Pansy & Blaise

di ONLYKORINE
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il ritorno di Blaise ***
Capitolo 2: *** Il giorno dopo ***
Capitolo 3: *** Venerdì ***
Capitolo 4: *** Il matrimonio ***
Capitolo 5: *** Il ricordo di Ginny Weasley ***
Capitolo 6: *** La dama in giallo ***
Capitolo 7: *** Il finto dottore ***
Capitolo 8: *** Pansy ***
Capitolo 9: *** Fare pace ***



Capitolo 1
*** Il ritorno di Blaise ***


001. il ritorno di Blaise

*** scusate, questa non è una storia nuova, ma una storia che ho sbagliato a cancellare perché... (non cè una spiegazione logica, probabilmente ho disturbi mentali...) quindi scusate se l'avete già letta...

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I personaggi della saga di Harry Potter sono di proprietà dell’autrice JK Rowling e l’opera, di mia invenzione, è stata scritta senza scopo di lucro

Il ritorno di Blaise

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Draco e Astoria erano veramente carini insieme. Pansy sospirò e si sedette al tavolo, vicino a Theodore Nott.
“A cosa pensi?” Theo beveva vino bianco da uno dei bicchieri e la guardava di sottecchi. Era il suo miglior amico. L’unico che riuscisse a leggerle dentro come nessuno aveva mai fatto. “Trovo che siano carini”.
“Non ti dispiace neanche un po’?” Fece girare il liquido dentro il bicchiere.
“In che senso? Perché si sono sposati?” Il moro annuì.
Sorrise senza falsità. “No. Lo sai che Draco non mi interessava veramente neanche a scuola”. Alzò una spalla e prese un bicchiere anche lei.

 

 

Theo osservò l’amica. L’aveva provocata apposta. Sapeva che non le interessava Draco. Sapeva chi le interessava veramente ai tempi di Hogwarts. Sorrise e appoggiò il bicchiere. “A proposito… Guarda chi c’è…”
La mora alzò gli occhi e sorrise alzandosi in piedi. “Blaise! Ci sei anche tu! Sei tornato!” Theo guardò Pansy abbracciare Blaise con affetto e lui ricambiare la stretta.
Si alzò e salutò l’amico anche lui. “Cosa fai al tavolo dei single? Non avevi nessuna donzella disposta ad accompagnarti?” gli chiese, stringendogli la mano e posando l’altra sulla sua spalla.
Blaise sorrise e alzò le spalle. “I matrimoni sono i posti migliori per rimorchiare”. Già. Si sedettero tutti e tre.
Vide Pansy sbuffare sorridendo e girarsi verso gli sposi.

 

 

Pansy guardò verso la famiglia della sposa. Daphne, come sorella di Astoria, non sedeva al tavolo con loro, ma con i suoi genitori. La sua migliore amica dai tempi di Hogwarts era incinta di quasi otto mesi e suo marito, Steve, le teneva una mano sulla schiena, mentre la ragazza guardava verso il loro tavolo. Non riuscì a capire il suo sguardo.
Da quando Daphne si era sposata, il loro rapporto era cambiato. Le loro uscite si erano diradate e quando andava a casa sua, spesso si sentiva a disagio. Senza contare il fatto che lei tentasse in tutti i modi di accasarla con qualche amico di suo marito.
Pansy non voleva sposarsi. L’aveva detto anche ai suoi genitori. Non voleva un matrimonio di convenienza. Piuttosto, da sola. Aveva il suo lavoro e per ora le bastava. Guardò la mano di Steve accarezzare il pancione di Daphne.
Per, forse, quello, un po’ lo desiderava. Bambini. Sì, desiderava avere dei bambini. E un uomo che l’amasse. Non che amasse il suo patrimonio, il suo casato o il suo stato di sangue. Che amasse lei.
Sospirò e si voltò verso i ragazzi. Blaise la stava guardando. Gli sorrise e alzò il bicchiere per un brindisi nella sua direzione. Lui rispose alla stessa maniera e bevette. Per fortuna ci pensò Theo a tenere in vita la conversazione.

 

 

Blaise osservò Pansy guardare la sala. Sembrava triste. O forse era solo pensierosa. Non la vedeva da un sacco di tempo. Forse tre anni. E l’ultima volta si erano visti di sfuggita. Merlino, era sempre più bella. Quando si era alzata per abbracciarlo aveva visto il suo corpo snello fasciato in quel bellissimo vestito verde, che le metteva in risalto gli occhi, e aveva sentito il suo profumo di limone e menta quando si era stretta a lui. Aveva dovuto raccogliere tutta la forza che sentiva dentro per non stringerla troppo e portarla via. Per una volta, avrebbero potuto passare insieme del tempo senza complicazioni.
Vide Daphne avvicinarsi al loro tavolo. Oh, oh. Forse no, qualche complicazione ci sarebbe stata. “Ragazzi! Scusate se non sono passata prima, ma sapete, con tutte le cose che c’erano da sistemare… E poi questa…” disse, accarezzandosi la pancia e sorridendo a Pansy.
Merlino, se era tonda! Sembrava che stesse per scoppiare da un momento all’altro. Pansy si alzò e le disse di non preoccuparsi, prima di abbracciarla.
Poi Daphne si voltò verso Theo e, alla fine, verso di lui. Lo guardò con un’occhiata strana. Disse qualcosa ma Blaise non sentì. Pansy si avvicinò all’amico e disse: “Theo, andiamo a salutare gli sposi, che non l’abbiamo ancora fatto”.
Blaise capì che voleva lasciarli da soli. Lui seguì i ragazzi con lo sguardo e poi lo riportò sulla bionda.
“Come stai, Daphne?” Non si avvicinò.
“Sto bene. Non ce l’ho più con te, se è questo che intendi. Sono passati dieci anni, e poi non ti sei quasi fatto più vedere. Sarei un’oca se fossi ancora arrabbiata con te.” La vide lanciare un’occhiata al marito e lui osservarla.
Annuì. “Lo sai che mi è dispiaciuto…”
Annuì anche lei. “Sì, l’ho capito. Dopo, ma l’ho capito. Ma adesso…” Si voltò verso Pansy e Theo, lasciando la frase in sospeso. Si voltò anche lui. Il moro teneva la mano sulla vita della ragazza in un atteggiamento molto intimo. Troppo, per i suoi gusti.
“Lei è quasi fidanzata. E tu non sei capace di tenerti una ragazza per più di una settimana. Le rovineresti la vita. Non fare sciocchezze.”
Blaise sbatté gli occhi. Lo aveva detto davvero? Aveva capito che lui ancora… E poi, cos’altro aveva detto? Pansy… Fidanzata? “Perché è al tavolo dei single se è fidanzata?”
“Questo non è il tavolo dei single. Anche se Theo continua a fare battutine. E comunque il fidanzamento non è ancora ufficiale.”
Annuì senza dire niente. Lei non lo aveva detto. Stava con Theo? O con chi? Aveva letto qualche notizia, sul suo lavoro o sulla famiglia, ma del fidanzamento non aveva sentito niente. Altrimenti sarebbe venuto con una ragazza. Una qualsiasi.
Aveva pensato che sarebbe stato carino parlarle e chiederle di uscire insieme, adesso che lui era di nuovo a Londra. E che Draco si era sposato. Anche se era difficile. Anche se la scuola era finita da un bel po’.
Ma questo cambiava tutto. Sospirò quando Daphne se ne andò dopo averlo salutato con un bacio sulla guancia. Guardò verso gli sposi e vide che si erano aperte le danze. Alcuni elfi iniziarono a portare da mangiare, ma quasi nessuno era seduto. Si alzò e decise di andare a salutare gli sposi anche lui. In fin dei conti, era grazie a loro se era lì.

 

 

Pansy baciò e abbracciò Astoria. Aveva detto la verità. Era contenta che si fossero sposati. Sapeva che era un matrimonio d’amore e non di convenienza e questo la fece sorridere senza che se ne accorgesse. Prima di salutare anche Draco si trovò vicino Theo. Lui c’era sempre. Ma adesso era troppo vicino. Quando le posò la mano sul fianco e la fece scendere più giù, sbuffò. “Smettila, Theo”. Gli spostò la mano.
Lui ghignò strafottente. “Dai, se facciamo finta, c’è più possibilità di rimorchiare!” Ma i ragazzi pensavano solo a quello?
Sbuffò ancora e si avvicinò a lui per sussurrare: “Non vuoi rimorchiare. Lo sai benissimo”.
Il moro cambiò espressione per pochi secondi e poi tornò a ghignare. “Io parlavo di te. Dovresti farti sbattere un po’…”
“Theo!” gridò sottovoce, scandalizzata.
Lui rise, beffardo e si allontanò dicendo ad alta voce: “Però ti farebbe bene”.
Theo era innamorato di una ragazza babbana, ma lei non sapeva che lui fosse un mago. E lui non sapeva come gestire la cosa. Lei non avrebbe accettato lui e quello che rimaneva della famiglia del ragazzo non avrebbe mai accettato lei.
Lo guardò per un po’, poi si voltò per andare a salutare anche Draco. Quando lo baciò sulle guance facendogli le sue congratulazioni, la band che intratteneva gli ospiti iniziò a suonare un brano movimentato. Rimase imbambolata e, per un attimo, spaesata ma poi Draco le prese la mano e la fece ballare. Si guardò intorno e vide Astoria ballare con uno degli altri ragazzi e non si preoccupò.
Dopo due brani, la band cambiò ritmo e suonò un lento. Oh, no. Un lento no. Draco fece il gesto di prenderla fra le braccia, ma lei scosse la testa e, indicando Astoria con il capo, gli disse: “Balla con la tua sposa”, e lo spinse delicatamente verso la moglie.
Li osservò mentre si allacciavano e iniziavano la danza. Fece due passi indietro e si scontrò con Blaise.

 

 

Non c’era un’occasione migliore di quella. Sembrava un caso. Quando lei indietreggiò, Blaise fece qualche passo avanti e lasciò che lei gli finisse addosso.
“Attenta” sussurrò vicino al suo orecchio. Le mise una mano sul ventre, come per proteggerla ma solamente per godersi quel contatto, Pansy si voltò, rossa in viso, scusandosi e lui sorrise scuotendo il capo.  Spostò la mano al centro della sua schiena e disse: “Balliamo”, prendendole la mano.
Non glielo chiese. Aveva paura che dicesse di no. Così lo disse e basta, trascinandola al centro della pista. Lei non poté negarsi. Gli mise la mano libera sulla spalla e si avvicinò. Valeva la pena essere venuto al matrimonio solo per questo.

 

 

Quando Blaise l’aveva abbracciata da dietro aveva sentito le guance andare a fuoco e un brivido percorrerle il corpo. Poi aveva capito che non la stava abbracciando, l’aveva solo presa per non farla cadere quando gli era finita addosso. Che sbadata!
Ora stava ballando fra le sue braccia e si sentiva così bene. Ai tempi di Hogwarts avrebbe dato la bacchetta per una cosa del genere. Balle, mica solo al tempo di Hogwarts. Anche adesso. Si rese conto di arrossire ancora e cercò di staccarsi da lui. “Io… vado alla toilette…”

 

 

Blaise rimase un attimo stranito quando lei se ne andò, così poi tornò al tavolo. Theo lo guardava. “Cosa c’è?”
“Cosa hai fatto?” Theo lo guardava molto male.
“Cosa ho fatto?” chiese, non curante. Merlino, era stato così evidente?
“Qualunque cosa tu abbia in mente, Blaise, non farla.”
Lo guardò negli occhi. Theo era un caro ragazzo. Un vero amico. Ma adesso non lo sembrava per niente.
Quando Theo seguì con lo sguardo Pansy che andava in bagno gli chiese: “Sei tu il suo fidanzato?”
L’espressione del moro fu impagabile. Sembrava che avesse ingoiato un pixie. Avrebbe quasi riso. “Pansy non è fidanzata”.
“Daphne ha detto di sì.”
Theo fece un’altra faccia strana. “Daphne?” Poi dovette fare due più due e chiese sottovoce, avvicinandosi a lui con il busto: “Ti piace Pansy?”
Blaise non disse niente. Se gli piaceva Pansy? Magari. Sarebbe stato come avere una cotta. Un interesse. Un flirt. E invece lui erano dieci anni che non riusciva a togliersela dalla testa.

Piace non è la definizione giusta, Theo.

 

 

Theo sorrise. Ma poi si rabbuiò. Merlino! A Blaise piaceva Pansy.  E Daphne aveva detto a Blaise che Pansy era fidanzata. Doveva averlo fatto apposta, visto che non era vero. Ma perché? Possibile che…
“Hai mollato Daphne per Pansy? A Hogwarts?” Quanti anni prima? Merlino. Blaise lo guardò senza dire niente. Cioè, a Blaise piaceva Pansy dal tempo della scuola? Oh, se si fossero parlati all’epoca! Si passò una mano fra i capelli e aprì la bocca per dire qualcosa, quando sentì la sedia vicino a lui muoversi e parlare.
“Eccomi. Cosa c’è di buono?” Ah no, non era la sedia. Era Pansy. La guardò di sottecchi. Sembrava accaldata. Ma c’era caldo. La gente che ballava, il vino, il tendone. Ci stava tutto. Si riprese quasi subito.
“Niente. Ma il vino è eccezionale”. E prese il calice guardando Blaise.
Pansy sorrise e prese il suo bicchiere. “Allora berrò il vino”.

 

 

***

 

 

Quando, quella sera, si smaterializzò a casa, Blaise non era riuscito a parlare con Pansy. Theo non li aveva più lasciati da soli. Probabilmente non si fidava di lui. Oppure voleva provarci con lei. Non lo aveva capito.
Blaise odiava i matrimoni. Non ci andava mai. Ma Draco era Draco e, nonostante tutto, era uno dei suoi migliori amici. Ed era contento di esserci andato. E vedere Pansy gli aveva fatto bene.
Imprecò quando vide il gufo della madre aspettarlo sullo schienale del divano. Gli diede un boccone e aspettò che gli lasciasse la pergamena.
Quando la lesse imprecò ancora. Più volte.

 

 

***

 

 

Pansy aveva i nervi a fior di pelle. Tre giorni prima aveva litigato con suo padre, con sua madre e con Daphne. Con Daphne, sì. Daphne, quella che credeva la sua amica, si era coalizzata con i suoi genitori e contro di lei e aveva organizzato un fidanzamento con un tipo che neanche conosceva. Ma Daphne sosteneva che fosse un tipo a posto, un bravo mago, una cara persona e che sarebbe stato perfetto per lei. Non ci aveva visto più. Aveva detto a Daphne tante cose, molte delle quali molto più cattive di quel che si meritasse e ora era pentita. In fin dei conti era incinta e non doveva subire forti emozioni. Ma lei aveva perso la testa e non ci aveva pensato.
Ora era difficile chiedere scusa. Anche perché non voleva cedere. Era la sua vita. Avrebbe dovuto decidere lei. Lei avrebbe scelto chi sposare. E il fatto che avesse detto di no a tutti quelli che glielo avevano chiesto, non c’entrava per niente con il ragazzo moro di cui si era innamorata ai tempi della scuola. Erano passati dieci anni. E lei era cresciuta. Però averlo rivisto…
Ma ora aveva altro a cui pensare. Ora aveva quel guaio al lavoro. Merlino, Merlino, Merlino! Aveva fatto uno sbaglio grosso come un Ungaro Spinato. E adesso… Sospirò. Aveva bisogno di una pausa. Si guardò intorno nel suo appartamento londinese e decise di uscire.
Appena materializzata in Diagon Alley alzò il viso verso il sole. Aveva fatto bene a vestirsi con cura. Quando andava al lavoro sembrava sempre vestita come un Elfo domestico, ma a lei piaceva davvero vestirsi bene e scegliere gli accessori, quando ne aveva tempo. E adesso aveva tempo. Tanto tempo. Almeno che servisse a qualcosa.
Si fece forza ed entrò alla Gringott.

 

“Cosa vuol dire che non posso prendere i MIEI galeoni?” Alla quarta volta che dovette rifare quella domanda, Pansy urlò contro la biondina con la gonna corta e la maglietta striminzita che le stava davanti. La poveretta era terrorizzata, ma non abbastanza da permetterle di prelevare il denaro.
Continuava a guardarla e poi balbettò: “Suo padre…” Imprecò ad alta voce. Ora non le interessava più, non attirare l’attenzione.
Ogni volta che rifiutava un candidato al matrimonio, suo padre le toglieva la possibilità di accedere al conto di famiglia. Ma che diamine! Questa volta non lo avrebbe permesso. Era una cosa stupida. Anche lei guadagnava! Era anche suo il denaro! E poi erano passati tre giorni, suo padre avrebbe già dovuto averci ripensato, come le altre volte.
Sbuffò e fece un finto sorriso alla ragazza (doveva essere uscita da Hogwarts da poco, sembrava molto più giovane di lei e, purtroppo, molto più carina).
“Ascolta, dov’è il tuo capo? Il direttore? Il signor Harris. Dov’è il signor Harris?” Il direttore sapeva di questo suo piccolo problema con il padre e l’aveva sempre aiutata. Anzi, di solito le andava incontro prima ancora che lei passasse dalla seconda porta dell’ingresso.
“Il signor Harris non c’è più…” Il sorriso di Pansy si congelò e sparì alla velocità di una smaterializzazione.
“Come non c’è più?” Per un attimo si sentì spaesata. Si passò una mano fra i capelli e sospirò guardandosi intorno.
Non sarebbe tornata a casa dei suoi a pregare suo padre di darle i SUOI galeoni. “Lui non lavora più qui da…”

 

 

“Brittany, che succede? Cos’è tutta questa confusione?”
Blaise aveva sentito le urla fin dal suo ufficio. Quel posto era gestito malissimo. E sì che era la banca più importante del mondo magico. Sospirò.
Si era alzato dalla scrivania quando aveva capito che nessuno era in grado di fare il proprio lavoro, ma quando uscì dall’ufficio si trovò davanti a un litigio fra due donne. Merlino, era in grado di gestire una scaramuccia femminile? E poi, voleva davvero farlo? Non avrebbe potuto farlo qualcun altro? No, purtroppo no. Era lì per sistemare tutti quei problemi.
La ragazza che riusciva a vedere in viso era la cassiera, aveva imparato il suo nome perché lei glielo aveva scritto con cuoricini e fiorellini vicino al suo indirizzo in una miriade di pergamene profumate che lui trovava sulla scrivania tutti i giorni e regolarmente faceva sparire con un Evanesco della bacchetta.
L’altra invece non la vedeva in viso e non capiva chi fosse. Era girata di spalle e si agitava un po’. Forse una della contabilità. Non era ancora salito al piano della contabilità e non conosceva tutte le impiegate. Pensava che alla contabilità ci fossero solo folletti.
Beh, era stato un grosso errore. La ragazza aveva un gran fondoschiena e un vestito corto che lasciava ben poco da immaginare di quelle lunghissime gambe. I lunghi capelli scuri sciolti sulle spalle gli ricordarono Pansy. Oh, Troll che non sei altro! Da tre settimane, ossia da quando l’aveva vista al matrimonio di Draco, tutto gli ricordava Pansy. Non sarebbe mai riuscito a non pensarci. Avrebbe dovuto sistemare velocemente la questione alla Gringott e partire di nuovo.
Brittany gli sorrise di quel sorriso che aveva visto mille volte sul viso di altrettante ragazze e gli rispose civettando: “Non si preoccupi, è tutto a posto, signor..”
“Tutto a posto uno snaso a cavallo!” Blaise spalancò gli occhi mentre la ragazza che urlava si girava e si mostrava, visibilmente arrabbiata. Merlino, era Pansy davvero! Non era una dipendente. Non riuscì a non esclamare: “Pansy!”
Lei sorrise, riconoscendolo. Un sorriso vero. E stanco. Stanchissimo.

 

 

“Blaise!” Pansy era rimasta un po’ sorpresa. Piacevolmente sorpresa. Pensava che lui fosse di nuovo andato via, ovunque andasse quando lo sentiva nominare dagli altri ex serpeverde.
Ma quindi era lui il nuovo direttore? E da quando? “Ma sei tu il nuovo direttore?” E avrebbe potuto aiutarla, come faceva il vecchio dipendente?
Lui scosse le spalle senza rispondere e disse: “Che problema c’è?”
La ragazza bionda che aveva di fianco tentò ancora di ribadire che non ci fossero problemi al che lei la incendiò con uno sguardo.
Si avvicinò al moro e disse “Non è che puoi aiutarmi? Non vogliono lasciarmi andare alla mia camera blindata…” Blaise le fece cenno di seguirlo nell’ufficio.
Pansy si voltò verso la ragazza bionda e ghignò. Com’è che l’aveva chiamata Blaise? Brianna? La salutò con un gesto affettato. Piccola stronza.

 

 

Blaise non riuscì a nascondere un sorriso quando Pansy disse: “Ciao Brianna”, in maniera artificiosa. La seguì nell’ufficio che occupava, fece sedere Pansy davanti alla scrivania del vecchio direttore e le chiese se volesse qualcosa da bere. O che domanda stupida! Blaise, lei è qui per una questione di lavoro, non è venuta a casa tua a trovarti!
Per fortuna lei non si accorse dell’errore e si sedette scrollando il capo e guardandosi intorno. “Hai fatto bene a togliere quei quadri dalle pareti. Quello che c’era lì era veramente orribile” disse, sventolando la mano in alto.
Quindi era stata lì altre volte. Forse più volte. A fare che? Il signor Harris non era la persona migliore di questo mondo e aveva lasciato un sacco di casini.
“Cos’è successo?” le chiese, guardandola. Lei divenne rossa e si fece piccolina, ma poi si raddrizzò.
“Mio padre ha di nuovo revocato il mio accesso alla camera blindata…” Come? Blaise spalancò gli occhi. Cosa voleva dire? E cosa voleva dire ‘di nuovo’?
“Sì, beh…” balbettò lei, ora aveva lasciato vagare lo sguardo per la stanza, come se non riuscisse a guardarlo in viso. “Quando litigo con i miei… Mio padre mi toglie…” Sospirò.
Ma chi è che faceva una cosa del genere? Suo padre le toglieva l’accesso alla camera con i galeoni? E perché? Ma non erano galeoni di Pansy?
“Ho capito. Ma perché non hai una camera blindata tua? Con il tuo lavoro…” Capì di aver sbagliato quando la ragazza lo guardò direttamente negli occhi stringendo i suoi.
“Cosa sai del mio lavoro?”
Tentennò, ma non troppo. Aveva imparato quell’arte da un sacco di tempo. Scosse le spalle. “Non lavori al San Mungo? Immagino che tu sia stipendiata, no? Perché non hai una camera tutta tua? Non avresti bisogno del permesso dei tuoi genitori”, per usare i soldi che ti guadagni.
Lei alzò le spalle e lo guardò confusa. “Il signor Harris diceva che non avrei potuto avere una camera tutta mia. Non è vero?” Come? Quell’idiota di Harris aveva detto di no? E perché mai? Se avevi un lavoro, potevi avere una camera. Merlino, anche se non lo avevi, a volte!
Poi le chiese: “Capita spesso che tuo padre decida di toglierti l’ingresso alla camera?”
Lei rise nervosamente e si passò una mano fra i capelli. “Bo, forse una volta ogni settimana o ogni due.  A volte non vengo neanche qui e ci pensa mia madre. È che di solito il giorno dopo gli è già passata e io neanche me ne accorgo. Ma stavolta sono passati tre giorni, pensavo che…”
Prima di impedirsi di parlare le chiese: “Perché avete litigato?”
Lei alzò le spalle “Solite cose…”
Ossia? Lui non aveva un padre, non lo sapeva. Pensò ai padri dei suoi amici. Theo aveva un padre molto vecchio e solo, lo vedeva pochissimo da quando era uscito da Azkaban. E Draco, beh, Draco litigava con suo padre quando era a Hogwarts per via del signore oscuro e da quando era caduto, gli parlava a malapena. Di cosa si litigava nelle famiglie normali?
Lui continuò a guardarla e lei si spazientì. “Ascolta, oggi è il mio primo giorno libero dopo tre settimane di lavoro filate. Ho bisogno di rilassarmi in una Spa e di non pensare a niente, quindi: Puoi aiutarmi? Se non puoi, va bene uguale e me ne vado”.
No. Non voleva che se ne andasse. Se suo padre le inibiva l’ingresso alla camera così spesso, magari l’avrebbe vista più volte anche lui.
Harris! Ecco cosa faceva Harris! Le aveva detto di no per la camera così quando lei non poteva accedere ai galeoni andava a cercarlo. Oh. E sì che pensava fosse un idiota. Ma certo che era un idiota! Scosse la testa per riordinare i pensieri.
Lei dovette capire male perché tentò di alzarsi dalla sedia. “No. No, aspetta. Scusa, non sono bravo a spiegarmi. Intanto, possiamo fare le pergamene per avere una camera blindata per te. Ti interessa?”

 

 

Se le interessava? Pansy sospirò. Certo che le interessava! Non era divertente tutte le volte andare nell’ufficio di quel viscido mago a chiedergli di darle i SUOI galeoni. Annuì. Sperò che non ci volesse troppo tempo. Voleva davvero andarsi a rilassare. Per Salazar, se ne aveva bisogno. Guardò di sottecchi il moro che alzava la bacchetta facendo comparire dei moduli di pergamena. Però anche stare un po’ con lui non le dispiaceva per niente. Magari avrebbero potuto chiacchierare un po’.
Blaise le era mancato. Anche se non erano mai stati amici come con Theo, o se spesso faceva battutine su lei e Draco o la prendeva in giro, sapeva che non era cattivo, a Hogwarts. Cosa faceva adesso? Si scoprì interessata. Oh Pansy, ancora questa storia? Sono passati quasi dieci anni…
Ma avrebbe potuto andare il giorno dopo alla Spa, non aveva fretta. E no, niente fretta. Una settimana, le avevano dato. Una settimana. Vacanza l’avevano chiamata. Sospirò. Ci mise pochissimo a compilare quello che doveva e dopo gli chiese: “Ma quindi non posso avere niente?”
Lui scosse la testa. “Non oggi”. Oh, Merlino. Niente Spa.
E cosa avrebbe fatto?

 

 

Lei si era rattristata. Era impossibile vederla in quello stato, per lui. Così disse: “Però avrei bisogno anch’io di rilassarmi. Potremmo andare insieme. Penserei io ai… conti. Che si fa in una Spa?” Lei lo guardò divertita, ma poi divenne sospettosa.
“E perché dovresti voler venire con me?” Lui si rese conto, di nuovo, di essere stato precipitoso.
“Te l’ho detto, voglio rilassarmi anch’io”. Alzò le spalle in un gesto innocuo imparato in più di vent’anni a contatto con vecchie zie impiccione.
“Ma se non sai neanche cos’è una Spa!” Lei non era stupida. Ok, voleva solo passare del tempo con lei. Merlino, sarebbe stato con lei anche se avesse dovuto guardarla mentre… mentre… non gli venne in mente niente. Ma lo avrebbe fatto. E non lo avrebbe confessato.

 

 

Che intenzioni aveva Blaise? Perché le aveva proposto di andare insieme in una Spa se non sapeva neanche cosa fosse? C’era sotto qualcosa. Si annoiava della vita monotona di Londra e pensava che lei fosse una preda facile? Sapeva che rimorchiava ragazze con la stessa frequenza con cui sua madre cambiava i fiori in sala da pranzo. Lo raccontavano sempre Draco e Daphne quando parlavano di lui. Ma aveva capito male.
“Non verrò a letto con te” mise in chiaro. Lui rise. Oh. Rideva. Di lei? Avrebbe dovuto stare zitta. Merlino! Che cosa stupida aveva detto! Poteva lanciargli un Oblivion? Che figura!

 

 

Blaise rise per non rattristarsi. Ma era bravo nei bluff. Così disse mentre raccoglieva le pergamene: “Non te l’ho chiesto. Però c’è una cosa che potresti fare per me e saremmo pari”.
Si fermò quando entrò un folletto a cui diede le pergamene e quando uscì di nuovo dalla stanza lei chiese: “Ossia?”
Blaise si fermò a guardarla. Lei era incuriosita, ma non lo chiese ancora. Aspettò. Quando si agitò un po’ sulla sedia, ghignò. Una piccola, dolce tortura. “Che fai sabato?”

 

 

Sabato? Che domanda era? Pansy ci pensò. Di solito il sabato lavorava. Ma ora… cosa avrebbe fatto? Niente. Assolutamente niente. Alzò le spalle. Non voleva sembrare una di quelle ragazze che non hanno niente da fare. Sperò che lui continuasse.
“Sabato mia madre si sposa”. Oh. La mamma di Blaise? Era vedova da così tanto tempo…
“Oh!”
“Già”. Già cosa? In fin dei conti la vita va avanti, no?
“E quindi?”
Lui scrollò le spalle. “Ci vieni con me?”
“Dove?”

 

 

Blaise un po’ si spazientì. Ma ci era o ci faceva? “Al matrimonio!” Lei spalancò la bocca. Per Salazar se era bella. “Al matrimonio di tua madre? Con te?”
Lui rimase zitto, aspettando una risposta. Diamine, perché non ci aveva pensato prima? Era un’ottima scusa. E non ci sarebbero stati gli altri. Niente Theo, niente Daphne.
“Perché lo chiedi a me? Non hai una ragazza da portare?” Una ragazza? Una ragazza di quelle che frequentava lui al matrimonio di sua madre? Piuttosto una cruciatus. Alzò un sopracciglio.
Lei sospirò. “Ok, va bene. Va bene. Ho capito. Per tua fortuna non ho impegni improrogabili, sabato, quindi sì. Se mi porti alla Spa oggi, io ti accompagno al matrimonio di tua madre”. Lui annuì sorridendo. “Sorridi perché non hai la più pallida idea di cosa si faccia in una Spa…”
Il suo sorriso svanì mentre lei ridacchiava e si alzava dalla sedia. “E tu hai accettato perché non conosci mia madre”.
Lei si fermò e anche il suo sorriso sparì.
Almeno erano pari. Quando si voltò, ghignò anche lui.

 

 

***

 

 

“Allora perché hai litigato con i tuoi?” Quella sera, seduti al tavolo di un locale babbano, dopo aver passato tutta la giornata in una Spa, Blaise tentò ancora la domanda.
Erano seduti uno di fronte all’altra, seduti su due panche ricoperte di stoffa rossa ed erano abbastanza vicini, per essere divisi dal tavolo. Gli piaceva quel posto. Era intimo e carino. Lei gli aveva detto che ci andava spesso e così si erano fermati lì per mangiare.
Blaise era affamatissimo. Non avevano pranzato e in quella stramaledetta Spa gli avevano dato solo tisane e bevande calde. Si allungò a prendere i grissini. Alla fine, la Spa era un posto noiosissimo, dove le donne si rilassavano, anche se il massaggio che gli aveva fatto la ragazza con gli occhiali era stato favoloso.
Per fortuna Pansy aveva insistito, quando lui aveva detto che non si faceva mettere le mani addosso da nessuno. Beh, più che altro lei aveva ridacchiato e fatto doppi sensi, ma alla fine, gli era piaciuto. E anche le ore che avevano passato insieme nella vasca idromassaggio.
Ma il resto… Le luci colorate, i sassi per terra, il bagno turco… tutte stronzate.

 

Pansy tornò alla realtà. Si era imbambolata nel ricordo di quel pomeriggio.
Ma quanto avevano scherzato nella vasca idromassaggio? E quante volte aveva desiderato non aver detto quella stupida frase, nell’ufficio della Gringott, quando lui le era vicino? Oh, Merlino!
Poi Blaise le chiese di nuovo perché avesse litigato con i suoi. Sospirò.
Beh, avevano condiviso un sacco di risate e ricordi nella vasca…
“Mmmm…. Se te lo dicessi, dopo dovrei lanciarti un Avada Kedavra…”

 

Blaise rise. Per Salazar, quella ragazza continuava a sorprenderlo. Era divertente e stava così bene con lei. Ma poi lei guardò da un’altra parte, come nel suo ufficio.
“Potrei provare a schivarlo” provò ancora. Lei sorrise tristemente.
“Dai. È umiliante. Già è umiliante venire alla Gringott e scoprire che tuo padre ti ha tolto, di nuovo, il permesso alla camera di famiglia…”
“Ok”. Le coprì una mano con la sua. Con piacere scoprì che lei non soltanto aveva avuto un brivido al contatto, ma non aveva ritirato la mano. Sorrise.
“Guarda che lo faccio per te. Non mi sembri agile nello schivare i miei incantesimi!” Santo Merlino! Lei ghignò mentre lo guardava di sottecchi. Non riuscì a non ridere ancora. Pansy tolse la mano da sotto la sua e lui sentì la sua mancanza, ma poi gli disse guardando verso il centro del locale: “Ho rifiutato una proposta di matrimonio. Lui fa sempre così, quando rifiuto un fidanzato”.
Come? COME? Sbatté gli occhi.

 

Pansy non riuscì a guardarlo mentre glielo diceva. Era così umiliante. I tuoi genitori tentano in tutte le maniere di farti sposare (con chiunque) e tu sei costretta a dire a tutti quei ragazzi che non sei interessata.
Lui prese la sua birra, la indicò con il bicchiere come per un brindisi, e disse: “Hai fatto bene”. E non le chiese nient’altro.
Gli sorrise mentre beveva. Poi il suo sguardo vagò dietro di lui e vide entrare una persona che conosceva. Merlino! Si guardò intorno, ma per smaterializzarsi avrebbe dovuto alzarsi in piedi. E non doveva scordarsi di essere in un locale babbano.
Quando vide che la ragazza si girò verso il loro lato del locale, si accucciò e si nascose sotto il tavolo, prima che la vedesse.

 

Quando vide Pansy sparire sotto al tavolo strabuzzò gli occhi. “Ma cosa fai?”
“Stai zitto e fai finta di essere da solo. Ti prego!” Lui non capì niente, ma dopo pochissimo, una ragazza dai capelli fulvi passò vicino al loro tavolo e si fermò quando lo riconobbe.
“Zabini! Sei di nuovo a Londra?” Alzò lo sguardo sulla rossa e sorrise.
“Weasley. O dovrei dire signora Potter?” Lei sorrise e annuì, accarezzandosi inconsapevolmente la pancia. Doveva essere incinta, ma di poco. Ma cos’era un’epidemia?
“Già…” Il suo sguardo però era strano, aveva gli occhi cerchiati e sembrava sfinita.
Si guardò intorno e poi tornò a guardare lui. “Non è che… hai visto la Parkinson? So che di solito viene qui a cenare…”
Lui scosse la test.a “No, mi spiace”.
Ma la signora Potter guardò il tavolo e, vedendo i due bicchieri di birra babbana, alzò un sopracciglio.
“E tu sei qui da solo?” 
“Già.”
Lei sospirò. “Sei venuto qui da solo e bevi da due bicchieri?”
Lui continuò a sorridere. “Il medimago dice che fa bene idratarsi”
Sentì la mano di Pansy stringergli un ginocchio, sotto al tavolo. Oh, Merlino. Era bravo a bluffare e sostenere conversazioni anche assurde, ma non se lei era così vicino. O se teneva la sua mano lì.
Avrebbe potuto far finta che non ci fosse, se lei non lo avesse toccato. La rossa sospirò. “Era qui e se n’è andata quando mi ha visto, vero?” Lui annuì, incapace di parlare perché la mano di Pansy strinse ancora di più.
“Ascolta…” La moglie del salvatore del mondo si sedette al posto di Pansy e lui dovette aprire le gambe quando sentì il corpo della ex serpeverde premergli addosso mentre si spostava per lasciarle lo spazio sotto il tavolo.

Oh, Santo Salazar, giuro che non intendevo questo quando avevo desiderato averla vicino!
“So che non ne possiamo parlare fuori dal San Mungo, ma io ho veramente bisogno di parlarle. Glielo puoi far sapere? È una cosa molto importante”
Lui annuì. “Ma perché non le spedisci un gufo?”
La piccoletta lo guardò un po’ triste. “Vengono tutti bloccati al San Mungo. Non riesco a spedirle niente a casa. Non so il perché. E non voglio passare dal San Mungo…”
Lui alzò le spalle. “Chiedi a tuo marito come fare per…” Non riuscì a finire la frase e si bloccò perché la mano di Pansy questa volta gli toccava la coscia in tanti colpetti leggeri ma insistenti e subito dopo lo strinse forte.
“Forse la vedrò domani. Posso darle il tuo messaggio“. Sentì la sua voce incrinarsi un pochino.
Merlino, adesso la sua mano era troppo vicino al suo inguine!
La rossa lo guardò con uno sguardo veramente tristissimo, si alzò in piedi e disse: “Per favore, diglielo davvero”. Poi si diresse verso l’uscita del locale e lui, attraverso la vetrina, seguì il percorso della ragazza fino a una viuzza laterale e la vide smaterializzarsi.
“È andata via” disse ad alta voce, per Pansy. Lei aveva ancora la mano sulla sua gamba.
Poco dopo sentì freddo dove prima era appoggiata la ragazza e la vide sedersi di nuovo sulla panca di fronte a lui. Ma cos’era successo? E poi, perché era successo? Era stata una cosa troppo seria. Pansy era troppo seria.
Cercò di scherzare, anche se capiva che era qualcosa di grosso. “La gente qui intorno penserà che sei andata sotto il tavolo per farmi un…”
“Blaise!” gridò forte Pansy interrompendolo, tanto che si girarono almeno tre o quattro persone, dagli altri tavoli, verso di loro.
Lui ghignò strafottente. Ma lei non si scompose. “Se lo avessi fatto davvero, la tua faccia sarebbe più compiaciuta, te lo assicuro!” E lo indicò con il dito e con un sorrisino delizioso sul viso.
Il ghigno di Blaise sparì. Cosa aveva detto? Oh, Merlino! Quando arrivò da mangiare stette zitto, incapace di dire qualsiasi cosa, forse per la prima volta in vita sua.
Quando vide Pansy scolarsi metà della birra in un solo sorso le chiese, alzando la mano per fare un cenno alla cameriera di portare altre birre: “Cos’è successo con la moglie di Potter?”

 

 

 

Quando Blaise glielo domandò, non fu troppo sorpresa, ma fu difficile spiegarlo lo stesso. "Ho ucciso suo marito".
Il moro iniziò a tossire. Tanto. Lei strabuzzò gli occhi e si alzò per arrivare dall’altra parte del tavolo e dargli delle pacche sulla schiena. Lui si spostò un po’ e lei si sedette di fianco al ragazzo.
Quando smise di tossire, gli allungò la birra che la cameriera aveva portato e sospirò.
“Non davvero”, non ancora
“Tu-sai-chi si rivolterebbe nella tomba e non te lo perdonerebbe mai!” Ridacchiò per non piangere.
“Ho fatto un casino, Blaise. Mi sono messa in un guaio grosso quanto…” Si guardò intorno ma non le venne in mente niente.
“Come Hogwarts?” Cercò di farla sorridere lui.
Lei scosse la testa. “Di più. E non posso raccontarti niente. Non posso parlarne con nessuno… Il legalmago me l’ha proibito. Non posso parlarne neanche con lei…” E indicò con il capo il posto dove prima era seduta la rossa. Si allungò a prendere la sua birra e ne bevve un lungo sorso.
“Mi hanno sospeso. Per una settimana. Cioè, l’hanno chiamata ‘vacanza’ però quello che intendevano era: ‘Hai fatto uno sbaglio, hai quasi ucciso la persona più importante del mondo magico e non vogliamo più saperne di te. Speriamo che tu lo capisca e decida di lasciare il lavoro’. E io non so più cosa fare. Ho paura, Blaise, ho paura a guardare un paziente e pensare di ucciderlo perché non sono più in grado di fare il mio lavoro…”
Blaise non disse niente, ma le prese ancora la mano e intrecciò le dita con le sue. Appoggiò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi.
Lui odorava di buono. Di casa. Era così da quando se lo ricordava. Poi lui disse qualcosa di molto stupido e lei si girò verso di lui sorridendo. Dopo dieci minuti rideva come una ragazzina di quindici anni.

 

Quando lei finì la terza birra senza aver toccato cibo, Blaise capì che avrebbe dovuto portarla via. Quando si alzarono e lei barcollò, capì che non sarebbe riuscita a smaterializzarsi da sola.
Uscirono dal locale e lei sospirò, prima di rabbrividire. Aveva addosso solo il vestito che le aveva visto quella mattina e lei era troppo scoperta.
Le mise una mano sulle spalle e si incamminò verso il vicolo dove aveva visto sparire la rossa un po’ di tempo prima. “Andiamo a casa mia e poi vai a casa con la metropolvere, ok?” Lei ridacchiò e disse di aver bloccato il camino, a casa sua. Merlino. E ora?
“Da che parte è casa tua?”
“Di là” disse, indicando la fine del vicolo illuminato da un lampione babbano.
“Lì c’è un muro, Pansy…” Gli sembrava di parlare con un bambino.
“Sì, lo so. Ma casa mia è di là lo stesso. Oltre il muro”. Un bambino piccolo
“E come fai ad andarci, di solito?”
“Mi smaterializzo.”
“Hai bevuto troppo. Ti romperesti come la Bones a Hogwarts il sesto anno.”
“Non è vero!” Sbuffò e le chiese, come se non l’avesse sentita: “Come fai ad andare a casa quando prendi una sbronza?”
Lei alzò le spalle. “L’ultima volta mi ha portato a casa Theo”. Il moro fece stridere i denti. Theo. Gli era sempre meno simpatico.
“Ti porta a casa dopo che lo avete fatto o lo fate direttamente a casa tua?” chiese, prima di rendersene conto.

 

Quando Pansy capì quello che intendeva, cercò di sottrarsi al suo braccio, arrabbiata. “Io e Theo siamo solo amici. E poi se anche fosse… Non sarebbero affari tuoi!” Cercò ancora di sottrarsi, ma lui non la lasciò andare.
Sbagliava o lui stava ghignando? “Io ho un sacco di amiche con cui…”
Pansy gli diede una gomitata nel costato prima che potesse finire e Blaise si chinò, sorpreso e dolorante. “Non siamo tutti come te. E Theo è innamorato di una ragazza e non la tradirebbe mai. LUI!”

 

Ehi, cosa voleva dire? “Quindi non lo fate perché lui non vuole?” Si beccò un’altra gomitata, ma questa volta era preparato.
“Non lo facciamo perché non ne vale la pena.”
Lui sorrise, ma lei non lo vide. “Oh. Sei così disastrosa a letto?”
Gli occhi della ragazza si spalancarono indignati e Blaise non poté fare a meno di ridere. “Ma come ti…” Lei provò a colpirlo ma non ci riuscì.
“Ehi, ferma. Scherzavo, dai! Aspetta. No!” Quando lei provò ancora a colpirlo fece due passi avanti, facendola arretrare, cercando di fermarle le braccia e la spinse contro il muro che, secondo lei, li divideva da casa sua.
“Ahi” disse quando si fermò contro i mattoni. Lui le era vicino. Troppo vicino. Era sempre stato bravo, sempre. Non aveva mai azzardato mosse con lei. Non aveva mai fatto niente di sconveniente. Non ci aveva mai provato. E non lo avrebbe fatto neanche questa volta. Abbassò lo sguardo sulle sue labbra e lei lo guardò da sotto le ciglia. Poi la sua lingua saettò fra le labbra e le inumidì. Addio autocontrollo.
Non capì più niente. Dieci anni che aspettava. Chinò la testa e posò le labbra sulle sue. Solo un bacio. Solo uno. Solo quello. E poi basta, si sarebbe tirato indietro. Subito. Un bacio leggero. Solo così.
Ma le labbra della ragazza si schiusero e lei sospirò sulla sua bocca. Si nutrì del suo respiro come dell’ultima cena, le portò una mano dietro la schiena e se l’avvicinò ancora di più. Mentre lei si spostava dal muro sospirando portò le mani al suo viso e lui la sentì sorridere mentre si accostava a lui.
Quando sentì la sua lingua accarezzargli le labbra la strinse con possesso e approfondì il bacio.

 

Pansy non si rese subito conto di avere Blaise sulle labbra finché non ci fu un rumore alle spalle del ragazzo e lui si staccò da lei per controllare.
Quando si voltò, le tenne una mano sul fianco in maniera protettiva e la spinse dietro di lui. Subito dopo si rigirò.
“Andiamo via?” Lei riuscì solo ad annuire, mentre Blaise la stringeva a sé e girava su se stesso.

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Capitolo 2
*** Il giorno dopo ***


Il giorno dopo

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Blaise era nervosissimo quella mattina. Non riusciva a stare fermo. Brittany si affacciò alla porta dell’ufficio e sorrise. “Le faccio portare qualcosa? Un tè? Un caffè?” Lui scosse la testa. Avrebbe voluto bere un Firewhisky. Doppio. La ragazza annuì e fece per andarsene.
“Aspetta. Ehm, Brittany…” Lei si rigirò verso di lui sorridendo troppo. “Sì?”
“Tu sai… cosa c’era qui alle pareti?” chiese, indicando il muro. Lei seguì la direzione della sua mano e Blaise poté vedere la delusione sul suo viso. Oh, dai, su. Cerca di essere utile, almeno. Lei scosse la testa.
“Forse… dei quadri?” tentò. E va, davvero bravissima. Perché non hai fatto l’Auror con una mente così geniale?
Pansy aveva detto che c’era un quadro orribile alla parete. Subito non ci aveva dato peso, ma poi, pensandoci, si rese conto che quando lui era arrivato, la parete era spoglia. “E sai che quadri c’erano?” Lei scosse il capo. “Puoi scoprire se le cose che erano in questo ufficio sono state per caso portate  in una cantina o da qualche altra parte?” Brittany sorrise e annuì. “Perfetto. Grazie” la liquidò.
Ma dopo poco lei tornò indietro. “Ho detto che non ho più bisogno” tentò ancora di mandarla via.
Lei arrossì e disse: “C’è una persona che la cerca”. Lui si raddrizzò. Oh. Pansy? Pansy era arrivata? Sorrise senza accorgersene e seguì la bionda fuori dall’ufficio.
Quando si trovò di fronte sua madre, il suo sorriso svanì e imprecò mentalmente.

 

***

 

“Allora, adesso parliamo di cose serie.”
Althea Zabini, finì di firmare tutte le pergamene che c’erano sulla scrivania e posò lo sguardo sul figlio.
Blaise sospirò. Quali sarebbero state le ‘cose serie’? “Ossia?” La strega sorrise.
“Con chi vieni sabato?” Sospirò. Avrebbe dovuto intuire che intendeva il matrimonio. Cosa c’era di più importante per quelle matrone dell’alta società?
“Con un’amica”. Il sorriso di sua madre si piegò in una smorfia. Sapeva che non era la risposta giusta. Ma era l’unica che potesse dare, al momento.
“Oh.”

 

Althea sospirò. Ma quand’è che suo figlio avrebbe messo la testa a posto? Forse doveva iniziare a valutare l’idea di presentargli qualche ragazza. “Che tipo di amica?” Doveva assicurarsi che non si presentasse con una ballerina da locale notturno. Era il suo matrimonio, santo Salazar! E ci sarebbero state tutte le sue sorelle e anche buona parte delle cognate collezionate dai vari mariti. Non voleva dare spettacolo.
“Un’amica a posto, mamma. Davvero. Non preoccuparti.”
Lei annuì. Sperò che lo fosse davvero. Lo guardò in viso. Era bello. Somigliava tutto a suo padre. Aveva i lineamenti marcati e i capelli corposi, forse un pochino troppo lunghi, ma capiva come mai le streghe cadessero tutte ai suoi piedi. Ora però sarebbe stato carino se avesse messo la testa a posto e avesse iniziato a pensare di sposarsi. E magari anche smetterla di girovagare di qua e di là e darle dei nipotini.
Aprì la bocca per parlare al figlio della visita ricevuta quella mattina, quando lui la sorprese e le chiese: “Mamma, se fossi stato una strega, mi avresti costretto a sposare qualcuno anche se io non fossi stato d’accordo?”
Lei spalancò gli occhi, sorpresa. E fu contenta di non avergli detto quello che stava pensando prima. “Se fossi stato una femmina, avrei voluto quello che voglio adesso che ho te. Vorrei che fossi felice. Vorrei tenere in braccio i tuoi bambini e vorrei vederti accanto a una persona che ti vuole bene. E vorrei che le volessi bene anche tu. Perché questa domanda, Blaise?” Lui scosse le spalle.
“Ho sentito diverse cose, da quando sono tornato. E so che esistono ancora i matrimoni combinati.”

 

“Il mio primo matrimonio fu combinato dai miei genitori. Ma non è stato un matrimonio felice. Non ti obbligherei mai. Ma magari ti presenterei qualcuno che ritengo adatto e berrei una Felix Felicis!” Sua madre ammiccò nella sua direzione e lui si sorprese. Era la prima volta che gli parlava così.
Annuì e si alzò per accompagnarla fuori. “Verrai a cena questa sera?” Annuì ancora con il capo. “E mi farai conoscere la tua amica?”
“Non penso. Mi piacerebbe che non cambiasse idea per sabato”. Sua madre ridacchiò. “Non sono così cattiva. O Forse sì?” Uscirono dall’ufficio e davanti a loro vide Daphne in coda alla cassa, vicino a una strega che non conosceva.
Sua madre si fermò e sussurrò: “Per Salazar!”
Il ragazzo si voltò verso di lei e poi guardò nella direzione del suo sguardo. Che stava succedendo? Guardava Daphne. La ragazza si girò, incrociò lo sguardo di Blaise e spalancò gli occhi per la sorpresa.
Poi la strega accanto a lei alzò gli occhi e sorrise a sua madre. Si avvicinò con un gesto teatrale esclamando: “Althea, che piacere rivederti. Anche tu qui?” Sua madre fece un verso strano con la bocca. Piano. Lo sentì solo lui. Poi sorrise artificiosamente alla strega e guardò Daphne mentre si avvicinavano a loro. La ragazza non sembrava particolarmente contenta ma, forse per educazione, seguì la strega docilmente.
Quando si fermarono davanti a loro sua madre esclamò: “Lilian, cara. È lei tua figlia Pansy?” Daphne sgranò gli occhi (probabilmente lo stava facendo anche lui, pensò Blaise) e si voltò verso la cara Lilian. “No, Althea”. La strega più ridacchiò piano. “Lei è Daphne, la figlia dei Greengrass, ora Daphne Wilkinson. Anche lei era a Hogwarts con i nostri figli. Daphne, ti presento Althea Zabini”.
Blaise sentì sua madre sospirare e guardare la pancia alla ragazza, mentre stringeva la mano di Daphne e la madre di Pansy gli rivolgeva un sorriso. “Lei è il nuovo direttore?”
“Lui è mio figlio Blaise, Lilian. Blaise, ti presento la signora Parkinson, sua figlia Pansy dovresti conoscerla già”. Il sorriso della donna divenne ancora più ampio. “Oh, è proprio un bel ragazzo, complimenti Althea!” Daphne sbuffò. Lui la ignorò.
“Faccio le veci del direttore, comunque. Aveva bisogno?” La strega sorrise, ma un pochino meno.
“Sì. Ho una pergamena da consegnare. Mio marito ha firmato per dei permessi alla camera blindata…” Lasciò cadere la frase e sospirò. Lui annuì e prese il documento controllandolo. Era a posto. Pansy aveva di nuovo diritto ai suoi galeoni. Le avrebbe subito fatto spostare il denaro. Sorrise senza accorgersene.

 

“Scusate… Ho bisogno di sedermi…” Daphne si toccò la pancia e sperò di apparire stanca quanto doveva.
“Oh, sì certo, cara. Scusami”. Lilian le indicò una sedia nel locale, mentre la madre di Blaise scosse la testa.
“Blaise, accompagnala nel tuo ufficio e falle portare un bicchiere d’acqua.”

 

“No, io devo…” Sua madre si voltò verso di lui con lo stesso sguardo di quando gli aveva beccato i fumetti spinti sotto il letto. Sospirò. “Vieni Daphne, ti faccio portare qualcosa da bere”. Le indicò l’ufficio e la seguì quando si incamminò con lentezza e la testa bassa.
Poi lei si voltò e disse alla madre di Pansy: “Grazie Lilian, penso che tornerò a casa da Steve, dopo”. L’aveva liquidata. Blaise sbuffò.

 

Daphne si andò lentamente a sedere e aspettò pazientemente che lui chiudesse la porta. “Vuoi che ti faccia portare…” Quando la porta fu chiusa non dovette più fingere per chiedere a Blaise quello che voleva e lo interruppe.
“È stata qui?” Lui spalancò gli occhi.
“Come?”
“Non eri sorpreso dalla storia dei permessi alla camera. Lo sapevi già”. Lui annuì. “Pansy è stata qui? E l’ha scoperto?” Blaise annuì ancora. Merlino!
Daphne si mordicchiò l’unghia di un dito. Aveva fatto un casino. Un grosso casino. Stavolta aveva esagerato. E aveva perso Pansy. Si era messa dalla parte dei suoi genitori e aveva provato a incastrarla in un matrimonio che non voleva. Aveva visto la rabbia e la delusione negli occhi della sua amica. Si era sentita tradita. E aveva perfettamente ragione. Solo che non sapeva come rimediare. E ora quella cosa che suo padre le aveva tolto l’accesso ai galeoni. Pazzesco.
“Era arrabbiata?”
“Sì.”
“È colpa mia. Sono stata io.”
“C’entri con la storia del fidanzamento?” Lei alzò lo sguardo sul moro. Merlino, gli aveva detto anche quello? Sentì le guance arrossarsi dalla vergogna e annuì lentamente. Lui si appoggiò alla scrivania e le chiese: “E perché l’hai fatto?”

 

“Io… Non lo so. Volevo solo che si sposasse. Come me…” Si toccò la pancia. Daphne non era cattiva, davvero, lo vedeva. Ma gli sembrava un po’ stupida. E aveva detto anche a lui che Pansy si sarebbe fidanzata. “Ma lei non vuole sposarsi”.
“No…” Vide i sensi di colpa nei suoi occhi.
“Suo padre le toglie l’accesso al denaro quando litigano.”
Lei annuì. “Ma io non lo sapevo! Come potevo immaginare una cosa del genere? Lo giuro, non pensavo sarebbe finita così. Lei si è arrabbiata tantissimo e adesso ce l’ha con me!” Come se a lui potesse interessare di Daphne.
“Te lo meriti”. Scrollò le spalle.
“Ho provato ad andare a casa sua per parlarle, ma ha il camino bloccato…”
“Sì, lo so.”
Lei alzò un sopracciglio, meravigliata dalla sua riposta. Gongolò. “Ho bussato per ore alla porta, prima di capire che non c’era. Ma comunque non vuole parlarmi…”
“Non lo farei neanch’io.”
Lei sbuffò. “Non è a casa sua. Tu sai dov’è?” Nel mio letto.
“Non sono sicuro di potertelo dire”. Lei annuì.
“Dimmi solo se sta bene. Sua madre dice che è successo uno scandalo grosso al lavoro, ma non sapeva bene cosa…”
Blaise bleffò. “È stata una cosa grossa. Molto grossa. Lei è molto scossa. Magari avere vicino una persona un po’ meno egoista le avrebbe fatto bene”. Daphne abbassò la testa e guardò per terra.

 

“Puoi dirle che voglio fare pace?” Si alzò e lo guardò. Lui annuì. “L’ho detto anche a Theo, spero che uno di voi riesca a farglielo sapere…”
Blaise si alzò dal piano della scrivania. “Theo?”
“Sì. Sono andata anche da lui. Loro sono molto amici. Pensavo fosse là, ma non c’era. Quando l’ha saputo, Theo ha detto che si sarebbe smaterializzato a casa sua e l’avrebbe aspettata. Io invece sono andata a casa dei suoi, per questo ero qui con sua mamma, mi ha spiegato lei la storia dei permessi.”
Lui scosse la testa lentamente. Daphne non capiva cosa gli passasse per la mente.

 

Theo? Theo a casa di Pansy? Qualcosa gli prese il petto e lo stritolò. Guardò l’orologio. Lei avrebbe dovuto essere già arrivata. E non lo aveva fatto. Sarebbe venuta? Ora iniziava a dubitarne.
“Ok. Adesso scusami, ma ho del lavoro da sbrigare. Devo chiedere a qualcuno di accompagnarti a casa?”
Lei alzò il mento e rispose un po’ incattivita: “No. Ci riesco benissimo da sola. Ciao”.

 

***

 

Pansy si svegliò lentamente. Aprì gli occhi e stiracchiò le braccia oltre la coperta. Ma dov’era? Si guardò intorno. Merlino! Non era camera sua! Si tirò a sedere velocemente. Il plaid che la copriva cadde e lei notò che indossava lo stesso vestito del giorno prima. Si portò una mano alla testa, un po’ dolorante. Cosa aveva fatto? Non si ricordava.
Il ricordo del bacio di Blaise nel vicolo si affacciò alla mente e lei sentì le guance andare a fuoco. Per Salazar non aveva quindici anni! Però si sentì come se li avesse ancora. Aveva bevuto un po’ troppo e si era svegliata nel letto di Blaise. Merlino, non si ricordava niente. Ma poi si guardò intorno con più attenzione.
Scese dal letto. Era un letto dannatamente grande. Beh, ci stava. Blaise era alto e aveva le spalle larghe. Probabilmente gli serviva un letto grande. L’aria nella stanza profumava di lui. Ebano. Ebano nero e cedro. Raccolse da terra il plaid che l’aveva coperta quella notte e notò che il letto era sfatto solo da un lato. Quello dove doveva aver dormito Blaise. Ma… Lei aveva dormito sul copriletto? E perché?
Un altro ricordo le si affacciò alla mente: lui che la respingeva. L’aveva baciata ancora, più volte, dopo la prima. Ma non aveva voluto fare l’amore con lei. Si portò una mano alla testa. Non seppe dire se per la vergogna o il dolore.
Andò in bagno e si sistemò. Quando tornò nella camera per raccogliere le scarpe, notò un biglietto sul comodino. C’era scritto il suo nome.
Si sedette e lo aprì per leggerlo. Sorrise nonostante fosse andato tutto male. Ricordava la scrittura di Blaise, i compiti svolti tutti insieme in sala comune al quinto e al sesto anno, le chiacchiere a notte fonda. Theo, Draco, Daphne…
Sospirò e lesse le poche righe. Blaise era andato al lavoro. Non poteva non andarci e gli dispiaceva andarsene via, ma lei avrebbe potuto raggiungerlo quando si fosse svegliata. Era carino. Era gentile. Lo faceva con tutte? O solo con quelle che rifiutava? Sarebbe rimasto con lei se avessero fatto l’amore? Che domanda stupida, tanto non l’avevano mica fatto. Lui non aveva voluto. Lei aveva fatto la sostenuta, dicendo che non sarebbe andata a letto con lui e dopo nemmeno diciotto ore, lo pregava di farlo e Blaise le diceva di no. Umiliante.
Si alzò e si smaterializzò in Diagon Alley. Le aveva detto di andare alla Gringott e ci sarebbe andata. Ma alla Gringott la biondina del giorno prima le disse che il signor Zabini era impegnato con una strega nel suo ufficio e lei non poteva disturbarlo per nessun motivo. Aveva alzato le sopracciglia in una maniera inequivocabile, così se n’era andata.

 

Quando si materializzò in soggiorno, Pansy era ancora triste. Tristissima. Avrebbe fatto un bel bagno caldo e avrebbe potuto piangere silenziosamente e copiosamente nella vasca.
Ma quando si diresse in sala per andare in cucina una voce la fece sobbalzare: “Dove sei stata?” Pansy si guardò intorno, con il cuore che batteva a mille.
“Porco Salazar, Theo!” Il moro era seduto in poltrona e sogghignava mentre lei si sedeva pesantemente sul divano.

 

Theo era preoccupato. Non era mai successo che lei rimanesse fuori per la notte. Non senza dirglielo. Non era il tipo da storie di una botta e via.
Vederla gli fu di sollievo, finché non la osservò bene. Era strana. “Stai bene?” Lei annuì poco convinta. “Dove sei stata?” chiese ancora.

 

Oh, bella domanda. “Fuori”. Lui alzò un sopracciglio. “Sbaglio o mi hai consigliato tu di farmi sbattere un po’?” Theo ghignò.
“Mi sa che hai capito male. Se avessi fatto quello che ti ho consigliato io, ora saresti distrutta, ma sorrideresti soddisfatta.”
Lei annuì ancora. Certo, come se fosse facile.
“Lui non mi ha voluto…” La faccia si Theo si fece sorpresa. Già. Appunto. Si nascose il viso fra le mani.
“Per Salazar, non sai quanto è umiliante!” Sentì il ragazzo avvicinarsi. E la sua mano sulle spalle.
“È un troll…” Già. Un troll che le aveva annebbiato il cervello con i baci più intensi che avesse mai provato e probabilmente il giorno dopo si stava già sbattendo un’altra sulla scrivania del suo ufficio. Ma perché le aveva detto di andare alla Gringott se poi non aveva intenzione di incontrarla?
Sospirò. “Vado a farmi un bagno. Ehi, ma perché non sei al lavoro?”
Theo alzò le spalle. “Ero preoccupato per la mia miglior amica”. Sorrise. Che carino.
Ma poi ci ripensò. “Non ti credo”.
Lui rise e lei sentì il nervosismo e la tristezza scenderle lungo la schiena. “Hai ragione. Ho preso dei giorni di vacanza. Vado da Amelia”. Amelia! La ragazza di cui era innamorato. Sorrise.
“Allora vai, che fai qui?” Si alzò e lo spinse verso la porta.
“Dovevo prima sapere se stessi bene.”
“Sto bene, non preoccuparti. Sto bene fisicamente anche se sono stata un po’ ferita nel mio amor proprio. Ma mi riprenderò. Lo faccio sempre!” E strizzò un occhio nella sua direzione.
Sperò che la sua sceneggiata servisse a farlo uscire. Non aveva nessuna voglia di parlare con lui di Blaise.

 

 

Theo annuì. Capiva che non stava bene, ma sapeva che preferiva stare da sola. La salutò prima di smaterializzarsi.
Intanto lui sarebbe andato a Diagon Alley a fare delle commissioni e, prima di andare da Amelia, avrebbe cercato qualcuno che la tenesse d’occhio. Anche se ancora non sapeva chi. Draco era ancora in viaggio di nozze e Daphne… Oh, Daphne aveva combinato un bel casino.
Ma il ragazzo sapeva che le voleva bene. E Pansy l’avrebbe perdonata, prima o poi.

 

Theo entrò alla Gringott velocemente e si diresse verso una biondina che non aveva mai visto.
“Devo prelevare. Sono Theodore Nott. Può chiamare un folletto per farmi accompagnare alla mia camera blindata?” La strega gli sorrise e annuì mentre gli chiedeva la chiave della camera.
“Theo” Il moro si voltò. “Lascia, Brittany, penso io al signor Nott”. Blaise lo stava guardando insistentemente e gli fece cenno di seguirlo. Aspettarono un folletto che li accompagnasse nei sotterranei e quando furono sul carrello Blaise chiese all’ex serpeverde: “È venuta Daphne. Mi ha raccontato un po’ di cose… Hai visto Pansy stamattina?”
Theo fu felice di non dover spiegare niente. “Sì. È tornata a casa. Ma non sta bene”.
“No?” gli chiese l’amico, preoccupato. Lui scosse la testa e la spostò velocemente per schivare una sporgenza sulla parete. Si voltò verso di lui. Non avevano più parlato. Ma se fosse stato vero quello che aveva sospettato al matrimonio… Sì, forse Blaise poteva essere la persona giusta a cui lasciare Pansy.
“Sembra che ieri sia uscita con un troll.”

 

“COME?” Blaise gridò un po’ perché il carrello aveva preso velocità e un po’ perché sorpreso di quello che aveva detto il moro.
“Sì. Lei ci è rimasta malissimo. È uno straccio. Non so cosa sia successo di preciso. Non ha voluto parlarne”.
Oh, Merlino! Ecco perché non era venuta. Ci era rimasta male perché l’aveva baciata? E sì che pensava che lei fosse d’accordo. Però lei non era propriamente in sé. Avrebbe dovuto andarci più cauto.
Si passò una mano nei capelli. Quando il carrello si fermò si spostò per far passare Theo, ma lui non scese. Lo guardò un po’ stranito.
“Ascolta… Io non so se davvero tu…” Si voltò verso il folletto a capo del carrello, ma questi non lo degnò di uno sguardo. “Ma io devo andare via qualche giorno, e vorrei saperla in buone mani. Purtroppo ho una questione molto importante e non posso…” Capì quello che intendeva.
“Ci penso io”. Il moro annuì, sollevato.
“Non posso proprio rimandare” si scusò. Blaise cercò di ricordarsi quello che gli aveva detto Pansy.
“Una ragazza, giusto?” Lui annuì ancora, sorpreso.
“Lo sai?” Lui scosse le spalle. “Non abbiamo parlato molto”. Non era propriamente una bugia.
Theo annuì e scese dal carrello. “Ok. Magari…” Blaise gli fece cenno alla porta della camera.
“Sì, ma qui sotto si gela. Quando torniamo su ti offro qualcosa e ne parliamo. Ma ora, fai presto.”

 

Theo sorrise e aprì la porta scura. Merlino c’era freddo davvero!

 

“Tieni.”
Si erano fatti portare due burrobirre dall’elfo domestico di Blaise e si erano seduti alla scrivania nell’ufficio del direttore. Due giorni che non combinava niente.
Theo prese il suo boccale e si dissetò. “Come mai qui? Non ti facevo un impiegato della Gringott. Pensavo che…” Blaise gli lanciò un’occhiata di ammonimento. Theo e Draco sapevano cosa facesse per lavoro. Più o meno. Ed effettivamente la Gringott poteva essere una sorpresa, per loro. “Oh. Ok. Non parliamone”. Theo si guardò intorno, in silenzio.
“A proposito di cose da non dire… Tu sai cos’è successo a Pansy al San Mungo?” Theo scosse la testa e appoggiò la burrobirra, sospirando.
“Dice che non può parlare con nessuno. Non so cosa sia successo, ma quando ha litigato con i suoi, ha fatto qualcosa al lavoro che ora le può costare il posto. Se ho capito bene, qualcuno ha parlato di esaurimento nervoso…” Blaise alzò un sopracciglio. Pansy non sembrava proprio esaurita. Stanca, sì. Esaurita, no. Ma Theo la conosceva meglio di lui. Purtroppo.
“Lo pensi anche tu?” gli chiese. Theo lo guardò in silenzio per un tempo indefinito. Non capiva cosa gli passasse per la testa.
“A te sembra esaurita?” gli rigirò la domanda. Lui scosse la testa e si appoggiò indietro sulla sedia.
“No.”
Theo sorrise “Appunto”.
Blaise annuì.

 

 

Theo continuò a guardare l’amico. Non sapeva cosa ci facesse lì, alla Gringott, ma sapeva che Blaise lavorava per il ministero della Magia, quindi doveva essere importante. E segreto.
“Ma parliamo di altre cose… Quindi… Hogwarts…” Cercò di lasciare cadere un po’ la frase e studiò la reazione dell’ex serpeverde.
“Non penso siano fatti tuoi” disse infatti.
Theo ghignò. “Se ti devo lasciare la mia miglior amica, voglio sapere bene le tue intenzioni”.
Lui lo guardò e sbuffò. “E cosa vorresti sapere?” Sorrise ancora. Era bravo. Non parlava a vanvera.
Ma anche Theo era bravo con le domande. “Hai lasciato Daphne per Pansy?” Blaise sospirò.
“È successo dieci anni fa…” Il ragazzo allampanato non mollò e nascose un altro ghigno.
“Appunto. Ti piace da dieci anni?”

 

Blaise scosse le spalle, a disagio. Non gli piaceva parlare di quello che sentiva per Pansy. E non voleva parlarne con quello che diceva di essere il suo miglior amico. Non avrebbe potuto mentire. “Forse” buttò lì.
“Forse?” Theo ridacchiò. Oh, Merlino, che voglia di prendere la bacchetta e lanciargli una fattura! “E perché ti sei messo con Daphne, allora?”
La sua storia con Daphne era durata tre mesi. Tre mesi tremendi. Al quinto anno. Poi lei aveva capito di essere un ripiego e l’aveva mollato.
Alzò le spalle. “Pansy stava con Draco” Il viso di Theo si ingarbugliò in un’espressione confusa. “No. Lei si è messa con Draco dopo” .
“Ma cosa dici?” Blaise se lo ricordava benissimo, quando era successo. Draco aveva raccontato, una sera nella loro camera, dopo un’infinità di bottiglie di Firewhisky, quello che aveva fatto con Pansy. Dettagliatamente.
Blaise era morto piano piano, avvelenato lentamente dalle parole del biondo. Alla fine si era scolato più Firewhisky lui degli altri quattro nella stanza. Era stato malissimo. E il giorno dopo aveva guardato Pansy, una Pansy di cui avrebbe preferito non conoscere l’esistenza, sorridere a Draco. Dopo tre giorni si era messo con Daphne. L’errore più grosso della sua vita.
“Mi sono messo con Daphne tre giorni dopo la sbronza in camera al quinto anno. Ti ricordi? Quando Draco ha raccontato…” Incapace di finire la frase, si interruppe. Tanto valeva dire le cose come stavano.
“Quando Draco ha fatto quella spiattellata di particolari su come fosse stato scopare?” chiese Theo. Non riuscì a capire la sua espressione. Forse perché quella frase gli aveva fatto male come una Cruciatus ben assestata. Abbassò gli occhi e Theo si avvicinò alla scrivania con la sedia. “Per Salazar, gli avevi creduto?” COME? Alzò lo sguardo sull’amico.
“Come?”
Theo era serio. “Gli avevi creduto? Ma dai! Draco si era inventato tutto. E si capiva benissimo. Va beh, Tiger e Goyle pendevano dalle sue labbra, ma perché erano due idioti! Non puoi aver pensato che fosse vero!” NO? Come? Cosa intendeva?

 

Theo vide lo sguardo di Blaise sempre più confuso. Merlino! Aveva davvero creduto a Draco? Quel troll si era fatto grande con una storia senza senso e lui non aveva capito?
“La sua storia faceva acqua da tutte le parti. Si è ingarbugliato tantissimo. E un sacco di cose non combaciavano. Non potevi non averlo notato!” E no, Blaise ci aveva creduto. Glielo leggeva in faccia. E quando disse: “Però non puoi esserne sicuro”, ne ebbe la conferma.
“Oh sì, invece. L’ho chiesto a lei!”
“L’hai chiesto a Pansy?” la faccia di Blaise era sbalordita. Avrebbe voluto vantarsi. Però non lo fece. “Beh, gliel’ho chiesto cinque anni fa, e non direttamente. Non le ho detto di quello che aveva raccontato Draco. Non mi sembrava… carino”. Il moro annuì.

 

Quindi non era vero niente? Cioè lui pensava che loro scopassero tutte le sere e invece... niente? Aveva trattato male Pansy più volte perché non riusciva a concepirla insieme al biondo e aveva iniziato la sua scalata verso l’inferno. Prima Daphne, che aveva capito subito. Poi tutte le altre. Ma non era stato più con nessuna. Non davvero. Ci aveva provato, nel corso di quei dieci anni, ma non c’era riuscito. Tanto valeva non provarci più.
Però ora che era a Londra… Ora che lei era libera. Theo si alzò in piedi. “Ti dirò una cosa. Ma se glielo dirai negherò o dirò che mi hai fatto un incantesimo così penserà che sei una brutta persona. Al quinto anno a Hogwarts, a Pansy, piacevi tu. Poi ti sei messo con Daphne e dopo un mese, durante le vacanze di Natale, lei ha deciso che era giunto il momento di smetterla di guardarsi intorno ed è andata a casa di Draco. Da lì, il resto lo sai”. Ma non era vero!
“Se fosse vero quello che dici, ci saremmo messi insieme quando Daphne mi ha lasciato, lei lo aveva capito, che mi piaceva Pansy. E invece non è successo. E Pansy ha continuato a stare con Draco.”
Theo si preparò ad andare. “Non è successo, perché se tu conoscessi le ragazze, sapresti che non ci si mette con gli ex delle tue amiche. Soprattutto se lui l’ha tradita!”
Blaise strabuzzò gli occhi. “Io non ho tradito Daphne!”
Lui non aveva mai tradito nessuna. Nessuna. Perché non era stato con nessuna. “Questo lo sai tu e lo so io, ora. Ma Daphne ha raccontato che l’avevi tradita e che ti ha lasciato per questo. Perché Pansy avrebbe dovuto pensare diversamente?” Perché non era così, ecco perché!
Si alzò anche lui. Quindi aveva buttato via tutto quel tempo… E a Pansy, lui, piaceva? Si passò una mano fra i capelli, ma poi si sedette di nuovo. Forse gli piaceva ancora. Forse no, non era venuta da lui. La sera prima l’aveva baciata, ma ora? Cos’era successo, perché aveva raccontato a Theo che la serata non era andata bene? A parte la Weasley, la giornata era stata perfetta. La spa, il pub, i baci… Erano i suoi baci il problema?
“E ieri? Cosa ha detto di ieri?” Theo scosse la testa.
“Ora vado. Non ho più tempo. Ma guai a te se quando torno…” Vide il suo sguardo severo e Blaise annuì.
“Dimmi dove abita.”

 

***

 

Pansy sospirò. Lesse ancora la pergamena scritta dalla madre che aveva ricevuto nel pomeriggio: era andata alla Gringott, quella mattina, a portare il permesso per la camera blindata. Avrebbe dovuto dirle di aver fatto richiesta per una camera tutta sua?
Sospirò ancora. Persino sua madre era stata accolta bene alla Gringott. Tutti tranne lei. Lanciò la pergamena sul tavolo e andò a prepararsi. Sua madre esigeva che lei andasse a cena da loro. Che si mettesse il vestito scelto da lei, perché avevano ospiti a cena. E lei lo avrebbe fatto. Come sempre. Una brava figlia.
Imprecò mentre si infilava i sandali. Quand’è che sarebbe cresciuta e avrebbe iniziato a dire ai suoi genitori quello che pensava veramente? Si guardò allo specchio e fece una cosa rischiosa: si tolse il vestito e se ne mise un altro. Uno che non avrebbe avuto l’approvazione di sua madre.
Sorrise e si avvicinò allo specchio per truccarsi. Dopo dieci minuti, qualcuno bussò alla porta.
Ma chi poteva essere? Theo era andato da Amelia, non aveva ancora ripreso a parlarsi con Daphne, Millicent abitava lontano e le sue colleghe… Le sue colleghe non potevano andarla a trovare. Il legalmago era stato chiaro: nessun contatto con nessuno del San Mungo. Di nessun genere.
Sospirò e imprecò insieme. Quando bussarono la seconda volta, si diresse nell’ingresso. L’unica maniera per scoprire chi fosse, era aprire la porta.
Oppure… Dove aveva lasciato la bacchetta? In bagno. Pensò di tornare indietro a prenderla quando bussarono ancora, questa volta un po’ più forte. Sbuffò e si allungò alla porta d’entrata.
Aprì l’uscio senza neanche guardare lo spioncino. Si scordava sempre. A casa dei suoi erano gli Elfi ad accogliere le persone.
“Blaise!” quasi gridò quando si trovò davanti il ragazzo.
“Pensavo non volessi aprirmi” sospirò lui. Lei arrossì. “Posso entrare?” chiese, osservandola come si osserva la luna con il telescopio a Hogwarts durante l’ora di Astronomia. Lei si fece da parte e annuì.

 

Blaise si guardò intorno, un po’ imbarazzato. Si era preparato tutto un bel discorso. Davvero. O perlomeno, pensava che lo fosse. Di solito, per lavoro, era bravissimo a usare le parole. Ora però…
Pansy era vestita per uscire. Aveva un altro abito di quelli che dicevano: ‘sono bellissima, prendimi!’
Con chi doveva uscire? Theo aveva detto che se ne andava per qualche giorno. Non usciva con lui. E allora, con chi? Non riusciva a frenare i pensieri.
In quel momento dalla finestra aperta entrò un gufo reale. Bubulò in direzione della ragazza, dopo aver lasciato cadere la busta sul tavolino davanti al divano. Vide Pansy seguirlo con lo sguardo e sbuffare.
Chiuse la porta e si avvicinò alla busta sul tavolino e come la toccò, il gufo volò via. Prese la pergamena e alzò gli occhi su di lui, mostrandogliela.
“Mia madre. Anche il suo gufo mi sgrida per il ritardo.”
“Sei fortunata che non ti ha mandato una strillettera.”
Quando la vide sorridere il suo nervosismo si sgretolò un po’.

 

“Non sei venuta, stamattina.”
Beh, no, non era proprio così. Lei ci era andata davvero alla Gringott.
“Veramente sono venuta. Eri tu che eri impegnato con una strega e non ti si poteva disturbare.”
“COME?” Il suo sguardo sorpreso le fece odiare la biondina alla cassa della banca. Quindi lui non lo sapeva?
“Quando… Quando sono venuta, tu eri impegnato. Brianna mi ha fatto capire…” Si bloccò. Voleva veramente fargli sapere che la stronzetta le aveva fatto credere che lui fosse impegnato ‘intimamente’?
“È venuta mia madre stamattina” disse. Oh. Il sorriso spuntò da solo sulle sue labbra. Poi lui si passò una mano fra i capelli (l’aveva fatto anche lei, la sera prima, che voglia di farlo ancora…) “Poi sono venute anche tua madre e Daphne”.
“Daphne?” I suoi occhi si allargarono, sorpresi.
Blaise annuì. “Beh, poi ho visto anche Theo”.
“Oh, che giornata impegnativa.”

 

Blaise non riuscì a non sorridere. “Già. Ascolta. Vado a cena da mia madre. Poi ti va se…” Lei scosse la testa.
“Io vado a cena dai miei. Non so mai quando vengo via…” Il suo sguardo era un po’ sconsolato.
Blaise sorrise “Vieni a casa mia…” Non disse per favore e sperò che non si sentisse la supplica nella sua voce. Però ti prego, vieni da me.
Lei tentennò. Lui lo capì benissimo. E la delusione si impossessò di lui. Alzò le spalle e fece un passo verso la porta, non voleva smaterializzarsi lì.
“Va beh, fa’ come vuoi. Io…” Si infilò le mani in tasca e sbuffò.

 

Quando lo vide avvicinarsi alla porta, Pansy si spaventò. Lui era venuto fino a lì, la stava invitando a casa sua e lei non riusciva a rispondergli decentemente? Voleva andare da lui. Certo. Ma… la sera prima…
Quando lui sbuffò dicendole di fare quello che voleva, capì che aveva intuito male e doveva fermarlo.
“Aspetta!” Si avvicinò a lui e lo bloccò con una mano sul braccio, prima che se ne andasse.
“Vuoi che venga a casa tua…” Lui annuì, ma il suo sguardo non cambiò “…Perché?” balbettò.

 

 

COME PERCHÈ? Blaise non capiva più niente.
Lei non voleva stare con lui? Se era vero che l’aveva cercato alla Gringott, voleva dire che non aveva cambiato idea su di lui. Non dalla sera prima (e non dal quinto anno).
Non riuscì a dire niente, così fece i due passi che li dividevano per raggiungerla, la prese fra le braccia e prima di chinarsi a baciarla sussurrò: “Perché sì”. Lei sorrise e chiuse gli occhi accostandosi a lui.
Quando le loro labbra si incontrarono fece fatica anche a ricordarsi chi fosse, ma non gli importò molto. Si baciarono per quello che sembrò un anno intero, ma dovettero essere solo venti minuti di orologio e quando lei si staccò da lui, la guardò senza dover nascondere più niente.
Le disse, accarezzandole una guancia: “Dovrò lasciarti andare o non arriverai mai dai tuoi, stasera…”
Il suo viso si fece strano e poi sussurrò: “Ieri non mi hai voluto”. COSA?
“Come?” chiese infatti.
“Ieri sera…” iniziò lei, staccandosi da lui e voltandosi verso la finestra aperta. “…Mi hai rifiutato”.

 

Era stato così difficile dirglielo. Non era neanche riuscita a guardarlo mentre lo faceva. Si era girata verso la finestra e si era allontanata. Non si accorse che lui l’aveva raggiunta ancora.
Quando le cinse il ventre con le mani e poi la fece girare, non lo guardò. “Ieri sera…” iniziò lui. Ma non riuscì ad alzare lo sguardo.
Cosa le avrebbe detto? L’aveva rifiutata. Era stato brutto. Bruttissimo. Soprattutto dopo che lei si era scoperta così tanto con lui. Aveva risposto ai suoi baci e lo aveva accarezzato. Lui aveva lasciato il suo sapore sulle sue labbra e lei non aveva capito niente. Poi le aveva detto di no e lei si era svegliata nel letto da sola.

 

No. Lei non lo guardava. Non andava bene. Doveva guardarlo. Le alzò il mento con la mano. E ricominciò solo quando riuscì a incatenare i suoi occhi.
“Ieri sera è stato il momento più bello della mia vita. Non pensavo che avresti mai ricambiato un mio bacio e quando l’hai fatto è stato elettrizzante. Ma poi ho avuto paura che per te fosse un momento… di debolezza. Dopo la Weasley, le birre e tutto il resto… Non volevo approfittare di te. O che tu stamattina ti potessi pentire di qualcosa. Quando non ti ho visto, pensavo che ti fossi pentita anche di avermi baciato” riuscì a dire tutto di un fiato, consapevole che altrimenti non l’avrebbe più detto.
Pansy spalancò gli occhi. “Stamattina ci sono rimasta male. Ma non mi sono pentita. E non mi sarei pentita neanche se tu avessi fatto l’amore con me. A meno che…” Lei abbassò gli occhi, in un gesto di finta timidezza.
“A meno che?” chiese lui.
“A meno che quello disastroso a letto non sia tu!” Ghignò mentre rialzava lo sguardo su di lui e si allontanava scherzosa. Blaise rise mentre la raggiungeva e cercava di bloccarla.
“Ti faccio vedere io, adesso…”
Pansy ridacchiò e sospirò deliziosamente mentre si lasciava imprigionare. La baciò più volte e alla fine caddero sul divano. Quando si tirò su, lei gemette di protesta, ma lui non ebbe pietà. Non l’avrebbero fatto di corsa, su un divano. Non questa volta, perlomeno. Ma quando la guardò, lei aveva gli occhi appannati dal desiderio e lo guardava con aspettativa. Non voleva deluderla ancora.
Il suo sguardo volò su quel bellissimo corpo e raggiunse la gonna, stropicciata, che si era alzata svelando le cosce. Le sfiorò la pelle con la mano e lei rabbrividì. Non resistette più. Non sarebbero andati fino in fondo, ma l’avrebbe accontentata.
Sorrise mentre si chinava ancora su di lei, spostandole la spallina del vestito e baciandole una spalla.


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Capitolo 3
*** Venerdì ***


03. Venerdì

  Venerdì

 

“Non sapevo conoscessi Lilian Parkinson.”
Blaise aveva aspettato di arrivare al primo piatto, prima di fare quella domanda. Avrebbe voluto chiederlo alla madre già quando si era materializzato in giardino, ma era riuscito a resistere un po’.
Althea alzò le spalle in un gesto poco educato. “Siamo andate a Hogwarts insieme, ma lei è più giovane di me di qualche anno. Non sapevo avesse sposato un Parkinson. Quando Dollylee è venuta da me dicendo che lei era alla porta e mi era venuta a trovare, sono rimasta sbalordita. Anche perché si è presentata come Lilian Parkinson e io non avevo la più pallida idea di chi fosse. La povera Dollylee si è stranita quando ha visto la mia faccia sorpresa”. Sua madre rise un pochino.
Ma lui voleva sapere di più. “E cos’è venuta a fare?” Cercò comunque di non mostrare troppo curiosità.
“È venuta a parlarmi di sua figlia”. Blaise si bloccò con la mano a metà fra sé e il bicchiere che voleva prendere.
“Sua figlia?” Sua madre annuì. “Sì. Sembra una cosa strana, eh? Ma si fa.”
“Cos’è che si fa?”
“Voleva propormi un fidanzamento.”
“A te?”
“Sì. Beh, fra te e sua figlia.”
“AH!”

 

Althea alzò ancora le spalle. Oh, avrebbe dovuto contenersi. Restare da sola per così tanto tempo, le aveva dato forse troppa libertà. Doveva riprendere a comportarsi bene.
Lo doveva a Hector. Anche se a lui non interessava. Diceva che la voleva così com’era. Che a lui piaceva per questo.
Ma doveva stare attenta lo stesso. Altrimenti avrebbe iniziato a fare cose come quella anche in pubblico, con altre persone. E non si doveva fare.
Guardò il figlio. Aveva una strana espressione. “Guarda che le ho detto che non organizzo fidanzamenti combinati per mio figlio. Che se vuole, lui lo fa da solo”.
Blaise sorrise.
“Quindi dovrei aspettarmi una sua visita?” Althea alzò le spalle. Merlino! Doveva smetterla! E doveva smetterla di invocare Merlino! Suo figlio rise della sua espressione. Lo guardò malissimo.
“Scusa, mamma. Scusami. Ma…” Poi rise anche lei.
“No, comunque. Le ho fatto capire che non l’avresti presa bene. Spero non venga a disturbare anche te.”

 

Blaise riuscì finalmente a bere. Non gli sarebbe dispiaciuto scambiare quattro chiacchiere con la madre di Pansy. Anzi, era proprio curioso.
“E che impressione ti ha fatto?”
Althea lo guardò con curiosità. “Stai pensando di sposarti?”
“CHI? IO? NO!” Per poco non gli andò di traverso il vino.

 

Althea sorrise come sorride una madre che ha beccato il figlio a rubare la marmellata. Blaise stava valutando l’idea di sposarsi? Davvero? Oh, ma non quella ragazza!
“Comunque non è adatta a te, quella… Non mi ricordo come si chiama…”
“Pansy. Si chiama Pansy…” La strega lo guardò, sempre più incuriosita.
“Quella Pansy non è adatta a te!” Lui era strano, sembrava… pensieroso.
“No?” La strega scosse la testa. Non aveva grossi problemi a parlare con il figlio.
“Da come la svendeva sua madre, non dev’essere un granché.”
Poi però le dispiacque per la ragazza e cercò di rimediare, visto che non la conosceva.
Ed effettivamente non è che sua madre avesse poi parlato tanto di lei. Di solito, quando le altre madri erano venute da lei con quell’intenzione, elogiavano qualità inesistenti e saltavano a piedi pari su difetti lampanti.
“O magari è solo bruttina e non riesce a trovarsi un fidanzato da sola…” Blaise la stava guardando stranito.
“Hai visto Pansy. C’era una foto in camera mia del quinto anno a Hogwarts. Avevi detto che era carina.”
Davvero? Non si ricordava. Dopo avrebbe cercato la foto. Scosse le spalle.
“Allora sarà molto sciocca.”
Ripensò alla ragazza vista alla Gringott. O magari incinta! Si ricordò di aver immaginato che fosse lei la figlia da far sposare e di essersi meravigliata quando le aveva guardato la pancia. Magari sua madre cercava disperatamente un marito alla figlia perché era una ragazza facile. Sospirò.
“E l’altra? Quella che c’era in banca? Daphne, forse? Conosci anche lei, giusto?” Suo figlio fece un verso maleducato con la bocca. Si stranì un pochino. Di solito, non era così villano.
“Sì. E Pansy non è né brutta né sciocca. È Daphne che sta convincendo i suoi a cercarle un fidanzato. Vuole che si sposi così come si è sposata lei.”
Il suo tono era duro.

 

Blaise sbuffò rognosamente, pensando a quello che aveva detto la madre. Non doveva trarre conclusioni errate.
“Ah. Dici che sono loro?”
“No, non lo dico: lo so. Pansy non vuole sposarsi”. Non con qualcuno che avrebbe scelto sua madre.
“Hai parlato con lei?” Lo sguardo di sua madre era curioso e un po’ pettegolo, forse.
“L’ho vista al matrimonio di Draco.”
“Draco?”
“Sì, ricordi? Tre settimane fa. Fra l’altro Draco ha sposato la sorella di Daphne, Astoria”. Sua madre scosse la testa. Non prestava più attenzione alla società, da quando stava con Hector. Era una cosa buona o no? Bo.
“E com’è, allora? Hai un’opinione tua su di lei?” Oh, mamma, è la ragazza più bella del mondo. E anche parecchio sfortunata. Pensò al casino successo al San Mungo. Doveva scoprire qualcosa di più, per poterla aiutare.
Scosse le spalle.

 

Sapeva cos’era quel gesto. Suo figlio non voleva parlarne con lei. Non di questa Pansy. Avrebbe dovuto cercare informazioni da sola.
Magari aveva raccontato a suo figlio che non voleva sposarsi per ingannarlo e poi architettare con sua madre il fidanzamento. Magari era incinta davvero.
Non si rese conto della smorfia che aveva sul viso.

 

Blaise vide lo sguardo di sua madre e non gli piacque. Cercò di deviare il discorso e le chiese dei preparativi per il sabato seguente.

 

***

 

“Oggi sono stata alla Gringott.”
“Davvero?” chiese senza interesse Pansy. Finalmente gli ospiti di sua madre se n’erano andati. Suo padre si era rifugiato in biblioteca a bere il liquore della buonanotte e sua madre chiacchierava senza sosta, nonostante fosse tardi e lei fosse stanca. E poi lei sapeva già che era andata alla Gringott.
“Sì. E sai chi ho visto?” Chi hai visto mamma? Daphne? Theo? Brianna? Salazar Serpeverde?
Pansy cercò di rimanere sveglia. Si sentiva stanchissima. Ma felice. Ripensò a Blaise sul divano che le sorrideva sornione mentre l’accarezzava. Sperò che le sue guance non fossero calde come le sentiva lei. Non avevano fatto l’amore, lui non aveva voluto. Di nuovo. Ma stavolta era andata diversamente. Blaise le aveva fatto capire chiaramente quanto la desiderasse. Merlino, Blaise le mancava di già. E purtroppo, non l’avrebbe neanche visto dopo cena.
Erano rimasti d’accordo che si sarebbero visti il giorno dopo direttamente alla Gringott. Guardò l’orologio. Effettivamente era tardissimo. Sperò di sbrogliare sua madre al più presto.
Sospirò cercando di tornare al presente.
“Chi hai visto, mamma?” chiese.
Okklely, l’elfo domestico che sua madre le mandava ogni tanto a casa, stava sparecchiando. Fra poco avrebbe portato il tè. Oh, cosa avrebbe dato per una burrobirra. O anche una birra babbana.
“Ho visto il signor Zabini. Te lo ricordi, no?” Chi? Ma il padre di Blaise non era morto? Poi capì che sua madre si riferiva proprio a Blaise.
“Davvero?”
“Sì, era con sua madre. Sai cosa pensavo?”
“Cosa pensavi, mamma?” Il suo tono doveva essere un po’ accondiscendente in quanto sua madre si girò verso di lei e la squadrò con un’occhiataccia, come quando aveva sette anni e si rifiutava di andare a lezione di danza. Sospirò. “Davvero, mamma, cos’hai pensato?”
“Quel ragazzo è molto bello…” Oh. Non seppe bene il perché, ma sentì ancora le guance andare a fuoco.
“Mmm… E quindi?”
“Io conosco sua madre. Siamo andate a Hogwarts insieme.”
“Davvero?” Ora era davvero curiosa. Lilian annuì, senza accorgersi del suo tono sorpreso. Era sempre così, non la notava mai.
“Potremmo valutare l’idea… Sì… Sai… Di un fidanzamento.”
Pansy sapeva di non dover mai bere quando parlava con sua mamma. Ma spesso se ne dimenticava. Ora non se lo sarebbe più dimenticato. Iniziò a tossire e a fare versi strani con la bocca. Quando le scesero le lacrime e sentì il petto stringersi, ebbe quasi paura di morire. Tossì ancora, incapace di riprendersi.
Oh, Merlino, stava morendo e l’unica cosa a cui riusciva a pensare era che non aveva ancora fatto l’amore con Blaise. Cercò di riprendere fiato e alla fine riuscì a tornare a respirare normalmente.
Sua madre la guardava come se avesse ucciso il gatto. E non l’aveva neanche aiutata.
“Scusa, mamma. Dicevi?”
“Dicevo che non sarebbe una brutta idea se tu e lui vi fidanzaste, sai? Da quel che ho capito non ha una fidanzata e poi lui lo conosceresti già e…” Sospirò. Ma sua madre non smetteva mai? “C’è una cosa che ho saputo, che andrebbe a suo vantaggio” mormorò poi abbassando la voce.
Ossia? Che la faceva impazzire da quando aveva quindici anni? Questo poteva essere veramente a suo vantaggio.
Ma sua madre la guardò. “Lui è discreto”. Discreto? Che intendeva?
“In che senso, mamma?” Prese la tazza del tè che l’elfo le porgeva e la posò davanti a sé, più interessata a quello che diceva la madre che a ogni altra cosa.
“Beh, si sai, quando fa… quello”. Sua madre aveva abbassato la voce, come se qualcuno potesse sentirla e aveva sventolato la mano davanti a sé. Ma… cosa voleva dire?
La sua faccia dovette parlare da sola, perché sua madre continuò. “Sì, è uno che quando lo fa è discreto”.
Pansy spalancò gli occhi quando capì che sua madre non avrebbe mai osato dire quella parola. Sesso. SUA MADRE PARLAVA DI SESSO? Cercò il vino con gli occhi, ma l’elfo aveva portato via tutto.

Ok, calmati Pansy. Si obbligò a rimanere tranquilla. COSA CAZZO VOLEVA DIRE CHE QUANDO FA SESSO È DISCRETO? Non aveva funzionato bene. Riprovaci Pansy.
“Mamma, ma cosa intendi?” No, era meglio non chiedere. Sicuramente.
“Che non ci saranno scandali. Quando lo farà, tu non lo saprai e non lo saprà nessuno. Lui sarà discreto…” O PORCO SALAZAR! Intendeva che quando l’avrebbe tradita non l’avrebbe saputo nessuno? Ma…
“Mamma, io voglio un marito che lo faccia con me, non con le altre”. Sua madre sbuffò poco elegantemente e sventolò, di nuovo, la mano in aria.
“Quando sarai sposata saprai che la favola di Messer Senzafortuna e Amata non esiste. Nessuno vive felice e contento. Non esiste la Fonte della Buona Sorte. I matrimoni sono così. E può succedere che…”
“Forse, se invece di sposarsi per lo stato di sangue, ci si sposasse perché ci si vuole bene, non succederebbe. Ci hai mai pensato, mamma? Forse, se tu e papà…”
“NON PARLARE DI TUO PADRE!” Sua madre aveva gli occhi spalancati mentre urlava e Pansy vide Okklely smaterializzarsi velocemente. Lo invidiò. Avrebbe potuto farlo anche lei? L’avrebbe seguito in cucina e sarebbe stata lì, buona buona.
“Ma pensi davvero che tuo marito non lo farà? Sei un’ingenua. Lo fanno tutti, cosa credi? E quando i mariti tradiscono, e non si fanno problemi a nasconderlo, le mogli non possono dire niente! Fanno finta che non sia successo.”
Pansy si ammutolì. Il tono di sua madre era cattivo e derisorio. Davvero? Davvero era così? Tutti tutti? Pensò a Draco e Astoria. Va beh, loro si erano appena sposati, non contava. E Daphne e Steve? No. Se Steve tradiva Daphne, lei non lo sapeva di sicuro. E se fosse successo, Daphne non avrebbe fatto finta di niente. E Pansy era abbastanza convinta che non fosse mai successo.
Pensò ad altre coppie che conosceva. Chi è che era insieme da tanto tempo? La faccia sconvolta di una piccola rossa, le comparve nei pensieri. Potter e la Weasley. Stavano insieme da un’eternità. Ripensò a tutte le volte che li aveva visti insieme. Avrebbe scommesso anche su di lui. Non l’avrebbe mai tradita. Neanche in futuro. Beh, ma loro si erano sposati per amore.
Anche Pansy voleva un matrimonio d’amore. Anche lei voleva essere guardata come Potter guardava sua moglie.
Poi si ricordò del fatto che presto Potter non avrebbe più guardato sua moglie. E forse non avrebbe neanche visto il suo bambino. Sospirò. Ma cosa poteva fare? Forse poteva almeno ascoltarla.
Poi tornò a guardare la madre. Ora era stufa.
“Sai mamma, penso che non mi sposerò, allora. Non voglio un matrimonio come il tuo. Non voglio diventare come te o papà. Non mi interessa quello che fa la gente. Non mi piacerebbe vivere così.”
 “E cosa pensi di fare, allora?” Il tono di sua madre era stizzito.
“Voglio vivere la mia vita” rispose.

Per ora voglio fare l’amore con Blaise, per Salazar, anche se fosse l’ultima cosa che farò.
“Gran bella vita. Sei anche stata licenziata.”
“Non sono stata licenziata!” esclamò.
L’occhiataccia di sua madre era una pugnalata. Sua madre non credeva in lei. Come tutti gli altri.
“Vado a casa”. E si smaterializzò senza salutare.

 

***

 

Pansy era sdraiata sulla schiena sulla scrivania nell’ufficio del direttore alla Gringott e baciava Blaise come se non ci fosse stato un domani. Il suo vestito era arrotolato in vita e, non indossando biancheria, era totalmente esposta. Ma la pelle scura del petto di lui continuava a darle brividi contro la sua e lei non se ne preoccupò.
L’unico problema era che lui avesse ancora i pantaloni. Voleva che se li togliesse al più presto. Voleva tutto di lui. Gli prese il viso fra le mani e lo baciò ancora. Gli mordicchiò le labbra e poi sussurrò sulla sua bocca: “Togliti i pantaloni. Voglio sentirti dentro di me”.
“No”. COME? Non di nuovo!
“Sì.”
“No, perché vedi, io sono discreto”. Pansy gli lasciò il viso e si mise a sedere così velocemente che si svegliò.
Si guardò intorno e si rese conto di essere in camera sua, nel suo letto e di avere addosso la camicia da notte. E di essere da sola.
Per Salazar, era un sogno! Sospirò e si rimise giù, coprendosi con la coperta. Non andava bene. Non poteva fare sogni così. Dovevano assolutamente risolvere la cosa. Al più presto.
Guardò l’orologio. Mancavano ancora tre ore all’orario in cui avrebbero dovuto vedersi alla Gringott. Oh, Merlino.
Di sicuro non avrebbe potuto smaterializzarsi a casa di Blaise a quell’ora. Sbuffò, si girò per trovare una posizione e provò a riaddormentarsi.

 

***

 

Blaise guardò ancora l’orologio. Lei era in ritardo. Aveva detto che ci sarebbe stata. Quindi sapeva che sarebbe successo. E se invece avesse cambiato idea? La sera prima avevano fatto tardi nell’appartamento di lei e Blaise sapeva che non sarebbe mai riuscito a sganciarsi da sua madre a un orario decente, così, pensando di aver risolto le cose fra loro, le aveva dato appuntamento direttamente alla Gringott, spiegandole quello che aveva bisogno che lei facesse.
Per Salazar, era stata una cattiva idea! Quando la vide entrare dalla porta d’argento, sospirò sollevato senza neanche rendersene conto.
La seguì con lo sguardo mentre entrava. Dannazione, aveva i pantaloni. No, ok, era meglio così. Avevano del lavoro da sbrigare. Quando lei lo vide gli sorrise e Blaise le fece cenno di avvicinarsi. Pansy si diresse verso di lui sorridendo.
“Tieni, ti ho portato dei muffin” disse, porgendogli un sacchetto di carta. Si portò una mano al petto con un sorriso.
“Adesso hai conquistato il mio cuore.”

 

Lei sorrise sorniona. “Puntavo ad altro, ma va bene uguale, dai”. Blaise rise e si avvicinò a lei quando Pansy fece il gesto di salutarlo con un bacio sulla guancia. Erano sotto gli occhi di tutti.
“Dov’è la stanza dei quadri?” gli chiese. Lui si incamminò facendole cenno di stargli vicino.
“È giù nei sotterranei. Dobbiamo chiamare un folletto e andarci con il carrello. Intanto spostiamo il tuo denaro?” La ragazza annuì.
Avrebbero spostato il denaro che lei si guadagnava. Aveva fatto un calcolo approssimativo dei suoi risparmi. Ma aveva tenuto in difetto il conto, così che suo padre non potesse reclamare niente. Il primo giro lo finirono alla camera blindata del signor Gustav Parkinson.
Pansy riempì a malincuore la borsetta, ampliata con un Incantesimo di Estensione Irriconoscibile, con suoi galeoni. Le sembrava di tradire la sua famiglia. Ma sapeva che era il primo passo verso l’essere indipendenti. Indipendenti davvero. Poi tornò sul carrello, Blaise dovette capire quanto fosse difficile per lei, perché le mise un braccio sulle spalle e la baciò sulla testa. Si asciugò una lacrima di nascosto.
Tornarono verso la superficie. La sua nuova camera blindata era meno preziosa, quindi con meno sistemi di sicurezza magica. Svuotò la borsetta direttamente sul pavimento. Merlino. Sembrava ancora più vuota di quando era entrata. Si chinò e prese qualche moneta che infilò in tasca. Poi, sorridendo, tornò verso il carrello. Il moro l’aspettava fuori dalla porta.
“E ora? Dove andiamo?” chiese il folletto.
“Alla cantina dei quadri, Lookuoi. Dobbiamo controllare delle cose”. Il folletto annuì e fece ripartire il carrello. Quando si fermò e loro scesero, Blaise gli disse che poteva andare.
“E come facciamo a tornare su, dopo?” chiese Pansy. Non conosceva molto bene le procedure bancarie, lei.
Il folletto si allungò verso di lei e le diede un campanello d’argento. “Può suonare questo campanello, signorina. Uno di noi folletti verrà subito a prenderla”. Lei sorrise.
“Fantastico. Grazie mille.”

 

Blaise tirò fuori dalla tasca la chiave della cantina e la infilò nella serratura. Mentre questa scattava, Lookuoi il folletto partiva verso la superficie con il carrello. Aprì la porta e con la bacchetta accese una lanterna.
Imprecò quando vide i quadri. Saranno stati un migliaio. Tutti accatastati l’uno contro l’altro, in piedi, sul pavimento. La stanza era enorme. Sentì Pansy sospirare.
“Sei sicuro che siano qui, almeno, vero?” Lui alzò le spalle. Lo sperava.
“Brittany dice che il signor Harris ha spostato i quadri che erano nel suo ufficio, il giorno prima di sparire. E dice che uno dei folletti l’ha visto uscire da qui, quel giorno. Quindi, no, non sono sicuro. Ma è il primo posto dove possiamo cercare. Altrimenti dovremo trovare un altro modo”. Pansy annuì poi si voltò verso di lui.
“Chi è Brittany?” Lui rise.
“La tua Brianna”. La bocca di lei divenne un cerchio.
“Oh”. E ridacchiò. Avrebbe voluto baciarla. Ma se avesse iniziato, non avrebbero finito con i quadri e lui voleva godersi il momento con lei in tutta tranquillità.
La sera prima le aveva spiegato brevemente quello che doveva fare. Il signor Harris era scappato dalla Gringott improvvisamente e non si era più fatto vivo. Ormai era passato un mese. Non si capiva cosa fosse successo.
Così avevano mandato Blaise per indagare. All’inizio avevano pensato a un rapimento, al Ministero, ma poi nessuno aveva fatto richieste di riscatto. E se lui si era preso la briga di sistemare le cose nel suo ufficio, prima di andarsene, se n’era andato di sua volontà.
“Ok, allora hai detto tre quadri: un cacciatore che squarta un cervo, una matrona del diciannovesimo secolo vestita di giallo, e un paesaggio di campagna. Giusto?” Pansy annuì ancora.

 

“Bravo, hai fatto i compiti.”
Pansy si avvicinò alla prima pila di quadri e tirò fuori la bacchetta.
“Come procediamo?”
Lei scosse le spalle. “Io di qua e tu di lì? Se incontri qualcosa che si avvicina alla descrizione, mi chiami e vediamo. Ok?” Lui annuì.
Pansy fece sparire la polvere dal primo quadro per vedere di cosa si trattasse: dame a un ballo. Niente. Lo guidò con la bacchetta fino a un angolo vuoto e guardò il secondo. Al quarto era già stufa. Certi artisti non dovrebbero avere libero accesso alle tele e ai colori.

 

Blaise agitò la bacchetta e tolse la polvere da un altro quadro. Sentì Pansy tossire quando un quadro troppo impolverato venne scosso, ma poi lei stette zitta un attimo e gli chiese: “Dici che avrà fatto un incantesimo per la polvere?”
Il ragazzo si voltò verso di lei.
“La polvere?”
“Sì, per far sembrare che i quadri che ha portato per ultimi siano qui da più tempo. Cioè, io l’avrei fatto. Li avrei nascosti in mezzo agli altri e avrei lanciato un incantesimo impolverante”. Alzò una spalla.
Merlino, aveva ragione. Blaise si spostò lungo le file di quadri, per vedere se ci fosse qualcosa di strano. “Ehi, non ti ho detto di girare a caso! Non dovremmo seguire una logica?” Lui si portò un dito alle labbra per dirle di stare zitta e sorrise.
“Forse so come fare presto. Guarda!” Alzò la bacchetta verso i quadri e la fece scorrere indicando il pavimento mentre formulava: “Finitem incantem!”
Dal centro della stanza si alzò una nuvola di polvere che sparì. Si voltò verso di lei e vide che sorrideva.
“Grande!” Alzò una mano per battere la sua, ma Blaise la prese e la tirò verso di sé, abbracciandola.
“Io direi che mi merito di più.”
Lei rise e gli cinse il collo con ancora la bacchetta in mano. “Ma se ti ho dato io l’idea!”
“Allora ce lo meritiamo tutti e due”. E la baciò. Lei rispose al suo bacio e Blaise la spinse contro il muro in uno dei pochi angoli liberi.

 

Quando Pansy sentì le mani di Blaise sulle natiche e la sua imprecazione sui suoi pantaloni, rise e lo scostò da lei. Oh, che penasse un po’ anche lui, come aveva penato lei!
“Prendiamo quei quadri, va. Così li portiamo su” disse accogliendo la bacchetta da terra.
Si avvicinò alla fila dove si era volatilizzata la polvere e spostò mano a mano tutti i quadri che incontrava al suo passaggio.

 

Blaise rimase un attimo indietro. Se non si fosse allontanata lei, forse avrebbe fatto la sciocchezza di non fermarsi. Si sistemò i pantaloni e la raggiunse, mentre spostava l’ultimo quadro.
Una signora di mezza età molto in carne con una cuffietta gialla gridò quando lo vide e sparì sotto la cornice del quadro. Oh. Cos’era successo?
Pansy ridacchiò piano. “Mi sa che l’hai svegliata…”
“Io? L’hai svegliata tu!” Lei alzò una spalla, chinandosi a prendere il quadro.
“Forse. Ma tu l’hai spaventata”. Annuì.
“È questo, comunque”. Meno uno.
Pansy tirò fuori la bacchetta e lo fece volare vicino alla porta.

 

Ok, uno lo avevano trovato. Quel posto puzzava di muffa. Era fastidioso, Pansy sperava di non doverci mettere ancora tanto tempo. Blaise intanto spostò i quadri lungo la fila vicina e le fece cenno.
“Dovremmo esserci. Vieni a vedere se è uno di questi.”
Pansy si avvicinò.
Ne spostarono altri due e poi, lì dietro agli altri comparve il quadro con il cacciatore che squartava il cervo. Si voltò. Non era mai riuscita a guardarlo.
Lui fu velocissimo e lo spedì vicino all’altro. Lo ringraziò con un sorriso.

 

Meno due. Rimaneva il terzo. Cos’è che era? Un paesaggio di campagna. Forse poteva essere più difficile. I paesaggi si assomigliavano un po’ tutti. Iniziò a spostare i quadri nella fila vicino e Pansy lo aiutò. Passarono un sacco di quadri lentamente, perché lei non si ricordava con precisione come fosse il quadro.

 

Pansy era stanca. C’era poca luce, le lanterne non facevano il loro lavoro e lei aveva gli occhi pesantissimi. Si sedette per terra e illuminò la bacchetta per vederci meglio. “Sei stanca?” le chiese Blaise.
“Un po’…”
“Vuoi fare una pausa?” Scosse il capo.
“No. Non vedo l’ora di finire”. Lui annuì mentre spostava un altro quadro.
“Dopo ti porto a pranzo.” 

Lei sospirò così forte che Blaise la guardò. Pansy alzò lo sguardo su di lui e disse sottovoce: “Daphne mi ha invitato a pranzo a casa sua…”
Annuì. Gli aveva raccontato della litigata con Daphne. Per quanto a lui non stesse particolarmente simpatica, visto che lo voleva lontano da Pansy, sapeva che loro erano amiche. E Pansy ci teneva. Nonostante tutto. E ci soffriva.
“Potresti andarci…”
Pansy alzò una spalla. “Ancora non lo so. E poi oggi pomeriggio ho appuntamento con lo psicomago, per via della sospensione”. Lui annuì. Di sicuro non avrebbe insistito.
La ragazza spostò il quadro successivo e spalancò gli occhi, sorpresa. Si alzò in piedi velocemente e fece un passo indietro. Blaise, che la stava guardando, si voltò a guardare il quadro. Cosa aveva di particolare da farle avere quella reazione? Non era niente di speciale: un ragazzo dormiva sotto un albero. Intorno a lui c’erano un frutteto, un campo coltivato con delle spighe e in lontananza un boschetto. Lo guardò ancora.
Alla fine si voltò verso Pansy perché non riusciva a capire. Lei si portò il dito alle labbra come aveva fatto lui qualche tempo prima e fece apparire uno straccio coprente che lasciò cadere sul quadro.
“Prendilo. È questo.”
Senza dire niente, fece quello che gli aveva detto.

 

Quando furono di nuovo nell’ufficio, gli chiese se potesse far portare del tè. Blaise la guardò stranito ma annuì. Chiamò uno dei suoi elfi e gli ordinò quanto richiesto. Appoggiarono i quadri al pavimento e lei lo bloccò quando fece il gesto di riappenderli al muro.

 

Pansy lo fermò quando tentò di scoprire il quadro.
“Rispiegami un attimo il lavoro che fai.”
Blaise alzò le sopracciglia. Oh, per Salazar! C’era qualcosa che non gli stava dicendo.
Lui sospirò e lei incrociò le braccia al petto. Quando capì che non avrebbe parlato, continuò: “Dimmi che non stai facendo delle indagini anche per il San Mungo”. Lui aprì la bocca e sgranò gli occhi sorpreso.
“Certo che no!” Poi però la guardò in una maniera strana.

 

Ma perché Pansy gli faceva quella domanda? “Perché?”
Lei tirò fuori la bacchetta e per un attimo pensò che la usasse su di lui. Fece un incantesimo non verbale ai quadri coperti dallo straccio e disse: “Il quadro del paesaggio di campagna… Dove c’era il tipo che dormiva… Era appeso qui…” Si fermò.
Lui mosse la testa per farla continuare e lei sospirò. “Il tipo che dormiva non lo avevo mai visto. Non qui”. E dov’è che l’aveva visto?
“E dove l’hai visto? Al San Mungo?” Lei annuì lentamente. Merlino. Era una coincidenza o una complicazione? “Al San Mungo dove?”
“Nel quadro del mio ufficio.”
Santo Merlino!

 

L’elfo si materializzò e portò un vassoio con del tè e dei pasticcini. Pansy si sedette, versò il tè in due tazze e gli fece cenno di sedersi.
“Dobbiamo parlare”. Lui annuì e sospirando prese un pasticcino.
“Ti ho detto che ho mandato un gufo alla Weasley?” Blaise sospirò.
“Sarà una lunga chiacchierata, eh?”

 

***

 

“Ho detto che ti avrei portato a cena, e ti porterò a cena.”
Blaise cercò di essere irremovibile. Pansy rise, di lui, e disse che preferiva mangiare una pizza a casa, sul divano. Sbuffò.
Sua madre gli aveva sempre detto che quando avesse incontrato la donna della sua vita avrebbe dovuto offrirle una cena prima di passare la notte con lei. Non gli era mai venuto in mente, prima. Ma ora…
Pansy rise di nuovo. “Perché fai quella faccia?" Blaise scosse la testa. “Dai, prometto che andremo a cena, ma stasera sono stanca”. Lei fece quella faccia da cucciolo di unicorno. L’aveva vista un sacco di volte anche a Hogwarts, ma doveva essersi specializzata nel frattempo, perché non riuscì a dirle di no. Sospirò.
“Va bene. Vada per la pizza”. Lei si mise in punta di piedi e gli circondò il collo con le braccia.
“Da te o da me?” chiese prima di stampagli un bacio sulle labbra.
“Dove vuoi.”
“Ok. Andiamo a prendere la pizza, poi ti porterò dove voglio io”. Blaise le circondò la vita e intrecciò le mani sulla sua schiena. Era così minuta, lei.
“E poi?”
“E poi farò di te ciò che voglio!” Sorrise ancora e disse qualcosa che lui non capì.
“Come? In che senso ‘discreto’?” Pansy rise forte e scosse il capo.
“Niente niente. Andiamo via.”
Uscirono dalla Gringott e si incamminarono per le strade di Londra.


 

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Capitolo 4
*** Il matrimonio ***


  Il matrimonio

 -

Quel sabato il cielo era terso. Il sole brillava filtrando dalle serrande nella camera di Blaise e lui si svegliò passandosi una mano sul viso. I raggi del sole colpivano proprio il suo cuscino. Si ricordò di non aver tirato le cortine del letto la sera prima. E poi si ricordò perché.
Guardò verso l’altro lato del letto e vide la figura di Pansy che dormiva sul fianco, la testa sul cuscino e i capelli sparpagliati, un braccio sul suo petto e la mano sul suo cuore. Gliela prese e le baciò le dita.
“Pansy…” la chiamò per svegliarla. Ma lei non si mosse neanche. Sapeva che era una dormigliona. Scostò appena la coperta. Era nuda. Si avvicinò a lei, per far aderire i loro corpi. Lei mugugnò.
Sorrise. Le sfiorò il fianco con le dita, per farle il solletico. Lei aprì appena gli occhi e poi li spalancò. “Merlino, un altro sogno?” Si inginocchiò coprendosi con la coperta. Lui si stranì.

 

Pansy si agitò e si tirò su mentre si guardava intorno. No. Non era un sogno, stavolta. Ed era nella stanza di Blaise. Nuda, con lui. Anche lui sembrava nudo. Sorrise e sospirò.
“No. Non è un sogno.”
“Un sogno?”
“Io ti ho sognato…” disse lei prima di rendersene conto. Blaise ghignò.
“Davvero?” Alzò anche un sopracciglio. “E dimmi: cosa hai sognato?” Si girò sulla schiena, gongolando e le accarezzò la pelle lasciata scoperta dal lenzuolo.
Un brivido la scosse e lui sorrise sornione. Si avvicinò per baciarlo.
“Ho sognato che baciavi Draco.”

 

COSA? Blaise si tirò su di colpo e sbatté la testa contro la sua spalla. Lei ridacchiò e lo spinse ancora sul materasso, prima di mettersi a cavalcioni su di lui. Era calda. Era bella. Era sua. SUA.
“A che ora siamo attesi da tua madre?” MERLINO, LA MAMMA!
“È sabato?” Lei annuì sorridendo. “Quel sabato?” chiese ancora mentre lei faceva cadere il lenzuolo, mostrandosi.
Gli si seccò la bocca, mentre lei annuiva ancora e si chinava su di lui. Quando fu abbastanza vicina da baciarlo, disse: “Dove fai colazione di solito, il sabato mattina?” Poi la sua espressione cambiò e si ritirò su di colpo, ricoprendosi e imprecando.
“Merlino! Quante ne hai portate qui?” Ma la domanda non era per lui. Non era per nessuno. Si guardò intorno velocemente e si passò una mano fra i capelli. Poi guardò il lenzuolo e, probabilmente, rendendosi conto che era quello del suo letto, lo lasciò andare. Scese giù dal materasso e cercò i suoi vestiti.
MERLINO! Pansy stava scappando.

 

Pansy non riusciva a capire dove fossero i suoi vestiti. Dovevano essere lì. Per forza. Girò intorno al letto, ma non li vide.
“Pansy, Pansy. Aspetta, non scappare”. Lei si voltò verso di lui. Era sceso dal letto anche Blaise, adesso. Non riuscì a non guardarlo. Le spalle, il petto. Merlino. Si impose di non lasciar scendere lo sguardo più giù e si voltò.
“Non sto scappando” mentì, “voglio solo andare a casa a prepararmi”.
“Aspetta.”
Le prese la mano e intrecciò le dita con le sue. Lei guardò le loro mani, ma non riuscì ad alzare lo sguardo sul suo viso. “Nessuna è venuta qui. Te lo giuro”.
“Non mi mentire. È peggio”. Voglio solo andare a casa a prepararmi. Ma si rese conto di non essere riuscita a dirlo. Forse perché non era vero. Il ragazzo la strattonò finche non si voltò verso di lui.
“Ti ho detto la verità. Nessuna”. Lei annuì, abbassando gli occhi. “Adesso torna a letto con me”.
Sembrava un ordine. Un ordine? Ehi! Nessuno le dava ordini!
“Verrò a letto quando vorrò io.”

 

Blaise sorrise e la tirò verso di sé. La baciò finché lei non si tranquillizzò e l’accarezzò finché non riuscì più a reggersi sulle gambe. Fece appena un passo e lei cadde sulla coperta. Pansy sbuffò sorridendo.
“Hai vinto tu.”
Sì, sorrise anche lui, aveva vinto davvero.

 

***

 

“Ah, mi sono scordato di dirti una cosa.”
Uh. Non era un buon inizio. Pansy guardò Blaise mentre il portone di casa di sua madre si apriva per farli entrare.
“Mia madre conosce la tua”. Oh, Merlino! Però non l’aveva invitata, giusto? Non avrebbe dovuto passare il pomeriggio con sua madre. Vero? VERO?
“Non è qui, vero?” Lui fece una faccia strana.
“No. Perché dovrebbe?” Pansy scosse le spalle.
“Non si sa mai.”

 

Blaise fece entrare Pansy nella casa in cui era cresciuto. Era la prima volta che lei ci metteva piede. La vide guardarsi intorno con curiosità. Dollylee li accolse sulla porta. Salutò con un inchino e grande referenza sia lui che la ragazza che aveva a fianco.
“Sua madre si sta preparando. Dice di andare in giardino a prendere un bicchiere di vino.”
Si voltò in direzione del giardino e mise una mano sulle reni di Pansy per accompagnarla.
“La signorina, invece, può salire nella camera della signora”. Pansy lo guardò alzando un sopracciglio.
Perché sua madre voleva che lei andasse su da sola? Non prometteva niente di buono. Rafforzò la stretta su di lei e aprì la bocca: “Di’ a mia madre che…”
“Che salgo subito. E intanto ringraziala per l’invito, per cortesia”. Pansy si staccò da lui. No. Cosa faceva? Doveva rimanergli vicino. Dollylee si smaterializzò per avvisare la padrona.
“No.”
“Non c’è problema”. Aspettarono che l’elfa si materializzasse di nuovo e Pansy le disse: “Fammi strada”.

 

Mentre seguiva l’elfa su per le scale, Pansy, si chiese cosa le avesse preso. Perché stava andando dalla madre di Blaise? Un passo dopo l’altro si ritrovò davanti a una doppia porta bianca da cui provenivano voci concitate e rumori vari. Sospirò.
L’elfa entrò e la sentì dire alla ‘signora’ che lei stava entrando. Non la chiamò per nome. Effettivamente non si era presentata. Avanzò oltre l’uscio e fece il suo ingresso.
La stanza era enorme. Molto più grande della stanza padronale a casa dei suoi genitori. Per un attimo si impressionò.
“Buongiorno, l’elfa mi ha detto…” Una signora con un vestito color avorio era girata verso di lei e le sorrideva affettatamente. Meraviglioso, iniziamo bene.
“Cara! Devi essere l’amichetta di Blaise. Vieni entra pure. Fai come se fossi a casa tua!” Amichetta? Oh, Merlino!

 

Althea le andò incontro. Blaise era stato bravo. La ragazza era a modo e il suo vestito era appropriato. Lei era appropriata. Sperò solo che non parlasse troppo o facesse cose strane.
Miranda, la figlia di Hector la sgridò. “Althea! ‘Amichetta’? Su, dai, non ha cinque anni. Vieni, cara, non fare caso a questa sposa un po’ troppo agitata…” Vide la strega andarle incontro e la ragazza sorriderle.
“Sono Miranda la figlia di Hector, lo sposo.”
“Piacere di conoscerti, io sono Pansy, Pansy Par…”
Althea sbarrò gli occhi ed esclamò prima di rendersene conto: “Pansy Parkinson?” La ragazza la guardò come sotto effetto di una confundus.
“Sì, signora…” Althea sorrise davvero. Oh, non vedeva l’ora di conoscerla e ora eccola lì. Possibile che suo figlio l’avesse fatto apposta? La osservò: non era brutta. Blaise aveva ragione. Era molto carina. Sorrise ancora.

 

Pansy continuò a guardare la madre di Blaise in maniera strana. Lui le aveva parlato di lei? E perché la strega aveva usato quel tono? Miranda le disse sottovoce: “Non fare caso a lei. Oggi è un po’ nervosa, giustamente. Vieni a prendere un bicchiere di vino, tu che puoi…” E con la mano si accarezzò la pancia.
Ma erano tutte incinte, negli ultimi tempi? Annuì e si allungò a prendere un bicchiere di vino. Miranda le fece cenno di sedersi, mentre aiutava la sposa a sistemarsi. Non sapeva cosa dire. O cosa fare. Si guardò intorno: sulla cassettiera vide delle foto incorniciate. Invece di sedersi si avvicinò al comò.
Cercò di guardare le foto senza farsi notare. Blaise. Blaise dappertutto. Da bambino. Da ragazzino. Da uomo. Sorrise. Non erano foto come quelle che sua madre esibiva in salotto. Le foto in cui la obbligavano a vestirsi bene e sorridere. (Ne aveva anche una in cui l’avevano obbligata a fare dei passi di danza!) Erano foto normali. Foto con la madre. Forse Miranda l’aveva chiamata Althea? Oh, com’era carino Blaise! E una foto con Narcissa e Draco. Altre foto, con Blaise un po’ più grande, e un’altra, durante quello che sembrava l’ultimo anno di Hogwarts.
Sospirò e si voltò verso le streghe, che la stavano guardando. Miranda le sorrise. Althea invece la guardava pensierosa.
Bevve il vino tutto d’un sorso. Poi sorrise.

 

Blaise era in giardino e guardava la finestra della camera di sua madre. Beveva vino e contemplava il vetro della finestra. Non si vedeva niente.
“Non la mangerà. Stamattina ha già fatto colazione.”
Si voltò. Hector era una gran brava persona. E poi sopportava sua madre. Aveva una pazienza infinita.
“Giuramelo”. Il mago sorrise e prese un bicchiere di vino. Hector era rimasto vedovo anni prima. E a lui faceva veramente piacere che sposasse sua madre.
Finché lei non lo aveva obbligato a portare una ragazza al matrimonio. Per fortuna era riuscito a convincere Pansy. Sarebbe andato tutto bene. Guardò ancora la finestra.
“Voleva solo essere sicura. Ci sono parecchie tue zie, oggi. Ha paura di fare brutta figura”. Alzò le spalle.
“Poteva evitare di obbligarmi a portare qualcuno.”
“Non voleva che scappassi via al primo E tu sei da solo? Niente ragazza?” Sorrise. Le sue zie lo dicevano a ogni festività.
All’ultimo matrimonio zia Blanche gli aveva chiesto: ‘E tu? Sarai il prossimo?’, con un tono talmente derisorio che lui le aveva detto che le avrebbe fatto la stessa domanda al funerale successivo. Lei era andata via un po’ sostenuta, ma non gli aveva più fatto battutine.
Guardò ancora la finestra.
“Stanno arrivando!” Si girò di nuovo verso Hector che si dileguava e andava a prendere posto lungo il tappeto.
Guardò l’ingresso del giardino. Sua madre stava arrivando.

 

***

 

“È stato bello.”
“Grazie!” Blaise sorrise sornione. Pansy rise e gli diede uno schiaffetto sul braccio.
“Troll, intendevo assistere alla cerimonia.”
“Oh, deve ancora venire la parte migliore”. Lei lo guardò stranita.
“Ossia?”
“Questo”, e con il braccio teso e la mano aperta indicò i tavoli.
Pansy si guardò intorno. I parenti di Hector, lo sposo, erano una manciata, mentre i parenti di Blaise erano almeno sette squadre di Quidditch.
Miranda la salutò dal suo posto, vicino al marito. Ricambiò il saluto con un sorriso. Hector non era male. Si era presentato subito dopo la cerimonia e le aveva fatto qualche complimento d’altri tempi. Era un uomo delizioso. Lo osservò prendere la mano della madre di Blaise e baciarle il dorso con occhi affettuosi. Erano molto carini, insieme.

 

Blaise osservò Pansy guardarsi intorno. Continuava a sorridere. Avrebbe dovuto trovare il modo per tenere lontano le sue zie. Soprattutto zia Blanche.
Appoggiò la mano sullo schienale della sedia di Pansy e si avvicinò un po’. “Dici che si accorgeranno se sparissimo per un po’?” Le appoggiò una mano sulla coscia e con il pollice le accarezzò la pelle sotto l’orlo della gonna. Lei si girò sorpresa.
“Penso proprio di sì, Blaise!” E gli spostò la mano con un gesto fermo.
Sbuffò ridacchiando. “Ieri sera non facevi così la preziosa…”
“IO la preziosa!” ridacchiò lei. “E poi ieri sera non eravamo in mezzo a tutta la tua famiglia.”
“Andiamo a casa dei tuoi?” Lei quasi sputò il vino che stava bevendo.
“Dillo un’altra volta e ti lancio una cruciatus!” Blaise rise.

 

Althea guardava i ragazzi da lontano. Blaise non aveva voluto sedersi al tavolo con loro. Né a quello di Miranda. Ora come avrebbe fatto a controllarli? A sentire quello che si dicevano?
Hector le prese la mano e la baciò. Si girò verso di lui. Lui la guardava in quella maniera così dolce.
“Lasciali stare.”
Sbuffò. Aveva capito subito. Lui la capiva sempre subito.

 

***

 

La strega si alzò e raggiunse il tavolo dove era seduto Blaise.
“Sei da solo, tesoro?” Althea si sedette vicino al figlio.
“Sì, mamma. Pansy è andata alla toilette. O forse sta evitando zia Blanche.”
Althea sorrise.
Blanche Stuart era la sorella zitella del suo terzo marito. Era insopportabile e maledettamente pettegola. Aveva avuto da dire con lei tante volte. Ma non aveva rifiutato l’invito al matrimonio. Nonostante Althea ci avesse sperato.
“È stato bello…” Il figlio le strinse la mano. Questo era il primo matrimonio a cui partecipava Blaise. Dopo suo padre, non si era più risposata. Sorrise pensando che sarebbe stato l’ultimo.
“Così hai portato Pansy Parkinson al mio matrimonio…”
“Mi hai obbligato a portare una ragazza” rispose lui, alzando le spalle.
“Perché lei?”
“Perché no? È a posto. Non ti ha fatto fare brutta figura”. La strega sbarrò gli occhi. “Non è per questo che hai voluto che salisse da te prima della cerimonia? Così potevi valutare dove farla sedere al banchetto?” Althea arrossì appena. Non succedeva da quando Hector l’aveva baciata per la prima volta.

 

Blaise aveva capito il giochetto di sua madre quando li aveva invitati al tavolo degli sposi. Ma lui aveva preferito sedersi da un’altra parte. Anche lontano dalla figlia di Hector. Gli aveva dato fastidio l’atteggiamento di sua madre e lei dovette capirlo perché annuì piano con il capo e gli lanciò un’occhiata di scuse.
“Mi fa piacere che abbia passato il tuo esame”. Sua madre sospirò.
“Però non mi avevi detto che avresti portato lei.”
“Con tutto quello che pensavi di sapere, avresti di sicuro fatto qualche sciocchezza.”

 

Non si parla così a un genitore!
“E tu Blaise, hai fatto qualche sciocchezza?” Lui la guardò negli occhi.
“Del tipo? Senti, mamma, non so perché hai deciso che lei non ti piace…”
“Non ho detto che non mi piace!” lo interruppe.
E scoprì che era vero. La ragazza le piaceva. Era quello il problema. Aveva paura che lei li fregasse: tutti e due.
“Tu stai solo attento.”
“È dieci anni che sto attento, mamma, e guarda com’è andata!” Lui non la guardò più e prese un altro pezzo di torta dall’elfo che serviva. Sospirò e si alzò.
Non voleva discutere con suo figlio. Anche perché ‘qualche sciocchezza’ l’aveva fatta davvero. Tipo informarsi su Pansy. E quello che aveva saputo…
Passò in mezzo ai tavoli e si fermò a salutare tutti. Tutti davvero. Anche Blanche. Che malignamente le fece notare che la ragazza di Blaise era con i bambini. Lo disse con uno sguardo disgustato. Già. Forse era una cosa sconveniente.
“I bambini?” Blanche, contenta di aver ottenuto la sua attenzione, fece una strana smorfia con la bocca e indicò il giardino che dava sull’ala ovest della tenuta. Ma da lì non si vedeva niente. Avrebbe dovuto passare sul retro.
“Io andrei a controllare cosa combina quella ragazza. Prima si era tolta le scarpe e correva con i bambini. Oh, l’ho vista solo io, per fortuna. Ma non è proprio una cosa da fare!” Althea allargò gli occhi sorpresa. Pansy correva scalza con i bambini? Blanche dovette intuire male la sua reazione perché ghignò crudelmente. La odiò. Personalmente, non ci vedeva nulla di male. E poi anche lei avrebbe gradito togliersi le scarpe. Ma non poteva farlo lì in mezzo al banchetto. Forse nel giardino dell’ala ovest…
Le lanciò quello che sperò fosse uno sguardo cattivo e si alzò dalla sedia vicino alla sua. “Beh, sempre meglio così che essere una chiacchierona che sa solo criticare quello che fanno gli altri!”
“Ma… Althea…” Blanche arrossì e balbettò finché poi chiuse la bocca. E non le aveva neanche detto tutto quello che le andava detto! Non voleva rovinarsi il matrimonio. Si alzò e andò verso il giardino dell’ala ovest. Era comunque meglio dare un’occhiata.
Quando girò l’angolo della casa vide che i bambini invitati al matrimonio, una decina forse, fra nipoti e pronipoti, correvano sul prato. Ma non vide Pansy fra loro. Osservò meglio e la vide seduta su un plaid a gambe incrociate mentre toccava la testa di una bambina. Si avvicinò e capì che le stava pettinando i capelli in due trecce. Muoveva le mani in maniera esperta e veloce. Intrecciò nastri e fiori e alla fine le disse: “Ecco, vai pure”.
La bambina sorrise e ringraziò, poi scappò via.
“Avresti potuto usare la magia.”

 

Quando Althea le rivolse la parola, si spaventò, perché non l’aveva vista arrivare.
Pansy cercò di rialzarsi in piedi velocemente ma la strega le fece cenno di rimanere seduta. Con sua grande sorpresa, si sedette vicino a lei. Era un po’ imbarazzata.
“Dicevo, che con la magia avresti fatto prima”. Pansy sorrise.
“I bambini hanno bisogno di contatto fisico. Li fa crescere più forti”. Lei alzò un sopracciglio, incredula.
“Davvero?  L’hai notato nel tuo lavoro?”

 

Il sorriso della ragazza sparì e guardò da un’altra parte. “Sì”.
Aveva toccato un brutto tasto. E lo sapeva.
Si era informata su di lei. Doveva. E sapeva che aveva un guaio al lavoro, anche se non era riuscita a sapere bene cosa fosse successo. Era una di quelle ragazze a cui i genitori hanno comprato un titolo di studio per tenerla impegnata fino a quando non si fosse sposata? Ancora non l’aveva inquadrata. Sperò che lo scandalo non fosse troppo grande e non tirasse in mezzo Blaise.
In quel momento si avvicinò una bambina che le disse: “Pansy, la mia mamma vuole che trasfiguri il nastro verde acqua in uno rosa…”
Pansy la guardò stranita. “Hai detto che il verde acqua è il tuo colore preferito…” La piccola si morse il labbro e si guardò il piede.
“La mamma vuole che si intoni con il mio vestito…” La bambina era veramente triste, probabilmente non voleva cambiare il colore al nastro, che si accarezzava inconsapevolmente.
“Ho paura di non essere in grado di farlo. Puoi andare a dire alla tua mamma che non sono capace di cambiargli colore?”
La bambina sorrise. “Posso tenerlo verde?”
Althea annuì le le disse: “Secondo me è molto più bello verde”. La bambina si girò verso di lei. “Di’ alla tua mamma che ti ha detto la sposa che devi tenerlo verde!” La piccola la guardò ancora, dubbiosa, ma annuì e scappò via.
“Perché le hai detto di non essere capace?” Non le sembrava totalmente inetta con la bacchetta.
“Così non la sgriderà.”
“Magari si arrabbierà con te”. La ragazza alzò una spalla.
“Non la vedrò mai più, probabilmente. Me ne farò una ragione. Lei, invece” continuò indicando la bambina, “dovrà conviverci un altro po’. Certe mamme fanno più danni che…” Pansy parlò e poi si zittì da sola con la mano sulla bocca. “Mi scusi, io non…” Althea non poté fare a meno di ridere.
“Tua madre è venuta a casa mia.”
Il suo viso si adombrò e sgranò gli occhi, imprecando sottovoce.
Lei non lo sapeva. Ne fu contenta.

 

“Per Salazar, mi dica che non le ha proposto un fidanzamento!” Pansy non aveva capito che sua madre fosse andata da Althea davvero. Sperava che il tutto fosse solo nella sua mente.
Quando la strega annuì sospirò. “Oh, mi dispiace. Davvero”, sospirò ancora. Ecco perché aveva voluto vederla, prima.
“Deve aver pensato che fossi storpia o qualcosa del genere…”
“Ho pensato che tu fossi incinta”. MERLINO! Avrebbe dovuto iniziare a tenere rinchiusa sua madre. Scosse la testa sconsolata.
“Non ho intenzione di proporre a Blaise un fidanzamento combinato. Non si preoccupi”. Pensò di rassicurarla.
“Non vuoi perché è brutto?”
“Blaise non è brutto!” si indignò. La strega rise e la guardò beffarda. O Santo Salazar! Sentì le guance andare a fuoco. Sperava che sua madre non avesse tirato in ballo la storia del ‘lui è discreto’. Si alzò in piedi.
“Quindi non sei interessata a un fidanzamento con mio figlio?” Si alzò in piedi anche la madre di Blaise. Era una domanda tosta. Erano tre giorni che si frequentavano. Beh erano più di dieci anni, ma ora era diverso.
“Non posso ancora rispondere a questa domanda.”

 

Althea annuì. “Apprezzo la tua sincerità. Posso essere sincera anch’io?” Le sorrise sperando di riuscire a farle capire il suo stato d’animo. La ragazza annuì senza dire niente. “Preferirei che mio figlio non fosse coinvolto con qualcuno che ha delle questioni così importanti in sospeso”.

 

Pansy sarebbe riuscita a reggere quel colpo benissimo. Benissimo se fosse stato una cruciatus. E invece era stato peggio. Annuì e basta. Lei sapeva della sospensione al San Mungo. Si chinò a prendere le scarpe. Era ora di andare a casa.

 

“Pansy!” Blaise la chiamò appena la vide. Era vicino a sua madre. E lei aveva una gran brutta faccia. Che era successo? Ma in quel momento non poteva chiedere.
“Pansy, devi venire subito!”
“Che succede, Blaise?” Sua madre glielo chiese mentre Pansy rimase zitta.
“Pansy, devi venire in salotto. Ci sono delle persone che vogliono vederti. È una cosa importante. Riguarda… Il San Mungo”. Cercò di spiegarle con lo sguardo l’importanza della cosa, ma la sua faccia era atterrita. Si avvicinò e le prese la mano.
“Vieni”.
Lei alzò gli occhi su di lui e disse: “Ci vado da sola. Resta qui, tu”. Come? Lei scrollò la sua mano e si incamminò verso l’ingresso.
Blaise si voltò verso sua madre. Era stata lei? Cosa le aveva detto? Perché Pansy, prima sorridente e solare, adesso aveva quella brutta faccia sconsolata?
“Cosa le hai detto?”
“Io?” Sua madre lo guardò stranita. Ma non abbastanza. Doveva essersi resa conto di quello che aveva fatto.
“Sì, tu, cosa le hai detto? Merlino, mamma, se mi lascia non te lo perdonerò mai!” Sua madre strabuzzò gli occhi.
“Io non le ho detto niente. Ho solo accennato al fatto che non mi farebbe piacere che tu rimanessi coinvolto in uno scandalo più grosso di te.”
“Scandalo?”
“Sì, ho preso informazioni. Non sai cosa ha fatto quella ragazza.”
“Sì, che so cosa è successo. Pensi che non me lo abbia raccontato?” Si avvicinò e le disse sottovoce: “Lei è la donna che porterò a cena”. Sperò che sua madre capisse.
Lei annuì. “Allora dovresti raggiungerla”. Blaise si voltò verso la casa e poi tornò a guardare sua madre.
“Dovresti venire con me. Potresti scoprire che in fin dei conti è una persona meravigliosa e non quello che pensi tu.”

 

Althea annuì gravemente. Non si era sentita una bella persona quando le aveva detto quella frase, ma lei doveva proteggere suo figlio. Però suo figlio voleva la ragazza, scandalo o non scandalo.
“Mamma non credere a ciò che si dice in giro. Se avessi dovuto credere a tutto ciò che sentivo su di te…” Lei annuì ancora.
O Santo Salazar, aveva ragione. E suo figlio era grande abbastanza da decidere cosa fare e con chi stare.
L’unica cosa che poteva fare lei era dargli il suo appoggio o negarglielo.
“Andiamo.”

 

***

 

Hermione si guardava intorno in quel salotto. Ginny camminava avanti e indietro nervosamente. Non le faceva bene. Erano tre giorni che era in quello stato.
Ma la capiva. Si pentì di non averle dato retta prima.
Sospirò e guardò verso la porta che si stava aprendo: la Parkinson era arrivata.

 

Pansy avanzò cautamente nella stanza. Ci aveva messo un’eternità ad arrivare. Voleva schiarirsi le idee prima di affrontare chiunque si fosse trovato davanti. Pensava che il Ministero fosse arrivato per portarla via e non voleva che Blaise potesse subire lo scandalo di un arresto in casa sua. Non durante il matrimonio di sua madre.
Ma quando entrò si trovò di fronte la Granger. E la Weasley.
Non erano venuti per arrestarla. E allora perché loro erano lì?

 

Blaise e sua madre entrarono in soggiorno proprio mentre la strega rossa alzava gli occhi su Pansy. Si avvicinò a lei a passo veloce e pesante e gridò qualcosa. Cosa stava succedendo?

 

Althea guardò quella strana situazione con occhi estranei. Non sapeva chi fossero quelle ragazze. Sì, beh, le aveva viste, salvatrici del mondo magico anni prima, forse. Quando la ragazza rossa si avvicinò a Pansy con in mano una pergamena, pensò che le saltasse addosso, ma si fermò di fronte a lei.
E Pansy non si mosse di un millimetro. Apprezzò tanto quell’atteggiamento.

 

“Parkinson, Santo Merlino, ti decidi a scrivermi e mandi il gufo a casa di mia madre?”
Oh. Aveva sbagliato a scrivere la pergamena?
La sua faccia dovette parlare da sola in quanto si avvicinò anche la Granger che le spiegò: “Hai scritto il suo cognome da nubile e il gufo l’ha portata alla Tana, a casa dei suoi. Se avessi scritto il cognome giusto, lo avrebbe ricevuto a casa…”
Ma la Weasley, no, la Potter, la interruppe: “Lo avrei ricevuto prima! Mia madre non aveva capito quanto fosse importante e non me l’ha data subito!” Sbuffava e starnazzava.
“Mi spiace. Scusami. Volete… sedervi?” Si voltò verso Blaise per cercare approvazione: non era casa sua. Lui si avvicinò e annuì.
”Sì certo, chiamo l’elfo…” lo sguardo della Granger lo zittì. La piccola rossa sbatté il piede per terra.
“Porco Merlino! Ma quale elfo! Abbiamo poco tempo. Mio marito sta morendo!”

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Capitolo 5
*** Il ricordo di Ginny Weasley ***


05.Il ricordo di ginny Weasley

Il ricordo di Ginny Weasley

 

 

Blaise vide Pansy girarsi verso la Weasley e andarle incontro.
“Ti ho già detto che mi dispiace, io non posso più…” La Potter sbuffò.
“Tu sei l’unica che può salvarlo. Devi venire con noi al San Mungo!” Pansy scosse la testa.
“Non posso venire al San Mungo. Il legalmago dice…” La rossa spalancò le braccia e gridò ancora.
“Non mi interessa del legalmago! Mio marito sta morendo! Perché nessuno lo capisce?” Improvvisamente, così come era scattata, la strega si accasciò sul divano e nascose il viso fra le mani. Vide la Granger andarle vicino per sussurrarle: “Ginny, Ginny, calmati…”
Blaise vide sua madre fare qualche passo e battere le mani. Dopo pochissimo Dollylee si materializzò con un vassoio e il tè.

 

Althea non aveva capito la situazione, ma sapeva come frenare un isterismo. Fece portare il tè e si avvicinò alla ragazza seduta sul divano che piangeva.
Mentre passava vicino a Pansy, lei si riscosse e fece un passo verso il divano. “Grazie, signora Za… no. Mi scusi. Grazie”.
Le sorrise e le mise una mano sulla spalla. “Chiamami Althea. Adesso risolviamo questa cosa”. La ragazza annuì.
“Vuoi spiegarci dall’inizio cos’è successo?” Chiese la strega alla rossa, sedendosi sul divano e distribuendo le tazze. “Cos’è successo a tuo marito?” Ginny sospirò e annuì.
“Harry è stato colpito da una maledizione lunedì, durante una missione degli Auror. Sembrava non avesse niente, ma poi ha iniziato ad avere dei dolori strani. Quando siamo andati al San Mungo ci hanno mandato da te, Parkinson, ti ricordi? Al tuo reparto. Quello delle cose strane…” La ragazza sventolò la mano in aria e Pansy annuì.
“Lesioni da Maledizioni potenti e devastanti.”
Althea si stupì. Quello era un reparto speciale. Si occupavano di cose molto gravi e incantesimi potentissimi. Se Pansy lavorava lì prima di essere sospesa, doveva essere in gamba. In quel reparto non ci mettevano chiunque. La guardò di sottecchi mentre parlava con la moglie di Potter.
Potter il salvatore del mondo magico, giusto? Cercò di stare attenta e prestare attenzione senza dire niente.

 

Pansy se lo ricordava. Li aveva visti al reparto, ma lui stava bene. Non aveva niente. Lo aveva detto anche Denys. L’aveva mandato via dicendo che non doveva preoccuparsi. E invece era entrato in uno stato di morte apparente. Ma non dovuto a una pozione. Dovuto a una maledizione. Che lei non aveva riconosciuto.
Passò un fazzoletto alla moglie di Potter e Blaise si sedette su una delle poltrone dicendole di continuare.
“Dicevi che non aveva niente e che sarebbe dovuto andare al reparto di malattie magiche generiche”. Annuì ancora.
“Ma poi…” La rossa sospirò. ‘Ma poi’ cosa? Non c’era un ‘ma poi’! “Prima che prendessimo l’ascensore, ci hai guardato andare via e ci hai richiamato”. Cosa? Non era successo! Sgranò gli occhi.
“Hai detto che Harry camminava in modo strano e avresti preferito visitarlo.”
“Ma non è vero” si trovò a dire. La ragazza la guardò malissimo. La Granger, vicino a lei la guardò curiosa.
“Certo che è vero. Pensi me lo sia inventata? L’hai visitato e gli hai fatto delle domande su come era stato colpito. Quando lui ha spiegato, tu hai fatto una brutta faccia e ci hai detto di aspettare. Sei uscita e non tornavi più…” Bevve un sorso di tè e riprese il racconto.
“Dopo un po’ mi sono preoccupata e sono venuta a cercarti. Eri nel tuo ufficio, con il tipo che era con te mentre visitavi Harry e avete avuto una discussione. Vi ho visto dalla porta socchiusa.”
Chi? Se non si ricordava di aver visitato Potter, come faceva a ricordarsi chi c’era con lei?
“Poi hai urlato e lui ha tirato fuori la bacchetta. Io non ho avuto la prontezza di entrare e un’infermiera mi ha sgridato quando mi ha visto lì. Ho tentato di spiegare quello che stava succedendo, ma poi voi siete usciti e lei non mi ha creduto. E dopo…” Si voltò verso la Granger. “Non mi ha più creduto nessuno. Il mattino dopo Harry è svenuto e siamo tornati al San Mungo. Ha iniziato a stare male e a contorcersi. Poi, martedì sera è iniziata la fase della morte apparente, esattamente come avevi detto tu”.
“Io?” Pansy si stupì di aver gridato. La Weasley annuì ancora.
“Sì. Hai detto al tipo nel tuo ufficio che se non aveste fatto niente, nel giro di due giorni Harry avrebbe perso conoscenza e non si sarebbe più risvegliato. E che dopo sei giorni, forse otto, visto che è messo bene, sarebbe morto. Ora, di giorni ne sono passati quasi cinque… Per favore, Parkinson, puoi venire al San Mungo a salvare Harry?” Lei la guardò stranita. Cioè la Weasley la stava pregando? “Farò tutto quello che vuoi…”
“Io non voglio niente. Ma non mi ricordo di…”

 

“Scusate…” Hermione pensò che non stessero andando da nessuna parte, così. “Penso che ti sia stato fatto un Incantesimo Oblivion, Parkinson. Adesso, non so il perché o come ci siano riusciti, però, fatto sta, che stanno cercando di uccidere Harry e dobbiamo fare qualcosa.”
“Dici che volevano incastrare Pansy?” le chiese Zabini. Scosse il capo.
“Non lo so. Magari si è solo trovata tirata in mezzo per casualità. Però, a questo punto, il mago che era con te è quello che sta tirando le fila di questa commedia e dobbiamo fermarlo e salvare Harry. Giusto?”
“Tirare che cosa?” chiesero in coro Zabini e sua madre. Già. I maghi non sapevano cosa fossero le marionette.
“Scusate, è un detto babbano.”

 

Pansy si alzò in piedi. “Ok, dobbiamo trovare il modo per scoprire cos’ha Potter. Come… si fa?” Si girò verso la riccia ex grifondoro. “Granger… O come ti devo chiamare… C’è una pozione o qualcosa per farmi tornare un ricordo cancellato con l’oblivion?” La Granger scosse la testa.
“Ho mantenuto il mio cognome, dopo il matrimonio. Comunque…  potremmo provare con la pozione della memoria. Ma non è detto che…”
“Sei capace di estrapolare il tuo ricordo dalla testa? È una magia un po’ complessa…” Tutti si girarono verso Althea, che beveva il tè con noncuranza, mentre si rivolgeva alla moglie di Potter.
“Io sono capace. Ma poi? Avete un pensatoio?” La Granger, aveva rivolto a loro tre la domanda.
I pensatoi erano difficili da trovare. Erano rari in quanto spesso sparivano insieme al proprietario, essendo strettamente personali. Scosse la testa. Anche Blaise.
“Proviamo con la pozione” disse Pansy.

 

Althea si rabbuiò un pochino. Ma come, lei dava un suggerimento così importante e loro proponevano una semplice pozione? Che poi non si era neanche sicuri della riuscita della cosa.
“Io ho un pensatoio nello studio.”
“Davvero?” Blaise si girò verso di lei. Lui non lo sapeva.
Glielo aveva lasciato Antonio prima di morire. Ci aveva lasciato i suoi ricordi più belli di loro due insieme. I primi anni aveva praticamente vissuto lì dentro.
“Sì.”
La moglie del salvatore del mondo si alzò in piedi.
“Possiamo farlo subito?” Althea annuì e si alzò.
“Andiamo.”
Blaise continuò a guardarla stranito, ma si incamminarono tutti e cinque verso lo studio.

 

Blaise aprì la porta dello studio e la tenne aperta per le signore. Quando la richiuse si guardò intorno. Nessun pensatoio. Infatti.
“Mamma?” si rivolse alla madre. Lei tirò fuori la bacchetta e una libreria girò su dei cardini magici. Mosse ancora la bacchetta. Quello che sembrava un pesante piatto concavo di marmo fece la sua apparizione nella stanza segreta. Poi lentamente prese a muoversi verso di loro e si adagiò sulla scrivania.
“Tua madre è una grande!” gli sussurrò Pansy facendosi vicino a lui.
Blaise la guardò, ma lei continuava a guardare il pensatoio. La Granger tirò fuori la sua bacchetta.
“Ginny pensa intensamente a quel giorno, a quel momento. E concentrati.”
La giovane strega chiuse gli occhi e annuì. Quando la ex Grifondoro avvicinò la bacchetta alla sua testa dicendo: “Pronta?”, la rossa spalancò gli occhi e disse: “Aspetta.” La riccia abbassò la bacchetta.
“Ma… Potrete vedere tutto tutto?”
Pansy sorrise di fianco a lui. “Avete fatto sesso nell’ambulatorio?”
“Certo che no!” Ma arrossì.
“Allora dai, vediamo di capire cos’è successo.”

 

Hermione si concentrò e con la bacchetta riuscì a estrapolare dalla tempia della sua amica un filo scintillante color argento e dalle sfumature biancastre e lo posò direttamente nel pensatoio.
“Ok. Prego, allora. Chi va?” La Parkinson si fece avanti.
“Io andrò di sicuro. Ma non l’ho mai fatto. È difficile?” Poi si voltò verso Zabini.
Lui si avvicinò e le prese la mano.
“Io l’ho già fatto, se vuoi vengo con te”. Lei annuì.
“Io c’ero già…” Ginny si sedette su una poltrona. Sembrava esausta.
“Io vado con loro, va bene, per te?” Le chiese l’amica. La rossa annuì.

 

Pansy seguì le istruzioni di Blaise e guardò dentro il pensatoio, la Granger appoggiò la bacchetta dentro e lei si avvicinò sempre più a quella sostanza densa che fluttuava in superficie. Era dello stesso colore del ricordo della Weasley.
Quando immerse la faccia dentro la sostanza, venne catapultata nell’ascensore del San Mungo. Poco dopo anche Blaise e la Granger la raggiunsero.
Davanti a loro, di spalle, i coniugi Potter aspettavano che si aprissero le porte.
“Ha detto proprio dottoressa Parkinson?” disse la rossa.
“Già” rispose Potter.
“Ti fidi?” continuò lei.
“Beh… Non vedo altra scelta…”Lei annuì.
“Magari non è lei”. E gli passò una mano dietro la schiena. “Fa ancora male?”
“Mi sembra di essere stato preso a pugni da un Ungaro Spinato arrabbiato.”
Si voltò verso di lei e loro videro che cercò di sorridere, senza riuscirci bene. Quando le porte si aprirono, si incamminarono verso la sala d’attesa e loro li seguirono.
“Merlino!” esclamò Pansy. Gli altri due si girarono verso di lei.
“Zoppica” spiegò. Ma loro non potevano rendersi conto.
Potter zoppicava male, in un modo troppo strano. Avrebbe voluto controllargli i reni. E l’addome. Le prudevano le mani. Avrebbe voluto toccarlo e sentirlo. La pelle era tesa?
“Posso toccarlo?” chiese alla Granger. Lei scosse la testa.
Quando si sedettero su due sedie nella sala d’attesa, Pansy vide se stessa entrare dalla porta. Non aveva una bella cera. Non si era mai vista con gli occhi di qualcun altro. I suoi capelli erano legati ma scompigliatissimi e il camice era stropicciato. La sua faccia era un disastro. Poi si ricordò: erano tre giorni che era chiusa lì dentro.
“Oh, Merlino, dimmi che hai un camice anche a casa tua!” Blaise si voltò verso di lei sussurrando e ammiccò. Divenne rossa. “Un camice che ti metterai per me stasera…” Ohhhhhh.
“Ci guarderò”. Tornò a guardarsi mentre diceva ai coniugi Potter di tornare al piano delle malattie magiche generiche.
“No. No. Guarda come cammina! Non mandarlo via! Non farlo. Potrebbe…” Non si rese conto di parlare ad alta voce. Vide se stessa girarsi verso un altro paziente e la coppia che tornava verso l’ascensore. Corse verso di loro e cercò di fermarli.
“No. Non andatevene. Aspettate!”
“Pansy, non ti sentono.”
Blaise le tornò vicino e le prese la mano mentre Potter le passava attraverso come se fosse stato un fantasma.
Poi, per fortuna, la Pansy con il camice alzò lo sguardo. E vide la sua espressione. Sorrise. L’altra Pansy aveva capito.
“Aspettate!” Si incamminò verso di loro e lei riuscì a spostarsi prima di essere investita da se stessa.
La Pansy con il camice andò vicino ai ragazzi e disse qualcosa che lei non sentì, poi si incamminarono tutti e tre verso un’altra porta. Era quella dell’ambulatorio delle visite. Li fece entrare e li seguì.
Corse prima che chiudessero la porta e si intrufolò. Poco dopo, attraverso il muro, entrarono anche Blaise e la Granger. Oh, che figura da scema. Pensava di non poter più entrare, con la porta chiusa.
Nell’ambulatorio c’era anche Denys, il suo assistente. Sorrise quando lo vide. Sarebbe diventato un grande medico, un giorno. Ora stava imparando.
Quando però Potter si stese sul lettino si scordò di tutti gli altri. Si avvicinò e, istintivamente tirò fuori la bacchetta. Lo fece nell’esatta momento in cui lo fece la Pansy con il camice. E nello stesso modo. Poi però sbuffò e la mise via; lei non poteva far altro che guardare.
Guardò l’altra Pansy visitare Potter e fargli tutte le domande che avrebbe voluto fargli lei. Non aveva male al petto. Ma alla schiena sì. In centro? Poco. E di lato? Sì e tanto. Lo tastò esattamente come pensava di fare lei. E la gamba. E il braccio.
“Come ti è successo?” Potter glielo spiegò. Ascoltò tutto. Il mago che era scappato aveva puntato la bacchetta verso di lui tre volte.
La prima Potter era riuscito a schivare l’incantesimo, la seconda era bastato un ‘Protego’, poi il mago aveva fatto un incanto non verbale.
Dalla sua bacchetta era uscita una luce blu chiaro che si muoveva come una frusta ma con tante code. Prima di colpirlo aveva vorticato in cerchio per tre o quattro volte e dopo lo aveva imprigionato legandolo a spirale e lasciandolo andare subito dopo.
Poi lo aveva colpito. Sul fianco sinistro. Il tutto era stato velocissimo, così veloce che Potter disse di aver pensato di esserselo immaginato. Poi sentì se stessa chiedere a Potter di che colore fosse la luce (lei aveva capito già la prima volta che l’aveva detto, quindi non capì come mai la Pansy con il camice non avesse afferrato bene la cosa). E lui rispose: “Blu.”

Maledizione intensiva raggelante laterale, pensò. Era una variante dell’attacco di Dolohov.
“Aspettate qui” si sentì dire. “Denys, puoi venire con me?” Ora si era rivolta all’assistente che era con lei nella stanza. Lui annuì e si alzò con la faccia seria.
Doveva aver capito anche lui quanto fosse grave.

 

Blaise osservò l’attuale Pansy guardare la Pansy con il camice uscire dalla porta insieme al medimago. Lei tentò di seguirli e passò oltre al muro. Le andò dietro.
“È un ricordo della Weasley, puoi vedere solo quello che si ricorda lei”. Pansy annuì e tornò dentro. I coniugi Potter stavano parlando sottovoce fra di loro.
“Hai visto che faccia che ha fatto?” disse Potter. La rossa gli accarezzò la mano.
“Non preoccuparti. Vedrai che andrà tutto bene”. Ma quando il marito si voltò, Blaise vide che lo sguardo preoccupato ce l’aveva anche lei.
“È diventata carina, hai visto?” Potter alzò un sopracciglio.
“Davvero?”
“Non lo hai notato?” gli chiese curiosa.
“Ho notato solo che avesse le mani gelate.”
La piccola rossa rise nervosamente.
“Secondo te esce con qualcuno?” Potter si sistemò meglio sul lettino.
“E come faccio a saperlo io?” Sembrava sofferente.
“Sai con chi starebbe bene?” Blaise osservò la piccola ex Grifondoro con curiosità. Sperò quasi che facesse il suo nome.
“Con chi?” sospirò Potter.
“Con Anthony.”
“Anthony?” Il moro non si rese conto di aver parlato insieme a Potter. Anthony chi?
“Sì, Anthony Goldstein.”
“So chi è Anthony, Ginny. Ti ricordo che lavora con me.”
“Potremmo…” Blaise non era sicuro di voler ascoltare ancora.
Per fortuna il salvatore del mondo le chiese: “Ma non è via da tanto, secondo te?” La rossa tornò subito seria e guardò la porta.
“Sì. La vado a cercare. Non ti muovere.”
“E chi ci riesce…” Lei gli scoccò un bacio a fior di labbra e lui le accarezzò il ventre.

 

 

Hermione e gli altri seguirono Ginny quando si avventurò fuori dalla porta. Chiese a un’infermiera della Parkinson e lei le indicò il suo studio. Fecero qualche passo in un corridoio.
A un certo punto si fermò davanti a una porta con la targhetta ‘Dott.ssa Parkinson, Pansy’. Videro Ginny appoggiare la mano alla porta. “Parkinson? Dottoressa?” La sua voce era poco più di un sussurro.
Quando aprì la porta si sentirono delle voci. Tutti si misero dietro a Ginny. Poi Hermione, che era la più pratica di ricordi altrui e pensatoi, entrò nella stanza. Gli altri la seguirono.
Si vedeva solo una parte della stanza. Il lungo cono che Ginny riusciva a vedere dalla porta. Tutto intorno era grigiastro. Si posizionò nella parte grigia e gli ex Serpeverde si misero dall’altro lato.

 

Blaise, da sempre attento ai dettagli, si guardò intorno. Vide un quadro dove un ragazzo stava intrecciando un canestro. Guardando meglio, riconobbe il tipo che dormiva nel quadro che c’era nel suo ufficio.
Pansy aveva ragione. Ancora. Osservò altre cose e poi tornò verso la discussione che stavano avendo i due dottori.

 

Pansy si guardò mentre chiedeva a Denis: “Dove sono i tuoi appunti? E i libri di medicina?”
Lui balbettò stranito. “I miei appunti?”
“Sì, i tuoi appunti sulle maledizioni che abbiamo guardato la settimana scorsa. E mancano anche i libri…”
“Li ho a casa.”
La Pansy con il camice sospirò e disse: “I libri devono rimanere qui! Non puoi portarli via. Sono importanti”. Poi continuò: “Perché mi hai detto di mandarlo via?”
“Non aveva niente…”
Lei sbattè un piede per terra ed esclamò: “Hai visto come cammina! Potrebbe essere una variante di Dolohov. Forse quella raggelante. O la raggelante laterale. Come è potuto scapparti? Merlino, ho bisogno di quel libro. Devo essere sicura di quale sia”. Lui non disse niente.
“Sai cosa sarebbe successo se l’avessimo mandato via? Sarebbe andato in fase di morte apparente. E nessuno avrebbe fatto niente, l’avrebbero curato con una pozione stimolante, che non sarebbe servita. E lui, nel giro di sei giorni, forse otto, visto che è giovane e in buona salute, sarebbe morto. È una cosa grave. Quindi ti richiedo, come hai fatto a non accorgertene? Non l’hai vero… fatto apposta?”
La Pansy del presente sgranò gli occhi. Non ci credeva. Denys era un bravo dottore. Se gli era scappato, c’era un motivo. Davvero.
“Ok, forse mi è scappato. Oh, Merlino, siamo sempre qui, da quanto tempo, senza dormire? Tre giorni? Sono stanco, non mangio mai e spesso ho le visioni. Mi tengo idratato solo in questa maniera!” disse estraendo una fiaschettina e mostrandola. Lei annuì.
“Ok. Va bene. Ora vai a casa e prendi il libro con gli incantesimi. Devo assicurarmi di usare l’incanto giusto. Sembra una maledizione dannatamente specifica. Non voglio farlo stare peggio. Ora dobbiamo soltanto…”
Il dottore la interruppe. “NO”.
Pansy si voltò verso di lui, insieme all’altra Pansy. “Come?”
“Ho detto di no. Non facciamo niente.”
La Pansy con il camice rimase basita e lo guardò sgranando gli occhi. Anche la Pansy attuale era stranita, tanto che non capì cosa avesse detto al dottore.
“Santissima Priscilla! Ho detto che non faremo niente!”
La dottoressa, che si stava avvicinando alla porta, si bloccò ed esclamò: “Quell’espressione… Non l’hai mai usata, tu. La dice sempre…”
La Pansy dell’ospedale non poté finire la frase che il dottore aveva già tirato fuori la bacchetta, lanciandole un incantesimo non verbale. La Pansy fuori dal pensatoio, invece, sgranò gli occhi. Dopo poco cercò di buttarsi su Denys. Inutilmente.

 

Dopo pochissimo, la Pansy del ricordo, guardò il dottore con gli occhi annebbiati e osservò la stanza. Blaise per un attimo ebbe il timore che potesse vederlo.
“Cosa facciamo qui, Denys?” Lui aveva messo via la bacchetta.
“Vieni, Pansy, siediti. Stavamo dicendo che siamo qui da tanto tempo senza dormire. Perché non vai nella stanzetta a riposarti, non mi sembra che tu stia bene.”
Pansy annuì. “Effettivamente non mi sento molto bene…” Si passò una mano sulla fronte.
“Non preoccuparti, dormi un’oretta. Ci penso io a quelli là fuori.”
“Grazie”. Annuì, toccandosi ancora la fronte. Poi la porta si spalancò e un’infermiera chiese se andasse tutto bene.
“NO!” Blaise si voltò verso Pansy, verso la sua Pansy, visto che era lei che aveva urlato, mentre la dottoressa seguiva docilmente il dottore.

 

Pansy venne catapultata, di nuovo, ma questa volta nello studio di casa di Blaise. Ed era stato lui a tirarla indietro. Poco dopo vide anche la Granger sollevarsi dal pensatoio.
“Perché mi hai tirato via?” gridò. “Hai visto cosa mi ha fatto?” Indicò il pensatoio.
“Non puoi fare niente. È un pensatoio, non una giratempo.”
Sbuffò arrabbiata ma poi si rese conto che lui aveva ragione.

 

Hermione stava pensando. Ciò che era successo era molto grave. Denys stava tentando di uccidere Harry. E far cadere la colpa sulla Parkinson.
“Allora? L’avete visto?” Ginny si alzò dalla poltrona dov’era seduta, insieme alla madre di Zabini. Annuirono e la rossa sorrise vittoriosa. Anche Hermione le sorrise in risposta.
“Quindi? Che si fa adesso?”
“Andiamo al San Mungo e fermiamo il dottore.”
“Sicuramente. Ma quello non era Denys il mio assistente!” La Parkinson sorprese tutti.
“Come?”
“Denys è un bravo dottore. Non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Io mi fido di lui. E poi…”

 

Pansy guardò Blaise. “Non ho mai sentito Denys dire ‘Santa Priscilla’…”
“Lo fanno i corvonero. Anthony Goldstein lo dice in…” La Weasley l’aveva interrotta ma si interruppe a sua volta quando Blaise le lanciò un’occhiata ammonitrice.
“Denys era un tassorosso. Però, so chi è stato l’ultimo a cui ho sentito usare quell’espressione in una discussione.”
La Granger si voltò verso di lei. “Chi?”

 

Blaise non avrebbe dovuto essere così meravigliato quando lei rispose: “Harris. Il direttore della Gringott”, ma lo fu lo stesso.
Merlino! Si voltò verso le ex Grifondoro che li guardavano a occhi spalancati.
“Il direttore Harris è sparito da quasi un mese.”
La Granger annuì e chiese: “Polisucco?”
Tutti annuirono. Sentì una sensazione strana al petto quando Pansy disse: “Dobbiamo assicurarci che Denys stia bene. Dove potrebbe essere?” Blaise sospirò. Pansy e il suo collega erano intimi? Si sentì un po’ in pericolo.
“Sarà in un posto sicuro” buttò lì.
“Riusciamo a scoprire come sono collegati il dottore e il direttore della Gringott?” La Granger era un ottimo Auror.
“Potremmo partire dal quadro” propose.
“Quale quadro?” chiesero le ex Grifondoro.

 

“Il tipo che dormiva nel quadro dell’ufficio di Harris alla Gringott!” esclamò Pansy. Blaise le sorrise e annuì. “Partiamo da lì allora. È l’unica pista che abbiamo” continuò.
“Non si può andare alla Gringott quando è chiusa”. La Granger sembrava sempre in grado di trovare i problemi.
“Io posso farlo. È il mio ufficio, adesso. Posso andarci anche quando è chiusa la banca”. Pansy lo guardò torva.
Perché andava alla Gringott quando era chiusa? Le venne in mente quello che aveva detto Brianna. Forse avrebbe preferito non saperlo. Ma non riuscì a stare zitta.
“E lo fai spesso?”
“Cosa?”
“Andare alla Gringott quando è chiusa?” Non si rese conto di aver incrociato le braccia al petto.

 

“Scusate…” Ginny era stata catapultata dalle stelle alle stalle. “Ma possiamo prima pensare a Harry?” Poi si voltò verso la  ex Serpeverde “Sai che cos’ha?”
La mora annuì. “Sì. È la Maledizione intensiva raggelante laterale. Una variante dell’attacco di…”
“Dolohov!” esclamò Hermione.  La Parkinson annuì girandosi verso Hermione.
“Bene. Sai come si cura?” Lei sgranò gli occhi, come se fosse offesa dalla domanda.
“Certo!”
“Allora andiamo subito…” Ma la mora la bloccò.
“Non mi fanno entrare al San Mungo.”
“Puoi spiegarmi l’incantesimo da usare? Posso farlo io?” Hermione era la più brava di tutte. Se qualcuno poteva farlo, era lei. Ma la Parkinson scosse la testa.
“Preferirei di no. 
Non è un semplice Vulnera Sanentur Sono tre incantesimi di fila. E io ho dovuto allenarmi parecchio per riuscirci. Non che non mi fidi di te, ma…”
Ginny vide Hermione annuire. Merlino. Ogni volta che trovavano un modo, saltava fuori un problema.
“E se usassimo il mantello di Harry?” Hermione aveva sempre la soluzione, mai disperare.
Finalmente Ginny sorrise.

 

***

 

Quando aveva visto Potter aprire gli occhi, Pansy aveva sorriso soddisfatta. Poi l’aveva visitato e aveva notato subito i miglioramenti. Si sentì ancora più sollevata. Poi erano riusciti a spiegare al salvatore del mondo quello che era successo. E poi la Granger aveva sorpreso tutti proponendo di dare a Potter il distillato della morte vivente.
La moglie di Potter aveva esclamato un ‘NO’ molto sostenuto, ma poi aveva capito che era per il bene di suo marito. Con quella pozione avrebbero ingannato il finto Denys, fingendo che Potter fosse ancora in stato vegetativo, senza per questo rischiare la sua vita. Alla fine aveva accettato.
“Io intanto avviso gli Auror.”
La Granger era formidabile, non c’era dubbio. Sospirò.

 

***

 

Pansy pensava guardando il soffitto. Blaise la osservava da un quarto d’ora. Pensò di essere incapace di staccare gli occhi da lei.
“Troveremo Denys, secondo te?” Voltò il viso verso di lui. Non doveva preoccuparsi.
“Certo. Siete… molto affiatati?” Cercò di non mostrare la sua gelosia. Ma da come lei aveva preso le sue difese…
“È un bravissimo dottore”, alzò una spalla. “Non parliamo di molto altro. È gentile e disponibile sul lavoro. Ogni tanto mi racconta qualcosa di sé, ma di solito quando non ci sono pazienti, ne approfittiamo per dormire. Ma so che gli piace la burrobirra aromatizzata all’arancia. E gli piacciono le infermiere. MOLTE infermiere…” Blaise non si rese conto di sorridere. Piaceva anche a lui il fatto che al dottor Denys piacessero le infermiere.
Si girò su un fianco e tracciò con il dito un disegno sul ventre della ragazza. Poi usò due dita e le fece scorrere in tondo, vicino al suo ombelico. La sentì sospirare e sorrise. Doveva farla pensare ad altro. Sarebbero andati alla Gringott la mattina dopo, di domenica. Tutti e quattro. E avrebbero continuato a indagare. Ma ora…
Si avvicinò un po’ di più e le accostò tutta la mano al corpo. Il contrasto fra la sua pelle e quella chiarissima di Pansy era stuzzicante. Si chinò e baciò una porzione di pelle calda vicino alla sua mano. Lei gemette. Sorrise mentre si puntellava sui gomiti, sopra di lei, mentre Pansy apriva le gambe per fargli spazio. La baciò. Si appoggiò appena sul suo corpo caldo e riscoprì con piacere il fatto che sembrassero nati per incastrarsi alla perfezione. Si chinò su di lei e le baciò il collo, scendendo piano piano, fino all’incavo dei seni. Poi si sistemò per continuare il suo percorso. Lei gemette ancora. Gli si rizzarono i capelli alla base della nuca. Favoloso.
“Dove hai detto che hai quel camice?”

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Capitolo 6
*** La dama in giallo ***


  La dama in Giallo

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La Gringott di domenica mattina era silenziosa. Pansy era sulla porta dell’ufficio di Blaise e guardava il salone. Era così strano. Neanche un folletto. Nessun dipendente. E poi non c’era neanche Brianna. Ah, no. Non si chiamava così. Come si chiamava? Ah, sì, Bridget.
“Pansy?” Si voltò verso Blaise che la chiamava da dentro l’ufficio.
Lui e la Granger avevano avuto una piccola discussione su come gestire la cosa con il Ministero. Secondo la ex Grifondoro dovevano assolutamente informare qualcuno, mentre Blaise invece voleva prima vederci chiaro. Non era sicura di come si fossero messi d’accordo.
Lui le fece cenno di avvicinarsi.
“Tiriamo giù le coperture dai quadri?” Lei annuì. Per sicurezza li avevano appesi e incantati tutti e tre. Non avrebbero potuto andare da nessuna parte. Ora però dovevano scoprirli.
Blaise tirò fuori la bacchetta e fece cadere la stoffa che copriva il quadro di campagna. Il contadino dormiva ancora. Pansy lo guardò bene. Non aveva potuto farlo due giorni prima perché non sapevano bene come interpretare la cosa. Era lui. Il tipo che intrecciava i canestri nel suo ufficio. Si voltò verso gli altri.
Cosa dovevano fare? Vide Blaise far cadere un’altra copertura.

 

“Per Godric!” Blaise si voltò verso la moglie di Potter. La rossa aveva spalancato la bocca e indicato il quadro con il cacciatore, quello che a Pansy faceva orrore. Lo guardò. Effettivamente l’espressione del cervo trasmetteva sofferenza.
“Fammi indovinare, hai già visto il quadro, giusto?” La Granger si avvicinò per osservarlo meglio.
Fece una smorfia anche lei e disse: “Il cacciatore e il cervo ci sono anche al Ministero. Nel quadro nell’ufficio di Harry”. La rossa annuì. Oh, Merlino.
“Ma i quadri che ci sono al Ministero non sono protetti magicamente?” chiese alla Granger.

 

Ginny gemette. Forte. “Harry ha ricevuto in regalo il quadro. Ma io non lo volevo a casa. Non volevo un cacciatore che sparava a un cervo. Così gli dissi di portarlo in ufficio. Non pensavo che…” Si portò una mano alla bocca. Merlino! Era stata colpa sua!
Hermione le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla. “Su su. Non è stata colpa tua. Però avresti potuto immaginare che al Ministero non venisse controllato ciò che ci si porta da casa…”
Vide la Parkinson gettare una brutta occhiata a Hermione e questa sostenere il suo sguardo.
“Beh, è vero. È così che stanno le cose!” La mora sbuffò.
“È colpa di Harris. Di nessun altro.”

 

“Penso ci sia qualcun altro con Harris. Un… complice” Blaise aveva parlato guardando il quadro.
Alzò la bacchetta per scoprire la signora vestita di giallo. Sperò che si fosse vestita. E che non urlasse.
La Granger alzò un sopracciglio. “Tu dici?”
Alzò le spalle. “Ci sono troppe cose. O Harris aveva un capoccione così oppure si è fatto aiutare.”
“Oppure ha aiutato qualcuno”. Tutti si girarono verso Pansy.
“Come?” Anche lei alzò le spalle.
“Sembra un piano bello complesso. I quadri con il San Mungo e il Ministero. Una maledizione difficile da fare e ancora più difficile da diagnosticare. Il momento giusto per non fare curare Potter. Tutto è un po’ troppo… complicato da gestire. Personalmente ho visto Harris un po’ di volte e non mi sembrava tutto questo… Genio del crimine.”
“Ok. Allora partiamo da quello che sappiamo. Sappiamo come spiava il San Mungo e il Ministero. E il terzo quadro? Chi è?”
Nessuno rispose. Pansy si avvicinò al terzo quadro. Blaise fece cadere la stoffa e tutti osservarono la signora vestita di giallo che si lamentava facendosi aria con il ventaglio.

 

“Ehm… Buongiorno, signora.”
Pansy sorrise al quadro. La signora le sorrise. “Oh, buongiorno cara. Che piacere vedere finalmente qualcuno. Sono stata al buio così tanto tempo…” Sospirò e guardò anche gli altri.
Quando il suo sguardo si fermò su Blaise le sue guance divennero rosse e si coprì con il ventaglio.
“Ci scusi se la disturbiamo…” Iniziò la Granger. La signora del quadro la guardò e sbatté ancora il ventaglio.
“Chi sei, ragazzina?”
“Io sono Hermione Granger. Posso chiederle il suo nome?” La signora si mise più composta, irrigidendo la schiena.
“Io sono la contessa Helena Luisa Petty-FitzMaurice, della Cornovaglia”. E sventolò ancora un po’ il ventaglio.

“È un piacere conoscerla. Chissà che vita importante ha avuto, signora contessa!” Pansy guardò la Granger che cercava di ingraziarsi il quadro. Ma la contessa non parve particolarmente interessata.
“Sono ancora signorina” precisò con sufficienza.
“Mi permetta di presentarmi, signorina Helena, sono Blaise
Antonio Zabini.”
E l’ex Serpeverde s’inchinò al suo cospetto. Questa volta la contessa fu più colpita.
“È uno straniero?” Lui sorrise. Pansy l’aveva visto fare a Hogwarts a così tante ragazze, quel sorriso, che sbuffò.
“Ho origini italiane, mia cara contessa.”
“Oh, Italia?” Ora la contessa Helena era ancor più colpita. Spostò il ventaglio da davanti al busto e scoprì il vestito.
“Ma che bel vestito che ha, contessa!” La Granger ci stava provando ancora. La contessa però le lanciò un’occhiataccia.
“Non posso ricambiare il complimento. Mi dispiace. A nessuna delle tre”. E osservò la stanza, squadrando le tre ragazze.
Pansy si fece avanti. “Oh, nessuno di noi può permettersi un abito così bello. Ultima moda francese, giusto? Vedo anche del pizzo chantilly e non del semplice macramè. Lei dev’essere un’intenditrice, contessa. Se dopo vuole darmi il nome della sua modista…”
La dama in giallo sorrise. Bingo.
“E tu, cara, chi sei?” Pansy fece una riverenza, ma non si chinò troppo, proprio come le avevano insegnato tempo prima.
“Pansy Penelope Parkinson, sono una discendente del VI Duca di S.Ives”. Il sorriso della matrona divenne ancora più ampio.
“Davvero, cara?”
“Sì, dalla parte di mia madre, milady.”

 

Blaise la guardò sconcertato. Come aveva fatto a inventarsi una cosa del genere? Era stata brava. La contessa Helena ora pendeva dalle sue labbra.
“Oh, cara. Me lo ricordo, il duca. La sua tenuta confinava con quella di mio padre…” E sospirò. Un sospiro… come lo avrebbe potuto definire? Mah… Era tutto… femminile.
“Ho sentito dire che fosse un gran bell’uomo, Simon…” E Pansy ammiccò in direzione del quadro. Ora la contessa ridacchiò.
Qualcosa disse a Blaise che non si stava inventando niente. Ok, però si stava tirando per le lunghe.
“Ehm…” Tossicchiò. Le due streghe non sposate si girarono verso di lui, con uno sguardo arrabbiato.
“Non bisognerebbe interrompere due dame che fanno conversazione, Blaise…” Pansy lo fulminò con un sguardo.
“Ma.. Lo chiami per nome? Siete intimi?” La contessa lo guardò con ancora più attenzione. Ok, ora basta.
“Sentite…” Ora anche la Granger lo guardava male.
“Oh, siamo cresciuti insieme. Le nostre famiglie si conoscono da sempre” mentì Pansy.
“Lei invece? Ha avuto una bella vita?”
Blaise sospirò ancora.
“Non mi sono sposata” rispose la dama in giallo.
“Oh, non è necessario sposarsi, per divertirsi. Cosa le piaceva fare?” La dama sventolò ancora il ventaglio.
“Oh, sì, mi sono divertita lo stesso!” Merlino, aveva ammiccato! “Simon ne sapeva qualcosa. Ma ho anche conosciuto letterati e poeti. Il mio salotto era uno dei più frequentati all’epoca. Vivevo a Mayfair, io!” Sventolò ancora il ventaglio.
“Quindi le piace la gente. Ma qui è tutta sola. Gli altri quadri non sembrano persone socievoli con cui parlare di letteratura…” La contessa storse il naso in una smorfia e scosse la testa. “Va di solito a trovare qualcuno, non so, un suo familiare o se stessa in un altro quadro? Dove magari è raffigurata in una biblioteca?”
Pansy era stata bravissima. Sorrise. Vide sorridere anche la Potter e la Granger. “Oh, non ho molti posti dove andare. Purtroppo i miei quadri sono andati o distrutti o chiusi in qualche cantina incantata. Ma fino a poco tempo fa…”
Sìììì…?

 

Pansy sorrise. “Dove andava?”
“Oh, andavo a casa di un mio nipote. Beh, un pro-pro-pro-nipote, a dir la verità. Un ragazzo così a modo. E anche bello. Ma a casa non c’era mai..”
“È la zia del dottor Denys Mills?” La dama sorrise ancora.
“Sì, cara, lo conosci? Lui è così gentile. Ha appeso un quadro della famiglia di mia sorella Dorothea in corridoio. Ci sono anch’io anche se sono un po’ più giovane. E vado da lei. Ma poi è successa quella cosa… Oh, come mi dispiace… È stato così brutto…”
“Cos’è successo?”
“Oh, un mago malvagio... È venuto… Ha fatto tanta confusione. E ha lanciato incantesimi sul povero Denys…” Pansy sentì un brivido lungo la schiena. Non era morto, vero?
“Ma… Harris? È stato il signor Harris?”
“Il signor Harris che era qui?” Chiese la dama e poi scosse la testa. “No. Un altro mago. Ma poi è venuto a casa sua anche il signor Harris. È successa una gran confusione. Quando il mago cattivo ha aggredito Denys, ha mandato un gufo al signor Harris e lui è andato là. Ma poi mi ha tolto dalla parete e mi ha messo in cantina. Non me lo aspettavo. Era sempre stato così gentile, con me. Mi chiedeva sempre di Dorothea e della sua famiglia…”
“E le chiedeva anche di Denys?” Il quadro annuì.
“Sì, voleva sapere cosa facesse e quando andava a casa, se abitasse da solo e cose così. Chiedeva sempre. Era così gentile…”
“Ok, e se ora noi le chiedessimo un grosso favore, lei sarebbe disposta ad aiutarci?”
“Ah. Non saprei. Cosa vorresti che facessi per aiutarti?”
“Vorrei che andasse da Dorothea, ma senza farsi notare da chi c’è in casa e che riesca a guardare quello che sta succedendo. Penso che Denys sia nei guai e vorrei aiutarlo. Se le chiedessi di spiare a casa sua senza dire niente a nessuno, lo potrebbe fare?”
“Mi fai tornare da Dorothea?” Pansy annuì.

 

“Potremmo trovare la maniera di farla appendere vicino al quadro di Dorothea, così che anche lei potrebbe venire a trovarla. Le piacerebbe?” Hermione aveva seguito tutto il discorso e aveva deciso di intervenire. La Parkinson era stata brava. Ora bisognava solo capire cosa stesse succedendo a casa del dottore.
La dama in giallo la guardò senza storcere la bocca, per la prima volta.
“Sì. Mi piacerebbe. Vi aiuterò.”
Zabini alzò la bacchetta e tolse l’incantesimo di protezione al quadro. La contessa sparì subito. “Ora resta solo un problema” disse ancora Hermione.
“Ossia?” Ginny era rimasta in silenzio per tutto quel tempo. Era un record, lo sapeva. Ma forse era stanca. Era stata tutta la notte a dormire vicino a Harry, nonostante sapesse benissimo che non avrebbe potuto svegliarsi. Ma aveva detto di volerlo fare per non creare sospetti.
Si girò verso la Parkinson. “Tu sai dove abita il dottore?”
“No, non ci sono mai stata…” Merlino! Si voltò verso il moro, quando lo sentì sospirare.
“Ma penso di sapere come risolvere la cosa.”

 

“Parkinson, quando questa storia sarà finita e Harry starà bene, sei invitata a cena a casa nostra. E ti farò assaggiare le torte di mia mamma!” La piccola Weasley sorrideva stanca.
“Sì, però… Niente Goldstein!” Blaise non si rese conto di averlo detto ad alta voce.

 

Ginny alzò un sopracciglio guardando Zabini. Oh oh. Le era sfuggito qualcosa. Sorrise sorniona.
“Facciamo così, Zabini: potrai venire anche tu”. Lui sorrise e annuì.
La Parkinson sbuffò rumorosamente.
“Veramente non ho ancora accettato. Prima sistemiamo questa cosa. Cerchiamo Denys e salviamo il mio lavoro.”

 

***

 

L’infermiera si era presa una pausa. Stava bevendo una tazza di tè su una delle poltrone nella sala relax e aveva appoggiato i piedi sul tavolino.
Pansy la osservava sotto il mantello di Potter. Si avvicinò e si sedette sul suo bracciolo. Scostò appena il mantello per farsi vedere e chiamò l’infermiera: “April”.
Lei alzò gli occhi e la riconobbe. “Pansy!” Era stupita. Per forza. Non poteva stare lì.
“Vieni con me.”
La prese per mano e la trascinò in uno sgabuzzino. Chiuse la porta alle sue spalle e si tolse il mantello.

 

“Salve” disse April, l’infermiera, al quartetto che si era ritrovata davanti. Un ragazzo moro (un bel ragazzo moro!), la moglie di Potter, la salvatrice del mondo magico e Pansy.
Ebbe quasi paura. “Che succede?”
La dottoressa le rispose: “Abbiamo bisogno di aiuto. Adesso non posso spiegarti tutto tutto, ma devi fidarti di me.”
“Io mi fido di te, Pansy, lo sai. Tutti qui non capiscono cos’è successo e io non riesco a spiegarlo quando me lo chiedono, perché non lo so” disse onestamente.
“Tu sai dove abita il dottor Mills?” La guardò stranita.
“Perché questa domanda? Il dottor Mills è nel tuo ufficio, ora, se vuoi vederlo…”
“Quello non è Denys, April”. Aprì la bocca. Davvero? Sorrise. Poi il sorriso sparì.
“Che vuol dire che non è lui?”
“Pensiamo sia un altro. Dobbiamo però trovare il vero Denys, quindi, tu sai come andare a casa sua?” Oh, se non era lui allora…
“Ma Denys sta bene? E poi, da quanto tempo questo qui, non è lui?” chiese ancora.

 

Pansy guardò l’infermiera. Che domanda strana. “Almeno da lunedì scorso. Perché?” Lei divenne rossa e scosse la testa.
“Ok, niente, niente…” Ma sorrise. Sperò che Denys non si fosse comportato male con lei. Il vero Denys. Perché gli avrebbe lanciato qualche maledizione di sicuro. “Sì, comunque, posso smaterializzarmi a casa sua”.
“Preferiremmo di no. Sarebbe meglio fuori dal suo appartamento o anche in strada. Non dentro, però”. Helena aveva detto che a casa sua c’era qualcuno. Qualcuno a cui era meglio non svelare quello che sapevano.
L’infermiera annuì ancora. Poi si voltò verso gli altri. Giusto.
“Scusa, hai ragione, non vi ho presentato: Ginny, la moglie di Potter, e Hermione Granger le conosci già immagino. Lui invece è Zabini. Eravamo tutti a Hogwarts, insieme.”

 

April li guardò tutti e tre. Le due donne le aveva già viste sì. Erano salvatrici del mondo. Chiunque le conosceva. Il bel ragazzo moro, invece… Quando guardò il ragazzo che non conosceva, lui sorrise.
“Piacere, Blaise Zabini…”
“Blaise!” esclamò, girandosi verso Pansy.
Blaise della scuola? Il famoso Blaise? Pansy le aveva parlato di quel ragazzo. Tanto. Tantissimo. Sorrise vedendo le guance della sua amica colorarsi.
“Pansy mi ha parlato…”
“Sì, dai, andiamo. Smaterializziamoci insieme. Poi io aiuto gli altri”. La prese per un braccio. Ok. Prima le cose importanti. Ma vide uno sguardo incuriosito sul viso del moro.
Si prepararono e Pansy la prese sottobraccio.

 

Si materializzarono in una soffitta. “Ma dove siamo?”
“In cima alle scale. Ho pensato che fosse la cosa più comoda…”
“Sì, sì, hai ragione”. Si misero il mantello e scesero le scale.
“Blaise, eh?” disse April. Sapeva cosa sarebbe successo. Non aveva fatto il suo nome apposta.
“Già.”
“Il tipo di Hogwarts?”
“Già”. L’infermiera ridacchiò.
“Non ti vedo da quasi una settimana. Cosa hai fatto in questa settimana, dottoressa?”
“Oh, smettila, April.”
“Smettila tu, Pansy. Voglio i particolari. Me li merito per averti ascoltato mentre eri ubriaca e piangevi di non aver fatto niente a Hogwarts!” Sospirò.
Però era vero. April era formidabile. Ed era una buona amica.
“Siete stati a letto insieme?”
“April!” Per fortuna sulle scale non c’era nessuno.
Ma l’infermiera sorrise sorniona. “Mi sa di sì. Com’è?”
“Dai…” Ma dovette sorridere perché l’amica continuò
“Oh, quindi è bravo. Ti piace ancora eh?” Sentì il viso andarle a fuoco. Doveva ancora capire cosa provava per Blaise.
“Eccoci. Questa è la porta.”
La voce di April la riscosse dai suoi pensieri.
Ok. Annuì.

 

“Allora Zabini?”
“Cosa c’è?”
“Che succede con la Parkinson?”
Blaise sospirò. Oh, Merlino. Imprigionato in uno sgabuzzino con due donne.
“Niente.”
“Già.”
La Weasley ridacchiò.
Avrebbe voluto tirar fuori la bacchetta. “E io che pensavo stesse con Malfoy!”
“Hogwarts è finito tanto tempo fa, Weasley…” Lei ridacchiò ancora. Da quando suo marito non era più in pericolo era tornata la ragazzina fastidiosa che si ricordava.
“Malfoy si è sposato un mese fa. Ho visto l’articolo sulla gazzetta del profeta” disse la Granger.
“Quindi adesso Zabini ha il campo libero, no?” disse la rossa all’amica.
“Io le piacevo anche prima!” Non si rese conto di averlo detto ad alta voce. Le ragazze sorrisero.
“Sei tornato a Londra per lei?” chiese più gentilmente la Granger. Lui alzò le spalle.
“Sono venuto a indagare su Harris”. La Granger sollevò un sopracciglio.
“Però non è proprio il lavoro che fai di solito. O no?” Lo guardò ma lui non le rispose.
“Sai, io al ministero, spesso controllo le pergamene. Ho visto quello che fai di solito. Ti cerchi sempre posti lontani o lavori rischiosi… E questo problema alla Gringott… Non sembra proprio quel genere lì…” Blaise avrebbe preferito una cruciatus.
Sì. Era tornato per lei. Quando aveva ricevuto l’invito di Draco aveva pensato che sarebbe stato fantastico rivederla. Era stufo di girare a vuoto a cercare un posto dove stare, quando era sempre solo. Si sceglieva solo ragazze che le assomigliassero o che gliela ricordassero per qualche motivo. Ma poi… Non erano lei. Nessuna era lei. Era stufo di pensare a Pansy quando era sotto la doccia o quando non riusciva a dormire. Oh, Merlino, a parte quando lavorava, pensava sempre a lei ed era passato così tanto tempo! Così aveva deciso che il matrimonio di Draco sarebbe stata la sua svolta.
L’avrebbe rivista e avrebbe provato a cambiare qualcosa. Oppure avrebbe deciso di impegnarsi a fare qualcos’altro. Anche se aveva immaginato di trovarla tormentata e sconvolta dal matrimonio di Draco. E invece no. Lei era tranquilla e in gran forma. Stava benissimo.
E Blaise aveva avuto paura che lei si fosse lasciata alle spalle anche lui, oltre a Draco. Invece aveva scoperto tutte quelle cose su di lei. E a lui piaceva sempre di più. E anche lui piaceva a lei. Quello era stato così sconvolgente. Tanto tempo a pensare che a lei non piacesse e poi… Sospirò.
Alzò gli occhi quando le ragazze tornarono.

 

***

 

Pansy aspettava pazientemente al Ministero. Le avevano detto che poteva essere una cosa lunga. Guardò la Potter che giocava nervosamente con la fede. Quando si accorse che la stava guardando, la rossa smise e le lanciò un sorriso triste.
“È difficile stare qui ad aspettare che tornino, eh?”
“Già”. Davvero. Come faceva lei quando Potter andava in missione?
“Perché non vai a casa?” La rossa alzò le spalle.
“Casa mia è vuota. È triste essere lì senza Harry. Non è come… gli altri giorni…” Annuì. Doveva essere triste davvero.
“E perché non vai a casa dai tuoi o da qualcuno dei tuoi fr…”
“Non sei costretta a parlare con me, sai?” La piccola Weasley (e non le era mai sembrata così piccola come quando si era raggomitolata su se stessa poco prima) la guardò negli occhi.
“Anch’io sono nervosa” le confidò e la rossa annuì.
Chissà cosa stavano facendo Blaise e la Granger… Erano riusciti a entrare in casa da Denys? Lo avevano trovato? Stava bene? E Blaise, stava bene? Gli era successo qualcosa? Sospirò.
“Allora dimmi, Parkinson, cosa c’è fra te e Zabini? È vero che è tornato a Londra per te?”
Come? Pansy spalancò la bocca.

 

***

 

Blaise era pronto. La Granger aveva spalancato la porta con la bacchetta ed erano entrati. Nell’ingresso non c’era nessuno. Si erano divisi. Uno a destra e una a sinistra. A metà del corridoio, uno dei quadri si agitò. Lo guardò. Una figura gli fece un cenno strano. La guardò bene. Era la contessa. Gli indicò in quale stanza guardare. Le sorrise e annuì. La stanza in questione era chiusa. Sentì dei movimenti all’interno. Vide la Granger tornare dall’altro corridoio e le fece cenno. Lei annuì a si avvicinò alla porta.
Quando spalancò la porta lui entrò con la bacchetta spianata. Davanti a lui, un mago occhialuto, con i capelli biondi sporchi e spettinati, era seduto davanti a un calderone appoggiato a un tavolino basso. Stava mescolando. Non vedeva se avesse in mano la bacchetta.  
“Expelliarmus” gridò, mentre la Granger lo immobilizzava. Mestolo e bacchetta volarono nella stanza e si depositarono sul pavimento. Si chinò a raccogliere la bacchetta del mago e se la mise in tasca, avvicinandosi al corpo steso dell’uomo. Lo guardò in faccia, ma non lo riconobbe.
“Dov’è il dottore?” gli chiese. Lui ghignò e non rispose. Gli diede un calcio. E poi un altro.
“Zabini!” La Granger lo richiamò, toccandogli un braccio. “Cerchiamolo”.
Ma Blaise non si fidava a lasciarlo solo. Quando la Granger uscì dalla stanza, lo schiantò. Giusto per essere sicuri... Erano solo in due, non voleva che scappasse.
Nel corridoio prese il quadro della contessa e lo portò dentro.
“Signore, per piacere, se si dovesse riprendere, urlate e io torno a schiantarlo.”
Si avviò nel corridoio. “Granger?”
“In fondo al corridoio!” gridò la strega. Seguì la sua voce e si ritrovò in una camera da letto. Doveva essere quella del ragazzo. Lui era addormentato, steso sul letto. Aveva ancora la divisa dell’ospedale. Probabilmente l’avevano colto di sorpresa al lavoro o appena rientrato a casa.
Si avvicinò al letto e lo guardò. No. Non era addormentato, sembrava… morto.
“Non è morto. Respira. Penso sia morte apparente. Gli daremo una pozione stimolante.”
Blaise annuì ma poi disse: “E se fosse come per Potter? Se fosse la maledizione che diceva Pansy?”
La Granger guardò ancora il dottore. “La Maledizione laterale? Hai ragione, potrebbe essere…”
“Forse è meglio se lo portiamo al San Mungo.”
La riccia scosse la testa. “Sarebbe un po’ strano dover spiegare perché il dottore di quel reparto si trova lì come paziente. Da chi lo facciamo visitare? Probabilmente c’è anche l’altro dottore…” Giusto. Non ci aveva pensato.
“Vado a prendere Pansy? Che dici? Porto il tipo che c’è di là al Ministero e poi vado a prendere Pansy. Ti spiace rimanere qui?”
La riccia scosse la testa.
“Va bene.”

 

Hermione seguì Zabini fino alla stanza del calderone, dove trovarono il mago senza conoscenza vigilato dal quadro. Ma cosa…
“Ma l’hai schiantato?”
Lui alzò le spalle. “Non mi fidavo”
Oh. Ok. Vide il moro prendere il mago da sotto le ascelle e poi caricarselo in spalla.
“Torno subito”.
Lei annuì mentre si smaterializzarono.

 

***

 

Blaise si materializzò al Ministero e dovette usare l’ascensore per recarsi al livello due. Lasciò in custodia il mago e cercò il sostituto di Potter per fare rapporto, lasciare la bacchetta del fermato e poter andare da Pansy, ma quando svoltò l’angolo del corridoio vide due ragazze che chiacchieravano su uno dei divani della sala d’attesa e si fermò.
Sorrise nel vedere Pansy e quando lei alzò lo sguardo, riconoscendolo, qualcosa si mosse nel suo petto.
Lei appoggiò la tazza sul divano (che si rovesciò) e gli corse incontro, ma quando fu a pochissimo da lui si fermò e si morse il labbro. “Blaise, stai bene!”
Certo che stava bene. Che domanda era?

 

Quando Pansy vide Blaise svoltare l’angolo del corridoio prima dell’ufficio di Potter, non riuscì a contenere la gioia. Si alzò in piedi e gli corse incontro, ma quando si rese conto che lui era immobile, si arrestò velocemente prima di finirgli addosso.
Lo osservò. Stava bene. Non era successo niente. Non vide la Potter raccogliere la tazza che aveva fatto cadere né pulire il divano con la bacchetta, ma la sentì benissimo quando li raggiunse e le sussurrò: “Guarda che lo puoi abbracciare, mi assicurerò che non arrivi nessuno, mentre vado di là”.
Pansy non se lo fece ripetere due volte e si buttò su di lui. Gli cinse il collo con le braccia e nascose il viso contro il suo petto. Che agitazione! Che paura aveva avuto. Il suo cuore batteva a mille.
“Mi hai aspettato?” le chiese lui. Certo che lo aveva aspettato. Che domanda stupida!
“Certo. Cosa dovevo fare? Per Salazar, ero così in pensiero…” E sospirò. Lui ridacchiò. Ma cosa…? “Ehi, non ridere di me!”

 

Blaise non riuscì a contenere una risatina. Lei era stata in pensiero? Si sentì invaso da una gradevole sensazione. Come il caldo del camino e il tepore di una coperta, come tornare a casa dopo tanto tempo. Le cinse la vita e se la strinse a sé, mentre si chinava a baciarla. Era a casa.

 

Lui la stava baciando! Dentro al Ministero. Al livello degli Auror. Merlino! Si staccò velocemente e gli chiese senza fermarsi: “Non ti sei fatto niente? Dov’è la Granger? Avete trovato Denys? Come sta? E l’altro mago?”
Lui rise ancora e le disse di non preoccuparsi.

 

Blaise voleva solo abbracciarla ancora, ma avevano delle cose urgenti. “Vieni con me, andiamo dal sostituto di Potter che gli spiego alcune cose, gli consegno la bacchetta del mago che abbiamo portato qui e ti porto da Denys. Non siamo sicuri che stia bene. Devi venire a visitarlo. E dopo andiamo al San Mungo”. Pansy aveva annuito e seguito tutto quello che lui aveva detto.
Si avviarono verso l’ufficio di Potter e dopo aver lanciato un’occhiata dietro di loro, le mise una mano sul sedere.
“Ehi, giù le…”
“Ho una gran voglia di te, lasciami almeno questo…” E si chinò a baciarle il collo. La sentì sospirare ma allontanarsi.
“No, no”. Il suo viso era rosso, mentre cercava di allontanarlo.
“Ok, va bene…” La lasciò. “Ma solo fino a stasera”. Lei rise.
Ebbe quasi paura che gli cedessero le ginocchia.

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Capitolo 7
*** Il finto dottore ***


  Il finto dottore

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“No, non è la maledizione che ha colpito Potter. È solo morte apparente. Basta la pozione stimolante. Si sveglierà entro poche ore.”
Pansy mise via la bacchetta, si alzò dal letto di Denys e guardò Blaise.
“Non lo portiamo al San Mungo?”
“Non c’è bisogno. Ho detto a Ginny di dire ad April di venire qui, stasera.”
Blaise alzò un sopracciglio.
“Ginny?” Pansy arrossì.
“Mi ha detto lei di chiamarla per nome. Oggi abbiamo chiacchierato…”

 

Blaise si fece più attento. Di cosa avevano parlato? Mica di Goldstein, vero?
“Di cosa avete parlato?” Pansy arrossì. Oh, Merlino! No. No.
“Chissà se la Granger è riuscita a capire cosa c’è nel calderone…” rispose lei scappando via.
Blaise si passò una mano fra i capelli. No. Lei lo aveva abbracciato quando era tornato dalla missione, era contenta di vederlo. Non pensava a Goldstein. No, no. Ma si infilò le mani in tasca e si avviò verso l’altra stanza, ciondolando nervosamente.

 

***

 

“Io vengo con voi!”
Pansy si era alzata in piedi, agitata. Erano nell’ufficio di Shacklebolt, il Ministro della magia. Blaise e la Granger stavano spiegando cosa avevano trovato in casa di Denys.
Un calderone di pozione Polisucco (e va beh, era abbastanza scontato, alla fine. Ci sarebbe arrivata persino lei e senza bisogno di analisi), più qualche boccetta di distillato di Morte Vivente (e anche lì, era normale, no? Denys era in quello stato...), ma avevano dovuto fare rapporto. Avevano poi scoperto che il mago che avevano portato al ministero, quello che segregava Denys, era il figlio illegittimo di un mangiamorte arrestato anni prima, da cui aveva imparato l’attacco che aveva scagliato a Potter. Voleva vendicare il padre che ora era ad Azkaban a vita. E chi era suo padre? Era Dolohov. E per forza! La sua maledizione era una variante di quella creata da Dolohov! Ma ci voleva un indagine per arrivarci? Davvero?
Pansy sbuffò quando dissero che dovevano organizzare la cattura di Harris. Organizzare? Ma non bastava andare al San Mungo e schiantarlo? Santo Salazar, come la facevano difficile! Rapporti qua, indagini là, prove su e sospetti giù. Era così e basta. Harris aveva preso il posto di Denys al San Mungo, solo Salazar sapeva cosa combinava con i pazienti, e loro volevano aspettare di organizzare un piano?
Le prudevano le mani, ma stavolta per altri motivi. Si sentiva arrabbiatissima. Soprattutto quando Blaise le aveva detto che lei non sarebbe potuta andare con loro. Ma come? Lei sapeva ogni cosa sul San Mungo, conosceva i posti in lungo e in largo e conosceva tutte le persone che ci lavoravano. Come si permettevano di lasciarla fuori? Harris non solo aveva rapito Denys, ma aveva lanciato a lei un incantesimo Oblivion e aveva tentato di rovinarle la reputazione in ospedale! Possibile che non capissero? Aveva bisogno di vederlo faccia a faccia.
Merlino, avrebbe voluto schiantarlo o lanciargli una maledizione. Era stata buona e paziente e aveva fatto tutto quello che avevano detto. Ma ora…
“Vieni con me.”
Blaise la prese per mano e la condusse fuori dall’ufficio del Ministro, nel piccolo corridoio cieco.

 

Blaise doveva riuscire a far capire a Pansy che non era una sciocchezza. Non bastava andare in ospedale e dire a Harris: ‘Ciao, sappiamo che non sei il vero dottore. Vieni con noi al Ministero’.
“Ascolta” le disse, prendendole le spalle. “Non puoi venire. So che sei arrabbiata ed è giusto, ma potresti fare qualcosa di pericoloso, per te o per gli altri. Potrebbe finire male. Potrai parlare con lui, te lo prometto, ma qui. Al sicuro. OK?”
Non voleva assolutamente che lei potesse farsi male. Merlino l’aveva appena ritrovata! E se Harris le avesse lanciato una maledizione? Cosa avrebbe fatto, lui?

 

Certo! Lei, poverina, non era capace di fare niente, eh? Era convinto che fosse un’inetta? Mettere in pericolo gli altri? Ma quando mai.
“Non metterò in pericolo nessuno. Voglio solo esserci. Voglio sentire cosa dice, come reagisce.”
Merlino voleva vederlo tremare al pensiero di essere stato scoperto. Quel viscido essere immondo! Era peggio di un Troll.
“No”. Blaise scosse la testa per rafforzare il divieto.
“Fammi parlare con la Granger, o con Shacklebolt…” Blaise scosse ancora il capo.
“Con loro ho parlato io. Pensiamo tutti che non sia il caso che…”
“Ho capito: non mi volete.”
“Non è che non ti vogliamo…” Pansy si arrabbiò ancora di più. In quel momento il moro sembrava lei quando aveva dei piccoli pazienti che non volevano farsi curare e doveva convincerli con parole gentili. Ma lei non aveva cinque anni.
“Ho capito. Dimmi almeno quando sarà.”
“Perché?”
“Così smetterò di preoccuparmi”. Lui sorrise e Pansy si sentì quasi male per la menzogna.
“Penso stasera. Appena sarà pronto tutto.”
“Posso andare da Denys, almeno?” Lui si adombrò un po’, ma poi annuì.
“Penso non ci siano problemi.”
Perfetto. Non aveva specificato quale ‘Denys’.
Quando tornarono dentro l’ufficio, il Ministro alzò gli occhi su di loro. Vide Blaise annuire. Bene. Aveva acquietato il cagnolino. Bravo Blaise.
“Ti ha spiegato il tuo fidanzato i motivi per cui è meglio se…”
“Lui non è il mio fidanzato”. Pansy interruppe il Ministro. Al diavolo tutto. Non si voltò verso Blaise perché sapeva che non avrebbe retto il suo sguardo.
Il Ministro annuì e lei disse: “Mi ha spiegato tutto, comunque”.

 

***

 

“Ciao, April.”
Pansy si sedette vicino all’amica che vegliava Denys ancora sotto pozione. Ci sarebbe voluto ancora un po’, prima che si riprendesse.
“Pansy! Non pensavo venissi qui. È una… sorpresa?” Pansy guardò il collega ancora steso a letto.
“Sono venuta a chiederti un favore. Per me. Ma anche per lui” disse, indicando il letto.
“Certo. Cosa posso fare?” Lei gli allungò un piccolo bastone di legno”
“Ma questa è…”
“No. Ma se ci sei cascata anche tu, vuol dire che è fatta bene”.
April annuì. L’avrebbe aiutata.
“Dimmi cosa devo fare.”

 

***

 

“Denys.”
L’uomo si voltò, sorpreso. Era appena entrato nell’ufficio della dottoressa Parkinson, non si aspettava nessuno. Ma invece, sul divano, quello su cui aveva dormito gli ultimi sei giorni, era seduta proprio lei.
La ragazza si alzò quando lo chiamò. Aveva la bacchetta in mano, ci giocherellava, ma non fece nessun incantesimo.
“Pansy. Come stai? Non dovresti essere qui, lo sai, con quello che è successo…”
“Sai, Denys, io non mi ricordo cos’è successo. Non è che potresti spiegarmelo? Perché lo psicomago dice che ricordare mi sarebbe utile. Sai, capire gli errori, e quelle menate lì…” Fece girare la bacchetta come un bambino che giocava con la sua prima scopa.
“Io l’ho detto, allo psicomago, che non è stata colpa tua, che facciamo turni assurdi e la stanchezza a volte ti porta a fare errori stupidi. A volte gravi. Ma stupidi. Gliel’ho detto, che non dovrebbero toglierti il lavoro, ma non so se li ho convinti. Loro sono così… fiscali, con queste cose… Però dai, al massimo, se non potrai più fare il medimago, potrai pensare ad altro, a sposarti, magari, e avere dei bambini. Non hai detto che ti piacciono i bambini?”

 

Pansy strinse la bacchetta. Forte. Le sue nocche divennero bianche per lo sforzo, ma lei non lo notò. Dovette fare uno sforzo tremendo per non schiantarlo. Aveva bisogno di chiedergli ancora qualcosa. Ma non sapeva come fare. Non era troppo preparata per una cosa del genere. In quel momento se rese conto di non sapere troppe cose. Da quanto tempo lui aveva preso il posto di Denys? Lei ci aveva pensato, il giorno prima, e cercava di capire quale poteva essere un momento in cui lui gli era sembrato diverso. Ma non ci era riuscita. Aveva pensato anche di chiederlo alla contessa Helena del quadro, ma sapeva che spesso i quadri avevano le idee confuse per quanto riguardava lo scorrere del tempo.
In quel momento, mentre ascoltava il dottore parlare, notò che la sua voce era un po’ diversa. Ma i giorni che lavorava, come diceva il mago davanti a lei, facevano turni assurdi, dormivano poco e a volte le cose sfuggivano. Si ricordò di quando lei aveva dovuto far ripetere a Potter il colore della maledizione. O del fatto che non si ricordasse di preciso quale delle due fosse. Per quello avrebbe dovuto parlare con il direttore del San Mungo. Presto lo avrebbe fatto. I turni andavano ridotti.

 

“Hai ragione. Forse è il caso che pensi a sposarmi. Così farò anche contento mio padre…”
L’uomo annuì. Sperò di fare presto e di mandarla via. Era meglio non attirare l’attenzione, se qualcuno l’avesse vista lì al San Mungo, magari avrebbero iniziato a fare domande e non era il caso.
Doveva aspettare solo altri due giorni e Potter sarebbe morto. Due giorni in quel posto orrendo e poi avrebbe potuto andarsene. Il figlio di Dolohov gli aveva promesso del denaro, tanto denaro. Avrebbe potuto vivere senza più lavorare, in un bel posto sperduto da qualche parte.
Già gustava il sapore del dolce far niente, altro che luridi folletti che controllano ogni singolo zellino che usciva dalle camere blindate. Se una camera blindata non ha eredi non è più di nessuno, no? E invece no. Aveva dovuto lottare contro quel folletto impiccione e l’aveva dovuto sistemare in una delle cantine. Era stato bravo con gli incantesimi, quella volta. Sospirò. Se solo Potter si fosse sbrigato a passare all’altro mondo! Doveva per forza essere giovane e così in salute?
Doveva mandare via la dottoressa. Ma in quell’ufficio, come in tutti gli ambulatori e gli uffici dei dottori, non ci si poteva smaterializzare, così le propose: “Tuo padre sarà contento, sì, e magari smetterà di crearti casini alla Gringott. Che dici adesso di andare a casa? Magari ti fai un bel bagno…” Lei sorrise.

 

“Non ho mai raccontato a Denys di mio padre, Harris.”
Quando lui capì quello che intendeva, la sua faccia fece una smorfia così strana che Pansy quasi rise. Ma non c’era niente da ridere. Pansy alzò la bacchetta e incantò la porta. Poi continuò. “So che mi hai lanciato un Oblivion. Ma non è una cosa un po’… vile, Harris? E poi per cosa? Per uccidere una persona? Una sola persona? Tutto questo casino per Potter?” Lui  spalancò gli occhi.
“Potter ha fatto rinchiudere i mangiamorte!” Lei annuì.
“È vero. Persone che agivano illecitamente per scopi personali. Non è la cosa giusta?” Lui alzò le spalle.
“Non mi interessa di Potter o dei mangiamorte. Carter ha denaro a sufficienza da farmi vivere da nobile purosangue per tutta la vita. Non dovrò più lavorare. Stare a contatto con i folletti, o con gente come te, ricca e viziata. E lui voleva Potter morto. L’ho solo aiutato. Uno scambio di favori. E ormai sarà morto. Ricordi? Otto giorni al massimo.”
“Chi è Carter?” chiese ancora lei. Doveva essere l’altro mago, il figlio illegittimo. Oppure un altro ancora.
“Il figlio di Dolohov. Pensavi che non sapessi che Potter fosse stato colpito da una maledizione discendente da quella di Dolohov? Tu lì che controllavi e tastavi, con la bacchetta lo visitavi e gli facevi tutte quelle domande. Io lo sapevo già. Fuori non si vede niente: i danni sono tutti all’interno!” Rise nervosamente e prese la fiaschetta da cui beveva. Diceva che doveva idratarsi, ma adesso Pansy sapeva cosa c’era dentro: la pozione polisucco!
Ecco da quanto tempo era stato sostituito, da quando aveva iniziato a ‘idratarsi’ così spesso. Merlino, e quando aveva iniziato?
“Pozione polisucco, eh? Ci vuole quasi un mese per prepararla. Chissà come dev’essere stato difficile aspettare tutto quel tempo prima di poter agire, vero?”
“Non abbiamo aspettato la pozione, piccola idiota. Abbiamo aspettato il momento giusto per colpire Potter. La pozione era già pronta.”
Pansy sorrise: era quello che voleva sapere.
“Quindi sei diventato Denys solo una settimana fa? Quando Potter è stato attaccato? Al momento giusto?”
“Già. Non sei proprio sveglia, vero? Forse ha ragione tuo padre, che dice che dovresti sposarti. E farti guidare da un uomo…” Pansy strinse i denti e alzò la bacchetta.
Quando lui alzò quella del dottor Denys, lei rise, perché non ne uscì nessun incantesimo. Lui guardò la bacchetta, sorpreso. “È una copia innocua. Te l’ho fatta sostituire prima di venire qui. Sembra che un bel paio di gambe ti facciano perdere la ragione come a me la mancanza di sonno. Ora chi è quello poco sveglio?”
Comunque lei aveva finito. Voleva solo sapere da quanto tempo fingeva di fare il dottore. Avrebbe dovuto controllare tutti i pazienti che aveva visitato, gli incantesimi che aveva fatto e le pozioni che aveva prescritto. Per il resto… Poteva lasciarlo agli Auror.
“È stato un piacere, Harris.”
Ma mentre si incamminava verso la porta, questa venne spalancata e lei si trovò di fronte Blaise con la bacchetta in mano. Merlino! Ci aveva messo troppo tempo?

Blaise spalancò la porta, che era bloccata magicamente e fece per entrare. Quando si trovò davanti Pansy spalancò gli occhi sorpreso. E preoccupato. E arrabbiato.
“Cosa ci fai qui?” In un lasso di tempo veramente breve vide il dottore tirar fuori la bacchetta, prendere Pansy per la vita e tirarla indietro verso il centro della stanza, tenendosela davanti. La bacchetta della ragazza era caduta e lui teneva la sua puntata contro di lei.
“Ok, che bella sorpresa!” Rise un po’ nervosamente.
Vide Pansy guardare la bacchetta con gli occhi spalancati.
“Ma la bacchetta di…”
“Taci, questa è la mia bacchetta, non quella del dottore. Pensavi che lasciassi la mia a casa? Con cosa credi tu abbia ricevuto l’oblivion?”

 

Pansy spalancò gli occhi. O Merlino! Non ci aveva pensato! Ecco perché non doveva fare quelle cose! Non era addestrata a pensare come un Auror! Le venne quasi da piangere. Avevano ragione tutti. Era un’incapace, aveva sottovalutato un idiota come Harris.
E li aveva messi tutti in pericolo.

 

Blaise vide gli occhi di Pansy farsi lucidi. No. No! NO!
“Ok, ragazzi, tutti indietro e nessun ‘Avada’ scapperà da questa bacchetta. Ora, voglio solo riuscire a passare quella porta, vedete? Tutti da quella parte lì e alla ragazza non succederà niente. Su…”
Voleva uscire dalla porta per smaterializzarsi! No! E Pansy? Se la sarebbe tirata dietro? No. No.
“Aspetta. Ti lasceremo andare. Tutti indietro” disse, rivolto agli altri. “Ma lascia lei. Prendi me”. Cercò di non guardare Pansy. “Prendi me” ripeté. Lasciò cadere la bacchetta per terra. “Prendi me”.
“No, lei è molto più carina”. Fece un passo indietro. “Tutti su quel lato lì. Presto!” Voleva arrivare alla porta. Fece un altro passo mentre ridacchiava. “E poi lei è abbastanza stupida. Sarà più facile”.
Vide il viso di Pansy imbestialirsi. Il dottore però non lo notò e quando fece un altro passo verso la porta, Pansy si aggrappò al suo braccio e lo fece inciampare all’indietro, spostandogli una gamba con uno sgambetto. Appena mollò la presa su di lei, lei si chinò e andò a raccogliere la bacchetta.
Come lui fu per terra gli furono addosso in tre, Pansy compresa. “Expelliarmus!” gridò la ragazza. La bacchetta di Harris volò via dalle sue mani come una saponetta sotto la doccia.
“Brutto Troll!” Pansy gli diede un calcio a un piede e rimase a osservare la Granger che lo immobilizzava subito, mentre il suo collega Santos le chiedeva: “Sei un Auror?”
La mora scosse il capo guardando la riccia che sequestrava la bacchetta di Harris. “Sicura di non averlo già fatto?” Lei annuì silenziosamente mentre si asciugava una lacrima.
Poi si voltò verso Blaise. Un’altra lacrima scese sulla guancia ma non la fermò.
“Pansy…” Lei scappò via.

 

Fuori dall’ufficio, Pansy si scontrò con il direttore del San Mungo e con Shacklebolt. Oh, stupendo. Avrebbe dovuto spiegare cosa ci facesse lì.
“Dottoressa Parkinson! Ho appena fatto una chiacchierata con il Ministro e mi ha raccontato quello che è successo…” Il medimago si voltò verso il Ministro e poi tornò a guardarla. Cosa stava succedendo?
“Ora sappiamo che non è colpa sua. Ci dispiace essere stati…” Lei ciondolò una mano nella sua direzione.
“Avremo tempo per parlare di questo. Voglio vedere la pergamena con il registro dei pazienti. Ho bisogno di sapere cosa ha fatto quel…” In quel momento gli Auror portarono fuori Harris dall’ufficio di Pansy.
“Aspettiamo al Ministero che la polisucco smetta i suoi effetti?” Il Ministro annuì. L’Auror che le aveva chiesto se fosse una loro collega, se ne andò lungo il corridoio con Harris.
“Abbiamo comunque la sua bacchetta. Sappiamo chi è”. La Granger era molto efficiente, mostrò la bacchetta a Shacklebolt e lui sorrise e annuì. Ma la Granger continuò: “Abbiamo anche trovato questa…” Mostrò la finta bacchetta che aveva usato Harris.
“È la bacchetta del dottor Mills” disse il direttore.
“Mmm… Non è una bacchetta funzionante, dottore” disse Blaise, vicino alla Granger.
Pansy tossì. “È un bastone trasfigurato. L’ho fatto io. Abbiamo sostituito la bacchetta di Harris per precauzione. Non avevo pensato che potesse avere addosso due bacchette…” Era stata troppo stupida. Avevano ragione: poteva finire male.
“Davvero? Gran bella idea. E dov’è la bacchetta originale?” chiese la Granger.
Pansy tirò fuori la bacchetta di Harris dalla borsa che aveva a tracolla e gliela allungò. Era avvolta in uno straccio rosso. Sorrise appena e annuì verso la ex Grifondoro. Non guardò mai verso Blaise.
Si voltò verso il direttore. “Posso vedere il registro dei pazienti, adesso? Ha detto di aver sostituito Denys da lunedì ma preferirei…”
Il direttore annuì. Dovette capire le sue intenzioni perché disse che l’avrebbe accompagnata onde evitare problemi burocratici di qualsiasi genere.
Shacklebolt chiese ancora: “Lunedì scorso? Quando è stato colpito Harry… Siete riusciti a interrogarlo prima di portarlo via?” La riccia guardò verso Pansy.
“No, ancora no, Kingsley.”
Il Ministro si voltò verso di lei e la guardò curioso. Pansy si incamminò lungo il corridoio con il direttore. Non salutò nessuno.

 

***

 

Blaise si materializzò al San Mungo e prese il corridoio verso il reparto di Pansy. Non le aveva più parlato. Avevano interrogato Harris. Ci avevano messo tantissimo tempo, ma alla fine avevano fatto tutto. Che brutta faccia che aveva quel mago di suo!
Avevano aspettato che l’effetto della polisucco sparisse, prima di interrogarlo e Blaise ne fu contento. Non voleva odiare la faccia dell’amico di Pansy e sapeva che sarebbe successo se l’avessero fatto intanto che aveva ancora le sue sembianze. E avevano richiamato anche Carter, il figlio illegittimo di Dolohov. Chissà che piacere per lui finire ad Azkaban insieme al padre!
Erano riusciti a ottenere tutto ciò di cui avevano bisogno. Ora se ne sarebbe occupato il tribunale. Questa volta avrebbe dovuto presentarsi davanti al Wizengamot? Non ne era sicuro. Era un lavoro così diverso da quello che faceva di solito…
La porta del reparto era chiusa e c’era scritto che non si poteva entrare se non all’orario delle visite. Ma l’orario delle visite era valido anche per andare a trovare un dottore? Blaise non era così sicuro di essere accolto bene da Pansy, così non si azzardò a entrare. Si sedette su una sedia lì nel corridoio e aspettò che passasse quella mezz’ora.
“Zabini!” Alzò gli occhi sulla moglie di Potter che arrivava, reggendo un contenitore di plastica. Si sedette vicino a lui. “Vuoi un po’ di torta di melassa? Mamma l’ha mandata per Harry, ma sembra ne abbia bisogno anche tu…” Blaise scosse la testa.
Lei era contenta. E già. Stava andando da suo marito. Cercò di sorriderle. “È già sveglio?” Lei scosse la testa.
“Dovrebbe svegliarsi fra quarantacinque minuti” lo disse come se stesse contando il tempo. Probabilmente era così. “Sono contenta di come sono andate le cose.”
“Sì, anch’io. Posso chiederti una cosa, Wea… Potter?” Lei si voltò verso di lui, incuriosita.
“Dimmi, Zabini.”
“Di cosa avete parlato tu e Pansy quando siete rimaste sole?” Ti prego non mi dire Goldstein.
“Mi ha chiesto di duellare con lei.”
COSA? “Duellare?”
“Sì, mi ha chiesto di insegnarle qualche incantesimo. Mi ha detto di non aver mai avuto bisogno di proteggersi o di attaccare qualcuno, ma che voleva imparare a farlo. Le ho mostrato qualcosa. Qualcosa di semplice. Quello che Harry ci aveva insegnato a scuola…”
Blaise annuì. Pansy non era stupida. Non era andata da Harris totalmente impreparata. Era stata audace e astuta. Voleva parlare con lui, sapere perché e da quanto tempo. E ci era riuscita. E invece lui non l’aveva aiutata. Aveva pensato che non ce l’avrebbe fatta. Beh, a dir la verità non voleva che lo facesse perché aveva paura che potesse finire male, non perché lei non ne sarebbe stata capace. Aveva paura di non poter fare niente in caso di pericolo, come effettivamente era successo. Lei era stata bloccata da Harris e lui non era riuscita a salvarla.
Si passò la mano fra i capelli. Era lui quello impreparato. Era lui che l’aveva messa in pericolo. Se avesse accettato di farla venire con loro, come aveva anche suggerito la Granger, non si sarebbero scontrati sulla porta e non ci sarebbe stato quel pasticcio.
E lei non si sarebbe trovata in pericolo. Aveva visto come l’aveva guardato. E non poteva farci niente, era davvero colpa sua. Sospirò e si passò di nuovo la mano fra i capelli.  Avrebbe dovuto essere lui, a insegnarle a difendersi. Avrebbe dovuto avere più fiducia. Ora lei…
“Abbiamo anche parlato di ragazzi.”
La Potter interruppe i suoi pensieri.

 

Ginny pensò di dover alleviare la pena di quel povero ragazzo. Cosa era successo? Non era andato tutto bene? Non sapeva bene cos’era avvenuto, ma lui sembrava nervosissimo. Si voltò verso di lei, quando pronunciò quelle parole.
“Di chi avete parlato? Di Goldestein?” Chi? Anthony? Perché avrebbero dovuto parlare di Anthony?
“Anthony? No. Abbiamo parlato di te.”
“Di me?” Si tirò un po’ su. E sorrise. Bene, bravo Zabini.
“E cosa vi…?” Il rumore della porta del reparto che si apriva lo interruppe e un’infermiera la salutò.
“Buonasera signora Potter.”
Lei ricambiò il saluto ed entrò velocemente. Non vedeva l’ora di tenere la mano di Harry. Entro poco si sarebbe svegliato e avrebbe potuto baciarlo.

 

Blaise osservò la rossa scappare dentro il reparto e non le disse niente. Andava da suo marito. Era giusto così.
Si alzò e attraversò la porta. Imboccò il corridoio e si incamminò verso l’ufficio di Pansy. Gli avevano detto che era ancora lì. Era arrivata quando aveva affrontato Harris. E non era più tornata a casa. Gli aveva detto che l’idea che lui visitasse i suoi pazienti la metteva in agitazione ed era preoccupata. Avrebbe dovuto capire meglio il suo stato d’animo.
Sospirò. Poi la vide. Aveva il camice e parlava con un altro dottore. E sorrideva. Sorrideva contenta.

 

“Meno male che ci hai pensato tu, Philip. Non sai quanto mi faccia sentire più tranquilla.”
Il dottore dalla folta barba scura le sorrise. “Quando sei stata sospesa è stato sospetto, per tutti noi. E Mills non sembrava troppo in forma…” Pansy sorrise.
Harris non era pratico dei turni dell’ospedale. Per chi non è abituato sono massacranti. Non averlo trovato fuori di testa era già una bella cosa. Così non aveva combinato troppi danni.  
Dopo aver scoperto della settimana di Harris come dottore, si era preoccupata. Ma aveva controllato tutti i pazienti, nessuno escluso (era andata anche da Potter, ma era ancora incosciente) e dopo aver finito tutto il giro e aver controllato ogni cosa, aveva scoperto che qualcuno degli altri dottori si erano insospettito e avevano coperto i suoi turni spontaneamente, vegliando i pazienti senza lasciarli in balia di Harris.
Oh Merlino, avrebbe voluto abbracciare Philip. Lì in quel momento. I suoi pazienti erano salvi.
Sorrise. Per la prima volta sorrise, soddisfatta e serena. Poi, lungo il corridoio vide arrivare una persona: sorrise ancora di più. Gli andò incontro e a metà strada si accorse di aver accelerato l’andatura. Quando se lo trovò di fronte l’abbracciò forte. Quanto le era mancato!

 

Blaise vide Pansy correre ad abbracciare Denys. Il vero Denys. Una morsa gli stritolò forte lo stomaco, salì veloce lungo il petto e gli afferrò la gola. Non riuscì a fermarlo. Una fitta potente che gli bloccò il respiro.
Poi una ragazza al suo fianco disse: “Ehi, giù le mani dal mio ragazzo, dottoressa Parkinson!”
La guardò. Era l’infermiera che li aveva guidati a casa del dottore. Lei si voltò verso di lui e ammiccò, facendogli cenno con la testa di seguirla. Si incamminò dietro di lei e si avvicinò a Pansy. Quando Pansy lo vide spalancò gli occhi e poi guardò da un’altra parte. Oh, no. No.

 

“Cosa fai qui?” chiese a Blaise appena riuscì a raccogliere tutto il coraggio che aveva.
April lo prese a braccetto e le disse: “Siamo venuti a darti una grande notizia”, ma poi si zittì. Lo faceva apposta.
Così strinse le labbra in un sorrisetto e si rivolse direttamente a lei. “Dimmi, che notizia?” era un giochetto. L’avevano fatto milioni di volte. Ma questa volta April non voleva giocare, perché subito rispose: “La tua amica Daphne ha partorito”. Come? Daphne? Il bambino?
Si voltò verso Blaise. E perché lui era andato da Daphne? 

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Capitolo 8
*** Pansy ***


Pansy

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Pansy sorrise. Il bambino di Daphne! Era già a scadenza? Non si parlavano da una settimana. L’aveva evitata. Povera Daphne. Magari aveva avuto bisogno e lei non c’era. Quasi si sentì male.
Guardò verso Denys, che le fece cenno di andare con la testa, mentre metteva un braccio sulle spalle di April. Guardò verso di lei, che per fortuna si era staccata da Blaise e le sorrideva sorniona.
Poi guardò Blaise. Non riusciva a capire cosa stesse pensando. Poteva chiedergli perché fosse andato da Daphne? Una vecchia scintilla, forse?
Per un attimo barcollò mentalmente. No, lo fece fisicamente, tanto che Blaise si avvicinò e le mise una mano sotto l’avambraccio per sostenerla. Non se n’era resa conto.
“Stai bene?” Annuì. Il suo tocco caldo la emozionava e le faceva vibrare il petto. Nonostante tutto. Annuì ancora, incapace di fare altro. “Vuoi andare da Daphne?”
“Sì”. Forse camminare era meglio.

 

“Accompagnala” sussurrò April l’infermiera a Blaise. Lui annuì e poi si voltò verso Pansy.
“Ma non sono sicuro di essere ben accetto… Ti accompagno ed entri da sola, ok?” Lei lo guardò stranita, ma accettò. Si incamminò verso l’ascensore, vicino a lei, incapace di dire qualsiasi cosa.
Vederla abbracciata a un altro era stato devastante, ma il suo sguardo lo era stato ancora di più.
Ce l’aveva con lui. E aveva ragione. L’aveva messa in pericolo.
Entrarono nell’ascensore e nel farlo le loro mani si sfiorarono. Pansy ebbe un sussulto.
Blaise si rattristò. Sarebbe riuscito a spiegarsi? Non lo aveva fatto apposta. Lui era abituato a decidere per sé e a fare le cose da solo. Avrebbe dovuto darle retta. Avrebbe dovuto…
Pansy spinse un bottone.

 

Pansy non aveva capito… “Ma non sei stato da Daphne?”
“Io? A fare che?” Oh. Che scema. Ai maschi non interessavano i bambini, forse?
“Avevo capito…”
“La tua amica ti fatto uno scherzo, temo. Non sapevo di Daphne.”
Oh. E cosa era venuto a fare?
“Allora ci sono stati problemi al ministero? Con… Harris?” Lui scosse il capo, confuso. “È andato tutto bene? Devo venire a… parlare con qualcuno?” Lui scosse ancora il capo. Oh, Merlino, perché non diceva niente? “Perché sei qua, allora?”
Il suo sguardo si adombrò per pochissimo, tanto che Pansy pensò fosse dovuto alla lanterna dell’ascensore e non fosse accaduto davvero.
“Sono venuto per chiarire le cose con te. Non mi sembra ci siamo lasciati bene, oggi…” Lui la guardò intensamente. Oh, Merlino voleva sgridarla? Voleva cruciarla verbarlemente? Sapeva di aver fatto una stupidaggine. Ma era da sola. Non sapeva come fare e doveva assolutamente farlo. Doveva parlare con Harris. Prima che al Ministero. Chissà quanto ci avrebbe messo, al Ministero.
Adesso sapeva che i suoi pazienti non correvano nessun pericolo, ma prima non lo immaginava nemmeno. E ora era in quel pasticcio…

 

Lei non rispondeva. Aveva quello sguardo corrucciato, bellissimo, fra l’altro. La trovava estremamente sexy quando lo faceva. Per Salazar che voglia di tirarla a sé e baciarla!  
Ma non capiva cosa stesse pensando. Come avrebbe reagito se lo avesse fatto davvero? Con lei era sempre più difficile.
Con il suo lavoro sapeva leggere le persone quasi perfettamente, ma con Pansy… Con lei era difficilissimo. Si mettevano in mezzo tutte quelle paure e i piaceri che lei gli stimolava e tutto andava in brodo.
“Andiamo prima da Daphne?” Blaise annuì. Ok, niente baci. Sospirò.
Sperò solo di poter rimanere fuori dalla stanza.

 

Uscirono dall’ascensore e Pansy si avviò spedita verso il corridoio della maternità.
“Buonasera dottoressa” la salutò una delle infermiere.
“Ciao, Candy. Cerco Daphne Wilkinson. Sai in che camera è?” L’infermiera glielo disse e le indicò la direzione.
“Grazie mille” rispose e si avviò con Blaise lungo il corridoio.
Quando arrivò davanti alla porta di Daphne tentennò.

 

Blaise per poco non finì contro Pansy quando si bloccò. Merlino, l’avrebbe travolta. Sarebbe caduta di sicuro, se lui non l’avesse afferrata. Lei sorrise. Meno male.
“Sono sempre sbadata. Anche al matrimonio…” Lui si avvicinò al suo orecchio mentre una strega passava nel corridoio superandoli.
“Al matrimonio è stata colpa mia. L’ho fatto apposta per toccarti” sussurrò. Lei si voltò, molto più stabile.
“Come?” Blaise ghignò.
“Hai sentito”. Le sue guance assunsero un colorito rosato e lei fece un passo indietro. Per Salazar, si sarebbe arrabbiata?

 

Pansy sentì le guance andare a fuoco e un brivido lungo la spina dorsale. Cosa aveva fatto al matrimonio? Santo Salazar, solo per toccarla? Si ricordò di quel tocco. Merlino, si ricordò anche di tutti gli altri. Le sue mani erano fantastiche.
Fece un passo indietro. Forse così sarebbe riuscita a mantenere un po’ di stabilità. Guardò la porta della camera di Daphne. Poi si sentì il pianto di un bambino, da una camera in fondo al corridoio.
Alzò il viso verso Blaise e disse: “Si arrabbierà se entro? L’ultima volta non ci siamo lasciate bene…”
Blaise le mise una mano sulla spalla e le confidò: “Daphne non vede l’ora di far pace con te. Vai!”
E la spinse dentro.

 

Daphne era eccitatissima. E stanchissima. E agitata. E sfinita. O Per Salazar! Si toccò le guance. La sua bambina! Oh, com’era bella la sua bambina. E come l’aveva fatta dannare. Era stato faticosissimo. Ma ora era finita.
La bambina stava bene e dormiva pacifica fra le sue braccia appoggiata sulle cosce. Steve non era ancora arrivato. La bambina era nata prima di quello che immaginavano e lui era via per lavoro. Gli aveva mandato un gufo. Avrebbe dovuto materializzarsi al San Mungo da un momento all’altro, pensava. Oppure il gufo non l’aveva ancora trovato. Sospirò.
Sua madre era andata a casa. Era rimasta con lei fino a un quarto d’ora prima. Poi era andata a casa per mandare gufi a tutti i suoi conoscenti e vantarsi della prima nipote. Sospirò ancora.
Sentì la porta aprirsi. Guardò in quella direzione e non riuscì a trattenere l’ennesimo sospiro quando vide entrare Pansy.
Com’era bella Pansy, mentre le sorrideva. E Merlino, com’era snella.
Si guardò la pancia. Ne aveva ancora un po’. Sarebbe andata via presto, giusto?

 

Pansy dovette abituarsi alla penombra. Perché le stanze in maternità erano così buie? Una lanterna alle sue spalle si illuminò. Vide Daphne con la bacchetta in mano. Sorrise timidamente.
Lei ricambiò il suo sorriso e allargò un braccio per invitarla vicino a lei. Con l’altro reggeva la bambina. Si avvicinò velocemente e l’abbracciò. Quello era il giorno degli abbracci ritrovati.
“Mi sei mancata, Pansy. Scusami.”
“Va bene così. Non preoccuparti.”
“No, no. Mi devo scusare con te. Ma non volevo ferirti, davvero. Scusami. Volevo solo…” La sua voce si affievolì.
 Le accarezzò i capelli. Erano attaccati alla testa e tutti sporchi. Poverina era un po’ messa male.
“Aspetta.”
Tirò fuori la bacchetta e l’agitò sulla sua testa. I suoi capelli tornarono puliti e pettinati. “Oh, grazie. Avevo chiesto a mia madre di farlo, ma si è scordata...”
“Allora, fammi vedere questo…”
Questa… È una bambina.”

 

Il sorriso di Pansy si illuminò. Daphne ne fu orgogliosa.
“Una bambina!” Guardò la piccola che dormiva fra le sue braccia e il suo viso si addolcì. “Che meraviglia. Congratulazioni!” Poi si sedette vicino a lei sul letto. “Posso… Posso prenderla?”
“Prima voglio dirti una cosa. Ti va di ascoltarmi?” Lei rise.
“Dev’essere importante.”
“Devo chiederti scusa.”
“Ho già detto che non devi…”
“Fammi finire. Non per la settimana scorsa. Beh, anche per quello. Ma per una cosa successa tempo fa.”
“Tempo fa?”
Pansy doveva essere confusa. Giustamente. Poverina. Lei era così brava. Non immaginava neanche quello che le aveva fatto.

 

Daphne non stava bene. Vaneggiava. Poteva chiamare un’infermiera?
“Sì, dieci anni fa.”
Ok. Oltre all’infermiera avrebbe dovuto chiamare anche il medimago. Fece per alzarsi, ma lei le posò la mano sul braccio.
“Ascoltami, ti prego. Ho fatto una cosa brutta!” Oh. Cosa? “Ti ricordi quando mi sono messa con Blaise a Hogwarts al quinto anno?” Pansy annuì.
Era stato terribile: aveva pensato che le si sarebbe spezzato il cuore.
“Ti ricordi quando ti ho detto che avevo fatto l’amore con lui?” Annuì ancora.
Quella volta aveva pianto. Di nascosto.  E dopo aveva capito che non avrebbe mai avuto una possibilità con Blaise. Per non contare il fatto che lui stava con Daphne e loro stavano bene insieme.
“Beh, non è vero. Non lo abbiamo fatto. Mai.”
Spalancò gli occhi. Ma Daphne abbassò lo sguardo. Poi lo riportò su di lei.
Pansy aveva preso la decisione di mettersi con Draco, quando lei era passata oltre con Blaise. Faceva troppo male saperli insieme e pensare che lei sarebbe rimasta da sola. Da sola a guardarli. E Draco era lì…
“Ma tu avevi detto…”
“Ho mentito, Pansy. Ti ricordi? Avevo organizzato tutto. Il letto, le candele… Ma non è successo niente. Lui non è venuto. Non si è presentato. Non riuscivo a dirlo a nessuno. Mi sentivo umiliata, pensare di essere stata rifiutata… Avevo paura di far brutta figura…”
“Con me? Hai mentito a me per non fare brutta figura?” Una lacrima scivolò sulla guancia della bionda e lei la scacciò via un po’ nervosamente.
“Ero molto insicura. Volevo piacere e volevo essere grande. Ero stupida. Pansy, ero stupida. Ho pensato tante volte a dirtelo, ma non mi sembrava mai il momento adatto. E poi l’hai fatto anche tu con Draco e non volevo che pensassi che io fossi un’imbranata o una sfigata. E dopo… Più il tempo passava e più era difficile. Poi…” Non era finita? Su cos’altro le aveva mentito, la sua miglior amica? “Poi una sera Blaise mi ha chiamato con il tuo nome e non ci ho visto più!”
“Cosa?” Lei annuì.
“Mi ha chiamato con il tuo nome e non ci ho visto più. Abbiamo litigato. Lui mi ha detto che gli piacevi tu e per me è stato bruttissimo. Quando mi ha detto che si era messo con me perché tu stavi con Draco, mi sono arrabbiata e l’ho schiantato.”
Cosa aveva fatto?
“Cosa hai fatto?” Daphne ridacchiò nervosamente.
“L’ho schiantato. Ma Pansy, stavo con lui da tre mesi, volevo farci l’amore e lui mi è venuto a dire che gli piaceva un’altra. Che gli piacevi tu. Cosa avresti fatto?”
Lo sapeva cos’avrebbe fatto. Sarebbe corsa da lui e avrebbero fatto l’amore. Come avevano fatto i giorni appena passati. Ma pensò a cosa avrebbe fatto nei panni di Daphne.
“L’avrei schiantato. Due volte.”
Daphne sorrise, ma continuò a piangere.
“Era umiliante e non te l’ho detto. E non potevo dirti che gli piacevi, altrimenti avrei dovuto confessarti tutto il resto. Così mi sono inventata la storia che mi aveva tradito…” La bocca di Pansy disegnò un cerchio per lo stupore.
“Non ti aveva tradito allora?” Lei scosse il capo.
“No. Non l’ha mai fatto. Alla fine, è lui il migliore fra noi due…” Altre lacrime le scesero sulla maglietta.

Lei piaceva a Blaise. Pansy pensava solo quello. Poi pensò a cosa sarebbe potuto succedere se lo avesse saputo dieci anni prima. Non poteva saperlo. Nessuno poteva saperlo. Avrebbe potuto essere bello. Oppure, con accanto Draco e Daphne, sarebbe stato un disastro. Magari si sarebbero messi insieme e sarebbero durati come un gatto a cavallo di una scopa.
Pensò ai tre giorni passati con Blaise. A lei, lui piaceva quello che era diventato adesso. Fisicamente e mentalmente. Era più maturo di quando andavano a scuola. Sperò di esserlo anche lei. Le piaceva quello che avevano adesso. Sorrise. Andava bene così.
Oh no, non era vero. Come aveva detto lui in ascensore, non si erano lasciati bene. Sarebbero riusciti a chiarirsi? Sarebbe riuscita a spiegargli perché era stata così avventata?

 

Daphne sperò che Pansy capisse. Vide il suo viso trasformarsi così tante volte che fece fatica a capire cosa pensasse.
L’avrebbe voluta ancora come amica? Lei, la povera Daphne, invidiosa della sua migliore amica perché aveva un lavoro interessante, viveva la sua vita coraggiosamente e non guardava in faccia nessuno?
“Ti prego, perdonami.”
“Vieni qui” le disse e l’abbracciò. Daphne non riuscì più a contenere un singhiozzo e non frenò più le lacrime.
“Scusami. Scusami. Sono stata stupida. Ma non ti volevo male. Davvero. Sei la migliore amica che ho. Sei l’unica, che ho. E sei la persona migliore che conosca…” Pansy le sorrise.
“Il parto ti ha danneggiato qualcosa alla testa. Facciamo così. Tu non provare mai più a combinarmi un fidanzamento e io ti perdono. Va bene?” Lei annuì.
“Mi perdoni davvero? Dopo quello che ti ho nascosto? Ti ho ingannato. E non ti ho detto di Blaise. Sei sicura che…”
“Adesso non ha importanza. È una cosa di tanto tempo fa.”
“Non proverò mai più a farti sposare, te lo giuro. Non ti presenterò più nessuno. Non mi interessa se ti sposi o no. Ma resta con me. Ti prego.”
“Non andrò da nessuna parte. Te lo prometto. Ora fammi prendere in braccio questa meraviglia. Prometto che non la lancerò.”
Daphne sorrise e le passò la bambina. “Oh, la tieni meglio di come la tengo io” disse sconsolata.

 

Che Daphne fosse sempre stata un’insicura, lo sapeva. Ma non pensava avesse dei vuoti così profondi. Le sorrise.
“Lei amerà te. E ti riconoscerà dal tuo profumo. Ha sentito il tuo cuore da dentro. È un legame indissolubile. Ti insegnerà quello che pensi di non sapere.”
Daphne la guardò con gli occhi sbarrati e fece un sospiro di sollievo.
Per tutto, probabilmente. Un po’ egocentrica. Ma una persona buona. Non le avrebbe detto che al quinto anno a lei piaceva Blaise. Che se lui avesse fatto solo un gesto nei suoi confronti, sarebbe caduta ai suoi piedi. Non c’era bisogno di dirglielo. Vedeva il suo senso di colpa e voleva risparmiarle ciò che non era necessario.
“E con chi è che hai perso la verginità, allora?” E Lei sorrise e si agitò appena. “Posso dirtelo davanti a mia figlia?” e un sorrisino le dipinse le labbra.
Quando rise anche Pansy, disse: “Con Goldstein, di Corvonero. Te lo ricordi?” Ultimamente Goldstein saltava fuori dappertutto. Pansy se lo ricordava sì. L’aveva visto proprio quel giorno, al Ministero. Annuì.
“C’è un'altra cosa che devo dirti…” Per Salazar, no! La guardò di sottecchi. Cosa avrebbe detto adesso? “A lui piaci ancora!” Come?
“Cosa hai detto?”
“A Blaise piaci ancora. L’ho visto, al matrimonio, come ti ha guardato. Ti ha sempre guardato così. E da quel che ho visto…” Ammiccò nella sua direzione. Le sorrise e Daphne capì. Il suo viso si allargò di stupore.
“Pansy! Hai fatto la ragazzaccia?” chiese con un sorrisino divertito. Lei la ignorò e riportò l’attenzione sulla bambina. Era molto più facile così.
La piccola assomigliava in tutto al papà. E aveva i riccioli di Daphne. Era stupenda. Ma non vedeva di che colore avesse gli occhi. Che poi, potevano sempre cambiare. La dondolò un po’ e la piccola sbadigliò. Che meraviglia davvero.

 

“Quindi?” Daphne non riusciva più a contenersi. Pansy riportò l’attenzione su di lei.
“Quindi cosa?”
“Quindi…. Non mi racconti cos’è successo? Da lui o da te?” Vide le guance dell’amica colorarsi e si rabbuiò. “Oh, ok, non dirmi niente. Va bene. Scommetto che mi odi o qualcosa così.” 
“Non ti odio. Daphne, non potrei mai. Qualsiasi cosa mi combini, saremo amiche. L’amicizia fra noi sarà sempre più importante dei fidanzati. Da chi vorrai andare a bere un bicchiere di vino quando tuo marito tornerà tardi dal lavoro e si lamenterà di qualcosa per cui tu avrai lavorato tutto il giorno?” Daphne sgranò gli occhi.
“Oh, Merlino, succedera?”
“Se succederà, casa mia sarà aperta.”
“Quindi non mi dici niente?”
La porta della camera si aprì e Steve entrò un po’ velocemente. “Daphne!” Oh, che carino. Pansy sorrise e si alzò in piedi con la bambina ancora in braccio. Lui si avvicinò velocemente alla moglie e l’abbracciò.
“Mi spiace di non essere arrivato in tempo.”
“Non preoccuparti. Ci sono riuscita comunque.” Lui la guardò stranito, poi guardò Pansy. Lei alzò una spalla.
“È matta. Il parto le ha dato alla testa” disse, come spiegazione. Lui annuì, serio in volto. Pansy rise del suo sguardo.
Aveva fatto pace con Daphne, aveva ritrovato un’amica e aveva scoperto di piacere a Blaise già ai tempi della scuola. Guardò la bambina.

 

Daphne si agitò un po’ sul letto. E fece un cenno all’amica di avvicinarsi.
“Siediti, tesoro, vieni a conoscere Pansy” disse al marito. Pansy si accostò al letto mentre ridacchiava.
“Il parto ti ha fatto male davvero. Daphne, Steve mi conosce già.”
Daphne sbuffò. “Non parlavo di te!” Prese dalle sue braccia la bambina per porgerla al marito.
“Pansy, ti presento il tuo papà.”

 

La mora strabuzzò gli occhi. “Ma… La volete chiamare Pansy? Pansy come… me?”
Steve si girò verso di lei. “È tanto che lo abbiamo deciso”.
Oh. Ma non dovevano chiamarla come la madre di Steve? Daphne l’aveva fregata pensò guardandola mentre ghignava un pochino nella sua direzione. Una bambina con il suo nome. La bambina di Daphne. Che cosa bella. Si sentì… commossa. Si asciugò una lacrima con il dorso delle dita.
“Non so cosa dire…”Daphne mise la figlia fra le braccia del marito e la guardò.
“Non devi dire niente. Farai da madrina?”
“Certo. Sarà un onore.”
La bionda annuì sorridendo.
“Però il secondo nome sarà quello di mia madre, giusto?” Vide lo sguardo di Daphne e decise di lasciarli soli.
“Io vado. Ci vediamo domani.”
Loro la salutarono e Daphne l’abbracciò prima che uscisse.
“Ti voglio bene” le sussurrò all’orecchio.
Sentì un’altra lacrima scenderle sulla guancia.


Fuori nel corridoio, Blaise chiacchierava con Theo e Draco. Astoria era un po’ agitata, ma sorrideva. Un’infermiera li aveva sgridati perché erano tutti davanti alla porta. Ma aveva anche detto loro che potevano entrare al massimo due alla volta. Astoria aveva dovuto aspettare fuori, perché era entrato il marito di Daphne e con Pansy erano già in due.
Steve, aveva detto, quando si era presentato. Non sembrava male, il tipo. Sospirò. La porta si aprì e ne uscì una Pansy commossa. Vedeva la scia che le lacrime le avevano lasciato sulle guance.
“È così brutto il bambino?” Pansy alzò di scatto la testa, sorpresa. Astoria diede uno scappellotto a Theo e Pansy sorrise.
“Theo, sei proprio un troll! È una bambina ed è bellissima.”
Astoria scappò dentro un po’ agitata. Theo si alzò e andò ad abbracciare la mora.
La sua ragazza, pensò Blaise. O no? Pansy era la sua ragazza? Lo era ancora? O non lo era mai stata? Si passò una mano fra i capelli.
“Come stai? Ho sentito della cattura di un certo mago…” le disse l’amico.
“Veramente, gli Auror ne hanno catturati due. Non te lo ha detto Blaise?” Si girò verso Draco. “Draco, tutto bene?” Lui annuì e lei l’abbracciò.
Blaise li guardò tutto il tempo. Theo gli diede una gomitata.

 

Pansy si voltò di nuovo: Blaise la guardava. Dovevano parlare. Doveva sapere se l’errore che aveva commesso era troppo per lui. Era meglio saperlo subito. Si morse il labbro inferiore, guardandolo.
“Andiamo a mangiare qualcosa dopo?” chiese a tutti e si girò verso Theo. Era strano. Cercava di sorridere ed essere allegro, ma lei lo conosceva bene.
Come era andata con Amelia?
“È andata bene con Amelia?” gli chiese sottovoce.
Lui alzò le spalle. “Insomma. È rimasta un po’ sconvolta… Mi ha detto che ha bisogno di…” si interruppe.
“Vuoi parlarne?” Theo scosse le spalle. Non stava bene. Non doveva rimanere solo. “Andiamo a mangiare qualcosa.”
Non era una domanda. Lanciò un’occhiata a Blaise. Sapeva che dovevano parlare anche loro, ma non voleva lasciare solo Theo in quello stato.
“Voi venite?” chiese allora a Draco. Il biondo alzò le spalle e indicò la porta con la testa.
“Oh, si è sposato. Deve prima consultarsi con il suo capo!” Theo ridacchiò e Draco gli lanciò un’occhiataccia.
Poi Pansy si rivolse direttamente a Blaise, visto che non aveva risposto:“Tu cosa fai?”

 

Oh bella domanda. Pensava di rimanere solo con lei. E invece… Ma non se ne sarebbe andato.
“Vengo con voi” rispose. Lei sorrise. Meno male.
“Cos’hai combinato?” gli chiese Theo mentre Pansy apriva la porta.
“Posso far entrare gli altri?” chiese lei all’interno.
Guardò l’amico. Possibile che lui avesse capito che le cose fra loro non erano proprio a posto? Poi la ragazza si voltò verso di loro e fece un cenno per farli entrare.
Oh, Merlino! Doveva entrare anche lui? Si avviò per ultimo. Lentamente. Magari se avesse camminato piano piano avrebbero finito prima che lui entrasse. Ma quando arrivò alla porta, gli altri erano ancora dentro che parlavano.
“Vieni” gli disse Pansy, “non ti schianterà.”
“Sicura?” Le sorrise. Sorrise anche lei. “Però se mi stai vicino, sono più tranquillo…” Lei inclinò la testa.

Ti prego, non dire che non mi vuoi. Allungò una mano.
“Dai, entra, troll!” Entrò e lei chiuse la porta prima di posargli la mano sul braccio. Quando arrivarono vicino al letto di Daphne, la guardò e lei tolse lo sguardo dalla bambina per guardarlo. Gli fece un cenno con il capo.
“Daphne. Bella bambina.”
La ragazza sorrise e, dopo avergli fatto un cenno con il capo, tornò a guardare la figlia. Poi suo marito le posò una mano sulla spalla e baciò la piccola sulla testa.
“Possiamo andare, secondo te, adesso?” Si voltò verso Theo che guardava stranito le due coppie che vezzeggiavano la nuova nata.
“Beh, direi di sì. Io ho fame” disse e Theo sorrise dandogli una pacca sulla spalla.
“Io invece ho sete.”

 

“Andiamo a mangiare qualcosa? Siete dei nostri?” Pansy si era rivolta direttamente ad Astoria. Lei annuì.
“L’orario delle visite è quasi finito. Tanto vale uscire tutti insieme. Vieni con noi, Steve?” Lui scosse la testa.
“Resto finché riesco. Poi andrò a casa.”

 

Daphne guardò tutti salutarla e andarsene.
“Blaise” lo chiamò.
Il ragazzo si girò. “Sì?” Gli fece cenno di avvicinarsi. Steve prese in braccio la bambina e si scostò per lasciarli parlare. Daphne lo guardò camminare avanti e indietro, cullando la piccola. Il suo amore. Suo marito. Il padre di sua figlia. L’uomo che amava.
“Dimmi…” Blaise la guardava incuriosito.
“Grazie di essere entrato. Mi ha fatto piacere.”
Lui annuì. Si allungò e gli strinse una mano.
“Trattala bene” sussurrò. Blaise alzò un sopracciglio sorpreso e sorrise. “Altrimenti ti schianto di nuovo!”
Gli lasciò la mano e portò l’attenzione sulla sua nuova famiglia senza più calcolarlo.

 

“Non ti ha schiantato.”
Pansy gli tornò vicina quando uscì dalla camera.
“No, ha detto ‘ancora no’.”
Come? “In che senso?” Sorrise e le cinse le spalle con un braccio.
“Niente, non preoccuparti.”
Sorrise un po’ stranito e lei non ci fece troppo caso.

 

***

 

“No, scusate, quindi sapevate tutti del nome?”
Pansy non ci credeva. Theo aveva detto che lui lo sapeva. E anche Astoria. Draco aveva fatto finta di niente.
“Che nome?” chiese Blaise sedendosi al tavolo, sulla panca, vicino a lei.
“Hanno chiamato la bambina Pansy” disse Theo.
A Pansy si arrossarono le guance. Lo sentiva. Di nuovo. Si voltò verso Astoria.
“Ma… Non avete detto niente?”
“Perché, cosa dovevamo dire?” Astoria inclinò la testa mentre glielo chiedeva. Scosse le spalle. Bo. Solo a lei sembrava strano?
“Io pensavo che l’avrebbero chiamarla Mary, come la madre di Steve…” Scosse la testa.
“Ma la madre di Steve si chiama Elisabeth!” Oh. Fregata due volte. Sorrise.
“Daphne mi ha fregato…” Astoria sbatté il suo bicchiere di burrobirra con quello di Pansy.
“Sì. È stata brava, eh?” Rise.

 

Blaise aveva ascoltato Theo raccontare di una ragazza babbana di cui si era innamorato, una bellissima ragazza dagli occhi verdi di nome Amelia. Esattamente come lo disse lui, anche se il suo tono non era felice. E aveva ascoltato Draco e Astoria raccontare del loro viaggio di nozze. Dopo un po’ sperò che tutti dicessero che volevano andare a casa per poter stare solo con Pansy.
Quando Astoria chiese a Pansy di accompagnarla in bagno, pensò che fosse il momento giusto per proporre una ritirata. Ma non aveva fatto i conti con Theo.
“Allora, Draco, io e Blaise abbiamo fatto una scommessa. È vero che al quinto anno ti sei inventato di aver fatto sesso con Pansy?” Sia Blaise che Draco sputarono la burrobirra che stavano bevendo.
“Intendi… quando abbiamo bevuto in camera?” chiese il biondo, appoggiando il bicchiere sul sottobicchiere. Blaise lo guardò. Anelava la sua risposta. Draco lo guardò di sfuggita. “Sì. Me l’ero inventato…” Poi guardò verso la porta del bagno. “Ma non diteglielo” aggiunse.
Theo ghignò. “A quale delle due non dobbiamo dirlo?” Draco lo guardò sgranando gli occhi. Oh, Theo, non esagerare. Theo tracannò un bicchierino di Firewhisky, ridacchiando.  
“Non lo diremo a nessuno.”
Blaise prese di nuovo il bicchiere più per aver qualcosa da fare che per sete.
“Ok…” Draco giocherellò con un tovagliolo di carta.
“A Blaise piaceva Pansy.”
A Theo non era bastato, quello che aveva detto Draco. Forse perché non aveva niente da fare, se non aspettare che la sua ragazza si facesse viva. E aveva deciso di aspettare bevendo. Se lui doveva essere così stronzo, sarebbe stato meglio che Amelia arrivasse al più presto. Il biondo alzò lo sguardo su di lui.
“Non lo sapevo.”
“Già.”
“Non avrei mai…”
“Non dire stronzate, Draco. Non ci crede nessuno” disse Theo. Forse era stato un po’ troppo duro. E forse aveva esagerato con il Firewhisky. Blaise guardò la bottiglia: praticamente l’aveva bevuta solo lui.
“Theo, smettila. Non fare il cazzaro…” Lui chinò la testa e prese un altro bicchiere.
“Ma tanto adesso, Blaise, hai recuperato, no?”
“Ti ho detto di smetterla. Altrimenti tiro fuori la bacchetta!” Il moro sospirò e annuì.
“Che succede fra te e Pansy?” gli chiese Draco.
“Non sono affari tuoi.”
“Non rovinare tutto come con Daphne. Per poco non si è diviso il gruppo, a Hogwarts…” A Blaise girarono le pluffe.
“Chi dice che ho rovinato io la cosa, con Daphne?”
“Perché ti ha mollato, allora?” Sbuffò e guardò la porta del bagno.
Quanto ci mettevano le ragazze?

 

“Tienimi la borsa.”
Astoria entrò nel bagno e chiacchierò un po’ con lei ad alta voce, che era rimasta nell’antibagno. Si guardò allo specchio che c’era sopra i lavandini e si sistemò i capelli. Quando la ragazza uscì e si lavò le mani, la guardò attraverso lo specchio.
“Allora? Che succede fra te e Blaise?”
Come? Cosa? Si voltò verso di lei così velocemente che si tirò una ciocca di capelli.
“Merlino! Che intendi?”
“Lui ti tocca in continuazione. E ti guarda come se fossi un dolce prelibato. Vuole portarti a letto. Oh!” esclamò, inclinando la testa. Pansy aveva sentito le guance andare a fuoco. Doveva averlo notato anche Astoria.
“E a te piacerebbe! Giusto? O l’avete già fatto? Merlino, stai via tre settimane e succede di ogni!” Pansy rise.
“Beh, di ogni proprio no! Abbiamo solo…” Astoria si fece più vicina.
’Avete solo’? Per Salazar, qualsiasi cosa sia stato, ti è piaciuto, eh?” Astoria era sempre stata così. Invadente e chiacchierona. E lei e Daphne l’avevano sempre avuta fra i piedi. Ma adesso sorrise. Le sembrava così carina.
Poi, ghignò. “Secondo te?” Astoria rise invece di rispondere.
“Dai, andiamo.”
Pansy si stava lavando le mani. “Aspettami!” gridò, quando capì che non l’avrebbe aspettat, cercando di fare presto.

 

Blaise si scontrò sulla porta con Astoria che usciva. Lei lo squadrò divertita e si voltò verso l’antibagno con i lavandini.
“Ti aspetto fuori, Pansy. Fai con calma.”
“Dai, ho detto di aspett…” Pansy arrivò sulla porta con le mani gocciolanti e si bloccò quando lo vide. Astoria ridacchiò un pochino e chiuse la porta.
“Ciao”. Finalmente soli.
“Ciao…” Lei lo guardò di sottecchi mentre tornava indietro a prendere un pezzo di carta per asciugarsi le mani.

 

Pansy si asciugava le mani con molta lentezza. Doveva stare attenta a quello che faceva. A quello che pensava. Quando era vicino a lui, non capiva più niente. Lui si avvicinò e guardò verso i bagni. Le porte erano aperte. Non c’era nessuno. Doveva averlo visto per forza. Erano soli.
“Torniamo di là?” gli chiese. Lui scosse la testa.
“Sono venuto per baciarti.”
Pansy sorrise e chiese: “Qui?”
“Preferirei a casa mia o a casa tua. Ma va bene anche qui. Ho già snobbato l’ascensore. Se inizio a non sfruttare i posti dove ci ritroviamo soli, va a finire che non ti bacio più. E non sai la voglia che ho di baciarti…”
Lei non lo lasciò finire e gli gettò le braccia al collo, mentre si avvicinava a lui.

 

Blaise la strinse mentre chinava la testa sulle sue labbra. Quando la spinse contro il muro le passò una mano sul fianco, sotto la maglietta. Lei mugugnò. Si staccò appena, per vedere la sua espressione. Fece scivolare la mano dietro la sua schiena e se la strinse addosso. I suoi occhi si spalancarono.
“Blaise, è un bagno pubblico.”
“Ho incantato la porta. Ti prego, cinque minuti” Pansy rise, gettando indietro la testa. Con l’altra mano le accarezzò una guancia. Era ancora bella. Più bella di Hogwarts. Più grande di Hogwarts. Più consapevole di se stessa. Ed era sua. Era ancora sua. Non l’aveva persa. Anche se dovevano parlare. Ma dopo. Quei cinque minuti erano suoi.
Fece scorrere le dita dal suo viso, giù, lungo la linea del collo e la lasciò gemere di piacere. Poi portò anche quella mano sul suo sedere e la sollevò un po’. Pansy capì e gli strinse le gambe intorno al bacino.

 

Quando si appoggiò a lei contro il muro, Pansy spalancò gli occhi. O Santo Salazar!
“Ricordami perché hai i jeans invece di una maledettissima gonna…”
Lei rise. “Non lo so”. Gli prese il viso fra le mani e lo baciò ancora. Gli mordicchiò le labbra e lui si strusciò contro di lei. Ok, basta, dovevano uscire. Subito.
“Blaise…”
“Sì, lo so. Lo so!” Sospirò.
“Tu non ti rendi conto…” Oh sì che se ne rendeva conto!
Quando si spostò, le disse: “Esci prima te. Io arrivo fra cinque minuti”. Pansy abbassò lo sguardo sui suoi jeans e ghignò.
“Sicuro? Cinque minuti?” E rise.
Lui sbuffò. “Vattene”. Lei rise ancora mentre usciva.
Quando tornò al tavolo, capì che era successo qualcosa. Theo era instabile e davanti a lui c’erano tanti bicchierini di quelli per i liquori.
“Che succede?” chiese in generale. Ma Theo non prestava attenzione e giocava con Draco con i bicchierini e il liquore. Guardò Astoria. Dalla sua espressione capì che era preoccupata anche lei. Strinse gli occhi nella sua direzione e lei alzò le spalle.
“Theo sta esagerando. Quando sono tornata, prima, aveva già bevuto metà della bottiglia. Si è fatto portare sei bicchierini. Dice che è un gioco, ma non ho afferrato bene. Penso… non stia bene. Tu che dici?”
Pansy lo guardò. No. Theo non stava bene per niente. L’aveva notato prima. Ma non pensava che potesse essere così… grave.
“Theo? Tutto ok?” I suoi occhi brillarono.
“Certo! Tutto ok. Mai stato meglio di così. Io mi sento…” Ma non riuscì a finire la frase e Pansy lo vide guardarsi intorno un po’ perso.
“È ora di andare a casa” sentenziò e si voltò verso il bagno. Vide Blaise uscire. Bene.

 

“Andiamo via” gli disse Pansy quando tornò al tavolo.
La situazione era seria. Sembrava che Theo fosse fuori di testa. Merlino. Era ubriaco. Pagarono e uscirono dal locale. E ora? Astoria disse di essere stanca e parlò di andare al lavoro il giorno dopo. Pansy le disse di andare a casa. Draco e Astoria si smaterializzarono dopo che Pansy assicurò loro che si sarebbe presa cura di Theo.
“Non ho bisogno della balia!” Starnazzò il moro. Pansy sbuffò.
“Smettila. Ti porto a casa”. Poi si voltò verso Blaise e gli spiegò: “Penso che ci sia rimasto male per Amelia più di quel che dice”. Blaise annuì, non sapendo bene cosa dire. “Lo porto a casa… Ci vediamo dopo?” Come? Non aveva intenzione di lasciarli andare via da soli.
“Ti accompagno.”

 

Pansy lo guardò stringendo gli occhi. Perché più che un aiuto il suo sembrava un ordine? Forse perché lo era.
“Non c’è bisogno. Vado da sola.”
Se ci fosse stato anche lui, Theo non si sarebbe confidato con lei o magari avrebbe detto qualcosa di troppo e si sarebbe pentito.
“Ho detto che vengo con te.”
Perché sembrava ancora un ordine? Perché il suo tono era così sostenuto? Era come al ministero, quando le aveva detto che non poteva andare con loro. Ma questa volta era diverso. Sapeva quello che faceva.
“Ce la faccio. Sono capace, cosa credi?” Per le questioni del ministero poteva anche aver ragione, ma lì si parlava di Theo, il suo miglior amico. Che aveva qualcosa che gli impediva di stare bene e lei doveva aiutarlo.
“So che sei capace…”
“Non è un incarico del ministero. Non ho bisogno di te.”

 

Blaise non capì perché avesse detto una cosa del genere. Cosa voleva dire che non aveva bisogno di lui? E cosa c’entrava il ministero? Scosse il capo. Lui voleva solo aiutare.
“Ma…”
“Ci vediamo, Blaise.”
La vide prendere sottobraccio Theo e si smaterializzarono. Merlino! E ora?

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Capitolo 9
*** Fare pace ***


09. Fare pace

Fare pace

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Pansy si sedette sul tavolo in cucina e, dondolando le gambe, guardò fuori dalla finestra aperta. Era notte e non riusciva a dormire. Aveva accompagnato Theo a casa e lui aveva pianto sulla sua spalla parlandole di Amelia. Lei era rimasta molto sconvolta dal fatto che lui fosse un mago.
Pansy gli aveva accarezzato la testa e promesso che l’avrebbe aiutato. Stava veramente male. Aveva aspettato che si addormentasse e poi era tornata a casa. Però ora…
Le mancava Blaise. Non riusciva a dormire. Non dopo che si erano lasciati così. Perché doveva sempre pensare che lei non sarebbe stata capace? 


Perché hai combinato un casino al San Mungo, ecco perché! Stupida. Stupida.

Voleva parlargli. Beh, più che parlargli… Voleva stare con lui. Sospirò rumorosamente. Si strinse addosso la vestaglia e scese dal tavolo per andare verso la finestra.
Poteva andare da lui? Dopo essere scappata via così? Sospirò. E se lui fosse stato già con un’altra? Si morse il labbro guardando la luna. Si avvicinò per chiudere la finestra. Prima di chiudere i vetri, guardò l’ultima volta il cielo.
Certo che la luna era così bella. Era quasi piena. Sentì un cane ululare. O era un lupo mannaro? Era un ululato straziante, denso di disperazione e tristezza. Un po’ come si sentiva lei in quel momento. Sospirò ancora.
Il rumore inconfondibile dello sbattere d’ali attirò la sua attenzione. Un gufo? A quell’ora di notte? Qualcuno stava male? Mamma! O papà! Non Daphne!
Poi il gufo si avvicinò e lei notò con curiosità di non conoscerlo. Veniva da lei? O andava da qualcuno dei suoi vicini? Appoggiò un braccio alla finestra e posò il viso sulla mano. Guardò il volo dell’incrollabile gufo fino a quando la raggiunse.
Era grosso. E un bell’esemplare. Tutto bianco. Un allocco. Un allocco degli urali. Non ne vedeva uno da un po’. Uno dei dottori andati in pensione l’anno prima aveva un allocco degli urali. Era un appassionato, le aveva spiegato tantissime cose su quel tipo di rapace.
Lo osservò posarsi sulla sua finestra. Si avvicinò e le tese una zampina. Una pergamena era arrotolata con un nastrino nero. La prese.
L’allocco volò poco più in là. Fuori dalla finestra, come se aspettasse una risposta. Srotolò la pergamena e sorrise.

Non riesco a dormire. Tu sei sveglia?

Non era firmato. Non c’era bisogno. Blaise. Si avvicinò allo scrittoio e intinse una piuma nell’inchiostro.
Era un’offerta di pace. Doveva esserlo per forza. E lei doveva accettarla. Osò. Il cuore le batteva a mille mentre scriveva.

Sono sveglia. Neanche io riesco a dormire. Mi manchi.

Chiamò l’allocco e gli legò la pergamena alla zampa.
“Aspetta” gli disse, accarezzandogli il capo. Prese un biscotto per gufi e glielo allungò. Lui bubulò e volò via.
E lei aspettò. Aspettò. Quanto ci avrebbe messo il rapace a tornare da lei? Camminò avanti e indietro, un po’ nervosamente.
Cosa le avrebbe risposto? E se si fosse addormentato e lei fosse rimasta lì ad aspettare una risposta fino… Per sempre? Si agitò. Non doveva scriverlo. Non doveva. Non doveva. Forse avrebbe fatto meglio a chiudere la finestra e tornare a letto. Alzò le mani per accostare i vetri quando un rumore alle sue spalle la fece sobbalzare.

“Merlino! Scusami.”
Blaise si era materializzato in soggiorno e l’aveva vista dalla porta aperta, ma aveva dato un calcio al divano mentre la raggiungeva.
Lei lo guardò sorpresa. Aveva fatto male a venire? Ma no, aveva fatto bene. E si era anche vestito. Aveva perso tantissimo tempo, dopo aver letto la sua pergamena.

Pansy osservava Blaise vicino al divano. Era venuto da lei. Perché gli aveva detto che le mancava. Che carino.
Lo osservò meglio mentre si avvicinava a lui. Aveva i jeans abbottonati, ma la cintura penzolava aperta e la sua maglietta era al contrario, infatti riusciva a vedere le cuciture. Sorrise. Si era vestito velocemente.
“Immagino di non dover aspettare il tuo allocco…” Anche lui sorrise.
“No. Sono venuto di persona.”
Forse avrebbe dovuto scusarsi. Per come era scappata fuori dal locale. Dovevano parlare. Mentre camminava, la sua vestaglia si aprì e lo sguardo di lui cadde sul suo abbigliamento notturno. Sorrise famelico. Lei rise.

Blaise si leccò le labbra. Pansy aveva addosso una canottiera che le arrivava appena a metà coscia e sotto cui non aveva il reggiseno. Ed era sottilissima. Riusciva a vederle…
Quando si chiuse la vestaglia brontolò. Ma sorrise quando fu davanti a lui e gli tolse la maglietta. Lui era stato bravo, aveva alzato le braccia per collaborare, nonostante lei fosse più bassa. Ma quando la vide girare la maglietta sul verso buono e rinfilargliela, imprecò.
“No!” Lei sorrise.
“Sì. Stavolta non mi freghi.”
Brontolò ancora, quando gli chiuse la cintura dei pantaloni. Poi lo tirò verso il divano e lo fece sedere.
“Penso di dovermi scusare per essere scappata così… Ma Theo…” Giusto. Theo. Scosse il capo.
“Non che mi interessi più di tanto, però… Theo come sta?” Pansy sorrise per la sua domanda.
“Theo sta benino. L’ho lasciato quando si è addormentato.”
Addormentato? Erano insieme a letto? Nello stesso letto? Si passò una mano fra i capelli e si alzò.
“Tutto bene?” gli chiese lei. Sì, sì. Annuì. Si alzò anche lei.
“Ti dà fastidio Theo?” Gli appoggiò una mano sul braccio. No. Sì. Quella sera avrebbe voluto vederlo cruciato. Alzò una spalla.
“Io e Theo siamo amici. Ci frequentiamo da tantissimo tempo. Ci sono cose che ho detto a lui e non a Daphne. Per me è importante. Ma, appunto, è un amico…” Nonostante tutto, capiva quello che intendeva. “Io non ci vado a letto”.

Pansy vide Blaise annuire sorridendo.
“E non perché sono un disastro” disse in un sussurro.
“No. Non sei un disastro”. Le prese la mano e tornò a sedersi sul divano, tirandosela sulle gambe. La sua mano le accarezzò il viso.
“Non mi piacciono gli ordini. Non voglio che tu me li dia.”
Blaise spalancò gli occhi. “Non l’ho mai fatto!” La strega alzò un sopracciglio.
“E invece sì. Forse neanche te ne accorgi…”
“E quand’è che ti ho dato ordini?”
“Quando volevi venire con me da Theo o quando hai detto che non potevo venire al San Mungo a prendere Harris con voi.”
“Beh, non mi sembra tu mi abbia ubbidito, comunque. Nessuna delle due volte.”
“Con Harris ho combinato un casino, hai ragione, ma con Theo…”
“Casino? Tu? No, perché? Sei stata bravissima. Sono io che ho rovinato tutto. Se non fossi entrato così all’improvviso... È che non immaginavo che dentro l’ufficio ci fossi tu. Quando lui ti ha preso e voleva smaterializzarsi, mi sono spaventato. Ho avuto paura che…” Non riuscì a finire la frase.
Come? “Ma non ce l’hai con me perché non ho fatto quello che hai detto?” Il suo sguardo confuso era bellissimo e continuò. “Beh… io so che non dovevo, che avrei dovuto lasciare a voi Auror quella cosa lì… Ma volevo parlare con Harris, avevo bisogno di sapere cosa aveva fatto ai miei pazienti, dovevo controllare…” Si agitò un po’ sulle sue gambe e lui, per farla calmare, le mise una mano sulla coscia.

Ok. Basta. “Ho capito perché sei andata da Harris. Quello che non ho capito… Non sei arrabbiata con me per averti messo in pericolo?” Lei corrugò la fronte.
“Io mi sono messa in pericolo. Lo sapevo che non sarei stata all’altezza della situa…”
“La moglie di Potter mi ha detto che ti ha insegnato degli incantesimi.”
Pansy annuì. “Non potevo mica affrontarlo senza sapere niente di niente!” Blaise sorrise. La sua Pansy.
“Ok, allora basta parlare. La prossima volta che ci sarà un problema, studieremo il modo per risolverlo insieme, ok?”

Pansy sentì la mano di Blaise farle scivolare la vestaglia giù dalla gamba e osservò la sua coscia scoperta sorridendo. Quando lui scivolò sotto l’orlo della camicia da notte con le dita, si morse il labbro. Quando la sua mano le accarezzò la coscia fino alla sua fine emise un’esclamazione divertita e sorpresa. Sorrise.
Aveva appena scoperto che non indossava biancheria. Il suono gutturale che emise le diede un brivido.
“Ora, ragazzina, sei nei guai.”
Pansy rise. Con un gesto calcolato lui la fece stendere sul divano e la baciò.

***

Un rumore svegliò Pansy. Non capì subito cosa fosse, così si guardò intorno.
Era nella sua camera da letto. Di fianco a lei Blaise dormiva e teneva una mano sul suo ventre. Si mise a sedere, spostandogli la mano. Lui brontolò nel sonno.
Ancora quel rumore. Realizzò cosa fosse quando vide il gufo che beccava contro la finestra chiusa. Malvolentieri si alzò. Cercò la camicia da notte, ma doveva essere rimasta sul divano.
Chi le scriveva? Era notte fonda e Blaise era lì con lei.
Era notte fonda. Era successo qualcosa di grave? Cercò di calmarsi. L’aveva pensato anche prima. Andò vicino alla finestra e l’aprì.
Riconobbe il gufo della madre. Per Salazar! Sua madre! Doveva essere successo qualcosa per forza. Prese la pergamena e il gufo volò via. Oh, non voleva una risposta. Bene.
La lesse e imprecò. Coloritamente e ad alta voce.

Blaise si svegliò nel momento che Pansy apriva la finestra. Vide il gufo andare via e lei prendere una pergamena. La lesse mentre camminava verso il letto e si fermò quando arrivò in fondo. La sentì borbottare qualcosa.
“Che succede? Brutte notizie?” I suoi occhi si sbarrarono.
“Mia madre sta venendo qui!” Come? Cosa? In quel momento?
“Adesso?” Lei annuì.
“Dov’è la mia vestaglia?”
“Sul divano.”
Annuì ancora e uscì dalla stanza.

Pansy si diresse velocemente in soggiorno. Sua madre stava arrivando! Santo Merlino! Non era mai successo che le mandasse un gufo per annunciare una sua visita. Beh, non era mai successo neanche che si presentasse senza avvisare con largo anticipo. O che venisse di notte.
Ok, era confusa. Raccolse la vestaglia sul divano e la indossò stringendo la cintura. Quando si girò per raccogliere la camicia da notte, sua madre si materializzò di fronte a lei.
“Pansy…” La sua voce era un po’ incerta.
“Mamma. Che è successo?” Raccolse anche i vestiti di Blaise. Sua madre osservò i suoi gesti e la sua bocca divenne una linea diritta.
“Non sei sola?”
“No.”
“Puoi mandarlo via?” disse, guardando i jeans di Blaise un po’ pensierosa. Cosa faceva? Valutava la sua taglia?
“No.”
“È una cosa di famiglia.”
Le passò davanti per raggiungere la camera da letto. Quando arrivò davanti alla porta questa si aprì e Blaise le prese i vestiti di mano. Sospirò e tornò da sua madre, che aveva osservato ogni sua mossa con una faccia critica.

Che bella novità, mamma.
“È casa mia.”
“Si tratta di tuo padre.”
“Che è successo a papà?” Si spaventò.
Sentì la porta della camera alle sue spalle aprirsi e Blaise salutare sua madre prima di fermarsi dietro di lei. La faccia di sua madre era impagabile. Ma non era il momento.
“Cos’è successo a papà?” chiese ancora, avvicinandosi alla donna.
“Devi venire a casa. Subito. Lui… Non sta bene…” Si voltò velocemente. Pansy annuì.
“Mi vesto”. E corse in camera.

Blaise rimase lì in piedi e un po’ imbarazzato. La cara Lilian lo aveva riconosciuto? Non era sicuro. Alla Gringott era stata tutto un profuso di sorrisi e complimenti. Ora… Sperò che fosse solo preoccupata per il marito. Che cosa orribile aveva pensato! Lei era preoccupata e lui pensava solo a se lo avesse riconosciuto o meno.
“Buonasera.”
Lei si voltò. Sì, l’aveva riconosciuto. Ma non era contenta. Borbottò qualcosa in risposta. Poi lo guardò negli occhi.
“Lei non ha una casa dove dormire?” Oh, Merlino.
“Mamma!” strillò Pansy dalla camera. Sorrise, ma si passò nervosamente una mano fra i capelli. Fece dietro front e tornò in camera da Pansy.
“Pansy…” Lei si stava pettinando velocemente davanti allo specchio. Raccolse alcune cose dal comodino e si girò verso di lui.
“Scusa, Blaise. Mia madre quando è preoccupata è un po’ scortese… No, a dir la verità lo è sempre. Ma non è colpa tua”. Lui scosse la testa. Doveva andare a casa?
“Se vuoi me ne vado…” Aveva sentito quando lei aveva detto alla madre che non lo avrebbe mandato via. Ma poteva averlo fatto solo per presa di posizione. Il suo sguardo si adombrò un attimo.
“Sì, ok. Vai pure a casa. Non c’è bisogno…” Abbassò lo sguardo e si incamminò verso la porta. La bloccò per un braccio.
“Dimmi cosa vuoi tu.”
“Io?”
“Sì. Se vuoi che venga con voi, verrò. Se hai contraddetto tua madre per dispetto e ora hai cambiato idea, me ne vado. Dimmi tu.”
“Ti direi di venire con noi. Ma non ti voglio così male”. Cercò di sorridere. Blaise annuì.
“Vengo con voi, allora.”
Pansy aprì la porta di quello che sembrava un armadio e prese una borsa da medico.
“A tuo rischio e pericolo.” E tornarono in salotto dalla madre.

“Dov’è?” chiese Pansy alla madre.
“A casa. L’ha portato
Okklely poco tempo fa. Lui… Devi vederlo” disse la strega, scuotendo la testa.
La ragazza annuì. “Andiamo”.
Sua madre guardò i suoi vestiti. Ma non disse niente. Per comodità aveva infilato un paio di jeans e un maglioncino. Ma sapeva che neanche se avesse messo un vestito d’alta moda sarebbe andato bene comunque.
“Lui viene con noi?” Sua madre squadrò Blaise come se fosse stato un Doxy su una tenda ammuffita.
“Sì, mamma”. Sentì la mano del ragazzo posarsi sulla sua spalla.
“Non vi darò fastidio. E non dirò niente a nessuno.”
Pansy prese la borsa.
“Oh, non preoccuparti. Mia madre pensa che tu sia una persona molto discreta.

Blaise non capì bene cosa intendesse Pansy, ma sembrava un’altra frecciatina per sua madre, che fece un’altra smorfia, così stette zitto.
Lei lo prese a braccetto e tutti e tre si materializzarono a casa dei genitori di Pansy. Nell’ingresso, iniziarono a salire la scala. Quando entrarono nella camera dei genitori di Pansy, suo padre giaceva a letto, incosciente. Il suo viso e una gamba, le uniche parti non coperte dal lenzuolo, erano rosse come il fuoco e coperte di pustole giallognole. Era veramente impressionante.
“Merlino!” Sentì esclamare Pansy alla sua destra. 
Pansy guardò il padre con occhi sbarrati e poi si voltò verso la madre e Blaise.
“Andate fuori. Mamma, papà ha avuto contatti con qualcuno da quando è tornato?” Sua madre scosse la testa. “Dov’era quando Okklely l’ha portato a casa? Dove ha preso la Spruzzolosi?” Spruzzolosi? Blaise fece un passo indietro senza rendersene conto. Lei gli appoggiò una mano sul petto e lo spinse appena.
“Andate fuori” ripeté. La madre uscì dicendo che avrebbe chiamato l’elfo.

Pansy si avvicinò al padre, ma non troppo. Tirò fuori la bacchetta.
“Papà. Mi senti?” L’uomo girò la testa verso di lei. Sorrise.
“Pansy, bambina mia” Oh, parlava. Era una buona cosa. E l’aveva riconosciuta. Anche quella era una cosa buona.
“Ti faccio un incantesimo, ok? Potresti sentire un po’ di fastidio.”
Suo padre la guardava sorridendo. Pensò che non avesse sentito niente di quello che aveva detto. Mosse la bacchetta e una luce blu uscì dalla punta. Suo padre si agitò appena quando l’incantesimo lo colpì. Guardò l’orologio. Doveva aspettare sette minuti e ventiquattro secondi. Poi avrebbe dovuto rifarlo. Tre volte.

Blaise seguì Lilian fino a un salottino vicino alla camera quando lei gli fece cenno di seguirlo. Doveva essere un salottino privato.
Vide delle cornici con delle foto, sul tavolino vicino a dove si era seduta: Pansy, da piccola. In una aveva un tutù di tulle e faceva qualche passo di danza. Con una faccia da prigioniero di Azkaban.
“È sicura? Posso aspettare fuori.”
La strega lo guardò con un’occhiataccia tale che se Blaise non fosse stato abituato con sua madre, avrebbe balbettato qualche scusa.
“Vieni dentro” gli ordinò. La madre di Pansy chiamò l’elfo e gli disse di portare il tè. Il tè? Ma cosa…
Quando l’elfo portò il tè, dopo neanche due minuti, Lilian gli disse che Pansy era nella camera del padre e voleva fargli qualche domanda. Lui annuì e si smaterializzò.
La donna versò il tè per Blaise e gli allungò la tazzina. Quando la prese, però, lei non la lasciò. Così fu obbligato ad alzare gli occhi dalla tazza per guardarla.
“Che intenzioni hai con mia figlia?” chiese e finalmente lasciò andare il piattino. OK. Ora avrebbe voluto essere andato a casa. Mescolò lo zucchero nella tazzina lentamente e guardò il liquido scurirsi. Quando capì che non avrebbe risposto, continuò.
“Sai dov’era mio marito quando l’elfo lo ha portato a casa?” Lui alzò lo sguardo sulla donna. Lei lo sapeva? “Era in un bordello” Oh, Merlino! “Lei…”, indicò con la testa la direzione della camera dove avevano lasciato Pansy “vorrà andare a visitare quelle persone. Vorrà guarire anche loro…” Sospirò ancora. “Puoi accompagnarla? Anche se dirà che non c’è bisogno? Lei non sa come sono quei posti…” La donna venne scossa da un brivido.
Blaise annuì. “Accompagnerò Pansy ovunque voglia andare. A lei piace curare le persone. E le riesce molto bene”. Annuì anche la strega.
“Lo so. È molto brava nel suo lavoro.”
Era strano sentirlo dire da quella donna. “Però a lei non piace?” Lilian lo guardò, poi prese un sorso di tè e rimise giù la tazza.
“Pansy è troppo buona. E pensa che le altre persone siano tutte come lei. Rimarrà fregata. Come la storia al lavoro. Non è stata colpa sua, sai?” Lui annuì senza dire niente.
“Se non riesco a trovare qualcuno che le stia vicino e se ne prenda cura, ho paura che possa finire male. Lei dice che ho tentato di farla fidanzare con chiunque, ma non è vero. Ho scandagliato ogni persona che le ho proposto. Erano tutte a posto. Tutte brave persone. Che l’avrebbero trattata bene…”
“Ma lei ha detto di no.”
“Già. È stata molto testarda.”
La donna sorrise, come se la cosa la riempisse di orgoglio. Non capiva ancora, però. “Pansy è molto forte. E molto in gamba. Nessuno deve prendersi cura di lei. Perché lei è capace di farlo da sola. Anche se immagino che quando vorrà, lei lo permetterà alla persona che sarà al suo fianco. Ma non ha bisogno di nessuno. E questo le porta una grande libertà: poter scegliere. Lo faccia fare a lei. E gliene sarà grata” disse, prima di prendere la tazza con disinvoltura. La strega alzò un sopracciglio e finì il tè. “Ha scandagliato anche me?”
“Già. Ma quando le ho detto di essere andata da tua madre, non ha dato in escandescenza come le altre volte.”
“No?” chiese, curioso, prima di rendersene conto. Lilian lo notò.
“Prima mi ha contraddetto due volte per te”. Sorrise anche lui. Era vero. Ma per chi lo aveva fatto?
“Così ha detto che mi avrebbe preso in considerazione?” Sperò di non sembrare un bambino che prega per una scopa nuova. Lilian alzò un sopracciglio.
“Assolutamente no. Non direbbe mai una cosa del genere. Non a me. E non le è piaciuto quando le ho parlato del tuo miglior pregio.”
Che sarebbe? “Quale?” chiese un po’ sostenuto.
“Che quando l’avresti tradita, l’avresti fatto con discrezione.”
O Per Salazar! Ma lui…
“Non ho intenzione di tradirla!” esclamò, forse con un tono troppo alto. Lei sorrise ancora, ma non disse niente. Blaise finì il tè e si alzò. Sbagliava o era appena stato sottoposto ad un esame? Mmm… Forse poteva rischiare di prendersi la Spruzzolosi.
“Per quel che vale, mi fa piacere, quello che hai detto. Potrei fare il tifo per te.”
Si meravigliò quando vide l’occhio destro della donna chiudersi e riaprirsi in un segno d’intesa.

***

Pansy vide Blaise in corridoio. No, non lo vide perché ci sbatté contro. “Ohi. Tutto bene?” le chiese lui reggendola per le spalle.
“Un postribolo! Sai dov’era mio padre? In un
postribolo! Gli ho detto che se lo avessi saputo prima non lo avrei curato!” Era un po’ agitata. Ma lui non era sorpreso. Ma… lo sapeva già?
“Lo sapevi già?” Lui annuì.
“Me l’ha detto tua madre.”
Oh, avevano parlato. E cosa si erano detti? Il panico le invase la mente. Merlino, non gli aveva detto che aveva proposto un fidanzamento alla sua, di madre, vero? VERO?
“Di cosa avete parlato?”
“Di te” rispose.Per Salazar! “Cosa vuoi fare, adesso?” Pansy si passò una mano fra capelli. Sospirò.
“Pensavo di farmi portare da Okklely dove ha recuperato mio padre. Sai, la Spruzzolosi è molto contagiosa, vorrei fermare…” Lui annuì. Sapeva anche quello?
“Vengo con te?”
A fare cosa? “Perché?”
Lui alzò le spalle. “Farti compagnia?”
Pansy alzò un sopracciglio. “Te l’ha chiesto mia mamma?” Il ragazzo annuì sorridendo.
“È preoccupata per te.”
Oh, Santo Merlino! “E cosa le hai risposto tu? Che mi avresti convinto?”
“No. Le ho detto che sarei venuto con te, se tu avessi voluto.”
“E se ti dicessi che voglio andare da sola? Cosa farai?”
Lui sorrise e indicò con il pollice dietro di sé. “Tua madre mi ha invitato a giocare a carte e ha parlato di foto d’infanzia. Ne ho vista una con il tutù…” Oh no!

Blaise rise quando Pansy sbarrò gli occhi. Era convinto di aver usato le parole giuste. “Ok, puoi venire con me. Ma se una di quelle ti riconosce, con me hai chiuso!”
Questa volta spalancò gli occhi lui. Come? Cosa pensava? Si grattò la nuca.
“Io non ho mai…”
“Ti conviene.”
Lei fu un po’ brusca. Ehi, calma. “Aspetta. Ma cosa credi, che io…” Ma lei non lo lasciò finire ancora.
“So che ne hai avute tante. Tante donne. Ma guai a te se mi…” La sua voce si incrinò leggermente, ma senza spegnersi.
“Ehi!” La prese per le spalle per calmarla e l’abbracciò stretta quando vide che aveva gli occhi lucidi.
Poi sussurrò: “Non so perché hai questa opinione di me. Penso dovrebbe lusingarmi. Ma non gioco nei Ballycastle Bats e non è che le donne si azzuffino per me. Io non ti tradirò. Ok?” Lei annuì, la sentì muovere la testa contro il suo petto. Doveva essere quello, che la preoccupava. Ma che sciocchezza.!
“Io mi azzufferei per te” disse lei, dopo un po’.
Lui sorrise e le accarezzò una guancia con il dorso delle dita. Come si faceva a non amare una persona così?

***

Pansy era stata in quel bordello e aveva fatto gli incantesimi anticontagio alle tre persone che avevano avuto contatti con suo padre: la prostituta, la direttrice e il buttafuori che aveva chiamato l’elfo. Era stata una cosa veloce, per fortuna. Era tornata dai suoi e aveva incantato anche Okklely.
Poi era passata dal padre, gli aveva fatto una ramanzina così pesante che sperò che lui si fosse vergognato abbastanza da non finire ancora in un posto così. E magari non avrebbe più tradito sua mamma. Ma non poteva esserne sicura.
Dopo era tornata da sua madre e questa l’aveva ringraziata e le aveva fatto i complimenti per il suo lavoro. Era stato così strano.
“Potreste venire a cena, una sera di queste, cosa dici?” le aveva detto prima che si smaterializzassero per andarsene. Anche quello era stato strano.
“Solo noi? Nessuno dei tuoi amici?” aveva chiesto Pansy, per essere sicura. Sua madre aveva annuito e si era voltata verso Blaise.
“Mi ha fatto piacere conoscerti, Blaise. Sei uguale a come raccontava Pansy durante le vacanze di Natale del quinto anno.”
Merlino! Pansy aveva spalancato la bocca. Sua madre si ricordava? Era arrossita e si era girata verso Blaise. Lui aveva ammicato.
“È stato un piacere anche per me, signora.”
Aveva stretto la mano della strega e poi si era rivolto direttamente alla ragazza: “Andiamo a letto? Ho ancora un’oretta prima di alzarmi per andare a lavorare”. Pansy aveva annuito, ma aveva evitato di guardare sua madre.
Così non aveva visto il suo sorriso.

***

Blaise entrò al Ministero dopo essere passato dalla Gringott. Aveva dovuto sistemare due o tre cose prima di lasciare il posto al nuovo direttore. Si diresse al secondo livello, per andare direttamente nell’ufficio di Shacklebolt, quando si sentì chiamare: “Zabini!”
Si voltò: Potter reggeva un caffè in un bicchiere di plastica ed era appoggiato allo stipite della porta del cucinino. Si avvicinò, curioso che l’avesse chiamato.
“Potter, come stai?” Gli strinse la mano.
“Bene. Cosa fai qui?”
Alzò le spalle. “Pensavo di andare a parlare con Shacklebolt. Sai, per il mio prossimo incarico…” Potter si tirò su dal suo appoggio e fece girare il liquido nel bicchiere.
“Potresti valutare l’idea di restare a Londra. Ci servirebbe gente come te. Ma immagino che tu voglia avere a che fare con missioni più… stimolanti.”
Blaise lo guardò meglio: il salvatore del mondo magico gli stava proponendo di lavorare per lui? Era a capo degli Auror. Avrebbe potuto fare l’Auror a Londra? Da quello che aveva detto, sembrava quasi che Potter pensasse che gli piacesse stare così lontano dalla capitale per l’adrenalina delle missioni. Oh, se avesse saputo perché si era sempre tenuto alla larga da Londra! Sorrise.
“Potrei pensarci. Grazie”. Vide il ministro uscire dal suo ufficio e fece per raggiungerlo.
“Ah, un’altra cosa, Zabini…” Potter si portò una mano alla nuca. Sembrava… nervoso?
“Sì?”
“Mia moglie dice di invitarti a cena da noi, giovedì…”
Blaise rise. “Va bene. Ma Pansy ha già accettato?”
Potter lo guardò curioso. Gli ricordava un po’ lo studente di Hogwarts, quello che nei sotterranei definivano non tanto sveglio.
“Sai che ha invitato anche lei? Ma cosa è successo mentre dormivo?” Sospirò, senza aspettarsi veramente una risposta. “Comunque vieni. Non farmi litigare con mia moglie. È così carina con me adesso che sono tornato a casa!”
E sorrise salutandolo con la mano e camminando all’indietro per tornare al suo livello.
Blaise entrò nell’ufficio del Ministro.
“Zabini, entra. Ho un po’ di novità per te.”

***

Pansy chiuse la borsa e si sedette sul letto del padre. Sembrava così vecchio, lì seduto contro la spalliera.
“Pensavo, papà, di affidarti a un mio collega: il medimago Philip Grey” Iniziò il suo discorso. Era meglio se qualcun altro seguisse suo padre. Lei avrebbe preferito non sapere in quali posti andava e da quale di quel genere di malattie doveva curarlo. Lui annuì. Anche per lui sarebbe stato più semplice parlare con un altro dottore.
“Grazie.”
“Ti voglio bene, papà” gli disse, forse per la prima volta, abbracciandolo. Lui ricambiò forte la stretta.
“Anch’io te ne voglio. Anche se non te l’ho mai detto.”
Le fece piacere saperlo. Il viso di suo padre era triste e pallido. Così gli disse sottovoce, mentre gli prendeva la mano: “Ma io lo sapevo”, e lui sorrise. Si alzò per uscire dalla stanza.
“Tua madre dice che ci presenterai un ragazzo a cena, una di queste sere…” Oh, papà. Ancora con la storia dello sposarsi? Suo padre dovette notare la sua espressione e si sforzò. “O forse ha detto che verrai a cena con un amico dei tempi di Hogwarts? Un ragazzo che è solo un amico? Forse…” Tornò a sedersi sul letto.
“Sai, papà. Blaise, il ragazzo di cui ti ha parlato la mamma, veniva a scuola con me. È un bravo ragazzo e mi piace da tanto tempo. Se mi prometti di tenere a freno la mamma, ci farò un pensierino…” E ammiccò. Suo padre rise, e poi tornò serio.
“Ma si prenderà cura di te?”
“Lo fa già, papà.”
Lui annuì. Gli bastava quello.
Uscì dalla stanza e si scontrò con la madre in corridoio. “Mamma!”
“Come sta?” chiese lei senza dirle niente per aver urlato.
“Bene. È solo stanco”. La donna annuì osservando la porta chiusa. “Dovreste parlare”.
“Lo abbiamo fatto. E lo faremo ancora.”
“Dovresti dirglielo. Che ti dà fastidio quando…” Sua madre scosse la mano per liquidarla. Ok. “Però dovresti. E potresti anche parlargli di divorzio. Non è un crimine, sai?”
“Abbiamo parlato anche di quello.”
Oh. Beh… Ora dovevano vedersela loro. Annuì.
“Fammi sapere per quella cena” disse e si smaterializzò.

***

Pansy addentò un pezzo di pizza. Sublime. Fantastica. Adorava i babbani e la loro pizza.
Blaise si sedette a fianco a lei. Appoggiò due birre sul tavolino davanti al divano e prese un pezzo di pizza anche lui.
“Ho visto Theo, oggi pomeriggio.”
Lui grugnì un po’. Pansy sorrise. “E come sta?”
“Ho conosciuto Amelia” rispose e Blaise la guardò come se non capisse il collegamento. “Amelia. La ragazza di cui è innamorato Theo. Quella che non sapeva che fosse…”
“Ah. Amelia!” esclamò lui, interrompendola. Lei sbuffò ma Blaise rise.
“E com’è?”
“Carina. E molto spaventata. Spero di averla fatta sentire a suo agio…” Lui annuì. “Potremmo uscire insieme, una sera, che dici?” Annuì ancora.
“Ma dovranno mettersi in coda. Potter ci ha invitato a casa sua per giovedì sera.” Oh, era vero.
“Sì, è vero. E anche mia madre ci ha invitato.”
Lui prese la bottiglia di birra e prese un lungo sorso. “Ma ha invitato anche me? Sei sicura?” Alzò le spalle, prendendo anche lei la bottiglia.
“Mio padre si dice entusiasta di conoscerti.”
“Davvero?” Alzò un sopracciglio. Pansy rise.

Quando lei rise, Blaise non seppe bene come interpretare la cosa. Lo stava prendendo in giro o diceva sul serio? Si sentì picchiare sul vetro della finestra. Riconobbe il gufo di suo madre. Sua madre?
Pansy si girò verso la finestra e l’aprì con la bacchetta.
“Non lo conosco” dichiarò, guardandolo.
“È mia madre”. La sua bocca rimase aperta.
Aspettò che il gufo gli lasciasse la busta e sentì la ragazza dire: “Accio”.
Una scatola di biscotti per gufi fu nelle sue mani. Ne allungò uno al gufo e lui strofinò il capo sulla sua mano.
“Come sei carino” disse, coccolandolo.
“Aspetta una risposta?” gli chiese, mentre leggeva.
“Non penso. Ma sembra che tua madre sia andata a trovarla, oggi pomeriggio e…”
“NO! NO! Le avevo detto che non…” Si allungò a prendere la pergamena dalle mani del ragazzo ma lui fu più abile e la spostò in alto, fuori dalla sua portata.
Pansy si sporse su di lui e Blaise spostò ancora il braccio finché lei non gli cadde addosso. Le posò l’altra mano sulla schiena e la strinse contro di sé, rubandole un bacio.
“Non hanno parlato di fidanzamenti, questa volta” la tranquillizzò. Sentì la ragazza calmarsi e rilassarsi contro di lui. La baciò ancora.
“Ma le ha detto che andremo a cena a casa sua e mia madre adesso vuole che andiamo anche da lei. Sembra che vogliano metter su una gara a chi ci sponsorizza di più”
“Ma… I tuoi non vanno in viaggio di nozze?”
“Partiranno sabato.”
Non le disse che in teoria sua madre aveva scelto quella data per stare con lui il più possibile, prima che fosse ripartito per il viaggio successivo, prima di sapere che sarebbe rimasto a Londra. Non lo aveva ancora detto a nessuno.

“Sabato” ripeté lei.
Partiva sabato perché era il giorno in cui sarebbe partito anche Blaise. L’aveva sentito dire dalla Potter. La madre di Blaise glielo aveva detto mentre loro rivivevano il ricordo.
Annuì e tornò al posto occupato prima. Prese un altro pezzo di pizza e lo piegò.
Quanti giorni mancavano a sabato? Troppo pochi. Merlino. L’aveva appena ritrovato e stava per perderlo di nuovo.
“Sabato inizia il tuo nuovo lavoro?” chiese, ma non alzò lo sguardo su di lui.
“Il mio nuovo lavoro è iniziato oggi.”
“Oggi?” Dovette guardarlo per forza.
“Sì. Sono stato da Shacklebolt. Mi ha proposto di…”
“E quando parti?”
Quanti giorni aveva per stare con lui? Non riusciva a pensare a nient’altro.

Blaise si fermò mentre stava prendendo la pizza. La sua domanda sembrava disperata.
“Io… Non parto. Resto qui.”
Ebbe quasi timore di dirglielo. Era una cosa che andava bene, no? Lui rimaneva a Londra. Era una bella cosa.
“Resti qui?” La sua voce sembrava incredula. Non capì bene.
“Non sei contenta?” domandò un po’ confuso. Per lui era una bella notizia.
“Perché resti qui?” chiese ancora lei. Ohhh. Ahhh. Definirlo era un po’ difficile. Si passò una mano fra i capelli. “Non voglio che rimani a Londra per me.”
“No?” Si sentiva un po’ stupido.
“Non devi cambiare la tua vita. Non per me.”
“Ho passato la mia vita adulta lontano da Londra per colpa tua, quindi penso proprio di poter rimanere qui, adesso.”
La sua faccia era incredula. Pansy sorrise senza rendersene conto. E poi ghignò. “Non è vero!” COSA? Certo che era vero! “Non sei adulto!” Pansy rise ancora.
Blaise si allungò a farle il solletico. Pansy si attorcigliò su se stessa, esclamando qualcosa, mentre rideva. La prese per la vita e la imprigionò sul divano. Lentamente smise di ridere. E lo guardò.
I suoi occhi erano bellissimi. Perché non glielo aveva mai detto? Lei sospirò e gli portò le mani sulle spalle.
“Ti va di fare sul serio con me?” La ragazza annuì. Si chinò su di lei e la baciò. Un bacio leggero e timido. Ma a Pansy non bastò. Aprì la bocca e gli mordicchiò il labbro, dopo averlo bagnato con la lingua. Blaise glielo lasciò fare, mentre riordinava i pensieri. Poi le accarezzò la testa, mentre giocava con i suoi capelli.
“C’è una cosa che devi sapere di me, prima…” La ragazza lo guardò, incuriosita dalle sue parole.
“Dimmi.”
“Ti amo da quando eravamo a Hogwarts.”
Pansy si alzò appena e i loro petti si sfiorarono.
“Lo so. Ti amo anch’io dal quinto anno.”
Sorrise e le loro labbra si incontrarono di nuovo.

FINE

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