La chiamavano quotidianità

di Aluah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sveglia ***
Capitolo 2: *** Pagine ***
Capitolo 3: *** Dentifricio ***
Capitolo 4: *** Cooking ***



Capitolo 1
*** Sveglia ***


quotidianità





SVEGLIA.





Quell' isola aveva un vantaggio: non c'era sole che potesse penetrare dalle tende di broccato ed interrompere un genuino sonno ristoratore. Certo, l' umidità raggiungeva picchi improbabili 365 giorni l' anno, facendo arricciare capelli e colare trucco, ma per lo meno il nemico luce mattutina girava ben alla larga dal castello.
Eppure, nonostante la sveglia biologica non potesse entrare in funzione data la mancanza di luce, quell' odioso spadaccino abbandonava la branda alla solita sconsiderata ora e, come da copione, si recava nel fitto della boscaglia ad inseguire qualche scimmia, attendendo fiducioso il giorno in cui l' altro samurai gli avrebbe concesso il piacere di un duello.
Se inizialmente si era dimostrato un bradipo, ora sembrava infaticabile.
Ovviamente, essendo il castello un intricato gozzoviglio di corridoi perfettamente identici, fatta eccezione per qualche arazzo, quella testa bacata verde finiva immancabilmente per girovagare a vuoto per ore, prendendo a tirare maledizioni di ogni genere dopo il decimillesimo tentativo andato in fumo. Se era fortunata Zoro si addentrava nell'area nord del castello, la più complicata e quella da cui lei stessa faticava ad uscire alle volte, bestemmiando in solitario e lontano dalla sua comoda camera. Se invece la iella la perseguitava, veniva a farle visita nell' area sud, blaterando senza senso davanti alla porta di camera sua e quindi, svegliandola senza un minimo di garbo.
Quella mattina la sfiga rideva di lei dall' alto dei cieli, sogghignando alla vista della sua faccia esterrefatta davanti all' improponibile insulto che il verde aveva lanciato in direzione della sua porta.
Era solita considerare ogni cosa carina, amorevole, come i suoi adorati fantasmini che le rallegravano nei giorni di tristezza infinita: quello che invece considerava un insulto all' intelligenza umana era il senso dell' orientamento che si ritrovava l' apprendista che girovagava nel castello, e che, senza di lei, non ne sarebbe di certo mai uscito se non da una finestra.
Ma quella mattina non aveva la benché minima voglia di lasciare il suo caldo letto per trasportare fuori un piccione viaggiatore rincoglionito dal magnetismo dell' isola, no di certo.
Si riaccoccolò al tepore del piumone e del suo personale scaldino, chiudendo gli occhi nel tentativo di riaddormentarsi il prima possibile e tornare a prendere parte al meraviglioso sogno che aveva finora allietato il suo riposo. Doveva solo convincersi che quella zanzara dalla testa color smeraldo non fosse nei paraggi e non stesse facendo un baccano tale da essere sentito anche a mille miglia di distanza. Voleva solo che quell' imbecille abbandonasse il proposito di andare a squartare qualche scimmia e tornasse in camera a riposare, contando tante katane che saltavano lo steccato.
Ma no, ovviamente le sue preghiere erano troppo per essere prese in considerazione.
- Merda! -
All' ennesima imprecazione la sua pazienza fece le valigie, la salutò con un cenno della mano e se la diede a gambe, diretta in qualche isola tropicale. Era troppo anche per lei.
Facendo attenzione a non far traballare troppo il letto, sgusciò fuori dal lenzuolo, mettendosi seduta sul bordo per poter fare appello almeno alla calma che le era rimasta. Sorprendentemente quella era appena partita insieme alla pazienza, lasciandola sola in balia delle cavolate di Zoro. Si infilò le ciabatte di pelo rosa, facendo forza sulle mani per potersi alzare con più agilità dal materasso, in modo che non cigolasse troppo visto l' uso prolungato che ne veniva fatto nell' ultimo periodo,  dirigendosi verso la porta.
Arrivata all' uscio sentì il vociare dell' uomo che si faceva sempre più vicino alla sua posizione: immediatamente si rese conto di aver perso anche ogni residuo di autocontrollo. Spalancò la porta, affacciandosi in corridoio con aria omicida ed un tic nervoso all' occhio che la rendeva ancora più minacciosa, tendenzialmente posseduta.
- Cosa diavolo ci fai tu qui a quest' ora?! -
Ogni buona qualità, segno di educazione o civiltà, li aveva lasciati sotto alle coperte assieme all' uomo con cui aveva passato un' altra notte, riducendola ad un ammasso d' ira e collera da scaricare al più presto, prima di implodere come una bomba mal costruita.
Quello fece per aprire la bocca per rispondere, ma venne prontamente zittito da una pantofola pelosa rosa confetto in pieno volto.
- Non dirmelo, ti sei perso ancora! -
Zoro si indispettì, camminando nella sua direzione con un ghigno strafottente che prometteva vendetta per l' affronto. Lei non si scompose più di tanto, sicura che il fruscio delle lenzuola alle sue spalle fosse la carte vincente da giocare nel caso il verde avesse deciso di tagliuzzarla in mille pezzi.
- Stupida! -
Si fermò ad un palmo dal suo naso, dando sfogo alla sua miglior riserva di insulti; era infoiato dopo quell' insulto formato ciabatta. Fece finta di ascoltarlo finché non sentì un respiro caldo che ben conosceva solleticarle le spalle: vide Zoro bloccarsi a ganasce aperte quando notò l' ombra dietro di lei, l' ultima che lui di certo di sarebbe aspettato di vedere in quel luogo. Era quasi piacevole osservare l' espressione basita del giovane pirata, l' aveva messa stranamente di buon umore nonostante il risveglio non fosse stato dei migliori. Una sorta di senso di pace e tranquillità la pervase, sostituendo al broncio di pochi attimi prima un ampio sorriso rivolto al verde.
Non ci fu nemmeno bisogno di parole perché quello abbassasse la testa e si dileguasse, mosso dal proposito che Mihawk l' avrebbe un giorno allenato a diventare il miglior spadaccino del mondo. E di certo l' aver interrotto qualcosa tra occhi di Falco e la sua donna non lo avrebbe facilitato durante l' addestramento, anzi, probabilmente gli sarebbe costato.
Sorridendo tra sè e sè Perona salutò con un cenno della mano Zoro, provocandolo volutamente, chiudendo la porta ed immergendosi nuovamente nel buio della stanza, sospirando rilassata.
- Torna a letto. -
Si volse indietro, cercando a tentoni di giungere incolume fino al materasso. Quella frase, detta da quel particolare spadaccino, era la tenerezza migliore che si sarebbe potuta aspettare, un po' come se dietro a quelle tre parole si nascondesse un ' implicita dichiarazione d' amore.
Voglio dormire ancora un po' con te.
Che c'era di male se lei vi leggeva la sua voglia di averla ancora tra le braccia?








Angolo dell' autrice:
Vale, sei contenta?
Detto questo, chiedo scusa se anziché aggiornare le long mi cimento in nuovi lavori! Abbiate fede, aggiornerò anche quelle!
Non ho mai trattato questi due personaggi, mai, ergo perdonatemi eventuali inesattezze!
Aggiornerò appena posso ( tra cento anni )
Saluti,
Alu.

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Capitolo 2
*** Pagine ***


quotidianità 2




CAPITOLO 2:
PAGINE






La colazione era forse il momento più tranquillo dell' intera giornata.
Forse, per l' appunto, perchè di fatto di tranquilla c'era solo l' apparenza. Una serie di sguardi ed occhiatacce omicide si susseguivano quotidianamente tra i tre commensali, principalmente tra la rosa e lo spadaccino, fondamentalmente incompatibili. L' unico taciturno della tavolata era Mihawk, troppo impegnato o svogliato per intervenire e metter fine a quella battaglia di pupille e linguacce.
Non che non se ne accorgesse, ma preferiva ignorare certi scambi infantili di opinioni.
Anche quella mattina tutto sembrava essere nella norma: Zoro si trovava già a tavola, chiuso in quel mondo di pensieri che non mostrava a nessuno, e di cui forse nemmeno lui stesso si raccapezzava; mescolava svogliato il caffè nero che si era preparato, intingendovi di tanto in tanto qualche biscotto spezzettato alla cannella. Non che gli piacessero, le smorfie che faceva ad ogni boccone erano inequivocabili, ma erano anche i soli a disposizione nel castello. E dato che alla maggioranza piacevano quegli insulsi dolcetti, lui si era dovuto adeguare senza troppe cerimonie.
Quando Mihawk entrò nella stanza lo ignorò come di consueto, prendendo posto a capotavola ed attendendo che nella sua tazza comparisse il solito caffè amaro, senza zucchero, senza latte, senza aggiunte di qualunque genere. In cuor suo forse pensava che quell' amarezza di riflettesse anche sull' acidità del suo carattere, nessuno poteva dirlo. Trascinando la sedia sul pavimento con fare svogliato ma elegante, si sedette, allungando un braccio per afferrare il quotidiano che ogni mattina un miracolato gabbiano si premuniva di consegnare.
Un giorno, molto lontano si intende, forse avrebbe ricompensato quell' uccello coraggioso ponendo fine alla sue lunghe e rischiose traversate.
Probabilmente il pennuto non ne sarebbe stato troppo entusiasta, ma poco gli importava.
In prima pagina spiccava per l' ennesima volta a caratteri cubitali l' annuncio delle gesta di cappello di paglia a Marineford: erano passati due mesi dalla morte di Pugno di Fuoco e ancora la gente ci ricamava sopra storie di ogni genere, attribuendo a quella vicenda più clamore di quanto già non ne avesse fatto. Non avevano nemmeno la decenza di far riposare in pace quel malcapitato pirata, riesumando la sua storia ed inventando colpi di scena che non erano mai avvenuti su quel campo di battaglia.
E lui lo sapeva bene, aveva visto con i suoi occhi gialli ognuna di quelle vermiglie stille di sangue da pirata colare sulla schiena del morto, imbrattando anche il fratello minore.
Per quanto ribrezzo provasse per quella D, non poteva negare che quel marmocchio si fosse battuto per lo meno decentemente.
Girò la pagina sbuffando, contraendo istintivamente le dita delle mani quando sentì uno spiffero di aria fresca sulla schiena.
Era arrivata, per ultima, come ogni mattina.
Cercò di concentrarsi sull' ennesima scritta ad inchiostro nero, fingendosi disinteressato alla nuova presenza; non che gli importasse troppo, ma sapeva che importunarla di prima mattina equivaleva a riempire il castello di strilli e fantasmi insulsi ed inutili, una compagnia che di certo non sarebbe stata troppo gradita in quel giorno di pioggia battente. Quando la sua donna era in vena di fare scenate solitamente cercava di  dirottare la sua attenzione sul pivello palestrato e sulle scimmie con cui si fronteggiava. Lo divertiva sadicamente vederlo impegnato a combattere su due fronti, sebbene sapesse che il più impegnativo non era di certo quello dei quadrupedi.
Lesse l' inizio del paragrafo, attratto dalla presunta dichiarazione che gli ufficiali della marina avevano rilasciato poco dopo la fine della guerra, senza però smettere di prestare attenzione ai passi leggeri che sentiva alle sue spalle.
Sapeva cosa voleva, era sempre la stessa storia.
Una leggera risata al suo orecchio diede lui la conferma dell' effettivo arrivo della rosa. Gli piantò un sonoro bacio sulla guancia, facendolo innervosire non poco, prima di esordire con un sonoro " buongiorno" che gli fracassò i timpani. Non c'era dubbio che quella donna lo attraesse, ma alle volte l' avrebbe volentieri imbavagliata e gettata nella vegetazione all' esterno del castello.
Ovviamente l' avrebbe recuperata prima di sera, questo era sottinteso e non necessariamente da dichiarare, tanto meno a lei.
Rispose lapidario, modulando il tono della voce così da risultare quasi atono, continuando impassibile nel suo esame delle pagine cartacee. Ad un primo sguardo sarebbe potuto sembrare una statua di cera, ma sapeva per certo che ad un occhio attento come quello dei suoi coinquilini, non era sfuggito il leggero movimento delle sue dita affusolate lungo il bordo del quotidiano. Era una consuetudine dopotutto, qualcosa che si ripeteva come una routine da quando quella storia era iniziata.
O forse anche da prima, di per sè non ricordava esattamente.
Si era presa fin troppa confidenza fin da subito, palesando quella relazione su cui lui avrebbe voluto mantenere un minimo di segretezza; ovviamente lo spadaccino novello non si era accorto di nulla fino a qualche tempo prima, quando per poco non aveva fatto irruzione nella stanza dove riposava con la compagna. L' apparenza tarda di quel bradipo non si distaccava troppo dalla realtà dei fatti dopotutto.
Con i polpastrelli dell' indice e del pollice sinistro afferrò due pagine specifiche, le penultime della serie, sfilandole dalla massa ad allungandole verso la figura al suo fianco.
Un sorriso genuino si dipinse sul volto di questa che, felice come una bambina, trotterellò al suo posto dove si accomodò, iniziando a leggiucchiare ciò che le interessava. Si perse un momento a fissarla, uno solo, in modo da non dare nell' occhio nè a lei nè all' intruso in questione: era strana, maldestra e petulante la maggior parte del giorno, eppure bastavano poche piccole cose per farla tacere, stare buona e rendere più matura di quanto non apparisse nella normalità.
Alle volte gli sembrava ancora una ragazzina persa tra le nuvole, specialmente quando la prima volta l' aveva perfino minacciato di, citando testuali parole, renderlo uno zombie depresso se non avesse mollato quelle due spocchiossime pagine. Era rimasto impassibile solo per il semplice fatto che lui non rideva, nè sorrideva, nè esprimeva le sue emozioni di alcun genere.
- I fumetti stamattina fanno pena! -
E come di consuetudine li rendeva partecipi dell' aulico contenuto di quelle vignette.
Il fatto che quella mattina fossero ancor più imbecilli della media e non li avesse graditi, prospettava un susseguirsi di battutine pungenti, alle quali nessuno che tenesse ai suoi timpani doveva rispondere.
- Non ci interessa. -
Quell' imbecille ovviamente era un caso a parte.
Lasciando che la bomba esplodesse non al suo cospetto, si allontanò dal salone, prestando per un ultima volta attenzione alle imprecazioni che si susseguivano alle sue spalle, prima di ritirarsi nella sua stanza. Camminò piano, pensando a cosa effettivamente lo attraesse di quella donna: aveva il corpo di ragazza ed una doppia personalità dove la maturità combatteva per sopraffare la collera e l' impazienza tipiche di una bambina immatura. Ci pensò per tutto il tragitto fino al corridoio a lui riservato, fermando l' incessante macchinare della sua mente quando la vide appoggiata allo stipite della sua stanza.
Era furba quando voleva.
Gli strizzò l' occhio prima di entrarvi e chiudere la porta alle sue spalle, ignorando ogni sorta di divieto e regola che lui si era premunito di imporre prima di accettarli nella sua dimora. 
Poteva solo concludere che la camera da letto fosse un contesto a parte dove obiettivamente non gli interessava troppo quale delle sue sfaccettature della sua donna prevalesse.
Che fosse ingenua o matura, in quel caso giocava tutto a suo vantaggio.









Angolo della cosa:
Bonjour, je si trova in France (?) avec la zià.
Il mio francese fa pena, me ne rendo conto. Ovviamente sono superflue le mie scuse per questo improponibile ritardo di qualche mese: sarebbe stata cosa banale la solita settimanuccia che qualunque autrice si prende. Io necessito di mesi per sfornare cagate, ecco.
A tutti piace Mihawk un po' pervert, e nell' ultima scena sinceramente mi scocciava renderlo uno stronzo stoico impassibile davanti alle avances di Perona. Ordunque, avverto che la prossima flash è già in stesura, ma sono troppo pigra per pubblicarla a breve, quindi perdono.
Mi inchino umilmente al vostro cospetto,
e fuggo nella nebbia da cui sono uscita.
Aurevoir a tutto il mondò!
Alu.



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Capitolo 3
*** Dentifricio ***


quot 4





CAPITOLO 3:
DENTIFRICIO






- Sparisci! -
Quella mattina la rosa non era di buon umore, per nulla. Stizzita, arrabbiata, furiosa, camminava per i corridoi del castello, facendo cozzare i tacchi degli anfibi rossi sul pavimento lucido. Digrignava i denti, si torturava mani e unghie e si ostinava a mordersi le labbra: inveire contro quella sottospecie moschettiere pomposo non sarebbe stato molto carino per una ragazza per bene. I capelli arruffati e gli occhi spiritati erano visibili anche da ragguardevoli distanze e, di certo, non invogliavano al dialogo. Proseguì ancora, scendendo gli scalini con una foga tale, che sembrava stesse calpestando nemici caduti in battaglia anziché innocue mattonelle di granito scuro.
Alle sue spalle uno Zoro confuso che reclamava la sua colazione.
Il verde, poco empatico, la seguiva da una buona mezz'ora, non curandosi del fatto che, se non fosse scomparso al più presto, sarebbe finito in un angolino a soffrire le pene dell'inferno. Eppure, come al solito, non coglieva i segnali: nè le occhiatacce, nè tanto meno gli inviti espliciti a togliersi dal suo raggio d'azione.
- Ti ho detto di sparire! -
All'ennesimo strillo, con tanto di vena pulsante sulla fronte, qualcosa intuì. La guardò ancora una volta con sguardo interrogativo, dopodiché entrò nella prima stanza a caso del lungo corridoio in cui erano finiti, chiudendovisi dentro. Che poi quella camera fosse in realtà la sauna e lui fosse vestito di tutto punto, erano dettagli.
Eliminata una scocciatura, Perona riprese la sua marcia verso il bagno padronale. Aveva la sensazione che perfino gli insetti la temessero tanto era furiosa, un affronto del genere era stato un duro colpo per la sua pazienza inesistente e per la sua privacy. Spazzolino da denti alla mano e tubetto di dentifricio nell'altra, corse a perdifiato su per la rampa dell'ala ovest e poi ancora più su, verso la torretta ristrutturata appositamente per farla diventare un immensa area benessere.
Maledisse ancora una volta quei lunghi corridoi, appuntandosi che questo sarebbe stato l'ennesimo punto su cui avrebbe potuto attaccarlo. Impiccarlo magari.
Arrivata davanti alla grande porta di legno massiccio nemmeno si preoccupò di bussare; si fiondò nel locale, venendo inondata dal vapore caldo e avvolgente che riempiva ogni angolo della stanza. Sarebbe diventata riccia in breve tempo, capelli crespi e gonfi che l'avrebbero fatta somigliare ad una caramella gommosa scaduta. Avrebbe dovuto trascorrere almeno tre ore davanti allo specchio con spazzola, balsamo e mousse per rimettere in ordine quel cespuglio incolto, e la cosa non le piaceva. Per niente.
- Tu! -
Minacciandolo con la sua arma aromatizzata al dentifricio, gli arrivò ad un palmo dal muso, piazzandogli lo spazzolino sotto al naso.
Quello nemmeno si scompose, in piedi davanti allo specchio appannato, intento ad asciugarsi i capelli neri ed umidi. Mezzo nudo, stringeva un asciugamano in vita, coprendosi ciò che, in un altro momento, le avrebbe volentieri fatto gola. Sembrava calmo, pacato, imperturbabile.
In netta contrapposizione al tornado di furia omicida che gli trotterellava davanti, sbraitando parole a caso e prendendosela con i suoi fantasmini.
E se attaccava loro, la faccenda era grave.
La fissò come se fosse la cosa più normale del mondo, un marshmellow incazzato nero che lo punzecchiava con una sorta di scopettino fucsia che odorava di pesca e zucchero. Continuò a spazzolarsi i denti, indifferente, voltandosi nuovamente verso la parete lucida. Sapeva per una certa esperienza che certe donne, quando partiva loro l'embolo, era meglio lasciarle sbollire, calmare e tranquillizzare se non si aveva a disposizione una buona dose di sedativo.
Non c'era reputazione che tenesse: una donna inferocita non temeva neppure lui, che per tagliarle a metà  non avrebbe avuto bisogno di altro se non di un secondo.
Con il senno di poi aveva poi appreso che Perona, per quanto infantile e collerica, ci metteva ben poco per ristabilire il suo equilibrio interiore. Bastava lasciarle esaurire il fiume di parole che sentiva l'esigenza di dire o sbatterla al muro con una certa convinzione. E dato che aveva appena fatto una riposante doccia non aveva troppa voglia di sudare facendo certe attività.
- Non osare ignorarmi! -
Lo prese dall'asciugamano che aveva legato in vita, riportando l'attenzione su di sè.
- I capelli te li puoi sistemare anche in un altro momento! -
Rassegnato, poggiò il rasoio che aveva appena impugnato sul piano del lavello, continuando a stringere lo spazzolino tra i denti. Roteò gli occhi, voltandosi e guardandola nel modo più gelido, impassibile e convinto che potè; sfortunatamente per lui la rosa aveva deciso di prendersela con la sua bocca piuttosto che con il suo famigerato sguardo.
Gli strappò lo spazzolino dai denti, cavandogli quasi gli incisivi, portandolo tra le sue labbra rosee e carnose.
Pochi secondi e quel malcapitato oggetto volò nell' angolino.
- Ti sei fregato il mio dentifricio! -
Un pugno minacciò di abbattersi sulla sua testa. Lo scansò, come se nulla fosse, afferrandole la mano e stringendola.
- Vacci piano. -
Gelido come un iceberg fece calare il silenzio nella stanza. Si sentivano solo le gocce di vapore condensarsi sul vetro umido della finestra, i loro respiri attutiti e lo scarico delle tubature vecchie e arrugginite, ma ancora funzionanti.
Perona ritrasse la mano, scottata, visibilmente dispiaciuta. Strinse il polso con l'altra, lasciando cadere ogni cosa che stringeva tra le dita, tranne lo spazzolino: che ci fosse affezionata lo sapeva anche lui. Rosa e ridicolo, era un gingillo che si portava sempre dietro da quando lui glielo aveva portato.
Si era detto che lo aveva fatto perchè di averla in giro con l'alito pestilenziale non gli andava.
In realtà sapeva anche lui che un minimo di attenzione ce lo aveva messo. Di certo, se fosse tornato con l'aggeggio blu a forma di mostro marino che aveva visto nel Bazar lei gli avrebbe, come minimo, ucciso un timpano.
La donna abbassò la testa, cominciando a disegnare con la punta dei piedi strani ghirigori. Sapeva di aver esagerato, ma odiava chi invadeva i suoi spazi, per piccoli che fossero. Fece per aprire bocca ma un'altra gliela tappò, bloccando ogni possibile parola che avrebbe potuto dire, ogni cosa che avrebbe peggiorato il suo stesso umore.
Un bacio, semplice, che le lasciò in bocca un aroma dolciastro che ben conosceva e che quella mattina non aveva potuto provare.
- Così siamo pari. -
Solita vita, solite scuse.
Tutto per strapparle un bacio.














Angolo dell'autrice:
Allora bimbini miei, siamo qui riuniti oggi per celebrare l'ultima storia che vedrete fino alla fine della mia scuola. Contenti?
Io si.
Alu.

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Capitolo 4
*** Cooking ***


Cooking




 
I'm sittin' here in the boring room
It's just another rainy Sunday afternoon
I'm wasting my time
I got nothin' to do
I'm hangin' around
I'm waitin' for you

 
 


 
Un bicchiere di farina. 
Un cucchiaio di zucchero. 
Un bicchiere di latte. 
Ecco, mancava il latte
L’urlo che aveva lanciato, era certa, l’avevano sentito entrambi i colpevoli di quella gravissima mancanza nella sua dispensa. 
Aveva voglia di pancake. Quelli soffici, buoni, che le venivano tanto bene e la tiravano giù dal letto durante le mattinate uggiose che si susseguivano, una dopo l’altra, su quell’isola deserta -quelle ovviamente in cui non era lui a farlo. E per farli come tanto le piacevano, aveva ovviamente bisogno anche del latte, reo, in quel preciso momento, di mancare drammaticamente all’appello. 
Se aveva capito che le ombrellate in testa a poco servivano con loro -visti gli acuiti sensi che entrambi avevano sviluppato in anni di combattimenti-, era certa che le sue urla erano loro poco gradite, soprattutto la mattina presto. 
Aprendo di scatto la dispensa, alla ricerca di una valida alternativa, aveva realizzato che anche l’altrettanto necessario lievito si era volatilizzato. E con esso, anche la vaniglia. 
L’ennesimo urlo, l’ennesima antina sbattuta più energicamente di quanto non avesse mai fatto -o di quanto lei stessa non lo fosse stata da che viveva lì- ed anche la farina già setacciata nella scodella aveva preso il volo. Lei, lo zucchero ad essa mischiato, e tutti i suoi buoni propositi di dedicarsi alla sua colazione preferita. 
Se non fosse pesata poco meno di cinquanta chilogrammi vestita, avrebbe fatto prendere il volo anche ai due idioti che l’avevano gettata in quel baratro di profonda disperazione mattutina. 
“Ma quanto urli”.
Atono, come sempre.
Era certa che il brio nella sua voce fosse riservato a sole occasioni in cui era costretto a tirare fuori il meglio di sé –e che lei non considerava di certo relativo a scontri sanguinosi. Era alle sue spalle e la fissava, di certo un poco contrariato, lo immaginava, mentre con ancora parecchia ira si accaniva ora sulla ciotola caduta a terra, prendendola a scarpate. La farina cosparsa tutt’intorno aveva a suo modo fotografato tutti i suoi movimenti, rendendo lui partecipe del fatto che avesse prima malmenato altra oggettistica da cucina, ora sparsa su tutto il pavimento. 
Un mestolo. 
Un bicchiere, ovviamente rotto in mille pezzi.
Un piccolo setaccio che -quasi a volersi mettere in salvo- era rotolato fin sotto il tavolo. 
Se anche un arnese così piccolo si poteva dir dotato di un blando spirito di autoconservazione, lo stesso non si poteva dire dello spadaccino che, imperterrito, ancora la fissava di sottecchi. 
Ignorarlo -se mai glielo avesse lasciato fare- le sembrava una buona idea. 
Un altro urlo. 
“Voi! Idioti!” aveva parlato al plurale “Avete finito il mio latte!” 
La scodella, colpita dall’ennesimo calcio tirato con ben poco garbo e femminilità, era volata nell’altra stanza, piombando sul primo degli scalini che portavano al piano superiore. Se pure quella aveva compreso che non era tempo di starle tra i piedi, si chiedeva come lui potesse ignorare del tutto il suo stato d’animo, rimanendo lì, impalato, a prendersi i suoi insulti. L’autoconservazione, aveva concluso, era una delle tante qualità che di certo non gli appartenevano.
Assieme alla modestia.
E alla simpatia. 
Soprattutto alla simpatia. 
“Smettila di urlare”.
Più che atono, questa volta lo avrebbe definito lapidario. Un lieve -e subito fatto scomparire- sorrisino le si era dipinto in volto ripensando alla primissima volta in cui gli aveva rivolto quell’aggettivo: presa dalla rabbia del momento, ovviamente da lui causata -e che strano- l’aveva apostrofato lampadario. Sentirlo ridacchiare di lei, per la prima volta da che viveva con lui, era un ricordo che custodiva gelosamente, sebbene fosse collegato ad una sua piccola défaillance. 
“E tu smettila di bere il mio latte!”
Perché il latte era suo. 
Comprato con i soldi di lui -e di chi sennò-, ma suo. 
Lo sguardo che lui le rivolse -e che lei aveva colto benissimo- le fece capire che quell’argomentazione aveva ben poca presa su di lui, padrone di casa, locandiere improvvisato e dante asilo ad un altrettanto scorbutico allievo e a lei. Ogni tanto si chiedeva chi in effetti glielo facesse fare; poi si ricordava di non volerlo davvero sapere, timorosa che lui si sarebbe svegliato da un momento all’altro e li avrebbe sbattuti fuori a calci nel sedere. L’altro almeno, su di lei -in cuor suo- manteneva ancora un po’ di certezza sul fatto che non fosse per lui una così deplorevole compagnia.
“Anche io faccio colazione” le si era avvicinato, fulmineo “Dove pensi che le prenda le energie per sopportartialtrimenti?” 
Sopportarla. 
Sollevarla.
Soddisfarla. 
Sempre per “s” iniziava. 
Quel lieve cambio di tonalità nella sua voce era certa nascondesse un qualche doppio senso che, in quel momento, non era molto ben propensa a cogliere. Cercando di non avvampare -cosa che con lui le veniva particolarmente facile fare- aveva concentrato la sua attenzione sui cocci del bicchiere che ancora campeggiavano davanti a lei. Raccoglierli e gettarli via -visto che le veniva difficile poterlo fare con i due idioti incriminati- sperava l’avrebbe quantomeno tranquillizzata. 
Per la calma totale -forse-, non prima di sera. 
“Quante volte ti ho preparato da mangiare, eh?!” un pezzo di vetro alla volta li stava raccattando tutti nelle sue mani. Vetro, che, per definizione, risulta essere un materiale piuttosto tagliente se non accuratamente maneggiato. E che, per l’appunto, si era sentito in dovere -e pure lui, tanto ci mancava- di farle capire che agguantare schegge a mani nude non era di certo una buona idea. 
Si era tagliata. 
Si prospettava una bellissima giornata. 
Accovacciata con un diavolo per capello fissava la sua mano che, lentamente, si colorava di rosso. Non era una ferita profonda, ma aveva probabilmente reciso qualche capillare, e il sangue non smetteva di uscire. Fissarlo e basta, certamente, non aiutava a contenere i danni. 
Le fu di fronte in pochi passi, tirandola su di peso per le ascelle.
Alle volte la trattava come una bambina -altre decisamente no. 
Prendendole la mano dolorante l’aveva esaminata giusto il tempo di storcere il naso, facendole capire che non c’era un bel niente di cui preoccuparsi, anche se le sembrava di avere colto anche altro. Il taglio le attraversava il palmo destro da parte a parte, era superficiale ma, essendo fresco, le bruciava parecchio. 
“Mi sono pure tagliata per colpa tua!” 
Un lieve senso di colpa glielo poteva anche cercare di smuovere, no? Sapeva per certo che sarebbe stato del tutto inutile -e che lui riservava sentimenti tali probabilmente solo a sé stesso- ma il suo orgoglio era tale da impedirle di non provare per lo meno a fagli intuire qualcosa. 
Tipo quanto per lei i pancake la mattina fossero essenziali.            
Lui, e quell’altro che si portava praticamente sempre appresso, quando non si perdeva da qualche parte. 
Pronta a ricevere la risposta che lui sempre le riservava quando aveva quegli attimi di infantilità assoluta -ovvero il più totale e completo nulla- era rimasta piacevolmente spiazzata quando invece lui l’aveva guardata, un attimo prima di portarsi la sua mano alla bocca e leccarle delicatamente via il sangue dalla ferita. Sapeva essere ammaliante anche in un momento come quello, con la sua mano sporca di farina e sangue e imbrattargli l’accenno di barba mattutino. 
Forse allora non era un così completo idiota.
Allontanando la sua mano dalle labbra, ora pulita dal sangue, si era quindi voltato e allontanato. Non l’aveva mai fatto, preoccuparsi così quando si faceva male, cosa che vista la sua naturale goffaggine le riusciva molto bene. 
Di solito la scavalcava quando la trovava lunga e distesa lamentandosi di un qualche strano dolore che si era procurata. 
“Quella è la mano buona”
La mano destra. 
Quella delle coccole mattutine. 
Avvampando e cercando di recuperare un qualsiasi oggetto contundente, che lui sornione aveva aspettato che lei allontanasse nel suo scatto d’ira antecedente, gli aveva ancora una volta elegantemente esposto quanto lo ritenesseinfinitamente idiota, senza più nutrire alcun dubbio. 




















Note:
Questa storia era nel dimenticatoio, totale.
Ma siamo tutti a casa da bravi cittadini.
E io mi annoio.
Ciao,
Alu.
 

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