del tecnico decepticon piacque decisamente poco alla nobile
caduta in
disgrazia, che trovò la cosa ben poco divertente per quanto
magari poteva
esserlo in una situazione normale, e trovò ancor meno
rilassante il modo in cui
quel soldato le tamponò le ginocchia per farla
così cadere sul proprio rigido
sedile.
Costretta
a seguire quell’angheria in silenzio – temendo una
ben peggiore reazione da
parte di quello squilibrato se lo avesse mandato al diavolo –
strinse i denti
cercando di mettersi comoda nel mentre che l’inquisitore
aumentava la propria
velocità.
“ma…
potevo camminare da sola!”
“si
ma è meglio non sforzare troppo una gamba operata da
poco!”
La
sua voce si fece leggermente stridula nel pronunciare quelle parole,
come se
neppure lui credeva a quanto detto, dando una netta schiacciata sul
pedale
dell’acceleratore per superare una scusa patetica ancor prima
di una strada
scarsamente illuminata.
[…]
Come
ogni incrociatore che si rispetti anche la Paceful Tyranny possedeva
una sala
mensa degna di rispetto – dopotutto poteva ospitare fino a
cinquemila uomini al
suo interno, quindi doveva pur avere lo spazio per sistemarli e
sfamarli – ma
per ovvie comodità tecniche la DJD preferiva mangiare
nell’intimità della
cucina di bordo.
In
passato i vari membri della squadra si erano dati il turno per quanto
riguarda
preparare da mangiare durante gli orari di pausa, ma per fortuna loro
da quando
avevano “reclutato” l’anziana levatrice
di Shockwave la qualità dei pasti era
nettamente migliorata così come, di conseguenza, anche
l’umore. Tuttavia, come
in una di quelle storie dai risvolti umoristici tetri,
l’alone di intimità
simile a quello che può essere definita una famiglia
disfunzionale venne
interrotta dall’arrivo di un ritardatario mancante al suo
consueto posto al
tavolo circolare. E quando Kaon varcò la soglia della
cucina, per forza di cosa
l’amabile chiacchiericcio si sostituì ad un gelo
imbarazzante. In quanto non
era affatto da solo come a suo solito, se si escludeva il fatto che era
spesso
in compagnia del suo cane bizzarro.
“ti
ringrazio per il passaggio, ma davvero non-”
“ah,
ma non preoccuparti… in fin dei conti sei nostra ospite,
giusto? Ohi, nonna! Prepara un
posto in più per
Natah”
Per
quanto l’entrata in scena fu plateale per la suddetta
ragazza, era chiaro anche
per lei che non fosse propriamente la benvenuta viste le occhiate
gelide e/o
indifferenti che subito si accollò come un sudario. Alcuni
dei mech presenti li
ricordava abbastanza vagamente, visti di sfuggita quando il comandante
della
DJD l’aveva scortata sulla nave, ma poteva comunque giurare a
se stessa che
quelle stesse occhiate critiche se le era addossate già
giorni prima di finire
dentro quella cucina.
Fu
quindi lesta a rimettersi in piedi da una sedia decisamente in
fibrillazione –
probabilmente Kaon aveva goduto più di tutti quel breve
tratto di strada –
lasciando che il suo accompagnatore si trasformasse e andasse a
prendere posto
al suo consueto schienale.
Fu
l’unica femme ad essere seduta al tavolo – una
minicon, da quello che poté
constare una seeker rigida dall’imbarazzo e dal timore, molto
probabilmente il
medico di bordo visti gli strumenti che ancora si portava appresso
– a prendere
l’iniziativa di scalare di posto una volta che
l’anziana ciclope trovò uno
sgabello per il nuovo ospite inaspettato. Il tutto nel gelido silenzio
di chi
sapeva di avere a che fare con un incomodo ancora poco gradito da
quella banda
di assassini legalizzati. Quasi le sembrò di vederla
sbuffare, ma se non altro
la piccola dottoressa ebbe la premura di lasciarle il posto accanto a
Tarn.
Seduta
tra il suo sire e il primo ufficiale medico la scongiurava da qualunque
cosa che
non fossero occhiate fredde e indifferenti, ma perlomeno le lingue dei
restanti
esecutori se ne sarebbero ben rimaste serrate nelle loro mascelle
intenti a
mangiare i manicaretti di “nonna”.
“mi
fa piacere vedere che stai meglio” spezzò il
silenzio Tarn, guardandola di
profilo e non venendo ricambiato “so per certo che nonna ti
abbia trattato più
che bene in questi giorni, ma non devi sentirti obbligata a cenare con
noi”
“no,
no… non è quello. Io…” per
un momento il coraggio le mancò, sentendosi davvero
piccola di fronte a quegli energumeni dall’aria truce
“ho pensato che fosse più
rispettoso sedermi a tavola con voi piuttosto che continuare a pensare
al
passato in camera mia… magari cercando di rendermi utile per
il gruppo, in
futuro”
Si
sentì letteralmente morire, ma fu comunque abbastanza
attenta dal non far
tremare troppo la voce mantenendo la schiena rigida e lo sguardo verso
il
comandante della nave, ignorando gli altri commensali in sala da brava
nobile
schizzinosa.
Il
gelo che fino a quel momento aveva accompagnato la sua entrata in scena
si
stemperò brevemente in una nuvola di stupore che si
sostituì poi in breve tempo,
la durata di un paio di pulsazioni della scintilla, al logico dubbio su
una
scelta simile da parte della nuova arrivata.
Alcuni
dei componenti della famelica squadra si dettero una occhiata piuttosto
accigliata – la stessa Nickel adocchiò Tarn per
capire se fosse effettivamente
d’accordo con una simile decisione repentina – ma
la risposta da parte di un
silenzioso leader non tardò ad arrivare.
“è…
una iniziativa lodevole da parte tua. E sono certo che riusciremo a
trovarti un
impiego qui sulla nave” se si era dimostrato sospettoso della
decisione della
giovane fu ben abile a tenerlo nascosto, merito anche della maschera
che gli
ricopriva il volto “penso che sarà il caso di
parlarne più tardi, magari nei
miei uffici. Ora mangia la tua portata prima che si raffreddi”
La
paternale coincise effettivamente con un abbondante piatto di cubetti
di
energon servitole sotto il naso proprio dalla cuoca di bordo,
lasciandola per
un momento interdetta tra la sensazione di essere stata umiliata dal
leader
della DJD a quella di non sapere se ringraziare il fato per essere
riuscita a
trovare uno spiraglio di sopravvivenza da una situazione di totale
soggiogazione. Se si fosse messa a fare qualche lavoro – tipo
mettersi a fare
l’archivista di bordo, dato che dubitava che qualcuno si
occupasse veramente
del registro contabilità – all’interno
della loro nave avrebbe avuto modo di
tenersi impegnata e farsi una idea di chi aveva attorno… e
magari risultare
meno di ingombro a gente abituata a fare ben altro che la balia a tempo
pieno.
Ma
cercare di fregarli e tentare di contattare gli autobots, di cui
comunque
faceva parte in modo formale, per essere salvata in grande stile non
era
esattamente nei suoi piani futuri. Avrebbe solo innalzato le basi per
una
inutile carneficina tra antichi avversari, cosa questa che anche il suo
defunto
compagno voleva evitare.
Quei
bastardi avevano già dimostrato di poter arrivare ovunque
per ottenere quello
che volevano, di poter ammazzare chiunque senza troppa
difficoltà, e
attualmente in grembo portava una scintilla di vita che necessitava di
tutti i
nutrimenti necessari per crescere forte e sana e nascere quindi il
prima
possibile. Se non si fosse alimentata adeguatamente probabilmente il
figlio di
Megatron sarebbe venuto al mondo dopo secoli – a causa di una
stasi
naturalmente indotta – mentre con nonna e le sue premurose
cure a quanto pare
il futuro erede al trono si sarebbe affacciato alla vita nel giro di
pochi
mesi.
Concesse
un timido assenso di ringraziamento all’anziana decepticon, e
si apprestò a
mangiare la propria portata anche se aveva la bocca dello stomaco
chiusa dalla
troppa tensione.
[…]
“ma
quest’uomo ha almeno una stanza
normale?!”
La
domanda che si pose mentalmente era effettivamente d’obbligo,
perché la
sventurata femme non aveva ancora avuto il piacere di visitare
l’ufficio
principale di Tarn e visitare quindi la sua principale collezione di
cimeli
collegata al defunto lord Megatron. Con tutta probabilità
era sua volontà
metterla ancor più in soggezione con quella raccolta di
macabri trofei – i
sensori sgranati di Natah non potevano fare a meno di osservare con un
certo
terrore i corpi svuotati di minatori deceduti da secoli e appesi alle
pareti
come animali imbalsamati – e purtroppo per lei ci stava
riuscendo pienamente, forse
non del tutto convinto dalle possibili buone intenzioni di una seeker
sua
prigioniera. Trovando comunque giusto istruirla su quelle orribili
reliquie.
“li
trovi interessanti? Sono minatori morti su Messatine durante il periodo
di
detenzione di Megatron… quando uno dei prigionieri moriva
veniva rispedito su
Cybertron, e furono usati per portare la parola del tuo compagno
ovunque sul
pianeta” aprì come se nulla fosse un mobiletto a
ridosso di un muro e ne
estrasse due bicchieri e una bottiglia di energon raffinato ma non
alcoolico,
volendo dare ospitalità a quel modo ad una ragazza
visibilmente scossa
“venivano scritti messaggi nelle loro viscere,
così che le guardie non lo
scoprissero…”
“lasciando
poi il compito alle spie su Cybertron di ricopiarli e pubblicarli in
rete.
Conosco questa storia m-ma… era davvero necessario
appenderli alle pareti come…
oggetti?”
lo
disse sorseggiando lentamente il cubo di energon che le era stato
appena
offerto dal padrone di casa, senza quasi neppure rendersene conto, non
riuscendo comunque a staccare gli occhi da quello spettacolo tanto
macabro
quanto esotico. Come aveva fatto notare al lord inquisitore conosceva
già
quella storia per bocca dello stesso Megatron, forse una delle sue
storie più
tetre e disperate, rimanendone comunque affascinata nel suo orrore
– come un
bambino di fronte al nonno e ai suoi racconti di guerra – e
tuttavia ritrovarsi
sconvolta nel vederli appesi come semplici oggetti di arredamento senza
vita. Era in effetti tutta un’altra
faccenda.
“Non
c’è nulla di cui tu debba preoccuparti. Una volta
morti le parti decomponibili
sono state rimosse e di loro sono rimaste solo le armature…
quindi è come
vedere delle statue ad adornare le pareti”
Se
la cena era stata comunque imbarazzante – consumata in un
silenzio tombale e
accompagnata da sguardi poco amichevoli e indifferenti (se si escludeva
Kaon e
il suo “sguardo” trasognante) – quel
colloquio privato poteva essere
considerato la ciliegina sulla torta di non
benvenuto ad una ospite ancora poco gradita. Dopotutto nella DJD vigeva
un
principio di meritocrazia introdotto ancor prima dell’arrivo
di Tarn, ma
comunque ampliato da quest’ultimo da una noiosa burocrazia, e
dover far da
balia alla donna di un traditore non poteva certamente significare
ottenere una
immeritata simpatia.
“bando
a convenevoli vari, da quello che ho capito hai intenzione di fare la
tua parte
nel gruppo… lodevole iniziativa, perché qui
ognuno deve fare la propria parte
come avrai già intuito, ma qualunque cosa tu abbia in mente
mi auguro solo che
non possa mettere in pericolo la salute tua e quella di tuo
figlio”
“Cosa…?
No! Certo che no,
io…” si ritrovò a
deglutire dolorosamente quando si accorse di aver istintivamente alzato
la voce
contro il proprio attuale signore “quando ho lasciato la casa
di mio padre ho
cominciato a lavorare come archivista nella biblioteca di quartiere,
quindi ho
pensato di offrirmi per assistervi al registro contabilità o
nella burocrazia
da sbrigare… se ne avete”
Lasciò
morire lì la propria proposta non vedendolo muoversi o
accennare un cenno di
consenso con la testa, trovandosi per questo a distogliere lo sguardo
scontenta
da due sensori ottici piuttosto statici se non addirittura stupiti per le parole della giovane.
Non
è che Tarn non le credesse, al contrario, solo che era
genuinamente sorpreso di
sapere che una nobile come lei avesse intrapreso la via della
normalità con un
lavoro da comune mortale che non prevedesse avere in giro troppe
persone. Una
normalità cercata al di fuori delle ricca mura domestiche
significava solo una
cosa: che con tutta probabilità Tesarus aveva ragione a
sospettare che la
ragazza non si trovasse più bene con il padre Attilus,
soprattutto se di mezzo
c’era una relazione con un uomo non propriamente normale come
poteva esserlo
Megatron.
Aveva
molte domande che avrebbe dovuto farle nei giusti tempi e nei giusti
modi… ma
per quella sera bastava semplicemente ricordarle il suo posto, oltre
che
accontentarla in quella sua insolita richiesta.
“in
effetti una mano in più sulla nave non guasterebbe, e
avremmo proprio bisogno
di cominciare a fare un inventario delle nostre scorte in
magazzino” andò a
frugare in un archivio metallico e ne estrasse un datapad che porse
alla
propria graziosa ospite, come suo primo oggetto di lavoro per
contribuire alla
loro causa “potrai incominciare da dopodomani, questo
sarà il tuo strumento di
lavoro principale, per ora puoi semplicemente riposarti
perché sarà ancora un
lungo viaggio e ci aspetterà una giornata piuttosto
impegnativa domani”
La
ragazza aveva intuito che si erano messi in viaggio probabilmente da
qualche
giorno se non forse da meno – magari erano partiti quel
pomeriggio stesso –
osservando il vuoto cosmico presente dai pochi oblò sullo
scafo dell’incrociatore.
Ma la meta finale onestamente la incuriosiva e preoccupava al tempo
stesso,
pregando mentalmente che non si stessero dirigendo a fare massacro di
apostati
e che lei fosse in qualche modo costretta a guardare quello schifo.
“Dove…
dove siamo diretti?”
“Alla
torre di Shockwave per essere precisi, ma non hai nulla di cui temere.
Si
tratta solo di sbrigare alcune faccende burocratiche… e
cercare di contattare
gli ufficiali che mancano all’appello. Ci aspetta una lunga
giornata domani,
quindi vai a riposarti. Avremo modo nelle future serate di parlare con
più
tranquillità”
A
quanto pare pure lui aveva intuito la volontà della seeker
di ampliare
maggiormente i loro colloqui – oppure egli stesso era
semplicemente interessato
a conoscere meglio la compagna del suo ex padrone – ma era
chiaro che quella
povera ragazza si era caricata di troppe emozioni per quella sera. E la
stessa
Natah non poteva che essere d’accordo sull’andare a
dormire e scrollarsi di
dosso il disagio di essere in quella stanza degli orrori in compagnia
del
peggiore degli aguzzini, ritrovandosi per questo ad accennargli il
proprio
assenso con la testa. Ma perlomeno, stando alle parole del lord
inquisitore, il
voler contattare i suoi ufficiali – e quindi magari cercare
un modo di
contattare proprio quel Deathsaurus scomparso dai radar da tempo
– poteva
essere riconducibile a quanto pronosticato da Megatron tempo addietro.
Forse
era davvero prevedibile come il suo estinto compagno le aveva
detto…
[…]
Dopo
mangiato i restanti membri della squadra erano soliti passare un
po’ di tempo
assieme nella sala ricreativa dell’incrociatore, tra
chiacchiere a voce alta –
causata dall’assunzione di qualche distillato di energon
alcoolico – e giochi
da tavolo ormai datati. Spesso semplici costruzioni da buttare
giù con una
manata poco delicata, quindi poco importava se qualche pezzo andava a
perdersi
tra i meandri della stanza, ma era comunque un buon modo per scaricare
la
tensione di una giornata di lavoro sempre e comunque pesante. Anche se
l’argomento di quella sera era solo uno e forse non
propriamente piacevole,
anche se era impossibile non parlarne.
“Ragazzi
voglio essere onesto: credo di non aver mai avuto una ragazza
così bella che
appoggiasse le sue chiappe sul mio pacco! È stato
bellissimo”
L’entusiasmo
di Kaon non era esattamente condiviso da molti dei suoi compagni di
squadra –
tutti seduti al tavolo circolare degustandosi alcool un bicchierino
dopo
l’altro – ma nessuno era così di cattivo
umore da iniziare una litigata vera e
propria.
“Kaon,
proprio non capisco… hai già nonna che dorme con
te, perché senti il bisogno di
guardare le altre ragazze?!”
La
cinica battuta fuoriuscì dalle tremolanti labbra di un
divertito Helex,
nell’atto di aiutare il proprio compare Tesarus a costruire
una indefinita
struttura metallica con dei bastoncini fatti di medesimo materiale. Ma
il
risultato fu solo di far stizzire il tecnico decepticon, aumentando
l’ilarità
del gruppo.
“guarda
che non dormiamo assieme! Il fatto che per punizione debba tenermela in
camera
significa solo che lei occupa la cuccetta e io me ne resto sulla mia
comodissima
poltrona da gaming!”
Come
era logico che fosse era ovvio che Tarn finì comunque per
punire quel membro
del gruppo disattento e dal vizietto facile sobbarcandogli la
responsabilità di
badare all’accoglienza di quell’ospite inaspettato
a bordo, perché per quanto
Kaon avesse assicurato al gruppo un’ottima governante e una
chiave di accesso
sicura alla torre del ciclopico Shockwave aveva comunque compiuto una
azione
sbagliata per di più non informando assolutamente il proprio
comandante.
“Oh,
andiamo! Davvero devo
sobbarcarmi quella… quella cosa, in
camera mia?!”
“Davvero
vuoi sapere quale
alternativa potresti avere, Kaon?”
Tarn
sapeva essere piuttosto convincente anche senza usare il proprio potere
da
outlier per sottomettere i propri uomini – cosa questa che
faceva comunque di
rado – ma a vedere i risultati di quell’insolita
convivenza sembrava che alla
fine il mech dall’armatura rossa aveva accettato velocemente
la presenza della
vecchia nella propria stanza personale. E questo per forza di cose
aveva
attirato certe chiacchiere di corridoio.
“bah,
vi gasate tanto per una ragazzina autobot senza ne arte ne
parte” si pronunciò
il massiccio Tess, ormai divenuto brillo “manco lo tiene
nascosto… lo tiene lì
in bella vista come a volerci provocare! Lo sa che siamo decepticon,
vero?...
vero?”
“non
credo che lo faccia apposta” si fece sentire Nickel, unica
presenza femminile
nel gruppo e intenta a bere qualcosa di analcolico, trattenendosi dal
far
roteare i sensori ottici “semplicemente ha avuto altro a cui
pensare in questi
giorni… sai com’è, compagno morto,
figlio in arrivo, gente poco simpatica
attorno e-”
“attaccarsi
al cavo del capo come e quando vuole lui! Bwahahah!!”
La
volgare battuta di un brillo Helex coincise con il gesto di una delle
sue mani
più piccole di distruggere la fragile torre che lui e il suo
compagno di stanza
Tess avevano appena finito di costruire, facendo saltare uno dei pezzi
anche in
un’orbita vuota di Kaon che strillò di
conseguenza, fece capire alla piccola
dottoressa con disgusto che forse non era stata una buona idea passare
un po’ di
tempo con i ragazzi dopo cena. Di solito era una cosa che faceva
comunque
volentieri, ma vista la situazione attuale e tutti i casini avvenuti
– il loro
entusiasmo per il ritorno in carreggiata coincideva con una palpabile
tensione
che comunque dovevano pur scaricare in qualche modo – forse
era il caso di
lasciare quegli energumeni al loro brodo e rintanarsi nelle proprie
stanze a
leggersi qualche storia d’amore – di quelle melense
e piene di sconcezze – nel proprio
datapad personale.
“Tarn,
spero davvero tu sappia quello che stai facendo…”
Mormorò
la minicon, nell’atto di incamminarsi nei propri appartamenti.
[…]
L’unico
che aveva preferito restarsene fin da subito nei propri quartieri
– esclusa l’ora
di cena – fu l’asociale Vos decisamente preso dai
propri studi scientifici che
per un motivo o per l’altro non potevano aspettare.
Se
si escludeva l’inusuale presenza del cane
di Kaon ai suoi piedi intento a elemosinare qualcosa – forse
qualche mano
robotica da sgranocchiare sul tavolo da lavoro a cui stava operando lo
scienziato – si poteva dire che l’allampanato
individuo fosse accompagnato solo
dalle scarsi luci ambrate e dagi alambicchi ricolmi di sostanze ignote
ai più.
Il
perché quell’insolita bestia si spingesse fino ai
suoi locali rimaneva per lui
un mistero, forse inconsciamente “attratta” al
luogo di tortura in cui aveva
applicato le modifiche necessarie per la
“domesticazione” del suo predecessore –
scoperto essere una spia autobots all’interno della DJD
– ma quello fu comunque
un dettaglio che lo avrebbe comunque portato a sorridere se solo avesse
avuto
le labbra sotto la sua maschera metallica.
Decise
che per quella sera aveva comunque il suo lavoro da sbrigare e poco
tempo da
concedere a quella disgraziata creatura, lanciandogli quello che era un
dito
mozzato di una loro vecchia vittima – la cui designazione era
ormai andata
perduta da tempo – che il cane accettò tutto
contento prima di ritirarsi nelle
ombre. Quello che Vos aveva sotto il naso meritava tutta la sua
attenzione, e
forse anche quella di Shockwave quando domani sarebbero giunti alla sua
dimora.
In
due differenti cilindri di vetro aveva riversato
quell’insolita sostanza nera e
oleosa – simile per certi versi al bitume – che era
rimasta intaccata nel
polpaccio ferito della giovane femme, a causa di una medicazione poco
attenta
sulla stazione medica, e nelle nocche di una delle grandi mani di
Tesarus.
In
principio aveva dato per scontato che quella maleodorante sostanza
fosse
semplicemente sporcizia che i mortiliani si ritrovavano ad avere a
causa di una
scarsa igiene sacrificata letteralmente per una vita di preghiere e
mutilazioni, ma ad un esame più attento era saltato fuori
che la sua natura era
prettamente tecnorganica.
Così come
potrebbe essere un loro fluido corporeo – dal più
nobile al più intimo – quella
sostanza nera era una sorta di droga vivente sintetizzata in
chissà quale modo
e da chissà quale individuo con un potere simile.
Si… potere.
Perché
quella cosa era in qualche modo viva ancora adesso sebbene sempre
più debole e
poco reattiva alle sollecitazioni – iniziava praticamente ad
agitarsi se Vos
allungava le dita vicino al vetro – lasciando intendere che
solo un outlier poteva avere
l’innata di
secernere una simile sostanza che riuscisse a fare di più
che rendere pazzo chi
la assumeva… ma letteralmente ne soggiogava la
volontà rendendolo una
marionetta ambulante sia da viva che da morta. In
quell’ospedale maledetto lo
scienziato li aveva visti bene quei lunatici religiosi, implacabili e
assetati
di energon come sciacalli, pertanto era sicuro che le sue teorie non
fossero
semplici fantasie dettate da una mente ancora spaventata.
Aveva
bisogno di attrezzature più sofisticate, e ne aveva bisogno
quanto prima.
Alla
fine sono tornata ad aggiornare! Non ho lasciato morire questa serie,
ma per
motivi vari (lo confesso, principalmente di salute)
aggiornerò con tempi molto
lunghi, presumo. Vi chiedo scusa e portate pazienza.
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