Procreate di katyastark (/viewuser.php?uid=1136364)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Genesis ***
Capitolo 2: *** Inception ***
Capitolo 3: *** Formation ***
Capitolo 4: *** Dawning ***
Capitolo 5: *** Big Bang ***
Capitolo 6: *** Beginning ***
Capitolo 7: *** Turning Point ***
Capitolo 8: *** Fruition ***
Capitolo 9: *** Fulfillment ***
Capitolo 10: *** Stopgaps ***
Capitolo 11: *** Catharsis ***
Capitolo 12: *** Burgeoning ***
Capitolo 13: *** Flourishing ***
Capitolo 14: *** Budding ***
Capitolo 15: *** Growth ***
Capitolo 16: *** Relief ***
Capitolo 1 *** Genesis ***
Buonasera a tutti!
Io sono Lele, la traduttrice di questa storia scritta dalla dolcissima katyastark. Ero al settimo cielo quando mi ha dato il permesso di tradurla, perché mi sono davvero innamorata del suo OC e del suo Katsuki (Io adoro Izuku ma qui il mio amore è tutto per lui ;o; ). Per questo ho deciso di portarla anche su EFP ; sulla traduzione posso dire che, ancora nel breve periodo, riuscirò probabilmente a postare con una certa frequenza, pensavo di postare un capitolo per settimana ma dopo potrei tardare un po' di più. Abbiate pazienza
Non credo di dover dare particolari avvertimenti, se non di fare un po' di attenzione al linguaggio scurrile di Kacchan (che poi qui è appena un assaggio”” ).
Non ho un/una beta, perciò cerco sempre di rileggere con attenzione ma se vedeste lo stesso errori vi prego non fatevi problemi a dirmeli!
Bene, vi auguro una buona lettura!
Link al primo capitolo in inglese: https://archiveofourown.org/works/22111321/chapters/52773769
Capitolo 1 - Genesis
Katsuki non vedeva Izuku da anni. Lo aveva visto una sola volta, per puro caso, in un supermercato (oppure era al mercato contadino... qualcosa del genere comunque) forse quattro anni prima. Ma prima di allora, non si erano più incontrati da quando avevano terminato le scuole medie. Perciò, quando lo rivide mentre -come suo solito- era di ronda per le strade della città, rimase un po' di stucco. Non perché Deku avesse un aspetto diverso – ma lo aveva, poco ma sicuro. Neanche perché ora vestiva meglio, o perché sembrasse in salute, in forma e felice.
Non era nemmeno dovuto a quella punta di terrore che vide nei suoi occhi quando incrociarono gli sguardi, sebbene la ritenesse ugualmente fuori luogo – anche quando Katsuki era stato meschino, violento e assolutamente spietato con lui, Deku non lo aveva mai guardato in quel modo. No, non era proprio niente di tutto quello. Era per quel bambino avvinghiato al suo fianco, un piccoletto con ginocchia scorticate e il volto coperto di lentiggini, dai ricci capelli biondi e penetranti occhi verdi. Somigliava un po' a-
No, Katsuki si fermò prima di terminare quel pensiero.
“Deku?” riuscì solo a dire. Incontrare di nuovo, per puro caso, il ragazzo dei suoi ricordi d'infanzia, ormai un uomo con una vita splendidamente estranea a quella di Katsuki -e un figlio incluso nel pacchetto-, lo fece sentire profondamente perso, abbandonato alle correnti del mare.
“Ciao, Kacchan,” lo salutò, girandosi palesemente in modo da bloccare a Katsuki la visuale di suo figlio, come se si aspettasse da un momento all'altro un'esplosione del biondo. La rabbia gli montò, giusto un po', sullo stomaco. Era un maledetto eroe. Deku non doveva avere paura di niente.
Eppure-
Katsuki scacciò via i ricordi del passato. Ricordi di esplosioni non trattenute, nudi lembi di pelle coperti di lentiggini e vestiti laceri, di occhi pieni di lacrime e fogli in fiamme.
“Papà, cos'è un Kacchan?” il bambino parlò, rompendo il silenzio, facendo capolino dalla spalla di Deku per osservarlo. Quando i suoi luminosi occhi verdi incontrarono quelli di Katsuki, sussultò. “Ground Zero!”
Katsuki fu colpito dalla somiglianza del bambino con Deku e dal fatto che il piccolo gremlin lo avesse chiamato papà. Katsuki non sapeva che tipo di futuro si era immaginato per Deku– non ci si era mai soffermato più a lungo del pensare non un eroe, non lo sarà mai – ma quello in cui lui faceva il padre non rientrava nelle opzioni. Anche solo l'idea che quel senza quirk di Deku potesse perdere la virginità era una fottuta realtà paradossale per Katsuki.
Il coso – bambino, infante, piccolo essere vivente – si agitò così tanto in braccio a Deku da costringerlo a metterlo giù, permettendo alla sua progenie di sgattaiolare furtivamente verso il biondo e strattonarlo per i pantaloni del suo costume da eroe, guardandolo fisso negli occhi, incurante della reputazione di eroe serio - ma tremendamente irritabile - che Katsuki si era fatto.
“Tu sei Ground Zero,” disse il bambino. “Conosci il mio papà?”
Deku rimase un secondo immobile per lo shock, prima di correre dietro al figlio per tentare di staccarlo dai pantaloni di Katsuki.
“Hisami, che cosa ho detto riguardo all'afferrare le persone?” chiese Deku, lievemente agitato.
“Qualcosa sulle barriere personali” rispose il piccolo, pronunciando piano le parole, come se non ne sapesse il significato.
Katsuki restò in silenzio per tutto il tempo, anche quando divenne una lotta far sì che il bambino mollasse la presa sui suoi pantaloni. Si risvegliò dal suo atipico mutismo poco dopo che la piccola mano avvinghiatasi a lui fu stretta al sicuro in quella del padre.
“Hai un figlio? Come cazz-”
“Linguaggio!” il piccolo, che gli pareva Deku avesse chiamato Hisami, urlò. Deku sorrise, guardando con amore suo figlio senza fare caso allo sguardo inquisitore di Katsuki.
“Io sono Midoriya Hisami! Al mio papà tu non piaci!”
“Hisami!” protestò Deku, ripescando suo figlio per metterselo in braccio. Hisami fu tanto sfacciato da ridacchiare allo sgomento del padre.
“Io- noi dobbiamo andare,” gli disse, allontanandosi a passo di marcia da Katsuki, ancora tanto sotto shock per i fatti appena accaduti da non riuscire proprio fisicamente ad andargli dietro.
Katsuki non era davvero riuscito a smettere di pensare agli eventi della settimana scorsa. Non poteva dire di essere arrivato all'ossessione, o una cosa simile, ma aveva speso una quantità spropositata di tempo a ripensare a Deku e a quel bambino. Soffrì in silenzio con i suoi pensieri. Non è che poteva chiamare Kirishima e spiegargli che una conversazione di dieci minuti con un moccioso gli aveva occupato il cervello per un'intera settimana. Fu soltanto quando andò a fare visita ai suoi genitori che fece saltare fuori il discorso.
“Siete ancora in contatto con i Midoriya?” sputò fuori Katsuki mentre sua madre versava il the del pomeriggio. I suoi genitori lo guardarono con egual stupore, ma non dissero niente finché sua madre non fu seduta comodamente sul divano, una tazza di the tra le mani.
“Un po'. Inko se n'è andata dal vecchio appartamento e si è trasferita in una casa un po' più vicina alla nostra, perciò la vedo di tanto in tanto. Per pranzo e cose simili,” disse lei. Katsuki notò come non gli avesse chiesto il perché stesse facendo quella domanda. Suo padre per evitare di parlare, come faceva spesso, prese un sorso di the.
“Che mi dici di Deku?”
“Cosa c'è da dire?”
“Che cosa fa ultimamente?” chiese Katsuki, cercando di stare sul vago. Mandò giù qualche sorso di the, nella speranza di apparire il più disinteressato possibile.
“Credevo che non foste più amici?”
Katsuki fece del suo meglio per non brontolare platealmente. Sua madre non gli rendeva mai le cose facili.
“L'ho incontrato la scorsa settimana. Ha un-” per qualche motivo la parola gli andò di traverso in gola.
“Figlio? Lo sappiamo,” gli disse lei e suo padre finalmente parlò, con un piccolo sorriso in volto. “E' un tesoro.”
“Avete conosciuto quel coso?”
“Abbiamo conosciuto il bimbo. E' un essere umano, Katsuki, non un maledetto criceto.” Mitsuki roteò gli occhi.
“Come ti pare”, continuò il biondo, impaziente di avere altri dettagli. “Come diavolo è successo?”
“Katsuki... hai ventotto anni. Ormai dovresti sapere come funziona il processo,” gli rispose suo padre con una piccola risata nascosta dalla tazza da the. Katsuki lo fissò a occhi stretti. Suo padre era un uomo calmo, dall'indole pacifica, raramente si metteva a fare battute. Katsuki non apprezzò il suo tentativo di alleggerire gli animi in quel momento.
“Lo so come cazzo funzionano le cose!” strillò Katsuki, accaldato e in imbarazzo. “Intendevo... come- chi- perché Deku ha un fottuto bambino?”
Non era mai stato così tanto bravo ad esprimere le sue emozioni, ma -personalmente- ritenne che in quella occasione stesse davvero toccando i suoi minimi storici. Non aveva idea di come mettere a parole lo shock e lo stupore per il fatto che Deku non solo fosse responsabile abbastanza da avere un figlio, ma anche socialmente in grado di prendersi cura dello stesso. Sentiva come il bisogno di avere tra le mani una spiegazione dettagliata di come tutto era successo, passo dopo passo.
“Non ho idea di dove vuoi andare a parare, o del perché sembri così sconvolto dalla notizia, ma se sei davvero così curioso li incontreremo per pranzo la settimana prossima. Ti va di andare e sproloquiare lì?”
“Davvero, qualche volta penso che Hisami sia in grado di formulare frasi meglio di te.”
Il fatto che i suoi genitori parlassero così liberamente dell'esistenza dell'esserino che aveva brevemente incontrato la settimana prima lo lasciò frastornato.
“Quindi... Deku ha un fottuto bebè e a nessuno è venuta in mente l'idea di dirmelo?” era più arrabbiato di quanto avrebbe dovuto essere, più di quanto avesse il diritto di esserlo, in realtà.
Aveva accettato il rimorso per tutto quello che aveva fatto passare a Deku a causa delle sue insicurezze di quel tempo. Non si era mai scusato ma, d'altra parte, non aveva mai pensato in concreto che lo avrebbe mai rivisto. Per lui andava bene così, lasciarsi alle spalle l'immagine di Deku, in un mare di rimpianti e rinneghi.
"Ha tre anni. Perché te la prendi così tanto?"
"Perché..."cominciò, realizzando di non sapere come finire la frase e farla sembrare una di senso compiuto. Katsuki non ne capiva proprio il senso e neache di come una cosa così importante, accaduta ad una persona che la sua famiglia conosceva da una vita, fosse sfuggita alle sue orecchie. Aveva come l'ìmpressione che gi mancassero delle informazioni.
E poi... Poi cosa?
Che cosa c'era di così snervante in quel bambino , da costringere Katsuki a pensare a lui ininterrottamente?
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Capitolo 2 *** Inception ***
Ciao
a tutti! Come state passando questo periodo? Io purtroppo sono
rimasta completamente da sola in casa, i miei genitori non possono
uscire dal Piemonte e le mie sorelle non mi possono raggiungere. Mi
sento così sola sob :,(
Comunque spero che stiate tutti bene,
facciamoci coraggio!
Non ho un/una beta, perciò cerco sempre di
rileggere con attenzione ma se vedeste lo stesso errori vi prego non
fatevi problemi a dirmeli!
Buona
lettura!
Link
al secondo capitolo in inglese:
https://archiveofourown.org/works/22111321/chapters/52803364
Capitolo
2 – Inception
Katsuki
era seduto al tavolo di un familiare ristorante per famiglie,
non
lontano dalla casa dei suoi genitori. Aveva ricordi nitidi dei
tanti
pranzi fatti lì con la famiglia Midoriya, sia di quando aveva
partecipato con entusiasmo che di quando si era sentito più un
prigioniero trascinato a forza. Suo padre era seduto alla sua
sinistra mentre sua madre aveva preso posto dall'altra parte del
tavolo. Nessuno disse una parola fino a quando Midoriya Inko non
arrivò trafelata, con in spalla una borsa dai colori vivaci e un
bimbo irrequieto al seguito. Dopo aver assicurato un seggiolino
plastico alla sedia frontale rispetto a Katsuki, sollevò il
bambino
per metterlo seduto. Il biondo guardò con una smorfia
l'esserino.
Le
sue
uniche esperienze con i bambini erano dovute agli incontri con i
fan, agli inevitabili salvataggi e alle sue poche interazioni
con i
gemelli Todoroki. Quello che poteva dire dei bambini era che
tutti
risultavano essere sempre
inevitabilmente appiccicosi, avevano sempre
un odore strano - di Play Doh e di talco, nello specifico - e
che
nessuno di loro aveva un minimo di fottuto decoro. Hisami
dimostrò
palesemente di non essere una rara eccezione, quando si dimenò
giù
dal seggiolino per lanciarsi sul tavolo e prendere la faccia di
Katsuki tra le sue manine sporche e paffute.
“Signor
Kacchan! I tuoi capelli somigliano a un'esplosione!”
Katsuki
mugugnò disgustato, indietreggiando sulla sedia per allontanarsi da
quelle piccole appendici.
“Hisami!
Che cosa direbbe tuo padre se sapesse che sei salito sul
tavolo?”
Inko, agitata e rossa in viso, afferrò quel selvaggio di suo
nipote
e lo fece sedere di nuovo, da bravo bimbo, nel seggiolino.
Hisami si
strofinò le guance coperte di lentiggini, come se sapesse che
quel
gesto lo avrebbe fatto sembrare più tenero, e rispose, “Papà
direbbe Ti
voglio
bene, amore di papà,
perché io sono dolce dolce.”
“Tremendamente
dolce,” commentò sua madre con un tono così gentile da fargli
venire la nausea, per poi fissarlo -tre secondi dopo- con occhi di
ghiaccio. “Quando diavolo ti deciderai a darmi dei nipoti tu?”
“Linguaggio,”
pronunciarono solennemente sia Inko che Hisami.
Katsuki
dovette reprimere l'istinto di strapparsi i capelli e urlare Sono
un
cazzo di gay, Mamma, perché quello non era né il luogo né
il momento adatto per tale conversazione. Inko lo salvò dal dover
rispondere alla domanda.
“E'
passato così tanto tempo, Katsuki. Ho saputo che hai già conosciuto
Hisami.”
Il
biondo annuì. Gli era sempre piaciuta Inko. Aveva tutto quello che
si potesse desiderare in una mamma – la dolcezza, la premura, la
comprensione.
“Brevemente.
Ero di pattuglia. Che ci faceva Deku in centro?”
“La
sua clinica si trova lì. Si è trasferito in centro qualche anno fa
per stare più vicino.”
“Nonna,
cos'è una clinica?”
“E'
dove lavora papà,” spiegò lei pazientemente.
“Lui-”
“Scusatemi,
sono in ritardo!” Deku comparve andando immediatamente a sedersi
tra sua madre e suo figlio. Nel momento in cui il suo sguardo
incrociò quello di Katsuki, i suoi occhi si spalancarono
all'inverosimile e rimase a bocca aperta, come un pesce lesso.
Katsuki trattenne un ghigno – era una persona migliore ora, ma Deku
gli provocava una reazione così automatica sin dall'infanzia, che a
stento riusciva a controllarsi.
“Papà!”
esultò Hisami, aggrappandosi alla manica del maglione di Deku.
“Ciao
tesoro,” mormorò dolcemente. “Hai passato una buona giornata?”
“La
migliore! La nonna mi ha lasciato giocare con gli sticker! Ho
decorato il bagno.”
“Oh,
no. Mi dispiace, mamma.”
Katsuki
osservò vagamente meravigliato lo scambio di battute. Il fatto che
qualcuno potesse essere così rapito da un esserino di tre anni lo
lasciava alquanto perplesso. Stavano tutti lì seduti, come
ipnotizzati, mentre un mocciosetto teneva banco da un sedile
rialzato. Erano tutti avvolti da una disgustosa atmosfera domestica.
Katsuki non riusciva a immaginare il perché delle persone potessero
decidere, volontariamente, di avere quel tipo di vita. Gli occhi
verdi di Izuku che, a scatti, si soffermavano su di lui salvo poi
spostarsi rapidi come fulmini cominciavano a dare sui nervi al
biondo.
“Allora,
Deku,” cominciò, stanco di avere le orecchie piene del blaterare
di un marmocchio. Non era venuto fino a lì per niente.
“Cos'è
Deku? Il nome del mio papà è Izuku!”
“Hisami,
voce interiore, per favore.”
“Scusa
papà” rispose, riducendo la sua voce a un sussurro, le mani
piegate a coppa davanti alla bocca. Deku lo guardò sorridendo e poi
allungò la mano dietro di sé per raccogliere qualcosa. Tirò fuori
un quaderno -proprio identico a uno di quelli che era solito
portarsi
dietro a scuola- e una piccola scatola di pastelli. Hisami si lasciò
catturare dalla loro visione e, trasformatosi in un bimbo calmo e
obbediente, cominciò a scarabocchiare con un pastello arancione, la
punta della lingua che spuntava fuori dalle labbra chiuse e il naso
tremendamente vicino alla superficie del foglio.
“Come
ti vanno le cose, Kacchan?” gli chiese Deku, distogliendo
finalmente lo sguardo dal bambino che -Katsuki doveva ammetterlo-
poteva sembrare anche un po' carino, quando non era occupato ad
urlare a pieni polmoni o ad aggrapparsi a lui.
“Pieno
di impegni. Punto ad essere l'eroe numero uno,
come sempre" pronunció gonfiando il petto.
"Sono
sicuro che ce la farai," gli rispose Deku educatamente, ma senza
la minima traccia di quella venerazione per il biondo che lo
caratterizzava da ragazzo.
"Tu
invece? Tua mamma diceva che stai lavorando in una clinica."
Deku
sembrò irrigidirsi di nuovo, a giudicare dalle spalle tese. Annuì,
muovendo a scatti la testa. Un mmmmh
gli uscì dalla bocca prima che cambiasse argomento.
"Ma
di sicuro non ti interessa sentirmene parlare."
"Perché
mai non vorrebbe? Il tuo è un lavoro importante, tesoro!"
Alle
lodi di sua mamma Deku rispose con un sorriso tirato, e poi i
genitori di Katsuki decisero di intervenire.
"Il
tuo Quirk ha qualcosa di magico,” disse Masaru e Katsuki si sentì
scoppiare un aneurisma in testa. Deku non aveva un Quirk.
“Non
avresti avuto Hisami senza il tuo Quirk. Sei l'uomo che fa
miracoli.”
“Io
sono un miracolo,” mormorò Hisami, un pastello verde stretto nel
pugno, con il tono di chi ha già sentito quelle parole un milione di
volte nel corso della propria breve vita.
“Di
che state parlando? Hai un Quirk, Deku?”
“Il
Quirk del mio papà fa i bambini.”
Katsuki
si strozzò con la sua stessa saliva. “Hah?”
Deku
nascose il volto tra le mani, buttando fuori un lungo sospiro.
Katsuki non comprese perché le parole Quirk magico e uomo
che
fa miracoli potessero causare una simile reazione.
Deku sollevò il viso dalle mani e puntò uno sguardo
imperturbabile dritto verso Katsuki, prima di spiegare tutto.
“Il
mio Quirk è comparso quando avevo 6 anni. E' un Quirk potente legato
alla fertilità, chiamato Procreate. Mi hanno registrato come senza
Quirk, perché in mani irresponsabili può diventare estremamente
pericoloso. Posso creare figli biologici a partire da due essere
umani, a prescindere dal loro sesso. Dirigo una clinica, siamo
specializzati nella FIVET e in gravidanze surrogate, offriamo il
supporto di ginecologi-ostetrici direttamente a casa. Ho la licenza
per impiegare il mio Quirk su coppie consenzienti. Ora, possiamo per
cortesia smetterla di parlare di lavoro?”
Katsuki
inarcò un sopracciglio al sentire non solo quella marea di
informazioni, ma anche la tensione che impregnava la voce
dell'altro.
Deku era sempre stato un tipo un po' strano e nervoso, ma mai
l'aveva
visto comportarsi come in quel momento. Non era sicuro se si
trattasse di una sorta di retaggio dei loro turbolenti anni da
adolescenti, o se Deku fosse semplicemente pazzo – con molta
probabilità entrambe le cose. In ogni caso, si poteva dire che il
suo mestiere aveva dato ottimi, impressionanti frutti. Guardò Hisami
di nuovo, domandandosi chi diavolo potesse essere l'altro suo
genitore. Qualcuno biondo, chiaramente.
Il
cameriere arrivò finalmente a liberare tutti quanti dal loro
supplizio, e Katsuki giurò quasi di aver sentito Deku mormorare un
Cristo grazie velato da un pesante sospiro. Elencarono i loro
ordini e Katsuki rise quando sentì sia Deku che Hisami ordinare un
katsudon.
“Assicuratevi
che il suo sia bello carico, per favore. Non lo mangerà se non è
abbastanza piccante,” si rivolse Deku al cameriere, lievemente
terrorizzato all'idea di servire un piatto piccante “di livello
tre”
ad un caspita di bambino seduto sul seggiolino. Nonostante ciò, li
accontentò. Katsuki si ricordò così di quando sua madre doveva
abusare verbalmente il personale di sala perché gli servissero un
ramen piccante abbastanza da farlo sudare. Accennò un sorriso,
rivedendo un po' di se stesso nel bambino.
Hisami
tirò il maglione di suo padre, invitandolo a chinarsi verso di lui
perché gli potesse sussurrare nell'orecchio. Izuku annuì e spinse
indietro la sua sedia.
“Scusateci,”
disse, mettendo Hisami a terra così che potessero sgattaiolare verso
il bagno. Quando i due si furono allontanati, Katsuki si sentì un
poco più rilassato. Sentimento condiviso apparentemente dal resto
della tavolata.
“Izuku
si sente bene?” tentò Masaru, il primo come sempre a percepire la
tensione imbarazzante delle situazioni.
“Non
lo so, ma sono abbastanza sicura che Katsuki sia il responsabile,”
rispose sua madre sorseggiando il drink con la cannuccia.
“Oi!”
le urlò di rimando il biondo, anche se –in un certo senso- era
cosciente che la donna avesse ragione. Pensò che tutta quella fosse
una pessima idea e si domandò perché, in primo luogo, avesse deciso
alla fine di partecipare all'uscita. Tralasciando giusto il
desiderio
di soddisfare la sua morbosa curiosità.
“Papà,
sei arrabbiato con me perché sono salito sul tavolo?” chiese
Hisami, mentre asciugavano le mani nel bagno del ristorante.
“Hai
fatto cosa?”
“Scusami
papà. Per favore non essere più arrabbiato con me,” gli disse,
alzando le mani umide in alto, nel gesto universale che significava
prendimi in braccio. Izuku lo accontentò.
“Non
sono arrabbiato, tesoro.”
Izuku baciò la testa bionda e riccioluta di Hisami, sentendosi in
colpa per il fatto che il suo turbamento interiore avesse fatto
preoccupare suo figlio.
“Sei
arrabbiato con Mr. Kacchan?”
“Non
esattamente, ma sento come un brivido
quando lo vedo.”
“Paura!
No, papà, non avere i brividi!” Hisami avvolse completamente la
testa di Izuku tra le sue piccole braccia, nel tentativo di farlo
stare meglio. Funzionò, effettivamente. Suo figlio era la sua
sicurezza più solida e costante nella vita- non era una cosa un po'
triste?
“Okay
tesoro, andiamo a mangiare.” disse, divincolandosi dal suo
dispensatore di coccole per rimetterlo con i piedi per terra.
Uscirono dal bagno mano nella mano, Izuku con un passo più lento per
compensare la lentezza delle gambe più corte di suo figlio. Quando
tornarono al tavolo, Hisami si prodigò in un nuovo siparietto,
lasciando la mano di sua padre per portarsi poi il dorso della
propria sulla fronte con un gesto melodrammatico, imitando una star
del grande schermo in procinto di svenire.
“Oh,
papà, sto così male!” Hisami collassò a terra nel bel mezzo del
ristorante, e Izuku dovette sinceramente fare del proprio meglio per
non scoppiare a ridere e incoraggiarlo a continuare. Hisami stava
chiaramente cercando di creargli una via di fuga e il pensiero gli
fece scaldare il cuore. Era un bimbo davvero troppo sensibile per la
sua età. Izuku si inginocchiò di fronte alla figura prona del
figlio.
“Stai
male, huh? Così tanto da dover rinunciare a un buon katsudon
piccante?”
Hisami
si irrigidì. Chiaramente non aveva considerato le implicite
conseguenze del suo fingersi malato per potersene andare via.
“Sto
bene, ora, papà,” sussurrò infine.
“Come
immaginavo.” Izuku rise e sollevò da sotto le braccia quel
birbante di suo figlio. “Niente più soap opere per te quando sei
dalla nonna.”
Kacchan
osservò tutta la scena con occhi increduli, ma un sorriso gli sfuggì
quando notò l'espressione imbarazzata sul volto di Hisami. Scoppiò
in una risata che sorprese pure lui stesso e... Izuku non seppe come
prendere la cosa.
Faceva
male più di quanto avrebbe dovuto. Pensarci gli faceva ribollire
l'intestino in un brodo di sensi di colpa e pentimenti. Il peso del
segreto gli pesava sul cuore. Oltretutto, se era orribile tenerlo
nascosto a Katsuki, esserne direttamente responsabile lo era ancora
di più.
Note
della Traduttrice:
Ora,
non so voi, ma io ho dovuto sacrificare un polmone per le risate che
mi sono fatta leggendo il ricco vocabolario che Katsuki usa per
definire Hisami.
In inglese ci sono delle sfumature tanto
particolari, ho cercato di riportare i toni comici di certi termini
senza cadere nella volgarità, ditemi se ci sono riuscita <3
Prime
impressioni sul piccolo Hisami?
Vi
mando un caldo abbraccio
|
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Capitolo 3 *** Formation ***
Ciao
ragazzi!
Rieccoci con un altro capitolo :) la verità viene un po' a
galla!
Link
al
terzo capitolo in inglese:
https://archiveofourown.org/works/22111321/chapters/52828897
Capitolo
3
– Formation
“Riassumendo, alla
fine il processo è identico a quello di una qualsiasi altra
gravidanza. Si aspettano nove mesi, il parto è naturale e così via.
Di conseguenza, dovremmo discutere l'opzione di un surrogato.”
La
coppia
di uomini seduta all'altro lato della scrivania di Izuku fece
uno sforzo enorme per evitare di fissarlo come se si trovassero al
cospetto di un genio della lampada, o una divinità caritatevole. Ciò
nonostante, gli occhi spalancati e lievemente lucidi di entrambi
tradivano le loro emozioni. Izuku provò un leggero imbarazzo di
fronte ai due, ma proseguì con la spiegazione.
“Raccomandiamo
sempre
di cercare la persona ideale tra le nostre candidate, ma se
desiderate che sia qualcuno di cui vi fidate a portare avanti la
gravidanza, per noi non c'è nessun problema. Faremo del nostro
meglio per supportarvi fino alla fine e mettervi a vostro agio, in
qualsiasi modo. Avete delle domande da farmi, prima che vi spieghi
meglio le opzioni a vostra disposizione?”
Come
per
tutte le precedenti sedute, quello era sempre il momento in cui,
alla sua domanda, seguiva un lungo silenzio e la conseguente
realizzazione che l'impossibile era appena diventato un poco più
concreto.
“Perciò,
uh… il bambino sarebbe biologicamente nostro?”
Izuku
annuì
mentre gli angoli delle labbra iniziavano a curvarsi in un
sorriso. Era quasi sempre la prima curiosità da soddisfare.
“Qual
è la percentuale di successo?”
“Del
cento per cento, ad oggi. Non si procede come nella FIVET, qui non
si
rischia e non si perde, non tiriamo a sorte. Non possiedo alcun
controllo sul modo in cui si manifesteranno i geni e gli altri
fattori, perciò potrebbe insorgere qualche complicazione dopo che
la
fecondazione ha avuto inizio, come in una qualsiasi altra
gravidanza,
ma l’atto in sè è molto semplice. Si tratta di un Quirk e, come
tutti i Quirk, sembra sfidare ogni logica e senso, ma funziona,”
spiegò con cura Izuku, scrollando le spalle.
“Per
quanto riguarda il costo…” iniziò il maggiore dei due,
corrugando un po’ la fronte. Il compagno, per confortarlo, prese a
massaggiargli il dorso della mano col pollice. Erano entrambi
vestiti
in modo impeccabile e la maggior parte delle coppie non si
prendeva
nemmeno la briga di presentarsi alla seduta, se non era pronta a
spendere - sfortunatamente, non era un mistero che tali pratiche
fossero care, ma Izuku faceva del suo meglio per non lucrarci
sopra.
Tuttavia, aveva anche lui bollette da pagare e una bocca in più da
sfamare.
“É
la stessa cifra che paghereste con la FIVET e, solitamente, le
tariffe per un parto surrogato coprono sia le spese di
sostentamento
che quelle mediche, nel caso vi decidiate per quella soluzione.”
Izuku
mostrò
alla coppia un foglio laminato con elencati i soliti
preventivi. Ben sottolineato vi era ciò che poteva essere coperto
dall’assicurazione, dai finanziamenti federali e dalle donazioni
dei gruppi d'interesse, oltre che una lista dettagliata di tutti i
vantaggi in una gestione “in proprio” da parte dell'azienda.
Restava comunque una cifra elevata, ma era una realtà con cui Izuku
era sceso a patti da tanto tempo ormai.
“Vi
lascio qualche minuto perché possiate valutare tutte le
opzioni”
disse, alzandosi dalla sedia per allontanarsi e dare loro
privacy.
Andò nella zona ristoro per versarsi ancora un'altra tazza
di caffè,
la quarta di quel giorno. Era stato un incubo mettere a
letto Hisami
la sera prima e il latente senso di colpo risorto dopo aver
rivisto
Kacchan -dopo avergli fatto incontrare Hisami- lo aveva
tenuto
sveglio tutta la notte. Non sarebbe mai
dovuto
accadere. Sapeva che, statisticamente, imbattersi in lui era
una
possibilità molto concreta, ma non si sarebbe mai aspettato
che il
biondo gli volesse volontariamente rivolgere la parola, che
si
potesse sedere ad un tavolo di fronte a suo figlio e parlare
con
loro. Era una cosa… preoccupante.
L'aspetto
più brutto della situazione era che ad Izuku non sarebbe
assolutamente
dispiaciuto
riallacciare
i ponti con Kacchan, ma la mera esistenza fisica di suo
figlio peggiorava tutto a livelli estremi. Non aveva mai
accettato
che la loro amicizia fosse andata in frantumi, ma adesso, le
cose
erano incredibilmente
complicate.
Puramente
per colpa di Izuku, la situazione era così critica da
impedirgli persino di recuperare un semplice rapporto di
reciproca
conoscenza con il suo amico d'infanzia, e questo lo faceva
stare
profondamente male.
Bakugou
Katsuki
era il padre biologico di Hisami, ne era completamente
all'oscuro e il solo pensiero che lo potesse scoprire faceva venire
in mente ad Izuku gli scenari peggiori. Del tipo, scenari di guerra-
scenari post apocalittici, finali così disastrosi da dover essere
ricordati dagli annali di storia. E tutto si sarebbe potuto evitare,
se solo Izuku non fosse stato così stupido.
Si
sarebbe
volentieri giustificato dicendo che quando aveva deciso di
usare il suo Quirk sul suo amico, non era completamente padrone di
sé, ma questo avrebbe fatto di lui un bugiardo, oltre che un pessimo
esempio di essere umano. La verità era che Izuku stava cercando già
da tanto tempo dei “donatori” (non sapeva come altro chiamarli),
prima che un incontro fortuito non lo spingesse a prendere una
decisione follemente egoista.
Si
sentiva solo e, per quanto assurdo potesse suonare, avere un
figlio
sarebbe stato -per lui- di gran lunga più facile che
imbarcarsi
nella ricerca di un partner. Poi, di punto in bianco, si era
trovato
davanti un Kacchan sicuro di sé e forte proprio come quello
visto
alla tv e Izuku ne desiderò possedere un pezzo -un frammento
piccino, microscopico. Non era così tanto ingenuo da negare
che una
cotta, da tempo sepolta nel suo cuore, e sentimenti mai
chiariti
avessero giocato un ruolo chiave nel suo decidersi ad
utilizzare il
Procreate sul suo amico di una vita, e aveva sufficiente buon
senso e
istinto di conservazione per riconoscere
che
aveva
fatto un errore madornale nel tempo stesso in cui lo stava
compiendo, nell’istante in cui camminò tanto vicino a Kacchan
da
sentirsi travolgere il cuore da quel lieve senso di tepore,
segno
che una vita
era
stata
generata dal suo Quirk.
Quella
stessa
sera, stipulò un contratto con una delle madri surrogate
associate alla clinica, appoggiando le mani sul suo ventre per
trasferirvi la piccola vita non appena l’inchiostro sul foglio fu
asciutto e, per nove mesi, fu in lotta con se stesso, tormentato dal
peso dell’errore commesso, incapace di riposare, portato a lavorare
fino allo sfinimento nel tentativo di auto-punirsi. Ma quando Hisami
nacque e Izuku lo tenne in braccio per la prima volta, ogni senso di
colpa svanì di fronte al viso del suo bel bimbo perfetto. E più
Hisami cresceva, più gli eventi che avevano portato alla sua nascita
si mescolavano fino a sembrare solo un incidente fortuito, una
coincidenza, una piccola mano tesa dal destino perché gli venisse
regalato qualcosa di meraviglioso.
Ultimamente
poi, avendo trascorso più di un minuto in compagnia di
Kacchan, gli
erano saltate all’occhio le somiglianze tra lui e suo figlio.
Pur
essendo solo un bimbo di tre anni, Hisami possedeva già una
personalità esplosiva e non era un’esagerazione affermare che
il
piccolo fosse un mix quasi
perfetto
di
quelle peculiarità, che rendevano Izuku e Kacchan… Izuku e
Kacchan.
La
genetica
era proprio una cosa bizzarra. Inizialmente Izuku aveva
pensato che da Kacchan Hisami avesse preso solo i capelli biondi, ma
più lo osservava, più continuava ad assomigliare a lui. Avevano lo
stesso naso, lo stesso sorriso beffardo di quando si eccitavano per
qualcosa. Persino il taglio fine e la forma dei suoi occhi erano come
quelli di Kacchan.
Se
Izuku
avesse continuato a pensare a tutto quello, ne sarebbe uscito
pazzo. Fece un respiro profondo, prima di ritornare nel suo ufficio.
Magari la sua vita di lì a poco sarebbe anche crollata come un
castello di carte, ma prima, avrebbe perlomeno reso felice la coppia
che lo attendeva.
Katsuki
non era abituato a provare la sensazione che qualcosa stesse
sfuggendo
dalle
sue
mani. Da buona persona estremamente competitiva e con
un’intelligenza superiore alla media qual era, non c’era mai
stato un mistero che non fosse riuscito a svelare o un
problema che
non fosse stato in grado di risolvere. E tuttavia, ogni volta
che il
suo sguardo cadeva su quel bambino, un grande, grosso punto
interrogativo gli riempiva la testa. Erano passate due
settimane da
quello che -si poteva dire- esser stato il pranzo più ansioso
del
mondo, e Katsuki faticava a cancellarlo dalla sua memoria
-tanto, se
non di più del giorno stesso in cui si era tenuto-.
Quel
giorno
si era allontanato non appena i conti erano stati distribuiti
-pagando tutto quanto, considerato che aveva più soldi di quanto
sapesse che farsene. Si era immaginato che Deku avrebbe perlomeno
tentato di protestare e, per un attimo, sembrò sul punto di farlo.
Katsuki lo vide aprire la bocca, chiuderla, per poi ringraziarlo con
un conciso, “Grazie, Kacchan.”
Deku
fu
altrettanto veloce ad andarsene, issandosi in spalla la borsa
gigantesca e stringendo al petto come un pallone da football quel
chiacchierone di suo figlio, volando praticamente fuori dal locale.
Sfortunatamente
si erano incontrati di nuovo all’uscita, attraversando con un
certo
impaccio la doppia porta sfiorandosi le spalle. Izuku, ovviamente,
era inciampato nel nulla e la dannata borsa colorata era
volata per
terra, lanciando ovunque biberon, pannolini e -imperdonabilmente-
un
pupazzo
di Frostfire.
“Cazzo,”
sibilò Izuku, con suo figlio ancora appeso di traverso sotto il
braccio.
“Linguaggio!”
“Sì
tesoro, mi hai beccato. Scusami,” gli rispose, cacciando fuori un
lungo sospiro.
“Lascia
che
aiuti,”
mormorò
burbero Katsuki, leggermente a disagio.
“Tienilo
per un secondo, ti prego. Scapperebbe via nel momento in cui
lo
mettessi giù,” gli disse Deku, spingendo nello stesso
istante suo
figlio tra le braccia di un frastornato Katsuki. In vita sua
il
biondo non aveva mai tenuto in braccio un bambino e provò
immediatamente una sensazione di panico
così
travolgente, che non avrebbe potuto nemmeno tentare di
descriverla.
Storse il naso, tenendo sollevato il piccolo Hisami da sotto
le
ascelle, il più lontano possibile dal suo corpo. Hisami
guardò
Katsuki a occhi stretti e diffidenti, le labbra piegate in
un broncio
già visto prima.
“Sei
spauroso,”
sussurrò il bambino, stringendo gli occhi appena un po’ di più.
Quella faccetta arrabbiata avrebbe anche potuto essere comica, se
non
gli fosse stata inquietantemente familiare a livelli
indescrivibili.
Aveva un qualcosa di quello sguardo determinato che Deku era
solito
rivolgergli quando se la prendeva con gli altri bambini a scuola,
o
di quel terrificante sguardo di rimprovero che sua madre usava con
lui quando da piccolo faceva qualche capriccio in pubblico.
“Spauroso,”
ripeté
lentamente Katsuki, come se si trattasse di una parola
straniera di cui non conosceva il significato.
“Il
più spauroso! Mi stai facendo male alle braccia,” si lamentò
il
piccolo allungando quelle manine prensili neanche fossero
state dei
piccoli artigli minacciosi, aprendole e chiudendole come a
dire
tienimi
nel modo giusto, scemo. Katsuki
corrucciò
il volto e sistemò il piccolo gremlin sul suo fianco
mentre Deku richiudeva meticolosamente la borsa
strabordante.
Hisami
e
la sua ben ridotta capacità d’attenzione decisero che quello era
il momento giusto per un cambio di argomento.
“Signor
Spavento,
a te piacciono i cagnolini?” chiese, toccando la guancia di
Katsuki
per richiamare la sua attenzione su di lui.
“No,”
mormorò in risposta, desiderando ardentemente che Deku si desse
una
cazzo di mossa.
“Io
amo i cagnolini. Papà dice che non posso averne uno perché
sono
ergico.”
Katsuki
ebbe
bisogno di un minuto per capire che cosa diavolo intendesse
Hisami, basandosi sul contesto. Le parlate infantili erano
esasperanti.
“Anche
io sono allergico ai cani.”
In
quello
che immaginò potesse solo essere un moto di compassione, il
bimbo appoggiò la testa sulla sua spalla e gli diede delle pacche
leggere sul petto.
“Che
triste. Sono triste per te, signor Spavento.”
Deku
fece
un suono simile a quello di un gatto che annegava, tirandosi su
di scatto con la borsa nuovamente serrata.
“Okay,
preso tutto! Hisami, è ora di andare.”
Hisami
si
allungò verso Deku che, prontamente, lo raccolse tra le braccia.
“Grazie,
Kacchan. Ciao!” gli sembrò anche più di fretta rispetto a prima,
da come girò sui tacchi e camminò via in un baleno- andando nella
direzione opposta a quella per la stazione, come minimo.
“Ci
si vede in giro, Deku,” mormorò tra sé e sé, sentendo uno strano
calore nel punto in cui Hisami si era aggrappato pochi secondi
prima.
“Corri
papà! Lui fa spavento e odora di caramella bruciacchiata!”
“Hisami!”
Katsuki
non
riuscì a non ridere per quelle pagliacciate. Era un bimbo
sfacciato e impertinente, ma anche dolce sotto qualche aspetto. In
lui c’era tutta quella pacata gentilezza tipica di Deku,
frammentata da qualcosa di grezzo.
C’era
proprio
qualcosa di particolare in quel bambino.
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Capitolo 4 *** Dawning ***
Capitolo
4
– Dawning
Link
al 4 capitolo in inglese:
https://archiveofourown.org/works/22111321/chapters/52868422#workskin
“Bro,
a
te piacciono i puzzles vero?”
Katsuki
corrugò
le sopracciglia confuso. Era amico di Kirishima da più di
dieci anni ormai, ma ancora adesso faticava a comprendere che cosa
passasse per quella sua scompigliata testa a punta.
“Arriva
al
sodo, testa stramba.” Katsuki attraversò la strada in direzione
del suo appartamento, sito in una raffinata palazzina di lusso a più
piani, nella parte tranquilla della città. Aveva appena terminato il
turno del mattino e, anziché sfruttare le docce dell'agenzia, aveva
optato per un lungo bagno a mollo nella sua vasca. Col cazzo che
Kirishima gli avrebbe rovinato i piani.
“Mina
ha
comprato questa culla e ci sono così tanti pezzi da montare. Mi
fa male il cervello e non ci capisco niente dalle istruzioni.”
“Non
è un po' troppo presto per montare queste boiate?”
Ashido
doveva
essere al massimo al quarto mese di gravidanza, difatti.
Perché diamine stavano già -inutilmente- ordinando, scartando e
montando cose per il bambino, così in anticipo sui tempi?
“Siamo
entusiasti!
Tutti i libri sui neonati dicono che è come se stessimo
costruendo un nido. Mina vuole che sia tutto pronto il più presto
possibile, così possiamo goderci con calma il resto,” gli rispose
l'altro, eccitato come un cucciolo. Katsuki poteva quasi sentirlo
scodinzolare all'altro capo del telefono.
“Non
riesco ad immaginarmi voi due che leggete libri sui bambini,”
disse, sperando di distrarre Kirishima a sufficienza dal fargli
dimenticare che gli aveva chiesto una mano poco prima. Sorpassando
l'androne, Katsuki sentì l'amico titubare dall'altra parte della
linea. Il portiere, da dietro il bancone, lo salutò con un cenno.
“Abbiamo
preso
gli audio libri, così da poterli ascoltare mentre giocavamo ai
video games,” ammise.
“Ecco,
a
questo ci riesco a credere,” gli rispose, con un
sogghigno. “Sto per entrare in ascensore, probabilmente cadrà la
linea.”
“Il
nostro ascensore? Sei volato qui?”
“Quello
di
casa mia, cretino. Ho appena staccato dal lavoro.”
“Ma
verrai a darmi una mano, giusto?” Dalla voce pareva esausto e in
sottofondo poteva quasi sentire Ashido urlare. Seguì il rumore del
cellulare che veniva passato di mano e di punto in bianco le sue
orecchie furono invase dalla voce di Ashido.
“Bakugou,
se
entro i prossimi trenta minuti non sei qui a montare questa
maledetta culla, ti verrò a cercare e userò i miei ormoni impazziti
come scusante per cavarmela dopo aver commesso un crimine.”
“Cristo...
okay.
Fammi fare una doccia e sarò lì più tardi.”
“Falla
qui
e portami qualche takoyaki da quel chiosco che mi piace tanto.”
“Lo
sai no, che non sono io quello che ti ha ingravidata, e che quindi
non mi puoi comandare come ti pare e piace? Ho dei diritti io.”
“Hai
dieci minuti,” replicò lei, buttandogli giù il telefono. Qualche
volta, Katsuki rimpiangeva seriamente di aver voltato quella sua
vecchia pagina di vita solitaria per potersi fare degli amici che
non
erano terrorizzati da lui. Lasciò la casa e si avviò verso il
chiosco che stava sulla strada per l'appartamento della coppia.
“Grazie
a
Dio,” esordì Kirishima quando aprì la porta di casa sua e fece
passare dentro Katsuki. Da come era messo l'appartamento sembrava
che
avessero svaligiato un intero negozio per la prima infanzia: una
piramide di scatole torreggiava in un angolo e, al centro della
stanza degli ospiti -la nuova nursery-, sparsi per terra, quelli che
il biondo supponeva fossero i pezzi della culla.
Ashido
si
materializzò dietro di lui per rubargli dalle mani i takoyaki
unti, ancora prima di degnarsi di salutarlo.
“Grazie,
Baku.
Darò il tuo nome a questo piccolo parassita.” Mina lo
avvolse in un abbraccio, appoggiando per qualche secondo la testa
sulla sua spalla. Il gesto gli ricordò Hisami.
“Non
dare il mio nome alla tua progenie aliena.”
“Ti
avverto, amico. Ultimamente sono sempre in preda a questi strani
istinti paterni, se insulti di nuovo il mio piccolo dovremo fare a
botte,” disse Kirishima, sventolandogli contro le istruzioni per
l'assemblaggio. Katsuki si fece scappare una sonora risata, ma
accettò il manuale e si sedette sul pavimento per cominciare a
lavorare.
“Allora,
che
mi dici di nuovo? Mi sembrano passate settimane dall'ultima volta
che ti ho visto.”
Katsuki
mugugnò
e scosse le spalle, mentre identificava le viti giuste per
la prima parte del montaggio.
“Lavoro.
Ho
visto i miei genitori qualche settimana fa. Abbiamo pranzato con
degli amici di famiglia.” Katsuki fu volutamente vago. Avrebbe
mentito dicendo che non stava più pensando a quel pranzo. Deku e la
sua esuberante progenie riuscivano a intrufolarsi spesso nei suoi
pensieri.
“Amici
di
famiglia, huh? Stiamo parlando di quell'amico di famiglia?”
Katsui
palesò
una smorfia. Aveva raccontato a Kirishima tutto riguardo a
Deku durante il loro secondo anno, giusto quando aveva realizzato
che
razza di stronzo fosse veramente. In quell'anno era maturato molto,
con Kirishima a fargli 'fastidiosamente' supporto.
“Già,
quello.
Ha un figlio ora, ed è...” lasciò la frase in sospeso,
più occupato a cercare un modo per esprimere ciò che sentiva senza
mostrarsi debole. “Diciamo che mi sta fottendo il cervello.”
Kirishima,
che
fino a quel momento aveva fatto finta di dare una mano muovendo
di tanto in tanto pezzi della culla per il pavimento, si
immobilizzò.
Guardò Katsuki con aria interrogativa.
“Cos'ha
di
stranuccio?”
“Ugh.
Riformula
la frase, ma senza parlare come un dannato marmocchio.”
“Perché
la
cosa ti turba?”
Katsuki
sapeva
perché la cosa lo infastidiva -almeno, un po'- ma non sapeva
come fare a spiegarlo a Kirishima. Sapeva di non avere alcun diritto
di essere aggiornato su Deku e la sua vita, ma ciò non cambiava il
fatto che si sentisse lo stesso un po' raggirato, essendo
rimasto all'oscuro di qualcosa di così fondamentale per l'altro, per
non parlare poi della faccenda del suo Quirk. Si sentiva tagliato
fuori, dopo aver scoperto che i suoi genitori erano coinvolti nella
vita di Deku e lui non ne era mai stato al corrente. Si domandava
ora
quante altre cose si fosse perso nel corso degli anni, consumato
com'era dai suoi obiettivi.
“E'
solo che... è una grossa faccenda. Suo figlio poi, è
strambo, ma non in modo così tanto tremendo. Mi fa ripensare a come
eravamo io e lui a quell'età. Stavamo praticamente incollati l'uno
all'altro, mentre ora...”
“Ora,
avete
due vite completamente separate l'una dall'altra,” proseguì
Kirishima, piegandosi all'indietro per appoggiarsi sulle mani.
“E'
una cosa stupida.”
“Ma
è la verità. Pensi che sia perché ti senti responsabile della
distanza creatasi tra voi due?
Katsuki
fu
grato di essere occupato con i chiodi, le viti e gli sparsi pezzi
di plastica che stava cercando di montare, perché questo significava
poter non guardare in faccia Kirishima. Era sempre stato più facile
parlare di se stesso quando qualcos'altro lo impegnava. Fece un
gesto
poco convinto con le spalle, ma tanto bastò perché il rosso lo
prendesse come un riluttante assenso.
“Beh,
forse
questa è l'occasione per ripartire da zero. Magari per
chiedere finalmente scusa?”
All'idea
di
dover chiedere scusa a qualcuno, qualcosa dentro al biondo si
contorceva in preda all'orrore. Il pensiero di doversi scusare con
Deku –la sola persona della sua vita che, con ogni probabilità,
meritava in assoluto delle sentite e sincere scuse- faceva
salire la nausea a Katsuki. Tentò di cambiare discorso.
“Dirige
una
clinica per donne, a quanto pare. Roba di ginecologia, FIVET,
cose così. Suppongo che abbia usato una surrogata per suo figlio.”
Dopo
essere rimasto fino a tarda notte su Google a cercare cose come
clinica Midoriya Musutafu, era arrivato alla conclusione che
chiamarla clinica fosse un po' fuorviante. Si trattava
essenzialmente
di una fabbrica sforna-bebè di alto livello, frequentata con ogni
probabilità da gente molto ricca. Aveva sede in un
gigantesco
edificio con studi individuali, laboratori, uffici e alloggi per i
loro surrogati e lo staff di turno. Katsuki realizzò di colpo che
Deku doveva essere maledettamente ricco -molto probabilmente non
quanto lui, ma davvero poche persone potevano arrivare ad avere uno
stipendio come quello di un eroe professionista nella top ten.
“Mina
e
io stiamo cercando una nuova ostetricia. Magari possiamo rivolgerci
a lui?”
“E' il tuo feto. Fa quello che vuoi,” borbottò
il biondo.
“Sto
cercando di darti un pretesto. Lo capisci, vero?”
“Non
ho bisogno di un pretesto e non ho decisamente bisogno di essere
coinvolto nei tuoi cazzi. Questa stupida culla è già abbastanza
straziante.”
Kirishima
rise,
facendo rotolare qualche vite sparsa per terra. I due, e per
due Katsuki intendeva lui solo, lavorarono in
silenzio,
riuscendo a montare la base della culla prima che Kirishima la
facesse finita di aiutare per finta e tirasse fuori il cellulare.
“Ripeti
un
po', com'è che si chiama?” chiese il rosso, con sufficiente
innocenza. Katsuki lo guardò con sospetto da sopra il manuale delle
istruzioni.
“Midoriya
Izuku,”
gli rispose, sapendo bene che Kirishima stava digitando il
suo nome nella barra di ricerca dell'app di questo o quel social
media.
“Il
suo account non è privato!”
Katsuki
si sporse con più nonchalance possibile per dare un'occhiata al
cellulare di Kirishima, ma la sua curiosità ebbe la meglio su di
lui. Katsuki non aveva FaceSpace, era fermamente convinto che i
social media rendessero le persone più stupide, questo in
particolare poi era per vecchie persone lagnose, ma il profilo
di
Deku era piuttosto scarno, fatta eccezione per alcune foto sue,
di
sua mamma e di Hisami.
“Quello
è
suo figlio, Hisami.”
“E'
adorabile.”
“E'
un piccola merda.”
“Mi
ricorda... un po' te. Gesù, è stata tua madre a donare
l'ovulo?”
“Chiudi quella cazzo di bocca,” replicò,
inorridito. Sentire Kirishima dar voce a quello che pensava
costantemente ogni volta che si trovava a interagire con quel
bambino
lo turbava nel profondo. Prese il cellulare dell'amico per scorrere
attraverso foto di compleanni, vacanze e una in cui un irritato
Hisami mostrava alla fotocamera il suo braccio ingessato. Quello era
lo stesso piccolo broncio di quando Katsuki lo aveva tenuto
sollevato
dopo il pranzo, e il modo in cui curvava la bocca ricordava
all'inverosimile un piccolo Katsuki che teneva il muso.
Una
strana sensazione lo assalì nel profondo dello stomaco. Raccolse
nuovamente nella testa tutto ciò che sapeva di Hisami e sul Quirk di
Deku. Aveva specificatamente detto che il suo Quirk funzionava su
coppie dello stesso sesso e Hisami aveva tre anni... e... e-
E
loro si erano incontrati poco più di quattro anni prima. Deku aveva
accesso a surrogati. Era anche passato un po' troppo vicino a
Katsuki
al momento di salutarsi, e se il suo Quirk si attivava con il solo
tocco, allora aveva avuto di sicuro un'opportunità.
Katsuki
lasciò
cadere il cellulare. Non poteva più guardare in faccia quel
bambino. Se lo avesse fatto, gli sarebbero tornati alla mente il suo
modo di fare, la forma dei suoi occhi, i suoi arruffati ricci biondi
e il suo amore per il cibo piccante,
“Porca
puttana.”
Le parole gli uscirono come un sibilo, appena udibili.
Katsuki o stava avendo un attacco di cuore, o stava sperimentando
una
crisi esistenziale. Forse entrambe le cose.
“Huh?”
domandò
Kirishima. Katsuki non poteva più toccare l'argomento. Non
credeva nemmeno di poter più montare la culla, ma avrebbe tentato
volentieri pur di distrarre la mente dalla sua nuova rivelazione.
Era
una cosa da pazzi. Fottutamente fuori di testa; ma da un lato no, e
quella era la cosa che lo spaventava.
“Finiamo
di
montare questa culla. Ho delle cose da fare più tardi,”
mormorò, immergendosi completamente nell'impresa. Doveva parlare con
Deku -magari strozzarlo, anche.
“Cazzo,”
sussurrò,
con il terrore che gli montava sullo stomaco.
Izuku
controllò
di nuovo l'ora, picchiettando con la suola della scarpa il
pavimento in legno massiccio del suo ufficio. La sua ultima seduta
era terminata circa un quarto d'ora prima e, probabilmente, da
allora
aveva guardato l'orologio ogni singolo minuto. Mancava ancora un'ora
al termine del suo orario d'ufficio e doveva andare a casa di sua
madre per prendere Hisami. Era passato più o meno un mese da quel
disastroso pranzo di famiglia, e Izuku non riusciva a togliersi
Kacchan dalla testa. Aveva cercato di trovare il coraggio e fargli
una telefonata, ma per adesso era riuscito soltanto a chiedere a sua
mamma il numero di cellulare.
Doveva
fare
la cosa giusta, ma farlo poteva letteralmente rovinargli la vita
e, di conseguenza, anche quella di suo figlio. Non aveva idea di
come
avrebbe potuto reagire Kacchan. Gli sarebbe importato qualcosa? Si
sarebbe sentito in dovere di far parte della vita di Hisami? Avrebbe
mentito negando che non si era mai immaginato uno scenario di quel
tipo nel corso degli anni, ma quella fantasia era meglio tenerla
nascosta nei più profondi anfratti della sua mente. Lo scenario più
plausibile prevedeva che il biondo andasse su tutte le furie, cosa
che, sinceramente, non gli avrebbe potuto rimproverare per niente.
Gli avrebbe probabilmente tirato un pugno, facendo risorgere
l'ostilità dei tempi delle medie, e magari avrebbe reso la cosa
pubblica, costringendo la clinica a chiudere e facendogli ritirare
la
licenza. Poteva sopportare tutto quello. Quello che non poteva
sopportare era la possibilità di perdere suo figlio, e le chance che
ciò accadesse erano più concrete di quello che gli sarebbe piaciuto
ammettere. Era ciò che lo bloccava dal cercare l'altro e dire la
verità. Sospirò pesantemente nascondendo il viso tra le mani.
La
porta del suo ufficio si spalancò con una forza tale da picchiare
contro il muro e, improvvisamente, come se Izuku fosse riuscito con
il solo pensiero a evocarlo, si trovò faccia a faccia con un Kacchan
in preda alla rabbia più nera, dopo di lui la sua receptionist
trafelata.
“Mi
dispiace tantissimo, Midoriya. E' arrivato di colpo-”
“Dobbiamo
avere
una cazzo di conversazione noi due,” gli disse e dalla voce
sembrava che Kacchan si stesse aggrappando a fatica a quell'ultimo
straccio di sanità mentale che gli restava. Tutto quello che Izuku
riuscì a fare fu congedare velocemente la sua receptionist e
chiudere dietro di lei la porta. Ecco cosa succedeva a rimandare le
cose.
Note
della
Traduttrice:
Ci
tenevo a ringraziare tanto le persone che stanno commentando la
storia, tenendomi in contatto con l'autrice originale le sto facendo
sapere come procede ed è davvero felice anche lei!
Se
vi andasse di fare due chiacchiere in più, ho aggiunto il link al
mio IG nella pagina del profilo. Mi farebbe davvero molto piacere
poter interagire con altri fan di BNHA (e della Bakudeku, perché in
verità conosco giusto UNA sola persona che la supporta ;; ).
Vi
mando un abbraccio virtuale, alla prossima e Buona Pasqua!
|
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Capitolo 5 *** Big Bang ***
Capitolo
5
– Big Bang
Link
al quinto capitolo in inglese:
https://archiveofourown.org/works/22111321/chapters/52905886
Dopo
aver congedato la sua receptionist Deku chiuse mestamente la porta
dell'ufficio e Katsuki vide il terrore puro nei suoi occhi. Se
quella
non era già una conferma, allora non sapeva cos'altro poteva
esserlo.
“So
perché sei qui, ti avrei telefonato,” disse, sperando forse così
di calmare la rabbia dentro Katsuki. Deku aveva avuto modo di
abituarsi alla sua furia, certo, ma aveva come il presentimento che
in quel momento avesse toccato un livello del tutto nuovo. Se avesse
potuto imbottigliarla, sarebbe bastata a dare energia a tutto il
maledetto paese.
“Tu
credi,” e il biondo fece una pausa, completamente incredulo. “Che
una chiamata sarebbe bastata? Una fottuta conversazione
al
telefono per spiegarmi che mi hai usato per creare un dannato
bambino?”
“Doveva
essere
solo il primo passo. Non volevo che le cose finissero così.”
Deku gli sembrò così volubile e sincero in quel momento -ma
dopotutto aveva sempre quell'aspetto-, e in ogni caso non importava
quanto cercasse di farsi piccolo, niente avrebbe potuto calmare la
tempesta che si stava scatenando nel petto di Katsuki.
“In
che altro modo potrebbe andare? Questo è-” Un respiro mozzato.
“Non ho mai-” Un lamento gutturale. Stava cercando di
controllarsi, ma si trovava tristemente impreparato ad avere una
discussione di quel tipo. Deku aveva preso quella decisione senza di
lui. Aveva avuto nove mesi per prepararsi ad essere un papà, e tre
anni per fare pratica. A Katsuki sembrava che gli avessero fatto
cadere tra le braccia una bomba formato bebè.
“Come
cazzo
hai potuto farmi questo, Deku?” Mai si era permesso di
mostrarsi così distrutto, spaventato e tradito come stava facendo in
quel momento. Deku ebbe almeno la decenza di apparire afflitto per
tutto quanto. Continuava a torcersi le mani nervosamente e, ad ogni
movimento di Katsuki, trasaliva indietreggiando. Bene. Era
quello
che si meritava.
“Io...
davvero
non ho scuse. Mi sentivo solo. Avevo già una mezza idea in
testa quando ti ho incontrato per caso, così l'ho fatto e basta. Ho
lasciato che accadesse. E non volevo sentirmi male per questo,
perché
c'era una buona possibilità che tu non lo avresti mai scoperto, e
probabilmente anche che non te ne sarebbe importato niente. Non
riesco a provare rimorso perché amo mio figlio più di quanto io non
abbia mai amato nessun altro.” Vomitò così rapidamente quelle
parole che Katsuki ebbe difficoltà a seguirlo. Non si era mai
trovato così tanto a corto di parole.
“Tu-
maledetto-” Katsuki si sentì strozzare da un nodo alla gola, del
tutto incapace di comprendere la gravità schiacciante di quello che
l'altro aveva fatto. Esterrefatto dallo scoprire che Deku aveva così
poca fiducia in lui, da credere davvero che non gli sarebbe
importato
dell'esistenza di Hisami. Era un cazzo di insulto e faceva male.
“Mi
dispiace. Farò qualsiasi cosa per tenere la cosa segreta. Lo so che
sei incazzato con me, ma ti prego di pensare a come questo potrebbe
influenzare Hisami.”
Katsuki
si
sfogò con un urlo strozzato. Era sua la colpa di tutto quello...
e aveva ancora il coraggio di avanzare delle pretese? Sentiva il
corpo freddo, intorpidito, e pensò che se ci fosse stato un forte
vento, quello sarebbe stato in grado di farlo cadere, se soltanto la
sua rabbia non lo avesse tenuti ancorato al suolo, estendendo come
delle radici giù nel pavimento.
“Dovresti
essere
in una cazzo di prigione tu. Dovresti perdere la licenza, o
qualsiasi altra cosa sia quella che ti da il diritto di fare tutto
questo.”
Il
volto di Deku si contorse in una smorfia, mentre si mordeva il
labbro. Non rispose nulla.
“Come
hai
potuto farlo? Come hai osato?” Aveva già fatto quella domanda,
lo sapeva, ma era proprio quell'interrogativo che gli continuava a
rimbalzare contro.
“Ti
chiedo scusa per averti usato. Mi dispiace che tu l'abbia scoperto
in
questo modo.”
“Ti
dispiace di essere stato scoperto, vorrai dire.”
L'altro
scosse
le spalle, come se non si trattasse di una situazione grave.
Aveva gli occhi lucidi dalle lacrime, ma c'era anche una certa punta
di determinazione in quei profondi pozzi verdi. Katsuki era furioso,
così tanto che, per la prima volta nella sua vita, non aveva idea di
che mossa fare. Un tempo davanti a lui si sarebbe trovato un cammino
sicuro, perfettamente spianato, con segnali pronti a dirgli
esattamente dove andare e cosa fare per riuscire a
diventare l'eroe numero uno. Tutto il resto, le persone, i problemi,
le distrazioni di qualsiasi tipo, automaticamente spinto ai lati
della strada. Adesso, quel cammino era interrotto e si biforcava,
senza alcun segnale che lo aiutasse a capire quale strada prendere.
Katsuki scattò in avanti e ora un buco decorava il muro in carta da
parati dell'ufficio di Deku. Quest'ultimo saltò, prevedendo certo
che il prossimo ad essere colpito dal pugno sarebbe stato il suo
viso. Katsuki stava valutando quella opzione.
“Tu...
che
cosa hai intenzione di fare?” sussurrò Deku, con gli occhi
pieni di paura. Katsuki sospirò.
“Non
ne ho una fottuta idea.”
Ci
fu una lunga, asfissiante pausa mentre i due cercavano di capire
come
muoversi, qualcosa da dire. Nessuno nei due riusciva a guardare
l'altro, vuoi per il senso di colpa, vuoi per il disgusto. Katsuki
sentì la sua rabbia defluire, così. Sgorgò fuori dal suo corpo,
goccia per goccia, lasciandolo esausto. Il cellulare di Deku emise
un
blip nella sua tasca e il ragazzo lo controllò.
“Devo
andare
a prendere Hisami da mia mamma tra poco.”
“Lei
lo sa?” proruppe Katsuki, poi gli sovvenne un altro dubbio,
spontaneo. “I miei genitori lo sanno?”
Per
caso tutti tranne Katsuki sapevano che aveva un figlio?
Deku
scosse la testa. “Ovviamente no. Non lo sa nessuno.”
“Eccetto
me,”
gli disse, mentre la gravità della situazione lo opprimeva
come se fosse stato circondato da una fitta nebbia. Katsuki aveva un
cinquanta per cento di interessi nel bambino. Hisami era suo.
E improvvisamente, seppe che la strada da prendere era una soltanto,
nel breve periodo.
“Lo
voglio conoscere,” disse Katsuki, cercando di simulare con il tono
di voce una calma che non provava davvero. “Voglio che lui
mi conosca. Io sono... E' anche mio figlio e tu non sei esattamente
nella posizione di dirmi di no.”
L'espressione
di
Deku era decisamente indescrivibile. Era quella forse incredulità,
forse speranza, o forse il terrore più assoluto di dare a Katsuki
l'accesso illimitato con un bambino. Prese un profondo, tremulo,
respiro.
“E'
una questione di cui non facciamo in tempo a parlare al momento.
Noi... devono esserci delle regole e delle restrizioni. Sei un'eroe,
Kacchan. Questo fa di Hisami un bersaglio e... ti prego, non
prenderla a male, ma ho il presentimento che tu non abbia alcuna
nozione sui bambini.”
“E
di chi cazzo è la colpa? Non ho mai voluto un figlio.”
Deku
indietreggiò come se avesse appena ricevuto uno schiaffo. Era stato
lui a dire che non avevano tempo per parlare in quel momento, eppure
eccoli li, a discuterne. Katsuki cercò di accantonare la sua rabbia,
di placare il magma che gli ribolliva dentro, zampillante sotto la
sua pelle. Cercò di fare il razionale, di convincersi che Deku non
stesse tentando di tenerlo lontano da suo figlio. Provò lo strano
istinto di voler proteggere un bambino che aveva conosciuto in
totale
due volte, un bimbo che, per quello che aveva appreso, non era poi
così tanto affezionato a lui.
“Devo
davvero
andare. Ti chiamo stasera dopo che lo avrò messo a letto e
troveremo una soluzione.”
“Non
farai come ti pare e piace con me, Deku. Rovinarti la vita non mi
farebbe né caldo né freddo, perciò non mettermi alla prova.”
“Afferrato.”
Deku
controllò di nuovo l'orologio e sospirò. “Ti accompagno
fuori.”
“Non
ti scomodare,” gli rispose rapido, scontrando Deku nel sorpassarlo
per essere il primo ad uscire dalla stanza.
Katsuki
vedeva
tutto distorto da quanto era sconvolto. Per fortuna aveva
preso la macchina, perché non si sentiva mentalmente in grado di
salire su un treno insieme a degli estranei. Ground Zero non poteva
permettersi di collassare davanti al pubblico, e Katsuki stava
davvero per mollare. Fece appena in tempo ad entrare in
macchina e accendere il motore prima di crollare come cartapesta
bagnata, accartocciandosi su se stesso e singhiozzando per la
frustrazione.
Katsuki
non
avrebbe mai immaginato di trovarsi in una situazione simile
-essere gay e altamente responsabile in un certo senso precludevano
la possibilità di una gravidanza non programmata. E ormai non si
trattava neanche più di una gravidanza, ma di un essere umano, fatto
e completo. Era indietro di tre anni e nessuna corsa disperata per
colmare il distacco avrebbe fatto la differenza. Non era sicuro di
cosa lo demoralizzasse di più, se l'aver perso tutto fino a quel
momento, l'avere un figlio e basta, o avere un figlio e averlo con
quel maledetto di Deku.
Katsuki
era
perso, confuso e si sentiva completamente solo. Per la prima
volta in assoluto, la solitudine era soffocante.
“Papà,
guarda!”
disse Hisami, correndo fuori nel giardino non appena Izuku
aprì il cancello. Hisami, nel cercare di mostrargli le sue scarpe,
accentuò la corsa con dei saltelli dinoccolati. La scarpa sinistra
era rossa, quella destra bianca, entrambe con rifiniture blu e il
logo di Frostfire. La venerazione per gli eroi era, evidentemente,
un
tratto di famiglia. Izuku si sentiva fisicamente prosciugato dai
fatti recenti, ma gli fu impossibile non rispondere prontamente al
sorriso solare di suo figlio. Era così contagioso.
“Scarpe
nuove?”
chiese Izuku mentre Hisami gli saltava in braccio. Lo
strinse forte, con qualche difficoltà visto il suo continuo
dimenarsi, e gli lasciò un bacio umidiccio sulla guancia cosparsa di
lentiggini.
“La
nonna ha detto che sono stato bravo oggi, perciò potevo prendere una
cosa al centro commerciale e ho scelto queste!” Mentre Hisami
raccontava delle sue avventure quel pomeriggio e dondolava i piedi
avanti e indietro, Izuku percorse il vialetto che conduceva alla
porta di casa. Riuscì a scorgere sua mamma osservarli dalla finestra
della cucina.
“La
nonna ti vizia,” disse con dolcezza, attraversando la soglia.
“La
nonna dice che viziare e amare vogliono dire la
stessa
cosa,” 'cinguettò' il bimbo, con un sorriso auto compiaciuto sul
faccino. Izuku rise. Era davvero troppo ricettivo.
“Hey,
mamma.”
“Ciao,
tesoro.
Ti fermi a cena?”
Izuku
si
sentiva male a dirle di no, ma era così stressato e esausto che
tutto quello che voleva fare era di andare a nascondersi nel suo
appartamento. Sperava che Hisami, quella sera, non avrebbe fatto i
capricci al momento del bagno e all'ora di andare a letto.
“Non
penso. E' stata una giornata lunga.”
“Problemi
a
lavoro?”
“No,
nulla del genere.” Izuku si domandò quanto potesse rivelarle. Sua
madre era piuttosto inarrestabile quando si trattava di spingerlo a
parlare dei suoi problemi. “Uh, Kacchan è passato in ufficio oggi.
Stiamo... cercando di far funzionare le cose.”
Sua
madre e Hisami corrucciarono il volto allo stesso modo, ma fu solo
il
secondo a parlare.
“Signor
Spavento.
Lo picchio.”
“Hisami,
no.
Cielo, dove impari certe cose?”
“Dagli
show
della nonna,” e gli sorrise. Izuku guardò sua mamma con aria
incerta e lei scosse le spalle, cercando di nascondere dietro il
palmo una risata appena trattenuta.
“Okay,
amore,
è ora di andare a casa. Spero che tu abbia detto grazie per
le scarpe nuove.”
“L'ha
fatto,
almeno un migliaio di volte. E' un bravo bimbo.”
Si
salutarono con baci e abbracci, promettendosi di sentirsi per
telefono nel weekend.
La
loro cena consistette in dell'economico cibo take away e Hisami era
ancora abbastanza piccolo per vederlo come un “piatto da occasione
speciale”. Andò in visibilio quando ricevette un pacchetto di
figurine di Frostfire con il suo happy meal e Izuku comprese già che
avrebbe grattato stickers via dai muri nei giorni a seguire.
Il
momento doccia non fu, grazie al cielo, un problema dopo che ebbe
tirato fuori la sua arma segreta: il bagnoschiuma con bolle. Hisami
stava sguazzando con una perfetta barba da Babbo Natale sul volto
quando Izuku decise di parlare di Kacchan.
“Hey,
tesoro.
Devi comportarti bene con Kacchan quando verrà a casa, okay?
Verrà a farci visita di tanto in tanto. Papà vorrebbe che fossimo
tutti amici.”
Il
cambiamento fu immediato. Anche con il volto coperto da bolle di
sapone, quel broncio era inconfondibile.
“Non
voglio.”
“Perché
no?”
“Quello
ti
fa spavento!”
“Conosco
Kacchan
da quando avevamo la tua età. Lo sapevi questo?”
“No,”
sussurrò
il bambino, cacciando via un po' di bolle dal viso. Izuku
capì che suo figlio non era più in vena per quella conversazione
quando velocizzò i tempi della doccia, decidendo di insaponarsi i
capelli senza alcun incitamento.
“Eravamo
davvero
buoni amici, vorrei che tornassimo ad esserlo di nuovo. E
indovina un po'?”
“Huh?”
“Conosce
Frostfire,”
gli bisbigliò. Nemmeno Izuku si salvava
dall'assecondare le voglie di suo figlio e corromperlo con le
stesse.
Era, sinceramente, la linfa vitale nella vita di un genitore. Hisami
sussultò a bocca aperta, bloccandosi con le manine tra i ricci
insaponati, guardandolo con gli occhi spalancati. Ce lo aveva in
pugno -abboccato all'amo, pescato e messo nel sacco.
“Cosa?”
Sembrava
quasi che Izuku gli avesse appena svelato il segreto
dell'universo. Prima che potesse dire qualcosa, Hisami lanciò in
aria le mani con fare drammatico -stava diventando sempre di più una
sua posa tipica- e fece finta di svenire di nuovo. L'acqua schizzò
oltre i bordi della vasca con il suo agitarsi, finendo con il
bagnare
i pantaloni buoni di Izuku che non riusciva a fermare le risate,
intanto che tirava di nuovo su suo figlio per finire il bagno.
All'avvicinarsi
dell'ora
di andare a letto Hisami si fu stancato a dovere, e si
addormentò piuttosto velocemente. Sembrava che l'universo sapesse
che doveva avere una conversazione importante con Kacchan. Riuscì
finalmente a trovare il coraggio di far partire la chiamata che
avrebbe dovuto fare settimane prima -anni prima, in verità.
Kacchan gli rispose dopo il primo squillo, come se avesse tenuto il
telefono incollato alla mano tutta la notte in trepidante attesa.
“Hey,
Deku,”
Katsuki parlò con tono greve e spossato. Il senso di colpa
gli riempì di nuovo il petto. Izuku non aveva mai desiderato questo.
“Hisami
è
completamente KO. Sono... sono tentato di scusarmi di nuovo, ma
credo che se andiamo avanti così, non risolveremo mai niente.”
Gli
rispose il silenzio dall'altro capo del telefono, ma sforzandosi
abbastanza Izuku riusciva a sentire un respiro irregolare. Aspettò
che Kacchan parlasse. Non aveva intenzione di litigare, sarebbe anzi
stato il più accomodante possibile, tenendo comunque a mente ciò
che era meglio in assoluto per Hisami.
“Già.”
Lo
sentì così abbattuto, più afflitto di quanto Izuku avesse mai
immaginato che l'eroe potesse essere.
“Pensavo
che
forse la cosa migliore da fare sarebbe di introdurti a Hisami
poco per volta. Qual è il tuo orario di lavoro?”
“Non
voglio discutere di questo per telefono, Deku,” gli rispose,
schiarendosi la gola, come se avesse altro da dire. Izuku aspettò.
“Mi
puoi semplicemente... dire qualcosa su di lui?”
La
domanda mandò il cuore di Izuku in minuscoli pezzettini. Non
riusciva a credere di avere anche solo osato pensare che a Kacchan
non sarebbe importato nulla del suo stesso figlio. Realizzò che
quella era stata, probabilmente, una bugia detta a se stesso per
giustificare le sue stesse decisioni egoiste. Si sentì un macigno in
gola quando parlò.
“S-sì,
Kacchan.
Ovviamente. Che cosa vorresti sapere?”
Note
della
Traduttrice:
E
infine... Kaboom! Il capitolo si chiama Big Bang per un motivo ^^”
Grazie
come
sempre alle care persone che recensiscono.
Un abbraccio grande
grande.
|
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Capitolo 6 *** Beginning ***
Capitolo
6
– Beginning
Link:
https://archiveofourown.org/works/22111321/chapters/52942723
Quando
Katsuki raggiunse il garage del suo appartamento aveva ormai il viso
macchiato e gli occhi che bruciavano, ma asciutti, ed erano stati
nascosti dietro un paio di grossi occhiali da sole, benché il sole
fosse calato già da un pezzo e il garage fosse illuminato da una
luce fioca. Si rifiutò di auto-punirsi per aver pianto. Non era una
cosa a cui si lasciava andare spesso, ma col passare degli anni
aveva
imparato che farsi travolgere dalle emozioni -specialmente in casi
come questo- era una cosa normalissima, fintanto che, una
volta passato l'attimo, si fosse ripreso completamente. Non lo
avrebbe confessato a nessuno, ma poteva concederselo.
Fece
del suo meglio per proseguire normalmente la giornata. Preparò la
cena, diede da mangiare al suo terribile gatto solitario, e si lavò
via con una doccia i momenti vissuti quel giorno. Cercò di distrarsi
sfogliando casualmente una biografia di All Might, ma si fermò
quando realizzò di star leggendo la stessa pagina per la terza volta
e di non aver memorizzato proprio nulla. Già da un po' aveva
lanciato occhiate alla sua scarna collezione di liquori e decise
alla
fine che un bicchiere non avrebbe fatto nient'altro che alleggerire
la tensione, oltretutto il giorno dopo non avrebbe dovuto lavorare.
Si
sedette al tavolo da lavoro con un bicchiere di whisky e finì con il
digitare il nome di Deku nella barra di ricerca di FaceSpace,
scorrendo una galleria di foto di suo figlio. Erano da poco passate
le nove quando il suo cellulare squillò. L'aveva controllato
ossessivamente per tutta la sera in attesa di quel momento, perciò
lo lasciò suonare per soli tre secondi prima di rispondere.
“Hey,
Deku,”
disse. La rabbia di prima era un ricordo lontano. Adesso, si
sentiva svuotato di tutto, un guscio fatto di sangue, ossa e pelle,
vuoto.
“Hisami
è
completamente KO. Sono... sono tentato di scusarmi di nuovo, ma
credo che se andiamo avanti così, non risolveremo mai niente.”
Una
parte di Katsuki sapeva che Deku non aveva agito così per fargli del
male, ma si sentiva comunque ferito. Per quello che credeva, si
meritava una scusa da parte di Deku ogni giorno per il resto della
sua vita, doppie scuse il giorno dei suoi compleanni e durante le
vacanze, ma non importava quante volte potesse chiedergli scusa,
niente avrebbe cambiato il fatto che oltre a loro due era coinvolto
un bambino. Deku gli aveva chiesto a bruciapelo di pensare a Hisami
e, in quel momento, gli era sembrata una strategia per manipolarlo,
ma adesso che la rabbia aveva fatto spazio al pensiero razionale,
aveva concluso che non poteva prendersela con un bimbo di tre anni.
Sarebbe stato incazzato con Deku per sempre, ma rovinargli la vita
voleva dire colpire Hisami e non avrebbe fatto del male a suo
figlio.
Perciò, sarebbe stato lui la persona migliore.
“Già.”
“Pensavo
che
forse la cosa migliore da fare sarebbe di introdurti a Hisami
poco per volta. Qual è il tuo orario di lavoro?”
Katsuki
sospirò
e bevve un sorso di whisky. Rimandare quel discorso una
volta in più di quanto non avessero già fatto era un'idea stupida,
ma non aveva la forza per occuparsene ora.
“Non
voglio discutere di questo per telefono, Deku,” guardò lo schermo
del desktop un'altra volta, una foto con Hisami che faceva del suo
meglio per tenere su un cucciolo grande quanto lui, con il naso
rosso
e gocciolante per via dell'allergia, e Katsuki si sentì toccare le
corde del cuore che non aveva mai saputo di possedere. “Mi puoi
semplicemente... dire qualcosa su di lui?”
““S-sì,
Kacchan.
Ovviamente. Che cosa vorresti sapere?”
Tutto,
pensò Katsuki, prendendo un altro sorso dal bicchiere e lasciando
che il liquore pungente lo placasse.
“Quand'è
il
suo compleanno?” Katsuki non si aspettava di provare quella
punta di rabbia che emerse quando fu costretto a fare una simile
domanda sul suo stesso figlio, ma la cosa aveva senso.
“Il
due di maggio,” gli rispose. “Io... ho tante foto, se le vuoi.”
Molto
nel
profondo, il biondo apprezzò il fatto che Deku stesse
collaborando. Si domandò se Deku avesse sempre desiderato una
dinamica tra loro come quella, ma lasciò scivolare quel pensiero via
con un altro sorso di liquore. Non sarebbe riuscito a gestire anche
quei pensieri.
“Non
mi perderò più alcun compleanno,” decise, e non gli interessava
che cosa potesse dire Deku al riguardo, perciò proseguì con
un'altra domanda. “Gli piacciono gli eroi?”
“Principalmente
un
eroe. C'è un piccolo santuario per Frostfire nella sua camera.”
“Mi
prendi in giro?” Katsuki si tirò in piedi dalla sedia,
improvvisamente indignato. “Quel maledetto di Half and Half.”
Izuku
rise
a voce bassa. “Credo che abbia una granata cuscino di Ground
Zero da qualche parte lì. E mi piange il cuore, ma non gliene
potrebbe importare di meno di All Might.”
Nemmeno
Katsuki
riusciva a crederci ma, anche lui, rise. Riusciva a
immaginarsi quel nerd di Deku nel tentativo di forzare Hisami a
guardare un documentario di All Might e il piccolo mettere su un
broncio di conseguenza.
“Pare
che
sia un bambino piuttosto categorico.”
“Non
ne hai idea.”
Ma
va,
Deku. Ed è colpa tua. Katsuki stava per fare un'altra
domanda, quando Deku ritornò indietro sui suoi passi per rimediare
all'errore.
“Mi
dispiace. E' stata una cosa meschina da dire. Non intendevo in quel
senso, Kacchan.” Deku qualche volta sembrava ancora un bimbo in
grado di persuaderti con la sua dolcezza. Era sconvolgente che fosse
riuscito a tirare su qualcuno con un carattere deciso come Hisami.
“Lo
so,” replicò, sospirando. Non importava quanto lo desiderasse,
pareva proprio che non sarebbero stati in grado di evitare
l'elefante
nella stanza. “Deku, sappiamo entrambi che non è la migliore delle
situazioni e se non fosse per lui, cazzo, ti distruggerei, ma non lo
farò fintanto che potrò far parte della sua vita. Perciò,
rilassati un po'.”
“Lo
apprezzo,” disse Deku e Katsuki sapeva che stava per aggiungere
dell'altro. “Non voglio che tu ti senta obbligato, però.”
“Io
sono obbligato. E' mio figlio. La cosa non si discute. Sono
totalmente coinvolto e non sono tipo da cose fatte alla cazzo. Lo
dovresti sapere.”
“Certo,
lo
so. Cercavo solo di... non so. Sto cercando di renderti le cose il
più semplici possibili, per quanto io possa.”
“Semplice
sarebbe stato il non usarmi per fare un bambino, o il chiedermi il
permesso, oppure cazzo, chiamarmi tre anni fa quando è nato.”
“Mi
pare giusto.” Sentì un sospiro enorme all'altro capo del telefono
e fu bello sapere che Deku era teso tanto quanto lui.
“Domani
sono
libero. Possiamo incontrarci per discutere un piano?”
“Sì,
mi organizzo. Vuoi passare qui e sondare il terreno con Hisami?”
“Sondare,
huh?
Che c'è, mi odia o cosa?”
“Odiarti
è
una parola forte, ma l'hai detto tu stesso, è molto categorico.”
Katsuki
rise
a quelle parole e in parte, forse, era per colpa dell'alcol, ma
si sentì anche stranamente speranzoso all'idea di interagire con suo
figlio.
“A
che ora?”
“Mia
mamma lo terrà per un paio di ore domani, mentre ho del lavoro da
sbrigare, perciò passa per le quattro, magari? Possiamo parlare di
alcune cose, poi lui ci raggiungerà per le sei circa. Potremmo
cenare insieme?”
“Cucinerò io. Non mi fido a lasciarti la
cucina.”
“Sono
stato
in grado di sfamare nostro figlio per tre anni. Riconoscimi
almeno questo!”
Nostro
figlio. Quelle parole suonavano così maledettamente strane
pronunciate dalla bocca di Deku, ma erano vere, e Katsuki si sentì
quasi ai confini della realtà.
“Come
vuoi,”
borbottò, scostante e a disagio. “Ci vediamo domani.”
Non
attese nessuna gioiosa frase di saluto. Era stato al telefono con
Deku a sufficienza per una vita intera, e comunque lo avrebbe
rivisto
il giorno dopo ugualmente, perciò aveva bisogno di tutto il tempo
possibile per ricaricarsi. Si addormentò nell'esatto secondo in cui
la sua testa toccò il cuscino.
L'idea
era
che Izuku avrebbe sfruttato il tempo in assenza di Hisami per
svolgere qualche lavoro in casa, magari mettendo un po' in ordine
approfittando del fatto che quel piccolo tornado di suo figlio non
fosse in casa, pronto a stravolgerla da un lato all'altro come una
catastrofe naturale. Niente di tutto ciò avvenne. La notte
precedente Izuku non era riuscito a riposare dopo aver concluso la
telefonata. Aveva sonnecchiato forse per tre ore dopo essere
crollato, piegato sopra la scrivania, fino a quando Hisami non si
era
svegliato più o meno verso le cinque del mattino. Passò il
pomeriggio collezionando ogni foto che aveva scattato Hisami nel
corso di quei tre anni. Ogni ricordo, ogni piccolo video che
racchiudeva momenti di una certa importanza. Trovò l'album su Hisami
che sua mamma aveva costruito, e una copia del suo certificato di
nascita, una decorazione da il mio primo Natale e quel
famoso
cuscino di Ground Zero. Stilò una lista spropositatamente lunga di
tutte quelle piccole cose che ricordava piacessero e non piacessero
a
suo figlio, di informazioni rivelanti come le sue allergie e i
numeri
d'emergenza e opuscoli di tutte le scuole materne che aveva
cominciato a valutare per l'anno successivo.
Dando
un'occhiata
alla montagna di fogli e foto, mentre attendeva l'arrivo
di Kacchan, realizzò che, molto probabilmente, il solo vedere
quell'ammontare di informazioni sarebbe stato travolgente.
“Cazzo,”
sibilò,
grato che suo figlio non fosse in giro a sentirlo imprecare.
Giusto quando si stava preparando a nascondere le prove di una
nevrosi da notte insonne, il citofono suonò.
Gli
aprì il portone, saltellando ansiosamente per tutto l'appartamento
in attesa che gli bussasse alla porta di casa.
Com'era
prevedibile,
successe più presto di quanto gli sarebbe piaciuto.
“Ciao,”
lo
salutò, cercando di identificare lo stato d'animo di Kacchan da
quanto erano assottigliati i suoi occhi. “Entra pure.”
Kacchan
annuì,
le mani infilate nella tasca frontale della felpa che
indossava. Scandagliò l'appartamento con occhio critico e Izuku
desiderò penosamente di aver speso un po' di tempo a pulire.
“Questo
posto
è un disastro.”
“Già.
Avrei
dato una pulita, ma...” Izuku tentennò, incerto se accennare
all'argomento riguardante il compendio su Hisami che troneggiava sul
tavolo da pranzo.
“Ma...”
lo
incitò Katsuki, inarcando le sopracciglia spazientito.
“Ho
raccolto un po' di cose, se le vuoi. Sono su Hisami.” e puntò lo
sguardo verso l'incriminante montagna di documenti sul tavolo.
“Cristo,
Deku.
Hai perlomeno dormito ieri sera?” Kacchan camminò in
direzione della pila e prese un plico dalla cima. Aveva un titolo e
tutto il resto.
No.
Troppi
sensi di colpa.
“Un
po'. Hisami però è un tipo mattiniero.”
Kacchan
fece
uno hmm con la gola, intanto che sfogliava documenti e
foto.
“Vuoi
del
the?”
“Voglio
sistemare
questa cazzo di faccenda.”
“Giusto.
Anche
io. Ti va di sederci?”
“Come
ti
pare,” disse, e si gettò giù sul divano. Poi, tirò via una
inaspettata action figure di Frostfire da sotto il sedere,
guardandola con una smorfia.
“Mi
dispiace. Nasconde sempre delle cose in quel modo quando gli chiedo
di mettere in ordine. Lo fa sentire come se l'avesse fatta franca.”
“Piccola
merdina
dispettosa. Deve essere un lascito dei miei geni,” disse,
sorridendo beffardo. Izuku dimenticò, giusto per un attimo, che
Kacchan lo odiasse proprio in merito a quello. Gli rivolse un
piccolo
sorriso d'incoraggiamento.
“Cosa
cazzo
mi sorridi in quel modo. Sono a cinque secondi dal farti
scoppiare una bomba nucleare in casa.”
“Comprensibile.
Scusami.”
“Allora,
qual
è il piano? Lo conosci meglio di me. Darebbe di matto se gli
dicessi che è mio figlio?” Kacchan lanciò via l'action figure.
“Ehm,
questo
ti farà incazzare, ma non penso che sia una buona idea
dirglielo da subito.”
Kacchan
lo
guardò con occhi spenti ma arrabbiati, tuttavia restò in
silenzio, presumibilmente per permettere a Izuku di spiegarsi.
“Ha
tre anni. Non riuscirà a comprendere tutta questa merda di
situazione e le sfumature dei fatti -si chiederà dove sei stato.”
“Allora
tu
gli potrai rispondere perché non sono stato presente.”
“No,
non posso. Non ti conosce bene abbastanza, e lo so che è
colpa mia, ma devi dargli tempo perché si abitui a te,” confessò
Izuku, sentendosi la nuca velata di sudore e nauseato per via dei
sensi di colpa. “Anche tu hai bisogno di tempo per abituarti a lui.
Non ho dubbi che riuscirai a farlo, e Hisami ne trarrà tutti i
benefici, ma fare il padre è dura.”
“Non
trattarmi con condiscendenza, Deku” ringhiò il biondo. Izuku si
diede mentalmente una pacca sulle spalle per non essere
indietreggiato a quel suono minaccioso.
“Non
lo faccio. Sto cercando di dare una mano.”
“Non
ho bisogno del tuo cazzo di aiuto, Deku! Tutto quello che tocchi
diventa merda. Io...” Stava tremando, le mani serrate in pugni
contro le gambe. “Quanto cazzo ti odio.”
Izuku
mandò
giù il groppo che aveva in gola. Andava bene così. Era
normale, e anche se quello non era il solito modo in cui le loro
conversazioni erano solite andare, sapeva di meritarselo. Prese un
lungo respiro e procedette.
“Vado
a
preparare del the.” Si tirò su e camminò verso la cucina,
cercando con mani tremanti le tazze e mettendo sul fuoco il
bollitore. Izuku poteva reggere quella situazione, ma era sempre
stato uno dalla lacrima facile, e patetiche goccioline cominciarono
a
sgorgare dagli angoli dei suoi occhi. Tra dieci secondi, comunque,
si
sarebbe asciugato il viso, e sarebbe stato meglio.
“Non
lo avrei dovuto dire.”
Izuku
fece
un salto al sentire la sua voce così vicina, strofinandosi
velocemente il volto.
“E'
tutto okay. Non m'importa che mi odi. Lo capisco. So di aver detto
che devono esserci delle restrizioni, ma non l'ho detto per
impedirgli di conoscerti. E' per essere sicuri che tutto vada il più
liscio possibile. Non sto cercando di litigare con te. Cerco di fare
quello che è meglio per nostro figlio.”
Kacchan
sembrò
un po' colto alla sprovvista da quelle parole, come se le
dovesse lentamente processare.
“Lo
so. Sono furioso, ma mi fido del tuo giudizio. Nemmeno io voglio
litigare con te,” gli disse, guardandosi le scarpe, per poi roteare
gli occhi, le labbra pronte a piegarsi in un piccolo ghigno. “Non
così tanto, ad ogni modo.”
Izuku
annuì,
grato che la teiera avesse cominciato a fischiare, dandogli
così un motivo per non rispondere. Si occupò versando il the e
Kacchan portò con sé la propria tazza tornando al divano.
“Perciò,
non
glielo diremo ancora. Voglio farlo, però, prima o poi. Pensi che
dovrei semplicemente restare per la cena qualche volta alla
settimana?”
Izuku
annuì,
sentendo un calore nel petto nel notare come Kacchan stesse
chiaramente cercando di mettere da parte i loro dissapori per
discutere della faccenda.
“Penso
che
sia meglio continuare a incontrarci qui per un po'. E' dove si
sente più a suo agio. Possiamo riflettere su come arrivare alle
uscite insieme. Se tutto va bene, potrebbe magari passare un po' di
tempo con te mentre sono al lavoro, anziché farlo controllare da mia
mamma- qualunque cosa ti vada bene e si incastri meglio con il tuo
orario.
“Che
cosa diremo alla gente?”
“Credo
che
dovremmo evitare di dirlo ai nostri genitori prima che lo sappia
Hisami. Lascio che sia tu a decidere che cosa dire ai tuoi amici o
alla tua agenzia, ma vorrei tenere Hisami il più lontano possibile
dai riflettori puntati su di te, per il momento.”
Kacchan
annuì,
tenendo conto molto probabilmente della sua fama e a tutti i
pericoli che derivavano da essa.
“Terrò
il
segreto. Non c'è motivo di complicare le cose più di quanto non
lo siano già.”
“C'è
nient'altro di cui vorresti parlare? E' andato, uh, decisamente
tutto
più liscio del previsto.”
Katsuki
rise
fragorosamente e passò una mano giù per il viso. Lanciò uno
sguardo al mucchio di foto e documenti che Izuku aveva raccolto la
sera prima.
“Pare
che
dovrò mettermi a studiare.”
Trascorsero
l'ora
seguente rivivendo anni passati attraverso le foto. Izuku gli
raccontò i punti salienti e tutti i fatti buffi che ricordava.
Katsuki fece una smorfia guardando la foto dove Hisami era appena
nato.
“Sembra
una
patata marcia.”
“Tutti
i
bimbi hanno quell'aspetto appena nati! Ci vogliono alcuni giorni
perché diventino più teneri. Ecco, questa è più bella, di una
settimana dopo.”
“Posso
tenerle?”
chiese Kacchan, con aria insolitamente dolce.
“Sì,
tutte quelle che vuoi. Ho doppioni di tutto.”
Il
citofono suonò e Izuku si alzò per aprire a sua madre e Hisami.
“Sai,
dopo
aver visto il tuo ufficio, mi aspettavo un appartamento più
elegante,” disse Kacchan, squadrando il citofono, pensando
probabilmente al fatto che quel palazzo non avesse nemmeno un
ascensore. Izuku fece spallucce.
“Tutti
i
miei soldi finiscono nei fondi per la scuola di Hisami. Al momento,
le opzioni sono eroe, astronauta o pediatra -in ogni caso, sarà un
futuro costoso.”
“Posso
dare
una mano con quello. Ho così tanti soldi che mi escono dalle
orecchie,” rispose Kacchan, spulciando ancora tra le foto di
Hisami.
“Arriviamo
alla
fine di questa giornata, prima.”
Come
rispondendo a quelle parole, delle piccole mani bussarono alla
porta,
accompagnate dal silenzio dall'altra parte dell'uscio.
Note
della
Traduttrice:
Ho
deciso di regalarvi in anticipo il capitolo, un po' più lungo degli
altri ! Anche per non lasciarvi troppo in ansia visto il cliffhanger
del precedente.
Un
caldo abbraccio virtuale. (❁≧ω≦)♡
|
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Capitolo 7 *** Turning Point ***
Capitolo
7
– Turning Point
Link:
https://archiveofourown.org/works/22111321/chapters/52973965
Nell'istante
in
cui Hisami si fiondò oltre la porta, Katsuki capì perfettamente
perché l'appartamento fosse un disastro. Entrò saltando,
strillando, lanciando scarpe e giacca ovunque gli capitasse, un
piccolo tornado di urla e arti che si dimenavano. Katsuki restò
seduto sul divano ad osservare la scena, domandandosi come
avrebbe fatto a gestirlo per conto suo. Fu investito da una strana
ondata di terrore all'idea di rendersi responsabile di Hisami. E se
avesse mandato tutto a puttane? E se Hisami lo avesse odiato senza
una buona ragione?
“Papà,
la
nonna mi ha portato allo zoo. Sono riuscito a vedere un cucciolo
di pinguino ed è ancora più cucciolo di me!”. Fece una rincorsa
prima di saltare tra le braccia di Deku. Suo padre lo afferrò e lo
tirò su al petto, come se fosse stata una abitudine di tutti i
giorni. Probabilmente era così. Katsuki sentì la gelosia
attorcigliarli lo stomaco. Hisami lo avrebbe mai guardato nello
stesso modo? Si sarebbe mai fidato di lui abbastanza da fare un
salto
tra le sue braccia?
Inko
restò sull'uscio, con ancora le scarpe ai piedi e un sacchetto tra
le mani. Incrociò gli occhi con il biondo e, sebbene gli parve un
po' diffidente, gli fece cordialmente un cenno col capo. Si alzò per
darle un abbraccio e prenderle il sacchetto dalle mani, dato che era
piuttosto evidente che non sarebbe rimasta.
“Ciao,
zia.
Com'è andata allo zoo?”
“Hisami
ha
pianto tre volte, una in meno di quanto pensassi, perciò è stata
una bella giornata nel complesso.” Accettò prontamente l'abbraccio
e gli accarezzò la guancia, nello stesso modo in cui faceva quando
era un bimbo di tre anni come Hisami.
“Per
quale motivo ha pianto?”
“Perché
gli
animali erano troppo dolci.” Faceva male guardare troppo a
lungo il suo sorriso così amorevole. Katsuki rimarcò il concetto,
ma non con cattiveria.
“Tale
padre,
tale figlio, direi.”
“Sono
felice
che stiate cercando di risolvere le vostre divergenze. So che
significa tanto per Izuku. Non permettere a Hisami di darti del filo
da torcere -è molto protettivo col suo papà.”
Katsuki
non
seppe cosa rispondere, perciò resto in silenzio. Si sforzò
semplicemente di mostrarle goffamente un sorriso.
“Ora
vado, caro. Ci rivediamo Lunedì.”
“Grazie,
mamma.
Ti voglio bene. Dì ciao alla nonna.”
“Ti
voglio più bene io nonna! Più che al cucciolo di pinguino!”
proclamò allegramente Hisami, con la testolina riccia mezza nascosta
contro il collo di Deku. Inko salutò tutti calorosamente e diede una
pacca alla spalla di Katsuki prima di andarsene. Hisami stava
farfugliando a bassa voce qualcosa nell'orecchio di Deku, il biondo
riuscì soltanto a captare un terzo di tutto il discorso. Katsuki
sbirciò all'interno del sacchetto regalo e ci trovò il peluche di
un pinguino.
“Ecco,
tieni.”
Passò il peluche a Hisami, che come prima cosa se lo
strinse forte al petto.
“Che
cosa si dice, tesoro?” parlò dolcemente Deku, spostando gli occhi
da Katsuki a Hisami.
“Grazie,
signor
Spavento.”
Il
sorriso di Deku si spense, di colpo insicuro della reazione di
Katsuki al risentire quel soprannome. Il biondo fece del suo meglio
per stamparsi in faccia un bel sorriso, ma non era sicuro che stesse
funzionando -non sentiva di star facendo una smorfia, ma neanche
tanto un ghigno.
“Il
mio nome è Katsuki,” parlò, cercando di usare un tono pacato, ma
riuscì solamente a suonare burbero.
“Il
mio papà dice Kacchan,” rispose Hisami, accarezzando la guancia di
Katsuki. Aveva le mani probabilmente sporche, ma calde.
“Puoi
chiamarmi
Kacchan, allora,” disse, riluttante.
“Signor
Spavento
Kacchan.”
Deku
soffocò una risata contro la spalla di Hisami mentre il bambino lo
guardava con un calmo sguardo di sfida.
“Kacchan
cucinerà
per noi. Sei affamato?”
“Voglio
piccante,”
disse con gioia.
“Allora
ti
preparerò qualcosa di piccante, piccoletto. Vuoi darmi una mano?”
Katsuki mostrò i palmi delle mani, pronto ad accogliere il bambino
di tre anni, nel caso avesse accettato. Deku sorrise incoraggiante
ad
entrambi, come a segnalare che fosse la mossa giusta da fare. Hisami
guardò verso suo padre per chiedere il permesso prima di allungarsi
verso Katsuki. L'eroe sentì un certo tepore quando sistemò suo
figlio contro il fianco e il suo cuore balzò fino alla testa da
quanto era nervoso, disorientato e giusto un poco felice.
“Ti
aiuto, ma non posso toccare i fornelli perché sono piccolo,
così ha detto papà,” disse Hisami, per poi punzecchiare il naso
di Katsuki senza un apparente motivo, sottolineandolo con un piccolo
boop. Deku si avvicinò a Katsuki per sussurrargli
nell'orecchio distante dalla testa di Hisami.
“Starai
bene
se vado a farmi una doccia?”
Katsuki
annuì
silenziosamente, issando Hisami più in alto sul fianco mentre
lo stesso si dimenava di qua e di là.
“Va
bene. Niente coltelli.”
“Cristo,
Deku.
Non faccio così tanto schifo con i bambini,” replicò
in cagnesco. Anche se fosse stato così stupido, immaginare Hisami
con un coltello era un pensiero anche troppo disturbante da fare.
Deku ridacchiò e andò verso la porta chiusa in fondo al corridoio.
Nell'istante in cui il ragazzo chiuse la porta dietro di sé, Hisami
cambiò radicalmente d'atteggiamento. Piantò un ditino nello sterno
di Katsuki, imbronciato.
“Spauroso.”
“Le
cose stanno così allora, huh?” Ma non riuscì proprio ad evitarlo
e rise. Suo figlio era proprio un piccolo stronzetto, ma sapeva che
comportarsi in quel modo di fronte a Deku lo avrebbe messo nei guai.
“Faremo
a
pugni” esordì, del tutto serio. Katsuki sistemò Hisami sul
bancone -il più lontano possibile dai fornelli- e rise di nuovo,
questa volta, senza trattenersi tanto. Stava cominciando a
rilassarsi
perché -anche se Hisami lo stava minacciando- perlomeno stavano
parlando.
“Sei
fortunato ad essere tenero, piccoletto.”
“Io
non sono piccoletto, sono Hisami!” e colpì con il piccolo
palmo della mano il bancone, evidentemente arrabbiato. Katsuki
ignorò
quella reazione e setacciò la cucina alla ricerca degli utensili.
“Beh,
io
non sono spauroso, sono un eroe.” Trovò una pentola e un
tagliere. Cominciò a tagliare le verdure. Hisami osservava, la bocca
piegata in un broncio.
“Sì,
ma Frostfire è più bravo.”
“Sto
più in alto di lui secondo le classifiche.” Versò le verdure
tagliuzzate nella pentola, aggiungendoci quella merda di curry in
pasta comprato al supermercato. Non riusciva a credere che Deku
nutrisse suo figlio con quella roba scadente. Hisami non sarebbe
stato in grado di riconoscere quello che c'era nel piatto, una volta
che avesse terminato di migliorarlo.
“Lui
ha due Quirk!”
“Io
posso volare,” disse, prima di indicare le spezie che aveva
disposto sul bancone. “Passami quelle.”
“Non ha bisogno
di volare lui! Scivola sul ghiaccio!” Hisami gli passò le spezie
lentamente, osservando quelle cose rosse e gialle come se non le
avesse mai viste prima. Decise di lasciar definitivamente cadere il
discorso Frostfire.
“Sai
come lavare il riso?” Gli mise davanti un setaccio pieno di riso e
Hisami lo raccolse. Prima di voltarsi verso il lavandino, fece un
sorrisetto a Katsuki.
“Vinco
io.
Frostfire è più bravo,” gli disse, tirando fuori la lingua.
Si voltò e aprì il rubinetto. Con orrore di Katsuki, mise i piedi
nel lavello mentre scuoteva il riso sotto il getto d'acqua.
“Oi,
non ti mettere a nuotare lì dentro,” lo ammonì, anche se lo trovò
così dannatamente dolce da tirare fuori dalla tasca il cellulare,
per scattare segretamente una foto. Hisami ridacchiò e scalciò
sotto l'acqua corrente, facendo un disastro.
“Deku
ti
ha mai insegnato un po' di disciplina?” Prese il setaccio dalle
mani bagnate di Hisami e versò il contenuto nel cuoci-riso.
“Non
serve! Io sono un angelo.”
“Finora
non
ho visto prove che lo confermino. Vieni fuori dal lavandino e
assaggia. Dimmi se è abbastanza piccante per te.”
Hisami
leccò
il mestolo in legno nella mano di Katsuki senza preoccuparsi
per i germi. Del curry gli scivolò giù per il mento e, nel
tentativo di portarselo tutto in bocca, si macchiò la faccia intera.
Se doveva prendere come metro di riferimento il modo in cui gli rubò
dalla mano il mestolo per leccare via ogni traccia di curry, allora
Katsuki concluse che gli piaceva.
“Buono?”
“Sì...”
mormorò
riluttante, mettendo su un piccolo broncio. Katsuki rise e pulì il
viso di suo figlio con un panno umido, benché il bambino lo
spingesse via ad ogni tentativo. Deku riemerse, tamponando i capelli
umidi, con addosso una larga camicia bianca e dei pantaloni del
pigiama di Frostfire. Katsuki storse il naso osservandoli. Hisami si
allungò verso Deku non appena si trovò vicino abbastanza per
prenderlo in braccio.
“Come
va
con la cena? Aspetta, perché sei bagnato?”
“Il
signor Kacchan mi ha lasciato nuotare nel lavandino. Adesso, non ho
più bisogno del bagno!”
“Oi,
non l'ho per niente fatto. Tuo figlio è un incubo,”
brontolò Katsuki, mescolando un'ultima volta nella pentola prima di
metterla a bollire.
“Farai
comunque
un bagno, tesoro. Posso aiutare in qualche modo?”
“Nah,
deve
soltanto cuocere per un po'.”
Deku
annuì e mise a terra Hisami. Il bambino scattò via per andare a
sedersi sul divano e tirare fuori giocattoli nascosti tra i cuscini,
per poterli introdurre al suo nuovo pinguino.
“Come
sta
andando?”
“Lui
è tremendo e mi odia, ma fa comunque tenerezza. Gli piace come
cucino.”
“Buono
a
sapersi. Come ti fa sentire tutto questo?” Deku aveva
un'espressione così sofferente e incerta nel fare quella domanda,
come se fosse stato conscio di aver gettato Katsuki nella tana del
lupo.
“Va
bene così, Deku. Ce la posso fare.”
“Okay,
Kacchan.
Davvero, fammi sapere cosa hai bisogno che io faccia per
rendere tutto più semplice.”
Katsuki
ci
pensò su per qualche secondo, lanciando qualche occhiata a Hisami
dall'altra parte della stanza. L'eroe non chiedeva spesso aiuto, ma
se questa cosa doveva funzionare, allora doveva essere in grado di
conversare liberamente con Deku.
“Come
posso
fare a piacergli?” Sputò fuori quelle parole prima che si
sentisse troppo strano per averle pensate. Deku gli sorrise con fare
cospiratorio.
“Corrompilo.
Spudoratamente,”
gli disse, senza la minima traccia di pentimento
nella voce. Katsuki rise fragorosamente a sentirlo dire così, per
poi andare a sedersi con suo figlio. Prima della cena, aveva fatto
le
presentazioni con tutte le ventisette action figures di Frostfire.
Quando
la
serata terminò, Hisami abbracciò con riluttanza la gamba di
Katsuki prima che questi se ne andasse, sussurrando, “Grazie per il
curry magico.”
Katsuki
si
sentì così stupidamente felice che sorrise per tutta la strada
del ritorno.
“Oi!
Half and Half,” urlò Katsuki dall'altro lato dell'agenzia.
Todoroki lo guardò con il suo solito sguardo spento.
“Cosa
c'è?”
gli chiese con tono piatto. Katsuki lo tirò su, in piedi
accanto a lui e sollevò il cellulare per scattare un selfie.
“Fai
come se non ci odiassimo a vicenda,” bofonchiò, dopodiché mostrò
alla fotocamera il suo sorriso più smagliante. Riuscì a vedere
l'espressione stoica di Todoroki tramutarsi in una di confuso
terrore.
“Ma
che diavolo...?”
“Fai
un cazzo di sorriso! E' per un fan.”
Todoroki
lo
assecondò suo malgrado e Katsuki scattò un po' di foto, prima di
riuscire ad avere qualcosa sufficientemente passabile per Hisami.
“Adesso,
firma
questo,” e gli spinse al petto una penna e uno dei quaderni
di Hisami.
“Hai
battuto la testa?” chiese Todoroki, con un che di sincera
preoccupazione nella voce. Katsuki roteò gli occhi.
“No.
Firma quella dannata cosa e basta. E' per un bambino.”
“Con
quale bambino sei mai stato così gentile? C'è qualcosa di
sospetto.”
“Non
vedo come questi siano affari tuoi.” Katsuki non aveva ancora detto
a nessuno di Hisami -nemmeno a Kirishima o Ashido. A dire il vero,
gli ultimi due li stava evitando perché non voleva mentire loro sul
come stesse passando il suo tempo, non era ancora pronto a vuotare
il
sacco.
Erano
passate
davvero poche settimane dalla cena. Ancora non piaceva ad
Hisami, ma il piccolo andava sciogliendosi sempre un po' di più ogni
sera che passava mangiando ciò che gli cucinava e giocando insieme
al lui agli eroi. Aveva già collezionato otto cene e ogni volta era
sempre più difficile andarsene. Li salutava sempre intorno alle
otto, prima che dessero inizio alla loro routine pre-bagno e
pre-nanna. Quella sera avrebbe dovuto dare una mano con tutto
quello,
perciò aveva intenzione di accattivarsi Hisami abbastanza perché
tollerasse la sua presenza in casa.
“Non
firmo se non mi spieghi,” disse Todoroki, incrociando le braccia.
“Voglio dire, non mi sembra che tu debba nascondere un chissà
quale figlio segreto o cose simili.”
Katsuki
riuscì
a malapena a non sobbalzare ascoltando quelle parole.
Allontanò lo sguardo, accaldato e agitato.
“E'
per un amico di famiglia. Firma... firma questo cazzo di quaderno e
basta. Per favore?” Non gli piaceva mentire riguardo a suo figlio,
ma Todoroki era davvero l'ultima persona con la quale si sarebbe
aperto. Todoroki assottigliò gli occhi, ma tolse il tappo alla penna
e firmò. Nell'istante in cui la penna finì di imprimere
l'inchiostro tirò via il quaderno e corse fuori dall'agenzia. Aveva
ancora un'ora prima di dover andare da Deku – tempo in abbondanza
per poter far stampare una foto e farla incorniciare.
“Prego,
Bakugou.”
“Sì,
sì, come ti pare. Grazie, Half and Half.”
La
foto e l'autografo furono un successo. Quando li ricevette, Hisami
fece finta di svenire, proprio come al ristorante. Katsuki si sentì
così sollevato dall'essere sul punto di piangere, quando Hisami si
tirò su da solo dal pavimento per abbracciarlo attorno al collo. Fu
il contatto fisico più spontaneo che avessero mai avuto -decisamente
un passo avanti. Deku sorrise calorosamente ad entrambi e Katsuki
riuscì a vedere che aveva gli occhi lucidi per un principio di
lacrime. Era confortante sapere che Deku supportasse tutto quello.
Non parlavano di molto altro se non Hisami, continuavano ad esserci
regolari battibecchi e un sacco di urla da parte di Katsuki, ma...
non era male. Il loro accordo stava funzionando tanto quanto ci si
poteva aspettare.
“Stasera
mi
aiuterai a preparare la cena?”
Hisami
annuì
mestamente, ancora tra le braccia di Katsuki, e i suoi
riccioli gli sfiorarono la guancia. Katsuki gli arruffò, per poi
dare inizio alla preparazione del katsudon piccante. L' “aiuto”
di Hisami consisteva per lo più nello stare seduto sul bancone e
intralciarlo, ma gli faceva anche dei versetti teneri, gli
farfugliava cose e battibeccavano , e Katsuki avrebbe mentito nel
dire che quella non era la cosa più bella che gli fosse capitata
nella settimana. Deku sgattaiolava sempre via quando i due si
mettevano a cucinare, perciò il biondo aveva la totale attenzione di
Hisami per sé. Non sapeva cosa andasse a fare di preciso -in verità,
non era mai arrivato a percorrere il corridoio fino alle loro
camere-, ma apprezzava che fosse disposto a stare in disparte.
“Riesci
a
rompere un uovo senza fare danni?”
“Duh,”
ribatté
sulla difensiva. Katsuki gli mise davanti una ciotola e tre
uova.
“Ci
crederò quando lo vedrò,” gli disse, sfidandolo. Hisami non si
tirava mai indietro. Nonostante non fosse cresciuto con lui, avevano
una quantità allarmante di tratti in comune. Hisami ruppe le uova
con attenzione, con un'espressione concentrata e quasi sofferente in
volto, le sopracciglia corrugate e la lingua che spuntava tra le
labbra chiuse.
Riuscì
a
romperle tutte creando davvero il minimo disordine, Katsuki dovette
infatti tirare fuori un solo pezzo di guscio dalla ciotola.
“Ottimo
lavoro,
Bubba,”
gli
disse, lasciandosi scappare sovrappensiero il nomignolo che suo
padre usava con lui a tre anni.
“Che
cos'è un Bubba?”
“Sei
tu. A meno che non ti piaccia.”
Hisami
parve
in imbarazzo per un attimo, mentre ripeteva la parola nella
testa. Un sorriso distese quelle guance coperte di lentiggini.
“Puoi
chiamarmi
Bubba, credo,” mormorò, chiaramente emozionato.
Il cuore di Katsuki era così carico da essere pronto a detonare.
Cenarono
con
lo stesso trambusto che c'era di solito. Hisami si stancò di
dover stare seduto con loro e alla fine scorrazzò via per andare a
scarabocchiare sul suo quaderno.
“Bubba,
huh?
Non ti chiamava così tuo padre?”
Katsuki
annuì,
improvvisamente imbarazzato per un qualche motivo.
“E'
tenero. Gli si addice. Sono contento che si stia abituando a te,”
gli disse Deku, con la sincerità che lo contraddistingueva sempre.
“Pensi di potertela cavare da solo con il bagno, mentre io mi
occupo dei piatti?”
Katsuki
esitò.
Non aveva immaginato di doversene occupare in solitaria. Non
aveva la più pallida idea di come procedere. Evidentemente Deku
riuscì a leggere l'apprensione nei suoi occhi.
“Andrà
bene.
Fa tutto per conto suo. Stai solo attento che non affoghi.”
“Oh,
okay. Sì, posso gestirmela.” e annuì con decisione.
“Tesoro,
preparati
per il tuo bagnetto. Kacchan ti aiuterà mentre io pulisco
qui, d'accordo?”
Hisami
piagnucolò
in risposta, ma andò comunque in camera sua con Deku per
prendere il pigiama, mentre Katsuki faceva scorrere l'acqua per la
vasca. Ricomparve pochi minuti dopo indossando un accappatoio di
spugna blu, seguito da un Deku con le spalle tremolanti.
“Sono
pronto,”
disse con fare altezzoso il bambino, per poi far cadere a
terra l'accappatoio e svelare dei pantaloncini da bagno di
Frostfire.
Katsuki storse il naso e guardò Deku. Ma che cazzo? mimò con
la bocca. Deku, ancora impegnato a non scoppiare a ridere, sussurrò
nell'orecchio di Katsuki.
“Dice
che
non vuole che tu gli veda il pistolino.”
Katsuki
rise
sguaiatamente. Hisami aveva decisamente una propensione alla
drammaticità, ma scoprì anche che era un po' timido. Roteò gli
occhi al cielo e mostrò a Deku due pollici in su, mentre questi
andava a lavare i piatti.
Dopo
tre mesi, Katsuki ammise finalmente a se stesso che avrebbe fatto
qualsiasi cosa per Hisami. Era distratto al lavoro, in palestra,
persino a casa. Ogni volta che non stava con Hisami il suo pensiero
andava a lui, si domandava cosa stesse facendo, se stesse facendo i
capricci, se gli mancasse -come succedeva a lui. Katsuki aveva
dovuto
accettare qualche turno extra durante la settimana, perciò non
vedeva Hisami da otto giorni. Nel grande schema delle cose, otto
giorni erano una sciocchezza. Non si sarebbe dovuto sentire così non
al
passo con i tempi dopo solo otto giorni, ma eccolo lì. Aveva
questa paura irrazionale che Hisami si potesse dimenticare di lui.
In
giro di pattuglia, entrò in un vicolo e tirò fuori il telefono,
incapace di concentrarsi su qualsiasi altra cosa. Chiamò Deku.
“Hey,
Kacchan.
Come va?”
“E'...”
fece
una pausa e sospirò, conscio di quanto debole lo
avrebbero fatto sembrare le successive parole. “E' normale che mi
senta come se stessi per morire, perché non lo vedo da un po' di
tempo?”
Ci
fu una lunga pausa all'altro capo del telefono prima che Deku
parlasse. Pareva avesse un leggerissimo nodo alla gola.
“Sì.
Mia mamma mi manda delle foto durante tutto il giorno. Te le
inoltro.”
“Grazie,
Deku.”
“Ma
figurati. Gli sei mancato anche tu, tra parentesi. Gli vuoi
parlare?”
“E'
lì con te adesso?”
“Sì,
dammi un secondo.” Ci fu del movimento dall'altra parte della
linea. Se tendeva bene l'orecchio, Katsuki riusciva a sentire
qualche
piccolo stralcio di conversazione.
“Signor
Kacchan!
Dove sei stato, signor. Tonto?” dalla voce Hisami sembrava
essere agitato, eccitato e rattristato tanto quanto lo era stato
Katsuki, e in un certo modo questo valeva come una conferma. Gli
occhi del biondo bruciarono.
“Hey,
Bubba.
Ho lavorato tanto. Tu... mi manchi.”
Katsuki
si
strofinò gli occhi, sporcandosi il braccio con del grasso. Non
avrebbe dovuto telefonare quando era in servizio, ma non riusciva a
forzarsi di buttare giù il telefono.
“Manchi,”
mormorò
il piccolo e Katsuki lo conosceva abbastanza bene da sapere
che probabilmente stava tenendo il broncio, seccato di mostrare
quanto gli stesse a cuore -proprio come Katsuki alla sua età.
“Quando tornerai?”
“Molto
presto.
Lo prometto.”
Note
della
Traduttrice:
Due
capitoli in una settimana? Ebbene sì (*˘︶˘*).。.:*♡
Essendomi
portata
molto avanti con la traduzione, non vedo perché no.
Cari
saluti a tutti <3
|
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Capitolo 8 *** Fruition ***
Capitolo
8
– Fruition
Link
: https://archiveofourown.org/works/22111321/chapters/53004685
Era
noto a tutti che Ground Zero fosse uno stacanovista. Era famoso per
essere un tipo tosto che non rifiutava mai un turno di lavoro. Era
conosciuto per essere l'eterno single e quello con una quasi
inesistente vita sociale. Perciò, quando c'era un picco del crimine
nella sua città, finiva sempre per avere doppi turni. Era una cosa
che non gli aveva mai dato fastidio prima. Non aveva mai avuto
motivo
per detestarla.
Il
nono giorno senza alcun contatto con Hisami fu leggermente più
vivibile. Proprio come aveva promesso, Deku cominciò a inviargli
foto di Hisami. Katsuki controllava ossessivamente il suo cellulare
ogni volta che riusciva a trovare un momento di pausa durante la
ronda. La maggior parte delle foto erano di momenti quotidiani
-Hisami che non faceva altro che scribacchiare sui suoi quaderni,
che
giocava con le sue action figures, o che faceva un pastrocchio con
il
suo pranzo. Un giorno qualunque, in ogni senso, ma ognuno di quegli
scatti gli andava dritto al cuore, e dritto tra le sue foto
preferite. Le ammirò per bene, poi infilò di nuovo il telefono
nella tasca e fece dietro front verso la sua agenzia, dove lo
aspettava un altro turno di notte sommerso da pile di scartoffie.
Verso
le
sei, Deku gli scrisse di nuovo.
Deku:
se hai tempo questa sera, so che a Hisami piacerebbe molto se lo
chiamassi prima di andare a dormire.
Katsuki:
troverò il tempo.
Passò
un
minuto intero senza ricevere risposta, ma ne valse la pena. Deku
gli inviò una foto di un Hisami raggiante che brandiva una action
figure di Ground Zero, con un sorriso che andava da un orecchio
all'altro. In didascalia, il messaggio gli ho appena detto che
lo
chiamerai. Katsuki non perse tempo e impostò quella foto come
sfondo del telefono. Passarono altre due ore di meticoloso lavoro
d'ufficio e archiviazione, prima che Deku lo chiamasse. Fece un
saltò
quando partì la suoneria e si girò a guardare le persone trafficare
intorno. Kirishima era lì da qualche parte, non avrebbe rischiato
che origliasse la conversazione -era un inguaribile ficcanaso.
Perciò, Katsuki fece quello che chiunque avrebbe fatto: corse a
chiudersi a chiave dentro un ripostiglio e si mise seduto a gambe
incrociate nel buio totale.
“Pronto?”
“Signor
Spavento
Kacchan, sono Hisami!”
“Perciò
sono
di nuovo spaventoso, huh?” Katsuki stava sorridendo così
tanto da farsi male alle guance. Era stata una buona mossa quella di
nascondersi nel ripostiglio.
“Perché
non
mi visiti mai!” piagnucolò Hisami e l'eroe si immaginò
nitidamente il suo tipico broncio.
“Lo
so. Sto cercando un modo per venire a vederti. Ci divertiremo
tantissimo. Che cosa hai fatto oggi?”
“Ho
guardato gli show della nonna. Oh! Ho una nuova action figure.”
“Un
altro Frostfire?” gli domandò Katsuki come se fosse all'oscuro di
tutto, auto-compiacendosi silenziosamente nel buio.
“No.
Frostifre aveva bisogno di un amico che lo aiutasse con i villain,
perciò ho preso Ground Zero. L'ho scelto io ed è il più forte,”
gli disse pieno d'emozione.
“E'
il tuo preferito?” Katsuki non riuscì a non andare a caccia di
complimenti.
“Forse,”
borbottò
Hisami, recalcitrante. “Possiamo giocare agli eroi
domani?”
Quella
punta
di speranza nella sua voce mandò in frantumi il cuore di
Katsuki. Per domani avrebbe dovuto fare un doppio turno al lavoro,
ma...
“Certo.
Dormi
tanto stasera e domani ci vedremo.”
“Buonanotte,
signor
Spavento.”
“Buonanotte,
Bubba,”
gli rispose Katsuki e preso da un attacco di affetto
paterno, aggiunse, “Ti voglio bene.”
Lo
disse un secondo troppo tardi, quando ormai il telefono era passato
di nuovo in mano a Deku. Se aveva sentito quello che aveva detto,
l'altro non lo commentò. Katsuki gliene fu grato. Restò in attesa,
ascoltando dei buonanotte e ti voglio bene
sussurrati,
desiderando essere lì -sperando che Hisami sapesse quanto fosse
importante per lui. Katsuki sentì una porta chiudersi e poi la voce
di Deku gli sussurrò dall'altra parte della città:
“Tutto
bene,
Kacchan?”
“Mi
manca,” disse, semplicemente e miseramente.
“Lo
so. Anche tu gli manchi. Non lo dice, ma lo vedo.”
“Sì?
Come?”
“Per
lo più si lamenta della mia cucina,” gli disse Deku con una
risata. “Dice che non gioco a fare gli eroi nel modo giusto -cosa
che trovo estremamente buffa, perché io e te siamo cresciuti
giocando agli eroi insieme. Non vedo come lo possa star
facendo in modo diverso.”
Katsuki
sorrise,
sapendo che nessuno lo poteva vedere nel buio.
“Gli
ho detto che domani ci saremmo visti.”
“Hai
il giorno libero?”
“No,
ma non potevo dirgli di no. Parlerò con il mio capo più tardi. Ho
un casino di ferie accumulate e mi devono qualche favore.”
“Domani
lavorerò
il giorno intero. Hisami dovrebbe restare con mia mamma, ma
se riesci a liberarti, lo vorresti tenere tu?”
“Sì,”
rispose
anche troppo velocemente. Deku ridacchiò e fu una risata
calda e cristallina.
“Okay.
Fammi
sapere se ti danno il giorno libero. Devo essere in ufficio
alle otto. Buonanotte, Kacchan.”
“Buonanotte,”
gli
disse, sospirando la parola. C'era qualcosa nell'oscurità che lo
spingeva a parlare sottovoce. Aveva ancora il telefono incollato
all'orecchio e un inconsapevole sorriso stampato in faccia, quando
la porta si spalancò di colpo. La luce filtrò dentro bruciandogli
le retine.
“Oi!”
“Bakugou,
che
diavolo ci fai qui dentro?” Kirishima, quel bastardo
impiccione, guardò in basso verso Katsuki con eccessiva
preoccupazione negli occhi.
“Non
sono affari tuoi, capelli di merda.” Si tirò su da terra,
spolverandosi di dosso della polvere inesistente per poi
sorpassarlo.
Kirishima lo seguì, come un cucciolo fedele.
“Eri
al telefono?”
Katsuki
non
disse nulla. Era meglio stare zitti piuttosto che aprire il vaso
di Pandora in quel momento. Doveva ancora parlare con Mirio prima
che
andasse via.
“Andiamo,
amico.
Ci siamo scambiati appena due parole nei mesi scorsi. Sono
preoccupato per te.”
“Va
tutto bene.”
“Deve
essere
così se sgattaioli via per fare delle telefonate negli
sgabuzzini.” Kirishima gli sorrise con fare malizioso. “Nuovo
fidanzato?”
“Assolutamente
no.”
A quel punto Katsuki stava praticamente per fare uno sprint e
volare via. Kirishima, per bloccarlo, gli mise una mano pesantemente
indurita dal suo quirk sulla spalla. Il biondo lo lasciò fare, ma
dopo un po' se lo scrollò di dosso.
“Stai
sistemando
le cose con Deku o roba simile?”
“Roba
simile.”
“Bro.
Parla
con me.”
Katsuki
non
sapeva come. Non aveva idea di come fare a dire Ho un figlio,
senza dover spiegare anche l'equivoca circostanza che si celava
dietro. Lui stesso a malapena riusciva a riflettere sulle medesime
circostanze.
“Domani
mi
prendo un giorno di riposo per incontrare delle persone. Tutto
qui.”
“ Da
quando
ci siamo diplomati non mi pare che tu ti sia mai preso un
giorno libero. Nemmeno quando avevi l'influenza.”
“Sì,
beh, le cose cambiano.” Katsuki parlò fissando le proprie scarpe.
“Devo parlare con Mirio prima che se ne vada.”
“Mi
dirai cosa sta succedendo, prima o poi,” affermò Kirishima.
“Allora
smettila
di assillarmi.”
Katsuki
scappò
in quel momento, correndo spedito verso l'ampio e elegante
ufficio dell'eroe numero uno Mirio. Il cellulare di Katsuki vibrò
nella tasca esattamente un secondo prima che aprisse la porta,
perciò
lo controllò. La foto che Deku gli aveva mandato riportava la camera
di Hisami fiocamente illuminata. Il piccolo era avvolto da lenzuola
a
tema Frostfire, con i ricci umidi e spettinati, e riposava su un
cuscino a forma di granata di Ground Zero, con la sua action figure
stretta nel pugnetto.
Per
la seconda volta quel giorno, Katsuki cambiò lo sfondo del telefono.
Entrò nell'ufficio di Mirio ancora più determinato. Si sarebbe
preso pure una dannata settimana di riposo se Hisami glielo avesse
chiesto.
Mirio
fu
stranamente disponibile a dargli il giorno libero. Non oppose
alcun tipo di resistenza, constatando invece con quella voce
perpetuamente gentile e suadente cose come lavori così duramente
e tutti hanno diritto ad una pausa. Katsuki dovette fare
appello a tutte le sue forze per non prendersela con Mirio che si
era
messo a fargli la paternale. Aveva ottenuto ciò che voleva, non
c'era spazio per le lamentele.
Katsuki
bussò
piano alla porta di Deku, puntuale, alle sette. In buona fede,
il ragazzo gli aveva dato la chiave magnetica per la porta
principale
del condominio, così che non fosse più costretto a citofonare.
Mentre aspettava che la porta si aprisse, Katsuki sentì salire
l'ansia -ansia perché avrebbe rivisto suo figlio, ma anche perché
non aveva mai passato un giorno intero da solo con Hisami, prima.
“Hey,
Kacchan,
entra pure.” Deku stava lottando con una cravatta mentre
invitava il biondo dentro casa. Vestiva meglio del solito, con
addosso un paio di pantaloni eleganti e una camicia a quadri
stirata.
“Stai
davvero
bene,” disse Katsuki, per poi fare una smorfia perché mai
in vita sua aveva fatto un complimento a Deku.
“Grazie!
Ho
appuntamenti tutto il giorno con gli investitori. Deve sembrare
che abbia tutto sotto controllo.”
“Dov'è
Hisami?”
“In
camera mia che guarda i cartoni. Gli piace far credere che si alzi
all'alba, ma è ancora mezzo addormentato. Solitamente non è mai
completamente sveglio finché non sono le otto o le nove.”
Katsuki
annuì,
pensando a quanto adorabilmente cocciuto fosse Hisami. Seguì
Deku nella cucina.
“Dunque,
tutti
i numeri più importanti sono sul frigo. Sarò in riunione
tutto il giorno, perciò sarà difficile contattarmi, ma mia mamma è
sempre a portata di telefono e sa tutto del piccolo.” Deku smise di
trafficare con i gemelli della camicia per studiare Katsuki. “Non
vergognarti se senti di doverla chiamare, davvero. So come sei
fatto,
non è poi questo gran problema se hai bisogno di una mano.”
“Andrà
tutto
bene, Deku.”
“So
che sarà così. Ci sai davvero fare con lui, e mi fido di te al
cento per cento. E' così impaziente di vederti.”
Katsuki
non
riuscì a bloccare il sorriso sincero che gli occupò il volto.
La fiducia di Deku significava molto per lui, se non altro perché
era stato il solo protettore di Hisami per tre anni. Restavano
ancora
delle questioni spiacevoli e spinose tra i due, ma quello glielo
doveva riconoscere.
“Okay,
allora
dovrei andare a svegliarlo, o lasciarlo fare?”
“Come
ti
senti meglio tu. Puoi andare a sdraiarti con lui se vuoi -è un
gran coccolone, specialmente alla mattina. Le lenzuola sono per lo
più pulite. Le ho cambiate ieri sera.” Deku gli rivolse un sorriso
nervoso, prima di afferrare una giacca elegante dallo schienale di
una sedia e muovere dei passi verso la porta. “Okay, io vado.”
“Aspetta,”
gli
disse Katsuki, puntando gli occhi sulla sua cravatta
completamente sfatta. “Hai ventotto anni, Deku, impara ad annodare
una maledetta cravatta.”
La
afferrò, riannodandola e aggiustandone la posizione. Deku rimase
rigido e immobile, guardandolo con occhi spalancati, presumibilmente
a disagio per quanto vicini si erano trovati in quella posizione.
Katsuki vide il suo pomo d'Adamo tendersi su e giù contro il
colletto.
“Ehm,
grazie,
Kacchan.” Sembrava quasi a corto di fiato.
“Stendili
tutti.
Noi saremo qui,” gli disse, dandogli una pacca sulla spalla
e spingendolo leggermente verso la porta. Deku si riprese dal
torpore
e ubbidì.
La
porta della camera di Deku era socchiusa e Katsuki si sentì un po'
strano nell'entrare lì dentro. Era buio, fatta eccezione per la luce
della Tv che tingeva la stanza di un blu pungente.
Hisami
guardava
la Tv ad occhi stretti, la soffice testolina bionda l'unica
cosa ad apparire tra quel nido di cuscini e lenzuola - mezzo
addormentato, proprio come aveva detto Deku.
“Hey,
Bubba. Ti va se ti faccio compagnia?” parlò a voce bassa,
facendo
del suo meglio per non destarlo. Assonnato, fece di sì con la
testa
mentre cominciava ad accennare un sorriso. Katsuki spostò alcuni
cuscini per infilarsi sotto le coperte con lui. Per fortuna che
aveva
scelto di mettere una tuta invece dei jeans quel giorno.
Hisami
si
spostò velocemente, stringendosi contro il fianco di Katsuki come
se fosse la cosa più naturale del mondo, usando il petto del biondo
come un cuscino mentre questi gli avvolgeva un braccio attorno per
abbracciarlo stretto. Hisami punzecchiò con un ditino la pancia di
Katsuki.
“Papà
è
più morbido,” mormorò, corrugando appena le sopracciglia, ma
sistemandosi lo stesso su di lui. Katsuki ridacchiò.
“Muscoli
da
eroe, piccoletto.”
“No
piccoletto, io sono Bubba.”
“Sì,
lo sei,” disse, con il cuore in gola che quasi lo strozzava e gli
faceva pizzicare gli occhi. Scostò alcuni ricci biondi da un faccino
d'angelo. “Il mio Bubba.”
Katsuki
sentì
addosso di colpo il peso di nove consecutivi giorni di lavoro
- la stanchezza per aver lavorato tutti quei doppi turni, il dolore
e
la confusione per non aver potuto vedere suo figlio- e nel giro di
pochi minuti, furono entrambi nel mondo dei sogni.
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Capitolo 9 *** Fulfillment ***
Capitolo
9
– Fulfillment
Link:
https://archiveofourown.org/works/22111321/chapters/53049208
Katsuki
fu
svegliato da un paio di manine paffute intente a schiaffeggiarli
leggermente la guancia. Brontolò, dimenticandosi temporaneamente
dove si trovasse e chi in quel momento stesse interrompendo la
dormita migliore della sua vita.
“Signor
tonto,
nutrimi.”
“Hah?”
Katsuki
strizzò gli occhi nella luce fioca, squadrato da un paio di
occhi verdi. Dopodiché, si ricordò che anziché fare il babysitter
in quel momento si stava crogiolando nel letto di Deku. Scattò in
avanti, completamente sveglio e all'erta, pronto ad essere un
genitore con i contro fiocchi, anche se aveva iniziato in maniera
discutibile.
“Scusa,
Bubba.
Da quanto sei sveglio?”
“Da
una vita,” mugugnò il bambino, collassando drammaticamente sul
letto, tenendosi lo stomaco. “Sto morendo.”
“Questi
teatrini
potranno funzionare con Deku, ma non con me. Mi aiuti a
preparare la colazione?”
“Pranzo,”
disse
Hisami, accigliato.
“Pranzo?
Sono
solo le-” Katsuki guardò i numeri rossi della sveglia. 11.30.
“Merda.”
“Linguaggio!”
Hisami
strillò e gli saltò addosso. I riflessi da eroe
professionista di Katsuki gli permisero di afferrare al volo il suo
piccolo vulcano di energia e caricarselo sulla spalla. Hisami si
dimenò, scalciando e ridacchiando in risposta, e Katsuki si sentì
al settimo cielo. Gli era mancato tutto quello.
“Hey,
Bubba,
non dire a tuo padre che ho dormito sul posto di lavoro,
okay?”
Hisami
si
piegò attorno al collo di Katsuki come una sciarpa, premendosi un
dito contro le labbra. “Shh.”
Katsuki
rise
e copiò il gesto. Andava bene così. Quel giorno sarebbe stato
tutto perfetto.
Izuku
si
sciolse la cravatta non appena il colloquiò terminò. Controllare
rapporti finanziari e assecondare ricchi clienti tutto il giorno gli
logorava l'anima, ma più soldi riusciva a spremere fuori, più alto
era lo stipendio che avrebbe potuto dare ai suoi dipendenti, senza
dover così mandare in bancarotta gli aspiranti futuri genitori. Era
stanco morto, ma solo l'idea di poter tornare a casa ed essere
accolto da suo figlio lo teneva in piedi. Era stato distratto tutto
il giorno, domandandosi come Kacchan stesse vivendo quella giornata
con Hisami. Non aveva dubbi che stesse andando tutto bene, almeno
quanto ci si potesse aspettare per quanto riguardava Hisami, e la
cosa lo faceva sentire al settimo cielo. Avrebbe voluto soltanto che
le cose tra lui e Kacchan andassero meglio. Non aveva nessun altro
da
incolpare se non se stesso, eppure... avevano continuato ad evitare
il discorso – e ad evitarsi a vicenda, per certi versi.
Quella
mattina
era stata diversa però. Izuku sapeva di star dando troppo
peso a quel complimento che Kacchan gli aveva rivolto, così come al
modo in cui lo aveva toccato. La sua vecchia cotta stava ritornando
a
galla, più forte di prima. Aveva visto un lato più dolce di Kacchan
negli ultimi mesi, e anche quando non si comportava dolcemente
-escludendo con Hisami- vedeva in lui una solida maturità e una
capacità di giudizio che non si sarebbe mai immaginato da lui,
nemmeno nei suoi più assurdi sogni ad occhi aperti.
Izuku
doveva
accantonare quei sentimenti. Il massimo che poteva sperare di
ottenere da una 'relazione' con Kacchan era di fare con successo i
genitori separati. Qualsiasi altra richiesta sarebbe stata
eccessiva.
Tirò
fuori dalla tasca il cellulare, per la prima volta quel giorno, e
provò un misto di delusione e sollievo nel constatare che Kacchan
non aveva provato né a chiamarlo né a scrivergli. Aprì la lista
dei contatti e chiamò.
“Hey,”
rispose
Kacchan, la voce impregnata di una punta di nervosismo.
Poteva appena sentire Hisami in sottofondo, ma non riuscì a capire
cosa stesse dicendo.
“Com'è
andata
la giornata?”
“Benissimo.
Noi
stiamo benissimo. E' tutto a posto.”
“Davvero
molto
convincente, Kacchan. Cos'è successo?”
Ci
fu una pausa. Izuku dovette trattenersi dal ridere, dopo aver
immaginato Kacchan con un'espressione totalmente disorientata.
“Hisami
è
completamente ricoperto di vernice. Non ho la più pallida idea di
come sia successo, lo giuro.”
“Ah,
ci sono già passato. Non preoccuparti, è tutto lavabile.”
“Menomale
cazzo,”
disse e Izuku udì l'inevitabile grido che seguì.
“Linguaggio!”
“Dovrei
tornare
a casa presto. Lascio l'ufficio adesso.”
“Spero
che
per quando sarai tornato io sia riuscito a lavare il demonietto.”
“Che
la fortuna sia dalla tua, Kacchan. Uomini più coraggiosi hanno
tentato invano.”
“Non
c'è nessuno più coraggioso di Ground Zero, nerd. Ci vediamo più
tardi.”
Izuku
si
avviò verso casa, con il cuore leggero e la testa tra le nuvole
per tutto il tempo.
La
prima cosa che vide quando entrò nell'appartamento fu il sederino
nudo di Hisami correre di qua e di là, e il birichino che
ridacchiava nel frattempo. Aveva i ricci umidi e incrostati con
pittura secca, un lato bianco e l'altro rosso. Gli sarebbe piaciuto
poter dire che Hisami non si fosse mai comportato così prima, ma
avrebbe mentito spudoratamente.
“Sono
Frostfire
e non mi catturerai, villain!”
“Anche
gli
eroi devono farsi il bagno, Hisami,” Kacchan, con la voce di
chi non ne poteva più di fare il genitore, corse dietro alla loro
prole demoniaca. Il biondo si fermò di colpo quando vide Izuku dalla
porta, scivolando con le calze sul pavimento in legno.
“Merda,”
sibilò
Kacchan, trascinando una mano giù per il viso. Ad Izuku
scappò una risata nel vedere quello spettacolo. Non aveva mai visto
l'eroe così sconvolto.
“Perlomeno
ha
smesso di tenere il costume da bagno,” constatò Izuku,
dimenticandosi di dire ciao.
“Papà!”
strillò
Hisami, correndo -nudo e senza vergogna- verso Izuku. Suo
padre lo afferrò con facilità.
“Ciao,
tesoro.
Hai fatto il bravo con Kacchan?”
“Hisami
è
stato un bravo bambino, ma Frostfire fa quello che vuole lui.”
“Ma
davvero? Beh, né Hisami né Frostfire potranno cenare fino a quando
non avranno fatto il bagno. Puoi dirlo ad Hisami quando lo vedi?”
Hisami
roteò
gli occhi, una volta terminato il divertimento, e annuì.
Kacchan lo fissò come se fosse stato un alieno, dopo che ebbe messo
a terra Hisami, il quale corse spedito in camera sua a prendere dei
vestiti.
“L'ho
rincorso
dappertutto per un'ora. Come cazzo ci sei riuscito?”
“Pratica.
Ci
arriverai anche tu.”
Il
brontolio iniziale di Kacchan si trasformò presto in una risata
incredula, sincera, meravigliosa e ipnotizzante.
“Sono
sicuro
che sei andato alla grande oggi. Grazie per averlo tenuto.”
“Migliorerò,”
rispose
Kacchan, con occhi brucianti di determinazione. Passato il
corridoio, andò in bagno per preparare la vasca e Izuku sospirò.
“Sei
già perfetto così,” sussurrò, sicuro che nessuno lo avrebbe
sentito.
Misero
Hisami
a letto e il bambino si addormentò abbastanza velocemente.
Farsi rincorrere sconclusionatamente per otto ore era,
evidentemente,
stancante. Katsuki controllò il cellulare per la prima volta da
quando Deku lo aveva chiamato, sprofondando nel divano, come se
potesse di nuovo riposare dopo tempo. Tre chiamate perse -tutte da
Kirishima, e il triplo di quelle in messaggi. Storse il naso,
facendo
slittare via le notifiche.
“Tutto
bene?”
gli chiese Deku, sempre quello in grado di captare il minimo
malessere e pronto a curarlo.
“Sono
giorni
che i miei amici mi tartassano per sapere dove sono stato.”
Nascondere
quel
segreto ai suoi amici stava pesando più di quanto si sarebbe
mai aspettato. Era solo che... non voleva dire nulla, finché non
fosse realmente esistito qualcosa. Non voleva intaccare il
fragile progresso che aveva fatto con Hisami, e per qualche motivo
non poteva immaginare -o non desiderava ammettere- di non volere che
i suoi amici finissero con l'odiare Deku per quello che aveva fatto.
Aveva bisogno di analizzare quei pensieri per conto suo, prima di
lanciare Deku nella tana del lupo.
“Kacchan,
lo
so che tra noi corre ancora tanto cattivo sangue, e sono
probabilmente l'ultima persona da cui vorresti supporto, ma fare il
genitore può portare a isolarsi. Mi dispiacerebbe da morire se tu
finissi con l'evitare i tuoi amici per via di tutto questo.” Deku
gli offrì un bicchiere di vino e il biondo lo accettò, anche se non
ne era in vena e non si era mai trattenuto a lungo
nell'appartamento,
dopo che Hisami era andato a dormire. Trascorrere la giornata con
lui
era stato fantastico, ma anche profondamente massacrante -qualsiasi
tipo di alcolico sarebbe andato bene dopo una giornata come quella.
Katsuki, però, ignorò le sue parole e si mise sulla difensiva.
“Voglio
passare
il mio tempo con Hisami. Che c'è di male in questo?”
“Niente!
Anche
lui ama passare del tempo con te. Dico solo che devi ricevere
un po' di supporto, dovunque tu possa trovarlo.”
“E
chi supporta te, allora? Non ti sento mai parlare di amici.”
Katsuki evitò di constatare che non aveva mai sentito Deku parlare
di altro all'infuori di Hisami. Non cercavano mai di discuterne
perché non erano amici.
“Mia
mamma, per lo più,” ammise, facendo ondeggiare il suo bicchiere di
vino, quasi in imbarazzo. “Faccio anche parte di un gruppo di
supporto per genitori single.”
Katsuki
sghignazzò
e Deku aggrottò la fronte, prendendo un sorso dal
bicchiere.
“E'
di grande aiuto. Io non-” fece una pausa, di nuovo accigliato, “Sai
che non sono bravo a farmi amici, ma sono stati gentili con me e
Hisami riesce a sopportare gli altri bambini del gruppo.”
Katsuki
non
sapeva che Deku non fosse bravo a farsi amicizie. Sapeva di
essersi lui stesso assicurato, alle medie, che il ragazzo non si
facesse nuovi amici, esercitando tutto il suo potere sugli altri per
tenere isolato Deku. Un senso di colpa, da tempo accantonato, si
inasprì nel profondo del suo stomaco. Lo soffocò con un sorso di
vino rosso. Katsuki sospirò e valutò di poter essere schietto.
“Non
so come raccontarlo ai miei amici. Riesco a malapena a parlarne con
te, e tu sai tutto.”
“Beh,
allora
dovremmo parlare. Mia mamma può tenere Hisami per qualche
ora, così potrai urlare quanto vuoi.” Deku sorrise, con una sorta
di malinconia negli occhi, prima di bere impacciato un sorso di
vino.
“Non
urlo più in faccia alle persone. O meglio, non più così tanto,
credo.”
“Me
lo merito, però. Solo perché vuoi bene a Hisami e le cose stanno
andando bene, non significa che io abbia agito bene. Farei qualsiasi
cosa per guadagnarmi il tuo perdono, Kacchan. Dico davvero.”
“Odio
quando
fai così,” borbottò l'eroe.
“Cosa?”
“Quando
fai
il buono e il comprensivo e sei disposto a farti maltrattare. Mi
rendi difficile l'essere incazzato con te.” Parlando, Katsuki non
riuscì a guardare negli occhi Deku – quella poteva essere la cosa
più vicina a una scusa che non si sentiva ancora in grado di
concedergli.
“Ho
come l'impressione che non si stia più parlando soltanto della
questione 'Hisami'”, notò Deku, fissandolo nervosamente da sopra
il bordo del bicchiere. Katsuki scolò il contenuto del suo per darsi
coraggio e parlare.
“Dobbiamo
parlare
di tante cose,” ammise.
“Solo
se
vuoi tu. Per me va bene lasciare il nostro passato nel passato.”
“Lo
stai facendo di nuovo.”
“Merda,
scusa.
Fottiti, allora,” disse, e poi ridacchiò, incapace di
reggere quella facciata.
“Già.
Fottiti
pure tu, nerd.”
Brindarono
con
dei bicchieri vuoti, quasi come avrebbero fatto buoni amici, e
non si sentirono per niente a disagio.
Note
della
Traduttrice:
Alzi
la mano chi sarebbe andato nel panico a vedere il proprio figlio
ricoperto di vernice? Katsuki siamo tutti con te (◎_◎;)
Un
abbraccio a tutti!
|
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Capitolo 10 *** Stopgaps ***
Capitolo
10
– Stopgaps
Link:
https://archiveofourown.org/works/22111321/chapters/53114365
“Ciao
amore,”
disse Deku dolcemente, con addosso un grembiule rosso che
stonava stupidamente con il verde dei suoi capelli. Katsuki varcò la
soglia del suo appartamento, sentendo lo stress di una lunga
giornata
scivolargli via di dosso ora che era arrivato a casa ed era in
presenza della sua famiglia.
“Papà!”
Hisami
gli corse incontro e Katsuki non perse tempo, stringendo suo
figlio contro il fianco e baciandogli i ricci. Deku si avvicinò
silenziosamente ai due, avvolgendo entrambi in un abbraccio -un
ritratto di famiglia perfetto.
“E'
bello essere a casa.”
“Ti
amo,” disse Deku, con naturalezza e semplicità, come fosse una
cosa che ripetevano ogni giorno. Si scambiarono un bacio, Hisami
schiacciato tra i loro corpi, e-
E
Katsuki si svegliò di soprassalto, mettendosi a sedere nel mezzo del
suo vuoto letto a due piazze, nel suo vuoto appartamento da single,
sudando il doppio del suo solito. Cristo.
Forse
Deku
aveva ragione. Forse gli serviva tornare in contatto con i suoi
amici e smetterla di passare tutto il tempo libero a sua
disposizione
rinchiuso nell'appartamento di Deku. Cercò a tentoni nel buio il
cellulare, ignorando il fatto che fossero le due del mattino. Aprì
la chat con Kirishima, provando giusto un filo di rimorso per tutti
i
messaggi che aveva tralasciato in quei pochi giorni.
Kirishima:
verrai al baby shower?? non hai più risposto
Kirishima:
lo sai di essere sempre stato un po' acido e rude ma non ho mai
pensato che potessi essere una merda di amico fino ad oggi
Kirishima:
Mina si aspetta delle scuse e un regalo altamente costoso quando
verrai al baby shower di cui non mi hai ancora fatto sapere nulla.
Non sottovalutare l'ira di una donna incinta. Non finirà bene.
Kirishima:
BRO MI CONOSCI. LO SAI CHE NON MI INCAZZO FACILMENTE. Detto ciò
FANCULO. Rispondimi stronzo.
Katsuki:
mi dispiace di essere scomparso. Verrò al baby shower e comprerò
la
cosa più costosa della vostra lista. Sei libero stasera? Ti dirò
cos'è che mi stava tenendo occupato.
Katsuki:
scusa se sono uno stronzo.
Katsuki
collassò
di nuovo sul letto, lamentando quella situazione. Ancora
non sapeva come trattare l'argomento ma doveva provare. Kirishima e
Ashido non meritavano di essere tagliati fuori.
La
porta di casa di Kirishima si aprì e, prima che qualcuno potesse
urlargli contro, tese una confezione di birra da sei al suo migliore
amico, un'offerta di pace. Kirishima la prese senza dir nulla,
tenendo il muso. Katsuki aveva messo appena un piede dentro quando
Ashido cominciò a gridare.
“Dove
diavolo
sei stato?”
“Ci
sarei arrivato,” borbottò Katsuki, fissando con aria colpevole le
calze ai propri piedi. Ashido mostrava ormai un bel pancione,
dimostrandogli fisicamente per quanto tempo li avesse evitati. “Come
sta il parassita?”
“Meglio,
ora
che lo zio Bakustronzo ci ha degnato della sua presenza.”
“Vieni
a
sederti,” disse Kirishima, con la faccia più sgradevole e
arrabbiata che il biondo gli avesse mai visto fare. Katsuki annuì e
obbedì.
“Allora,
sputa
il rospo. Cosa c'era di così importante da spingerti a
ignorarci del tutto per quasi cinque mesi?”
Le
parole si bloccarono nella gola di Katsuki. Decise che era meglio
mostrarlo loro e basta. Tirò fuori il cellulare e fece vedere ai due
una foto che Deku aveva scattato un pomeriggio -Katsuki e Hisami che
dormivano insieme, seduti contro lo schienale del divano, con le
teste piegate all'indietro e le bocche aperte.
Hisami
pareva
un perfetto ritratto di Katsuki da piccolo. Passò il telefono
a Kirishima e Ashido si sporse per vedere bene.
“Bakugo-”
cominciò
Kirishima, corrugando le sopracciglia. Katsuki lo fermò
subito.
“E'
mio. Ho un figlio,” confessò rapido, e si sentì bene a dirlo ad
alta voce e a qualcuno che non fosse Deku, dopo tutto quel tempo.
“Questo
è
il figlio di Deku, giusto?”
Katsuki
annuì
e prese un respiro profondo, pronto a deliziare i suoi amici
con ogni sordido singolo dettaglio. Raccontò loro del Quirk di Deku,
dell'incontro casuale al mercato, della loro sperimentale
collaborazione e, alla fine, di quanto amasse suo figlio.
“E'
proprio come me -uno stronzetto testardo, ma assomiglia tanto anche
a
Deku. Non dovrebbe funzionare, ma è così. In più, è tremendamente
intelligente.”
“Bakugo,”
ripeté
Kirishima, con aria stranamente addolorata. Il sorriso
inconscio di Katsuki svanì dal suo volto.
“Questa
è
una cosa da pazzi. Ma del tipo, pazzo da legare. Lo sai questo,
vero?” gli domandò Ashido, senza timore e schietta anche senza
l'aiuto degli ormoni della gravidanza. Tutto il suo corpo sembrava
teso e pronto a balzare in sua difesa. Kirishima sembrava invece più
sconvolto che altro. Katsuki incrociò le braccia al petto,
sentendosi attaccato.
“Lo
so, ma non è che io possa fare chissà che cosa ora, senza rischiare
di far del male ad Hisami.”
“A
chi importa di quel Midoriya. Prenditi la custodia e spedisci quel
pazzo in prigione. Chi farebbe una cosa del genere? E' disgustoso,”
che lo stesse facendo consciamente o no, Mina si coprì la pancia con
le mani, in evidente angoscia.
“Oi,
non porterò via il figlio all'unico genitore che abbia mai avuto in
questi tre anni. Non aiuterebbe in nessun modo. E' complicato.”
Katsuki non riusciva a credere di essere finito nella condizione di
difendere Deku, e che lo stesse facendo con tutto il cuore. Non era
pronto per questo.
“Bakugo,
sei
un eroe professionista. Sono sicuro che i giudici sarebbero dalla
tua parte. Hai già un avvocato?” se Kirishima non si fosse tolto
immediatamente quella smorfia compassionevole dalla faccia, Katsuki
avrebbe urlato.
“Non
ho bisogno di un fottuto avvocato. E' proprio per questo che stavo
evitando di parlare dell'argomento. Non lo capite. Hisami è
fantastico, e non farò niente che lo possa far stare così tanto
male.” Katsuki aveva una mezza idea di andarsene. Si sentiva male.
“E Deku è stato molto disponibile. Stiamo tirando fuori il meglio
da una situazione disastrata.”
“Ovvio
che
sia accomodante. Probabilmente è ossessionato da te. Di sicuro
non aspettava altro che usare tuo figlio contro di te e manipolarti
perché entrassi nella sua vita,” Ashido parlò con voce carica di
disgusto, e una vaga punta di preoccupazione. Kirishima stava in
silenzio, ad osservarsi le mani. Katsuki arretrò col corpo, piegando
il mento contro il collo -un moto di paura.
“Fottiti,”
ringhiò
il biondo, offeso. Non per Deku -non poteva negare di non
aver mai pensato le stesse cose che stavano dicendo i suoi amici,
anche se solo per un fugace momento- ma per Hisami. Suo figlio non
era un oggetto. Nessuno lo stava usando per nessun fine.
“Hey,”
lo
avvisò Kirishima, con voce rabbiosa per la prima volta quella
sera. “Non parlarle in quel modo.”
“Non
dite stronzate come quella su mio figlio, allora. Vuoi fare tanto il
gigante forte e buono, protettore della famiglia, ma mi stai
buttando
addosso la stessa merda in questo momento. Fanculo.”
Si
alzò per andarsene e Kirishima reagì mettendosi anche lui sulla
difensiva, fronteggiandolo, come se il biondo fosse pronto ad
attaccare o qualcosa di simile. Katsuki sapeva che i suoi amici non
sarebbero stati felici di sentire quella storia, ma non avrebbe mai
immaginato che potessero essere così crudeli.
“Me
ne vado. Andatevene tutti e due a fanculo,” si allontanò come una
furia, dritto verso la porta.
“Bakugo,
aspetta
un attimo.”
“No.
Voi dovreste essere miei amici. Sono fottutamente felice per la
prima
volta nella mia vita, tutto grazie ad Hisami, e l'unica cosa che
riuscite a vedere è la merda che c'è intorno.” Katsuki stava
tremando. Non si era mai incazzato così tanto dall'ultima volta che
aveva litigato con Deku e, prima di quello, non riusciva a
ricordarsi
di un'incazzatura simile. “Pensate che non lo sappia? Credete che
non ci abbia pensato mesi e mesi, mentre cercavo un modo
per
condividere questa storia -probabilmente la storia più intima
che abbia mai condiviso- con voi? Dovreste conoscermi meglio di
così.”
Se
Katsuki si fosse trovato nella condizione mentale di degnarli di un
cazzo di sguardo, avrebbe notato le facce profondamente distrutte e
dispiaciute di Kirishima e di Ashido. Se ne andò, sbattendosi dietro
la porta.
Camminò
verso
casa fumando di rabbia, miseramente di malumore, ripetendosi in
loop nella mente tutte le brutte cose che i suoi amici avevano
detto.
Faceva male. Faceva forse più male perché avevano ragione, ma
quanto era importante essere nel giusto e vincere quando il
benessere
di un bimbo di tre anni era a rischio?
Il
telefono continuava a vibrare nella tasca dei pantaloni. Kirishima e
Ashido facevano a turno per chiamarlo e mandargli messaggi,
mandargli
messaggi e chiamarlo, ma il biondo era furibondo e voleva soltanto
togliersi di dosso quella sensazione.
Perciò,
chiamò
Deku, che era una cosa assurda da fare se ci pensava su bene.
Stava cercando di distanziarsi proprio da Deku avvicinandosi ai suoi
amici, provando a mettere un po' di distanza tra se stesso e la
fonte
del suo malessere.
“Kacchan?
Tutto
bene?” gli rispose una voce preoccupata e Katsuki realizzò
che erano le undici di notte nel fine settimana. Stava probabilmente
dormendo e Katsuki non chiamava mai. Aveva senso che fosse
preoccupato, ma quel tocco di solidale apprensione sgretolò il suo
già precario autocontrollo.
“L'ho
detto
ai miei amici.”
“Sì?
Sembra... sembra che non sia andata tanto bene.” Gli rispose con
voce dolce e carezzevole. Una voce impastata dal sonno, di chi era a
letto. Katsuki si infiammò per la rabbia ancora di più, in una
collera inconsolabile.
“Ma
va, cazzo! Deku... è andato tutto a puttane. Come poteva esserci
qualcuno felice per me? Come poteva esserci chi si preoccupava per
mio figlio, quando il modo in cui è venuto al mondo sembra tirato
fuori da una maledetta soap opera drammatica?”
“Ti
preoccupi tu di lui. E' una cosa che ti da fastidio?” Fu un sospiro
affidato al vento, quasi impercettibile, e difficile da pronunciare.
Stava facendo del male a Deku, e fargli del male era sempre stato
facile, anche se non sempre sentiva di agire bene o nel modo
giusto.
“Sì!
No- non lo so, cazzo.”
“Sto
ascoltando, Kacchan. Puoi tirare tutto fuori.”
Lo
fece. Passò più di un'ora al telefono, sibilando oscenità e
qualsiasi titolo orrendo gli venisse in mente per descrivere Deku, e
lui accettò tutto. Assorbì ogni parola tra tremanti, strozzati Lo
so e Mi dispiace, perché era sempre stato più forte di
Katsuki e sapeva che quella era tutta colpa sua.
Quando
ebbe
finito, quando si fu liberato di ogni peso che aveva dentro, si
sentì esausto. Erano entrambi rimasti in silenzio per tre minuti
interi, ma Deku era ancora lì, che respirava regolarmente e lo
aspettava.
“Ti
senti meglio?”
“Sì.”
Poi
tirò su col naso, seguito da un rumoroso, brutto singhiozzo che
Deku non fece, coscienziosamente, notare. Dopo, considerato che una
imprecazione a sorpresa era più facile da tirare fuori di una scusa,
se ne uscì con un, “Fanculo.”
“E'
tutto okay, Kacchan. Hai bisogni di prenderti una pausa da noi? Da
me?” Supplichevole e in grado di rasserenare lo spirito. Come
faceva Deku a reggere tutto quello?
Katsuki
scosse
la testa, agitato solo al pensiero, poi si ricordò che Deku
non era fisicamente lì. Non poteva vedere nulla, poteva solo
ascoltare sussurri nell'oscurità.
“Mai.”
“Vieni
da
noi quando ti sentirai di farlo. Riposati. Buonanotte, Kacchan.”
Perché
era
così buono?
Note
della
Traduttrice:
Già
avevo sofferto tantissimo leggendo per la prima volta l'originale,
figuratevi ora che riassaporo ogni capitolo per tradurlo. Lacrimoni
a
gogò ;;
Doppio
capitolo
anche questa settimana!
|
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Capitolo 11 *** Catharsis ***
Capitolo
11
– Catharsis
Link:
https://archiveofourown.org/works/22111321/chapters/53129248
Katsuki
si svegliò sentendosi prosciugato di ogni energia. Gli sembrò quasi
di avere una sbornia -disidratato, esausto e rinsecchito com'era. Gli
faceva male la gola da quanto aveva urlato al telefono, e subito si
sentì insolitamente a disagio per il modo in cui si era comportato.
Deku... non meritava di essere trattato così. Gli ci sarebbe voluto
un bel po' di tempo prima di trovare qualcuno che si meritasse
effettivamente tutto quello che aveva detto nel suo scatto
d'ira. Cercò a tentoni, tra i suoi immaginari frammenti di dignità,
il cellulare e lo trovò quasi completamente scarico, con più
chiamate perse e messaggi di qualsiasi altra occasione. Scrollò via
le chiamate perse e i messaggi in segreteria, scorrendo tra le
notifiche degli sms.
Ashido:
mi dispiace.
Ashido:
avrei dovuto essere più delicata nel trattare la situazione. Non
mi rimangio quello che ho detto ma Kiri e io ci fidiamo del tuo
giudizio. Sono sicura che Hisami sia un bravo bimbo e che tu sia una
padre fantastico.
Ashido:
per favore richiama uno di noi due. Non vogliamo lasciare la
questione indiscussa per altri quattro mesi. Ti vogliamo bene e
vorremo bene a chiunque abbia metà del tuo DNA Baku ♥
Kirishima:
ti sosteniamo bro. Puoi parlare con noi. Vogliamo che tu sia
felice. Ci farebbe davvero piacere incontrare Hisami. Anche Deku...
A seguire molti altri
messaggi -venti come minimo che dicevano essenzialmente la stessa
cosa- ma Katsuki non volle pensarci troppo in quel momento. Avrebbe
lasciato la questione in sospeso . C'era un messaggio da parte di
Deku che si sbrigò ad aprire, pesantemente oppresso da quel senso di
colpa di prima.
Deku: oggi
porto Hisami a uno zoo con recinti,
se ti va di venire. Puoi dire di no... non gli ho detto che potresti
esserci, perciò non si aspetta nulla. Spero che tu stia bene.
“Cazzo,” mormorò,
passandosi una mano giù per il volto. Il messaggio era di una
mezz'ora prima. Rifletté a malapena sul decidere se volesse andare o
meno. Aveva un debole per Hisami -e pensava che l'accoppiata Hisami
più cuccioli di animali fosse una combinazione fantastica- ma la
domanda era: sarebbe dovuto andare sì o no, dopo i
fatti della notte scorsa?
Katsuki: mi
dispiace per ieri notte. Sei sicuro che vada bene se vengo anch'io?
Chiedere scusa per
messaggio era più semplice che farlo a voce, ma avrebbero comunque
dovuto parlare prima o poi. La risposta arrivò molto più in fretta
di quanto si fosse aspettato.
Deku: ma
certo. Vuoi incontrarci lì o andare insieme?
Katsuki: vi
incontrerò lì. Grazie Deku.
L'altro gli rispose
inviandogli soltanto l'indirizzo della fiera e l'ora in cui pensavano
di arrivare. Katsuki si sentì sporco e a disagio mentre si preparava
per la giornata -c'erano ancora troppe cose irrisolte, troppo
opprimenti.
“Mr. Kacchan!”
strillò Hisami, riconoscendolo immediatamente, anche con il cappello
da baseball e gli occhiali scuri che stava indossando per nascondersi
dai fan fastidiosi. Farsi vedere in pubblico con Hisami lo rendeva
nervoso – teso, al pensare che il valoroso Ground Zero potesse
essere visto con un bambino indifeso, una sfruttabile debolezza.
Quella era la prima volta che andavano fuori insieme, e Katsuki
immaginò quasi che fosse una sorta di assurdo premio di consolazione
a cui Deku aveva pensato per farlo stare meglio. Non si sarebbe
dovuto prodigare per consolarlo, proprio per niente, dopo tutto
quello che gli aveva vomitato contro, ma lo fece sentire comunque
meglio.
Hisami gli saltò
addosso e Katsuki lo tirò su automaticamente. Fare quello -tenere in
braccio Hisami- stava diventando il suo passatempo preferito in tutto
l'universo. Sentì la tensione che non sapeva nemmeno di star
soffrendo sciogliersi del tutto in lui.
“Hey, Bubba. Ti stai
divertendo?”
Il viso coperto di
lentiggini si rabbuiò e Katsuki si innervosì immediatamente,
domandandosi cosa avesse fatto per rattristarlo così.
“Ho dato da mangiare
ad una capretta. Si è seduta su di me, mi ha leccato la mano e la
adoro,” gemette, prima di scoppiare in un pianto senza
freni. Katsuki cercò di non ridere di fronte al figlio dal cuore
tenero e propenso alle lacrime, davvero, ma non riuscì ad evitarlo.
Hisami non gli aveva mai ricordato così tanto Deku come in quel
momento. Lo strinse più forte, premendo il volto contro i suoi
ricci.
“Non piangere, Bubba.
Dovresti essere felice.”
“Mi sto divertendo!
Papà dice che piangere è normale,” rispose, imbarazzato e sulla
difensiva, stringendo le manine in due pugni che avrebbero dovuto
dargli un'aria minacciosa.
“E' una cosa che
direbbe, sì,” disse, ruotando gli occhi al cielo bonariamente.
Hisami non gli fece caso e mise su un broncio.
“Mettimi giù così
posso accarezzare il coniglietto,” chiese, singhiozzando ancora un
po', fissando un coniglio grigio. Katsuki ubbidì, ridacchiando, e
Hisami trotterellò via scoordinatamente verso il coniglio più
vicino.
Katsuki andò verso
Deku, che sorrideva teneramente a suo figlio, con il telefono
sollevato, pronto a scattare una foto.
“Hey, Kacchan. Sono
contento che tu ce l'abbia fatta,” gli disse quando il biondo gli
fu accanto. Prima che potesse perdere il coraggio, chiese scusa.
“Mi dispiace per ieri
sera,” confessò, fissando una capra lì vicino, sicuro che sarebbe
stato più facile guardare quegli occhi strani piuttosto che quelli
di Deku.
“Non dobbiamo
discuterne,” gli disse con calma Deku, a voce bassa.
“Sì, dobbiamo. Non
voglio più essere quel tipo di persona. Ero incazzato con i miei
amici e-”
“Ed è più facile
urlare in faccia a me che a loro. Meno danni collaterali. Lo
capisco,” disse, con un'espressione estremamente apatica. Cercò di
cambiare discorso. “Hai provato a parlare con loro oggi?”
Katsuki sospirò,
seccato perché Deku era lo stronzo più misericordioso del pianeta.
Meno danni collaterali aveva detto, e a Katsuki diede davvero
fastidio che per Deku andasse perfettamente bene pensare che a lui
non importasse dell'effetto che le sue parole potessero avere
sull'altro.
“Ci sono un casino di
danni collaterali, Deku. Siamo entrambi nella stessa barca, e non ti
dovrei trattare così, non importa quanto io sia incazzato. Accetta
queste maledette scuse.”
“Ti ho già detto che
va bene così. Scuse accettate, come sempre. Sono più preoccupato
per te e i tuoi amici,” gli rispose con freddezza, scattando foto a
Hisami che correva dietro a dei pulcini, sorridendo placidamente.
Katsuki scosse la testa incredulo. Come faceva ad essere così
imperturbabile?
“Come fai?”
“A fare cosa?” Deku
non lo stava nemmeno guardando. Scorreva le immagini del telefono,
impassibile. Freddo come un dannatissimo baccalà.
“A comportarti come
se andasse tutto bene.”
Deku sbirciò nella sua
direzione, con un sorriso un po' meno triste.
“Ti arrabbierai,”
gli disse, increspando le labbra un goccio di più, e il sorriso gli
arrivò agli occhi, illuminandoli in quella grigia e fredda giornata.
“Pensavo che la cosa
non importasse?”
“Sei libero di
provare qualunque cosa tu voglia. Preferirei davvero non dover
litigare di fronte a Hisami, però.”
“Non lo farei mai.
Dimmelo e basta.”
Deku rimase in silenzio
per un po', rimuginando con ogni probabilità sulle parole da usare.
Si lasciò sfuggire una risata leggera -somigliante più a un
colpetto di tosse, in verità- prima di parlare.
“Beh, tu e Hisami
siete incredibilmente simili. E' difficile assistere a delle scenate,
ma se mi altero anche io per le stesse cose, tutto si complica. E'
sufficiente lasciarle fare il loro corso e aspettare che finiscano,
così dopo è tutto sistemato. Nessun danno, nessun affanno.”
“Una scenata,”
ripeté inespressivo Katsuki, seccato che l'altro non avesse torto.
Ridacchiò sotto i baffi.
“Sei un bravo padre,
Deku.”
“Lo sei anche tu,”
gli rispose genuinamente con un gran sorriso.
“Per lui sono solo un
babysitter,” ammise l'eroe amaramente.
“Non per me. Non per
lui. Sei un padre, e ho il vago sospetto che tu ami essere un
padre.”
“E' così,” ammise,
sapendo comunque che lo era soltanto per poche ore, per alcuni giorni
della settimana. Odiava ammetterlo, ma non era così sicuro sicuro di
poterlo fare -facendolo poi alla grande- a tempo pieno. Il
pensiero lo terrorizzava, ma ciò non significava che non avrebbe
voluto provare. Si sarebbe fatto massacrare più e più volte per
Hisami.
“Vai a fare il papà,
allora. Io resterò qui per un po',” lo incitò Deku con una
leggera gomitata, facendogli segno con la testa verso il punto in cui
stava Hisami. Il bambino era riuscito a trovare l'unica pozza di
fango fra tutti i recinti dello zoo ed era ad un passo dal saltarci
dentro.
“Hisami, no.”
Un nodo di sensi di
colpa gli serrava ancora le viscere -Deku era troppo gentile, troppo
disposto a dargli il beneficio del dubbio, ma erano riusciti a fare
tutti i progressi possibili in quel lasso di tempo, perciò andò
dietro ad Hisami, sentendosi sempre meglio per ogni passo in più che
lo avvicinava al bimbo.
Tornarono
all'appartamento con Hisami mezzo addormentato sin da quando era
iniziato il tragitto inverso. Deku lasciò che Katsuki se lo
caricasse fin su per tutte le scale, il faccino assonnato nascosto
contro il suo collo. Tuttavia, quando cercò di metterlo giù perché
dormisse nel proprio letto, fece i capricci. Finì per addormentarsi,
sdraiato tra i due sul divano. Deku mise su il canale delle news
sugli eroi, il volume quasi allo zero, solo per dare ad entrambi
qualcosa su cui concentrarsi. Katsuki si domandò se anche Deku, nel
silenzio attorno a loro, si sentisse soffocare come lui. L'unica cosa
che lo bloccava dal saltare in piedi e correre via era la figura
dormiente di suo figlio, e il profondo impulso di non doverlo
disturbare.
“Perché ti
assomiglia così tanto?” si domandò Katsuki ad alta voce,
studiando il piccolo. Era una domanda stupida, davvero. Perché
qualcuno finisce con l'assomigliare a qualcun altro? Gli vennero in
mente Mendel, i geni recessivi e il quadrato di Punnet.
“C'è anche così
tanto di te in lui,” Deku parlò dolcemente, accarezzando dei ricci
biondo chiaro. “Ha il tuo-”
“Il mio naso. Lo so,”
disse, interrompendo Deku. Pensò di aver riconosciuto tutte le
tracce dei geni della famiglia Bakugou in Hisami il giorno che lo
aveva visto per la prima volta -il naso aquilino, piegato appena
all'insù, gli occhi dal taglio affilato sormontati da sopracciglia
sottili, l'esatta sfumatura di biondo che caratterizzava sia lui che
sua madre. Forse era per questo che era rimasto così sconvolto
quando lo aveva visto. Forse lo aveva saputo ancora prima di
saperlo.
Era ancora incazzato
con Deku per tutto, per avergli tenuto segreto suo figlio per tre
anni, per avergli negato le sue prime parole, i suoi passi incerti,
le sue candeline di compleanno. Non sapeva se sarebbe mai stato in
grado di perdonare quell'ingiustizia, ma era dura non amare Hisami.
Era difficile non sentirsi inspiegabilmente connesso a Deku grazie a
lui, quando erano tutti e due seduti nel silenzio di un appartamento,
con loro figlio che sonnecchiava nel mezzo, la testa appoggiata sul
ventre di Deku e i piedini nudi nascosti sotto la coscia di Katsuki.
Katsuki voleva più di
qualche ora alla settimana. Voleva più di qualche clandestina,
supervisionata sessione di giochi nell'appartamento dell'altro.
Voleva più che sentire suo figlio chiamarlo Mr. Kacchan e che
sapesse che entrambi i suoi genitori lo amavano. Voleva che il suo
amore per quel piccolo esserino, per quella creatura perfetta -creata
con parti sue e di Deku- potesse manifestarsi liberamente, a
prescindere dalla distanza e svincolato dalle attente regole che
avevano imposto.
Katsuki si spinse ad
appoggiare delicatamente il palmo sulla schiena di suo figlio,
disegnando con gentilezza dei cerchi lungo le piccole protuberanze
della colonna. Hisami si mosse al suo tocco, stiracchiandosi un po'.
“Papà,” mormorò
con voce impastata dal sonno, prima di ricadere nel mondo dei sogni.
Fu una cosa banale, una semplice parola mormorata e probabilmente
intesa per Deku in ogni caso, ma ebbe un effetto su Katsuki. Gli si
strinse il cuore e gli occhi gli bruciarono, mentre le sue certezze e
le sue insicurezze si mescolavano nella testa.
“Deku,” disse, con
una voce insolitamente tremula. Si sentì il corpo andare in fiamme e
percorso dai fremiti, ma non trovò la forza di sentirsene
imbarazzato. “Voglio di più.”
“Kacchan,” sussurrò
l'altro, piano e con titubanza, come se si stesse preparando ad un
litigio. Katsuki non gliene avrebbe dato la possibilità.
“Voglio che Hisami
abbia tutto. Due genitori e una stanza nel mio appartamento e tutte
le maledette action figures di Frostfire che posso permettermi con il
mio stipendio schifosamente alto, anche se mi uccide il doverle
comprare. Voglio anche che sappia che io sono il suo papà. Voglio
l'affidamento congiunto, e-” si fermò, conscio di stare per
lanciare una sfida. “Sono disposto a lottare con te per averlo.”
Deku si irrigidì, e
qualunque sorta di legame soporifero fosse stato sul punto di crearsi
tra loro svanì in un istante. La mano che stava accarezzando i
capelli di Hisami si strinse impercettibilmente, per poi rilassarsi
nuovamente.
“Non deve per forza
andare così, Kacchan. Non tutto deve diventare una lotta,” disse,
sulla difensiva e guardingo. Diceva così, ma il suo tono di voce
profondamente ferito parlava di più e dimostrava quanto fosse
altrettanto pronto a lottare.
“Mi darai la
custodia, allora? Senza supervisione e nel mio appartamento?”
“Credi che Hisami sia
pronto per questo?”
“Se andiamo avanti in
questo modo, non lo sarà mai,” sbroccò il biondo. Da qualche
parte nella mente, in un piccolo angolino buio, si ricordò di
Kirishima che lo incoraggiava a trovare un avvocato.
“Credi di essere
pronto tu? Pronto a dirlo alla tua agenzia, a ridurti le ore
di lavoro e rischiare il tuo titolo per lui?” Deku gli parlò come
se sapesse già quale sarebbe stata la risposta, non importava cosa
avrebbe detto Katsuki. Deku non sapeva però come si sentisse
realmente l'eroe. In parte era perché Katsuki stesso non permetteva
mai a nessuno di conoscerlo al cento per cento, ma una parte di lui
soffriva perché Deku pensava davvero che non avrebbe messo da parte
tutto per Hisami, che non avesse già stravolto la sua vita
per lui. Ma dopotutto, Deku era cresciuto con lui. Senza dubbio si
ricordava di quanto era stato ostinatamente concentrato a diventare
il più grande degli eroi e della sua cinica considerazione dei
legami emotivi. Aveva senso che Deku fosse diffidente, anche se era
bravo a nasconderlo. Prese un respiro profondo, pronto a tirare fuori
tutto in un fiato. Non poteva più evitare l'altro.
“Farei qualsiasi cosa
per lui. Tu ed io siamo complicati, ma non lascerei mai che niente si
mettesse tra me e mio figlio, se soltanto tu glielo permettessi. E'
mio figlio... e nonostante né io né te abbiamo mai veramente
parlato del perché tu l'abbia fatto... hai scelto me.”
Non aveva programmato
di dire quell'ultima parte. Una cosa così schietta e reale faceva
sorgere talmente tante domande, ma Katsuki sapeva di aver fatto
centro.
Gli sembrò che Deku lo
guardasse con occhi nuovi, mentre Katsuki ricambiava con uno sguardo
bruciante e risoluto, tutto per farlo cedere. Senza che ci dovesse
pensare troppo a lungo, Deku mise una mano sulla spalla di Katsuki -
non gli sembrò esattamente la cosa giusta da fare, ma non gli
sembrò nemmeno una mossa inappropriata. Non aveva nemmeno realizzato
che fossero seduti abbastanza vicino da rendere possibile un simile
contatto fisico. Il biondo sentì il corpo abbandonarsi al contatto,
appena un po', e per motivi arcani persino a lui non si ritrasse in
fretta e furia. Con il pollice, Deku disegnò distrattamente la linea
della clavicola di Katsuki da sopra la camicia.
“Kacchan,”
cominciò, e usò quasi lo stesso tono reverenziale con cui un tempo
era solito pronunciare il suo nome. “Mettiamolo a letto, e poi
iniziamo a studiare nuovi piani. Sono ancora... dubbioso, ma ho
fiducia in te. Voglio anch'io quelle cose per Hisami.”
“Lo amo così tanto,”
disse, perché non sapeva cos'altro dire e rimase davvero molto
spiazzato dalla sua stessa sincerità. Non aveva mai pensato a tutto
quello -una famiglia, amore, affetto- come un potenziale elemento
della sua stessa vita. E anche se continuava ad essere estremamente
incazzato per le subdole circostanze che stavano alla base della
nascita di Hisami, era comunque grato di averlo nella sua vita.
Katsuki non era mai stato propenso a provare la solitudine, ma adesso
sapeva che gli era sempre mancato qualcosa nella vita. La solitudine
era in pratica il suo standard di vita quando non si trovava tra le
mura della casa di Deku e Hisami. Desiderava ancora essere l'eroe
numero uno, quello non sarebbe mai cambiato, ma per la prima volta,
voleva anche qualcos'altro -qualcosa di più. Desiderava ogni
cosa, e ciò includeva Hisami. Includeva Deku, anche se non era
proprio pronto a fare i conti con quel pensiero.
Magari Deku non era la
persona con cui si sarebbe immaginato di vivere quell'esperienza, ma
senza di lui, Hisami non avrebbe avuto quelle lentiggini, o quei
ricci, o quella specifica sfumatura di verde nei suoi grandi occhi
curiosi. E non poteva negare che Deku fosse più di un semplice
tutore competente -era un padre fantastico e non gli veniva in mente
nessuno che potesse crescere Hisami meglio di così.
Katsuki strinse la mano
a Deku, quella ancora appoggiata alla sua spalla, e si sentì scosso
da tremori, indifeso e ridicolo mentre esalava un sincero e
avvolgente “Grazie.”
|
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Capitolo 12 *** Burgeoning ***
Capitolo 12 –
Burgeoning
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https://archiveofourown.org/works/22111321/chapters/53188975
Continuarono
a fare piani fino a tarda notte. C'erano quasi fin
troppe
cose da considerare. Quando dirlo ai loro genitori,
come dirlo ad Hisami, chi avrebbe tenuto Hisami in quali giorni, e
quando dare inizio al piano. Izuku vedeva chiaramente quanto Katsuki
fosse scombussolato, anche se era bravo a nasconderlo. Era buffo
quanto fosse facile adesso leggergli dentro. Non era sicuro se fosse
dovuto al fatto che Kacchan ora si lasciasse vedere per quello che
era davvero, o perché fosse così simile ad Hisami. Era vero che, a
primo impatto, Hisami assomigliava di più ad Izuku -i ricci, le
lentiggini, la corporatura minuta, quasi aggraziata, ma quando lo si
scomponeva in singole parti, era del tutto Kacchan. Izuku sapeva
identificare lo stato d'animo di suo figlio dal modo in cui piegava
le labbra, da come serrava la mandibola. Talvolta, gli capitava di
vedere le stesse mimiche facciali su Kacchan, e restava completamente
di sasso, così tanto che si doveva fisicamente scuotere per
riprendersi dallo shock.
“Ho
qualcosa in faccia?”
Izuku
sobbalzò e negò col capo, imbarazzato di essere mentalmente partito
per la tangente. Si schiarì la gola.
“Che
cosa dirai alla tua agenzia?”
“Quanto
di meno possibile, cavandomela al tempo stesso. Gli addetti stampa
però vorranno tutti i minimi dettagli, così da essere al passo con
i pettegolezzi.”
“Perciò...
tu cosa dirai?”
“Dio,
Deku, non lo so. Come faresti tu a raccontare una storia del genere
senza sembrare sospetto e inquietante? L'ultima cosa che voglio è
che tu perda la tua clinica, o che il mio titolo finisca nel cesso.”
Izuku
non riuscì ad evitare un sussulto. Kacchan sospirò a lungo.
“Magari
non mi nominare proprio per niente. Se riesci,” mormorò, incapace
di incrociare gli occhi del biondo.
“Potrei
dire loro che sei il mio ragazzo, che era una cosa programmata da
tutti e due, e che siamo semplicemente delle persone molto
riservate.”
“Kacchan,
è-”
“Una
follia, già. Ma è anche la scusa più semplice e credibile.”
“Non
potrei chiederti di farlo.” Izuku sapeva di avere la faccia in
fiamme, si poteva vedere anche dallo spazio per quanto era evidente,
ma si augurò che Kacchan lo avrebbe interpretato come un rossore
dovuto all'imbarazzo per la colpa, non come un sì, sarei
felicissimo di far finta di essere il tuo ragazzo.
“Non te lo sto
chiedendo. E' quello che ho deciso di dire,” asserì con
convinzione.
“Penso che dovresti
dire chiaro e tondo che vuoi proteggere la privacy di tutti e tre.
Tutto quello che voglio è la sicurezza di Hisami.”
“Concordo. Non ti
devi preoccupare per quello, ma so che lo farai, perciò fidati di me
quando dico che è la mia priorità assoluta.”
“Mi fido di te.”
Izuku si lasciò andare ad un dolce sorriso. Era un miracolo che
potesse conversare con Kacchan in quel modo. Sapeva che non erano
amici, nemmeno qualcosa di simile, ma talvolta riusciva quasi a far
finta che lo fossero. Diceva sul serio quando ammetteva di fidarsi
del biondo, implicitamente.
“Domani sera ho un
turno di lavoro. Metterò in chiaro le cose e mi assicurerò di avere
degli orari più stabili, dopodiché potremmo discutere anche della
parte notturna.”
“Hai una camera per
lui?”
“Al momento è uno
studio spoglio. Pensavo che lo avremmo potuto decorare insieme. Non
so un cazzo di quello che hanno bisogno i bimbi. Mi devi aiutare a
rendere tutto a prova di bambino.”
Izuku sorrise di più
questa volta. Aveva in testa fantastici scenari sognanti di loro tre
che passeggiavano per l'IKEA come una famiglia qualunque . Si sentì
immediatamente in colpa per aver pensato desiderato così tanto che
quella fosse la loro realtà.
“Penso che gli
farebbe piacere. Lo aiuterebbe a sentirsi a casa,” disse e poi,
perché Kacchan non venisse preso alla sprovvista nel caso Hisami
avesse rifiutato di stare con lui, aggiunse, “Non ha mai passato
una notte senza di me da nessuna parte. Non voglio che tu te la
prenda se non si sentirà a suo agio i primi tempi.”
“Sono un adulto,
Deku. Non me la prenderei con Hisami per questo,” brontolò,
evidentemente contrariato.
“Venir rifiutato dal
proprio figlio fa male, anche solo per un secondo.”
Kacchan lo liquidò con
un gesto della mano e Izuku lasciò stare.
Si erano quasi fatte le
due del mattino quando terminarono gli argomenti di cui discutere.
Katsuki stava sperimentando la stessa sensazione anestetizzante di
quella volta che si era rotto il braccio sul lavoro ed era stato
costretto a stare in ufficio tra le scartoffie per tutti i suoi
turni, fino a quando non avesse terminato la fisioterapia: era
annoiato, prossimo alla pazzia e sentiva che gli sarebbe scoppiata la
testa se avesse dovuto pensare un secondo di più.
“E' tardi. Me ne
vado.”
“Puoi restare qui, se
vuoi. Il divano è piuttosto comodo una volta tolti i giocattoli da
tutti gli anfratti.”
“Non ti sei ancora
stufato di me?” scherzò Katsuki con un sorrisetto. Era una
proposta bislacca, ma non voleva necessariamente rifiutarla. Era
tardi, era stanco e quel posto cominciava a sembrargli sempre più
una casa, maggiore era il tempo che ci trascorreva dentro. Casa sua
era dove si trovava suo figlio.
“Sei sempre il
benvenuto qui.” Non era una vera e propria risposta, ma Katsuki
fece spallucce. Deku annuì col capo e andò verso un armadio della
biancheria nel corridoio per cercare delle lenzuola e coperte.
“Puoi prendere il mio
letto. Io mi preparo questo,” gli disse Deku, l'ospite idiota
sempre pronto a sacrificarsi.
“Non andrò a dormire
nel tuo letto, Deku.”
Ad essere sinceri,
l'idea di dormire nel letto di Deku lo metteva esageratamente a
disagio. Se lo ricordava estremamente comodo, ma ricordava anche di
come era finito avvolto dal profumo di Deku, di quanto familiare
l'avesse trovato, come se non fosse mutato da quando erano piccoli.
“Ci hai già dormito.
E' comodo, vero?”
“Come fai a saperlo?”
“Hisami
mi ha detto che, in teoria, non avrebbe dovuto dirmi
che avete dormito fino a saltare la colazione.” disse sorridendo.
“Se può consolarti,
era sinceramente dispiaciuto di aver vuotato il sacco.”
“Quel piccolo
topastro,” disse Katsuki, sorridendo affettuosamente mentre
guardava la porta della camera di suo figlio.
“Vai a letto,
Kacchan. Ci vediamo domani mattina.”
“Sì, va bene. Notte,
Deku.”
Forse nemmeno dieci
minuti dopo che si era sdraiato nel letto di Deku, si svegliò al
sentire un paio di piedini strisciare sul pavimento in legno. Hisami
si infilò sotto le coperte e si accoccolò proprio contro il biondo.
“Tutto okay, Bubba?”
“Dov'è papà?”
dalla voce pareva un po' spaventato, non sapeva se perché avesse
trovato Katsuki nel letto di suo padre, o perché fosse stato beccato
a nascondercisi dentro.
“Sul divano.”
“Oh. Beh, io dormo
qui. E' più comodo.”
“Va bene, Bub. Sogni
d'oro.”
“Buongiorno!” Deku,
vestito solo con i boxer, stava preparando dei pancakes a forma di
cuore, tentando coraggiosamente -ma inutilmente- di non creare un
macello in cucina. Katsuki sorrise e andò dove era giusto che
stesse, dietro di lui, a stringere con le braccia il ventre nudo e
piatto di Deku. L'altro si sciolse nell'abbraccio, dimenticandosi
momentaneamente dei pancakes.
“Hisami è già
sveglio?” chiese Katsuki, accarezzandogli la curva dell'orecchio
con le labbra. Sentì al tatto, più che vedere, Deku scuotere
negativamente la testa.
“Non
perdiamo tempo, allora,” disse, la voce ridotta ad un
irriconoscibile, primitivo e sensuale ringhio. Deku ruotò sul posto
e lo strinse più stretto a lui, come se avessero potuto stringersi
di più di quanto già non stessero facendo. Si baciarono, la mano di
Katsuki viaggiò verso il basso, e-
“Cazzo,”
sibilò il biondo. Si svegliò di soprassalto, con un piedino
piantato nel fondoschiena. Hisami era letteralmente sdraiato di
traverso, a gambe e braccia divaricate, nel letto. Se non avesse
provato quel fastidio, sarebbe stato tentato di credere che stava
ancora sognando -un sogno nel sogno. Ma sapeva che, se quello fosse
stato il caso, Deku si sarebbe trovato da qualche parte lì, fin
troppo nelle vicinanze. Che cosa diavolo gli stava passando per la
testa? Perché il suo subconscio era ossessionato dall'idea di
toccare Deku nei suoi boxer corti e stretti? E perché
era mezzo eccitato?
“Cazzo,” sussurrò,
più piano questa volta, più rassegnato. Lasciò Hisami alla sua
lenta conquista del letto per andare al bagno principale connesso
alla stanza, così da potersi dare una fottuta calmata. Aveva delle
cose da fare quel giorno. Sarebbe stato ufficialmente un padre, oggi,
e quello non era davvero il modo in cui aveva immaginato di
cominciare la giornata.
Quando finalmente uscì
dal bagno, sorpassando suo figlio che dormiva nella camera, fu
tentato di tornare semplicemente a letto quando vide Deku.
“Buongiorno!” Deku
stava cucinando dei pancakes ed era tutto troppo surreale, troppo
simile al suo sogno.
“Cristo,” mormorò
sottovoce. Perlomeno aveva i vestiti addosso.
Note
:
Sì lo ammetto, sono
una di quelle che ha pensato “dividetevi il letto che è così
comodo, vi preeeeeegoooo”.
Un grazie a tutti i
lettori/recensori.
Bacini <3
|
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Capitolo 13 *** Flourishing ***
Capitolo 13 –
Flourishing
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https://archiveofourown.org/works/22111321/chapters/53222650
Katsuki sembrava
disorientato, ma Izuku ritenne che non fosse il caso di commentare.
Probabilmente era solo nervoso al pensiero di dire la verità ad
Hisami. Izuku non poteva negare di essere anche lui un po' teso.
Hisami era, dopotutto, tremendamente imprevedibile, ma Izuku ci aveva
fatto l'abitudine. La vita da genitore gli aveva insegnato a fare
buon viso a cattivo gioco, a uscire incolume dai capricci, ad
accettare il fatto che davvero poche cose andavano come erano state
programmate. Anche Kacchan avrebbe dovuto imparare lo stesso, e
nessun tipo di organizzazione teorica lo avrebbe preparato a ciò che
sarebbe venuto dopo.
Izuku fece del suo
meglio per concentrarsi e cucinare la colazione, ma riusciva a
sentire gli occhi di Kacchan premergli contro la schiena. Ogni volta
che azzardava uno sguardo nella sua direzione, quegli occhi rossi
viravano sul bancone con fare quasi colpevole. Avrebbe giurato che
Kacchan fosse imbarazzato, per qualche motivo.
“Tutto okay?”
“Sto bene,” replicò
secco -il che voleva quasi certamente dire che non stava bene.
“Sei nervoso per
quello che dovrai dirgli?”
“Un po'. E se non gli
importasse?”
“Gli importerà.
Nella peggiore delle ipotesi, andremo avanti come abbiamo sempre
fatto, fino a quando non si sarà abituato all'idea. I bambini hanno
una mente elastica.”
Kacchan si lamentò
platealmente, la testa tra le mani, e Izuku fece scivolare verso di
lui un piatto con dei pancakes.
“Andrà bene,
Kacchan,” disse, dandogli una pacca di conforto sulla spalla mentre
usciva dalla stanza. Il biondo si ritrasse, come se avesse appena
sofferto una scottatura e Izuku biascicò un rapido e sorpreso
“Scusa.”
Non riusciva ad
immaginare che cosa mai avesse potuto mettere così sulle spine il
biondo, ma non volle indagare, perciò andò in camera sua a
svegliare Hisami per la colazione.
Le mattine erano sempre
tranquille con Hisami. Era il momento della giornata con il suo
massimo livello di calma. Il piccolo sbatté lentamente le palpebre
di fronte ai suoi pancakes, in testa un groviglio di capelli.
“Dovremmo dirglielo
adesso?” sussurrò Kacchan, fissando guardingo loro figlio, ma con
speranza negli occhi.
“Meglio farlo quando
è ancora docile,” replicò Izuku, scherzando solo in parte. “Vuoi
che parli io?”
L'altro annuì, più
nervoso di quanto non lo avesse mai visto. Il grande e intrepido
Bakugo Katsuki, in ansia di fronte ad un bimbo di tre anni.
Sbalorditivo.
“Hey, tesoro. Prima
della pappa Kacchan e io avremmo qualcosa da dirti.”
“Prima dei
pancakes?” si lamentò Hisami, meno indignato rispetto al suo
solito per via della sonnolenza.
“Sì, prima. Ricordi
come funziona il mio Quirk?” Izuku valutò di poter cominciare da
lì, per poi guidarlo lentamente verso la verità. Lasciare che la
scoprisse da solo prima che gli venisse rivelata. Hisami annuì.
“Fa i bambini.”
“Esattamente. E io ti
ho creato con quello, ma per farlo servono due persone.”
“Arriva al punto
papà. Ho fame.” Hisami ruotò gli occhi al cielo e Katsuki rise
fragorosamente dietro ad Izuku. Questi lo fulminò con lo sguardo ma
Hisami ridacchiò, evidentemente felice di aver fatto ridere l'eroe.
“Va bene. Quello che
sto cercando di dire, è che tu hai due papà. Anche Kacchan è tuo
papà.”
Hisami si bloccò per
qualche secondo, processando le parole, e i presenti nella stanza
trattennero il fiato in ansia. Gli occhi stanchi del piccolo si
posarono su Kacchan quando parlò.
“Okay.” Picchiettò
il posto accanto a lui e Izuku giurò di aver visto Kacchan quasi
inciampare su se stesso, nel tentativo di mettere il sedere su quella
sedia il più presto possibile. “Mi taglieresti i pancakes, papà?”
Izuku quasi rispose,
spinto puramente dall'istinto, ma Kacchan lo batté sul tempo,
rispondendo con la voce di chi sembrava avesse appena ricevuto un
pugno nel plesso solare, per quanto era strozzata.
“S-sì, Bub. Ci penso
io.” Stava praticamente irradiando luce propria, e quasi
sicuramente piangendo. Izuku guardò da un'altra parte per lasciarli
vivere il momento.
La colazione passò
rapidamente, ma Hisami si svegliò sempre un po' di più ad ogni
morso di pancakes sciroppato che mandava giù. Quando ebbe finito,
aveva la bocca e le mani ridotte ad un impiastro appiccicoso. Izuku
si scambiò uno sguardo con Kacchan dall'altro lato del tavolo.
Pareva piuttosto orgoglioso di se stesso, ancora in estasi per la
meraviglia di aver ricevuto il titolo ufficiale di padre.
“Divide et impera?”
“Io mi occupo dei
piatti, tu del gremlin.”
Annuirono insieme e si
misero all'opera. Era bello avere qualcuno con cui dividersi i
compiti, un piccolo sollievo dopo anni passati a fare il genitore
single. Izuku stava ancora grattando via dello sciroppo mezzo secco
dal piatto, quando Hisami ricomparve, non più appiccicoso ma vestito
con un completo che Kacchan gli aveva comprato poche settimane prima:
dei graziosi pantaloni sportivi verde militare e una maglietta di
Ground Zero. Persino le calze avevano il design di Ground Zero.
Hisami andò dritto a
prendere uno dei suoi quaderni e cominciò a scribacchiarci sopra.
Kacchan si avvicinò ad Izuku.
“Penso che sia andata
bene,” disse distrattamente, usando un panno per aiutarlo ad
asciugare.
“E' andata
benissimo.” Sorrise, felice che Kacchan fosse felice. E poi, la
voce di Hisami irruppe dall'altra parte della stanza.
“Papà, verrai a
vivere con noi adesso?”
“Abbiamo parlato
troppo presto,” mormorò Izuku. Sapeva che, prima o poi, Hisami
avrebbe fatto delle domande, una volta che si fosse preso del tempo
per riflettere sulle naturali conseguenze del nuovo titolo assegnato
a Kacchan.
“Uh, no. Io ho una
casa tutta mia, ma puoi venire a stare da me qualche volta,” disse
piano Kacchan, chiedendo aiuto con lo sguardo ad Izuku. L'altro gli
fece solo un cenno d'incoraggiamento con la testa. Avrebbe dovuto
imparare ad agire senza di lui. Kacchan voleva il suo proprio spazio,
la sua propria vita con Hisami e, per quanto l'idea di rinunciare a
così tanto del suo tempo in compagnia di Hisami spaventasse Izuku,
era consapevole che sarebbe dovuto succedere - sapeva che Kacchan non
voleva passare più del tempo strettamente necessario in sua
compagnia. Anche se faceva male pensarci, giusto un po'.
“Ma non con papà?”
“Sarà come quando
vai a stare dalla nonna, tesoro. Sarà divertente,” disse. Hisami
storse il naso, all'apparenza un po' combattuto, ma accettò la
risposta. E poi, se ne uscì con la peggiore delle domande possibili.
“Vi amate? Volete
fare altri bambini?”
Izuku fece cadere un
piatto nel lavandino e Kacchan si strozzò con la sua stessa saliva.
Izuku fece l'unica cosa possibile: cambiò il discorso.
“Tu sei tutto quello
di cui abbiamo bisogno, tesoro!” I nervi a fior di pelle lo fecero
praticamente strillare. “Vuoi del gelato?” la voce gli si spezzò
sull'ultima parola, come quella di un adolescente in età puberale.
“Non è nemmeno ora
di pranzo, papà,” notò Hisami, guardandolo con sguardo di
disapprovazione. Era anche Novembre, e fuori faceva freddo, ma Izuku
avrebbe preferito morire piuttosto che rispondere ad altre domande di
suo figlio. Alla fine, si ritrovarono a cucinare biscotti, e Kacchan
scappò via verso mezzogiorno. Fu contentissimo quando Hisami lo
chiamò papà e lo salutò con un bacio sulla guancia.
Katsuki stava
camminando per le corsie di un grande magazzino, sentendosi come
perso in mezzo all'oceano. Da piccolo, quando aveva avuto circa
cinque anni, era finito separato da sua madre in un posto come
quello, e in qualche modo allora si era sentito molto più sicuro di
sé. Setacciò le corsie alla ricerca di giocattoli che potessero
piacere ad Hisami, mettendo già nel carrello lo stesso shampoo e
bagnoschiuma a tema Frostfire che aveva visto a casa di Deku. Comprò
uno spazzolino, una tazza di plastica e una vera moltitudine di
pigiami, calze e mutande, una rete e un materasso e una piccola sedia
dal design originale che pensò potesse piacergli.
Voleva che il
temporaneo trasferimento di Hisami nel suo appartamento andasse il
più liscio possibile. Aveva ordinato un armadio e una struttura
letto la settimana precedente, in consegna programmata il giorno
dopo. Deku si era offerto per aiutarlo a montare tutto, ma Katsuki
stava cominciando a sentire la mancanza dei suoi momenti solitari e
stava cercando disperatamente di tenere Deku il più alla larga
possibile.
Quei fottuti sogni non
ne volevano sapere di scomparire. Alle volte avevano tratti più
domestici -con loro tre al parco a spingere Hisami sull'altalena,
oppure i tre accoccolati sul divano- ma alcuni erano decisamente
sconci. E ogni volta che si svegliava sudato ed agitato, le prime
cose che gli venivano in mente erano le domande di Hisami: vi
amate? Volete fare altri bambini? Katsuki avrebbe preferito non
dormire mai più piuttosto che avere altri sogni erotici su Deku, ma
erano persistenti e persuasivi, e non aveva idea di come farli
smettere.
Distanziarsi era la
migliore delle strade da prendere, decise. Ma in ogni caso, avevano
stabilito di portare Hisami a comprare le decorazioni per la
cameretta il suo prossimo giorno libero. Il punto era che non sarebbe
stato mai più in grado di allontanarsi da Deku, perciò avrebbe solo
dovuto sorridere e tenere duro. In tutta onestà, quando ancora non
erano iniziati i sogni, non gli era dispiaciuto passare del tempo con
Deku. Non l'aveva disprezzato per niente. Gli era anche parso che
sarebbero potuti tornare ad essere amici, e adesso invece non
riusciva nemmeno a guardarlo, non senza notare la curva delle cosce,
o la lentiggine sul suo collo, proprio sotto all'orecchio, grande
abbastanza da spiccare sulle altre. Passava molto tempo a venerare
quella lentiggine in particolare, nei suoi sogni.
Il cellulare vibrò
nella tasca, probabilmente una foto mandata da Deku, che adesso gli
inviava scatti quasi ininterrottamente. Vibrò altre tre volte prima
che lo controllasse. Era un video dai frame tremolanti -Hisami doveva
lavorare sulle sue abilità con la videocamera.
“Ciao papà! Mi
manchi, ma ho qui con me il piccolo papà!” Brandì l'action
figure di Ground Zero facendo uno whoosh con la voce più
tremendamente dolce che Katsuki avesse mai sentito. Era seduto sulle
gambe di Deku, piegato contro il suo petto, perciò l'altro rientrava
completamente nell'inquadratura e il biondo riuscì a vedere di
nuovo quella dannata lentiggine. Indossava anche degli occhiali, con
l'aria più stanca che gli avesse mai visto in faccia. Sembrava
invecchiato.
L'altro messaggio era
chiaramente da parte di Hisami -una benedetta montagna di emoji a
forma di cuoricino, esplosioni e -inspiegabilmente- un drago. Sotto,
un messaggio da parte di Deku: stiamo entrambi per andare a letto.
Voleva soltanto darti la buonanotte.
Katsuki non seppe cosa
gli prese, ma non riuscì ad evitarsi di rispondere al messaggio.
Katsuki: Non
sapevo che portassi gli occhiali.
Deku: Sono
pieno di sorprese. Mi fanno sembrare più vecchio vero?
Katsuki: vecchio
da morire. Come minimo un cinquantenne.
Katsuki:
giornata dura?
Deku: IO NON
SEMBRO UN CINQUANTENNE!!!!!
Deku: Hisami
ha fatto una scenata perché non riusciva a trovare “il piccolo
papà”. Dopo due ore di strilli e infinite ricerche l'ho trovato
nell'asciugatrice. Invece di sentirmi dire “grazie papà ti voglio
bene” ha risposto dicendo“papà l'avrebbe trovato prima.”
Deku: le
gioie del fare il genitore
Katsuki rise ad alta
voce nella corsia dei giocattoli. Deku sapeva essere divertente.
Katsuki:
riposati un po'. Buonanotte Deku.
Deku:
❤
Deku: E'
STATO HISAMI
Deku: Buonanotte
da
tutti e due
Anche se
involontariamente, aveva imparato così tante cose su Deku nel giro
di qualche mese -nemmeno in metà di un anno. Deku portava gli
occhiali e stava bene con addosso un completo elegante. Deku
guadagnava una vagonata di soldi e viveva ancora in una merda di
appartamento perché li metteva tutti da parte per il futuro di suo
figlio. Deku aveva una lentiggine sotto l'orecchio e un sedere
davvero niente male.
“Cazzo,” mormorò,
pensando di nuovo con quello che aveva sotto la cintura
Note della
Traduttrice:
Aggiorno all' 01.30
perché non ho sonno lol.
Per
puro scopo informativo, la storia originale
è arrivata a 30 di 40 capitoli (a meno che l'autrice non aumenti
all'improvviso il conto finale, cosa possibilissima) e io sto
lavorando alla traduzione del 25esimo (ꈍ
꒳ ꈍ✿)
Ci
faremo compagnia ancora per un po' !
Un
abbraccio a tutti i lettori e recensori.
|
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Capitolo 14 *** Budding ***
Capitolo 14 – Budding
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https://archiveofourown.org/works/22111321/chapters/53257111
Fare shopping con un
bimbo piccolo al seguito era, detto semplicemente, un cazzo di
incubo. Aveva fatto un sogno al riguardo la sera prima, in effetti,
ma era stato di gran lunga più idilliaco della realtà dei fatti.
Nel suo sogno Hisami restava seduto nel carrello, puntando le cose
con l'indice mentre blaterava di quanto fosse eccitato per la nuova
cameretta che avrebbe avuto e Katsuki e Deku gli ruotavano attorno
prendendo oggetti dagli scaffali, mettendoli nel carrello
-perfettamente oliato.
Nella realtà, Hisami
era un incubo infernale, un piccolo tornado di manine prensili che
urlava ordini a destra e manca.
“Voglio questo qui,”
disse, tirando giù da un piccolo espositore una lampada da comodino,
brandendola come un'arma. Deku lo riprese per essersi arrampicato
sopra l'espositore, prima di recuperare la stessa lampada che
chiedeva, inscatolata, e depositarla nel carrello. Non fosse che
Hisami, allontanandosi come un uragano, cambiò idea dieci secondi
dopo adocchiando una nuova lampada più bella. Katsuki sospirò. Di
quel passo sarebbero diventati vecchi, prima che Hisami si fosse
deciso sulle cose che voleva.
“Che colore ti piace,
Bubba?” chiese Katsuki, nel tentativo di guidare Hisami verso una
direzione univoca. Quando aveva detto di volere che fosse lui a
scegliersi le cose per camera sua, non si era fermato a pensare alle
conseguenze, o a quanto limitata fosse la capacità di concentrazione
di suo figlio.
“Mi piace il verde,
come i capelli di papà, o l'arancione come papà Ground Zero,”
disse, arrampicandosi sul carrello come una scimmietta decisa.
Katsuki lo staccò dal lato del carrello e lo mise nel seggiolino per
bimbi. Hisami s'imbronciò per essere stato confinato in quella
prigione, cercando immediatamente di tirare fuori le gambe dalle
piccole aperture.
“Okay, allora vuoi
una camera in stile Ground Zero?”
Hisami annuì,
dimenandosi ancora nel carrello. La lampada momentaneamente separata
nel carrello era di un giallo sgargiante, perciò lanciò indietro a
Deku l'incriminato soprammobile e questi lo rimise a posto
sull'espositore senza fiatare. Riusciva a vedere come Deku stesse
cercando di non ridergli in faccia. Si era fatto ancora più indietro
quel giorno -più del suo solito- felice di lasciare che Katsuki
monitorasse il comportamento di Hisami.
“Okay, ecco cosa
faremo, Bub. Tu terrai il sederino nel carrello,” fece una pausa, e
toccò i manici per enfatizzare. “E io mi assicurerò che tu abbia
tutta la roba di Ground Zero più figa che ci sia. Ci stai?”
“Ma tu hai detto che
potevo scegliere!”
“Certo che sceglierai
tu. E' la tua camera -dovrai solo scegliere stando proprio qui,”
disse,
pigiando un dito nella pancia di Hisami per sottolinearlo. Il
bimbo ridacchiò e si contorse, ma rimase al suo posto.
“Okay, papà,”
rispose imbarazzato il bimbo. Deku mostrò al biondo il pollice
all'insù e un sorriso d'approvazione, prima di richiamare
l'attenzione di Hisami sollevando due lampade, una verde e l'altra
arancione.
“Hey, tesoro. Questa
o quest'altra?”
“Quella lì!”
Una volta che furono
riusciti a tenere Hisami in un unico posto, dandogli un mare di
opzioni tra cui scegliere, le cose filarono molto più lisce. Katsuki
non aveva idea che esistesse così tanta merce con il suo nome. Non
ricordava di aver firmato lenzuola tappezzate di bombe stilizzate e
esplosioni, o aver sponsorizzato coperte con la sua caratteristica X
arancione, eppure eccole lì, e sarebbero finite nella camera di suo
figlio perché lui le aveva scelte. Katsuki si illuminò al
pensiero e beccò Deku ad osservarlo, le labbra distese in un piccolo
sorriso.
“Sta zitto,” disse
preventivamente, prima che Deku se ne uscisse con chissà quale
cazzata.
“Sono contento che tu
ti stia divertendo. Sei bravo a gestirlo, sai,” disse dolcemente,
gli occhi puntati su Hisami. Stava impegnando un bel po' di tempo a
scegliere una nuova luce notturna, ed era sorprendente quanto ci
stesse mettendo. Katsuki poteva flebilmente sentirlo mormorare una
lista di pro e contro, curvo su due scatole.
“Sono un maledetto
papà, Deku,” disse, un po' incredulo. Era una cosa stupida da
dire, considerato che era già tecnicamente un padre da un po' di
tempo. “E' ufficiale.”
Deku rise e la cosa non
disturbò nemmeno Katsuki.
“Vorresti un
biglietto da visita? Bakugo Katsuki, Papà. Puoi darlo in giro così
lo sapranno tutti.”
“Va al diavolo,”
mormorò, abbastanza sottovoce perché Hisami non lo sentisse. Non
c'era veleno nelle sue parole, però. Era al settimo cielo e nemmeno
Deku sarebbe riuscito a tirarlo giù.
“C'è nient'altro che
credi ci serva?” chiese Deku, percependo che Katsuki non era più
dell'umore per le battute.
“Pensi che gli
piacerebbe dipingere la stanza?”
“Penso che gli
piacerebbe dipingere tutto tranne le pareti. Forse non è una buona
idea.”
Katsuki fece mmh
e decise di lasciar perdere. Invece, andò ad aiutare Hisami a
decidersi con la luce notturna. Era pronto ad andare a casa -a
mostrarla ad Hisami per la prima volta. Con un po' di fortuna il suo
maledetto gatto non si sarebbe comportato male.
Il gatto non fu, grazie
al cielo, un problema. Al contrario, sbucò fuori da uno dei suoi
tanti nascondigli per fissare con occhi piccoli e luccicanti Hisami.
Katsuki guardò l'animale a bocca aperta – sinceramente non vedeva
il suo gatto da quando l'aveva portato a casa due anni fa. Era
più brutto di quanto ricordasse. Con il pelo biondo malridotto e
un'espressione imbronciata.
“Un gattino!”
strillò Hisami, ma si avvicinò lentamente, facendosi piccolo
piccolo.
“Uh, Bub, stai
attento. Potrebbe non andare d'accordo con la gente.”
“Potrebbe?” squittì
Deku, i suoi sensi da genitore in fermento. Cominciò ad avanzare
verso Hisami per salvarlo da un possibile gatto feroce. Nello stupore
di tutti, il gatto spinse il suo brutto muso contro la mano tesa di
Hisami. Il bimbo ridacchiò.
“Papà, ti
assomiglia.” Hisami sollevò lo stupido gatto al petto e immerse la
faccia nella pelliccia.
“Hah?”
Deku scoppiò a ridere
e andò a sedersi accanto ad Hisami. Katsuki si sentì vendicato
quando lo stupido gatto soffiò e cercò di graffiarlo.
“Come si chiama?”
“Non ha un nome.”
“Hai un animale
domestico e non gli hai mai dato un nome?” Deku sollevò un
sopracciglio squadrandolo.
“Oi, è semplicemente
corso dentro al mio appartamento un giorno. Sta per conto suo.”
Quella era una bugia bella e buona, ma Deku non doveva saperlo per
forza.
“E tu poi gli hai
comprato del mangiare per gatti. Di conseguenza, è un animale
domestico.”
Katsuki stava per
ribattere quando Hisami gemette praticamente disperato, con le
lacrime agli occhi, “Papà, glielo posso dare io un nome?”
“Certo, Bub. Deku,
aiutami con le scatole.”
Andarono nella sala per
cinque minuti buoni e quando ritornarono, scatole in mano, Hisami era
sdraiato sul pavimento con il gatto sulla pancia che lo osservava.
“L'ho chiamato
Cheeto,” disse con voce sognante.
“Perché?”
“Perché ho fame,”
mormorò, facendo dei grattini al collo del gatto. “Papà, hai le
Cheetos?”
Katsuki si scambiò uno
sguardo dubbioso con Deku. Lui fece spallucce, come se fosse una cosa
perfettamente normale.
“Col cazzo che lo
chiamo Cheeto,” brontolò. Deku rise semplicemente. Si misero
all'opera svuotando scatole, lavando lenzuola e i vestiti nuovi di
Hisami.
Per tutto il tempo in
cui lavorarono, Hisami restò sdraiato sul materasso spoglio,
accoccolato a Cheeto. Alla fine si addormentò, e Katsuki
continuò a lavorare al fianco di Deku in amichevole silenzio. Non
poté fare a meno di sentirsi su di giri. Anche se Hisami non
dimostrava tanto interesse per la camera, era nel suo appartamento.
Aveva i suoi oggetti personali, i suoi mobili e una fiorente
relazione con quel recluso del suo gatto. Perlomeno, si sentiva
abbastanza a suo agio da addormentarsi.
Non era così stupido
da pensare che a tutto quello non si sarebbe aggiunta tutta una serie
di sfide ma, per adesso, poteva vederlo come un trionfo. Katsuki era
un padre. Suo figlio era felice, per il momento. E aveva Deku,
in qualche modo. Non erano realmente amici, non erano proprio niente
di definito, ma sapeva di potersi fidare di lui. Forse un giorno
avrebbero potuto essere più di semplici conoscenti che si
destreggiavano goffamente in quel corso intensivo sul dividersi il
ruolo di genitore, ma per il momento, andava bene così.
Se Katsuki non fosse
stato così impegnato a festeggiare per tutte le cose che si era
guadagnato, forse avrebbe notato quanto triste fosse il volto di
Deku.
Note della
Traduttrice:
Bello come, per tutto
il capitolo, a uno cresca il sorriso a vedere i tre tutti insieme,
come una famiglia felice … per poi leggere l'ultimissima frase e
cadere nella disperazione totale ;___;
Un abbraccio a tutti!
|
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Capitolo 15 *** Growth ***
Capitolo 15 – Growth
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https://archiveofourown.org/works/22111321/chapters/53358421
“Pronto tesoro?”
domandò Izuku bussando alla porta di casa di Katsuki. Hisami annuì
febbricitante. Era troppo emozionato per riuscire a parlare,
saltellava prima su un piede poi sull'altro, in spalla il suo
zainetto di Frostfire pieno dei suoi oggetti preferiti che
sbatacchiavano di qua e di là. La porta si aprì e Hisami corse come
un fulmine verso camera sua urlando, “Ciao papà! Dov'è Cheeto?”
Izuku rimase sul
pianerottolo finché Kacchan non si fece da parte per lasciarlo
entrare, con un po' di riluttanza. Izuku era altrettanto riluttante
al restare un minuto di più. Adesso che avevano modificato i loro
piani per la custodia, sapeva che Kacchan non era più obbligato a
passare del tempo con lui, o a comportarsi amichevolmente. Cordialità
e distanza sembravano essere ora i principi che aveva intenzione di
seguire, perciò così avrebbero fatto. Tuttavia, non potevano
evitare di parlarsi.
“Uh, la tua agente mi
ha chiamato,” disse, a mo' di saluto.
“Merda... già, mi
sono dimenticato di avvertirti. Sa essere un po'...”
“Asfissiante?”
“Stavo per dire una
stronza, ma il rispetto per le donne prima di tutto.” lo
disse con un mezzo sorriso e digrignando i denti, il ché portò
Izuku a pensare che non fosse completamente serio. Gli rispose con un
sorriso abbozzato. L'assalto di domande personali che gli aveva posto
la sua agente lo aveva lasciato un po' a disagio -e si sentiva già
di suo strano e a disagio per la giornata che sarebbe seguita. La
prima notte di Hisami a casa di Kacchan sembrava significare, per
lui, l'inizio di molte notti solitarie. Izuku non aveva idea di che
cosa avrebbe fatto con così tanto tempo libero.
“Ti ha torchiato per
bene?” chiese Kacchan, riportandolo con la mente al presente. Fece
spallucce, perché non aveva alcun diritto di lamentarsi con lui.
Aveva già problemi a sufficienza di cui preoccuparsi, senza che un
Deku piagnucoloso venisse da lui a frignare.
“Nah, hai pensato ad
una storia perfetta da raccontare,” disse, e lo pensava sul serio.
Kacchan aveva ideato una storia convincente. Degli amici d'infanzia
erano diventati amanti. Apparentemente, dopo le superiori si erano
frequentati per qualche anno, si erano innamorati, avevano creduto di
restare insieme per sempre, perciò avevano deciso di avere un bimbo
-e poi la vita, il lavoro e il successo si erano messi di mezzo.
Adesso, facevano amichevolmente entrambi i genitori e Kacchan voleva
un ruolo maggiore nella vita di suo figlio, essendosi finalmente
adeguato di più al lavoro da eroe. La sua agente non era parsa
convinta -lo testimoniò il modo in cui pronunciò, con una punta di
sospetto, parole come relazione, amore e bimbo. In sua
difesa, nemmeno lui riusciva a immaginarsi Kacchan innamorato, ma
fece del suo meglio per dare ancora più credito alla storia con così
poco preavviso.
“Sei emozionato per
questo fine settimana?” chiese Izuku, cercando di fare del suo
meglio nel mettere da parte tutti i pensieri sulla sua agente e la
finta relazione.
“Sempre che non dia
di matto non appena tu vada via, sì. Come si è comportato questa
mattina?”
“Era eccitato
all'idea di una notte a casa del suo papà. Sono sicuro che andrà
tutto bene, ma chiamami per qualsiasi cosa. Io, uh,” fece una pausa
e una risatina, più amareggiato e auto-ironico di quanto avesse
voluto. “Sarò libero tutto il weekend.”
“Vai a divertirti,
Deku. Non preoccuparti per noi,” Kacchan lo disse molto alla
leggera, quasi a volerlo confortare, ma lo lasciò invece vagamente
stordito.
Non riusciva a
ricordare l'ultima volta che aveva fatto una qualsiasi cosa senza, o
per il bene di, Hisami. Forse era andato ad un appuntamento un anno
prima, ed era stato così orrendo da convincerlo a non volerci
provare mai più. Magari sarebbe andato da qualche parte -un
posto tranquillo dove non sarebbe mai potuto andare insieme ad un
bimbo di tre anni.
“Lo farò. Buona
fortuna.”
Diede un bacio d'addio
a suo figlio per il fine settimana, e ricevette in risposta un fiacco
Ti voglio bene. Hisami era già impegnato con i suoi quaderni
intanto che Cheeto giocava con i suoi pastelli sparsi a terra, il che
voleva dire che non poteva più essere disturbato. Non era così
egoista da desiderare davvero che suo figlio facesse i capricci prima
di andare a letto senza di lui. Sperava davvero che andasse tutto per
il meglio.
Katsuki non poteva
essere più entusiasta per come stavano andando le cose. Quello
poteva essere tranquillamente il giorno in cui Hisami si era
comportato più educatamente in assoluto. Ripeterono la stessa
routine che avevano a casa di Deku. Hisami fece quello che voleva
fino a quando non fu l'ora di aiutarlo a preparare la cena, e lo
aiutò tanto quanto glielo concesse Katsuki, blaterando intanto di
questo e di quello.
Era ossessionato da
Cheeto, e Cheeto sembrava ossessionato da lui. Non aveva mai visto
quello stupido gatto in giro per la casa così tanto a lungo.
All'inizio si era preoccupato che Hisami potesse essere allergico al
gatto e finire con gli occhi che lacrimavano e il naso che colava.
Poi però si ricordò che suo figlio era solo un piagnucolone tanto
quanto lo era suo padre.
“Sta facendo la
pasta, papà,” bisbigliò, singhiozzando decisamente mentre Cheeto
faceva le fusa e impastava sulle sue gambe mentre cenavano. Katsuki
rise e mandò via il gatto così che Hisami potesse smetterla di
sbrodolarsi nel suo curry.
Più tardi, dopo che la
cena fu terminata e i piatti furono lavati, le sceneggiate di Hisami
rifecero capolino. Si rotolò sul pavimento, lamentandosi come se il
mondo stesse per finire.
“Qual è il problema,
Bub?”
“Quando vado al bagno
mi prude, ma amo troppo il curry,” piagnucolò, con un principio di
lacrime negli occhi, preda di un conflitto fin troppo grande da
vivere per chi aveva solo tre anni. Rotolò su se stesso per poi
gattonare fino a Katsuki seduto su divano, in cerca di conforto.
Katsuki scoppiò in una risata, si mise suo figlio sulle gambe e gli
massaggiò il pancino.
“Ne so qualcosa,
Bubba,” disse, in sintonia con la sua condizione. “Permettimi di
farti conoscere la Pepto Bismol”.”
Hisami si riprese un
po' attorno alle sette, dopo che il suo magico succo rosa fece
effetto.
Chiese a Katsuki di colorare con lui, offrendogli una
manciata di pastelli e un libro da colorare di Frostfire. Katsuki
ubbidì riluttante, mettendosi a colorare gli stupidi capelli di
Todoroki mentre Hisami disegnava sul suo quaderno.
Hisami era così preso
dal suo disegno da non notare Katsuki che dava una sbirciata al
foglio. Hisami stava scrivendo il suo nome con un pastello viola, un
kanji storto sopra una grossolana miniatura di se stesso. Nel disegno
teneva la mano a due alti omini stilizzati che dovevano chiaramente
rappresentare lui e Deku. Piegò le labbra in un gran sorriso,
immaginando di appenderlo al frigorifero per ammirarlo ogni giorno e
notte.
“Sai come scrivere il
nome del tuo papà?”
Hisami scosse la testa
e gli offrì il pastello viola perché lo aiutasse.
“Okay, ti faccio
vedere una cosa davvero figa, Bub. Guarda qui.” prese il pastello e
spostò il quaderno perché stesse in mezzo ai due. Scrisse metà del
nome di Deku sopra il suo omino, l'ideogramma che condivideva con il
nome di Hisami. Fece lo stesso con l'ideogramma nel suo nome sopra al
suo omino. Hisami parve incredibilmente sconcertato e leggermente
arrabbiato per il fatto che Katsuki avesse 'osato' rovinare il suo
disegno.
“Quello è il mio
nome, signor Tonto,” brontolò, incrociando le braccia e mettendo
il broncio. Il biondo aveva notato che ogni qualvolta Hisami si
arrabbiava con lui, passava da Papà a Spauroso o Tonto
in meno di cinque secondi.
“Oi! Non ho ancora
finito,” rispose Katsuki. L'impazienza era chiaramente una
caratteristica innata quando si trattava di Hisami. Lo avrebbero
potuto esibire come prova nel dibattito natura verso ambiente.
Terminò le restanti parti dei kanji per entrambi i nomi. Hisami
fissò il foglio per un momento, e Katsuki si domandò se avesse
capito quello che stava cercando di mostrargli.
“Il mio nome è il
tuo nome e il tuo è quello del papà?”
“Sì, Bubba. Diciamo
che più o meno è così.” sorrise e arruffò i capelli di suo
figlio. “Pronto per il bagno?”
“Niente bagnetto,
papà,” disse, colorando i capelli di Deku.
“Sì, bagno. Niente
discussioni. Puzzi come quel cazzo di gatto.”
“Linguaggio! Può
fare il bagno anche Cheeto?”
Katsuki rise,
sentendosi leggero. Non aveva mai riso così liberamente, mai sorriso
così tanto. Era beatamente felice ed era tutto merito del suo
splendido e ridicolo figlio.
Note della
Traduttrice:
Per chiarire magari un
po' di più l'ultima scena, in pratica il nome di Hisami si scrive
prendendo l'ultimo kanji di Izuku e l'ultimo kanji di Katsuki, come
si vede qui:
出久
-
Izuku
勝己
-
Katsuki
久
己
-
Hisami
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Capitolo 16 *** Relief ***
Capitolo 16 – Relief
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“Vuoi
andare a visitare la nonna e il nonno, oggi?” chiese Katsuki, e suo
figlio lo guardò sbattendo le ciglia perplesso.
“Nonno?
Anche io ne ho uno?”
“Sì.
Mia madre e mio padre. Ti ricordi di zia Misaki e zio Masaru?”
Provò
una piccola punta di dolore nel petto al sentire Hisami fare quella
domanda. Era una delle altre cose che gli ricordava tutto ciò che
gli era stato negato perché Deku aveva tenuto all'oscuro chiunque. I
suoi genitori avevano il diritto di conoscere il loro nipote.
“Nonna
e nonno?” Hisami sembrava piuttosto felice, e forse anche un po'
sorpreso dalla sua sempre crescente cerchia familiare. Si vestirono
per la giornata e uscirono.
Gli
occhi di Hisami brillarono come stelle quando entrarono nella casa
dove l'eroe era cresciuto. Katsuki si sentì un po' giù sapendo di
star per prendere i suoi genitori alla sprovvista, ma Deku era stato
d'accordo nel lasciare che gestisse lui per contro proprio la
faccenda, e Katsuki non era mai stato il tipo da conversazioni
pianificate. I suoi genitori -o meglio, sua madre- non ne era
ugualmente propensa, perciò pensò che fosse meglio andare
semplicemente al sodo. Si augurava soltanto che non se la prendesse
con Hisami. Mentre bussava alla porta, gli vennero in mente, col
panico, dei flashback di quando lo aveva confessato a Kirishima ed
Ashido, ma li allontanò con forza.
Suo
padre rispose alla porta, e con orrore di Katsuki, Hisami si attaccò
alla gamba di suo padre, con manine rapide ad aggrapparsi ai suoi
pantaloni cachi, proclamando, “Lo sapevi che sei il mio nonnino?”
La
risposta tranquilla e sincera che diede suo padre fu anche più
sorprendente.
“Lo
sapevo. Vai a dire ciao alla nonna. E' nel salotto.” il sorriso di
suo padre non faceva trapelare né confusione né shock, e Hisami
volò via, con lo zainetto che sobbalzava ad ogni suo passo. Suo
padre si voltò a guardare Katsuki, e un qualche residuo stralcio del
se stesso bambino si fece piccolo piccolo dentro di lui, terrorizzato
all'idea di deludere suo padre.
“Sorpresa?”
disse con voce debole.
“Non
proprio. Il bambino è la tua copia esatta. Furbo da parte tua
comunque portarlo con te, nel caso tua madre perda le staffe.”
“Già,
l'idea era quella. Lei... anche lei lo sa?”
“Parliamo
dentro.”
Katsuki
entrò nella sua vecchia casa sentendosi come un condannato al
patibolo. Hisami era seduto sulle gambe di sua madre, intento a
mostrarle gli scarabocchi nel suo quaderno. Sembrava abbastanza
contenta, mentre massaggiava la schiena di suo nipote e lui puntava
col dito i suoi disegni infantili. Quando vide Katsuki entrare nella
stanza, lo fissò profondamente, ma non con tutta quella ostilità
che si sarebbe immaginato da lei.
“Adoro
i tuoi disegni, Bubba,” disse lei, con la voce più dolce che
avesse mai usato in tutta la sua vita, Katsuki ne era certo.
“Papà
mi chiama Bubba,” replicò Hisami, come se quel soprannome fosse in
qualche modo unico.
“Il
tuo papà è stato il nostro Bubba da piccolo. Vuoi andare a fare
casino nella sua stanza?”
“Sì!”
Hisami svicolò dal grembo di sua nonna e volò su per le scale.
Katsuki si domandò che razza di casino si sarebbe trovato a
fronteggiare dopo che i suoi genitori avessero finito di fargli una
sana ramanzina. L'atmosfera si fece tesa e di ghiaccio una volta che
Hisami andò via, ma Katsuki si disperò per non essere il primo a
parlare.
“Okay,
marmocchio. Voglio sentirlo uscire dalla tua bocca.” Sua madre lo
stava squadrando dall'alto in basso, mettendogli effettivamente
addosso un terrore assurdo.
“Hisami
è biologicamente mio figlio e Deku ed io abbiamo trovato il
compromesso della custodia condivisa,” tirò fuori il rospo in
fretta, incapace di mantenere il sangue freddo. Sua madre imprecò e
suo padre aveva quasi
un'espressione compiaciuta sul volto. La donna uscì dalla
stanza, sbuffando e fumando di rabbia, e Katsuki era sicuro che
sarebbe tornata indietro con un qualche tipo di arma. Non fu così, e
ritornò pochi secondi dopo rovistando dentro la sua borsa. Lanciò
una mazzetta di yen a suo marito con estremo pregiudizio e l'uomo
osservò serenamente le banconote svolazzargli addosso. Katsuki si
sentì come all'interno di una realtà alternativa.
“Lo
sapevo,” disse suo padre, con un sorrisone.
“Maledizione.
Odio perdere.”
“Non
preoccuparti, cara. Ho perso anch'io. E' stata Inko a vincere
l'intera scommessa. Cinque mesi a partire dal pranzo -precisa come un
orologio.”
Katsuki
li guardò a bocca aperta. Eccolo lì, convinto che suo padre avrebbe
finito col singhiozzare e che sua madre avrebbe tirato in aria sedie
in preda alla rabbia, mentre invece i due sapevano già tutto.
“Davvero
lo avete sempre saputo e non mi avete mai detto niente?”
“No,
solo da quando vi abbiamo visto al pranzo. E' stato piuttosto
evidente una volta che ci siete capitati davanti insieme,” si
lamentò sua madre, ritornando a sedersi sul divano e mettendo da
parte la borsa.
“E
la cosa non vi turba?”
“Ci
siamo riuniti per discuterne, noi tre nonni. Sapere che Izuku potesse
arrivare a fare una cosa simile ha alquanto sconvolto Inko, ma
dopotutto voi due siete sempre stati stranamente ossessionati l'uno
con l'altro,” disse lei, e il modo rigido con cui teneva le spalle
fece capire a Katsuki che aveva già avuto la sua crisi riguardo alla
storia, e si era già ripresa, proprio come era successo a lui.
“Non
sono mai stato stranamente ossessionato da Deku,” replicò
stizzito, offeso da quella accusa.
“Quando
tornavi a casa da scuola passavi ore a straparlare di lui. Non
provare a mentirmi, ragazzo.”
Katsuki
si imbronciò. Era vero che un tempo Deku occupava una gran parte dei
suoi pensieri, ma una volta entrato alla UA le cose erano cambiate.
Lontano dagli occhi lontano dal cuore, per così dire. Forse tutti i
sogni erotici che faceva su Deku erano dovuti ai sentimenti
indesiderati e accantonati che provava per lui.
“Ad
ogni modo, noi amiamo quel bambino, e adesso non dovrò più
aspettare che tu ti dia una cazzo di regolata e darci finalmente un
nipote. Mi sembra che ci guadagniamo tutti così.”
“Non
vogliamo sembrarti insensibili. Sembra che la cosa ti renda felice,
per questo abbiamo pensato di non commentare nulla. Avevi bisogno...
di parlarne un po' più seriamente?”
Katsuki
fece una pausa, pensando a tutto quello che avevano appena detto.
Questo... questo non era per niente quello che si era immaginato.
Sinceramente, era quello che avrebbe desiderato succedesse quando si
era confessato con Kirishima e Ashido. Forse avrebbe dovuto
richiamarli. L'ultima loro conversazione era stata imbarazzante e fin
troppo formale, ma il baby shower era alle porte e non sarebbe stato
un amico tanto pessimo dal perderselo.
“No.
Ho più o meno deciso di non essere più incazzato per tutta questa
storia. Voglio bene ad Hisami.” Realizzò che quella era la verità
solo quando la disse ad alta voce. Di quello, però, ne era sicuro.
Non aveva idea di come riuscisse ad andare d'accordo con Deku, ma
quando si parlava di Hisami era fin troppo facile decidersi. “Non
avete dato di matto, sono sollevato.”
“Farlo
non avrebbe aiutato nessuno. Vogliamo sostenerti,” rispose suo
padre. Sua madre stava in silenzio, e Katsuki si ricordò di quel
vecchio detto che recitava “se non hai niente di carino da dire,
non dire niente.”
“Lo
apprezzo molto,” disse il biondo, e quando lo fece, fu come se gli
avessero tolto un macigno di dosso. I suoi amici potevano forse non
essere così tanto entusiasti delle nuove aggiunte alla sua vita, ma
perlomeno poteva contare sui suoi genitori.
“Vuoi
mangiare qualcosa, piccola peste?”
Notò
che sua madre non la stava prendendo poi così tanto bene, perciò
annuì e la lasciò fuggire nell'altra stanza. Gli occhi di suo padre
si fissarono su Katsuki, come facevano sempre quando percepiva che
suo figlio si trovasse, metaforicamente, sull'orlo di un precipizio.
Suo padre aveva un modo tutto suo di trattare con lui e sua madre,
era in grado di scalfire le loro ruvide corazze e arrivare dritto al
centro, tenero e nascosto.
“Come
stai, veramente, Katsuki?”
Buttò
fuori un grosso sospiro, e si afflosciò sul divano. Era andato tutto
abbastanza bene, e questo era un sollievo, ma non era sicuro di
riuscire a parlarne per davvero. Si era tenuto tutto dentro per così
tanto, che ormai sopportare era la sua reazione spontanea.
“Me
la sto cavando. Questo è il nostro primo weekend nel mio
appartamento, senza Deku, e sta andando bene. Sono fottutamente
stanco, però. Non ho idea di come faccia lui.”
“Come
vanno le cose tra voi due?”
“Bene
quanto ci si poteva aspettare.”
“Non
mi stai dicendo nulla così. Sii sincero. Non riesco ad immaginare
che tu ne sia stato felice sin dal primo istante.”
“E'
stato maledettamente difficile, papà. Non ho mai voluto una cosa
come questa, e sicuramente non la volevo con Deku, ma adesso che ce
l'ho...”
Suo
padre attese, dandogli il tempo di trovare le parole. Sapeva bene
quando era il caso di insistere e quando aspettare.
“Non
lo so. Continuo a pensare che Hisami non sarebbe Hisami, se in lui
non ci fosse una parte di me e una parte di Deku. Non so come
comportarmi riguardo a lui, ma quello che stiamo facendo adesso
funziona, credo. E' un bravo padre.” Katsuki scosse le spalle
perché non sapeva cosa dire. Ogni volta che provava a mettere a
parole quello che sentiva per o nei riguardi di Deku, finiva col non
farcela. Si accaldava, si arrabbiava e restava confuso. E i sogni non
aiutavano.
“Continuo
ad avere sogni erotici su di lui, non so come prenderla.”
“Uh,”
disse suo padre e Katsuki inorridì. Non
era quello il modo con cui intendeva fare coming out
con suo padre. Odiò il fatto che fosse così semplice aprirsi con
lui -motivo per cui evitava di farlo a tutti i costi. Diceva
un mucchio di cazzate senza nemmeno riflettere.
“Cristo,”
disse, passandosi una mano giù per la faccia. “Dimentica che l'ho
detto. Io e Deku stiamo bene. E' tutto.”
“Ovviamente
non è così. Stai cercando di dirmi che sei attratto da lui?”
“No.”
Katsuki scosse la testa con decisione, come se scuoterla forte
abbastanza avrebbe cacciato via certi pensieri dalla sua testa. “E'
solo che... cazzo.”
“Appunto,”
replicò suo padre, ridendo leggermente e prendendo un sorso da una
tazza con del the ormai freddo. Katsuki roteò gli occhi, quando poi
suo figlio comparve e non fu mai così tanto felice di rivederlo.
“Papà,
ho trovato dei pennarelli!”
“Lo
vedo,” disse ridendo. Hisami si era spogliato fino a restare con
solo le sue mutande a tema Ground Zero ed era completamente ricoperto
da scarabocchi fatti col pennarello. “Mi auguro che non fossero
indelebili.”
“Guarda,
ho disegnato te, e papà, e ci sono anche tutte le mie nonne e il
nonno,” disse, puntando col dito il ritratto di famiglia sulla sua
pancia.
“E
questo cos'è?” Chiese, pigiando un dito contro il bicipite di
Hisami.
“Un
tatuaggio! Proprio come quello di papà.”
“Oh,”
disse, perché stava avendo una mini crisi all'immaginarsi come
sarebbero cambiati i suoi sogni ora che aveva scoperto del tatuaggio
di Deku. Si domandò che aspetto avesse perché la massa informe sul
braccio di Hisami era indecifrabile. Suo padre sembrò notare il suo
momento di crisi, perciò intervenne.
“Andiamo
a pulirci, Bubba.”
Katsuki
gli rivolse uno sguardo colmo di gratitudine, prima di dirigersi
verso la cucina. Non voleva per forza controllare come stesse sua
mamma, ma sentiva di doverlo fare. Mitsuki stava aggressivamente
tagliando le verdure, brandendo un coltellaccio come una cuoca
professionista.
“Hey,
Ma. Posso aiutare in qualche modo?”
“Stai
bene?” fu la sua replica immediata e Katsuki notò che aveva gli
occhi velati. Nei suoi ventotto anni di vita, non aveva mai visto sua
madre piangere.
“Sto
bene,” le rispose con tono piatto. Anche se non fosse stato così,
avrebbe detto lo stesso. Si sentiva a disagio a vedere quanto tutta
quella storia toccasse sua madre. “E' tutto a posto.”
“Non
riesco a credere che l'abbia fatto. E tu ne non sapevi niente.
Tre anni persi della vita di tuo figlio e non li riavrai mai
indietro!” Sventolava distrattamente il coltello mentre parlava.
Alla fine, lo lasciò andare e quello si piantò dritto nel tagliere
in legno. Katsuki sentì di poter respirare un po' più liberamente.
“Non ne avevo idea, fino al momento in cui non vi ho visti insieme
ed era così dannatamente ovvio che mi sono picchiata per non
essermene accorta prima.”
“Lo
so. Non importa, in ogni caso.”
“Gli
tirerei un calcio nelle palle se sapessi che ti potrebbe far stare
meglio, o potesse aiutare in qualche modo. Sembra che tu la stia
prendendo bene.” sua madre piegò la testa sommessamente e forzò
Katsuki ad un abbraccio. Questo non andava bene. Poteva contare sulle
dita di una mano le volte in cui sua madre lo aveva abbracciato negli
ultimi vent'anni, ed erano tutte avvenute a seguito di attacchi dei
villain, degenze in ospedale e disastri naturali. Il fatto che lo
stesse abbracciando in quel momento significava mettere
essenzialmente l'esistenza di Hisami sullo stesso piano di una
esperienza quasi mortale.
“Non
piangere. E' stato uno shock, ma sono davvero felice. Amo quel
piccoletto, e lo stesso vale per te,” disse con voce dolce. Erano
anni che superava in altezza e in stazza sua madre. Mitsuki era
sempre stata piccola, ma mai gli era sembrata fragile prima di
quell'istante. Stava davvero sperimentando una realtà alternativa,
una dove sua madre piangeva e Katsuki era il figlio che la consolava.
Cercò di alleggerire la tensione.
“Diamine,
Ma. Non sapevo che fossi una tale piagnucolona. Tra te e Deku, finirà
che affogherò prima che l'anno finisca.”
“Non
dire il suo nome. Sono così dannatamente incazzata con lui,”
rispose lei, con il volto ancora nascosto contro il suo petto. La
stoffa della sua maglietta stretta nei pugni di Mitsuki.
“Non
esserlo. Gli ho urlato già io a sufficienza per una vita intera.
Stiamo cercando di far funzionare le cose.”
“Stai
davvero prendendo le difese del tuo auto-proclamato nemico mortale
per impedirmi di non urlargli contro?” Sua madre lo schernì e
Katsuki sperò che quello stesse a significare che sua madre
cominciava a sentirsi meglio. Rise anche lui, a quel ricordo
d'infanzia.
“Sono
abbastanza sicuro di essere stato uno stupido moccioso di otto anni
quando ho deciso di chiamarlo così. Non è così male.”
Ancora
una volta, era ricascato nella condizione di difendere Deku dalle
persone che si sentivano oltraggiate, per solidarietà a Katsuki.
Questa volta gli riuscì più semplice dell'ultima occasione. Si
domandò se quella sarebbe stata una sua abitudine quotidiana da lì
in avanti, quella di difendere Deku finché non fosse diventata una
azione automatica. Si stupì nel notare quanto poco gli desse
fastidio.
Alla
fine, le acque si calmarono e sua madre si ricompose a sufficienza
per asciugarsi gli occhi. Li distrasse la comparsa di Hisami e suo
padre in cucina, e sua madre fu rapita dal suo adorabile
chiacchiericcio e dai suoi tentativi di aiutarla a cucinare.
La
famiglia Bakugou non aveva mai vissuto una giornata così piena di
emozioni come quella. Era una sensazione positiva, invece che
soffocante e bizzarra. Mangiarono il pranzo e Hisami cadde presto nel
suo pisolino post-pappa sopra al suo letto. Proprio quando stava
chiudendo la porta della camera, il telefono vibrò nella tasca.
“Pronto?”
“Bro!
Ti prego vieni qui. Mina ed io abbiamo appena finito di sistemare le
cose nella casa nuova, e ci piacerebbe davvero tanto che venissi a
vederla.”
Cazzo,
aveva dimenticato che si erano trasferiti. Li avrebbe dovuti aiutare
a farlo. Era scioccante quanto gli mancassero i suoi amici, e quanto
si fosse perso mentre era impegnato a giostrarsi con la propria vita.
Era ancora un po' incazzato con loro per le cose che erano state
dette l'ultima volta che si erano riuniti, ma voleva essere lì per
loro ora che le loro vite stavano per cambiare drasticamente.
“Uh,
devo tenere Hisami questo weekend,” disse, invece che dare una
risposta definitiva.
“Portalo!
Possiamo usarlo per esseri sicuri che la casa sia sufficientemente a
prova di bimbo!”
“Oi,
mio figlio non è una specie di cavia,” replicò aggressivo,
fomentato da un paterno istinto di protezione che gli salì nel
petto.
“Lo
so, lo so. Troppo presto per gli scherzi. Colpa mia amico. Seriamente
però, vieni da noi. Voglio davvero scusarmi di persona e lasciarci
tutto alle spalle.”
“Hisami
è K.O. al momento. Vedrò se si sente di andare quando si sveglia,
vi farò sapere.”
Note
della Traduttrice:
Mi
dispiace davvero tanto per il ritardo dell'aggiornamento, sono
sommersa di impegni ;_; cerco di ricavarmi qualche spazio qui e là
(╥﹏╥) ma questo capitolo è
lunghetto
Baci
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