Our sweetest songs - Songfics

di LilithMichaelis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Broken - Johnlock ***
Capitolo 2: *** No Time To Die - Sherlock Version ***
Capitolo 3: *** No Time To Die - John Version ***
Capitolo 4: *** The Only - Mystrade ***
Capitolo 5: *** I will go to you like the first snow - Mystrade ***
Capitolo 6: *** Melted - Eurus ***
Capitolo 7: *** All I Want - Johnlock ***
Capitolo 8: *** My Flower - Johnlock (angst) ***
Capitolo 9: *** Demons - Johnlock ***
Capitolo 10: *** Orbit_ - Parentlock ***



Capitolo 1
*** Broken - Johnlock ***


Song: Broken - Isak Danielson
https://youtu.be/5cBpu1pPpzk
 

Do you need, do you need someone?
Are you scared of what's to come?
If you leave then who will the next one be?
Will he do the same or will he let you see?

John era in piedi sulla porta. Sherlock, l'uomo con cui aveva condiviso gli anni migliori della sua vita, le avventure più appassionanti e persino l'appartamento, sedeva sulla sua poltrona, con lo sguardo perso nel vuoto.
John non riusciva a sopportare l'idea di guardarlo, di accettare che i tagli, i lividi, tutte le cicatrici che decoravano il suo corpo - un tempo tonico e bellissimo, ora ridotto a un pallido fantasma - fossero il frutto degli sforzi di Sherlock di proteggerlo, di ricucire i rapporti tra di loro.
Parte di lui voleva parlargli, chiedergli se avesse bisogno di qualcosa, di qualcuno che restasse con lui. Se avesse bisogno di lui, di John, del suo coinquilino, del suo migliore amico.
Aveva paura. Paura che la risposta potesse essere sì, che avrebbe ceduto e sarebbe tornato correndo a quella vita che tanto aveva amato, con quell'uomo che aveva ammirato, apprezzato, imparato a conoscere.
John aveva paura di ciò che sarebbe successo in quel caso. Sarebbe tornato tutto come prima? Ci sarebbe stato il fantasma di Mary tra di loro, come un terzo incomodo di cui sarebbero stati incapaci di disfarsi?
John ricontrollò l'ora. Molly sarebbe arrivata in 20 minuti. Sherlock sarebbe sopravvissuto, glielo aveva assicurato. Eppure John era ancora titubante. Una parte di lui, la stessa di prima, si chiedeva se Molly sarebbe stata in grado di prendersi cura di Sherlock come avrebbe fatto lui.
Sarebbe riuscita a fare aprire gli occhi a quell'uomo così testardo? A fargli capire che ciò che aveva appena fatto era stata, probabilmente, una delle azioni più pericolose e stupide che gli potessero venire in mente.
Stupido lui che ci aveva pensato e stupida Mary per averglielo suggerito.
Mary.
Il cuore di John saltò un battito. Fu in quel momento, guardando Sherlock, guardandolo davvero, per la prima volta dalla morte di sua moglie, di quanto Sherlock avesse sofferto per lei. Per lui. Per entrambi. Gli tornarono in mente le parole che aveva pronunciato mentre lo pestava sul pavimento dell'obitorio di Culverton Smith.
"Va bene. Gli lasci fare ciò che vuole. Ne ha il diritto. Io ho ucciso sua moglie"

You are broken on the floor
And you're crying, crying
He has done this all before
But you're lying, lying

È sempre così con lui. Sherlock si caccia nelle situazioni più impossibili, per provare a non si sa chi la sua intelligenza superiore... Ma a lui non interessa dei danni collaterali. A lui non interessa nulla.
E per questo Mary è morta.
O almeno, questo è ciò che si ripete per andare avanti. Che Sherlock Holmes ha ucciso Mary Watson, che è colpa sua e di nessun altro.
John sa che non è vero. Mary era così, nessuno poteva dirle cosa fare. È morta per salvare Sherlock, ma lo ha deciso lei.
Per la prima volta, John realizza davvero che per tutto questo tempo ha solo mentito.
Ha mentito a Mary. E ora lei è morta.
E così, John Watson crolla. Non gli interessa che Sherlock possa capire che per tutto questo tempo ha visto e parlato con sua moglie morta.
Ci sono cose che lui deve dirle. Prima di dirle addio.
Così riversa tutto il senso di colpa, la frustrazione, la rabbia, la tristezza, le speranze infrante. Le confessa tutto. I messaggi con E, il tradimento. Tutto.
E Sherlock resta lì, in silenzio. Ascolta tutto fino alla fine. Chissà se può dedurre le risposte di Mary.
E alla fine, quando tutto il fiume nero di parole che John ha cercato di contenere tutto questo tempo, finalmente si esaurisce, il medico scoppia a piangere.
Un pianto disperato, che aveva trattenuto troppo a lungo.
John piange la morte di sua moglie, la perdita del suo migliore amico, la fine della sua vita come la conosceva.
E Sherlock è lì, ad abbracciarlo. A ricomporre insieme i pezzi.
Con una straordinaria lucidità - insolita per un uomo che aveva passato un mese a distruggere il suo corpo e la sua mente con la droga - Sherlock pronuncia tutte le parole che John ha bisogno di sentire.
Siamo tutti umani, alla fine. Anche tu.

To yourself, that he'll find help
That he will change to someone else
But you're broken on the floor
Still, asking him for more

Non tutto è perduto. Questo è ciò che gli sussurra quell'abbraccio. Per loro due c'è ancora speranza. Basta solo che Sherlock torni pulito, allora ricominceranno ad affrontare i casi insieme, ad indagare, a vivere un'avventura dopo l'altra... Sherlock tornerà pulito, devono solo aspettare Molly...
Ma John sa che sta mentendo di nuovo a sé stesso. Sherlock non accetterà aiuto. Sherlock non lo fa mai.
Accetterà solo il suo aiuto. E John lo sa.
Sherlock non cambierà, non si trasformerà nella persona perfetta che John si merita di avere al fianco. Ma a lui va bene così.
Gli va bene perché sta piangendo, nel soggiorno di quella che era la sua casa, mentre il suo migliore amico lo abbraccia.
E, paradossalmente, tra tutti i pensieri che gli affollano la mente, il più rumoroso è il desiderio di continuare quell'abbraccio all'infinito. Di ancorarsi a quell'uomo così fragile e di non abbandonarlo più.
Mai più.

Will you leave or will you carry on?
Is your love from before still strong?
If you leave, will you keep the memory
That made night so long, that cut so deep?

Il messaggio ricevuto dal cellulare di Sherlock riporta tutti e due alla normalità.
Ovviamente Irene non poteva essere morta.
"Ci sarebbe voluto Sherlock per ingannarmi" aveva detto Mycroft.
Era così ovvio.
E così comprende. Lei gli ha sempre scritto durante le feste. Natale, Capodanno...
Il suo compleanno.
E così glielo chiede. È il suo compleanno, e lui non lo ha mai saputo.
È possibile che Irene sappia qualcosa che John non sa? Ciò che prova Sherlock per lei è davvero così forte?
E allora perché non coglie l'occasione? Perché non capisce?
E così si scaglia contro di lui. Gli urla in faccia quanto sia fortunato ad avere qualcuno che lo ama. Qualcuno di vivo.
Ma lui non lo ascolta. Non prende il telefono, non scrive ad Irene. Lui è lì, ad abbracciarlo.
Solo un attimo fa, John era lì, pronto ad andare via. Ora, invece, vorebbe restare, per sempre. Eppure, ha dei doveri, delle responsabilità. Rosie, il suo lavoro, la sua vita.
John resta lì, memorizza ogni dettaglio di quella situazione impossibile, mentre piange.
I ricordi del tempo passato al 221B di Baker Street riempiono la mente di John. Lui non li ha mai cancellti dalla sua memoria, ma era convinto che Sherlock lo avesse fatto. Che avesse buttato via tutto - come aveva già fatto con ciò che non riteneva utile - dal suo palazzo mentale, che lo avesse dimenticato, che avesse preferito il conforto datogli dalle droghe, invece della sua compagnia.
Ed è questo che, ora, lo ferisce. Quanto cieco doveva essere per non rendersi conto di aver abbandonato il suo migliore amico? Per avergli addossato colpe che non aveva, scaricandogli addosso il proprio dolore, oltre al suo. Sherlock aveva giurato una sola volta nella sua vita, e quel voto era andato infranto. Come poteva non aver considerato che anche Sherlock avrebbe sofferto?
Non aveva voluto pensarci durante le sue innumerevoli notti insonni, ma era impossibile evitarlo ora.
E, per tutto questo, John pianse.

You are broken on the floor
And you're crying, crying

"È tutto okay, va tutto bene" continuò a ripetergli Sherlock. Ma come poteva andare tutto bene? John aveva perso sua moglie, aveva quasi perso Sherlock, si era visto tutto ciò che amava scivolare via dalle dita.
"no, non è tutto okay" riuscì a dire tra le lacrime. John voleva spiegargli cosa gli stava succedendo, perchè non era tutto okay, ma non ci riusciva. Sapeva che Sherlock era incapace di comprendere le emozioni umane, ma in quel momento gli sembrava quasi che potesse capirlo. Capirlo davvero.
"No, non lo è. Ma è quello che è"

E così, ricominciava la vita. Con una torta per il compleanno dell'uomo più leale e incredibile che John avesse mai conosciuto. Con la promessa di andare avanti. Con mille ricadute. Con i lividi sul corpo di Sherlock. Con gli incubi e le insicurezze. Con le lacrime e i sogni infranti. Con i casi di persone disperate. 
Con una certezza: che non sarebbe importato nulla ai loro occhi, ci sarebbero stati sempre l'uno per l'altro.

E questa volta, tutti e due avrebbero mantenuto la promessa.

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Capitolo 2
*** No Time To Die - Sherlock Version ***


Song: No Time To Die - Billie Eilish
Link: https://www.youtube.com/watch?v=GB_S2qFh5lU

I should've known
I'd leave alone
Just goes to show
That the blood you bleed is just the blood you owe

"Voglio che tu mi uccida".
Questo aveva detto Sherlock a Culverton Smith. E in un certo senso era anche vero: molte volte nel corso della sua vita Sherlock aveva desiderato morire e riteneva che essere ucciso durante un caso fosse il modo ideale di andarsene.
Eppure...
"Non voglio morire"
Parole pronunciate per convincere Culverton ad agire, ma che mai Sherlock avrebbe creduto essere così vere. Questo suo macabro desiderio era svanito il giorno dopo aver conosciuto John, nel momento stesso in cui aveva accettato di seguirlo nel caso del tassista.
Con John al suo fianco, Sherlock aveva iniziato a provare quell'attaccamento alla vita che tutti gli uomini sentono nel profondo.
Ma John non era con lui. Sherlock sarebbe morto da solo, come era destino.
Non c'era modo di evitare il proprio fato, nonostante Sherlock avesse lottato strenuamente. Questa ne era la prova: ognuno vive la vita che gli è andata in sorte.
E Sherlock sarebbe morto da solo

We were a pair
But I saw you there
Too much to bear
You were my life, but life is far away from fair

Sherlock Holmes e Dr. Watson, questo erano loro due, un duo indissolubile.
Poi Sherlock saltò da quel tetto. Si finse morto per due anni. E qualcosa, in John, scattò. Per quanto il dottore poteva ripetegli che lo aveva perdonato, Sherlock sapeva che non era del tutto vero. La vita di John era andata avanti, e Sherlock era rimasto indietro.
Mary era giunta a separarli.
Ma Sherlock non poteva essere arrabbiato con lei, perchè ava visto la felicità di John nell'avere la sua nuova famiglia. Avrebbe fatto di tutto perchè John potesse continuare a provare quella felicità, se anche avesse significato spezzare quel perfetto rapporto che si era creato all'interno del 221B.
E poi, come la storia del Mercante di Samarra, era giunto l'incontro all'acquario.
Sherlock non aveva mai visto John così disperato, neanche quando lui stesso era saltato dal tetto del St Barth's e il dottore aveva passato due anni ad implorarlo di non essere morto.
In un colpo solo, John aveva perso la donna che amava, la vita che aveva costruito con lei...
E Sherlock aveva perso tutto. L'uomo che lo aveva salvato così tante volte, ora lo guardava come se avesse voluto fare cambio, come se fosse Sherlock a dover essere lì, riverso a terra, al posto di Mary.
"Tutte le vite finiscono, tutti i cuori si infrangono" aveva detto Mycroft dopo l'identificazione di Irene. Nella sua mente Sherlock fece una risata amara: all'epoca non aveva creduto che quelle parole sarebbero state una predizione del suo futuro.
Mycroft aveva ragione, tutti sarebbero morti, un giorno. È la vita.
Ma questa vita era profondamente ingiusta.

Was I stupid to love you?
Was I reckless to help?
Was it obvious to everybody else

Ora Sherlock si trovava nel letto di un ospedale, a offrire la sua vita ad un omicida seriale. Non era mai stato un credente, la religione andava oltre la pura logica, ma in quel momento, Sherlock si ritrovò a pregare silenziosamente che John lo avrebbe salvato ancora una volta.
Tuttavia, Sherlock sapeva, nel profondo, che non sarebbe successo. John era troppo distante ormai. Sherlock aveva continuato ad amare una versione di John che, nonostante le parole di Mary, non sarebbe più tornata. Tutto ciò, mentre continuava a provarci, a chiedere aiuto all'unico che un tempo avrebbe risposto, gioendo ogni volta che il dottore rientrava nello schema che Sherlock aveva previsto.
Ma questa volta, il detective era andato troppo oltre, era arrivato al punto di non ritorno, ignorando i consigli di tutti attorno a lui.
Per una volta, erano loro ad essersi accorti di ciò che lui era troppo cieco per vedere.

That I'd fallen for a lie?
You were never on my side
Fool me once, fool me twice
Are you death or paradise?
Now you'll never see me cry
There's just no time to die

Sherlock aveva creduto alle parole di Mary, ma più il tempo passava, più si accorgeva di quanto fossero una bugia. John non sarebbe corso in suo aiuto, non sarebbero tornati ad essere l'infallibile duo che erano. Se anche il dottore aveva accettato di seguirlo durante le indagini su Culverton, non era mai stato davvero al suo fianco.
Da quanto andava avanti quella separazione? Lo aveva davvero perdonato quella volta nella metropolitana? O aveva continuato a mentirgli per farlo sentire meglio? Quel mese di lontanaza, era davvero la vita di John a impedirgli di andarlo a trovare? O era per lui un sollievo non trovarsi vicino al suo ex-coinquilino?
Eppure, John sembrava sincero quando si era preoccupato per lui. Quando lo aveva portato da Molly. Quando era stato sparato da Mary.
Sherlock sapeva di aver messo la sua vita nelle mani del Dr. Watson molti anni prima, ma era durante quei momenti di reale preoccupazione, che il detective dava a John il permesso di usufruire della sua vita come meglio gli aggradava. Poteva ucciderlo o salvarlo, e John aveva sempre deciso per la seconda.
Prima dell'obitorio di Culverton, ovviamente.
Avendo capito che era la fine, Sherlock si concesse di piangere. Lo aveva già fatto, mentre guardava John spezzarsi sulla sua tomba, implorarlo di non essere morto, ma non credeva di essere in grado di farlo di nuovo. Era buffo, perchè John era l'unico che non credeva che Sherlock fosse incapace di provare emozioni... tuttavia, le volte in cui Sherlock aveva effettivamente esternato i suoi sentimenti, John era sempre lontano.
E ora, mentre sentiva avvicinarsi il momento della fine, Sherlock si prese un momento per ricordare tutte le pazzie che aveva compiuto durante i suoi casi e si rese conto che, specie all'arrivo del dottore nella sua vita, non si era mai dato il tempo di morire.

I let it burn
You're no longer my concern
Faces from my past return
Another lesson yet to learn

Sherlock ammise di essere stato bravo a far credere a John di aver ceduto, di essere tornato negli abissi della droga, ma dovette anche confessare a sè stesso di aver mentito. Stanislavskij affermava che nel teatro c'era sempre un fondo di verità. Irene aveva detto che un travestimento è sempre un riflesso di sè. Avevano ragione entrambi.
Sherlock si era lasciato sprofondare, perchè non voleva affrontare la delusione di aver perso il suo migliore amico da lucido.
Aveva assunto Bill perchè sapeva che, senza John a fermarlo, sarebbe affondato sempre di più.
Persino Mycroft si era preoccupato per lui, come quella volta, come quelle volte, nei vicoli bui, i palazzi abbandonati, i luoghi dimenticati da Dio. Mycroft era stato sempre al suo fianco, aveva affrontato con lui le conseguenze delle sue azioni - con le liste, i casi, la protezione.
Sherlock avrebbe dovuto impararlo molto tempo fa: l'unica persona che c'era sempre stata per lui era proprio suo fratello. Non lo avrebbe mai ammesso, certamente, ma Sherlock gli era profondamente grato.

That I'd fallen for a lie
You were never on my side
Fool me once, fool me twice
Are you death or paradise?
Now you'll never see me cry
There's just no time to die

Culverton fece esattamente come Sherlock gli aveva consigliato, finchè... cambiò idea. Decise che aspettare che la morfina facesse effetto era un'attività fin troppo tediosa. Sherlock non lo aveva previsto, non aveva calcolato che il tempo rimastogli sarebbe stato così breve. Mentre Culverton lo soffocava, Sherlock disse addio mentalmente a tutte le persone a cui si era affezionato, per cui aveva lottato così strenuamente. Lasciò per ultimi Mycroft e John.
Il primo perche Sherlock non sapeva come dirgli addio. Non avevano mai parlato dell'argomento. Tutta la loro vita era pianificata nel singolo dettaglio, ma non la loro morte. Sherock cominciò a capire che Mycroft si rifiutava di accettarne l'eventualità.
E il secondo... Sherlock sperava ancora che potesse arrivare, che conoscesse John tanto quanto credeva.
Mentre Sherlock si preparava a lasciarsi andare, la porta si spalancò e uno sconvolto John fece il suo ingresso, armato di estintore.
Sherlock si maledisse per aver dubitato anche solo per un secondo di John. Del suo John.
Ebbe paura per un secondo. Paura di essere morto senza accorgersene, che John non fosse davvero lì, ma che fosse tutto un sogno indotto dalla droga. Che Moriarty aveva ragione. Che non sarebbe mai tornato per lui.
Ma la sua voce, il suo sguardo straziato e arrabbiato... Sherlock era convinto di non essere in grado di immaginarlo.
Cercò di riprendere fiato, di riespandere i polmoni, il suo lavoro non era finito. Lacrime calde gli solcarono le guance, mentre il sollievo di essere stato salvato ancora una volta lo pervadeva, lasciandogli una piacevole sensazione di calore.
Cercò di cancellare i segni del pianto: non era il momento giusto perchè John lo vedesse così fragile. Doveva indossare di nuovo la maschera dell'uomo di ghiaccio, freddo e calcolatore, per assicurare Culverton alla giustizia.
Come Moriarty - quell'orribile creatura che viveva nella sua mente e si nutriva dei suoi sensi di colpa, delle sue paure, della sua rabbia - aveva detto la prima volta che si erano incontrati:
non era il momento di morire.

Fool me once, fool me twice
Are you death or paradise?
Now you'll never see me cry
There's just no time to die

Tornato al 221B, Sherlock sapeva cosa lo aspettava, ma nulla lo avrebbe prearato alla reazione di John. Al suo essere così fragile. Al suo fidarsi di lui, nonostante tutto il dolore che gli aveva causato.
E mentre lo abbracciava, Sherlock si rese conto di tutto l'amore di John nei suoi confronti. Si rese conto che il soldato sarebbe rimasto per sempre al suo fianco, che avrebbe sempre cercato il conforto del detective. Che non lo avrebbe mai odiato.
Sherlock si rese conto di non meritare quel tipo di amore così incondizionato, così forte, così imponente.
Quell'amore che sa di pericolo e salvezza. Di morte e paradiso. Di Sherlock e John.
Si trattenne, di fronte a John. Non aumentò il dolore del suo migliore amico.
Ma quando fu solo, dovette riconsiderare le sue parole e rendersi conto della loro verità.
Sherlock Holmes, l'unico consulente investigativo al mondo, che aveva odiato ogni giorno passato su questa terra, che si era rifugiato per anni nella droga, come mezzo di conforto, per sfuggire alla realtà... Quello stesso Sherlock Holmes si era innamorato della vita. Della sua vita.

Non era ancora giunto il momento di morire.

***
Note dell'Autrice:
Ho ascoltato questa canzone ieri notte, dopo una giornata particolarmente stressante e la storia si è praticamente scritta da sola.
Come avete notato dal titolo, questa è la "Sherlock Version" poichè a breve voglio anche proporre la "John Version", in cui la stessa canzone è di sottofondo agli eventi dal punto di vista di John.
Se avete letto fin qui vi ringrazio e ci vediamo al prossimo capitolo!
Lilith

 

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Capitolo 3
*** No Time To Die - John Version ***


Song: No Time To Die - Billie Eilish
Link: https://www.youtube.com/watch?v=HYgBgs-fuEk

I should've known
I'd leave alone
Just goes to show
That the blood you bleed is just the blood you owe

John avrebbe dovuto prevederlo. Avrebbe dovuto capirlo nell'istante esatto in cui il bagagliaio della macchina della signora Hudson si era aperto per rivelare uno Sherlock fragile e sconvolto, che dopo ben poco si sarebbe ritrovato alla guida di quella stessa auto, in una corsa contro il tempo per salvare quello stesso detective.

Ma era sempre stato Sherlock quello bravo a prevedere le cose. Così come aveva previsto il suo cambio di terapista, la chiamata a Molly, Mrs. Hudson e il suo rapimento.

Ora John era lì, solo, schizzando per le strade di Londra. Sherlock era abile a circondarsi di persone brillanti, ma nessuno di loro sarebbe corso in suo aiuto se ne avesse avuto bisogno. Nessuno tranne John. Il soldato era sempre stato consapevole del suo ruolo nella vita di Sherlock, ma rifletterci in quel momento lo ferì più di ogni altra cosa.
Inizialmente fu la rabbia per dover essere sempre lui a correre in soccorso. Per doversi calare nella parte del salvatore, quando era lui a dover essere salvato. Perchè tutti credevano che quello fosse il compito di John. Persino Mary.
Dall'altra parte, però, John riflettè che essere l'unico passeggero di quell'auto, in quella situazione, era la più grande conferma di come Sherlock non avesse nessuno al suo fianco, oltre a John. Finanche Mycroft, quell'onnipotente - e opprimente - fratello maggiore, si era rivelato incapace di tenerlo al sicuro. Per un secondo, John si rese conto di quanto dovesse aver sofferto Sherlock, dopo a morte di Mary, senza la rete di supporto che lui, invece, aveva avuto la fortuna di avere. Solo per un attimo, John comprese le motivazioni di Sherlock, ciò che lo aveva portato a un gesto così estremo.

Ma come ho detto, fu solo un attimo. Fulmineo, fugace, cancellato in fretta dalla rabbia per la morte ingiustificata di Mary.
Durante una delle sue notti insonni, mentre John era sul divano con un bicchiere di whisky in mano e la bottiglia semivuota nell'alta, John aveva riflettuto sul loro passato. Quanti erano rimasti feriti - letteralmente e figurativamente - durante le loro scorribande? La conclusione che John aveva tratto era che il sangue che ognuno di loro aveva versato era semplicemente il tributo richiesto affinchè Sherlock, quell'uomo così brillante, degnasse tutti loro, comuni mortali, della sua attenzione. Quasi fosse una divinità ed il loro dolore non fosse altro che il sacrificio richiesto a coloro che si affacciavano al culto.
Tuttavia, mentre pregava di arrivare in tempo in ospedale, John notò il particolare che da sempre gli sfuggiva: Sherlock non aveva mai chiesto a nessuno di sacrificarsi per lui.
Non lo aveva fatto nella piscina, con il mirino di un cecchino puntato in testa. Non lo aveva fatto sul maledetto tetto del St. Barth's. Non lo aveva fatto quando si era preso un proiettile da parte di Mary. Non lo aveva fatto quando aveva ricambiato il favore, piantandone uno nella fronte di Charles Augustus Magnussen. Non lo stava facendo ora, affidandosi alle mani di uno psicopatico.
Non lo aveva fatto quando Mary gli era saltata davanti.

Tutti coloro che avevano sanguinato per Sherlock Holmes, lo avevano fatto di propria sponte.
John compreso.

We were a pair
But I saw you there
Too much to bear
You were my life, but life is far away from fair


Dov'era finito quel duo infallibile? Sherlock Holmes e John Watson, i formidabili detective di Baker street. Erano riusciti in alcune delle più straordinarie imprese, la loro leggenda era immortale, incisa da John nei racconti per il suo blog. La gente credeva fossero invincibili... se solo avessero saputo.
Era l'impresa più facile ad aver avuto la meglio su di loro, alla fine: prendersi cura l'uno dell'altro.

La colpa era in entrambi, di questo John era convinto. Seppure Sherlock avesse chiuso il loro rapporto in una bara, era stato John a piantarci i chiodi.
Una parte di lui provò a giustificarsi. Sin da quel giorno nell'acquario, John non era riuscito a guardare Sherlock negli occhi. Il suo sguardo, pieno di scuse e di risentimento, lo perseguitava, portandolo a rivivere quegli ultimi, angoscianti istanti di vita di sua moglie. Ed il colore di quegli occhi - che nel profondo John aveva sempre un po' ammirato, per la loro vispezza, per il barlume che li pervadeva ad ogni caso risolto - era troppo simile a quello delle acque che avevano circondato lo scenario dell'omicidio di Mary.

Tutto ciò era troppo perchè John potesse anche solo pensare di elaborare.
L'uomo a cui, solo poche ore prima, avrebbe donato la sua vita, aveva ucciso sua moglie. John colse l'ironia di tutto ciò: l'uomo che gli aveva dato tutto era lo stesso che gli aveva tolto l'unica cosa avesse mai chiesto per se stesso.
Non è stato Sherlock a premere il grilletto, fece una voce nella sua testa - Mary? Se stesso? John non sapeva dirlo.

Was I stupid to love you?
Was I reckless to help?
Was it obvious to everybody else

Mentre la rabbia iniziava a pervaderlo, John ricordò di come Donovan lo avesse avvertito già il primo giorno, di come Sherlock lo avrebbe sempre lasciato indietro. Di come, ad affezionarsi a lui, ci sarebbe rimasto ferito.
John lo aveva fatto lo stesso, ma non rimpiangeva neanche un istante del tempo passato con Sherlock.
Eppure non poteva fare a meno di sentirsi ingannato, sin dal giorno in cui lo aveva visto precipitare dal tetto. Si sentiva ingannato da Sherlock, da Molly, da Mycroft, da Mary, ma in realtà anche da se stesso.
Era stato davvero così stupido da affezionarsi a quel tipo di pericolo?

Persino Mary aveva capito quanto fosse attratto dall'azione, quanto fosse fisicamente incapace di chiedere aiuto, mentre bramava quella scarica di adrenalina che solo il salvare le persone poteva dargli.
Si chiese se fosse davvero così evidente, così prevedibile. Sherlock gli aveva fatto capire di sì, anche Mary.
Si chiese se fosse lo stesso per Mycroft, Molly, Greg e tutti gli altri.

That I'd fallen for a lie?
You were never on my side
Fool me once, fool me twice
Are you death or paradise?
Now you'll never see me cry
There's just no time to die


Era stato ingannato dalle persone che più amava, e questo lo feriva più di ogni cosa, come se lo avessero spellato vivo, centimetro per centimetro e poi lo avessero lasciato così, nudo, esposto al freddo.
Si chiese chi fosse mai stato davvero onesto con lui. Chi non lo avesse mai tradito, neanche una volta. Chi non lo avesse mai sfruttato.
Nessuno, si disse. Da sua sorella a Sherlock, tutti avevano sfruttato il meglio di lui.
 

Sherlock, in particolare, lo aveva ingannato due volte.
Sul tetto del St. Barth.
Ora.

D'improvviso, le ferite sulla mano iniziarono a bruciare. Fu come se pensare al tradimento di Sherlock nei suoi confronti potesse spingere il suo corpo a ricordargli del suo tradimento nei confronti di Sherlock.
Di come lo avesse colpito mentre lui era lì, inerme, sul pavimento, con il corpo attraversato di tremiti, - droga? paura? per John? di John? - incapace di difendersi, mentre lo guardava, chiedendogli perdono con lo sguardo. Il sangue che gli colava sul viso era sembrato, in quel momento, il perfetto contrappasso: sanguinava lui, come aveva sanguinato Mary.
Ora, quel sangue sembrava macchiargli le mani, mentre stringeva il volante un po' più forte. Era la macchia indelebile del crimine più efferato che John avesse mai compiuto. Ferire un innocente era ben oltre il suo codice morale.
Ma Sherlock non è innocente. O sì? fece ancora quella voce.

John premette più a fondo l'acceleratore, mentre l'inesorabile scorrere del tempo gli ricordava quale fosse la posta in gioco.
Superò ogni limite di velocità consentito - il suo pensiero volò a Mycroft, sperando stesse seguendo gli autovelox, quasi a dirgli che sarebbe dovuto essere lui quello che sfrecciava al salvataggio di suo fratello - con un solo pensiero in mente.
Non avrebbe permesso a Sherlock Holmes di morire.

I let it burn
You're no longer my concern
Faces from my past return
Another lesson yet to learn

Fu in quel momento che il vecchio John, per la prima volta dalla morte di Mary, cominciò a risvegliarsi dal suo letargo. Non capiva se la chiave fosse stato il ticchettio dell'orologio o la consapevolezza che ogni secondo perso era un secondo che avvicinava Sherlock alla morte. O forse era proprio l'idea della morte del detective a essere così insopportabile per John.
Solo poche settimane prima, John non avrebbe permesso a Sherlock di ingaggiarsi in un'altra missione suicida, per nessun motivo al mondo. Eppure, la ragione per cui ora rischiava la vita era proprio John stesso. La parte di lui che conosceva Sherlock meglio di se stesso comprese la profonda verità che si celava dietro quel gesto: se anche non ci fosse stata Mary a "dargli il permesso" di togliersi la vita, Sherlock lo avrebbe fatto lo stesso. Non era mai stato bravo nell'osservare i dettagli quanto il detective, ma aveva notato diversi elementi che gli suggerivano che la vita di Sherlock iniziava e finiva ogni qual volta John varcava la soglia della porta del 221B, per entrare o uscire. Senza di lui, Sherlock non mangiava, si lanciava alla ricerca del pericolo. Si drogava fino a stordirsi.
Per John, tutto questo non era altro che la cronaca di una tragedia annunciata, ma l'unica persona in grado di cogliere i segni era anche il catalizzatore che l'aveva scatenata. Il famoso battito di ali di farfalla.

John affondò ancora più il piede sull'acceleratore quando si rese conto di averlo quasi condannato. Di essere stato vicino a lasciarlo perdere. A bruciarlo, come aveva detto Moriarty in quella maledettissima piscina.
D'altronde, Sherlock non era più un suo problema. Aveva smesso di esserlo quando si era lanciato da quel cazzo di tetto e aveva decisamente perso ogni appiglio della sua attenzione quando aveva ammazzato sua moglie. Ma meritava di morire? Era davvero lui il giudice adatto a pronunciare quella sentenza?
La preghiera che gli affiorò sulle labbra, affinchè potesse arrivare in tempo a salvarlo, era la risposta di cui John aveva bisogno.

Il tormento per aver abbandonato Sherlock lo affliggeva da prima di vedere il viso di Mary nel video. Forse era nato nel momento stesso in cui Sherlock era uscito dall'acquario, ma John aveva iniziato a distinguerlo dal dolore per Mary solo quando gli aveva lasciato il suo bastone da passeggio. Era stato un codardo a dirgli addio in quel modo, a non guardarlo negli occhi mentre lo faceva, a non dargli la possibilità di obbiettare.
Sapeva benissimo che, se lo avesse fatto, se gli occhi di Sherlock avessero trovato i suoi, sarebbe tornato sui suoi passi immediatamente. Lo avrebbe stretto tra le braccia e avrebbe singhiozzato fino a farsi venire i conati. Avrebbe rimesso in quel modo il dolore, la paura, la rabbia, la tristezza, la nostalgia, la mancanza che aveva provato. Lo avrebbe perdonato senza neanche pensarci, come il suo cuore aveva già fatto. Ma non era il cuore il problema di John. Era la sua testa che non voleva saperne di ammettere la verità, qualcosa che aveva già scoperto, ma ci sarebbe voluto ancora tempo affinchè potesse dire di aver appreso:

Che una vita senza Sherlock Holmes non era una vita degna di essere vissuta.

That I'd fallen for a lie
You were never on my side
Fool me once, fool me twice

John telefonò in fretta a Lestrade, per assicurarsi che qualcuno arrivasse prima di lui. Giusto in caso...
Ma il D.I. gli aveva assicurato che Sherlock fosse al sicuro con uno dei suoi agenti. Per un secondo potè sentire Sherlock chiamarlo un idiota e John si rese conto di come le parole "Sherlock" e "al sicuro" nella stessa frase fossero una gigantesca bugia, se John non era compreso.
Sherlock sarebbe stato al sicuro solo se John fosse stato al suo fianco. Così come ora non lo era. Era così semplice, ma come aveva detto Mary, Sherlock doveva farsi ammazzare perchè lui lo capisse.

Gli aveva fatto credere di aver perso la testa, di essere arrivato al punto di non ritorno. John ci aveva creduto, perchè sapeva, nel profondo del cuore che Sherlock lo avrebbe fatto davvero.
Poi gli aveva fatto credere di essere protetto. John aveva voluto crederci, perchè era più semplice che accettare tutte le verità che gli si affacciavano in mente.

Finalmente, giunse in ospedale, ma mentre saliva le scale e tutta questa consapevolezza gli si avvolgeva addosso come un'armatura, John perse il dettaglio più importante, la chiave che, per Sherlock, avrebbe risolto il mistero. Ci era arrivato vicino, a onor del vero, ma quando fingi per così tanto, a volte la finzione si mischia con il vero, e l'atteggiamento che John aveva assunto per mascherare la sua debolezza - ciò che tutti consideravano pazzia - gli impedì di rendersi conto del più grande progresso di quei giorni:

John era solo in quella macchina. Mary non era seduta al suo fianco.

Are you death or paradise?
Now you'll never see me cry
There's just no time to die

John corse. Corse come non aveva mai corso in vita sua. Un unico pensiero gli risuonava in mente:
Doveva salvare quel Detective bugiardo.

Per un secondo, vedendo la porta chiusa e nessuno a guardia, l'angoscia prese il sopravvento. Era convinto di essere arrivato troppo tardi. Ma non si sarebbe arreso, non quando era così vicino.

Sfondò la porta con l'estintore e la conferma di tutti i suoi dubbi fu lì, davanti ai suoi occhi.
Culverton Smith premeva le mani sul viso di Sherlock che si muoveva debolmente, come se non avesse la forza di difendersi, o come se ci avesse rinunciato.

Aldilà della sbruffonaggine tipica di quell'uomo, il suo perfetto escamotage per nascondere ogni traccia di sentimento, John vide qualcos'altro negli occhi di Sherlock.
Vide sollievo, tristezza, paura, colpa, gratitudine.

John sentì l'oppressione tipica del pianto assalirlo e serrargli i polmoni in una morsa, ma non avrebbe pianto lì, Sherlock dovette accorgersene, perchè fece quello che in tutta la sua vita era riuscito a fare meglio: riportò l'attenzione della sala su se stesso.

Il sorrisetto a mezza bocca che Sherlock gli riservò servì solo a rimarcare il pensiero che aveva già avuto in macchina:

Sherlock Holmes non meritava di morire.

«Sei stato l'uomo migliore e più saggio che io abbia mai incontrato» fu l'eco nella sua mente.

No time to die
No time to die

John guardò Greg negli occhi e fu lui la prima persona a cui confidò quella nuova consapevolezza dei suoi sentimenti in tutta quella situazione.
Greg, che era già posseduto dai fantasmi delle confessioni di Culverton, non riuscì a spingere John verso la giusta direzione, come invece avrebbe fatto fosse stato più lucido.
Confessò a John quelle che credeva fossero le sue proprie colpe, e al medico questo bastava e avanzava.

That I'd fallen for a lie

Sherlock si era suicidato. Falso.
Sherlock aveva ucciso sua moglie. Falso.

You were never on my side

Sherlock teneva solo a se stesso. Falso.
Sherlock non aveva sentimenti. Falso.

Fool me once, fool me twice

«Una volta mi hai detto che non eri un eroe»  quanta menzogna era dietro a queste parole? Ovvio che Sherlock fosse un eroe. Gli eroi si sacrificano per salvare chi ne ha bisogno. Non era ciò che aveva appena fatto?

«C'erano volte in cui non credevo tu fossi umano» e, invece, Sherlock era l'unico tra tutti loro che aveva affrontato la sua vita nel modo più umano possibile, senza il plagio di una società che vuole tutti macchine senza sentimenti, inclini solo al lavoro.

Are you death or paradise?

«Fai un'ultima cosa per me, un ultimo miracolo, Sherlock, per me. Non essere morto»

«Ti ho chiesto una cosa. Ti ho chiesto di smettere di essere morto» «Ti ho sentito»

«Sherlock, ti stiamo perdendo»

Sherlock era sempre tornato indietro. Per lui. Quasi non potesse tollerare l'idea di lasciarlo solo.

Now you'll never see me cry

«Eri l'uomo migliore, l'essere umano più umano, che io abbia mai conosciuto, e nessuno mi convincerà che tu mi abbia mentito. Ero davvero molto solo e ti devo davvero tanto.»

Aveva pianto, sulla tomba di Sherlock. E lui non era lì, non lo aveva visto piangere. O forse sì? Lo avrebbe lasciato entrare di nuovo? Avrebbe pianto di nuovo? Con lui, per lui?

There's just no time to die

Era il momento di dissotterrare quella bara. Di riportare le cose a com'erano prima.

Ma non sarebbero mai tornate come prima. Avevano bisogno di un nuovo equilibrio, di una nuova vita insieme, perchè essere così distanti aveva la disperazione della morte e il sapore della disperazione.

Non è ancora giunto il tempo di morire.

Fu il pensiero che lo colse mentre singhiozzava tra le braccia di quell'uomo che gli aveva ridato la gioia del vivere.

***
Note dell'Autrice:
Finalmente abbiamo anche la versione di John. È stata letteralmente un parto, ma sono contenta di com'è uscita. Questo John è il mio John, forse un po' diverso da come altre interpretazioni lo dipingono, e, per me, è proprio questo il bello.
Spero che riusciate ad apprezzare il mio John tanto quanto lo apprezzo io.
Il link alla canzone è una versione lievemente diversa, che ho voluto utilizzare per differenziare i ritmi e le emozioni delle due storie e permettere una minima variazione durante la lettura.
Detto questo, vi saluto.
Al prossimo capitolo!
Lilith

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Capitolo 4
*** The Only - Mystrade ***


Song: The Only - Sasha Sloan
Link: https://www.youtube.com/watch?v=Ps8H5iP6ZQ8

I can't be the only one
Who's lonely tonight
I can't be the only one

Mycroft Holmes e Gregory Lestrade. Due uomini così diversi, così lontani l'uno dall'altro.

Il letterale Governo Britannico, un uomo che non possiede assi nella manica: lui è l'asso nella manica. Dotato di una delle menti più eccezionali del pianeta, la cui capacità di osservazione è eguagliata solo da suo fratello minore.
Mycroft Homes, la cui eleganza fa solo da contorno ad un portamento quasi regale. Testa alta, espressione fiera, passo ritmico, cadenzato, lieve, come se camminasse sul palco di un teatro.
Mycroft Holmes, l'uomo di ghiaccio, incapace di provare empzioni. La macchina, il rettile. Colui che ha rinchiuso sua sorella in una fortezza, senza battere ciglio.
L'uomo nero da cui bisogna guardarsi le spalle. L'uomo al centro delle cospirazioni. Il mostro che venderebbe suo fratello per un pugno di dollari.

Il D.I. di Scotland Yard, l'ispettore che lavora al fianco di Sherlock Holmes. Un uomo un po' ingenuo, un po' pigro, senza speranza.
Un uomo buono, un po' innocente, un po' credulone, ma che tratta tutti come fossero figli suoi.
Greg Lestrade, dallo stile sciatto, ma dal sorriso affabile. La giacca aperta, la camicia sgualcita, senza cravatta. Dal passo pesante e l'andatura caracollante, la voce alta e gli abbracci sinceri.
Greg Lestrade, un uomo impegnato, lavoratore, che ha visto fallire il suo matrimonio. Un uomo che ha dovuto subire l'infedeltà della moglie.
L'Ispettore che mette il lavoro prima di tutto.

Due uomini così diversi che è difficile spiegare come abbiano fatto ad incontrarsi. Forse non l'hanno mai fatto.

Due uomini diversi, ma con un aggettivo che li unisce e li accomuna:

Due uomini soli.

Who's drinking 'by myself
Wishing that I was somewhere else

Greg non credeva si sarebbe mai abituato al silenzio del suo appartamento, affittato nel mezzo del divorzio. Non credeva si sarebbe abituato alle decine di scatole di noodles instantanei lasciati sul tavolo, alle ragnatele negli angoli, al cesto straripante di bucato da lavare. Ogni qualvolta Greg tornava a casa, parte di lui sentiva il bisogno di rendere quell'ambiente vivibile, di lavare i piatti lasciati nel lavello, di rifare il letto, eliminare le pieghe dalle lenzuola, sistemare il bucato, spolverare... ma ogni singola volta che varcava la porta di quell'appartamento, si sentiva mortalmente stanco, come se vivere la sua vita lo privasse di ogni energia. La sua schiena si curvava un po', come se trasportasse un peso sulle spalle, come se trasportasse il peso di tutti i suoi problemi.

Greg non si sarebbe mai abituato a quella solitudine così opprimente, a guardare la partita, un thriller, una soap opera, o semplicemente lo schermo spento della TV, seduto sul divano, da solo.
Non si sarebbe mai abituato a bere una birra da solo. Due. Cinque. Quante bastavano per barcollare fino alla camera da letto e svenire, esausto, pronto a concludere la giornata. Da solo.

Non si sarebbe mai abituato a svegliarsi da solo, a prepararsi il caffè, a guardarsi allo specchio - gli occhi arrossati, infossati nelle orbite, la barba da radere, ma che forse potrebbe aspettare un altro giorno, i capelli scompigliati, che tanto nessuno lo avrebbe mai guardato... - a indossare la sua solita allegria, come fosse un cappotto, e cominciare la giornata. Da solo.

Greg Lestrade non si sarebbe mai abituato a essere da solo.

Talkin' to voices in my head
Because at least they're listening
Right here's an easy place to hide
I'll stay in bed and shut the blinds
Don't even know where I would go

«Sto proprio ridotto male. Guarda un po' tu se questo è come devo presentarmi a lavoro...» diceva spesso a se stesso la mattina, dopo una birra di troppo, mentre una lieve emicrania minacciava di accompagnarlo per tutta la giornata. I primi tempi, dopo essersi trasferito, Greg si era ritrovato più volte a raccontare a sua moglie di come Sherlock fosse riuscito a risolvere l'ennesimo caso impossibile con una sola occhiata, o di come i colleghi gli avessero organizzato uno scherzo in ufficio, o di qualunque altro aspetto della sua vita quotidiana, prima di bloccarsi a metà di una frase e realizzare che non c'era nessuno lì ad ascoltarlo.. Parlare con se stesso, però, aiutava, se non altro ad alleviare l'aria opprimente dell'appartamento.

Greg non sapeva dire da quanto era iniziato, ma era da lungo tempo, ormai, che aveva perso l'abitudine di essere gioviale e aperto alle esperienze. Di uscire la sera per una birra con gli amici, di andare a correre la mattina di domenica. Preferiva passare il weekend a letto, a dormire, chiudendo le tapparelle, con la soddisfazione di non dover fingere che andasse tutto bene. Anche perchè, se anche fosse uscito, Greg non aveva un posto dove andare, che non fosse la centrale o Baker Street.

D'altronde, quale bisogno c'è di uscire a divertirsi quando si è da soli?

But I know that there's gotta be somebody out there
There's gotta be somebody somewhere
Who needs company

Per l'ennesima volta, Greg era seduto sul divano, a giocherellare con quel pezzo di carta che gli dava così tanti grattacapi.
Sul foglietto, che gli aveva dato Sherlock, vi erano solo il nome di Mycroft Holmes e il suo indirizzo.
«Prenditi cura di lui, non è forte come sembra» gli aveva detto a Musgrave.
Greg non sapeva da dove iniziare. Aveva già incontrato Mycroft, diverse volte, sotto richiesta del maggiore degli Holmes, specialmente da quando John e Sherlock avevano iniziato a risolvere casi insieme.
Lestrade lo capiva, Mycroft voleva solo assicurarsi che suo fratello fosse al sicuro. Non capiva cosa c'entrasse lui in questa storia, ma mai una volta si era azzardato a lamentarsi: se le informazioni che passava a Mycroft servivano ad aiutarlo a dormire la notte e ad aiutare Sherlock ad essere più sereno, a Greg andava più che bene.
Eppure, nei loro incontri non avevano perso troppo del loro tempo a parlare di loro stessi, se non qualche chiacchiera sul lavoro, i casi da risolvere, i grattacapi per Greg - che in realtà era il più chiacchierone dei due.
Riflettendoci in quell'appartamento, Greg si rese conto di quanto, con il tempo, avesse imparato ad apprezzare quegli appuntamenti, di come si assicurasse di non prendere impegni, di come aspettasse quasi con impazienza l'automobile nera che lo avrebbe prelevato dalla centrale, di come si sentisse sempre un po' più allegro, dopo aver sorseggiato un the al Diogenes o nell'ufficio di Mycroft.

Guardandosi intorno, Greg capì che aveva decisamente bisogno di fare qualcosa che lo allontanasse da quell'ambiente.
Il terrore di essere frainteso da Mycroft, di non sapere come aiutarlo, di ricevere una porta in faccia, era decisamente inferiore al disgusto che provava vivendo in quelle condizioni.
Inoltre, se il minimo amor proprio che gli era rimasto non fosse stato sufficiente a spronarlo, ricordò che Sherlock glielo aveva chiesto come favore personale. Ciò fece cadere ogni tentativo di protesta dell'ispettore che, dopo essersi sistemato alla buona, entrò nella sua automobile:

Destinazione casa di Mycroft Holmes.

And it's comforting to know
I can't be the only one
Whos's lonely tonight
No, I can't be the only

Dall'altra parte della città, il rumore della vita degli abitanti di Londra contrastava con il silenzio innaturale all'interno delle mura di casa Holmes. Dopo Eurus, Mycroft non aveva avuto la forza di uscire, di indossare uno dei suoi pregiati completi e fingere che fosse tutto normale.
Che lui fosse normale.

Anthea aveva provato ad andare a trovarlo, a portargli i documenti di lavoro, a ricordarlo dei suoi appuntamenti, ad assicurarsi che stesse bene, ma Mycroft aveva rifiutato le attenzioni. Si sentiva come vittima della Legge del Contrappasso: la sua punizione per aver recluso sua sorella e averla resa un vero e proprio mostro era l'incapacità di avere contatti con il mondo esterno e con gli uomini che lo abitavano.

Anche Sherlock aveva provato ad assicurarsi che stesse bene. Telefonava spesso, nonostante avesse sempre preferito messaggiare, e restava ad ascoltare il silenzio di Mycroft dall'altra parte della linea, anche per ore.

Nella sua vita era sempre stato abituato a vivere e lavorare da solo, ma era la prima volta che poteva percepire davvero il peso della solitudine cruvargli la schiena e costringerlo a piegarsi.
Quella stessa solitudine che ora lo costringeva a sedersi in una delle lussuose poltrone del suo appartamento, con la testa tra le mani e la mente offuscata dai pensieri, all'interno di una stanza semi-buia, illuminata solo dalla luce dei lampioni accesi per strada.

Fu il suono del campanello a interrompere la catena dei pensieri di Mycroft. Quella distrazione fu prontamente ignorata dall'uomo, convinto che fosse Anthea a disturbarlo per l'ennesima volta.
Il portone d'ingresso si aprì comunque - Anthea possedeva la chiave di scorta - ma i passi lungo il corridoio non erano quelli cadenzati e delicati dei tacchi della sua assistente. Erano, piuttosto, i passi pesanti di un uomo ingobbito, insicuri, strascicati. Il Mycroft vigoroso che era stato avrebbe certamente messo mano all'ombrello, pronto a mettere a frutto gli anni di lezioni di scherma. Il Mycroft del presente, invece, si limitò a registrare l'intrusione, pronto ad accettarne le conseguenze.

Fu la voce dell'intruso a far sollevare la testa a Mycroft, quando udì chiamare il proprio nome nel corridoio. Una voce calda e roca - resa graffiante dal fumo di sigaretta - che Mycroft non aveva difficoltà a riconoscere.
La voce di Gregory Lestrade.

E fu proprio l'ispettore a fare capolino sulla soglia della porta.
«Mycroft? Er... Sherlock mi ha detto di passare... Disturbo? Mi ha dato le chiavi tuo fratello...».
Mycroft restò in silenzio anche dopo che Lestrade ebbe finito di balbettare scuse. Guardò l'uomo a disagio sul posto, con il capo chino, mentre ondeggiava sul posto, bene attento a non oltrepassare la soglia.

«Perchè sei qui Gregory?»
«Sherlock mi ha chiesto di passare a...»
«No, Gregory. Perchè sei qui?»

Greg deglutì una, due volte. Durante tutto il tragitto aveva temuto quella domanda. Non sapeva come iniziare a spiegare quanto fosse logorato dalla solitudine, quanto agognasse la compagnia di qualcuno che potesse capirlo, quanto si fosse sentito sollevato all'idea che ci fosse qualcuno nella sua stessa situazione.
Quanto avesse desiderato la compagnia di Mycroft.

Era la prima volta che lo realizzava coscientemente, ma era vero: non aveva raggiunto l'altra parte della città solo per trovare qualcun altro nella sua stessa situazione. Erano mesi che non usciva di casa per nessuna ragione diversa dal lavoro e le compere per la casa.
Era uscito da quel luogo per Mycroft, perchè desiderava la sua compagnia.

«Ero solo. Sherlock mi ha detto che eri solo anche tu. Volevo dirti che... beh, siamo in due»

One with nobody to call
This city makes me feel so small
A million people in this town
But I could scream without a sound

Mycroft non disse nulla, ma accese un'abat jour posata sul mobile vicino a lui, facendo segno a Gregory di accomodarsi su una poltrona, vicino a lui. Mentre il D.I. prendeva posto, lui si alzò a verdare due drink e, dopo averne porso uno a Lestrade, si avvicinò alla finestra, osservando il mondo fuori.

«Guarda, Gregory, tutta questa gente fuori che vive la sua vita come se non esistessero tristezza, morte, scelte sbagliate. Eppure noi due siamo qui, da soli. È interessante, vero?»

Greg non sapeva come rispondere, mentre guardava la figura di Mycroft Holmes appoggiarsi contro il muro, totalmente rilassato. Era forse una delle prime volte che lo vedeva al di là della postura rigida e del viso inespressivo, e Greg si ritrovò presto a perdersi nei dettagli in genere nascosti: la piega delle labbra di Mycroft, i suoi capelli che, non più costretti dal gel, si arricciavano come quelli del fratello, le braccia scoperte dalle maniche arrotolate della camicia, gli occhi chiari persi ad ammirare la vita oltre il vetro...

Greg deglutì un paio di volte.

Ci volle un enorme sforzo di volontà affinchè Mycroft non si voltasse a fissare L'uomo che sedeva nel suo soggiorno sorseggiando un drink da uno dei suoi bicchieri preferiti. In un'altra vita, forse, loro due sarebbero potuti essere amici, sedendo di fronte in una stanza illuminata, chiacchierando della giornata o di qualunque altra cosa parlassero due amici.
Invece, tra loro due vi era un muro che Mycroft stesso aveva eretto, ma che non aveva idea di come demolire.
Fu proprio per sfuggire a queste considerazioni che il maggiore degli Holmes si concentrò  fissare la vita fuori dalla finestra, mentre un senso di frustrazione lo assaliva. Tante volte, da bambino, si era chiesto perchè lui e i suoi fratelli non potessero vivere una vita normale come tutti gli altri bambini, ma era la prima volta che si poneva la stessa domanda da adulto. Era la prima volta, dopo l'internamento di Eurus, che Mycroft ammetteva a se stesso di soffrire della mancanza di quei sentimenti che tutti gli altri consideravano normali.
Se altra vita gli fosse toccata in sorte, lui e Gregory sarebbero stati in grado di vivere da amici? Mycroft avrebbe avuto la possibilità di vivere Londra come chiunque altro, insieme ai suoi cari? Di amare una persona come se non fosse una debolezza, quanto più un punto di forza? Sua sorella sarebbe stata lo stesso un mostro? Sarebbe stato lui il mostro?
Domande che urlavano nella testa di Mycroft come voci, attaccando ogni spiraglio di vunerabilità, come proiettili pronti a perforargli la carne.
Se altra vita gli fosse toccata in sorte, Mycroft avrebbe capito perchè non riuscisse a guardare l'uomo seduto in poltrona, perchè con lui cercasse di essere sempre al meglio, perchè misurasse le parole, affinchè l'altro non notasse il gelo che gli avvolgeva il cuore.
Se altra vita gli fosse toccata in sorte, lui e Gregory non si sarebbero ritrovati in quell'assurda situazione, a far gara a chi fosse più solo.

Le voci continuavano a susseguirsi nella testa di Mycroft, accavallandosi l'una all'altra, urlando e imprecando, creando una cacofonia che neanche lui fu in grado di sopportare a luingo. Era come un vaso pronto a rompesi, ormai già pieno di crepe e fessure, e fu vedere Gregory lì, seduto a fissarlo, la spinta che gli servì per andare in pezzi.
Lacrime calde gli solcarono il viso, mentre il petto gli veniva stretto da una morsa. I muscoli gli si tesero e il fiato gli si spezzò in gola. La testa girava, mentre perdeva sempre più il controllo di sè.
All'improvviso, scagliò il bicchiere che aveva in mano contro il muro, mandandolo in frantumi, e crollò sulle ginocchia, urlando e singhiozzando.
Il meteo di Londra sembrò imitare il caos che circondava il suo cuore perchè nell'esatto istante in cui il vetro andava in frantumi, un fulmine squarciò il cielo e il temporale colse tutti di sorpresa.

'Cause I know that there's gotta be somebody out there
There's gotta be somebody somewhere
Who needs company
And it's comforting to know
I can't be the only one
Who's lonely tonight
No, I can't be the only

Greg non sapeva come regire alla scena che gli si svolse davanti: Mycroft Holmes, quell'uomo così rigido e posato da sembrare quasi di pietra, era in ginocchio sul pavimento, singhiozzando, dopo aver infranto un bicchiere scagliandolo contro un muro.

Dopo un attimo di shock, Greg si ritrovò a pensare a quante volte si fosse trovato nella stessa situazione, dopo un caso particolarmente violento o, più recentemente, dopo ogni appuntamento dall'avvocato divorzista.
Le parole attacco di panico gli risuonarono in mente con la voce della terapista che lo aveva seguito i primi tempi dopo la richiesta di divorzio.
Greg posò il bicchiere sul primo tavolino disponibile e si lanciò verso Mycroft, ancora riverso a terra.

«Mycroft, hei, Mycroft, guardami» gli disse, afferrandogli le spalle con forza.
«Mycroft, va tutto bene, sei al sicuro, puoi fidarti di me».
Greg si assicurò di avere la completa attenzione di Mycroft, fisando lo sguardo nei suoi occhi.
«Concentrati su di me, va bene? Ascolta la mia voce e respira con me. Sei al sicuro. Concentrati su di me».
Greg seguì il ritmo di respirazioni che la sua terapista gli aveva consigliato di seguire durante un attacco di panico e fece in modo che Mycroft lo imitasse. Mentre Mycroft prendeva il ritmo e il suo respiro si calmava, - e con esso i singhiozzi - Greg iniziò ad allentare la stretta sulle spalle di Mycroft, attento a non lasciarlo mai solo. Non distolse mai lo sguardo dagli occhi di Mycroft finchè non fu sicuro che la situazione fosse sotto controllo.

Preoccupato dal bicchiere ormai in frantumi, Greg fece scorrere le mani dalle spalle lungo le spalle di Mycroft, per arrivare alle mani, che girò delicatamente, alla ricerca di tagli o ferite. Quando non trovò nulla del genere, scaricò un po' della tensione che aveva, rilassando le spalle.

Le mani di Mycroft erano ancora nelle sue e nessuno dei due uomini dava segno di voler cambiare la situazione. Rimasero entrambi sul pavimento, in silenzio, anche dopo che Mycroft ebbe superato il suo attacco di panico.

Era la prima volta in assoluto che Greg vedeva Mycroft comportarsi come un essere umano. Soffrire, piangere, avere paura. Ma Greg si pentì immediatamente delle sue parole: considerare Mycroft "non umano" era come considerarlo un mostro. E non c'erano possibilità che l'uomo che Greg stringeva tra le braccia potesse essere niente di meno che un umano.
Un umano fragile, tormentato, solo, esattamente come lui.

Eppure, sebbene entrambi sentissero il peso della solitudine sulle spalle, Greg non potè fare a meno di ricordare i the condivisi insieme, i sorrisetti che fiorivano sulle labbra di Mycroft dopo le sue battute, - e che prontamente venivano nascosti dall'uomo - i grandi sorrisi che illuminavano il suo stesso viso ogni qualvolta fosse in compagnia del più grande degli Holmes.

La sua mano si mosse prima che la mente realizzasse cosa stava per succedere e, ripercorrendo le braccia di Mycroft fino alle spalle, proseguì per fermarsi sul viso, carezzandogli la guancia e asciugando le lacrime che ancora gli bagnavano la pelle.
Il suo corpo si mosse di propria sponte, ma a quel punto, Greg aveva perso la forza - e forse anche la ragione - per essere in grado di fermarlo. Lentamente, ridusse lo spazio che li separava, avvicinando il volto a quello di Mycroft. Esitò un solo istante, per dargli la possibilità di divincolarsi, se ne avesse avuto voglia.
Mycroft non si divincolò, ma spalancò un po' gli occhi e schiuse leggermente le labbra.
Greg prese coraggio e annullò gli ultimi centimentri che li separavano, posando le labbra su quelle di Mycroft.
Fu un bacio delicato, lieve come le ali di una farfalla, che sapeva di acqua e sale per le lacrime di Mycroft, ma che, allo stesso tempo, aveva la forza di un uragano nel cuore di entrambi gli uomini.
Fu Greg a spezzare il bacio, spaventato dalla possibile reazione di Mycroft, e si allontanò di pochissimi centimetri, riaprendo gli occhi e fissandoli in quelli dell'altro.
La separazione durò meno di un secondo, perchè Mycroft gli si avvicinò di nuovo, baciandolo ancora una volta, portando le mani intorno al suo viso, con la foga di un uomo che vedeva esaudito il suo desiderio.

Si baciarono a lungo, tenendosi stretti, come se non volessero più lasciarsi andare. Si baciarono lì, sul pavimento, perchè il mondo era scomparso. Si baciarono lì, nella penombra, perchè i loro volti erano tutto ciò che necessitavano vedere.

No, I can't be the only one
Who's lonely
No, I can't be the only
The only

Non erano insieme perchè erano da soli. Non erano semplicemente un modo per sconfiggere la noia dell'altro. Erano insieme lì, in quel luogo e in quel momento, perhcè avevano bisogno di essere insieme, ma nessuno dei due lo aveva ancora capito.

Non potevano essere insieme da soli. Potevano essere insieme. E questo gli bastava, mentre si abbracciavano sul pavimento dell soggiorno di Mycroft, guardando il sole spuntare dalle nuvole, in quel silenzio che non era più silenzio, ma che sapeva della placida calma che seguiva una tempesta.

***
Note dell'Autrice:
È stato un parto, letteralmente. Lavoro a questo capitolo da quasi una settimana e, infatti, conta oltre 3000 parole.
Questo capitolo (come gli altri due) è collegato all'universo della mia storia "Saving Greg Lestrade", ma non è assolutamente dipendente dalla storia. Volevo usare l'occasione per espandere un pochino la storia, senza deragliare dalla trama.
Vi auguro una buona lettura e vi invito a lasciarmi pareri, considerazioni e consigli.
Al prossimo capitolo!
Lilith

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Capitolo 5
*** I will go to you like the first snow - Mystrade ***


Song: I will go to you like the first snow - Ailee
Link: https://www.youtube.com/watch?v=By8Iv_TpxCI (original)
        https://www.youtube.com/watch?v=4EIWpI7Vlhw (male version)
        https://www.youtube.com/watch?v=niLWh6G49-A (duet)

Le luci si abbassano, la folla si concentra attorno a due individui, lasciando loro il centro della sala.
Per loro due, il mondo esterno non esiste. Esistono solo loro, in un istante sospeso nel tempo. Hanno quasi paura di infrangere quel momento così puro, così dolce, ma la festa deve continuare, il tempo, purtroppo non può smettere di scorrere.
Così, l'uomo dai capelli rossi spezzza la tensione, avvicinandosi all'altro. Egli posa una mano sulla vita dell'uomo dai capelli sale e pepe, stringendolo in un abbraccio delicato, mentre l'altra afferra la mano del suo compagno.
Entrambi chiudono gli occhi, congiungendo tra loro le fronti.
Un respiro.
La musica inizia a suonare.

Before I held you, I didn’t know
That the world I was in
Was this bright

Mille parole si affacciano nella mente di Mycroft, pronte a scappare, scivolare via dalla sua lingua senza poter essere fermate. Ma lui ha paura di pronunciarle ad alta voce. Il momento che sta vivendo è troppo perfetto perchè lui possa rovinarlo con le sue parole sconnesse.
Eppure, sa di non dover avere timore. Nulla può separarli, mentre danzano al centro della sala.
Nulla potrà mettersi in mezzo al loro amore, mentre inaugurano così la loro vita da coppia sposata, muovendosi al ritmo delicato della musica.
Forte di quell'anello d'oro che, finalmente, riposa sul suo anulare, Mycroft decide di liberarsi di tutte le maschere e le costrizioni, di mostrarsi per chi è veramente, sussurrando nell'orecchio di Gregory Lestrade - Holmes, l'uomo che è, infine, divenuto suo marito.

«Gregory, tu lo sai che non sono bravo con le parole, non con te, purtroppo, ma voglio che tu sappia quanto sono felice in questo momento, quanto io abbia aspettato di poterti, finalmente, stringere così. Voglio poterti dire quanto abbia desiderato poterti chiamare mio marito.
Prima di conoscerti ero solo, lo sai, vivevo in un mondo grigio e nebbioso, fatto di logica e calcoli. Era un mondo così freddo e tagliente... ma era tutta una finzione.
Ero io ad essere cieco, a non vedere quanto il mondo potesse essere accogliente e caldo. Quanto fosse luminosa la luce che mi circondava.
Grazie a te, amore mio, ho visto quanto mi sbagliassi, quanto stessi perdendo della vita. È stato quando ci siamo sfiorati la prima volta che ho compreso le mie colpe»

Gregory non risponde, ma posa la testa sulla spalla di Mycroft. Il rosso non sa se sia il suo modo di invitarlo a continuare a parlare o se sia semplicemente sorpreso di sentire ciò che Mycroft ha trovato il coraggio di dire.

Per la prima volta Mycroft Holmes - Lestrade non è spaventato da ciò che prova. Le diga si è infranta e l'acqua scorre inesorabile, tracciando nuovi percorsi, scavando solchi nei cuori dei due uomini che ora volteggiano insieme, stringendosi come se avessero paura di perdersi.

I reached you with a small breath of life
It’s a love that called out to me fearlessly

«Mi sono lanciato in questa cosa con te in un momento in cui non avevo più la forza di andare avanti. Il mio mondo era crollato ai miei piedi, mi ero reso conto di tutti gli errori che avevo commesso, di quanto mia sorella, i miei genitori, la mia famiglia, avessero sofferto per colpa mia. Non avevo più fiato nei polmoni quando sei giunto da me, amore mio, non avevo più la forza di andare avanti.
Eppure tu mi hai raggiunto, senza colpevolizzarmi, senza ricordarmi i miei errori. Sapevi quanto fosse difficile per me affrontare tutto questo e, soprattutto, quanta paura avessi dell'Amore... del tuo amore.
Ma tu non hai mai avuto paura. Mi sei rimasto al fianco e l'ho sentito in tutti i tuoi gesti, in tutte le tue parole.
Non sapevo cosa fosse l'amore, Gregory, mi dispiace... e ti ringrazio per essere stato un insegnante così paziente...»

Gregory lo interrompe posando gentilmente le labbra sulle sue e baciandolo con tutto l'amore di cui è capace.

«Non è questo il momento per le scuse, Mycroft» gli sussurra sulle labbra.

I liked it so much
Watching over you, my heart fluttering
Even when I was ridiculously jealous
All of those ordinary moments

«E invece, Gregory, sono tante le cose di cui mi devo scusare... Tante volte mi sono messo ad osservarti, anche quando sapevo benissimo che tu fossi in grado di affrontare tutte le situazioni che ti si presentavano tutti i giorni.
Eppure, io ero preoccupato lo stesso, Gregory, e non sapevo come poterti essere d'aiuto. Per tutta la vita, stare accanto a mio fratello e proteggerlo significava doverlo costantemente osservare da lontano, spiare, controllare.
Non mi sono mai accorto di quanto ti desse fastidio e, per questo, ti chiedo di perdonarmi.
Ma, nonostante tutto, un po' mi piaceva osservarti, vederti alla presa con le tue mille vicessitudini quotidiane... anche se spesso sono stato un po' geloso, quando non potevo condividere con te tutti quei momenti così ordinari e banali. Quando dovevo andare via per lavoro e non potevo ascoltarti parlare di ogni più piccolo problema come se fosse una questione di Stato.
Tutte le volte che volevi festeggiare la risoluzione di un caso, ma io non potevo raggiungerti al pub perchè, stupidamente, avevo paura di metterti in pericolo. O, peggio, che tu ti potessi vergognare di me.
Però voglio che tu sappia che il mio cuore era sempre al tuo fianco e che io, d'ora in poi, ci sarò sempre e per sempre»

Gregory ride sottovoce, divertito da chissà quale pensiero.
«Non mi ha mai dato fastidio avere un Angelo Custode tutto per me, lo sai. E non mi sarei mai vergonato di te, stai tranquillo, tesoro»

In the dark eternity
In that long wait
Like sunshine, you fell down to me

«Per anni ho visto le persone che mi cirondavano innamorarsi, costruire una vita per sè e le persone che amavano, mentre io restavo lì, da solo, a sperare che anche per me sarebbe arrivato un lieto fine...
Ma non è mail arrivato, perciò ho atteso un'eternità, solo, ad osservare un futuro oscuro, come fosse la mia unica opzione.
Poi, mentre mi convincevo che l'attesa sarebbe durata per sempre, sei arrivato tu e tutto è cambiato. Finalmente ho capito tutte le volte in cui mio fratello definiva John il suo "Portatore di Luce".
Tu sei diventato il mio portatore di luce, il sole che ha illuminato il mio cammino. Forse avrei dovuto raggiungerti prima, forse non avrei dovuto perdere le speranze...
Ma sono felice di averti, finalmente, tutto per me»

La canzone era terminata, ma non il discorso di Mycroft, che riprese a volteggiare con Gregory, mentre le note di una nuova melodia accompagnavano i loro passi.

Before I let go of you, I didn’t know
That the world I am in
Was this lonely

«Ho sbagliato enormemente, tutte le volte che ti ho lasciato solo dopo un litigio, tutte le volte che ti ho allontanato, che ti ho chiesto di andare via.
Ero convinto di poter vivere benissimo senza di te, ma non mi ero mai reso conto di quanto fosse solitario, il mondo in cui vivevo.
Non vale la pena di vivere la mia vita, senza te al mio fianco... e mi sono stancato di prendermi in giro. Di prenderci entrambi in giro.
Perciò ti ho chiesto di sposarmi e, amore mio, ero terrorizzato quando mi sono messo in ginocchio. Conosco il tuo passato e so quanto hai sofferto... Il pensiero che tu potessi dirmi di no, ancora adesso, tormenta i miei sogni. Non immagini la gioia che ho provato - e, soprattutto, la sorpresa - di trovarti in ginocchio davanti a me, anche tu con un anello in mano.
Mi sono sentito così stupido...»

«Ma sei stato stupido, Mycroft. Non avrei mai rifiutato l'idea di diventare tuo marito e, se anche tu mi spezzassi il cuore alla fine di questa canzone, credimi, ne sarebbe valsa la pena»

Pretty flowers bloomed and withered here
The season of you will never come again

I started to become greedy
I wanted to live with you, grow old with you
Hold your wrinkled hands
And say how warm my life was

«Il tempo passava e quella piccola infrazione che mi ero concesso, stare con te, provare qualcosa per te, si ingigantiva di minuto in minuto.
Ho iniziato a desiderare più di quanto possedessi. Volevo poter vivere con te, svegliarmi la mattina al tuo fianco, vestirmi chiacchierando del più e del meno, mentre ti osservavo avvolgerti nelle coperte e rifiutarti di lasciare il letto.
Volevo tornare a casa e vederti indaffarato nelle tue mille abitudini quotidiane, esplorare casa mia come fosse un castello abbandonato o, semplicemente, indaffarato a compilare un'infinità di scartoffie burocratiche...
E quando ho ottenuto tutto ciò ho iniziato a desiderare sempre di più.
Volevo vederti invecchiare al mio fianco. Sedermi sul portico di una casa in campagna, come quella dei miei genitori, e stringerti le mani rugose, guardandoti con lo stesso sguardo che mio padre ha regalato solo a mia madre.
Volevo vivere il tramonto della mia esistenza insieme a te, osservare il mio cielo tingersi di rosso e, finalmente, rendermi conto di aver vissuto una splendida vita.»

It was just one blessing
After that short encounter
You cried like the rain

I wanted to be
Happy for once
But that made you cry

«Ricordo che hai pianto la prima volta che ho confessato il mio amore per te. Ho temuto il peggio, che tu potessi rifiutarmi, che tu potessi spaventarti...
Eravamo entrambi fragili, me ne rendo conto ora, ma io non sapevo come gestire la mia vulnerabilità.
Avevo paura che saresti scappato e, ammetto, il mio cuore è sprofondato quando ho visto le lacrime che ti solcavano il viso.
Mi sono rimproverato aspramente. Per una volta, volevo poter essere felice e, invece, tu piangevi... non me lo sarei mai perdonato»

Gregory fa per parlare, ma incrociando lo sguardo di Mycroft, cambia idea, lasciando all'uomo tutto il silenzio necessario a continuare.
Come nel ricordo di Mycroft, però, lacrime calde gli solcano il viso, mentre rivivive quel momento, quell'inaspettata benedizione giunta dopo un'attesa infinita.

Forget everything and move on
Because I will go to you
When your breath
Calls out to me again

«Ti avevo chiesto di dimenticare tutto, vivere la tua vita come se non fosse mai successo nulla. Ero pronto a sparire, a far finta di non essere mai esistito, eppure tu mi hai fermato.
Ricordo ancor come mi hai baciato, quanto desiderassi avere le tue labbra sulle mie e quanto sorpreso fossi dalla tua azione.
Ricordo anche quello che abbiamo fatto dopo, quanto delicato tu sia stato, quanta paura avessi io di ferirti, non fisicamente, come ho ferito centinaia di persone nella mia vita.
E ricordo quello che mi hai detto...»

«Ti amo come la Terra ama il sole, Mycroft, non azzardarti a sparire» completa lui, sussurrando sulle labbra di Mycroft come fece quella volta.

I won’t ever forget
Watching over you, my heart fluttering
Even when I was ridiculously jealous
All of those moments that you gave to me

«Sherlock e John mi hanno impedito di spiarti durante i preparativi del matrimonio, così ho dovuto immaginare le tue azioni, le tue parole, i tuoi movimenti.
Ammetto di essere stato parecchio geloso del Dottore, in molte occasioni... Dovevo esserci io con te a scegliere il completo che avresti indossato - e a togliertelo di dosso nel camerino. Non era giusto che non potessi essere con te al pub durante il tuo addio al non-celibato...»

Gregory ride di gusto alla battuta e Mycroft non può fare a meno di sorridere a vedere come il viso di suo marito si illumini.

Some day, we’ll meet again
It’ll be the happiest day
I will go to you like the first snow

«Eppure sono riuscito a resistere, ad aspettare, perchè sapevo che ti avrei visto davanti a quell'altare. Sapevo che saresti stato bellissimo, perchè tu, per me, lo sei sempre. E sapevo che ti avrei amato anche più di quanto già facessi...
Ma non mi aspettavo di provare quello che ho provato...
Eri bello come i primi fiocchi di neve che cadono giù in una fredda serata d'inverno. Bello come la luce che si riflette sul ghiaccio, illuminando l'ambiente di mille colori meravigliosi.
Non mi aspettavo di amarti, ma non avrei mai potuto immaginare di potermi sciogliere nel sentirti pronunciare le parole lo voglio.
Sei arrivato nella mia vita come un raggio di sole improvviso, sciogliendo il ghiaccio in cui mi ero imprigionato e, ora, mi hai reso l'uomo più felice del mondo, Gregory Lestrade - Holmes.»

La musica si interrompe, i due uomini sciolgono l'abbraccio. ma le loro mani sono saldamente intrecciate.
Questa volta non lasceranno che nulla li separi.
Ma ora non è il momento di pensare alle lotte, alle separazioni e ai problemi.
Ora è il momento di festeggiare.
Brindiamo alla salute e alla longevità di questa unione.

Brindiamo a Mycroft Holmes-Lestrade e a suo marito, il D.I. Gregory Lestrade-Holmes.

***
Note dell'Autrice:
Ciao di nuovo! Vi ho detto che non vi avrei abbandonati...
Per questa storia dovete ringraziare Koa__ che mi chiede del buon vecchio fluff da un'eternità.
Al prossimo capitolo!
Lilith

 

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Capitolo 6
*** Melted - Eurus ***


Song: Melted - AKMU
Link: https://www.youtube.com/watch?v=k_VmQF_VU4I

The blue ocean that the red sun
Used to wash its face turns Oh Oh black

I due bambini giocavano sulla sabbia, con le loro spade di legno e i loro nomi da pirati. Era il loro gioco preferito a casa, ma era lì, in quella spiaggia aperta, libera e solitaria, che la farsa diventava reale. Con il vento che scompigliava i loro capelli, l'acqua a inzuppare i loro vestiti, l'odore della salsedine ad accompagnare quei due piccoi biricchini.
Due bambini così legati, così vicini tra loro da sembrare quasi l'estensione fisica l'uno dell'altro.
Un'amicizia indissolubile, eterna.

Dall'altra parte della spiaggia un ragazzotto cicciottello si rilassava su una coperta da picnic, mangiucchiando distrattamente i dolci contenuti nel cestino. Sono strani i fratelli maggiori, ci vivi tutto il giorno insieme, ma è come se appartenessero a un mondo tutto loro.
Questo giovane, in particolare, così intelligente e così legato allo zio Rudy, tanto da volerne seguire le orme, sembrava sempre distratto, con la testa in chissà quale libro, seguendo chissà quale treno di pensieri.

E poi ci sei tu, Eurus, che non appartieni a nessuno dei due gruppi. Non potrai mai seguire Sherlock nelle sue avventure da pirata, non entrerai mai nella mente di Mycroft, non farai mai parte dei loro cuori.

Quella spiaggia così tranquilla, gioviale, per te è l'ennesimo promemoria di come tu sia invisibile agli occhi di tutti. Di quanto tu sia sola.
Questa spiaggia, così tanto amata dalla mamma perchè, a suo parere, esibisce alcuni dei tramonti più belli di tutta l'Inghilterra, non è più luminosa nei tuoi ricordi.
È buia, fredda, cupa.
Il sole è tramontato, ora la luna domina il cielo.

Hai paura, Eurus?

The white sky that had clouds and
Rain and the wind turns gray

È giusto che tu sia sola? È giusto che nessuno giochi con te?
No, sei solo una bambina. Tuo fratello non ti ascolta, è troppo preso dalle sue esplorazioni, e allora tu lo segui, lo chiami, lo implori, ma ormai è tardi, ti sei persa.
Sei su, persa in un cielo limpido, costretta ad osservare il mondo da lontano.
Quel cielo così bianco e chiaro si incupisce, arrivano le nuvole, la luce del sole è ormai un lontano ricordo.
Batte la pioggia sul terreno, il vento scuote le chiome degli alberi, e tu sei lì, al centro della tempesta.
Non puoi scendere, non hai posto dove nasconderti, sei in balia degli elementi.

Hai paura, Eurus?

I leave the darkness that finds my heart
Even the cold shadow that covers the night starts to harden

Victor deve sparire. È lui il problema, non è vero? È lui che ti porta via l'amore di tuo fratello. Lo ruba, come fosse un gioiello prezioso, un tesoro nascosto in un luogo marchiato da una X.
RedBeard, Barbarossa, il ladro che ti ha portato via il cuore di tuo fratello.
Il ladro che ha portato via il tuo.
Sei una bambina, vuoi giocare con tuo fratello, ma lui è sempre lì a portartelo via.
Non è giusto, perchè nessuno lo vede?
Perchè nessuno riesce a capire quanto tu sia sola?

Il tuo cuore si indurisce, diventa di ghiaccio. Fa freddo intorno a te. Tutto è buio, è cupo, mentre porti con te quel bambino mezzo addormentato, mentre lo leghi sul fondo del pozzo.
Non ascolti le sue grida d'aiuto, lui è ormai lontano dal tuo cuore, lontano dal cuore di Sherlock.
Nella tua mente pregusti già la gioia di giocare con tuo fratello, ora che il ladro è stato finalmente punito per i suoi reati.

Ma quella mattina Sherlock non gioca con te. Corre via, alla ricerca di lui, di Barbarossa.
Dov'è Victor? Cosa gli hai fatto? Ti chiedono di continuo. È davvero così importante quel ragazzino?

E allora va bene, se Sherlock non vuole giocare con te, sarai tu a giocare con lui. Con quel bambino così innamorato degli enigmi e dei misteri. Lo mandi via, gli regali l'indovinello più importante.
Torni nella tua stanza, mentre fuori il sole tramonta, le ombre entrano dalla finestra, tutto è di nuovo buio, tutto è di nuovo freddo. L'oscurità è tagliente come una lama, ma tu sei lì.
Aspetti.

Penseresti che uccidere le persone ti faccia piacere da loro, ma non è vero. Le rende solo morte.

Hai paura, Eurus?

If the ice melts
A warmer song would have come out
But why is the ice so cold?
Why is it so cold?

Canti la tua canzone, tu che sei persa, e indichi la via. Ti è sempre piaciuta la musica.
Hai adorato insegnare al tuo fratellino a suonare il violino. Gli cantavi le ninnananne quando andavate a dormire.
E ora? Lui non ascolta la tua canzone, ma la risposta è proprio lì.
Save my soul, seek my room.

Canti la tua canzone, mentre aspetti che lui venga a salvarti da quel cielo così oscuro. Nevica ora, sei intrappolata nel ghiaccio.
Fa così freddo, perciò canti ancora e ancora, sempre di più, sempre più forte.
Se solo lui arrivasse, se solo ti salvasse, potreste scrivere insieme una nuova canzone, più allegra. Potreste ballare insieme all'ombra dei salici.
E, allora, anche tu avresti un amico.

Ma lui non arriva e il ghiaccio ti circonda. È così freddo...

Hai paura, Eurus?

The blue ocean that the red sun used to wash its face
I look at the past warmth that is deeply buried
(too late get it out)

La spiaggia dove giocavate da bambini è ormai un ricordo, mentre osservi il mondo dal vetro della tua cella.
Tradita da quegli uomini che tanto amavi, non c'è più spazio per la fiducia. Mycroft viene a trovarti, ogni tanto, ti porta dei regali.
Non hai mai visto Sherlock. Quel fratellino che tanto amavi, non hai potuto vederlo crescere. Chissà com'è diventato, chissà cosa fa nella vita. Ti pensa, ogni tanto? Gli manchi?

Vorresti conoscerlo, ma Mycroft non te lo permette. E allora chiedi che ti sia dato ciò che è più vicino a lui, che ti sia data la sua immagine riflessa.

Moriarty, quell'uomo così strano, ti parla di lui come se lo conoscesse, e allora anche a te sembra di conoscerlo. Desideri tanto la compagnia di quel tuo fratello tanto lontano.
Ma lui ha trovato un altro amico, un altro Barbarossa, che gioca con lui.
Cambia il gioco, cambia la favola, ma la fine è sempre la stessa: lui avrà un amico, e tu resterai sola.
Così scappi. Lo cerchi, vuoi vedere con i tuoi occhi quell'uomo che per te è uno sconosciuto.
La tua vita non è tua, toglile le mani di dosso.
È incredibile come quell'uomo possa essere così gentile e così spietato. Come possa passare un'intera notte con una sconosciuta per convincerla a non suicidarsi.
Dov'è finito quel bambino che ignorava la propria sorella?
E John, così simile a Victor... Un'altra pedina nel tuo gioco malato. Così umano che quasi ti annoia, proprio come Barbarossa. È così facile convincerlo a tradire le persone che dice di amare.
Gli uomini sono così volubili, così poco coerenti con loro stessi...

Eppure, ora, mentre gioca al tuo gioco, non lo tradisce, non lo abbandona, neanche con una pistola puntata alla testa.
Anche Mycroft, quel fratellone disinteressato, sembra avere una connessione profonda con Sherlock.
Cosa succede?

Chiudi gli occhi e torni in quel cielo blu. Piove, fa freddo, nulla è cambiato.
Loro sono uniti.
Tu sei sola.
È ingiusto.

Hai paura, Eurus?

I wish the cold in the world of adults would be gone too
I wish the frozen love will melt away now

Ti manca la tua stanza, ti mancano i tuoi ricordi, le tue canzoni.
La mamma che ti spazzolava i capelli, papà che rimproverava i ragazzi quando ti facevano i dispetti.
Ti mancano le colazioni rumorose nelle pigre mattine a Musgrave, ti mancano Sherlock e Victor che si rincorrono al tavolo della cucina.

Torni a casa e tutto è come prima.
Sei sola nella tua stanza, tu che sei persa. Il vento dell'Est soffia tra i tuoi capelli, la tempesta si abbatte. Sei tornata quella bambina di una volta, la tua anima cerca ancora il conforto all'ombra dei salici.

Aspetti quel fratello che sai non arriverà, la morte bussa ancora alla porta.
Qualcun'altro è nel pozzo, qualcun'altro morirà stanotte.
La storia è la stessa, non cambia il finale.

Save my soul, seek my room.

Sherlock non verrà a salvarti, lo sai, Eurus. Sei ancora sola, in questo mondo. Non sei più una bambina, vivi nel gelido mondo degli adulti.

Hai paura, Eurus.

If the ice melts melts
A warmer song would have come out (a little more)
But why is the ice so cold?
Why is it so cold?

Sei nella tua stanza, sei di nuovo sola. Nessun fiammifero potrà più spazzare via il gelo che porti dento. Lo senti nelle ossa, è dentro di te.
La pioggia cade, il pozzo si riempie, ma non è Victor ad affogare. Non è Sherlock ad aver epaura dell'acqua.
Sono i tuoi polmoni a bruciare mentre annaspi alla ricerca di aria.

Anche stavolt, sei sull'aereo, non puoi atterrare, la tempesta ti attraversa.
Eppure sei qui, a Musgrave, nel centro del tuo rituale.
Canti ancora.
Aiutami, soccorrimi ora, il vento dell'Est soffia.

E finalmente, Sherlock capisce. Corre alla ricerca di quelle tombe che per lungo tempo sono state la tua unica compagnia.
Ti ascolta cantare.
Il ghiaccio si scioglie piano piano, la musica prende il posto delle parole mentre, finalmente, il rituale s'infrange e Sherlock trova la tua stanza.

Se le cose fossero andate diversamente, forse, non sareste mai stati separati.
Forse non saresti stata sola.
Forse avresti cantato un'altra canzone, diversa, allegra.

Eri solo una bambina che voleva giocare.
Eri solo una bambina che non aveva nessuno.

Ora la tua famiglia è lì con te, ora suonate insieme.
Il ghiaccio si scioglie.
Nulla tornerà come prima.

Non avere paura, Eurus.

***
Note dell'Autrice:
Eccomi tornata, vi sono mancata?
Dopo il fluff di ieri possiamo finalmente ricominciare con il nostro regime di tristezza e disperazione, che, visto il periodo, non mancano.
Giuro che prima o poi scriverò qualcosa non collegato alla 4 stagione.
Al prossimo capitolo!
Lilith

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Capitolo 7
*** All I Want - Johnlock ***


Song: All I Want - Kodaline
Link: https://www.youtube.com/watch?v=T6Tl1OffJX0

All I want is nothing more
To hear you knocking at my door

La polvere si posa sugli scaffali, lentamente, pesantemente. Il tempo scorre inesorabile, scandito dal ritmico ticchettio dell'orologio sulla parete. L'aria è irrespirabile, fitta nebbiosa. Sembra di camminare nella formaldeide, per quanto è opprimente. La schiena si curva per il peso dell'atmosfera che si percepisce in questa stanza.
O forse sono io quello sbagliato.

Forse sono solo io a non riuscire ad entrare nell'appartamento - nel nostro appartamento - senza ricordare tutti i momenti che abbiamo vissuto insieme. I casi assurdi, le corse per la città, le tue assurde abitudini. La cucina somigliante a un campo di battaglia, le dita mozzate nel frigo.
Mrs. Hudson con il the, Mycroft sempre pronto a farti la ramanzina, Lestrade e i suoi documenti. I drug-bust a sorpresa.

Mi manca la normalità di quell'anormalità che mi ero abituato a vivere tutti i giorni.
Sobbalzo ancora ogni volta che qualcuno bussa alla porta, convinto di vederti oltrepassare la soglia in ogni momento.
Ma non ci sei mai.

Ho visto morire così tanti amici in battaglia, Sherlock.
Mai ho desiderato così tanto raggiungerli.

'Cause if I could see your face once more
I could die as a happy man I'm sure

Ti prego, Sherlock, non essere morto. Dimmi che è un altro dei tuoi trucchi, un altro dei tuoi scherzi.
Torna qui a dirmi che non è vero, che è una finzione.
È tutto ciò che ti chiedo, Sherlock. Torna indietro, per me.
Solo per una volta, solo per un momento.
Torna indietro, dimmi che sei vivo.
Oppure, se è tutto vero, se sei davvero caduto da quel tetto, se eri davvero tu l'uomo che ho stretto sul marciapiede, quello che ho seppellito sotto una tomba di marmo nero, se tutto questo è reale, ti prego, torna da me. Torna e portami via con te.
Mi basta questo, mi basta rivederti un'ultima volta, dirti ciò che non ho detto al momento giusto, e me ne andrei senza guardarmi indietro.

Ero solo, Sherlock. Ero solo e pronto ad andarmene. Poi sei arrivato tu e quella maledetta donna in rosa.
Mi hai dato una motivazione per vivere, per andare acanti, invece che sopravvivere ancorandomi al passato.
Mi hai dato tutto...
E ora te lo sei portato via.
Ti rendi conto di quanto tu sia stato stronzo, Sherlock, a togliermi l'unica cosa che mi ha convinto ad andare avanti nell'ultimo anno?

E ora sono solo di nuovo, voglio urarti tutto questo, ma non posso.

When you said your last goodbye
I died a little bit inside

«This phone call it’s my note. It’s what people do, don’t they – leave a note»
«Goodbye John»

Continuo a ripetermi queste parole, a ricordare quei momenti, a cercare un segnale, un indizio qualunque che possa dirmi che non è vero.
Ma non lo trovo.
Torno a trovarti tutti i giorni. Mi guardo intorno, sperando di vederti spuntare dai cipressi del cimitero urlando "sorpresa", o qualcosa del genere.
Ma, come puoi sicuramente immaginare, non accade mai.

Quando sei caduto, il mio cuore è sprofondato. Era lui quello sul pavimento di fronte al St. Barth's, era lui quello freddo, in terra, pallido come mai lo avevo visto.
Era lui quello che mi hanno impedito di raggiungere, quello che hanno portato via su una barella, quello che hanno portato via da me.
Era lui quello che ho seppellito.
È lui quello che giace sotto quella maledetta lapide.
È lui. Non tu. Non puoi essere tu.

O forse siete entrambi e non me ne sono mai accorto.
Forse non ho mai capito quanto sfocati fossero i confini. Forse non ho mai capito dove finisse il mio cuore e dove iniziassi tu.

D'altronde, me lo hai sempre detto.
Non sono mai stato bravo ad osservare.

I lay in tears in bed all night
Alone without you by my side

Prima di conoscerti non riuscivo a dormire, tormentato com'ero da flashback ed incubi sulla guerra. Quante volte ho sognato di vedere i miei commilitoni morire in battaglia, quante volte mi sono svegliato nel pieno della notte, con il cuore a mille.

Ora che ti ho conosciuto non riesco a dormire, preso come sono da flashback e incubi sulla tua caduta. Quante volte sogno di vederti cadere da quel tetto, senza poter fare nulla per impedirlo, quante volte mi sveglio nel pieno della notte, con il cuore a mille.

Buffo come la storia si ripeta, come tutto ritorni prima o poi, in una forma o nell'altra.
Tranne te. Tu non torni mai.

Quando vivevamo nell'appartamento mi è capitato, qualche volta, di trovarmi a girovagare per casa, di notte, insonne. Chissà come mai, mi ritrovavo sempre nella tua stanza, a guardarti dormire. Chissà come mai, mi ritrovavo a sedermi sul bordo del letto, ad accarezzarti i capelli.
Quante cose avrei voluto dirti, quante cose avrei voluto fare
Forse avrei dovuto svegliarti una volta. Forse avrei dovuto seguire quell'impulso pazzo e disperato di baciarti, di tenerti il viso tra le mani, di fare quello che ho sempre negato a me stesso.
Forse, se lo avessi fatto, ti saresti fidato di me. Sarei stato io lì, con te, di fronte a Moriarty.
Forse non saresti saltato.
Forse saresti ancora qui.

Sono salito sul tetto, poi. Avevano appena tolto il corpo di Moriarty, o, almeno, questo è quello che ha detto Mycroft. Ho imparato a non fidarmi di lui. Anche lui ha il tuo sangue sulle sue mani.
Anche lì c'era del sangue, non avevano ancora pulito, e, affacciandomi, ho visto il tuo, di sangue.
Ho visto me stesso correre da te, ho visto me stesso prenderti la mano, ho visto i medici allontanarti da me.

«Lasciatemi passare, è mio amico... è mio amico» ho detto.
Quale enorme, gigantesca bugia. Avrei dovuto dirtelo allora, avrei dovuto usare l'ultima occasione...
Ma come potevo dirti ciò che non capivo neanche io?
Come potevo spiegarti ciò che provo per te dopo averlo negato per mesi?
Come potevo dirti "ti amo" senza avere paura?

'Cause you brought out the best of me
A part of me I'd never seen

Mentre ero sul tetto ho ripensato a ciò che mi hai detto una volta. Mi dicesti che tu non sei un eroe.
Idiota.

Quando ti ho conosciuto ero un uomo solo, tornato da una guerra mai finita, senza sogni, speranze o prospettive.
Persino il mio corpo si rifiutava di lasciarmi dimenticare le mie ferite, prova a immaginare come fosse la mia mente.
Vivevo in un misero appartamento al centro del nulla, così spoglio da dar l'impressione di essere abbandonato.
Possedevo una pistola. Non certo per autodifesa.

Poi sono arrivato al St. Barth's con Mike.
E la mia vita è cambiata.
Per la prima volta non ho impugnato la pistola contro me stesso, ma l'ho usata per proteggere te.
Per la prima volta mi sono affezionato al graffito sulla parete.
Per la prima volta mi sono svegliato la mattina senza incubi.
Per la prima volta ho desiderato vivere.

Risolvere casi con te, Sherlock, non era solo una dose di adrenalina, era vita pura, era gioia, eccitazione. Era condividere con te momenti unici e irripetibili.

Se ti dicessi, qui e ora, che mi hai salvato la vita in più modi di quanti sarei persino capace di esprimere, mi crederesti?
Capiresti quanto sia sbagliato credere che tu non sia un eroe?

Sherlock, nulla, assolutamente nulla potrà mai convincermi che tu non sia un eroe. Che tu non sia un genio pazzoide, dal cuore d'oro seppellito sotto vari strati di cemento.
Nessuno potrà mai convincermi che tu non sia l'uomo più straordinario che io abbia mai conosciuto.

Nessuno.
Neanche tu.

You took my soul wiped it clean
Our love was made for movie screens

Quando ero con te, per la prima volta, sentivo di avere uno scopo, come se, finalmente, mi fossi liberato della terra, del fango, dello sporco e della puzza delle trincee.
Come se finalmente fossi riuscito a sganciarmi da quel peso che mi portava sempre più a fondo, risucchiato dalle sabbie mobili.

Non mi sono mai sentito una "spalla" nel tuo lavoro. Non mi sono mai sentito lasciato indietro da te... eppure lo hai fatto, mi hai lasciato indietro. Mi hai allontanato...
E ti sei lanciato.

Ho riletto il blog così tante volte.
La mia storia.
La tua storia.
La nostra storia.

Dovrebbero farci un film, lo sai? Peccato per il finale...

But If you loved me
Why did you leave me
Take my body
Take my body

Ancora mi chiedo perchè tu lo abbia fatto. È questo che mi uccide. È questo che mi leva il fiato ogni volta che mi torni in mente.
Credevo di conoscerti, credevo di essere tuo amico. Il tuo unico amico.
Ma non è bastato perchè tu ti fidassi di me.

Perchè, Sherlock, perchè? Io ti avrei seguito, lo sai. Avrei fatto di tutto per te. Ero pronto a morire con te già nella piscina.
Ero pronto a vivere per  te quando ti ho conosciuto.

Torna da me, Sherlock, ti prego.
O, se preferisci, portami via con te.
Ma non lasciarmi solo. Non portarti via il mio cuore.
Torna a casa, Sherlock. Torna da me.

All I want is
All I need is
To find somebody
I'll find somebody

Tutti mi dicono di andare avanti.
La mia terapista dice che dovrei provare a trovare qualcuno per dimenticarti.
Avevi ragione, avrei dovuto licenziarla.

Chi sarà mai alla tua altezza? Chi potrà mai riempire il vuoto che hai lasciato?
Nessuno.
Neanche io, Sherlock.

Perciò me ne vado. Lascio l'appartamento.
Perdonami, ma è troppo per me.

Chiuderò il mio amore per te dietro questa porta, come ho chiuso il mio cuore in quella bara.
«Torna da me» dico un'ultima volta. Solo la polvere mi ascolta.

Goodbye, Sherlock.

Lacrime calde solcano il viso del dottore mentre si allontana lungo Baker Street. Se solo non piangesse, se solo non avesse la testa incassata nelle spalle, la schiena ingobbita, gli occhi fissi sui piedi... forse lo noterebbe.
Noterebbe l'uomo dai capelli corvini che, stretto nel suo cappotto, con il colletto alzato e la sciarpa blu, lo osserva camminare lentamente.
Se solo non singhiozzasse, forse lo sentirebbe. Forse sentirebbe le parole di quell'uomo, ascolterebbe quella voce rotta.
«Sono qui, John. Tornerò. Per te»

***
Note dell'Autrice:
Forza, sapevate che sarebbe arrivata questa canzone.
A essere totalmente onesta, non è il mio capitolo preferito, ma sotto consiglio/minaccia di una mia amica lo pubblico lo stesso e vediamo come va.
Come promesso mi sono un attimo allontanata dalla quarta stagione, perchè anche la seconda è piena di tristezza e merita di essere sofferta.
Questa volta più che mai mi piacerebbe avere un vostro parere sullo stile, tema ecc.
Al prossimo capitolo!
Lilith

 

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Capitolo 8
*** My Flower - Johnlock (angst) ***


Song: My flower - Ladies' Code
Link: https://www.youtube.com/watch?v=f6WFVmqVJ3w
remix: https://www.youtube.com/watch?v=X_ius-a-J1s
Angst Warning

One by one I have fallen
I am almost out of strength
I can only watch on
What do I do

Per quanto adrenalinico e spettacolare possa sembrare, la lotta al crimine, il risolvere i misteri e i casi più particolari, non è un lavoro facile.
È logorante dover passare ore e ore a fissare una parete in cerca di ispirazione, a rivalutare ogni singolo suono, movimento, respiro.
È frustrante non riuscire ad ottenere la risposta al primo sguardo, dover sviscerare i segreti di ogni mistero.
Ma, più di ogni altra cosa, è la paura di non riuscire a vedere la luce del giorno successivo, di restare feriti - o peggio - durante un caso. Il terrore di vedere il proprio compagno perdere la vita per colpa della propria stupidità. Questo è ciò che rende duro il lavoro di Sherlock Holmes e John Watson.

Dietro l'aria avventurosa donata al pubblico dalle parole scritte da John sul suo blog, vivono la paura, l'insicurezza.

John ha già perso Sherlock più di una volta. Lo ha visto suicidarsi, lo ha visto perdere la vita in seguito al proiettile sparato da Mary, lo ha visto sull'orlo di chissà quante overdose... Ci sarebbe da pensare che sia sceso a patti con il perdere Sherlock, con la sua morte... E, invece, non è così.
Non è così quando si sveglia urlando la notte, non è così quando cerca il conforto delle sue braccia, non è così quando il suo respiro accelera perchè l'altro impiega un minuto di più a rispondere ad un messaggio.

Perciò, durante le loro scorribande, John allerta i sensi al massimo, pronto a captare ogni singolo elemento di pericolo che potrebbe mettere a rischio la vita di Sherlock.

Peccato che, sebbene le sue capacità di osservazione siano estremamente migliori rispetto alla maggior parte della popolazione, Sherlock non sia mai riuscito a cogliere le intenzioni di John.

Peccato che Sherlock non sia stato in grado di fermarlo in tempo.
Peccato che fosse troppo tardi.
Peccato che il proiettile lo avesse colpito prima che Sherlock avesse l'istinto di muoversi.

E ora John giace in terra, mentre Sherlock, con la testa del biondo in grembo, lo rimprovera per la sua incoscienza.

«Almeno stavolta non ho dovuto perderti» sussurra John con un filo di voce. È stremato, non può far altro che guardare Sherlock, mentre quest'ultimo telefona disperato a Lestrade, al pronto soccorso, a chiunque.

Chiede aiuto, ma è solo. Cosa può fare un uomo solo?

My flower he was my everything
But he won't listen to me

«Sei stato l'uomo migliore e più saggio che io abbia mai conosciuto, te l'ho mai detto, Sherlock?»
«Shhh, non parlare, conserva le forze, John», ma lui non ascolta.
«Avrei... avrei dovuto dirtelo prima - prende a fatica un respiro - avrei dovuto dirti quanto sei importante per me, Sherlock».
Ma glielo aveva già detto, tante di quelle volte, in tutti i suoi gesti. Lo aveva già espresso in tutte le varianti della lingua inglese, tutte quelle volte che, con i suoi commenti, aveva fatto sentire Sherlock la stella più luminosa, tutte le volte che lo aveva convinto di non ascoltare chi lo definiva un "mostro", uno "strambo".
Glielo aveva detto presentandosi davanti alla sua tomba tutti i giorni con dei fiori freschi.
Glielo aveva detto prima che salisse su quel maledetto aereo.
Glielo aveva detto quando lo aveva perdonato per la morte di Mary.

E Sherlock lo aveva ascoltato, sebbene fosse stato terrorizzato all'idea di fare il primo passo.

Can you see a Flower
I watch you

Nella sua vita, Sherlock non aveva mai amato nessuno in senso strettamente romantico. Non comprendeva neanche il significato di quel sentimento.
Non prima di incontrare John.

Il dottore non era stato una scelta calcolata nella vita di Sherlock, nè lo era stata alcuna decisione avesse preso dopo averlo conosciuto.
Si era innamorato senza accorgersene. La realizzazione lo colse un attimo prima di saltare dal tetto del St. Barth's, quando si rese conto che avrebbe dovuto imparare a vivere senza John.
Fu quello a destabilizzarlo, a togliergli il fiato mentre precipitava, sperando che il suo piano sarebbe andato a buon fine.

Era stato pronto a morire per John Watson. Era tornato in vita per John Watson.
Ma mai, mai, si sarebbe aspettato di perdere John Watson.
Così, mentre aspettavano aiuto, Sherlock guardò negli occhi quel tesoro prezioso.
E si preparò a dirgli addio.

My flower I gather my hands
And earnestly wish
That I will bloom again

«John, John ti prego resta con me. Ti prego, non lasciarmi...» sussurrò mentre la prima lacrima sfuggiva alle sue ciglia per poi cadere, scavando un solco profondo sul viso di Sherlock.
Piano piano, piccole gocce piovvero sul viso di John, che, nonostante stesse esaurendo le forze, provò comunque a sollevare una mano per consolare il suo compagno.
Sherlock lo interruppe afferrandogli la mano e portandosela al volto.

«John, per favore, resisti... Tu mi hai salvato così tante volte... lascia che possa salvarti io.»

John emise alcuni rantoli, troppo debole ormai per parlare. Sherlock continuò a cullarlo dolcemente, carezzandogli il viso, cercando di tenerlo sveglio, ma il tempo scorreva e dei soccorsi neanche l'ombra.

Sherlock continuò a pregare John di non lasciarlo, poichè erano le uniche parole che in quel momento riusciva a pronunciare.
Forse avrebbe dovuto dirgli che lo amava, avrebbe dovuto cogliere l'occasione e fare in modo che sentisse quelle parole, per la prima e l'ultima volta.

Ma non riuscì a farlo. Lasciò che fossero le sue labbra a parlare per lui mentre, delicatamente, le avvicinava a quelle di John in un ultimo bacio prima di dirsi addio.

Lestrade li trovò così, in quel vicolo, abbracciati, mentre il detective piangeva lacrime silenziose.
All'arrivo dei paramedici, Gregory si sarebbe aspettato di dover strappare via Sherlock con la forza. Invece lui non oppose resistenza, mentre Lestrade lo prendeva delicatamente tra le braccia.
Sherlock collassò, sorretto dal D.I. che, in quel momento, si sentiva responsabile come un padre nei confronti del figlio. Il suo cuore si infranse mentre i singhiozzi di Sherlock inondavano il vicolo. Con uno sguardo di ammonizione, Lestrade si assicurò che nessuno dei suoi colleghi gli si avvicinasse, lasciando a Sherlock la privacy necessaria per seguire con gli occhi l'ambulanza che, a sirene spiegate, si faceva strada verso l'ospedale.

Please don’t hurry up and leave
You can stay a little while longer
Petal by petal you grow distant

Giunti in ospedale, Sherlock e Greg furono raggiunti da un dottore con l'aria stanca e le borse sotto gli occhi. Le rughe sul suo volto erano profonde come quelle che Sherlock percepiva sul suo - come se le lacrime versate lo avessero, improvvisamente, invecchiato di una vita.

«Lo abbiamo rianimato tre volte. Non ha ancora ripreso conoscenza. Mi dispiace, non credo supererà la notte»
Sherlock a malapena riuscì a sentire quello che il dottore disse loro. Sicuramente non sentì Lestrade chiedergli di poter far visita a John.
Si ritrovò - senza sapere come - nella stanza dell'uomo che amava, mentre quest'ultimo giaceva sul letto bianco, il volto esangue, gli occhi chiusi, intubato.

Era giunto il momento di dirgli addio, ma Sherlock non ne era in grado.
«John, se mi senti... non andare via. Resta ancora un po'».
Secondo dopo secondo, Sherlock sentiva giungere il momento di separarsi definitivamente.

«John, nonostante tu me lo abbia ripetuto centinaia di volte, io non sono un eroe. Non sono un uomo saggio. Forse non sono neanche umano.
Questi sono aggettivi che io devo donare a te. Tu sei stato l'uomo più leale e coraggioso che io abbia mai conosciuto.
Mi hai salvato così tante volte e mi dispiace così tanto non essere riuscito a fare lo stesso con te. Ti prego, se puoi, perdonami.
Sei l'unica persona che posso vantarmi di chiamare mio amico. Sei l'unica persona che, dal primo giorno, mi ha trattato come un essere umano suo pari, ma io non sono mai stato al tuo pari. Tu sei sempre stato al di sopra di me, mio Portatore di Luce.
Perdonami per tutto il dolore che ti ho causato.
Hai reso la mia vita degna di essere vissuta.
Ti ho amato così tanto, John Watson. Vorrei avertelo detto prima.»

Lestrade osservò la scena da un angolo, con le lacrime agli occhi, prima di congedarsi in silenzio per accogliere Mycroft, giunto in soccorso del fratello.
Sherlock non si accorse del trambusto intorno a lui, ai suoi occhi esisteva solo John.

Secondo dopo secondo, John scivolava via.

If you are alone
You can’t be whole

«Non ti dimenticherò mai, John. Non ho mai avuto intenzione di farlo. Hai scalfito il mio cuore di marmo, il tuo segno resterà impresso per sempre»

Sherlock non sarebbe mai più stato intero. Un pezzo della sua anima, metà del suo cuore, si preparava a morire dinanzi a lui, lasciandolo solo.
Sherlock sapeva di non potersi riprendere da quel tipo di perdita, perciò corse nel suo palazzo mentale, a costruire una nuova stanza, dedicata a John, dove custodire ogni singolo ricordo, al sicuro, assicurandosi di non poterlo mai dimenticare.

Listen closely
You know how I feel
Like the light from the day
Please don’t completely disappear
Stringendo le mani di John, Sherlock rivisse il loro primo incontro.

Le osservazioni sull'Afghanistan, la visita all'appartamento, il loro primo caso.
Le indagini sui graffiti, il gioco pazzo di Moriarty.
La paura provata nel credere che John potesse essere lui.
La decisione di morire insieme.
Il sollievo della salvezza.

E ancora, Buckingham Palace, Irene Adler, il volo Bond.
Il Mastino, il terrore di John nel laboratorio, John che fa il soldato.
Il processo, l'umiliazione, la caduta dal tetto del St. Barth's.

Il ritorno, l'attentato, il perdono di John.
Il Matrimonio, il discorso da testimone, il suo cuore spezzato.
La gravidanza di Mary. Il suo Giuramento.
Magnussen, la verità di Mary, il proiettile nel petto.
L'omicidio, l'esilio, l'overdose.

La nascita di Rosie, il battesimo, A.G.R.A.
L'acquario, la morte di Mary, l'odio di John.
Culverton Smith, il pestaggio nell'obitorio, il salvataggio in ospedale.
Eurus. Sherrinford. Soldati oggi.

Erano troppi i ricordi per poterli delegare ad una stanza. Perciò Sherlock creò un appartamento.
Nel 221B, John beveva il the seduto alla poltrona, mentre Sherlock suonava malinconicamente il violino alla finestra.

«Il sole sta tramontando, John, tra poco farà buio»
«No, non farà buio. La luce del giorno non sparirà completamente. Vedi? Sta spuntando la luna»
«Non sparire come il sole, John»
«No, resto qui. Sarò la tua luna. La notte non sarà mai buia»

My flower I am here
Don’t you know
I’m always waiting for you
That you may look for me

«John, non andare via. Resta qui»
«Mio fiore, non lo sai? Io sarò sempre qui ad aspettarti. Ogni volta che avrai bisogno di me sarò qui, dovrai solo cercarmi. Hai ancora così tanto da fare. C'è il lavoro, Rosie da accudire... Io ti aspetterò qui, a casa. Devi promettermi che non avrai fretta, va bene? Potrai cercarmi quando vorrai, ma, ti prego, prenditi il tuo tempo»

«Te lo prometto, John»

«Me lo ricordavo più ordinato il nostro appartamento. Dovrò dare una sistemata mentre sei via»
«Sono tutti i miei ricordi di te»
«Lo so. Sono tanti vero? È incredibile quanto tu riesca a ricordare»
«Sei tu. Ti osservo tanto»
«Lo so»

My flower I gather my hands
And earnestly wish

«Sherlock, devi tornare, è il momento di dirsi addio»
«John non andare via, ti prego»
«È il momento, forza. Sii un soldato, abbi coraggio. Io sono qui»
«Io... non riesco»
«Sii forte, su. Lo hai già detto una volta.»

Silenzio.

«Goodbye, John»
«Goodbye, Sherlock»

Please bloom again

Intanto, nel mondo reale, un suono lungo e penetrante annuncia la morte di John Hamish Watson.
Medico di Guerra, Blogger, Compagno di avventure, marito, padre.

«Addio, John»

***
Note dell'Autrice:
Si, mi merito tutti i vostri insulti. Io, personalmente, ho pianto.
Mi dispiace.
Lilith

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Capitolo 9
*** Demons - Johnlock ***


Song: Demons - Jacob Lee
Link: https://www.youtube.com/watch?v=bOGfHNmrQ-E
Live: https://www.youtube.com/watch?v=2QTDcffpunY

My heart is weak
Tear it down piece by piece

«It is what it is»
Parole che spezzano il cuore. Parole che distruggono muri eretti a difesa di personalità infrante, di sentimenti calpestati, di amori stracciati.
Parole che suonano rassicuranti, ma che sanno di sconfitta, di amarezza, di delusione, di rinuncia.
Parole di conforto per uomini disperati, parole pronunciate per calmare tempeste, ricevute come un uragano.
Parole pronunciate con leggerezza nei vari corsi e ricorsi di una vita, ascoltate con la durezza di una fine. Con la certezza di un punto fermo alla fine di una frase.
Parole che, per John Watson, significano la conclusione di un'illusione creata per non dover affrontare la brutalità di una realtà che non si sarebbe mai aspettato di vivere.
Tuttavia, per quanto riluttante fosse, era giunto il momento che John affrontasse la verità, che si immergesse in quel mare agitato che era la sua mente, che nuotasse fino alle sue profondità, che si lasciasse trasportare dalla corrente, fino a giungere ad un'oasi tranquilla, mentre la tempesta intorno a sè lasciava spazio ad un terreno nuovo.
Possiamo sfidare il tempo, provare a rimandare l'ora finale, ma nessuno di noi può scampare al suo destino. Per quanto John avesse provato ad evitare Sherlock, mentendo a se stesso, odiando quell'uomo che tanto aveva ammirato, la resa dei conti era giunta, e il medico si apprestava ad affrontarla tra le braccia del detective che aveva allontanato dal suo cuore.
«... we might all just be human»
«Even you?»
«No. Even you»

Sherlock aveva ragione. Siamo tutti umani. Anche loro due.
Il dolore è la forma più intensa dell'essere umano.
John Watson, ammettendo a se stesso di aver perso per sempre sua moglie, di non riuscire a odiare l'uomo che gli si piazzava di fronte, di non essere pronto ad affrontare tutto questo da solo...
Era estremamente umano.

Leave me to think
Deep in my structure, I think I still love her
But I need some sleep

Raramente la vita va come nelle favole. Non esiste il "e vissero tutti felici e contenti", il principe non sempre trova la sua principessa.
E quando la trova, lei non lascia i suoi afftetti per seguirlo.
Amare è una conseguenza dell'essere umani. Avvicinarsi così tanto a qualcuno da poter condividere con esso tutte le parti più profonde e recondite del sè è un bisogno che tutti nella vita provano. Ma l'Amore non ha una forma, è cangiante, si trasforma in ciò con cui noi lo definiamo. Non esiste un amore unico ed univoco e John fu costretto a confrontarsi con quella consapevolezza con la forza di un treno che colpisce un muro al massimo della velocità.

Comprendere se stessi è un processo lento ed eterno, raramente coinvolge reazioni spontanee ed impulsive, per questo John, seppure comprendesse gli impulsi che lo percorrevano sottopelle come migliaia di scariche elettriche, si rifiutò di agire secondo i comandi del proprio cuore.
Doveva prendere il tempo di pensare, comprendersi, svelare le bugie che aveva raccontato a se stesso, portare alla luce le mille verità che aveva deciso di ignorare.
Una parte di lui amava la donna che aveva conosciuto come Mary Watson, sua moglie, la madre di sua figlia, il fantasma che lo consolava nel dolore di una perdita improvvisa ed inaspettata.
Una parte di lui odiava l'uomo che credeva di essere, il traditore, il codardo, colui che aveva mentito a sua moglie, mentre lei lo guardava con gli occhi adoranti di una sposa.
Una parte di lui voleva essere l'uomo che Mary Watson aveva sposato, leale, coraggioso, disposto a tutto per tenere unita la sua famiglia.
Una parte di lui, nascosta nelle profondità nascoste del suo cuore, sussurrava a Sherlock Holmes di stringerlo più forte, di non permettergli che andasse in pezzi, di restare accanto a lui, di non lasciarlo da solo.
Ma non poteva permettere a se stesso di lasciare affiorare quella parte di sè, non finchè non fosse stato sicuro di essere al sicuro. Non finchè non fosse stato sicuro di volerlo davvero.

I desideri reconditi del suo animo gli si presentavano davanti agli occhi durante i sogni e lo tormentavano con immagini vivide, tanto da sembrare reali.
Non lasciò spazio ai suoi sogni, preferendo un sonno oscuro e vuoto.
John Watson era esausto.

You've taken my breath away
Now I want to breathe
'Cause I cannot see, what you can see
So easily

Sogni di baci passionali, di corpi nudi intrecciati, di dita che tracciano linee immaginarie sulla pelle.
Braccia candide, occhi di ghiaccio, riccioli neri.
Labbra carnose, gemiti sussurrati, pelle di velluto.
Mani fredde, poi calde, poi fredde di nuovo. Mani che tremano, mani delicate, mani che afferrano, stringono, strappano, stringono.
Labbra che si sfiorano, lingue che si intrecciano, denti che mordono, si scontrano.
Occhi che osservano, occhi che piangono.
Voci sommesse, gemiti lievi, voci che chiamano, che pregano, che implorano.
Corpi vicini, aggrovigliati, gambe intrecciate, schiene che si scontrano, spalle che seguono i ritmo dei respiri.
Uomini che si sfiorano, uomini che si amano, uomini che giacciono l'uno accanto all'altro.

John Watson si svegliava senza fiato. Afferrava l'aria a grandi boccate, ansimando, proprio come nei propri sogni.
Eppure, nella vita reale, sebbene non sentisse il bisogno di accellerare il proprio respiro, non riusciva mai a sentire i polmoni pieni. Un peso all'altezza del cuore gli impediva di respirare.
Nella vita reale, sentiva i polmoni riempirsi solo nel luogo che tanto aveva evitato.
Ma John era stanco di ansimare, di perdere il fiato.
John aveva bisogno di quel luogo - di quell'uomo - come aveva bisogno dell'aria nei polmoni.
La realizzazione era giunta prendendosi il tempo necessario, perchè lui era John Watson, non Sherlock Holmes. Lui non leggeva i sentimenti sui volti della gente, non intuiva i pensieri, seguendone il tragitto dalla mente alla lingua.
Lui provava le emozioni, delicatamente, dolcemente, e poi tutto d'un fiato, come un uragano, come una tempesta, come l'Apocalisse.
John Watson non vedeva le reazioni e le trasformazioni del mondo intorno a sè. Le sentiva, interiorizzandole, provandole sulla pelle, come pugnali che attraversano la carne fino a piantarsi al centro del cuore.

Nel pieno della notte, John Watson si alzò dal letto, pronto a correre da Sherlock Holmes.

I thought my demons were almost defeated
But you took their side and you pulled them to freedom
I kept your secrets and I thought that you would do the same

Nel momento in cui le palme dei piedi nudi toccarono il pavimento freddo della camera da letto, John fu preso dal panico. Il respiro accellerò, se prima avesse annaspato per prendere aria - come se un peso gli giacesse sul petto - ora sentiva qualcosa risucchiargli via l'aria dai polmoni, mentre la testa girava per colpa dell'iperventilazione.

L'immagine del sangue di Mary che gli macchiava le mani tornò alla mente di John istantaneamente.
Il suo cuore perse un battito, mentre le emozioni gli annebbiavano la mente, quasi fosse ubriaco.
Il dolore provato alla vista di Mary lo colpì in pieno petto, mentre sentiva, alle spalle, la pugnalata data dal tradimento di quell'uomo che considerava il suo migliore amico.
Quell'uomo a cui avrebbe affidato la sua stessa vita, ma che non era riuscito a proteggere la donna che John amava.
La rabbia contro quel destino infausto che continuava a percuoterlo sembrava un fuoco che ardeva all'altezza del suo cuore, mentre il fumo risaliva su per la gola, facendogli lacrimare gli occhi, strozzandolo.

Quando aveva sposato Mary era convinto che, finalmente, la vita stesse andando per il verso giusto. Aveva al fianco la donna che amava, il suo migliore amico era vivo e lo accompagnava passo passo.
Gli incubi si erano acquietati. La ricerca del rush di adrenalina non era più una parte integrante della sua vita.
Ma Sherlock aveva rovinato tutto.
Come un partecipante al peggiore dei sui incubi, Sherlock aveva lasciato che Mary morisse sotto i suoi occhi. Era restato lì, in piedi, fermo a guardare, come un macabro spettatore assiste a una tragedia.
Eppure, quello non era teatro. John non aveva fatto un sorriso prima di scendere dal palco, Mary non era tornata a casa a lavarsi via il sangue finto, lamentandosi di quanto fosse appiccicoso. Il sipario non era calato, il pubblico non aveva applaudito.

Per colpa di Sherlock, John era di nuovo solo, di nuovo tormentato da incubi reali e ricorrenti. Come due anni prima, qualcuno moriva nei suoi sogni. Ma, questa volta, Sherlock non era dalla parte degli angeli.
Era lui uno dei demoni che gli squartava l'anima, che lo colpiva con i suoi artigli acuminati, mentre rideva di gusto alla vista dei suoi tormenti.

Sherlock e John conoscevano a menadito gli incubi l'uno dell'altro.
John non avrebbe mai immaginato che l'uomo che lo aveva aiutato a scacciare le sue paure, sarebbe diventato il suo tormentatore notturno.

Leave me in peace
Caught in my memories
Lost underneath

John si nascose di nuovo sotto le coperte, mentre i ricordi di particolari momenti della sua vita contuavano a circolargli in mente, creando un traffico di pensieri, parole, colpe, rimorsi, rimpianti.

I momenti di gioia passati con Mary si alternavano agli infiniti casi risolti con Sherlock, menscolandosi, confondendosi a tal punto che John non riuscì più a distinguere quando ogni ricordo finisse, quando un altro iniziasse.
Il fantasma di Mary tornò per un breve istante, prima che John le urlasse di lasciarlo in pace, grato che Rosie fosse da Molly.
In quel momento, neanche la compagnia di sua figlia avrebbe potuto riparare il suo cuore infranto.

Piano piano, la figura di Mary scomparve dalle immagini che gli frullavano in mente, mentre quella di Sherlock diventava sempre più frequente e dominante.
John rivisse tutti quei momenti di spontanea allegria, di gioia, di collaborazione, che aveva vissuto in quell'appartamento.

Si sorprese a sorridere, ricordando quella corsa intorno a Londra, alla ricerca del misterioso tassista. Ricordò quanto salde fossero le sue mani quando premette il grilletto, urlando il nome di Sherlock. Quasi rise all'idea di quell'imbarazzante copertina arancione.
Il sorriso gli morì sulle labbra quando ricordò l'inaspettato impulso di aggrapparsi a quella copertina, per tirare Sherlock più vicino a sè, rubandogli un bacio al sapor di adrenalina.

Deep in my structure, I feel a rupture
From where she should be

John si rese conto di quanti baci aveva desiderato, di quante volte fosse stato preso dal desiderio di assaporare le labbra del suo coinquilino.
Ogni corsa contro il tempo, ogni rush di adrenalina, ogni mattina pigra, qualcosa dentro di sè lo aveva spinto a cercare la compagnia del detective, mentre la sua coscienza gli aveva urlato di specificare la loro relazione.

Ora, però, lontano dagli occhi di tutti, dalle aspettative, dalle norme, John riportò alla mente il sogno che lo aveva svegliato, mentre il fuoco rabbioso che provava dentro di sè veniva sostituito da un tepore, intenso ma stabile, che John non potè fare a meno di definire come passionale.
Ripensò a come i muscoli di Sherlock fossero evidenti sotto la pelle candida, accentuati da ogni suo sinuoso movimento.
Gli occhi gelidi, in genere occupati a focalizzarsi su ogni piccolo dettaglio del mondo, ribaltati all'indietro, mentre i pensieri logici e raffinati lasciavano spazio ai sentimenti e alle sensazioni carnali pure, crude e imperfette.
John si rigirava nel letto, mentre quella danza passionale continuava a rimbalzargli in testa, come la più dolce delle torture.

Dentro di sè, una porta si spalancò, lasciando uscire il fantasma di un amore reciso prima della sua fine. In un angolo del suo cuore, un altro amore era già fiorito, un amore addirittura più longevo, un fiore del deserto, bellissimo e delicato, spuntato nonostante il terreno arido e incolto, mentre John indugiava col pensiero su ogni dettaglio del viso di quell'uomo che, sì, tanto amava.

You've taken my breath from me
Now I want to breathe
'Cause I cannot see, what you can see
So easily

Questa volta non fu l'intensità della passione a togliergli il fiato, ma la realizzazione di quanto profonamente avesse mentito a se stesso, di quanto si fosse negato per colpa di paure ancestrali.
I ricordi della reazione di suo padre al coming out di sua sorella, delle relazioni disastrose di quest'ultima, dell'alcolismo, lo avevano indotto ad allontanare qualunque azione potesse portarlo sulla stessa via.
Eppure, nonostante avesse seguito tutto ciò che le aspettative gli imponevano, si era ritrovato nella stessa situazione di Harry, mandando giù un bicchiere dopo l'altro, nel tentativo di dimenticare una relazione ormai fallita.
Era stato così cieco da non rendersi conto di quanto avesse sacrificato per colpa di errori non suoi.
Tutti gli altri erano riusciti a vedere la verità prima di lui, a leggere ciò che, involontariamente, i suoi occhi comunicavano a Sherlock.

Ma ora, il suo rapporto con Sherlock era incrinato, e lui era solo di nuovo, mentre i suoi demoni bussavano alla porta, chiedendo di entrare.

I thought my demons were almost defeated
But you took their side and you pulled them to freedom
They know my secrets and won't let me go, won't let me go

Questa volta, a tormentarlo era Mary, ricordandogli il tradimento con la donna sull'autobus.

Che anche quello fosse stato un segnale?
Che persino quella donna, così isolata dal mondo, avesse capito che uomo ignobile fosse, mentre lo aiutava a tradire una moglie che gli aveva appena donato una delle cose più importanti della sua vita?
Che uomo, John Watson. Un soldato d'onore e coraggio, che non ha le palle di confessare tutto, mentre scrive ancora a una donna misteriosa, ogni volta che sua moglie è distratta.
Che uomo, John Watson. Così disperato per la sua vedovanza da lanciarsi tra le braccia dell'assassino di sua moglie senza battere ciglio.
Che uomo, John Watson. Pugno dopo pugno, pesta colui che chiamava il suo migliore amico, senza dargli possibilità di difendersi. Lo picchia mentre è riverso a terra, troppo indebolito da chissà quale combinazione di droghe per potersi difendere.

Che uomo John Watson.
Che disgrazia per chiunque lo circondi.

I demoni lo conoscevano bene e usavano le sue azioni contro di lui, mentre le sue colpe lo circondavano e lo tormentavano, trascinandolo a fondo.

Sempre.

Più.

Giù.

I thought my demons were almost defeated
But you took their side and you pulled them to freedom
I kept your secrets and I thought that you would do the same

Sul fondo di un pozzo, il teschio di un bambino tra le mani, l'acqua alla gola, l'ultimo addio sulle labbra.
Eurus aveva vinto. Aveva usato loro tre l'uno contro l'altro, in un gioco malato, puntando a scoprire i loro demoni per paragonarli ai suoi, diventando essa stessa una tormentatrice, in una partita infernale, dove chi soffre di più è in cima alla classifica.
E ora, John Watson moriva, affogato dalle sue stesse paure. La paura di essere abbandonato, di essere dimenticato. La paura di aver perso Sherlock per sempre. La paura di non poter crescere sua figlia.
La paura di essere responsabile di inimmaginabili sofferenze per tutti coloro che amava.

Le forze lo abbandonarono piano piano, mentre il pozzo si riempiva d'acqua e la consapevolezza di aver perso lo inondava.
Non importava che Sherlock non avesse premuto il grilletto. Sarebbe morto lo stesso.
Non importava che non avesse pronunciato parole cariche d'odio. Mycroft lo aveva fatto al suo posto.
Si lasciò andare.

Ma non furono le braccia della morte che lo afferrarono. La morte non era così dolce, così calda, John lo sapeva. La morte era fredda, spaventosa, noncurante, brutale.
Le braccia che lo accolsero erano forti, ma delicate. Lo tenevano a galla, invece di tirarlo a fondo, mentre le catene chiuse sulle sue caviglie, finalmente, lo lasciavano libero.
Aprì gli occhi per un breve istante, incontrando il sorriso rassicurante di Sherlock, prima che paura, freddo, stanchezza, disperazione, prendessero il sopravvendo, privandolo dei sensi, trasciandolo nel buio dell'incoscienza.

I thought my demons were almost defeated
But you took their side and you pulled them to freedom
They know my secrets and won't let me go, won't let me go

Il tempo, padre di tutti i tormenti, era passato inesorabile, esacerbando le sue cicatrici, mentre una finta normalità prendeva il posto dell'incognita per il futuro.
John non poteva sopportare quel teatrino che aveva portato avanti fin troppo a lungo. Era finalmente giunto il momento della resa dei conti. Era giunto il momento di affrontare se stesso.

Punto primo: aveva amato Mary e, sebbene non fosse stato il migliore dei mariti, ci aveva messo tutto l'impegno di cui era capace. E questo bastava.
Punto secondo: era un essere umano e, per questo, era profondamente fragile. Continuare a fingere di essere indistruttibile non avrebbe fatto che altri danni irreparabili.

Punto terzo: era innamorato di Sherlock Holmes.

Questa volta, la realizzazione non lo colpì con la forza di prima. Fu come una carezza, una stretta sulla spalla, la consapevolezza di non essere più solo.
Si era privato di un sentimento profondo e puro. Aveva perso mille occasioni e opportunità.
Aveva ferito se stesso e Sherlock.
Ma ora, il treno era giunto a destinazione. Era il momento di affrontare l'ultima delle sue paure.

I thought my demons were almost defeated
But you took their side and you pulled them to freedom
I kept your secrets and I thought that you would do the same

Il battito accelerato, il respiro mozzato, le mani tremanti.
Un respiro, due respiri. Prende coraggio.
Sherlock è seduto alla poltrona. John si siede sulla sua.
Tic Toc, il tempo scorre.
Osserva, non si muove, non parla.
Un respiro, due respiri. Silenzio.
«John? Tutto bene?»
Un respiro, due respiri. Silenzio.
Il moro si alza, va verso la cucina, passa accanto alla poltrona.
È lì che accade.
La mano di John scatta prima che lui possa dargli il comando. Sherlock lo guarda confuso, mentre si alza, mettendosi di fronte a lui.
Il detective non si muove mentre John posa la mano libera sulla sua camicia candida, al centro del petto.
Il respiro di entrambi accelera leggermente, mentre si scambiano mille richieste con lo sguardo, cercando il permesso di agire negli occhi dell'altro.
È difficile dire chi si muove per primo. Forse entrambi. I corpi si avvicinano, i nasi si sfiorano.
Labbra contro labbra, per la prima volta, mentre due uomini imparano a conoscersi.
I polmoni di John si riempiono di aria fresca e pura.
Il bacio continua, nessuno dei due uomini è intenzionato a interromperlo.
I corpi si avvicinano, si toccano, si fondono.

Take me away

Braccia candide, occhi di ghiaccio, riccioli neri.
Labbra carnose, gemiti sussurrati, pelle di velluto.
Mani fredde, poi calde, poi fredde di nuovo. Mani che tremano, mani delicate, mani che afferrano, stringono, strappano, stringono.
Labbra che si sfiorano, lingue che si intrecciano, denti che mordono, si scontrano.
Occhi che osservano, occhi che piangono.
Voci sommesse, gemiti lievi, voci che chiamano, che pregano, che implorano.
Corpi vicini, aggrovigliati, gambe intrecciate, schiene che si scontrano, spalle che seguono i ritmo dei respiri.
Uomini che si sfiorano, uomini che si amano, uomini che giacciono l'uno accanto all'altro.

Take me away
«John?»
«Sì?»

«Non lasciarmi di nuovo»

Take me away

«Non preoccuparti. Non vado da nessuna parte»

 

***

Note dell'Autrice:
Finalmente sono riuscita a scrivere il primo bacio Johnlock. Non so come ho fatto a non scoprire prima questa canzone, ma ne sono ufficialmente innamorata.
Sebbene non sia connessa a nessuno dei capitoli precedenti, ho voluto inserie qui e lì qualche lievissimo riferimento allo stile o agli eventi precedenti. Spero che l'effetto sia gradevole.
Al prossimo capitolo!
Lilith

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Capitolo 10
*** Orbit_ - Parentlock ***


Song: Oribit_ - Onewe
traduzione:
https://www.youtube.com/watch?v=szM-y7O53Os
acoustic: https://www.youtube.com/watch?v=G7Rm43XIb-I

 

«Dada mi racconti qualcosa?» la voce di Rosie arrivò squillante alle orecchie di Sherlock, che alzò lo sguardo dal violino che aveva tra le braccia. Era ormai giunta sera, e Rosie era pronta per andare a dormire. 

Quando era piccola era stato consigliato a John e Sherlock di creare una routine, affinché la bambina riuscisse ad avere degli elementi saldi nonostante le vite eclettiche dei genitori e, anche ora che Rosie aveva compiuto otto anni, la giornata si scandiva su una struttura predefinita. Sherlock non lo ammetteva ad alta voce, ma si era affezionato a quella routine che gli regalava dei momenti a tu per tu con quella che, in tutto e per tutto, era sua figlia.

Rosie era già seduta sullo sgabellino che avevano comprato anni prima, un pigiama pulito indosso, i capelli puliti e asciutti dopo il bagno, che oscillavano pigramente, sciolti sulle sue spalle. Aveva ereditato la sfumatura biondo cenere di John, dettaglio che Sherlock registrava sempre con un pizzico di soddisfazione, ora che i capelli sulla testa del compagno erano virati quasi del tutto al grigio.

«Dada?» chiamò di nuovo Rosie, scuotendo la spazzola che aveva in mano per attirare l’attenzione di Sherlock, che le sorrise. Rosie sapeva che Sherlock non si era dimenticato di lei - era sempre fiera di ricordare al mondo come Sherlock si scordasse di tutto tranne che di lei - ma si era abituata a controllare che l’uomo non fosse troppo immerso in qualunque cosa stesse facendo.

Sherlock si sedette sulla sua poltrona, e la bambina si voltò a dargli le spalle, passandogli la spazzola. L’uomo osservò il manico d’argento, percorrendo col dito gli intricati decori di madreperla che decoravano la spazzola. Al centro, l’incisione “RWH” ne indicava la proprietà. 

 

Era stato Mycroft a regalargliela, dopo averla fatta confezionare su misura in uno dei suoi frequenti viaggi d’affari. La bambina si era innamorata della spazzola e dello specchietto abbinati, divertendosi a giocare ad essere una principessa, ma aveva immediatamente messo il broncio alla vista dell’incisione. Sherlock non seppe capire perchè, finchè quella sera, molto tempo dopo il suo orario della buonanotte, non aveva raggiunto i due Holmes e John in salotto, la spazzola in una mano, il suo coniglietto di peluche nell’altra. Aveva quattro anni, ma sapeva già esprimere i suoi pensieri in maniera così adulta da fare spesso ridere John.
Sgambettando e sbandando un po’ per il sonno, aveva raggiunto in fretta il più grande degli Holmes.

«Zio Mycroft…» aveva biascicato, ancora insicura della pronuncia del nome dello zio. Sebbene la sua eloquenza fosse elevata - merito degli sforzi di Sherlock - ancora impastava le sillabe finali, con un suono più simile a un “Mycroff”. Mycroft non si era mai dato da fare per correggerla e, in segreto, aveva raccontato a Gregory di trovare quel difetto di pronuncia adorabile.

L’uomo aveva preso in braccio la bambina, e se l’era seduta sulle ginocchia «Sì, Rosamund?» aveva chiesto. Era l’unico al mondo che poteva usare il nome completo di Rosie senza che quest’ultima manifestasse ad alta voce il proprio disappunto «Ti piace il regalo?»
Rosie aveva annuito, gli angoli delle labbra all'ingiù «Sì, però…» aveva tirato un po’ su col naso, come se stesse cercando di non piangere «Perchè c’è solo RW? Non hai detto che sono una Holmes anche io?» gli occhi le si erano già fatti lucidi.

John dovette uscire dalla stanza, e persino Sherlock aveva iniziato a fissare insistentemente la lampada sul tavolino accanto a sé, mordendosi l’interno delle guance.

«Oh! Sciocco me!» aveva esclamato Mycroft, fingendo sorpresa «Non mi sono accorto dell’errore! L’artigiano deve averlo lasciato a metà. È un errore imperdonabile dalla mia parte… Questo povero vecchio zio sta perdendo colpi…» Mycroft aveva esagerato il tono, facendo ridere Rosie. «Certo che sei una Holmes, Rosamund. La migliore degli Holmes, se posso dirlo»

Più tardi quella sera, Mycroft si era avvicinato a John, cullando una Rosie ormai addormentata, per chiedere il permesso di fare sistemare la spazzola. John quasi gli aveva tirato una teiera in testa «Ovvio che hai il mio permesso, Mycroft» aveva detto, indicando con la testa Sherlock, che gli cingeva i fianchi con un braccio.

 

Sherlock iniziò a spazzolare le punte dei capelli di Rosie - di nascosto a John aveva guardato decine di video su Youtube e conservava tutto quel materiale in un’apposita stanza del suo palazzo mentale - pensando a cosa raccontare quella sera. Di solito John osservava la scena dalla sua poltrona, una tazza di tè in mano, scoccando sguardi ammonitori quando i discorsi si facevano troppo violenti per una bambina di otto anni, ma quella sera era dovuto restare al St. Barts, dove aveva trovato impiego come medico legale, al fianco di Molly. Un’improvvisa impennata di crimini violenti aveva portato un carico troppo pesante per la sola Molly, ma Sherlock sospettava che avrebbe offerto lavoro a John anche se ci fosse stato un solo cadavere ogni sei mesi.

 
«Allora, mia cara Watson» Sherlock adorava ricordare come la piccola fosse effettivamente figlia di John, e Rosie era semplicemente contenta di avere le attenzioni di Sherlock tutte per sé. John spesso scherzava su come la piccola avesse una preferenza spudorata verso il padre adottivo, e di solito concludeva con un “non posso certo biasimarla” sussurrato a mezza voce «Di cosa parliamo questa sera?»

Rosie ci pensò un po’ su. Era iniziato per caso, una sera in cui Rosie sembrava inconsolabile, Sherlock aveva iniziato a parlare della decomposizione cadaverica. John era pronto a rimproverarlo, ma la bimba aveva sollevato la testa dall’incavo del collo del padre biologico, per fissare con i suoi grandi occhioni il detective. Sherlock si era zittito, sorpreso, ma John gli aveva fatto cenno, anche abbastanza irruentemente, di continuare. 

Da quel giorno parte della loro routine comprendeva racconti di Sherlock su qualsiasi cosa. Conoscenze generali, misteri matematici, persino i casi che lui e John affrontavano - anche se riservavano l’osservare le fotografie della scena del crimine a quando il dottore non era a casa.

«Mi parli delle stelle?» chiese Rosie all’improvviso.

 

Sometimes you call me a dreamer

Because I tell you stories that make no sense

But the truth is that I have a secret

I'll share it only with you from now on

 

«Mia cara Watson…» esclamò Sherlock dopo un breve silenzio sorpreso «Ci sono così tante storie… Ti ho mai raccontato quella del cioccolataio cannibale? Anche se tuo padre avrebbe dovuto trovare un titolo migliore per quella lì…»
Rosie scosse la testa, un broncio divertito sul viso «No, voglio sentire parlare delle stelle!»

Sherlock si immaginò John che lo prendeva in giro su come aveva eliminato l’intera esistenza del sistema solare dalla sua memoria. Si rese conto di essere a disagio, non voleva ammettere di non conoscere qualcosa, specie di fronte a Rosie, che lo ammirava da sempre, ma non voleva neanche risultare una statua granitica, come tanti lo avevano descritto negli anni. Non voleva che Rosie, la sua Rosie, si allontanasse da lui perché troppo freddo o irraggiungibile.
Ci pensò su, prima di ricordare ciò che stare con John gli aveva insegnato. Anche lui, dopotutto, era umano.

«Rosie» le sussurrò «Sei brava a mantenere i segreti?»
Rosie ridacchiò «Sì!» rispose, coprendosi la bocca con le mani. Sherlock sapeva che ogni cosa pronunciata sarebbe stata riferita a John - comportamento che i due segretamente rinforzavano, per sicurezza - ma voleva che la bimba continuasse a essere una bimba, innamorata del suo papà. 

«Non lo dire a papà, mi raccomando… » continuò a sussurrarle nell’orecchio «Ma io non conosco nulla delle stelle»
«Dada!» Rosie rideva sguaiatamente.

«Davvero! Avevo bisogno di spazio nel palazzo mentale…»
«Ma dai! Anche i bambini sanno cosa sono le stelle!»
«Ti andrebbe di insegnarmi?» Sherlock sapeva che Rosie amava essere presa in considerazione. Tutto ciò che la bambina faceva aveva come scopo quello di ottenere complimenti e commenti da parte di Sherlock, che non ne lesinava mai. Non voleva essere tanto distante da costringere Rosie a fare l’impossibile. Non voleva che Rosie crescesse con la freddezza con cui lui stesso era cresciuto.

 

My world surely turned for me

Ever since I met you, the destiny's trajectory changed

Just like the stars that you see will be there tomorrow too

Whenever I look over at you, you're always there

 

«Allora» cominciò la bambina «Noi viviamo sulla Terra, che è un pianeta» Sherlock aveva finito di intrecciarle i capelli per la notte, perciò ora Rosie gli sedeva sulle ginocchia e si voltava spesso per incrociare lo sguardo incoraggiante dell’uomo. «La Terra ruota intorno al Sole, che è una stella gigaaaaaaaante» per enfatizzare il concetto, allargò le braccia fino al massimo della loro estensione, perdendo lievemente l’equilibrio.

«Interessante» esortò Sherlock «E poi?»
«Poi c’è la Luna, che gira intorno alla Terra» Rosie fece una pausa «Sai, Dada, la Terra e la Luna mi ricordano tu e papà»

«Davvero?» Sherlock non dovette fingere sorpresa «E perchè?»

«Perché lui ti gira sempre intorno, come la Luna… E tutti e due girate sempre intorno ai crimini… come il Sole»
«Interessante osservazione, piccola Watson…»
«Watson-Holmes» corresse la bimba, puntualizzando la provenienza delle sue capacità di osservazione.

«Ma certo, mia piccola Watson-Holmes» Sherlock non riuscì a impedirsi di sorridere «E come ti fa sentire questa cosa?» 

Non poteva impedirsi di essere spaventato dai sentimenti di Rosie. Sebbene avesse sempre saputo chi fosse Mary e cosa le fosse successo - una versione edulcorata e semplificata, su volere di John che preferiva minimizzare il coinvolgimento di Sherlock nella morte della moglie, almeno finchè Rosie non fosse stata grande abbastanza da capire - era da poco che la bambina aveva iniziato a comprendere in cosa la sua situazione familiare si differenziasse da quella dei suoi compagni. Sapeva che Rosie gli voleva bene, lei lo dimostrava e lo ripeteva in ogni occasione, ma nel profondo aveva il terrore che, un giorno, quella creaturina senza la quale non poteva più vivere, lo avrebbe guardato e avrebbe visto il mostro che lo aveva privato di un genitore e ne aveva preso il posto.

«Mi piace» rispose lei, senza pensarci troppo «Papà è sempre felice quando siete insieme. E anche tu sei felice quando siete insieme»

«E tu? Sei felice?»
«Io sono felice taaaaaaaanto così» allargò di nuovo le braccia «Però solo se promettete di restare sempre con me»

«Te lo prometto, Rosie. Come le stelle che sono sempre nel cielo»

Rosie lo abbracciò.

 

The night sky that I've been seeing in the meantime

Switches constellations three times and calls out to me

I'll only stay on your orbit for the rest of my life

Please, keep being that figure

 

«Dada» chiamò Rosie dopo un po’ «Perchè tu e papà non siete sposati?»

Sherlock sussultò «Come mai questa domanda?»

«È che ci pensavo… Zio Mickey e zio Greg sono sposati… Anche i papà di Timothy e le mamme di Andrea… Ma tu e papà no» Rosie sospirò, improvvisamente triste «Non volete stare insieme per sempre?»

«Ma certo, Rosie… Certo che vogliamo stare insieme per sempre» Sherlock corse a rassicurare la bambina «È complicato»

«Per la mamma?» 

Sherlock esitò. «Anche… Papà…Ha passato tante cose. Ho sempre pensato che chiederglielo fosse troppo» Inspirò. «E poi, non volevo che tu pensassi…»

«Oh ma io voglio che vi sposiate. Gliel’ho detto a zia Molly, ma lei pensava che tu non sei pronto…»

«Fossi pronto» corresse Sherlock, automaticamente «E così lo hai detto prima a zia Molly eh, piccola brigantella» solleticò la bambina per alleggerire l’atmosfera.

«Te l’ho detto che sono brava a tenere i segreti!» esclamò col fiato mozzo per le risate.

 

Passarono alcuni minuti prima che si riprendesse, ma la stanchezza stava iniziando ad avere la meglio sulla piccola, che sbadigliò, accoccolata sul petto del padre.

«Andiamo a dormire?» le chiese Sherlock.
«No, voglio ancora…» uno sbadiglio le mangiò la fine della frase.

«Dai, monella, è ora di andare» le disse dolcemente Sherlock, aiutandola a mettersi in piedi.

L’accompagnò verso quella che era stata la sua camera, ma che adesso era la stanzetta di Rosie - anche se molto spesso, durante la notte, evadeva dal suo letto, per infilarsi in quello dei genitori - e la aiutò a mettersi a letto, rimboccando le coperte.

«Dada?»

«Si, Rosie?»

«Secondo te la mamma è una stella?» farfugliò «Cioè, so che è un cadavere, ma…»

«Sì, Rosie, secondo me è una stella» A volte, si disse, una favola non fa del male a nessuno.

«E la signora Hudson?»

«Lei è la stella più bella di tutte» Sherlock le accarezzò i capelli «Ti manca?» la bimba annuì «Manca anche a me»

Passarono del tempo in silenzio e quando Sherlock pensò che Rosie si fosse addormentata, le posò un bacio delicato sulla fronte.

«Buonanotte, piccola Watson» sussurrò.

«Dada…» ormai esausta, non riusciva a tenere gli occhi aperti «Puoi chiedere a papà di sposarti se vuoi. Io non mi arrabbio» biascicò.

 

My world surely turned for me

Ever since I met you, the destiny's trajectory changed

Just like the stars that you see will be there tomorrow too

Whenever I look over at you, you're always there

John tornò a casa, trovando Sherlock sulla poltrona, pensieroso. Entrò cercando di fare silenzio, e posò un bacio sulla guancia dell’Holmes, prima di sparire verso la camera della figlia.

Dopo poco, si diresse verso la cucina, a preparare una tazza di tè per sé e il compagno.

«Rosie dorme come un sasso» comunicò a Sherlock, sedendosi sulla poltrona «Di cosa avete parlato per stancarla così tanto?»

«Mi ha chiesto di parlarle delle stelle»

«Oh, argomento spinoso» John sorseggiò dalla tazza, divertito «E che le hai risposto?»

«Le ho detto che non ne so nulla. Ah, e le ho detto che tu non ne sai nulla, quindi se te lo dice, non umiliarmi»

«Le mie labbra sono cucite» John rise «Le hai detto che è un segreto?»

«Me ne sono già pentito»
«Oddio, domani la strada per scuola sarà un inferno. Il suo papà preferito che non conosce qualcosa. Un oltraggio, dico io, un oltraggio!»

«Ha detto che sono il suo papà preferito?»

«Lo sai che non te lo confermerò mai, se anche fosse» disse John, piccato «E quindi? Com’è andata a finire?»

«Ha parlato lei del sole, della Terra e della luna. Dice che io sono la Terra, tu la Luna che mi giri sempre intorno e il crimine è il Sole»

«Ehi! Non è vero che ti giro sempre intorno, sono un pianeta anche io!» ribatté John, punto sul vivo.

«Tua figlia non la pensa allo stesso modo» Sherlock rise della reazione del compagno.

«Domani mi sente, la signorinella…»

Sherlock prese un sorso di tè, non sapendo come introdurre l’argomento. John se ne accorse, perché smise di fumare dalle orecchie, per scoccargli uno sguardo di fuoco.

«Che c’è?»

«Nulla, nulla…»

«Sherlock, hai la faccia di quando devi dirmi che c’è un piede decomposto nel frigo accanto al parmigiano, ti prego…»

«Pare che Rosie… Sia interessata al nostro status di coppia»

«In che senso?»

«Vuole che ci sposiamo, John»

John si coprì il viso con la mano «Fammi indovinare… Lo ha detto a Molly?»

«Già»

Per un minuto ci fu silenzio, rotto solo dal gracchiare dei cucchiaini nelle tazzine.

«John…» iniziò Sherlock, subito interrotto dall’altro.

«Tu che ne pensi?»

«Cosa?»

«Del matrimonio… cosa ne pensi?»

«Continuo a pensare che sia un impegno inutile, una firma su dei documenti che rendono due persone, che già convivono e che torneranno a dormire nello stesso letto immediatamente dopo la breve cerimonia, legalmente responsabili delle finanze l’una dell’altra…» John annuì, sospirando, ma Sherlock non aveva ancora finito «… ma se mi chiedi se ti sposerei nonostante questo, la risposta è sì»

«Cosa?!» John rischiò di gettarsi il tè sulla camicia buona.

«John, non è mistero che da quando sei arrivato la mia vita si è ribaltata. Sei l’uomo più responsabile, buono e saggio che io conosca, e non so bene cosa la gente definisca con la parola “amore”, ma se è simile a quello che provo per te, allora…»

«Okay» John si sentiva morire, non abituato alle parole che uscivano ora dalla bocca di Sherlock «Okay sposiamoci»

«Non devi farlo per Rosie, se non vuoi farlo…»

«Non lo faccio per Rosie, pezzo di cretino» John era pronto a tirargli una scarpa addosso «Cioè, anche, ma non solo. Ti rendi conto da quanti anni stiamo insieme? Ecco, penso di aver deciso di sposarti il giorno che l’ho chiesto a Mary» cambiò tono, per aggiungere «O forse era la voglia di tirarti un pugno, a volte sono istinti molto simili» fulminò Sherlock con uno sguardo «Il punto è che, Sherlock, stiamo insieme da un secolo. Viviamo insieme. Cazzo, abbiamo persino una figlia… E per alcuni di noi il matrimonio ha anche un significato sentimentale, oltre che economico» fece una pausa per riprendere fiato «Perciò, okay, Sherlock, sposiamoci»

 

My orbit is surely heading towards my path

Your particularly blue figure is beautiful

I was inevitably attracted to you

Ever since then, you were my star

 

Non potevano saperlo, tanto erano persi a guardarsi negli occhi, presi dalla gioia dell’essersi, in modo alquanto sbilenco, dichiarati amore eterno, ma, se fossero stati poco più attenti, avrebbero probabilmente sentito lo scalpiccio dei piedi nudi di una bimba, che si affrettava a tornare a letto, coprendosi con le mani il grande sorriso che le illuminava il viso.

***
Note dell'Autrice:
Looks like I'm not dead.
Era da un po' che avevo l'idea di ricominciare ad aggiornare, ma mi mancava, se non l'ispirazione, il coraggio di scrivere. Ora, come voi che mi conoscete sapete bene, io non scrivo fluff, quindi sapete anche che la prossima mazzata è dietro l'angolo.
Però, dai, ogni tanto mi sento buona anche io.
Detto questo, se il capitolo vi è piaciuto fatemelo sapere... E ci vediamo al prossimo.

PS: Un ringraziamento a Paola, che mi ha fatto ricominciare, così poi quando scrivo le cose tristi sapete con chi prendervela, tanto mi odia anche lei.

Al prossimo capitolo!
Lilith

 

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