I peccatori

di PaikeApirana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il compenso ***
Capitolo 2: *** Beatrice ***
Capitolo 3: *** Nuovo contratto ***
Capitolo 4: *** L'alloggio ***
Capitolo 5: *** La processione ***
Capitolo 6: *** L'offerta ***
Capitolo 7: *** La scuola delle risse ***
Capitolo 8: *** Te Deum ***
Capitolo 9: *** Offerta di pace ***
Capitolo 10: *** Simboli e patti ***



Capitolo 1
*** Il compenso ***


Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
che la diritta via era smarrita.

Siamo aquì riuniti stasera per una nueva ballata nel desierto del Mojave. Forse ve ricordate del demonio serpentin che ne’ la historia preciediente, con una sola pallottola, fu sconfitto da lo sceriffo Rango. Ebbene con lui stasera vamos a cominciar esta nueva aventura, ne le profondità de lo infierno.

Bussò sul teschio di bue con la pistola, facendola tremare nel suo ticchettio metallico ormai noto a tutto il deserto. Lo sportelletto si aprì, mostrando l’occhio bianco e vacuo di Maurice. Jake trattenne la lingua nel palato, per non essere costretto a sentire il suo disgustoso odore di succo di cactus e piscio. Quel vecchio ormai non regolava più la vescica da tempo.
«Chi bussa a quest’ora della notte?» domandò con voce impastata il topo.
«Uno che ha fame di piombo» rispose Jake aggiustandosi la bisaccia appesa al cinturone delle cariche. Pensandoci bene, in effetti aveva un certo languorino. Il sindaco John lo aveva saziato per qualche settimana ma ora la fame si era ripresentata.
Fortunatamente il cibo non mancava mai alla Tana.
La porta nel cranio si aprì e il serpente a sonagli scivolò rapido come un’ombra nei cunicoli sotterranei, grandi appena da permettergli di passare.
Il carico nella sua bisaccia gli fu di intralcio un paio di volte e Jake dovette prestare molta cautela affinché non si rovinasse o la sua paga sarebbe stata di gran lunga inferiore. Appena arrivato in fondo al cunicolo, si ritrovò nel salone principale. Quasi nessuno badò a lui, troppo presi nell’ammirare la danza di una vipera cornuta sul palcoscenico in mezzo alle radici rinsecchite di un cactus, sotto la luce baluginante delle lampadine che vi erano appese. Le sue squame brune, quasi nere, creavano motivi ipnotici, seguendo i sinuosi e provocanti movimenti della danzatrice. Da lontano schioccò un bacio al pistolero appena arrivato, il quale però non le prestò molta attenzione. Aveva fretta di riscuotere la sua paga, poi magari si sarebbe fatto un giro con Circe, così si faceva chiamare la vipera. Nessuno, però, sapeva il suo vero nome.
Quando Jake si avvicinò al bancone, gli altri occupanti si fecero immediatamente da parte, fissando le loro birre non appena incrociavano quegli occhi infuocati, come se temessero che quelli soltanto bastassero a succhiar loro via l’anima.
Moscardo, il coniglio addetto al bar, gli si avvicinò con le orecchie dritte, lasciando che un raggio di luce riflesso passasse attraverso il foro nel suo orecchio sinistro. Apparentemente era tra i pochi a non essere spaventato dall’arrivo del serpente a sonagli.
«Edward ti aspetta nella Stanza dei Contratti. Ha già il compenso» lo rassicurò pulendo uno dei bicchieri con uno straccio. Poi con la testa indicò un angolo del salone, vicino al palco di Circe, non riuscendo a trattenere una risatina «Pagherei oro solo per vederti in una zuffa con quella specie di chierico».
Jake si voltò, curioso. Acciambellato attorno a un tavolo stava niente di meno che un serpente reale, specie famosa per nutrirsi di crotali come lui. Le bande nere e bianche sulla sua pelle erano inconfondibili. Una croce di ferro pendeva dal suo collo, mentre il serpente era immerso nella lettura della Bibbia, scorrendo le pagine con la punta della coda.
«Sarebbe senz’altro divertente» ridacchiò Jake notando che quello sembrava disarmato. Lui, il demonio fatto serpente, contro il suo nemico naturale che per giunta era un chierico…
 «Chi è?».
«Si fa chiamare Il Predicatore ma è solo la seconda volta che lo vedo qui» rispose Moscardo «Ho sentito che cerca mercenari, ma non vuole assolutamente serpenti a sonagli. È stato molto categorico su questo».
«Mi sparerei comunque nelle palle prima di accettare un ingaggio da un serpente reale» disse Jake dirigendosi poi verso la Stanza dei Contratti.
«Ti preparo un drink per festeggiare il tuo nuovo compenso» gridò il coniglio per sovrastare il baccano della sala «Vedrai se stasera non avrai voglia di bere! Edward ti ha fatto un regalino speciale davvero».
«Io non bevo» gli rammentò duramente il serpente a sonagli, prima di aprire la porta e abbandonare il salone.
La Stanza dei Contratti era la più illuminata della Tana e anche la più lussuosa. Un posacenere d’argento faceva bella mostra di sé su un tavolo di legno intarsiato, attorniato da mobili e suppellettili altrettanto pregiati. Un mostro di Gila dalle squame quasi completamente nere stava appoggiato comodamente sul morbido e confortevole divano di velluto in fondo alla sala, con la camicia candida aperta vicino alle clavicole. Si stava aggiustando i preziosi gemelli da polsino, facendo scintillare le dita inanellate in una palese dimostrazione di ricchezza.
«Ah buona sera, Jake!» iniziò Edward alzando gli occhi verso di lui. Le cinque marmotte corpulente si irrigidirono quando sentirono il tintinnio metallico della sua pistola-sonaglio, ma il mercenario era troppo concentrato sull’affare da concludere per badare a loro o alla giovane femmina di crotalo che tremava stretta in mezzo a loro.
Gettò la sua bisaccia sul tavolo, macchiandolo appena di qualche schizzo di sangue. «Pagamento alla consegna» disse soltanto, tagliando tutti i convenevoli
«Dritto al punto come al solito» disse Edward, estraendo dal taschino un fazzoletto, per non dover toccare la bisaccia mentre la apriva. Esaminò la testa ivi contenuta e sorrise affabilmente al serpente a sonagli. «Lavoro eccellente come sempre, Jake» si complimentò con lui. Il ticchettio sempre più impaziente della sua pistola però gli impedì di perdersi negli elogi. Nessuno sparava nella tana, era la regola, ma era sempre permesso mordere e Jake era un maestro almeno quanto lui in quello.
Il mostro di Gila schioccò quindi le dita e le marmotte spinsero in avanti il compenso per il mercenario.
Una femmina di serpente a sonaglio rovinò a terra proprio davanti alle spire di Jake, emettendo un leggero guaito di dolore.
«Su, mia cara. Su. Su.» fece Edward ponendo il suo bastone da passeggio sotto il suo mento in modo da farla alzare «Il signor Jake qui presente deve vedere che i miei regali valgono i suoi servigi».
Cosa? Pensò Jake mentre guardava la donna alzarsi da terra tremante come una foglia. Era più piccola di lui, anche se di poco, e anche di età si indovinava più giovane, intorno forse ai ventisei anni. Non si poteva negare che fosse bella, con quel corpo tonico e sinuoso raggomitolato su sé stesso per la paura. Le squame erano più chiare della sabbia, di una tonalità quasi cremosa, mentre gli occhi lucidi, fissi sul tappeto della stanza, erano celesti come il cielo inclemente. Un nastro azzurro, che le serrava la bocca, era legato attorno al collo fino a formare un fiocco elegante dietro la nuca. Impacchettata proprio come un regalo.
Jake fu sorpreso da quel compenso. Corrugò la fronte mentre la sua lingua biforcuta saettava fuori per catturare l’odore della donna. Si erano dati parecchia pena per prepararla per lui. Riusciva a percepire gli odori dei sali da bagno con cui l’avevano lavata. Spesso li usava anche Circe. A lui però non importava. Non era quello il pagamento che aveva chiesto.
«L’accordo era mezzo ettolitro d’acqua!» sbottò il serpente facendo sobbalzare la donna. Edward invece non sembrò spaventarsi, poggiando di nuovo a terra il suo bastone da passeggio.
«Mezzo ettolitro d’acqua o qualsiasi altro bene di egual valore» lo corresse «Questa piccolina lo vale eccome».
«Io non ho tempo di fare da badante a una donnicciola! Mi serve acqua, per il resto chiedo tranquillamente a Circe».
«Ma Circe non può venire a tenere in ordine quel buco che chiami casa o a cucinare per te e inoltre devi fare la fila per avere quella vipera. Questa invece sarebbe a tua completa disposizione notte e giorno» proseguì Edward con un sorriso da orecchio a orecchio
«E’ una bocca in più da sfamare. Un peso inutile che nel deserto non durerebbe nemmeno tre giorni. Questo non è un pagamento è un debito aggiuntivo! Mi costerebbe quattro volte Circe» sbraitò ancora Jake mentre la donna si acquattava ancora di più sul pavimento al suono della sua voce possente. «Voglio il mio cazzo di mezzo ettolitro d’acqua!» sibilò scoprendo le zanne.
Edward sospirò, reggendosi con entrambe le mani al suo bastone da passeggio, ostentando una faccia volutamente ferita e amareggiata. Picchiettò con l’indice sulla mano e Jake sentì le marmotte attorno a lui irrigidirsi e stringere i pugni. Non si spara nella Tana.
«Tu mi ferisci così, Jake. Mi ferisci profondamente. Voglio dire stavo cercando di farti un regalo diverso dal solito, ma va bene… Va bene. Avrai il tuo mezzo ettolitro d’acqua» disse, per poi fare un cenno ai suoi uomini «Vorrà dire che serberò questo regalo per qualcuno che sappia apprezzarlo davvero. Via, portatela via».
La giovane femmina di serpente emise un verso di terrore, soffocato dal nastro, cercando di sottrarsi alle zampe delle marmotte. Si dimenò come un’anguilla, col sonaglio che tremava come impazzito dal terrore. Jake la guardò apparentemente impassibile mentre veniva bloccata a terra e gli uomini di Edward le afferravano le spire. Urlò con la bocca serrata, emettendo guaiti strozzati. Non era difficile immaginare che stesse supplicando qualcuno di aiutarla.
A chi sarebbe stata venduta? Che ne sarebbe stato di lei?
Furono domande che balzarono nella mente di Jake prima che lui avesse il tempo di frenare pensieri innaturalmente altruisti per lui.
Magari sarebbe finita a ballare insieme a Circe, pensò. Ma poi si rese conto che quella era una schiava, non una prostituta. Era un serpente ridotto alla stregua di un canarino da tenere in casa e di cui disporre a piacimento. Per quel che ne sapeva Jake, Edward poteva benissimo venderla a un serpente reale con l’intento di mangiarla.
Il problema principale però era cosa avrebbe fatto a lui quel riccone dopo uno screzio del genere…
Prima che il mostro di Gila potesse uscire dalla Stanza dei Contratti, il pistolero disse: «Aspetta, ci ho ripensato. Accetto il pagamento. Non vorrei certo offendere un cliente affezionato come te, Edward».
Ecco, quello era un buon motivo per prendere quel patetico vermetto bianco: evitare di inimicarsi uno dei clienti più pericolosi della Tana. Non ci avrebbe messo molto a ottenere un nuovo ingaggio e questa volta avrebbe specificato il pagamento esclusivo in acqua. Intanto però si sarebbe tenuto buono Edward, accettando il suo regalo.
«Ottimo!» batté le mani il mostro di Gila, mentre una delle marmotte consegnava a Jake un lazzo legato attorno al collo della femmina di serpente, che si rialzava da terra, tremante. Il fiocco si era scomposto dietro la testa, pendendole da un lato.
Il pistolero sorrise affabilmente, mentre pensava a come disfarsi di quella piccola seccatura che si era appena accollato.

E così el pistolero come compenso para le sue acioni diaboliche ottiene un angelo innociente. Ma aquì non siamo ancora che al primo girone dell’inferno che attende i due sierpenti.

Spazio autrice: Ehilà! Eh sì, alla fine non ho resistito a pubblicare questo primo capitolo. Tranquilli non ne vedrete altri finché l'altra mia storia non sarà conclusa. Intanto spero che vi sia piaciuto questo primo pezzo. Ho azzeccato il personaggio di Jake?
Premetto che in questa storia tratterò alcune tematiche particolari come la sessualità (nell'800) e la religione, offrendo una personalissima interpretazione che però non pretende di essere inconfutabile. Sono ben accette critiche e domande. Intanto datemi un parere dettagliato su questo primo capitolo!

 

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Capitolo 2
*** Beatrice ***


I’ son Beatrice che ti faccio andare;
vegno del loco ove tornar disio;
amor mi mosse che mi fa parlare.

Appena preso il suo compenso, il serpente a sonagli era uscito dalla Tana in tutta fretta, ansioso di disfarsene. Dentro di sé malediceva Edward per quel suo “slancio di bontà” che lo aveva spinto a dargli un compenso diverso dal solito. Per colpa di quella femmina che gli strisciava alle spalle, a testa bassa come un cane bastonato, non aveva avuto nemmeno il tempo di mangiare qualcosa o divertirsi un po’ con Circe. Maledetto lui e il luogo in cui l’aveva presa.
Già a proposito, come l’aveva ottenuta il mostro di Gila?
Jake le gettò una rapida occhiata, con l’occhio celato sotto il cappello, studiandola alla ricerca di qualche particolare che ne rivelasse la provenienza. Tuttavia, essendo completamente nuda, a parte il nastro e quella sorta di guinzaglio attorno al collo, il suo tentativo si rivelò inutile. L’unica cosa che notò fu il leggero tremito del suo sonaglio, che tradiva il terrore della femmina.
Probabilmente credeva che la stesse portando a casa sua. Anche Moscardo, vedendoli uscire, aveva pensato che il pistolero volesse farsi un giro subito e lo aveva salutato con un sonoro fischio di approvazione. In realtà però, Jake non era proprio il tipo. Gli bastava uno sguardo per capire che quella dietro di lui era una signorina compìta, ammodo, pia e pudica… Tutte cose che a lui facevano venire la nausea. Probabilmente sapeva così poco del sesso che si vergognava solo a pensarci, come tutte le brave donnine di chiesa. Non ci sarebbe stato alcun divertimento. Anche tenerla a casa per fare le faccende sarebbe stato inutile. Come se ci fosse qualcosa da sistemare nella sua grotta, a parte il suo giaciglio di paglia, la pila di cibo inscatolato e la scatola delle cartucce…
Quando a est i primi raggi infuocati del mattino illuminarono la landa desolata intorno a loro, Jake scorse all’orizzonte la sua meta. Finalmente poteva sbarazzarsi di quel peso morto. Si disse che la gentilezza di portarla fino a lì, invece che indicarle solamente la strada, era anche troppa per il resto della settimana. E poi, guarda un po’ che fortuna, era l’alba di mercoledì.
Si fermò, girandosi verso la femmina che ora lo fissava con gli occhi sgranati. Tentò di allontanarsi da lui, ma fu presto bloccata dalle sue forti spire. Mentre Jake cercava di capire come sciogliere il nastro, quella guaì di terrore, ansimando pesantemente stretta contro di lui. Infastidito, il pistolero si accigliò, prima di capire che a spaventarla era la pistola attaccata alla sua coda.
«Cosa c’è? Hai paura di questo vecchio arnese?» chiese divertito, mentre le rotelle della pistola giravano rapide, ticchettando. Lei annuì a occhi bassi, bagnandogli il cinturone con le sue lacrime e uggiolando di terrore.
«Tranquilla, è perfettamente innocuo… Quando non è caricato.» continuò, giocherellandoci con noncuranza «Ora sta ferma».
Lei sembrò obbedire, o forse era solo pietrificata. Con la lingua, Jake annusò la sua paura, ridacchiando. Se non altro era divertente spaventare le signorine di città. Passò provocatoriamente la lingua sulla sua guancia, sentendola irrigidirsi. Poi però afferrò con la bocca il nastro e sciolse il fiocco scomposto al lato della sua testa, liberando anche la bocca della femmina.
Per un secondo lei lo guardò sorpresa. Ancora di più quando Jake le tolse dal collo il lazzo che faceva da guinzaglio. Non aveva comunque modo di scappare stretta dalle sue spire.
«Sai chi sono?» le chiese. Quella tirò su col naso e annuì vigorosamente. «Voglio una risposta, donna. E guardami negli occhi quando ti parlo.» disse ancora, appena irritato.
Come se i suoi occhi pesassero una tonnellata, la femmina di serpente li alzò lentamente verso di lui, fino a incontrare quelle iridi ardenti come fiamme. Aveva uno sguardo supplichevole quando disse, con un filo di voce: «J-Jake… Sonagli…».
«Parla più forte» disse ancora il serpente facendo tremare la pistola come fosse stato un sonaglio.
«J…Jake S-sonagli… detto l’Angelo della… M-morte.» balbettò.
«Esatto. Hai davanti a te il Demonio fatto serpente, come dicono alcuni» ridacchiò il pistolero, sfiorandola appena col cappello «Per educazione ora dovresti presentarti».
«B…Beatrice» mugolò. Anche se cercava di non piangere, Jake la sentiva tremare tra le sue spire, di gran lunga meno spesse e possenti delle sue. Gli sarebbe bastato un niente per stritolarla.
«Beatrice» ripeté lui assaporando il suono di quella parola come se fosse stata un dolcetto gustoso. «Un nome azzeccato, visto il motivo per cui Edward ti ha data a me» continuò poi sciogliendola appena dalla sua stretta ma serpeggiandole attorno, sinuoso come un’onda.
«Per favore…» piagnucolò «Non ho fatto niente di male…La prego, non lo faccia…».
«Visto che insisti tanto» affermò il serpente prima stringerla di nuovo a sé. Fu così rapido e improvviso che Beatrice emise un urlo terrorizzato. Quando si ritrovò di nuovo stretta dal corpo di Jake tentò di sgusciare via, ma la carezza fredda della pistola sulla sua spina dorsale la dissuase. Non sentì i fori, solo il lato della canna, ma tanto bastò a immobilizzarla. Con noncuranza il pistolero la accarezzava con la sua protesi mortale, osservando da dietro la sua reazione. Il labbro le tremava e cercava invano di trattenere le lacrime, mentre nascondeva l’estremità della sua coda tra le proprie spire, al riparo da quelle del pistolero.
Avvolto attorno al suo corpo liscio e profumato, Jake fece girare Beatrice in modo che avesse gli occhi rivolti verso la sagoma di Polvere, le cui case erano ben visibili, ora che il disco inclemente e infuocato era quasi completamente visibile. Un corteo di colori tenui lo accompagnava, ma l’azzurro immobile, che caratterizzava quasi tutte le giornate nel deserto, si stava già affacciando nel resto della volta celeste. Il piacevole fresco che avvolgeva la mattina sarebbe durato ancora per poco.
«Io avevo intenzione di lasciarti andare verso quella città, ma visto che tu mi hai pregato di non farlo…» le disse Jake all’orecchio «Potrei tenerti qui e bearmi un po’ della tua compagnia».
Era fin troppo divertente spaventarla e almeno così veniva ripagato della seccatura di averla accompagnata fino a lì. Chissà, forse in quel momento temeva anche per la sua anima… Dopotutto lui aveva la fama di abitare nel fuoco infernale, di trascinarvi animelle innocenti e candide come probabilmente lo era anche quella di Beatrice. Sorrise al pensiero che la giovane donna potesse trovare peccaminoso persino stargli così vicina. Una volta in chiesa avrebbe pregato fino alla nausea per ottenere il perdono di dio. Bah, patetico, pensò il serpente.
La sua pistola l’accarezzava ancora, quasi con delicatezza, ma non c’era alcun pericolo: Jake controllava quella protesi come se fosse stata una parte integrante del suo corpo. Non gli sarebbe scappato un proiettile nemmeno se avesse scatarrato l’anima.
Fu non poco sorpreso quando Beatrice si girò lentamente verso di lui, guardandolo negli occhi ancora lucidi. Tremava, ma non abbassava gli occhi. Forse aveva un briciolo di coraggio, la signorina.
«S…se dicessi…c-che mi s-sono…sbagliata e che voglio andare in città…lei…sarebbe così gentile da… lasciarmi andare? La prego... non mi faccia del male…» disse, con un tono ossequioso e timorato, che fece scoppiare Jake in una risata profonda e gutturale.
«Ma come sei educata, Beatrice» fece accarezzandole la guancia con la pistola. Lei trasalì di nuovo, serrando gli occhi. «Dai del lei addirittura a un fuorilegge. Comunque, sì, ti lascerei andare».
Dischiuse di nuovo gli occhi celesti, guardandolo sorpresa.
«Non sei poi un compenso così interessante» le disse di nuovo con un sorriso che lasciava intravedere i piccoli denti aguzzi nella sua bocca. L’attimo dopo, però, strinse un’ultima volta la presa su di lei, indurendo il suo sguardo, ma ritirò la pistola. Sapeva che il più delle volte bastava il suo sguardo, il tono basso e pericoloso della sua voce per intimidire gli altri.
I loro musi erano a un soffio l’uno dall’altro. Beatrice sembrava non respirare più, mentre Jake faceva sentire il suo alito caldo sulle sue squame.
«Ti consiglio, però, di non raccontare a nessuno di avermi incontrato, perché altrimenti tornerò a cercarti e questa volta avrai un biglietto di sola andata per l’Inferno» minacciò e Beatrice non ebbe il coraggio di rispondere, limitandosi di nuovo ad annuire vigorosamente.
«Voglio una risposta detta forte e chiaro!» ribadì ancora il pistolero.
«G…giuro che non dirò a nessuno di averla vista» disse tutto d’un fiato la femmina.
Jake grugnì, abbassando appena il cappello. Quello fu il suo saluto, mentre liberava Beatrice e riprendeva la sua strada.
La città non era molto distante, ma la temperatura salì rapidamente, seccando subito la gola della giovane femmina di serpente. Ancora stentava a credere a ciò che le era successo. Aveva incontrato forse il più temuto fuorilegge del deserto e non solo era sopravvissuta per raccontarlo, ma era completamente illesa. Persino la sua virtù non era stata toccata.
Mentre strisciava sotto il sole cocente, d’istinto pensò a come tornare a casa una volta raggiunta la città. Ma quale casa? Si disse poi, rammentandosi di non averne più una.
Realizzò di essere sola, in una città nuova in cui non conosceva nessuno. Che ne sarebbe stato di lei? E se Edward l’avesse ritrovata? Avrebbe pensato che fosse riuscita a scappare da Jake e l’avrebbe rivenduta a qualcun altro oppure riportata al pistolero. Solo pensare a lui faceva riaffiorare nella mente di Beatrice il ricordo della sua pistola lungo la spina dorsale e il terrore che aveva accompagnato ogni secondo del loro viaggio fino a Polvere. Si era sentita come una condannata a morte che si avviava al patibolo.
Invece era salva, apparentemente per non essere un compenso così interessante. Ma allora perché non l’aveva uccisa o abbandonata da qualche altra parte? Perché Jake Sonagli, famoso assassino a sangue freddo si era preso la briga di scortarla fino a polvere?
«Signorina!» chiamò qualcuno alle sue spalle. Due grossi carri trainati da poderosi cinghiali si stavano avvicinando con un possente scalpitare di zoccoli. Erano coperti da tendoni e il primo era guidato da un serpente a sonagli dalle squame brune, quasi nere, mentre l’altro da una lucertola con una livrea che Beatrice non aveva mai visto. Quando le si fermarono accanto ebbe modo di vedere che il serpente sul primo carro era abbastanza anziano, a giudicare dalle squame sbiadite sulla sommità del capo, e al collo aveva una croce d’argento e un collarino ecclesiastico. La lucertola, invece, era troppo giovane per essere la perpetua e le sue squame scure, picchiettate di un giallo vivace dietro la schiena, tradivano le sue esotiche origini. Beatrice si sentì osservata da sotto il cappello di quel forestiero. Era ammantato da una lungo giaccone scuro, quasi nero, il cui colletto alto metteva in risalto gli zigomi marcati del muso.
«Ti serve un passaggio?» chiese il prete serpente, con un tono gentile.
«Ehm sì…se non vi arreco troppo disturbo» rispose Beatrice timidamente.
«Macché disturbo!» fece quello in tono allegro «Salta pure su. Io sono padre Terence, nuovo parroco di Polvere. Lei invece è Matilde, detta Tilde. È qui per aiutarmi e insegnare ai bambini della città a leggere e scrivere. Sempre che non li spaventi prima».
«Ti ho sentito, padre» rispose scherzosamente Tilde, mentre Beatrice saliva accanto a padre Terence. Ironico che avesse incontrato un parroco subito dopo il demonio.
«Lei è italiana?» chiese Beatrice alla lucertola mentre i carri ripartivano. Quel personaggio la incuriosiva. Suo padre le parlava spesso di quel piccolo paese oltreoceano, delle sue bellezze, della sua arte e della sua poesia. Dante, si ricordò, era il suo autore preferito. Tuttavia, non si sarebbe aspettata che le signorine di un paese così raffinato vestissero abiti maschili come Tilde.
«Sì. Toscana per la precisione. Tu, invece come ti chiami?» rispose la lucertola.
«Beatrice Campbell».
«E che ci fai da sola nel deserto?» chiese ancora la lucertola, quasi sospettosa.
«Tilde ne abbiamo già parlato!» fece padre Terence «Cerca di essere meno diffidente delle persone. E non iniziare a tartassare la signorina di domande».
Il parroco porse a Beatrice una borraccia con dell’acqua, da cui lei bevve avidamente, fino a svuotarla per metà. Ringraziò timidamente, sperando che le venisse perdonata una simile ingordigia.
«Hai l’aria stanca» disse padre Terence «Devi aver fatto un bel po’ di strada».
«S…sì sono…stata attaccata da dei banditi, mi hanno abbandonata nel deserto…» disse Beatrice. Era la verità, anche se parziale. Non voleva correre il rischio che Jake venisse a sapere che gli aveva disobbedito. Sperava con tutto il cuore di non vederlo mai più.
«Sei ferita?» chiese ancora il parroco, guardandola preoccupato. La sua apprensione quasi commosse Beatrice. Non aveva ricevuto altro che occhiate lascive e minacce per cinque giorni, accucciata nella sua cella angusta, piangendo suo padre finché uno degli uomini di Edward non le urlava di fare silenzio.
«No…io… sto bene…solo…» iniziò la giovane guardando in basso. Tilde però la interruppe: «Aspetta. Hai detto Campbell? Come William Campbell di Bulletown?».
Ecco, l’aveva capito. D’altronde ormai doveva essere sui giornali. In prima pagina la foto di suo padre riverso a terra con il cranio esploso, gli occhi castani e intelligenti ancora spalancati, l’enorme chiazza rossa sulla parete dello studio messo a soqquadro dalle marmotte… Lei aveva visto tutto di sfuggita, mentre Edward e i suoi la portavano via, ma aveva sentito lo sparo e tanto le era bastato perché tutto si imprimesse nella sua mente come un marchio a fuoco.
«Sì… era mio padre» disse con un filo di voce. Una scarica di dolore le attraversò il corpo, ma dopo cinque giorni chiusa in un tugurio sotterraneo non aveva più la forza di piangere.
Padre Terence toccò le sue spire con il grosso sonaglio che testimoniava la sua veneranda età.
«Hai un posto dove andare?» le chiese, ma lei scosse la testa. «La casa di Dio è aperta a tutti. Puoi stare in canonica finché non trovi una sistemazione migliore o non chiami qualche parente per venirti a prendere» le propose allora «Per te va bene Tilde, non è vero?».
La lucertola sospirò pesantemente, come se sapesse che la decisione del parroco ormai era presa e irrevocabile. «Beh in Italia la tradizione vuole che i forestieri siano accolti e nutriti al loro arrivo, ma poi si fanno le domande» disse, guardando Beatrice, la quale stava già pensando a una storia che non la costringesse a mentire a un vicario dello Signore. Avrebbe raccontato tutto, ma omesso il suo incontro con Jake.
«Vi ringrazio infinitamente, padre, per la vostra generosità. Che Dio vi benedica» disse, ma il parroco fermò i suoi elogi con un cenno del sonaglio.
«Per favore, figliola, chiamami don Terence. Troppi formalismi mi imbarazzano» le disse, gentilmente «Il tempo di incontrare lo sceriffo per sbrigare le formalità e poi vedremo di rimetterti un po’ in sesto».

Spazio Autrice: Sorpresona! Nuovi personaggi per vecchia città! Che ne pensate di Jake? L'ho rappresentato bene? E di Beatrice invece che ve ne pare? E' davvero l'ultima volta che si vedono? Fatemi una bella recensione per dirvi cosa vi è piaciuto e cosa no <3.

 

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Capitolo 3
*** Nuovo contratto ***


Mentre ch’i’ rovinava in basso loco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.

Quella notte Jake si svegliò tardi, quando la temperatura nella sua grotta era ormai diventata simile a quella di un forno. Di nuovo aveva sognato quelle parole, quella cantilena che proveniva da un tempo molto lontano della sua memoria. Era un’epoca che amava e odiava al tempo stesso. Si ostinava a non ricordarla e pensarci il meno possibile, per non rivivere ancora una volta il dolore che aveva provato vedendo il suo mondo sgretolarsi. Ma quella nenia non lo abbandonava mai: cullava i suoi sogni e talvolta lui stesso si sorprendeva a mormorare il motivetto, quando era annoiato.
Sotto il sole del deserto
fuggon le ombre
di chi ha sofferto…

Scosse la testa, disperdendo quelle parole come tante foglie al vento. Si stupiva che dopo tanto tempo si ricordasse ancora per intero tutta la canzone, ma quello non era il momento di perdersi sul piccolo viale dei suoi ricordi felici.
Dopo una colazione a base di una pastura indefinita di cibo inscatolato, rammollito dalla calura, Jake uscì dalla sua “casa” per dirigersi di nuovo verso la tana, portando con sé alcune bottiglie di acqua fissate al cinturone. Ieri non ci era riuscito, ma quel giorno voleva assolutamente farsi un giro con Circe, divertirsi un po’ prima di cercare un altro ingaggio. A quell’ora fortunatamente la Tana era praticamente deserta e quindi la vipera cornuta non doveva avere molti clienti. Solo pensare alle sue conturbanti carezze e il suo odore inebriante, Jake avvertì un formicolio lungo tutto il corpo. Circe sapeva sempre toccare i punti giusti, facendolo ardere di piacere e desiderio ogni volta come fosse la prima. Anche se erano diversi anni che si conoscevano, infatti, la prostituta non lo deludeva mai e il pistolero era certo di saper fare altrettanto. Ogni volta che si vedevano, nell’alcova avveniva un vero e proprio combattimento in cui a dominare era la loro passione. Il fuoco che sprigionavano entrambi durante l’atto non aveva eguali e alla fine erano entrambi ebbri di piacere, ma sfiniti. Jake non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma Circe sapeva sfiancarlo. Dire che l’amava sarebbe stato fin troppo eccessivo. Al di fuori dei loro incontri nella Tana i due non avevano alcun rapporto, anche se ogni tanto si erano aiutati a vicenda con i rispettivi affari. Tuttavia, non erano mai usciti insieme a fare passeggiate o qualsiasi altra cosa smielata tipica dei fidanzati e a entrambi stava bene così.
E secondo Edward lui avrebbe dovuto scambiare tutto il suo divertimento con Circe per quel vermetto che gli aveva regalato? Sarebbe stato già un miracolo se avesse saputo cosa andava dove, visto quanto le signorine per bene fossero terrorizzate dal sesso. Inoltre, Jake non era un vecchio bavoso o uno stupratore che gioiva della sofferenza delle sue vittime. Poteva anche essere il Mietitore, ma non aveva ancora raggiunto un simile livello di bassezza e non contava di farlo in futuro.
Durante il suo viaggio teneva d’occhio il cielo, temendo di scorgere un falco. Fortunatamente però stava percorrendo una strada all’ombra di alcuni cactus, bassi e rigonfi d’acqua, che offrivano un valido riparo, sia dal sole ce dagli artigli del rapace. Il grosso teschio di vacca che costituiva l’entrata della Tana ormai non era molto lontano, ma un particolare lungo la strada attirò la curiosità di Jake. Poco lontano da lui stava un carro rovesciato su un lato. Diverse assi erano spezzate e tutt’intorno c’erano trucioli di legno e segatura. Non lo aveva mai visto in tutte le volte che aveva percorso quella strada. Doveva essere stato abbandonato recentemente. Inizialmente Jake pensò a una rapina andata male, ma quando la sua lingua captò l’odore di un falco e vide una grossa piuma marrone intrappolata tra le spine di un’erbaccia lì accanto si ricredette. Immediatamente sentì lo stomaco torcersi per la paura e un brivido freddo percorrergli la schiena. Si guardò freneticamente intorno, tenendo la pistola pronta e puntandola in tutte le direzioni, finché non fu certo di essere solo. Non percepiva alcuna traccia di calore né odori particolari, quindi riprese velocemente la sua strada fino alla Tana.
Solo una volta entrato si sentì al sicuro. Prese dei lunghi respiri, per riacquistare il suo autocontrollo.
Trovò Circe intenta a pulire alcuni tavoli della locanda deserta. Perfetto, pensò dirigendosi verso di lei con un sorriso malizioso. Con sua grande sorpresa, però, appena arrivato la vipera gli rivolse subito un saluto acido e quasi risentito: «Guarda un po’ chi è tornato… Hai dimenticato a casa il tuo grazioso regalino, Jake? Ieri sera sembravi molto ansioso di giocarci».
La vipera gli dette le spalle, facendo per passare a un altro tavolo, e Jake la seguì, ridacchiando. «Se non ti conoscessi bene, Circe, direi che sei gelosa».
«Sono solo offesa perché il mio cliente preferito non si è nemmeno preso la briga di salutarmi» gli disse, fingendo un tono dispiaciuto «Comunque non pensavo ti piacessero le serpentine giovani e innocenti».
«Infatti, non è così. Mi danno la nausea.» disse ancora il pistolero, girando attorno alla vipera per attirarla tra le sue spire «Io preferisco le tentatrici che sanno il fatto loro».
Circe ricambiò volentieri la sua espressione voluttuosa, parlando a fior delle sue labbra e solleticandogli le squame con la lingua biforcuta. I due piccoli anelli, che ingioiellavano le sue corna dritte, brillavano fin quasi ad ammaliare Jake.
«Deduco che quindi la piccoletta non sia riuscita a farti divertire ieri sera» chiese ancora ricambiando l’abbraccio.
«Non ci ha nemmeno provato e io non l’ho costretta. L’ho abbandonata in una città vicina» fece ancora il serpente, mentre la sua pistola tremava e ticchettava come un vero sonaglio per il desiderio che ardeva in lui.
«Che cavaliere» commentò sarcasticamente Circe, dandogli un rapido bacio «Ma temo dovremmo rimandare. Nella Stanza dei Contratti hai un nuovo cliente. Tuo fratello a quanto dice».
«Chi?» chiese Jake, confuso. Le sue pupille si assottigliarono, mentre pensava. Non poteva essere davvero quello sceriffo smilzo, oppure sì?
Lasciò le bottiglie d’acqua che si era portato a Circe, grugnendo seccato: «Vado a vedere cosa vuole e torno».
Prima di liberarla dalle proprie spire, la baciò con trasporto, senza nascondere il suo desiderio di volere di più e Circe sembrò apprezzare.
«Ti aspetto nell’alcova» gli sussurrò.
Jake strisciò allora verso la stanza dei contratti, sorprendendosi di non vedere Moscardo al bancone. Non era ancora entrato e già sentiva una voce fastidiosamente acuta e familiare parlare a raffica di cose che non capiva. Era lui non c’era dubbio.
«…io e Jake abbiamo dei trascorsi, certo. Siamo due leggende schierate dalla parte opposta! Lui il fuorilegge io lo sceriffo eroe, ma a volte un nemico più grande spinge i rivali a mettere da parte i loro rancori. Potremmo dire che è successa una cosa simile anche con il sindaco John, tempo fa. Ho lasciato a Jake il piacere di finirlo, ma credo di essermi guadagnato un po’ del suo rispetto dopo che sono riuscito a liberarmi da una cella d’acqua con una sola pallottola, la stessa con cui, pochi minuti prima, avevo quasi sparato a mio fratello. Non penso siano in molti a potersi vantare di aver minacciato il Mietitore, eh?».
Dentro di sé, Jake maledisse il momento in cui si era complimentato con quella lucertola. Ci mancava solo che pensasse di essere un suo amico. A causa dell’ultima frase in particolare, dovette combattere contro l’istinto di irrompere nella stanza e crivellare lo sceriffo di colpi. Sperò per lui che non lo avesse spifferato a tutto il deserto.
Prima che Rango potesse dire altro per minare la sua reputazione, il pistolero sbatté la porta, emergendo dalla penombra del corridoio con un basso ringhio. Lo sceriffo sobbalzò sul divano con una forte esclamazione, quando vide i suoi occhi infuocati fissarsi su di lui. Moscardo era lì in piedi, a guardare la scena con fare quasi annoiato. Si grattò la pelliccia grigia dietro il collo per poi avviarsi verso l’uscita. Mentre passava accanto al serpente a sonagli, disse, a metà tra il deluso e il sorpreso: «Non sapevo ora trattassi anche con gli sceriffi, Jake».
Il pistolero non rispose, concentrandosi su Rango, il quale si stava aggiustando il cappello per ritrovare un minimo di contegno.
Quando Moscardo chiuse la porta, gli chiese subito: «Cosa diavolo ci fai qui, fratello?».
Rango si schiarì la voce. Conservava sempre un velo di terrore nel suo atteggiamento, ma Jake dovette riconoscergli di essersi ripreso più velocemente rispetto al loro primo incontro.
«Sono venuto a…offrirti un affare» gli disse, bevendo tutto d’un sorso il bicchiere di liquore poggiato sul tavolino. Fortunatamente ebbe il buonsenso di non offrire da bere al mercenario e continuare la sua spiegazione. «Abbiamo alcuni problemi a Polvere e mi servirebbe il tuo aiuto».
«Sei lo sceriffo. Non sarebbe tuo compito risolvere i problemi di quell’ammasso di catapecchie?» scosse la coda facendo ticchettare il metallo della pistola, accennandovi con la testa «Oppure hai bisogno che tolga di mezzo qualcuno?».
«Ehm… no, almeno non adesso» disse nervosamente la lucertola «Ma ultimamente abbiamo sentito degli spari vicino alla città e Uccello Ferito ha trovato delle strane tracce. Sembra una banda numerosa. Non ci sono ancora stati attacchi diretti contro la città, ma ora che siamo tra le più ricche di acqua…».
«Arriva al punto, smilzo» tagliò corto Jake, ormai al limite della sua esigua pazienza.
«Voglio che mi aiuti a scoprire chi sono e che cosa vuole questa gente» disse Rango, nel tono più risoluto che il serpente gli avesse mai sentito usare «Se sono una minaccia devono essere resi inoffensivi prima che arrivino alla città. Ti offro un ettolitro e mezzo di acqua alla fine del lavoro».
Il triplo della paga che avrebbe dovuto ricevere da Edward. Jake non poté non sentirsi attratto da quella prospettiva. Inoltre, non si prospettava un compito troppo difficile: probabilmente erano dei banditi del calibro basso di quella lucertola, tale Bill. Cani randagi che si aggregavano insieme solo per sembrare più grossi e spaventosi. Ne aveva affrontati parecchi e da più giovane, prima di diventare il leggendario Mietitore, era stato persino uno di loro. Tempo un paio di settimane e li avrebbe rimandati a casa con la coda tra le gambe.
«Va bene, sceriffo, ci sto» disse, prima di avvicinarsi a lui con fare minaccioso, ghignando in modo che vedesse i denti «Ma spero tu conosca la clausola implicita di chi fa un patto col Mietitore: non vado mai via senza un’anima».
Rango deglutì visibilmente, schiacciandosi contro lo schienale del materasso, senza riuscire a trattenere un tremito alla vista dei denti di Jake. E non erano nemmeno quelli più pericolosi.
«Ehm… su questo ci accorderemo in seguito, quando avremo finito con la banda…» mormorò la lucertola, cercando di tenere salda la voce «Basta che…ecco non causi problemi mentre stai in città. La gente è già abbastanza nervosa da quando sono arrivati due nuovi serpenti a sonagli».
Due? Sicuramente uno era Beatrice, anche se Jake non credeva qualcuno potesse avere paura di lei, ma l’altro? Bah, non erano affari suoi. L’unica cosa che lo infastidiva era sapere che anche a distanza di tanto tempo le cose non erano cambiate: i serpenti come lui erano sempre considerati dei mostri, creature infernali, peccatori sin dalla nascita. Maledisse mentalmente tutti i bigotti della pidocchiosa città, mentre un odio, antico come la nenia che costellava i suoi sogni, si accendeva di nuovo in lui. I ricordi che si portava dietro quell’odio gli facevano venire voglia ogni volta di sparare a qualcosa. Vedeva davanti il suo nemico più odiato e desiderava solo ucciderlo nella maniera più dolorosa possibile. Ormai, però, doveva essere morto, altra cosa che faceva imbestialire Jake.
Sbuffò, allontanandosi da Rango e aggiustandosi la pistola solo per occupare la mente con qualcos’altro. «Avete già fatto un ghetto per serpenti?» gli chiese, con voce tagliente.
«Cosa? No, che ghetto!» fece la lucertola, sorpresa dalla domanda «Vivono in canonica. Padre Terence, il serpente più anziano, è il nuovo parroco della città, mentre Beatrice è una povera ragazza sfuggita a dei banditi».
La domanda successiva dello sceriffo confermò a Jake che la giovane non aveva parlato a nessuno del loro incontro: «A proposito, Jake…non è che tu ne sai qualcosa…?».
«No» rispose, lapidario «Non la conosco e non mi interessa. Ora, sceriffo, concludiamo velocemente questo contratto così ti levi di torno».
Sollecitato dal ticchettio impaziente della pistola di Jake, la lucertola concluse velocemente la transazione alla presenza anche di Moscardo, rientrato appunto per fare da testimone. Finalmente libero, Jake raggiunse finalmente Circe nell’alcova sul retro, dicendo a Rango che si sarebbe presentato domani all’entrata della città. Pensò persino di annunciarsi sparando a qualche insegna, come l’ultima volta.

 

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Capitolo 4
*** L'alloggio ***


Per me si va ne la città dolente
per me si va ne l’etterno dolore
per me si va tra la perduta gente.

Il pistolero mantenne la parola e si fece trovare all’ingresso della città già alle prime luci dell’alba. Alcune persone, principalmente agricoltori e bottegai, erano già usciti di casa. Fortunatamente, Jake non si era ancora avvicinato alle case, vedeva gli abitanti principalmente attraverso gli odori che captava con la lingua e il calore emanato dagli animali. Rango, tuttavia, non si vedeva da nessuna parte. Che diamine si era persino alzato presto quella mattina!
Seccato, ma non abbastanza da tornare indietro, cercò un riparo sotto cui riposarsi almeno un po’. L’unica cosa che trovò nel deserto arido e desolato, fu la piccola chiesa della città, attorniata da una selva di lapidi e quello che sembrava un giardino, in cui però stavano solo scheletri di piante. Non era un edificio molto grande, né particolarmente ben messo, dato che la croce del campanile pendeva pericolosamente verso destra. Al tetto spiovente mancavano diverse tegole e la vernice ocra si staccava a foglie in diversi punti della facciata. Un paio dei gradini antistanti il minuscolo portico, inoltre, avevano ceduto. Adiacente alla navata, stava poi un edificio dal tetto basso, all’apparenza un magazzino, viste le finestre piccole e sottili. Poco distante, invece, stava una casa molto grande, a misura di serpente. Probabilmente era la canonica. Non fosse stato per i fori di proiettile che bucherellavano il legno come un colabrodo, avrebbe potuto dirsi in buone condizioni.
Jake si acciambellò tra le proprie spire sul retro della chiesa, borbottando bestemmie e improperi vari, prima di chiudere gli occhi e godersi ancora per qualche minuto la frescura dell’ombra. Assaporò il silenzio, assoluto e immobile, sperando che Rango non gli avesse riservato un alloggio nel pieno di quella città popolata da fastidiosi roditori e parassiti come quella tartaruga invalida.
Quella quiete prima di una sparatoria o di uno scontro era ciò che Jake amava di più del deserto, ma proprio quando stava per scivolare nel sogno udì dei rumori provenire dall’interno dell’edificio. Con un cigolio lungo e fastidioso, la porta si aprì, ma non si udirono passi. La lingua del serpente a sonagli, che saettava fuori a ogni suo respiro, captò un odore familiare, fin troppo dolce e delicato per appartenere a un qualsiasi cittadino di frontiera. Nel giardinetto, infatti, apparve Beatrice, intenta ad armeggiare maldestramente con un rastrello e altri utensili contadini che cercava di tenere stretti tra le proprie spire. Era fin troppo ovvio che la signorina non aveva mai tenuto in mano un utensile da lavoro, ma allora che ci faceva lì?. Tentava di mettere in ordine i bastoni e le vanghe, appoggiandoli allo steccato senza farli cadere, ma muoversi tenendone alcuni stretti tra le spire le risultava difficile. Probabilmente l’attività più laboriosa in cui si era mai cimentata era stata lucidarsi le squame o truccarsi il muso. All’inizio cercò di ignorarla e continuare a sonnecchiare nell’attesa che quella lucertola si facesse viva. Dopo un iniziale tramestio di oggetti, la giovane femmina di serpente sembrò trovare il modo di sistemarli, appoggiandoli allo steccato antistante la chiesa. Jake la sentì mormorare qualcosa a proposito di un orto, ma lui non le dette troppa importanza. Voleva dormire un altro po’, prima che il sole gli rubasse anche quel fazzoletto d’ombra in cui si era accucciato. Ripassò la cantilena nella sua mente, per addormentarsi.

Sotto il sole del deserto
fuggon le ombre
di chi ha sofferto.
Senza pace, senza orme
vagheranno
tra sabbia informe,
finché un dì non troveranno…

Stava quasi per scivolare di nuovo nel sonno, quando un fracasso eruppe dal cortile della chiesa, riscuotendolo violentemente dal suo torpore. Subito dopo, una cascata d’acqua gli piombò in testa, inzuppandogli il cappello. Con un ringhio adirato si girò verso l’alto già con la pistola puntata, ma non vide nessuno, solo una finestra chiusa al mezzanino della chiesa. Stando a quanto diceva Rango, con Beatrice doveva vivere anche un prete…
Intanto, il suo brusco risveglio aveva fatto accorgere la giovane donna della sua presenza. Per la paura aveva lasciato cadere il rastrello. Jake incrociò per un istante i suoi occhi azzurri. L’attimo dopo, però, Beatrice fece per scappare di nuovo dentro la chiesa, ma il pistolero fu più veloce e con un sibilo saettò verso di lei. Si avvolse attorno al suo corpo, bloccandola prima che potesse arrivare al portico. La femmina di serpente si raggomitolò nelle sue stesse spire, già tremante di paura.
«Non ho detto niente…La prego mi lasci…! N-non ho detto niente…» ripeteva, con le lacrime agli occhi, quasi fosse una preghiera.
«Lo so che non hai detto niente, donna, altrimenti non saresti qui a parlare» disse, mentre la sua pistola ticchettava alle spalle di Beatrice, facendola trasalire «Spero però che sia stata solo del tuo amico l’idea di svegliarmi con una secchiata d’acqua… Oppure anche tu hai pensato bene di farmi uno scherzetto?».
«Io…non ho f-fatto…n… niente» pianse Beatrice. Guardava Jake negli occhi, pietrificata dal terrore e dalle fiamme che ardevano nelle iridi del serpente. «P…per favore… Mi l-lasci. S…s-siamo davanti alla casa di D-Dio…» uggiolò ancora, ottenendo solo di essere stretta più forte tra le spire di Jake.
«Sai quanto me ne fotte del tuo Dio» ringhiò lui «Ora dimmi chi c’è in quella dannata chiesa e fallo venire fuori. Oppure entriamo insieme, che ne dici?».
«Non ce n’è bisogno, tranquillo» fece improvvisamente una voce femminile alle sue spalle. D’istinto Jake si voltò verso la chiesa, puntando la pistola e scoprendo i denti in un sibilo minaccioso. Si trovò davanti una lucertola dal muso sottile e affilato, con un colore delle squame che non aveva mai visto nel deserto. Portava dei pantaloni attillati e una camicia bianca con sopra un gilet di pelle. I suoi capelli castani erano molto corti, tenuti alla maschietta.
Vedendo la sua pistola alzò le mani in segno di resa, avvicinandosi lentamente, mentre i suoi occhi castani passavano da lui a Beatrice.
«In mia difesa…» iniziò «Vorrei dire che non sapevo lei fosse lì, signor…»
Per un attimo Jake fu sorpreso ci fosse ancora qualcuno nella frontiera che non lo conoscesse, ma non tardò a presentarsi.
«Jake Sonagli, Mietitore del West, ricercato in tutta la frontiera» disse, non nascondendo un certo orgoglio mentre strisciava verso la lucertola e scioglieva Beatrice dalla sua stretta.
«Matilde Bettazzi, detta Tilde, per servirvi» disse quella, facendo anche una leggera riverenza «Chiarito il malinteso, adesso potrebbe anche lasciare la signorina Beatrice».
«Sennò che fai, piccoletta?» chiese beffardamente il serpente. Fece per avvolgere le proprie spire attorno a Tilde e serrarla nella sua trappola, ma lei fu più veloce. Con un paio di balzi gli montò sopra, arrivando alla stessa altezza degli occhi del serpente e rivolgendogli un sorriso strafottente. Nessuno era mai stato tanto rapido da sfuggire alla sua trappola e la cosa lo irritò non poco. Lasciò andare Beatrice per concentrarsi su di lei. Scoprì i denti nuovamente, lasciando che stillassero qualche goccia di veleno. Tilde deglutì a vuoto, ma l’istante dopo sferrò un violento calcio alla mandibola di Jake, che per poco non si graffiò con le sue stesse zanne. Tuttavia, la lucertola non riuscì ad evitare la sferzata della coda metallica del serpente, abbastanza forte da farla rovinare per terra. Mentre si massaggiava la tempia dolorante, anche Jake si tastò la mandibola, muovendola un po’. Dovette ammettere che quella piccola lucertola aveva carattere e l’espressione decisa che gli rivolse, mentre si rimetteva in piedi, lo confermò. Non estrasse alcuna pistola, per cui Jake non puntò la sua.
Tuttavia, sorrise sinistramente sotto il suo cappello, facendo tintinnare il sonaglio. Tilde invece si mise in posizione di guardia. Non aveva gli occhi da killer, ma sembrava aspettasse da tempo il momento di misurarsi in un corpo a corpo.
Prima che uno dei due potesse attaccare, uno sparo squarciò il silenzio. Beatrice sembrava scomparsa, ma non era stata lei a sparare. Lo sceriffo Rango stava avanzando a passi veloci verso di loro, attraversando il cimitero.
«Mi sembrava di esserci messi d’accordo diversamente» disse rivolgendosi al serpente a sonagli. Tuttavia, abbandonò presto il suo tono saccente vedendo lo sguardo carico di odio che questi gli rivolgeva. «Ehm» tossì, quando gli fu vicino «Volevo dire che non c’è bisogno di aggredire la signorina Matilde…».
«Ero sul punto di spiegarle perché mi chiamano il Mietitore» fece quello guardando di bieco la lucertola.
«Mi piacerebbe vederti provare» fu la risposta di Tilde, che abbozzò persino un ghigno.
«Io credo proprio di no, invece» irruppe d’un tratto la voce di padre Terence, uscito dalla canonica. Beatrice stava nascosta dietro di lui, come se cercasse protezione dietro il suo corpo grinzoso e non particolarmente robusto. «Nemmeno due giorni e già sei a fare risse, Tilde?» disse, mentre si avvicinava alla lucertola, in un tono quasi paternalistico.
«Ha attaccato per primo» protestò lei, ma l’espressione di ammonimento di padre Terence non vacillò.
«Padre, Terence» salutò lo sceriffo toccandosi il cappello «Perdoni il disturbo. Non era certo così che desideravo presentarle il suo ospite».
Bastarono quelle parole a far trasalire tutti tranne il prete. Beatrice in particolare sembrava sul punto di avere un mancamento. Fissava ora il pistolero, ora lo sceriffo come se sperasse di aver capito male. Jake non poté non condividere il suo sentimento di repulsione verso quel luogo e i suoi abitanti. Si avvicinò minacciosamente a Rango con la pistola già carica, facendo scattare il meccanismo della sicura. Lo sceriffo non fu da meno e anche lui sguainò presto la sua arma.
«Inizi a tirare un po’ troppo la corda fratello» sibilò minaccioso «Cosa ti fa credere che me ne starò buono qui per la durata del mio lavoro? Ti aspetti anche di vedermi a messa, piccolo pezzo di…?».
Fu costretto a interrompersi quando, con un unico gesto, fluido e veloce come lo scatto di una vipera, padre Terence sciolse il cinturone a delle sue cariche. A mo’ di lazzo la usò poi per avvolgere l’arma fissata alla coda del serpente, tirando verso di sé fin quasi a fargli male. Jake si voltò di nuovo a denti scoperti, avvolgendo il suo corpo in una esse mentre si preparava a colpire. Il prete però, non fece nemmeno tremare il voluminoso sonaglio, fissandolo con i suoi occhi placidi ma ancora vividi e per niente offuscati dalle cateratte.
«Nessun altro vorrà ospitarti in città e non c’è posto» disse semplicemente «La casa di Dio è aperta a tutti e non chiediamo niente in cambio, tanto meno che tu venga a messa. Puoi stare nella casa laggiù. C’è già un letto e una stufa funzionante».
Jake fu sul punto di rifiutare. I suoi muscoli erano ancora tesi e pronti a scattare verso il vecchio, apparentemente l’unico a mostrarsi tranquillo in quella situazione. Anche Tilde, infatti, era di nuovo in guardia e Rango non sembrava voler mettere giù la pistola, ancora puntata verso la sua nuca. Ormai Jake sapeva che era capace di uccidere e lui non era così stupido da rischiare un proiettile nel cranio per niente.
Il camaleonte dette la spinta decisiva a fargli abbassare l’arma. «Pensa all’ettolitro e mezzo di acqua, Jake» gli disse «Stanotte cominciamo le ricerche e se tutto va bene te ne andrai presto da qui. Non hai sete, fratello?».
Un altro breve attimo di esitazione, ma alla fine Jake cedette con un leggero ringhio di frustrazione. Abbassò la pistola e strappò via la sua cinghia dalla stretta di padre Terence. Rivolse allo sceriffo un’occhiata carica di odio. Alla prossima occasione del genere lo avrebbe stritolato tra le spire o affogato nel suo stesso veleno.
«Quando me ne andrò, mi porterò via un’anima di questa città» gli rammentò, serpeggiandogli attorno, prima di dirigersi verso la casa crivellata di pallottole.
«Magari sarà proprio la tua, vecchio, oppure quella della tua lucertolina» continuò, passando in mezzo ai due, prima di strisciare verso Beatrice. «O anche la tua» sibilò e lei trasalì. Tornò a respirare solo quando Jake ormai era quasi arrivato alla porta della stamberga, mentre Rango gli urlava il luogo e l’ora dell’appuntamento.

Spazio Autrice: Buona Pasqua a tutti anche se in ritardo! Spero che la quarantena non sia esageratamente noiosa per voi e che siate ugualmente riusciti a trascorrere le feste con i vostri cari. Un grandissimo bacione anche da parte di Paike! 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Fatemi sapere se avete delle perplessità e se vi piace come sto rappresentando Jake. Non è affatto facile fare dei cattivi ben costruiti, sapete?

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Capitolo 5
*** La processione ***


All’imbrunire, Jake uscì dalla catapecchia per raggiungere Rango e il resto del comitato di spedizione. Ovviamente si assicurò di avere la pistola già caricata e funzionante. Con tutta probabilità ci sarebbe stato bisogno di sparare a qualcosa, ma chi poteva dire se sarebbero stati gli abitanti stessi di Polvere o questa famigerata banda… A Jake alla fine importava poco.
Varcata la soglia, fu accolto dall’abbraccio freddo della sera. Non che la temperatura nella casa fosse gran che meglio. La stufa funzionava, ma c’erano spifferi ovunque, a causa dei numerosi fori di proiettile. A chi diamine era appartenuta quella stamberga? E come faceva a reggersi ancora in piedi?
Per raggiungere Rango, dovette passare di nuovo davanti alla chiesa e alla canonica, dove ancora qualche luce restava accesa. In una delle stanzette al piano terra, dietro al velo sdrucito di una tenda, non tardò a riconoscere il muso piccolo e affusolato di Beatrice, chino sul suo stesso sonaglio mentre recitava una preghiera. A lui giungevano solo mormorii confusi, una litania indefinita che sembrava carica di contrizione. In un primo momento gli venne da ridere pensando a cosa stesse dicendo: “Dio mio, perdonami per aver desiderato che quel fuorilegge mi prendesse in mezzo al deserto e mi portasse con sé all’inferno per farmi godere in eterno”. Tuttavia, poi sentì di avere l’amaro in bocca, ricordandosi i momenti in cui anche lui da bambino pregava. Pregava e prometteva a Dio cose sempre più grandi: di fare il bravo, di andare a messa tutte le domeniche, fino a farsi prete. Tutto purché Dio esaudisse quell’unico desiderio che aveva, la prima e l’ultima cosa che gli avrebbe chiesto.
Quando la luce nella canonica si spense, Jake si rese conto di essersi incantato chissà per quanto tempo e decise di passare rapidamente oltre quel luogo dove si venerava il nulla più assoluto. La sua preghiera inesaudita anni fa gli aveva dato prova dell’inesistenza di Dio.
Passò quindi oltre la Chiesa, strisciando nel deserto silenzioso come un’ombra. Poco lontano brillavano le luci soffuse della città, ma presto furono inghiottite dalle tenebre e rimase soltanto la luce effimera e distante delle stelle. Il serpente a sonagli si mosse producendo niente di più che uno strascichio delle sue stesse squame, stando quasi completamente disteso sul suolo fresco. La lingua biforcuta saettava fuori dalla bocca appena dischiusa con un ritmo irregolare, portandogli l’odore di Rango e di un pugno di animaletti piccoli e fetidi che lo circondavano. Avvicinandosi al grosso masso dietro cui erano appostati, Jake riuscì a percepire il loro calore, assieme a quello delle loro cavalcature. Esse sembravano già essersi accorte della sua presenza, poiché avevano preso a scalpitare innervosite. Il serpente percepiva la loro temperatura corporea aumentare sempre di più, mentre il loro cuore galoppava impazzito per la paura, che come un morbo contagioso si diffuse presto anche ai loro cavalieri, man mano che scorgevano la sagoma del serpente. Quando entrò finalmente nel cono di luce delle loro torce, il serpente si erse al di sopra di loro, apparentemente ignorando i fucili puntati contro di lui. La maggior parte di loro però tremava, incontrollabilmente, e Jake dubitava che sarebbero riusciti a colpirlo persino a una distanza così ravvicinata. Rivolse loro un sorriso sinistro da sotto il cappello, facendo tentennare la coda, e vide la loro temperatura salire ancora di più. Il grasso rospo alla sua destra, in particolare, sembrava sul punto di andare in ebollizione, con la pelle unticcia del suo stesso sudore.
«Va bene. Va bene. Ragazzi, giù le armi» intervenne Rango, facendosi largo in mezzo a loro e afferrando la canna di un vecchio topo barbuto e di un gallo spennacchiato. «Ve l’ho detto: Jake è qui per aiutarci con la banda e poi se ne andrà» cercò di rassicurarli.
«Con un’anima» precisò lui facendo scorrere lo sguardo su tutti i presenti, come se stesse scegliendo in quel momento, soffermandosi poi su un gufo imbellettato, con una tuba alta quasi più di lui stesso. Sembrava sul punto di deporre un uovo da un momento all’altro.
«Ancora non capisco perché vuoi affidarti a lui, sceriffo» mugugnò un gatto dalla voce profonda, mentre abbassava riluttante il fucile. Aveva delle vibrisse talmente folte da nascondergli quasi completamente le guance. Sputò a terra, ma non direttamente verso Jake, senza guardarlo negli occhi.
Rango non rispose, visibilmente a disagio. Farfugliò qualche parola incomprensibile. Jake non lo sapeva, ma il camaleonte stava cercando qualche bella parola da dire ai suoi amici per rassicurarli, vergognandosi però di farlo davanti a lui. Fu salvato dall’imbarazzo solo quando si udì il picchiettare di un bastone sulla roccia.
Solo in quel momento, Jake si accorse della sagoma nera di un corvo, ammantato da un poncho lungo fin quasi alle sue zampe. Stava in piedi ieratico a guardare l’orizzonte, immobile come il masso stesso. Jake lo riconobbe subito vedendo la stampella: gli aveva sparato qualche colpo prima del duello con Rango. Si sorprendeva che fosse ancora vivo.
«Loro qui» disse soltanto, animando di colpo l’intero comitato. Finalmente, pensò Jake, ansioso di sparare a qualcosa e chiudere la questione. Rango impartì degli ordini rapidi e risoluti al topo e al gatto, che girarono attorno al masso, guidando il resto della combriccola. La lucertola, invece, prese a scalare il masso per raggiungere il corvo, seguito dal Mietitore. Le lampade vennero lasciate assieme alle cavalcature.
«Sei, no sette talpe…» iniziò l’uccello indicando la distesa vuota davanti a loro, apparentemente insensibile alla vista del serpente «E un serpente, che non ha sonaglio. Trasportano carro grosso e pregano come in processione. Canti in lingua sconosciuta…io non capisco».
«E chi se ne frega!» esclamò il pistolero «Dimmi dove sono e faccio quello per cui lo sceriffo mi pagherà».
«Calmo Jake! Dobbiamo prima capire che cosa stanno facendo e perché…» iniziò la lucertola. Si sbagliava di grosso però se pensava di ammansirlo con tante belle paroline.
«Al contrario di te, sceriffo, a me importa poco del pezzo di sterco che si becca il mio proiettile. Perciò dimmi se vuoi il mio aiuto e non farmi sprecare tempo!».
In mezzo a loro, il corvo sembrava troppo concentrato sulla piccola carovana davanti a loro. Si erano avvicinati di qualche ramo al loro appostamento e Jake riusciva a scorgere le loro fiaccole risplendere in lontananza. A lui non importava gran che di partire alla carica da solo, anzi era persino un po’ curioso di sapere che tipo di serpente ci fosse insieme a quelle talpe.
«C’è qualcosa su carro… qualcosa di grosso…» mormorò di nuovo il corvo.
«Riesci a capire cosa sia?» gli chiese Rango, quasi con apprensione.
«Se non è un esplosivo io vado, mi prendo la mia anima e ti consegno gli altri» disse Jake facendo per scendere dal masso, ma bastò una sola parola per frenarlo di colpo.
«Falco» disse lo sciamano, facendo scorrere un brivido freddo lungo la schiena del serpente a sonagli. Si girò a guardare il falco, come sperando di aver capito male. Rango sembrava nella medesima situazione.
«T…trasportano un falco?» chiese lo sceriffo con una voce tremolante.
«No» rispose lui, prima di alzare il becco verso il cielo «Falco»
Proprio in quel momento si udì il suono che terrorizzava l’intero deserto del Mojave persino più della pistola di Jake. Un grido acuto e stridulo si levò sopra le loro teste, facendo raggelare tutto il comitato. Quando sentirono la corrente d’aria generata dalle ali del falco, i tre saltarono immediatamente giù dal masso, schiacciandosi contro di esso. Tutta la combriccola di animali accorse a spegnere tutte le lampade. Gli altri si costrinsero contro la pietra come se volessero nascondersi sotto di essa. Jake in particolare era avvolto nelle sue stesse spire, puntando la pistola verso il cielo in ogni direzione. Il cuore gli martellava nelle orecchie per la paura.
Vide l’ombra dell’uccello oscurare le stelle per una frazione di secondo. Sentirono il battito delle sue ali scendere verso di loro. I respiri si mozzarono, ma presto si accorsero che la bestia era passata oltre.
«Non vuole noi» sentenziò il corvo, mentre il rapace volava verso la processione che avevano scorto.

Spazio autrice: scusate per il ritardo. Tra scuola e quarantena sono un po' stressata e scombussolata quindi a volte mi è un po' difficile rispettare le scadenze che mi prefiggo. Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Fatemelo sapere <3

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Capitolo 6
*** L'offerta ***


Diverse lingue, orribili favelle
parole di dolore, accenti d’ira,
voci alte e fioche e suon di man con elle

Un istante dopo che il falco ebbe sorvolato la bizzarra combriccola e il battito delle sue ali si era ormai disperso nelle tenebre, trascorsero alcuni attimi di silenzio quasi religioso. Nessuno osò fiatare, né muoversi dal suo nascondiglio per spiare oltre il masso e vedere se la processione di sette talpe e un serpente era ancora laggiù.
Jake percepiva l’alta temperatura corporea degli animali attorno a lui, che nell’oscurità gli apparivano come tante macchie rosse calda come un forno. La paura aumentava la circolazione nel loro sangue, facendo galoppare i loro cuori come tanti corridori impazziti. Lui d’altro canto, non poteva dirsi molto più coraggioso, ma era grado del fatto che nessuno potesse vedere la sua espressione di puro terrore. Quello non era un misero scherzetto come quello fattogli dallo sceriffo Rango, avrebbe riconosciuto quel grido di morte tra mille. Solo sentirlo gli riportava alla mente il terrore di quando, da ragazzino, si era ritrovato prigioniero dei suoi artigli, che gli avevano dilaniato la carne e deturpato per sempre la coda, che ancora ricordava il dolore atroce di quel momento. Mai come in quel momento aveva desiderato morire.
Il sacro silenzio che era gravato sulla compagnia fu spezzato di colpo, quando un urlo atroce e primordiale eruppe alle loro spalle, oltre il masso. Jake era abituato a sentire la gente gridare di terrore, specie di fronte a lui, ma non aveva mai sentito niente del genere. Sembrava più un invasato che un qualsiasi altro animale di questo mondo. Dietro di esso un coro, potente e tonante come un canto in una cattedrale, tanto che Jake si stupì di riuscire a udirlo da quella distanza. A volte però il vento del deserto sapeva portare voci lontane e quella sera fece viaggiare fino alle orecchie del comitato quelle voci lugubri. La loro lingua non assomigliava a nessuna di quelle che Jake avesse mai sentito, nonostante nei suoi viaggi nel deserto avesse avuto modo di imparare qualche parola di spagnolo, francese e perfino tedesco, quanto bastava per comprare, minacciare e concludere affari.
“Che diamine stanno dicendo?” sussurrò il gufo con la tuba, nascosto dietro altre piccole rocce.
“Stanno invocando Satana!” squittì terrorizzato un drago barbuto alto sì e no quanto un bambino “Prenderà tutte le nostre anime!”.
“Se non fate silenzio giuro che vi ficco io un proiettile su per il culo!” sibilò velenoso Jake. La sua minaccia fu oltremodo efficace, come se tutti si fossero appena ricordati della sua presenza nel comitato. Improvvisamente, tuttavia, la cantilena si interruppe. Di nuovo, sul deserto gravò il silenzio o almeno all’apparenza. Tutti infatti, caricarono nuovamente le armi, mentre facevano scongiuri di ogni tipo, invocavano la protezione di Dio, come se da un momento all’altro la terra dovesse aprirsi in una voragine per le viscere dell’inferno. Più il tempo passava, più la tensione cresceva. Jake faceva continuamente saettare la lingua dentro e fuori dalla sua bocca, ma non captò né l’odore delle talpe, né quello del falco. Tuttavia, non osava muoversi dal suo nascondiglio, come se quel masso fosse la sua ancora di salvezza. Non aveva idea di cosa ci fosse al di là di quello scudo protettivo e l’ignoto era forse l’unica cosa che fosse capace di spaventare il pistolero. Se aveva un nemico contro cui puntare la sua pistola, non c’erano problemi, ma a lui non piaceva affatto sparare senza vedere il suo nemico, specie se quel nemico poteva essere un falco.
“Loro andati” proruppe d’un tratto uccello ferito, alzandosi in piedi e zoppicando con la stampella fino a ciò che restava del falò, per poi mettersi a trafficare con le pietre focaie. “Tutti andati. Falco, serpente e talpe” disse mentre una nuova fiamma si riaccendeva sulle vecchie braci, illuminando di colpo tutta la combriccola. Jake gli si avvicinò sospettoso. Il corvo girò appena la testa per guardarlo negli occhi, con un volto pacato e all’apparenza imperturbabile. Eppure, non era passato molto tempo da quando gli aveva sparato.
“Il falco non ha preso nessuno di loro” spiegò Uccello Ferito “ma andato via. Io sicuro anche se trova molto strano”.
“Cos’era quell’urlo?” si intromise Rango, senza nascondere un brivido di terrore al ricordo “E il canto?”.
“Io non so” proseguì Uccello ferito riattizzando il fuoco “Io capito solo alcune parole di canzone, ma è lingua che non conosco”.
“Magari lui sì” fece il gatto accennando a Jake “Che ne dici, demonio? Somigliava alla lingua che si parla dalle tue parti?”.
Mentre parlava stava già puntando il fucile verso il serpente, ma quello fu più veloce. Uno dei fori della sua pistola intrappolò immediatamente la canna del fucile del gatto. Con un rapido movimento glielo strappò dalle mani, mentre si avvolgeva con tutto il corpo intorno al gatto, serrando la presa così forte da strappargli un guaito strozzato.
“C’è una sola lingua che si parla all’inferno” disse continuando a stritolarlo “e ti assicuro che la capirai perfettamente”.
Sibilò a denti scoperti verso il gatto, facendo indietreggiare di un passo tutti i presenti. Il gatto annaspava tra le sue spire, ma Jake si assicurò che fosse abbastanza lucido da capire ciò che gli disse. “Provaci di nuovo a fare l’eroe e ti inietterò così tanto veleno nel corpo che il sangue non avrà più posto!”.
Concluse facendo scorrere una delle sue zampe ricurve sulle vibrisse folte del gatto, stillando una goccia di liquido giallognolo. L’attimo dopo lo sciolse dalla sua presa, srotolandosi rapido come il filo di una trottola. Il malcapitato piroettò su sé stesso prima di ricadere al suolo con il fiatone, mentre Rango e il rospo grassone gli si facevano accanto per aiutarlo. Di tutti i presenti in quel momento, l’unico che conservava un’espressione neutra era Uccello Ferito, gli altri invece osservavano il grande serpente con sguardi terrorizzati o rancorosi, tenendosi a debita distanza.

Fu deciso di aspettare l’alba per muoversi verso il luogo in cui era stata avvistata la processione. Di tracce però non se ne vide nemmeno l’ombra. Persino i loro odori sembravano scomparsi del tutto. Jake dovette ammetterlo: di tutti gli ingaggi che aveva avuto quello si stava rivelando il più strano.
Alla fine, quando ormai la frescura del mattino era quasi del tutto scemata, trovarono ciò che restava del carro. A giudicare dai segni di artigli e le assi dissestate, il falco vi si era avventato con forza, probabilmente attirato dalle luci della processione.
“Sembra si tratti solo di un tragico incidente” disse Rango arrivando alle sue stesse conclusioni “Ma perché non sono scappati allora? Il falco li aveva mancati; avrebbero potuto spegnere le torce e fuggire”.
Invece si erano messi a cantare… Jake aggirò il carro, annusandolo. L’unico odore nuovo che riuscì a captare, fu quello dell’incenso. Tutto il carro ne era impregnato. D’un tratto però notò una cosa strana: un grosso palo era fissato al carro, divelto su un fianco, e vicino a esso stavano anche alcuni frammenti di corda.
“Cosa c’era su questo carro?” gracidò il rospo, giocherellando con il sigaro nella sua bocca.
“Io non sa” ripeté ancora uccello ferito “Ma falco ha preso. Esso voleva”.
Cosa mai poteva volere un falco?
La risposta fu tristemente troppo immediata per tutti: una preda.

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Capitolo 7
*** La scuola delle risse ***


Entro mezzogiorno, tutto il comitato era già tornato in città. I membri stanchi e logori vennero accolti dalle loro famiglie, che subito li bombardarono di domande e offrirono loro letti comodi e pasti caldi. Tutti a Polvere erano stati molto in pensiero per i membri del comitato, non tanto per la spedizione in sé, quanto per il fatto che con loro ci fosse stato uno dei pistoleri più temuti del deserto.
Dal canto suo Jake strisciò di fretta verso la catapecchia, immusonito per come era andata la sera prima.
 Beatrice non uscì dalla canonica finché non fu certa che fosse rientrato nel suo alloggio. Non si azzardò nemmeno ad affacciarsi alla finestra e Tilde ebbe il buonsenso di fare lo stesso. Solo don Terence scostò leggermente una tendina per guardare il famigerato fuorilegge. Aveva uno sguardo pensieroso, ma per niente impaurito o spaventato, e seguì Jake finché quello non entrò nella stamberga sbattendo la porta malandata. Solo allora, Beatrice si azzardò a parlare: «L… lo avevate già incontrato, padre Terence?».
«Mhm?» fece il vecchio parroco, come se non avesse sentito la domanda. Gli ci volle qualche secondo per capire a chi si riferisse Beatrice. «Beh, non proprio…» rispose poi, continuando a guardare fuori dalla finestra «Non ci conosciamo direttamente ma… è una storia complicata e non voglio tediarti in un giorno così importante. Tilde ti sta già aspettando sul retro e, per favore Beatrice, dammi del tu. Troppi formalismi mi imbarazzano».
Lei fece un sorriso timido, non ancora abituata a tutta quella cordialità e assenza di etichetta che regnava nella canonica. Non che Tilde e don Terence fossero maleducati, semplicemente erano più… spontanei, ecco, liberi da tutte le briglie del galateo. A Beatrice questo non dispiaceva e si era subito resa disponibile ad aiutare i suoi nuovi amici in qualsiasi compito, per ripagarli della loro ospitalità.
Quel giorno, in particolare, avrebbe dovuto accompagnare Tilde in città, per dare un’occhiata alla scuola che avrebbe dovuto mettere in piedi.
Si congedò quindi da don Terence e raggiunse Tilde. Insieme si incamminarono verso Polvere, anche se Beatrice continuava a pensare alle parole del vecchio parroco: aveva conosciuto Jake in qualche modo? In che rapporti era con lui?
Il suo sguardo perso nel vuoto non sfuggì alla lucertola che le camminava a fianco, la quale chiese: «Ti vedo molto pensierosa, Beatrice. Tutto bene?».
«Ehm… sì sì» disse, per poi inventarsi qualcos’altro «Stavo solo pensando a dove potrei trovare un’altra sistemazione, in modo da non dovervi più dare fastidio nella canonica».
«Non dai affatto fastidio» la corresse Tilde con un sorriso «Comunque non hai ancora chiamato nessuno dei tuoi familiari, saranno preoccupati per te».
Calò un silenzio imbarazzante. In quei giorni Beatrice aveva cercato di raccontare il meno possibile sulla sua famiglia e la sua vita. Voleva risparmiarsi l’umiliazione di dire che, se anche avesse chiamato qualcuno, i suoi familiari di certo non si sarebbero scomodati a venire. Non per una come lei.
 In quel momento però doveva pur dire qualcosa a Tilde, quindi inventò: «In realtà… non ho nessuno da chiamare. Non ho altri parenti in vita… Scusa se non te l’ho detto prima.»
«Oh…» fece Tilde «Mi dispiace. Anzi scusami tu. Padre Terence ha proprio ragione a dire che ho la lingua troppo lunga».
In effetti… pensò Beatrice, rammentandosi della parlantina, talvolta volgare, che caratterizzava la lucertola muraiola. Era l’esatto opposto del modello di signorina mite e pacata nel linguaggio su cui avevano plasmato lei in collegio.
Non dissero niente per il resto del tragitto. Il caldo della giornata si fece presto sentire sulla loro pelle, che prese a cuocere come dentro a un forno. Non c’era nemmeno un alito di vento a rinfrescare un po’ le due, così, siccome Tilde si era dimenticata la borraccia, decisero di andare a bere qualcosa nel primo bar disponibile.
In realtà fu la lucertola a prendere l’iniziativa. Beatrice non era infatti entusiasta all’idea di entrare in un locale frequentato da chissà quali brutti ceffi. Tuttavia, stava morendo di sete. Aspetterò fuori mentre Tilde ordina, si disse.
Appena imboccarono la strada principale della città, però, fu costretta a cambiare idea. Al loro passaggio si udiva lo sbatacchiare delle porte e delle finestre di legno marcio, mentre i vicini parlottavano tra loro, additando le due ragazze in modi più o meno discreti. Presto però, entrambe si resero conto che il grosso dell’attenzione era per Beatrice.
«Non ne abbiamo già troppi di serpenti a sonagli?»
«Che sarà venuta a fare qui?».
«Anche il prete però è strano…»
«E se fossero in combutta col Mietitore?»
«In effetti sono stati loro a dargli alloggio…».
«Io per sicurezza dormo già col fucile sotto al letto…»
Beatrice si sentì avvampare per la vergogna. Avrebbe voluto spiegare che lei non voleva avere niente a che fare con Jake, ma Tilde le fece cenno di andare avanti e ignorarli. Tuttavia, era evidente che anche lei stesse ribollendo di rabbia, visto il modo in cui stringeva i pugni, affondandosi le unghie nei palmi.
Procedettero spedite verso il primo locale aperto che videro, fino a quando un sassolino non centrò in pieno la nuca della lucertola. Quella imprecò, girandosi per guardare in faccia il colpevole, o meglio i colpevoli. Uno stuolo di ragazzini prese infatti a ridacchiare dallo stretto vicolo tra due case. Tutti a parte una bambina, una topolina con due grandi occhi ambrati, vestivano abiti logori e decisamente troppo grandi per loro, con i pantaloni e le scarpe inzaccherati di fango. Le loro pellicce, invece, erano sbiadite dalla polvere di cui erano intrise e Beatrice si domandò da quanto tempo non facessero un bagno.
 Tilde si diresse a passi minacciosi verso la combriccola di vandali, senza che la sua compagna avesse il tempo di fermarla. Sul muso aveva un’espressione micidiale, che però non spaventò affatto i bambini.
 «Mi pare un modo un po’ maleducato di presentarsi alla vostra maestra» disse in tono freddo.
 «Prr noi non andiamo a scuola. Non ci sta nemmeno una scuola a Polvere!» le rispose uno dei piccoli con una pernacchia. Era un topolino basso, con l’occhio e il piede sinistro malamente fasciati e due prominenti incisivi che pendevano dalla mascella. I suoi capelli corti e sudici sembravano erbacce annerite.
«Beh, c’è adesso» rispose Tilde in tono asciutto, continuando a fissare i bambini «Stavo giusto andando ad aprirla».
«Tu sei una strana» disse la topolina con il vestito bianco. Aveva una vocina tranquilla e anche i suoi enormi occhi ambrati non lasciavano trasparire alcuna emozione. «Perché ti vesti da maschio?» domandò.
«Perché non mi piacciono le gonne» tagliò corto Tilde.
«Strano» ripeté la bambina «Se Jake o un altro serpente a sonagli ti mangia posso prendermi i tuoi stivali?».
Tilde la guardò come se le fosse spuntata una seconda testa e persino Beatrice fu raggelata da quella domanda.
«Ehm… No» rispose Tilde dopo qualche secondo, come se credesse di non aver sentito bene. «Comunque se mi tirate un altro sasso vi beccate tutti una nota» minacciò.
Un coro di pernacchie fu l’unica risposta che ottenne dai monelli, prima che girassero i tacchi per andarsene.
«Tanto noi non ci andiamo a scuola!»
«Sì! Troppo noioso e inutile!»
«E poi mia madre non vuole che stia vicino ai serpenti. Ha detto anche che non devo andare a messa visto che c’è Jake Sonagli…» concluse il bambino con l’occhio e il piede fasciato. L’ultima parte in particolare, la disse in tono decisamente più basso, guardandosi intorno come se temesse che solo il suo nome evocasse il temibile fuorilegge.
Tilde sbuffò sonoramente, dando un calcio alla pietra rimasta in mezzo alla strada.
«Prendiamo qualcosa da bere» bofonchiò a Beatrice, prima di raggiungere il porticato di un saloon proprio lì vicino. L’idea iniziale della ragazza di attendere la sua amica fuori, fu presto accantonata per via degli sguardi sospettosi e carichi di disprezzo che si sentiva addosso. I passanti e la gente affacciata alle finestre puntavano gli occhi contro di lei, qualcuno accarezzava persino la colt appesa alla fondina. Ma perché? Che aveva fatto di male lei?
Avrebbe voluto chiederlo, ma l’aria tarchiata di quei figuri la dissuase e decise di rimanere vicino a Tilde. Una volta all’interno del locale, però, la situazione non migliorò. C’era un silenzio irreale all’interno del locale, che pure era strapieno di gente. Un ventilatore cigolava malinconico sopra le loro teste, mentre un rospo puliva alcuni bicchieri al bancone. Non badò per niente a Tilde, appena sedutasi lì davanti. Come tutti i suoi clienti, anche lui fissava Beatrice con aria dubbiosa.
Ansiosa di andarsene, la giovane decise di prendere posto in un angolo buio del locale, vicino a quello che sembrava un palcoscenico ormai mal ridotto e divorato dai tarli. L’attenzione, tuttavia, rimaneva calamitata su di lei.
«Un bicchiere d’acqua e uno di succo di cactus» ordinò Tilde, spezzando il silenzio con non curanza.
Il rospo borbottò qualcosa, prima di preparare i bicchieri.
«Bene, bene, bene» fece improvvisamente qualcuno alla sua destra «Allora il misterioso garzone del parroco è in realtà una fanciulla…».
 Solo in quel momento le due nuove arrivate si accorsero dell’energumeno appoggiato a una delle colonne, intento ad aspirare un grosso sigaro. Era un mostro di Gila dalle squame smorte, vestito con una sudicia camicia piena di patacche. Il suo odore fece storcere il naso a Tilde, che tuttavia rimase seduta.
«Matilde Bettazzi» rispose, laconica, mentre quello si avvicinava.
«E che ci fai in un posto come questo tutta sola, Matilde?» le chiese spegnendo il sigaro nel posacenere.
«Non sono sola» lo corresse accennando a Beatrice.
«Bill, smettila» lo ammonì un gatto seduto lì vicino, intento a sorseggiare un liquido ambrato.
«Quella è un serpente a sonagli?» grugnì il tipo, mentre Beatrice cercava di stringersi nell’angolino più che poteva, terrorizzata dalla sua aria decisamente poco raccomandabile.
«Ovvio che no» rispose Tilde afferrando i bicchieri «Mi pare evidente che sia un centopiedi albino».
Bill le afferrò il braccio appena si alzò dalla sedia, intimandole di non fare la spiritosa. L’atmosfera nel locale divenne allora tesa come una corda di violino, mentre Beatrice osservava pietrificata. Sarebbe dovuta correre a chiamare padre Terence o lo sceriffo? Ma la porta era bloccata proprio da quell’energumeno, che peraltro aveva una pistola appesa alla cintura...
«Lasciala, Bill» fece di nuovo il gatto, alzandosi.
«Sempre a soccorrere le fanciulle indifese, Oliver?» fece quello, beffardo, prima che Tilde lo minacciasse a sua volta: «Leva subito la tua zampa dal mio braccio».
Da un lato, Beatrice si meravigliò del suo tono freddo e deciso, mentre sosteneva lo sguardo del mostro di Gila. Dall’altro però, si chiese cosa diamine le passasse per la testa.
«Sennò che fai, lucertolina?» le chiese in tono mellifluo. Prima che qualcun altro potesse intervenire, Tilde strisciò di un passo avanti, rovesciandogli i bicchieri addosso. Riuscì a distrarlo e sbilanciarlo quanto bastava per afferrargli il gomito. Con un unico, fluido movimento, si portò alle sue spalle, mettendogli l’altra mano, ormai libera, sul collo grasso. Girò su sé stessa trascinandosi dietro Bill, che a stento riusciva a mantenere l’equilibrio, poi gli dette una spinta, mandandolo verso l’uscita. Il mostro di Gila caracollò cercando di non cadere a terra, prima che Tilde gli assestasse un calcio proprio sul posteriore. A quel punto Bill andò a sbattere contro le ante che segnavano la porta del saloon, rovinando sulle assi di legno con la sua pancia flaccida.
«Tu! Piccola…!» ringhiò alzandosi e cercando convulsamente il manico della pistola, senza trovarlo.
«Cerchi questa?» domandò Tilde, osservandolo a braccia conserte. Appesa alla sua coda, stava proprio l’arma del mostro di Gila. «Facciamo che per ora la tengo io».
Bill le rivolse uno sguardo carico di odio. Alle spalle della lucertola, un coniglio con il pelo sudicio e una bombetta forata cercò di avvicinarsi di soppiatto, stringendo un coltello nella zampa. Beatrice se ne accorse appena in tempo per avvertirla, facendola scattare in automatico. Proprio mentre il braccio si alzava per assestare il colpo, Tilde si girò, facendo una mossa molto simile a quella usata contro Bill. Questa volta però, dopo aver sbilanciato il suo assalitore, la ragazza gli afferrò il braccio, fece una rotazione e costrinse in ginocchio il coniglio. Gli piegò dolorosamente la mano verso l’alto, costringendolo a mollare il coltello. Faceva forza con la spalla per impedirgli di alzarsi, premendo col pollice sul nervo vicino al gomito.
«Va bene, va bene! Mi arrendo mi arrendo!» gemette quello dopo qualche interminabile istante di dolore.
Tilde mollò bruscamente la presa, spingendo anche lui verso l’uscita. Gli altri due complici all’interno del locale lo seguirono in fretta.
Tutti i presenti fissarono attoniti la scena, non riuscendo a credere che quella straniera mingherlina avesse messo in fuga da sola quella banda di piantagrane. Non aveva nemmeno avuto bisogno di sparare per impartire al loro capo una lezione.
 Persino i bambini di poco prima avevano assistito al calcio nel sedere che aveva rifilato a Bill e ora la fissavano con occhi meravigliati.
Una volta preso finalmente il suo bicchiere e affidata la pistola a Beauford, affinché la consegnasse allo sceriffo, Tilde e Beatrice uscirono dal locale, sotto le occhiate incredule dei clienti.
«Maremma impestata, sudicia e ladra» sbuffò la lucertola, una volta di nuovo sulla strada «Possibile che tutte le volte mi tocca lo spaccone di turno?».
«Poteva essere pericoloso…» disse Beatrice, sorpresa dalla prima imprecazione della sua accompagnatrice «Ma che cosa intendi? Ti è capitato altre volte di…?».
«Di fare una piccola rissa?» finì per lei Tilde «Oh sì! Per ogni nuova città che visito c’è sempre quello che vuole allungare le mani, convinto che non sia capace di impedirglielo. Per favore, però, non dire a padre Terence che mi sono azzuffata di nuovo. Altrimenti mi tocca la predica».
Beatrice annuì. Trovava non poco disdicevole che una signorina come Tilde si comportasse così… da maschiaccio e attaccasse così spesso briga con gli sconosciuti. Tuttavia, dovette riconoscere che in quel momento, lei era il miglior chaperon che si potesse permettere, l’unica persona di fiducia in grado di proteggerla in quella città perigliosa.
Un pensiero germogliò spontaneo nella sua mente: e se fosse proprio per il suo carattere poco femminile che Tilde non era ancora maritata e viveva con padre Terence? D’altronde chi avrebbe accettato di mettersi in casa un simile peperino?
Ormai erano praticamente arrivate davanti al fatiscente edificio che avrebbe dovuto essere la scuola della città. Entrambe si meravigliarono del fatto che persino sulla sua facciata spiccassero fori di proiettile. Stando alle chiazze più chiare lasciate dalle lettere sul cornicione dell’edificio, in origine doveva chiamarsi Frederich Raymond School. Molte delle lettere, tuttavia, erano cadute ormai da tempo e l’edificio ormai era stato abbandonato alla decadenza.
«Mi sa tanto che avremo il nostro bel da fare per rimettere questo posto in sesto…» pensò ad alta voce la lucertola.
Con la coda dell’occhio si accorse poi dello stuolo di ragazzini di poco prima, radunati proprio accanto ai resti decrepiti della scuola. La studiarono qualche altro secondo con i loro occhietti vispi, prima che uno di loro, un gattino un po’ spelacchiato, chiedesse, tutto eccitato: «Come hai fatto a rubare la pistola a Bandito Bill?».
«Puoi farcelo rivedere?» chiese un altro «E’ stata la cosa più forte che abbia mai visto!».
«Tu rubi spesso alla gente?».
«Sei una fuorilegge come Jake?» chiese la topolina col vestito bianco, in tono assolutamente neutro «È per questo che lo ospitate in canonica?».
«Puoi fare di nuovo la mossa per torcere il braccio a qualcuno?».
Tilde fu pronta a frenare quell’ondata di entusiasmo: «Buoni, buoni, buoni!» disse «Quella che avete visto si chiama autodifesa, quindi no: non sono una fuorilegge e non rubo spesso alla gente».
I piccoli parvero non poco delusi dalla sua risposta e si lasciarono andare a diversi sbuffi e sospiri. Tuttavia, fu proprio allora che a Tilde venne in mente un’idea per radunare la sua prima classe di studenti.
«Però potrei insegnarvi» disse, sorridendo quando vide i musetti di tutti i bambini illuminarsi di speranza «A una condizione: dovrete venire a scuola e frequentare le mie lezioni dal lunedì al venerdì, dalle otto del mattino alle due del pomeriggio. Da quell’ora fino alle quattro, invece, io vi insegnerò autodifesa».
I bambini confabularono per un po’ tra di loro, scambiandosi diverse occhiate dubbiose.
«Prometto che non farò lezioni molto noiose» si affrettò ad aggiungere Tilde.
«Se non ci piace però ce ne andiamo» precisò la topolina col vestito bianco e la maestra annuì.
Beatrice invece era a dir poco sorpresa. Addirittura, Tilde voleva insegnare ai bambini come combattere? E poi a tutti, persino alle bambine! Che tipo di scuola voleva mettere in piedi?
La risposta la scioccò ancora di più quando i piccoli le chiesero il nome del loro nuovo istituto di educazione e lei rispose, con un sorriso furbo: «Fray School».
La scuola delle risse. Infatti, per una strana coincidenza, le lettere ancora appese al cornicione, indicavano proprio questo bizzarro nome.

Spazio autrice: Sorpresa sorpresona! Finalmente sono tornata! Scusate se sono stata via tanto tempo, ma la preparazione all'esame di stato ha richiesto tutta la mia attenzione e le mie energie. Adesso però sono finalmente tornata (dopo aver portato a casa un bel numero a tre cifre) e pronta a rimettermi in carreggiata! 
In questo capitolo forse Beatrice vi starà un po' antipatica, ma il fatto è che sto cercando di rappresentare anche la sua mentalità, in qualche modo figlia del tempo e del luogo in cui è vissuta. Non è detto che rimarrà così fino alla fine, ma vedremo!
Di Tilde che ne pensate? Un bel peperino che si è già inimicata Bill e la sua cricca! Ho la sensazione che tra lei e Jake voleranno scintille!
Ci sentiamo per il prossimo capitolo!

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Capitolo 8
*** Te Deum ***


Così sen vanno su per l’onda bruna,
e avanti che sien di là discese,
anche di qua nuova schiera si aduna.

Per il resto della giornata, Jake non ricevette nessuna nuova disposizione da Rango, ma d’altra parte era molto meglio così. Gli sarebbe toccato restare più tempo di quanto desiderasse in quella stupida città, ma per quella giornata l’unica cosa che voleva fare era dormire. Poiché l’alcol lo disgustava in una maniera viscerale, il sonno era l’unico metodo che conosceva per dimenticare le brutte nottate come quella. Il solo ricordo di quel falco bastava a fargli torcere le budella. Era sbucato di colpo dalle tenebre, come se le talpe e il serpente lo avessero evocato con quel canto lugubre.
Il fuorilegge dormì durante le ore più calde della giornata nella stamberga, chiudendo porte e finestre in modo che entrassero solo sottili raggi di luce. L’afa, tuttavia, si fece ugualmente sentire e l’aria satura all’interno dell’abitazione non era certo un aiuto. L’unico lato positivo era il letto comodo, anche se non poteva competere con quello nell’alcova di Circe.
Quando il sole cominciò a calare, Jake si degnò di uscire all’aperto, per assorbire un po’ di calore, acciambellato su sé stesso. Con la coda dell’occhio vide la lucertola e Beatrice rientrare in canonica dalla città. La giovane femmina di serpente, vedendolo, strisciò più veloce all’interno dell’edificio, facendo sbuffare Jake.
Tilde, invece, lo fissò per tutto il tragitto lungo il sentiero tra le tombe storte del cimitero, mantenendo la sua andatura. Il serpente si tenne pronto a scattare. Se voleva prendersi la rivincita. non si sarebbe fatto problemi a mostrarle da cosa derivava il suo titolo di Mietitore. La lucertola però non disse né fece niente e dopo poco tempo raggiunse Beatrice nella canonica. Era evidente che nessuna delle due moriva dalla voglia di averlo intorno. L’idea di ospitarlo doveva essere stata solo del prete, anche se Jake non ne capiva il motivo. Forse anche lui voleva chiedergli un favore.
Non si sarebbe sorpreso più di tanto. Negli anni aveva incontrato la peggiore feccia del deserto e di essa facevano parte molti più preti di quanti avrebbero potuto credere i bigotti delle loro parrocchie. Aveva visto le offerte andare dappertutto tranne che ai poveri. Magari quel Terence se li era persi a poker e si era anche indebitato…
 Tuttavia, Jake aveva già abbastanza lavoro per i suoi gusti. Se il parroco voleva sfrattarlo perché non voleva accettare doveva solo provarci.
Rientrò nella stamberga all’imbrunire, quando la terra sembrava diventare rossa come la corolla di luce che si creava attorno al sole. Le ombre si allungavano sempre di più come dita di demoni sulla piana arida, perdendo man mano la loro forma fino a fondersi in un’unica tenebra.
Era il momento perfetto per andare a caccia.
Jake stava giusto finendo di controllare la sua pistola e le munizioni quando, di colpo, sentì bussare alla porta.
«Ancora non capisco perché tocca a me farlo…» sentì bofonchiare. Era la voce di Tilde. Un sorriso si disegnò sul volto del pistolero. La serata si faceva più interessante del previsto.
«Sei venuta a chiudere i conti, ragazzina?» fece, mentre si avvicinava alla porta, con il ticchettio della sua pistola.
«In realtà…» rispose quella proprio mentre lui spalancava la porta «Sarei venuta a portarti la cena».
Eh?
Solo in quel momento Jake percepì l’odore di cibo caldo proveniente dal fagotto che Tilde stringeva tra le mani. Vedendo il suo muso a un pelo dal proprio, quella era arretrata di qualche passo sotto il portico scricchiolante. Tuttavia, gli allungò lo stesso la cena che aveva portato.
Era una specie di scherzo? Oppure cercavano di avvelenarlo? Lanciò un’occhiata torva alla lucertola davanti a lui, per poi brontolare: «Con chi credi di avere a che fare? Mi hai scambiato per uno di quegli accattoni a cui fai l’elemosina?!».
«Ti è andato di traverso il veleno, per caso?» lo rimbeccò prontamente Tilde.
«Non mettere alla prova la mia pazienza o te lo faccio assaggiare il veleno» sbraitò Jake.
Tilde arretrò di un passo. Tuttavia, aveva lo stesso sguardo del loro primo scontro. Voleva combattere di nuovo e di certo lui non glielo avrebbe negato.
«Tilde, ferma!» gridò Beatrice disperata. Quando sentì addosso lo sguardo di Jake, si coprì immediatamente la bocca, rimpiangendo di essersi tradita. Uno scialle di lana copriva la parte alta del suo corpo, mentre con la coda reggeva una lampada. Era rimasta in disparte ma fino a quel momento non l’aveva ancora notata.
«Vi siete portate dietro tutta la dannata parrocchia?» ringhiò quello rivolto a entrambe.
«N…noi volevamo solo…» disse Beatrice, cercando di parlare abbastanza forte da farsi sentire «portarti da mangiare… Ce lo ha chiesto padre Terence…».
Ancora quel prete? Che diavolo voleva da lui? Tante attenzioni iniziavano a infastidirlo. Se proprio voleva chiedergli un ingaggio, sarebbe dovuto venire lui stesso invece di mandare le sue protette.
«Meglio che ce ne andiamo Beatrice» fece Tilde girandosi per andarsene «Ce la mangiamo noi la ribollita».
Discese i gradini del portico per poi avvicinarsi alla compagna, ma Jake la sentì ugualmente borbottare: «’Sto stronzo…».
A quel punto emise un sibilo rabbioso, uscendo a sua volta dalla stamberga con la coda che ticchettava furiosa in avvertimento.
«Ripeti un po’ se ne hai il fegato» ringhiò minacciosamente «Odio quando la gente borbotta come se non sentissi. Specie se si tratta di una ragazzina fastidiosa».
Vide la bocca di Tilde aprirsi per rispondergli a tono, ma di nuovo arrivò il prete in soccorso. Si udì il tremolio del suo voluminoso sonaglio, mentre quello strisciava un po’ affaticato sul terreno fresco per la sera. Rivolgeva a Tilde un’espressione severa e di rimprovero, sotto la quale lei chinò immediatamente il capo.
«Ti avevo detto di non attaccare briga» disse semplicemente.
«La tua lucertolina sta diventando una spina nel fianco» fece ancora Jake.
Vide quella rivolgergli un’occhiataccia e per risposta sibilò minaccioso. Forse avrebbe dovuto finalmente spiegarle perché lo chiamavano il Mietitore.
«Purtroppo, la calma non è annoverata tra le virtù di Matilde» disse padre Terence in tono perentorio mettendosi in mezzo ai due «Ma posso assicurarla, signore, che le nostre intenzioni erano buone. Non avevamo lasciato cibo nella casa e abbiamo pensato di portarle qualcosa».
Il suo tono era saldo come al loro primo incontro, quando gli aveva rubato il cinturone delle cariche, cosa che insospettì Jake. I pochi che non se l’erano fatta sotto trovandoselo davanti avevano una pistola da puntargli, ma il parroco era disarmato, almeno all’apparenza. Si vedeva che era troppo vecchio per un combattimento corpo a corpo e la sua lucertolina, per quanto brava, non poteva competere con un serpente venti volte più grande di lei.
«Spero che vorrà accettare il nostro piccolo presente» disse ancora padre Terence, porgendogli di nuovo il fagotto. Il panno avvolgeva una grossa zuppiera che emanava un odore di verdure, pane e legumi bolliti. Jake non sentiva altri odori, ma ugualmente non si fidava.
«A che gioco stai giocando, vecchio? Sai, gli ultimi preti che hanno provato a farmi fuori non hanno avuto molta fortuna…» brontolò ancora guardandolo negli occhi.
Beatrice deglutì con un’espressione inorridita a quelle parole.
«Mi limito a essere altruista, signor Jacob» rispose il parroco in tono neutro.
Jacob? Nessuno lo chiamava così da una vita. Ormai per tutti gli abitanti del deserto lui era Jake Sonagli e nessuno si era mai azzardato a chiamarlo diversamente. Poi signor Jacob… Tanta formalità lo infastidiva come la polvere tra le squame.
«Prendi il tuo altruismo, quella zuppa, le tue protette e levati di torno!» fece ancora il pistolero, innervosito.
«Posso garantirle che il cibo non è avvelenato» insistette ancora padre Terence, prima che Beatrice lo chiamasse, indicando un punto all’orizzonte.
«Padre… sta arrivando qualcuno. Laggiù. Vede quelle torce?» chiese titubante la ragazza, assicurandosi di non incrociare mai lo sguardo di Jake. All’orizzonte, da nord, le luci di alcune torce si stavano lentamente avvicinando alla chiesa. Si potevano vedere le chiome bionde delle fiaccole tremolare, mentre avanzavano a due a due, e sentire i loro portatori intonare una litania lugubre e cadenzata.
«Spegni la lampada» ordinò immediatamente Jake a Beatrice, non tardando a riconoscerla.
Lei sembrò non capire e prima che potesse chiedergli il perché di quel comando, Jake era già strisciato verso di lei per strapparle la lampada. Vedendolo correrle incontro, Beatrice aprì la bocca per cacciare un urlo, ma Jake fu più svelto: la strinse tra le spire, serrandole la bocca con la punta della coda prima che la voce potesse uscire.
«State zitti o siamo morti!» sibilò a bassa voce, mentre Beatrice si irrigidiva per la paura. Tilde si mise prontamente in posizione di guardia, ordinando al serpente di lasciare l’amica.
«Ho detto zitti!» sibilò ancora Jake. Perché erano così dannatamente stupidi da non ascoltarlo?
«Jacob, che sta succedendo?» chiese padre Terence in tono urgente, quando ormai lo sciame di fiaccole aveva quasi raggiunto la chiesa. Ancora qualche secondo e li avrebbero notati…
«Nella stamberga» ordinò lui secco, accennando alla chiesa «Entrate o io sarò l’ultimo dei vostri problemi».
Il canto possente di quella processione ormai si era fatto molto più forte, una sequela di parole sconosciute pronunciate con un timbro possente. Ormai Jake ne era sicuro, era la stessa tetra melodia che aveva preannunciato l’arrivo del falco esattamente una notte prima. Non poteva farsi cogliere in un luogo scoperto.
Finalmente anche Tilde e Padre Terence si resero conto che quella non era gente che conoscevano e accettarono di seguire Jake all’interno della stamberga. Per non rischiare che le scappasse un urlo, il serpente continuò a tenere stretta Beatrice, anche quando furono all’interno della casa. La sentiva tremare e respirare a fatica contro le sue squame.
«Sta calma» le disse burbero, spiando la processione fuori dalla finestra «Datti una calmata o finirai per farci uccidere tutti».
Non capiva tutta quella paura. Mica le aveva puntato contro la pistola. Inoltre, se non avesse provato a urlare, lui non sarebbe stato costretto a stringerla in quel modo.
Beatrice tuttavia non dava segno di tranquillizzarsi, limitandosi a serrare le mascelle per soffocare altri versi. Fuori dalla finestra, intanto, si riusciva a scorgere una processione di sette talpe incappucciate. In testa a essa, era riconoscibile la sagoma slanciata di un serpente. Aveva ragione il corvo, non era un serpente a sonagli: la sua testa era tonda invece che larga e appiattita e il resto del corpo sembrava molto più slanciato e sinuoso. Nella penombra, Jake non riusciva a scorgere il colore della sua livrea, ma vedeva che era grosso quanto lui se non di più.
«Beatrice» sussurrò a un certo punto padre Terence «Devi calmarti. Va tutto bene, sta tranquilla. Fa qualche respiro profondo. Inspira. Espira. Inspira ed Espira».
La giovane donna fece come le veniva chiesto, facendo sentire il suo respiro caldo sulle squame di Jake. A poco a poco smise di tremare, sforzandosi di fare come le avevano detto e calmarsi.
«Ecco, così figliola» le bisbigliò ancora il prete «Non devi avere paura. Il signor Jacob sta solo cercando di aiutarci».
Come se non ci credesse, Beatrice rivolse i suoi occhioni azzurri al pistolero, continuando a fare respiri profondi. Lui conservò un’espressione distaccata, lasciando intendere che non avrebbe continuato a rassicurarla nemmeno per scherzo. Lei però sostenne quello sguardo, ormai quasi del tutto calma.
Allora forse le è cresciuta un po’ di spina dorsale, pensò Jake.
«Tieni la boccuccia chiusa» le intimò infine, prima di lasciarla andare da padre Terence, che l’accolse in un abbraccio.
Suo malgrado, a quel punto Jake sentì il freddo pungente della notte sulle squame, mentre tendeva l’orecchio alle strane parole che cantava quella strana combriccola. Ma che diamine ci facevano davanti alla chiesa.

Iudex crederis esse venturus
In te Domine speravi
Non confundar in aeternum
Salvum fac populum tuum.
Iudex crederis…


«Sono canti gregoriani» bisbigliò a un certo punto Tilde, anch’ella affacciata alla finestra, mentre padre Terence stava ancora rassicurando Beatrice. Vedendo l’espressione confusa di Jake si affrettò ad aggiungere: «Antichi canti religiosi scritti in latino. Oggi li usano solo i cattolici».
«Riesci a capire cosa dicono?» chiese Jake e subito la lucertola iniziò a tradurre: «O Giudice, crediamo che verrai. In te speriamo Signore. Non resteremo confusi in eterno. Salva il tuo popolo… Questo è il Te Deum»
«Riuscite a vedere cosa stanno facendo?» chiese padre Terence, ma loro scossero la testa.
Jake divenne teso come una corda di violino, gettando rapide occhiate dal cielo, aspettando di scorgere l’ombra del falco. Tuttavia, quella sera stranamente non la vide.
Una delle talpe si avvicinò alla porta della canonica con un secchio e quando tornò indietro anche il resto della processione se ne andò, sparendo di nuovo nelle tenebre da cui erano venuti.
«Aspettate qui» ordinò Jake, dopo qualche istante, per poi uscire dalla stamberga e andare a vedere. Strisciò circospetto nella notte buia. Non c’era nessuna luce se non quella fredda e distante delle stelle, ma lui riusciva ad orientarsi grazie alla lingua, che captava gli odori di ogni oggetto circostante. Sentiva l’odore delle sette talpe che erano state lì, mentre quello del serpente era mascherato da quello più fastidioso dell’incenso.
Arrivato davanti alla canonica, tuttavia, ne captò uno molto diverso. Sentendolo, non riuscì ad evitare un brivido di paura che gli corse lungo la spina dorsale. Il sangue copriva l’arcata della porta e delle finestre.

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Capitolo 9
*** Offerta di pace ***


La sesta compagnia in due si scema:
Per altra via mi mena il savio duca,
fuor della queta, ne l’aura che trema.


Padre Terence non aveva tardato un secondo a chiamare lo sceriffo e gli altri membri del comitato, ora radunati davanti alla canonica e intenti a studiare il sangue rappreso sopra le porte e le finestre.
Beatrice, stretta nel suo scialle di lana, si stava facendo per la miliardesima volta il segno della croce, cosa che cominciava a infastidire Jake. Nemmeno lui però era del tutto tranquillo. Che fosse un’esca per attirare il falco? No, impossibile. Gli uccelli non avevano un olfatto sviluppato quanto quello dei serpenti. Si affidavano prevalentemente alla vista… Motivo per cui quel relitto con una freccia infilata nell’occhio poteva considerarsi già morto.
«Si è capito che tipo di sangue è?» chiese il pennuto, con una voce da malato ai polmoni. Jake si meravigliava del fatto che si reggesse ancora in piedi.
«No» disse Rango. Aveva un’espressione corrucciata, come se stesse pensando. Il serpente a sonagli aveva imparato a proprie spese che lo smilzo sapeva usare bene il poco cervello che aveva nel cranio.
«E temo non lo scopriremo mai, ora che si è rappreso» proseguì, girandosi poi verso gli occupanti della canonica. Il resto del comitato si teneva a debita distanza dai serpenti a sonagli e qualcuno accarezzava persino l’impugnatura dell’arma per farsi un po’ di coraggio. Che uno di essi fosse un uomo di chiesa e il loro nuovo parroco non sembrava avere molta rilevanza.
«Padre Terence, ha idea di chi possa essere stato? Ha avuto degli attriti con qualche membro della sua precedente parrocchia?» chiese lo sceriffo, senza dar segno di essere altrettanto spaventato.
«Lungi da me voler accusare qualcuno, sceriffo, ma è molto facile per un serpente avere degli attriti anche con persone alle quali si mostra pacifico» disse in tono neutro il vecchio serpente, guardando con la coda dell’occhio gli altri animali. «Tuttavia» proseguì «Credo che questo gesto nasconda ben altro di una vendetta personale contro di me».
«Ovvero?» gracidò il rospo, cercando di sistemarsi la camicia nei pantaloni. Come tutti gli altri si era alzato di corsa per accorrere con il suo fucile, appena sentito che la setta era stata di nuovo avvistata.
«È un riferimento alla Bibbia» proseguì il prete «Più precisamente all’ultima delle piaghe d’Egitto, ovvero i primogeniti strappati ai genitori dalle braccia di un angelo…».
«E che c’entra con il sangue?» chiese burbero Jake, il quale voleva risparmiarsi una lezione di catechismo.
Fu Tilde a rispondere, con sufficienza: «Perché Dio ordinò ai suoi fedeli di spargere il sangue di un agnello nero sopra le porte e le finestre, in modo che i loro figli non fossero toccati dall’angelo della piaga».
Calò il silenzio per qualche istante, mentre tutti fissavano il sangue sulla canonica alla luce tremolante delle torce.
«Stai dicendo che la setta vorrebbe… proteggervi?» chiese Jake, pensieroso. La sua lingua sibilò e saggiò l’aria un paio di volte ma senza che lui potesse capire che tipo di sangue avessero usato sulle porte.
Gli altri membri del comitato sembrarono scettici tanto quanto lui a quella teoria, pur non essendo in grado di formularne un’altra. Tutti però erano d’accordo sul fatto di non voler rimanere così esposti, di notte, un secondo di più. Bastava un alito di vento per far raggelare loro le squame e drizzare ogni pelo. Per quel che ne sapevano, sulla loro testa poteva incombere anche più di un falco.
«Non sarebbe una teoria poi tanto assurda, anche se non capisco da cosa esattamente vorrebbero proteggerci…» proseguì padre Terence «Quando sono arrivati stavano intonando il “Te Deum”. Tilde ha riconosciuto subito il testo. Pertanto, non credo sia strano che si richiamino a episodi dei testi sacri».
Dal comitato si levò un coro di brusii, mentre i membri prendevano a discutere animatamente su quanto fosse giusto o no fidarsi delle parole di un serpente. In molti pensarono fosse saggio allontanarsi da quella canonica maledetta. Anche se non lo dissero apertamente, per timore di essere uditi, Jake sapeva che sospettavano di un coinvolgimento di Padre Terence con la setta. Dopotutto con le sette talpe c’era un serpente e non serviva che fosse della stessa specie del parroco: per loro tutti i serpenti erano creature maligne.
«Direi che per stanotte può bastare» disse improvvisamente Rango, zittendoli «Torniamo a Polvere e domattina seguiremo le tracce della setta… per vedere dove portano».
Dopo di che si rivolse a Tilde, mostrandole un sorriso affabile: «Signorina Matilde, spero non le dispiacerà venire con noi. La sua conoscenza delle scritture e degli inni religiosi potrebbe tornarci utile».
Lei annuì, accettando serenamente, ma Jake ebbe la sgradevole impressione che gli rivolgesse un’occhiata eloquente. Sarebbero stati costretti a passare più tempo insieme di quanto volevano ed era scontato che prima o poi il vecchio scontro sarebbe ripreso.
Si udì l’improvviso sferragliare delle ruote di un carro e dopo poco comparve Doc, il coniglio con un orecchio mozzo che faceva da dottore a tutta la città. Non era ubriaco ma nemmeno completamente sobrio, a giudicare dal dirompente odore di alcol che infastidì Jake.
«Sceriffo!» biascicò fermandosi poco davanti a Rango «Devi tornare subito in città…».
«Che succede?» chiese il camaleonte, in un tono che lasciava trasparire la sua preoccupazione.
«Ehm…» fece il coniglio, guardando titubante il mercenario vicino alla canonica. Jake si sorprese; cosa volevano tenergli nascosto quegli animaletti?
Dopo qualche tentennamento alla fine Doc disse, con voce impastata dal succo di cactus: «Riguarda quella faccenda».
Gli occhi di Rango si spalancarono e salì subito sul carro, accanto a Doc.
«Signori, scusatemi ma ho un’emergenza e devo scappare in città. Ci rivediamo domani per la nuova spedizione» disse rapidamente, prendendo subito le redini del cinghiale e facendolo voltare verso Polvere.
«Come mai adesso hai il pepe sul culo, smilzo?» fece Jake, avvicinandosi appena al carro. Il cinghiale grugnì per il nervosismo e qualcuno nel comitato fece scattare la sicura.
«N-niente, Jake» rispose il camaleonte, evitando il suo sguardo.
«Ha l’aria di essere qualcosa di importante…» continuò il serpente, con un mezzo sorriso «Stai pensando a un modo per disfarti di me una volta finita questa storia?».
«Puoi stare tranquillo» tagliò corto Rango «Non è niente che ti riguardi».
Spronò il cinghiale a partire prima che lui potesse dire altro. Jake ipotizzò allora che c’entrasse quella contadinotta testarda che lui aveva minacciato l’ultima volta. Com’è che si chiamava? Qualcosa come un ortaggio forse…
In ogni caso, anche il resto del comitato non tardò a disperdersi e tornare alle proprie case, senza rivolgere mezza parola a padre Terence e alle sue protette. Persino il mercenario si diresse verso la sua stamberga; col cavolo che andava a caccia con quei pazzi e i loro dannati falchi nei palazzi! Meglio fare la fame per una sera che venire divorato a sua volta.
Era praticamente arrivato al portico, quando udì la timida voce di Beatrice alle sue spalle: «Mi scusi…».
Si girò di scatto, facendola sobbalzare. Il suo sonaglio tremava lievemente, mentre lei si acquattava al suolo come nel loro primo incontro.
«Che vuoi?» fece lui, appena irritato.
«Non volevo disturbarla, mi perdoni, ma…» mormorò piano, prima di accennare alle proprie spire «Ha dimenticato questa».
Gli porse di nuovo la zuppiera con la cena che gli aveva portato Tilde. Il mercenario la fissò torvo. Era forse dura d’orecchi? Aveva già spiegato alla sua amica che non voleva la beneficienza di quel parroco. Tuttavia… era incuriosito dal fatto che fosse venuta proprio lei e non padre Terence o la sua esuberante lucertola.
«Mi vuoi forse ringraziare per non essermi beato di te?» le chiese in tono provocatorio. Lei avvampò come se le avesse detto chissà quale sconcezza, abbassando lo sguardo. Ecco perché non c’era gusto ad andare con una signorina come lei.
«N…no… c-cioè le sono grata per ciò che ha fatto, ma… padre Terence ha insistito tanto per offrirle la cena» balbettò.
Il mercenario si fece più vicino, tanto da sentire il calore delle sue squame lisce. Gli occhi azzurri di Beatrice erano fissi sulla zuppiera.
«E perché sei venuta tu, allora?» chiese, ansioso di concludere quella manfrina. Scosse la coda, facendo sferragliare la sua protesi mortale per sollecitare la ragazza a rispondere.
«P…padre Terence non voleva che tu…lei e Tilde vi azzuffaste come l’ultima volta» disse infine, porgendogli di nuovo la cena. «Non è avvelenata…glielo garantisco. Tilde ne ha fatto una grossa pentola per tutti e…ed è molto buona».
In effetti, nonostante si fosse raffreddata dopo tutto quel tempo, Jake poteva ancora sentire l’odore delle verdure e i fagioli bolliti, insieme a qualche spezia. Sentì un crampo allo stomaco e l’acquolina formarsi nella sua bocca. Decise che avrebbe accettato quell’offerta di pace da parte del vecchio parroco, ma prima voleva estorcere qualche altra risposta a Beatrice.
«Come mai il parroco ci tiene tanto a farmi mangiare?» le chiese, ma la sua risposta fu una scrollata di spalle.
«Ama i tuoi nemici, dice il Signore» rispose lei in maniera quasi diplomatica.
«E ogni malizia è nulla di fronte alla malizia delle donne» la rimbeccò lui, lasciandola sorpresa.
«C-conosci le sacre scritture?» gli domandò.
«Quanto basta per sapere che sono tutte stronzate» le rispose rudemente, prendendo la zuppiera «Ora sarà meglio che tu torni a dire le tue quaranta Ave Maria prima di commettere peccato col sottoscritto».
Si girò per tornare alla stamberga, ma una risposta scattante e inaspettatamente decisa di Beatrice lo sorprese: «Le preghiere mi hanno salvato dalle grinfie di Edward».
«Ah davvero?» le rise in faccia Jake «Credevo di essere io quello che si è giocato lo stipendio e non si è nemmeno divertito un po’ con te».
Beatrice indietreggiò al suo tono appena minaccioso, guardando i suoi occhi fiammeggianti con espressione atterrita.
«Fossi in te starei molto attento a non farmi rimpiangere questa decisione. Chiunque altro ti avrebbe come minimo scaricato in un fosso con un buco in testa. O magari ti avrebbe posseduta fino a romperti la schiena» continuò, mostrando appena le zanne «Dovresti ringraziare la mia di misericordia. Se anche il tuo Dio esiste se ne sbatte di te».
«Lei…si sbaglia» provò a resistere Beatrice, sempre più schiacciata contro il terreno. Jake vedeva già i suoi occhi lucidi, ma non se ne curò minimamente, permettendosi anzi di rivolgerle un sorriso sghembo.
«Certo, continua pure a fare l’angioletto timorato di Dio…» le disse, con uno sguardo che sicuramente avrebbe inteso come lascivo «Sappi però che anche io conosco modi per farti vedere sia l’Inferno… che il Paradiso».
Beatrice trasalì sonoramente, fissandolo atterrita, prima di scappare verso la canonica. Da come strisciava veloce sembrava che credesse di avere il mercenario alle calcagna, mentre lui invece rientrava nella stamberga con un sorriso soddisfatto. Spaventare quell’ingrata almeno era divertente.
Assaggiò quella strana zuppa bollita. Diamine se era buona! Era un piatto semplice, fatto con avanzi cotti più volte. A casa si usava così…per non buttare via il pane e le lenticchie… Da bambino non aveva mai assaggiato la cioccolata a qualsiasi altro dolce, ma aveva sempre pensato che quel cibo rustico fosse la cosa più buona del mondo. Sapeva di casa, sapeva di lei.
Un ricordo tirava l’altro e, senza nemmeno accorgersene, Jake cominciò a mormorare quella vecchia nenia che lo accompagnava da tanti anni, mentre mangiava la ribollita

Sotto il sole del deserto
Fuggon le ombre
Di chi ha sofferto.
Senza pace, senza orme
Vagheranno tra sabbia informe
Fino alla fine del calvario
Avvolti nel sudario…

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Capitolo 10
*** Simboli e patti ***


Stavvi Minòs, orribilmente e ringhia:
e giudica le colpe ne’ l’intrata;
giudica e manda secondo ch’avvinghia.

Da una parte la presenza di Tilde gli dava l’orticaria, ma dall’altra Jake si ritrovò a essere grato del fatto che gli abitanti si concentrassero su di lei e lo lasciassero in pace.
Nonostante si sapesse che viveva assieme a due serpenti, sembrava diventata la beniamina del comitato. Tutti le camminavano accanto ponendole infinite domande e dandole di tanto in tanto delle pacche sulla spalla. Nessuno dava peso al fatto che fosse una fanciulla, come se fosse stata una di loro.
Ascoltando le loro conversazioni, alla fine Jake capì il motivo di tutte quelle attenzioni: senza nemmeno usare la pistola, Tilde aveva dato una lezione a Bill e alla sua banda di scalcagnati.
Pff come se ci volesse chissà che forza, pensò tra sé il serpente a sonagli. Quel mostro di Gila non era pericoloso nemmeno la metà di quelli che aveva incontrato lui ed era abbastanza sicuro che la sua pancia flaccida non lo rendesse esattamente agile. Magari Tilde non era molto forte, ma era lesta come un’anguilla e tanto bastava contro gente bassa come Bill.
Sbuffò, pensando che in ogni caso a breve tutti si sarebbero dimenticati di quelle sue prodezze.
Il sole non dette tregua al comitato per tutta la fottuta giornata, mentre loro vagavano come alla deriva in mezzo alla terra arsa. A guidare tutti c’era quel corvo azzoppato, che indicava tracce invisibili a tutti, anche a Jake.
Alla terza volta che lo vide indicare un punto indefinito all’orizzonte, il mercenario perse la pazienza: «Come facciamo a sapere che non stiamo girando in tondo?» disse seccato «Stiamo camminando da ore e non ho visto nessuna cazzo di impronta né percepito l’odore di quegli assatanati. Ci stai portando a fare una simpatica scampagnata, corvo?».
«Io indica dove essere andati talpe e serpente» gli rispose lui con estrema pacatezza, senza nemmeno prendersi la briga di guardarlo negli occhi.
«Stiamo viaggiando in mezzo al nulla in pieno giorno» ribatté ancora Jake «Siamo un banchetto per falchi ambulante!».
«Non abbiamo molta scelta» disse Rango, cercando di mantenere un tono calmo «Si sono fatti fin troppo audaci per i miei gusti e non intendo aspettare che arrivino a ungere di sangue anche le porte di casa mia».
«Sono d’accordo» si intromise Tilde «Devono pur avere un covo o una base da qualche parte…».
Prima che Jake potesse ribattere a tono, si sentì la voce di Waffle gridare: «Sceriffo, ho trovato qualcosa!».
La sua vocina era abbastanza acuta da ricordare quella di un bambino e stessa cosa si poteva dire per l’altezza ridotta -a mala pena arrivava alle staffe-. Il comitato lo vide tornare in groppa al suo gallo corridore a grande velocità, dopo essere andato in avanscoperta poco tempo prima.
Quando arrivò davanti a Rango, gli mostrò un pezzo di carta stampato, dicendo: «Era affisso a un cactus nel deserto, ma non riesco a capire che cosa ci sia scritto».
Jake sapeva leggere solo poche parole, ma quei caratteri cubitali sulla stampa gli parevano ancora più ostici del solito. Inoltre, più in basso era impresso uno strano simbolo: un serpente avvolto intorno a una croce, con la testa rivolta verso il cielo.
«Che diamine di lingua è?» chiese Oliver, il gatto.
«Ancora una volta signori, si tratta di latino. I nostri amici devono essere dei veri appassionati» fece Tilde prendendo il foglio tra le mani, per leggerlo «Il Signore disse al serpente: poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e la polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. È una citazione dal libro della Genesi, ma poi c’è anche un’altra frase».
Si prese qualche secondo per tradurla nella sua mente. Tutto il comitato intanto guardava Jake, come aspettandosi una delle sue solite sfuriate di fronte a quelle parole. La verità, però, era che il mercenario ormai ci era troppo abituato per dare peso a certe stronzate bigotte. In quel momento Tilde non si stava rivolgendo a lui e tanto bastava a tenerlo “Calmo”.
«Il regno di Dio è ormai prossimo. Arriva l’Eden in terra e in questo luogo puro non ci sarà posto per creature indegne e… impenitenti» finì di tradurre Tilde, con la fronte corrucciata «Questa non viene da un testo sacro… E poi non capisco cosa significhi questa croce di Asclepio disegnata».
«Una… croce di chi?» chiese un vecchio pollo che si sporgeva dalla sua cavalcatura per vedere il simbolo.
«Asclepio» spiegò Tilde «Il dio della medicina presso gli antichi greci. Il suo simbolo, un serpente avvolto intorno a un bastone, venne poi ripreso anche dai Cristiani, come si legge anche nel Vecchio Testamento».
«Che gente strana…» si lasciò sfuggire il vecchio Cucchiai «Un serpente come simbolo della medicina…».
Jake fu altrettanto sorpreso: di tutti i simboli per cui poteva essere usata la sua specie, la medicina era quello che meno si sarebbe aspettato, ma ne fu incuriosito.
«Nah… non è tanto strano» ribatté Tilde con nonchalance «Mali e veleni recano in loro anche antidoti e medicine. Solo che non capisco cosa abbia a che fare con la nostra setta, anche se questo manifesto è sicuramente loro».
Mentre sventolava il foglio di carta, Jake colse un disegno sul retro: un teschio bovino. Proprio come quello sotto cui era nascosta la Tana dei fuorilegge.
Anche gli altri animaletti del comitato lo notarono e presero a parlottare concitati su cosa potesse significare. La loro dotta beniamina, tuttavia, non sembrava molto pratica con i simboli usati tra i fuorilegge.
«Adesso si fa a modo mio, smilzo» disse Jake allo sceriffo «Io cambio strada, ci rivediamo a Polvere».
«Cosa? Ma…perché? Abbiamo finalmente una pista…» protestò il camaleonte.
«Fate come diavolo volete ma io ne ho le palle piene di girare in tondo sotto il sole e aspettare di finire tra gli artigli di un uccello o bruciato dal sole» ringhiò il serpente a sonagli «Hai chiesto il mio aiuto e mi hai promesso ettolitri d’acqua, quindi ora vado a cercare delle tracce sensate».
«E dove speri di trovarle?» lo schernì Tilde.
«In un luogo dove fortunatamente non sono ammessi i ficcanaso come te» bofonchiò il serpente, facendo tintinnare il suo sonaglio in avvertimento. Dette uno sguardo eloquente a Rango, il quale dovette capire di che luogo stesse parlando. Moscardo, il coniglio che gestiva la taverna dei fuorilegge, aveva già fatto una grossa eccezione lasciandolo entrare col distintivo; portare in gita tutto il comitato avrebbe sicuramente fatto scattare una sparatoria.
«Va bene» disse lo sceriffo «In effetti forse è meglio dividerci, troveremo più facilmente informazioni. Quando torni a Polvere vieni in municipio a fare rapporto… per favore».
Jake non rispose, allontanandosi strisciando per andare alla Tana.
Fare rapporto? Puah! Che cazzo sono, il suo soldatino? Essere sceriffo gli ha decisamente dato alla testa.
Senza il fastidioso chiacchiericcio di tutti gli animali attorno, il serpente a sonagli si ritrovò presto avvolto dalla quiete assoluta del deserto. Solo la sabbia di tanto mormorava sotto le sue squame oppure sospinta dal vento. Anche a tanta distanza, Jake non ebbe nessuna difficoltà a trovare la strada per il rifugio dei reietti come lui. Conosceva ogni singolo granello di sabbia nel deserto e, per di più, il bianco dell’osso spiccava molto sotto al sole cocente.
Man mano che si avvicinava al teschio di bue, pensò a cosa chiedere esattamente a Moscardo. Qualcuno doveva aver reclutato sette talpe e un serpente, di una specie esclusa quella a sonagli. Se faceva presto…poteva anche farsi un giretto con Circe.
Tuttavia, mentre si godeva il sollievo per essere da solo con i suoi pensieri, riconobbe qualcuno di familiare davanti all’entrata della Tana. Era niente di meno che Edward; le sue squame nere pezzate di rosa erano inconfondibili, così come la sua scorta di animali nerboruti.
Nemmeno il mostro di Gila tardò a riconoscerlo, sfortunatamente.
«Ma tu guarda chi si rivede! Jake, carissimo!» lo salutò con eccessivo entusiasmo «Torni già alla Tana in cerca di ingaggi? Hai già, come dire…Hai già finito di divertirti col tuo ultimo compenso?».
«No di certo!» gli rispose il serpente, forzandosi di ricambiare il tono bonario «Ho appena cominciato e ho ancora… parecchie munizioni in serbo per lei».
Edward rise di gusto a quella battuta sconcia, mentre Jake non vedeva l’ora di levarsi di torno. Quella lucertola non aveva niente di meglio da fare?
«E adesso dov’è?» insistette.
«A casa mia. La lascio riprendere un po’ prima di stasera» continuò fingendo una certa libidine.
«Bene, bene» si compiacque Edward, sistemandosi i risvolti della camicia «Sono contento che i miei regali siano apprezzati… Non tutti purtroppo sono leali verso gli amici quanto te, Jake. Il padre di quella ragazza, per esempio, era diventato fastidiosamente tirchio».
Ah, quindi lo ha seccato. Ecco perché non se ne torna a casa…
Malgrado quelle informazioni inutili, il mercenario aveva idea che ci fosse un altro motivo per cui stavano parlando di Beatrice e di suo padre.
«In ogni caso…» proseguì il mostro di Gila «Sarei leggermente deluso anche da te se mi dicessi che sei qui per vedere Circe».
«Adesso mi dici anche con chi devo andare a letto?» ringhiò sommessamente il serpente a sonagli. La scorta di Edward si irrigidì e i membri presero a schioccare le dita.
Quello d’altro canto, non dette segno di scomporsi e rivolse a Jake un sorriso tronfio: «No, Jake, ma come ti ho già detto quella sera, mi sentirei molto offeso se tu disprezzassi un dono che mi sono prodigato tanto a trovare» gli disse, mentre si accendeva un sigaro «Inoltre… devi sapere che mi stai aiutando divertendoti con lei».
«Cosa?» fece il serpente.
«Certo. Mi stai aiutando a dare una lezione a tutti quelli che sono un po’…reticenti a pagarmi. Proprio come il padre di quella dolce fanciulla» gli spiegò Edward, come se fosse stata la cosa più normale del mondo.
«Io sparo, non stupro ragazzine su commissione» spiegò il serpente a sonagli, al limite della rabbia. Scosse violentemente la sua pistola, facendola sferragliare.
Vide le talpe dietro Edward spostarsi la giacca e toccare le pistole nella fondina. Tecnicamente erano fuori dalla Tana; qualche proiettile poteva anche starci.
«Per Diana, non voglio certo che tu tela faccia davanti a tutti nella Tana!» esclamò Edward, come se la cosa fosse divertente «Ma se vuoi rientrare qui dentro, ti consiglio di portarla con te. Solo per una volta».
Merda, pensò il serpente. Avrebbe dovuto evitare di rispondere a quel pervertito e non si sarebbe impelagato in quella situazione. Riuscì a trattenere la rabbia e la frustrazione finché Edward e i suoi non varcarono la porta all’interno del teschio. Dopo di che, colpì con violenza una delle corna, lasciandoci un segno.
Adesso come cazzo faceva a portarsi dietro Beatrice?
Magari avrebbe dovuto trascinarla di peso. Tutti avrebbero trovato normale il fatto che urlasse e si dimenasse, ma poi avrebbe dovuto passare il tempo a tenerla buona, anziché cercare indizi sulla setta.
Un sassolino per poco non gli colpì l’occhio, rimbalzandogli sulle squame coriacee. Emise un sibilo rabbioso, mentre guardava in alto. La lucertola più fastidiosa del deserto era comodamente seduta sopra il teschio di bue.
«Da quanto sei diventato anche un compratore di schiave sessuali?» gli chiese, scagliandogli sul muso un altro sasso.
Jake non tardò a puntarle addosso la pistola e Tilde ebbe il buonsenso di alzare le mani e gettare a terra gli altri che aveva in mano.
«Non ho comprato nessuno. Me l’ha regalata» disse, iniziando a strisciare via, verso Polvere. Solo in quel momento notò il gallo corridore di Tilde nascosto dietro alle ossa di bue. La ragazza gli saltò in groppa per poi raggiungerlo.
«Che pensierino gentile. Ha in programma di regalarti anche un guinzaglio per Natale?» lo schernì.
«Fottiti» fu l’unica risposta del serpente a sonagli «Non dovresti essere con lo sceriffo e gli altri a fare da traduttrice, invece che rompere a me?».
«Ero troppo curiosa di sapere dove te ne andavi. Non immaginavo di trovare il centro del commercio schiavista».
«Non è posto per le signorine irritanti come te» le disse il serpente, scacciando con la coda il suo gallo come se fosse stata una mosca.
«Beh da adesso non è nemmeno un posto per te da quanto ho sentito» lo rimbeccò la ragazza, toccando finalmente il limite della poca pazienza di Jake.
Si abbassò appena in tempo per evitare un colpo di coda, ma cadde dal suo gallo, che prese a correre terrorizzato nel deserto. Lei rimase quindi sola con Jake e prontamente si mise in posizione di guardia.
«Tira fuori la pistola» la esortò il pistolero.
«Non ce l’ho. Io combatto senza».
Jake non tardò a puntarle contro la propria mitragliatrice, sapendo che non sarebbe riuscita a essere più veloce delle pallottole. Tuttavia, Tilde non sembrò spaventata. Nei suoi occhi c’era una strana luce: non era uno sguardo da killer, ma sembrava quasi che combattere le desse piacere in qualche modo.
«Reggimi la coda, per piacere».
Quella frase sorprese Jake abbastanza a lungo da permettere a Tilde di infilare la sua coda in uno dei fori della sua mitragliatrice. L’attimo dopo si staccò, lasciando però la sua coda lì. L’arto amputato, tuttavia, sembrava possedere vita propria e prese ad agitarsi convulsamente all’interno della canna, mentre Jake osservava schifato e cercava di toglierlo.
La lucertola non sembrava affatto indebolita dalla perdita della coda e, dopo avergli tirato un pugno di polvere negli occhi, gli assestò il primo calcio alla mascella.
«Maledetta…! Stronza!».
«Tanti complimenti mi lusingano. Che ci sei andato a fare in quel posto?» gli chiese.
«Cercavo la cazzo di setta» ringhiò lui, saettando con tutto il corpo verso di lei. Non riuscì a morderla, ma col resto del corpo la stava lentamente circondando. Ancora un attimo e l’avrebbe stretta tra le spire.
«Come mai proprio lì?» fece ancora lei, saltandogli di nuovo sulla schiena. Nemmeno quella volta, però, riuscì a evitare il colpo della coda metallica.
Jake la sentì guaire di dolore mentre rotolava nella polvere.
«Lì si reclutano mercenari, tra cui il sottoscritto, e non è raro trovarci anche fanatici religiosi» le spiegò.
«Uh…» sospirò Tilde, tenendosi le costole «E il tizio di prima è un tuo cliente».
«Perspicace» le disse Jake prima di tentare un altro attacco.
Questa volta, Tilde lo colpì con un sasso più grosso raccolto da terra. Aveva commesso l’errore di attaccarla a denti sguainati e fu proprio uno di essi a essere preso in pieno.
Un dolore lancinante trafisse il serpente a sonagli, costringendolo a ritrarsi mentre in bocca sentiva il sapore metallico del sangue.
Alla fine, fu costretto a sputare una delle sue zanne velenifere. Non che fosse una grande perdita: gli sarebbe ricresciuta a breve.
«Cazzo!» disse, tastandosi la mandibola dolorante.
«Toglimi una curiosità» fece Tilde con ancora il sasso in mano «Beatrice è scappata da te o…?».
«Se fosse scappata l’avrei già ripresa» mugugnò Jake quando finalmente il sangue smise di fuoriuscire dalla ferita «Diamine vuoi proprio che lo dica a tutta la dannata città che mi sono giocato la paga?!».
Tilde tossì un po’, ma gettò a terra il sasso. Sembrava bastarle il fatto di aver pareggiato la propria coda col suo dente.
«Facciamo che ti credo» gli disse «Posso aiutarti a convincere Beatrice a venire con te».
«Perché dovresti farlo?» le chiese lui, scettico.
«Perché sono una buona samaritana?» gli rispose lei forzando anche un sorriso. Era persino meno credibile di un falco vegetariano e presto si accorse che Jake non la beveva. «E va bene voglio venire anche io nella Tana» confessò alla fine «Ti starò lontana e non farò risse».
«Puoi anche farle per quello che mi riguarda, ma poi te ne tiri fuori da sola» le rispose, cercando di non dare a vedere quanto in realtà fosse curioso di vederla affrontare i tagliagole della locanda.
«Allora andata» concluse Tilde con un sorriso.

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