Gli imprevisti del cuore...

di Federica_97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


La città di New York era bella, era bellissima. Chiunque poteva innamorarsi di quella meraviglia, i grattacieli, la gente che camminava per strada sempre indaffarata, le mille luci di notte. Eppure qualcosa mancava: le stelle. Erano rare in città, non si vedevano quasi mai e Strawberry, una ragazza dai capelli color rossi lampone lo pensava sempre, seduta sul davanzale della sua finestra ad osservare prima fuori e poi la miriade di documenti che il padre le consegnava.

Erano poliziotti, anzi! Erano agenti dell'FBI. O almeno lui lo era, la ragazza aveva ancora 17 anni e non poteva entrare a far parte della squadra.

Ma lavorava da esterna, ed era molto più sveglia di chiunque altro dentro quel dipartimento, e nessuno poteva dirle nulla essendo figlia del capo.

Quella sera però non poteva perdersi nei suoi pensieri, quella sera erano in missione. Non era un granché, avrebbe voluto partecipare a qualcosa di meglio; ma si accontentava.

Dovevano beccare degli spacciatori di droga, il giro era abbastanza vasto ma speravano di beccarne almeno due o tre, e farli parlare per andare a scovare gli altri. Ma Strawberry sapeva che era difficile che gente come loro parlasse, avevano una sorte di codice o chissà cos'altro.

“Voi andate da questa parte, io e Antonio dall'altra”. Era stato il padre della ragazza, Rick, a parlare. Dava ordini per far sì che tutto andasse per il meglio e con la pistola stretta in mano si preparava ad andare insieme al suo collega, Antonio, fidatissima spalla destra da oltre 10 anni ormai.

“Invece no, tu e Antonio andate da lì, io vado da sola, dal lato apposto. E no, non mi interessa e dobbiamo muoverci” Strawberry li superò, senza dar loro neanche il tempo di fiatare, tanto era inutile.

Con la sua amata pistola era già quasi arrivata all'angolo pronta a svoltare e puntarla addosso a chiunque avrebbe opposto resistenza. Ma non voleva sparare però, non osava farlo, preferiva pestarle a mani nude le persone, anziché infilare del piombo nel loro corpo.

Gli agenti si mossero, seguiti dal capo e la sua spalla destra e ciò che succedesse nei restanti 5 minuti che precedevano la mezza notte di quella gelida notte di gennaio era da film poliziesco: Rick e Antonio erano riusciti a prenderne uno, un tipo tosto e abbastanza testardo. Mentre Strawberry ne stava ammanettando un altro quando con la coda dell'occhio noto qualcuno muoversi dietro di lei e si voltò di scatto: un ragazzo, correva.

“Ehi! Fermati!” ma ovviamente era inutile urlare come un'indemoniata, non si sarebbe fermato.

Con una scatto felino ammanettò quel tizio e lo spinse via alzandosi e correndo dietro e quel ragazzo alto quasi il doppio di lei, o almeno credeva.

“Fermati!” urlò ancora e quando video che non accennava a farlo caricò la pistola sparando tre colpi precisi in aria, in modo da intimorirlo. E fu fiera di sé stessa quando il ragazzo rallentò.

“Sei in arresto”, lo aveva già ammanettato e lo voltò verso di sé e quasi ne rimase affascinata. Biondo, occhi azzurri da far invidia al cielo di campagna. E non capì nemmeno ciò che stava dicendo il ragazzo. Ma sicuramente le solite cavolate che si dicono in quei casi: “non sono stati io” o “perché fate ciò? Io sono innocente” e via dicendo. Ormai Strawberry poteva farci un libro per tutte le volte che aveva sentito quelle frasi.

“Portatelo via” lo consegnò nelle mani degli agenti, diretti in caserma.

 

 

* * *

“Allora”, Strawberry entrò nella stanza degli interrogatori, di fronte a lei seduto ed ammanettato il ragazzo dagli occhi azzurri cielo, “Ryan Shirogane, 22 anni, precedenti penali, due furti d'auto, uno scasso con furto e oltre 10 segnalazioni per vandalismo” stava in piedi dall'altro lato del tavolo ad osservarlo, poggiando le mani sulla fredda superficie, per reggersi.

“Wow, sai già tutto di me, micia. E io non so neanche come ti chiami” le sorrise beffardo, mentre si riavviava i capelli meglio che poteva. “Quanti anni hai, 17? forse 18 non di più”

“Non sono affari tuoi e non lo saprai perché, punto prima e per seconda cosa voglio sapere cosa ci facevi lì, a quell'ora e il perché sei scappato quando ho cercato di raggiungerti”

Nel frattempo era entrato Antonio nella stanza, ad assistere.

“L'ho già detto al vecchio prima, passeggiavo. E non c'entro nulla con lo spaccio di droga o che so io”

“Passeggiavi, okay. E perché sei fuggito?”

“Bellezza, sei uno sbirro. Ovvio che fuggo. Mica sono scemo”

“Se non hai nulla da nascondere perché sei scappato via come un furetto?”

“Stavi per spararmi addosso, se non te ne fossi accorta. Me la sono fatto sotto”

Lei sbuffò, inutile continuare. “Quindi tu non hai nulla a che fare con tutto ciò” non era una domanda.

“No micia, nulla”

Lo afferrò per il colletto del suo maglione blu scuro tirandolo a pochi centimetri dal suo viso: “Non chiamarmi micia” scandì bene le parole prima di lasciarlo andare bruscamente. “Senti pensaci tu, io ci rinuncio”, uscì dalla stanza andando dritta alle macchinette. Aveva bisogno di una cioccolata calda. E stava pure morendo di sonno, erano le 3 del mattino passate ormai.

“Tesoro” suo padre le diede un bacio sui capelli “allora?”

“Nulla, continua a sostenere che non che non c'entra niente con lo spaccio di droga ecc...” la macchinetta emise un BIP e lei prese la sua cioccolata calda.

“Non hai avuto nessuna...?”

“No, con lui nessuna. Eppure è strano. Non saprei che pensare” soffiava dentro il bicchiere prima di sorseggiarla. “Forse è davvero innocente, chissà” mormorò tra sé.

“Straw uno così ci c'entra sempre in qualcosa. Hai visto la sua pedina finale? Si potrebbe scrivere un romanzo per tutte le cose che ha combinato”

“Ho capito, papà. Ma non credo che c'entri con la droga. Insomma non ce l'ha la faccia da spacciatore. Da delinquente sì, da spacciatore no”

Rick la osservò bere lentamente la sua cioccolata, era cambiata tantissimo e non solo fisicamente. Nell'animo non era più la ragazza spensierata di una volta, ora era una tosta. Si era creata un muro talmente alto e spesso che nessuno, lui compreso, riusciva ad oltrepassare. Ad abbatterlo. Eppure non la biasimava, quello che era successo due anni prima aveva segnato anche lui e...

“Capo” Antonio interruppe i suoi pensieri.

“Allora?”

“Assolutamente nulla, rimane sempre sulla stessa versione. Stava facendo una passeggiata e via dicendo, il resto lo sapete”

Strawberry osservò la porta chiusa della stanza e gettò via il bicchiere ancora pieno di cioccolata, che finalmente si stava per raffreddare, avviandosi verso quella porta.

“Straw che fai?”

“Ci riprovo, e se non parla lo picchio” Spalancò la porta facendolo sobbalzare.

“Oh, hai dei modi molto delicati, micia”

“Ora mi dici veramente cosa diav....” fu un secondo, quando per sbaglio gli sfiorò la mano calda come una stufa che mille immagini si sovrapposero nella sua mente: lui da bambino, una ragazzina, lui lì quella sera, le sue mani in tasca mentre camminava per i fatti suoi, la sua paura quando aveva sparato quei colpi in aria, la sua....

“Ehi!!!”, la scosse violentemente facendole interrompere bruscamente quella visione che stava avendo. Le girò talmente forte la testa che gli crollò addosso, in un attimo di secondo stava seduta addosso a lui, senza neanche rendersene conto.

“Come sei intraprendente” sorrise lui “mi fai guardare dentro la scollatura?” ridacchiava tra sé, non si sarebbe mai permesso di metterle una mano addosso senza permesso suo.

“Dio stammi lontano!” Lo spinse via alzandosi

“Che succede!?” Rick entrò nella stanza a tutta velocità e guardò sua figlia ancora scombussolata per prima. “Se hai fatto qualcosa a mia figlia io...”, lo afferrò per il colletto.

“Papà, no. Lascialo andare, non c'entra niente. Dice che la verità”

“Mamma mia finalmente!” Ryan strisciò la sedia a terra facendo per alzarsi.

“Non così in fretta, idiota”. Rick lo spinse di nuovo giù. “Strawberry sei sicura?”

Bastò solo uno sguardo per fargli capire che tutto ciò che diceva il ragazzo era la verità, e lei ne era sicura.

“Va bene”, gli tolse le manette con una lentezza disumana, prima di tirarlo su, “tanto ci rivedremo, Shirogane”

Ryan sorrise: “può darsi” rivolse uno sguardo a Strawberry che lo stava osservando dall'altro lato del tavolo, poggiata al muro. “Che dici cena fuori?”

“Sparisci o ti faccio arrestare per qualcos'altro” gli intimò.

“E per cosa, fragolina? Non hai nessuna prova contro di me” sorrise ancora.

“Vuoi vedere che in mezzo a tutte le tue bravate qualcosa per tenerti dentro almeno 6 mesi la trovo?”, si avvicinò a lui, “sparisci prima che me ne penta”, gli spalancò la porta.

“Cosa ti ha fatto cambiare idea sulla mia versione?” la osservava, non aveva ancora capito cosa le fosse succede 5 minuti prima. Aveva avuto un malore?

“Ryan, esci da qui dentro immediatamente”.

Il ragazzo sorride ancora a sentirle pronunciare il suo nome: “Beh, allora ci vediamo, micia” Si sistemò il giubbotto avviandosi verso l'uscita.

“Se e quando mi rivedrai allora significa che sei davvero nei guai, Shirogane”, glielo disse senza alzare troppo la voce ma era sicurissima che lui l'aveva sentita prima di richiudersi la porte alle spalle.

Erano quasi le 4 del mattino e l'indomani avrebbe avuto scuola.

“Papà senti, io vado a casa. Domani ho scuola” sbadigliò, quasi certa che lui non l'avrebbe seguita.

“Puoi saltarla se vuoi” le diede un bacio sui capelli, stringendola sé.

“Macché, ho compito di matematica. Faccio già abbastanza schifo, non c'è bisogno di peggiorare ulteriormente le cose” per 10 secondi si lasciò abbracciare, solo 10 secondi e l'uomo fu la persona più felice del mondo. Ma poi tutto tornò come prima, lei si staccò salutandolo quasi con controvoglia prima di uscire da quel commissariato.

Chissà se un giorno abbatterai questo muro, Straw. Pensò l'uomo, chissà se qualcuno riuscirà a farti sorridere ancora dopo...quello che è successo.

Ma non sapeva che, quel qualcuno che desiderava per la figlia, era la persona che meno avrebbe voluto accanto a lei. Non si immaginava che, da quella notte tutto stava per cambiare.

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti! Io in questa sezione non scrivo da troppo tempo, ho ancora dimenticato quanto è passato il realtà. Ma poco importa, adesso sono qui :D

Probabilmente non vi ricordate chi sono, ma forse potete ricordarvi la storia. L'avevo scritta tempo fa, e anche completata e stavo continuando il sequel ma... momento di follia ho eliminato TUTTE le mie storie, ma questa mi piaceva particolarmente e volevo riproporla. Probabilmente cambierò qualcosa, ma sicuramente non sarà perfettamente uguale all'altra. Anche per non ce l'ho più, di conseguenza scrivo solo ciò che mi ricordo davvero.

Ricordo che l'inizio era così, più o meno.

Con molta probabilità riproporrò anche ''colpa di quest'amore'' non so se la ricordate, parlava di lei principessa e di lui servitore del principe (RyanxStraw), fedelissima alla coppia. Non la cambierò mai per nulla al mondo.

In ogni caso vi lasciò con questo prima capitolo. Spero vi piaccia e fatemelo sapere, accetto qualsiasi consiglio.

P.S. I capitoli, forse, non saranno sempre così lunghi. Cercherò di aggiornare regolarmente. Ma lavoro quindi ho abbastanza impegni, in ogni caso cercherò di non far passare più di 4-7 giorni da un capitolo all'altro.

Vi mando un enorme bacio a tutti, alla prossima!

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

 

La matematica era già di suo una materia abbastanza difficile per tipi come Strawberry, se poi si ci metteva anche il fatto di aver dormito solo 2 ore-e anche meno- allora proprio era una battaglia già persa fin dall'inizio ciò che c'era scritto nero su bianco per lei era arabo in quel momento. Non si ricordava nemmeno come fare una divisione, tanto meno le espressioni e tutto ciò che una studentessa del quinto anno di liceo doveva saper fare.

Sbuffò mordicchiando il tappo della sua bic consumata e provò a risolve almeno un esercizio.

“Ehi, tutto okay?” il suo compagno di classe, il tipico secchione con gli occhiali grossi quanto schermi di televisioni attirò la sua attenzione parlando a bassa voce, temendo che il professore lo scoprisse.

“A meraviglia, a parte il fatto che in questo momento preferirei stare sotto le coperte e non so fare assolutamente nulla di tutto ciò”

Il ragazzo con gli occhiali la guardò e pensò a quanto fosse bella nonostante la ruga che le si formava al centro della fronte tutte le volte che la corrugava arrabbiata.

“Ti aiuto dai” le fece segnò di scambiarsi il compito col suo.

Strawberry lo guardò stranita, lui non aiutava MAI nessuno, trovava sempre una scusa per allontanarsi, poco importava se poi le prendeva dai bulli. L'importante era tenersi tutto il suo sapere per sé, poi gli occhi neri e i lividi sul viso era superflui.

“Dici davvero?”

“Sì, però muoviti. Non voglio finire nei guai per te”

La ragazza stava per prendere il suo compito quando all'improvviso una delle sue visioni la colse senza preavviso, senza che lei si aspettasse nulla.

Immagini confuse, ecco cosa erano. Tutto ciò che riusciva a distinguere era una ragazza che veniva trascinata da due uomini. Una ragazzina sui 14 anni, con al collo un ciondolo a forma di stella azzurra, che perse nel tentativo di liberarsi dimenandosi. E poi... niente, tutto si interruppe.

Scattò in piedi facendo rovesciare la sedia, provocando un rumore sordo che fece sobbalzare la classe.

“Momomiya, che cosa stai facendo?” l'insegnante alzò immediatamente la voce rimproverando la ragazza, in tutta risposta lei raccolse le sue cose mettendosi la cartella in spalla. All'improvviso tutto il sonno era sparito.

“Mi dispiace, devo andare” schizzò fuori dall'aula ignorando le urla del professore, se non fosse stata così impegnata a correre verso il dipartimento di suo padre avrebbe sicuramente pensato che per irritare quell'uomo bastava davvero pochissimo.

“Papà!”.

Trovò il padre seduto alla scrivania con in mano una bustina di plastica, mentre osservava il contenuto.

“Porca miseria!”imprecò Straw quando vide la stessa identica collana della visione. “Ho provato ad avvertirti prima ma avevo il cellulare a casa, ho visto tutto tipo 15 minuti fa. Maledetta scuola, maledetto cellulare, maledetto tutto” batté i pugni sulla superficie di legno mentre suo padre la voltava verso di sé.

“Tesoro stai calma, non è colpa tua” la rassicurò, “tu fai già anche troppo”

“Però non è abbastanza evidentemente”

“No, invece lo è. E' stata portata via un'ora fa, Straw, la tua visione è stata comunque in ritardo”

La ragazza sbuffò di nuovo, succedeva a volte e il perché non riusciva a capirlo. Perché ricevere ciò che può salvare qualcuno senza poterlo realmente salvare? Non aveva alcun senso, e non ne avrebbe mai avuto per lei.

“Capo, forse abbiamo una pista. I rapitori hanno appena chiamato la famiglia per il riscatto” Antonio accese il registratore mentre guardava Strawberry indeciso se chiederle quando fosse arrivata, ma decise di no.

“Eh certo, perché ora alla gente uno chiede dieci milioni in contanti. Ovviamente” stoppò la registrazione mentre si metteva al computer. “Se hanno chiesto di incontrarsi davanti al parco allora non saranno distanti. Cioè non possono permettersi di fare troppa strada con una ragazza in ostaggio. Avete già messo gli agenti in ogni angolo della città?”

“Certo” rispose Antonio. “Ma hanno detto ''niente polizia o la uccidiamo'' sono sotto copertura”

“Tipico, brutti stronzi. Quella ragazzina sarà terrorizzata” aprì la mappa della città sulla scrivania mentre con delle puntine rosse tracciava ogni possibile posto dove avrebbero potuto tenerla.

“Tu non hai avuto una delle tue...?” Antonio esitò un po' a chiederlo ma infine lo fece.

“No. Ma ti sembra che siano a comando le mie visioni? Mica le chiamo io e dico visione vieni a me e PUF arrivano. No, non funziona così. Ste cose arrivano quando meno me lo aspetto e ho anche abbandonato la scuola nel bel mezzo di un compito. Quest'anno mi bocciano” lo fulminò con lo sguardo prima di tornare a fare i suoi ragionamenti.

“Andrò a parlare io col preside, non preoccuparti”

Non diede nemmeno retta a suo padre, il tempo che perdevano era prezioso. Non conoscevano i criminali che avevano rapito quella ragazza e per quanto ne sapeva avrebbero potuto farle di tutto, anche.... non voleva nemmeno pensarci.

“Papà senti ci sono posti abbandonati o chiusi in questa zona?” toccò la mappa e la visione la colse di nuovo senza nessuno preavviso, eppure doveva aspettarselo.

Tutto ciò che vide fu quella ragazza che piangeva, legata per i polsi e imbavagliata e poi....barili. Enormi barili dove tipicamente si ci mette il vino.

“Ehi” Rick la fece sedere sicurissimo che le sarebbe girata la testa, come il molte delle volte.

“Sto bene, mi devo ancora abituare a tutto ciò” mormorò sotto voce.

“Che hai visto?”

“Niente di importante... Barili, erano cinque barili marroni e vecchi, quelli dove va messo il vino” spiegò.

Ad Antonio passò una strana luce negli occhi prima di scattare verso il computer e cercare qualcosa.

“Tu sei semplicemente una piccola genietta!” Esclamò Antonio, e magari fosse stato vero, pensò Strawberry, “trovato. È un cinema, fu chiuso all'incirca 4 anni fa. Completamente abbandonato, si chiama cinq barils

“Fai vedere” lo spinse via guardando il punto ed era esattamente dove aveva toccato poco prima. Forse iniziava a capire come funzionava questa cosa delle visioni. “Non abbiamo assolutamente tempo da perdere, andiamo!”

“Ferma, non possiamo intervenire subito. Doppiamo fare in modo che nessuno si faccia male, tanto meno la gente che non c'entra nulla. E sono le 10 del mattino e quella strada è trafficata a quest'ora”

Ed effettivamente aveva ragione Rick, dovevano assolutamente evitare che qualcuno restasse coinvolto se, e sperava di no, si sarebbe scatenata una sparatoria.

“Già. A che ora è l'incontro con la famiglia della ragazza?”

“All'una di stanotte”

“Bene, vado a farmi una dormita, ci vediamo stasera. Non ritardare Antonio o ti ammazzo”

Uscì e Rick sorrise, il capo sembrava essere lei. E questo lo rendeva orgoglioso, aveva la stoffa della leader.

 

 

 

 

* * *

 

 

L'orologio segnava le 00.15, mezzanotte ed un quarto e loro erano pronti ad entrare in azione. Avevano già un piano ben definito, e il primo punto era non farsi scoprire o fare qualcosa di stupido che mandasse a monte tutta l'operazione. C'erano in ballo la vita di quella povera ragazza che aveva solo 14 anni, e la priorità assoluta era farla vivere ancora per moltissimi anni.

Non che erano andati lì per uccidere qualcuno, ma se si sarebbero complicate le cose avevano ordine preciso, da Rick, di aprire il fuoco.

“Straw, niente colpi di testa. Fai come ti ho detto o ti faccio portare a casa” l'avvertì il padre, la ragazza in risposta sbuffò. A lei toccava la parte più semplice, andare a prendere la ragazza e tenerla con sé. O almeno lei credeva fosse semplice.

“Antonio con me, voi due dall'altro lato. Fate circondare l'edificio e fate silenzio” Ordinò ancora ai suoi agenti prima di raggirare il vecchio cinema e trovare una porta secondaria per entrare.

Strawberry li seguì, in silenzio, svelta come un gatto.

“Papà ma se io fac...”

“No, segui gli ordini e basta” fece segno ad Antonio di seguirlo mentre entrava.

“Gne” si lamentò lei entrando per ultima, arrivati a metà percorso si udivano già delle voci, erano lì e non sospettavano assolutamente niente.

Non che fossero tanto furbi ma...buon per gli agenti.

Strawberry entrò in una stanza completamente al buio, tanto che urtò qualcosa a terra e quasi si ruppe il piede, ma non poteva urlare, imprecare o chissà cos'altro. Se la scoprivano era morta, quei tizi potevano essere armati e lei invece no, non aveva neanche un tamburello per poterlo rompere in testa a qualcuno.

Sentì dei mugolii e quasi non le venne un colpo: “Carmen, sei tu?” la chiamò e in risposta ebbe altri mugolii e poi capì: era imbavagliata.

“Adesso mi devi aiutare a trovarti okay? E' completamente buio qui dentro e non vedo dove metto i piedi. Devi aiutarmi o allora finiamo male entrambe”. Okay, era consapevole che magari in quel momento non era la cosa migliore da dire ma..era realista lei.

Sentì ancora dei mugolii e dei colpi e si girò alla sua sinistra, sembrava essere chiusa da qualche parte e proseguì fino a trovare un enorme barile dove dentro c'era davvero la ragazza.

“E ora come la tiro fuori?” borbottò tra sé, quel coso era alto una ventina di centimetri più di lei e per tirare fuori lei doveva appigliarsi a qualcosa o sarebbe caduta dentro.

Si guardò intorno meglio che poté e trovò una sedia da trascinare vicino al barile e salirci sopra.

“Okay, ti tirò fuori, sono dell'FBI. Va tutto bene” la prima cosa che fece e togliere il bavaglia e notò che era piena di lacrime, povera piccola era davvero terrorizzata.

“Collabora altrimenti cadiamo” La tirò su e come previsto caddero entrambe sul pavimento gelido, fortunatamente niente di rotto.

Il frastuono che si sentiva da fuori era chiaro segnale che quei rapitori erano stati presi.

“Attenta!” La luce si era accesa e Strawberry venne colpita ad una spalla da qualcosa di appuntito, fortuna che si era spostata altrimenti l'avrebbe quasi sicuramente uccisa.

“Eh no, questo non si fa” l'uomo venne colpito alla testa da una bottiglia di vino mezza vuota e quasi non ci restò per quanto fu forte il colpo.

La ragazza alzò gli occhi e lo video, quel ragazzo biondo, spettinato come il loro primo incontro, maglione blu e jeans grigio topo.

“Ryan” lo chiamò, tenendosi la spalla “cosa ci fai tu qui!?” strillò pronta a rimettersi in piedi.

“Sta buona, che stai male. Devo scappare o mi fai nuovamente arrestare per qualcosa che non ho fatto. Ci vediamo presto e ti spiego, promesso” e si volatilizzò, come se lui lì in quella stanza non ci fosse mai stato.

“Straw!” suo padre si abbassò accanto a lei, “bimba mia che ti hanno fatto..?”

“Figurati sto bene” continuava a fissare il punto dove era sparito mentre la ragazza veniva presa in custodia dagli agenti.

 

 

 

* * *

 

 

“Straw, sicura di stare bene?” suo padre era in camera sua da almeno mezz'ora ripetendo sempre le solite cose.

“Papà ti prego, è un taglietto. Sto bene, non fa nemmeno più male. Lasciami in pace” nascose la testa sotto il cuscino.

Rick sospirò: “va bene, ti lascio dormire. Se hai bisogno svegliami” le lasciò una carezza sulla schiena delicatamente, prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle.

Stava quasi per prendere sonno, così com'era, con la testa sotto il cuscino, quando sentì dei rumore provenienti dalla sua finestra che si apri poco secondi dopo.

“Dovresti chiuderla meglio questa”

Scattò in piedi dal letto, con solo gli slip e la canottiera, tipico suo abbigliamento per dormire.

“Che cavolo ci fai qui!?” urlò tra i denti indecisa se prenderlo a pugni o chiamare suo padre.

“Ti ho detto che mi avresti rivisto e allora eccomi qui” sorrise, guardandola da capo a piedi.

“Ryan sei folle!”

“E tu mezza nuda” e quel sorrisetto che le rivolse quasi le fece perdere l'equilibrio.

La sensazione che non se lo sarebbe più tolto dai piedi cresceva sempre di più.

 

 

 

 

Buona sera a tutti! Sono in ritardo e purtroppo ne sono anche consapevole. Spero mi perdoniate con questo capitolo.

Dal prossimo darò più spazio a Ryan e Strawberry e al loro rapporto che ancora non c'è ahahahah :D questo consideratelo una parte fondamentale per capire davvero tutto il resto. Sono sicura che siete curiosi di vedere cosa accadrà nel prossimo, no? :D

Li pubblicherò a pochi giorni di distanza, considerando che il 3° ce l'ho già pronto.

Smetto di scrivere (parlare) e vado ahahhahaha.

Alla prossima, un bacione! 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

 

Erano seduti in pieno inverno su una panchina situata poco distante da una squallido rifornimento, a sorseggiare cioccolata calda. L'unica cosa che poteva riscaldarli in quel momento, eccetto la tensione che cresceva tra di loro.

Si era presentato in camera sua, senza uno straccio di motivo e l'aveva rapita facendola uscire dalla finestra.

Okay, non esattamente rapita.

“Mi dici che diavolo ci facevi in camera mia e perché siamo qui?”

“Calmati, mamma mia che sei acida” sbuffò lui con aria divertita “sei sicura che non era una scusa per portarti via da casa tua e ucciderti?” la guardò.

Una luce mista a sorpresa e paura, solo per un secondo, attraverso gli occhi nocciola della ragazza.

“Rilassati, Strawberry. Non sono un assassino”

“Mica sono scema, lo so. Ma voglio sapere cosa sei venuto a fare in camera mia e perché ora io sono qui con te”

“Ricordati che non ti ho obbligata”

Ed effettivamente era vero, non l'aveva mica trascinata, anche perché non glielo avrebbe mai permesso. Diciamo che aveva accettato di andare con lui, anche se non lo avrebbe mai ammesso sul serio.

Vieni con me, ti mostro una cosa”. Le aveva detto, porgendole la mano pronto a saltare dalla finestra e aiutarla ad uscire. Ma per Strawberry non era la prima volta che scappava di casa usando la sua finestra, quindi non le venne difficile sgattaiolare via.

E ora erano lì, senza spiaccicare parole e lui non le aveva mostrato nulla, ancora.

“Allora?”, lo guardò di sottecchi soffiando dentro il bicchiere, molte volte si era bruciata la lingua e non era per niente una bella sensazione.

“Allora?” ripeté lui, guardandola. “Che c'è?”

“Come che c'è?” voltò il viso verso di lui per guardarlo bene, lui la stava fissando con gli occhi azzurri così intensi da far invidia ai lampioni lì attorno. “Mi hai portata qui, con quella dannata moto che ti ritrovi, al freddo, introducendoti in camera mia e ora è che c'è?” iniziava ad arrabbiarsi, e non era esattamente buon segno. Ma continuava a ripetersi nella sua mente che non l'aveva trascinata a forza. Era perfettamente libera di scegliere se andare o cacciarlo via a calci.

“Che ci facevi in quel cinema? Sei coinvolto con il rapimento di quella ragazza?”

Anche se non ci credo nemmeno se lo vedo, avrebbe voluto dirlo ma preferì tenersi quel commento per sé.

“Straw, non sono nemmeno un sequestratore di ragazzine, ragazzina” Sorrise e si alzò, “vieni con me, ti mostro questa cosa” le lanciò il cascò delicatamente in modo che lei lo afferrasse e se lo infilasse.

“Mettilo, anche se dubito che ti faresti qualcosa con la testa dura che ti ritrovi” la prese in girò infilandosi il suo e montando in sella alla sua moto rosso fuoco, a vederlo così era davvero bellissimo ma lei non lo avrebbe mai ammesso nemmeno a sé stessa.

Ed una parte di sé le diceva di piantarlo lì, lasciarlo solo e chiamare suo padre per farsi venire a prendere. Prima di tutto, a parte essere più strano di lei era anche un ragazzo con precedenti penali, di cui non poteva fidarsi.

E se l'avesse coinvolta in qualche guaio? Avrebbe potuto dire addio alla sua carriera da agente...

“Allora, sali o vuoi restare lì? Mi si sta congelando il culo”

Ma lei ascoltò l'altra parte, quella che diceva che Ryan non le avrebbe fatto del male e non l'avrebbe coinvolta in nessun guaio. Quella che si fidava di lui.

In pochi minuti erano davanti al cinema, quello del rapimento e lei parve sorpresa. Perché l'aveva portata lì?

Cercò i suoi occhi in cerca di spiegazioni, ma lui non la guardava semplicemente tirò fuori un mazzo di chiavi enorme e tolse il lucchetto che teneva chiusa la porta d'ingresso.

“Dopo di te” le fece segno di entrare e lei entrò. “Ferma perché ci sono tantissime cose fuori posto, rischi di inciampare e cadere” la guidò pochi passi più avanti e poi la lasciò lì, impalata. L'edificio completamente al buio.

Lo sentì allontanarsi di qualche passo, poi spingere qualcosa che dal rumore che emise sembrava tanto una leva e poco dopo tutte le luci si accesero.

Strawberry si guardò intorno, c'erano poltrone parse un po' per il corridoio, briciole di patatine a terra, la vernice dei muri era completamente andata e i manifesti di film vecchi di almeno 5 anni erano quasi staccati dalle pareti.

“Che significa?” ebbe il coraggio di domandare, per la prima volta dopo tanto si sentiva confusa e odiava non sapere già tutto.

“Volevi sapere perché ero qui, no? Ecco perchè. Il cinema è mio” la oltrepassò iniziando a salire le scale che c'erano un po' più in là. Era un cinema multi sala, quindi aveva un piano di sopra con almeno altre 4 sale.

“Ryan che ci facciamo qui?” lo guardò osservare il vuoto per almeno 10 minuti buoni, mentre stavano seduti su due delle poltrone rosse e vecchie, prima di interrompere i suoi pensieri.

“Ry..” le bastò solo il contatto con la sua mano in quel momento fredda per vedere delle immagini che sarebbe stato meglio non vedere. Un'auto che andava fuori strada, un bambino che piangeva...

La sottrasse subito, come se si fosse scottata.

Lui la guardò: “il cinema era...”

“Dei tuoi genitori” concluse lei.

Ryan la guardò sorpreso. “Come fai a saperlo?”

“Intuizione...” mentì, erano morti. Sapeva che Ryan non avesse i genitori, nel rapporto su di lui spuntava essere orfano di entrambi ma non aveva capito che loro erano morti...in quel modo e lui era vivo per miracolo.

“Bugiarda” le disse esaminandola con attenzione

“Mi dispiace..” mormorò.

“Per cosa?” parve confuso.

Scosse la testa di nuovo, non poteva dirgli che aveva realmente visto le dinamiche dell'incidente visto che quando successe, poco più di 5 anni prima, lei aveva solo pochi mesi.

“Non c'entri niente con il rapimento di quella ragazza?” ripeté ancora, per sviare il discorso su come facesse a sapere che quel cinema era dei genitori del ragazzo. Sapeva che non c'entrava niente, ma doveva pur inventarsi qualcosa.

Lui scosse la testa esasperato. “Vieni di nuovo con me” si alzò e si avviò all'uscita.

“Ehi! Mi riporti a casa??” gli corse dietro, detestava ammetterlo ma quel posto era terrificante.

“No, ti faccio vedere che non ho bisogno di rapire qualcuno per i soldi del riscatto”

 

 

* * *

 

 

 

Erano le tre del mattino, di nuovo e fortuna che l'indomani non avrebbe avuto scuola altrimenti sarebbe stata nuovamente fregata. Ma in quel momento non era tanto l'orario a preoccuparla e a stupirla di quanto velocemente passasse il tempo, ma bensì l'enorme villa che si trovava di fronte, forse stava lì a contemplare la facciata d'ingresso per...oltre 10 minuti?

“Ehi micia, non ti imbambolare. Vieni” la presa per mano, di nuovo quel contatto, di nuovo quella scarica che le pareva tanto strana quanto familiare ogni volta che si sfioravano.

“Che fai? E' proprietà privata”

Ryan non le diede retta, e fece il giro della casa entrando dal retro.

“Ryan se ci trovano qui passiamo guai, ti prego” lo tirò per la mano ma era più debole di lui e neanche lo spostò.

“Rilassati” superò la cucina dopo essersi preso dei salatini trovati lì sopra, poi entrò in salotto, dove un enorme schermo piatto li guardava minaccioso.

“Posa non sono tuoi!” strillava a bassa voce e il ragazzo parve divertito da tutta quella situazione.

“Scusate”

Un sobbalzò, quasi smise di respirare quando Straw udì quella voce.

“Ben tornato signorino”

Signorino?

“Grazie, Albert” Ryan si tolse le scarpe scalciandole via. “Che c'è?” guardò Strawberry che lo fissava con aria confusa, mentre si ingozzava di salatini. “Ho fame, non ho cenato”

“Tu vivi qui?”

“Sì, da 22 anni a questa parte, direi” mangiava.

“Tu vivi qui e mi hai fatto prendere un colpo facendomi credere che ci eravamo introdotti senza permesso! Una violazione di domicilio!” Gli lanciò addosso la prima cosa che le capitò sotto mano e fortunatamente per il ragazzo era solo un cuscino che schivò.

“Suvvia rilassati, è sempre bello far prendere spaventi ad uno sbirro” sorrise.

“Non sono uno sbirro! Oh mio dio questa stanza è grande quanto tutto il nostro appartamento!”

“Lo so”

“Antipatico e presuntuoso che non sei altro” incrociò le braccia e lui in risposta sorrise. “Albert mi prendi un succo di frutta? Lo offriamo a questa indemoniata”

“Shirogane!”

“Subito, signorina come lo gradisce?”

“Pera, la ringrazio” e il maggiordomo di casa sparì in cucina.

Era un uomo sempre allegro, l'unico padre che Ryan avesse mai veramente avuto, non che non volesse bene al suo ma aveva solo 5 anni quando morì, e il ragazzo lo ricordava a malapena.

Tuttavia Albert era stato bravissimo a sostituirlo, anche se l'intenzione dell'uomo non erano queste. Infatti parlava costantemente a Ryan di suo padre e di quanto fosse brillante ma col passare del tempo il ragazzo smise di ascoltarlo e non voleva più saperne di parlare di lui e sua madre.

Faceva male e questo Albert lo sapeva.

Nonostante ciò, però, non era riuscito a tenerlo tanto stretto quanto bastasse per non farlo finire sempre nei guai e questo lo addolorava molto.

“Ecco a lei” Albert porse il succo a Strawberry e quest'ultima sorride grata prima di mormorare un grazie e berlo.

“Togliti quel coso addosso, fa caldo qui” Ryan indicò l'enorme bomber della ragazza e lei si accorse che nonostante odiasse ammetterlo, aveva ragione. Dentro quell'enorme villa c'erano i riscaldamenti al massimo.

“Okay, ma non guardare” lo fulminò con gli occhi prima di togliersi il giubbotto e mostrare il suo enorme maglione color lampone.

“Non c'è niente da guardare, Strawberry” andò in cucina a prendersi una birra e Albert si congedò con un cenno.

La ragazza lo guardò e per quanto avrebbe voluto rispondere male a quella provocazione, non lo fece. Si limitò ad osservarlo, si limitò a chiedersi come mai uno come lui, che poteva avere tutto, faceva quelle cose.

Era ricco sfondato.

“Perché fai quello che fai, Ryan? Hai già tutto”

Lui la guardò, staccandosi dal beccuccio della birra che stava bevendo pochi secondi prima.

“Ho tutto?” sorrise malinconico. “Strawberry le cose più belle non si comprano col denaro”

“Ed entrare a casa di altra gente e rubare auto ti fa sentire appagato?”

Ryan non rispose, ma la risposta era no, non si sentiva appagato. Cercava un brivido che non aveva mai trovato, almeno fino a quando i suoi occhi non incontrarono quelli di quella strana ragazza che lo aveva arrestato, insultato e quasi sparato addosso.

Non era come quelle che si portava a letto qualche volta, solo per soddisfare i suoi bisogni. Lei era una tosta, una di quella che non si facevano toccare nemmeno con un palo lungo sei metri, una di quelle che se solo provavi a metterle una mano addosso probabilmente ti ritrovavi senza.

A Ryan lei piaceva. Ma era ancora davvero troppo presto per rendersene conto, lo avrebbero scoperto piano piano.

“Andiamo, ti riporto a casa” finì la birra e guardò l'orologio: le 4.30 del mattino.

“Ma...” lei sbuffò. “Non me la fai vedere la casa?”

Era tanto curiosa di vedere camera sua, chissà com'era, chissà quante ragazze erano stat... interruppe i suoi osceni pensieri e lo guardò ancora. Figuriamoci se a lei importava qualcosa di com'era camera di quel presuntuoso.

“Magari un'altra volta, okay? Ora no” le diede il giubbotto, chiaro segno di ora voglio che te ne vai e lei quasi ci rimase male, ma non disse nulla.

 

 

 

 

 

 

Buona sera a tutti! Come promesso ecco qui il capitolo che è interamente dedicato alla nostra coppia protagonista! Che ne dite? Non potevo non inserire Albert, il maggiordomo/papà di Ryan, perché comunque io la trovo una persona davvero molto simpatica, ma credo che avreste modo di capirlo nei capitoli successivi.

Adesso vi lascio altrimenti non la pianto più di scrivere ahahahah

Non so quando pubblicherò il prossima, ma sono già piena di idee su come farlo svolgere e quindi al solito non farò passare più di 5-7 giorni.

Vi auguro una buona serata, un bacione grazie alla prossima!

P.S. Scusatemi gli errori che sicuramente ci saranno, mi sfugge sempre qualcosa. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

 

 

 

 

 

Sbadigliava, sbadigliava e sbadigliava.

Strawberry non aveva chiuso occhio quella notte, nemmeno dopo che Ryan l'aveva riaccompagnata a casa. Non aveva detto una parola per tutto il tragitto, si era solo limitato a salutarla una volta sotto la finestra della ragazza... che era strano Strawberry lo aveva capito, ma così non se lo sarebbe mai immaginata.

Era andato via senza dire niente, in sella alla moto e basta.

Viveva in una casa stupenda, era ricchissimo e questo lo aveva scoperto solo la notte scorsa, non poteva immaginarlo. Per il resto non si sorprendeva se Ryan fosse così duro, aveva perso i genitori in un modo orribile, lei lo sapeva, lo aveva visto, non c'era bisogno di spiegare niente, sapeva e basta. Non riusciva ad immaginare un dolore simile alla perdita di tutte le persone a lui care o forse si?...

“Straw, va tutto bene? Hai due occhiaie da far paura”

Guardò il collega e annuì: “Sì Antonio, grazie”

L'uomo la guardò ancora, persa nei suoi pensieri.

“Sicura?”

Sbuffò e gli lanciò un'occhiataccia.

“La smetti? Che ha la mia faccia che non va? Ho solo dormito poco tutto qui”

“Le visioni?”

“No, quelle non c'entrano”

Antonio la guardò ancora, affascinato da quella ragazza apparentemente normale.

“Come fai? Ad averle dico, come fai?”

Strawberry lo squadrò. Bella domanda, pensò. Non lo sapeva nemmeno lei,

“Boh, me lo chiedo da quasi due anni sinceramente. Sarò una sorta di alieno portato qui per vivere tra di voi umani insignificanti”

“Ma dai!” Rise lui, “lo sai che è successo tutto dal giorno in cui hai avuto,,,” lo interruppe,

“Lo so, scherzavo. Ma in ogni caso resta una cosa strana. Non lo so e basta”

L'uomo annuì semplicemente e poi fece per andarsene.

“Antonio”

“mhm?”

“Portami il registro di Shirogane, per favore”

“Perchè? Ha combinato qualcosa?”

“Una cosa del genere, voglio il rapporto dei genitori del ragazzo. Per vedere che fine hanno fatto e perchè non vivono con lui” si morse le labbra...vallo a spiegare come faceva a saperlo. “Cioè da quello che ho letto non sono mai apparsi quando loro figlio ha fatto il birichino, quindi suppongo non vivano qui” si corresse prima che Antonio le chiedesse qualcosa.

“Ah sì, certo” aprì la porta dell'ufficio di suo padre, che quel giorno sarebbe mancato qualche ora per questioni d'ufficio, e poi si bloccò: “credo siano morti, Straw, l'ho letto da qualche parte” e uscì.

Lei lo sapeva già che erano morti ma voleva comunque sapere di più sul ragazzo...

Ma cosa le importava poi, ancora non capiva nemmeno lei.

 

 

 

* * *

 

 

Era già sera, quel giorno era stato particolarmente tranquillo... e noioso, secondo la ragazza. Niente rapine, niente omicidi, niente rapimenti, niente visioni e niente...Ryan.

Strawberry lo aveva pensato tutto il giorno, anche quando cercava di distrarsi. Ma era difficile farlo se niente la teneva impegnata a parte controllare qualche registro.

Del ragazzo non aveva scoperto nulla di nuovo, sapeva già tutto e anche di più. Genitori morti, come lei già sapeva e una sorella, morta anche lei ma mai ritrovata...

“Tesoro vieni a tavola?!” Urlò suo padre da piano di sotto

“Arrivo” chiuse il PC che aveva sulle gambe e scese di sotto, profumino invitante, aveva una fame...

“Non esci oggi? E' sabato”

“No, non ho dove andare e poi mi annoio. Oggi è solo un giorno come gli altri, solo più affollato fuori” si sedette a tavola iniziando a mangiare.

“Stai bene?” la guardò suo padre mangiando anch'esso, “sai tra poco è l'anniversario di...”

“Possiamo non parlarne ora?”, poggiò le posate, “Lo so cosa c'è tra poco e preferisco non ricordare”

“Lo sai che non è colpa tua vero?” le prese la mano guardandola.

“Lo dici ogni anno, ma credo proprio che lo fai solo per farmi sentire meglio. Lo sai meglio di me che non è così” lei non lo guardava, non ne aveva il coraggio. “è colpa mia e basta”

“No Strawberry davvero, non è colpa tua, non potevi sapere ciò che facevi”

“Ah no? Papà per favore, lo sai bene che non è così. Non ti ho ascoltato, ho fatto di testa mia al solito ed è finita male, punto” si alzò. “Sono stanca scusa, buonanotte” e andò via.

Salendo le scale si soffermò 5 minuti, non di più davanti alla porta di una delle camere di casa e la fissò, così, senza dire niente. Lo faceva ogni tanto, ma non entrava mai, non aveva il coraggio di farlo. Quella stanza era chiusa da oltre due anni e lei non ci metteva più piede d'allora.

Sbadigliò entrando in camera sua, rabbrividendo per l'aria fredda che soffiava. Ma perchè entrava quella gelida aria dalla finestra se lei l'aveva chiusa?

“Hai freddo? No è che non ho chiuso la finestra perchè pensavo che non fossi così freddolina” quella voce!

“Ryan!”esclamò guardandolo mentre se ne stava beatamente sul SUO letto. “che ci fai qui?” andò a chiudere la finestra per niente spaventata dalla presenza del ragazzo in camera sua. “Eh sì, ho freddo cafone”

“Non mi arresti per violazione di domicilio vero?” ridacchiò.

“Lo dovrei fare” lo guardò, stava bene vestito in quel modo. Maglione blu scuro e pantaloni bianchi. Magari il bianco non era di stagione ma vabbè, stava bene con tutto. “che ci fai qui?” portò le mani ai fianchi per niente vogliosa di scherzare “te ne devi andare subito”

“Eddai, avevo voglia di vederti micia” si alzò superandola di almeno 15cm buoni. “A te non va?”

“No, perchè dovrebbe?”

“Bugiarda” rideva ora, mentre le toglieva una ciocca dai capelli, ed era bastato quel contatto per farle rivedere tutta la vita del ragazzo nuovamente, com'era gioioso da piccolo, come era sempre sorridente. Ma non uno di quei sorrisi che faceva solitamente, uno di quelli veri spensierati. Lo vide in braccia ad una donna bionda bellissima, sua madre supponeva lei. E poi niente, quel bambino era stato distrutto in qualche minuto...

“Ehi, stai bene? Che ti prende?” l'afferrò giusto in tempo prima che cadesse a terra per via del capogiro che le prese.

“Niente, non ti preoccupare” sbuffò sonoramente, ma era mai possibile che ogni volta che la sfiorava doveva capitarle questo? La toccava anche suo padre, Antonio, gli amici di scuola ma non le succedeva con nessuno. Perchè con Ryan sì?

“Ma sei sicura? Dai davvero, a costo che mi faccio mettere dentro da tuo padre, lo vado a chiamare se stai male”

Lei lo guardava, inginocchiato di fronte a lei che stava seduta sul letto, pronto a rischiare la galera -e la botte- da parte del capo dell'FBI per lei. Era...non sapeva nemmeno lei cosa, affascinata forse.

“Smettila che sto bene stupido” accennò un sorriso e lui si rilassò sedendosi vicino a lei.

“Me lo dici che ti prende? Non è la prima volta che ti capita, hai qualche malattia?”

“No, nessuna è una cosa...complicata non capiresti”

“Capisco più cose di quanto credi, ragazzina” la guardava ancora e lei anche. Glielo voleva dire ma...se poi fosse scappato via?

“Ryan, se ti dico una cosa simile tu scappi e vai a chiamare il manicomio” si alzò andando alla finestra che stavolta aprì, aveva caldo.

“Dimmelo” la raggiunse guardandola, la guardava sempre, non le toglieva gli occhi di dosso.

Lei sospirò, tanto se scappava che importava?: “Ho delle visione sulla tua vita passata”

Lui rimase in silenzio per un paio di minuti e poi scoppiò a ridere: “Si certo, che altro?” Rideva.

“Ti ho visto in braccio a tua madre, mentre piangevi per via di qualcosa che ti avevano fatto, eri ferito e piccolo”

Oh sì, se lo ricordava quel giorno mentre alcuni bulletti lo avev...

“Come cavolo?!” si allontanò di qualche passo. “come fai a saperlo?”

“Come pensi che sapevo del cinema? Della ragazza che era lì, Perchè pensi che ti abbia rilasciato quella notte? Ho visto che non c'entravi niente”. Lei non si mosse, semplicemente si girò a guardarlo e dopo pochi minuti lui si avvicinò, ancora perplesso.

“Come fai?”

“Domanda da un milione di dollari Ryan, non lo so. Non sono stata io a sceglierlo”

Ora guardava fuori, non aveva più gli occhi su di lui. Non sopportava il suo sguardo curioso ma spaventato allo stesso tempo. “Adesso scappa pure” si scostò per farlo uscire.

“Scappare? Perchè mai?” la voltò verso di lui “non ne ho intenzione assolutamente, Strawberry”

La chiamava di rado col proprio nome, usava sempre nomignoli. Ma in quel momento era il più serio del mondo. Non faceva trasparire nessun segno di ironia.

“Non hai paura?”

“No, cazzo! Sei fantastica, inquietante certo, ma fantastica!” adesso le sorrideva.

Lei roteò gli occhi al cielo, non aveva nessuna intenzione di mostrargli quando felice fosse, ma dentro di sé sorrideva.

“Senti, micia”, ci risiamo, pensò, “ti voglio portare in un posto”

“Dove?” domandò lei

“Fidati di me su, e poi è sabato sera, ti porto a vedere una cosa” era già pronto ad uscire dalla finestra.

Lei tentennò. “Vuoi farci finire nei guai?”

“Non ci cacciamo dei guai dai, promesso” sorrideva ancora,

Che stupido, pensava mentre si faceva convincere ancora di più. “Okay, ma se finiamo nei guai io ti uccido”

“Okay capo” ridacchiò, “Ah Straw, metti qualcosa di pesante, fa freddo lì” e poi scese dalla finestra.

Lei sbatté le palpebre, ecco perfetto.

Quella storia sarebbe finita male, dentro di sé lo sentiva; eppure voleva farlo e, anche se non l'avrebbe mai ammesso, non vedeva l'ora di scoprire dove voleva portarla.

 

 

 

 

 

 

 

EHM! EHMM!!

AVEVO DETTO 5-7 GIORNI..............? FORSE HO PERSO LA CONNIZIONE DEL TEMPO VISTO CHE SONO PASSATI ANNI ORMAI DALL'ULTIMO AGGIORNAMENTO... E' PROBABILE CHE NEMMENO VI RICORDIATE DI ME MA...ECCOMI!!

Come state bellezze? Ispirazione improvvisa, venuta dal nulla e tanto voglia di scrivere! Capitolo di mezzo, forse un po' noioso ma spero vi piaccia lo stesso e stavolta GIURO di non far passare anni per mettere il 5° capitolo.

Sono passati anni ma non smetto di amare questa coppia e nonostante i miei 21 anni di età sono ancora una bimba romantica ahahha

Vi mando tanto bacioni e a presto :*

P.S. Perdonate eventuali errori di battuta.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

 

 

 

Strawberry se ne stava in disparte a stringersi il suo giubbotto addosso, non faceva poi così tanto freddo lì dov'erano; il freddo vero e proprio lo aveva preso su quella stupida moto.

Non hai una macchina, gli aveva chiesto lei, e Ryan per tutta risposta sorrideva mentre veloce sfrecciava tra il traffico di New York, non le aveva dato risposta. Ma lei era quasi sicura che avesse anche una macchina, solo che gli piaceva andare in giro con quell'affare.

In quel momento lo guardava parlare con l'uomo che supponeva essere il traghettatore per portare i turisti dall'altro lato della città, a visitare la Statua della Libertà.

Chissà di cosa stavano parlando poi, vedeva Ryan quasi supplicare l'uomo che in tutta risposta scuoteva la testa ripetutamente.

“Dai Fernando, quanti favori ti ho fatto!”. Lo sentì borbottare a voce un po' più alta e poi si voltarono verso di lei e la guardarono per mezzo minuto buono.

Straw suppose, dal grande GRAZIE di Ryan, che l'uomo avesse accettato qualsiasi tipo di favore che egli gli avesse chiesto.

“Vieni micia” la richiamò. “Non inciampare e sali senza combinare guai” le disse poi, aiutandola a farla salire sulla barchetta.

“Mica sono come te” gli disse di rimando sedendosi “Buona sera” salutò poi mentre Ryan la raggiungeva.

“Buona sera signorina”, sorrise l'uomo iniziando a remare.

“Che stiamo facendo?” Chiese la ragazza quando erano quasi arrivati sull'altra sponda.

“Adesso vedrai”. Il ragazzo ringraziò lui che in tutte risposta borbottò qualcosa sul ''non coinvolgermi se vi beccano'', e poi andò via.

Erano le 23 e 30 di sera e Straw non aveva la più pallida idea di cosa stavano facendo lì, da soli e al freddo.

“Che stiamo facendo, Ryan?” gli chiese ancora mentre lo vedeva scrutare la porta d'ingresso dalla statua.

“L'hanno chiusa a chiave, non credevo di trovarla così” sbuffò sonoramente. “Hai una forcina?”

“A cosa ti serve una forcina?” e già iniziava a non piacerle quella situazione.

“Dai dammela e vedrai”.

Lei non risposte e gli passò la forcina sfilata poco prima dai capelli.

Era concentrato a ripiegarla mentre lei lo osservava. Di essere, però, ero bello. Eccome se ero bello. Aveva tutti i capelli davanti agli occhi un po' lunghetti secondo la ragazza ma che gli donavano davvero tanto, gli occhi azzurri brillavano sotto le luci artificiali.

“Ecco a lei, signorina”. Sorrise mentre spalancava la porta.

Aveva scassinato la porta e lei non se ne era nemmeno resa conto, era troppo concentrata a guardarlo.

“Ma sei scemo?! Se ci beccano...”

“Dai rilassati, mamma mia. Ma ti diverti mai? Non ci beccano lo faccio spesso”.

Entrò prima di lei invitandola più volte: “non te ne pentirai, fidati”, le ripeteva.

“Io e te abbiamo un concetto di non finire nei guai molto ma differente, Ryan” e con un sospirò entro richiudendosi la porta alla spalle.

Salirono un sacco di scale e se non fossero stati giovani sarebbero di sicuro morti d'infarto. L'ascensore c'era, certo, ma era spento di notte, visto che non era orario turistico.

“Mi sorprende come tu abbia scassinato la porta di sotto”.

“So fare molte altre cose, bambolina”.

“Se mi chiami ancora bambolina ti butto di sotto”.

Erano arrivati e la vista da lassù era meravigliosa, si vedeva tutta la città accesa sotto di loro. Il traffico delle auto che sfrecciavano in autostrada, non si vedevano benissimo ma riuscivano a capire che fossero macchine.

“E' bellissimo qui” mormorò lei senza fiato, era molto alto.

“Ci vengo per stare da solo” le confessò. “Non ci ho mai portato nessuna”.

Lei lo guardò, non aveva ancora del tutto chiaro il perchè fosse lì, insieme a lui, in piena notte. Ma le piaceva... la sua compagnia, le piaceva abbastanza.

“Perché hai portato me, allora?”.

“Mi piace stare con te”.

“Ti piace in che senso?”.

Ora era lui a fissare lei, serio, senza nessuna aria di ironia sul volto.

“Mi fai stare bene”, le scostò i capelli davanti agli occhi. “Non lo so, Strawberry. Da quella notte non riesco a starti lontano. Mi attrai”. Si bloccò e poi continuò: “e non dico fisicamente. Certo sì, sei una bella figa, ma non dico in quel senso”.

Lei fece una smorfia, bella figa, aveva detto. Non sapeva se prenderlo come un complimento o un'offesa. Da quando si conoscevano l'aveva chiamata in mille modi differenti.

“Senti...”, si allontanò da lei, “sei una poliziotta...”

“Agente dell'FBI, non ancora ufficiale ma lo diventerò”

“Sì, quello che è. Sei un'agente,ma sotto non sei solo quello, okay? Senti non lo so” Sbuffò, mentre il bagliore della luna piena gli illuminava mezzo volto.

Lei scoppiò a ridere, non sapeva esattamente per cosa, ma era buffo vederlo così impacciato.

“Capisco”, si limitò a rispondere mentre si avvicinava a lui e si affacciava da una delle finestrelle. “Un incidente” disse infine, senza guardarlo.

“Cosa?”, parve confuso.

“I miei ''poteri'', sono stati causati da un incidente”

Oh... era l'unica cosa che riuscì a pensare lui.

Straw invece non sapeva nemmeno perchè glielo stava raccontato, non ne parlava mai. Nemmeno Antonio, il miglior agente dentro quel distretto, sapeva come mai lei riusciva a fare quelle cose, e la conosceva da anni ormai.

“Era al parco, pioveva, abbastanza forte. Un vero temporale, tuoni e lampi a non finire”

Lui la ascoltava, in silenzio senza dire niente.

“Mi ha colpita un fulmine” si azzittì qualche secondo. “Cioè, non proprio colpita colpita, in palo della luce fece da tramite...vi ero poggiata sopra. Stupida no? Lo sanno tutti che il metallo attira i fulmini, eppure in quel momento non ci pensai affatto”. Si voltò verso di lui. “Rimasi in coma per qualche giorno e...al mio risveglio notai subito che qualcosa non andava. Avevamo...cioè mio padre aveva un caso di omicidio irrisolto, da mesi ormai. Fu una cosa strana, la prima volta che successe, dico. Non me lo aspettavo e ne fui anche molto spaventata; ma in due giorni grazie alle mie visione siamo riusciti a prendere l'assassina. Una donna che uccise una sconosciuta così, tanto per piacere”.

“E da quel giorno hai iniziato a collaborare con la polizia” non era una domanda.

“Già. Ho risolto abbastanza casi”.

“E' straordinario”.

“Non lo definirei così, Ryan. Ma sì, non è male alcune volte” .

Si guardarono per alcuni secondi. “Non l'ho mai detto a nessuno”

“Questo significa che ti piaccio?”. Sorrise lui.

“Nemmeno per idea, delinquente”

“Accoppiata strana, no?” sorrise ancora.

Lei scosse la testa. “Raccontami di te”

“E che ti devo dire se sai praticamente tutto, micia?”

“Dio, smettila di chiamarmi micia!”

“Okay micia” e rideva. Si divertiva tantissimo a farla arrabbiare.

Lei in risposta roteò gli occhi al cielo sospirando rumorosamente. Si chiedeva ancora e ancora perchè fosse lì con lui e non a casa a dormire.

“Incidente d'auto, comunque” ruppe il silenzio il ragazzo. “Io non c'ero, ero a casa piccolo e arrabbiato coi miei per uno stupido giocattolo che non volevano comprarmi”. Si fece malinconico. “Non gli ho potuto dire addio. Ne quanto volessi bene ad ognuno di loro”.

“E tua sorella?”. Lei nel frattempo si era avvicinata a lui.

Lui in risposta la guardò per un attimo. “Non l'hanno mai ritrovata. Suppongo che sia morta anche lei, sono passati 15 anni ormai”.

Strawberry gli accarezzò il braccio, un contatto inaspettato anche per il biondo che si voltò completamente verso di lei con gli occhi ancora pieni di ricordi dolorosi.

Si guardavano e basta, non dicevano nulla. La voglia di baciarla cresceva dentro il ragazzo sempre di più, fino a che non ci provò. Si abbassò per poter poggiare le sue labbra a quelle di Strawberry, ma fu un fallimento. La ragazza voltò il viso da un lato, negandogli ogni tipo di contatto più profondo.

“Quindi, vieni qui per stare da solo?”. E si allontanò.

Nonostante il rifiuto da parte della ragazza sorrise. Sorrise perché mai nessuna gli aveva tenuto testa così come faceva lei, sorrise perché ogni volta che baciava una ragazza, quella si avvinghiava a lui come se non aspettasse altro.

Lei invece no. Strawberry era diversa e questo lo faceva impazzire.

“Esatto, mica”. Si era nuovamente avvicinato a lei, e la vide irrigidirsi. “Tranquilla, non ti faccio niente”.

Lei annuì guardando ancora la città che se ne stava in silenzio a pochi metri da loro.

Non avevano nemmeno notato che erano quasi 3 e mezza del mattino, quando si sedettero a terra e continuavano a chiacchierare del più e del meno. Senza rendersi conto che nonostante tutti i brutti argomenti toccati prima, si divertivano.

Strawberry non rideva da tanto e lui ci era riuscito.

Ryan non si sentiva così da anni e lei era riuscita a farlo evadere dai suoi perenni pensieri malinconici.

E per una notte, dopo tanto tempo, si stava divertendo senza andare a far bravate in giro.

Non si erano accorti che effettivamente il freddo di quella notte aumentava sempre di più ed istintivamente si erano stretti l'uno all'altra, fino ad addormentarsi lì, a terra.

Lei poggiata sul suo petto, lui con le braccia a tenerla stretta. Come se si potessero perdere da un momento all'altro.

Non si rendevano conto che a poco a poco non sarebbero più riusciti a far uno a meno dell'altro.

 

 

 

 

RIECCOMI! :D

Ma ciao bellissime, come va?

Non so perchè ma ultimamente non ho moltissimo da fare e l'ispirazione viene da sé. Alcune di voi sanno già che questa storia l'ho postata, completata e cancellata tempo fa. Ma nonostante mi ricordi come all'incirca veniva strutturata, non ho in mente proprio tutti i dettagli.

Detto ciò, spero che vi sia piaciuto il capitolo. E al solito mi scuso per eventuali errori di battuta. Giuro che lo riguardo il capitolo ma alcune volta mi sfuggono ugualmente.

Un bacione grande!!

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

 

Quella mattina Strawberry si svegliò di soprassalto, spaventata per un sogno abbastanza strano che aveva fatto.

Una figura misteriosa e incappucciata che... non sapeva esattamente cosa stesse facendo ma in cuor suo sperava che fosse solo un brutto sogno senza significato.

Ci mise un paio di minuti per rendersi conto di dove era e con chi era.

Aveva male alla schiena, ma non sentiva freddo.

Guardò il ragazzo ancora addormentato e abbracciato a lei. Ecco perché non sentiva freddo, erano stretti l'uno all'altra.

Non si era nemmeno resa conto che, effettivamente a quell'ora, non erano più soli lassù. Erano già le 9 del mattino.

“Ehm ehm”. Quella voce non la conosceva affatto, di chi mai poteva essere? Con gli occhi ancora semichiusi per via della luce guardò l'uomo un po' grasso che se ne stava in piedi accanto a loro. “Allora, ci vogliamo alzare oppure no?”, sembrava arrabbiato.

“Ehm...Ryan”, scosse il ragazzo energicamente per farlo svegliare. “Dai su, svegliati che siamo nei guai”. Sbuffò e solo in quel momento si rese conto che non era stata una cattiva idea, ma pessima.

Il biondo aprì gli occhi prendendosi un paio di minuti per capire cosa stesse succedendo e poi balzò in piedi, trascinando con sè la ragazza.

“Ciao amico!” scherzò lui, guardando l'uomo a braccia conserte.

Strawberry si vergognò come una ladra quando si rese conto che anche altra gente li guardava e sussurrava cose incomprensibili.

“Ciao Shirogane. Ti avevo avvertito”, l'uomo fece una chiamata.

“Dai no! Rischio 6 mesi così, per favore” Sbuffò lui. Si erano addormentati e ovviamente non avevano potuto lasciare il posto prima dell'apertura al pubblico e così...beccati!

“Rischiate, ragazzino. Non sei l'unico nei guai” e guardò Strawberry.

 

 

 

* * *

 

Erano insieme dentro una delle sale interrogatorie di un distretto che lei non aveva mai visto. Aspettavano, erano ore ormai.

“Micia, mi dispiace”.

Lei scrollò le spalle. Inutile prendersela con lui, c'erano dentro insieme.

“Non importa”, giocherellava con le sue ciocche rosse.

“Sai che mi piace il tuo colore dei capelli? È particolare”, si avvicinò a lei.

“Grazie” disse semplicemente.

“Straw, riguardando a ier...”

“Momomiya” un agente era appena entrate in sala. “Sei fuori” e spalancò la porta.

Ryan al suono del suo cognome parve sorpreso. Non era americana...

Lei si alzò. “E lui?”

“Non ho nessun ordine per lui, esci su”

“Ma non posso lasciarlo qui!”

“Che ti posso dire. Non è mica colpa mia. C'è tuo padre fuori che ti aspetta, fa come vuoi”, e se ne andò.

Suo padre... certo! Chi altro poteva tirarli fuori se non lui?

“Aspetta qui, ti tiro fuori!” e balzò fuori correndo incontro all'uomo.

“Papà!” si fermò giusto in tempo per non finirgli addosso.

“Strawberry! Mi sarei aspettato tutto da te ma non questo!” la afferrò per il braccio. “Andiamo a casa” continuò a trascinarla verso l'esterno.

“No aspetta fermo!” si divincolò, “devi tirare fuori Ryan da lì”.

L'espressione di suo padre passò dalla sorpresa alla rabbia in dieci secondi esatti: “Ryan Shirogane? Il ragazzo che abbiamo arrestato qualche sera fa?”

Sorpresa che si ricordasse di lui, annuì.

“Non ci penso nemmeno, andiamo via” e ricominciò a camminare.

“Ma... non è giusto, papà! Perché io sono fuori e lui rischia di rimanere dentro per mesi?!”

“Perchè sei mia figlia. E sono sicuro che qualcuno lo tirerà fuori”.

Straw piantò i piedi fermandosi bruscamente: “io non vengo con te”.

Rick si girò verso quella ragazza tanto cocciuta.

“Non essere ridicola! Lo capisci che se sei qui è solo colpa sua?! Non sembri neanche più tu, Straw! Che ti succede?”

“Non mi succede niente. Ma non mi ha costretta a far nulla e ci siamo dentro insieme. Se non esce lui, non esco nemmeno io” disse secca incrociando le braccia.

Era l'unico che poteva tirarlo fuori, lei non aveva nessun potere.

L'uomo la scrutò per bene, sapeva che diceva sul serio, e che non si sarebbe mossa di lì per niente al mondo. Aveva una luce strana nei occhi, non la vedeva da tempo e non sapeva nemmeno lui come definirla, e indubbiamente teneva a quel ragazzo più di quanto lei ammettesse anche a sé stessa.

“Ti stai innamorando di lui, Strawberry?”.

La ragazza dai capelli rossi lo guardò, esitando un attimo prima di rispondere a quell'inaspettata domanda: “No. Ti ho già detto perché, papà”. E abbassò lo sguardo.

Rick la osservò ancora, un attimo prima di andar a parlare con uno dei superiori di quel distretto.

Lo vide mostrare il suo distintivo e pochi attimi dopo un agente sparì dietro il muro.

Passarono una decina di minuti prima che vide spuntare Ryan.

Si incamminarono verso fuori e sorrise spontaneamente, mentre il ragazzo avanzava verso di lei.

“Grazie signore” ringraziò il padre della ragazza.

“Non è merito mio”. Tagliò corto lui non lasciandoli da soli. “Andiamo Straw” disse infine.

Lei annuì e poi guardò il biondo: “cerca di non metterti nei guai, intesi?”.

“Ti preoccupi, micia?” sorrise e le scostò una ciocca dai capelli. Fu in quell'istante che una delle sue dannatissime visioni la colse inaspettatamente.

Ancora una figura incappucciata, non capiva se era un uomo o una donna. Era buio, una donna piangeva supplicando di non farle del male e poi...un colpo secco al cuore di quella donna, che riportò Strawberry alla realtà.

Le girò così forte la testa, che Ryan ebbe i riflessi di afferrarla e tenerla stressa a sé prima che cadesse.

“Ehi, tutto bene?”.

“Straw!” suo padre osservava la scena preoccupato.

“Tutto bene” farfugliò lei tenendo gli occhi chiusi e la fronte poggiata al petto del ragazzo.

“Hai avuto una delle tue...” Ryan non continuò, vedendo Rick fulminandolo con gli occhi.

“Sì, ma non è una cosa positiva”, si staccò lentamente riprendendo l'equilibrio. “Non mi abituerò mai a questo”.

“Sa delle tue visioni!?”

“Papà! Se magari abbassi la voce non finirò in manicomio, grazie!”

“O dentro qualche clinica con un team di scienziati pronti a studiarti il cervello” scherzò il biondo.

“Ma...” Rick era più che sorpreso. Strawberry aveva detto del suo dono ad un perfetto sconosciuto. “E poi dici di no, eh?”.

La ragazza sospirò capendo perfettamente a cosa si riferiva suo padre: ''ti stai innamorando di lui?''.

“Hanno ucciso un'altra donna” disse lei, ignorando suo padre.

“Cazzo!” esclamò Rick. “Dobbiamo andare immediatamente, ti porto a casa Straw”.

“Cosa? Io non vado a casa, vi servo in centrale”.

“Niente storie e cammina, sei in punizione”.

L'uomo si incamminò verso la sua auto aspettandola senza salire.

“Il paparino ti mette in punizione?” Rideva lui.

“Smettila o ti picchio”, lo fulminò. “Devo andare. Tu come farai?”

“Chiamerò Albert, non ti preoccupare” le sorrise.

Lei annuì e quando stava per andare lui la bloccò per un braccio: “davvero hanno ucciso una donna?”.

Straw lo guardò e annuì: “ti spiego un'altra volta, okay? Adesso devo proprio andare”.

La vide sparire prima dentro la vettura e poi per le strade della città.

Un'altra volta... pensò. Quindi si sarebbero rivisti? Quindi lei lo voleva rivedere?

Sorrideva mentre si incamminava per il Central park. Una passeggiata, ripensando a tutto quello che aveva passato, non gli avrebbe fatto male.

 

 

* * *

 

“Chiara Rossi, 18 anni, italiana. Aveva il visto studentesco.” Antonio ripeteva. “Era una bambina”. Istintivamente guardò Strawberry, -che Rick fu costretto a portarsi dietro nonostante le strigliate-, aveva quasi la sua età. L'idea che qualcuno potesse far del male a quella ragazzina gli fece accapponare la pelle.

La ragazza, invece, si abbassò scostando una ciocca dal viso freddo della vittima.

“Cosa hai tu in comune con le altre?”, le domandò sapendo che non avrebbe ricevuto risposta. Non riuscivano a capire.

“Siamo già a quattro vittime, Rick, è chiaro che ci troviamo di fronte ad un serial killer”.

Il capo dell'FBI sospirò, aveva ragione il medico legale... erano già tre vittime.

“Dobbiamo fare qualcosa alla svelta, sono sicuro che ce ne saranno altre”, l'uomo diede l'ordine di far portare via la vittima.

Era lo stesso tipo di ferita, un colpo netto al cuore.

Rick notò sua figlia che guardava inerme la scena che si presentava davanti a loro.

Coprivano con un telo bianco quella ragazzina e la caricavano su una barella pronti a portarla via.

“Non è colpa tua”. Strawberry sussultò quando suo padre le poggiò la mani sulla spalla. “Non hai colpa, tesoro”.

La rossa sbuffò: “che senso ha, mi dico io? Avere delle visioni rigorosamente in ritardo, senza riuscire a fare nulla lo stesso. Tanto vale non averle”.

Rick non disse niente, era vero. Ultimamente Strawberry non era esattamente in sinfonia con le sue visioni. Arrivano tardi, non combaciavano molte volte. Non era sicuro di cosa le stesse capitando, ma molto probabilmente c'entrava anche quello strano ragazzo dagli occhi ghiacciati.

“Andiamo su, fa freddo qui”, ed effettivamente non aveva tutti i torti. Era la fine di gennaio e si trovano su una spiaggia gelida dove tirava vento odioso.

Straw annuì semplicemente, incamminandosi verso l'auto.

Nel tragitto per tornare in centrale, rimase a fissare fuori dal finestrino, senza proferire parola.

“Straw”.

“Uhm?”, si girò verso suo padre, distogliendosi dai suoi pensieri.

“Che succede?”.

Sapeva a cosa si riferisse, era la stessa identica cosa che si chiedeva lei.

“Non lo so, magari iniziano a sparire”.

“Non credo. Avrebbero avuto tutto il tempo per farlo in precedenza, Strawberry”.

Lei lo fissò mentre cambiava marcia: “cosa mi stai dicendo?”.

“Ti sto dicendo, tesoro, che non hai mai avuto problemi di questo genere”.

“E quindi?”, sapeva benissimo dove voleva andare a parare.

L'uomo non rispose, tenendo gli occhi sulla strada.

“Stai cercando di dirmi che è colpa di Ryan, che rallenta i miei riflessi?”

“No! Cioè...sì. Secondo me sì. Hai totalmente la testa altrove, ti distrae e questo comporta anche un rallento delle tue...capacità, ecco”.

La ragazza sbuffò, effettivamente non aveva mai avuto problemi; dovevi arrivare tu per mandarmi il cervello in pappa, Shirogane. Pensò tra sé.

“Senti tesoro, io non ti dico di non frequentare nessuno. Stai crescendo ed è normale che inizi a provare interesse nei confronti di qualcuno, sarebbe strano il contrario. Ma non lui, okay? Siete due mondi totalmente diversi. Ti ha già messo nei guai una volta, chissà la prossima volta cosa ti porta a fare, ti farà finire ugualemale”, si fermò un attimo aspettando una reazione da parte di sua figlia che, stranamente, non arrivo.

“Quello che cerco di dirti è che devi stare attenta. Stai per raggiungere la maggiore età, ti potrò prendere a tutti gli effetti come stagista e inserirti definitamente nel team nel giro di qualche anno”, continuò Rick.

Lei annuì solamente, le sarebbe piaciuto lavorare a tutti gli effetti come agente dell'FBI.

“Sì, papà” mormorò soltanto.

 

* * *

 

 

Erano già le 6 e 30 del pomeriggio e Strawberry si annoiava. Seduta sulla poltrona di suo padre a non essere arrivata a niente.

Vedeva gli agenti di quel posto indaffarati, immersi in un sacco di scartoffie inutili, esattamente come lei si sentiva in quel momento: inutile.

Si alzò dalla poltrona andando a cercare suo padre.

“Papà senti,” disse non appena lo trovò “io torno a casa, magari mi schiarisco le idee e vediamo se combino qualcosa”.

“Va bene tesoro, ti faccio accompagnare da Anna”, fece per chiamare l'agente.

“No, vado a piedi. E sì, sto attenta. E no, non mi uccidono, tranquillo, okay? Ci vediamo a casa”.

Rick parve perplesso. L'idea di mandarla sola per le strade di New York quasi buie, con uno psicopatico in giro, non lo entusiasmava poi così tanto.

“Stai attenta però, okay? Non posso darti una pistola, lo sai. Non hai come difenderti”.

“Non mi serve una pistola, casa nostra è a due isolati da qui, papà”, gli diede un bacio e si incamminò prima che l'uomo potesse ribattere.

Non aveva assolutamente nessuna voglia di farsi accompagnare a casa, voleva camminare.

Decise di fermarsi in uno di quei venditori di Hotdog, e gustarsene uno.

Suo padre sarebbe sicuramente tornato tardi e non avrebbero cenato a casa.

Lo mangiava lentamente, ed era quasi finito quando il rompo di una moto la fece sobbalzare, pochi attimi dopo si accostò accanto a lei.

“Vuoi un passaggio, micia?”, il motociclista si sfilò il casco, rivelandosi essere Ryan. I capelli tutti spettinati che si sistemò passandosi in mezzo le dita.

Strawberry lo guardò: ma mi segue?, si ritrovò a pensare.

“No grazie, sono quasi arrivata”, e ricominciò a camminare.

“Andiamo, salta su che è buio”, la seguiva lentamente con la moto.

La ragazza si fermò nuovamente a guardarlo. Poggiava i piedi a terra per non perdere l'equilibrio, una mano sul manubrio e l'altra a reggere il casco.

Non capiva come facesse a non sentire freddo con quel giubbotto di pelle nero che indossava, ma poco importava, tanto gli stava benissimo.

Fece per parlare quando la voce di suo padre le tornò in mente: non lui, okay? Ti farà finire male...

Ryan invece la osservava paziente, senza metterle fretta.

Strawberry continuava a pensare alle parole di suo padre, fino a quando non cominciavano a risultare lontane, incomprensibili.

Al diavolo, pensò, afferrando l'altro casco e indossandolo. Salì in sella senza dire nulla, aggrappandosi a lui come aveva fatto altre volte.

Ryan sorrise, quasi soddisfatto e indossando il suo di casco riprese la marcia.

 

 

 

Salve a tutteeee :D

come state? Io bene ahahhaa

Spero che il capitolo vi sia piaciuto ed eventualmente mi scuso per gli errori...

un bacio grande e grazie a chi mi segue e mi scrive :) alla prossima!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

 

“Quando ho detto ''cerca di non metterti nei guai'' intendevo proprio questo”.

Ryan Shirogane era molto bravo a forzare serrature di qualsiasi tipo, poi se quest'ultima era vecchia, meglio ancora.

“In questo edificio non ci vieni mai nessuno, mi piace” disse semplicemente lui, con un sorrisetto ad incurvargli le labbra.

“Anche se abbandonato, è comunque contro la legge” fece notare lei, “poi non capisco perché”.

A quel punto il biondo la guardò, mentre appoggiata alla ringhiera un po' vecchiotta di quel grattacielo, guardava giù.

“Perché cosa?”.

“Perché ti piace stare tanto in alto. Insomma abbiamo percorso quasi venti piani a piedi, tra poco mi viene un infarto”, l'affanno era già sparito da qualche minuto, ma le gambe molli per le troppe scale si facevano ancora sentire.

Lui fece spallucce “è una bella sensazione” disse soltanto, guardando le poche stelle visibili da quella grande città. “Non sei né troppo in alto né troppo in basso. La metà perfetta per farti stare bene”.

E lui aveva tanto bisogno di stare bene, dopo la tragedia che aveva segnato la sua infanzia, Ryan cercava in ogni cosa il presupposto per stare bene in quella vita che sentiva ormai stretta da un po'.

La ragazza dai capelli rossi lo guardò “certo che tu sei strano”, concluse infine senza aggiungere altro. Ma infondo non si sentiva di giudicarlo, aveva rivissuto personalmente le cose orribili successe a quel ragazzo dagli occhi ghiacciati, quindi un po' lo...capiva?

“C'è qualcuno?!” la voce di un uomo li fece sobbalzare.

“Accidenti!” esclamò il ragazzo ed afferrò per mano Strawberry trascinandola con sé. “Cerca di fare mano rumore possibile”. Si nascosero e quando quell'uomo, che aveva tutta l'aria di un agente entrò dentro la stanza, i due ragazzi corsero via, scendendo le scale rapidamente.

Inutili furono i tentativi dell'agente di fermarli, erano troppo veloci.

“Tu sei completamente folle!” gli urlò lei una volta scampato il pericolo di un altro viaggetto al commissariato.

“Per questo ti piaccio” sorrise lui, malizioso.

Lei scosse la testa e scoppiò a ridere, seguita pochi istanti dopo dal ragazzo.

Ammetteva a se stessa, che non si era mai divertita tanto in vita sua.

“Andiamo su, ti riporto a casa pasticciona” le infilò il casco senza darle il tempo di parlare.

 

 

Quando aprì la porta di casa sua, vide suo padre fare avanti e indietro per il salotto; con aria preoccupata.

“Strawberry! Grazie al cielo stai bene!” le alzò le braccia, le roteò la testa da un lato, le controllò il viso. Non aveva nemmeno un graffio. “Ma si può sapere dove accidenti ti eri cacciata!? Ti chiamo da almeno tre ore, per la miseria!” .

Tre ore?! Non si era nemmeno accorta che fosse passato così tanto tempo, si era completamente dimenticata del mondo che la circondava.

“Io...avevo la modalità silenziosa e...” iniziò a blaterare cose senza senso, ma non la diede a bere a Rick che in tutta risposta indurì lo sguardo.

“Smettila. Eri con quel ragazzo, vero?”.

Strawberry non era brava a mentire, tanto meno a nascondere le sue emozioni, per quanto ci provasse le sue espressioni la tradivano sempre.

“Io non...!”.

“Non mi mentire! Accidenti tesoro, ti ho detto di stare alla larga da quello! Ti metterà nei guai!”.

La rossa ispirò profondamente per evitare di rispondere male. “Non mi mette in nessun guaio, papà. Non mi costringe a nulla, te l'ho già detto”. Cercò di superarlo per andarsene in camera sua.

“E' proprio questo quello che mi preoccupa. Sei sempre stata una ragazza con la testa sulle spalle. Poi all'improvviso arriva un tipo qualunque, ti stravolge la vita e qualche giorno dopo devo tirarti fuori da un commissariato di polizia!” fece un bel respiro, non voleva urlare ma era più forte di lui. “Avete forzato l'entrata della statua della libertà, Strawberry! Se non avessi pregato il procuratore a quest'ora avresti una macchia sulla tua fedina penale!”.

Strawberry si torturò le mani, aveva ragione. Eppure, non riusciva a stargli lontano.

“Posso andare adesso in camera mia? Sono stanca” cercò di sviare il discorso, per uscirne il prima possibile.

Rick annuì, con un gesto di mano le fece segnò di salire. “Non voglio perdere anche te” gli sentì dire prima che entrasse in camera sua.

Si buttò sul letto, infreddolita e stanca. Quella situazione la sfiniva e come se non bastasse c'era anche un serial killer in giro per la città, e loro non riuscivano a cavarne un ragno dal buco.

Decise di spogliarsi per andare a fare un rilassante bagno caldo. Sperava di lavare via tutta la tensione accumulata quel giorno.

Visualizzò per prima cosa lo schermo del suo cellulare e notò che c'erano almeno dieci chiamate perse tutte da parte del padre. Le cancellò e lo ripose a schermo in su' sul comodino.

Non ebbe il tempo di entrare in bagno che subito la flebile luce dello smartphone si accese. Un SMS.

-che ne dici se domani sera io e te ce ne andassimo a cena fuori, da soli?- citava il messaggio, e non aveva bisogno di salvare il numero per capire chi fosse.

Involontariamente sorrise, indecisa su cosa rispondere, magari avrebbe aspettato fino alla fine del bagno.

-Ci stai pensando, non è vero?- l'emoji che seguì era un sorrisetto tutt'altro che casto.

Sbuffò divertita e rispose: -ci sto, ma niente discoteche, festini o robe troppo di lusso-

Passò un minuto.

-E mi dici come faccio ad impressionarti, se mi neghi tutte queste cose?-

Immaginò soltanto la sua faccia contrariata e le venne da ridere.

Lo hai già fatto, idiota, si ritrovò a pensare ma non lo scrisse. -sorprendimi-

Mise il blocca schermo e finalmente andò a farsi quel tanto bramato bagno caldo.

 

 

* * *

 

Quel giorno era stato un solito e noioso lunedì. Aveva avuto scuola, aveva avuto ben due compiti in classe che, ringraziava chi più in alto stava, aveva svolto senza problemi.

Adesso invece, dopo aver pranzato in c'entrale, osservava attentamente le foto della vittime. Ma non riusciva a scorgere nessun particolare in più di quelli già trovati.

“Tesoro, ancora niente?” Rick le mise davanti una tazza di cioccolata fumante. Lei scosse la testa, soffiandogli dentro.

“Sono bloccata, completamente bloccata” sbuffò, “non ho visioni da ieri mattina o in ogni caso niente di rilevante alle indagini. Siamo ad un punto morto”. Si passò le mani sul viso, stroppiandosi gli occhi.

“Se vai a casa forse...”

Lo bloccò immediatamente “non andrò a casa a rigirarmi i pollici” si alzò e sparpagliò tutte le foto sul tavolo. Quattro vittime, tutte uccise con una pugnalata al cuore, nessun legame tra di loro.

“Ci sta sfuggendo qualcosa” mormorò sorseggiando la bevanda. “Antonio ha per caso trovato qualcos'altro?”

Rick scosse la testa, demoralizzato quasi quanto la figlia.

La porta della stanza di aprì e un timido agente si fece avanti “signorina Momomiya, c'è un ragazzo che chiede di lei”.

Rivolse uno sguardo molto loquace a suo padre, prima di lanciare un'occhiata all'orologio da parete.

“Accompagnalo qui” fece soltanto liquidando il ragazzo.

“Ti prego dimmi che da quella porta non entrerà Shirogane” supplicò la figlia esasperato. “E invece è lui” sbuffò sonoramente quando il biondo varcò la porta.

“Buona sera a tutti” salutò col suo solito sorrisetto beffardo.

“Che ci fai qui? Ci dovevamo vedere tra almeno tre ore”. Fece notare la giovane.

“Vedere? Dove dovete andare?!” quasi strillò il padre.

“Ryan, scusaci un attimo” trascinò fuori dalla stanza l'uomo che continuava a borbottare cose incomprensibili perfino a sé stesso.

“Potresti smetterla di urlare?” gli domandò guardando tutti i suoi colleghi che li fissavano.

“Mi sembrava di essere stato chiaro ieri quando-”

“Sì, lo sei stato. Ma adesso mi ascolti: hai ragione, probabilmente sto perdendo il senno ma ti prego, ti prego fidati di me” lo sguardo negli occhi. “So meglio di te che Ryan, Shirogane o come cavolo vuoi chiamarlo, ha un passato – e un presente aggiungerei- per niente affidabili, ma sto bene con lui. Mi fa ridere” sospirò, “e tu sai che io non rido da quando...” lasciò la frase in sospeso. “Insomma, papà, ti giuro che non faccio niente di stupido. Voglio solo seguire il mio cuore, per una volta”. Aveva confessato, anche se solo in parte, che quel ragazzo era importante per lei.

Il capo dell'FBI la guardò per dei secondi che parvero ore e poi parlò: “d'accordo, ma se vengo a sapere di un'altra stupidaggine io...”

“Non succederà, promesso!”. Gli diede un veloce bacio sulla guancia e poi rientro nella stanza degli interrogatori dove aveva lasciato le foto.

Trovo Ryan intendo a scrutarle per bene.

“Scusa non volevo che le vedessi” fece per metterle via ma la bloccò.

“Aspetta un attimo” prese una foto e la guardò ancora.

“Che c'è? Hai notato qualcosa?”.

“Sono tutti omicidi commessi dalla stessa persona?”.

Strawberry annuì “sì, la ferita e l'arma sono uguali in tutte e quattro le donne”.

Ryan le osservò ancora “aspetta, mettiti un attimo seduta”.

Strawberry obbedì, era così enigmatico che si fece trasportare dalla sua voce lenta e calma.

“Non ci capisco niente eh, precisiamo questo ma...” guardò ancora la foto “per come si presenta la ferita credo che la vittima fosse più o meno così” indicò Strawberry.

“Seduta?”

Annuì “e legata, ma credo che questo tu lo sappia, visto che i segni sui polsi sono evidenti”.

Stavolta annuì lei. “Quindi?”.

“Quindi, la vittima era più o meno nella tua stessa posizione, metti le mani indietro, brava così” chiuse il pugno della mano sinistra e imitò il movimento che, secondo lui, aveva compiuto l'assassino. “Così” rimase con la mano piantata sul petto della ragazza, all'altezza del cuore, ma senza farle male.

Rick aveva assistito alla scena e riesaminò nuovamente le foto.

“E credo che sia mancino” aggiunse poi, il biondo.

“Perché lo pensi?” chiese l'uomo che ormai pendeva dalla labbra del giovane.

“Perchè-” poggiò la foto sul petto di Strawberry “-l'incisione è rivolta verso il lato destro, se non fosse stato mancino sarebbe rivolta verso sinistra” concluse.

“Wow, mi stupisci Shirogane” aveva commentato la giovane osservandolo.

“Antonio!” L'urlò di Rick si udì per tutta la centrale. “Voglio che fai esaminare ancora una volta le foto delle vittime, voglio sapere se la pugnalata sia stata inflitta con la mano sinistra” disse poi, quando il suo collega era arrivato.

“Dai muoviti!” lo spronò poi, quando si era imbambolato a guardare il biondo.

“Sissignore scusi!” corse via chiudendo la porta.

“Ah, signor capo” lo richiamò Ryan “è anche probabile che l'assassino non sia molto più alto del metro e settanta”.

Rick lo guardò. “ANTONIO VOGLIO SAPERE ANCHE LA PRESUNTA ALTEZZA DELL' ASSASSINO!”.

 

 

* * *

 

L'appuntamento era ormai giunto e i due ragazzi se ne stavano in macchina-perché sì, Shirogane con grande sorpresa della rossa aveva anche la macchina-da almeno mezz'oretta ormai.

“Dove mi porti?” chiese lei, nervosa.

“Rilassati, non ti porto a far nulla di illegale questa volta, promesso” le poggiò una mano sul ginocchio lasciato scoperto dalla gonna che aveva indossato per la serata.

Un outfit per niente malaccio che comprendeva una gonna morbida con sopra un maglioncino color lampone, i tronchetti neri che portava ai piedi, poi, erano caldi e comodi. La giacca pesante perché, a detta del padre, non si sa mai faccia troppo freddo.

Ryan stava bene anche, con la sua camicia bianco candido coperta dalla giacca di pelle nera.

Teneva gli occhi puntati sulla strada e qualche minuto dopo parcheggiò.

“Ti avevo detto nulla di troppo sofisticato!” esclamò, guardando la grande ed elegante struttura davanti a sé.

“Ti giuro che è solo una bella pizzeria, niente di sofisticato” alzò le mani.

Lei annuì sospirando allo stesso momento, “sarà” disse poi, incamminandosi insieme a lui.

Il tavolo che aveva prenotato la sera prima era perfetto proprio come lo desiderava lui, vicino alla grande vetrata che dava sul mare.

“Ci venivo coi miei genitori”.

Strawberry alzò gli occhi dal menù e lo vide guardare fuori dalla finistra.

“Ricordo che ero sempre felice di venire qui con loro, papà poi mi portava sempre in spiaggia dopo aver cenato”.

La rossa sorrise malinconica a quel racconto tanto triste del ragazzo.

“Ma non parliamo di cose tristi! Allora, hai deciso?”

Lei gli prese la mano accarezzandone il dorso e annuì senza aggiungere altro.

 

 

“La pizza era buonissima, ma dovevi prendere la mia parte di denaro”, andavano avanti così da almeno dieci minuti buoni.

“Dai la pianti? Non voglio i tuoi soldi e poi ti ho invitata io, quindi pago io”sbuffò.

“Sì ma...”

“Se non la smetti ti lascio qui”

Lei incrociò le braccia al petto, offesa. “E io ti uccido”.

Lui ridacchiò prendendola per mano. “Vieni, ti faccio vedere una cosa”.

Senza capire bene dove la stesse trascinando si ritrovò seduta su una struttura in ferro abbastanza arrugginita, dondolando i piedi si rese conto che erano davvero in alto, ancora.

Sotto di loro il mare un po' agitato si infrangeva tra gli scogli e l'odore della salsedine riempiva loro le narici.

“Ah, ho dimenticato di ridarti questo” dopo minuti di silenzio assordante Ryan parlò. “Credo che tu lo abbia perso ieri mattina, quando ci hanno beccato” tirò fuori un braccialetto con una piccola targhetta incisa, “me lo sono ritrovato in tasca”.

Strawberry lo prese, era il suo braccialetto. Non si era nemmeno accorta di averlo perso.

“Grazie” mormorò.

“Allora!” esclamò Ryan incrociando le braccia dietro la testa. “Tyler. E' il tuo ragazzo”. Nonostante cercasse di camuffarlo, dal suo tono di voce sembrava quasi geloso. Cosa che non sfuggì a Strawberry che scoppiò a ridere.

“Ehi, perché ridi adesso?” sbuffò, smascherato alla grande!

“Perché sei buffo” continuava a ridere e l'espressione corrugata del ragazzo non l'aiutava affatto.

“Non è divertente” borbottò lui.

“Fratello, comunque” rivelò lei, dopo averlo preso in giro.

“Oh!” esclamò quasi sollevato. “hai un fratello?”.

“Avevo” adesso erano gli occhi di lei ad essere tristi.

“Mi...mi dispiace. Non devi per forza parlarne”

“No va bene, non ti preoccupare” si rigirò il braccialetto in mano leggendo quel nome. “Sono stata adottata” aveva iniziato ma non diede tempo al biondo di fare altre domande. “I miei genitori non mi hanno voluta così, eccomi qui. Rick, mio padre, si prese cura di me fin da bambina”. Ryan l'ascoltava con attenzione, desideroso di sapere qualcosa in più di quella misteriosa ragazza. Quindi continuò: “Tyler era il mio fratellone. Adottato anche lui, mio padre e sua moglie non potevano avere figli, quindi siamo arrivati noi due”.

“E tua...madre?”.

“Lei non è mai stata mia madre, si tirò fuori da tutte le sue responsabilità quando capì che due figli erano troppo impegnativi. Io avevo solo quattro anni quando se ne andò. Mai più vista” adesso guardava il mare “Tyler era più grande di me di cinque anni. Un giorno di due anni fa, per fare sempre di testa mia, rischiai di far saltare un'operazione che prevedeva l'arresto di qualche rapinatore di banca.

“Mi sono ritrovata in mezzo, completamente disarmata e Tyler, all'epoca un agente ancora in prova, si mise tra me e il mio aguzzino. Due colpi di pistola...” sospirò, cercando di ricacciare indietro le lacrime. “Quel giorno si concluse con cinque arresti e mio fratello in obitorio. Morì praticamente subito, il coroner disse che non aveva sofferto più di tanto”.

Ryan la fece voltare verso di sé. “Non è colpa tua” aveva detto semplicemente.

Lei sorrise, se l'era sentito dire così tante volte che quasi quasi iniziava a crederci.

“Ma magari se non fossi stata lì...”

“Tuo fratello ha dato la sua vita per te, quindi dimostragli ogni giorno quanto tu ne vada fiera” le alzò il viso “io non lo conoscevo, non so nemmeno che faccia aveva ma sono grato”

Lei lo fissò confusa “per cosa?”.

“Per averti salvato la vita. Sono grato a lui se io e te adesso siamo qui insieme” la fissò negli occhi.

Sembrava quasi che il mondo si fosse fermato, non sentivano nemmeno più il rumore delle onde. La rossa alzò la testa quel che bastava per unire le loro labbra.

Si stavano finalmente baciando, il biondo lo aveva desiderato dal primo giorno in cui l'aveva vista in centrale.

Però la gioia di lei durò poco, colta in flagrante da una delle sue visioni.

Ancora la figura nera incappucciata, anche le suppliche delle vittime di non ucciderle. Ancora il colpo netto al cuore che...

Si staccò di colpo, prendendo fiato e portandosi una mano al petto. Stavolta l'aveva sentito, aveva sentito il dolore straziante di quelle povere donne. Un dolore che partiva dall'anima e non dal corpo.

“Va tutto bene?” lui la fissò.

Lei annuì rimettendosi in piedi “mi porti a casa? Sono stanca” disse solamente.

Lo sguardo del ragazzo era indecifrabile, un po' confuso, un po' deluso.

“Certo” disse infine, alzandosi ancora lui. “Ti accompagno a casa”.

 

 

 

BUON SALVE A TUTTI!!

okay allora, io questa FF non la aggiorno da secoli! Ma poi oggi BOOM! Ispirazione improvvisa, capitolo scritto di getto e tutto d'un colpo!

Spero vi possa piacere, a me sì tanto!!!

va bene la smetto di fare la pazza.

In questo capitolo abbiamo un po' scoperto il passato di Strawberry, burrascoso quanto quello del ragazzo direi.

Voi che ne dite??

spero davvero che vi piaccia e ringrazio infinitamente Ryanfover per esserci ad ogni mio capitolo folle! Grazie ancora anche a tutti coloro che la seguono.

Un bacio grande a presto!!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

 

 

Uno squillo. Due squilli. Tre squilli...

Silenzio...

Uno squillo. Due squilli. Tre squilli...

Silenzio...

Uno squillo. Due squilli. Tre squilli...

“Strawberry giuro che se non rispondi o silenzi quell'aggeggio lo pesto sotto i piedi”.

Lo sbuffo sonoro e poco paziente di Rick le fece alzare lo sguardo dal suo cellulare.

Mise la modalità silenziosa.

“Scusa papà”, disse infine.

“Io proprio non ti capisco” iniziò il padre “prima fai di tutto per uscire con quel ragazzo e poi lo ignori”.

“Non lo...ignoro. Semplicemente al momento non mi va di parlargli”.

“Come vuoi tu” fece l'uomo, esasperato. “Hai avuto più nessuna visione?”.

La rossa ci pensò un attimo. Una c'era stata, in effetti, la sera dell'uscita con Ryan.

Ma se lei avesse detto qualcosa al padre sicuramente lui avrebbe dato di matto. Le visioni della rossa erano sempre correlate tra di loro, e se lei le aveva avute con Ryan probabilmente significava che...

“No” rispose infine, interrompendo i suoi pensieri.

Giocherellava con una penna trovata sulla scrivania del padre. Quel sabato pomeriggio era particolarmente noioso. Niente sospettati, niente arma del delitto, niente testimoni. Niente!

“Che ne dici se vai un po' a casa? Non dovresti stare qui tutto il giorno, tesoro”.

Strawberry annuì, forse aveva ragione. Più si scervellava e più non concludeva nulla.

 

 

Il ritrovarsi da sola a casa in pieno pomeriggio era una novità per lei. Passava la maggior parte delle sue ore libere in centrale con suo padre.

Quasi le andò di traverso la merendina che stava mangiando quando il campanello di casa sua suonò, insistentemente.

“Strawberry so che ci sei, aprimi”. Quella voce... l'avrebbe riconosciuta tra mille.

Si avvicinò alla porta, senza aprirla.

“Dai micia lo so che sei dentro, ti ho vista rientrare”.

Silenzio.

Poté sentire distintamente il ragazzo sospirare.

“Non so cosa io ti abbia fatto, però per favore, parlami”. La sua voce era così...affranta.

Si poggiò con le spalle alla porta, indecisa su cosa fare.

Ryan se ne stava lì fuori come un emerito idiota ad aspettare una qualsiasi risposta, anche un urlo sarebbe andato bene; purché lei gli parlasse.

Passarono minuti interminabili, non ricevette risposta e, deluso come non mai, decise di allontanarsi.

Solo allora sentì la porta aprirsi.

“Ti ho detto di non chiamarmi micia”.

Il biondo si voltò e il sorriso che aveva deciso di rivolgerle gli morì immediatamente. Lei sembrava così arrabbiata...

“Non so a che gioco tu stia giocando ma adesso voglio la verità, Shirogane!”, lo tirò dentro e chiuse la porta.

“Di cosa parli?” la sua faccia passò rapidamente dal ''ma sei scema'' al ''ma che diavolo sei scema?''. Che poi, si ritrovò a riflettere, non erano tanto diverse.

“Lo sai di cosa sto parlando. Perché ti sei avvicinato a me? Perché sapevi tutte quelle cose sull'assassino? Sei suo complice?”.

A quel punto il biondo sgranò gli occhi: “è questo che pensi?”, non riusciva a chiedere la bocca per lo stupore. “Pensi realmente che io possa c'entrare qualcosa con questa follia?”

“Quando ho contatti con te, le mie visioni vanno sempre e solo in un unica direzione: l'assassino!” gli urlò. “A che gioco stai giocando? Perchè?!”, ripetè.

Ryan ispirò profondamente “ascoltami Strawberry, non ho la più pallida idea del perché ma io non c'entro nulla” cercò di mantenere la calma. “Sono tante cose ma non un assassino. Per cosa poi? Cristo!” si passò le mani tra i capelli.

La rossa lo fissò. “Giurami, giurami che tu non c'entri niente”.

“Sei impazzita? Quando è stata ammazzata quella ragazzina io ero con te, Strawberry. Siamo stati insieme tutta la notte”.

Ed era vero, lei era il suo alibi. Erano insieme.

“E quando una delle vittime -Joyce, se non erro- è morta io ero anche fuori città. Controlla se non mi credi”.

Lo scrutò ancora, di sottecchi.

Il ragazzo si avvicinò e le poggiò le mani sulle spalle. “Non potrei mai fare del male a nessuno. Tanto meno a te”. Salì con la mani ad accarezzarle il viso.

Chiuse gli occhi, desiderosa di credergli e annuì. Forse aveva solo esagerato e le sue supposizioni erano del tutto sbagliate.

“Per questo ignoravi le mie chiamate? Pensavi fossi il killer?”

“Sì” ammise senza esitare “e fortuna che non ho detto delle visioni a mio padre, altrimenti avrebbe sicuramente trovato qualcosa per tenerti dentro”.

“FIU!” fece finta di asciugarsi il sudore dalla fronte “quindi ti piaccio” sorrise infine.

Lei alzò gli occhi al cielo, “quanto sei cretino, Ryan Shirogane” fece per allontanarsi per finire la sua merenda ma lui le afferrò delicatamente un polso per portarla più vicino a sé.

“Che fai?” mormorò lei, trovandosi il viso del ragazzo a pochi centimetri da suo.

“Mi hai baciato tu, l'altra sera. Adesso ricambio, no?”. Si avvicinò con una lentezza quasi innaturale, pauroso in un rifiuto da parte della ragazza. Ma questo non arrivò, poggiò le labbra sulle sue e quasi subito si sentì ricambiato.

Il loro contatto durò poco però, perché lo squillare del cellulare di lei li interruppe.

Il biondo sospirò e si staccò poggiando la fronte su quella della ragazza.

“Papà, sono a casa non preoccuparti!” rispose al cellulare con l'unica intenzione di riattaccare il prima possibile. “Ah... sì va bene” guardò il biondo che nel frattempo si era allontanato quel poco che bastava per non starle troppo attaccato. “Sì papà, tranquillo. Arrivo. No, ho il passaggio, ciao” riattaccò. “Dobbiamo andare in centrale. Hanno nuovi indizi” sbuffò lei.

“Maledetto assassino” borbottò Ryan prima di uscire di casa. Per quanto ancora li avrebbe, inconsciamente, interrotti?

 

 

 

 

“Illuminami, perché Shirogane sta nel mio ufficio a guardare le foto del MIO caso?” Rick occhieggiò la figlia che in risposta sospirò.

“E' intuitivo e può esserci utile, poi non sta facendo niente di male”. In quel esatto momento il biondo fece cadere il porta penne che Rick teneva sulla scrivania e ne rovesciò il contenuto.

“Scusi!” esclamò rimettendo tutto apposto.

Strawberry si battè una mano sulla fronte scuotendo la testa.

“Allora” Antonio entrò con in mano dei fogli “abbiamo scoperto che le vittime...perché Shirogane è qui?”.

“Ti prego, non fare domande” lo supplicò Rick.

“Okay...” aggrottò le sopracciglia e poi continuò: “le vittime erano state tutte confessate da una chiesetta poco fuori città, tutte quante a poche ore dalla morte”, Antonio passò il rapporto al capo. “Forse per questo tra le mani avevano un rosario?” domandò, infine.

“E perché delle prostitute si dovrebbero confessare? Cioè, che senso ha se poi vanno a rifare le stesse cose?” Ryan aveva un enorme punto interrogativo che gli si leggeva chiaramente in faccia.

“Beh forse per...sentirsi meglio con loro stesse?” azzardò la rossa, confusa anche lei.

“Beh ragazzi, il punto non è questo. Abbiamo capito cosa hanno in comune le vittime, adesso cerchiamo di capire il perchè”. Disse Rick. “E' assurdo” sbuffò.

“Posso azzardare un ipotesi?” Shirogane attirò l'attenzione di tutti loro.

“No” fu la risposta di Antonio, infastidito dalla presenza del ragazzo.

“Sì, parla” acconsentì Strawberry, sedendosi sulla scrivania.

“Allora! Sono sempre stato un bambino curioso e mio padre aveva un'intera libreria con dentro qualsiasi libro esistente al mondo-”

“E cosa c'entra con il caso?” chiese Antonio, incrociando le braccia.

Ryan lo fulminò con lo sguardo “-un giorno cercavo una lettura leggera, presi un volume da...mille pagine, forse mille e cinquecento-”

“Alla faccia della lettura leggera” esclamò la ragazza.

“-e lessi da una qualche parte di un rituale effettuato nel diciannovesimo secolo, non ricordo il nome del prete ma ricordo che offriva delle anime a Dio in cambio di un anima ''dannata''...”

“Delle offerte votive?”

Ryan annuì “delle offerte votive. E lasciava loro dei rosari tra le mani, per condurli nel regno dei cieli. Le anime dovevano essere pure e prive di peccato, ecco perché prima le confessava”

“Mi sono venuti i brividi” Strawberry si sfregò le mani sulla braccia, colta da un improvviso freddo.

“Ma solitamente non si lasciano statuette o roba simile come offerte votive?” Antonio odiava ammetterlo ma erano venuti i brividi anche a lui.

“Evidentemente è più pazzo di quanto credessimo” Rick sospirò. La teoria del ragazzo pareva valida. Tutto sembrava combaciare alla perfezione.

“Che ne dite se andassimo a parlare con quel prete? Magari ci sa dire qualcosa di più di tutta questa follia” propose Strawberry saltando giù dalla scrivania.

“Bell'idea, collega” Antonio le fece l'occhiolino.

“Grazie collega” gli diede il cinque. Uscì dalla porta seguita da Ryan che non si risparmiò di lanciare un'occhiataccia all'uomo.

 

 

Non ci misero molto ad arrivare in quella piccola chiesetta, era una zona abbastanza desolata e l'unica fonte sonora erano le poche macchine che sfrecciavano a velocità per raggiungere il centro abitato.

“Anche questa mette i brividi” fu il commento della rossa osservando l'edificio davanti a sé.

“Dai, sei diventata una fifona? Non credevo fossi così” la prese in giro Antonio, accostandosi a lei.

“Non essere ridicolo” lo spintonò scherzosamente “sai che non ho paura di nulla, io”.

“Se se” ridacchiò l'uomo.

“Appena avete finito di flirtare, entriamo” li interruppe Rick bruscamente, infastidito da quello scherzo.

Strawberry alzò gli occhi al cielo, avviandosi verso l'ingresso.

“Sei vecchio per lei” lo punzecchiò Ryan, che fino a quel momento era rimasto in disparte ad osservare la scena.

“Eh?” fu il verso confuso di Antonio.

“Per Strawberry, sei vecchio. E poi lei è impegnata” lo fissò lui, quasi a volerlo sfidare.

“Mi suona come una minaccia?”

“Oh, la piantate? Togliendo il fatto che state parlando di MIA figlia, siamo in servizio” Rick tirò via Shirogane per un braccio, invitandolo a seguire la ragazza.

“Entriamo, muoviti” lanciò un'occhiataccia al suo braccio destro, prima di avviarsi.

La chiesetta era pittoresca, con qualche parete dove ormai mancava la pittura. Gli affreschi sul tetto un po' sbiaditi a causa del tempo e dell'umido che si infiltrava dall'alto. Le panche erano di un marrone ormai vecchio, scolorito. Ma nonostante ciò profumava di pulito.

“Buona sera, benvenuti nella casa del signore”. Una suora li salutò cordialmente.

“Buona sera sorella, vorrei fare qualche domanda” Rick mostrò il distintivo.

“Oh” la donna parve spaventata. “Di cosa si tratta?”

“Vede, lavoriamo ad un caso di omicidi-”

“Oh Madonna santa” si fece il segno della croce.

“-e abbiamo motivo di pensare che gli omicidi siano di natura...religiosa” Rick mostrò lei le foto delle vittime. “Le riconosce?”.

La suora guardò le ragazze “mi sembra di averle viste...ma sono vecchia, e vengono tante ragazze qui a confessare i loro peccati”.

“Mi ricordo di loro quattro” una voce alle spalle della donna attirò la loro attenzione. “Sono venute qui qualche settimana fa, forse è già passato di più. Non ricordo con esattezza”. Un prete con tanto di tunica si fermò davanti a loro. “Buona sera signori, sono padre John” li salutò. “Erano venute qui a confessare i loro peccati. Sono stato io in persona a farlo”.

“Non vorrei sembrarle sgarbata ma...può dirci qualcosa che non sappiamo? Cosa volevano confessare?”.

Il prete scosse la testa: “mi spiace signorina ma non posso dirlo”.

Strawberry sospirò. “Riconosce questo rosario?” a quel punto gli mostrò la foto del rosario rosso.

“Oh sì, questo rosario è la copia esatta di quello usato da Josè Jimenéz, nel diciannovesimo secolo”

“Ecco come si chiamava” mormorò Ryan all'orecchio di Strawberry.

“Lui offriva anime umane in cambio del perdono di un'altra” il prete continuò. Rick nel frattempo si era allontanato per rispondere al cellulare che non voleva smetterla di vibrare.

“Scusi la domanda ma se l'anima è già ''morta'' cosa doveva farsi perdonare?”. La domanda di Antonio fece abbozzare un sorriso a padre John.

“Mio caro figliolo, non le viene proprio in mente nessun peccato che il nostro Dio non può perdonare?”.

Antonio scosse la testa.

“Il suicidio” mormorò la rossa. Il prete in risposta annuì.

“Scusate l'interruzione” intervenne il capo “Antonio, dobbiamo andare. Il procuratore ci vuole nel suo ufficio adesso”.

“Di sabato pomeriggio?” sgranò gli occhi.

“Meglio andare, perché altrimenti ci scortica vivi” sospirò l'uomo scusandosi con i presenti.

“Papà vai, io e Ryan torniamo dopo. Voglio approfondire”.

Rick sapeva che sarebbe stato inutile cercare di farle cambiare idea quindi le diede un bacio raccomandandosi con il ragazzo di non correre con quell'aggeggio infernale che chiamava moto.

“Scusi padre, può continuare?”.

L'uomo annuì “venite con te”. Si fece seguire in un altra stanza prendendo un enorme libro. “Qui è descritta tutta la pratica” lo aprì e Strawberry ne lesse il contenuto.

Tutta la pratica descritta in quel libro sembra esattamente identica a tutti i loro omicidi.

“E' follia” mormorò Ryan, leggendo.

“Possiamo tenerlo?” chiese Strawberry improvvisamente “lo restituiamo appena possiamo, promesso”.

Il padre ridacchiò “puoi tenerlo, non ti preoccupare”

“Grazie mille!” esclamò chiudendolo.

Ryan lo prese mettendoselo sotto braccio.

“Come possiamo sdebitarci?” chiese infine la rossa, rivolta al prete. “Per il libro, intendo”.

Lui scosse la testa “non mi dovete niente, figlioli”

“Niente niente? Sicuro?” insistette la ragazza.

“Beh, una cosa ci sarebbe...” la sua voce si fece un sussurro. I ragazzi si avvicinarono per sentirlo. “Cioccolato” mormorò pianissimo.

I due giovani si scambiarono uno sguardo timorosi di non aver capito.

“Cioccolato?” chiese il biondo.

“Cioccolato fondente. Non me lo lascia mangiare” sbuffò.

“Chi non glielo lascia mangiare?”.

“Quella suora antipatica”

La rossa per poco non scoppio a ridere “sarà fatto, le faremo recapitare del cioccolato fondente”.

Lo salutarono uscendo da quella stramba chiesa.

Si guardarono ancora scoppiando in una sonora risata.

“Che personaggio” commentò Ryan, sistemando il libro e mettendosi il casco.

“Già, assurdo” ridacchiò lei imitandolo. Salirono in sella e partirono.

Il cielo si stava facendo più scuro e su quella moto la temperatura risultata più bassa di quello che in realtà era. La rossa si strinse ancora più al ragazzo ma improvvisamente alzò lo sguardo, quando Ryan fu costretto a rallentare quasi bruscamente.

“Che succede?” chiese lei

“Un gatto mi ha letteralmente tagliato la strada, per poco non lo beccavo in pieno”. Poggiò i piedi a terra per non perdere l'equilibrio e fece per ripartire.

“Queste stradine sono piene di gatti randagi, meglio andare piano” disse lei.

Lo video annuire e riprendere la marcia, più lentamente.

“Ryan” lo chiamò lei, dopo aver percorso qualche metro. “Cos'è quella struttura?” indicò un vecchio casolare abbandonato, con le sbarre alle finestre.

“Non lo so, penso un vecchio convento”. Rispose lui riportando l'attenzione alla strada.

“Fermati, voglio avvicinarmi” disse lui.

“Ma...”

“Per favore, fermati!” quasi lo urlò.

Senti solo lo sbuffo del ragazzo prima che girasse per accostare poi nel grande spiazzale pieno di erbacce.

La rossa si tolse il casco, avvicinandosi un pochino ad osservare quel casolare dal colore nero.

“Strawberry che fai?” Ryan si avvicinò a lei, che in pochi secondi stava cercando di aprire la porta d'ingresso. “Non vedi che ha una catena? Lascia stare dai, andiamo via”

“Mi incuriosisce” mormorò lei, quasi attratta da quello strano edificio.

“Si muore di freddo, prenderemo la polmonite” il biondo strofinò le mani tra di loro.

Non riusciva a capirla e forse, non l'avrebbe mai fatto fino in fondo. La ragazza provò altre volte ad aprire la porta ma poi si arrese.

“Ora possiamo andare via?” la supplicò Ryan.

Lei annuì “andiamo via”

“Grazie al cielo!” sbuffò avviandosi alla moto.

In pochi secondi furono in sella alla moto e si stavano avviando verso il centro abitato. Quello che però non videro è che all'interno di quella stramba abitazione qualcuno li osservava dalla finestra.

Una figura misteriosa e vestita di nero con un cappuccio aveva osservato ogni loro movimento, li aveva seguiti con gli occhi fino a perderli di vista definitivamente...

 

 

 

“Etchiè!”

Strawberry starnutì per l'ennesima volta da quando era tornata a casa.

“Se non avessi fatto la pazza, non ti saresti raffreddata” la rimproverò Ryan seduto sul letto della ragazza con l'enorme libro tra le gambe.

“Non ho fatto la pazza” sbuffò lei, raggiungendolo. “Ero...attratta, tutto qui”.

Lui scosse la testa. “Comunque il campo si restringe ad...un milione di persone che hanno avuto almeno un parente suicida? E' un ago in un pagliaio” sospirò lui.

Lei annuì, si trovavano d'accordo almeno su una cosa: come avrebbero trovato chi aveva dato inizio a quella follia? Era praticamente impossibile.

“Speriamo in qualche mia visione” disse lei “adesso ho abbastanza informazioni per averne qualcuna che mi possa essere utile”.

Shirogane scalciò via il libro, facendolo cadere a terra.

“Fa piano!” esclamò la rossa, urlando sotto voce “se mio padre scopre che sei qui ti butta fuori a calci”

“Non l'avevamo superata questa fase?” sorrise beffardo lui.

“No, se alle 23.30 sei in camera mia, buttato sul mio letto con me vestita così” si indicò, portava una canottiera e un pantaloncino abbastanza corto.

“Non ti ho costretta io a vestirti così” sorrise malizioso.

“Non ti aspettavo, cretino. Sei entrato dalla finestra, ancora” sbuffò lei, ma divertita.

Ryan la afferrò per i fianchi portandola su di lui, la frangetta della ragazza gli solleticava il naso.

“Non mi piace l'atteggiamento che ha quell'Antonio nei tuoi confronti” disse lui, all'improvviso.

“Che sei geloso?” lei ridacchiò, senza mai staccare gli occhi dai suoi.

“Sì” mormorò senza esitare.

“Non devi, scemo...” sussurrò lei, il cuore che le andava a mille.

Le accarezzò piano la schiena, continuavano a fissarsi.

“Sei bellissima, anche se mi insulti” disse piano e prima di baciarla poté quasi giurare di averla vista arrossire, per la prima volta da quando la conosceva.

Stavolta si stavano baciando sul serio, senza visioni o squilli di cellulare ad interromperli. Si sistemò meglio a cavalcioni su di lui, senza interrompere quel bacio diventato ormai più passionale di quanto entrambi si aspettassero.

La luce della lampada che illuminava la stanza si fece più soffusa, un indumento appartenente ad uno dei due copriva la bajour.

Ma loro erano troppo impegnati per rendersene conto...

 

 

 

BUON SALVE A TUTTI! Come state?! Io sono tornata a rompervi nuovamente, povere voi!

Vi dico solo che per scrivere questo capitolo ho fatto una fatica immensa! Giuro che, senza esagerare e aggiungere nulla, l'ho cancellato e scritto TRE VOLTE! Roba da pazzi, veramente. Qualsiasi versione non mi convinceva e alla fine ho trovato quella più adatta!

Io non so se qualcuno di voi che la seguiva anche anni prima si ricorda che la ''spiegazione'' del rituale era stato compito di un monaco in un monastero. Loro erano partiti per fare domande ecc ecc... ho voluto evitare questa cosa per non prolungarlo ulteriormente. In ogni caso, la spiegazione è uguale (diciamo simile dai) a quella precedente.

Ora direte ''ma questa ste idee così inquietanti da dove le prende?'' e bene ve lo dico!

Anni fa ho visto una serie che parlava di questi rituali e di un assassino che uccideva per ''salvare'' l'anima ad una persona a lui cara. Mi è rimasta così impressa che ho voluto crearne un FF!

Io, amantissima del genere thriller\horror, mi sono inquietata e non poco a questa follia!

Detto ciò, vi lascio con una domanda: chi è l'assassino della mia FF? Secondo voi si è già visto oppure non è nemmeno entrato in scena?

Fatemi sentire le vostre opinioni, mi piacciono tanto!

Adesso però scappo che tra lavoro, casa, fidanzato ecc...sto sveglia da più di 12 ore e sto morendo di sonno (sono le 00.08 adesso)!

Vi mando un enorme bacione e ringrazio sempre tutti coloro che la seguono!

P.S. Non sono un amore Straw e Ryan?

No? okay scusate... si ritira in un angolino a piangere*

P.S.S. Il nome del prete che praticava questo rituale che ho descritto e l'anno, sono stati totalmente partoriti dalla mia mente malaticcia!

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9

 

 

Non riusciva a ricordare come mai si trovasse fuori in piena notte, a camminare in mezzo al nulla. Da sola.

Il freddo di quella notte le penetrava le ossa, insistente. Riusciva perfino ad entrare da sotto il giaccone pesante, che si era stretta addosso per combattere il gelo.

Potè quasi giurare che avesse iniziato anche a fioccare. La neve bianca e candida si depositava sui suoi capelli rossi fragola, bagnandoli un po'.

Si guardò ancora intorno e riconobbe la stramba struttura: il monastero abbandonato.

Si avvicinò ancora, non sapeva come fosse finita lì, ma si guardava indietro insistentemente come se qualcuno o qualcosa la stesse seguendo.

La porta stavolta non era più sbarrata dalla grossa catena e il lucchetto, bensì spalancata.

''non entrare, Strawberry'' la voce dentro di sé quasi urlava quella frase con insistenza. ''Non entrare Strawberry!'' e si fece sempre più forte, quando lei varcò l'entrata.

Era buio, un corridoio lungo, raccapricciante. Lei rabbrividì ancora, ma stavolta non per il freddo.

Sbirciò un po' attorno ignara -o forse no- di non essere la sola là dentro.

Strawberry...” una voce mascherata le arrivò alle orecchie come un sussurrò, sembrava quasi innaturale.

Si voltò si scattò “Dove sei?” non riusciva a vedere nessuno. Si incamminò verso una flebile luce... candele. Quella luce suffusa, giallastra, proveniva da delle candele.

Riconobbe i volti delle ragazze uccise, in tante fotografie ritagliate e appiccicate a delle cornici. Solo una era ancora vuota. In quel momento capì, mancava l'ultima offerta votiva.

Strawberry...” la voce si fece più vicina, il respiro sul collo le fece gelare il sangue e si voltò lentamente. Spalancò gli occhi...

Non aveva il viso!

 

Scattò a sedere sul letto, con la fronte imperlata di sudore. Il respiro ansimante, i battiti del cuore accelerati. Si porto una mano al petto, quasi a costringersi di calmarsi.

Era stato un sogno, uno stupidissimo sogno.

Si voltò verso la sveglia, segnava le 06.45 del mattino, i flebili raggi solari iniziavano ad illuminare la stanza.

Un indumento attirò la sua attenzione: un maglioncino blu elettrico che era chiaramente maschile giaceva a terra, poco lontano da suoi vestiti.

Sgranò gli occhi voltandosi a guardare l'altra parte del suo letto a due piazze, dove il ragazzo dormiva beatamente a pancia in giù con le braccia sotto al cuscino.

In un lampo le tornò in mente la sera prima. I loro baci, le loro carezze, i sospiri, i gemiti...

Si sistemò meglio il piumone addosso, vergognandosi del fatto che sotto avesse solo l'intimo (infilato poco prima di addormentarsi).

Ryan emanava calore e il suo respiro era calmo e rilassato. Dormiva profondamente.

Sorrise, giocherellando con i suoi capelli biondi, lisci e profumati.

Quel ragazzo si era così tanto insinuato nella sua vita che ormai pensare di stargli lontana le sembrava quasi una cosa irreale.

Lo sentì mugugnare qualcosa, schiudendo le labbra.

Il suono della sveglia la fece sobbalzare e prontamente lo interruppe.

“Ryan” lo scosse leggermente. “Ti prego svegliati o siamo nei guai”.

Gli occhi azzurri del ragazzo si aprirono con una lentezza innaturale.

“Uhm?” biascicò girandosi. “Che succede?”

“Succede che mio padre sarà in camera mia tra meno di cinque minuti” si alzò iniziandosi a vestirsi rapidamente.

“Ma è domenica”, si tirò su coi gomiti senza nascondere il sorrisetto malizioso che ormai gli apparteneva.

“Ci svegliamo presto” gli lanciò il maglione “per favore!” lo supplicò.

“E va bene, micetta dispettosa” si stiracchiò e si mise a sedere sul letto dandole le spalle.

Divenne rossa quasi quanto i suoi capelli notando che la schiena del ragazzo era leggermente graffiata. E lei sapeva come si era procurato quelle ferite. Il fatto che avesse addosso solo l'intimo non aiutava.

“Sì, sei stata violenta” ammise lui, dando voce ai suoi pensieri. “Però non mi è dispiaciuto”. In un attimo fece il giro del letto, trascinandola a sedere sulle sue gambe nude. “Ti ho fatto male?” chiese infine, premuroso.

Lei scosse la testa, incapace di proferire qualsiasi parola.

“Come mai così zitta?” sussurrò allora lui, provocandola. Le lasciò un bacio sul lobo dell'orecchio, facendole chiudere gli occhi.

“Non...” mormorò qualcosa di incomprensibile, ma la verità era che per la prima volta da quando la conosceva, l'aveva davvero lasciata senza parole.

Il bussare alla porta la fece rinvenire dai suoi mille pensieri poco casti e sobbalzò, ancora.

“Tesoro sei sveglia? Posso entrare?”.

“Un attimo papà, non sono vestita!”, scattò in piedi lanciando i pantaloni a Ryan che in tutta fretta se li mise.

Ebbe appena il tempo di infilarsi la maglietta che suo padre spalancò la porta.

Il sorriso che aveva sul volto sparì nell'istante esatto in cui vide il ragazzo abbottonarsi i jeans.

Fissò la figlia che non era poi in condizioni migliori: la maglia, infilata di fretta, era alla rovescia.

Spalancò la bocca capendo in pochi secondi quello che era successo tra quei due.

Shirogane non disse nulla, grattandosi il capo imbarazzato. E Rick, dal canto suo, ad occhi sgranati lasciò la stanza.

Il biondo scoppiò a ridere all'espressione della ragazza, imbarazzata come non l'aveva mai vista.

“Io non ho parole, davvero” lo piantò lì, uscendo dalla stanza, mentre lui continuava a ridere.

 

 

 

 

“Perché ci segue?” chiese Rick alla figlia, parcheggiando l'auto vicino al suo distretto.

“Perché lui è Shirogane. Non lo manderesti via neanche a calci”, dallo specchietto retrovisore vide il ragazzo spegnere il motore della sua moto e togliersi il casco.

“Non mi piace” gli occhi scuri dell'uomo fissarono la rossa che in risposta roteò gli occhi.

“Lo avrai detto mille volte. Che deve fare per farsi accettare?”.

“Non infilarsi nel letto della mia bambina, per prima cosa”. Non avevano parlato di quello che era successo quella mattina fino a quel momento.

“Papà io...”

“No Strawberry, ascoltami. Ho avuto la vostra età e sono ben consapevole di cosa si prova. Ma insomma, Shirogane? Ha precedenti, è una testa calda. Ho paura che possa ferirti”.

La rossa lo guardò di sottecchi “quindi tu non sei arrabbiato per...quello?”.

“Certo che sono arrabbiato! Insomma avete...avete...” prese un bel respiro. “Ma non è questo il punto”.

“Hai paura che possa ferirmi, sì”. La ragazza ispirò a fondo. “Papà ascolta... sono consapevole che sei arrabbiato e preoccupato però... lascia che io cresca”.

“Sì tesoro ma...”. La ragazza gli prese la mano che aveva poggiata sul cambio.

“Ma niente papà. Lascia che io cresca, lascia che io soffra se è necessario. Ryan è un bravo ragazzo. In queste settimane ho avuto modo di conoscerlo meglio di quanto tu creda. Ha sofferto molto”.

“Per via dei genitori?”.

Lei annuì. “Lascia che io mi scotti, se succederà allora sarà un'altra esperienza nella mia vita”.

Rick sospirò e distinto l'abbracciò. In quella posizione poco comoda tra i due sedili, Strawberry ricambiò l'abbraccio.

Non lo abbracciava da anni ormai.

“Se ti fa soffrire, gli sparo”.

Lei ridacchiò annuendo.

Il bussare al finestrino li fece destare dal loro momento padre-figlia e sciolsero l'abbraccio.

Ryan se ne stava fuori ad aspettare che uscissero.

“Allora?”. Li spronò a scendere.

Strawberry fu la prima ad abbandonare l'abitacolo, seguita da Rick.

Sbattè la portiera e lei la fissò.

Quasi subito si imbambolò col vuoto negli occhi.

“Sssh!” Rick fermò immediatamente Ryan che stava andando da lei.

“Sta avendo...?”.

L'uomo annuì.

La figlia tornò tra di loro sbattendo la palpebre più volte.

“Hai un volto?” chiese Ryan.

Lei scosse la testa.

“Un nome?”.

Scosse ancora.

“Un qualcosa che può esserci utile?”.

La rossa guardò il padre. “Ho visto un incidente d'auto”.

 

 

 

Antonio digitava sulla tastiera. “Non è arrivata nessuna segnalazione di incidenti d'auto”.

“Sei riuscita a capire se è successo da poco?” chiese Rick.

“O se magari deve succedere?”. Azzardò il biondo.

Lei fece segno di no con la testa. “Un dettaglio sul cruscotto ha attirato la mia attenzione. Il termostato segnava trentaquattro gradi. Non è successo adesso”.

Antonio si avvicinò alla ragazza. “Quindi hai avuto la visione di un incidente successo mesi fa?”.

Lei annuì.

“Straw...” Ryan la chiamò. “Sicura che fosse un incidente? E se fosse la persona che si è suicidata?”.

La ragazza sospirò. “E' successo tutto così in fretta. Ricordo la targa parziale dell'auto”.

Rimasero in attesa.

“Se magari la dici, cerchiamo riscontri” la riprese il padre.

“Oh, sì. B47...6... o forse era un 9 non ho visto bene”.

“Okay, cercherò qualsiasi macchina targata così che abbia avuto incidenti negli mesi successivi” Antonio lasciò la stanza portandosi dietro il taccuino con l'appunto.

La rossa sospirò sedendosi sulla poltrona dell'ufficio del padre. Si massaggiò gli occhi, stanca.

“Tesoro tutto bene?” chiese l'uomo.

Lei annuì: “questa visione mi ha sfinita. Non era mai successo”.

“Magari devi riposare, che dici?” chiese il biondo.

“Non andrò da nessuna parte, che sia chiaro. Voglio solo risolvere questo caso. Sono a tanto così da capire chi c'è dietro a tutto questo”, si alzò guardando fuori la finestra, il traffico scorreva tranquillo.

“Come fai a dirlo? Secondo me siamo ad un punto morto” Rick la imitò.

“Non lo so, me lo sento” mormorò. “C'è qualcosa che mi sfugge” sbuffò. “Sono sicura che questo qualcosa è la chiave per risolvere tutto”.

Ryan si stiracchiò. “Che ne dici se io torno a casa nel frattempo? Mi faccio una doccia e poi magari torno ad aiutare”.

Strawberry lo guardò, annuendo. “Vai non preoccuparti”.

“Magari non torni? Non sarebbe meglio?” fece ironico il padre.

“Papà” lo riprese lei.

Lui alzò le mani al cielo in segno di resa.

“Allora a più tardi” fece l'occhiolino alla ragazza ed uscì. La rossa rimase imbambolata a fissare la porta ormai socchiusa, con un sorrisetto un po' rassegnato ad incurvarle le labbra.

“Oh” Rick schioccò le dita davanti al viso della figlia “sei proprio cotta” sospirò, ormai l'aveva persa.

“Ma non dire fesserie” lo spintonò. “Va a vedere se Antonio combina qualcosa invece, io rimango qui a leggere un altro po' il libro” si sedette sulla grande poltrona con il pesante libro sulle gambe, iniziò a sfogliare le pagine.

“Ma non lo hai già letto?”.

Ignorò il padre che in tutta risposta scosse la testa con fare rassegnato e lasciò sua figlia assorta nella lettura.

Gli occhi cioccolato di lei scorrevano veloci da una parola ad un'altra.

Sbadigliò un paio di volte prima di prendere una posizione più comoda. Lentamente scivolò in un sonno disturbato, mentre il libro si adagiava a terra ancora aperto.

 

 

Quando riaprì gli occhi quasi aveva dimenticato dove si trovasse. Il dolore alla schiena per la cattiva posizione in cui era rimasta, però, glielo ricordò senza farsi attendere troppo.

Si alzò, stiracchiandosi. L'orologio appeso alla parete segnava le 15.30, aveva saltato il pranzo e aveva dormito praticamente un'eternità.

La centrale era stranamente silenziosa, si affacciò dall'ufficio del padre in cerca di lui o del suo collega Antonio, ma non vi era traccia di nessuno dei due.

“Anna scusa, mio padre?”.

La ragazza dai capelli color rame alzò gli occhi dal computer.

“Tesoro tuo padre mi ha detto di dirti che è andato a racimolare prove, Antonio è con lui”.

“Ah” fece lei. Sbuffò infastidita del fatto che non l'avesse svegliata. Poteva essere utile. “Grazie” si allontanò dirigendosi alle macchinette, aveva fame e il sandwich già confezionato che acquistò, faceva a caso suo.

Entrò dentro l'ufficio di Antonio, dove prima avevano lavorato i due uomini. La sua scrivania era ricolma delle foto dei casi e due fascicoli che non aveva visto prima.

Per lo meno, uno no ma l'altro sì.

La sua attenzione fu catturata da quella cartellina di colore blu. La aprì, la foto dei genitori di Ryan era in primo piano. Il rapporto del caso diceva ''incidente stradale''. Avrebbero dovuto essere in tre ma i cadaveri ritrovati furono solo due.

''Ashley Shirogane non fu ritrovata'', continuava a leggere mentre addentava il suo panino.

Si grattò la tempia cercando di capire perché Antonio avesse tirato fuori quel fascicolo.

Poi lesse la data dell'incidente. 22 luglio.

Quasi si strozzò. Rilesse la piccola nota ''Ashley Shirogane non fu ritrovata''.

Sgranò gli occhi richiudendo quel fascicolo.

Lasciò l'ufficio di Antonio e rientrò in quello del padre cercando il suo cellulare.

Il libro giaceva ancora a terra ed all'improvviso lei ricordò lo strano sogno che aveva fatto la mattina. Gettò via il panino ed afferrò lo smartphone. Provò a chiamare suo padre, ma il cellulare era irraggiungibile. Antonio lo aveva dimenticato in centrale.

Scrisse un messaggio a Ryan in tutta fretta.

Sto andando al vecchio monastero, vieni con mio padre non appena leggi il messaggio. Forse ho capito”

Rovistò nei cassetti del padre e prese la pistola di scorta che teneva lì. La infilò dietro ai pantaloni e si infilò il giubbotto.

“Anna se arriva Shirogane sa dove condurvi” non disse altro, scappò via.

Prese il primo taxi che si fermò.

 

 

L'aria iniziava a farsi più fredda del solito e dopo aver pagato la corsa al taxista si diresse verso l'ingresso sbarrato del monastero.

Nel suo sogno era aperto, ma evidentemente nella realtà non fu così.

“Accidenti” borbottò, strattonando le catene che non volevano saperne di aprirsi.

Fece il giro della struttura nella speranza di trovare un ingresso alternativo. Ed effettivamente lo trovò. Si infilò dentro una finestra rotta, accendendo la torcia del suo cellulare. Quel posto metteva i brividi. Era buio nonostante dalle finestre filtrasse ancora la luce del sole.

I muri erano malandati ricoperti di muschio ed erbacce lasciate crescere.

Camminò piano, ma tutto sembrava tranquillo. Forse si era sbagliata, ancora.

Percorse lentamente un lungo corridoio dove attaccati al muro c'erano degli strumenti così strani che poteva giurare fossero per torturare la gente.

Una piccola luce soffusa attirò la sua attenzione e perse qualche battito ricordandosi che nel suo sogno l'aveva vista anche.

Si avvicinò lentamente e come previsto in precedenza delle cornici con le foto delle vittime vi erano poggiate su un altarino. Solo una di loro era ancora vuota.

Si voltò di scattò, spaventata e solo in quel momento si rese conto di quanto stupida fosse stata l'idea di non aspettare suo padre o qualsiasi altro agente.

Tirò fuori il cellulare ma non ebbe il tempo di comporre nessun numero che qualcuno alle sue spalle la tramortì, colpendola alla testa.

Cadde a terra e vide solo una figura asciutta e longilinea fissarla dall'alto.

Perse i sensi.

 

 

Quando riaprì gli occhi la prima cosa che notò fu che non si trovava più nella stanza dove aveva perso i sensi, adesso era in quello che sembrava un enorme e umido seminterrato.

Cercò di alzarsi ma solo in quel momento capì che era legata alla sedia dove era seduta. I polsi legati dietro la spalliera le facevano male per via delle corde troppo strette.

Era nella stessa posizione delle vittime.

Strattonò le braccia cercando di liberarsi.

“Strawberry” una voce la chiamò e lei alzò gli occhi, accorgendosi solo in quel momento delle scale. “Benvenuta piccola” la figura continuò a scendere lentamente.

“Speravo di conoscerti” la voce chiaramente da donna si fece più vicina e lei si agitò di più.

“Smettila o ti farai male” si abbassò il cappuccio nero come la pece e la rossa quasi si sentì male. Gli occhi azzurri, i capelli biondi. Si somigliavano un sacco.

“Ashley” mormorò. “Sei Ashley Shirogane, vero?”.

Lei annuì, scostandole i capelli dal viso. “Certo che sei bella” mormorò. “Per questo mio fratello ha un debole per te”.

Strawberry sbatté le palpebre.

La bionda intuendo i suoi pensieri sorrise, quasi gentile. “Io so tutto, tesoro. So che hai una relazione con lui e conoscendo mio fratello tu gli piaci molto”.

“Lui sa di tutto ciò?” fece quella domanda quasi timorosa della risposta. Se Ryan era a conoscenza di tutta quella storia, ciò significava che era suo complice.

“No” sorrise lei. “Lui non sa niente, probabilmente non sa nemmeno che io sia viva”.

Strawberry sospirò sollevata. “Lasciami andare” le ordinò, dura. “Lasciami andare e troviamo insieme una soluzione davanti al giudice”.

Ashley scosse la testa voltandosi a preparare qualcosa. La rossa non vedeva cosa stesse facendo ma udì distintamente il suono di una lama.

“Sei la mia ultima offerta, non posso lasciarti andare”.

 

 

Buon salve a tutti!!!! Non aggiorno da tipo novembre, me ne rendo conto.

Come state? Io tutto bene grazie! Siamo a febbraio e ormai l'inverno e agli sgoccioli!

Ma comunque! TAH DAH, mistero svelato e assassinA scoperta.

Nel prossimo (ed ultimo) capitolo spiegherò un paio di cose. Sarà probabilmente più corto ma ho voluto suddividerlo per non renderlo noioso.

In ogni caso, vi è piaciuto?? fatemi sapere!

P.S. Questo capitolo è cominciato con un momento ansia assoluto.

Ho scritto quel pezzetto (il sogno di Strawberry) in un momento in cui era prese di ansia per tutto. Non che ora non lo sia (purtroppo l'ansia è mia amica fidata da sempre), però sto meglio!

Vi mando un grosso bacio e a presto!

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10

 

 

L'acqua calda che gli scorreva addosso gli scioglieva i muscoli intorpiditi, quel giorno faceva abbastanza freddo, nonostante fosse già marzo l'inverno non voleva saperne di fare un passo indietro.

Uscito dalla doccia controllò le notifiche del suo cellulare, due messaggi da Strawberry:

''Sto andando al vecchio monastero, vieni con mio padre non appena leggi il messaggio. Forse ho capito''.

Ryan sbattè le palpebre un paio di volte per capire il senso di quel messaggio. Quale monastero?

Poi lì sgranò IL MONASTERO!

“Ma che razza di problemi ha questa ragazza??” imprecò tra sé uscendo dal suo bagno, con ancora solo l'accappatoio addosso si diresse verso il salone dove Albert stava spolverando un ripiano in marmo.

Stava scorrendo i messaggi, leggendone un altro proprio della ragazza stessa, inviato poco prima di mezz'ora dal primo.

Aggrottò le sopracciglia con fare pensieroso.

“Che succede Ryan?” chiese l'uomo.

Lui scosse la testa “è solo che Strawberry oggi mi pare un po' strana”.

“Cosa ha fatto di strano, signorino? Ho notato che ieri notte non è tornato” il sorrisetto malizioso che gli lanciò lo fece leggermente arrossire, non era da lui assolutamente.

“Non c'entra!” esclamò. “Dicevo per questo” li mostrò il cellulare facendogli leggere l'ultimo messaggio. “Non è da lei”. Mormorò infine.

 

 

 

 

“Ashley che cavolo fai?” la rossa si agitava sulla sedia cercando di liberare i polsi stretti dalle corde. Le facevano male ma in quel momento l'unico suo scopo era non farsi pugnalare a morte.

La bionda continuava ad ignorarla mentre lei armeggiava con qualcosa.

“Ho mandato un messaggio a tuo fratello prima di venire qui, arriverà con mio padre”. Le urlò contro.

La ragazza si voltò con una lentezza quasi inumana. “No, non lo farà” disse soltanto.

Si voltò nuovamente.

“Sì che lo farà, verranno a prendermi!”

“Non lo faranno” sbuffò la bionda. “Ho mandato un messaggio a Ryan prima che tu riprendessi i sensi. Non verrà a cercarti”.

La rossa spalancò la bocca. “Brutta psicopatica!” ricominciò a strofinare le corde sulla superficie del muro dietro di sé, nella speranza di poterle tagliare.

Ashley si voltò, indossava una stola di colore viola, come quella che usavano i sacerdoti.

Strawberry la fissò e si rese conto ancora di più quando folle fosse quella ragazza, e lo capiva anche dal suo sguardo.

“Sei disturbata” le disse “Ashley possiamo aiutarti, per favore” la supplicò ancora.

Lei scosse la testa “nessuno può, solo Dio”.

“Non mi sono confessata. La tua...offerta sarebbe vana”.

La bionda ridacchiò. “Lo so, sciocchina. E' per questo che indosso la stola. La religione cristiana dice che un credente può sostituirsi ad un prete per liberare una persona dai suoi peccati”.

“Te lo stai inventando”.

“No giuro. Ti chiederei di informarti ma so che sarebbe impossibile”. La bionda si avvicinò ancora più a lei. “Allora, Strawberry, cosa vuoi confessare?”.

La ragazza continuava a strofinare le corde per liberarsi e Ashley sembrava non essersene resa conto. La sua unica possibilità di salvezza era riuscire a prendere tempo e poi, in qualche modo, riuscire a fermarla e chiamare rinforzi.

“Aspetta io...” pensò a ciò da dire. “Vorrei sapere perché fai tutto questo”.

La bionda la osservò, ignara di ciò che stava realmente pensando la rossa.

“Va bene, vista la tua intimità con mio fratello mi sembra decoroso non farti morire nell'oscurità”. Poggiò il pugnale che teneva in mano e si appoggiò leggermente al tavolo.

“Avevo da poco compiuto quindici anni, i miei genitori litigavano di continuo. Le cose andavano male, il lavoro di mio padre-faceva lo scienziato non so se Ryan te l'ha detto- andava male”. Fece una pausa. “Avevamo solo spese sopra a spese e tutto ciò che riuscivano a mettere da parte se ne andava per i debiti che mio padre, a poco a poco, si era fatto-”

“Un prestito, il mutuo della casa, la macchina e roba così. Crescere due figli non era una passeggiata poi. Ryan stava sempre male e necessitava continuamente di cure mediche. Le assicurazioni ci chiusero le porte in faccia e i medici smisero di occuparsi di lui. Per fortuna nulla di grave, ma rimaneva pur sempre un bambino”. Si mise a giocare con una ciocca bionda.

“Avevamo un fondo accessibile solo in caso di morte di entrambi i miei genitori. Sembra folle ma l'unico modo per garantire una vita decorosa a me e Ryan era la morte”.

“Col passare del tempo mia madre cadde in depressione, mio padre non seppe più che fare e poi arrivò il fatidico giorno. Ryan corse da mio padre perché la mamma non si svegliava, probabilmente nemmeno lo ricorda tanto fu il trauma, e mio papà capì immediatamente della pazzia che aveva fatto. Aveva ingerito due pacchetti di pillole e morì quasi senza rendersene conto. Mio padre pensò al resto”.

“L'incidente d'auto?”.

Ashley annuì. “Ma non fu un incidente. Mio padre si buttò da quel burrone appositamente, con la macchina. Caricò mia madre dentro e poi lo avrebbe fatto sembrare un incidente. Non un suicidio. Così avrebbero lasciati a noi la vita decorosa, che secondo lui, ci meritavamo”.

“Non capisco una cosa, però” Strawberry si era quasi liberata “Perché non sei tornata da tuo fratello? Lo hai lasciato solo tutto questo tempo”.

Lei sorrise “perché io lo odiavo”.

La ragazza sgranò gli occhi.

“Lo odiavo perché lui stava sempre male, attribuivo la colpa per la morte di mia madre a lui”.

“Era un bambino, non puoi realmente pensare ciò”.

“Lo pensavo, fino a poco tempo fa. Poi ho capito che lui era una vittima tanto quanto me”. Sospirò. “Volevo avvicinarmi a lui, trovare il modo di spiegare tutto e magari farmi aiutare a far trovare pace ai nostri genitori”.

“E cosa te lo ha impedito?”.

“Tu, Strawberry. Sei arrivata tu nella vita di mio fratello e lui sembrava quasi aver dimenticato la tragedia che ci ha colpito”.

“Lui non ha idea che i tuoi si siano suicidati”.

“E come potrebbe? Solo io lo so, ho approfittato della situazione per andarmene via”.

“Hai comunque avuto quindici anni di tempo per poter tornare da lui, adesso è tardi”.

“Non lo è perché andrò da lui una volta uscita da qui e gli spiegherò tut-” alzò gli occhi verso le scale perché il rumore di una moto attirò la sua attenzione. Strawberry riconobbe immediatamente quel rombo di motore e sorrise.

Ashley la guardò, arrabbiata come non mai. “E' testardo mio fratello, eh?” poi si rese conto di un'altra cosa. Mentre lei parlava Strawberry aveva quasi segato le corde che la tenevano ancorata alla sedia.

“E' questo che stavi facendo? Mi volevi fregare?! Brutta stronza!” le tirò uno schiaffo così forte da rovesciarla a terra insieme alla sedia.

 

Ryan invece aveva raggirato il perimetro prima di trovare la stessa entrata che aveva usato Strawberry poco prima.

Si guardò attorno con una sgradevole sensazione addosso.

“Strawberry sei qui?!” la chiamò a gran voce. Seguiva il suo istinto ma non era nemmeno sicuro che fosse lì.

“Strawberry?!” ritentò proseguendo il suo piccolo e inquietante tour.

La sua attenzione più attirata da un oggetto a terra, che quasi si nascondeva sotto un mobile polveroso e vecchio. Si chinò a raccoglierlo.

Sgranò gli occhi appena si ritrovò in mano una pistola, ne controllò il caricatore. Pieno. Quella pistola non era lì per caso.

Vide le cornici con le foto, sopra la sua testa, poggiati a quel mobile.

“Strawberry?!” si alzò e corse percorrendo il lungo corridoio alle sue spalle.

Portava ad un piano inferiore, e che quello fosse il covo del killer non c'erano più dubbi.

Mise la pistola dentro la cintura dei suoi jeans nascondendola poi con la maglietta.

Arrivò all'inizio di una rampa di scale e notò immediatamente la ragazza riversa a terra.

“Strawberry!” quasi cadde per scendere di fretta le scale. Notò con sollievo che era viva, un po' livida sul viso ma viva. La liberò dalle corde.

La rossa aprì gli occhi e li sgranò senza aver il tempo di avvisarlo Ashley lo colpì alla testa.

“Scusami tesoro, ma per adesso la mia priorità non sei tu”.

Strawberry scattò in piedi sicura che l'avrebbe seguita per ucciderla e sfuggì alle sue manie omicide, almeno per quel momento.

“Tu sei completamente pazza!” le urlò contro, indietreggiando.

“Devo portare al termine le mie offerte o i miei non troveranno mai la pace!” adesso era davvero arrabbiata. “Tu non capisci!”.

“Capisco io però” Ryan si era ripreso, non lo aveva colpito così forte, forse per istinto o forse appositamente. “Sei davvero tu?” il biondo rimase a fissare la schiena della sorella.

Lei si voltò. “Ciao fratellino” sorrise, come se fosse l'incontro più naturale del mondo.

Il biondo rimase per un attimo a bocca aperta, la fissava.

“Non dici niente?” chiese la sorella.

“Io...” non riusciva a parlare. “Tu sei morta, non è possibile”.

Lei scosse la testa. “Non lo sono mai stata, Ryan”.

“E allora perché non sei tornata a casa!?” le urlò contro.

“Perché non volevo” disse semplicemente. “Non volevo tornare a casa da te”.

Il ragazzo incassò il colpo senza scomporsi. “Lascia andare Strawberry”.

Lei scosse la testa. “Mi dispiace dirlo ma sono costretta ad uccidervi entrambi, adesso. Vedi, tu non sei una delle mie offerte. Ma odio i ficcanaso” lo fulminò con lo sguardo. “Sarei tornata da te dopo tutta questa storia”.

“Dopo quindici anni, Ashley! Dove diavolo sei stata?!”

La bionda sospirò. “In un convento. Sono stata cresciuta dalle monache. Mi sono appassionata al cristianesimo e qui ho scoperto questo rituale. Non mi davo pace per ciò che era successo ai nostri genitori”. Lei sorrise “ma tu forse non lo sai”.

“Albert me lo ha detto prima che io uscissi di casa. Tenuto allo scuro per tutto questo tempo”. Indurì lo sguardo. “Perfino l'unico padre che ho mi ha mentito per tutto questo tempo”.

“Albert è ancora vivo?” rise di gusto “Pensavo che fosse passato a miglior vita”.

Ryan non rispose.

Strawberry nel frattempo cercò di allontanarsi da lì ma Ashley se ne accorse bloccandole ogni via di fuga.

“Ashley lasciala andare per favore” Ryan si avvicinò ma la bionda gli assestò una gomitata dritta allo stomaco.

La ragazza fece per pugnalare Strawberry la lei deviò il colpo colpendole un braccio. Scappò via prima che ci riprovasse, ma la stanza lì era in pieno buio e inciampo su qualcosa. Cadde e subito si giro strisciando via.

“Mi dispiace piccola, è necessario”. Il colpo del pugnale fu nuovamente sferrato ma la rossa si parò con il braccio, esso le si conficcò lì.

Urlò di dolore, mentre il sangue caldo le scorreva lungo tutto il braccio.

“Ashley fermati!” Ryan le urlò dietro ma lei sembrava non sentirlo. Si mise a cavalcioni sulla rossa e alzò le braccia in alto pronta, stavolta, a ferirla a morte.

La rosse chiuse gli occhi in attesa.

Tremò non appena udì lo sparo. Il corpo di Ashley le era piombato addosso privo di vita, il suo sangue l'aveva sporcata.

Se la tolse di dosso velocemente e guardò il suo ragazzo che con entrambi le mani ferrate sulla pistola aveva premuto il grilletto.

Ansimava, forse per l'adrenalina o forse perché aveva reagito d'istinto.

“Ryan...” lo chiamò lei alzandosi cauta.

Gli occhi azzurri di lui la fissarono e gettò via la pistola.

Lei sospirò di sollievo e corse ad abbracciarlo.

“Va tutto bene” gli mormorò mentre lui con lo sguardo sulla sorella ormai morta, la stringeva.

 

 

* * *

 

 

Seduti fuori sulle scalinate di quel vecchio monastero, i due ragazzi videro in lontananza le sirene e le luci delle decine di volanti che stavano arrivando.

Strawberry aveva la testa poggiata sulla spalla di Ryan e non avevano ancora detto una parola. Erano passati all'incirca quarantacinque minuti.

“Ryan senti... io...” prese un bel respiro. “Grazie”.

Il biondo la guardò. “Per cosa?”.

“Mi hai salvato la vita, io non so come ringraziarti. Hai scelto me invece che tua sorella e...”

Ryan si voltò più verso di lei e le sorrise.

“Quella non era mia sorella. Lei morì quindici anni fa insieme ai miei genitori”.

“Posso farti una domanda?”.

Lui annuì.

“Ashley mi ha detto di averti mandato un messaggio per far sì che non venissi. Cosa ti ha spinto a venirmi a cercare?”.

Lui ridacchiò e tirò fuori il cellulare, mostrandoglielo.

Amore va tutto bene, non preoccuparti per me era solo un mio delirio. Ci vediamo presto. Ti adoro”.

Strawberry lo lesse e lo fissò in cerca di spiegazioni.

“Insomma, quel ''amore'' non è da te. Senza contare il fatto che non ammettesti mai di esserti sbagliata”.

Lei rise di gusto. Era vero.

“Fortuna allora che mi conosci”.

“Fortuna che lei non ti conoscesse” la abbracciò.

Le volanti accostarono una accanto all'altra e i primi a scendere furono Antonio e Rick.

L'uomo si precipitò dai due ragazzi. “Strawberry!” il sangue che la figlia aveva addosso lo preoccupò abbastanza.

“Papà sto bene, non è del tutto mio” ricambiò l'abbraccio.

“Incoscienti!” li rimproverò. “Potevate morire!”

I due ragazzi non dissero nulla prendendosi tutti i rimproveri.

Infondo si erano salvati a vicenda, anche se in modi differenti.

“Mi ha salvata papà” Strawberry sorrise al biondo “Ryan mi ha salvato la vita”.

Qualcosa gli arrivò addosso, alzarono tutti gli occhi verso il cielo.

Neve.

Stava nevicando. Proprio come nel sogno della ragazza, anche quest'ultima cosa si era rivelata fondata.

Nonostante il periodo nevicava. Loro speravano che quello strano fenomeno fosse l'inizio di qualcosa di bello.

 

 

Buon salve a tutti!!!!

''Il prossimo capitolo sarà più corto''cit.

Scherzavo, forse è venuto più lungo di tutti gli altri ahahah.

In ogni caso eccoci qui, a fine di questa storia! Alla fine ce l'ho fatta a riscriverla e finirla. Mi sento realizzata!!

Io spero vivamente che vi sia piaciuto questo ultimo capitolo.

Probabilmente pubblicherò tra qualche tempo un epilogo, ci stavo pensando. Quindi al momento non metterò l'opzione ''completa''.

Che dire, grazie a tutti quelli che l'hanno seguita fino a qui. Vi mando un grosso abbraccio!

A presto!

 

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Capitolo 11
*** Epilogo ***


Epilogo

 

 

Erano trascorsi quattro mesi da tutta quella storia. Era Luglio e il caldo era ormai arrivato. I primi turisti atterravano a visitare la città, si riempiva a poco a poco.

La vita dei ragazzi proseguiva bene. Erano stati costretti da Rick a vedere una psicologa; Ryan soprattutto. Mentre Strawberry aveva interrotto le sedute dopo solo cinque volte, lui aveva continuato a vedere la dottoressa. Lo aiutava a superare tutto ciò che era successo. Lo aiutava soprattutto a dormire la notte. In quattro mesi lo aveva fatto poco e male.

Tuttavia Ryan aveva smesso di telefonare a Strawberry e da un mese circa non si vedevano.

La rossa dal suo canto non protestò, sapeva che aveva bisogno di spazio.

Seduta sulla poltrona di pelle nell'ufficio del padre sbuffò sonoramente. Il caldo di quel lunedì pomeriggio era insopportabile. Come se non bastasse, il climatizzatore si era rotto da qualche giorno e attendevano il tecnico per ripararlo.

“Tesoro perché non vai a casa?” Rick era appena entrato e guardava dei documenti.

“Non mi va” borbottò sventolandosi con un vecchio ventaglio. “Devi sostituire sedia, mi ci sono praticamente appiccicata sù”.

“Domani verrà il tecnico” l'uomo sbadigliò rumorosamente.

“Lascia, li guardo io” gli prese i documenti di mani e cominciò a sfogliarli. “Sono tutti casi chiusi, che guardi?” sembrava confusa.

“Do sempre un'ultima occhiata prima di archiviarli”

“Ah” mormorò lei leggendo il fascicolo di Ashley.

“Comunque c'è Ryan qui fuori in sella a quella cosa infernale” sbadigliò ancora.

La rossa alzò lo sguardo di scattò. “Stai scherzando?”.

“No” disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

“E non potevi dirlo subito!!” scattò in piedi lasciando tutti i foglio sulla scrivania e corse fuori.

 

Arrivò fuori quasi col fiatone e lo vide poggiato alla sua inseparabile moto a braccia conserte.

Si avvicinò piano senza dire niente.

Lui sorrise. Ricambiò subito.

“Ciao” la salutò non appena fu abbastanza vicina.

“Ciao” ricambiò. “Come... come stai?” non si spiegava perché tanto imbarazzo.

“Io sto bene. Tu?”.

Lei annuì in risposta e lo guardò. Sembrava sereno.

“Senti...” dissero all'unisono.

“Dimmi” disse lei.

“Vai prima tu”.

Lei scosse la testa e lo fissò.

“Tanto inutile insistere, non parlerai lo stesso” sospirò. “Mi dispiace. So che questo ultimo mese sono stato distante, ma voglio che tu sappia che non c'entri niente. Ho voluto un po' distaccarmi da tutto il casino che è stata la mia vita”.

“Ryan davvero non devi...”

“Lasciami finire per favore” la zittì. “Voglio solo dirti che ormai non vado più dalla dottoressa, mi ha aiutato molto a superare tutto ciò che è successo e so benissimo che tu non c'entri niente. Se mai te lo chiedessi: lo rifarei altre mille volte”.

“Non capisco di cosa ti stai scusando... Non devi”.

Il biondo inspirò e la tirò verso di lui delicatamente. Lei gli poggiò le mani sul petto un po' sorpresa. Erano vicinissimi.

“Forse hai ragione ma ciò che cerco di dirti è che in queste settimane mi sei mancata terribilmente. Il tempo che ho preso per me mi è servito molto a capire che ti voglio nella mia vita”.

Lei sorrise. “Anche io”. Mormorò.

“Cosa?” abbozzò mezzo sorrisetto.

“Ho detto: anche io!” sbuffò divertita. “Sei una testa calda. Un po' rompipalle ma anche io ti voglio nella mia vita”.

“E...”

“E mi sei mancato anche tu” sorrise.

La baciò con tutta la passione che aveva in corpo, senza curarsi minimamente che probabilmente il padre della ragazza li stava spiando da qualche finestrella.

Lei ricambiò, dimenticandosi di tutto ciò che li circondava e sembrò che fossero passate ore quando si staccarono.

“Ho scoperto una cosa” disse all'improvviso lui.

“Una cosa bella? Perché se è brutta non voglio saperla. Non ora almeno”. Si lagnò.

“Una cosa bella” rise. “Mio padre aveva un locale in Giappone”.

La rossa alzò un sopracciglio. “Un locale?”.

“Una specie di caffetteria, ci lavora un suo socio da anni praticamente”.

“E com'è che lo vieni a sapere solo ora?”.

“Alfred” alzò gli occhi al cielo. “Io ho anche tentato di arrabbiarmi con lui ma non ce l'ho fatto” ridacchiò. “Dice che ero troppo immaturo e ''testa calda'' per prendermi una responsabilità del genere e lo ha gestito da qui praticamente fino ad ora”.

“Ha ragione” fece spallucce lei. “Lo avresti mandato a fallimento” rise.

“Faccio finta di non aver capito- comunque! Siccome sono praticamente il proprietario di questo locale ho deciso di visitarlo”. Ci fu un tuono che la fece sobbalzare. Non si era accorta nemmeno che il cielo si fosse ricoperto di nuvoloni grigi.

“Quindi te ne vai di nuovo?” si staccò da lui. “Sei venuto qui da me per dirmi che te ne vai?”.

“Cosa? No! Perché salti sempre alle conclusioni affrettate?”

“Hai detto che vuoi andarlo a vedere. E diciamocelo, il Giappone non è mica infondo al vialetto”.

“Sì okay, ho detto che voglio visitarlo ma non mi hai detto finire” la tirò nuovamente a sé. “Il Giappone è anche la tua terra d'origine, la mia per metà. Quindi, mi sono detto, perché non andarci insieme?”.

Strawberry sgranò gli occhi “io e te... in Giappone?”.

Pioveva.

“Io e te in Giappone” ripetè in risposta.

“Da soli?”.

Lui annuì un po' malizioso. “E' un sì, gattina?”.

“Sì! Ho sempre voluto visitarlo certo che sì!” esclamò.

“Speravo in questa risposta perché ho già preso i biglietti”. Sorrise.

“Però lo dici tu a mio padre” lo baciò senza aspettare che lui ribattesse. Gli allacciò che braccia al collo,

Il biondo ricambio e non curanti della pioggia che si infittiva rimasero a baciarsi per minuti interminabili, entrambi felici di quella nuova avventura che si affacciava all'orizzonte.

 

 

BUON SALVE A TUTTI!!

Prima di tutto come state? Spero tutto bene, con questo virus in giro.

Nel mondo che vorrei (e nella mia storia) ''non ce ne coviddi'' ahahahahahah .

Vi avevo promesso un breve epilogo ed eccolo qui. Con questa è DEFINITIVAMENTE conclusa. Mi mancherà, ma mi concentrerò sulle altre.

Sono passati esattamente quattro mesi da quando ho pubblicato l'ultimo capitolo.

Vi mando un bacio e ringrazio tutti coloro che l'hanno seguita. <3

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