Pansy & Blaise di ONLYKORINE (/viewuser.php?uid=1040879)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il ritorno di Blaise ***
Capitolo 2: *** Il giorno dopo ***
Capitolo 3: *** Venerdì ***
Capitolo 4: *** Il matrimonio ***
Capitolo 5: *** Il ricordo di Ginny Weasley ***
Capitolo 6: *** La dama in giallo ***
Capitolo 7: *** Il finto dottore ***
Capitolo 8: *** Pansy ***
Capitolo 9: *** Fare pace ***
Capitolo 1 *** Il ritorno di Blaise ***
001. il ritorno di Blaise
***
scusate, questa non è una storia nuova, ma una storia che ho
sbagliato a cancellare perché... (non cè una
spiegazione logica, probabilmente ho disturbi mentali...) quindi
scusate se l'avete già letta...
-
I
personaggi della saga di Harry Potter sono di proprietà
dell’autrice JK Rowling
e l’opera, di mia invenzione, è stata scritta
senza scopo di lucro
Il
ritorno di
Blaise
-
-
Draco e Astoria erano veramente
carini
insieme. Pansy sospirò e si sedette al tavolo, vicino a
Theodore Nott.
“A cosa pensi?” Theo beveva vino
bianco da uno dei bicchieri e la guardava di sottecchi. Era il suo
miglior
amico. L’unico che riuscisse a leggerle dentro come nessuno
aveva mai fatto.
“Trovo che siano carini”.
“Non ti dispiace neanche un po’?” Fece
girare il liquido dentro il bicchiere.
“In che senso? Perché si sono
sposati?” Il moro annuì.
Sorrise senza falsità. “No. Lo sai che
Draco non mi interessava veramente neanche a scuola”.
Alzò una spalla e prese
un bicchiere anche lei.
Theo osservò
l’amica. L’aveva
provocata apposta. Sapeva che non le interessava Draco. Sapeva chi le
interessava veramente ai tempi di Hogwarts. Sorrise e
appoggiò il bicchiere. “A
proposito… Guarda chi
c’è…”
La mora alzò gli occhi e sorrise
alzandosi in piedi. “Blaise! Ci sei anche tu! Sei
tornato!” Theo guardò Pansy
abbracciare Blaise con affetto e lui ricambiare la stretta.
Si alzò e salutò l’amico anche lui.
“Cosa fai al tavolo dei single? Non avevi nessuna donzella
disposta ad accompagnarti?”
gli chiese, stringendogli la mano e posando l’altra sulla sua
spalla.
Blaise sorrise e alzò le spalle. “I
matrimoni sono i posti migliori per rimorchiare”.
Già. Si sedettero tutti e
tre.
Vide Pansy sbuffare sorridendo e
girarsi verso gli sposi.
Pansy guardò verso la
famiglia della
sposa. Daphne, come sorella di Astoria, non sedeva al tavolo con loro,
ma con i
suoi genitori. La sua migliore amica dai tempi di Hogwarts era incinta
di quasi
otto mesi e suo marito, Steve, le teneva una mano sulla schiena, mentre
la
ragazza guardava verso il loro tavolo. Non riuscì a capire
il suo sguardo.
Da quando Daphne si era sposata, il
loro rapporto era cambiato. Le loro uscite si erano diradate e quando
andava a
casa sua, spesso si sentiva a disagio. Senza contare il fatto che lei
tentasse
in tutti i modi di accasarla con qualche amico di suo marito.
Pansy non voleva sposarsi. L’aveva
detto anche ai suoi genitori. Non voleva un matrimonio di convenienza.
Piuttosto,
da sola. Aveva il suo lavoro e per ora le bastava. Guardò la
mano di Steve
accarezzare il pancione di Daphne.
Per, forse, quello, un po’ lo
desiderava. Bambini. Sì, desiderava avere dei bambini. E un
uomo che l’amasse.
Non che amasse il suo patrimonio, il suo casato o il suo stato di
sangue. Che
amasse lei.
Sospirò e si voltò verso i ragazzi.
Blaise la stava guardando. Gli sorrise e alzò il bicchiere
per un brindisi
nella sua direzione. Lui rispose alla stessa maniera e bevette. Per
fortuna ci
pensò Theo a tenere in vita la conversazione.
Blaise osservò Pansy
guardare la sala.
Sembrava triste. O forse era solo pensierosa. Non la vedeva da un sacco
di
tempo. Forse tre anni. E l’ultima volta si erano visti di
sfuggita. Merlino,
era sempre più bella. Quando si era alzata per abbracciarlo
aveva visto il suo
corpo snello fasciato in quel bellissimo vestito verde, che le metteva
in
risalto gli occhi, e aveva sentito il suo profumo di limone e menta
quando si
era stretta a lui. Aveva dovuto raccogliere tutta la forza che sentiva
dentro
per non stringerla troppo e portarla via. Per una volta, avrebbero
potuto
passare insieme del tempo senza complicazioni.
Vide Daphne avvicinarsi al loro
tavolo. Oh, oh. Forse no, qualche complicazione ci sarebbe stata.
“Ragazzi!
Scusate se non sono passata prima, ma sapete, con tutte le cose che
c’erano da
sistemare… E poi questa…” disse,
accarezzandosi la pancia e sorridendo a Pansy.
Merlino, se era tonda! Sembrava che
stesse per scoppiare da un momento all’altro. Pansy si
alzò e le disse di non
preoccuparsi, prima di abbracciarla.
Poi Daphne si voltò verso Theo e, alla
fine, verso di lui. Lo guardò con un’occhiata
strana. Disse qualcosa ma Blaise
non sentì. Pansy si avvicinò all’amico
e disse: “Theo, andiamo a salutare gli
sposi, che non l’abbiamo ancora fatto”.
Blaise capì che voleva lasciarli da
soli. Lui seguì i ragazzi con lo sguardo e poi lo
riportò sulla bionda.
“Come stai, Daphne?” Non si avvicinò.
“Sto bene. Non ce l’ho più con te, se
è questo che intendi. Sono passati dieci anni, e poi non ti
sei quasi fatto più
vedere. Sarei un’oca se fossi ancora arrabbiata con
te.” La vide lanciare
un’occhiata al marito e lui osservarla.
Annuì. “Lo sai che mi è
dispiaciuto…”
Annuì anche lei. “Sì, l’ho
capito.
Dopo, ma l’ho capito. Ma adesso…” Si
voltò verso Pansy e Theo, lasciando la
frase in sospeso. Si voltò anche lui. Il moro teneva la mano
sulla vita della
ragazza in un atteggiamento molto intimo. Troppo, per i suoi gusti.
“Lei è
quasi fidanzata. E tu non sei capace di
tenerti una ragazza per più di una settimana. Le rovineresti
la vita. Non fare
sciocchezze.”
Blaise sbatté gli occhi. Lo aveva
detto davvero? Aveva capito che lui ancora… E poi,
cos’altro aveva detto?
Pansy… Fidanzata? “Perché è
al tavolo dei single se è fidanzata?”
“Questo non è il tavolo dei single.
Anche se Theo continua a fare battutine. E comunque il fidanzamento non
è
ancora ufficiale.”
Annuì senza dire niente. Lei non lo
aveva detto. Stava con Theo? O con chi? Aveva letto qualche notizia,
sul suo
lavoro o sulla famiglia, ma del fidanzamento non aveva sentito niente.
Altrimenti sarebbe venuto con una ragazza. Una qualsiasi.
Aveva pensato che sarebbe stato carino
parlarle e chiederle di uscire insieme, adesso che lui era di nuovo a
Londra. E
che Draco si era sposato. Anche se era difficile. Anche se la scuola
era finita
da un bel po’.
Ma questo cambiava tutto. Sospirò
quando Daphne se ne andò dopo averlo salutato con un bacio
sulla guancia.
Guardò verso gli sposi e vide che si erano aperte le danze.
Alcuni elfi
iniziarono a portare da mangiare, ma quasi nessuno era seduto. Si
alzò e decise
di andare a salutare gli sposi anche lui. In fin dei conti, era grazie
a loro
se era lì.
Pansy baciò e
abbracciò Astoria. Aveva
detto la verità. Era contenta che si fossero sposati. Sapeva
che era un
matrimonio d’amore e non di convenienza e questo la fece
sorridere senza che se
ne accorgesse. Prima di salutare anche Draco si trovò vicino
Theo. Lui c’era
sempre. Ma adesso era troppo vicino. Quando le posò la mano
sul fianco e la
fece scendere più giù, sbuffò.
“Smettila, Theo”. Gli spostò la mano.
Lui ghignò strafottente. “Dai, se
facciamo finta, c’è più
possibilità di rimorchiare!” Ma i ragazzi
pensavano
solo a quello?
Sbuffò ancora e si avvicinò a lui per
sussurrare: “Non vuoi rimorchiare. Lo sai
benissimo”.
Il moro cambiò espressione per pochi
secondi e poi tornò a ghignare. “Io parlavo di te.
Dovresti farti sbattere un
po’…”
“Theo!” gridò sottovoce,
scandalizzata.
Lui rise, beffardo e si allontanò
dicendo ad alta voce: “Però ti farebbe
bene”.
Theo era innamorato di una ragazza
babbana, ma lei non sapeva che lui fosse un mago. E lui non sapeva come
gestire
la cosa. Lei non avrebbe accettato lui e quello che rimaneva della
famiglia del
ragazzo non avrebbe mai accettato lei.
Lo guardò per un po’, poi si voltò per
andare a salutare anche Draco. Quando lo baciò sulle guance
facendogli le sue
congratulazioni, la band che intratteneva gli ospiti iniziò
a suonare un brano
movimentato. Rimase imbambolata e, per un attimo, spaesata ma poi Draco
le
prese la mano e la fece ballare. Si guardò intorno e vide
Astoria ballare con
uno degli altri ragazzi e non si preoccupò.
Dopo due brani, la band cambiò ritmo e
suonò un lento. Oh, no. Un lento no. Draco fece il gesto di
prenderla fra le
braccia, ma lei scosse la testa e, indicando Astoria con il capo, gli
disse:
“Balla con la tua sposa”, e lo spinse delicatamente
verso la moglie.
Li osservò mentre si allacciavano e
iniziavano la danza. Fece due passi indietro e si scontrò
con Blaise.
Non c’era
un’occasione migliore di
quella. Sembrava un caso. Quando lei indietreggiò, Blaise
fece qualche passo
avanti e lasciò che lei gli finisse addosso.
“Attenta” sussurrò vicino al suo
orecchio. Le mise una mano sul ventre, come per proteggerla ma
solamente per
godersi quel contatto, Pansy si voltò, rossa in viso,
scusandosi e lui sorrise
scuotendo il capo. Spostò
la mano al
centro della sua schiena e disse: “Balliamo”,
prendendole la mano.
Non glielo chiese. Aveva paura che
dicesse di no. Così lo disse e basta, trascinandola al
centro della pista. Lei
non poté negarsi. Gli mise la mano libera sulla spalla e si
avvicinò. Valeva la
pena essere venuto al matrimonio solo per questo.
Quando Blaise l’aveva
abbracciata da
dietro aveva sentito le guance andare a fuoco e un brivido percorrerle
il corpo.
Poi aveva capito che non la stava abbracciando, l’aveva solo
presa per non
farla cadere quando gli era finita addosso. Che sbadata!
Ora stava ballando fra le sue braccia
e si sentiva così bene. Ai tempi di Hogwarts avrebbe dato la
bacchetta per una
cosa del genere. Balle, mica solo al tempo di Hogwarts. Anche adesso.
Si rese
conto di arrossire ancora e cercò di staccarsi da lui.
“Io… vado alla toilette…”
Blaise rimase un attimo stranito
quando lei se ne andò, così poi tornò
al tavolo. Theo lo guardava. “Cosa
c’è?”
“Cosa hai fatto?” Theo lo guardava
molto male.
“Cosa ho fatto?” chiese, non curante.
Merlino, era stato così evidente?
“Qualunque cosa tu abbia in mente,
Blaise, non farla.”
Lo guardò negli occhi. Theo era un
caro ragazzo. Un vero amico. Ma adesso non lo sembrava per niente.
Quando Theo seguì con lo sguardo Pansy
che andava in bagno gli chiese: “Sei tu il suo
fidanzato?”
L’espressione del moro fu impagabile.
Sembrava che avesse ingoiato un pixie. Avrebbe quasi riso.
“Pansy non è
fidanzata”.
“Daphne ha detto di sì.”
Theo fece un’altra faccia strana.
“Daphne?” Poi dovette fare due più due e
chiese sottovoce, avvicinandosi a lui
con il busto: “Ti piace Pansy?”
Blaise non disse niente. Se gli
piaceva Pansy? Magari. Sarebbe stato come avere una cotta. Un
interesse. Un
flirt. E invece lui erano dieci anni che non riusciva a togliersela
dalla testa.
Piace
non
è la definizione giusta, Theo.
Theo sorrise. Ma poi si
rabbuiò.
Merlino! A Blaise piaceva Pansy. E
Daphne
aveva detto a Blaise che Pansy era fidanzata. Doveva averlo fatto
apposta,
visto che non era vero. Ma perché? Possibile che…
“Hai mollato Daphne per Pansy? A
Hogwarts?” Quanti anni prima? Merlino. Blaise lo
guardò senza dire niente.
Cioè, a Blaise piaceva Pansy dal tempo della scuola? Oh, se
si fossero parlati
all’epoca! Si passò una mano fra i capelli e
aprì la bocca per dire qualcosa,
quando sentì la sedia vicino a lui muoversi e parlare.
“Eccomi. Cosa c’è di buono?”
Ah no,
non era la sedia. Era Pansy. La guardò di sottecchi.
Sembrava accaldata. Ma
c’era caldo. La gente che ballava, il vino, il tendone. Ci
stava tutto. Si
riprese quasi subito.
“Niente. Ma il vino è eccezionale”. E
prese il calice guardando Blaise.
Pansy sorrise e prese il suo bicchiere.
“Allora berrò il vino”.
***
Quando, quella sera, si
smaterializzò
a casa, Blaise non era riuscito a parlare con Pansy. Theo non li aveva
più
lasciati da soli. Probabilmente non si fidava di lui. Oppure voleva
provarci
con lei. Non lo aveva capito.
Blaise odiava i matrimoni. Non ci
andava mai. Ma Draco era Draco e, nonostante tutto, era uno dei suoi
migliori
amici. Ed era contento di esserci andato. E vedere Pansy gli aveva
fatto bene.
Imprecò quando vide il gufo della
madre aspettarlo sullo schienale del divano. Gli diede un boccone e
aspettò che
gli lasciasse la pergamena.
Quando la lesse imprecò ancora. Più
volte.
***
Pansy aveva i nervi a fior di
pelle.
Tre giorni prima aveva litigato con suo padre, con sua madre e con
Daphne. Con
Daphne, sì. Daphne, quella che credeva la sua amica, si era
coalizzata con i
suoi genitori e contro di lei e aveva organizzato un fidanzamento con
un tipo
che neanche conosceva. Ma Daphne sosteneva che fosse un tipo a posto,
un bravo
mago, una cara persona e che sarebbe stato perfetto per lei. Non ci
aveva visto
più. Aveva detto a Daphne tante cose, molte delle quali
molto più cattive di
quel che si meritasse e ora era pentita. In fin dei conti era incinta e
non
doveva subire forti emozioni. Ma lei aveva perso la testa e non ci
aveva
pensato.
Ora era difficile chiedere scusa.
Anche perché non voleva cedere. Era la sua vita. Avrebbe
dovuto decidere lei.
Lei avrebbe scelto chi sposare. E il fatto che avesse detto di no a
tutti
quelli che glielo avevano chiesto, non c’entrava per niente
con il ragazzo moro
di cui si era innamorata ai tempi della scuola. Erano passati dieci
anni. E lei
era cresciuta. Però averlo rivisto…
Ma ora aveva altro a cui pensare. Ora
aveva quel guaio al lavoro. Merlino, Merlino, Merlino! Aveva fatto uno
sbaglio
grosso come un Ungaro Spinato. E adesso… Sospirò.
Aveva bisogno di una pausa.
Si guardò intorno nel suo appartamento londinese e decise di
uscire.
Appena materializzata in Diagon Alley
alzò il viso verso il sole. Aveva fatto bene a vestirsi con
cura. Quando andava
al lavoro sembrava sempre vestita come un Elfo domestico, ma a lei
piaceva
davvero vestirsi bene e scegliere gli accessori, quando ne aveva tempo.
E
adesso aveva tempo. Tanto tempo. Almeno che servisse a qualcosa.
Si fece forza ed entrò alla Gringott.
“Cosa vuol dire che non
posso prendere
i MIEI galeoni?” Alla quarta volta che dovette rifare quella
domanda, Pansy
urlò contro la biondina con la gonna corta e la maglietta
striminzita che le
stava davanti. La poveretta era terrorizzata, ma non abbastanza da
permetterle
di prelevare il denaro.
Continuava a guardarla e poi balbettò:
“Suo padre…” Imprecò ad alta
voce. Ora non le interessava più, non attirare
l’attenzione.
Ogni volta che rifiutava un candidato
al matrimonio, suo padre le toglieva la possibilità di
accedere al conto di
famiglia. Ma che diamine! Questa volta non lo avrebbe permesso. Era una
cosa
stupida. Anche lei guadagnava! Era anche suo il denaro! E poi erano
passati tre
giorni, suo padre avrebbe già dovuto averci ripensato, come
le altre volte.
Sbuffò e fece un finto sorriso alla
ragazza (doveva essere uscita da Hogwarts da poco, sembrava molto
più giovane
di lei e, purtroppo, molto più carina).
“Ascolta, dov’è il tuo capo? Il
direttore? Il signor Harris. Dov’è il signor
Harris?” Il direttore sapeva di
questo suo piccolo problema con il
padre
e l’aveva sempre aiutata. Anzi, di solito le andava incontro
prima ancora che
lei passasse dalla seconda porta dell’ingresso.
“Il signor Harris non c’è
più…” Il
sorriso di Pansy si congelò e sparì alla
velocità di una smaterializzazione.
“Come non c’è più?”
Per un attimo si
sentì spaesata. Si passò una mano fra i capelli e
sospirò guardandosi intorno.
Non sarebbe tornata a casa dei suoi a
pregare suo padre di darle i SUOI galeoni. “Lui non lavora
più qui da…”
“Brittany, che succede?
Cos’è tutta
questa confusione?”
Blaise aveva sentito le urla fin dal
suo ufficio. Quel posto era gestito malissimo. E sì che era
la banca più
importante del mondo magico. Sospirò.
Si era alzato dalla scrivania quando
aveva capito che nessuno era in grado di fare il proprio lavoro, ma
quando uscì
dall’ufficio si trovò davanti a un litigio fra due
donne. Merlino, era in grado
di gestire una scaramuccia femminile? E poi, voleva davvero farlo? Non
avrebbe
potuto farlo qualcun altro? No, purtroppo no. Era lì per
sistemare tutti quei
problemi.
La ragazza che riusciva a vedere in
viso era la cassiera, aveva imparato il suo nome perché lei
glielo aveva
scritto con cuoricini e fiorellini vicino al suo indirizzo in una
miriade di
pergamene profumate che lui trovava sulla scrivania tutti i giorni e
regolarmente faceva sparire con un Evanesco della bacchetta.
L’altra invece non la vedeva in viso e
non capiva chi fosse. Era girata di spalle e si agitava un
po’. Forse una della
contabilità. Non era ancora salito al piano della
contabilità e non conosceva
tutte le impiegate. Pensava che alla contabilità ci fossero
solo folletti.
Beh, era stato un grosso errore. La
ragazza aveva un gran fondoschiena e un vestito corto che lasciava ben
poco da
immaginare di quelle lunghissime gambe. I lunghi capelli scuri sciolti
sulle
spalle gli ricordarono Pansy. Oh, Troll
che non sei altro! Da tre settimane, ossia da quando
l’aveva vista al
matrimonio di Draco, tutto gli ricordava Pansy. Non sarebbe mai
riuscito a non
pensarci. Avrebbe dovuto sistemare velocemente la questione alla
Gringott e
partire di nuovo.
Brittany gli sorrise di quel sorriso
che aveva visto mille volte sul viso di altrettante ragazze e gli
rispose
civettando: “Non si preoccupi, è tutto a posto,
signor..”
“Tutto a posto uno snaso a cavallo!”
Blaise spalancò gli occhi mentre la ragazza che urlava si
girava e si mostrava,
visibilmente arrabbiata. Merlino, era Pansy davvero! Non era una
dipendente. Non
riuscì a non esclamare: “Pansy!”
Lei sorrise, riconoscendolo. Un
sorriso vero. E stanco. Stanchissimo.
“Blaise!” Pansy
era rimasta un po’
sorpresa. Piacevolmente sorpresa. Pensava che lui fosse di nuovo andato
via,
ovunque andasse quando lo sentiva nominare dagli altri ex serpeverde.
Ma quindi era lui il nuovo direttore?
E da quando? “Ma sei tu il nuovo direttore?” E
avrebbe potuto aiutarla, come
faceva il vecchio dipendente?
Lui scosse le spalle senza rispondere
e disse: “Che problema c’è?”
La ragazza bionda che aveva di fianco
tentò ancora di ribadire che non ci fossero problemi al che
lei la incendiò con
uno sguardo.
Si avvicinò al moro e disse “Non è che
puoi aiutarmi? Non vogliono lasciarmi andare alla mia camera
blindata…” Blaise
le fece cenno di seguirlo nell’ufficio.
Pansy si voltò
verso la ragazza bionda e
ghignò. Com’è che l’aveva
chiamata Blaise? Brianna? La salutò con un gesto
affettato. Piccola stronza.
Blaise non riuscì a
nascondere un
sorriso quando Pansy disse: “Ciao Brianna”, in
maniera artificiosa. La seguì
nell’ufficio che occupava, fece sedere Pansy davanti alla
scrivania del vecchio
direttore e le chiese se volesse qualcosa da bere. O che domanda
stupida! Blaise, lei è qui per una
questione di
lavoro, non è venuta a casa tua a trovarti!
Per fortuna lei non si accorse
dell’errore e si sedette scrollando il capo e guardandosi
intorno. “Hai fatto
bene a togliere quei quadri dalle pareti. Quello che c’era
lì era veramente
orribile” disse, sventolando la mano in alto.
Quindi era stata lì altre volte. Forse
più volte. A fare che? Il signor Harris non era la persona
migliore di questo
mondo e aveva lasciato un sacco di casini.
“Cos’è successo?” le chiese,
guardandola. Lei divenne rossa e si fece piccolina, ma poi si
raddrizzò.
“Mio padre ha di nuovo revocato il mio
accesso alla camera blindata…” Come? Blaise
spalancò gli occhi. Cosa voleva
dire? E cosa voleva dire ‘di nuovo’?
“Sì, beh…”
balbettò lei, ora aveva
lasciato vagare lo sguardo per la stanza, come se non riuscisse a
guardarlo in
viso. “Quando litigo con i miei… Mio padre mi
toglie…” Sospirò.
Ma chi è che faceva una cosa del
genere? Suo padre le toglieva l’accesso alla camera con i
galeoni? E perché? Ma
non erano galeoni di Pansy?
“Ho capito. Ma perché non hai una
camera blindata tua? Con il tuo lavoro…”
Capì di aver sbagliato quando la
ragazza lo guardò direttamente negli occhi stringendo i
suoi.
“Cosa sai del mio lavoro?”
Tentennò, ma non troppo. Aveva
imparato quell’arte da un sacco di tempo. Scosse le spalle.
“Non lavori al San
Mungo? Immagino che tu sia stipendiata, no? Perché non hai
una camera tutta
tua? Non avresti bisogno del permesso dei tuoi genitori”, per usare i soldi che ti guadagni.
Lei alzò le spalle e lo guardò
confusa. “Il signor Harris diceva che non avrei potuto avere
una camera tutta
mia. Non è vero?” Come? Quell’idiota di
Harris aveva detto di no? E perché mai?
Se avevi un lavoro, potevi avere una camera. Merlino, anche se non lo
avevi, a
volte!
Poi le chiese: “Capita spesso che tuo
padre decida di toglierti l’ingresso alla camera?”
Lei rise nervosamente e si passò una
mano fra i capelli. “Bo, forse una volta ogni settimana o
ogni due. A volte
non vengo neanche qui e ci pensa mia
madre. È che di solito il giorno dopo gli è
già passata e io neanche me ne
accorgo. Ma stavolta sono passati tre giorni, pensavo
che…”
Prima di impedirsi di parlare le
chiese: “Perché avete litigato?”
Lei alzò le spalle “Solite
cose…”
Ossia? Lui non aveva un padre, non lo
sapeva. Pensò ai padri dei suoi amici. Theo aveva un padre
molto vecchio e
solo, lo vedeva pochissimo da quando era uscito da Azkaban. E Draco,
beh, Draco
litigava con suo padre quando era a Hogwarts per via del signore oscuro
e da
quando era caduto, gli parlava a malapena. Di cosa si litigava nelle
famiglie
normali?
Lui continuò a guardarla e lei si
spazientì. “Ascolta, oggi è il mio
primo giorno libero dopo tre settimane di
lavoro filate. Ho bisogno di rilassarmi in una Spa e di non pensare a
niente,
quindi: Puoi aiutarmi? Se non puoi, va bene uguale e me ne
vado”.
No. Non voleva che se ne andasse. Se
suo padre le inibiva l’ingresso alla camera così
spesso, magari l’avrebbe vista
più volte anche lui.
Harris! Ecco cosa faceva Harris! Le
aveva detto di no per la camera così quando lei non poteva
accedere ai galeoni
andava a cercarlo. Oh. E sì che pensava fosse un idiota. Ma
certo che era un
idiota! Scosse la testa per riordinare i pensieri.
Lei dovette capire male perché tentò
di alzarsi dalla sedia. “No. No, aspetta. Scusa, non sono
bravo a spiegarmi. Intanto,
possiamo fare le pergamene per avere una camera blindata per te. Ti
interessa?”
Se le interessava? Pansy
sospirò.
Certo che le interessava! Non era divertente tutte le volte andare
nell’ufficio
di quel viscido mago a chiedergli di darle i SUOI galeoni.
Annuì. Sperò che non
ci volesse troppo tempo. Voleva davvero andarsi a rilassare. Per
Salazar, se ne
aveva bisogno. Guardò di sottecchi il moro che alzava la
bacchetta facendo
comparire dei moduli di pergamena. Però anche stare un
po’ con lui non le
dispiaceva per niente. Magari avrebbero potuto chiacchierare un
po’.
Blaise le era mancato. Anche se non
erano mai stati amici come con Theo, o se spesso faceva battutine su
lei e
Draco o la prendeva in giro, sapeva che non era cattivo, a Hogwarts.
Cosa
faceva adesso? Si scoprì interessata. Oh
Pansy, ancora questa storia? Sono
passati quasi dieci anni…
Ma avrebbe potuto andare il giorno
dopo alla Spa, non aveva fretta. E no, niente fretta. Una settimana, le
avevano
dato. Una settimana. Vacanza
l’avevano chiamata. Sospirò. Ci mise pochissimo a
compilare quello che doveva e
dopo gli chiese: “Ma quindi non posso avere
niente?”
Lui scosse la testa. “Non oggi”. Oh,
Merlino. Niente Spa.
E cosa avrebbe fatto?
Lei si era rattristata. Era
impossibile vederla in quello stato, per lui. Così disse:
“Però avrei bisogno
anch’io di rilassarmi. Potremmo andare insieme. Penserei io
ai… conti. Che si
fa in una Spa?” Lei lo guardò divertita, ma poi
divenne sospettosa.
“E perché dovresti voler venire con
me?” Lui si rese conto, di nuovo, di essere stato
precipitoso.
“Te l’ho detto, voglio rilassarmi
anch’io”. Alzò le spalle in un gesto
innocuo imparato in più di vent’anni a
contatto con vecchie zie impiccione.
“Ma se non sai neanche cos’è una
Spa!”
Lei non era stupida. Ok, voleva solo passare del tempo con lei.
Merlino,
sarebbe stato con lei anche se avesse dovuto guardarla
mentre… mentre… non gli
venne in mente niente. Ma lo avrebbe fatto. E non lo avrebbe confessato.
Che intenzioni aveva Blaise?
Perché le
aveva proposto di andare insieme in una Spa se non sapeva neanche cosa
fosse?
C’era sotto qualcosa. Si annoiava della vita monotona di
Londra e pensava che
lei fosse una preda facile? Sapeva che rimorchiava ragazze con la
stessa
frequenza con cui sua madre cambiava i fiori in sala da pranzo. Lo
raccontavano
sempre Draco e Daphne quando parlavano di lui. Ma aveva capito male.
“Non verrò a letto con te” mise in
chiaro. Lui rise. Oh. Rideva. Di lei? Avrebbe dovuto stare zitta.
Merlino! Che
cosa stupida aveva detto! Poteva lanciargli un Oblivion? Che figura!
Blaise rise per non rattristarsi.
Ma era
bravo nei bluff. Così disse mentre raccoglieva le pergamene:
“Non te l’ho
chiesto. Però c’è una cosa che potresti
fare per me e saremmo pari”.
Si fermò quando entrò un folletto a
cui diede le pergamene e quando uscì di nuovo dalla stanza
lei chiese: “Ossia?”
Blaise si fermò a guardarla. Lei era
incuriosita, ma non lo chiese ancora. Aspettò. Quando si
agitò un po’ sulla sedia,
ghignò. Una piccola, dolce tortura. “Che fai
sabato?”
Sabato? Che domanda era? Pansy ci
pensò. Di solito il sabato lavorava. Ma ora… cosa
avrebbe fatto? Niente.
Assolutamente niente. Alzò le spalle. Non voleva sembrare
una di quelle ragazze
che non hanno niente da fare. Sperò che lui continuasse.
“Sabato mia madre si sposa”. Oh. La
mamma di Blaise? Era vedova da così tanto tempo…
“Oh!”
“Già”.
Già cosa? In fin dei conti la vita va
avanti, no?
“E quindi?”
Lui scrollò le spalle. “Ci vieni con
me?”
“Dove?”
Blaise un po’ si
spazientì. Ma ci era
o ci faceva? “Al matrimonio!” Lei
spalancò la bocca. Per Salazar se era bella.
“Al matrimonio di tua madre? Con te?”
Lui rimase zitto, aspettando una
risposta. Diamine, perché non ci aveva pensato prima? Era
un’ottima scusa. E
non ci sarebbero stati gli altri. Niente Theo, niente Daphne.
“Perché lo chiedi a me? Non hai una
ragazza da portare?” Una ragazza? Una ragazza di quelle che
frequentava lui al
matrimonio di sua madre? Piuttosto una cruciatus. Alzò un
sopracciglio.
Lei sospirò. “Ok, va bene. Va bene. Ho
capito. Per tua fortuna non ho impegni improrogabili, sabato, quindi
sì. Se mi
porti alla Spa oggi, io ti accompagno al matrimonio di tua
madre”. Lui annuì
sorridendo. “Sorridi perché non hai la
più pallida idea di cosa si faccia in
una Spa…”
Il suo sorriso svanì mentre lei
ridacchiava e si alzava dalla sedia. “E tu hai accettato
perché non conosci mia
madre”.
Lei si fermò e anche il suo sorriso
sparì.
Almeno erano pari. Quando si voltò,
ghignò anche lui.
***
“Allora perché
hai litigato con i
tuoi?” Quella sera, seduti al tavolo di un locale babbano,
dopo aver passato
tutta la giornata in una Spa, Blaise tentò ancora la
domanda.
Erano seduti uno di fronte all’altra,
seduti su due panche ricoperte di stoffa rossa ed erano abbastanza
vicini, per
essere divisi dal tavolo. Gli piaceva quel posto. Era intimo e carino.
Lei gli
aveva detto che ci andava spesso e così si erano fermati
lì per mangiare.
Blaise era affamatissimo. Non avevano
pranzato e in quella stramaledetta Spa gli avevano dato solo tisane e
bevande
calde. Si allungò a prendere i grissini. Alla fine, la Spa
era un posto
noiosissimo, dove le donne si rilassavano, anche se il massaggio che
gli aveva
fatto la ragazza con gli occhiali era stato favoloso.
Per fortuna Pansy aveva insistito,
quando lui aveva detto che non si faceva mettere le mani addosso da
nessuno. Beh,
più che altro lei aveva ridacchiato e fatto doppi sensi, ma
alla fine, gli era
piaciuto. E anche le ore che avevano passato insieme nella vasca
idromassaggio.
Ma il resto… Le luci colorate, i sassi
per terra, il bagno turco… tutte stronzate.
Pansy tornò alla
realtà. Si era
imbambolata nel ricordo di quel pomeriggio.
Ma quanto avevano scherzato nella
vasca idromassaggio? E quante volte aveva desiderato non aver detto
quella
stupida frase, nell’ufficio della Gringott, quando lui le era
vicino? Oh,
Merlino!
Poi Blaise le chiese di nuovo perché
avesse litigato con i suoi. Sospirò.
Beh, avevano condiviso un sacco di
risate e ricordi nella vasca…
“Mmmm…. Se te lo dicessi, dopo dovrei
lanciarti un Avada Kedavra…”
Blaise rise. Per Salazar, quella
ragazza continuava a sorprenderlo. Era divertente e stava
così bene con lei. Ma
poi lei guardò da un’altra parte, come nel suo
ufficio.
“Potrei provare a schivarlo” provò
ancora. Lei sorrise tristemente.
“Dai. È umiliante. Già è
umiliante
venire alla Gringott e scoprire che tuo padre ti ha tolto, di nuovo, il
permesso alla camera di famiglia…”
“Ok”. Le coprì una mano con la sua.
Con piacere scoprì che lei non soltanto aveva avuto un
brivido al contatto, ma
non aveva ritirato la mano. Sorrise.
“Guarda che lo faccio per te. Non mi
sembri agile nello schivare i miei incantesimi!” Santo
Merlino! Lei ghignò
mentre lo guardava di sottecchi. Non riuscì a non ridere
ancora. Pansy tolse la
mano da sotto la sua e lui sentì la sua mancanza, ma poi gli
disse guardando
verso il centro del locale: “Ho rifiutato una proposta di
matrimonio. Lui fa
sempre così, quando rifiuto un fidanzato”.
Come? COME? Sbatté gli occhi.
Pansy non riuscì a
guardarlo mentre
glielo diceva. Era così umiliante. I tuoi genitori tentano
in tutte le maniere
di farti sposare (con chiunque) e tu sei costretta a dire a tutti quei
ragazzi
che non sei interessata.
Lui prese la sua birra, la indicò con
il bicchiere come per un brindisi, e disse: “Hai fatto
bene”. E non le chiese
nient’altro.
Gli sorrise mentre beveva. Poi il suo
sguardo vagò dietro di lui e vide entrare una persona che
conosceva. Merlino!
Si guardò intorno, ma per smaterializzarsi avrebbe dovuto
alzarsi in piedi. E
non doveva scordarsi di essere in un locale babbano.
Quando vide che la ragazza si girò
verso il loro lato del locale, si accucciò e si nascose
sotto il tavolo, prima
che la vedesse.
Quando vide Pansy sparire sotto al
tavolo
strabuzzò gli occhi. “Ma cosa fai?”
“Stai zitto e fai finta di essere da
solo. Ti prego!” Lui non capì niente, ma dopo
pochissimo, una ragazza dai
capelli fulvi passò vicino al loro tavolo e si
fermò quando lo riconobbe.
“Zabini! Sei di nuovo a Londra?” Alzò
lo sguardo sulla rossa e sorrise.
“Weasley. O dovrei dire signora
Potter?” Lei sorrise e annuì, accarezzandosi
inconsapevolmente la pancia.
Doveva essere incinta, ma di poco. Ma cos’era
un’epidemia?
“Già…” Il suo sguardo
però era strano,
aveva gli occhi cerchiati e sembrava sfinita.
Si guardò intorno e poi tornò a
guardare lui. “Non è che… hai visto la
Parkinson? So che di solito viene qui a
cenare…”
Lui scosse la test.a “No, mi spiace”.
Ma la signora Potter guardò il tavolo
e, vedendo i due bicchieri di birra babbana, alzò un
sopracciglio.
“E tu sei qui da solo?”
“Già.”
Lei sospirò. “Sei venuto qui da solo e
bevi da due bicchieri?”
Lui continuò a sorridere. “Il medimago
dice che fa bene idratarsi”
Sentì la mano di Pansy stringergli un
ginocchio, sotto al tavolo. Oh, Merlino. Era bravo a bluffare e
sostenere
conversazioni anche assurde, ma non se lei era così vicino.
O se teneva la sua
mano lì.
Avrebbe potuto far finta che non ci
fosse, se lei non lo avesse toccato. La rossa sospirò.
“Era qui e se n’è andata
quando mi ha visto, vero?” Lui annuì, incapace di
parlare perché la mano di
Pansy strinse ancora di più.
“Ascolta…” La moglie del salvatore del
mondo si sedette al posto di Pansy e lui dovette aprire le gambe quando
sentì
il corpo della ex serpeverde premergli addosso mentre si spostava per
lasciarle
lo spazio sotto il tavolo.
Oh,
Santo Salazar, giuro che non intendevo questo quando avevo desiderato
averla
vicino!
“So che non ne
possiamo parlare fuori
dal San Mungo, ma io ho veramente bisogno di parlarle. Glielo puoi far
sapere? È
una cosa molto importante”
Lui annuì. “Ma perché non le spedisci
un gufo?”
La piccoletta lo guardò un po’ triste.
“Vengono tutti bloccati al San Mungo. Non riesco a spedirle
niente a casa. Non
so il perché. E non voglio passare dal San
Mungo…”
Lui alzò le spalle. “Chiedi a tuo
marito come fare per…” Non riuscì a
finire la frase e si bloccò perché la mano
di Pansy questa volta gli toccava la coscia in tanti colpetti leggeri
ma insistenti
e subito dopo lo strinse forte.
“Forse la vedrò domani. Posso darle il
tuo messaggio“. Sentì la sua voce incrinarsi un
pochino.
Merlino, adesso la sua mano era troppo
vicino al suo inguine!
La rossa lo guardò con uno sguardo
veramente tristissimo, si alzò in piedi e disse:
“Per favore, diglielo davvero”.
Poi si diresse verso l’uscita del locale e lui, attraverso la
vetrina, seguì il
percorso della ragazza fino a una viuzza laterale e la vide
smaterializzarsi.
“È andata via” disse ad alta voce, per
Pansy. Lei aveva ancora la mano sulla sua gamba.
Poco dopo sentì freddo dove prima era
appoggiata la ragazza e la vide sedersi di nuovo sulla panca di fronte
a lui.
Ma cos’era successo? E poi, perché era successo?
Era stata una cosa troppo
seria. Pansy era troppo seria.
Cercò di scherzare, anche se capiva che
era qualcosa di grosso. “La gente qui intorno
penserà che sei andata sotto il
tavolo per farmi un…”
“Blaise!” gridò forte Pansy
interrompendolo, tanto che si girarono almeno tre o quattro persone,
dagli
altri tavoli, verso di loro.
Lui ghignò strafottente. Ma lei non si
scompose. “Se lo avessi fatto davvero, la tua faccia sarebbe
più compiaciuta,
te lo assicuro!” E lo indicò con il dito e con un
sorrisino delizioso sul viso.
Il ghigno di Blaise sparì. Cosa aveva
detto? Oh, Merlino! Quando arrivò da mangiare stette zitto,
incapace di dire
qualsiasi cosa, forse per la prima volta in vita sua.
Quando vide Pansy scolarsi metà della
birra in un solo sorso le chiese, alzando la mano per fare un cenno
alla
cameriera di portare altre birre: “Cos’è
successo con la moglie di Potter?”
Quando Blaise glielo
domandò, non fu
troppo sorpresa, ma fu difficile spiegarlo lo stesso. "Ho ucciso suo
marito".
Il moro iniziò a tossire. Tanto. Lei
strabuzzò gli occhi e si alzò per arrivare
dall’altra parte del tavolo e dargli
delle pacche sulla schiena. Lui si spostò un po’ e
lei si sedette di fianco al
ragazzo.
Quando smise di tossire, gli allungò
la birra che la cameriera aveva portato e sospirò.
“Non davvero”, non ancora
“Tu-sai-chi si rivolterebbe nella
tomba e non te lo perdonerebbe mai!” Ridacchiò per
non piangere.
“Ho fatto un casino, Blaise. Mi sono
messa in un guaio grosso quanto…” Si
guardò intorno ma non le venne in mente
niente.
“Come Hogwarts?” Cercò di farla
sorridere lui.
Lei scosse la testa. “Di più. E non
posso raccontarti niente. Non posso parlarne con nessuno… Il
legalmago me l’ha
proibito. Non posso parlarne neanche con lei…” E
indicò con il capo il posto
dove prima era seduta la rossa. Si allungò a prendere la sua
birra e ne bevve un
lungo sorso.
“Mi hanno sospeso. Per una settimana.
Cioè, l’hanno chiamata
‘vacanza’ però quello che intendevano
era: ‘Hai fatto
uno sbaglio, hai quasi ucciso la persona più importante del
mondo magico e non
vogliamo più saperne di te. Speriamo che tu lo capisca e
decida di lasciare il
lavoro’. E io non so più cosa fare. Ho paura,
Blaise, ho paura a guardare un
paziente e pensare di ucciderlo perché non sono
più in grado di fare il mio
lavoro…”
Blaise non disse niente, ma le prese
ancora la mano e intrecciò le dita con le sue.
Appoggiò la testa sulla sua
spalla e chiuse gli occhi.
Lui odorava di buono. Di casa. Era
così da quando se lo
ricordava. Poi lui disse qualcosa di molto stupido e lei si
girò verso di lui
sorridendo. Dopo dieci minuti rideva come una ragazzina di quindici
anni.
Quando lei finì la terza
birra senza
aver toccato cibo, Blaise capì che avrebbe dovuto portarla
via. Quando si
alzarono e lei barcollò, capì che non sarebbe
riuscita a smaterializzarsi da
sola.
Uscirono dal locale e lei sospirò, prima
di rabbrividire. Aveva addosso solo il vestito che le aveva visto
quella
mattina e lei era troppo scoperta.
Le mise una mano sulle spalle e si
incamminò verso il vicolo dove aveva visto sparire la rossa
un po’ di tempo
prima. “Andiamo a casa mia e poi vai a casa con la
metropolvere, ok?” Lei
ridacchiò e disse di aver bloccato il camino, a casa sua.
Merlino. E ora?
“Da che parte è casa tua?”
“Di là” disse, indicando la fine del
vicolo illuminato da un lampione babbano.
“Lì c’è un muro,
Pansy…” Gli sembrava
di parlare con un bambino.
“Sì, lo so. Ma casa mia è di
là lo
stesso. Oltre il muro”. Un bambino piccolo
“E come fai ad andarci, di solito?”
“Mi smaterializzo.”
“Hai bevuto troppo. Ti romperesti come
la Bones a Hogwarts il sesto anno.”
“Non è vero!” Sbuffò e le
chiese, come
se non l’avesse sentita: “Come fai ad andare a casa
quando prendi una sbronza?”
Lei alzò le spalle. “L’ultima volta mi
ha portato a casa Theo”. Il moro fece stridere i denti. Theo.
Gli era sempre
meno simpatico.
“Ti porta a casa dopo che lo avete
fatto o lo fate direttamente a casa tua?” chiese, prima di
rendersene conto.
Quando Pansy capì quello
che
intendeva, cercò di sottrarsi al suo braccio, arrabbiata.
“Io e Theo siamo solo
amici. E poi se anche fosse… Non sarebbero affari
tuoi!” Cercò ancora di
sottrarsi, ma lui non la lasciò andare.
Sbagliava o lui stava ghignando? “Io
ho un sacco di amiche con cui…”
Pansy gli diede una gomitata nel
costato prima che potesse finire e Blaise si chinò, sorpreso
e dolorante. “Non
siamo tutti come te. E Theo è innamorato di una ragazza e
non la tradirebbe
mai. LUI!”
Ehi, cosa voleva dire?
“Quindi non lo
fate perché lui non vuole?” Si beccò
un’altra gomitata, ma questa volta era
preparato.
“Non lo facciamo perché non ne vale la
pena.”
Lui sorrise, ma lei non lo vide. “Oh.
Sei così disastrosa a letto?”
Gli occhi della ragazza si
spalancarono indignati e Blaise non poté fare a meno di
ridere. “Ma come ti…”
Lei provò a colpirlo ma non ci riuscì.
“Ehi, ferma. Scherzavo, dai! Aspetta.
No!” Quando lei provò ancora a colpirlo fece due
passi avanti, facendola
arretrare, cercando di fermarle le braccia e la spinse contro il muro
che,
secondo lei, li divideva da casa sua.
“Ahi” disse quando si fermò contro i
mattoni. Lui le era vicino. Troppo vicino. Era sempre stato bravo,
sempre. Non
aveva mai azzardato mosse con lei. Non aveva mai fatto niente di
sconveniente. Non
ci aveva mai provato. E non lo avrebbe fatto neanche questa volta.
Abbassò lo
sguardo sulle sue labbra e lei lo guardò da sotto le ciglia.
Poi la sua lingua
saettò fra le labbra e le inumidì. Addio
autocontrollo.
Non capì più niente. Dieci anni che
aspettava. Chinò la testa e posò le labbra sulle
sue. Solo un bacio. Solo uno.
Solo quello. E poi basta, si sarebbe tirato indietro. Subito. Un bacio
leggero.
Solo così.
Ma le labbra della ragazza si
schiusero e lei sospirò sulla sua bocca. Si nutrì
del suo respiro come
dell’ultima cena, le portò una mano dietro la
schiena e se l’avvicinò ancora di
più. Mentre lei si spostava dal muro sospirando
portò le mani al suo viso e lui
la sentì sorridere mentre si accostava a lui.
Quando sentì la sua lingua
accarezzargli le labbra la strinse con possesso e approfondì
il bacio.
Pansy non si rese subito conto di
avere Blaise sulle labbra finché non ci fu un rumore alle
spalle del ragazzo e
lui si staccò da lei per controllare.
Quando si voltò, le tenne una mano sul
fianco in maniera protettiva e la spinse dietro di lui. Subito dopo si
rigirò.
“Andiamo via?” Lei riuscì solo ad
annuire, mentre Blaise la stringeva a sé e girava su se
stesso.
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Capitolo 2 *** Il giorno dopo ***
Il giorno dopo
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Blaise era nervosissimo quella
mattina. Non riusciva a stare fermo. Brittany si affacciò
alla porta
dell’ufficio e sorrise. “Le faccio portare
qualcosa? Un tè? Un caffè?” Lui
scosse la testa. Avrebbe voluto bere un Firewhisky. Doppio. La ragazza
annuì e
fece per andarsene.
“Aspetta. Ehm, Brittany…” Lei si
rigirò verso di lui sorridendo troppo.
“Sì?”
“Tu sai… cosa c’era qui alle
pareti?”
chiese, indicando il muro. Lei seguì la direzione della sua
mano e Blaise poté
vedere la delusione sul suo viso. Oh,
dai, su. Cerca di essere utile, almeno. Lei scosse la testa.
“Forse… dei quadri?” tentò. E va, davvero bravissima. Perché non hai
fatto l’Auror con una mente così geniale?
Pansy aveva detto che c’era un quadro
orribile alla parete. Subito non ci aveva dato peso, ma poi,
pensandoci, si
rese conto che quando lui era arrivato, la parete era spoglia.
“E sai che
quadri c’erano?” Lei scosse il capo.
“Puoi scoprire se le cose che erano in
questo ufficio sono state per caso portate
in una cantina o da qualche altra parte?”
Brittany sorrise e annuì. “Perfetto.
Grazie” la liquidò.
Ma dopo poco lei tornò indietro. “Ho
detto che non ho più bisogno” tentò
ancora di mandarla via.
Lei arrossì e disse: “C’è una
persona
che la cerca”. Lui si raddrizzò. Oh. Pansy? Pansy
era arrivata? Sorrise senza
accorgersene e seguì la bionda fuori dall’ufficio.
Quando si trovò di fronte sua madre,
il suo sorriso svanì e imprecò mentalmente.
***
“Allora, adesso parliamo
di cose serie.”
Althea Zabini, finì di firmare tutte
le pergamene che c’erano sulla scrivania e posò lo
sguardo sul figlio.
Blaise sospirò. Quali sarebbero state
le ‘cose serie’? “Ossia?” La
strega sorrise.
“Con chi vieni sabato?” Sospirò.
Avrebbe dovuto intuire che intendeva il matrimonio. Cosa
c’era di più
importante per quelle matrone dell’alta società?
“Con un’amica”. Il sorriso di sua
madre si piegò in una smorfia. Sapeva che non era la
risposta giusta. Ma era
l’unica che potesse dare, al momento.
“Oh.”
Althea sospirò. Ma
quand’è che suo
figlio avrebbe messo la testa a posto? Forse doveva iniziare a valutare
l’idea di
presentargli qualche ragazza. “Che tipo di amica?”
Doveva assicurarsi che non
si presentasse con una ballerina da locale notturno. Era il suo
matrimonio,
santo Salazar! E ci sarebbero state tutte le sue sorelle e anche buona
parte
delle cognate collezionate dai vari mariti. Non voleva dare spettacolo.
“Un’amica a posto, mamma. Davvero. Non
preoccuparti.”
Lei annuì. Sperò che lo fosse davvero.
Lo guardò in viso. Era bello. Somigliava tutto a suo padre.
Aveva i lineamenti marcati
e i capelli corposi, forse un pochino troppo lunghi, ma capiva come mai
le
streghe cadessero tutte ai suoi piedi. Ora però sarebbe
stato carino se avesse
messo la testa a posto e avesse iniziato a pensare di sposarsi. E
magari anche
smetterla di girovagare di qua e di là e darle dei nipotini.
Aprì la bocca per parlare al figlio
della visita ricevuta quella mattina, quando lui la sorprese e le
chiese:
“Mamma, se fossi stato una strega, mi avresti costretto a
sposare qualcuno
anche se io non fossi stato d’accordo?”
Lei spalancò gli occhi, sorpresa. E fu
contenta di non avergli detto quello che stava pensando prima.
“Se fossi stato
una femmina, avrei voluto quello che voglio adesso che ho te. Vorrei
che fossi
felice. Vorrei tenere in braccio i tuoi bambini e vorrei vederti
accanto a una
persona che ti vuole bene. E vorrei che le volessi bene anche tu.
Perché questa
domanda, Blaise?” Lui scosse le spalle.
“Ho sentito diverse cose, da quando
sono tornato. E so che esistono ancora i matrimoni
combinati.”
“Il mio primo matrimonio
fu combinato
dai miei genitori. Ma non è stato un matrimonio felice. Non
ti obbligherei mai.
Ma magari ti presenterei qualcuno che ritengo adatto e berrei una Felix
Felicis!”
Sua madre ammiccò nella sua direzione e lui si sorprese. Era
la prima volta che
gli parlava così.
Annuì e si alzò per accompagnarla
fuori. “Verrai a cena questa sera?”
Annuì ancora con il capo. “E mi farai
conoscere la tua amica?”
“Non penso. Mi piacerebbe che non
cambiasse idea per sabato”. Sua madre ridacchiò.
“Non sono così cattiva. O Forse
sì?” Uscirono dall’ufficio e davanti a
loro vide Daphne in coda alla cassa,
vicino a una strega che non conosceva.
Sua madre si fermò e sussurrò: “Per
Salazar!”
Il ragazzo si voltò verso di lei e poi
guardò nella direzione del suo sguardo. Che stava
succedendo? Guardava Daphne.
La ragazza si girò, incrociò lo sguardo di Blaise
e spalancò gli occhi per la
sorpresa.
Poi la strega accanto a lei alzò gli
occhi e sorrise a sua madre. Si avvicinò con un gesto
teatrale esclamando:
“Althea, che piacere rivederti. Anche tu qui?” Sua
madre fece un verso strano
con la bocca. Piano. Lo sentì solo lui. Poi sorrise
artificiosamente alla
strega e guardò Daphne mentre si avvicinavano a loro. La
ragazza non sembrava
particolarmente contenta ma, forse per educazione, seguì la
strega docilmente.
Quando si fermarono davanti a loro sua
madre esclamò: “Lilian, cara. È lei tua
figlia Pansy?” Daphne sgranò gli occhi
(probabilmente lo stava facendo anche lui, pensò Blaise) e
si voltò verso la cara Lilian.
“No, Althea”. La strega più
ridacchiò piano. “Lei è Daphne, la
figlia dei Greengrass, ora Daphne Wilkinson.
Anche lei era a Hogwarts con i nostri figli. Daphne, ti presento Althea
Zabini”.
Blaise sentì sua madre sospirare e
guardare la pancia alla ragazza, mentre stringeva la mano di Daphne e
la madre
di Pansy gli rivolgeva un sorriso. “Lei è il nuovo
direttore?”
“Lui è mio figlio Blaise, Lilian.
Blaise, ti presento la signora Parkinson, sua figlia Pansy dovresti
conoscerla
già”. Il sorriso della donna divenne ancora
più ampio. “Oh, è proprio un bel
ragazzo, complimenti Althea!” Daphne sbuffò. Lui
la ignorò.
“Faccio le veci del direttore,
comunque. Aveva bisogno?” La strega sorrise, ma un pochino
meno.
“Sì. Ho una pergamena da consegnare.
Mio marito ha firmato per dei permessi alla camera
blindata…” Lasciò cadere la
frase e sospirò. Lui annuì e prese il documento
controllandolo. Era a posto.
Pansy aveva di nuovo diritto ai suoi galeoni. Le avrebbe subito fatto
spostare
il denaro. Sorrise senza accorgersene.
“Scusate… Ho
bisogno di sedermi…”
Daphne si toccò la pancia e sperò di apparire
stanca quanto doveva.
“Oh, sì certo, cara. Scusami”. Lilian
le indicò una sedia nel locale, mentre la madre di Blaise
scosse la testa.
“Blaise, accompagnala nel tuo ufficio
e falle portare un bicchiere d’acqua.”
“No, io
devo…” Sua madre si voltò
verso di lui con lo stesso sguardo di quando gli aveva beccato i
fumetti spinti
sotto il letto. Sospirò. “Vieni Daphne, ti faccio
portare qualcosa da bere”. Le
indicò l’ufficio e la seguì quando si
incamminò con lentezza e la testa bassa.
Poi lei si voltò e disse alla madre di
Pansy: “Grazie Lilian, penso che tornerò a casa da
Steve, dopo”. L’aveva
liquidata. Blaise sbuffò.
Daphne si andò
lentamente a sedere e
aspettò pazientemente che lui chiudesse la porta.
“Vuoi che ti faccia portare…”
Quando la porta fu chiusa non dovette più fingere per
chiedere a Blaise quello
che voleva e lo interruppe.
“È stata qui?” Lui spalancò
gli occhi.
“Come?”
“Non eri sorpreso dalla storia dei
permessi alla camera. Lo sapevi già”. Lui
annuì. “Pansy è stata qui? E
l’ha
scoperto?” Blaise annuì ancora. Merlino!
Daphne si mordicchiò l’unghia di un
dito. Aveva fatto un casino. Un grosso casino. Stavolta aveva
esagerato. E
aveva perso Pansy. Si era messa dalla parte dei suoi genitori e aveva
provato a
incastrarla in un matrimonio che non voleva. Aveva visto la rabbia e la
delusione negli occhi della sua amica. Si era sentita tradita. E aveva
perfettamente ragione. Solo che non sapeva come rimediare. E ora quella
cosa
che suo padre le aveva tolto l’accesso ai galeoni. Pazzesco.
“Era arrabbiata?”
“Sì.”
“È colpa mia. Sono stata io.”
“C’entri con la storia del
fidanzamento?” Lei alzò lo sguardo sul moro.
Merlino, gli aveva detto anche
quello? Sentì le guance arrossarsi dalla vergogna e
annuì lentamente. Lui si appoggiò
alla scrivania e le chiese: “E perché
l’hai fatto?”
“Io… Non lo
so. Volevo solo che si
sposasse. Come me…” Si toccò la pancia.
Daphne non era cattiva, davvero, lo
vedeva. Ma gli sembrava un po’ stupida. E aveva detto anche a
lui che Pansy si
sarebbe fidanzata. “Ma lei non vuole sposarsi”.
“No…” Vide i sensi di colpa nei suoi
occhi.
“Suo padre le toglie l’accesso al
denaro quando litigano.”
Lei annuì. “Ma io non lo sapevo! Come
potevo immaginare una cosa del genere? Lo giuro, non pensavo sarebbe
finita
così. Lei si è arrabbiata tantissimo e adesso ce
l’ha con me!” Come se a lui
potesse interessare di Daphne.
“Te lo meriti”. Scrollò le spalle.
“Ho provato ad andare a casa sua per
parlarle, ma ha il camino bloccato…”
“Sì, lo so.”
Lei alzò un sopracciglio, meravigliata
dalla sua riposta. Gongolò. “Ho bussato per ore
alla porta, prima di capire che
non c’era. Ma comunque non vuole
parlarmi…”
“Non lo farei neanch’io.”
Lei sbuffò. “Non è a casa sua. Tu sai
dov’è?” Nel
mio letto.
“Non sono sicuro di potertelo dire”.
Lei annuì.
“Dimmi solo se sta bene. Sua madre
dice che è successo uno scandalo grosso al lavoro, ma non
sapeva bene cosa…”
Blaise bleffò. “È stata una cosa
grossa. Molto grossa. Lei è molto scossa. Magari avere
vicino una persona un
po’ meno egoista le avrebbe fatto bene”. Daphne
abbassò la testa e guardò per
terra.
“Puoi dirle che voglio
fare pace?” Si
alzò e lo guardò. Lui annuì.
“L’ho detto anche a Theo, spero che uno di voi
riesca a farglielo sapere…”
Blaise si alzò dal piano della
scrivania. “Theo?”
“Sì. Sono andata anche da lui. Loro
sono molto amici. Pensavo fosse là, ma non c’era.
Quando l’ha saputo, Theo ha
detto che si sarebbe smaterializzato a casa sua e l’avrebbe
aspettata. Io
invece sono andata a casa dei suoi, per questo ero qui con sua mamma,
mi ha
spiegato lei la storia dei permessi.”
Lui scosse la testa lentamente. Daphne
non capiva cosa gli passasse per la mente.
Theo? Theo a casa di Pansy?
Qualcosa
gli prese il petto e lo stritolò. Guardò
l’orologio. Lei avrebbe dovuto essere
già arrivata. E non lo aveva fatto. Sarebbe venuta? Ora
iniziava a dubitarne.
“Ok. Adesso scusami, ma ho del lavoro
da sbrigare. Devo chiedere a qualcuno di accompagnarti a
casa?”
Lei alzò il mento e rispose un po’
incattivita: “No. Ci riesco benissimo da sola.
Ciao”.
***
Pansy si svegliò
lentamente. Aprì gli
occhi e stiracchiò le braccia oltre la coperta. Ma
dov’era? Si guardò intorno.
Merlino! Non era camera sua! Si tirò a sedere velocemente.
Il plaid che la
copriva cadde e lei notò che indossava lo stesso vestito del
giorno prima. Si
portò una mano alla testa, un po’ dolorante. Cosa
aveva fatto? Non si
ricordava.
Il ricordo del bacio di Blaise nel
vicolo si affacciò alla mente e lei sentì le
guance andare a fuoco. Per Salazar
non aveva quindici anni! Però si sentì come se li
avesse ancora. Aveva bevuto
un po’ troppo e si era svegliata nel letto di Blaise.
Merlino, non si ricordava
niente. Ma poi si guardò intorno con più
attenzione.
Scese dal letto. Era un letto
dannatamente grande. Beh, ci stava. Blaise era alto e aveva le spalle
larghe.
Probabilmente gli serviva un letto grande. L’aria nella
stanza profumava di lui.
Ebano. Ebano nero e cedro. Raccolse da terra il plaid che
l’aveva coperta
quella notte e notò che il letto era sfatto solo da un lato.
Quello dove doveva
aver dormito Blaise. Ma… Lei aveva dormito sul copriletto? E
perché?
Un altro ricordo le si affacciò alla
mente: lui che la respingeva. L’aveva baciata ancora,
più volte, dopo la prima.
Ma non aveva voluto fare l’amore con lei. Si portò
una mano alla testa. Non
seppe dire se per la vergogna o il dolore.
Andò in bagno e si sistemò. Quando
tornò nella camera per raccogliere le scarpe,
notò un biglietto sul comodino.
C’era scritto il suo nome.
Si sedette e lo aprì per leggerlo.
Sorrise nonostante fosse andato tutto male. Ricordava la scrittura di
Blaise, i
compiti svolti tutti insieme in sala comune al quinto e al sesto anno,
le
chiacchiere a notte fonda. Theo, Draco, Daphne…
Sospirò e lesse le poche righe. Blaise
era andato al lavoro. Non poteva non andarci e gli dispiaceva andarsene
via, ma
lei avrebbe potuto raggiungerlo quando si fosse svegliata. Era carino.
Era
gentile. Lo faceva con tutte? O solo con quelle che rifiutava? Sarebbe
rimasto
con lei se avessero fatto l’amore? Che domanda stupida, tanto
non l’avevano
mica fatto. Lui non aveva voluto. Lei aveva fatto la sostenuta, dicendo
che non
sarebbe andata a letto con lui e dopo nemmeno diciotto ore, lo pregava
di farlo
e Blaise le diceva di no. Umiliante.
Si alzò e si smaterializzò in Diagon
Alley. Le aveva detto di andare alla Gringott e ci sarebbe andata. Ma
alla
Gringott la biondina del giorno prima le disse che il signor Zabini era
impegnato con una strega nel suo ufficio e lei non poteva disturbarlo
per
nessun motivo. Aveva alzato le sopracciglia in una maniera
inequivocabile, così
se n’era andata.
Quando si materializzò
in soggiorno,
Pansy era ancora triste. Tristissima. Avrebbe fatto un bel bagno caldo
e
avrebbe potuto piangere silenziosamente e copiosamente nella vasca.
Ma quando si diresse in sala per
andare in cucina una voce la fece sobbalzare: “Dove sei
stata?” Pansy si guardò
intorno, con il cuore che batteva a mille.
“Porco Salazar, Theo!” Il moro era
seduto in poltrona e sogghignava mentre lei si sedeva pesantemente sul
divano.
Theo era preoccupato. Non era mai
successo che lei rimanesse fuori per la notte. Non senza dirglielo. Non
era il
tipo da storie di una botta e via.
Vederla gli fu di sollievo, finché non
la osservò bene. Era strana. “Stai
bene?” Lei annuì poco convinta. “Dove
sei
stata?” chiese ancora.
Oh, bella domanda.
“Fuori”. Lui alzò
un sopracciglio. “Sbaglio o mi hai consigliato tu di farmi sbattere un po’?”
Theo ghignò.
“Mi sa che hai capito male. Se avessi
fatto quello che ti ho consigliato io, ora saresti distrutta, ma
sorrideresti
soddisfatta.”
Lei annuì ancora. Certo, come se fosse
facile.
“Lui non mi ha voluto…” La faccia si
Theo si fece sorpresa. Già. Appunto. Si nascose il viso fra
le mani.
“Per Salazar, non sai quanto è
umiliante!” Sentì il ragazzo avvicinarsi. E la sua
mano sulle spalle.
“È un troll…” Già.
Un troll che le
aveva annebbiato il cervello con i baci più intensi che
avesse mai provato e
probabilmente il giorno dopo si stava già sbattendo
un’altra sulla scrivania
del suo ufficio. Ma perché le aveva detto di andare alla
Gringott se poi non
aveva intenzione di incontrarla?
Sospirò. “Vado a farmi un bagno. Ehi,
ma perché non sei al lavoro?”
Theo alzò le spalle. “Ero preoccupato
per la mia miglior amica”. Sorrise. Che carino.
Ma poi ci ripensò. “Non ti credo”.
Lui rise e lei sentì il nervosismo e
la tristezza scenderle lungo la schiena. “Hai ragione. Ho
preso dei giorni di
vacanza. Vado da Amelia”. Amelia! La ragazza di cui era
innamorato. Sorrise.
“Allora vai, che fai qui?” Si alzò e
lo spinse verso la porta.
“Dovevo prima sapere se stessi bene.”
“Sto bene, non preoccuparti. Sto bene
fisicamente anche se sono stata un po’ ferita nel mio amor
proprio. Ma mi
riprenderò. Lo faccio sempre!” E
strizzò un occhio nella sua direzione.
Sperò che la sua sceneggiata servisse
a farlo uscire. Non aveva nessuna voglia di parlare con lui di Blaise.
Theo annuì. Capiva che
non stava bene,
ma sapeva che preferiva stare da sola. La salutò prima di
smaterializzarsi.
Intanto lui sarebbe andato a Diagon
Alley a fare delle commissioni e, prima di andare da Amelia, avrebbe
cercato
qualcuno che la tenesse d’occhio. Anche se ancora non sapeva
chi. Draco era
ancora in viaggio di nozze e Daphne… Oh, Daphne aveva
combinato un bel casino.
Ma il ragazzo sapeva che le voleva
bene. E Pansy l’avrebbe perdonata, prima o poi.
Theo entrò alla Gringott
velocemente e
si diresse verso una biondina che non aveva mai visto.
“Devo prelevare. Sono Theodore Nott.
Può chiamare un folletto per farmi accompagnare alla mia
camera blindata?” La
strega gli sorrise e annuì mentre gli chiedeva la chiave
della camera.
“Theo” Il moro si voltò.
“Lascia,
Brittany, penso io al signor Nott”. Blaise lo stava guardando
insistentemente e
gli fece cenno di seguirlo. Aspettarono un folletto che li
accompagnasse nei
sotterranei e quando furono sul carrello Blaise chiese all’ex
serpeverde: “È
venuta Daphne. Mi ha raccontato un po’ di cose…
Hai visto Pansy stamattina?”
Theo fu felice di non dover spiegare
niente. “Sì. È tornata a casa. Ma non
sta bene”.
“No?” gli chiese l’amico, preoccupato.
Lui scosse la testa e la spostò velocemente per schivare una
sporgenza sulla
parete. Si voltò verso di lui. Non avevano più
parlato. Ma se fosse stato vero
quello che aveva sospettato al matrimonio… Sì,
forse Blaise poteva essere la
persona giusta a cui lasciare Pansy.
“Sembra che ieri sia uscita con un
troll.”
“COME?” Blaise
gridò un po’ perché il
carrello aveva preso velocità e un po’
perché sorpreso di quello che aveva
detto il moro.
“Sì. Lei ci è rimasta malissimo.
È uno
straccio. Non so cosa sia successo di preciso. Non ha voluto
parlarne”.
Oh, Merlino! Ecco perché non era
venuta. Ci era rimasta male perché l’aveva
baciata? E sì che pensava che lei
fosse d’accordo. Però lei non era propriamente in
sé. Avrebbe dovuto andarci
più cauto.
Si passò una mano nei capelli. Quando
il carrello si fermò si spostò per far passare
Theo, ma lui non scese. Lo
guardò un po’ stranito.
“Ascolta… Io non so se davvero
tu…” Si
voltò verso il folletto a capo del carrello, ma questi non
lo degnò di uno
sguardo. “Ma io devo andare via qualche giorno, e vorrei
saperla in buone mani.
Purtroppo ho una questione molto importante e non
posso…” Capì quello che
intendeva.
“Ci penso io”. Il moro annuì,
sollevato.
“Non posso proprio rimandare” si scusò.
Blaise cercò di ricordarsi quello che gli aveva detto Pansy.
“Una ragazza, giusto?” Lui annuì
ancora, sorpreso.
“Lo sai?” Lui scosse le spalle. “Non
abbiamo parlato molto”. Non era propriamente una bugia.
Theo annuì e scese dal carrello. “Ok.
Magari…” Blaise gli fece cenno alla porta della
camera.
“Sì, ma qui sotto si gela. Quando torniamo
su ti offro qualcosa e ne parliamo. Ma ora, fai presto.”
Theo sorrise e aprì la
porta scura.
Merlino c’era freddo davvero!
“Tieni.”
Si erano fatti portare due burrobirre
dall’elfo domestico di Blaise e si erano seduti alla
scrivania nell’ufficio del
direttore. Due giorni che non combinava niente.
Theo prese il suo boccale e si dissetò.
“Come mai qui? Non ti facevo un impiegato della Gringott.
Pensavo che…” Blaise
gli lanciò un’occhiata di ammonimento. Theo e
Draco sapevano cosa facesse per
lavoro. Più o meno. Ed effettivamente la Gringott poteva
essere una sorpresa,
per loro. “Oh. Ok. Non parliamone”. Theo si
guardò intorno, in silenzio.
“A proposito di cose da non dire… Tu
sai cos’è successo a Pansy al San
Mungo?” Theo scosse la testa e appoggiò la
burrobirra, sospirando.
“Dice che non può parlare con nessuno.
Non so cosa sia successo, ma quando ha litigato con i suoi, ha fatto
qualcosa
al lavoro che ora le può costare il posto. Se ho capito
bene, qualcuno ha
parlato di esaurimento nervoso…”
Blaise
alzò un sopracciglio. Pansy non sembrava proprio esaurita.
Stanca, sì.
Esaurita, no. Ma Theo la conosceva meglio di lui. Purtroppo.
“Lo pensi anche tu?” gli chiese. Theo
lo guardò in silenzio per un tempo indefinito. Non capiva
cosa gli passasse per
la testa.
“A te sembra esaurita?” gli rigirò la
domanda. Lui scosse la testa e si appoggiò indietro sulla
sedia.
“No.”
Theo sorrise “Appunto”.
Blaise annuì.
Theo continuò a guardare
l’amico. Non
sapeva cosa ci facesse lì, alla Gringott, ma sapeva che
Blaise lavorava per il
ministero della Magia, quindi doveva essere importante. E segreto.
“Ma parliamo di altre cose… Quindi…
Hogwarts…” Cercò di lasciare cadere un
po’ la frase e studiò la reazione
dell’ex serpeverde.
“Non penso siano fatti tuoi” disse
infatti.
Theo ghignò. “Se ti devo lasciare la
mia miglior amica, voglio sapere bene le tue intenzioni”.
Lui lo guardò e sbuffò. “E cosa
vorresti sapere?” Sorrise ancora. Era bravo. Non parlava a
vanvera.
Ma anche Theo era bravo con le
domande. “Hai lasciato Daphne per Pansy?” Blaise
sospirò.
“È successo dieci anni fa…”
Il ragazzo
allampanato non mollò e nascose un altro ghigno.
“Appunto. Ti piace da dieci anni?”
Blaise scosse le spalle, a disagio.
Non gli piaceva parlare di quello che sentiva per Pansy. E non voleva
parlarne
con quello che diceva di essere il suo miglior amico. Non avrebbe
potuto
mentire. “Forse” buttò lì.
“Forse?” Theo ridacchiò. Oh, Merlino,
che voglia di prendere la bacchetta e lanciargli una fattura!
“E perché ti sei
messo con Daphne, allora?”
La sua storia con Daphne era durata tre
mesi. Tre mesi tremendi. Al quinto anno. Poi lei aveva capito di essere
un
ripiego e l’aveva mollato.
Alzò le spalle. “Pansy stava con Draco”
Il viso di Theo si ingarbugliò in un’espressione
confusa. “No. Lei si è messa
con Draco dopo” .
“Ma cosa dici?” Blaise se lo ricordava
benissimo, quando era successo. Draco aveva raccontato, una sera nella
loro
camera, dopo un’infinità di bottiglie di
Firewhisky, quello che aveva fatto con
Pansy. Dettagliatamente.
Blaise era morto piano piano, avvelenato
lentamente dalle parole del biondo. Alla fine si era scolato
più Firewhisky lui
degli altri quattro nella stanza. Era stato malissimo. E il giorno dopo
aveva
guardato Pansy, una Pansy di cui avrebbe preferito non conoscere
l’esistenza,
sorridere a Draco. Dopo tre giorni si era messo con Daphne.
L’errore più grosso
della sua vita.
“Mi sono messo con Daphne tre giorni
dopo la sbronza in camera al quinto anno. Ti ricordi? Quando Draco ha
raccontato…” Incapace di finire la frase, si
interruppe. Tanto valeva dire le
cose come stavano.
“Quando Draco ha fatto quella
spiattellata di particolari su come fosse stato scopare?”
chiese Theo. Non
riuscì a capire la sua espressione. Forse perché
quella frase gli aveva fatto
male come una Cruciatus ben assestata. Abbassò gli occhi e
Theo si avvicinò
alla scrivania con la sedia. “Per Salazar, gli avevi
creduto?” COME? Alzò lo
sguardo sull’amico.
“Come?”
Theo era serio. “Gli avevi creduto? Ma
dai! Draco si era inventato tutto. E si capiva benissimo. Va beh, Tiger
e Goyle
pendevano dalle sue labbra, ma perché erano due idioti! Non
puoi aver pensato
che fosse vero!” NO? Come? Cosa intendeva?
Theo vide lo sguardo di Blaise
sempre
più confuso. Merlino! Aveva davvero creduto a Draco? Quel
troll si era fatto
grande con una storia senza senso e lui non aveva capito?
“La sua storia faceva acqua da tutte
le parti. Si è ingarbugliato tantissimo. E un sacco di cose
non combaciavano.
Non potevi non averlo notato!” E no, Blaise ci aveva creduto.
Glielo leggeva in
faccia. E quando disse: “Però non puoi esserne
sicuro”, ne ebbe la conferma.
“Oh sì, invece. L’ho chiesto a
lei!”
“L’hai chiesto a Pansy?” la faccia di
Blaise era sbalordita. Avrebbe voluto vantarsi. Però non lo
fece. “Beh,
gliel’ho chiesto cinque anni fa, e non direttamente. Non le
ho detto di quello
che aveva raccontato Draco. Non mi sembrava…
carino”. Il moro annuì.
Quindi non era vero niente?
Cioè lui
pensava che loro scopassero tutte le sere e invece... niente? Aveva
trattato
male Pansy più volte perché non riusciva a
concepirla insieme al biondo e aveva
iniziato la sua scalata verso l’inferno. Prima Daphne, che
aveva capito subito.
Poi tutte le altre. Ma non era stato più con nessuna. Non
davvero. Ci aveva
provato, nel corso di quei dieci anni, ma non c’era riuscito.
Tanto valeva non
provarci più.
Però ora che era a Londra… Ora che lei
era libera. Theo si alzò in piedi. “Ti
dirò una cosa. Ma se glielo dirai
negherò o dirò che mi hai fatto un incantesimo
così penserà che sei una brutta
persona. Al quinto anno a Hogwarts, a Pansy, piacevi tu. Poi ti sei
messo con
Daphne e dopo un mese, durante le vacanze di Natale, lei ha deciso che
era
giunto il momento di smetterla di guardarsi intorno ed è
andata a casa di
Draco. Da lì, il resto lo sai”. Ma non era vero!
“Se fosse vero quello che dici, ci
saremmo messi insieme quando Daphne mi ha lasciato, lei lo aveva
capito, che mi
piaceva Pansy. E invece non è successo. E Pansy ha
continuato a stare con Draco.”
Theo si preparò ad andare. “Non è
successo, perché se tu conoscessi le ragazze, sapresti che
non ci si mette con
gli ex delle tue amiche. Soprattutto se lui l’ha
tradita!”
Blaise strabuzzò gli occhi. “Io non ho
tradito Daphne!”
Lui non aveva mai tradito nessuna.
Nessuna. Perché non era stato con nessuna. “Questo
lo sai tu e lo so io, ora.
Ma Daphne ha raccontato che l’avevi tradita e che ti ha
lasciato per questo.
Perché Pansy avrebbe dovuto pensare diversamente?”
Perché non era così, ecco
perché!
Si alzò anche lui. Quindi aveva
buttato via tutto quel tempo… E a Pansy, lui, piaceva? Si
passò una mano fra i
capelli, ma poi si sedette di nuovo. Forse gli piaceva ancora. Forse
no, non
era venuta da lui. La sera prima l’aveva baciata, ma ora?
Cos’era successo,
perché aveva raccontato a Theo che la serata non era andata
bene? A parte la
Weasley, la giornata era stata perfetta. La spa, il pub, i
baci… Erano i suoi
baci il problema?
“E ieri? Cosa ha detto di ieri?” Theo
scosse la testa.
“Ora vado. Non ho più tempo. Ma guai a
te se quando torno…” Vide il suo sguardo severo e
Blaise annuì.
“Dimmi dove abita.”
***
Pansy sospirò. Lesse
ancora la
pergamena scritta dalla madre che aveva ricevuto nel pomeriggio: era
andata
alla Gringott, quella mattina, a portare il permesso per la camera
blindata.
Avrebbe dovuto dirle di aver fatto richiesta per una camera tutta sua?
Sospirò ancora. Persino sua madre era
stata accolta bene alla Gringott. Tutti tranne lei. Lanciò
la pergamena sul
tavolo e andò a prepararsi. Sua madre esigeva che lei
andasse a cena da loro.
Che si mettesse il vestito scelto da lei, perché avevano
ospiti a cena. E lei
lo avrebbe fatto. Come sempre. Una brava figlia.
Imprecò mentre si infilava i sandali.
Quand’è che sarebbe cresciuta e avrebbe iniziato a
dire ai suoi genitori quello
che pensava veramente? Si guardò allo specchio e fece una
cosa rischiosa: si
tolse il vestito e se ne mise un altro. Uno che non avrebbe avuto
l’approvazione di sua madre.
Sorrise e si avvicinò allo specchio
per truccarsi. Dopo dieci minuti, qualcuno bussò alla porta.
Ma chi poteva essere? Theo era andato
da Amelia, non aveva ancora ripreso a parlarsi con Daphne, Millicent
abitava
lontano e le sue colleghe… Le sue colleghe non potevano
andarla a trovare. Il
legalmago era stato chiaro: nessun contatto con nessuno del San Mungo.
Di
nessun genere.
Sospirò e imprecò insieme. Quando
bussarono la seconda volta, si diresse nell’ingresso.
L’unica maniera per
scoprire chi fosse, era aprire la porta.
Oppure… Dove aveva lasciato la
bacchetta? In bagno. Pensò di tornare indietro a prenderla
quando bussarono
ancora, questa volta un po’ più forte.
Sbuffò e si allungò alla porta
d’entrata.
Aprì l’uscio senza neanche guardare lo
spioncino. Si scordava sempre. A casa dei suoi erano gli Elfi ad
accogliere le
persone.
“Blaise!” quasi gridò quando si
trovò
davanti il ragazzo.
“Pensavo non volessi aprirmi” sospirò
lui. Lei arrossì. “Posso entrare?”
chiese, osservandola come si osserva la luna
con il telescopio a Hogwarts durante l’ora di Astronomia. Lei
si fece da parte
e annuì.
Blaise si guardò
intorno, un po’
imbarazzato. Si era preparato tutto un bel discorso. Davvero. O
perlomeno,
pensava che lo fosse. Di solito, per lavoro, era bravissimo a usare le
parole.
Ora però…
Pansy era vestita per uscire. Aveva un
altro abito di quelli che dicevano: ‘sono bellissima,
prendimi!’
Con chi doveva uscire? Theo aveva
detto che se ne andava per qualche giorno. Non usciva con lui. E
allora, con
chi? Non riusciva a frenare i pensieri.
In quel momento dalla finestra aperta
entrò un gufo reale. Bubulò in direzione della
ragazza, dopo aver lasciato
cadere la busta sul tavolino davanti al divano. Vide Pansy seguirlo con
lo
sguardo e sbuffare.
Chiuse la porta e si avvicinò alla
busta sul tavolino e come la toccò, il gufo volò
via. Prese la pergamena e alzò
gli occhi su di lui, mostrandogliela.
“Mia madre. Anche il suo gufo mi
sgrida per il ritardo.”
“Sei fortunata che non ti ha mandato
una strillettera.”
Quando la vide sorridere il suo
nervosismo si sgretolò un po’.
“Non sei venuta,
stamattina.”
Beh, no, non era proprio così. Lei ci
era andata davvero alla Gringott.
“Veramente sono venuta. Eri tu che eri
impegnato con una strega e non ti si poteva disturbare.”
“COME?” Il suo sguardo sorpreso le
fece odiare la biondina alla cassa della banca. Quindi lui non lo
sapeva?
“Quando… Quando sono venuta, tu eri
impegnato. Brianna mi ha fatto capire…” Si
bloccò. Voleva veramente fargli
sapere che la stronzetta le aveva fatto credere che lui fosse impegnato
‘intimamente’?
“È venuta mia madre stamattina” disse.
Oh. Il sorriso spuntò da solo sulle sue labbra. Poi lui si
passò una mano fra i
capelli (l’aveva fatto anche lei, la sera prima, che voglia
di farlo ancora…)
“Poi sono venute anche tua madre e Daphne”.
“Daphne?” I suoi occhi si allargarono,
sorpresi.
Blaise annuì. “Beh, poi ho visto anche
Theo”.
“Oh, che giornata impegnativa.”
Blaise non riuscì a non
sorridere.
“Già. Ascolta. Vado a cena da mia madre. Poi ti va
se…” Lei scosse la testa.
“Io vado a cena dai miei. Non so mai
quando vengo via…” Il suo sguardo era un
po’ sconsolato.
Blaise sorrise “Vieni a casa mia…” Non
disse per favore e sperò
che non si
sentisse la supplica nella sua voce. Però
ti prego, vieni da me.
Lei tentennò. Lui lo capì benissimo. E
la delusione si impossessò di lui. Alzò le spalle
e fece un passo verso la
porta, non voleva smaterializzarsi lì.
“Va beh, fa’ come vuoi. Io…”
Si infilò
le mani in tasca e sbuffò.
Quando lo vide avvicinarsi alla
porta,
Pansy si spaventò. Lui era venuto fino a lì, la
stava invitando a casa sua e
lei non riusciva a rispondergli decentemente? Voleva andare da lui.
Certo. Ma…
la sera prima…
Quando lui sbuffò dicendole di fare
quello che voleva, capì che aveva intuito male e doveva
fermarlo.
“Aspetta!” Si avvicinò a lui e lo
bloccò con una mano sul braccio, prima che se ne andasse.
“Vuoi che venga a
casa tua…” Lui annuì, ma il
suo sguardo non cambiò
“…Perché?”
balbettò.
COME PERCHÈ? Blaise non
capiva più
niente.
Lei non voleva stare con lui? Se era
vero che l’aveva cercato alla Gringott, voleva dire che non
aveva cambiato idea
su di lui. Non dalla sera prima (e non dal quinto anno).
Non riuscì a dire niente, così fece i
due passi che li dividevano per raggiungerla, la prese fra le braccia e
prima
di chinarsi a baciarla sussurrò:
“Perché sì”. Lei sorrise e
chiuse gli occhi
accostandosi a lui.
Quando le loro labbra si incontrarono
fece fatica anche a ricordarsi chi fosse, ma non gli importò
molto. Si
baciarono per quello che sembrò un anno intero, ma dovettero
essere solo venti
minuti di orologio e quando lei si staccò da lui, la
guardò senza dover
nascondere più niente.
Le disse, accarezzandole una guancia:
“Dovrò lasciarti andare o non arriverai mai dai
tuoi, stasera…”
Il suo viso si fece strano e poi
sussurrò: “Ieri non mi hai voluto”.
COSA?
“Come?” chiese infatti.
“Ieri sera…” iniziò lei,
staccandosi
da lui e voltandosi verso la finestra aperta. “…Mi
hai rifiutato”.
Era stato così difficile
dirglielo.
Non era neanche riuscita a guardarlo mentre lo faceva. Si era girata
verso la
finestra e si era allontanata. Non si accorse che lui l’aveva
raggiunta ancora.
Quando le cinse il ventre con le mani
e poi la fece girare, non lo guardò. “Ieri
sera…” iniziò lui. Ma non
riuscì ad
alzare lo sguardo.
Cosa le avrebbe detto? L’aveva
rifiutata. Era stato brutto. Bruttissimo. Soprattutto dopo che lei si
era
scoperta così tanto con lui. Aveva risposto ai suoi baci e
lo aveva
accarezzato. Lui aveva lasciato il suo sapore sulle sue labbra e lei
non aveva
capito niente. Poi le aveva detto di no e lei si era svegliata nel
letto da
sola.
No. Lei non lo guardava. Non andava
bene. Doveva guardarlo. Le alzò il mento con la mano. E
ricominciò solo quando
riuscì a incatenare i suoi occhi.
“Ieri sera è stato il momento più
bello della mia vita. Non pensavo che avresti mai ricambiato un mio
bacio e
quando l’hai fatto è stato elettrizzante. Ma poi
ho avuto paura che per te
fosse un momento… di debolezza. Dopo la Weasley, le birre e
tutto il resto… Non
volevo approfittare di te. O che tu stamattina ti potessi pentire di
qualcosa.
Quando non ti ho visto, pensavo che ti fossi pentita anche di avermi
baciato” riuscì
a dire tutto di un fiato, consapevole che altrimenti non
l’avrebbe più detto.
Pansy spalancò gli occhi. “Stamattina
ci sono rimasta male. Ma non mi sono pentita. E non mi sarei pentita
neanche se
tu avessi fatto l’amore con me. A meno
che…” Lei abbassò gli occhi, in un
gesto
di finta timidezza.
“A meno che?” chiese lui.
“A meno che quello disastroso a letto
non sia tu!” Ghignò mentre rialzava lo sguardo su
di lui e si allontanava
scherzosa. Blaise rise mentre la raggiungeva e cercava di bloccarla.
“Ti faccio vedere io, adesso…”
Pansy ridacchiò e sospirò
deliziosamente mentre si lasciava imprigionare. La baciò
più volte e alla fine
caddero sul divano. Quando si tirò su, lei gemette di
protesta, ma lui non ebbe
pietà. Non l’avrebbero fatto di corsa, su un
divano. Non questa volta,
perlomeno. Ma quando la guardò, lei aveva gli occhi
appannati dal desiderio e
lo guardava con aspettativa. Non voleva deluderla ancora.
Il suo sguardo volò su quel bellissimo
corpo e raggiunse la gonna, stropicciata, che si era alzata svelando le
cosce.
Le sfiorò la pelle con la mano e lei rabbrividì.
Non resistette più. Non
sarebbero andati fino in fondo, ma l’avrebbe accontentata.
Sorrise mentre si chinava ancora su di
lei, spostandole la spallina del vestito e baciandole una spalla.
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Capitolo 3 *** Venerdì ***
03. Venerdì
Venerdì
“Non sapevo conoscessi
Lilian
Parkinson.”
Blaise aveva aspettato di arrivare al
primo piatto, prima di fare quella domanda. Avrebbe voluto chiederlo
alla madre
già quando si era materializzato in giardino, ma era
riuscito a resistere un
po’.
Althea alzò le spalle in un gesto poco
educato. “Siamo andate a Hogwarts insieme, ma lei
è più giovane di me di
qualche anno. Non sapevo avesse sposato un Parkinson. Quando Dollylee
è venuta
da me dicendo che lei era alla porta e mi era venuta a trovare, sono
rimasta
sbalordita. Anche perché si è presentata come
Lilian Parkinson e io non avevo
la più pallida idea di chi fosse. La povera Dollylee si
è stranita quando ha
visto la mia faccia sorpresa”. Sua madre rise un pochino.
Ma lui voleva sapere di più. “E
cos’è
venuta a fare?” Cercò comunque di non mostrare
troppo curiosità.
“È venuta a parlarmi di sua figlia”.
Blaise si bloccò con la mano a metà fra
sé e il bicchiere che voleva prendere.
“Sua figlia?” Sua madre annuì.
“Sì.
Sembra una cosa strana, eh? Ma si fa.”
“Cos’è che si fa?”
“Voleva propormi un fidanzamento.”
“A te?”
“Sì. Beh, fra te e sua figlia.”
“AH!”
Althea alzò ancora le
spalle. Oh,
avrebbe dovuto contenersi. Restare da sola per così tanto
tempo, le aveva dato
forse troppa libertà. Doveva riprendere a comportarsi bene.
Lo doveva a Hector. Anche se a lui non
interessava. Diceva che la voleva così com’era.
Che a lui piaceva per questo.
Ma doveva stare attenta lo stesso. Altrimenti
avrebbe iniziato a fare cose come quella anche in pubblico, con altre
persone.
E non si doveva fare.
Guardò il figlio. Aveva una strana
espressione. “Guarda che le ho detto che non organizzo
fidanzamenti combinati
per mio figlio. Che se vuole, lui
lo
fa da solo”.
Blaise sorrise.
“Quindi dovrei aspettarmi una sua
visita?” Althea alzò le spalle. Merlino! Doveva
smetterla! E doveva smetterla
di invocare Merlino! Suo figlio rise della sua espressione. Lo
guardò
malissimo.
“Scusa, mamma. Scusami. Ma…” Poi rise
anche lei.
“No, comunque. Le ho fatto capire che
non l’avresti presa bene. Spero non venga a disturbare anche
te.”
Blaise riuscì finalmente
a bere. Non
gli sarebbe dispiaciuto scambiare quattro chiacchiere con la madre di
Pansy.
Anzi, era proprio curioso.
“E che impressione ti ha fatto?”
Althea lo guardò con curiosità. “Stai
pensando di sposarti?”
“CHI? IO? NO!” Per poco non gli andò
di traverso il vino.
Althea sorrise come sorride una
madre
che ha beccato il figlio a rubare la marmellata. Blaise stava valutando
l’idea
di sposarsi? Davvero? Oh, ma non quella ragazza!
“Comunque non è adatta a te, quella…
Non
mi ricordo come si chiama…”
“Pansy. Si chiama Pansy…” La strega lo
guardò, sempre più incuriosita.
“Quella Pansy non è adatta a te!” Lui
era strano, sembrava… pensieroso.
“No?” La strega scosse la testa. Non
aveva grossi problemi a parlare con il figlio.
“Da come la svendeva sua madre, non
dev’essere un granché.”
Poi però le dispiacque per la ragazza
e cercò di rimediare, visto che non la conosceva.
Ed effettivamente non è che sua madre
avesse poi parlato tanto di lei. Di solito, quando le altre madri erano
venute
da lei con quell’intenzione, elogiavano qualità
inesistenti e saltavano a piedi
pari su difetti lampanti.
“O magari è solo bruttina e non riesce
a trovarsi un fidanzato da sola…” Blaise la stava
guardando stranito.
“Hai visto Pansy. C’era una foto in
camera mia del quinto anno a Hogwarts. Avevi detto che era
carina.”
Davvero? Non si ricordava. Dopo
avrebbe cercato la foto. Scosse le spalle.
“Allora sarà molto sciocca.”
Ripensò alla ragazza vista alla
Gringott. O magari incinta! Si ricordò di aver immaginato
che fosse lei la
figlia da far sposare e di essersi meravigliata quando le aveva
guardato la
pancia. Magari sua madre cercava disperatamente un marito alla figlia
perché
era una ragazza facile. Sospirò.
“E l’altra? Quella che c’era in banca?
Daphne, forse? Conosci anche lei, giusto?” Suo figlio fece un
verso maleducato
con la bocca. Si stranì un pochino. Di solito, non era
così villano.
“Sì. E Pansy non è né brutta
né
sciocca. È Daphne che sta convincendo i suoi a cercarle un
fidanzato. Vuole che
si sposi così come si è sposata lei.”
Il suo tono era duro.
Blaise sbuffò
rognosamente, pensando a
quello che aveva detto la madre. Non doveva trarre conclusioni errate.
“Ah. Dici che sono loro?”
“No, non lo dico: lo so. Pansy non
vuole sposarsi”. Non con qualcuno che avrebbe scelto sua
madre.
“Hai parlato con lei?” Lo sguardo di
sua madre era curioso e un po’ pettegolo, forse.
“L’ho vista al matrimonio di Draco.”
“Draco?”
“Sì, ricordi? Tre settimane fa. Fra
l’altro Draco ha sposato la sorella di Daphne,
Astoria”. Sua madre scosse la
testa. Non prestava più attenzione alla società,
da quando stava con Hector.
Era una cosa buona o no? Bo.
“E com’è, allora? Hai
un’opinione tua
su di lei?” Oh, mamma, è la ragazza più
bella del mondo. E anche parecchio
sfortunata. Pensò al casino successo al San Mungo. Doveva
scoprire qualcosa di
più, per poterla aiutare.
Scosse le spalle.
Sapeva cos’era quel
gesto. Suo figlio
non voleva parlarne con lei. Non di questa Pansy. Avrebbe dovuto
cercare
informazioni da sola.
Magari aveva raccontato a suo figlio
che non voleva sposarsi per ingannarlo e poi architettare con sua madre
il
fidanzamento. Magari era incinta davvero.
Non si rese conto della smorfia che
aveva sul viso.
Blaise vide lo sguardo di sua madre
e
non gli piacque. Cercò di deviare il discorso e le chiese
dei preparativi per
il sabato seguente.
***
“Oggi sono stata alla
Gringott.”
“Davvero?” chiese senza interesse
Pansy. Finalmente gli ospiti di sua madre se n’erano andati.
Suo padre si era
rifugiato in biblioteca a bere il liquore della buonanotte e sua madre
chiacchierava senza sosta, nonostante fosse tardi e lei fosse stanca. E
poi lei
sapeva già che era andata alla Gringott.
“Sì. E sai chi ho visto?” Chi hai
visto mamma? Daphne? Theo? Brianna? Salazar Serpeverde?
Pansy cercò di rimanere sveglia. Si
sentiva stanchissima. Ma felice. Ripensò a Blaise sul divano
che le sorrideva
sornione mentre l’accarezzava. Sperò che le sue
guance non fossero calde come
le sentiva lei. Non avevano fatto l’amore, lui non aveva
voluto. Di nuovo. Ma
stavolta era andata diversamente. Blaise le aveva fatto capire
chiaramente
quanto la desiderasse. Merlino, Blaise le mancava di già. E
purtroppo, non
l’avrebbe neanche visto dopo cena.
Erano rimasti d’accordo che si
sarebbero visti il giorno dopo direttamente alla Gringott.
Guardò l’orologio.
Effettivamente era tardissimo. Sperò di sbrogliare sua madre
al più presto.
Sospirò cercando di tornare al
presente.
“Chi hai visto, mamma?” chiese.
Okklely, l’elfo domestico che sua
madre le mandava ogni tanto a casa, stava sparecchiando. Fra poco
avrebbe
portato il tè. Oh, cosa avrebbe dato per una burrobirra. O
anche una birra
babbana.
“Ho visto il signor Zabini. Te lo
ricordi, no?” Chi? Ma il padre di Blaise non era morto? Poi
capì che sua madre
si riferiva proprio a Blaise.
“Davvero?”
“Sì, era con sua madre. Sai cosa
pensavo?”
“Cosa pensavi, mamma?” Il suo tono
doveva essere un po’ accondiscendente in quanto sua madre si
girò verso di lei
e la squadrò con un’occhiataccia, come quando
aveva sette anni e si rifiutava
di andare a lezione di danza. Sospirò. “Davvero,
mamma, cos’hai pensato?”
“Quel ragazzo è molto bello…”
Oh. Non
seppe bene il perché, ma sentì ancora le guance
andare a fuoco.
“Mmm… E quindi?”
“Io conosco sua madre. Siamo andate a
Hogwarts insieme.”
“Davvero?” Ora era davvero curiosa.
Lilian annuì, senza accorgersi del suo tono sorpreso. Era
sempre così, non la
notava mai.
“Potremmo valutare l’idea…
Sì… Sai… Di
un fidanzamento.”
Pansy sapeva di non dover mai bere
quando parlava con sua mamma. Ma spesso se ne dimenticava. Ora non se
lo
sarebbe più dimenticato. Iniziò a tossire e a
fare versi strani con la bocca.
Quando le scesero le lacrime e sentì il petto stringersi,
ebbe quasi paura di
morire. Tossì ancora, incapace di riprendersi.
Oh, Merlino, stava morendo e l’unica
cosa a cui riusciva a pensare era che non aveva ancora fatto
l’amore con
Blaise. Cercò di riprendere fiato e alla fine
riuscì a tornare a respirare
normalmente.
Sua madre la guardava come se avesse
ucciso il gatto. E non l’aveva neanche aiutata.
“Scusa, mamma. Dicevi?”
“Dicevo che non sarebbe una brutta
idea se tu e lui vi fidanzaste, sai? Da quel che ho capito non ha una
fidanzata
e poi lui lo conosceresti già e…”
Sospirò. Ma sua madre non smetteva mai?
“C’è
una cosa che ho saputo, che andrebbe a suo vantaggio”
mormorò poi abbassando la
voce.
Ossia? Che la faceva impazzire da
quando aveva quindici anni? Questo poteva essere veramente a suo
vantaggio.
Ma sua madre la guardò. “Lui è discreto”. Discreto? Che
intendeva?
“In che senso, mamma?” Prese la tazza
del tè che l’elfo le porgeva e la posò
davanti a sé, più interessata a quello
che diceva la madre che a ogni altra cosa.
“Beh, si sai, quando fa… quello”.
Sua madre aveva abbassato la
voce, come se qualcuno potesse sentirla e aveva sventolato la mano
davanti a sé.
Ma… cosa voleva dire?
La sua faccia dovette parlare da sola,
perché sua madre continuò.
“Sì, è uno che quando lo fa
è discreto”.
Pansy spalancò gli occhi quando capì
che sua madre non avrebbe mai osato dire quella parola. Sesso. SUA
MADRE
PARLAVA DI SESSO? Cercò il vino con gli occhi, ma
l’elfo aveva portato via
tutto.
Ok,
calmati Pansy.
Si obbligò a rimanere tranquilla.
COSA CAZZO VOLEVA DIRE CHE QUANDO FA SESSO È DISCRETO? Non
aveva funzionato
bene. Riprovaci Pansy.
“Mamma, ma cosa intendi?” No, era
meglio non chiedere. Sicuramente.
“Che non ci saranno scandali. Quando
lo farà, tu non lo saprai e non lo saprà nessuno.
Lui sarà discreto…” O PORCO
SALAZAR! Intendeva che quando l’avrebbe tradita non
l’avrebbe saputo nessuno?
Ma…
“Mamma, io voglio un marito che lo
faccia con me, non con le altre”. Sua madre sbuffò
poco elegantemente e
sventolò, di nuovo, la mano in aria.
“Quando sarai sposata saprai che la
favola di Messer Senzafortuna e Amata non esiste. Nessuno vive felice e
contento. Non esiste la Fonte della Buona Sorte. I matrimoni sono
così. E può
succedere che…”
“Forse, se invece di sposarsi per lo
stato di sangue, ci si sposasse perché ci si vuole bene, non
succederebbe. Ci
hai mai pensato, mamma? Forse, se tu e
papà…”
“NON PARLARE DI TUO PADRE!” Sua madre
aveva gli occhi spalancati mentre urlava e Pansy vide Okklely
smaterializzarsi
velocemente. Lo invidiò. Avrebbe potuto farlo anche lei?
L’avrebbe seguito in
cucina e sarebbe stata lì, buona buona.
“Ma pensi davvero che tuo marito non
lo farà? Sei un’ingenua. Lo fanno tutti, cosa
credi? E quando i mariti tradiscono,
e non si fanno problemi a nasconderlo, le mogli non possono dire
niente! Fanno
finta che non sia successo.”
Pansy si ammutolì. Il tono di sua
madre era cattivo e derisorio. Davvero? Davvero era così?
Tutti tutti? Pensò a
Draco e Astoria. Va beh, loro si erano appena sposati, non contava. E
Daphne e
Steve? No. Se Steve tradiva Daphne, lei non lo sapeva di sicuro. E se
fosse
successo, Daphne non avrebbe fatto finta di niente. E Pansy era
abbastanza
convinta che non fosse mai successo.
Pensò ad altre coppie che conosceva.
Chi è che era insieme da tanto tempo? La faccia sconvolta di
una piccola rossa,
le comparve nei pensieri. Potter e la Weasley. Stavano insieme da
un’eternità.
Ripensò a tutte le volte che li aveva visti insieme. Avrebbe
scommesso anche su
di lui. Non l’avrebbe mai tradita. Neanche in futuro. Beh, ma
loro si erano
sposati per amore.
Anche Pansy voleva un matrimonio
d’amore. Anche lei voleva essere guardata come Potter
guardava sua moglie.
Poi si ricordò del fatto che presto Potter
non avrebbe più guardato sua moglie. E forse non avrebbe
neanche visto il suo
bambino. Sospirò. Ma cosa poteva fare? Forse poteva almeno
ascoltarla.
Poi tornò a guardare la madre. Ora era
stufa.
“Sai mamma, penso che non mi sposerò,
allora. Non voglio un matrimonio come il tuo. Non voglio diventare come
te o
papà. Non mi interessa quello che fa la gente. Non mi
piacerebbe vivere così.”
“E cosa
pensi di fare, allora?” Il tono di sua
madre era stizzito.
“Voglio vivere la mia vita” rispose.
Per
ora voglio fare l’amore con Blaise, per Salazar, anche se
fosse l’ultima cosa
che farò.
“Gran bella vita.
Sei anche stata
licenziata.”
“Non sono stata licenziata!” esclamò.
L’occhiataccia di sua madre era una
pugnalata. Sua madre non credeva in lei. Come tutti gli altri.
“Vado a casa”. E si smaterializzò
senza salutare.
***
Pansy era sdraiata sulla schiena
sulla
scrivania nell’ufficio del direttore alla Gringott e baciava
Blaise come se non
ci fosse stato un domani. Il suo vestito era arrotolato in vita e, non
indossando
biancheria, era totalmente esposta. Ma la pelle scura del petto di lui
continuava a darle brividi contro la sua e lei non se ne
preoccupò.
L’unico problema era che lui avesse
ancora i pantaloni. Voleva che se li togliesse al più
presto. Voleva tutto di
lui. Gli prese il viso fra le mani e lo baciò ancora. Gli
mordicchiò le labbra
e poi sussurrò sulla sua bocca: “Togliti i
pantaloni. Voglio sentirti dentro di
me”.
“No”. COME? Non di nuovo!
“Sì.”
“No, perché vedi, io sono discreto”.
Pansy gli lasciò il viso e si
mise a sedere così velocemente che si svegliò.
Si guardò intorno e si rese conto di
essere in camera sua, nel suo letto e di avere addosso la camicia da
notte. E
di essere da sola.
Per Salazar, era un sogno! Sospirò e
si rimise giù, coprendosi con la coperta. Non andava bene.
Non poteva fare
sogni così. Dovevano assolutamente risolvere la cosa. Al
più presto.
Guardò l’orologio. Mancavano ancora
tre ore all’orario in cui avrebbero dovuto vedersi alla
Gringott. Oh, Merlino.
Di sicuro non avrebbe potuto
smaterializzarsi a casa di Blaise a quell’ora.
Sbuffò, si girò per trovare una
posizione e provò a riaddormentarsi.
***
Blaise guardò ancora
l’orologio. Lei
era in ritardo. Aveva detto che ci sarebbe stata. Quindi sapeva che
sarebbe
successo. E se invece avesse cambiato idea? La sera prima avevano fatto
tardi
nell’appartamento di lei e Blaise sapeva che non sarebbe mai
riuscito a
sganciarsi da sua madre a un orario decente, così, pensando
di aver risolto le
cose fra loro, le aveva dato appuntamento direttamente alla Gringott,
spiegandole quello che aveva bisogno che lei facesse.
Per Salazar, era stata una cattiva
idea! Quando la vide entrare dalla porta d’argento,
sospirò sollevato senza
neanche rendersene conto.
La seguì con lo sguardo mentre
entrava. Dannazione, aveva i pantaloni. No, ok, era meglio
così. Avevano del
lavoro da sbrigare. Quando lei lo vide gli sorrise e Blaise le fece
cenno di
avvicinarsi. Pansy si diresse verso di lui sorridendo.
“Tieni, ti ho portato dei muffin” disse,
porgendogli un sacchetto di carta. Si portò una mano al
petto con un sorriso.
“Adesso hai conquistato il mio cuore.”
Lei sorrise sorniona.
“Puntavo ad
altro, ma va bene uguale, dai”. Blaise rise e si
avvicinò a lei quando Pansy
fece il gesto di salutarlo con un bacio sulla guancia. Erano sotto gli
occhi di
tutti.
“Dov’è la stanza dei quadri?”
gli
chiese. Lui si incamminò facendole cenno di stargli vicino.
“È giù nei sotterranei. Dobbiamo
chiamare un folletto e andarci con il carrello. Intanto spostiamo il
tuo
denaro?” La ragazza annuì.
Avrebbero spostato il denaro che lei
si guadagnava. Aveva fatto un calcolo approssimativo dei suoi risparmi.
Ma
aveva tenuto in difetto il conto, così che suo padre non
potesse reclamare
niente. Il primo giro lo finirono alla camera blindata del signor
Gustav
Parkinson.
Pansy riempì a malincuore la borsetta,
ampliata con un Incantesimo di Estensione Irriconoscibile, con suoi
galeoni. Le
sembrava di tradire la sua famiglia. Ma sapeva che era il primo passo
verso
l’essere indipendenti. Indipendenti davvero. Poi
tornò sul carrello, Blaise
dovette capire quanto fosse difficile per lei, perché le
mise un braccio sulle
spalle e la baciò sulla testa. Si asciugò una
lacrima di nascosto.
Tornarono verso la superficie. La sua
nuova camera blindata era meno preziosa, quindi con meno sistemi di
sicurezza
magica. Svuotò la borsetta direttamente sul pavimento.
Merlino. Sembrava ancora
più vuota di quando era entrata. Si chinò e prese
qualche moneta che infilò in
tasca. Poi, sorridendo, tornò verso il carrello. Il moro
l’aspettava fuori
dalla porta.
“E ora? Dove andiamo?” chiese il
folletto.
“Alla cantina dei quadri, Lookuoi.
Dobbiamo controllare delle cose”. Il folletto
annuì e fece ripartire il
carrello. Quando si fermò e loro scesero, Blaise gli disse
che poteva andare.
“E come facciamo a tornare su, dopo?”
chiese Pansy. Non conosceva molto bene le procedure bancarie, lei.
Il folletto si allungò verso di lei e
le diede un campanello d’argento. “Può
suonare questo campanello, signorina.
Uno di noi folletti verrà subito a prenderla”. Lei
sorrise.
“Fantastico. Grazie mille.”
Blaise tirò fuori dalla
tasca la
chiave della cantina e la infilò nella serratura. Mentre
questa scattava,
Lookuoi il folletto partiva verso la superficie con il carrello.
Aprì la porta
e con la bacchetta accese una lanterna.
Imprecò quando vide i quadri. Saranno
stati un migliaio. Tutti accatastati l’uno contro
l’altro, in piedi, sul
pavimento. La stanza era enorme. Sentì Pansy sospirare.
“Sei sicuro che siano qui, almeno,
vero?” Lui alzò le spalle. Lo sperava.
“Brittany dice che il signor Harris ha
spostato i quadri che erano nel suo ufficio, il giorno prima di
sparire. E dice
che uno dei folletti l’ha visto uscire da qui, quel giorno.
Quindi, no, non
sono sicuro. Ma è il primo posto dove possiamo cercare.
Altrimenti dovremo
trovare un altro modo”. Pansy annuì poi si
voltò verso di lui.
“Chi è Brittany?” Lui rise.
“La tua Brianna”. La bocca di lei
divenne un cerchio.
“Oh”. E ridacchiò. Avrebbe voluto
baciarla. Ma se avesse iniziato, non avrebbero finito con i quadri e
lui voleva
godersi il momento con lei in tutta tranquillità.
La sera prima le aveva spiegato
brevemente quello che doveva fare. Il signor Harris era scappato dalla
Gringott
improvvisamente e non si era più fatto vivo. Ormai era
passato un mese. Non si
capiva cosa fosse successo.
Così avevano mandato Blaise per
indagare. All’inizio avevano pensato a un rapimento, al
Ministero, ma poi
nessuno aveva fatto richieste di riscatto. E se lui si era preso la
briga di sistemare
le cose nel suo ufficio, prima di andarsene, se n’era andato
di sua volontà.
“Ok, allora hai detto tre quadri: un
cacciatore che squarta un cervo, una matrona del diciannovesimo secolo
vestita
di giallo, e un paesaggio di campagna. Giusto?” Pansy annuì ancora.
“Bravo, hai fatto i
compiti.”
Pansy si avvicinò alla prima pila di quadri
e tirò fuori la bacchetta.
“Come procediamo?”
Lei scosse le spalle. “Io di qua e tu
di lì? Se incontri qualcosa che si avvicina alla
descrizione, mi chiami e
vediamo. Ok?” Lui annuì.
Pansy fece sparire la polvere dal
primo quadro per vedere di cosa si trattasse: dame a un ballo. Niente.
Lo guidò
con la bacchetta fino a un angolo vuoto e guardò il secondo.
Al quarto era già
stufa. Certi artisti non dovrebbero avere libero accesso alle tele e ai
colori.
Blaise agitò la
bacchetta e tolse la
polvere da un altro quadro. Sentì Pansy tossire quando un
quadro troppo
impolverato venne scosso, ma poi lei stette zitta un attimo e gli
chiese: “Dici
che avrà fatto un incantesimo per la polvere?”
Il ragazzo si voltò verso di lei.
“La polvere?”
“Sì, per far sembrare che i quadri che
ha portato per ultimi siano qui da più tempo.
Cioè, io l’avrei fatto. Li avrei
nascosti in mezzo agli altri e avrei lanciato un incantesimo
impolverante”.
Alzò una spalla.
Merlino, aveva ragione. Blaise si
spostò lungo le file di quadri, per vedere se ci fosse
qualcosa di strano.
“Ehi, non ti ho detto di girare a caso! Non dovremmo seguire
una logica?” Lui si
portò un dito alle labbra per dirle di stare zitta e
sorrise.
“Forse so come fare presto. Guarda!”
Alzò la bacchetta verso i quadri e la fece scorrere
indicando il pavimento
mentre formulava: “Finitem incantem!”
Dal centro della stanza si alzò una
nuvola di polvere che sparì. Si voltò verso di
lei e vide che sorrideva.
“Grande!” Alzò una mano per battere la
sua, ma Blaise la prese e la tirò verso di sé,
abbracciandola.
“Io direi che mi merito di più.”
Lei rise e gli cinse il collo con
ancora la bacchetta in mano. “Ma se ti ho dato io
l’idea!”
“Allora ce lo meritiamo tutti e due”.
E la baciò. Lei rispose al suo bacio e Blaise la spinse
contro il muro in uno
dei pochi angoli liberi.
Quando Pansy sentì le
mani di Blaise
sulle natiche e la sua imprecazione sui suoi pantaloni, rise e lo
scostò da lei.
Oh, che penasse un po’ anche lui, come aveva penato lei!
“Prendiamo quei quadri, va. Così li
portiamo su” disse accogliendo la bacchetta da terra.
Si avvicinò alla fila dove si era
volatilizzata la polvere e spostò mano a mano tutti i quadri
che incontrava al
suo passaggio.
Blaise rimase un attimo indietro.
Se
non si fosse allontanata lei, forse avrebbe fatto la sciocchezza di non
fermarsi. Si sistemò i pantaloni e la raggiunse, mentre
spostava l’ultimo
quadro.
Una signora di mezza età molto in
carne con una cuffietta gialla gridò quando lo vide e
sparì sotto la cornice
del quadro. Oh. Cos’era successo?
Pansy ridacchiò piano. “Mi sa che
l’hai svegliata…”
“Io? L’hai svegliata tu!” Lei
alzò una
spalla, chinandosi a prendere il quadro.
“Forse. Ma tu l’hai spaventata”.
Annuì.
“È questo, comunque”. Meno uno.
Pansy tirò fuori la bacchetta e lo
fece volare vicino alla porta.
Ok, uno lo avevano trovato. Quel
posto
puzzava di muffa. Era fastidioso, Pansy sperava di non doverci mettere
ancora
tanto tempo. Blaise intanto spostò i quadri lungo la fila
vicina e le fece cenno.
“Dovremmo esserci. Vieni a vedere se è
uno di questi.”
Pansy si avvicinò.
Ne spostarono altri due e poi, lì
dietro agli altri comparve il quadro con il cacciatore che squartava il
cervo.
Si voltò. Non era mai riuscita a guardarlo.
Lui fu velocissimo e lo spedì vicino
all’altro. Lo ringraziò con un sorriso.
Meno due. Rimaneva il terzo.
Cos’è che
era? Un paesaggio di campagna. Forse poteva essere più
difficile. I paesaggi si
assomigliavano un po’ tutti. Iniziò a spostare i
quadri nella fila vicino e
Pansy lo aiutò. Passarono un sacco di quadri lentamente,
perché lei non si
ricordava con precisione come fosse il quadro.
Pansy era stanca. C’era
poca luce, le
lanterne non facevano il loro lavoro e lei aveva gli occhi
pesantissimi. Si
sedette per terra e illuminò la bacchetta per vederci
meglio. “Sei stanca?” le
chiese Blaise.
“Un po’…”
“Vuoi fare una pausa?” Scosse il capo.
“No. Non vedo l’ora di finire”. Lui
annuì mentre spostava un altro quadro.
“Dopo ti porto a pranzo.”
Lei sospirò
così forte che Blaise la
guardò. Pansy alzò lo sguardo su di lui e disse
sottovoce: “Daphne mi ha
invitato a pranzo a casa sua…”
Annuì. Gli aveva raccontato della
litigata con Daphne. Per quanto a lui non stesse particolarmente
simpatica,
visto che lo voleva lontano da Pansy, sapeva che loro erano amiche. E
Pansy ci
teneva. Nonostante tutto. E ci soffriva.
“Potresti andarci…”
Pansy alzò una spalla. “Ancora non lo
so. E poi oggi pomeriggio ho appuntamento con lo psicomago, per via
della
sospensione”. Lui annuì. Di sicuro non avrebbe
insistito.
La ragazza spostò il quadro successivo
e spalancò gli occhi, sorpresa. Si alzò in piedi
velocemente e fece un passo
indietro. Blaise, che la stava guardando, si voltò a
guardare il quadro. Cosa
aveva di particolare da farle avere quella reazione? Non era niente di
speciale:
un ragazzo dormiva sotto un albero. Intorno a lui c’erano un
frutteto, un campo
coltivato con delle spighe e in lontananza un boschetto. Lo
guardò ancora.
Alla fine si voltò verso Pansy perché
non riusciva a capire. Lei si portò il dito alle labbra come
aveva fatto lui
qualche tempo prima e fece apparire uno straccio coprente che
lasciò cadere sul
quadro.
“Prendilo. È questo.”
Senza dire niente, fece quello che gli
aveva detto.
Quando furono di nuovo
nell’ufficio,
gli chiese se potesse far portare del tè. Blaise la
guardò stranito ma annuì.
Chiamò uno dei suoi elfi e gli ordinò quanto
richiesto. Appoggiarono i quadri
al pavimento e lei lo bloccò quando fece il gesto di
riappenderli al muro.
Pansy lo fermò quando
tentò di
scoprire il quadro.
“Rispiegami un attimo il lavoro che
fai.”
Blaise alzò le sopracciglia. Oh, per
Salazar! C’era qualcosa che non gli stava dicendo.
Lui sospirò e lei incrociò le braccia
al petto. Quando capì che non avrebbe parlato,
continuò: “Dimmi che non stai
facendo delle indagini anche per il San Mungo”. Lui
aprì la bocca e sgranò gli
occhi sorpreso.
“Certo che no!” Poi però la
guardò in
una maniera strana.
Ma perché Pansy gli
faceva quella
domanda? “Perché?”
Lei tirò fuori la bacchetta e per un
attimo pensò che la usasse su di lui. Fece un incantesimo
non verbale ai quadri
coperti dallo straccio e disse: “Il quadro del paesaggio di
campagna… Dove
c’era il tipo che dormiva… Era appeso
qui…” Si fermò.
Lui mosse la testa per farla
continuare e lei sospirò. “Il tipo che dormiva non
lo avevo mai visto. Non qui”.
E dov’è che l’aveva visto?
“E dove l’hai visto? Al San Mungo?”
Lei annuì lentamente. Merlino. Era una coincidenza o una
complicazione? “Al San
Mungo dove?”
“Nel quadro del mio
ufficio.”
Santo Merlino!
L’elfo si
materializzò e portò un
vassoio con del tè e dei pasticcini. Pansy si sedette,
versò il tè in due tazze
e gli fece cenno di sedersi.
“Dobbiamo parlare”. Lui annuì e
sospirando
prese un pasticcino.
“Ti ho detto che ho mandato un gufo
alla Weasley?” Blaise sospirò.
“Sarà una lunga chiacchierata, eh?”
***
“Ho detto che ti avrei
portato a cena,
e ti porterò a cena.”
Blaise cercò di essere irremovibile.
Pansy rise, di lui, e disse che preferiva mangiare una pizza a casa,
sul
divano. Sbuffò.
Sua madre gli aveva sempre detto che
quando avesse incontrato la donna della sua vita avrebbe dovuto
offrirle una
cena prima di passare la notte con lei. Non gli era mai venuto in
mente, prima.
Ma ora…
Pansy rise di nuovo. “Perché fai
quella faccia?" Blaise scosse la testa. “Dai, prometto che
andremo a cena,
ma stasera sono stanca”. Lei fece quella faccia da cucciolo
di unicorno.
L’aveva vista un sacco di volte anche a Hogwarts, ma doveva
essersi
specializzata nel frattempo, perché non riuscì a
dirle di no. Sospirò.
“Va bene. Vada per la pizza”. Lei si
mise in punta di piedi e gli circondò il collo con le
braccia.
“Da te o da me?” chiese prima di
stampagli un bacio sulle labbra.
“Dove vuoi.”
“Ok. Andiamo a prendere la pizza, poi
ti porterò dove voglio io”. Blaise le
circondò la vita e intrecciò le mani
sulla sua schiena. Era così minuta, lei.
“E poi?”
“E poi farò di te ciò che
voglio!”
Sorrise ancora e disse qualcosa che lui non capì.
“Come? In che senso
‘discreto’?” Pansy
rise forte e scosse il capo.
“Niente niente. Andiamo via.”
Uscirono dalla Gringott e si
incamminarono per le strade di Londra.
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Capitolo 4 *** Il matrimonio ***
Il matrimonio
-
Quel sabato il cielo era terso. Il
sole brillava filtrando dalle serrande nella camera di Blaise e lui si
svegliò
passandosi una mano sul viso. I raggi del sole colpivano proprio il suo
cuscino.
Si ricordò di non aver tirato le cortine del letto la sera
prima. E poi si
ricordò perché.
Guardò verso l’altro lato del letto e
vide la figura di Pansy che dormiva sul fianco, la testa sul cuscino e
i
capelli sparpagliati, un braccio sul suo petto e la mano sul suo cuore.
Gliela
prese e le baciò le dita.
“Pansy…” la chiamò per
svegliarla. Ma
lei non si mosse neanche. Sapeva che era una dormigliona.
Scostò appena la
coperta. Era nuda. Si avvicinò a lei, per far aderire i loro
corpi. Lei
mugugnò.
Sorrise. Le sfiorò il fianco con le
dita, per farle il solletico. Lei aprì appena gli occhi e
poi li spalancò.
“Merlino, un altro sogno?” Si
inginocchiò coprendosi con la coperta. Lui si
stranì.
Pansy si agitò e si
tirò su mentre si
guardava intorno. No. Non era un sogno, stavolta. Ed era nella stanza
di
Blaise. Nuda, con lui. Anche lui sembrava nudo. Sorrise e
sospirò.
“No. Non è un sogno.”
“Un sogno?”
“Io ti ho sognato…” disse lei prima di
rendersene conto. Blaise ghignò.
“Davvero?” Alzò anche un sopracciglio.
“E dimmi: cosa hai sognato?” Si girò
sulla schiena, gongolando e le accarezzò
la pelle lasciata scoperta dal lenzuolo.
Un brivido la scosse e lui sorrise
sornione. Si avvicinò per baciarlo.
“Ho sognato che baciavi Draco.”
COSA? Blaise si tirò su
di colpo e sbatté
la testa contro la sua spalla. Lei ridacchiò e lo spinse
ancora sul materasso,
prima di mettersi a cavalcioni su di lui. Era calda. Era bella. Era
sua. SUA.
“A che ora siamo attesi da tua madre?”
MERLINO, LA MAMMA!
“È sabato?” Lei annuì
sorridendo.
“Quel sabato?” chiese ancora mentre lei faceva
cadere il lenzuolo, mostrandosi.
Gli si seccò la bocca, mentre lei annuiva
ancora e si chinava su di lui. Quando fu abbastanza vicina da baciarlo,
disse: “Dove
fai colazione di solito, il sabato mattina?” Poi la sua
espressione cambiò e si
ritirò su di colpo, ricoprendosi e imprecando.
“Merlino! Quante ne hai portate qui?”
Ma la domanda non era per lui. Non era per nessuno. Si
guardò intorno
velocemente e si passò una mano fra i capelli. Poi
guardò il lenzuolo e,
probabilmente, rendendosi conto che era quello del suo letto, lo
lasciò andare.
Scese giù dal materasso e cercò i suoi vestiti.
MERLINO! Pansy stava scappando.
Pansy non riusciva a capire dove
fossero i suoi vestiti. Dovevano essere lì. Per forza.
Girò intorno al letto,
ma non li vide.
“Pansy, Pansy. Aspetta, non scappare”.
Lei si voltò verso di lui. Era sceso dal letto anche Blaise,
adesso. Non riuscì
a non guardarlo. Le spalle, il petto. Merlino. Si impose di non lasciar
scendere lo sguardo più giù e si
voltò.
“Non sto scappando” mentì,
“voglio
solo andare a casa a prepararmi”.
“Aspetta.”
Le prese la mano e intrecciò le dita
con le sue. Lei guardò le loro mani, ma non
riuscì ad alzare lo sguardo sul suo
viso. “Nessuna è venuta qui. Te lo
giuro”.
“Non mi mentire. È peggio”. Voglio solo andare a casa a prepararmi.
Ma si rese conto di non essere riuscita a dirlo. Forse
perché non era vero. Il
ragazzo la strattonò finche non si voltò verso di
lui.
“Ti ho detto la verità. Nessuna”. Lei
annuì, abbassando gli occhi. “Adesso torna a letto
con me”.
Sembrava un ordine. Un ordine? Ehi!
Nessuno le dava ordini!
“Verrò a letto quando vorrò
io.”
Blaise sorrise e la tirò
verso di sé.
La baciò finché lei non si
tranquillizzò e l’accarezzò
finché non riuscì più a
reggersi sulle gambe. Fece appena un passo e lei cadde sulla coperta.
Pansy sbuffò
sorridendo.
“Hai vinto tu.”
Sì, sorrise anche lui, aveva vinto
davvero.
***
“Ah, mi sono scordato di
dirti una
cosa.”
Uh. Non era un buon inizio. Pansy
guardò Blaise mentre il portone di casa di sua madre si
apriva per farli
entrare.
“Mia madre conosce la tua”. Oh,
Merlino! Però non l’aveva invitata, giusto? Non
avrebbe dovuto passare il
pomeriggio con sua madre. Vero? VERO?
“Non è qui, vero?” Lui fece una faccia
strana.
“No. Perché dovrebbe?” Pansy scosse le
spalle.
“Non si sa mai.”
Blaise fece entrare Pansy nella
casa
in cui era cresciuto. Era la prima volta che lei ci metteva piede. La
vide
guardarsi intorno con curiosità. Dollylee li accolse sulla
porta. Salutò con un
inchino e grande referenza sia lui che la ragazza che aveva a fianco.
“Sua madre si sta preparando. Dice di
andare in giardino a prendere un bicchiere di vino.”
Si voltò in direzione del giardino e
mise una mano sulle reni di Pansy per accompagnarla.
“La signorina, invece, può salire
nella camera della signora”. Pansy lo guardò
alzando un sopracciglio.
Perché sua madre voleva che lei
andasse su da sola? Non prometteva niente di buono. Rafforzò
la stretta su di
lei e aprì la bocca: “Di’ a mia madre
che…”
“Che salgo subito. E intanto
ringraziala per l’invito, per cortesia”. Pansy si
staccò da lui. No. Cosa
faceva? Doveva rimanergli vicino. Dollylee si smaterializzò
per avvisare la
padrona.
“No.”
“Non c’è problema”.
Aspettarono che
l’elfa si materializzasse di nuovo e Pansy le disse:
“Fammi strada”.
Mentre seguiva l’elfa su
per le scale,
Pansy, si chiese cosa le avesse preso. Perché stava andando
dalla madre di
Blaise? Un passo dopo l’altro si ritrovò davanti a
una doppia porta bianca da
cui provenivano voci concitate e rumori vari. Sospirò.
L’elfa entrò e la sentì dire alla
‘signora’ che lei stava entrando. Non la
chiamò per nome. Effettivamente non si
era presentata. Avanzò oltre l’uscio e fece il suo
ingresso.
La stanza era enorme. Molto più grande
della stanza padronale a casa dei suoi genitori. Per un attimo si
impressionò.
“Buongiorno, l’elfa mi ha
detto…” Una
signora con un vestito color avorio era girata verso di lei e le
sorrideva
affettatamente. Meraviglioso, iniziamo
bene.
“Cara! Devi essere l’amichetta di
Blaise. Vieni entra pure. Fai come se fossi a casa tua!” Amichetta? Oh, Merlino!
Althea le andò incontro.
Blaise era
stato bravo. La ragazza era a modo e il suo vestito era appropriato.
Lei era
appropriata. Sperò solo che non parlasse troppo o facesse
cose strane.
Miranda, la figlia di Hector la
sgridò. “Althea! ‘Amichetta’?
Su, dai, non ha cinque anni. Vieni, cara, non
fare caso a questa sposa un po’ troppo
agitata…” Vide la strega andarle
incontro e la ragazza sorriderle.
“Sono Miranda la figlia di Hector, lo
sposo.”
“Piacere di conoscerti, io sono Pansy,
Pansy Par…”
Althea sbarrò gli occhi ed esclamò
prima di rendersene conto: “Pansy Parkinson?” La
ragazza la guardò come sotto
effetto di una confundus.
“Sì, signora…” Althea sorrise
davvero.
Oh, non vedeva l’ora di conoscerla e ora eccola
lì. Possibile che suo figlio
l’avesse fatto apposta? La osservò: non era
brutta. Blaise aveva ragione. Era
molto carina. Sorrise ancora.
Pansy continuò a
guardare la madre di
Blaise in maniera strana. Lui le aveva parlato di lei? E
perché la strega aveva
usato quel tono? Miranda le disse sottovoce: “Non fare caso a
lei. Oggi è un
po’ nervosa, giustamente. Vieni a prendere un bicchiere di
vino, tu che puoi…”
E con la mano si accarezzò la pancia.
Ma erano tutte incinte, negli ultimi
tempi? Annuì e si allungò a prendere un bicchiere
di vino. Miranda le fece
cenno di sedersi, mentre aiutava la sposa a sistemarsi. Non sapeva cosa
dire. O
cosa fare. Si guardò intorno: sulla cassettiera vide delle
foto incorniciate.
Invece di sedersi si avvicinò al comò.
Cercò di guardare le foto senza farsi
notare. Blaise. Blaise dappertutto. Da bambino. Da ragazzino. Da uomo.
Sorrise.
Non erano foto come quelle che sua madre esibiva in salotto. Le foto in
cui la
obbligavano a vestirsi bene e sorridere. (Ne aveva anche una in cui
l’avevano
obbligata a fare dei passi di danza!) Erano foto normali. Foto con la
madre. Forse
Miranda l’aveva chiamata Althea? Oh, com’era carino
Blaise! E una foto con
Narcissa e Draco. Altre foto, con Blaise un po’
più grande, e un’altra, durante
quello che sembrava l’ultimo anno di Hogwarts.
Sospirò e si voltò verso le streghe,
che la stavano guardando. Miranda le sorrise. Althea invece la guardava
pensierosa.
Bevve il vino tutto d’un sorso. Poi
sorrise.
Blaise era in giardino e guardava
la
finestra della camera di sua madre. Beveva vino e contemplava il vetro
della finestra.
Non si vedeva niente.
“Non la mangerà. Stamattina ha già
fatto colazione.”
Si voltò. Hector era una gran brava
persona. E poi sopportava sua madre. Aveva una pazienza infinita.
“Giuramelo”. Il mago sorrise e prese
un bicchiere di vino. Hector era rimasto vedovo anni prima. E a lui
faceva
veramente piacere che sposasse sua madre.
Finché lei non lo aveva obbligato a
portare una ragazza al matrimonio. Per fortuna era riuscito a
convincere Pansy.
Sarebbe andato tutto bene. Guardò ancora la finestra.
“Voleva solo essere sicura. Ci sono
parecchie tue zie, oggi. Ha paura di fare brutta figura”.
Alzò le spalle.
“Poteva evitare di obbligarmi a
portare qualcuno.”
“Non voleva che scappassi via al primo
E tu sei da solo? Niente ragazza?”
Sorrise. Le sue zie lo dicevano a ogni festività.
All’ultimo matrimonio zia Blanche gli
aveva chiesto: ‘E tu? Sarai il prossimo?’, con un
tono talmente derisorio che
lui le aveva detto che le avrebbe fatto la stessa domanda al funerale
successivo. Lei era andata via un po’ sostenuta, ma non gli
aveva più fatto
battutine.
Guardò ancora la finestra.
“Stanno arrivando!” Si girò di nuovo
verso Hector che si dileguava e andava a prendere posto lungo il
tappeto.
Guardò l’ingresso del giardino. Sua
madre stava arrivando.
***
“È stato
bello.”
“Grazie!” Blaise sorrise sornione.
Pansy rise e gli diede uno schiaffetto sul braccio.
“Troll, intendevo assistere alla
cerimonia.”
“Oh, deve ancora venire la parte
migliore”. Lei lo guardò stranita.
“Ossia?”
“Questo”, e con il braccio teso e la
mano aperta indicò i tavoli.
Pansy si guardò intorno. I parenti di
Hector, lo sposo, erano una manciata, mentre i parenti di Blaise erano
almeno
sette squadre di Quidditch.
Miranda la salutò dal suo posto,
vicino al marito. Ricambiò il saluto con un sorriso. Hector
non era male. Si
era presentato subito dopo la cerimonia e le aveva fatto qualche
complimento
d’altri tempi. Era un uomo delizioso. Lo osservò
prendere la mano della madre
di Blaise e baciarle il dorso con occhi affettuosi. Erano molto carini,
insieme.
Blaise osservò Pansy
guardarsi
intorno. Continuava a sorridere. Avrebbe dovuto trovare il modo per
tenere
lontano le sue zie. Soprattutto zia Blanche.
Appoggiò la mano
sullo schienale della sedia di
Pansy e si avvicinò un po’. “Dici che si
accorgeranno se sparissimo per un po’?”
Le appoggiò una mano sulla coscia e con il pollice le
accarezzò la pelle sotto
l’orlo della gonna. Lei si girò sorpresa.
“Penso proprio di sì, Blaise!” E gli
spostò la mano con un gesto fermo.
Sbuffò ridacchiando. “Ieri sera non
facevi così la preziosa…”
“IO la preziosa!” ridacchiò lei.
“E
poi ieri sera non eravamo in mezzo a tutta la tua famiglia.”
“Andiamo a casa dei tuoi?” Lei quasi
sputò il vino che stava bevendo.
“Dillo un’altra volta e ti lancio una
cruciatus!” Blaise rise.
Althea guardava i ragazzi da
lontano.
Blaise non aveva voluto sedersi al tavolo con loro. Né a
quello di Miranda. Ora
come avrebbe fatto a controllarli? A sentire quello che si dicevano?
Hector le prese la mano e la baciò. Si
girò verso di lui. Lui la guardava in quella maniera
così dolce.
“Lasciali stare.”
Sbuffò. Aveva capito subito. Lui la capiva
sempre subito.
***
La strega si alzò e
raggiunse il
tavolo dove era seduto Blaise.
“Sei da solo, tesoro?” Althea si
sedette vicino al figlio.
“Sì, mamma. Pansy è andata alla
toilette. O forse sta evitando zia Blanche.”
Althea sorrise.
Blanche Stuart era la sorella zitella
del suo terzo marito. Era insopportabile e maledettamente pettegola.
Aveva
avuto da dire con lei tante volte. Ma non aveva rifiutato
l’invito al
matrimonio. Nonostante Althea ci avesse sperato.
“È stato bello…” Il figlio le
strinse
la mano. Questo era il primo matrimonio a cui partecipava Blaise. Dopo
suo
padre, non si era più risposata. Sorrise pensando che
sarebbe stato l’ultimo.
“Così hai
portato Pansy Parkinson al mio matrimonio…”
“Mi hai obbligato a portare una
ragazza” rispose lui, alzando le spalle.
“Perché lei?”
“Perché no? È a posto. Non ti ha fatto
fare brutta figura”. La strega sbarrò gli occhi.
“Non è per questo che hai
voluto che salisse da te prima della cerimonia? Così potevi
valutare dove farla
sedere al banchetto?” Althea arrossì appena. Non
succedeva da quando Hector
l’aveva baciata per la prima volta.
Blaise aveva capito il giochetto di
sua madre quando li aveva invitati al tavolo degli sposi. Ma lui aveva
preferito sedersi da un’altra parte. Anche lontano dalla
figlia di Hector. Gli
aveva dato fastidio l’atteggiamento di sua madre e lei
dovette capirlo perché
annuì piano con il capo e gli lanciò
un’occhiata di scuse.
“Mi fa piacere che abbia passato il
tuo esame”. Sua madre sospirò.
“Però non mi avevi detto che avresti
portato lei.”
“Con tutto quello che pensavi di
sapere, avresti di sicuro fatto qualche sciocchezza.”
Non si parla così a un
genitore!
“E tu Blaise, hai fatto qualche
sciocchezza?” Lui la guardò negli occhi.
“Del tipo? Senti, mamma, non so perché
hai deciso che lei non ti piace…”
“Non ho detto che non mi piace!” lo
interruppe.
E scoprì che era vero. La ragazza le
piaceva. Era quello il problema. Aveva paura che lei li fregasse: tutti
e due.
“Tu stai solo attento.”
“È dieci anni che sto attento, mamma,
e guarda com’è andata!” Lui non la
guardò più e prese un altro pezzo di torta
dall’elfo che serviva. Sospirò e si
alzò.
Non voleva discutere con suo figlio. Anche
perché ‘qualche sciocchezza’
l’aveva fatta davvero. Tipo informarsi su Pansy. E
quello che aveva saputo…
Passò in mezzo ai tavoli e si fermò a
salutare tutti. Tutti davvero. Anche Blanche. Che malignamente le fece
notare
che la ragazza di Blaise era con i bambini. Lo disse con uno sguardo
disgustato. Già. Forse era una cosa sconveniente.
“I bambini?” Blanche, contenta di aver
ottenuto la sua attenzione, fece una strana smorfia con la bocca e
indicò il
giardino che dava sull’ala ovest della tenuta. Ma da
lì non si vedeva niente.
Avrebbe dovuto passare sul retro.
“Io andrei a controllare cosa combina
quella ragazza. Prima si era tolta le scarpe e correva con i bambini.
Oh, l’ho
vista solo io, per fortuna. Ma non è proprio una cosa da
fare!” Althea allargò
gli occhi sorpresa. Pansy correva scalza con i bambini? Blanche dovette
intuire
male la sua reazione perché ghignò crudelmente.
La odiò. Personalmente, non ci
vedeva nulla di male. E poi anche lei avrebbe gradito togliersi le
scarpe. Ma
non poteva farlo lì in mezzo al banchetto. Forse nel
giardino dell’ala ovest…
Le lanciò quello che sperò fosse uno
sguardo cattivo e si alzò dalla sedia vicino alla sua.
“Beh, sempre meglio così
che essere una chiacchierona che sa solo criticare quello che fanno gli
altri!”
“Ma… Althea…” Blanche
arrossì e
balbettò finché poi chiuse la bocca. E non le
aveva neanche detto tutto quello
che le andava detto! Non voleva rovinarsi il matrimonio. Si
alzò e andò verso
il giardino dell’ala ovest. Era comunque meglio dare
un’occhiata.
Quando girò l’angolo della casa vide
che i bambini invitati al matrimonio, una decina forse, fra nipoti e
pronipoti,
correvano sul prato. Ma non vide Pansy fra loro. Osservò
meglio e la vide
seduta su un plaid a gambe incrociate mentre toccava la testa di una
bambina.
Si avvicinò e capì che le stava pettinando i
capelli in due trecce. Muoveva le
mani in maniera esperta e veloce. Intrecciò nastri e fiori e
alla fine le disse:
“Ecco, vai pure”.
La bambina sorrise e ringraziò, poi
scappò via.
“Avresti potuto usare la magia.”
Quando Althea le rivolse la parola,
si
spaventò, perché non l’aveva vista
arrivare.
Pansy cercò di rialzarsi in piedi
velocemente ma la strega le fece cenno di rimanere seduta. Con sua
grande
sorpresa, si sedette vicino a lei. Era un po’ imbarazzata.
“Dicevo, che con la magia avresti
fatto prima”. Pansy sorrise.
“I bambini hanno bisogno di contatto fisico.
Li fa crescere più forti”. Lei alzò un
sopracciglio, incredula.
“Davvero? L’hai
notato nel tuo lavoro?”
Il sorriso della ragazza
sparì e
guardò da un’altra parte.
“Sì”.
Aveva toccato un brutto tasto. E lo
sapeva.
Si era informata su di lei. Doveva. E
sapeva che aveva un guaio al lavoro, anche se non era riuscita a sapere
bene
cosa fosse successo. Era una di quelle ragazze a cui i genitori hanno
comprato
un titolo di studio per tenerla impegnata fino a quando non si fosse
sposata?
Ancora non l’aveva inquadrata. Sperò che lo
scandalo non fosse troppo grande e
non tirasse in mezzo Blaise.
In quel momento si avvicinò una
bambina che le disse: “Pansy, la mia mamma vuole che
trasfiguri il nastro verde
acqua in uno rosa…”
Pansy la guardò stranita. “Hai detto
che il verde acqua è il tuo colore
preferito…” La piccola si morse il labbro e
si guardò il piede.
“La mamma vuole che si intoni con il
mio vestito…” La bambina era veramente triste,
probabilmente non voleva
cambiare il colore al nastro, che si accarezzava inconsapevolmente.
“Ho paura di non essere in grado di
farlo. Puoi andare a dire alla tua mamma che non sono capace di
cambiargli colore?”
La bambina sorrise. “Posso tenerlo
verde?”
Althea annuì le le disse: “Secondo me
è molto più bello verde”. La bambina si
girò verso di lei. “Di’ alla tua mamma
che ti ha detto la sposa che devi tenerlo verde!” La piccola
la guardò ancora,
dubbiosa, ma annuì e scappò via.
“Perché le hai detto di non essere
capace?” Non le sembrava totalmente inetta con la bacchetta.
“Così non la sgriderà.”
“Magari si arrabbierà con te”. La
ragazza alzò una spalla.
“Non la vedrò mai più, probabilmente.
Me ne farò una ragione. Lei, invece”
continuò indicando la bambina, “dovrà
conviverci un altro po’. Certe mamme fanno più
danni che…” Pansy parlò e poi si
zittì da sola con la mano sulla bocca. “Mi scusi,
io non…” Althea non poté fare
a meno di ridere.
“Tua madre è venuta a casa mia.”
Il suo viso si adombrò e sgranò gli
occhi, imprecando sottovoce.
Lei non lo sapeva. Ne fu contenta.
“Per Salazar, mi dica che
non le ha proposto
un fidanzamento!” Pansy non aveva capito che sua madre fosse
andata da Althea
davvero. Sperava che il tutto fosse solo nella sua mente.
Quando la strega annuì sospirò. “Oh,
mi dispiace. Davvero”, sospirò ancora. Ecco
perché aveva voluto vederla, prima.
“Deve aver pensato che fossi storpia o
qualcosa del genere…”
“Ho pensato che tu fossi incinta”.
MERLINO! Avrebbe dovuto iniziare a tenere rinchiusa sua madre. Scosse
la testa
sconsolata.
“Non ho intenzione di proporre a
Blaise un fidanzamento combinato. Non si preoccupi”.
Pensò di rassicurarla.
“Non vuoi perché è brutto?”
“Blaise non è brutto!” si
indignò. La
strega rise e la guardò beffarda. O Santo Salazar!
Sentì le guance andare a
fuoco. Sperava che sua madre non avesse tirato in ballo la storia del
‘lui è
discreto’. Si alzò in piedi.
“Quindi non sei interessata a un
fidanzamento con mio figlio?” Si alzò in piedi
anche la madre di Blaise. Era
una domanda tosta. Erano tre giorni che si frequentavano. Beh erano
più di
dieci anni, ma ora era diverso.
“Non posso ancora rispondere a questa
domanda.”
Althea annuì.
“Apprezzo la tua sincerità.
Posso essere sincera anch’io?” Le sorrise sperando
di riuscire a farle capire
il suo stato d’animo. La ragazza annuì senza dire
niente. “Preferirei che mio
figlio non fosse coinvolto con qualcuno che ha delle questioni
così importanti
in sospeso”.
Pansy sarebbe riuscita a reggere
quel
colpo benissimo. Benissimo se fosse stato una cruciatus. E invece era
stato peggio.
Annuì e basta. Lei sapeva della sospensione al San Mungo. Si
chinò a prendere
le scarpe. Era ora di andare a casa.
“Pansy!” Blaise
la chiamò appena la
vide. Era vicino a sua madre. E lei aveva una gran brutta faccia. Che
era
successo? Ma in quel momento non poteva chiedere.
“Pansy, devi venire subito!”
“Che succede, Blaise?” Sua madre
glielo chiese mentre Pansy rimase zitta.
“Pansy, devi venire in salotto. Ci
sono delle persone che vogliono vederti. È una cosa
importante. Riguarda… Il
San Mungo”. Cercò di spiegarle con lo sguardo
l’importanza della cosa, ma la
sua faccia era atterrita. Si avvicinò e le prese la mano.
“Vieni”.
Lei alzò gli occhi su di lui e disse:
“Ci vado da sola. Resta qui, tu”. Come? Lei
scrollò la sua mano e si incamminò
verso l’ingresso.
Blaise si voltò verso sua madre. Era
stata lei? Cosa le aveva detto? Perché Pansy, prima
sorridente e solare, adesso
aveva quella brutta faccia sconsolata?
“Cosa le hai detto?”
“Io?” Sua madre lo guardò stranita. Ma
non abbastanza. Doveva essersi resa conto di quello che aveva fatto.
“Sì, tu, cosa le hai detto? Merlino,
mamma, se mi lascia non te lo perdonerò mai!” Sua
madre strabuzzò gli occhi.
“Io non le ho detto niente. Ho solo
accennato al fatto che non mi farebbe piacere che tu rimanessi
coinvolto in uno
scandalo più grosso di te.”
“Scandalo?”
“Sì, ho preso informazioni. Non sai
cosa ha fatto quella ragazza.”
“Sì, che so cosa è successo. Pensi che
non me lo abbia raccontato?” Si avvicinò e le
disse sottovoce: “Lei è la donna
che porterò a cena”. Sperò che sua
madre capisse.
Lei annuì. “Allora dovresti
raggiungerla”. Blaise si voltò verso la casa e poi
tornò a guardare sua madre.
“Dovresti venire con me. Potresti
scoprire che in fin dei conti è una persona meravigliosa e
non quello che pensi
tu.”
Althea annuì gravemente.
Non si era
sentita una bella persona quando le aveva detto quella frase, ma lei
doveva
proteggere suo figlio. Però suo figlio voleva la ragazza,
scandalo o non
scandalo.
“Mamma non credere a ciò che si dice
in giro. Se avessi dovuto credere a tutto ciò che sentivo su
di te…” Lei annuì
ancora.
O Santo Salazar, aveva ragione. E suo
figlio era grande abbastanza da decidere cosa fare e con chi stare.
L’unica cosa che poteva fare lei era
dargli il suo appoggio o negarglielo.
“Andiamo.”
***
Hermione si guardava intorno in
quel
salotto. Ginny camminava avanti e indietro nervosamente. Non le faceva
bene.
Erano tre giorni che era in quello stato.
Ma la capiva. Si pentì di non averle
dato retta prima.
Sospirò e guardò verso la porta che si
stava aprendo: la Parkinson era arrivata.
Pansy avanzò cautamente
nella stanza.
Ci aveva messo un’eternità ad arrivare. Voleva
schiarirsi le idee prima di
affrontare chiunque si fosse trovato davanti. Pensava che il Ministero
fosse
arrivato per portarla via e non voleva che Blaise potesse subire lo
scandalo di
un arresto in casa sua. Non durante il matrimonio di sua madre.
Ma quando entrò si trovò di fronte la
Granger. E la Weasley.
Non erano venuti per arrestarla. E
allora perché loro erano lì?
Blaise e sua madre entrarono in
soggiorno proprio mentre la strega rossa alzava gli occhi su Pansy. Si
avvicinò
a lei a passo veloce e pesante e gridò qualcosa. Cosa stava
succedendo?
Althea guardò quella
strana situazione
con occhi estranei. Non sapeva chi fossero quelle ragazze.
Sì, beh, le aveva
viste, salvatrici del mondo magico anni prima, forse. Quando la ragazza
rossa
si avvicinò a Pansy con in mano una pergamena,
pensò che le saltasse addosso,
ma si fermò di fronte a lei.
E Pansy non si mosse di un millimetro.
Apprezzò tanto quell’atteggiamento.
“Parkinson, Santo
Merlino, ti decidi a
scrivermi e mandi il gufo a casa di mia madre?”
Oh. Aveva sbagliato a scrivere la
pergamena?
La sua faccia dovette parlare da sola
in quanto si avvicinò anche la Granger che le
spiegò: “Hai scritto il suo
cognome da nubile e il gufo l’ha portata alla Tana, a casa
dei suoi. Se avessi
scritto il cognome giusto, lo avrebbe ricevuto a
casa…”
Ma la Weasley, no, la Potter, la
interruppe: “Lo avrei ricevuto prima! Mia madre non aveva
capito quanto fosse
importante e non me l’ha data subito!” Sbuffava e
starnazzava.
“Mi spiace. Scusami. Volete… sedervi?”
Si voltò verso Blaise per cercare approvazione: non era casa
sua. Lui si
avvicinò e annuì.
”Sì certo, chiamo
l’elfo…” lo sguardo
della Granger lo zittì. La piccola rossa sbatté
il piede per terra.
“Porco Merlino! Ma quale elfo! Abbiamo
poco tempo. Mio marito sta morendo!”
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Capitolo 5 *** Il ricordo di Ginny Weasley ***
05.Il ricordo di ginny Weasley
Il
ricordo di Ginny Weasley
Blaise vide Pansy girarsi verso la
Weasley
e andarle incontro.
“Ti ho già detto che mi dispiace, io
non posso più…” La Potter
sbuffò.
“Tu sei l’unica che può salvarlo. Devi
venire con noi al San Mungo!” Pansy scosse la testa.
“Non posso venire al San Mungo. Il
legalmago dice…” La rossa spalancò le
braccia e gridò ancora.
“Non mi interessa del legalmago! Mio
marito sta morendo! Perché nessuno lo capisce?”
Improvvisamente, così come era
scattata, la strega si accasciò sul divano e nascose il viso
fra le mani. Vide
la Granger andarle vicino per sussurrarle: “Ginny, Ginny,
calmati…”
Blaise vide sua madre fare qualche
passo e battere le mani. Dopo pochissimo Dollylee si
materializzò con un
vassoio e il tè.
Althea non aveva capito la
situazione,
ma sapeva come frenare un isterismo. Fece portare il tè e si
avvicinò alla
ragazza seduta sul divano che piangeva.
Mentre passava vicino a Pansy, lei si
riscosse e fece un passo verso il divano. “Grazie, signora
Za… no. Mi scusi.
Grazie”.
Le sorrise e le mise una mano sulla
spalla. “Chiamami Althea. Adesso risolviamo questa
cosa”. La ragazza annuì.
“Vuoi spiegarci dall’inizio
cos’è
successo?” Chiese la strega alla rossa, sedendosi sul divano
e distribuendo le
tazze. “Cos’è successo a tuo
marito?” Ginny sospirò e annuì.
“Harry è stato colpito da una maledizione
lunedì, durante una missione degli Auror. Sembrava non
avesse niente, ma poi ha
iniziato ad avere dei dolori strani. Quando siamo andati al San Mungo
ci hanno
mandato da te, Parkinson, ti ricordi? Al tuo reparto. Quello delle cose
strane…”
La ragazza sventolò la mano in aria e Pansy annuì.
“Lesioni da Maledizioni potenti e
devastanti.”
Althea si stupì. Quello era un reparto
speciale. Si occupavano di cose molto gravi e incantesimi potentissimi.
Se Pansy
lavorava lì prima di essere sospesa, doveva essere in gamba.
In quel reparto
non ci mettevano chiunque. La guardò di sottecchi mentre
parlava con la moglie
di Potter.
Potter il salvatore del mondo magico,
giusto? Cercò di stare attenta e prestare attenzione senza
dire niente.
Pansy se lo ricordava. Li aveva
visti
al reparto, ma lui stava bene. Non aveva niente. Lo aveva detto anche
Denys. L’aveva
mandato via dicendo che non doveva preoccuparsi. E invece era entrato
in uno
stato di morte apparente. Ma non dovuto a una pozione. Dovuto a una
maledizione. Che lei non aveva riconosciuto.
Passò un fazzoletto alla moglie di
Potter e Blaise si sedette su una delle poltrone dicendole di
continuare.
“Dicevi che non aveva niente e che
sarebbe dovuto andare al reparto di malattie magiche
generiche”. Annuì ancora.
“Ma poi…” La rossa sospirò.
‘Ma poi’
cosa? Non c’era un ‘ma poi’!
“Prima che prendessimo l’ascensore, ci hai
guardato andare via e ci hai richiamato”. Cosa? Non era
successo! Sgranò gli
occhi.
“Hai detto che Harry camminava in modo
strano e avresti preferito visitarlo.”
“Ma non è vero” si trovò a
dire. La
ragazza la guardò malissimo. La Granger, vicino a lei la
guardò curiosa.
“Certo che è vero. Pensi me lo sia
inventata? L’hai visitato e gli hai fatto delle domande su
come era stato
colpito. Quando lui ha spiegato, tu hai fatto una brutta faccia e ci
hai detto
di aspettare. Sei uscita e non tornavi
più…” Bevve un sorso di tè e
riprese il
racconto.
“Dopo un po’ mi sono preoccupata e
sono venuta a cercarti. Eri nel tuo ufficio, con il tipo che era con te
mentre
visitavi Harry e avete avuto una discussione. Vi ho visto dalla porta
socchiusa.”
Chi? Se non si ricordava di aver
visitato Potter, come faceva a ricordarsi chi c’era con lei?
“Poi hai urlato e lui ha tirato fuori
la bacchetta. Io non ho avuto la prontezza di entrare e
un’infermiera mi ha
sgridato quando mi ha visto lì. Ho tentato di spiegare
quello che stava succedendo,
ma poi voi siete usciti e lei non mi ha creduto. E
dopo…” Si voltò verso la
Granger. “Non mi ha più creduto nessuno. Il
mattino dopo Harry è svenuto e
siamo tornati al San Mungo. Ha iniziato a stare male e a contorcersi.
Poi,
martedì sera è iniziata la fase della morte
apparente, esattamente come avevi
detto tu”.
“Io?” Pansy si stupì di aver gridato.
La Weasley annuì ancora.
“Sì. Hai detto al tipo nel tuo ufficio
che se non aveste fatto niente, nel giro di due giorni Harry avrebbe
perso
conoscenza e non si sarebbe più risvegliato. E che dopo sei
giorni, forse otto,
visto che è messo bene, sarebbe morto. Ora, di giorni ne
sono passati quasi
cinque… Per favore, Parkinson, puoi venire al San Mungo a
salvare Harry?” Lei
la guardò stranita. Cioè la Weasley la stava
pregando? “Farò tutto quello che
vuoi…”
“Io non voglio niente. Ma non mi
ricordo di…”
“Scusate…”
Hermione pensò che non
stessero andando da nessuna parte, così. “Penso
che ti sia stato fatto un
Incantesimo Oblivion, Parkinson. Adesso, non so il perché o
come ci siano
riusciti, però, fatto sta, che stanno cercando di uccidere
Harry e dobbiamo
fare qualcosa.”
“Dici che volevano incastrare Pansy?”
le chiese Zabini. Scosse il capo.
“Non lo so. Magari si è solo trovata
tirata in mezzo per casualità. Però, a questo
punto, il mago che era con te è
quello che sta tirando le fila di questa commedia e dobbiamo fermarlo e
salvare
Harry. Giusto?”
“Tirare che cosa?” chiesero in coro
Zabini e sua madre. Già. I maghi non sapevano cosa fossero
le marionette.
“Scusate, è un detto babbano.”
Pansy si alzò in piedi.
“Ok, dobbiamo
trovare il modo per scoprire cos’ha Potter. Come…
si fa?” Si girò verso la
riccia ex grifondoro. “Granger… O come ti devo
chiamare… C’è una pozione o
qualcosa per farmi tornare un ricordo cancellato con
l’oblivion?” La Granger
scosse la testa.
“Ho mantenuto il mio cognome, dopo il
matrimonio. Comunque… potremmo
provare
con la pozione della memoria. Ma non è detto
che…”
“Sei capace di estrapolare il tuo
ricordo dalla testa? È una magia un po’
complessa…” Tutti si girarono verso
Althea, che beveva il tè con noncuranza, mentre si rivolgeva
alla moglie di
Potter.
“Io sono capace. Ma poi? Avete un
pensatoio?” La Granger, aveva rivolto a loro tre la domanda.
I pensatoi erano difficili da trovare.
Erano rari in quanto spesso sparivano insieme al proprietario, essendo
strettamente personali. Scosse la testa. Anche Blaise.
“Proviamo con la pozione” disse Pansy.
Althea si rabbuiò un
pochino. Ma come,
lei dava un suggerimento così importante e loro proponevano
una semplice
pozione? Che poi non si era neanche sicuri della riuscita della cosa.
“Io ho un pensatoio nello studio.”
“Davvero?” Blaise si girò verso di
lei. Lui non lo sapeva.
Glielo aveva lasciato Antonio prima di
morire. Ci aveva lasciato i suoi ricordi più belli di loro
due insieme. I primi
anni aveva praticamente vissuto lì dentro.
“Sì.”
La moglie del salvatore del mondo si
alzò in piedi.
“Possiamo farlo subito?” Althea annuì
e si alzò.
“Andiamo.”
Blaise continuò a guardarla stranito,
ma si incamminarono tutti e cinque verso lo studio.
Blaise aprì la porta
dello studio e la
tenne aperta per le signore. Quando la richiuse si guardò
intorno. Nessun
pensatoio. Infatti.
“Mamma?” si rivolse alla madre. Lei
tirò fuori la bacchetta e una libreria girò su
dei cardini magici. Mosse ancora
la bacchetta. Quello che sembrava un pesante piatto concavo di marmo
fece la
sua apparizione nella stanza segreta. Poi lentamente prese a muoversi
verso di
loro e si adagiò sulla scrivania.
“Tua madre è una grande!” gli
sussurrò
Pansy facendosi vicino a lui.
Blaise la guardò, ma lei continuava a
guardare il pensatoio. La Granger tirò fuori la sua
bacchetta.
“Ginny pensa intensamente a quel
giorno, a quel momento. E concentrati.”
La giovane strega chiuse gli occhi e
annuì. Quando la ex Grifondoro avvicinò la
bacchetta alla sua testa dicendo:
“Pronta?”, la rossa spalancò gli occhi e
disse: “Aspetta.” La riccia abbassò la
bacchetta.
“Ma… Potrete vedere tutto tutto?”
Pansy sorrise di fianco a lui. “Avete
fatto sesso nell’ambulatorio?”
“Certo che no!” Ma arrossì.
“Allora dai, vediamo di capire cos’è
successo.”
Hermione si concentrò e
con la
bacchetta riuscì a estrapolare dalla tempia della sua amica
un filo scintillante
color argento e dalle sfumature biancastre e lo posò
direttamente nel
pensatoio.
“Ok. Prego, allora. Chi va?” La
Parkinson si fece avanti.
“Io andrò di sicuro. Ma non l’ho mai
fatto. È difficile?” Poi si voltò verso
Zabini.
Lui si avvicinò e le prese la mano.
“Io l’ho già fatto, se vuoi vengo con
te”. Lei annuì.
“Io c’ero già…”
Ginny si sedette su
una poltrona. Sembrava esausta.
“Io vado con loro, va bene, per te?” Le
chiese l’amica. La rossa annuì.
Pansy seguì le
istruzioni di Blaise e
guardò dentro il pensatoio, la Granger appoggiò
la bacchetta dentro e lei si
avvicinò sempre più a quella sostanza densa che
fluttuava in superficie. Era
dello stesso colore del ricordo della Weasley.
Quando immerse la faccia dentro la
sostanza, venne catapultata nell’ascensore del San Mungo.
Poco dopo anche
Blaise e la Granger la raggiunsero.
Davanti a loro, di spalle, i coniugi
Potter aspettavano che si aprissero le porte.
“Ha detto proprio dottoressa
Parkinson?” disse la rossa.
“Già” rispose Potter.
“Ti fidi?” continuò lei.
“Beh… Non vedo altra
scelta…”Lei annuì.
“Magari non è lei”. E gli
passò una
mano dietro la schiena. “Fa ancora male?”
“Mi sembra di essere stato preso a
pugni da un Ungaro Spinato arrabbiato.”
Si voltò verso di lei e loro videro
che cercò di sorridere, senza riuscirci bene. Quando le
porte si aprirono, si
incamminarono verso la sala d’attesa e loro li seguirono.
“Merlino!” esclamò Pansy. Gli altri
due si girarono verso di lei.
“Zoppica” spiegò. Ma loro non potevano
rendersi conto.
Potter zoppicava male, in un modo
troppo strano. Avrebbe voluto controllargli i reni. E
l’addome. Le prudevano le
mani. Avrebbe voluto toccarlo e sentirlo. La pelle era tesa?
“Posso toccarlo?” chiese alla Granger.
Lei scosse la testa.
Quando si sedettero su due sedie nella
sala d’attesa, Pansy vide se stessa entrare dalla porta. Non
aveva una bella
cera. Non si era mai vista con gli occhi di qualcun altro. I suoi
capelli erano
legati ma scompigliatissimi e il camice era stropicciato. La sua faccia
era un
disastro. Poi si ricordò: erano tre giorni che era chiusa
lì dentro.
“Oh, Merlino, dimmi che hai un camice
anche a casa tua!” Blaise si voltò verso di lei
sussurrando e ammiccò. Divenne
rossa. “Un camice che ti metterai per me
stasera…” Ohhhhhh.
“Ci guarderò”. Tornò a
guardarsi
mentre diceva ai coniugi Potter di tornare al piano delle malattie
magiche
generiche.
“No. No. Guarda come cammina! Non
mandarlo via! Non farlo. Potrebbe…” Non si rese
conto di parlare ad alta voce.
Vide se stessa girarsi verso un altro paziente e la coppia che tornava
verso
l’ascensore. Corse verso di loro e cercò di
fermarli.
“No. Non andatevene. Aspettate!”
“Pansy, non ti sentono.”
Blaise le tornò vicino e le prese la
mano mentre Potter le passava attraverso come se fosse stato un
fantasma.
Poi, per fortuna, la Pansy con il
camice alzò lo sguardo. E vide la sua espressione. Sorrise.
L’altra Pansy aveva
capito.
“Aspettate!” Si incamminò verso di
loro e lei riuscì a spostarsi prima di essere investita da
se stessa.
La Pansy con il camice andò vicino ai
ragazzi e disse qualcosa che lei non sentì, poi si
incamminarono tutti e tre
verso un’altra porta. Era quella dell’ambulatorio
delle visite. Li fece entrare
e li seguì.
Corse prima che chiudessero la porta e
si intrufolò. Poco dopo, attraverso il muro, entrarono anche
Blaise e la
Granger. Oh, che figura da scema. Pensava di non poter più
entrare, con la
porta chiusa.
Nell’ambulatorio c’era anche Denys, il
suo assistente. Sorrise quando lo vide. Sarebbe diventato un grande
medico, un
giorno. Ora stava imparando.
Quando però Potter si stese sul
lettino si scordò di tutti gli altri. Si avvicinò
e, istintivamente tirò fuori
la bacchetta. Lo fece nell’esatta momento in cui lo fece la
Pansy con il
camice. E nello stesso modo. Poi però sbuffò e la
mise via; lei non poteva far
altro che guardare.
Guardò l’altra Pansy visitare Potter e
fargli tutte le domande che avrebbe voluto fargli lei. Non aveva male
al petto.
Ma alla schiena sì. In centro? Poco. E di lato?
Sì e tanto. Lo tastò
esattamente come pensava di fare lei. E la gamba. E il braccio.
“Come ti è successo?” Potter glielo
spiegò. Ascoltò tutto. Il mago che era scappato
aveva puntato la bacchetta
verso di lui tre volte.
La prima Potter era riuscito a
schivare l’incantesimo, la seconda era bastato un ‘Protego’, poi il mago aveva
fatto un incanto non verbale.
Dalla sua bacchetta era uscita una
luce blu chiaro che si muoveva come una frusta ma con tante code. Prima
di
colpirlo aveva vorticato in cerchio per tre o quattro volte e dopo lo
aveva
imprigionato legandolo a spirale e lasciandolo andare subito dopo.
Poi lo aveva colpito. Sul fianco
sinistro. Il tutto era stato velocissimo, così veloce che
Potter disse di aver
pensato di esserselo immaginato. Poi sentì se stessa
chiedere a Potter di che
colore fosse la luce (lei aveva capito già la prima volta
che l’aveva detto,
quindi non capì come mai la Pansy con il camice non avesse
afferrato bene la
cosa). E lui rispose: “Blu.”
Maledizione
intensiva raggelante laterale, pensò. Era una
variante dell’attacco di Dolohov.
“Aspettate qui” si sentì dire.
“Denys,
puoi venire con me?” Ora si era rivolta
all’assistente che era con lei nella
stanza. Lui annuì e si alzò con la faccia seria.
Doveva aver capito anche lui quanto
fosse grave.
Blaise osservò
l’attuale Pansy
guardare la Pansy con il camice uscire dalla porta insieme al medimago.
Lei
tentò di seguirli e passò oltre al muro. Le
andò dietro.
“È un ricordo della Weasley, puoi
vedere solo quello che si ricorda lei”. Pansy
annuì e tornò dentro. I coniugi
Potter stavano parlando sottovoce fra di loro.
“Hai visto che faccia che ha fatto?”
disse Potter. La rossa gli accarezzò la mano.
“Non preoccuparti. Vedrai che andrà
tutto bene”. Ma quando il marito si voltò, Blaise
vide che lo sguardo
preoccupato ce l’aveva anche lei.
“È diventata carina, hai visto?”
Potter alzò un sopracciglio.
“Davvero?”
“Non lo hai notato?” gli chiese
curiosa.
“Ho notato solo che avesse le mani
gelate.”
La piccola rossa rise nervosamente.
“Secondo te esce con qualcuno?” Potter
si sistemò meglio sul lettino.
“E come faccio a saperlo io?” Sembrava
sofferente.
“Sai con chi starebbe bene?” Blaise
osservò la piccola ex Grifondoro con curiosità.
Sperò quasi che facesse il suo
nome.
“Con chi?” sospirò Potter.
“Con Anthony.”
“Anthony?” Il moro non si rese conto
di aver parlato insieme a Potter. Anthony chi?
“Sì, Anthony Goldstein.”
“So chi è Anthony, Ginny. Ti ricordo
che lavora con me.”
“Potremmo…” Blaise non era sicuro di
voler ascoltare ancora.
Per fortuna il salvatore del mondo le
chiese: “Ma non è via da tanto, secondo
te?” La rossa tornò subito seria e
guardò la porta.
“Sì. La vado a cercare. Non ti muovere.”
“E chi ci riesce…” Lei gli
scoccò un
bacio a fior di labbra e lui le accarezzò il ventre.
Hermione e gli altri seguirono
Ginny
quando si avventurò fuori dalla porta. Chiese a
un’infermiera della Parkinson e
lei le indicò il suo studio. Fecero qualche passo in un
corridoio.
A un certo punto si fermò davanti a
una porta con la targhetta ‘Dott.ssa Parkinson,
Pansy’. Videro Ginny appoggiare
la mano alla porta. “Parkinson? Dottoressa?” La sua
voce era poco più di un
sussurro.
Quando aprì la porta si sentirono
delle voci. Tutti si misero dietro a Ginny. Poi Hermione, che era la
più
pratica di ricordi altrui e pensatoi, entrò nella stanza.
Gli altri la
seguirono.
Si vedeva solo una parte della stanza.
Il lungo cono che Ginny riusciva a vedere dalla porta. Tutto intorno
era
grigiastro. Si posizionò nella parte grigia e gli ex
Serpeverde si misero
dall’altro lato.
Blaise, da sempre attento ai
dettagli,
si guardò intorno. Vide un quadro dove un ragazzo stava
intrecciando un
canestro. Guardando meglio, riconobbe il tipo che dormiva nel quadro
che c’era
nel suo ufficio.
Pansy aveva ragione. Ancora. Osservò
altre cose e poi tornò verso la discussione che stavano
avendo i due dottori.
Pansy si guardò mentre
chiedeva a
Denis: “Dove sono i tuoi appunti? E i libri di
medicina?”
Lui balbettò stranito. “I miei
appunti?”
“Sì, i tuoi appunti sulle maledizioni
che abbiamo guardato la settimana scorsa. E mancano anche i
libri…”
“Li ho a casa.”
La Pansy con il camice sospirò e disse:
“I libri devono rimanere qui! Non puoi portarli via. Sono
importanti”. Poi
continuò: “Perché mi hai detto di
mandarlo via?”
“Non aveva niente…”
Lei sbattè un piede per terra ed
esclamò: “Hai visto come cammina! Potrebbe essere
una variante di Dolohov.
Forse quella raggelante. O la raggelante laterale. Come è
potuto scapparti?
Merlino, ho bisogno di quel libro. Devo essere sicura di quale
sia”. Lui non
disse niente.
“Sai cosa sarebbe successo se
l’avessimo mandato via? Sarebbe andato in fase di morte
apparente. E nessuno
avrebbe fatto niente, l’avrebbero curato con una pozione
stimolante, che non
sarebbe servita. E lui, nel giro di sei giorni, forse otto, visto che
è giovane
e in buona salute, sarebbe morto. È una cosa grave. Quindi
ti richiedo, come
hai fatto a non accorgertene? Non l’hai vero…
fatto apposta?”
La Pansy del presente sgranò gli
occhi. Non ci credeva. Denys era un bravo dottore. Se gli era scappato,
c’era
un motivo. Davvero.
“Ok, forse mi è scappato. Oh, Merlino,
siamo sempre qui, da quanto tempo, senza dormire? Tre giorni? Sono
stanco, non
mangio mai e spesso ho le visioni. Mi tengo idratato solo in questa
maniera!” disse
estraendo una fiaschettina e mostrandola. Lei annuì.
“Ok. Va bene. Ora vai a casa e prendi
il libro con gli incantesimi. Devo assicurarmi di usare
l’incanto giusto.
Sembra una maledizione dannatamente specifica. Non voglio farlo stare
peggio.
Ora dobbiamo soltanto…”
Il dottore la interruppe. “NO”.
Pansy si voltò verso di lui, insieme
all’altra Pansy. “Come?”
“Ho detto di no. Non facciamo niente.”
La Pansy con il camice rimase basita e
lo guardò sgranando gli occhi. Anche la Pansy attuale era
stranita, tanto che
non capì cosa avesse detto al dottore.
“Santissima Priscilla! Ho detto che
non faremo niente!”
La dottoressa, che si stava
avvicinando alla porta, si bloccò ed esclamò:
“Quell’espressione… Non l’hai
mai
usata, tu. La dice sempre…”
La Pansy dell’ospedale non poté finire
la frase che il dottore aveva già tirato fuori la bacchetta,
lanciandole un
incantesimo non verbale. La Pansy fuori dal pensatoio, invece,
sgranò gli
occhi. Dopo poco cercò di buttarsi su Denys. Inutilmente.
Dopo pochissimo, la Pansy del
ricordo,
guardò il dottore con gli occhi annebbiati e
osservò la stanza. Blaise per un
attimo ebbe il timore che potesse vederlo.
“Cosa facciamo qui, Denys?” Lui aveva
messo via la bacchetta.
“Vieni, Pansy, siediti. Stavamo
dicendo che siamo qui da tanto tempo senza dormire. Perché
non vai nella stanzetta
a riposarti, non mi sembra che tu stia bene.”
Pansy annuì. “Effettivamente non mi
sento molto bene…” Si passò una mano
sulla fronte.
“Non preoccuparti, dormi un’oretta. Ci
penso io a quelli là fuori.”
“Grazie”. Annuì, toccandosi ancora la
fronte. Poi la porta si spalancò e un’infermiera
chiese se andasse tutto bene.
“NO!” Blaise si voltò verso Pansy,
verso la sua Pansy,
visto che era lei che aveva urlato, mentre la dottoressa
seguiva docilmente il dottore.
Pansy venne catapultata, di nuovo,
ma
questa volta nello studio di casa di Blaise. Ed era stato lui a tirarla
indietro. Poco dopo vide anche la Granger sollevarsi dal pensatoio.
“Perché mi hai tirato via?”
gridò.
“Hai visto cosa mi ha fatto?” Indicò il
pensatoio.
“Non puoi fare niente. È un pensatoio,
non una giratempo.”
Sbuffò arrabbiata ma poi si rese conto
che lui aveva ragione.
Hermione stava pensando.
Ciò che era
successo era molto grave. Denys stava tentando di uccidere Harry. E far
cadere
la colpa sulla Parkinson.
“Allora? L’avete visto?” Ginny si
alzò
dalla poltrona dov’era seduta, insieme alla madre di Zabini.
Annuirono e la
rossa sorrise vittoriosa. Anche Hermione le sorrise in risposta.
“Quindi? Che si fa adesso?”
“Andiamo al San Mungo e fermiamo il
dottore.”
“Sicuramente. Ma quello non era Denys
il mio assistente!” La Parkinson sorprese tutti.
“Come?”
“Denys è un bravo dottore. Non avrebbe
mai fatto una cosa del genere. Io mi fido di lui. E
poi…”
Pansy guardò Blaise.
“Non ho mai
sentito Denys dire ‘Santa
Priscilla’…”
“Lo fanno i corvonero. Anthony
Goldstein lo dice in…” La Weasley
l’aveva interrotta ma si interruppe a sua
volta quando Blaise le lanciò un’occhiata
ammonitrice.
“Denys era un tassorosso. Però, so chi
è stato l’ultimo a cui ho sentito usare
quell’espressione in una discussione.”
La Granger si voltò verso di lei.
“Chi?”
Blaise non avrebbe dovuto essere
così
meravigliato quando lei rispose: “Harris. Il direttore della
Gringott”, ma lo
fu lo stesso.
Merlino! Si voltò verso le ex Grifondoro
che li guardavano a occhi spalancati.
“Il direttore Harris è sparito da quasi
un mese.”
La Granger annuì e chiese:
“Polisucco?”
Tutti annuirono. Sentì una sensazione
strana al petto quando Pansy disse: “Dobbiamo assicurarci che
Denys stia bene.
Dove potrebbe essere?” Blaise sospirò. Pansy e il
suo collega erano intimi? Si
sentì un po’ in pericolo.
“Sarà in un posto sicuro”
buttò lì.
“Riusciamo a scoprire come sono
collegati il dottore e il direttore della Gringott?” La
Granger era un ottimo
Auror.
“Potremmo partire dal quadro” propose.
“Quale quadro?” chiesero le ex Grifondoro.
“Il
tipo che dormiva nel quadro dell’ufficio
di Harris alla Gringott!” esclamò Pansy. Blaise le
sorrise e annuì. “Partiamo
da lì allora. È l’unica pista che
abbiamo” continuò.
“Non si
può andare alla Gringott quando è
chiusa”. La Granger sembrava sempre in grado di trovare i
problemi.
“Io posso farlo. È il mio ufficio,
adesso. Posso andarci anche quando è chiusa la
banca”. Pansy lo guardò torva.
Perché andava alla Gringott quando era
chiusa? Le venne in mente quello che aveva detto Brianna. Forse avrebbe
preferito non saperlo. Ma non riuscì a stare zitta.
“E lo fai spesso?”
“Cosa?”
“Andare alla Gringott quando è
chiusa?” Non si rese conto di aver incrociato le braccia al
petto.
“Scusate…”
Ginny era stata catapultata
dalle stelle alle stalle. “Ma possiamo prima pensare a
Harry?” Poi si voltò
verso la ex
Serpeverde “Sai che cos’ha?”
La mora annuì. “Sì. È la Maledizione intensiva raggelante laterale.
Una variante dell’attacco di…”
“Dolohov!” esclamò Hermione. La Parkinson
annuì girandosi verso Hermione.
“Bene. Sai come si cura?” Lei sgranò
gli occhi, come se fosse offesa dalla domanda.
“Certo!”
“Allora andiamo subito…” Ma la mora la
bloccò.
“Non mi fanno entrare al San Mungo.”
“Puoi spiegarmi l’incantesimo da
usare? Posso farlo io?” Hermione era la più brava
di tutte. Se qualcuno poteva
farlo, era lei. Ma la Parkinson scosse la testa.
“Preferirei di no. Non
è un semplice Vulnera
Sanentur…
Sono tre
incantesimi di fila. E io ho dovuto allenarmi parecchio per riuscirci.
Non che
non mi fidi di te, ma…”
Ginny vide Hermione annuire. Merlino.
Ogni volta che trovavano un modo, saltava fuori un problema.
“E se usassimo il mantello di Harry?”
Hermione aveva sempre la soluzione, mai disperare.
Finalmente Ginny sorrise.
***
Quando aveva visto Potter aprire
gli
occhi, Pansy aveva sorriso soddisfatta. Poi l’aveva visitato
e aveva notato
subito i miglioramenti. Si sentì ancora più
sollevata. Poi erano riusciti a
spiegare al salvatore del mondo quello che era successo. E poi la
Granger aveva
sorpreso tutti proponendo di dare a Potter il distillato della morte
vivente.
La moglie di Potter aveva esclamato un
‘NO’ molto sostenuto, ma poi aveva capito che era
per il bene di suo marito.
Con quella pozione avrebbero ingannato il finto Denys, fingendo che
Potter
fosse ancora in stato vegetativo, senza per questo rischiare la sua
vita. Alla
fine aveva accettato.
“Io intanto avviso gli Auror.”
La Granger era formidabile, non c’era
dubbio. Sospirò.
***
Pansy pensava guardando il
soffitto.
Blaise la osservava da un quarto d’ora. Pensò di
essere incapace di staccare
gli occhi da lei.
“Troveremo Denys, secondo te?” Voltò
il viso verso di lui. Non doveva preoccuparsi.
“Certo. Siete… molto affiatati?”
Cercò
di non mostrare la sua gelosia. Ma da come lei aveva preso le sue
difese…
“È un bravissimo dottore”,
alzò una
spalla. “Non parliamo di molto altro. È gentile e
disponibile sul lavoro. Ogni
tanto mi racconta qualcosa di sé, ma di solito quando non ci
sono pazienti, ne
approfittiamo per dormire. Ma so che gli piace la burrobirra
aromatizzata
all’arancia. E gli piacciono le infermiere. MOLTE
infermiere…” Blaise non si
rese conto di sorridere. Piaceva anche a lui il fatto che al dottor
Denys
piacessero le infermiere.
Si girò su un fianco e tracciò con il
dito un disegno sul ventre della ragazza. Poi usò due dita e
le fece scorrere
in tondo, vicino al suo ombelico. La sentì sospirare e
sorrise. Doveva farla
pensare ad altro. Sarebbero andati alla Gringott la mattina dopo, di
domenica.
Tutti e quattro. E avrebbero continuato a indagare. Ma ora…
Si avvicinò un po’ di più e le
accostò
tutta la mano al corpo. Il contrasto fra la sua pelle e quella
chiarissima di
Pansy era stuzzicante. Si chinò e baciò una
porzione di pelle calda vicino alla
sua mano. Lei gemette. Sorrise mentre si puntellava sui gomiti, sopra
di lei,
mentre Pansy apriva le gambe per fargli spazio. La baciò. Si
appoggiò appena
sul suo corpo caldo e riscoprì con piacere il fatto che
sembrassero nati per
incastrarsi alla perfezione. Si chinò su di lei e le
baciò il collo, scendendo
piano piano, fino all’incavo dei seni. Poi si
sistemò per continuare il suo
percorso. Lei gemette ancora. Gli si rizzarono i capelli alla base
della nuca. Favoloso.
“Dove hai detto
che hai quel camice?”
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Capitolo 6 *** La dama in giallo ***
La dama in Giallo
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La Gringott di domenica mattina era
silenziosa. Pansy era sulla porta dell’ufficio di Blaise e
guardava il salone.
Era così strano. Neanche un folletto. Nessun dipendente. E
poi non c’era neanche
Brianna. Ah, no. Non si chiamava così. Come si chiamava? Ah,
sì, Bridget.
“Pansy?” Si voltò verso Blaise che la
chiamava da dentro l’ufficio.
Lui e la Granger avevano avuto una piccola
discussione su come gestire la cosa con il Ministero. Secondo la ex
Grifondoro
dovevano assolutamente informare qualcuno, mentre Blaise invece voleva
prima
vederci chiaro. Non era sicura di come si fossero messi
d’accordo.
Lui le fece cenno di avvicinarsi.
“Tiriamo giù le coperture dai quadri?”
Lei annuì. Per sicurezza li avevano appesi e incantati tutti
e tre. Non
avrebbero potuto andare da nessuna parte. Ora però dovevano
scoprirli.
Blaise tirò fuori la bacchetta e fece
cadere la stoffa che copriva il quadro di campagna. Il contadino
dormiva
ancora. Pansy lo guardò bene. Non aveva potuto farlo due
giorni prima perché
non sapevano bene come interpretare la cosa. Era lui. Il tipo che
intrecciava i
canestri nel suo ufficio. Si voltò verso gli altri.
Cosa dovevano fare? Vide Blaise far
cadere un’altra copertura.
“Per Godric!”
Blaise si voltò verso la
moglie di Potter. La rossa aveva spalancato la bocca e indicato il
quadro con
il cacciatore, quello che a Pansy faceva orrore. Lo guardò.
Effettivamente
l’espressione del cervo trasmetteva sofferenza.
“Fammi indovinare, hai già visto il
quadro, giusto?” La Granger si avvicinò per
osservarlo meglio.
Fece una smorfia anche lei e
disse: “Il
cacciatore e il cervo ci sono anche al Ministero. Nel quadro
nell’ufficio di
Harry”. La rossa annuì. Oh, Merlino.
“Ma i quadri che ci sono al Ministero
non sono protetti magicamente?” chiese alla Granger.
Ginny gemette. Forte.
“Harry ha
ricevuto in regalo il quadro. Ma io non lo volevo a casa. Non volevo un
cacciatore che sparava a un cervo. Così gli dissi di
portarlo in ufficio. Non pensavo
che…” Si portò una mano alla bocca.
Merlino! Era stata colpa sua!
Hermione le si avvicinò e le mise una
mano sulla spalla. “Su su. Non è stata colpa tua.
Però avresti potuto immaginare
che al Ministero non venisse controllato ciò che ci si porta
da casa…”
Vide la Parkinson gettare una brutta
occhiata a Hermione e questa sostenere il suo sguardo.
“Beh, è vero. È così che
stanno le
cose!” La mora sbuffò.
“È colpa di Harris. Di nessun altro.”
“Penso ci sia qualcun
altro con
Harris. Un… complice” Blaise aveva parlato
guardando il quadro.
Alzò la bacchetta per scoprire la
signora vestita di giallo. Sperò che si fosse vestita. E che
non urlasse.
La Granger alzò un sopracciglio. “Tu
dici?”
Alzò le spalle. “Ci sono troppe cose.
O Harris aveva un capoccione così oppure si è
fatto aiutare.”
“Oppure ha aiutato qualcuno”. Tutti si
girarono verso Pansy.
“Come?” Anche lei alzò le spalle.
“Sembra un piano bello complesso. I
quadri con il San Mungo e il Ministero. Una maledizione difficile da
fare e
ancora più difficile da diagnosticare. Il momento giusto per
non fare curare
Potter. Tutto è un po’ troppo…
complicato da gestire. Personalmente ho visto
Harris un po’ di volte e non mi sembrava tutto
questo… Genio del crimine.”
“Ok. Allora partiamo da quello che
sappiamo. Sappiamo come spiava il San Mungo e il Ministero. E il terzo
quadro?
Chi è?”
Nessuno rispose. Pansy si avvicinò al
terzo quadro. Blaise fece cadere la stoffa e tutti osservarono la
signora
vestita di giallo che si lamentava facendosi aria con il ventaglio.
“Ehm…
Buongiorno, signora.”
Pansy sorrise al quadro. La signora le
sorrise. “Oh, buongiorno cara. Che piacere vedere finalmente
qualcuno. Sono stata
al buio così tanto tempo…”
Sospirò e guardò anche gli altri.
Quando il suo sguardo si fermò su
Blaise le sue guance divennero rosse e si coprì con il
ventaglio.
“Ci scusi se la disturbiamo…”
Iniziò
la Granger. La signora del quadro la guardò e
sbatté ancora il ventaglio.
“Chi sei, ragazzina?”
“Io sono Hermione Granger. Posso
chiederle il suo nome?” La signora si mise più
composta, irrigidendo la
schiena.
“Io sono la contessa Helena Luisa Petty-FitzMaurice,
della Cornovaglia”. E sventolò
ancora un po’ il ventaglio.
“È
un piacere
conoscerla. Chissà che vita importante ha avuto, signora
contessa!” Pansy
guardò la Granger che cercava di ingraziarsi il quadro. Ma
la contessa non
parve particolarmente interessata.
“Sono ancora
signorina” precisò con sufficienza.
“Mi permetta di
presentarmi, signorina Helena, sono Blaise Antonio Zabini.”
E l’ex Serpeverde s’inchinò al suo
cospetto. Questa volta la contessa fu più colpita.
“È uno straniero?” Lui sorrise. Pansy
l’aveva visto fare a Hogwarts a così tante
ragazze, quel sorriso, che sbuffò.
“Ho origini italiane, mia cara
contessa.”
“Oh, Italia?” Ora la contessa Helena
era ancor più colpita. Spostò il ventaglio da
davanti al busto e scoprì il
vestito.
“Ma che bel vestito che ha, contessa!”
La Granger ci stava provando ancora. La contessa però le
lanciò
un’occhiataccia.
“Non posso ricambiare il complimento.
Mi dispiace. A nessuna delle tre”. E osservò la
stanza, squadrando le tre
ragazze.
Pansy si fece avanti. “Oh, nessuno di
noi può permettersi un abito così bello. Ultima
moda francese, giusto? Vedo
anche del pizzo chantilly e non del semplice macramè. Lei
dev’essere
un’intenditrice, contessa. Se dopo vuole darmi il nome della
sua modista…”
La dama in giallo sorrise. Bingo.
“E tu, cara, chi sei?” Pansy fece una
riverenza, ma non si chinò troppo, proprio come le avevano
insegnato tempo
prima.
“Pansy Penelope Parkinson, sono una
discendente del VI Duca di S.Ives”. Il sorriso della matrona
divenne ancora più
ampio.
“Davvero, cara?”
“Sì, dalla parte di mia madre, milady.”
Blaise la guardò
sconcertato. Come
aveva fatto a inventarsi una cosa del genere? Era stata brava. La
contessa
Helena ora pendeva dalle sue labbra.
“Oh, cara. Me lo
ricordo, il duca. La sua
tenuta confinava con quella di mio padre…” E
sospirò. Un sospiro… come lo
avrebbe potuto definire? Mah… Era tutto…
femminile.
“Ho sentito dire che fosse un gran
bell’uomo, Simon…” E Pansy
ammiccò in direzione del quadro. Ora la contessa
ridacchiò.
Qualcosa disse a Blaise che non si
stava inventando niente. Ok, però si stava tirando per le
lunghe.
“Ehm…” Tossicchiò. Le due
streghe non
sposate si girarono verso di lui, con uno sguardo arrabbiato.
“Non bisognerebbe interrompere due
dame che fanno conversazione, Blaise…” Pansy lo
fulminò con un sguardo.
“Ma.. Lo chiami per nome? Siete
intimi?” La contessa lo guardò con ancora
più attenzione. Ok, ora basta.
“Sentite…” Ora anche la Granger lo
guardava male.
“Oh, siamo cresciuti insieme. Le
nostre famiglie si conoscono da sempre” mentì
Pansy.
“Lei invece? Ha avuto una bella vita?”
Blaise sospirò ancora.
“Non mi sono sposata” rispose la dama
in giallo.
“Oh, non è necessario sposarsi, per divertirsi.
Cosa le piaceva fare?” La dama sventolò ancora il
ventaglio.
“Oh, sì, mi sono divertita lo stesso!”
Merlino, aveva ammiccato! “Simon ne sapeva qualcosa. Ma ho
anche conosciuto
letterati e poeti. Il mio salotto era uno dei più
frequentati all’epoca. Vivevo
a Mayfair, io!” Sventolò ancora il ventaglio.
“Quindi le piace la gente. Ma qui è
tutta sola. Gli altri quadri non sembrano persone socievoli con cui
parlare di
letteratura…” La contessa storse il naso in una
smorfia e scosse la testa. “Va
di solito a trovare qualcuno, non so, un suo familiare o se stessa in
un altro
quadro? Dove magari è raffigurata in una
biblioteca?”
Pansy era stata bravissima. Sorrise.
Vide sorridere anche la Potter e la Granger. “Oh, non ho
molti posti dove
andare. Purtroppo i miei quadri sono andati o distrutti o chiusi in
qualche
cantina incantata. Ma fino a poco tempo fa…”
Sìììì…?
Pansy sorrise. “Dove
andava?”
“Oh, andavo a casa di un mio nipote. Beh,
un pro-pro-pro-nipote, a dir la verità. Un ragazzo
così a modo. E anche bello.
Ma a casa non c’era mai..”
“È la zia del dottor Denys Mills?” La
dama sorrise ancora.
“Sì, cara, lo conosci? Lui è
così
gentile. Ha appeso un quadro della famiglia di mia sorella Dorothea in
corridoio.
Ci sono anch’io anche se sono un po’ più
giovane. E vado da lei. Ma poi è
successa quella cosa… Oh, come mi dispiace…
È stato così brutto…”
“Cos’è successo?”
“Oh, un mago malvagio... È venuto… Ha
fatto tanta confusione. E ha lanciato incantesimi sul povero
Denys…” Pansy
sentì un brivido lungo la schiena. Non era morto, vero?
“Ma… Harris? È stato il signor
Harris?”
“Il signor Harris che era qui?” Chiese
la dama e poi scosse la testa. “No. Un altro mago. Ma poi
è venuto a casa sua
anche il signor Harris. È successa una gran confusione.
Quando il mago cattivo ha
aggredito Denys, ha mandato un gufo al signor Harris e lui è
andato là. Ma poi
mi ha tolto dalla parete e mi ha messo in cantina. Non me lo aspettavo.
Era
sempre stato così gentile, con me. Mi chiedeva sempre di
Dorothea e della sua
famiglia…”
“E le chiedeva anche di Denys?” Il
quadro annuì.
“Sì, voleva sapere cosa facesse e
quando andava a casa, se abitasse da solo e cose così.
Chiedeva sempre. Era
così gentile…”
“Ok, e se ora noi le chiedessimo un
grosso favore, lei sarebbe disposta ad aiutarci?”
“Ah. Non saprei. Cosa vorresti che
facessi per aiutarti?”
“Vorrei che andasse da Dorothea, ma
senza farsi notare da chi c’è in casa e che riesca
a guardare quello che sta
succedendo. Penso che Denys sia nei guai e vorrei aiutarlo. Se le
chiedessi di
spiare a casa sua senza dire niente a nessuno, lo potrebbe
fare?”
“Mi fai tornare da Dorothea?” Pansy
annuì.
“Potremmo trovare la
maniera di farla
appendere vicino al quadro di Dorothea, così che anche lei
potrebbe venire a
trovarla. Le piacerebbe?” Hermione aveva seguito tutto il
discorso e aveva
deciso di intervenire. La Parkinson era stata brava. Ora bisognava solo
capire
cosa stesse succedendo a casa del dottore.
La dama in giallo la guardò senza
storcere la bocca, per la prima volta.
“Sì. Mi piacerebbe. Vi
aiuterò.”
Zabini alzò la bacchetta e tolse
l’incantesimo di protezione al quadro. La contessa
sparì subito. “Ora resta
solo un problema” disse ancora Hermione.
“Ossia?” Ginny era rimasta in silenzio
per tutto quel tempo. Era un record, lo sapeva. Ma forse era stanca.
Era stata
tutta la notte a dormire vicino a Harry, nonostante sapesse benissimo
che non
avrebbe potuto svegliarsi. Ma aveva detto di volerlo fare per non
creare
sospetti.
Si girò verso la Parkinson. “Tu sai
dove abita il dottore?”
“No, non ci sono mai stata…” Merlino!
Si voltò verso il moro, quando lo sentì
sospirare.
“Ma penso di sapere come risolvere la
cosa.”
“Parkinson, quando questa
storia sarà
finita e Harry starà bene, sei invitata a cena a casa
nostra. E ti farò
assaggiare le torte di mia mamma!” La piccola Weasley
sorrideva stanca.
“Sì, però… Niente
Goldstein!” Blaise
non si rese conto di averlo detto ad alta voce.
Ginny alzò un
sopracciglio guardando
Zabini. Oh oh. Le era sfuggito qualcosa. Sorrise sorniona.
“Facciamo così, Zabini: potrai venire
anche tu”. Lui sorrise e annuì.
La Parkinson sbuffò rumorosamente.
“Veramente non ho ancora accettato.
Prima sistemiamo questa cosa. Cerchiamo Denys e salviamo il mio
lavoro.”
***
L’infermiera si era presa
una pausa.
Stava bevendo una tazza di tè su una delle poltrone nella
sala relax e aveva
appoggiato i piedi sul tavolino.
Pansy la osservava sotto il mantello
di Potter. Si avvicinò e si sedette sul suo bracciolo.
Scostò appena il
mantello per farsi vedere e chiamò l’infermiera:
“April”.
Lei alzò gli occhi e la riconobbe.
“Pansy!”
Era stupita. Per forza. Non poteva stare lì.
“Vieni con me.”
La prese per mano e la trascinò in uno
sgabuzzino. Chiuse la porta alle sue spalle e si tolse il mantello.
“Salve” disse
April, l’infermiera, al
quartetto che si era ritrovata davanti. Un ragazzo moro (un bel ragazzo
moro!),
la moglie di Potter, la salvatrice del mondo magico e Pansy.
Ebbe quasi paura. “Che succede?”
La dottoressa le rispose: “Abbiamo
bisogno di aiuto. Adesso non posso spiegarti tutto tutto, ma devi
fidarti di me.”
“Io mi fido di te, Pansy, lo sai.
Tutti qui non capiscono cos’è successo e io non
riesco a spiegarlo quando me lo
chiedono, perché non lo so” disse onestamente.
“Tu sai dove abita il dottor Mills?” La
guardò stranita.
“Perché questa domanda? Il dottor
Mills è nel tuo ufficio, ora, se vuoi
vederlo…”
“Quello non è Denys, April”.
Aprì la
bocca. Davvero? Sorrise. Poi il sorriso sparì.
“Che vuol dire che non è lui?”
“Pensiamo sia un altro. Dobbiamo però
trovare il vero Denys, quindi, tu sai come andare a casa
sua?” Oh, se non era
lui allora…
“Ma Denys sta bene? E poi, da quanto
tempo questo qui, non è lui?” chiese ancora.
Pansy guardò
l’infermiera. Che domanda
strana. “Almeno da lunedì scorso.
Perché?” Lei divenne rossa e scosse la testa.
“Ok, niente, niente…” Ma sorrise.
Sperò che Denys non si fosse comportato male con lei. Il
vero Denys. Perché gli
avrebbe lanciato qualche maledizione di sicuro.
“Sì, comunque, posso
smaterializzarmi a casa sua”.
“Preferiremmo di no. Sarebbe meglio
fuori dal suo appartamento o anche in strada. Non dentro,
però”. Helena aveva
detto che a casa sua c’era qualcuno. Qualcuno a cui era
meglio non svelare
quello che sapevano.
L’infermiera annuì ancora. Poi si
voltò verso gli altri. Giusto.
“Scusa, hai ragione, non vi ho
presentato: Ginny, la moglie di Potter, e Hermione Granger le conosci
già
immagino. Lui invece è Zabini. Eravamo tutti a Hogwarts,
insieme.”
April li guardò tutti e
tre. Le due
donne le aveva già viste sì. Erano salvatrici del
mondo. Chiunque le conosceva.
Il bel ragazzo moro, invece… Quando guardò il
ragazzo che non conosceva, lui
sorrise.
“Piacere, Blaise Zabini…”
“Blaise!” esclamò, girandosi verso
Pansy.
Blaise della scuola? Il famoso Blaise?
Pansy le aveva parlato di quel ragazzo. Tanto. Tantissimo. Sorrise
vedendo le
guance della sua amica colorarsi.
“Pansy mi ha parlato…”
“Sì, dai, andiamo. Smaterializziamoci
insieme. Poi io aiuto gli altri”. La prese per un braccio.
Ok. Prima le cose
importanti. Ma vide uno sguardo incuriosito sul viso del moro.
Si prepararono e Pansy la prese
sottobraccio.
Si materializzarono in una
soffitta.
“Ma dove siamo?”
“In cima alle scale. Ho pensato che
fosse la cosa più comoda…”
“Sì, sì, hai ragione”. Si
misero il
mantello e scesero le scale.
“Blaise, eh?” disse April. Sapeva cosa
sarebbe successo. Non aveva fatto il suo nome apposta.
“Già.”
“Il tipo di Hogwarts?”
“Già”. L’infermiera
ridacchiò.
“Non ti vedo da quasi una settimana.
Cosa hai fatto in questa settimana, dottoressa?”
“Oh, smettila, April.”
“Smettila tu, Pansy. Voglio i
particolari. Me li merito per averti ascoltato mentre eri ubriaca e
piangevi di
non aver fatto niente a Hogwarts!” Sospirò.
Però era vero. April era formidabile.
Ed era una buona amica.
“Siete stati a letto insieme?”
“April!” Per fortuna sulle scale non
c’era nessuno.
Ma l’infermiera sorrise sorniona. “Mi
sa di sì. Com’è?”
“Dai…” Ma dovette sorridere
perché
l’amica continuò
“Oh, quindi è bravo. Ti piace ancora
eh?” Sentì il viso andarle a fuoco. Doveva ancora
capire cosa provava per
Blaise.
“Eccoci. Questa è la porta.”
La voce di April la riscosse dai suoi
pensieri.
Ok. Annuì.
“Allora
Zabini?”
“Cosa c’è?”
“Che succede con la Parkinson?”
Blaise sospirò. Oh, Merlino.
Imprigionato in uno sgabuzzino con due donne.
“Niente.”
“Già.”
La Weasley ridacchiò.
Avrebbe voluto tirar fuori la
bacchetta. “E io che pensavo stesse con Malfoy!”
“Hogwarts è finito tanto tempo fa,
Weasley…” Lei ridacchiò ancora. Da
quando suo marito non era più in pericolo
era tornata la ragazzina fastidiosa che si ricordava.
“Malfoy si è sposato un mese fa. Ho
visto l’articolo sulla gazzetta del profeta” disse
la Granger.
“Quindi adesso Zabini ha il campo
libero, no?” disse la rossa all’amica.
“Io le piacevo anche prima!” Non si
rese conto di averlo detto ad alta voce. Le ragazze sorrisero.
“Sei tornato a Londra per lei?” chiese
più gentilmente la Granger. Lui alzò le spalle.
“Sono venuto a indagare su Harris”. La
Granger sollevò un sopracciglio.
“Però non è proprio il lavoro che fai
di solito. O no?” Lo guardò ma lui non le rispose.
“Sai, io al ministero, spesso
controllo le pergamene. Ho visto quello che fai di solito. Ti cerchi
sempre
posti lontani o lavori rischiosi… E questo problema alla
Gringott… Non sembra
proprio quel genere lì…” Blaise avrebbe
preferito una cruciatus.
Sì. Era tornato per lei. Quando aveva
ricevuto l’invito di Draco aveva pensato che sarebbe stato
fantastico
rivederla. Era stufo di girare a vuoto a cercare un posto dove stare,
quando
era sempre solo. Si sceglieva solo ragazze che le assomigliassero o che
gliela ricordassero
per qualche motivo. Ma poi… Non erano lei. Nessuna era lei.
Era stufo di
pensare a Pansy quando era sotto la doccia o quando non riusciva a
dormire. Oh,
Merlino, a parte quando lavorava, pensava sempre a lei ed era passato
così
tanto tempo! Così aveva deciso che il matrimonio di Draco
sarebbe stata la sua
svolta.
L’avrebbe rivista e avrebbe provato a
cambiare qualcosa. Oppure avrebbe deciso di impegnarsi a fare
qualcos’altro. Anche
se aveva immaginato di trovarla tormentata e sconvolta dal matrimonio
di Draco.
E invece no. Lei era tranquilla e in gran forma. Stava benissimo.
E Blaise aveva avuto paura che lei si
fosse lasciata alle spalle anche lui, oltre a Draco. Invece aveva
scoperto
tutte quelle cose su di lei. E a lui piaceva sempre di più.
E anche lui piaceva
a lei. Quello era stato così sconvolgente. Tanto tempo a
pensare che a lei non
piacesse e poi… Sospirò.
Alzò gli occhi quando le ragazze
tornarono.
***
Pansy aspettava pazientemente al
Ministero. Le avevano detto che poteva essere una cosa lunga.
Guardò la Potter
che giocava nervosamente con la fede. Quando si accorse che la stava
guardando,
la rossa smise e le lanciò un sorriso triste.
“È difficile stare qui ad aspettare
che tornino, eh?”
“Già”. Davvero. Come faceva lei quando
Potter andava in missione?
“Perché non vai a casa?” La rossa
alzò
le spalle.
“Casa mia è vuota. È triste essere
lì
senza Harry. Non è come… gli altri
giorni…” Annuì. Doveva essere triste
davvero.
“E perché non vai a casa dai tuoi o da
qualcuno dei tuoi fr…”
“Non sei costretta a parlare con me,
sai?” La piccola Weasley (e non le era mai sembrata
così piccola come quando si
era raggomitolata su se stessa poco prima) la guardò negli
occhi.
“Anch’io sono nervosa” le
confidò e la
rossa annuì.
Chissà cosa stavano facendo Blaise e
la Granger… Erano riusciti a entrare in casa da Denys? Lo
avevano trovato?
Stava bene? E Blaise, stava bene? Gli era successo qualcosa?
Sospirò.
“Allora dimmi, Parkinson, cosa c’è fra
te e Zabini? È vero che è tornato a Londra per
te?”
Come? Pansy spalancò la bocca.
***
Blaise era pronto. La Granger aveva
spalancato la porta con la bacchetta ed erano entrati.
Nell’ingresso non c’era
nessuno. Si erano divisi. Uno a destra e una a sinistra. A
metà del corridoio,
uno dei quadri si agitò. Lo guardò. Una figura
gli fece un cenno strano. La
guardò bene. Era la contessa. Gli indicò in quale
stanza guardare. Le sorrise e
annuì. La stanza in questione era chiusa. Sentì
dei movimenti all’interno. Vide
la Granger tornare dall’altro corridoio e le fece cenno. Lei
annuì a si
avvicinò alla porta.
Quando spalancò la porta lui entrò con
la bacchetta spianata. Davanti a lui, un mago occhialuto, con i capelli
biondi
sporchi e spettinati, era seduto davanti a un calderone appoggiato a un
tavolino basso. Stava mescolando. Non vedeva se avesse in mano la
bacchetta.
“Expelliarmus” gridò, mentre la
Granger lo immobilizzava. Mestolo e bacchetta volarono nella stanza e
si
depositarono sul pavimento. Si chinò a raccogliere la
bacchetta del mago e se
la mise in tasca, avvicinandosi al corpo steso dell’uomo. Lo
guardò in faccia,
ma non lo riconobbe.
“Dov’è il dottore?” gli
chiese. Lui
ghignò e non rispose. Gli diede un calcio. E poi un altro.
“Zabini!” La Granger lo richiamò,
toccandogli un braccio. “Cerchiamolo”.
Ma Blaise non si fidava a lasciarlo
solo. Quando la Granger uscì dalla stanza, lo
schiantò. Giusto per essere sicuri...
Erano solo in due, non voleva che scappasse.
Nel corridoio prese il quadro della
contessa e lo portò dentro.
“Signore, per piacere, se si dovesse riprendere,
urlate e io torno a schiantarlo.”
Si avviò nel corridoio. “Granger?”
“In fondo al corridoio!” gridò la
strega. Seguì la sua voce e si ritrovò in una
camera da letto. Doveva essere
quella del ragazzo. Lui era addormentato, steso sul letto. Aveva ancora
la
divisa dell’ospedale. Probabilmente l’avevano colto
di sorpresa al lavoro o
appena rientrato a casa.
Si avvicinò al letto e lo guardò. No.
Non era addormentato, sembrava… morto.
“Non è morto. Respira. Penso sia morte
apparente. Gli daremo una pozione stimolante.”
Blaise annuì ma poi disse: “E se fosse
come per Potter? Se fosse la maledizione che diceva Pansy?”
La Granger guardò ancora il dottore.
“La Maledizione laterale? Hai ragione, potrebbe
essere…”
“Forse è meglio se lo portiamo al San
Mungo.”
La riccia scosse la testa. “Sarebbe un
po’ strano dover spiegare perché il dottore di
quel reparto si trova lì come
paziente. Da chi lo facciamo visitare? Probabilmente
c’è anche l’altro
dottore…” Giusto. Non ci aveva pensato.
“Vado a prendere Pansy? Che dici?
Porto il tipo che c’è di là al
Ministero e poi vado a prendere Pansy. Ti spiace
rimanere qui?”
La riccia scosse la testa.
“Va bene.”
Hermione seguì Zabini
fino alla stanza
del calderone, dove trovarono il mago senza conoscenza vigilato dal
quadro. Ma
cosa…
“Ma l’hai schiantato?”
Lui alzò le spalle. “Non mi fidavo”
Oh. Ok. Vide il moro prendere il mago
da sotto le ascelle e poi caricarselo in spalla.
“Torno subito”.
Lei annuì mentre si smaterializzarono.
***
Blaise si materializzò
al Ministero e
dovette usare l’ascensore per recarsi al livello due.
Lasciò in custodia il
mago e cercò il sostituto di Potter per fare rapporto,
lasciare la bacchetta
del fermato e poter andare da Pansy, ma quando svoltò
l’angolo del corridoio
vide due ragazze che chiacchieravano su uno dei divani della sala
d’attesa e si
fermò.
Sorrise nel vedere Pansy e quando lei
alzò lo sguardo, riconoscendolo, qualcosa si mosse nel suo
petto.
Lei appoggiò la tazza sul divano (che
si rovesciò) e gli corse incontro, ma quando fu a pochissimo
da lui si fermò e
si morse il labbro. “Blaise, stai bene!”
Certo che stava bene. Che domanda era?
Quando Pansy vide Blaise svoltare
l’angolo del corridoio prima dell’ufficio di
Potter, non riuscì a contenere la
gioia. Si alzò in piedi e gli corse incontro, ma quando si
rese conto che lui
era immobile, si arrestò velocemente prima di finirgli
addosso.
Lo osservò. Stava bene. Non era
successo niente. Non vide la Potter raccogliere la tazza che aveva
fatto cadere
né pulire il divano con la bacchetta, ma la sentì
benissimo quando li raggiunse
e le sussurrò: “Guarda che lo puoi abbracciare, mi
assicurerò che non arrivi
nessuno, mentre vado di là”.
Pansy non se lo fece ripetere due
volte e si buttò su di lui. Gli cinse il collo con le
braccia e nascose il viso
contro il suo petto. Che agitazione! Che paura aveva avuto. Il suo
cuore batteva
a mille.
“Mi hai aspettato?” le chiese lui.
Certo che lo aveva aspettato. Che domanda stupida!
“Certo. Cosa dovevo fare? Per Salazar,
ero così in pensiero…” E
sospirò. Lui ridacchiò. Ma cosa…?
“Ehi, non ridere di
me!”
Blaise non riuscì a
contenere una
risatina. Lei era stata in pensiero? Si sentì invaso da una
gradevole
sensazione. Come il caldo del camino e il tepore di una coperta, come
tornare a
casa dopo tanto tempo. Le cinse la vita e se la strinse a
sé, mentre si chinava
a baciarla. Era a casa.
Lui la stava baciando! Dentro al
Ministero. Al livello degli Auror. Merlino! Si staccò
velocemente e gli chiese
senza fermarsi: “Non ti sei fatto niente?
Dov’è la Granger? Avete trovato Denys?
Come sta? E l’altro mago?”
Lui rise ancora e le disse di non preoccuparsi.
Blaise voleva solo abbracciarla
ancora, ma avevano delle cose urgenti. “Vieni con me, andiamo
dal sostituto di
Potter che gli spiego alcune cose, gli consegno la bacchetta del mago
che
abbiamo portato qui e ti porto da Denys. Non siamo sicuri che stia
bene. Devi
venire a visitarlo. E dopo andiamo al San Mungo”. Pansy aveva
annuito e seguito
tutto quello che lui aveva detto.
Si avviarono verso l’ufficio di Potter
e dopo aver lanciato un’occhiata dietro di loro, le mise una
mano sul sedere.
“Ehi, giù le…”
“Ho una gran voglia di te, lasciami
almeno questo…” E si chinò a baciarle
il collo. La sentì sospirare ma
allontanarsi.
“No, no”. Il suo viso era rosso,
mentre cercava di allontanarlo.
“Ok, va bene…” La lasciò.
“Ma solo
fino a stasera”. Lei rise.
Ebbe quasi paura che gli cedessero le
ginocchia.
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Capitolo 7 *** Il finto dottore ***
Il
finto dottore
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“No, non è la
maledizione che ha colpito Potter.
È solo morte
apparente. Basta la pozione stimolante. Si sveglierà entro
poche ore.”
Pansy mise via la bacchetta, si alzò
dal letto di Denys e guardò Blaise.
“Non lo portiamo al San Mungo?”
“Non c’è bisogno. Ho detto a Ginny di
dire ad April di venire qui, stasera.”
Blaise alzò un sopracciglio.
“Ginny?” Pansy arrossì.
“Mi ha detto lei di chiamarla per
nome. Oggi abbiamo chiacchierato…”
Blaise si fece più
attento. Di cosa
avevano parlato? Mica di Goldstein, vero?
“Di cosa avete parlato?” Pansy
arrossì. Oh, Merlino! No. No.
“Chissà se la Granger è riuscita a
capire cosa c’è nel
calderone…” rispose lei scappando via.
Blaise si passò una mano fra i
capelli. No. Lei lo aveva abbracciato quando era tornato dalla
missione, era
contenta di vederlo. Non pensava a Goldstein. No, no. Ma si
infilò le mani in
tasca e si avviò verso l’altra stanza, ciondolando
nervosamente.
***
“Io vengo con
voi!”
Pansy si era alzata in piedi, agitata.
Erano nell’ufficio di Shacklebolt,
il
Ministro della magia. Blaise e la Granger stavano spiegando cosa
avevano
trovato in casa di Denys.
Un calderone
di pozione Polisucco (e va beh, era abbastanza scontato, alla fine. Ci
sarebbe
arrivata persino lei e senza bisogno di analisi), più
qualche boccetta di
distillato di Morte Vivente (e anche lì, era normale, no?
Denys era in quello
stato...), ma avevano dovuto fare rapporto. Avevano poi scoperto che il
mago
che avevano portato al ministero, quello che segregava Denys, era il
figlio
illegittimo di un mangiamorte arrestato anni prima, da cui aveva
imparato
l’attacco che aveva scagliato a Potter. Voleva vendicare il
padre che ora era
ad Azkaban a vita. E chi era suo padre? Era Dolohov. E per forza! La
sua
maledizione era una variante di quella creata da Dolohov! Ma ci voleva
un
indagine per arrivarci? Davvero?
Pansy sbuffò
quando dissero che dovevano organizzare la cattura di Harris.
Organizzare? Ma
non bastava andare al San Mungo e schiantarlo? Santo Salazar, come la
facevano
difficile! Rapporti qua, indagini là, prove su e sospetti
giù. Era così e
basta. Harris aveva preso il posto di Denys al San Mungo, solo Salazar
sapeva
cosa combinava con i pazienti, e loro volevano aspettare di organizzare
un
piano?
Le prudevano
le mani, ma stavolta per altri motivi. Si sentiva arrabbiatissima.
Soprattutto
quando Blaise le aveva detto che lei non sarebbe potuta andare con
loro. Ma
come? Lei sapeva ogni cosa sul San Mungo, conosceva i posti in lungo e
in largo
e conosceva tutte le persone che ci lavoravano. Come si permettevano di
lasciarla fuori? Harris non solo aveva rapito Denys, ma aveva lanciato
a lei un
incantesimo Oblivion e aveva tentato di rovinarle la reputazione in
ospedale!
Possibile che non capissero? Aveva bisogno di vederlo faccia a faccia.
Merlino,
avrebbe voluto schiantarlo o lanciargli una maledizione. Era stata
buona e
paziente e aveva fatto tutto quello che avevano detto. Ma
ora…
“Vieni con
me.”
Blaise la
prese per mano e la condusse fuori dall’ufficio del Ministro,
nel piccolo
corridoio cieco.
Blaise
doveva riuscire a far capire a Pansy che non era una sciocchezza. Non
bastava
andare in ospedale e dire a Harris: ‘Ciao, sappiamo che non
sei il vero dottore.
Vieni con noi al Ministero’.
“Ascolta” le
disse, prendendole le spalle. “Non puoi venire. So che sei
arrabbiata ed è
giusto, ma potresti fare qualcosa di pericoloso, per te o per gli
altri.
Potrebbe finire male. Potrai parlare con lui, te lo prometto, ma qui.
Al
sicuro. OK?”
Non voleva
assolutamente che lei potesse farsi male. Merlino l’aveva
appena ritrovata! E
se Harris le avesse lanciato una maledizione? Cosa avrebbe fatto, lui?
Certo! Lei,
poverina, non era capace di fare niente, eh? Era convinto che fosse
un’inetta? Mettere
in pericolo gli altri? Ma quando mai.
“Non metterò
in pericolo nessuno. Voglio solo esserci. Voglio sentire cosa dice,
come
reagisce.”
Merlino
voleva vederlo tremare al pensiero di essere stato scoperto. Quel
viscido essere
immondo! Era peggio di un Troll.
“No”. Blaise
scosse la testa per rafforzare il divieto.
“Fammi
parlare con la Granger, o con Shacklebolt…” Blaise
scosse ancora il capo.
“Con loro ho
parlato io. Pensiamo tutti che non sia il caso
che…”
“Ho capito: non
mi volete.”
“Non è che
non ti vogliamo…” Pansy si arrabbiò
ancora di più. In quel momento il moro
sembrava lei quando aveva dei piccoli pazienti che non volevano farsi
curare e
doveva convincerli con parole gentili. Ma lei non aveva cinque anni.
“Ho capito.
Dimmi almeno quando sarà.”
“Perché?”
“Così
smetterò di preoccuparmi”. Lui sorrise e Pansy si
sentì quasi male per la
menzogna.
“Penso
stasera. Appena sarà pronto tutto.”
“Posso
andare da Denys, almeno?” Lui si adombrò un
po’, ma poi annuì.
“Penso non
ci siano problemi.”
Perfetto.
Non aveva specificato quale ‘Denys’.
Quando
tornarono dentro l’ufficio, il Ministro alzò gli
occhi su di loro. Vide Blaise
annuire. Bene. Aveva acquietato il cagnolino. Bravo Blaise.
“Ti ha
spiegato il tuo fidanzato i motivi per cui è meglio
se…”
“Lui non è
il mio fidanzato”. Pansy interruppe il Ministro. Al diavolo
tutto. Non si voltò
verso Blaise perché sapeva che non avrebbe retto il suo
sguardo.
Il Ministro
annuì e lei disse: “Mi ha spiegato tutto,
comunque”.
***
“Ciao, April.”
Pansy si
sedette vicino all’amica che vegliava Denys ancora sotto
pozione. Ci sarebbe
voluto ancora un po’, prima che si riprendesse.
“Pansy! Non
pensavo venissi qui. È una… sorpresa?”
Pansy guardò il collega ancora steso a
letto.
“Sono venuta
a chiederti un favore. Per me. Ma anche per lui” disse,
indicando il letto.
“Certo. Cosa
posso fare?” Lei gli allungò un piccolo bastone di
legno”
“Ma questa
è…”
“No. Ma se
ci sei cascata anche tu, vuol dire che è fatta
bene”.
April annuì.
L’avrebbe aiutata.
“Dimmi cosa
devo fare.”
***
“Denys.”
L’uomo si
voltò, sorpreso. Era appena entrato nell’ufficio
della dottoressa Parkinson,
non si aspettava nessuno. Ma invece, sul divano, quello su cui aveva
dormito
gli ultimi sei giorni, era seduta proprio lei.
La ragazza si
alzò quando lo chiamò. Aveva la bacchetta in
mano, ci giocherellava, ma non
fece nessun incantesimo.
“Pansy. Come
stai? Non dovresti essere qui, lo sai, con quello che è
successo…”
“Sai, Denys,
io non mi ricordo cos’è successo. Non è
che potresti spiegarmelo? Perché lo
psicomago dice che ricordare mi sarebbe utile. Sai, capire gli errori,
e quelle
menate lì…” Fece girare la bacchetta
come un bambino che giocava con la sua
prima scopa.
“Io l’ho
detto, allo psicomago, che non è stata colpa tua, che
facciamo turni assurdi e
la stanchezza a volte ti porta a fare errori stupidi. A volte gravi. Ma
stupidi. Gliel’ho detto, che non dovrebbero toglierti il
lavoro, ma non so se
li ho convinti. Loro sono così… fiscali, con
queste cose… Però dai, al massimo,
se non potrai più fare il medimago, potrai pensare ad altro,
a sposarti, magari,
e avere dei bambini. Non hai detto che ti piacciono i
bambini?”
Pansy
strinse la bacchetta. Forte. Le sue nocche divennero bianche per lo
sforzo, ma
lei non lo notò. Dovette fare uno sforzo tremendo per non
schiantarlo. Aveva
bisogno di chiedergli ancora qualcosa. Ma non sapeva come fare. Non era
troppo
preparata per una cosa del genere. In quel momento se rese conto di non
sapere
troppe cose. Da quanto tempo lui aveva preso il posto di Denys? Lei ci
aveva
pensato, il giorno prima, e cercava di capire quale poteva essere un
momento in
cui lui gli era sembrato diverso. Ma non ci era riuscita. Aveva pensato
anche
di chiederlo alla contessa Helena del quadro, ma sapeva che spesso i
quadri
avevano le idee confuse per quanto riguardava lo scorrere del tempo.
In quel
momento, mentre ascoltava il dottore parlare, notò che la
sua voce era un po’
diversa. Ma i giorni che lavorava, come diceva il mago davanti a lei,
facevano
turni assurdi, dormivano poco e a volte le cose sfuggivano. Si
ricordò di
quando lei aveva dovuto far ripetere a Potter il colore della
maledizione. O
del fatto che non si ricordasse di preciso quale delle due fosse. Per
quello
avrebbe dovuto parlare con il direttore del San Mungo. Presto lo
avrebbe fatto.
I turni andavano ridotti.
“Hai
ragione. Forse è il caso che pensi a sposarmi.
Così farò anche contento mio
padre…”
L’uomo
annuì. Sperò di fare presto e di mandarla via.
Era meglio non attirare l’attenzione,
se qualcuno l’avesse vista lì al San Mungo, magari
avrebbero iniziato a fare
domande e non era il caso.
Doveva
aspettare solo altri due giorni e Potter sarebbe morto. Due giorni in
quel
posto orrendo e poi avrebbe potuto andarsene. Il figlio di Dolohov gli
aveva
promesso del denaro, tanto denaro. Avrebbe potuto vivere senza
più lavorare, in
un bel posto sperduto da qualche parte.
Già gustava
il sapore del dolce far niente, altro che luridi folletti che
controllano ogni
singolo zellino che usciva dalle camere blindate. Se una camera
blindata non ha
eredi non è più di nessuno, no? E invece no.
Aveva dovuto lottare contro quel
folletto impiccione e l’aveva dovuto sistemare in una delle
cantine. Era stato
bravo con gli incantesimi, quella volta. Sospirò. Se solo
Potter si fosse
sbrigato a passare all’altro mondo! Doveva per forza essere
giovane e così in
salute?
Doveva
mandare via la dottoressa. Ma in quell’ufficio, come in tutti
gli ambulatori e
gli uffici dei dottori, non ci si poteva smaterializzare,
così le propose: “Tuo
padre sarà contento, sì, e magari
smetterà di crearti casini alla Gringott. Che
dici adesso di andare a casa? Magari ti fai un bel
bagno…” Lei sorrise.
“Non ho mai
raccontato a Denys di mio padre, Harris.”
Quando lui
capì quello che intendeva, la sua faccia fece una smorfia
così strana che Pansy
quasi rise. Ma non c’era niente da ridere. Pansy
alzò la bacchetta e incantò la
porta. Poi continuò. “So che mi hai lanciato un
Oblivion. Ma non è una cosa un
po’… vile, Harris? E poi per cosa? Per uccidere
una persona? Una sola persona?
Tutto questo casino per Potter?” Lui
spalancò gli occhi.
“Potter ha
fatto rinchiudere i mangiamorte!” Lei annuì.
“È vero.
Persone che agivano illecitamente per scopi personali. Non è
la cosa giusta?” Lui
alzò le spalle.
“Non mi
interessa di Potter o dei mangiamorte. Carter ha denaro a sufficienza
da farmi
vivere da nobile purosangue per tutta la vita. Non dovrò
più lavorare. Stare a
contatto con i folletti, o con gente come te, ricca e viziata. E lui
voleva
Potter morto. L’ho solo aiutato. Uno scambio di favori. E
ormai sarà morto.
Ricordi? Otto giorni al massimo.”
“Chi è
Carter?” chiese ancora lei. Doveva essere l’altro
mago, il figlio illegittimo.
Oppure un altro ancora.
“Il figlio
di Dolohov. Pensavi che non sapessi che Potter fosse stato colpito da
una
maledizione discendente da quella di Dolohov? Tu lì che
controllavi e tastavi,
con la bacchetta lo visitavi e gli facevi tutte quelle domande. Io lo
sapevo
già. Fuori non si vede niente: i danni sono tutti
all’interno!” Rise
nervosamente e prese la fiaschetta da cui beveva. Diceva che doveva
idratarsi,
ma adesso Pansy sapeva cosa c’era dentro: la pozione
polisucco!
Ecco da
quanto tempo era stato sostituito, da quando aveva iniziato a
‘idratarsi’ così
spesso. Merlino, e quando aveva iniziato?
“Pozione
polisucco, eh? Ci vuole quasi un mese per prepararla. Chissà
come dev’essere
stato difficile aspettare tutto quel tempo prima di poter agire,
vero?”
“Non abbiamo
aspettato la pozione, piccola idiota. Abbiamo aspettato il momento
giusto per
colpire Potter. La pozione era già pronta.”
Pansy
sorrise: era quello che voleva sapere.
“Quindi sei
diventato Denys solo una settimana fa? Quando Potter è stato
attaccato? Al
momento giusto?”
“Già. Non
sei proprio sveglia, vero? Forse ha ragione tuo padre, che dice che
dovresti
sposarti. E farti guidare da un uomo…” Pansy
strinse i denti e alzò la
bacchetta.
Quando lui
alzò quella del dottor Denys, lei rise, perché
non ne uscì nessun incantesimo.
Lui guardò la bacchetta, sorpreso. “È
una copia innocua. Te l’ho fatta
sostituire prima di venire qui. Sembra che un bel paio di gambe ti
facciano
perdere la ragione come a me la mancanza di sonno. Ora chi è
quello poco sveglio?”
Comunque lei
aveva finito. Voleva solo sapere da quanto tempo fingeva di fare il
dottore.
Avrebbe dovuto controllare tutti i pazienti che aveva visitato, gli
incantesimi
che aveva fatto e le pozioni che aveva prescritto. Per il
resto… Poteva
lasciarlo agli Auror.
“È stato un
piacere, Harris.”
Ma mentre si
incamminava verso la porta, questa venne spalancata e lei si
trovò di fronte
Blaise con la bacchetta in mano. Merlino! Ci aveva messo troppo tempo?
Blaise
spalancò la porta, che era bloccata magicamente e fece per
entrare. Quando si
trovò davanti Pansy spalancò gli occhi sorpreso.
E preoccupato. E arrabbiato.
“Cosa ci fai
qui?” In un lasso di tempo veramente breve vide il dottore
tirar fuori la
bacchetta, prendere Pansy per la vita e tirarla indietro verso il
centro della
stanza, tenendosela davanti. La bacchetta della ragazza era caduta e
lui teneva
la sua puntata contro di lei.
“Ok, che
bella sorpresa!” Rise un po’ nervosamente.
Vide Pansy
guardare la bacchetta con gli occhi spalancati.
“Ma la
bacchetta di…”
“Taci,
questa è la mia bacchetta, non quella del dottore. Pensavi
che lasciassi la mia
a casa? Con cosa credi tu abbia ricevuto
l’oblivion?”
Pansy
spalancò gli occhi. O Merlino! Non ci aveva pensato! Ecco
perché non doveva
fare quelle cose! Non era addestrata a pensare come un Auror! Le venne
quasi da
piangere. Avevano ragione tutti. Era un’incapace, aveva
sottovalutato un idiota
come Harris.
E li aveva
messi tutti in pericolo.
Blaise vide
gli occhi di Pansy farsi lucidi. No. No! NO!
“Ok,
ragazzi, tutti indietro e nessun ‘Avada’
scapperà da questa bacchetta. Ora,
voglio solo riuscire a passare quella porta, vedete? Tutti da quella
parte lì e
alla ragazza non succederà niente. Su…”
Voleva
uscire dalla porta per smaterializzarsi! No! E Pansy? Se la sarebbe
tirata
dietro? No. No.
“Aspetta. Ti
lasceremo andare. Tutti indietro” disse, rivolto agli altri.
“Ma lascia lei.
Prendi me”. Cercò di non guardare Pansy.
“Prendi me” ripeté. Lasciò
cadere la
bacchetta per terra. “Prendi me”.
“No, lei
è molto più carina”. Fece un passo
indietro. “Tutti su quel lato lì.
Presto!” Voleva arrivare alla porta. Fece un
altro passo mentre ridacchiava. “E poi lei è
abbastanza stupida. Sarà più
facile”.
Vide il viso di Pansy
imbestialirsi. Il
dottore però non lo notò e quando fece un altro
passo verso la porta, Pansy si
aggrappò al suo braccio e lo fece inciampare
all’indietro, spostandogli una
gamba con uno sgambetto. Appena mollò la presa su di lei,
lei si chinò e andò a
raccogliere la bacchetta.
Come lui fu
per terra gli furono addosso in tre, Pansy compresa.
“Expelliarmus!” gridò la
ragazza. La bacchetta di Harris volò via dalle sue mani come
una saponetta
sotto la doccia.
“Brutto
Troll!” Pansy gli diede un calcio a un piede e rimase a
osservare la Granger che
lo immobilizzava subito, mentre il suo collega Santos le chiedeva:
“Sei un
Auror?”
La mora
scosse il capo guardando la riccia che sequestrava la bacchetta di
Harris.
“Sicura di non averlo già fatto?” Lei
annuì silenziosamente mentre si asciugava
una lacrima.
Poi si voltò
verso Blaise. Un’altra lacrima scese sulla guancia ma non la
fermò.
“Pansy…” Lei
scappò via.
Fuori
dall’ufficio, Pansy si scontrò con il direttore
del San Mungo e con Shacklebolt.
Oh, stupendo. Avrebbe dovuto spiegare cosa ci facesse lì.
“Dottoressa
Parkinson! Ho appena fatto una chiacchierata con il Ministro e mi ha
raccontato
quello che è successo…” Il medimago si
voltò verso il Ministro e poi tornò a
guardarla. Cosa stava succedendo?
“Ora
sappiamo che non è colpa sua. Ci dispiace essere
stati…” Lei ciondolò una mano
nella sua direzione.
“Avremo
tempo per parlare di questo. Voglio vedere la pergamena con il registro
dei
pazienti. Ho bisogno di sapere cosa ha fatto
quel…” In quel momento gli Auror
portarono fuori Harris dall’ufficio di Pansy.
“Aspettiamo
al Ministero che la polisucco smetta i suoi effetti?” Il
Ministro annuì. L’Auror
che le aveva chiesto se fosse una loro collega, se ne andò
lungo il corridoio
con Harris.
“Abbiamo
comunque la sua bacchetta. Sappiamo chi è”. La
Granger era molto efficiente, mostrò
la bacchetta a Shacklebolt e lui sorrise e annuì. Ma la
Granger continuò:
“Abbiamo anche trovato questa…”
Mostrò la finta bacchetta che aveva usato
Harris.
“È la
bacchetta del dottor Mills” disse il direttore.
“Mmm… Non è
una bacchetta funzionante, dottore” disse Blaise, vicino alla
Granger.
Pansy tossì.
“È un bastone trasfigurato. L’ho fatto
io. Abbiamo sostituito la bacchetta di
Harris per precauzione. Non avevo pensato che potesse avere addosso due
bacchette…” Era stata troppo stupida. Avevano
ragione: poteva finire male.
“Davvero?
Gran bella idea. E dov’è la bacchetta
originale?” chiese la Granger.
Pansy tirò
fuori la bacchetta di Harris dalla borsa che aveva a tracolla e gliela
allungò.
Era avvolta in uno straccio rosso. Sorrise appena e annuì
verso la ex Grifondoro.
Non guardò mai verso Blaise.
Si voltò
verso il direttore. “Posso vedere il registro dei pazienti,
adesso? Ha detto di
aver sostituito Denys da lunedì ma
preferirei…”
Il direttore
annuì. Dovette capire le sue intenzioni perché
disse che l’avrebbe accompagnata
onde evitare problemi burocratici di qualsiasi genere.
Shacklebolt
chiese ancora: “Lunedì scorso? Quando è
stato colpito Harry… Siete riusciti a
interrogarlo prima di portarlo via?” La riccia
guardò verso Pansy.
“No, ancora
no, Kingsley.”
Il Ministro
si voltò verso di lei e la guardò curioso. Pansy
si incamminò lungo il
corridoio con il direttore. Non salutò nessuno.
***
Blaise si
materializzò al San Mungo e prese il corridoio verso il
reparto di Pansy. Non
le aveva più parlato. Avevano interrogato Harris. Ci avevano
messo tantissimo
tempo, ma alla fine avevano fatto tutto. Che brutta faccia che aveva
quel mago
di suo!
Avevano
aspettato che l’effetto della polisucco sparisse, prima di
interrogarlo e
Blaise ne fu contento. Non voleva odiare la faccia dell’amico
di Pansy e sapeva
che sarebbe successo se l’avessero fatto intanto che aveva
ancora le sue
sembianze. E avevano richiamato anche Carter, il figlio illegittimo di
Dolohov.
Chissà che piacere per lui finire ad Azkaban insieme al
padre!
Erano
riusciti a ottenere tutto ciò di cui avevano bisogno. Ora se
ne sarebbe
occupato il tribunale. Questa volta avrebbe dovuto presentarsi davanti
al
Wizengamot? Non ne era sicuro. Era un lavoro così diverso da
quello che faceva
di solito…
La porta del
reparto era chiusa e c’era scritto che non si poteva entrare
se non all’orario
delle visite. Ma l’orario delle visite era valido anche per
andare a trovare un
dottore? Blaise non era così sicuro di essere accolto bene
da Pansy, così non
si azzardò a entrare. Si sedette su una sedia lì
nel corridoio e aspettò che
passasse quella mezz’ora.
“Zabini!”
Alzò gli occhi sulla moglie di Potter che arrivava, reggendo
un contenitore di
plastica. Si sedette vicino a lui. “Vuoi un po’ di
torta di melassa? Mamma l’ha
mandata per Harry, ma sembra ne abbia bisogno anche
tu…” Blaise scosse la
testa.
Lei era
contenta. E già. Stava andando da suo marito.
Cercò di sorriderle. “È già
sveglio?” Lei scosse la testa.
“Dovrebbe
svegliarsi fra quarantacinque minuti” lo disse come se stesse
contando il
tempo. Probabilmente era così. “Sono contenta di
come sono andate le cose.”
“Sì,
anch’io. Posso chiederti una cosa, Wea…
Potter?” Lei si voltò verso di lui,
incuriosita.
“Dimmi,
Zabini.”
“Di cosa
avete parlato tu e Pansy quando siete rimaste sole?” Ti prego non mi dire Goldstein.
“Mi ha
chiesto di duellare con lei.”
COSA? “Duellare?”
“Sì, mi ha
chiesto di insegnarle qualche incantesimo. Mi ha detto di non aver mai
avuto
bisogno di proteggersi o di attaccare qualcuno, ma che voleva imparare
a farlo.
Le ho mostrato qualcosa. Qualcosa di semplice. Quello che Harry ci
aveva
insegnato a scuola…”
Blaise
annuì. Pansy non era stupida. Non era andata da Harris
totalmente impreparata.
Era stata audace e astuta. Voleva parlare con lui, sapere
perché e da quanto
tempo. E ci era riuscita. E invece lui non l’aveva aiutata.
Aveva pensato che
non ce l’avrebbe fatta. Beh, a dir la verità non
voleva che lo facesse perché
aveva paura che potesse finire male, non perché lei non ne
sarebbe stata
capace. Aveva paura di non poter fare niente in caso di pericolo, come
effettivamente era successo. Lei era stata bloccata da Harris e lui non
era
riuscita a salvarla.
Si passò la
mano fra i capelli. Era lui quello impreparato. Era lui che
l’aveva messa in
pericolo. Se avesse accettato di farla venire con loro, come aveva
anche suggerito
la Granger, non si sarebbero scontrati sulla porta e non ci sarebbe
stato quel pasticcio.
E lei non si
sarebbe trovata in pericolo. Aveva visto come l’aveva
guardato. E non poteva
farci niente, era davvero colpa sua. Sospirò e si
passò di nuovo la mano fra i
capelli. Avrebbe
dovuto essere lui, a
insegnarle a difendersi. Avrebbe dovuto avere più fiducia.
Ora lei…
“Abbiamo
anche parlato di ragazzi.”
La Potter
interruppe i suoi pensieri.
Ginny pensò
di dover alleviare la pena di quel povero ragazzo. Cosa era successo?
Non era
andato tutto bene? Non sapeva bene cos’era avvenuto, ma lui
sembrava
nervosissimo. Si voltò verso di lei, quando
pronunciò quelle parole.
“Di chi
avete parlato? Di Goldestein?” Chi? Anthony?
Perché avrebbero dovuto parlare di
Anthony?
“Anthony?
No. Abbiamo parlato di te.”
“Di me?” Si
tirò un po’ su. E sorrise. Bene, bravo Zabini.
“E cosa
vi…?” Il rumore della porta del reparto che si
apriva lo interruppe e un’infermiera
la salutò.
“Buonasera
signora Potter.”
Lei ricambiò
il saluto ed entrò velocemente. Non vedeva l’ora
di tenere la mano di Harry. Entro
poco si sarebbe svegliato e avrebbe potuto baciarlo.
Blaise
osservò la rossa scappare dentro il reparto e non le disse
niente. Andava da
suo marito. Era giusto così.
Si alzò e
attraversò la porta. Imboccò il corridoio e si
incamminò verso l’ufficio di
Pansy. Gli avevano detto che era ancora lì. Era arrivata
quando aveva
affrontato Harris. E non era più tornata a casa. Gli aveva
detto che l’idea che
lui visitasse i suoi pazienti la metteva in agitazione ed era
preoccupata.
Avrebbe dovuto capire meglio il suo stato d’animo.
Sospirò. Poi
la vide. Aveva il camice e parlava con un altro dottore. E sorrideva.
Sorrideva
contenta.
“Meno male
che ci hai pensato tu, Philip. Non sai quanto mi faccia sentire
più tranquilla.”
Il dottore
dalla folta barba scura le sorrise. “Quando sei stata sospesa
è stato sospetto,
per tutti noi. E Mills non sembrava troppo in
forma…” Pansy sorrise.
Harris non
era pratico dei turni dell’ospedale. Per chi non è
abituato sono massacranti.
Non averlo trovato fuori di testa era già una bella cosa.
Così non aveva
combinato troppi danni.
Dopo aver
scoperto della settimana di Harris come dottore, si era preoccupata. Ma
aveva
controllato tutti i pazienti, nessuno escluso (era andata anche da
Potter, ma
era ancora incosciente) e dopo aver finito tutto il giro e aver
controllato
ogni cosa, aveva scoperto che qualcuno degli altri dottori si erano
insospettito
e avevano coperto i suoi turni spontaneamente, vegliando i pazienti
senza
lasciarli in balia di Harris.
Oh Merlino,
avrebbe voluto abbracciare Philip. Lì in quel momento. I
suoi pazienti erano
salvi.
Sorrise. Per
la prima volta sorrise, soddisfatta e serena. Poi, lungo il corridoio
vide
arrivare una persona: sorrise ancora di più. Gli
andò incontro e a metà strada
si accorse di aver accelerato l’andatura. Quando se lo
trovò di fronte
l’abbracciò forte. Quanto le era mancato!
Blaise vide
Pansy correre ad abbracciare Denys. Il vero Denys. Una morsa gli
stritolò forte
lo stomaco, salì veloce lungo il petto e gli
afferrò la gola. Non riuscì a
fermarlo. Una fitta potente che gli bloccò il respiro.
Poi una
ragazza al suo fianco disse: “Ehi, giù le mani dal
mio ragazzo, dottoressa
Parkinson!”
La guardò.
Era l’infermiera che li aveva guidati a casa del dottore. Lei
si voltò verso di
lui e ammiccò, facendogli cenno con la testa di seguirla. Si
incamminò dietro
di lei e si avvicinò a Pansy. Quando Pansy lo vide
spalancò gli occhi e poi
guardò da un’altra parte. Oh, no. No.
“Cosa fai
qui?” chiese a Blaise appena riuscì a raccogliere
tutto il coraggio che aveva.
April lo
prese a braccetto e le disse: “Siamo venuti a darti una
grande notizia”, ma poi
si zittì. Lo faceva apposta.
Così strinse
le labbra in un sorrisetto e si rivolse direttamente a lei.
“Dimmi, che
notizia?” era un giochetto. L’avevano fatto milioni
di volte. Ma questa volta
April non voleva giocare, perché subito rispose:
“La tua amica Daphne ha
partorito”. Come? Daphne? Il bambino?
Si voltò
verso Blaise. E perché lui era andato da Daphne?
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Capitolo 8 *** Pansy ***
Pansy
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Pansy
sorrise. Il bambino di Daphne! Era già a scadenza? Non si
parlavano da una
settimana. L’aveva evitata. Povera Daphne. Magari aveva avuto
bisogno e lei non
c’era. Quasi si sentì male.
Guardò verso
Denys, che le fece cenno di andare con la testa, mentre metteva un
braccio
sulle spalle di April. Guardò verso di lei, che per fortuna
si era staccata da
Blaise e le sorrideva sorniona.
Poi guardò
Blaise. Non riusciva a capire cosa stesse pensando. Poteva chiedergli
perché
fosse andato da Daphne? Una vecchia scintilla, forse?
Per un
attimo barcollò mentalmente. No, lo fece fisicamente, tanto
che Blaise si
avvicinò e le mise una mano sotto l’avambraccio
per sostenerla. Non se n’era
resa conto.
“Stai bene?”
Annuì. Il suo tocco caldo la emozionava e le faceva vibrare
il petto.
Nonostante tutto. Annuì ancora, incapace di fare altro.
“Vuoi andare da
Daphne?”
“Sì”. Forse
camminare era meglio.
“Accompagnala”
sussurrò April l’infermiera a Blaise. Lui
annuì e poi si voltò verso Pansy.
“Ma non sono
sicuro di essere ben accetto… Ti accompagno ed entri da
sola, ok?” Lei lo
guardò stranita, ma accettò. Si
incamminò verso l’ascensore, vicino a lei,
incapace di dire qualsiasi cosa.
Vederla
abbracciata a un altro era stato devastante, ma il suo sguardo lo era
stato
ancora di più.
Ce l’aveva
con lui. E aveva ragione. L’aveva messa in pericolo.
Entrarono
nell’ascensore e nel farlo le loro mani si sfiorarono. Pansy
ebbe un sussulto.
Blaise si
rattristò. Sarebbe riuscito a spiegarsi? Non lo aveva fatto
apposta. Lui era
abituato a decidere per sé e a fare le cose da solo. Avrebbe
dovuto darle retta.
Avrebbe dovuto…
Pansy spinse
un bottone.
Pansy non
aveva capito… “Ma non sei stato da
Daphne?”
“Io? A fare
che?” Oh. Che scema. Ai maschi non interessavano i bambini,
forse?
“Avevo
capito…”
“La tua
amica ti fatto uno scherzo, temo. Non sapevo di Daphne.”
Oh. E cosa
era venuto a fare?
“Allora ci
sono stati problemi al ministero? Con… Harris?”
Lui scosse il capo, confuso. “È
andato tutto bene? Devo venire a… parlare con
qualcuno?” Lui scosse ancora il
capo. Oh, Merlino, perché non diceva niente?
“Perché sei qua, allora?”
Il suo
sguardo si adombrò per pochissimo, tanto che Pansy
pensò fosse dovuto alla
lanterna dell’ascensore e non fosse accaduto davvero.
“Sono venuto
per chiarire le cose con te. Non mi sembra ci siamo lasciati bene,
oggi…” Lui
la guardò intensamente. Oh, Merlino voleva sgridarla? Voleva
cruciarla
verbarlemente? Sapeva di aver fatto una stupidaggine. Ma era da sola.
Non
sapeva come fare e doveva assolutamente farlo. Doveva parlare con
Harris. Prima
che al Ministero. Chissà quanto ci avrebbe messo, al
Ministero.
Adesso
sapeva che i suoi pazienti non correvano nessun pericolo, ma prima non
lo
immaginava nemmeno. E ora era in quel pasticcio…
Lei non
rispondeva. Aveva quello sguardo corrucciato, bellissimo, fra
l’altro. La
trovava estremamente sexy quando lo faceva. Per Salazar che voglia di
tirarla a
sé e baciarla!
Ma non
capiva cosa stesse pensando. Come avrebbe reagito se lo avesse fatto
davvero? Con
lei era sempre più difficile.
Con il suo
lavoro sapeva leggere le persone quasi perfettamente, ma con
Pansy… Con lei era
difficilissimo. Si mettevano in mezzo tutte quelle paure e i piaceri
che lei
gli stimolava e tutto andava in brodo.
“Andiamo
prima da Daphne?” Blaise annuì. Ok, niente baci.
Sospirò.
Sperò solo
di poter rimanere fuori dalla stanza.
Uscirono
dall’ascensore e Pansy si avviò spedita verso il
corridoio della maternità.
“Buonasera
dottoressa” la salutò una delle infermiere.
“Ciao,
Candy. Cerco Daphne Wilkinson. Sai in che camera
è?” L’infermiera glielo disse
e le indicò la direzione.
“Grazie
mille” rispose e si avviò con Blaise lungo il
corridoio.
Quando
arrivò davanti alla porta di Daphne tentennò.
Blaise per
poco non finì contro Pansy quando si bloccò.
Merlino, l’avrebbe travolta.
Sarebbe caduta di sicuro, se lui non l’avesse afferrata. Lei
sorrise. Meno
male.
“Sono sempre
sbadata. Anche al matrimonio…” Lui si
avvicinò al suo orecchio mentre una
strega passava nel corridoio superandoli.
“Al
matrimonio è stata colpa mia. L’ho fatto apposta
per toccarti” sussurrò. Lei si
voltò, molto più stabile.
“Come?”
Blaise ghignò.
“Hai sentito”.
Le sue guance assunsero un colorito rosato e lei fece un passo
indietro. Per
Salazar, si sarebbe arrabbiata?
Pansy sentì
le guance andare a fuoco e un brivido lungo la spina dorsale. Cosa
aveva fatto
al matrimonio? Santo Salazar, solo per toccarla? Si ricordò
di quel tocco.
Merlino, si ricordò anche di tutti gli altri. Le sue mani
erano fantastiche.
Fece un
passo indietro. Forse così sarebbe riuscita a mantenere un
po’ di stabilità.
Guardò la porta della camera di Daphne. Poi si
sentì il pianto di un bambino, da
una camera in fondo al corridoio.
Alzò il viso
verso Blaise e disse: “Si arrabbierà se entro?
L’ultima volta non ci siamo
lasciate bene…”
Blaise le
mise una mano sulla spalla e le confidò: “Daphne
non vede l’ora di far pace con
te. Vai!”
E la spinse
dentro.
Daphne era
eccitatissima. E stanchissima. E agitata. E sfinita. O Per Salazar! Si
toccò le
guance. La sua bambina! Oh, com’era bella la sua bambina. E
come l’aveva fatta
dannare. Era stato faticosissimo. Ma ora era finita.
La bambina
stava bene e dormiva pacifica fra le sue braccia appoggiata sulle
cosce. Steve
non era ancora arrivato. La bambina era nata prima di quello che
immaginavano e
lui era via per lavoro. Gli aveva mandato un gufo. Avrebbe dovuto
materializzarsi
al San Mungo da un momento all’altro, pensava. Oppure il gufo
non l’aveva
ancora trovato. Sospirò.
Sua madre
era andata a casa. Era rimasta con lei fino a un quarto d’ora
prima. Poi era
andata a casa per mandare gufi a tutti i suoi conoscenti e vantarsi
della prima
nipote. Sospirò ancora.
Sentì la
porta aprirsi. Guardò in quella direzione e non
riuscì a trattenere l’ennesimo
sospiro quando vide entrare Pansy.
Com’era
bella Pansy, mentre le sorrideva. E Merlino, com’era snella.
Si guardò la pancia. Ne aveva ancora un po’.
Sarebbe andata via presto, giusto?
Pansy
dovette abituarsi alla penombra. Perché le stanze in
maternità erano così buie?
Una lanterna alle sue spalle si illuminò. Vide Daphne con la
bacchetta in mano.
Sorrise timidamente.
Lei ricambiò
il suo sorriso e allargò un braccio per invitarla vicino a
lei. Con l’altro
reggeva la bambina. Si avvicinò velocemente e
l’abbracciò. Quello era il giorno
degli abbracci ritrovati.
“Mi sei
mancata, Pansy. Scusami.”
“Va bene
così. Non preoccuparti.”
“No, no. Mi devo
scusare con te. Ma non volevo ferirti, davvero. Scusami. Volevo
solo…” La sua
voce si affievolì.
Le
accarezzò i capelli. Erano attaccati alla
testa e tutti sporchi. Poverina era un po’ messa male.
“Aspetta.”
Tirò fuori
la bacchetta e l’agitò sulla sua testa. I suoi
capelli tornarono puliti e
pettinati. “Oh, grazie. Avevo chiesto a mia madre di farlo,
ma si è scordata...”
“Allora,
fammi vedere questo…”
“Questa…
È una bambina.”
Il sorriso
di Pansy si illuminò. Daphne ne fu orgogliosa.
“Una bambina!”
Guardò la piccola che dormiva fra le sue braccia e il suo
viso si addolcì. “Che
meraviglia. Congratulazioni!” Poi si sedette vicino a lei sul
letto. “Posso…
Posso prenderla?”
“Prima
voglio dirti una cosa. Ti va di ascoltarmi?” Lei rise.
“Dev’essere
importante.”
“Devo
chiederti scusa.”
“Ho già
detto che non devi…”
“Fammi
finire. Non per la settimana scorsa. Beh, anche per quello. Ma per una
cosa
successa tempo fa.”
“Tempo fa?”
Pansy doveva
essere confusa. Giustamente. Poverina. Lei era così brava.
Non immaginava
neanche quello che le aveva fatto.
Daphne non
stava bene. Vaneggiava. Poteva chiamare un’infermiera?
“Sì, dieci
anni fa.”
Ok. Oltre
all’infermiera avrebbe dovuto chiamare anche il medimago.
Fece per alzarsi, ma
lei le posò la mano sul braccio.
“Ascoltami,
ti prego. Ho fatto una cosa brutta!” Oh. Cosa? “Ti
ricordi quando mi sono messa
con Blaise a Hogwarts al quinto anno?” Pansy
annuì.
Era stato
terribile: aveva pensato che le si sarebbe spezzato il cuore.
“Ti ricordi
quando ti ho detto che avevo fatto l’amore con
lui?” Annuì ancora.
Quella volta
aveva pianto. Di nascosto. E
dopo aveva
capito che non avrebbe mai avuto una possibilità con Blaise.
Per non contare il
fatto che lui stava con Daphne e loro stavano bene insieme.
“Beh, non è
vero. Non lo abbiamo fatto. Mai.”
Spalancò gli
occhi. Ma Daphne abbassò lo sguardo. Poi lo
riportò su di lei.
Pansy aveva
preso la decisione di mettersi con Draco, quando lei era passata oltre
con Blaise.
Faceva troppo male saperli insieme e pensare che lei sarebbe rimasta da
sola. Da
sola a guardarli. E Draco era lì…
“Ma tu avevi
detto…”
“Ho mentito,
Pansy. Ti ricordi? Avevo organizzato tutto. Il letto, le
candele… Ma non è
successo niente. Lui non è venuto. Non si è
presentato. Non riuscivo a dirlo a
nessuno. Mi sentivo umiliata, pensare di essere stata
rifiutata… Avevo paura di
far brutta figura…”
“Con me? Hai
mentito a me per non fare brutta figura?” Una lacrima
scivolò sulla guancia
della bionda e lei la scacciò via un po’
nervosamente.
“Ero molto insicura.
Volevo piacere e volevo essere grande. Ero stupida. Pansy, ero stupida.
Ho
pensato tante volte a dirtelo, ma non mi sembrava mai il momento
adatto. E poi
l’hai fatto anche tu con Draco e non volevo che pensassi che
io fossi
un’imbranata o una sfigata. E dopo… Più
il tempo passava e più era difficile.
Poi…” Non era finita? Su cos’altro le
aveva mentito, la sua miglior amica? “Poi
una sera Blaise mi ha chiamato con il tuo nome e non ci ho visto
più!”
“Cosa?” Lei
annuì.
“Mi ha
chiamato con il tuo nome e non ci ho visto più. Abbiamo
litigato. Lui mi ha
detto che gli piacevi tu e per me è stato bruttissimo.
Quando mi ha detto che
si era messo con me perché tu stavi con Draco, mi sono
arrabbiata e l’ho
schiantato.”
Cosa aveva
fatto?
“Cosa hai
fatto?” Daphne ridacchiò nervosamente.
“L’ho
schiantato. Ma Pansy, stavo con lui da tre mesi, volevo farci
l’amore e lui mi è
venuto a dire che gli piaceva un’altra. Che gli piacevi tu.
Cosa avresti
fatto?”
Lo sapeva
cos’avrebbe fatto. Sarebbe corsa da lui e avrebbero fatto
l’amore. Come avevano
fatto i giorni appena passati. Ma pensò a cosa avrebbe fatto
nei panni di
Daphne.
“L’avrei
schiantato. Due volte.”
Daphne
sorrise, ma continuò a piangere.
“Era
umiliante e non te l’ho detto. E non potevo dirti che gli
piacevi, altrimenti
avrei dovuto confessarti tutto il resto. Così mi sono
inventata la storia che
mi aveva tradito…” La bocca di Pansy
disegnò un cerchio per lo stupore.
“Non ti
aveva tradito allora?” Lei scosse il capo.
“No. Non
l’ha mai fatto. Alla fine, è lui il migliore fra
noi due…” Altre lacrime le
scesero sulla maglietta.
Lei
piaceva a Blaise. Pansy pensava solo quello. Poi
pensò a cosa sarebbe
potuto succedere se lo avesse saputo dieci anni prima. Non poteva
saperlo.
Nessuno poteva saperlo. Avrebbe potuto essere bello. Oppure, con
accanto Draco
e Daphne, sarebbe stato un disastro. Magari si sarebbero messi insieme
e
sarebbero durati come un gatto a cavallo di una scopa.
Pensò ai tre
giorni passati con Blaise. A lei, lui piaceva quello che era diventato
adesso.
Fisicamente e mentalmente. Era più maturo di quando andavano
a scuola. Sperò di
esserlo anche lei. Le piaceva quello che avevano adesso. Sorrise.
Andava bene
così.
Oh no, non
era vero. Come aveva detto lui in ascensore, non si erano lasciati
bene.
Sarebbero riusciti a chiarirsi? Sarebbe riuscita a spiegargli
perché era stata
così avventata?
Daphne sperò
che Pansy capisse. Vide il suo viso trasformarsi così tante
volte che fece
fatica a capire cosa pensasse.
L’avrebbe
voluta ancora come amica? Lei, la povera Daphne, invidiosa della sua
migliore
amica perché aveva un lavoro interessante, viveva la sua
vita coraggiosamente e
non guardava in faccia nessuno?
“Ti prego,
perdonami.”
“Vieni qui” le
disse e l’abbracciò. Daphne non riuscì
più a contenere un singhiozzo e non
frenò più le lacrime.
“Scusami. Scusami.
Sono stata stupida. Ma non ti volevo male. Davvero. Sei la migliore
amica che
ho. Sei l’unica, che ho. E sei la persona migliore che
conosca…” Pansy le
sorrise.
“Il parto ti
ha danneggiato qualcosa alla testa. Facciamo così. Tu non
provare mai più a
combinarmi un fidanzamento e io ti perdono. Va bene?” Lei
annuì.
“Mi perdoni davvero?
Dopo quello che ti ho nascosto? Ti ho ingannato. E non ti ho detto di
Blaise.
Sei sicura che…”
“Adesso non
ha importanza. È una cosa di tanto tempo fa.”
“Non proverò
mai più a farti sposare, te lo giuro. Non ti
presenterò più nessuno. Non mi
interessa se ti sposi o no. Ma resta con me. Ti prego.”
“Non andrò
da nessuna parte. Te lo prometto. Ora fammi prendere in braccio questa
meraviglia. Prometto che non la lancerò.”
Daphne
sorrise e le passò la bambina. “Oh, la tieni
meglio di come la tengo io” disse
sconsolata.
Che Daphne
fosse sempre stata un’insicura, lo sapeva. Ma non pensava
avesse dei vuoti così
profondi. Le sorrise.
“Lei amerà
te. E ti riconoscerà dal tuo profumo. Ha sentito il tuo
cuore da dentro. È un
legame indissolubile. Ti insegnerà quello che pensi di non
sapere.”
Daphne la
guardò con gli occhi sbarrati e fece un sospiro di sollievo.
Per tutto,
probabilmente. Un po’ egocentrica. Ma una persona buona. Non
le avrebbe detto
che al quinto anno a lei piaceva Blaise. Che se lui avesse fatto solo
un gesto
nei suoi confronti, sarebbe caduta ai suoi piedi. Non c’era
bisogno di
dirglielo. Vedeva il suo senso di colpa e voleva risparmiarle
ciò che non era
necessario.
“E con chi è
che hai perso la verginità, allora?” E Lei sorrise
e si agitò appena. “Posso
dirtelo davanti a mia figlia?” e un sorrisino le dipinse le
labbra.
Quando rise
anche Pansy, disse: “Con Goldstein, di Corvonero. Te lo
ricordi?” Ultimamente Goldstein
saltava fuori dappertutto. Pansy se lo ricordava sì.
L’aveva visto proprio quel
giorno, al Ministero. Annuì.
“C’è
un'altra cosa che devo dirti…” Per Salazar, no! La
guardò di sottecchi. Cosa
avrebbe detto adesso? “A lui piaci ancora!” Come?
“Cosa hai
detto?”
“A Blaise
piaci ancora. L’ho visto, al matrimonio, come ti ha guardato.
Ti ha sempre
guardato così. E da quel che ho visto…”
Ammiccò nella sua direzione. Le sorrise
e Daphne capì. Il suo viso si allargò di stupore.
“Pansy! Hai
fatto la ragazzaccia?”
chiese con un
sorrisino divertito. Lei la ignorò e riportò
l’attenzione sulla bambina. Era
molto più facile così.
La piccola
assomigliava in tutto al papà. E aveva i riccioli di Daphne.
Era stupenda. Ma
non vedeva di che colore avesse gli occhi. Che poi, potevano sempre
cambiare.
La dondolò un po’ e la piccola
sbadigliò. Che meraviglia davvero.
“Quindi?”
Daphne non riusciva più a contenersi. Pansy
riportò l’attenzione su di lei.
“Quindi
cosa?”
“Quindi….
Non mi racconti cos’è successo? Da lui o da
te?” Vide le guance dell’amica
colorarsi e si rabbuiò.
“Oh, ok, non
dirmi niente. Va bene. Scommetto che mi odi o qualcosa
così.”
“Non ti
odio. Daphne, non potrei mai. Qualsiasi cosa mi combini, saremo amiche.
L’amicizia fra noi sarà sempre più
importante dei fidanzati. Da chi vorrai
andare a bere un bicchiere di vino quando tuo marito tornerà
tardi dal lavoro e
si lamenterà di qualcosa per cui tu avrai lavorato tutto il
giorno?” Daphne
sgranò gli occhi.
“Oh,
Merlino, succedera?”
“Se
succederà, casa mia sarà aperta.”
“Quindi non
mi dici niente?”
La porta
della camera si aprì e Steve entrò un
po’ velocemente. “Daphne!” Oh, che
carino. Pansy sorrise e si alzò in piedi con la bambina
ancora in braccio. Lui
si avvicinò velocemente alla moglie e
l’abbracciò.
“Mi spiace
di non essere arrivato in tempo.”
“Non
preoccuparti. Ci sono riuscita comunque.” Lui la
guardò stranito, poi guardò
Pansy. Lei alzò una spalla.
“È matta. Il
parto le ha dato alla testa” disse, come spiegazione. Lui
annuì, serio in
volto. Pansy rise del suo sguardo.
Aveva fatto
pace con Daphne, aveva ritrovato un’amica e aveva scoperto di
piacere a Blaise
già ai tempi della scuola. Guardò la bambina.
Daphne si
agitò un po’ sul letto. E fece un cenno
all’amica di avvicinarsi.
“Siediti,
tesoro, vieni a conoscere Pansy” disse al marito. Pansy si
accostò al letto
mentre ridacchiava.
“Il parto ti
ha fatto male davvero. Daphne, Steve mi conosce
già.”
Daphne
sbuffò. “Non parlavo di te!” Prese dalle
sue braccia la bambina per porgerla al
marito.
“Pansy, ti
presento il tuo papà.”
La mora strabuzzò
gli occhi. “Ma… La volete chiamare Pansy? Pansy
come… me?”
Steve si
girò verso di lei. “È tanto che lo
abbiamo deciso”.
Oh. Ma non
dovevano chiamarla come la madre di Steve? Daphne l’aveva
fregata pensò
guardandola mentre ghignava un pochino nella sua direzione. Una bambina
con il
suo nome. La bambina di Daphne. Che cosa bella. Si
sentì… commossa. Si asciugò
una lacrima con il dorso delle dita.
“Non so cosa
dire…”Daphne mise la figlia fra le braccia del
marito e la guardò.
“Non devi
dire niente. Farai da madrina?”
“Certo. Sarà
un onore.”
La bionda
annuì sorridendo.
“Però il
secondo nome sarà quello di mia madre, giusto?”
Vide lo sguardo di Daphne e
decise di lasciarli soli.
“Io vado. Ci
vediamo domani.”
Loro la
salutarono e Daphne l’abbracciò prima che uscisse.
“Ti voglio
bene” le sussurrò all’orecchio.
Sentì
un’altra lacrima scenderle sulla guancia.
Fuori nel
corridoio, Blaise chiacchierava con Theo e Draco. Astoria era un
po’ agitata,
ma sorrideva. Un’infermiera li aveva sgridati
perché erano tutti davanti alla
porta. Ma aveva anche detto loro che potevano entrare al massimo due
alla
volta. Astoria aveva dovuto aspettare fuori, perché era
entrato il marito di
Daphne e con Pansy erano già in due.
Steve, aveva
detto, quando si era presentato. Non sembrava male, il tipo.
Sospirò. La porta
si aprì e ne uscì una Pansy commossa. Vedeva la
scia che le lacrime le avevano
lasciato sulle guance.
“È così
brutto il bambino?” Pansy alzò di scatto la testa,
sorpresa. Astoria diede uno
scappellotto a Theo e Pansy sorrise.
“Theo, sei
proprio un troll! È una bambina ed è
bellissima.”
Astoria
scappò dentro un po’ agitata. Theo si
alzò e andò ad abbracciare la mora.
La sua
ragazza, pensò Blaise. O no? Pansy era la sua ragazza? Lo
era ancora? O non lo
era mai stata? Si passò una mano fra i capelli.
“Come stai?
Ho sentito della cattura di un certo mago…” le
disse l’amico.
“Veramente,
gli Auror ne hanno catturati due. Non te lo ha detto Blaise?”
Si girò verso
Draco. “Draco, tutto bene?” Lui annuì e
lei l’abbracciò.
Blaise li
guardò tutto il tempo. Theo gli diede una gomitata.
Pansy si
voltò di nuovo: Blaise la guardava. Dovevano parlare. Doveva
sapere se l’errore
che aveva commesso era troppo per lui. Era meglio saperlo subito. Si
morse il
labbro inferiore, guardandolo.
“Andiamo a
mangiare qualcosa dopo?” chiese a tutti e si girò
verso Theo. Era strano.
Cercava di sorridere ed essere allegro, ma lei lo conosceva bene.
Come era
andata con Amelia?
“È andata
bene con Amelia?” gli chiese sottovoce.
Lui alzò le
spalle. “Insomma. È rimasta un po’
sconvolta… Mi ha detto che ha bisogno
di…” si
interruppe.
“Vuoi
parlarne?” Theo scosse le spalle. Non stava bene. Non doveva
rimanere solo.
“Andiamo a mangiare qualcosa.”
Non era una
domanda. Lanciò un’occhiata a Blaise. Sapeva che
dovevano parlare anche loro,
ma non voleva lasciare solo Theo in quello stato.
“Voi
venite?” chiese allora a Draco. Il biondo alzò le
spalle e indicò la porta con
la testa.
“Oh, si è
sposato. Deve prima consultarsi con il suo capo!” Theo
ridacchiò e Draco gli
lanciò un’occhiataccia.
Poi Pansy si
rivolse direttamente a Blaise, visto che non aveva
risposto:“Tu cosa fai?”
Oh bella
domanda. Pensava di rimanere solo con lei. E invece… Ma non
se ne sarebbe
andato.
“Vengo con
voi” rispose. Lei sorrise. Meno male.
“Cos’hai
combinato?” gli chiese Theo mentre Pansy apriva la porta.
“Posso far
entrare gli altri?” chiese lei all’interno.
Guardò
l’amico. Possibile che lui avesse capito che le cose fra loro
non erano proprio
a posto? Poi la ragazza si voltò verso di loro e fece un
cenno per farli
entrare.
Oh, Merlino!
Doveva entrare anche lui? Si avviò per ultimo. Lentamente.
Magari se avesse
camminato piano piano avrebbero finito prima che lui entrasse. Ma
quando arrivò
alla porta, gli altri erano ancora dentro che parlavano.
“Vieni” gli
disse Pansy, “non ti schianterà.”
“Sicura?” Le
sorrise. Sorrise anche lei. “Però se mi stai
vicino, sono più tranquillo…” Lei
inclinò la testa.
Ti
prego, non dire che non mi vuoi. Allungò una mano.
“Dai, entra,
troll!” Entrò e lei chiuse la porta prima di
posargli la mano sul braccio.
Quando arrivarono vicino al letto di Daphne, la guardò e lei
tolse lo sguardo
dalla bambina per guardarlo. Gli fece un cenno con il capo.
“Daphne.
Bella bambina.”
La ragazza sorrise
e, dopo avergli fatto un cenno con il capo, tornò a guardare
la figlia. Poi suo
marito le posò una mano sulla spalla e baciò la
piccola sulla testa.
“Possiamo
andare, secondo te, adesso?” Si voltò verso Theo
che guardava stranito le due coppie
che vezzeggiavano la nuova nata.
“Beh, direi
di sì. Io ho fame” disse e Theo sorrise dandogli
una pacca sulla spalla.
“Io invece
ho sete.”
“Andiamo a
mangiare qualcosa? Siete dei nostri?” Pansy si era rivolta
direttamente ad
Astoria. Lei annuì.
“L’orario
delle visite è quasi finito. Tanto vale uscire tutti
insieme. Vieni con noi,
Steve?” Lui scosse la testa.
“Resto
finché riesco. Poi andrò a casa.”
Daphne
guardò tutti salutarla e andarsene.
“Blaise” lo
chiamò.
Il ragazzo
si girò. “Sì?” Gli fece cenno
di avvicinarsi. Steve prese in braccio la bambina
e si scostò per lasciarli parlare. Daphne lo
guardò camminare avanti e indietro,
cullando la piccola. Il suo amore. Suo marito. Il padre di sua figlia.
L’uomo
che amava.
“Dimmi…”
Blaise la guardava incuriosito.
“Grazie di essere
entrato. Mi ha fatto piacere.”
Lui annuì.
Si allungò e gli strinse una mano.
“Trattala
bene” sussurrò. Blaise alzò un
sopracciglio sorpreso e sorrise. “Altrimenti ti
schianto di nuovo!”
Gli lasciò
la mano e portò l’attenzione sulla sua nuova
famiglia senza più calcolarlo.
“Non ti ha
schiantato.”
Pansy gli
tornò vicina quando uscì dalla camera.
“No, ha
detto ‘ancora no’.”
Come? “In
che senso?” Sorrise e le cinse le spalle con un braccio.
“Niente, non
preoccuparti.”
Sorrise un
po’ stranito e lei non ci fece troppo caso.
***
“No,
scusate, quindi sapevate tutti del nome?”
Pansy non ci
credeva. Theo aveva detto che lui lo sapeva. E anche Astoria. Draco
aveva fatto
finta di niente.
“Che nome?”
chiese Blaise sedendosi al tavolo, sulla panca, vicino a lei.
“Hanno
chiamato la bambina Pansy” disse Theo.
A Pansy si
arrossarono le guance. Lo sentiva. Di nuovo. Si voltò verso
Astoria.
“Ma… Non
avete detto niente?”
“Perché,
cosa dovevamo dire?” Astoria inclinò la testa
mentre glielo chiedeva. Scosse le
spalle. Bo. Solo a lei sembrava strano?
“Io pensavo che
l’avrebbero chiamarla Mary, come la madre di
Steve…” Scosse la testa.
“Ma la madre
di Steve si chiama Elisabeth!” Oh. Fregata due volte.
Sorrise.
“Daphne mi
ha fregato…” Astoria sbatté il suo
bicchiere di burrobirra con quello di Pansy.
“Sì. È stata
brava, eh?” Rise.
Blaise aveva
ascoltato Theo raccontare di una ragazza babbana di cui si era
innamorato, una bellissima ragazza dagli
occhi verdi di nome
Amelia. Esattamente come lo disse lui, anche se il suo tono
non era felice.
E aveva ascoltato Draco e Astoria raccontare del loro viaggio di nozze.
Dopo un
po’ sperò che tutti dicessero che volevano andare
a casa per poter stare solo
con Pansy.
Quando
Astoria chiese a Pansy di accompagnarla in bagno, pensò che
fosse il momento
giusto per proporre una ritirata. Ma non aveva fatto i conti con Theo.
“Allora,
Draco, io e Blaise abbiamo fatto una scommessa. È vero che
al quinto anno ti
sei inventato di aver fatto sesso con Pansy?” Sia Blaise che
Draco sputarono la
burrobirra che stavano bevendo.
“Intendi…
quando abbiamo bevuto in camera?” chiese il biondo,
appoggiando il bicchiere
sul sottobicchiere. Blaise lo guardò. Anelava la sua
risposta. Draco lo guardò
di sfuggita. “Sì. Me l’ero
inventato…” Poi guardò verso la porta
del bagno. “Ma
non diteglielo” aggiunse.
Theo ghignò.
“A quale delle due non dobbiamo dirlo?” Draco lo
guardò sgranando gli occhi.
Oh, Theo, non esagerare. Theo tracannò un bicchierino di
Firewhisky,
ridacchiando.
“Non lo
diremo a nessuno.”
Blaise prese
di nuovo il bicchiere più per aver qualcosa da fare che per
sete.
“Ok…” Draco
giocherellò con un tovagliolo di carta.
“A Blaise
piaceva Pansy.”
A Theo non
era bastato, quello che aveva detto Draco. Forse perché non
aveva niente da
fare, se non aspettare che la sua ragazza si facesse viva. E aveva
deciso di
aspettare bevendo. Se lui doveva essere così stronzo,
sarebbe stato meglio che
Amelia arrivasse al più presto. Il biondo alzò lo
sguardo su di lui.
“Non lo
sapevo.”
“Già.”
“Non avrei
mai…”
“Non dire
stronzate, Draco. Non ci crede nessuno” disse Theo. Forse era
stato un po’
troppo duro. E forse aveva esagerato con il Firewhisky. Blaise
guardò la
bottiglia: praticamente l’aveva bevuta solo lui.
“Theo,
smettila. Non fare il cazzaro…” Lui
chinò la testa e prese un altro bicchiere.
“Ma tanto
adesso, Blaise, hai recuperato, no?”
“Ti ho detto
di smetterla. Altrimenti tiro fuori la bacchetta!” Il moro
sospirò e annuì.
“Che succede
fra te e Pansy?” gli chiese Draco.
“Non sono
affari tuoi.”
“Non
rovinare tutto come con Daphne. Per poco non si è diviso il
gruppo, a Hogwarts…”
A Blaise girarono le pluffe.
“Chi dice
che ho rovinato io la cosa, con Daphne?”
“Perché ti
ha mollato, allora?” Sbuffò e guardò la
porta del bagno.
Quanto ci
mettevano le ragazze?
“Tienimi la
borsa.”
Astoria entrò
nel bagno e chiacchierò un po’ con lei ad alta
voce, che era rimasta
nell’antibagno. Si guardò allo specchio che
c’era sopra i lavandini e si
sistemò i capelli. Quando la ragazza uscì e si
lavò le mani, la guardò
attraverso lo specchio.
“Allora? Che
succede fra te e Blaise?”
Come? Cosa?
Si voltò verso di lei così velocemente che si
tirò una ciocca di capelli.
“Merlino!
Che intendi?”
“Lui ti
tocca in continuazione. E ti guarda come se fossi un dolce prelibato.
Vuole
portarti a letto. Oh!” esclamò, inclinando la
testa. Pansy aveva sentito le
guance andare a fuoco. Doveva averlo notato anche Astoria.
“E a te
piacerebbe! Giusto? O l’avete già fatto? Merlino,
stai via tre settimane e
succede di ogni!” Pansy rise.
“Beh, di
ogni proprio no! Abbiamo solo…” Astoria si fece
più vicina.
“’Avete solo’?
Per Salazar, qualsiasi
cosa sia stato, ti è piaciuto, eh?” Astoria era
sempre stata così. Invadente e
chiacchierona. E lei e Daphne l’avevano sempre avuta fra i
piedi. Ma adesso
sorrise. Le sembrava così carina.
Poi, ghignò.
“Secondo te?” Astoria rise invece di rispondere.
“Dai,
andiamo.”
Pansy si
stava lavando le mani. “Aspettami!”
gridò, quando capì che non l’avrebbe
aspettat, cercando di fare presto.
Blaise si
scontrò sulla porta con Astoria che usciva. Lei lo
squadrò divertita e si voltò
verso l’antibagno con i lavandini.
“Ti aspetto
fuori, Pansy. Fai con calma.”
“Dai, ho
detto di aspett…” Pansy arrivò sulla
porta con le mani gocciolanti e si bloccò
quando lo vide. Astoria ridacchiò un pochino e chiuse la
porta.
“Ciao”. Finalmente
soli.
“Ciao…” Lei
lo guardò di sottecchi mentre tornava indietro a prendere un
pezzo di carta per
asciugarsi le mani.
Pansy si
asciugava le mani con molta lentezza. Doveva stare attenta a quello che
faceva.
A quello che pensava. Quando era vicino a lui, non capiva
più niente. Lui si avvicinò
e guardò verso i bagni. Le porte erano aperte. Non
c’era nessuno. Doveva averlo
visto per forza. Erano soli.
“Torniamo di
là?” gli chiese. Lui scosse la testa.
“Sono venuto
per baciarti.”
Pansy
sorrise e chiese: “Qui?”
“Preferirei
a casa mia o a casa tua. Ma va bene anche qui. Ho già
snobbato l’ascensore. Se
inizio a non sfruttare i posti dove ci ritroviamo soli, va a finire che
non ti
bacio più. E non sai la voglia che ho di
baciarti…”
Lei non lo
lasciò finire e gli gettò le braccia al collo,
mentre si avvicinava a lui.
Blaise la
strinse mentre chinava la testa sulle sue labbra. Quando la spinse
contro il
muro le passò una mano sul fianco, sotto la maglietta. Lei
mugugnò. Si staccò
appena, per vedere la sua espressione. Fece scivolare la mano dietro la
sua
schiena e se la strinse addosso. I suoi occhi si spalancarono.
“Blaise, è
un bagno pubblico.”
“Ho
incantato la porta. Ti prego, cinque minuti” Pansy rise,
gettando indietro la
testa. Con l’altra mano le accarezzò una guancia.
Era ancora bella. Più bella
di Hogwarts. Più grande di Hogwarts. Più
consapevole di se stessa. Ed era sua.
Era ancora sua. Non l’aveva persa. Anche se dovevano parlare.
Ma dopo. Quei
cinque minuti erano suoi.
Fece
scorrere le dita dal suo viso, giù, lungo la linea del collo
e la lasciò gemere
di piacere. Poi portò anche quella mano sul suo sedere e la
sollevò un po’. Pansy
capì e gli strinse le gambe intorno al bacino.
Quando si
appoggiò a lei contro il muro, Pansy spalancò gli
occhi. O Santo Salazar!
“Ricordami
perché hai i jeans invece di una maledettissima
gonna…”
Lei rise.
“Non lo so”. Gli prese il viso fra le mani e lo
baciò ancora. Gli mordicchiò le
labbra e lui si strusciò contro di lei. Ok, basta, dovevano
uscire. Subito.
“Blaise…”
“Sì, lo so.
Lo so!” Sospirò.
“Tu non ti
rendi conto…” Oh sì che se ne rendeva
conto!
Quando si
spostò, le disse: “Esci prima te. Io arrivo fra
cinque minuti”. Pansy abbassò
lo sguardo sui suoi jeans e ghignò.
“Sicuro?
Cinque minuti?” E rise.
Lui sbuffò.
“Vattene”. Lei rise ancora mentre usciva.
Quando tornò
al tavolo, capì che era successo qualcosa. Theo era
instabile e davanti a lui
c’erano tanti bicchierini di quelli per i liquori.
“Che
succede?” chiese in generale. Ma Theo non prestava attenzione
e giocava con
Draco con i bicchierini e il liquore. Guardò Astoria. Dalla
sua espressione
capì che era preoccupata anche lei. Strinse gli occhi nella
sua direzione e lei
alzò le spalle.
“Theo sta
esagerando. Quando sono tornata, prima, aveva già bevuto
metà della bottiglia.
Si è fatto portare sei bicchierini. Dice che è un
gioco, ma non ho afferrato
bene. Penso… non stia bene. Tu che dici?”
Pansy lo
guardò. No. Theo non stava bene per niente.
L’aveva notato prima. Ma non
pensava che potesse essere così… grave.
“Theo? Tutto
ok?” I suoi occhi brillarono.
“Certo!
Tutto ok. Mai stato meglio di così. Io mi
sento…” Ma non riuscì a finire la
frase e Pansy lo vide guardarsi intorno un po’ perso.
“È ora di
andare a casa” sentenziò e si voltò
verso il bagno. Vide Blaise uscire. Bene.
“Andiamo via”
gli disse Pansy quando tornò al tavolo.
La
situazione era seria. Sembrava che Theo fosse fuori di testa. Merlino.
Era
ubriaco. Pagarono e uscirono dal locale. E ora? Astoria disse di essere
stanca
e parlò di andare al lavoro il giorno dopo. Pansy le disse
di andare a casa.
Draco e Astoria si smaterializzarono dopo che Pansy assicurò
loro che si
sarebbe presa cura di Theo.
“Non ho
bisogno della balia!” Starnazzò il moro. Pansy
sbuffò.
“Smettila.
Ti porto a casa”. Poi si voltò verso Blaise e gli
spiegò: “Penso che ci sia
rimasto male per Amelia più di quel che dice”.
Blaise annuì, non sapendo bene
cosa dire. “Lo porto a casa… Ci vediamo
dopo?” Come? Non aveva intenzione di
lasciarli andare via da soli.
“Ti
accompagno.”
Pansy lo
guardò stringendo gli occhi. Perché
più che un aiuto il suo sembrava un ordine?
Forse perché lo era.
“Non c’è
bisogno. Vado da sola.”
Se ci fosse
stato anche lui, Theo non si sarebbe confidato con lei o magari avrebbe
detto
qualcosa di troppo e si sarebbe pentito.
“Ho detto
che vengo con te.”
Perché
sembrava ancora un ordine? Perché il suo tono era
così sostenuto? Era come al
ministero, quando le aveva detto che non poteva andare con loro. Ma
questa
volta era diverso. Sapeva quello che faceva.
“Ce la faccio.
Sono capace, cosa credi?” Per le questioni del ministero
poteva anche aver
ragione, ma lì si parlava di Theo, il suo miglior amico. Che
aveva qualcosa che
gli impediva di stare bene e lei doveva aiutarlo.
“So che sei
capace…”
“Non è un
incarico del ministero. Non ho bisogno di te.”
Blaise non
capì perché avesse detto una cosa del genere.
Cosa voleva dire che non aveva
bisogno di lui? E cosa c’entrava il ministero? Scosse il
capo. Lui voleva solo
aiutare.
“Ma…”
“Ci vediamo,
Blaise.”
La vide
prendere sottobraccio Theo e si smaterializzarono. Merlino! E ora?
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Capitolo 9 *** Fare pace ***
09. Fare pace
Fare pace
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Pansy si
sedette sul tavolo in cucina e, dondolando le gambe, guardò
fuori dalla
finestra aperta. Era notte e non riusciva a dormire. Aveva accompagnato
Theo a
casa e lui aveva pianto sulla sua spalla parlandole di Amelia. Lei era
rimasta molto sconvolta dal fatto
che lui fosse
un mago.
Pansy gli
aveva accarezzato la testa e promesso che l’avrebbe aiutato.
Stava veramente
male. Aveva aspettato che si addormentasse e poi era tornata a casa.
Però ora…
Le mancava
Blaise. Non riusciva a dormire. Non dopo che si erano lasciati
così. Perché
doveva sempre pensare che lei non sarebbe stata capace?
Perché
hai combinato un casino al San Mungo, ecco
perché! Stupida. Stupida.
Voleva
parlargli. Beh, più che parlargli… Voleva stare
con lui. Sospirò rumorosamente.
Si strinse addosso la vestaglia e scese dal tavolo per andare verso la
finestra.
Poteva
andare da lui? Dopo essere scappata via così?
Sospirò. E se lui fosse stato già
con un’altra? Si morse il labbro guardando la luna. Si
avvicinò per chiudere la
finestra. Prima di chiudere i vetri, guardò
l’ultima volta il cielo.
Certo che la
luna era così bella. Era quasi piena. Sentì un
cane ululare. O era un lupo
mannaro? Era un ululato straziante, denso di disperazione e tristezza.
Un po’
come si sentiva lei in quel momento. Sospirò ancora.
Il rumore
inconfondibile dello sbattere d’ali attirò la sua
attenzione. Un gufo? A
quell’ora di notte? Qualcuno stava male? Mamma! O
papà! Non Daphne!
Poi il gufo
si avvicinò e lei notò con curiosità
di non conoscerlo. Veniva da lei? O andava
da qualcuno dei suoi vicini? Appoggiò un braccio alla
finestra e posò il viso
sulla mano. Guardò il volo dell’incrollabile gufo
fino a quando la raggiunse.
Era grosso.
E un bell’esemplare. Tutto bianco. Un allocco. Un allocco
degli urali. Non ne
vedeva uno da un po’. Uno dei dottori andati in pensione
l’anno prima aveva un
allocco degli urali. Era un appassionato, le aveva spiegato tantissime
cose su
quel tipo di rapace.
Lo osservò
posarsi sulla sua finestra. Si avvicinò e le tese una
zampina. Una pergamena
era arrotolata con un nastrino nero. La prese.
L’allocco volò
poco più in là. Fuori dalla finestra, come se
aspettasse una risposta. Srotolò
la pergamena e sorrise.
Non riesco a dormire. Tu sei
sveglia?
Non era
firmato. Non c’era bisogno. Blaise. Si avvicinò
allo scrittoio e intinse una
piuma nell’inchiostro.
Era
un’offerta di pace. Doveva esserlo per forza. E lei doveva
accettarla. Osò. Il
cuore le batteva a mille mentre scriveva.
Sono sveglia. Neanche io riesco a
dormire. Mi
manchi.
Chiamò
l’allocco e gli legò la pergamena alla zampa.
“Aspetta” gli
disse, accarezzandogli il capo. Prese un biscotto per gufi e glielo
allungò.
Lui bubulò e volò via.
E lei
aspettò. Aspettò. Quanto ci avrebbe messo il
rapace a tornare da lei? Camminò
avanti e indietro, un po’ nervosamente.
Cosa le
avrebbe risposto? E se si fosse addormentato e lei fosse rimasta
lì ad
aspettare una risposta fino… Per sempre? Si
agitò. Non doveva scriverlo. Non
doveva. Non doveva. Forse avrebbe fatto meglio a chiudere la finestra e
tornare
a letto. Alzò le mani per accostare i vetri quando un rumore
alle sue spalle la
fece sobbalzare.
“Merlino!
Scusami.”
Blaise si
era materializzato in soggiorno e l’aveva vista dalla porta
aperta, ma aveva
dato un calcio al divano mentre la raggiungeva.
Lei lo
guardò sorpresa. Aveva fatto male a venire? Ma no, aveva
fatto bene. E si era
anche vestito. Aveva perso tantissimo tempo, dopo aver letto la sua
pergamena.
Pansy
osservava Blaise vicino al divano. Era venuto da lei. Perché
gli aveva detto
che le mancava. Che carino.
Lo osservò
meglio mentre si avvicinava a lui. Aveva i jeans abbottonati, ma la
cintura
penzolava aperta e la sua maglietta era al contrario, infatti riusciva
a vedere
le cuciture. Sorrise. Si era vestito velocemente.
“Immagino di
non dover aspettare il tuo allocco…” Anche lui
sorrise.
“No. Sono
venuto di persona.”
Forse
avrebbe dovuto scusarsi. Per come era scappata fuori dal locale.
Dovevano
parlare. Mentre camminava, la sua vestaglia si aprì e lo
sguardo di lui cadde
sul suo abbigliamento notturno. Sorrise famelico. Lei rise.
Blaise si
leccò le labbra. Pansy aveva addosso una canottiera che le
arrivava appena a
metà coscia e sotto cui non aveva il reggiseno. Ed era
sottilissima. Riusciva a
vederle…
Quando si
chiuse la vestaglia brontolò. Ma sorrise quando fu davanti a
lui e gli tolse la
maglietta. Lui era stato bravo, aveva alzato le braccia per
collaborare,
nonostante lei fosse più bassa. Ma quando la vide girare la
maglietta sul verso
buono e rinfilargliela, imprecò.
“No!” Lei
sorrise.
“Sì.
Stavolta non mi freghi.”
Brontolò
ancora, quando gli chiuse la cintura dei pantaloni. Poi lo
tirò verso il divano
e lo fece sedere.
“Penso di dovermi
scusare per essere scappata così… Ma
Theo…” Giusto. Theo. Scosse il capo.
“Non che mi
interessi più di tanto, però… Theo
come sta?” Pansy sorrise per la sua domanda.
“Theo sta
benino. L’ho lasciato quando si è
addormentato.”
Addormentato?
Erano insieme a letto? Nello stesso letto? Si passò una mano
fra i capelli e si
alzò.
“Tutto
bene?” gli chiese lei. Sì, sì.
Annuì.
Si alzò anche lei.
“Ti dà
fastidio Theo?” Gli appoggiò una mano sul braccio.
No. Sì. Quella sera avrebbe
voluto vederlo cruciato. Alzò una spalla.
“Io e Theo
siamo amici. Ci frequentiamo da tantissimo tempo. Ci sono cose che ho
detto a
lui e non a Daphne. Per me è importante. Ma, appunto,
è un amico…” Nonostante
tutto, capiva quello che intendeva. “Io non ci vado a
letto”.
Pansy vide
Blaise annuire sorridendo.
“E non
perché sono un disastro” disse in un sussurro.
“No. Non sei
un disastro”. Le prese la mano e tornò a sedersi
sul divano, tirandosela sulle
gambe. La sua mano le accarezzò il viso.
“Non mi
piacciono gli ordini. Non voglio che tu me li dia.”
Blaise
spalancò gli occhi. “Non l’ho mai
fatto!” La strega alzò un sopracciglio.
“E invece sì.
Forse neanche te ne accorgi…”
“E
quand’è
che ti ho dato ordini?”
“Quando
volevi venire con me da Theo o quando hai detto che non potevo venire
al San
Mungo a prendere Harris con voi.”
“Beh, non mi
sembra tu mi abbia ubbidito, comunque. Nessuna delle due
volte.”
“Con Harris
ho combinato un casino, hai ragione, ma con Theo…”
“Casino? Tu?
No, perché? Sei stata bravissima. Sono io che ho rovinato
tutto. Se non fossi
entrato così all’improvviso... È che
non immaginavo che dentro l’ufficio ci
fossi tu. Quando lui ti ha preso e voleva smaterializzarsi, mi sono
spaventato.
Ho avuto paura che…” Non riuscì a
finire la frase.
Come? “Ma
non ce l’hai con me perché non ho fatto quello che
hai detto?” Il suo sguardo
confuso era bellissimo e continuò.
“Beh… io so che non dovevo, che avrei dovuto
lasciare a voi Auror quella cosa lì… Ma volevo
parlare con Harris, avevo
bisogno di sapere cosa aveva fatto ai miei pazienti, dovevo
controllare…” Si
agitò un po’ sulle sue gambe e lui, per farla
calmare, le mise una mano sulla
coscia.
Ok. Basta.
“Ho capito perché sei andata da Harris. Quello che
non ho capito… Non sei
arrabbiata con me per averti messo in pericolo?” Lei
corrugò la fronte.
“Io mi sono
messa in pericolo. Lo sapevo che non sarei stata all’altezza
della situa…”
“La moglie
di Potter mi ha detto che ti ha insegnato degli incantesimi.”
Pansy annuì.
“Non potevo mica affrontarlo senza sapere niente di
niente!” Blaise sorrise. La
sua Pansy.
“Ok, allora
basta parlare. La prossima volta che ci sarà un problema,
studieremo il modo
per risolverlo insieme, ok?”
Pansy sentì
la mano di Blaise farle scivolare la vestaglia giù dalla
gamba e osservò la sua
coscia scoperta sorridendo. Quando lui scivolò sotto
l’orlo della camicia da
notte con le dita, si morse il labbro. Quando la sua mano le
accarezzò la
coscia fino alla sua fine emise un’esclamazione divertita e
sorpresa. Sorrise.
Aveva appena
scoperto che non indossava biancheria. Il suono gutturale che emise le
diede un
brivido.
“Ora,
ragazzina, sei nei guai.”
Pansy rise.
Con un gesto calcolato lui la fece stendere sul divano e la
baciò.
***
Un rumore
svegliò Pansy. Non capì subito cosa fosse,
così si guardò intorno.
Era nella
sua camera da letto. Di fianco a lei Blaise dormiva e teneva una mano
sul suo
ventre. Si mise a sedere, spostandogli la mano. Lui brontolò
nel sonno.
Ancora quel
rumore. Realizzò cosa fosse quando vide il gufo che beccava
contro la finestra
chiusa. Malvolentieri si alzò. Cercò la camicia
da notte, ma doveva essere
rimasta sul divano.
Chi le
scriveva? Era notte fonda e Blaise era lì con lei.
Era notte
fonda. Era successo qualcosa di grave? Cercò di calmarsi.
L’aveva pensato anche
prima. Andò vicino alla finestra e
l’aprì.
Riconobbe il
gufo della madre. Per Salazar! Sua madre! Doveva essere successo
qualcosa per
forza. Prese la pergamena e il gufo volò via. Oh, non voleva
una risposta.
Bene.
La lesse e
imprecò. Coloritamente e ad alta voce.
Blaise si
svegliò nel momento che Pansy apriva la finestra. Vide il
gufo andare via e lei
prendere una pergamena. La lesse mentre camminava verso il letto e si
fermò
quando arrivò in fondo. La sentì borbottare
qualcosa.
“Che
succede? Brutte notizie?” I suoi occhi si sbarrarono.
“Mia madre
sta venendo qui!” Come? Cosa? In quel momento?
“Adesso?” Lei
annuì.
“Dov’è
la
mia vestaglia?”
“Sul divano.”
Annuì ancora
e uscì dalla stanza.
Pansy si
diresse velocemente in soggiorno. Sua madre stava arrivando! Santo
Merlino! Non
era mai successo che le mandasse un gufo per annunciare una sua visita.
Beh,
non era mai successo neanche che si presentasse senza avvisare con
largo
anticipo. O che venisse di notte.
Ok, era
confusa. Raccolse la vestaglia sul divano e la indossò
stringendo la cintura.
Quando si girò per raccogliere la camicia da notte, sua
madre si materializzò
di fronte a lei.
“Pansy…”
La
sua voce era un po’ incerta.
“Mamma. Che
è successo?” Raccolse anche i vestiti di Blaise.
Sua madre osservò i suoi gesti
e la sua bocca divenne una linea diritta.
“Non sei
sola?”
“No.”
“Puoi
mandarlo via?” disse, guardando i jeans di Blaise un
po’ pensierosa. Cosa
faceva? Valutava la sua taglia?
“No.”
“È una cosa
di famiglia.”
Le passò
davanti per raggiungere la camera da letto. Quando arrivò
davanti alla porta
questa si aprì e Blaise le prese i vestiti di mano.
Sospirò e tornò da sua
madre, che aveva osservato ogni sua mossa con una faccia critica.
Che
bella novità, mamma.
“È casa
mia.”
“Si tratta
di tuo padre.”
“Che è
successo a papà?” Si spaventò.
Sentì la
porta della camera alle sue spalle aprirsi e Blaise salutare sua madre
prima di
fermarsi dietro di lei. La faccia di sua madre era impagabile. Ma non
era il
momento.
“Cos’è
successo a papà?” chiese ancora, avvicinandosi
alla donna.
“Devi venire
a casa. Subito. Lui… Non sta bene…” Si
voltò velocemente. Pansy annuì.
“Mi vesto”.
E corse in camera.
Blaise
rimase lì in piedi e un po’ imbarazzato. La cara
Lilian lo aveva riconosciuto? Non era sicuro. Alla Gringott era stata
tutto un
profuso di sorrisi e complimenti. Ora… Sperò che
fosse solo preoccupata per il
marito. Che cosa orribile aveva pensato! Lei era preoccupata e lui
pensava solo
a se lo avesse riconosciuto o meno.
“Buonasera.”
Lei si
voltò. Sì, l’aveva riconosciuto. Ma non
era contenta. Borbottò qualcosa in
risposta. Poi lo guardò negli occhi.
“Lei non ha
una casa dove dormire?” Oh, Merlino.
“Mamma!”
strillò
Pansy dalla camera. Sorrise, ma si passò nervosamente una
mano fra i capelli.
Fece dietro front e tornò in camera da Pansy.
“Pansy…”
Lei
si stava pettinando velocemente davanti allo specchio. Raccolse alcune
cose dal
comodino e si girò verso di lui.
“Scusa,
Blaise. Mia madre quando è preoccupata è un
po’ scortese… No, a dir la verità
lo è sempre. Ma non è colpa tua”. Lui
scosse la testa. Doveva andare a casa?
“Se vuoi me
ne vado…” Aveva sentito quando lei aveva detto
alla madre che non lo avrebbe
mandato via. Ma poteva averlo fatto solo per presa di posizione. Il suo
sguardo
si adombrò un attimo.
“Sì, ok. Vai
pure a casa. Non c’è
bisogno…” Abbassò lo sguardo e si
incamminò verso la
porta. La bloccò per un braccio.
“Dimmi cosa
vuoi tu.”
“Io?”
“Sì. Se vuoi
che venga con voi, verrò. Se hai contraddetto tua madre per
dispetto e ora hai
cambiato idea, me ne vado. Dimmi tu.”
“Ti direi di
venire con noi. Ma non ti voglio così male”.
Cercò di sorridere. Blaise annuì.
“Vengo con
voi, allora.”
Pansy aprì
la porta di quello che sembrava un armadio e prese una borsa da medico.
“A tuo
rischio e pericolo.” E tornarono in salotto dalla madre.
“Dov’è?”
chiese Pansy alla madre.
“A casa.
L’ha portato Okklely
poco tempo fa. Lui… Devi vederlo”
disse la strega, scuotendo la testa.
La ragazza annuì.
“Andiamo”.
Sua madre guardò i suoi
vestiti. Ma
non disse niente. Per comodità aveva infilato un paio di
jeans e un
maglioncino. Ma sapeva che neanche se avesse messo un vestito
d’alta moda sarebbe
andato bene comunque.
“Lui viene con
noi?” Sua madre squadrò
Blaise come se fosse stato un Doxy su una tenda ammuffita.
“Sì,
mamma”. Sentì la mano del ragazzo
posarsi sulla sua spalla.
“Non
vi darò fastidio. E non dirò niente a
nessuno.”
Pansy prese la borsa.
“Oh, non preoccuparti.
Mia madre pensa
che tu sia una persona molto discreta.”
Blaise non capì bene
cosa intendesse
Pansy, ma sembrava un’altra frecciatina per sua madre, che
fece un’altra
smorfia, così stette zitto.
Lei lo prese a braccetto e tutti e
tre
si materializzarono a casa dei genitori di Pansy.
Nell’ingresso, iniziarono a
salire la scala. Quando entrarono nella camera dei genitori di Pansy,
suo padre
giaceva a letto, incosciente. Il suo viso e una gamba, le uniche parti
non
coperte dal lenzuolo, erano rosse come il fuoco e coperte di pustole
giallognole. Era veramente impressionante.
“Merlino!”
Sentì esclamare Pansy alla
sua destra.
Pansy guardò il padre
con occhi
sbarrati e poi si voltò verso la madre e Blaise.
“Andate fuori. Mamma,
papà ha avuto
contatti con qualcuno da quando è tornato?” Sua
madre scosse la testa. “Dov’era
quando Okklely l’ha portato a casa? Dove ha preso la
Spruzzolosi?” Spruzzolosi?
Blaise fece un passo indietro senza rendersene conto. Lei gli
appoggiò una mano
sul petto e lo spinse appena.
“Andate fuori”
ripeté. La madre uscì
dicendo che avrebbe chiamato l’elfo.
Pansy si avvicinò al
padre, ma non
troppo. Tirò fuori la bacchetta.
“Papà. Mi
senti?” L’uomo girò la testa
verso di lei. Sorrise.
“Pansy, bambina
mia” Oh, parlava. Era
una buona cosa. E l’aveva riconosciuta. Anche quella era una
cosa buona.
“Ti faccio un
incantesimo, ok?
Potresti sentire un po’ di fastidio.”
Suo padre la guardava sorridendo.
Pensò che non avesse sentito niente di quello che aveva
detto. Mosse la
bacchetta e una luce blu uscì dalla punta. Suo padre si
agitò appena quando
l’incantesimo lo colpì. Guardò
l’orologio. Doveva aspettare sette minuti e
ventiquattro secondi. Poi avrebbe dovuto rifarlo. Tre volte.
Blaise seguì Lilian fino
a un
salottino vicino alla camera quando lei gli fece cenno di seguirlo.
Doveva
essere un salottino privato.
Vide delle cornici con delle foto,
sul
tavolino vicino a dove si era seduta: Pansy, da piccola. In una aveva
un tutù
di tulle e faceva qualche passo di danza. Con una faccia da prigioniero
di
Azkaban.
“È sicura?
Posso aspettare fuori.”
La strega lo guardò con
un’occhiataccia tale che se Blaise non fosse stato abituato
con sua madre,
avrebbe balbettato qualche scusa.
“Vieni dentro”
gli ordinò. La madre di
Pansy chiamò l’elfo e gli disse di portare il
tè. Il tè? Ma cosa…
Quando l’elfo
portò il tè, dopo
neanche due minuti, Lilian gli disse che Pansy era nella camera del
padre e
voleva fargli qualche domanda. Lui annuì e si
smaterializzò.
La donna versò il
tè per Blaise e gli
allungò la tazzina. Quando la prese, però, lei
non la lasciò. Così fu obbligato
ad alzare gli occhi dalla tazza per guardarla.
“Che intenzioni hai con
mia figlia?” chiese
e finalmente lasciò andare il piattino.
OK. Ora avrebbe voluto essere andato a casa. Mescolò lo
zucchero nella tazzina
lentamente e guardò il liquido scurirsi. Quando
capì che non avrebbe risposto,
continuò.
“Sai dov’era
mio marito quando l’elfo
lo ha portato a casa?” Lui alzò lo sguardo sulla
donna. Lei lo sapeva? “Era in
un bordello” Oh, Merlino!
“Lei…”, indicò con la testa
la direzione della camera
dove avevano lasciato Pansy “vorrà andare a
visitare quelle persone. Vorrà
guarire anche loro…” Sospirò ancora.
“Puoi accompagnarla? Anche se dirà che non
c’è bisogno? Lei non sa come sono quei
posti…” La donna venne scossa da un
brivido.
Blaise annuì.
“Accompagnerò Pansy
ovunque voglia andare. A lei piace curare le persone. E le riesce molto
bene”.
Annuì anche la strega.
“Lo so. È
molto brava nel suo lavoro.”
Era strano sentirlo dire da quella
donna.
“Però a lei non piace?” Lilian lo
guardò, poi prese un sorso di tè e rimise
giù
la tazza.
“Pansy è
troppo buona. E pensa che le
altre persone siano tutte come lei. Rimarrà fregata. Come la
storia al lavoro.
Non è stata colpa sua, sai?” Lui annuì
senza dire niente.
“Se non riesco a trovare
qualcuno che
le stia vicino e se ne prenda cura, ho paura che possa finire male. Lei
dice
che ho tentato di farla fidanzare con chiunque, ma non è
vero. Ho scandagliato
ogni persona che le ho proposto. Erano tutte a posto. Tutte brave
persone. Che
l’avrebbero trattata bene…”
“Ma lei ha detto di
no.”
“Già.
È stata molto testarda.”
La donna sorrise, come se la cosa
la
riempisse di orgoglio. Non capiva ancora, però.
“Pansy è molto forte. E molto
in gamba. Nessuno deve prendersi cura di lei. Perché lei
è capace di farlo da
sola. Anche se immagino che quando vorrà, lei lo
permetterà alla persona che
sarà al suo fianco. Ma non ha bisogno di nessuno. E questo
le porta una grande
libertà: poter scegliere. Lo faccia fare a lei. E gliene
sarà grata” disse,
prima di prendere la tazza con disinvoltura. La strega alzò
un sopracciglio e
finì il tè. “Ha scandagliato anche
me?”
“Già. Ma
quando le ho detto di essere
andata da tua madre, non ha dato in escandescenza come le altre
volte.”
“No?” chiese,
curioso, prima di rendersene
conto. Lilian lo notò.
“Prima mi ha contraddetto
due volte
per te”. Sorrise anche lui. Era vero. Ma per chi lo aveva
fatto?
“Così ha detto
che mi avrebbe preso in
considerazione?” Sperò di non sembrare un bambino
che prega per una scopa
nuova. Lilian alzò un sopracciglio.
“Assolutamente no. Non
direbbe mai una
cosa del genere. Non a me. E non le è piaciuto quando le ho
parlato del tuo
miglior pregio.”
Che sarebbe?
“Quale?” chiese un po’
sostenuto.
“Che quando
l’avresti tradita,
l’avresti fatto con discrezione.”
O Per Salazar! Ma lui…
“Non ho intenzione di
tradirla!” esclamò,
forse con un tono troppo alto. Lei sorrise ancora, ma non disse niente.
Blaise finì
il tè e si alzò. Sbagliava o era appena stato
sottoposto ad un esame? Mmm… Forse
poteva rischiare di prendersi la Spruzzolosi.
“Per quel che vale, mi fa
piacere, quello
che hai detto. Potrei fare il tifo per te.”
Si meravigliò quando
vide l’occhio
destro della donna chiudersi e riaprirsi in un segno d’intesa.
***
Pansy vide
Blaise in corridoio. No, non lo vide perché ci
sbatté contro. “Ohi. Tutto
bene?” le chiese lui reggendola per le spalle.
“Un
postribolo! Sai dov’era mio padre? In un postribolo!
Gli ho detto che se lo avessi saputo prima non lo
avrei curato!” Era un po’ agitata. Ma lui non era
sorpreso. Ma… lo sapeva già?
“Lo
sapevi già?” Lui annuì.
“Me
l’ha detto tua madre.”
Oh,
avevano parlato. E cosa si erano detti? Il panico le invase la mente.
Merlino,
non gli aveva detto che aveva proposto un fidanzamento alla sua, di
madre,
vero? VERO?
“Di
cosa avete parlato?”
“Di
te”
rispose.Per Salazar! “Cosa vuoi fare, adesso?”
Pansy si passò una mano fra
capelli. Sospirò.
“Pensavo
di farmi portare da Okklely dove ha recuperato mio padre. Sai, la
Spruzzolosi è
molto contagiosa, vorrei fermare…” Lui
annuì. Sapeva anche quello?
“Vengo
con te?”
A
fare
cosa? “Perché?”
Lui
alzò le spalle. “Farti compagnia?”
Pansy
alzò un sopracciglio. “Te l’ha chiesto
mia mamma?” Il ragazzo annuì sorridendo.
“È
preoccupata per te.”
Oh,
Santo Merlino! “E cosa le hai risposto tu? Che mi avresti
convinto?”
“No.
Le
ho detto che sarei venuto con te, se tu avessi voluto.”
“E
se
ti dicessi che voglio andare da sola? Cosa farai?”
Lui
sorrise e indicò con il pollice dietro di sé.
“Tua madre mi ha invitato a
giocare a carte e ha parlato di foto d’infanzia. Ne ho vista
una con il tutù…”
Oh no!
Blaise
rise quando Pansy sbarrò gli occhi. Era convinto di aver
usato le parole
giuste. “Ok, puoi venire con me. Ma se una di quelle
ti riconosce, con me hai chiuso!”
Questa
volta spalancò gli occhi lui. Come? Cosa pensava? Si
grattò la nuca.
“Io
non
ho mai…”
“Ti
conviene.”
Lei
fu
un po’ brusca. Ehi, calma. “Aspetta. Ma cosa credi,
che io…” Ma lei non lo
lasciò finire ancora.
“So
che
ne hai avute tante. Tante donne. Ma guai a te se
mi…” La sua voce si incrinò
leggermente, ma senza spegnersi.
“Ehi!”
La prese per le spalle per calmarla e l’abbracciò
stretta quando vide che aveva
gli occhi lucidi.
Poi
sussurrò: “Non so perché hai questa
opinione di me. Penso dovrebbe lusingarmi.
Ma non gioco nei Ballycastle Bats e non è che le donne si
azzuffino per me. Io
non ti tradirò. Ok?” Lei annuì, la
sentì muovere la testa contro il suo petto.
Doveva essere quello, che la preoccupava. Ma che sciocchezza.!
“Io
mi
azzufferei per te” disse lei, dopo un po’.
Lui
sorrise e le accarezzò una guancia con il dorso delle dita.
Come si faceva a
non amare una persona così?
***
Pansy era
stata in quel bordello e aveva fatto gli incantesimi anticontagio alle
tre
persone che avevano avuto contatti con suo padre: la prostituta, la
direttrice
e il buttafuori che aveva chiamato l’elfo. Era stata una cosa
veloce, per
fortuna. Era tornata dai suoi e aveva incantato anche Okklely.
Poi era
passata dal padre, gli aveva fatto una ramanzina così
pesante che sperò che lui
si fosse vergognato abbastanza da non finire ancora in un posto
così. E magari
non avrebbe più tradito sua mamma. Ma non poteva esserne
sicura.
Dopo era
tornata da sua madre e questa l’aveva ringraziata e le aveva
fatto i
complimenti per il suo lavoro. Era stato così strano.
“Potreste
venire a cena, una sera di queste, cosa dici?” le aveva detto
prima che si
smaterializzassero per andarsene. Anche quello era stato strano.
“Solo noi?
Nessuno dei tuoi amici?” aveva chiesto Pansy, per essere
sicura. Sua madre aveva
annuito e si era voltata verso Blaise.
“Mi ha fatto
piacere conoscerti, Blaise. Sei uguale a come raccontava Pansy durante
le
vacanze di Natale del quinto anno.”
Merlino!
Pansy aveva spalancato la bocca. Sua madre si ricordava? Era arrossita
e si era
girata verso Blaise. Lui aveva ammicato.
“È stato un
piacere anche per me, signora.”
Aveva
stretto la mano della strega e poi si era rivolto direttamente alla
ragazza: “Andiamo
a letto? Ho ancora un’oretta prima di alzarmi per andare a
lavorare”. Pansy
aveva annuito, ma aveva evitato di guardare sua madre.
Così non aveva
visto il suo sorriso.
***
Blaise entrò
al Ministero dopo essere passato dalla Gringott. Aveva dovuto sistemare
due o
tre cose prima di lasciare il posto al nuovo direttore. Si diresse al
secondo
livello, per andare direttamente nell’ufficio di Shacklebolt,
quando si sentì
chiamare: “Zabini!”
Si voltò:
Potter reggeva un caffè in un bicchiere di plastica ed era
appoggiato allo
stipite della porta del cucinino. Si avvicinò, curioso che
l’avesse chiamato.
“Potter,
come stai?” Gli strinse la mano.
“Bene. Cosa
fai qui?”
Alzò le
spalle. “Pensavo di andare a parlare con Shacklebolt. Sai,
per il mio prossimo
incarico…” Potter si tirò su dal suo
appoggio e fece girare il liquido nel
bicchiere.
“Potresti
valutare l’idea di restare a Londra. Ci servirebbe gente come
te. Ma immagino
che tu voglia avere a che fare con missioni più…
stimolanti.”
Blaise lo
guardò meglio: il salvatore del mondo magico gli stava
proponendo di lavorare
per lui? Era a capo degli Auror. Avrebbe potuto fare l’Auror
a Londra? Da quello
che aveva detto, sembrava quasi che Potter pensasse che gli piacesse
stare così
lontano dalla capitale per l’adrenalina delle missioni. Oh,
se avesse saputo
perché si era sempre tenuto alla larga da Londra! Sorrise.
“Potrei
pensarci. Grazie”. Vide il ministro uscire dal suo ufficio e
fece per
raggiungerlo.
“Ah,
un’altra cosa, Zabini…” Potter si
portò una mano alla nuca. Sembrava… nervoso?
“Sì?”
“Mia moglie
dice di invitarti a cena da noi,
giovedì…”
Blaise rise.
“Va bene. Ma Pansy ha già accettato?”
Potter lo
guardò curioso. Gli ricordava un po’ lo studente
di Hogwarts, quello che nei
sotterranei definivano non tanto sveglio.
“Sai che ha
invitato anche lei? Ma cosa è successo mentre
dormivo?” Sospirò, senza
aspettarsi veramente una risposta. “Comunque vieni. Non farmi
litigare con mia
moglie. È così carina con me adesso che sono
tornato a casa!”
E sorrise
salutandolo con la mano e camminando all’indietro per tornare
al suo livello.
Blaise entrò
nell’ufficio del Ministro.
“Zabini,
entra. Ho un po’ di novità per te.”
***
Pansy chiuse
la borsa e si sedette sul letto del padre. Sembrava così
vecchio, lì seduto
contro la spalliera.
“Pensavo,
papà, di affidarti a un mio collega: il medimago Philip
Grey” Iniziò il suo
discorso. Era meglio se qualcun altro seguisse suo padre. Lei avrebbe
preferito
non sapere in quali posti andava e da quale di quel genere di malattie
doveva
curarlo. Lui annuì. Anche per lui sarebbe stato
più semplice parlare con un
altro dottore.
“Grazie.”
“Ti voglio
bene, papà” gli disse, forse per la prima volta,
abbracciandolo. Lui ricambiò
forte la stretta.
“Anch’io te
ne voglio. Anche se non te l’ho mai detto.”
Le fece
piacere saperlo. Il viso di suo padre era triste e pallido.
Così gli disse
sottovoce, mentre gli prendeva la mano: “Ma io lo
sapevo”, e lui sorrise. Si
alzò per uscire dalla stanza.
“Tua madre
dice che ci presenterai un ragazzo a cena, una di queste
sere…” Oh, papà.
Ancora con la storia dello sposarsi? Suo padre dovette notare la sua
espressione e si sforzò. “O forse ha detto che
verrai a cena con un amico dei
tempi di Hogwarts? Un ragazzo che è solo un amico?
Forse…” Tornò a sedersi sul
letto.
“Sai, papà.
Blaise, il ragazzo di cui ti ha parlato la mamma, veniva a scuola con
me. È un
bravo ragazzo e mi piace da tanto tempo. Se mi prometti di tenere a
freno la
mamma, ci farò un pensierino…” E
ammiccò. Suo padre rise, e poi tornò serio.
“Ma si
prenderà
cura di te?”
“Lo fa già,
papà.”
Lui annuì.
Gli bastava quello.
Uscì dalla
stanza e si scontrò con la madre in corridoio.
“Mamma!”
“Come sta?”
chiese lei senza dirle niente per aver urlato.
“Bene. È
solo stanco”. La donna annuì osservando la porta
chiusa. “Dovreste parlare”.
“Lo abbiamo
fatto. E lo faremo ancora.”
“Dovresti
dirglielo. Che ti dà fastidio quando…”
Sua madre scosse la mano per liquidarla.
Ok. “Però dovresti. E potresti anche parlargli di
divorzio. Non è un crimine,
sai?”
“Abbiamo
parlato anche di quello.”
Oh. Beh… Ora
dovevano vedersela loro. Annuì.
“Fammi
sapere per quella cena” disse e si smaterializzò.
***
Pansy
addentò un pezzo di pizza. Sublime. Fantastica. Adorava i
babbani e la loro
pizza.
Blaise si
sedette a fianco a lei. Appoggiò due birre sul tavolino
davanti al divano e
prese un pezzo di pizza anche lui.
“Ho visto
Theo, oggi pomeriggio.”
Lui grugnì
un po’. Pansy sorrise. “E come sta?”
“Ho
conosciuto Amelia” rispose e Blaise la guardò come
se non capisse il
collegamento. “Amelia. La ragazza di cui è
innamorato Theo. Quella che non
sapeva che fosse…”
“Ah. Amelia!”
esclamò lui, interrompendola. Lei sbuffò ma
Blaise rise.
“E
com’è?”
“Carina. E
molto spaventata. Spero di averla fatta sentire a suo
agio…” Lui annuì.
“Potremmo uscire insieme, una sera, che dici?”
Annuì ancora.
“Ma dovranno
mettersi in coda. Potter ci ha invitato a casa sua per
giovedì sera.” Oh, era
vero.
“Sì,
è vero.
E anche mia madre ci ha invitato.”
Lui prese la
bottiglia di birra e prese un lungo sorso. “Ma ha invitato
anche me? Sei
sicura?” Alzò le spalle, prendendo anche lei la
bottiglia.
“Mio padre
si dice entusiasta di conoscerti.”
“Davvero?”
Alzò
un sopracciglio. Pansy rise.
Quando lei
rise, Blaise non seppe bene come interpretare la cosa. Lo stava
prendendo in
giro o diceva sul serio? Si sentì picchiare sul vetro della
finestra. Riconobbe
il gufo di suo madre. Sua madre?
Pansy si
girò verso la finestra e l’aprì con la
bacchetta.
“Non lo
conosco” dichiarò, guardandolo.
“È mia
madre”.
La sua bocca rimase aperta.
Aspettò che
il gufo gli lasciasse la busta e sentì la ragazza dire:
“Accio”.
Una scatola
di biscotti per gufi fu nelle sue mani. Ne allungò uno al
gufo e lui strofinò
il capo sulla sua mano.
“Come sei
carino” disse, coccolandolo.
“Aspetta una
risposta?” gli chiese, mentre leggeva.
“Non penso.
Ma sembra che tua madre sia andata a trovarla, oggi pomeriggio
e…”
“NO! NO! Le
avevo detto che non…” Si allungò a
prendere la pergamena dalle mani del ragazzo
ma lui fu più abile e la spostò in alto, fuori
dalla sua portata.
Pansy si
sporse su di lui e Blaise spostò ancora il braccio
finché lei non gli cadde
addosso. Le posò l’altra mano sulla schiena e la
strinse contro di sé,
rubandole un bacio.
“Non hanno
parlato di fidanzamenti, questa volta” la
tranquillizzò. Sentì la ragazza
calmarsi e rilassarsi contro di lui. La baciò ancora.
“Ma le ha
detto che andremo a cena a casa sua e mia madre adesso vuole che
andiamo anche
da lei. Sembra che vogliano metter su una gara a chi ci sponsorizza di
più”
“Ma… I tuoi
non
vanno in viaggio di nozze?”
“Partiranno
sabato.”
Non le disse
che in teoria sua madre aveva scelto quella data per stare con lui il
più
possibile, prima che fosse ripartito per il viaggio successivo, prima
di sapere
che sarebbe rimasto a Londra. Non lo aveva ancora detto a nessuno.
“Sabato”
ripeté
lei.
Partiva
sabato perché era il giorno in cui sarebbe partito anche
Blaise. L’aveva
sentito dire dalla Potter. La madre di Blaise glielo aveva detto mentre
loro
rivivevano il ricordo.
Annuì e
tornò al posto occupato prima. Prese un altro pezzo di pizza
e lo piegò.
Quanti
giorni mancavano a sabato? Troppo pochi. Merlino. L’aveva
appena ritrovato e
stava per perderlo di nuovo.
“Sabato
inizia il tuo nuovo lavoro?” chiese, ma non alzò
lo sguardo su di lui.
“Il mio
nuovo lavoro è iniziato oggi.”
“Oggi?” Dovette
guardarlo per forza.
“Sì. Sono
stato da Shacklebolt. Mi ha proposto di…”
“E quando
parti?”
Quanti
giorni aveva per stare con lui? Non riusciva a pensare a
nient’altro.
Blaise si
fermò mentre stava prendendo la pizza. La sua domanda
sembrava disperata.
“Io… Non
parto. Resto qui.”
Ebbe quasi
timore di dirglielo. Era una cosa che andava bene, no? Lui rimaneva a
Londra.
Era una bella cosa.
“Resti qui?”
La sua voce sembrava incredula. Non capì bene.
“Non sei
contenta?” domandò un po’ confuso. Per
lui era una bella notizia.
“Perché resti
qui?” chiese ancora lei. Ohhh. Ahhh. Definirlo era un
po’ difficile. Si passò
una mano fra i capelli. “Non
voglio che
rimani a Londra per me.”
“No?” Si
sentiva un po’ stupido.
“Non devi
cambiare la tua vita. Non per me.”
“Ho passato
la mia vita adulta lontano da Londra per colpa tua, quindi penso
proprio di
poter rimanere qui, adesso.”
La sua
faccia era incredula. Pansy sorrise senza rendersene conto. E poi
ghignò. “Non
è vero!” COSA? Certo che era vero! “Non
sei adulto!” Pansy rise ancora.
Blaise si
allungò a farle il solletico. Pansy si
attorcigliò su se stessa, esclamando
qualcosa, mentre rideva. La prese per la vita e la
imprigionò sul divano.
Lentamente smise di ridere. E lo guardò.
I suoi occhi
erano bellissimi. Perché non glielo aveva mai detto? Lei
sospirò e gli portò le
mani sulle spalle.
“Ti va di
fare sul serio con me?” La ragazza annuì. Si
chinò su di lei e la baciò. Un
bacio leggero e timido. Ma a Pansy non bastò.
Aprì la bocca e gli mordicchiò il
labbro, dopo averlo bagnato con la lingua. Blaise glielo
lasciò fare, mentre
riordinava i pensieri. Poi le accarezzò la testa, mentre
giocava con i suoi
capelli.
“C’è
una
cosa che devi sapere di me, prima…” La ragazza lo
guardò, incuriosita dalle sue
parole.
“Dimmi.”
“Ti amo da
quando eravamo a Hogwarts.”
Pansy si
alzò appena e i loro petti si sfiorarono.
“Lo so. Ti
amo anch’io dal quinto anno.”
Sorrise e le
loro labbra si incontrarono di nuovo.
FINE
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